Piramo e Tisbe “Piramo e Tisbe, tra i giovani il più bello l’uno,
l’altra superiore in bellezza a tutte le fanciulle
‘Pyramus et Thisbe, iuvenum pulcherrimus d’Oriente, abitavano case contigue là dove alter, Semiramide (come raccontano) cinse d’una altera, quas Oriens habuit, praelata puellis, muraglia di mattoni la sua superba città. La contiguas tenuere domos, ubi dicitur altam conoscenza e i primi approcci furono effetto coctilibus muris cinxisse Semiramis urbem. della vicinanza, col tempo crebbe l’amore; si notitiam primosque gradus vicinia fecit, sarebbero anche uniti col rito nuziale, ma lo tempore crevit amor; taedae quoque iure vietarono i genitori; questo non poterono coissent, vietare, che ardessero entrambi con cuori sed vetuere patres: quod non potuere vetare, egualmente innamorati. Nessuno c’è che lo ex aequo captis ardebant mentibus ambo. sappia, essi parlano a cenni e con segni ma conscius omnis abest; nutu signisque quanto più si copre, tanto più divampa, loquuntur, ricoperta, la fiamma. Una parete comune a quoque magis tegitur, tectus magis aestuat entrambe le case era incrinata da una sottile ignis. fenditura, che s’era aperta fin dal tempo in cui fi ssus erat tenui rima, quam duxerat olim, il muro veniva costruito; quello spacco per cum fi eret, paries domui communis utrique. lunghi anni non notato da alcuno (di che non id vitium nulli per saecula longa notatum s’accorge amore?) voi per primi o amanti quid non sentit amor? primi vidistis amantes vedeste, e ne faceste una via per la voce; e et vocis fecistis iter, tutaeque per illud di là sicure, con lievissimo bisbiglio, solevano murmure blanditiae minimo transire solebant. passare le vostre blandizie. Sovente stando 70 saepe, ubi constiterant hinc Thisbe, ritti e fermi, di qua Tisbe e Piramo di là, dopo Pyramus illinc, avere a vicenda aspirato ciascuno l’alito inque vices fuerat captatus anhelitus oris, dell’altro, “Invidiosa parete” dicevano “perché “invide” dicebant “paries, quid amantibus ostacoli il nostro amore? Che gran cosa obstas? sarebbe stata, se ci avessi permesso di unirci quantum erat, ut sineres toto nos corpore con tutta la persona o, se questo era troppo, iungi se fossi stata aperta tanto da lasciarci aut, hoc si nimium est, vel ad oscula danda baciare? Ma non siamo ingrati: confessiamo pateres? d’essere a te debitori, se alla nostra voce è nec sumus ingrati: tibi nos debere fatemur, concesso di giungere alle orecchie amate” quod datus est verbis ad amicas transitus Dopo aver così parlato invano da luoghi auris.” talia diversa nequiquam sede locuti opposti, sul far della notte si dissero addio, e sub noctem dixere “vale” partique dedere ciascuno dalla sua parte impresse sulla oscula quisque suae non pervenientia contra. parete baci che non potevano giungere Callida per tenebras versato cardine Thisbe dall’altra. egreditur fallitque suos adopertaque vultum Cauta nel buio, dischiusa la porta, Tisbe ne pervenit ad tumulum dictaque sub arbore esce eludendo la sorveglianza dei suoi e col sedit. volto coperto giunse al sepolcro e sedette ai audacem faciebat amor. venit ecce recenti piedi dell’albero convenuto: audace la faceva caede leaena boum spumantis oblita rictus l’amore. Ecco sopraggiungere una leonessa depositura sitim vicini fontis in unda; con le fauci schiumanti tinte del sangue di quam procul ad lunae radios Babylonia buoi or ora uccisi, per saziare la sete Thisbe nell’acqua del vicino fonte; di lontano al lume vidit et obscurum timido pede fugit in antrum, della luna Tisbe la vide, e con trepido piede dumque fugit, tergo velamina lapsa reliquit. fuggì in un oscuro antro, e, mentre fuggiva, ut lea saeva sitim multa conpescuit unda, abbandonò il velo che le era scivolato dalle dum redit in silvas, inventos forte sine ipsa spalle. Come la belva ebbe spenta la sete ore cruentato tenues laniavit amictus. con molta acqua, mentre tornava nella foresta, trovò per caso lo scialle sottile abbandonato dalla fanciulla e lo lacerò con la bocca insanguinata. Serius egressus vestigia vidit in alto Piramo, uscito più tardi vide impresse pulvere certa ferae totoque expalluit ore profondamente nella polvere le orme evidenti Pyramus; ut vero vestem quoque sanguine della belva e impallidì tutto in viso; come poi tinctam trovò anche il velo macchiato di sangue, “Una repperit, “una duos” inquit “nox perdet sola notte - esclamò - perderà due amanti dei amantes, quali ella era ben degna di vivere e quibus illa fuit longa dignissima vita; lungamente; io sono il colpevole. Io, nostra nocens anima est. ego te, miseranda, sventurato, t’ho uccisa, che t’ho fatta venire di peremi, notte in luoghi pieni di rischi e non ci sono in loca plena metus qui iussi nocte venires venuto per primo. Il mio corpo sbranate, e nec prior huc veni. nostrum divellite corpus con fieri morsi divorate le mie carni et scelerata fero consumite viscera morsu, maledette, voi quanti leoni abitate tra queste o quicumque sub hac habitatis rupe leones! rupi! Ma è da vile augurarsi la morte”. sed timidi est optare necem.” Il velo di Tisbe solleva e con sé lo porta al Velamina Thisbes riparo dell’albero convenuto, e dopo aver tollit et ad pactae secum fert arboris umbram, bagnato di lacrime e coperto di baci l’amata utque dedit notae lacrimas, dedit oscula vesti, veste, “lmprégnati - ora dice - anche del mio “accipe nunc” inquit “nostri quoque sanguinis sangue!” E s’infisse nel fianco la spada di cui haustus!” era cinto, e subito dalla ferita cocente la quoque erat accinctus, demisit in ilia ferrum, trasse mentre moriva e giacque supino al nec mora, ferventi moriens e vulnere traxit. suolo: spiccia in alto il sangue, come quando ut iacuit resupinus humo, cruor emicat alte, un condotto si fende per un guasto del non aliter quam cum vitiato fi stula plumbo piombo e dal piccolo foro getta stridendo scinditur et tenui stridente foramine longas lunghi schizzi d’acqua e con zampilli rompe eiaculatur aquas atque ictibus aera rumpit. l’aria. I frutti dell’albero bagnati dagli spruzzi arborei fetus adspergine caedis in atram cruenti si mutano in neri e la radice, vertuntur faciem, madefactaque sanguine inzuppata di sangue, di colore purpureo tinge radix le pendenti more. purpureo tinguit pendentia mora colore. “Pyrame,” clamavit, “quis te mihi casus ademit? “Piramo - gridò - quale sciagura a me ti ha Pyrame, responde! tua te carissima Thisbe tolto? Piramo, rispondi. La tua carissima nominat; exaudi vultusque attolle iacentes!” Tisbe ti chiama: ascoltami solleva gli occhi ad nomen Thisbes oculos a morte gravatos languenti!” Al nome di Tisbe Piramo alzò gli 145 Pyramus erexit visaque recondidit illa. occhi giù gravati dalla morte e, dopo averla ‘Quae postquam vestemque suam cognovit vista, li richiuse. Come Tisbe riconobbe il suo et ense velo e vide il fodero d’avorio vuoto della vidit ebur vacuum, “tua te manus” inquit spada, “La tua stessa mano - disse - e il tuo “amorque amore, o sventurato, ti perse! Anche la mia perdidit, infelix! est et mihi fortis in unum mano è forte a questa sola impresa, forte è hoc manus, est et amor: dabit hic in vulnera anche il mio amore: questo mi darà il vires. coraggio di ferirmi. Ti seguirò estinto, e sarò Persequar extinctum letique miserrima dicar detta causa infelicissima e compagna della causa comesque tui: quique a me morte tua morte; e tu che solo dalla morte potevi revelli essere, ahi! da me strappato, non potrai heu sola poteras, poteris nec morte revelli. essermi strappato nemmeno dalla morte. at tu quae ramis arbor miserabile corpus Ma tu, albero, che coi tuoi rami ora ricopri il nunc tegis unius, mox es tectura duorum, misero corpo d’un solo, e tra poco coprirai le signa tene caedis pullosque et luctibus aptos salme di due, conserva i segni della morte e semper habe fetus, gemini monimenta abbi per sempre frutti neri che convengano al cruoris.” lutto, ricordo del sangue di entrambi!” Disse, dixit et aptato pectus mucrone sub imum e poggiata la punta della spada in fondo al incubuit ferro, quod adhuc a caede tepebat. petto si abbandonò sul ferro ancora tiepido di Vota tamen tetigere deos, tetigere parentes; sangue. Tuttavia i loro voti commossero gli nam color in pomo est, ubi permaturuit, ater, dei, commossero i genitori: il frutto del moro, quodque rogis superest, una requiescit in quando è maturo, assume un colore cupo, e urna.’ le ceneri avanzate al rogo riposano in una stessa urna”.