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UNICUM

poesia da collezione

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Lorenzo Bonadè

Vicolo del Tarocco


Prefazione di Eugenio Rebecchi

Blu di Prussia

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© Copyright by Blu di Prussia editrice
Monte Castello di Vibio (PG)
2020 prima edizione
ISBN 978-88-97205-62-3

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Prefazione

Per accostarsi alla poesia di Lorenzo Bonadè,


forse, è necessario conoscerlo. Sapere i
momenti salienti della sua vita e quant'altro
caratterizza i giorni, spesso difficili, di
un'esistenza. Bonadè non si finge arrabbiato, lo
è sul serio e dissacrare gli viene spontaneo,
naturale perché il suo credo non coincide con i
valori standardizzati che accompagnano le
masse. Ecco, allora, svilupparsi una scrittura
che, spesso, si fa amara e che tende a
ridicolarizzare i sentimenti comuni facendosi
beffe di paradigmi più o meno ufficiali. La
poesia di Bonadè graffia con convinzione,
morde con determinazione, si fa canto disperato
e raggiunge i confini dell'assurdo, quelli
dell'improbabile. Ma tutto ciò non esclude
passaggi diversi dove liricità e piacevolezza di
osservazione rappresentano l'altra faccia del
poeta: quella di un uomo sensibile, innamorato,
paladino degli ultimi e dei reietti. Si scoprono,
infatti, versi in cui tenerezza e levità mirata si
intrecciano, disegnando, così, un percorso

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capace di buoni sentimenti e desiderio di
riabilitazione per chi soffre le tante ingiustizie
presenti nella nostra società. Si avvalora, in tal
modo, la convinzione che il poeta non è soltanto
il sognatore che osserva, dalla finestra, il cielo
con annesse stelle, ma è, a pieno titolo, un
cittadino che vive la realtà del suo tempo ed è in
grado di offrire il suo impegno socio-politico
attraverso lo scrivere. Amore, dolore, invettiva,
esperienza dura, personaggi ai margini si danno
appuntamento là, in quel "vicolo del tarocco"
dove degrado e pena cercano un riscatto che
profumi di vita nuova, essenzialmente diversa.

Eugenio Rebecchi

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Il nostro pensiero fu quello, per il riscontro avuto, di
chi ebbe già perso in partenza.
Le nostre esistenze romantiche ci condussero
inevitabilmente a spirare nell’isolamento.
Le nostre persone furono viste, raccontate e
rievocate a voce bassa e con sguardi distanti.
I nostri slanci furono quelli di chi vinse nella più
completa disfatta.

Al mio più caro amico che fu

“I plans un mond muàrt.


Ma i no soj muàrt jo ch’i lu plans
Si vulìn zì avant bisugna ch’i planzìni
Il timp ch’a no’l pòs pì tornà, ch’i dizìni di no

a chista realtàt ch’a ni à sièrat


ta la so preson...”

Pier Paolo Pasolini


Seconda forma de “La Meglio Gioventù” (1974)

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Per chi vuole provare a leggere in dialetto
piacentino

Norme di pronuncia:
ä ꓿ suono fra “a” ed “è” (pär “padre”)
ë꓿ suono fra “a” e “eu” francese (frëd “freddo”)
ö ꓿ suono di “eu” francese (cör “cuore”)
ü ꓿ suono di “u” francese (mür “muro”)
c’ ꓿ suono dolce (occ’ “occhio”)
g’ ꓿ suono dolce (curagg’ “coraggio”)
s’c ꓿ pronuncia separata (s’ciopp “schioppo”)

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Introduzione

Soave giovane, già valoroso è il tuo spirito, a nobili


virtù la tua fede è votata. Da umili genti contadine la
tua carne discende come il limpido rivoletto
montano nasce sulle alture e ridiscende alla foce del
grande fiume.
Sul tuo cavallo ritto te ne stai, con l’innocente viso
proteso all’orizzonte mentre fervidi occhi brillano di
limpida luce.
Il forte vento spettina come del liscio crine del tuo
destriero, la bionda seta dei tuoi capelli, ed il
mantello come uno stendardo innalzato da un popolo
insorto sbatte ad ogni soffio.
Al di sotto dell’impervio monte roccioso, un denso
nuvolame oscura la grande capitale.
A nobili virtù la tua fede è votata ed il tuo animo alla
Ricerca verso il cammino della Verità (che un
magico soffio ti spingerà per sconosciute lande).
Oh fato! Dove mai spinge l’ambizione, crudele
destino. Perché gettarsi nelle braccia dell’odiato
carnefice? Cercare forse la salvezza tra i propri
nemici?
Sul tuo leggiadro cavallo ritto te ne stai col
fanciullesco viso proteso all’orizzonte, in cui occhi
fervidi brillano di limpida luce.
Figlio dal cuore indurito, dentro di te ben sai che
arduo ti sarà il ritorno, il ritorno in un mondo nuovo,
in una cittadina morta.

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VICOLO DEL TAROCCO

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Crepuscolo al focolare del poeta

Sulla soglia della Casa del Poeta vedevamo la bruma


arrampicarsi per i verdi piani.
Tutti vi eravamo.
C’è solo morte nella stanza della Casa del Poeta.
Guardiamo fuori. Nessun timore per il futuro.
Tanta speranza e tanta gioia
sulla bianca bocca dell’amata.
Non è più bella la Casa del Poeta.
C’è solo morte ora per le stanze della Casa del
Poeta.
Lui se ne andò silenzioso, tanti, tanti anni or sono.
Guardiamo il Suo cortile. Vedi quei fiori là?
Lui ne conosceva di tutti il nome e la vita.
Tu non lo sai?
Potremmo impararlo, sì io lo lessi…
impariamolo insieme in futuro, vuoi?
È viva la campagna del Poeta…
Dai amici, non fate baccano, controllatevi!
Sì, sì gioiamo!

La vita dovrà essere una cosa meravigliosa.

Oggi è un piacevole giorno, e anche ieri lo fu.


E domani?
Se ci sarà, ma a chi importa del domani.
Sì, sì gioiamo!
Nessun timore per il futuro.

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Tanta speranza e tanta gioia
sulle bianche bocche delle nostre amate.
E prima di tornare, mostreremo loro il nostro affetto.
Sì, è certo che lo faremo.
Lo faremo, sì, prima di tornare.
Prima di tornare.

Che bella la Campana del Poeta!


Suonala dai!
Ma verremo rimproverati!
Suonala dai, suonala dai!
C’è tanta speranza e tanta gioia sulle bianche bocche
delle nostre amate.
C’è solo morte ora per le stanze della Casa del
Poeta.

Ma tanta vita per la Sua campagna.


Tu un tronco, tu quel funghetto, lui il fiumiciattolo,
egli lo spoglio ramo, essa l’umida terra, e tu, tu…
ma siamo tutti nella nebbia!
Io non ho paura, neppure io, e tu?
No, c’è tanta gioia e tanta speranza sui nostri visi.
Guarda come sono belli.
È vero!
Ti prego, passami la mano nera di terra sul corpo.
Così…

Che bella la Campana del Poeta!


Suonala dai!
Ma sarà per un attimo.

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Suonala, suonala dai!
Solo per un attimo riecheggerà per i boschi assonati,
solo per un attimo attraverserà questa nebbia.
Insieme forza!
Verremo rimproverati…
Ma c’è tanta speranza e gioia sulle nostre bocche
e su quelle delle nostre amate!
Ognuno un giorno, ammoniscono i vecchi,
dovrà intraprendere la propria tortuosa strada.
Fatta di grigio lavoro, di solitudine urbana, di affetti
meschini,
di Futuro.
Ma par così lontano quel giorno!
Noi ingenuamente e saggiamente
non ci soffermiamo, non meditiamo.
Nulla di tutto quanto ci è chiarito.
Ma tutto amiamo e tutto afferriamo.
Siamo in tanti, in quanti rimarremo?
Quanta unione, quanta felicità!
Va bene, tutti insieme, forza, suoniamola!
Smetti di fare lo sciocco per un attimo.
Ascoltala!
Ascolta la Campana del Poeta,
pare ch’Essa sussurri:

Giù in fondo i grandi campi dai vivi colori


autunnali,
quando il mare è tanto freddo e le distese deserte,
s’alza repentino, nel primo mattino, come nel primo
meriggio,

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un pugno di sabbia incontaminata, e subito, non
veduta,
si disperde nel fragore d’un soffio d’onda.

Fu per un attimo.

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Leggende agresti

E me ne andrò come un cinghiale per i boschi sotto


al pulviscolo, annusando l’aria, pestando il
vermiglio fogliame, nella nebbia, silenzioso,
ascoltando il suo lento cammino, frugando tra foglie
e ghiande fatate.
E quando, uscito timoroso da quel mistero di rami,
mi sporgerò ad un sole che s’addorme come un
bimbo sfinito, l’istinto mi guiderà giù molto più a
valle in mezzo a quelle casupole che sbuffano un
fumo pastoso.
Odorerò ancora di terra, negro come la mia
timidezza, sotto un cespuglio di bruni capelli e d’una
barbetta rada come muschio.
Un caldo nettare scorrerà giù nella mia gola,
ravvivando la mia lingua che da molto non proferì
più parola.
In un cantuccio riparato, cascando in lungo sonno,
mi raccoglierò in quell’odoroso tepore, un poco
impaurito.
Ma a mattino giunto ogni uccello canterà dal suo
nido, e il sole si specchierà nei capi leggeri dei
fanciulli.
I ragazzi negli scarpetti, andranno per le vie
parlando d’amore, e le giovani con tenere labbra,
nello sciacquare i panni al fiume, o nello stendere al
balcone i panni ne rideranno.
Ed io, col sole che mi ride nei fori delle scarpe,

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avanzerò timido fra le genti, alzando di tanto in tanto
lo sguardo, sfogliando i capelli di grano delle
giovani, e scorgendo i loro occhietti schivi come
trote di fiume.
E allora confuso, mi ritirerò su di un gran declivio
verde, con pure lacrime sul viso.
Ma la luce mi alzerà il capo, ed il sole sopra il bosco
riderà ancora mentre mi passerò le mani nei capelli
di miele.
E danzerò fino al bosco come uno scoiattolo,
annusando il venticello, pestando l’erba tra i raggi di
luce, ma silenzioso, ascoltando il loro continuo
fluire, frugando tra cespugli di fragoline con labbra
truccate con selvatiche more.

Una fiöla col so bel visëin


La cata, in sl’erba chinä,
un pò nascundì sutta un fülàr ciär
nuvel basaprett e gurgnalein.
D’ogni Madonna ill läbbar rosä
I mustran la stagion ad giuan mär

Cöl limpid sul ca risciarä la seda


Di so cavì, al bel bembein biond
Al trä di sgäi, e’l siguitta a girä in tond

In dal sciancä, qul so manein grass, ‘na margherita,

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‘l cuccia ad culp al so cülein in sl’erba poc distant,
mustrand a la natüra cal la ciama, i so dintein bianc.

Traduzione

Una ragazza col suo limpido visetto, raccoglie


chinata sull’erba, un poco nascosta sotto ad un
foulard chiaro, novelle insalate ed erbe.
Di ogni Madonna le rosate labbra arcuate rivelano la
stagione di giovane madre.
Col limpido sole che rischiara la seta dei suoi
capelli, il bel bambino biondo emette suoni, e corre,
corre in tondo.
Nello strappare, con le paffute manine, una
margherita, il sederino di colpo appoggia sull’erba
poco distante, mostrando alla natura che lo chiama,
novelli dentini bianchi.

II- La Madonna di ferragosto

Giù in paese per gli anziani è un mattino di


solennità.
Due giovani disubbidienti di corsa hanno
attraversato
per mano il bosco incantato.
Rallentando il passo sull’intatto monte, là
le loro risa come rugiada
Rimaste sono, sul verde fogliame.
Fianco a fianco, mano nella mano,

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di fronte alla tua gioiosa casetta,
in silenzio sono ora, oh Madonna.
Volge, la fanciulla giudiziosa
il proprio sguardo negli occhi del ragazzo,
ed egli con gli occhi sulla celeste veste,
Oh Vergine, la rassicura con un abbraccio veemente
Girandosi verso la giovine, dolcemente
le pone le proprie mani sul fragile capo
e lentamente baciandosi ridiscendono
in silenzio, uniti in pagana unione.
Tanti uccellini sospirano gioiose melodie.
I ragazzi con rinnovati occhi, ti parlano,
non ti pregano, oh Madonna, ti vogliono parlare.
Giù in paese tutto suona a giubilo.
In cielo la limpidità e tanta, d’accecare.

III- Al lädar ad nein

Rida te, giüan alser,


Cun i’oçç rivolt vers al ciär dal ciel
At çerc in di ram dl’a pianta bagna
Al furt d’una campestre cüccagna.
E d’in fatturia in fatturia t’nin ve
Da camp in camp- fein a ché
In luntananza al fisç’dal vilan
Al sa seinta, la in ält, travers il foi tramlant,
un fil ad sul alser
al fa surrid l’anim d’un pür.

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Traduzione

Ridi tu, giovane leggero, con gli occhi puntati verso


il chiaro del cielo, ricerchi nei rami dell’albero
bagnato, il furto di una campestre cuccagna.
E di fattoria in fattoria te ne vai, di campo in campo-
fino a ché- mentre il fischio del contadino in
lontananza s’ode, là in alto, attraverso le foglie
tremanti, un filo di sole leggero fa sorridere l’animo
di un puro.

IV- L’uccisione del maiale

Il cielo è scuro e sotto al porticato


Dio si è affacciato

Du fiulein e un ragažž
Una spusa e quattar strass

Fratello,
Quando il ferro nella tua gola irromperà
Il sangue della fratellanza s’innalzerà

Fratello,
Quando il tuo grido nel firmamento sorgerà
Quattro miserie sfamate saranno

As vera al ciel
As dastaccan il foi dal mister

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Du fiulein e un ragažž
La muier e quattar strass

Fratello,
Quando la lama la tua gola oltrepasserà
Il sangue della fratellanza risplenderà

Niente, niente andrà perduto


Neanche la merda del porcile

Il cielo è scuro e sotto il porticato


Dio si è affacciato

As vera al ciel
As dastacan il foi dal mister

Traduzione

Due fanciulli ed un ragazzo, la sposa e quattro


stracci;
Nelle spaccature del cielo di staccano le foglie del
mistero;

V- Esodo

Li vedrai Dio, sotto la neve


che silenziosa scenderà nella piccola vigna già
ricoperta,

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mentre tenendosi per le mani anche essi silenziosi
indugeranno. Ella avrà sotto il foulard
due occhi di nocciola vivi e speranzosi,
gote rosse e tenere labbra. Ed il giorno che verrà
Dio, dovrai di ognuno proteggere il proprio duro
cammino,
quando la loro pace rimasta sarà
nella neve luccicante, sopra i campi accecanti.

VI- La giornata buia

Tornate gente. L’orizzonte è già quasi tutto un manto


nero.
Il cielo non vi è molto distante, ma le nubi oggi
vi sovrastano imperiose. L’oscurità si fa largo,
portata da un vento severo, attraverso gli alberi del
bosco
e gli oramai spopolati viottoli del paesino.
Qua e là tra le nuvole si mostra a tratti
ancora il turchino cielo, e le montagne oltre la chiesa
presto inghiottite saranno da una pastosa nebbia.
Tornate gente. Abbandonate il vostro lavoro.
Tornate dal turbolento fiume, dai campi
con attrezzi e bestie, dalla boscaglia invisibile.
Presto: là dentro le case, dove madri e mogli,
figli e figlie vi attendono in un caldo buono.
Là sarete al sicuro.
Gioite gente, perché è questo un tempo buono.

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VII

Attraverso quei campi freschi e rigogliosi di viole


che dominano il borgo, rividi un garzoncello ed una
fanciulla
rincorrersi nei raggi del tiepido sole,
attraverso un mistero di foglie.
Lei indossava un canapone, ed il ragazzo quei pochi
stracci
tenuti sotto il grembiule da lavoro.
Ma tutti e due, se ben ricordo,
avevano gli occhi come due cerbiatti.
Tutto era incantato, senza tempo,
finché la visione non si tramutò in pura luce.

VIII- Pellegrino

Pellegrino è attraverso il tuo infinito migrare


che la fede ti conduce per il ritirato cammino,
attraverso questi sovraumani monti e sconfinati
altipiani,
attraverso la fame e il freddo e la consapevolezza
d’un pericolo costante. Nell’edotto lento viaggio
verso il nulla, nel vento di neve e nel vento di
profumi.
Viandante è attraverso il tuo infinito migrare
che la fede conduce per il tuo ritirato cammino,
esplorando queste oscure selve e vorticosi fiumi,

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attraverso la fame e il freddo e la consapevolezza
d’un pericolo costante. Nell’edotto lento viaggio
verso il nulla, nel vento di neve e nel vento di
profumi.

IX- Al rituran dl’emigrant

La Francia prisintäva ai miei oçç pers, pianür e


puder täl qual i nos, ma cun orižžont
seinža cunfein, scunussì e da scuprì in dal medesim
teimp, d’una lüz intensa e nôva.
Ho ripres la strä dop ca’m’sera abbandunä in un
camp cun erba e fiür ält ed culur inteins.
Trafitto dalla luce, a grandi sorsi mi dissetai nei
riflessi d’un gaio vinello giovane esalante speranza,
intant cun un s’ciopp d’al, un gran vul d’usei al pärta
vers al sul al tramont.

Al me amur l’é rinässi. Limpiditä


Tantcme chi frütt giuan sciancä in passä
Da me medesim. Rinassì par seimpar, in dla
sulitüdin
Dl la me val. Tütt tame allura. I vidur i’s disteindan
Ancura par la vall tam che al fôg seimpar russ,
Ma che, i camp, ch’ill gemm giuius mäi po darann.
Ed al bosch e i cespulli chi spungissan, anca lur
Prima ad l’inveran i’han ciappä dla fiamma al cülur.

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In dl’äria as seinta distant al cant di’uslein
La nossa luž l’é tramuntä ancura prima del teimp
Gnan, gnan al teimp d’un suspir a d’un gest amabil.
Ché adess la sira, l’autoimn invisibil
E qul veint dal nord, sulameint un fredd sul.

A cascan in s’il man callus


Cäld e l’ser gus ad piant

Cultivarò ancura la me terra


Cultivarò ancura al me lavur,

E la fatiga
Ch’in pudran mai finì

Me t’riscopar, par seimpar, qu’é al me fianc.

Traduzione

La Francia presentò ad i miei occhi smarriti, pianure


e poderi tali e quali i nostri, ma con orizzonti senza
confini, sconosciuti e percorribili nel medesimo
tempo, di una luce intensa e nuova.
Ripresi il cammino dopo essermi abbandonato in un
campo con erba e fiori alti e d’intensi colori. Trafitto
dalla luce a grandi sorsi mi dissetai nei riflessi d’un
gaio vinello giovane, pari quasi a quello delle nostre
vendemmie, mentre con uno scoppio d’ali, un

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grande storno d’uccelli prese il volo verso il sole al
tramonto.

Limpidità. Il mio amore è rinato come questi giovani


frutti giovani, strappati in passato da me medesimo.
Rinato per sempre nella solitudine della mia valle.
Tutto come allora.
Le viti si distendono ancora per il colle, come il
fuoco sempre rosse, ma che quelle gemme gioiose di
campo mai più daranno. Ed anche i cespugli ed il
bosco, hanno preso della fiamma il colore, prima del
gelo invernale.
Nell’aria aleggia il canto distante degli uccelli.
La nostra luce tramontò ancora prima del tempo.
Neanche il tempo di un sospiro e di un gesto
amabile.
Qui ora la sera, l’invisibile autunno e col vento del
nord solamente un freddo solo.
Cadono su mani grinzose, calde e lievi gocce di
pianto.
Coltiverò ancora la mia terra, coltiverò ancora il
lavoro, e la fatica che non potranno mai finire.
Ti riscopro, per sempre, qui al mio fianco.

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L’ultima canzone

Ricorda amore, ricorda quel tentativo di vita, quella


giornata di vento
Quel vento di luglio e quei mari mossi d’erba.
Non li scordare amore, ricorda quel giorno.
La vite, i papaveri, le colline all’orizzonte
I miei ed i tuoi capelli dati al vento
che ti accarezzavano il viso volto alle nuvole.
Non è molto amore, ma non lo scordare,
ricorda, ricorda quel giorno.
Ricorda quel poco tempo che ci è concesso.
Mai più quei fiori sfioriti rifioriranno,
perché furono quelli o uno soltanto
a consacrare il nostro amore.
Mille ed altri ancora ne verranno
ma solo per quegli amori che con gli occhi
limpidi di giovani satiri
dell’esistenza se ne riaccorgeranno.

“L’unico nettare proibito è il tuo amica,


Ti prego apri il cuore
Vieni, andiamo e resteremo.
Ubriacarti dalla coppa dei tuoi diciassette anni puoi
la brezza ti accarezzerà i seni,
le nostre carni fremeranno come due gigli socchiusi
sotto l’invisibile pioggia che attraverserà i rami.
Amore ti ornerà i capelli
il collo, i polsi, di niente

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Tu io ed un altro mondo
che fu di molti altri
la soluzione è qui, qui, ora.

Lascia cadere la pioggia sul tuo viso amore


dolcemente”

Ma fai, che il seme della dimenticanza non sbocci


nella tua mente.
Ricorda , ricorda quella giornata di vento
quel vento di luglio e quei mari mossi d’erba.
Non li scordare amore, ricorda quel giorno.
Perché io ho perduto tanto lungo la via.

Ora,
un poco di tenerezza da mani rinsecchite.
Ora,
la supplica, la supplica dei miei grigi occhi.

Finché la memoria non spirerà


il ricordo è tutto quello che ci è concesso.
Sappiamo bene di essere giunti alla fine.
E perché sappiamo bene tutti e due adesso come
allora
che oltre a quel giorno non ci fu più niente.

Che oltre a quel giorno non c’è più niente.


Plus rien.

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Giuvineza ad Piasëinza

I suoi occhi avevano il languore di un ultimo bacio


ed insieme il dolore incolmabile di un addio.
Il suo cuore si apriva magnificamente
come un bimbo primitivamente schiude un dolce
fico per assaporarne la polpa.
Il suo sorriso era come quello di un fanciulletto
e le sue più confortanti parole
come quelle di una comprensiva sorella maggiore.
Donava al sole versi di una stupenda semplicità,
ma sempre in silenzio e con il capo fra le mani.
Ma il sole ne gioiva spesso,
spesso ne gioiva, anche ad una sua sola strizzata
d’occhi.

Ed era il tempo, neppure troppo lontano,


in cui le rondini volteggiavano più numerose
intorno a quei muri secolari; ed era il tempo
in cui sacrificavamo le nostre giovinezze
in quei quattro muri da quegli altri poco lontani.

E quando il dovere smetteva di urlare ingiurie,


ci appartavamo io e lui in silenzio coi visi
all’orizzonte
oltre l’azzurro dei tetti.
Ed io gli mostravo quegli ed altri uccelli,
quello ed altri cieli,

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e la visione di noi due dietro a quelle mura ed un
altro dovere.

“Di fronte a queste grandiose milizie che marciano


posso soltanto
versare stupende lacrime di rassegnazione
per la magnificenza della vita
e per la mia inevitabile morte
di fronte a queste nuvole
che paiono rappresentare gli Dei”

Non vi furono altre parole, dovetti comprendere.


Di colpo quegli occhi d’illibata innocenza
ricordarono il pianto di un orfanello smarrito.

Quegli occhi di bene per sempre ricercheranno,


in ogni stagione, in ogni luogo, in tutti gli orizzonti.

Perdono Madre, non so, non so dove porterà quel


pianto.

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Porta Galera

Nella frescura della notte rari lumi rischiarano


le silenti borgate. Inaccessibili e gravi si stagliano
le macerie accanto alle stelle. Una chitarra
accarezzata
da un giovine, congiunge al tremolio di foglie il
poema vieto.
Al di sotto di altre fronde sulle rovine accovacciati,
due fanciulli indomiti ascoltano, cheti.

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I fiô ‘d Baccu

La Muntä di Ratt a l’é una discesa fatta a scalein,


ch’al sergentass al fa voin par voin, gradein par
gradein,
con un pass par voin ad qusti.

E par nuätar, Giuan Immurtäl, che precipizi!


rügland du vot par scalein
sutta i sguard scuncertà di mürtal par bein.

Traduzione

La Munta di Ratt presenta un declivio fatto di


scalini, che il gendarme tarchiato, discende uno per
volta, gradino per gradino, con un passo per uno di
questi.
E per noialtri, Giovani Immortali, quale precipizio!
Rotolanti due volte per scalino, sotto gli sguardi
sconcertati dei mortali per bene.

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Il Paganini del Verbo

Monumentale silenzio in platea.


Imperdonabile stoltezza sarebbe anche solo non
vivere
una sola nota, un sol verso, ché il folle
capriccio non si ripeterà.
Scoreggione pubblico ben agghindato
mal preparato allo smarrimento
solo dame, contesse e contessine
si abbandoneranno lacrimando attraverso le
mutandine…
(Oh...feti clandestini nei ventri delle signorine...)
Obliate tutto, il poeta scandalizza con un sudicio e
spiegazzato frac:
ma, da ora, pretenderà un’elemosina copiosa … Il
burattino dai lunghi,
radi e unti capelli, col Violinstilografica sabbatici
codici inciderà.
Il trillo impazzisce, le fedi prendono a vacillare:
qui si brucia allo stesso tempo l’offerta e l’altare.
Non è per tutti questo serpeggiare di frasi:
andatevene! Ancor siete in tempo: ché
un glissè vi traghetterà con furore sui confini:
assai rischioso spingersi oltre...
Ivi non v’è salvezza
arte non si plasma per rassicurare:
qui si sputa su se stessi per esser grandi!
Qui si rinnega il proprio Dio per poterlo amare!

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Il ladruncolo

Daspëss andand pr’i vicul, riturna l’imagin


Cla memoria riculura d’una tinta frêdda e sculurì,
Quand’inveran i’arivan con l’acqua e la caligin

Visibil i’ern i’ segn dal teimp färmä


Ind una mera solitudin, fermä pr’una vita,
In d una sulitüdin seinža, ad qla vita.

“Tütt il nott riturna attravers cl’üss seimpar mezz


sarä
Al me povar giuan spus, riturna ché qüll mar,
Par scandì dal so surris al son dal teimp”. M’äva
parlä

Atse qla vecia, e me sultant port in côr


Sutta qla pioggia batteinta
Al ricord dla so esisteinza.

Traduzione

Sovente errante per i vicoli, mi sovviene l’immagine


che la memoria ricolora di una tinta fredda e

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scolorita, quando gli inverni arrivano con la loro
acqua e caligine.
Visibili erano i segni del tempo, arrestato nella più
mera solitudine, fermato per una vita, in una
solitudine senza più aria, di quella vita.
“Tutte le notti ritorna attraverso quell’uscio sempre
socchiuso, il mio povero giovane sposo, ritorna quì,
da quel mare, per scandire dal suo sorriso un suono
del tempo”.
Così mi parlò quella vecchia, ed io soltanto porto in
cuore sotto questa pioggia battente, il ricordo della
sua esistenza.

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Fioco lume di oratorio

Morte, quando canuti ed inerti li vedrai


nello spargere all’aria le melodie delle loro voci,
amorevolmente al tuo seno li dovrai accogliere.
Quando li vedrai con il bastone ed un cappello
all’ombra su di una panca,
il tuo abbraccio dovrà essere tenero e dolce Morte,
pure tu ricordarti dovrai
della salvezza delle loro anime.
Breve e serrata è la mia preghiera
così disperata e ferma.
Morte, quando inesorabilmente entrerai nel loro
silenzio
anche tu indolore dovrai essere.
Danzerai anche tu alle più belle melodie di valzer,
dando la mano ai loro ricordi fluttuanti.
Questo e nient’altro, attenzione
io, povero illuso, ti guardo come tu mi osservi.
A te e sol a te la mia preghiera
morte, pure tu consapevole sarai
della salvezza delle loro anime.

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La ballata degli infingardi

In oscuri vicoli progrediamo in movimenti argentini


le nostre risa scalfiscono le interminabili
costellazioni
imprigionate nel loro perenne silenzio.
Scivoliamo così, inafferrabili esseri danzanti, in balli
ininterrotti
in primaverili frescure e fragranze notturne

“Signür fa mia spuntä al sul,


Signür fa mia spuntä al sul.
A vurév éss in ciel come le stelle
o verameint in brass a donne belle
a vurév éss in ciel com la luna
o vrameint i n brass a la fortuna”

Dal più giovane al più vecchio ognuno dal proprio


destino per sempre è fuggito.
Ogni vecchia madre maledirà del figlio la mala
natura,
la giovane sposa vedrà appassire ogni leggiadro
sogno d’amore
come già, col bimbo seno, la giovane madre ha fatto
sola col proprio destino.

37
“Signür fa mia spuntä al sul
Signür fa mia spuntä al sul
Guarda qull giuan là cum’al sa stima
la giaccha c’al g’ha sò l’é la so prima
i scärp che lü l’g’ha in pe i’enn seinsa söla
al serca la murùsa e gnan la tröva”

Coppe di vino alla luna brilleranno, fino a che il


respiro,
rinato, fino ad essa non ci condurrà,
per poi ripulire i musi nella fresca limpida fontana
e a te sognanti rivolgere la nostra preghiera:

Ag guardì cun occ’ stüpì e diffideint, Oh om!


Ma vùatar, forsi, an si mia ch’il parol ca lü la scriva
Ig sälvan, e ig mêttan una bona parola
par la vossa anma al noss Signur?

Della notte abbracceremo anche le figlie, Ninfe dalla


pelle d’avorio
morbide e abbondanti sui nostri corpi, tra candide
lenzuola.
In un blu marino sfumerà il cielo oscuro e profondo
ancora adorno di infinite stelle
spettatrici della nostra danza, testimoni del nostro
lamento inascoltato:

38
“Signür fa mia spuntä al sul
Signür fa mia spuntä al sul
Dé la speina al vasslinein
dé da bev ai cantarein
dé da bev ai sunadur
dé la speina a al buttä
dé da bev a sta canäia”

Ci disseteremo talmente tanto


fino a che ogni nostra cellula non deflagrerà in cielo,
indorando come rugiada borghi e contadi
rendendo folli bestie e genti.

“Signür fa mi spuntä al sul


Signür fa mia sputä al sul
E sòna l’armonica e sònla e sònla
feina ca düra l’üga in su la brocca,
e sòna l’armonica e sònla ancura
feina ca düra l’teimp da fä l’amur”

Ah uomini, quante verità sfumano nel fresco vento


mattutino,
quanti destini svaniscono rischiarati dalla dolce
aurora.
Quale lamento vociano mai gli uccelli al primo
mattino?
Solitaria panca, accogli, al canto lieve degli uccelli

39
Gli ormai esausti entusiasmi, accogli colui che beve
aspettando il paradiso.
Che siano proibiti i nostri versi ed offuscati i nostri
occhi.
Scompariranno ancora le nostre anime, ai raggi del
giorno,
Per tornare e ancora scomparire, per sempre tornare,

per ancora restare, al suono dell’interrotto canto:

“Signür fa mia spuntä al sul


Signür fa mia spuntä al sul…”

40
Al pover’omm

La Luna: “Maledetta sia questa lucida confessione


che gli spiana la strada verso la morte, a lui, al
pover’uomo, che si trascina nell’acquosa neve nera
sbuffando un poco di male da un respiro grosso.
Una lucidità di pensiero non cercata domina ora le
sue azioni, e riporta alla luce sentimenti sotterrati
dall’inconsistenza del suo spirito.
E se ne va già da qualche tempo, pensoso e quasi
fiero sotto il barbone e quattro stracci. Quasi fiero,
con gli occhi che parrebbero di un giovane uomo, e
non più quelli di un fanciullo quando il vino
consolava le sue labbra.”

Il Vento: “Volersi spiegare il perché di queste vite, i


fatti e le ambizioni talvolta vinte, talvolta sconfitte;
il pensiero e la visione, a volte voluto, a volte
segnato, sarebbe come d’ogni nuvola seguirne la
venuta e l’andata, ed il perché della forma”.

La Notte: “La sua anima si perse nel vuoto della


miseria e del vizio, dibattendosi inutilmente per la
vita nella distruttiva malattia della propria
dipendenza.
Maledetta sia questa lucida confessione concessagli
da chi sa quale demonio, la quale rende
dolorosamente pensierosi i suoi ultimi giorni, fino a

41
domandarsi se giusta o errata sia stata la sua
condotta di vita.
La sua anima, consapevolmente afflitta dai perduti
amori, dal perché dei dolori, dagli insuccessi d’oggi,
ma non di quelli di ieri, rinacque sempre una volta
sola e ne morì per due volte ancora.
Possano queste sue solitarie confessioni -Dio-
alleggerire il peso della sua anima adagiata fra le
braccia della morte.”

Le Foglie morte:“Noi udimmo più volte turbinanti


sotto le fioche luce autunnali delle lanterne, narrare
d’un paradiso che lo attendeva là insieme alle anime
amiche, in un mondo nuovo; e come l’onesto nettare
ammansisse le fiamme di questa vita terrena.”

IL Sole:“Oggi, giunto nel meridiano l’ho scorto


appisolarsi, ma mai più si è destato da allora. Si è
assopito dopo l’ultima ubriacatura nei rifiuti del
dopo mercato, circondato da pochi piccioni, con un
sorriso quasi fiero sotto il cappello nella brezza
primaverile, che ha fatto risplendere quel rivolo di
vino rosso, che, come il sangue di un eroe sconfitto
in battaglia, scorre lento tra l’acciottolato.”

42
Antifone della Beata Vergine Maria

Salve, regina, madre di misericordia,


vita, dolcezza e speranza nostra, salve.
A te ricorriamo, esuli, banditi e ubriaconi,
a te singhiozziamo gementi ed urlanti
in questa gloriosa valle di vizio.
Orsù dunque, avvocata di cause perse
mantienici per sempre in questa infame dipendenza
nel lustro della fanciullezza e dell’innocenza.
E mostraci dopo queste distese demoniache, un
requie.
O clemente, o pia, o dolce Vergine Maria.

43
Filastrocca delle galere
(scherzo n.I)

A sentir le loro remore,


chiacchiericcio di truffatori e depravati
di maniaci e banditi
d’assassini e ragionieri
di stupratori e avvocati
di pederasti e monsignori,
tutti nel medesimo girone;
nessuno di questi ciarlatani da prigione
merita a torto o a magione,
un siffatto alloggio tra mura di muffa.
Ma la cosa da morir dal ridere,
Signori, la vita è una cosa buffa,
è per quasi ognun di loro,
quanto vi viene confessato… è vero.

Filastrocca delle galere


(scherzo n. II)

Di ritorno dalla Casa Circondariale


ognuno è cangiato.
Tutti quanti una volta arrivati,
qualcuno o un qualcosa di razionale nelle tenebre ha
soffocato.
Nessuno rimane indifferente
in una mattinata di festa sincera,

44
lungo il boulevard soleggiato,
ad un giovane ignaro, viso ambrato,
sorridente, di grazie vera.

45
Scartàssa

Chi dice che al freddo


e con la pancia vuota
si compongano versi migliori?

La mia bimba non contempla il mio soffrire


nessuno conosce il mio morire

Ho scelto la strada
per rispetto al vento e al firmamento

il non lavoro
per rispetto al sole ed ai fiori

il tradimento
per rispetto alla luna e alle maree

Chi dice che al freddo


e con la pancia vuota
si compongano versi migliori?

Ascolta fratello, questa mia serenata vana


e dimmi se non valga la pena aver un tozzo di pane

46
Maiö

Maiö
crebbe per diciassette inverni
in quella via
l’era al sö pò bel fiö.
L’è mort schissä
un giuran
par inversion
ad circulasion
da strä

Traduzione:
era il suo più bel figlio/ è morto schiacciato/un
giorno/per inversione/di circolazione/di strada.

47
Jacam

Un tempo era diverso. Qualche compagno si


affacciava
subito al di qua della spessa nebbia
oltre gli scheletri degli alberi.
Solo i propri suoni li precedevano.
Suoni della stessa cadenza, ma incomprensibili
volteggiano nell’oblio delle anime perse.
Ora sei vecchio. E nessuno vedrà dall’altra sponda
-Jacam- né udirà più alcun suono
precedere la tua morte.

48
L’esecuzione capitale
(Epistolario proibito)

Città di Piacenza, XIV novembre 1780

Alla madre

Non v’è più motivo per il quale sia necessaria una


dipartita e un ritorno madre. Rimango pure io oggi,
per le umane genti anno del Signore XIV novembre
1775, sotto ad una grata insieme ad altri infelici,
mentre la pioggia parrebbe ricadere come mille
annate or sono.

All’amico Giuseppe, XV novembre 1774

Talmente esausto, fratello mio. Privo di forze,


esaurito una volta ancora. Il mio ritiro oggi è
inevitabile. Appisoliamoci per pochi giorni ora.
Dannati, là nelle fiamme dell’inferno, abbiamo fatta
nostra la pietà perdonando nostro malgrado. Ciò che
il paradiso promette, riscoperto e ritrovato.
Anche le nostre anime hanno tirato dei brutti scherzi
alla morale comune e al comune sapere, e forse in
più larga misura, a coloro portatori di messaggi
contro la morale comune e il comune sapere.
Sempre in alto e non visibile, c’è qualcuno che
comanda. Quando siamo usciti alla luce, è stato solo
per scaldarci un poco al sole, e per vedere se
resistessero ancora i fiori.

49
Tutto questo non è servito a null’altro che per farci
sorprendere nei sorrisi della pazzia.
Appisoliamoci per pochi giorni ancora, caro amico.

All’amico Giuseppe, XVI novembre 1774

Quale stupore, quale meraviglia per i mestieri più


malfamati, le situazioni più proibite!
I nostri occhi, illuminati da un ardore romantico,
s’invaghirono di tutto questo. Quelle fanciulle
misteriose segnarono il nostro cammino per tutta la
vita. Con quale incantevole bellezza risplenderanno
mai i raggi del sole sul loro viso? Le rivedo bambine
sussurrare a un fiore. Quale incantesimo ha colpito
la loro giovane carne? E noi, là in mezzo, scevri da
ogni male, sapevamo d’essere immortali in mezzo a
quegli zotici.
“Per quale immonda ragione questa giovane
meretrice non s’innamora di me!” Quella sera
conclusi che tutti un giorno avrebbero pagato per i
loro errori. E così è stato. Ma noi, bellissime ardenti
fragili vite, ci spingemmo oltre il cielo anche per
quegli amori. La consideravamo ambizione.
Abbiamo sognato solo due corpi, una qualsiasi luna
ed il profumo oscuro dei campi. Non fu possibile.
Abbiamo bruciato lentamente le nostre fibre con
alcool, furti, scippi, accumulando così livore e
miseria. E abbiamo rischiato di spegnerci, siamo
sbiancati per una morte patetica e banale. Eccoli i
giovanili ardori. Profumi, luna, stelle! Era

50
necessario, era davvero necessario lo slancio
estremo?

All’amico Giuseppe, XVII novembre 1775

L’abbiamo afferrata amorevolmente la vita, e


posseduta con un tale ardore! Abbiamo gioito,
disprezzato e bruciato tutto. Un nostro solo slancio è
valsa un’intera esistenza. La nostra opera, invisibile
agli occhi altrui, è stata una continua lotta tra carne e
spirito.
Fin dal principio ci siamo dati alla macchia. Era
tutto così inconcepibilmente mirabile per rimanerne
succubi. Una ribellione verso la grandiosità della
vita. Divenire la voce dell’Onnipotente.
La tua è stata vocazione, la mia natura. Ma tutti e
due degli eroi perché già ben consapevoli d’aver
perduto in partenza. Abbiamo appoggiato le nostre
labbra a quelle dell’individualità e della fortuna.
Mi sono messo nei panni di tutti gli emarginati e
disadattati, e ne ho tratto le verità e gli sbagli. Mi
sono messo nei panni dei detentori del potere, non
cogliendo differenze tra gli errori e tentazioni degli
ultimi del gregge umano. Potevano credermi
partecipe alle vicissitudini della società attuale, lo
vollero, lo comandarono: ma io, neppur nel mezzo
del cammino, avevo abbandonato ogni fazione e
politica, essendo molto, molto più nel passato dei
miei simili. Avevo riscoperto una verità in un batter
d’ali, in un fruscio, in un colore, in un sorriso

51
accennato, in un minuto d’un giorno d’una qualsiasi
stagione.

Alla madre (non datata)

Le mie ambizioni, la mia ricerca sono state come un


tratto d’un fiume impetuoso e vorticoso; che dopo
esser sceso tra pietre e paesaggi di foglie e rami, il
suo corso s’è lentamente placato per risplendere
anzitempo in un laghetto, che ora è il mio, e non in
un profondo mare che non mi appartiene.
Madre, fai che nel tuo cuore fiorisca il seme del
perdono.
V’era molto, tutto in quelle parole: una ricerca, una
ricerca, una verità, una vita. Con dolcezza ho
appoggiato i miei scritti su onde d’erba, e con
serenità lasciateli naufragar nel mio mondo, ben
consapevole che nessuno mai ne sarebbe venuto a
conoscenza.
Unica è la visione, e non condivisibile in tutto e per
tutto.
Un giorno capirai la scelleratezza dei miei gesti.
Con dolcezza ho lasciato naufragar tutto il mio
mondo.

Scritto (non datato)

Che non sia neppur un gesto eroico, né vile, né


consapevole. Dovrò andarmene nello scalpore

52
pubblico, silenzioso col timore di disturbare. Che sia
solo vostro questo rumore. Guardateli, guardate i
vostri figli morir silenziosamente nell’animo.
Guardateli senza più nessuna convinzione.
Neppur nessun forestiero s’accorgerà della mia
dipartita.
Lasciate che mi avvicinino uno ad uno,
singolarmente, agli occhi altrui smarriti. Ognuno,
schivo, porterà dentro sé la prima allegria del creato;
ognuno innalzerà il magnifico coraggio dei propri
antenati.
Lasciate che ognuno scopra da sé ch’io fui un
tempo. Io come essi attraversai scorci di natura
selvaggia, e come fuggii ritroso dalle masse.
Lasciate ad altri stupidi stendardi e ridicole lapidi
commemorative.
Lasciate che arrivino per i sentieri attraverso i quali
passarono i miei eroi.
Ogni goccia di pioggia ribatte come fu un tempo,
niente è cambiato: ribattono la vita, l’ardore e la
lotta.
Ma nel mio cuore stanco ne risuonano ben poche.
Da sciocchi è pensare di non esser già stati
manipolati sul nascere, com’è inutile la morte in sé,
come inutile è una chiesa sbarrata dall’interno ed un
sepolcro spoglio da fiori di campo.
Futile la pioggia su questa galera. Questa pazzia
posseduta anzitempo mi condurrà inevitabilmente a
consumare il gesto insano.

53
All’amata (non datato)

Suono delle campane del primo dicembre: a morte


esse rintoccano, con esse la ricerca spira.
Con un soffio la vita si fa largo tra fili d’erba nelle
radure. Tutto questo m’è di conforto.
Prego perché con essa l’autunno riscaldi col suo
tepore buono, il cuore dei fanciulli. E perché ogni
notte torni sulle ali del gelido soffio, il perfetto
bacio, invero così nitido nella fioca polvere del
sogno.
Il perfetto bacio nella tua selvaggia bocca, amore.

Lascito, XIII dicembre 1780

Quando piange il corvo chiama la neve.

Amate giovani le parole scritte, e quelle che mai


furono scritte.
Io ho creduto, ma è solo un gesto che ci conduce
dall’equilibrio e realizzazione, dalla stasi alla pazzia.
Misericorde Signore, tu ben sai che ancora ti prego
al fioco lume: prego che la ribellione nasca,
irreprensibile, nel cuore della gioventù.
E per Voi madre, invoco il perdono, e immolo il mio
cuore alla Vostra santità: ho sfiorato l’innocenza
senza afferrarla.
Il tutto spacca la testa. Il malessere ha intaccato
perfino la magia con la quale il terzo occhio cadeva
in un sogno greve, e gli altri due si innamoravano di

54
tutto senza distinzione.
Ma tutto ciò non ha pur senso, in quanto la chiave di
lettura apre tutt’altre porte e non la mia.
Uccisione del proprio padre come redenzione di un
antico peccato.
Solo un altro in un' intensa esistenza contro il
compromesso della vita.
Un’altra sentenza decisa a tavolino. E un’altra mia
commovente confessione al fato, di non sradicare sul
mio corpo esangue, il fiore delle quattro stagioni, e
le altre mille in esse-uniche.
Tutto è già stato stabilito, ogni vita incarcerata:
giocala, giocala bene ed in fretta la tua individualità
ragazzo che mai mi leggerai.
Amate giovani, le vite buttate, perché in esse
ricercherete l’introvabile errore.
Amate giovani, le vite inutili, perché tramite esse
riscoprirete il senso della vita.
E ne impazzirete.
Tutto si ribalterà: mari, monti, ogni più imponente
opera crollerà di fronte alla semplicità
dell’illuminato.
Amate il vecchio contadino, la brutta puttana, lo
sporco mendicante, la solitudine incolmabile del
reietto, del tempo la giovane carne della troia finita.
I vegliardi, sempre e comunque. L’assoluto rispetto
verso il prossimo. Inizialmente.
E poi l’antica dignità e perseveranza, umiltà e bontà,
la rettitudine dei poveri nella vita.
Gioite d’insulti, sputi e isolamento, del disprezzo e

55
delle urla della massa.
Sparite.
Il ritiro, forse, come unica salvezza.
Forse, perché si potrebbe tornare in mezzo al branco
e ringhiare agli innumerevoli branchi sempre
esistenti.
Si vince qualche battaglia, mai la guerra.
Riempirsi di vita i polmoni e tendere i muscoli verso
il cielo, anche solo per una volta soltanto, ecco il
vivere.
La “via”, questa via, che sono questo maligno
tempo, le leggi e le circostanze, m’han portato al
gesto estremo.
Ed ora, straccione imbrattato di fimo e terra, oltre
alla vergogna e alla sofferenza, oltre al peccato e ai
rimorsi, non pretendete pubbliche umiliazioni,
questo mai avverrà: se non nei confronti di un
limpido sguardo di bimba che mi dona, nella mente,
il sorriso candido dalla sua anima.
Un cappio e una sagoma tesa per qualche istante,
prima di scomparire in masse infinite di grigio fumo
e putrido fango: e neanche sui colli si riaprirà il
cielo.
Non mi avrete mai maledetti bastardi! Fui il solo Dio
nella mia creazione, e lo sarò in ultimo nel mio
sacrificio.

Amate giovani, le parole mai scritte, e quelle che


mai potranno essere scritte.

56
Le pendü

Numerose in questa nottata sono state le stelle


cadenti.
Sortito per l’ennesima volta dalla gattabuia, dove il
gobbo secondino mi ha riservato
il ghigno di chi conosce il destino dei dannati, a
brevi passi mi sono diretto sul ponte dalla forma
arcuata, e da lì, illuminato da ogni brivido di lume,
su di un muretto a cavalcioni le ho osservate svanire
nell’infinito.
Ma non significarono nulla.
Di più mi sono riconosciuto ancora in ogni
mozzicone di tabacco, di più mi sono riconosciuto
nel sangue -ebbri ragazzi-, in ogni mozzicone da me
lasciato cadere verso un fiume oscuro, vorticoso ed
immoto.

Nella fievole luce dell’ultimo crepuscolo, i bimbi mi


segnano a dito, lo sconto di pena finale è solo
rimandato, essi saranno i primi a riservare un posto
in prima fila all’impiccagione.

Il carezzevole vento consolatore ha sfiorato la


propria guancia con la mia, dolce,
come un fresco sidro assaporato dalle labbra della
più gentile amante.

57
La fête des fous

Festa dei Folli


risplendono gocce di pioggia
leviganti
il grigio viso di un satiro
sorridente
incastonato nel muro

(variante)

Feste dei Folli


serpeggiano chiome di sole
infervoranti
il grigio fallo di un satiro
madornale
prominente dal muro

Nota: Questa festa segna un tempo di grande libertà.


In queste giornate di inizio ‘400, i valori sociali
erano invertiti e la religione derisa durante il periodo
natalizio. L’invertimento della gerarchia e la parodia
dei cerimoniali abituali, s’accompagnano a molte
“buffonerie”, pazzia ed empietà.

58
Vassallo

Oh, Mistica Imperatrice


la tua effigie strinsi in pugno
con l’altra mano
brandii in estasi l’emblema virile
e lacrimando
gemetti.

59
Lucanda dl’a loina

Lucanda dl’a Loina


Chi dü oçç cavä im purtaran furtoina
In due grosse natiche dovevo affondare
Iddio mi fu testimone
Irriverente giogo mi proponesti
Prosperosa travestita infatuazione

Deridi pure questa deformazione


“Fra poc ch’il têttass lassaran le da ballä”
Parché l’era samò stä scritt

Dü oçç portafurtoina
E un ätar animäl sacrifical
Quando le insolite creature della notte col loro
supplizio
Negli antri dei bugigattoli svaniranno
Migrare necessario sarà
Dalla Locanda dl’a Loina.

Traduzione

Queste due orbite recise mi porteranno fortuna


“Fra poco questo traballare di tette cesserà”
“perché era già stato scritto/due occhi portafortuna
ed un altro animale sacrificale

60
Scurnüsla

Trist e sul- il scärp büs, i vistì bagn, irrabì, sum andä


con un pass leint sutta la sguärd da sfida di dü sbirr
in mežž il maceri, al ritrôv dal pupulein südiç.
In mezz al füm dill pipp e dill sigarêtt, i me oçç ian
ricugnussì sutta i gross barbison,
tütt i mažža piôçç dla cumedia umana.
Eccu l’imbariagon cl’è dré a imbariagäs, e i
giugadur tütt inturan a vusä. I uuperari sfinì i
discuran d’argumeint vôd, e i garžon vistì malameint
i ridan a scurciagula.
-“Dü biccier par straparlä, par ‘massä i veram indla
me pansa vôda!”-
Al disa un avventur e sübit la vecia seinža deint
rabbiusa cm’un serpeint –“Täs žu imbariagon!”-
Slunghä i’oss ümid insal seggiulon, ho dmandä
all’ost puttacin cäld e russ vein in ill
scüdlein dascumpagnä.
La me figüra in dispärt, indal ciarur suffüs dil
lanteran a petroli, seinsa gioia e gnan lacrim, l’ha
cumpletä al quädar ad povra gint.
Sôld fa sôld, piôc fa piôc, miseria fa miseria.
Addrè ame gnan un cappell, ma sul di strass veçç
bagn môi.
All’impruvvis al me sgüard l’è culpì da una figüra
diversa da qi umon, cal sa spustäva veloce in mežž ‘i
tävul, al ma vegna’tacca e ‘l ma mêtta dill
rasion’bundant e prufümä.

61
Bella in cäran, con dü fumei russ, dill bell têtt e cavì
castan, la cameriera l’ha ma fatt un bell surriss con
dü oçç giuvan e bon.
Bei e strassä, da tütt ‘ien guardä, ho pinsä.
Ho lassä i me poc sold in sal tävul spêss, e’m sum
alvä pian pianein e i me oçç ‘ien cascä fiss is du
fessür bianc d’un veçç strasson ca al ma disa:-“ ‘ta
‘teint ragass, te te un sul fa in môd da dvintä mia una
scurnüsla”-.
Sum andä fôra coi cavì biond e daspatnä.
E’l timpurä l’era uramäi finì, e ‘ciel ‘scür uramä al
sa rassegnäva, e in mežž ‘ll nüval,
timidameint, spuntävan i prim ragg ad sul.
Côr cunteint e strass all’äria.

Traduzione

Mesto e solo - le scarpe bucate, i vestiti fradici,


l’umore nero, mi recai a passo lento sotto lo sguardo
di sfida di due birri tra le macerie, al ritrovo del
sudicio volgo.
Tra il fumo di pipe e nazionali, i miei occhi
riconobbero sotto i grossi baffoni, tutti i massa piocc
della commedia umana.
Ecco l’ubriacone intento ad ubriacarsi, ed i giocatori
in cerchio gridanti; gli operai sfiniti discorrono di
vuoti argomenti, ed i garzoni con stracci rattoppati
ridono fragorosamente.
-“Due bicchieri per già straparlare, per uccidere
questi vermi in questa pancia vuota!”- sbotta un

62
avventore, e subito la rabbiosa vecchietta sdentata
velenosa come un serpente –“Taci tu, ubriacone!”-
Distese le umide ossa sul seggiolone, al locandiere
richiesi stufato caldo e rosso vino in ciotole sfasate.
La mia figura appartata, nel chiarore soffuso delle
lampade a petrolio, senza gioia né pianto, completò
il quadro di povere genti.
Soldi fanno soldi, pidocchi attirano pidocchi, miseria
crea misera.
Al mio seguito nemmeno un berretto, ma solo
obsoleti stracci e l'acqua in essi.
Di colpo il mio fisso sguardo fu scosso da una figura
diversa da quegli omoni, che veloce fra i tavoli si
accostò a me posando abbondanti profumate razioni.
In carne, con gote rosse, bei seni e capelli castani, la
cameriera mi serbò un accogliente sorriso, e due
occhi giovani e buoni.
-“Belli e straccioni da tutti sono guardati”- , pensai.
Lasciati i miei unici danari sullo spesso tavolo e
rialzatomi lentamente, i miei occhi si incrociarono
fissi in due fessure biancastre di un vecchio
mendicante, che come a voler avvertire, pronunziò
-“Attento figliuolo, da sole che sei, non diventare
lucciola”-
Varcai l’uscio ancora umido con gli spettinati capelli
biondi.

Il funesto temporale era ora completamente cessato,


e l’oscuro cielo prossimo oramai era a rasserenarsi,

63
dal quale, quasi timidamente, spuntavano grandiosi
raggi di luce.
Cuore lieto e stracci all’aria.

64
Il Figlio Selvaggio

Troppe volte la puzza del futuro ha ricoperto le


profumate brezze delle stalle.
Troppe volte stupidi ghiribizzi sopra le nostre teste
ne hanno attratto l’attenzione.
Troppe volte le fugaci bellezze della vita hanno
riempito per attimi pensati irripetibili le nostre vite.
Troppe volte ho appoggiato al tappeto un ginocchio
con sparring da ghetto, clandestini con rabbia
secolare negli occhi.
Troppe volte, sfinito, ho intorbidito i cieli delle
pozzanghere.
Troppe volte i tramonti si sono fusi nelle identiche
calate di cemento delle periferie sanguinose.
Dovrà tornare per restare
un poeta guerriero.

65
Scudlèi

Se non accetti il mio bere


puoi abbandonarmi
sei libera piccola, libera.
Cerco redenzione da me stesso
conosco il mio destino
non temo la morte, la reclusione
il vagabondaggio né l’elemosina.
A ogni alba straziante
ruota il coltello sul tavolo
per decidere
se vale la pena
viver un'altra farsa ancora.

66
Motel PEP

Come un soffio sono lievi


i muri di questo fabbricato popolare
nell’alloggio adiacente ho udito
la più innocente richiesta
che in vita possa esistere
“Mamma ho fame!”
esclamò una bimba
ma non sentii
poi niente
nessuna risposta
più nulla
mi sorpresi
infine
raccolto in feto
innocentemente

67
Tito, Desolina e Paülein

A questi tre poveri giovani


gatt ch’an biassä ‘dill lüsert
rinsecchiti
deboli, smunti
sventuratamente cresciuti
tame una semeinza
condotta dal vento
nelle spaccature delle mura
incò, par occüreinza
a queste creature ammutolite
al sul
dasquäta al cül

Traduzione

Letteralmente: “Gatti che masticano lucertole”


Per indicare un’alimentazione praticamente
inesistente.

Come una semenza


Oggi, per occorrenza
Il sole mostra il culo

68
Impasse

Accendere un fiume di sigarette


sul Ponte del Diavolo
e dormire nelle chiese

Non rimane
null'altro

69
Acquemorte

Colpisti quel muro per tutta la notte


non rimase niente di te
toro impazzito
nemmeno il frastuono dei mattoni ceduti
né lo scricchiolio delle tue ossa frantumate
quando ti raccolsero
povero clandestino
sul bordo delle macerie

II

E infine pure tu, distratto amico


osserverai quel felino solo
solo, assolutamente
percorrere la scorciatoia

E infine pure tu, femmina infedele


ricercherai la mia nivea figura
sola, assolutamente
arrestarsi nel vicolo cieco

quando una brezza marina vi desterà


dall’assopimento.

70
Canton dal canäl

La notturna calura estiva attraversa


le umide vesti alla luna sospese
disperdendone per i viottoli il nidore.

Si narra che tra sgretolate mura


un trincatore magrissimo, silente,
per due volte la polvere ha baciato.

Due volte all’acciottolato,


e una terza definitivamente,
ai piedi d’un sagrato.

71
Ninì

Tua fu una vita incantata


limpido, ti ponevi al sole
libero, come il più scellerato fiore
colto dalla morte come un giovane frutto
come selvaggia alba del creato, a nessuno nota
in una contrada incontaminata e ignota.

72
Primaverile notturno

Che un dì ritorni così semplicemente,


oh Amore; che sì ferocemente
me la sottrassi. Quando, come, non domando.
Torna cara, attraverso il sentiero passeggiando.

Con tale dolcezza piove sulla misera città.


Affondo le tremanti mani nella terra umida.
Dissotterro lacrimante parole in decomposizione…
Le costellazioni mi osservano, oh mia Beltà!

Che Lei un dì ritorni, così semplicemente


oh Amore; che sì ferocemente
me la sottrassi. Quando, come, non domando.
Torna cara, attraverso il sentiero passeggiando.

73
Ciano

Il sole su queste gialle case popolari


Dio ci battezzò poveri
vita mia
ma amiamo con un tale odio
questa esistenza così maestosa
che è impossibile
non stringerci l’uno all’altra
nei nostri abiti cenciosi
in un sonno protettore
e al risveglio ridenti
far prendere il largo
con uno scoppio d’ali
i bianchi gabbiani
smarriti anch’essi
che si nutrono di pattume
e gridano all’orizzonte
cianotico
sopra queste gialle case popolari
vita mia

74
Vespar

Ti avevo perduto per tanto tempo.


Dove sei stato amore?
Vi sono stati giorni… Giorni che erano, non ricordo.
Vogliamo ma non possiamo.
È forse questo l’oblio amore mio?
Possiamo
ancora, ancora mi si staglia davanti agli occhi la
nebbia
di morti autunni
ed i visi sbiancati di selvaggi fanciulli.
Sì, i nostri ed i loro, ma dove i compagni di viaggio,
dove le loro voci
del sapore della terra,
e gli arpeggi dei gesti di quei sorrisi?
Riposano nel cerchio di quei suoni.
Il tonfo di un frutto caduto sull’umida terra
pare quello di un corpo morto
staccatosi dalla corda che gli tirava il collo.
Ed i bimbi, i bimbi abbracciano ancora la Fantasia,
rincorrono l’aria?
E la Vecchia Quercia
acquerella i prati con la propria ombra?
Non più.
Gelida pioggia invisibile.
È forse questo l’oblio amore mio?
Quanti anni rubati.

75
Quelle primavere avevano il gusto
delle antiche mura
che si aprivano come un giglio ai giochi della natura.
Ed i tuoi bei capelli
avevano la calura di una fresca mattinata
d’estate stagliata nel trasparente cielo.
Stagioni abortite.
Lento il tempo.
Fragili le vite.
I fratelli riposano ora nella piana.
Ora, come allora.
Alcuni sopravvissero al nubifragio
della pietà umana.
Li ricordo tutti, Dio,
nessuno è andato dimenticato.
Si è detto quello che si doveva dire, amore,
si è fatto quello che era necessario fare.
Forse mal espresso,
forse non del tutto terminato
Guarda
i muri sono là
ancora là
ma non parlano
videro quel giovane barcollante
sfumare
ma più non raccontano
badano a resistere
presto anche per loro
sarà necessario il crollo

76
presto per le anime smarrite
sarà necessario
un deserto
ancora più abbandonati
nel vento
sulle polveri d’ogni civiltà caduta
di ciascun idioma esamine
d’ogni visione abortita
e sarà un eterno.
Una verità. Un mondo. Conclusi.
Eppure come tra le tegole come sui ceppi,
germogliano verdi sospiri.
I fanciulli…
Immota semplicità dei fiori più rari.
Il bimbo ai compagni: “Venite!
Qua… qua…
È pieno di luce!”
Troppi anni sottratti.
Quanto freddo.
Ma non al cuore.
Avvolgi il braccio intorno al mio ed andiamo.
No… non ancora…
È ora amore, che il cielo si rassereni,
che l’inquietudine per sempre si plachi.
Partiamo
ma non più soli grazie al cielo.
Piovevano tenui foglie sulla via quasi del tutto
ricoperta, silenziose, come la prima neve sulle
viuzze desolate. Nelle spaccature del cielo, il primo

77
grigio sole mandava i suoi magnifici raggi; mentre
un solitario vecchio discendeva silenzioso e lento
come le tenui foglie sulla via ricoperta. Semplici,
come la salita in cielo di anime salve.

78
Indice

Crepuscolo al focolare del poeta 12


Leggende agresti 16
L'ultima canzone 27
Giuvineza ad Piasëinza 29
Porta Galera 31
I fiô 'd Baccu 32
Il Paganini del Verbo 33
Il ladruncolo 34
Fioco lume di oratorio 36
La ballata degli infingardi 37
Al pover 'omm 41
Antifone della Beata Vergine Maria 43
Filastrocca delle galere 44
Scartàssa 46
Maiö 47
Jacam 48
L'esecuzione capitale 49
Le pendü 57
La fête des fous 58
Vassallo 59
Lucanda dl' a loina 60

79
Scurnüsla 61
Il Figlio Selvaggio 65
Scudlèi 66
Motel PEP 67
Tito, Desolina e Paülein 68
Impasse 69
Acquemorte 70
Canton dal canäl 71
Ninì 72
Primaverile notturno 73
Ciano 74
Vespar 75

80
Finito di stampare nel mese di Gennaio dell'anno 2020
da Litogì di Milano per conto di Blu di Prussia editrice
Via E. Pettinelli, 6/13 - 06057 Monte Castello di Vibio (PG)
Tel. e fax: 075 8780442
e-mail: eugenio.rebecchi@gmail.com
Composizione in proprio

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