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DAVID HERBERT LAWRENCE

Scrittore inglese. Nacque a Eastwood, Nottinghamshire, nel 1885. Frequentò il


Nottingham University College, dove conseguì l'abilitazione all'insegnamento.
Fece per un breve periodo l'insegnante, poi abbandonò per dedicarsi interamente
all'attività di scrittore. Nel 1914 sposò una tedesca divorziata e visse con lei
in Germania, Austria e Italia. Tornato in Inghilterra nel 1914, proclamò la sua
avversione alla guerra. La sua fama di ribelle si accrebbe con la pubblicazione
del romanzo L'arcobaleno (The rainbow, 1915), che fu accusato di oscenità.
Lasciò di nuovo l'Inghilterra alla ricerca di un ambiente più favorevole: visse
in Italia, Austria, Messico e di nuovo in Italia, finché morì di tubercolosi a
Vence, Provenza, nel 1930. La fama di Lawrence è legata soprattutto alla sua
attività di romanziere: oltre L'arcobaleno, Figli e amanti (Sons and lovers,
1913), Donne innamorate (Women in love, 1920), lo scandaloso e fortunatissimo
L'amante di Lady Chatterley (Lady Chatterley's lover, 1928). Meno nota ma di
rilievo non minore la sua attività di poeta. L'esercizio della poesia è inteso
da Lawrence come manifestazione integrale dell'anima, della mente e del corpo.
Nelle varie raccolte, che vanno dalle giovanili Poesie d'amore (Love poems,
1913) alle postume Ultime poesie (Last poems, 1932) emerge una concezione
opposta a quella georgiana o a quella imagista, dominate dall'impulso etico e
ispirate al recupero della grande tradizione romantica.
Poesie d’amore
Campagna selvatica

Sui cespugli di selvatica ginestra serpeggiano veloci lampi,


piccoli spruzzi di trama solare, quasi fiamme;
veloci pavoncelle sfiorano le loro cime, esultanti:
le loro strida li proclamano padroni delle lande desolate di tristezza.

Come pugni di terra, bruni, giacciono i conigli


arrotolati sulla zolla erbosa, morsa sino al vivo.
Sono addormentati? - Stanno vegliando? - guarda ora,
quando le braccia alzo, esplode e sussulta il colle sotto i loro calci

[scattanti.

La campagna splendidamente appare; ma sotto, dai giunchi


sorgono brillanti ranuncoli in gran folla a provocare i cespugli in

[boccio;
là dolcemente il ruscello avanza pigro
nel suo corso contorto; qui si rianima, salta, ride e sgorga.

In uno stagno profondo, vecchio bagno di pecore,


coperto da salici, scuro, freddo, con la corrente che rifluisce lenta;
nudo sul ripido bordo soffice di terra erbosa
osservo, la mia bianca ombra fremere su e giù.

E se avvizzissero le ginestre fiorite, e io non fossi più?


E se l'acqua si arrestasse, dove sarebbero allora le calendule e il

[ghiozzo?
Se si avvizzissero stremati dall'amore vene e petto,
l'anima spavalda svanirebbe come i fiori travolti dal vento caldo.

La mia anima è come una donna appassionata che si volga


colma di terrore carico di rimorso, all'uomo disprezzato,

e l'amore che mi porta arde nei miei stessi occhi sorridenti,


scorre pieno di fascino per le duttili pieghe increspate lungo il ventre
[dalle luminosità del
petto in alto.

Sulla mia pelle al sole, l'aria calda aderisce,


fluida per le canzoni che a un tempo sette allodole cantano, e me

[contento bacia.
E l'anima del vento e il mio sangue mettono a confronto
la loro vagabonda felicità, e il vento, sciolto in libertà, se ne va triste

[alla deriva.

Oh, ma l'acqua mi ama, mi avvolge,


con me gioca, mi dondola, mi eleva, mi sommerge come fosse

[sangue vivo,
sangue di donna palpitante che m'afferri
riconoscendo nel mio corpo elastico una rara cosa allegra,

[immensamente buona.

Sole, ma in sostanza, gialle bolle d'acqua!


Ali e piume sulle piangenti età misteriose, roteanti pavoncelle!
Tutto il giusto, tutto il buono, tutto quel che Dio è si fa realtà! Corre

[un coniglio
a conferma, echeggiare sette volte sento il canto dell'allodola.

Stanchezza da cane

Venisse lei qui da me


ora che i penetranti colpi di falce
creato hanno sentieri lucenti
al sole, e nette le rondini fendono
l'aria al tramonto! Venisse lei qui da me!

Venisse ora lei qui da me,


prima che le campanule da poco falciate muoiano;
mentre ancora rosseggia di fuoco quel mucchio di vecce!
prima che per rinfrescarsi tutti i pipistrelli
dal ramo si sian lasciati cadere nella notte; venisse ora lei qui da me!

Sono staccati i cavalli, il crepitio della macchina


s'è placato alla fine. Venisse lei
il fieno secco potremmo raccogliere
sulla cima della collina, e giacere tranquilli davvero,
sino a che il verde cielo cessasse di fremere, perduta la sua attiva

[lucentezza.

Lasciarmi andare vorrei


sul fieno, con la testa sulle sue ginocchia
disteso immobile, mentre lei quieta
su di me respira, e la messe
di stelle cresce silenziosa!

Giacere immobile vorrei


come morto, avvertendo però
la sua mano furtiva
sul mio viso e la mia testa, finché
sciolto si fosse questo mio dolore.

Da una finestra del collegio

Il luccichio dei tigli, carichi di sole, assonnati,


dietro di me vibra sul muro del collegio.
Il prato, sotto, nella morbida ombra blu tiene
la spuma placida delle margherite teneramente prigioniera.

Oltre le foglie sospese sulla strada


lungo il lastricato, pulito suolo bianco-estate,
con l'ombra ai piedi passa la gente
andando a destra e a sinistra.

Sebbene la tosse io senta del mendicante, assente


vedo balenare le dita della donna che gli tende una moneta,
libero siedo, certo di sentirmi meglio
al di là di un mondo cui mai unirmi voglio.

Dissonanza nell'infanzia

Fuori di casa un frassino calava le sue sferze terribili


e di notte, quando s'alzava il vento, fischiava
dei rami la frusta e fendeva l'aria, come grida nella tempesta

[orrendamente
il sartiame stregato d'una nave.

Due voci dentro casa si levavano, un'esile frusta


sibilante la propria delirante rabbia femminile, e il terribile suono
d'un maschio staffile che cresce e s'abbatte, finché soffoca
l'altra voce in un silenzio di sangue, sotto il rumore del frassino.

Ladri di ciliege

Sotto i lunghi scuri rami, come gioielli rossi


tra i capelli d'una ragazza d'oriente
pendono nastri di ciliege cremisi, gocce di sangue
da ogni ricciolo dietro cadute.

Sotto le ciliege splendenti, con le ali chiuse


giacciono tre uccelli morti:
due tordi dal petto chiaro e un merlo, ladruncoli
macchiati di rosso.

Presso il pagliaio, in piedi una ragazza mi sorride,


le ciliege appese agli orecchi.
Mi offre i suoi frutti scarlatti: voglio vedere
se ha lacrime in viso.

Turbato da un sogno

È la luna quella
alla finestra, tanto grande e rossa?
Nella stanza nessuno?
Nessuno vicino al letto?

Ascolta; palpitano
i suoi passi giù per le scale
...o ai vetri è un battito d'ali?

Lei un momento fa
sulla bocca mi baciava calda:
calda come la luna nel sud
quando splende rossa,
la luna che da abissi lontani
segnò quei due baci.

E la luna ora va
rannuvolandosi, ha frainteso!
Così giù nel mio sangue lenti
affondano i miei baci, presto
restando sommersi.

Non ci siamo capiti.

Rinascita

Nessuna mela abbiamo morso proibita


Eva e io,
pure gli spruzzi che ci cadono attorno
giorno e notte non macchiano più
la stessa valle di porpora e bianco.

Questa è la nostra valle tranquilla,


nostro Eden, nostra casa,
ma il giorno la mostra viva di emozioni
e il pallore della notte non vale
il sonno oscuro che un tempo copriva la volta celeste.
La piccola giovenca rossa, stanotte l'ho guardata negli occhi;
partorirà domani.
Quando andai col lume l'altra sera, la scrofa a sé stringeva i neonati
e i lor lamenti udii, e poi il vecchio gufo,
quindi il frullar d'ali dei pipistrelli.

Mi svegliai al verso del piccione di bosco e giacqui


ascoltando finché potei
alcuni battiti veloci del suo cuore; quando m'alzai
sull'iride tremulo vidi dove brillava il sole mattutino
e capii che questa casa, la valle, più vasta era del Paradiso.

Dalla mia Eva tutto ciò ho imparato,


tiepida, muta saggezza;
maestra più veloce degli alunni è lei,
lei che mi ha stimolato il polso a ricevere
palpiti strani, oltre il riso e le lacrime.

Così ora so che come me


tutta di viva carne è la valle
con sentimenti che cambiano, fremono,
si urtano, e ancora sembrano somigliarsi
come il vibrare tutto d'un fiume
che muove verso il mare.

Gioventù vergine

Di quando in quando
tutto m'ansima il corpo
e la vita mi appare negli occhi,
tra essi vibrando e la bocca
giù selvatica discende per le membra
lasciando gli occhi miei svuotati tumultuanti
e il petto mio quieto colma d'un fremito e un calore;
e giù per le snelle ondulazioni sottostanti
che onde diventan pesanti, di passione gonfie
e il ventre mio placido e sonnolento
all'istante ribelle si desta bramoso,
eccitato sforzandosi e attento,
mentre le tenere braccia abbandonate
con forza selvaggia s'incrociano
a stringere - quel che non hanno stretto mai.
E tutto io vibro, tremo e ancora tremo
finché la strana potenza che il corpo mi scuoteva
non svanisce
e nobile non risorge l'ininterrotto fluire della vita
nella durezza implacabile dei miei occhi,
non risorge dalla bellezza solitaria del corpo mio
esausto e insoddisfatto.

Studio

Da qualche parte lunga la nota piena del merlo


anima le mani aperte del nocciòlo.
Da qualche parte rovesciano il capo gli anemoni
agitati da un vento impetuoso. Profumerà
qualche sentiero tra viole bianche e blù...
(Silenzio ora, silenzio! Dove ero?... Biureto.)

Al limite, verde, del bosco una ragazza timida s'aggira


nel prato al riparo dei nocciòli
dove roteano chiassosi i pivieri petulanti
ondeggiando spaventati. - Chi arriva? Un lavoratore, ohimè!
(Al lavoro, studia, sciocco...)

Da qualche parte pende una lampada bassa dal soffitto


e i vaporosi capelli illumina di una ragazza che legge,
la rossa luce della fiamma col continuo vacillare
addormenta le mani forti del mio amico.
Un cane bianco fiuta il tepore e chiede
attenzione all'uomo, temendo pianga la ragazza.

Lagrime e sogni per loro; amara


scienza per me: sono vicini gli esami.
Studiarla vorrei più di buon grado!
Tu non aspettassi vorrei, cara,
il mio ritorno, poiché devo lavorare.
Sebbene sarà lo stesso quando morti saremo.
Essere solamente un busto, vorrei
tutto testa!

Crepuscolo

L'oscurità nasce dalla terra


nel pallore dell'occidente si immergono le rondini;
dal fieno arriva l'allegro clamore dei bambini;
svanisce il vecchio palinsesto.

Stilla profumo la violacciocca


e in giro svolazza azzurro-luna una falena:
tutto quel che significò il giorno terreno
rovina come una menzogna.

I bambini hanno abbandonato il loro gioco.


Brilla un'unica stella in un velo di luce:
il disordine del giorno
è sparito alla vista.

Amore alla fattoria

Quali larghe, scure mani son quelle che si serrano


alla finestra nella luce dorata
raggio che s'insinua col vento
della sera per la delizia del mio cuore?

Ah, sono soltanto foglie! Ma a ponente


vedo improvviso un rosseggiar venire
nell'ansioso petto della sera -
Ferita d'amore inferta giusta!

Fuori il caprifoglio striscia


piano per chiamare il suo amante:
È svanito il soleggiato flirt che
tutto il giorno è stato sulle sue labbra
in equilibrio baci dando e rubando
allegri di polline e leggeri.
La falena egli corteggia con parole sussurrate, dolci;
e quando sopra lui librerà le sue ali
allora scoprirà il suo petto splendente
e all'amato concederà la sua goccia di miele.

Nel giallo bagliore della sera


passeggia un uomo della sottostante fattoria
e si volge a guardare la tettoia bassa
dove la rondine ha appeso il suo letto nuziale.
Tiepido giace l'uccello contro il muro.
Allarmato a lui lancia veloce un'occhiata,
e volge allora la sua testolina,
calda mostra di rosso
facendo sulla gola. La strappa il terrore
dal calore del nido come una palla, via!
S'ode il suo lamentoso grido lungo la curva
blu del volo lontano dal sudiciume
nel vuoto salone del crepuscolo.

Oh gallinella acquatica, nascondi il tuo scarlatto rossore


curioso dietro i giunchi
trattieni la tua vivace coda, immobilizzati come morta,
finché la distanza assorba il suo passo umano!
La coniglia tira indietro le orecchie
i suoi occhi rivolta, liquidi, angosciati
e si acquatta; con un balzo improvviso
fugge atterrita dal suo sopravvenire,
ma è inchiodata a terra, soffocata
nei suoi sforzi frenetici dall'anello di ferro:
povera palla bruna vibrante di paura!
Ah, subito muore tra le sue larghe mani forti,
e oscilla floscia all'ondeggiare del suo passo!
Calmi e gentili sono i suoi occhi
e nel loro castano stupore così pronti
a spalancarsi se solo non rispondessi
alle sue parole o le mie lacrime supponesse.

Sulla maniglia sento la sua mano e guardando verso la porta


aperta m'alzo dalla sedia, in un sorriso balenano
lucidi i suoi forti denti e balenano i suoi occhi
su di me sorridenti di trionfo; poi con vigile noncuranza
getta la coniglia senza vita
sul tavolo e mi s'avvicina: ah, il suo braccio,
dritta spada contro il mio petto! ah, la lama larga
del suo sguardo che per il suo arrivo chiede
approvazione. Verso di sé mi volta con la mano
il viso e m'accarezza con dita che puzzano ancora
di pelo di coniglio! Dio, son presa in trappola!
Attorno alla mia gola non so qual fine sia laccio di ferro;
soltanto capisco che lì, tra le sue dita, lascio
i palpiti della mia vita, e come un ermellino con gioia
fiuta prima di bere il sangue, così lui m'annusa.

E giù verso la mia la sua bocca! e giù


su di me i suoi occhi brillanti, cappuccio calato
sulla mia mente! Le sue labbra incontrano le mie e dolce
di fuoco mi trapassa una corrente: così affogo
contro di lui, muoio e mi piace morire.

Zingara

Io, l'uomo con la sciarpa rossa,


ti darò quel che possiedo, i guadagni dell'ultima settimana.
Prendi e comprati un anello d'argento
e sposami, per calmare il mio desiderio ardente.

E per il resto, quando sarai sposata


mi bagnerò per te la fronte
col sudore e in casa resterò per amor tuo;
su di me, tu, chiuderai a chiave le porte.

La moglie del minatore

- Qualcuno bussa alla porta,


mamma, scendi a vedere!
- Sarà certo un mendicante;
digli che sono occupata.

- Non è un mendicante mamma, senti


come bussa con forza!
- Eh, ragazzaccio merdoso,
vorrà suonartele!

Strilla e chiedigli che vuole


io non posso scendere.
- Dice se Arthur Holliday sta qua.
- E digli di sì, imbecille!

Dice: - Dì a tua madre che suo marito


è rimasto ferito in miniera... -
- Che? Mio Dio, non è vero,
non può essere!

Levati di torno e fammi vedere!


Non c'è proprio pace, no!
E smettila di frignare, figlio mio!
Chiudi il becco!

- Tuo marito ha avuto un incidente


e ora a Nottingham lo stanno portando
in ambulanza. - Povera me, oh,
è davvero l'uomo delle disgrazie!

Che cosa si è fatto questa volta, ragazzo?


- Non lo so,
m'han solo detto che s'è fatto male.
- E così sarà!

Togliti dai piedi, figlio mio! Povera me,


dove ho messo le calze e la camicia pulite?
Dio solo sa se quelli della miniera!
riusciranno a levargli lo sporco!

E quanto strillerà! Non c'è


uomo che come lui si lamenti
per le sue disgrazie; in ogni modo
non sarò io a dovermelo sorbire.

Speriamo non sia grave!


Dio, che razza d'ingiustizia
che le disgrazie colpiscano duramente alcuni
e altri così poco!

È un'infamia che sia perseguitato a questo modo,


proprio un'infamia, certamente!
Ne avrà avuti una ventina, di incidenti:
ogni disgrazia è sua!

C'è un fatto; ci sarà pace in casa per qualche tempo,


grazie al cielo! un poco di tranquillità!
Inoltre ci sarà un indennizzo, poiché è un incidente,
i soldi del sindacato... Non voglio lamentarmi.

Gli servirà una forchetta e un cucchiaio e... che altro?


Non ce la farò mai a prendere questo treno!
Che macello quando un uomo si fa male!
Ma penso che guarirà di certo.

Ragazzina

L'amore ha fatto scoppiare il suo ermetico cuore


come nei campi un'ape, nera e ambra,
rompe il bozzolo invernale, per arrampicarsi
sull'erba intiepidita dai novelli raggi di sole.

Di malizia albeggiano i suoi occhi ora


e sull'iride colorata è un luccichio
simile a quello sull'ali ripiegate
dell'ape, prima del volo.

Chi, con un soffio conturbante, preciso,


ha aperto le ali del giovane spirito timido?
Chi ha eccitato l'animo a un inesperto volo
nei suoi occhi di giovane ape incerta?

Grave rende l'amore la sua voce;


il ronzio delle sue ali esitanti, pesanti,
fa tremare di consapevolezza le cose comuni
che dice, e le sue parole rallegrano.

Un ladro notturno

Ieri notte da me venne un ladro


e con qualcosa mi colpì di sconosciuto.
Urlai, ma nessuno mi sentì,
e giacqui rigido e intontito.

Stamani quando mi svegliai,


non riuscii a trovarne traccia alcuna;
un sogno forse era d'avvertimento
e ho perso la mia pace a causa sua.

Monologo d'una madre


Questa è l'ultima volta, allora, l'ultima di tutte!
Le mani devo quindi intrecciare e volgere il viso al fuoco,
per osservare i giorni miei morti, fondersi in scorie vili,
ombra dopo ombra, una scena dopo l'altra del mio passato
senza vita, in una massa coagularsi nel fuoco moribondo
sui carboni finiti sotto la cenere, che cresce veloce, come muschio

[pesante.

Un estraneo è ora mio figlio, per cui attesi come un'amante,


estraneo mi è come in un paese straniero un prigioniero, fisso
ai confini, scruta oltre, dove liberi soffiano i venti;
pallido, smunto, ansiosi gli occhi ondeggiano instancabili
nelle distanze, come perseguisse l'animo suo
monotona una malia per abbandonarmi.

Debole bianco uccello soffiato via dai mari del nord,


dal lontano nord uccello buttato, con un'ala spezzata
nel nostro giardino fuliginoso a trascinarsi perlustrando
perpetuamente tutta la siepe, a tentare di staccarsi
da me, dalla mano del mio amore che si insinua, di felicità
bisognosa, mentre egli corrucciato si ritira.

Più non devo guardarlo, perché smorti i miei occhi


l'offendono ora come quelli d'un cane accucciato ai suoi calcagni,
come un bracco sdentato col mio volere lo perseguito;
irato egli allora per la mia servile insistenza, per la distinta scintilla
che nella mia anima vola da sotto l'aggrottarsi improvviso delle sue

[ciglia,
impallidisce e si rivolta, mentre muto il mio cuore s'arresta.

L'ultima volta è questa, ad essa nessuna seguirà!


Tutta la vita ho portato il peso di me stessa,
tutti gli anni lunghi trascorsi in casa di mio marito;
e mai mi son detta, quando lui chiudeva la porta;
"Ora sono in trappola, alla fine! Sei perduto, o mio Io senza speranza
con gioia, cuore mio, ti senti impaurito, come un topo atterrito."

Tre volte ho offerto me stessa, tre volte sono stata respinta.


Mai più accadrà ciò, mai più, figlio mio, figlio mio...!
Mai conobbi la felicità della libera obbedienza, da quando
mi baciò e sparì l'angelo dell'infanzia, tanto tempo fa! Speravo
che mi reclamasse quest'ultimo figlio... e ora figlio, figlio mio,
m'è d'obbligo restar sola, aspettando, senza comprendere mai
la mia rovina, sinché verrà la morte, che non può mancare.

La morte, a servir la quale non v'è gioia, mi prenderà,


poiché nell'aldilà sono gli occhi e le labbra di Dio.
La voce senza bocca del Padre m'agita il pensiero
per il timore e il cuore mi riempie di lacrime di desiderio,
il mio cuore che con angoscia si ribella, mentre m'attrae la notte più

[vicina.

Sera di paese

Il rintocco delle campane e l'orologio della chiesa


distintamente e con solennità suonando le otto, il chiasso
[allontanano dei ragazzini, che giocano nel fieno ancora.
La chiesa sopra di noi s'avvicina e va coprendoci
con l'ombra grigia, leggera e grande.

Si assopiscono le case, creature sonnolente


sotto la soffice nuvola d'ombra; tra loro intanto
scura la chiesa e alta si estende, di custodire ansiosa
il loro sonno, e invisibile le copre lieve.

Dalla nidiata dormiente un mormorio arriva a malapena;


Avrei voluto coprisse anche me la chiesa,
e la mia casa. Perché escludermi così bruscamente
dal godere del sonno che più amo?

In barca

Vedi le stelle, amore,


ancor più chiare nell'acqua e splendenti
di quelle sopra a noi, e più bianche
come ninfee!

Ombre lucenti di stelle, amore:


quante stelle sono nella tua coppa?
quante riflesse nella tua anima?
Solo le mie, amore, le mie soltanto?

Guarda, quando i remi muovo,


come deformate s'agitano
le stelle, e vengon disperse!
Perfino le tue, lo vedi?

Rovesciano le stelle le acque


acque povere, inquiete, abbandonate...!
Dici, amore, che non viene scosso il cielo
e immobili son le sue stelle?
Là! hai visto
quella scintilla volare su di noi? Le stelle
in cielo neanche son sicure.
E di me, che sarà, amore, di me?

Cosa sarà, amore, se presto


la tua stella fosse lanciata sopra un'onda?
Sembrerebbero le tenebre un sepolcro?
Svaniresti tu, amore, svaniresti?

Ultime ore

Il fresco dell'ombra compatta d'una quercia


mi avvolge mentre nell'erba giaccio, profonda,
che s'innalza dritta, filo dopo filo.
Si slanciano i fiori di campo, in essa, più dritti
penetrando l'azzurro con le loro cime ornate
ondeggianti vessilli, e così le fiamme lacere
dell'acetosa, una torcia: una verde città provocatoria
vegetale, nuova alla celebrità.

Come da sopra una montagna, oltre la sagoma dell'albero


sorge il pallore della luna;
come fiotto d'una fonte si leva una nube,
prima bassa, s'allarga, ma subito
s'ingrossa e gonfia, bianca cupola tonda.
Che piacere essere a casa
come un insetto tra l'erba,
lasciando scorrere la vita!

Tra i capelli mi si spande un profumo di trifoglio


dalle intatte risorse arrivato di una rossa calotta
dove mai s'è appoggiata quell'ape ronzante
sopra di me, che trasporta il suo peso a fatica.
Ma neppure il profumo di fiori spensierati
può arrestare le ore.

Attraverso l'erba sento lo strepito del treno,


giù nella valle diretto in città,
trascinando gli anelli della mia catena sempre più corta
tesa, ahimé, verso sud!

I piatti sobborghi di Sud-Ovest al mattino

Le rosse case nuove spuntano come piante


in filari uniformi,
vegetazione scarlatta che rizza e dispiega
le sue ombre quadrate.

Le case giovani, rosa, mostrano luminoso un lato


che pacifico riceve il sole,
e all'ombra un altro, che mezzo nasconde
il marciapiede e mezzo lo mostra;

e vi passano attente figure frettolose


nel loro regolare cammino:
come formiche che non possono rallentare sfilano
e non hanno da dirsi alcuna cosa.

Rigidi stanno nella strada i nudi tronchi dei lampioni


a caso sparsi, desolate bacchette,
testimonianza sulla terra d'un malanno
che dei loro germogli li ha spogliati.

Il meglio della scuola

A causa del sole sono accostate le persiane,


i ragazzi e l'aula galleggiano in una scolorita
penombra d'acquario, lungo i muri corrono
onde di luce quando le smuove il vento
lasciando penetrare il sole; e io,
seduto sulla riva della classe, solo,
nelle loro divise estive sorveglio i ragazzi
mentre scrivono, le teste tonde curve al lavoro:
uno, e poi un altro, sollevano
a me rivolti il viso,
guardando senza vedere,
in assoluta quiete a pensare intenti.

Poi nuovamente chini, con un fremito piccolo,


felice, da me tornano al proprio lavoro,
trovato ciò che volevano, quel che dovevano afferrato.

È molto dolce, mentre la luce del sole


fluttua nel mattino più pieno, sedere con la classe, solo,
e sentire ondeggiare la corrente del risveglio e scorrere
da me ai ragazzi, facendo luccicare le loro anime bagnate
per questa breve ora.
È dolce, questa mattina,
avvertire su di me i loro sguardi,
sentirli girare in un soffio, muoversi vivaci al lavoro:
ognuno, gli occhi lampeggianti per la propria
scoperta, via, quale uccello che carpisce e fugge.

Beccata dopo beccata, sento su di me


le loro occhiate guizzanti per il granello
di difficoltà che gustano felici.

Come viticci protesi dal desiderio


che ruotano sino a toccare lentamente l'albero
cui si attaccano e per il quale s'arrampicano
cercando la vita, così loro sono con me.

Aggrapparmisi li sento e salire


su come viti avidamente: con altre foglie
la mia vita attorcigliano, nel loro tempo
si cela il mio, i loro fremiti sono i miei.

Sogni vecchi e nuovi


Vecchi

Ho aperto la finestra per scaldare le mie mani sul davanzale


dove la pietra assorbe la luce del sole: il pomeriggio
è pieno di sogni, amore mio; in un sogno ancora immersi
sono i ragazzi per Lorna Doone.

Fini e acuti sono i rumori metallici delle locomotive da manovra


quasi una musica primitiva, percussione molto lontana; e là
a Sydenham, sul grande palazzo blu, strisciano le luci
e brillano, ove il vetro è una volta sull'aria quieta.

Laggiù è il mondo, tesoro mio, pieno di meraviglia e struggimento,


e identificazioni strane e saluti di cose comprese a metà, mentre io
saluto la nube del palazzo di vetro veleggiante in alto, tra indefinite
[cose nebulose che si
pongono
alle spalle dell'esperienza della mia vita, dove s'affollano i sogni delle

[esistenze antiche.

A Norwood, intorno alla collina, attraverso il velo soffice


del pomeriggio divampa ancora la vecchia storia di Dora e David,
con le antiche, dolci lacrime consolatrici e la risata che le vele
scuote della nave dell'anima, sui mari dove i sogni sognati attirano
[l'esploratore in oceani
sconosciuti.

Tutti i passati anni messi a tacere


scorrono a ritroso dove le brume si distillano
in oblio: io, solcando acque tranquille dove più
la paura non ferisce, dove si gonfiano le seriche vele
con quella brezza sconosciuta che cala sui mari in cui passata
è la bufera della vita, rifluendo
per l'iridescenza vibrante che scorre nella scia
calda di un tumulto ormai spento, passato,
lascio la mia barca andare alla deriva, scivolando meditabondo
dietro un silenzio di lacrime che svaniscono e l'eco d'una risata.

Sobborghi in una giornata nebbiosa

O case dalla rigida forma che mai cambia,


con quale panno da illusionista foste coperte e scoperte
per mostrarvi poi così trasfigurate, diverse
del tutto, scomparsa la vostra sostanza, quasi annullata la vostra

[minaccia?

Tanto rigide figure, così severamente immobili


in vuoti blocchi e cubi deformati, ammassate
con inutile e nulla profusione, come è accaduto?
Ora, in quale forte acqua-regia siete immerse

tanto da perdere la vostra materia di mattone


e come un presentimento oscillare, sbiadendo vaghe
e vinte, svanire, lasciando
di voi solo la traccia più pura possibile?

Funzione feriale di sera

Le cinque vecchie campane


sollecitano e con stridore chiamano
insistenti, protestano
la loro ragione, pur clamorosamente cadendo
in una borbottante confusione, senza sosta,
come grida schizzanti di un oratore, che sulla città da una torre
le lancia senza fine, senza fine davvero, mai fermandosi.

La luna d'argento,
buttata così in alto da qualcuno
per risolvere a testa o croce la questione, è stata presa
nella rete della mongolfiera della notte
e con un liscio sorriso blando siede lassù, nel cielo
serenamente ammiccando al nulla;
o forse la piccola stella che le tiene compagnia
della sfrontatezza delle campane si prende gioco, ridacchiando,
quasi la sapesse lunga Lui!

Mentre la paziente notte


indifferente è stretta nei suoi stracci
senza sapere, né interessandogli
perché la vecchia chiesa schiamazzi e si esalti,
ha gli orecchi tormentati dal rumore che straccia
il suo cencioso silenzio, tanto da farla rannicchiare e coprire
il volto contratto, a quanto ne sappiamo, in una smorfia amara,

[stanca.

I vecchi alberi saggi


fanno cadere le foglie in un sibilo debole, acuto di disprezzo;
un'auto con una risata passa in fondo alla strada.
Pian piano
si fermano le indiavolate campane e noi siamo liberi
mentre le stelle possono prendere in giro
l'alta luna leggera a piacer loro. La chiesa ronzante
è popolata d'ombre e lamenti, e gli ultimi spiriti barcollano
verso il loro cenotafio.

Un morto

Ah, rigido, freddo uomo,


così inesorabilmente duro, mentre ti lavo
con acqua di pianto, come puoi giacere!
Irrigidisci il viso di fronte alla figlia
della vita? Non puoi proprio rinunciare
alla tua scomunica, brusca di superbia?

Commediante!
Non ti vergogni di recitare questa parte
d'indifferenza ferma verso di me?
Vuoi proprio, ahimé,
che il cuore mi si spezzi,
per come m'eviti?

Sai bene che la tua bocca


sempre più veloce a intenerirsi era
persino dei tuoi occhi.
Ora è chiusa
spietatamente, per quanto
io la baci spesso, assetata.

Non ha alcun respiro


né un rilassamento: dove,
dove sei tu? Che hai fatto?
Queste labbra di pietra che senso hanno?
Come hai osato
rivestirti di morte!

Potevi vedere un tempo


la bianca luna rivelarsi, seno
sgusciato dallo scialle di stelle,
vedere ogni piccola stella tremare
come battiti di cuore
tra sistole e diastole.

L'amabile universo tutto


un tempo era donna per te,
sposa alle tue nozze.
Albero in boccio non vi era
che non inclinasse a te un nuovo
petto candido.

Sempre, sempre davvero


tenera come una pianta d'estate,
si dispiegava dal cielo, per il tuo piacere,
una svelata femminilità;
giù ti si spargeva come un albero
versa i suoi fiori in un fiume.

Io vedevo le tue ciglia


come rocce posate su un mare di tenebre
e nel tuo pensiero versavo tutta l'anima;
cadevo come i fiori, per venire colta
sul consolato stagno, come petali
che lasciano il ramo.

Oh, commediante
dalla faccia dura, smaltata di bianco,
cosa sei oramai?
Più non t'importa
di quanto sia prigioniero il mio cuore,
e m'eludi?

Sei tu, infine,


indurito, metallico,
con interiora d'acciaio?
Hai mai provato, tu, dei sentimenti?
Tu, freddo, insensibile,
meccanico?

Oh, no! ...te multiforme,


te che io ho amato, te meraviglioso,
te che t'oscuravi e risplendevi,
molti uomini essendo in uno,
ma questo nulla, mai,
questo freddo eterno!

È dunque tale la somma di te?


È inutile tutto?
Freddo, freddo-metallo?
È questo quel che di te è rimasto?
in due parole definito tutto?
Un ferro modellato!
Lettera dalla città: in un grigio mattino di marzo

Con grigia riluttanza lentamente si spingono le nuvole a nord verso

[te,
mentre avanti a tutte, all'orizzonte estremo, una ce n'è dal seno liscio,

[lucente
di fuoco, a guardia delle selvagge coste settentrionali, dei mari

[rosso-fiamma
che corrono tra le rocce, ove volano leggeri corvi nel vento come ben

[lanciate
frecce.

Tu potresti essere fuori, nel frutteto, dove le violette oscurano

[segretamente il terreno,
o nei boschi del crepuscolo, là, tra tremuli anemoni nordici, agitati.
Pensa a me qui, in biblioteca, a tentare e ritentare dei versi che

[lacrime
mi costano e ferite al cuore, di frecce che nessun'armatura fermare

[può o respingere.

Gli agnelli, mi dici son nati, giacciono nell'erba come margherite

[bianche
sulle colline verdi-scure; e nuovi vitelli nella stalla. Dietro l'aratro
[volteggiano
le pavoncelle.
Sono contento per te, per me sulla strada ove passo lavorano gli

[sterratori
e rabbioso io vorrei distruggere la roccia sterile d'ogni arida fonte.

Come il mormorio del vento, prigioniero là, nell'alta rete degli alberi

[ingemmati,
rapida mi passa un'auto vicina, improvvisa, e piego il mio animo a

[sentire
la voce del motore furtivo, vittorioso, che va via, come un tafano,
a sentire il riecheggiare della paura, nel suo beffardo inconsapevole

[trionfo.
Lettera dalla città: il mandorlo

Avevi promesso d'inviarmi delle violette. L'hai dimenticato?


Alcune bianche e blu, quelle ai piedi della siepe nel frutteto?
Dolci scure porpora, e insieme le bianche, in pegno
del nostro prematuro, duro amore appena nato.

C'è un mandorlo qui... tu non l'hai mai veduto


uno così al nord; fiorisce sulla strada e io mi soffermo
tutti i giorni accanto allo steccato per vedere i fiori che in alto

[s'espandono
nel blu in pace e fantastico sul loro senso.

Sotto il mandorlo hanno riposo


di Provenza, Giappone e Italia le terre felici
e quando si passa sono voci e batter di mani
di chi ci gioca attorno e batter di mani delle ragazze di campagna.

Tu, amore mio, a tutto anteposta, con una gonna fiorita,


e tutta la tenerezza tua incredibile, con un riso
che ti luccica negli occhi, così aperti ora sui futuri giorni,
tu, con le mani sciolte, sospese, abbandonate.

Mattino di nozze

Si spacca il mattino come una melagrana


con rosse crepe lucide;
ah, quando arriverà domani l'aurora, tardi,
biancheggiando oltre il letto,
vigile mi troverà ai cancelli del matrimonio,
mentre aspetto che si diffonda la luce
su di lui, che sazio dorme
con la testa sprofondata, incosciente.

E quando l'alba s'insinuerà dentro


cauta m'alzerò
per osservare la vittoria della luce
sul primo dei miei giorni
che lui mi mostra, addormentato nel sonno
in cui con me cadde, e il mio sguardo
meno vago diverrà, e la sua faccia calda
vedrò liberata dall'agitarsi della fiamma.

Saprò allora a quale immagine di Dio


è fatto il mio uomo;
e vedrò il castigo o il premio
della mia vita nel dormiente;
calcolerò allora lo stampo e il valore
dell'uomo che come mio ho accettato,
mi si rivelerà un aspetto del cielo o della terra
nello splendore del metallo in cui è coniato.

Oh, sono ansiosa di vederlo


dormire totalmente in mio potere,
saprò allora chi è che ho da tenermi...
Sono ansiosa di vedere
questo amore mio, questa moneta che ruota, posarsi
immobile al mio fianco e pronta
per la mia stima: certo egli sarà
ricchezza di vita per me.

E allora sarà mio, giacendo


a me rivelato,
aperto ai miei occhi, chiaro
dormirà,
disteso negligentemente,
affidando a me la sua realtà, e io
guarderò l'alba illuminare
il mio destino.

Guardando splendere la debole luce


su quel sonno colmo di me,
sulla sua fronte, ove i riccioli
negligenti s'accoppiano e appiccicano,
sulle sue labbra, ove il respiro leggero va e viene,
inconsapevole, sulle sue membra assonnate finalmente stese,
indifese,
piangerò, lo so, oh se piangerò
di gioia e di tormento.

Violette

Sorella, ricordi mentre accanto alla fossa


eravamo sulle assi, e la bara
sull'argilla gialla, e sopra dei fiori bianchi
e si attendeva la seppellissero, levandola alla pioggia?

E andava in fretta il pastore, e il nero


nella pioggia si addensava,
non t'accorgesti di una ragazza che indietro
andava girando
semplice e sconsolata?

- Come avrei potuto guardare attorno!


In piedi, là, su quelle assi,
con la cassa del nostro Ted lì in terra,
aspettando la calassero giù!

Non potevo far altro che pensare


a lui, che se ne era andato,
alla sua giovinezza, all'errore del bere
e del persistervi! -

Tira via! non lo logorò il bere,


né il persistervi l'uccise. - No, non è così,
mio dio! Invece sì, ti dico! Un ragazzo in giro
non era mai andato così allegro, finché non divise la sorte con te. -

Va bene, va bene, la colpa è mia! Lasciami però


raccontare di quella ragazza. Quando tutti ve ne andaste
indietro mi fermai, sul viottolo, sotto l'acqua
per vedere cosa faceva.

L'avessi vista, avvicinarsi, quando tu non c'eri più!


L'avessi vista inginocchiarsi e fissare
la tomba fangosa! Splendeva il suo piccolo collo
bianchissimo, e piangeva tanto che avrei iniziato

a quel modo a singhiozzare anch'io. Sbottonò sul petto


la sua nera giacchetta estraendone
piene di viole le mani, a ciuffi
bianchi e blu, come uno straccio sfilacciato.

Erano calde, tanto che sino a me arrivò il profumo. Il viso


vi poggiò in mezzo, e riprese a piangere un poco,
e dopo, le fece cadere là.
Io andai via, perché pioveva a catinelle.

Ma confessavo a me stesso, che era quello l'unico calore


che lì sotto avesse avuto lui; tutto il resto era pietra gelata.
Da quel piccolo seno di ragazza, veniva, e ne sarebbe stato contento,
più contento che dei tuoi gigli, lasciamelo dire.

Fulmine

Sentivo rollii e pause del tuo cuore


contro il mio petto, dove il cuore mio stava battendo
e a quei salti ridevo ed a quei tuffi
e strano alle orecchie pulsanti di sangue m'era il suono
delle parole che andavo ripetendo,
ripetendo nell'abbraccio, intento, accecato dalla passione.

Sul collo lei m'alitava il respiro caldo,


caldo come fiamma nell'afosa aria notturna;
e il senso del suo corpo aderente era dolce
ove le braccia poggiava, sul mio collo serrato dai battiti.
Tenendola così, poteva forse importarmi
che la nera notte me la nascondesse, me la cancellasse interamente?

Mi protendevo a trovar le sue labbra nel buio


reclamando lei tutta in un bacio,
quando un fulmine lampeggiò sopra il suo viso
e per lo spazio abbagliante d'un secondo
la vidi, come neve che scivola
da un tetto, inerte, come morta gemere: "Questo no! questo no!"

Un attimo, il suo volto


come neve nel buio, pallido abbandonato a me di fronte,
pallido amore perduto in un disgelo di paura
e fuso in una lacrima di ghiaccio,
le labbra aperte, angosciata
un istante; poi il buio chiuse il coperchio della sacra arca.

E udii il tuono e sentii la pioggia,


si sciolsero abbandonate le mie braccia, ammutolii.
Quasi la odiavo, sacrificata,
me stesso odiavo, e il luogo e la pioggia
gelida che bruciava sulla mia rabbia e: A casa - dicevo -
andiamo a casa, il fulmine ha illuminato tutto, troppo.

Fine di un'altra vacanza a casa

Quando vedrò ancora la mezzaluna calare


in fondo al giardino dietro il sicomoro nero?
Quando il profumo del flogo, bianco, pallido,
si diffonderà ancora su di me, lungo il muro e attraverso la finestra

[aperta?

Perché il lungo, lento rintocco della campana di mezzanotte


(finirà mai di suonar i dodici colpi?)
cade ancora e ancora cade con pesante ammonimento sul mio

[cuore?

Nella nebbia lunare è il paese, della nebbia fuori parla la campana,


tutti i tetti miseri, imploranti, bassi si inclinano, rassegnati.
- Dillo tu, mia casa! Quali errori ho commesso?

Oh, casa, d'improvviso t'amo


quando giù in strada sento il chiaro, deciso trotto d'un pony,
il succedersi distinto dei piccoli colpi che cascano nel silenzio
puliti sopra il basso, lungo strascinarsi d'un treno per la valle.

. . . . . . . . . . . . . . . .
La luce s'è spenta, sotto l'uscio di mia madre.
Deve proprio amarmi tanto!
Lei, così sola, ora va ingrigendosi!
E io sto lasciandola,
risoluto ai miei studi!
Amore è il grande Inquisitore.
Il sole e la pioggia non chiedono il segreto
del chicco di grano alla ricerca della libertà nel buio.
La luna il suo solitario cammino percorre libera d'angoscia
perché nessuno si rattrista per la sua partenza.

Per sempre, ogni istante indugerà pietoso alle mie spalle l'amore,
accucciandosi come le piccole case nella nebbia, quando mi volto

[indietro.
Perennemente, fuori della nebbia, con rimprovero solleva la chiesa

[un dito,
indicando ai miei occhi, con infelice sfida, dove per piangere
[nasconde l'amore
il suo viso.

Oh, ma s'infiltra la pioggia a bagnare il chicco di grano


che solo combatte nel buio,
e, nulla chiedendo, pazientemente, furtivo rispunta!
La luna parte a notte
e serena avanza per le vuote altezze
oscure, con passi decisi:
nessun singhiozzo luttuoso l'insegue,
né indebolisce alcuna lacrima d'amore
il suo procedere costante;
sempre invece al mio fianco,
triste e fragile, una grigia testa di donna
povera, curva, con occhi febbrili
d'amore, lenta cammina.

La giovenca timorosa lancia sconvolte occhiate


con in grembo uno strano nuovo battito di vita,
e corre e cerca un poco di solitudine.
Il granello si ritira, a celarsi nella terra.
Calmo l'uovo, che paziente lavora
sotto il guscio per dividersi e separarsi, chiede anche lui di star
[nascosto e nulla
desidera dire.

Ma quando mi tiro sui miei occhi il corto mantello del silenzio,


viene l'amore pietoso a sbirciare sotto al cappuccio:
tocca la fibbia con dita tremanti,
e porge orecchio ai singhiozzi penosi del mio sangue,
mentre m'inzuppano le sue lacrime sino al petto
dove bruciando mi cauterizzano.
. . . . . . . . . . . . . . . .
Si tinge di rosso coricandosi la luna.
Nella valle un fagiano chiama
monotonamente,
con inalterabile voce lamentosa, che indebolisce
la mia fiduciosa attività;
e invoca, con rauca preghiera insistente
mai stanca, mai stanca,
qualcosa di più da me,
ancora di più da me.

Bambina che corre a piedi nudi

Quando i piedi bianchi d'una bambina van pestando l'erba,


i piccoli piedi bianchi svolazzano, come bianchi fiori al vento;
volteggiano e corrono come sbuffi di vento
sull'acqua dove son rade le erbacce.

E la vista nell'erba del loro bianco che gioca


è piacevole come il canto d'un pettirosso, così tremulo,
o come due farfalle posatesi su una coppa di vetro
per un attimo, con piccoli morbidi colpi d'ali.

Vorrei girasse verso di me da questa parte la bambina


correndo come un'ombra di vento su uno stagno, così potrebbe
stare coi due bianchi piedini nudi sulle mie ginocchia,
piedini che potrei sentire fra le mani,

freschi come bocciuoli di siringa nelle ore del mattino


o saldi come giovani peonie di seta.

Non più sospiri

Il verso del cuculo e il tubare della colomba senza fine che chiamano
e chiamano,
svuotano con una monotonia senza senso
tutto il piacere della mia mattinata nel bosco macchiato di sole.

I fiori del biancospino e quelli della veronica blu che cadono


e cadono,
in disordine all'ombra dell'olmo scribacchiano
messaggi sinceri d'amore nella polvere del sentiero principale.

Non mi piace udire la colomba che si lamenta


e si lamenta,
tra i fiori, sicura ancora
che l'amore tornerà nuovamente e la farà felice di tutto,

mentre so che sempre ci sarà chi inganna


e inganna,
il triste cuore fedele, e intanto ch'ella tesse
il suo dolore, amoreggia entro un altro bosco e canta l'amante suo.

Oh! il grido del cuculo chiassoso che anticipa


e anticipa
il suo arrivo giù per l'intrico affascinante
dei sentieri, dove fiori dalle capricciose teste si scrollano i cappucci.

E come una risata guida in avanti me che sospiro


e sospiro
tra le ombre, così richiamando alla mente
un breve, modesto rimpianto per quello che un tempo era davvero

[bello.

Guardie
Una sfilata a Hyde Park, 1910.

La folla guarda.

Dove sorgono gli alberi come dirupi, solenni in lontananza e azzurri,


in mezzo a queste arboree scogliere, nel verde-grigio parco
sta una silenziosa linea di soldati, immobile fila di guardie, rossa,
brace accesa sotto i colbacchi oscurati dalla pioggia inclinata delle

[baionette.

Colossale per la vicinanza, un poliziotto blu siede quieto sul suo

[cavallo
sorvegliando il viale, la mano abbandonata sulla coscia,
volta al cielo, ferma è la sua faccia, socchiusi gli occhi
annoiati, e la bocca rilassata quasi in un sorriso: ineffabile noia!

Ecco! ecco! un generale allegro al piccolo galoppo attraversa lo

[slargo
con piume bianche che vacillano sotto il cielo grigio, a sera.
E d'improvviso, come si muovesse il terreno
la rossa fila ondeggia in lenta, magnetica reazione.
Evoluzioni di soldati.

Ondeggia la fila rossa, vedi? Oscilla comandata, nel flusso di una

[marcia.
Avanza con molle spinta, come acqua verso una chiusa, da un arco

[d'ombra
emergendo come il sangue emerge dalle ombre profonde della

[nostra notte
pulsando verso un incontro, una crisi, uno spasimo e un fremito di

[gioia.

L'onda dei soldati, onda in arrivo, palpitante rosso fronte

[d'avvicinamento
verso di noi; scuri occhi sotto i colbacchi lucidi, scure minacce che

[puntano
il nostro vascello in secca; inumano incontro oscuro, e chiuse labbra

[calde
e scuri baffi di soldati che passano sopra di noi, sul relitto della

[nostra nave.
Ed ecco, è l'ora del riflusso, essi si rigirano, son spariti gli occhi

[dietro i colbacchi.
Ma sospeso il suo timbro ha il sangue, il cuore d'oblio uscito conosce
solo la ritirata delle spalle ardenti, rosse, rapide onde del dolce
fuoco orizzontale, che scemando rifluisce, crepuscolo calante della

[ritirata.

Consapevole

Lentamente la luna sorge dalla rosea nebbia


spogliandosi della sua veste dorata, e così
emerge, bianca e raffinata; allora stupito
io vedo in cielo, davanti, una donna che non sapevo
di amare, ma ella va, e la sua bellezza mi ferisce al cuore;
la seguo via nella notte, pregandola di non lasciarmi.

Un ricordo doloroso
Alta la luna va sempre più piccola, piccola e da me assai lontana,
candida, pensosa, m'osserva meditabonda dalla sua distanza,
e scorgo tremolare blu sul suo pallore una lacrima ch'io certo avevo
veduta già, sperando allora che nemmeno l'inferno la serbasse

[ancora.

Un fiore bianco

Una luna minuscola, piccola e bianca come un unico fiore di

[gelsomino
tutta sola pende sopra la mia finestra, dal pergolato invernale della

[notte,
liquida come un fiore di tiglio, leggera come acqua lucente o pioggia,
brilla, primo immacolato amore vano della mia gioventù, senza

[passione.

Corot

S'innalzano gli alberi più alti e ancora più alti, sollevati


dalla tenue spinta d'una fredda fiamma grigia
che dall'est viene filtrando
l'anima dalla trama di ogni foglia.

Così il pacifico strisciante rapimento della vita


è oscuramente trascinato avanti, con facilità nascosto
da vociferanti foglie argentee: una lotta
di forme smosse da un forte vento,

il chiaro avanzare grigio, limpido plasma


del luminoso scopo di Dio, brilla
dove alti alberi, di traverso sul fiume, attorno
scuotono a caso fiocchi d'ombra tremula.

E misterioso flusso costante di tutta


la nebbia grigio-spumosa di Dio, che avanza
silenzioso e rapido muovendosi verso qualche sua mèta ignota,
visibile è nella brina sulla ragnatela,

e si ode nel sussurrar senza vento delle foglie,


nella placida fatica degli uomini nei campi,
nello staccarsi, in basso, di leggeri covoni
di nuvole che i cieli piovosi producono,

nel frusciare rapido d'una foglia che cade


nel volteggiare del fumo d'un tetto rosso, nel leggero
risuonar di passi d'un uomo
sotto alberi scuri, così enormi, alti.

Cosa può tutta la materia dai bordi netti, a ritroso


increspandosi, se non catturare la lunghezza dell'onda e rivelare
per un momento la possente direzione, una scintilla
cogliere sotto il tondo movimento?

In un turbine da sempre scorre Dio, vago ed immenso,


e crea la scanalata vena dell'uomo
e della foglia al suo passaggio; un'ombra
proiettata e, prima che la si possa identificare, sparita.

Ascolta, ah, non è solitudine il silenzio!


Imita gli alberi sontuosi
che parola non dicono della loro estasi, ma luminosa
la brezza solo respirano profondamente.

Michelangelo

Chi fece tremare le tue curve linee nel calice delle sue dita?
Chi calò le sue mani con fermezza sui tuoi fianchi
e tracciò il cerchio del suo potere, o uomo,
lungo le membra tue, felici come quelle d'una sposa?

Come fosti modellato così stranamente? Qual dito animato


ti arcuò la bocca? e quale spalla forte
ti piantò diritto? Sei orgoglioso di vedere
nelle curve delle tue forme l'impronta del modellatore sconosciuto?

Chi afferrò di luce una manciata e ne fece una palla


comprimendola sinché il suo raggio divenne scuro

[meravigliosamente,
e scuri occhi quindi ti diede, o uomo! così che tutto
attraverso quel lampo potesse entrare in te?

Chi, prostrandosi, abbassò le labbra a un bacio


per una passione di vita te baciando, e vita
lasciò sulla tua bocca, e leggero il soffio veloce d'un respiro?
Da dove viene tutto ciò, che tu devi sorvegliar dai ladri?

Da dove viene, e dove va? Ancora la stessa


vecchia domanda senza risposta! A te la vita
estranea e costretta viene, e su di essa tu non hai diritti;
poi ti lascia, e lamentarti puoi tu, soltanto.

Hyde Park di notte, prima della guerra


Impiegati

Chiuse le porte abbiamo dietro a noi, e pendono i fiori vellutati


della notte, spargendo attorno a noi i loro grani di polline di luce

[dorata.

Alfine ora solleviamo i nostri volti, volti che fioriscono


alla notte che ci prende volenti, e ci libera al tempo.

Finalmente dai fervidi occhi spariscono inchiostro e rabbia


e, via dal deserto delle nostre stanze, un libero spirito fantastica

[avventure.

Né troppo vicino, né troppo lontano,


fuori dalla stretta della folla
urla la musica come barrito d'elefanti,
che la proboscide alzano e barriscono forte
nella notte felici, mentre i padroni
dormono e stanno sognando.

Ecco, ora nel Shalimar mi nascondo


con una snella principessa fiera e sensuale
e ci struggiamo di baci, sfiniti sino a sembrare
due pavoni che su una nube di polvere d'oro vanno
fluttuanti con un susseguirsi di stelle
sulla nostra scia.

Piccadilly Circus di notte


Prostitute

Quando nella notte la luce nella città come polvere s'è levata gialla,
o come bruma, fuori d'uno stagno fra le dune, lambita dalla luna,

per un'ora breve fioriscono i nostri visi, sulla strada pallidi e incerti:
margherite che risvegliate per errore si spiegano bianche in attesa

[d'incontrare

la nebbia luminosa, credendo poverelle che l'alba stia arrivando

[lungo il cielo
mentre lontana è l'aurora, oltre la stella in alto guidata dalla città di

[polvere brillante.

Gli uccelli tutti si son ripiegati in tranquille palle di sonno


tutti i fiori sono svaniti dall'isola d'asfalto, nel mare.
Solo noi, creature dal volto di pietra, andiamo e andiamo in giro,
tenendo le rive di quest'intimo, illusorio oceano vivo.

I passeri che cinguettavano gai quando li guardava negli occhi il

[mattino
sono andati via e così le licenziose rose dei marciapiedi: e ora noi
fiori d'illusione, per rendere un Paradiso le rive di quest'oceano

[senza posa
risplendiamo con la nostra bigiotteria, uccelli allegri in un mare

[d'oscura città.

Dopo l'Opera

Giù per le scale di pietra


ragazze con occhi grandi, spalancati per la tragedia
lanciano a me occhiate stupite e d'emozione piene
e io sorrido.

Signore
come uccellini camminano nelle loro lucide scarpe appuntite,
si sporgono in avanti ansiose, quasi aspettassero una barca, per
[venir salvate
dal naufragio;
tra i relitti della folla del teatro
mi fermo e sorrido.
Con quanta aria di circostanza la gente prende la tragedia!
e tutto ciò mi diverte.

Ma quando incontro gli occhi dolenti


occhi stanchi, arrossati del barista dalle magre braccia,
io son contento di tornare là, da dove son venuto.

Mattino di lavoro

Una squadra di manovali con l'azzurro del mattino


sembra tessere, sulla catasta d'umida legna,
che sanguigna risplende presso i binari della ferrovia,
qualcosa di magico e fine, facendo scivolar le spole.
Le loro mani, i loro visi oscillano, rossi rocchetti dorati
avanti e indietro per l'alto telaio cristallino del giorno:
folletti al lavoro in una cerulea miniera risonante
scavano ridendo; per loro il lavoro è come un gioco.

Trasformazioni

I. La città

Oh rigide forme, agitate in rapida trasformazione,


soltanto l'altra notte eravate
in una Sodoma che lenta bruciava nell'aria densa, sporca:
oggi siete un boschetto inondato dal sole con azzurre volute di fumo.

Domani, nuotando nella vaga, nebbia pallida della sera


come l'ombra sradicata d'una città sottomarina,
sarete immerse in un oceano di luce scintillante: poi aspettando
la bianca luce fioca della luna, sembrerete di funghi velenosi un

[gruppo.

Quando la mattina mi desto, ed è piovuto,


mentre le nuove case, mazzo di gigli che brillano scarlatti,
sono animate dal cinguettio allegro degli uccelli
devo dire che il vostro impegno di bruttezza è sciolto.

2. La Terra

Oh Terra, zolla di terra ruotante.


E poi tu, lampada, bellezza color limone!
Oh Terra, mela marcia che rotoli verso il basso;
quindi terra brillante, dal luminoso alone della notte uscita
or ora in bellezza, come un bruno gioiello ippocastano!

Tutte queste cose tu sei, e mi sento in dovere


di vederti così, sordida o radiosa.

3. Gli uomini
Operai, spole che percorrete l'azzurro telaio del mattino!
Voi, piedi dell'arcobaleno sospeso nel cielo!
Proiettate le vostre braccia come razzi in cielo,
voi che, stanchi, v'inclinate come barche al vento marino!
Voi che v'affollate in gruppi come rododendri fioriti
e, disperati, v'isolate come gocce di luce;
voi che quando per il lavoro vi dibattete, o l'odio o la passione
come tutte le bestie fremete, che sudano e lottano;
voi che contorti per il dolore apparite come foglie di faggio

[accartocciate,
voi che come gatti v'arrotolate nel sonno, voi che in rivolta

[v'ammassate
vibranti come uno sciame d'api, voi che cadete a terra
e quali baccelli di fagioli imputridite; ma cosa siete voi, oh multiformi?

Bambina che dorme, passato il dolore

Quale ape inzuppata, annegata


che immobile si sporge e pesante da un fiore inclinato,
così a me s'aggrappa
la mia bambina, solcati i capelli castani da lacrime
umide che sulla guancia si spargono;
le tenere sue gambe bianche pesanti mi penzolano sul braccio
e al movimento oscillano dei passi miei,
sfinita per il dolore passato. La mia bambina addormentata è appesa
alla mia vita: s'appende a me come un fardello!
Lei, che sembrava tanto leggera, sempre,
ora, pregna di lacrime e dolore pesantemente s'abbandona
e anche i suoi vaporosi capelli pendono giù,
dritti, pesanti
come di un'ape inzuppata, annegata
son divenute pesanti e affaticate le ali.

Ultima lezione del pomeriggio

Quando suonerà la campana per porre fine a questa fatica?


Quanto a lungo han teso il guinzaglio e tirato di lato
questi cani turbolenti della mia muta! Incitarli non posso
contro una preda, il sapere, che odiano cacciare:
più non mi sento d'esortarli e spingerli.

La vista oramai sostener più non posso


dei libri spalancati sui banchi, sessanta pagine
d'insulti svariati, macchiate dai lavori
sciatti che mi han presentato e scarabocchiate.
Sono stufo: e che vantaggio ne può derivare
a loro o a me? Non riesco a capire!?

Dovrei riempirmi l'animo


raccogliendo l'ultimo mio caro combustibile di vita
e accendere la mia volontà, fiamma che consumi
le scorie della loro indifferenza, e con punizioni
far loro pagare lo scotto delle offese? - Non voglio!

Non voglio per questo sperperar animo e forze.


Di tutti gli errori che fanno, che m'interessa!
Qual fine ha questo mio insegnar e questo loro apprendere?
Nel medesimo abisso tutto sprofonda.

Mi riguarda forse se san comporre loro


d'un cane il ritratto, o se farlo non sanno?
E a che scopo? Non importa loro, né a me!
Eppure con le mie forze tutte il dovere avrei d'interessarmi.

Ma non l'ho e averlo non voglio, e lor neanche minimamente: e

[questo è tutto!
Risparmierò le forze per me stesso ed essi possono far lo stesso.
Perché le nostre teste sbattere dovremmo contro il muro
le une dell'altre? Mi siederò allora per aspettare la campana.

Scuola in periferia

Quanto diversa la grande scuola, in mezzo alla neve, sorge rossa!


rossa quieta rocca senz'ombre, accerchiata da gruppi d'urlanti

[ragazzi,
di cui pochi, neri fendono l'entrata, figure che si accalcano come

[anime di morti
attonite, immobili ai cancelli della vita, ostinate monadi scure.

La nuova rocca rossa in un deserto di bianco s'erge contro al giorno


e come un rifugio ora blandisce, liberi i venti e un deserto
terribile di silenzio e di neve steso sul mondo degli uomini:
ora la scuola è la rocca in questa stanca terra che l'inferno brucia e

[acceca.

A scuola in un giorno nevoso


Tutte le lunghe ore di scuola, all'anormale mormorio della classe
han stretto attorno infiniti spazi di rauco silenzio
avvolgendo la mia mente come suoni mozzati dalla neve
che scende giù sulla strada sporca. Noi abbiamo recitato le lezioni

[senza fermarci mai.

Ma i volti dei ragazzi dalla gialla luce covati


erano per me come astri d'una stupefatta costellazione,
come fiori socchiusi nella notte in leggera agitazione,
come spuma di riflusso sotto la luna intravista su una spiaggia.

Da ogni viso strani raggi scuri che turbano;


nelle aperte profondità di ogni fiore, inquiete gocce scure;
sfida e mistero ribollono nel mormorio rivoltoso della spuma.
- In qual modo poss'io rispondere alla sfida di tanti occhi?

La neve, alta e spiegazzata sul tetto, precipita giù


paurosamente! - Debbo richiamare indietro quei cento occhi? -
Una voce balbetta una regola su un sostantivo astratto...
...Qual era la mia domanda? - Mio dio, debbo interrompere

questo silenzio rauco che mormora al di là delle stelle.


- Attenti! - ho fatto trasalire cento occhi ed ora una risposta
debbo ricordar loro, ma proprio non ce la faccio.

Cala la neve come se il cielo scrollasse giù, lento


in fiocchi d'ombra, mentre nello spazio
tra gli edifici della scuola, rapida passa nera una cornacchia.

In cortile, una vellutata palla di neve immobile, enorme


su cui scendono fiocchi chiari. Più in là, la città
è perduta in questo ombrato silenzio che stilla dai cieli.

Il silenzio avvolge tutte le cose, e loro possono


meditare isolati in esso, ovattato e rauco.
Io solo, e la classe, dobbiamo discutere; quale amara croce è questo

[lavoro!

In ogni caso

Non dirmi, mamma, che è lui!


non dirlo, non dirlo!
- Oh, verrà e ti dirà se non è lui,
ragazza, vedrai!

Vuoi forse dirmi, mamma,


ch'è andato con quella.
- Mia cara, son tutte buone al buio
per un uomo, tutte buone!

Ma lei è vecchia, mamma, ha vent'anni


più di lui. -
- Sì, e gialla come un fiore appassito, eppure al buio
sarà passabile per Tim.

- Ma tu non ci credi, mamma, vero?


È una malignità.
- Chiedilo a lui, ragazzina; inquilino d'una vedova!
Non è certo una sorpresa.

- Una vedova quarantacinquenne


con una pelle sporca, acre,
accalappiare un ragazzo di venticinque anni,
e lui esserci caduto!

Una vedova quarantacinquenne,


che ha arrancato tutta la vita come un cavallo
fino a indurirsi come cuoio conciato,
mettersi tra un ragazzo e la sua sposa!

Una vedova quarantacinquenne!


Un'impudica, tetra vecchia,
con lunghi denti da strega e occhi da falco, neri.
Me ne son sempre guardata!

E io che mi son tenuta chiusa,


chiusa come un bocciuolo di margherita,
giovane, pulita e graziosa così in me,
sposata, avrebbe trovato del buono!

E lui, così fresco e carino,


un uomo nel pieno delle forze
andare a offrire il suo giovane corpo
pulito a una donna così volgare!
3

- Siete coraggiosa a affrontare questa neve, signorina Stainwright!


Prendete la strada per Brinsley?
- Seguo la ferrovia sino a Underwood
con un vestito che devo consegnare oggi.

- Oh, state andando a Underwood?


avrete sentito allora dell'accaduto!
- Cosa è successo che avrei dovuto sentire, Signora?
Raccontate, non dovete aver paura.

Dicevo del vostro ragazzo e della vedova Naylor,


quella che gli dà alloggio!
Si dice che l'abbia messa incinta;
ma io non ne so nulla!

Se è vero, dunque, lo butteranno


fuori dalla Polizia; senza dubbio.
E se non è vero, scommetteteci pure la vita,
staranno a sentire il racconto di lei.

- Bene, io non credo alle storie, Signora,


verificherò da sola;
e quando lo saprò con certezza
solo allora, Signora, ne parlerò.

No, pettirosso, non devi


annuirmi col capo!
Il mio petto è rosso come il tuo, penso;
vedessi che rosso martoriato!

No, benedette pavoncelle,


non dovete strillare!
So strillare da sola, ma a quel modo
ne verranno a conoscenza tutti.

E tu coniglietto, sei tutto avvolto nel tuo pelo


e muovi nella neve il collo
e il gozzo! Ma t'assicuro
che io sono più veloce ad arrivare in cima.
5

Ora sediamoci qui all'incrocio dei binari


sul panchetto scaldandoci al fuoco
sotto la cisterna cui attingono le locomotive,
se non c'è il mio bene-amato bugiardo.

Il mio poliziotto, col suo petto abbottonato


risoluto come la verità, Signore mio! e il suo viso
sfrontato come un pettirosso! Gli importa molto
di quella bella disgrazia, antica vergogna.

Oh, ecco che ammaina il suo stendardo, vedendomi!


Sì! e diviene bianco il suo volto! Oh sì,
mi fissi pure coi suoi fieri occhi azzurri:
non mi farà distogliere lo sguardo, lo giuro.

- Perché sei andata così distante


con questa neve così alta?
- Sto andando a consegnare un abito
da sposa, se vuoi proprio saperlo.

- E siccome c'è un matrimonio a Underwood


devi strascinarti fino là?
- È l'abito da sposa della vedova Naylor,
ho sentito che ne avrà bisogno.

- Lei non necessita d'alcun abito da sposa,


perché... ma tu cosa vuoi dire?
- Non sai proprio quel che intendo, Timmy?
Devi essere stato duro da svezzare, eh?

Succhi ancora volentieri il latte, Timmy!


Ma dimmi, non è vero forse
che avrà bisogno di questo vestito
tra una o due settimane?

- Non c'è ragione per avercela con me,


Lizzie; quel che è fatto è fatto.
- Fatto, dovrei pensarla così! E posso
chiederti quando è iniziato?

- Sei stata tu a farlo, almeno quanto me,


ecco qua, te l'ho detto chiaro.
- Sarei io ad aspettare un bambino dalla tua padrona di casa?
- Hai avuto la risposta giusta,

come sempre; ma lascia che ti chieda


se non sei stata tu a scacciarmi, quando
mi stavo riducendo alla follia
e ormai ero in agonia.

Ti baciai, quella notte, Lizzie,


giacemmo insieme, e tu ti sciogliesti
in me, ti sciogliesti proprio in me, Lizzie
finché mi sentii davvero soffocare.

E se la mia padrona mi vide in quello stato,


e i suoi occhi come lame
mi penetrarono appena si spense la luce,
c'è forse ragione di sorprendersi?

- Proprio nessuna ragione di stupirsi, caro mio;


dopo avermi baciata e abbracciata stretta,
hai potuto volgere la tua bocca su una donna
come quella! Spero che ti sia piaciuto!

- Ah, certo! ma dopo


avrei potuto ammazzarla.
- Dopo! dopo quante volte
avresti potuto ucciderla?

- Taci, Liz, piantala!


Lei è buona quanto te.
- Allora ti saluto Timothy;
pigliati lei al posto mio.

- Va bene, Liz, addio,


però non sposerò
né lei, né alcun'altra.
- Bella bravata, Signore!

- Il bambino seguirà la sua sorte


e lei avrà la sua sorte.
Ti dico che non mi sposo con nessuno,
quanto a voi avete avuto quanto avete preso!

- Questo è parlar da uomo, Timmy,


proprio parlar da uomo!
"Egli sparò un colpo
di pistola e quindi scappò via!"

- Sia dannato se la sposo,


o sposo te, e con questo non pensarci più!
Non m'interessa la vostra passione prorompente!
- Non c'è alcun bisogno d'imprecare!

- Qua c'è il suo colletto attorno al candeliere,


e ecco qui la cravatta blu scura che gli ho comprato io!
Ah, ecco i guanti femminili di capretto che ama tanto,
ed ora sta arrivando la gatta che l'ha accalappiato.

Non ci vedeva proprio... una megera


dalle grosse spalle tonde! Mio Dio, se penso
che s'è abbassato fino a lei! Non si capisce come
abbia potuto gettarsi in una fogna come quella!

Credo sappiate chi sono, signora Naylor?


- Chi siete? Ah, sì, siete Lizzie Stainwright.
- Avrete allora indovinato perché son venuta?
- Forse no, forse sì.

- Sapevate che c'era del tenero tra me e Tim Merfin?


- Sì, sapevo che ti corteggiava.
- E siete andata lo stesso avanti con lui!
- Certo, e lui con me.

- Bene, ed ora vi tocca pagare per questo.


- Pure se fosse, cosa c'entri tu?
- Lui non vuole sposarvi proprio!
- Lo vorresti per te, capisco.

- Non ha nulla a che fare con me.


- Allora perché t'impicci?
- Non voglio di certo i vostri avanzi o scarti.
- E chi ha detto che li vuoi?

- Voglio solo farvi sapere che non vi sposa.


- Vuole te, purtroppo.
- Voglio proprio vedere come vi pagherà e farà quel ch'è giusto.
- Sarai tu che avrai fortuna con quel ragazzo!
8

- Pensare che devo mettermi a discutere


con una donna, e proporle dei soldi
perché mi lasci sposare il ragazzo
che pensavo di sposare con gran festa!

Andremo invece di nascosto dall'ufficiale di stato civile


e a lei daremo tutti i soldi che abbiamo;
perché non voglio dover nulla a una come quella,
non voglio, o non mi chiamo più Liz.

- Levati le bardature d'ordinanza, Tim,


e vieni qui con me;
togliti l'elmetto da poliziotto
e guardami.

Vorrei tu non l'avessi fatto, Tim,


lo vorrei, lo vorrei veramente!
Perché quando ti guardo in volto, vedo
sempre anche la sua faccia.

Vorrei poterla cancellare da te;


e forse potrei, se cerco di farlo.
Ma tu dovrai promettere d'essermi fedele
fino alla mia morte...

10

Venti sterline le hai tu, e cinquanta ne ho io;


ci vorranno le tue per pagare la donna, e con le mie
compreremo tutti i mobili che vorremo quando lasci questo posto;
e ci sposeremo in Comune... ora alza gli occhi!

Solleva il viso e guardami, uomo! Non puoi guardarmi?


Scusami per quest'affare, mi spiace se sono stata io a portarti
a fare una cosa simile; però è ben misero esser costretta a dire
che, per poterti avere, ho dovuto pagare una vedova

[quarantacinquenne.

Pensassi almeno a quanto t'ho amato: anche troppo ti ho amato.


E vorrei sul serio che questa storia non venisse mai più ripresa.
Davvero vorrei poter stare all'altare con te, di te orgogliosa!
E avrei potuto essere la tua prima donna, come sei tu il mio primo

[uomo.

Ma tutto è bene quel che finisce bene. Così, ora solleva lo sguardo,
guarda su e dì che ti spiace tutto ciò, chiedimi scusa.
Penso che ti cacceranno dal corpo di Polizia, se lo faranno
possiamo vedere se ti dà un lavoro in banca mio padre. Dì che ti

[spiace, Timmy!

11

- Sì, scusa, mi spiace,


ma con questo?
Sì, mi dispiace! Non è necessario tu stia in ansia
né che ti consumi per questo.

Mi dispiace per te; mi dispiace per lei


son dispiaciuto per tutti noi.
E allora? Tu mi vuoi
dopo tutto, mi vuoi?

Mi son messo dalla parte del torto, Liz,


e lei lo stesso.
E tu da quella della ragione, lo sai,
e chiunque altro è dannato.

Sei così sicura d'aver ragione, Liz!


Maledizione a quel sicura!
Ma fai attenzione, quella vedova
non è molto avida, anche se povera.

Quel che le ho dato, lei mi ha reso


senza pensarci.
Qualcosa mi ha dato,
non posso dire che fosse nulla.
Scusami per il disturbo
che ne è venuto a noi tutti.
Ma che mi spiaccia quel che ho avuto
non è vero, questo è tutto.

Per quel che riguarda il matrimonio,


non sposerò né l'una né l'altra.
Ho avuto tutto quel che posso
sopportare da te e da lei.

Così me ne andrò
e lascerò tutt'e due.
Non mi piaci, Liz! voglio proprio
fuggir lontano.

E, veramente, non mi piace anche lei,


pur avendo avuto da lei
più che da te; ma quale delle due scegliere
è un quesito troppo difficile per questo ragazzo.

Lasciami andare! A che serve parlare?


Facciamola finita!
Discutere d'amore o di donne,
non mi diverte per niente!

Quel po' che conta l'ho avuto da lei,


è tutto quel che ho tirato fuori dalla cosa;
e non mi sembra abbastanza buono,
no, per una sistemazione permanente.

Devo salutarti, Liz,


per me tu hai troppo ragione
e vi è qualcosa di storto con lei.
Addio! E lascia che sia così!

Racconto d'inverno

I campi sparsi di neve erano solo grigi ieri,


e ora a fatica spuntano i fili d'erba più lunghi;
ma segnano la neve le sue orme profonde, e vanno
verso i pini, sull'orlo bianco del colle.

Non posso vederla, finché la pallida sciarpa della nebbia


il bosco scuro cela e l'arancio opaco del cielo;
ma lei aspetta, lo so, fredda e impaziente. Si dibattono
nel suo sospiro di gelo i suoi singhiozzi non riusciti.

Perché viene così sollecita, quando dovrebbe sapere


che è più vicina soltanto all'inevitabile addio?
Ripido è il colle e sulla neve i miei passi sono lenti.
Perché viene, quando sa quel che ho da dirle?

Ritorno

Ora sono tornato da te che hai desiderato tanto


la mia venuta; perché non mi guardi?
Perché il tuo viso brucia contro di me? Come ho ispirato
una rabbia tale da serrarti insolitamente le labbra?

Eccomi seduto adesso mentre tu frantumi la musica


sotto il tuo archetto, poiché rotta è doloroso l'udirla.
Smetti quindi di suonare! L'angoscia dell'assenza solo lascia
pungente freddezza quando avvicinarmi vorrei?

La supplica

Tu, Elena, che vedi le stelle


bruciare come bacche di vischio in un albero nero,
tu certo, vedendo ch'io sono una tazza di baci
la tua bocca dovresti poggiare alla mia e di me bere.

Elena, tu lasci svanire i miei baci


nelle narici nere della notte; bevimi
orsù, ti prego; tu, che baccante sei della Notte,
come puoi sfuggire alla mia tazza di baci?

Gigli nel fuoco

Ah, mazzo di gigli bianchi, bianchi tutti e oro!


Io vado alla deriva come un raggio di luna, e senza forma
o sostanza, però ti illumino e accendo
il tuo pallore di radiosità, i tuoi freddi petali

pallidi rendo incandescenti: così ora


tu non sei un mazzo di bianchi gigli, ma una stella
bianca condensatasi e da me chiamata giù stanotte,
per illuminare queste foglie autunnali, come caduta

tra le sottili braccia nude dei rami, scure braccia


alzate delle tue vestali che mi allontanano; ma io vengo
su di te qual vento d'autunno su un chiaro raggio
randagio e tutto ne scarico il bianco fuoco.

Così tu sei un lucido fungo che ora brilla


qui tra le foglie accartocciate di faggio, fosforescente,
mio mazzo di gigli un tempo bianco, incandescente,
mia stella caduta tra le foglie, mia cara!

È con dolore, mia cara, che tremi tanto?


È perché t'ho fatto male, mia cara?

Ho avuto dei brividi? No, non credo proprio.


Forse una goccia di rugiada m'è caduta sul viso, quaggiù.

Perché parli ancora traverso i denti serrati!


Era troppo questo per te?

No, caro, stai tranquillo!


Forse è fredda la terra qui sotto
le foglie... e tu, caro, hai avuto quello che volevi.

Sei tutta tesa, come se ti ferissi,


nel darti i miei baci; tu mi respingi.

No, mai t'ho respinto: anche se ogni bacio


sibila sul mio corpo indifeso come morbida cenere ardente.

Sono confuso, non mi volevi stasera.


È sempre così, ti faccio sospirar di pena.
Quando vicino ti vengo s'offusca la tua lucentezza,
e il mio libero fuoco ti penetra come ghiaccio, come veleno crudele.

Ora lo so, e mortificato resto.


Mi ami mentre teneramente ondeggio
come raggio di luna che ti baci; ma il corpo mio
chiudendosi su di te nel fiammante momento
luminoso, ti distrugge e tu resti distrutta davvero.
L'umiliazione scende in me, perché tutto il nudo splendore
del meglio dell'anima mia, che dovrebbe essere prova
del passaggio di Dio per i nostri lombi nel suo passo

sfolgorante, è soltanto per te un peso di carne morta


duro da sopportare e da risollevare da terra,
come gigli spezzati e appassiti al suolo
che prima ritti s'alzavano così freschi.

Rossa luna sorgente

Il treno ha raggiunto un ritmo più costante, correndo per la

[campagna,
regolare come il silenzio e cielo e terra, nell'abbraccio
continuo del buio, attorno giacciono schiacciando tutti
tra loro i vaghi caratteri sparsi d'alberi e colline, di case chiuse, e noi
usufruire più non possiamo del libro aperto del paesaggio, perché la

[copertina
dell'oscurità s'è chiusa sulle sue pagine illustrate, e si sono fusi
[assieme e cielo e terra e
ogni cosa.
E noi stessi tra le pagine schiacciati, gli occhi chiudiamo per dire:

["Silenzio!"
Nel sonno cerchiamo di fuggire il terrore di questa grande oscurità

[bivalve
e in essa come perle ci arrotondiamo, per dormire. Quando dagli orli

[chiusi della notte


come dal grembo nasce rossa la luna lenta,
come due muri di oscurità sanguinante in un nuovo notturno spasimo

[di nascita,
che ci dona questa nuova rossa luna sorgente, poggiata sulle
[ginocchia delle rosee ore notturne, e gli occhi ci chiude.

Frenetico il treno pulsa in fretta e dibattendosi fugge


da questo roseo terrore di nascita che fuori è scivolato
dai lombi della notte, a splendere sul nostro cammino
come un prodigio; ma, Signore, lieto io sono, tanto lieto,
e la mia paura soffoco accettando il miracolo. Il treno ora
non può sorpassare la luna rossa, alta, e io sono contento,
contento come i Magi quando videro gli occhi
dell'infante neonato benedire la loro follia,
che li aveva guidati fino alla pace
poiché adesso io so
che il mondo entro i mondi è il ventre da cui discende
tutta la bellezza che quaggiù ci adorna:
e il fuoco che entro questa palla di terra
bolle e di fiori tutta la ravviva,
è lo stesso fuoco da cui l'argilla indurita nasce degli uomini:

e ogni lampo di pensiero che noi tutti


all'improvviso abbiamo, e ogni gesto vola
come una scintilla nel grembo della passione,
a generare una nascita, dalla gioia del procreare.

Il mondo entro i mondi è il ventre che prende e dà:


noi tutti dona alla luce, affinché a nostra volta si possa dare
il seme dell'incarnazione della vita, che cade e suscita
nuove forme entro il grembo e poi uomini nuovi.

E i dolori della nascita, e la gioia della procreazione,


e la fatica del lavoro e la più piccola forma
d'inquietitudine o di felicità, mostrano del nostro piccolo fuoco
la scia del cammino nel cielo oscurato
dove noi possiamo vederlo: fiamma che nel più riposto fuoco,
nella risposta della passione, si lancia come spruzzo.

E vive anche nelle acquose conchiglie


che giacciono entro il molle fango;
possiamo scoprire un granello di questo stesso fuoco
che s'accende a placare il desiderio sempre vivo del ventre.

E così dagli uccelli che strillano traverso il cielo


volando quando più alta si leva la bufera,
e dalla tumultuante folla rabbiosa che cerca
d'arrivare infine a quel di cui ha bisogno,
e dagli uomini che danzano e dalle ragazze che ridono
e dal fiore che tira fuori la sua lingua e dalla felce
che soffia la sua polvere come certi funghi e dagli uccelli
che scherzano cinguettando e dal vento che scuote i rami
e li agita, nel grembo incosciente dei mondi,
soffia un invisibile seme d'esperienza.

Piangete celesti occhi umidi d'amore


affinché rinunzi l'altro amore al suo desiderio,
sebbene io veda anche allora un'azzurra scintilla
che volerà ad accendere nel grembo un fuoco sconosciuto.

Profumo d'iris

Un opprimente profumo nauseante d'iris


persiste tutta la mattina. Qui sul tavolo in un vaso
la bella spiga orgogliosa degli iris purpurei
s'eleva sul disordine della classe, rendendomi incapace
di vedere chini i volti degli alunni o ritti,
se non in un disegno spezzato, tra il rosso, l'oro e il nero.

Posso l'odore risentire dell'acquitrino, magnifico ed immoto


nel bagliore del biancospino, dove lo splendore delle calendule
di fuoco le guance ti velava, il mento e la fronte, mentre affondavi
il viso nel mazzo perché ti toccassero e contrastasse
la tua bocca scura tra i fragili nuziali fiori di crescione
e i lucenti ranuncoli, che vivranno di te più a lungo.

Tu sul giallo incantesimo della riva della palude


sedevi sul prato in alto fra le primule gialle,
ed io, tua ombra sul fiorito fiammeggiare palustre di biancospini,
mi distendevo tra le primule completamente mormorandoti amore:
la tua anima, come un fiore persa, evanescente,
e te, col tuo viso smagliante, come una colomba splendente.

Tu sempre mi chiedi se ricordo, se ricordo


i ranuncoli sulle sponde dell'acquitrino dove i fiori
s'alzano illuminandoti con un riflesso d'oro.
Mi chiedi se il tempo risanatore chiuderà
l'abisso che tra noi s'insinuò trascinandoci via,
e cancellerà la tristezza che ne esce.

Tu sulle morte foglie secche di faggio, ancora una volta, una sola,
presa come in sacrificio, nella notte invisibile!
Solo l'oscurità e il tuo profumo!
Sì, grazie a Dio, ancora è possibile
che i giorni salutari chiudano l'abisso buio
nel quale ci sentimmo mancare come fumo o rugiada!

Come vapore, rugiada o veleno! Adesso, Dio volendo,


è passato il fuoco dell'anno scorso, e cenere è il tuo volto;
e l'abisso che quel giorno s'insinuò tra te, donna,
e me, uomo, s'è riempito a metà; vergognarsi ancora
non è necessario per nessuno dei due; d'ora in avanti l'uno può
dimenticare l'altro e i colpi dello scontro dei nostri corpi.

Previsione

Pazienza, piccolo Amore!


Una donna dal petto pesante, calda come giugno entrerà
un giorno e chiuderà la porta, per restare.

E quando l'animo tuo, oppresso, avrebbe reclamato


una fresca notte solitaria, il suo petto la notte coprirà
pendente nella stanza tua come una coppia di gigli tigrati,
che i loro petali oro-pallido schiudono con ferma intenzione
e soffocano le tenebre blu con acre profumo, fiaccando
il tuo corpo con la spinta dei suoi capezzoli, finché
freschezza bramerai con una forte sete.

E ti ricorderai allora, con desiderio vero


per la prima volta, quel che ero per te.
Così profondamente sogna un narciso selvatico
e ti attende attraverso l'oscurità
fredda ed azzurra, brillando allegramente
ai tuoi piedi come piccola luce.

Pazienza, piccolo Amore! Negli anni a venire


io sarò dolce per te, nella memoria.

Profeta

Oh, mia cara, quando apparirà sul purpureo orizzonte


la velata genitrice d'una nuova idea, nasconderanno il viso gli uomini,
gridando e respingendo lei, che cerca il suo sposo procreatore,
e contro di lei si feriranno, resistendo ai suoi abbracci fecondi.

Disciplina

C'è tempesta; ai vetri come api d'argento s'attaccano le gocce di pioggia,


nel cortile il fragile sicomoro oscilla con tutte le foglie piegate;
nella classe, tinta dalla penombra gialla, debolmente si muovono le

[teste
dei ragazzi, su tutti i quali ondeggia la rete scura della mia disciplina.
Non servono, cara, gentilezza e pazienza: troppo a lungo ho

[sopportato.
Ho ficcato le mani nella terra nera, sotto il fiore e le nobili foglie
dell'anima mia, e ho sentito dove son forti le radici
piantate nell'oscurità a lottare per il dominio dell'affollato suolo

[profondo.

E lì nel buio, mia cara, dove son contorte le radici e si battono


l'un l'altra per la presa sull'oscurità concreta, lì so che nella notte
dove eravamo un tempo, prima di sorgere alla luce, noi
non siamo amanti, mia dolce, combattiamo infatti, e non abbiamo

[pietà.

Nel buio originale non possono le radici serbare, conoscere


una qualsiasi comunione, ma allacciandosi all'oscurità,
e assieme stringendola, ne estraggono una fioca luce, un pallido
lento me stesso, che piano sorge alle foglie e alla gaia scintilla del

[fiore.

Con amore venni dai ragazzi, cara, e essi si rivoltarono contro di me;
arrivai con gentilezza io, col cuore tra le mani come in una tazza,
una coppa d'amore, un Graal, ma trionfanti lo rovesciarono
cercando di spezzare il mio vaso, di violarmi l'anima.

E forse avevano ragione, poiché i giovani attivi sono alle radici, in

[profondità,
e solo l'amore indebolirebbe la loro sotterranea presa, rendendo

[superficiale
il loro aggancio alla realtà, e avvizzendo i loro nascenti germogli
per il troppo mio colore, invece di quello del profondo solco

[dell'oscurità.

Pensavo che a ogni cosa bastasse l'amore, ora so che mi sbagliavo.


Nelle profondità vi sono abissi, mia cara, dove non risiede amore,
dove la battaglia, che è lotta per la vita, si combatte lungo gli anni
della giovinezza e non deve vincere il vecchio, no, anche se ama ed

[è forte.

Non devo io sopraffare i loro animi, mai; solo devo raggiungere


il breve materiale controllo dell'ora e lasciarli liberi di me.
Devono imparare a obbedire, perché è disciplina ogni armonia,
e solo con gli altri in armonia l'animo d'uno può essere libero.

Lasciate vivere i ragazzi, ma apprendano a non trasgredire; imparai

[io
coll'amore a non far loro violenza, imparino loro a non abusare
del proprio giovane io crudele; la lotta non è per l'esistenza, la lotta
per bruciare è alfine nella fioritura dell'essere, ognuno nel proprio

[fiore aperto.

Sono qui per conoscere una sola lezione: non devono l'un l'altro

[ostacolarsi,
né venir ostacolati, nella lenta battaglia per la vita, per schiudere il

[fiore dell'io.
Traggono la loro linfa dalla Divinità, non da me, ma coprire il sole
non devono al proprio vicino, né per lucro farselo oscurare.
Alle radici, e null'altro, insegnerò loro il principio della lezione.
Me stesso estrarrò dall'oscurità, qual fiore alla luce del giorno,
ma non è cosa da fare coi ragazzi, lasciamoli ignorare
quel che da loro è lontano e con me combattano le schermaglie della

[disciplina.

Chiunque volesse strappar via la mia fioritura, si brucerà le mani,


poiché se son teneri i fiori, e le radici solo possono nascondersi,
talvolta fuoco diventano i petali aprendosi, scarlatte spade
dalla fioritura rosa a vedersi, ma fiamme a toccarle.

Ma ora schiacciato son io sulla terra, e bassi sono i miei fuochi;


giù son caduto come una pianta d'inverno e di tutto me stesso
resta solo una cognizione di radici, di radici nel buio, che tessono
una rete sotterranea, passiva, animata dalla bile.

Aspetta un poco però, perché amerò d'ora in avanti quando chiamerà

[un fiore
il mio fiore con polline e profumo, e allora soltanto. Darò amore
a chi lo vuole. Attendi dunque un poco! È totale
al momento la mia caduta, ma aspetta e vedrai che il mio fiore vivrà.

Arrabbiato

Fuori ho fatto venire, le lacrime dai piccoli pozzi,


estraendole con poche parole di ferro,
dagli angoli degli occhi grondanti.

Il vento aspro e freddo delle mie parole trascinava le lacrime


ed io sulle colpevoli guance dei ragazzi le guardavo
scorrere e brillare.

Amore e Pietà, dalle bianche mani, spauriti


vennero volteggiando attorno al Giudizio ch'era negli occhi miei
quale fiamma roteante.

Si sono asciugate le lacrime e è fresca la frutta delle giovani guance


per il riso, chiari gli occhi perdonati,
è cessata ogni pena che tormentava il corpo.

L'Angelo del Giudizio è tornato nell'Intimità.


Sono sconsolato come una chiesa in cui le luci sono spente
e nella desolazione s'insinua il dubbio.

Nel roveto sorse il fuoco e subito divampò,


crepitavano spine e foglie accartocciandosi sfinite in angoscia:
poi Dio abbandonò quel luogo.

Come un fiore nella morsa del gelo chiuso e lasciato poi andare,
la mia testa pesa e batte lento il mio cuore, faticosamente:
il mio spirito è morto.

Senza pace

Ti darò tutte le mie chiavi


e la mia castellana sarai tu,
potrai entrare quando vuoi
e quando vorrai te ne riandrai.

Quando ti sento tintinnare


per ogni stanza dell'anima mia,
seduto io rido a te chiusa
nel tuo ruolo di donna di casa!

Gelosa del più piccolo angolo,


per la cosa più umile irritata:
allora, ansiosa amante indiscreta,
sei soddisfatta di quel ch'è in dispensa?

Hai palpato tutti i miei tesori;


non hai forse maneggiato con curiosità infinita
palmo a palmo ogni strumento
del mio maschile meccanismo?

Sopra ogni singola bellezza


hai avuto la tua piccola estasi,
e come era tuo dovere hai ucciso
tutti i topi del peccato che potevi catturare.

Ma soddisfatta ancora non sei!


D'un languido rimprovero tremi!
Mi accusi di tenere da parte
segreti che non puoi estorcermi.

Può essere di sì, può essere di no;


forse vi sono segreti luoghi,
sotterranei barbarici altari,
e altrove sale di grandi vergogne.

Può essere di sì, può essere di no,


puoi credere come ti pare
dal momento che sei tanto avida
di sapere tutto, signorina Ansiosa.

Mistero
Ora io sono tutto
una tazza di baci,
come le alte
snelle vestali
d'Egitto, ricolme
dei divini eccessi.

A te alzo
la mia coppa di baci
e per i recessi
azzurri del tempio,
verso te grido
tra sfrenate carezze.

Dal lucido contorno


cremisi delle mie labbra
si libera la passione
giù per l'agile corpo
bianco stilla
l'inno commovente.

E immobile
davanti all'altare
elevo il calice
colmo, gridandoti
di genufletterti
e bere, Altissima.

Ah, bevimi, su,


che possa esser io
entro la tua coppa
come un mistero,
quello del vino calmo
in estasi.

Luccicando immoti,
in estasi
i vini di me
e di te mescolati
in uno còmpiano
il mistero.

Respinto

L'ultimo pensiero di seta-fluttuante è sparito dallo stelo del soffione


e senza ragione la carne del gambo sostiene il vuoto diadema.
Così i forti venti della notte han soffiato via l'ultimo mio desiderio
e la mia carne vuotata nella notte si regge come vanità.

In piedi su questo colle, davanti alla concava città biancheggiante


e quest'Elena al fianco, inerte mi sento e col nulla reggo all'urto

del notturno cielo sovrastante, immenso occhio aperto


come una dilatata pupilla di gatto che brilla di piccole stelle,
di luccicanti pensieri che scoppiettano per remote malignità
così lontane da non potermi toccare: niente ora mi turba.

A me davanti, su per il buio, sale il fiotto di luce di due città


come s'alza il respiro fuori delle narici d'una bestia immensa
accucciata sul globo, pronta a balzare per lo spazio,
qual gatto, se necessario, nell'ostile altezza dei cieli.

Sopra e sotto, tutt'attorno mi ruggisce la doppia coscienza della notte


con suoni che continuamente s'alzano e abbassano, come una

[tempesta
di pensieri in testa s'ingrossa e scema, lunghi respiri nelle chiuse;
per invisibili polsi così il silenzio defluisce, lento, per riempire la vena

[scura della notte.

Terribile è la notte e immensa, ma proprio niente è per me.


O piuttosto nulla son io, qui nel folto dell'erica
vuoto stelo di soffione, privo di legami, nullità
nuda fra terra e cielo, nemiche creature fra loro.

Io, solo, nel vello del mondo; ma con quest'Elena accanto!


Come l'un l'altro ci odiamo stanotte, ci odiamo lei e io
sino ad annullarci, all'intorpidimento: morto io, rifiutandosi lei di

[morire.
Femmina il cui veleno più che uccidere, può paralizzare e annientare.

Freddezza in amore

Quel pomeriggio, ricordi?


il mare e il cielo divennero grigi, come fosse calata
sul pavimento del mondo a fiocchi la polvere: il festone
del cielo come una ragnatela s'abbassò polveroso
e il freddo frenò il mare, finché cessò la sua cantilena.

Un odore rivoltante dalla spiaggia annerita saliva


per le fradicie erbacce sudicie, così indietreggiai
dall'umido e dal freddo respinto: sugli scogli
scivolosi tu andavi saltellando tutto il tempo, lanciandomi
parole vibranti d'un suono leggero, di rame.

E per tutto il giorno, quel freddo umido e antico


mi rese insensibile, finché le grige dune non si intorpidirono nel

[sonno.
Allora desiderai ardentemente te e che mi avvolgesse d'amore
il tuo mantello, portandomi via dal corpo il freddo profondo
ch'era sceso sull'animo mio, aggrappandovisi.

Ma per tutta la sera tu fosti fredda verso di me


e restai paralizzato con un'amara angoscia mortale,
finché i vecchi giorni mi riportarono indietro nelle loro pieghe
e s'affollarono in me vaghe speranze, riscaldandomi con la loro

[compagnia
e mi chiusero attorno le memorie, allettandomi al sonno.

Dormii finché l'alba soffiò come polvere dalla finestra


sfilacciata polvere umida e fredda smossa dalla superficie
non spazzata del mare; una pallida grigia luce quale muffa
si fissava sul mio viso e le mani, sembrando quasi
nascervi: muffa pallida su una crosta fiorita.

Con un terribile bisogno di te, mi alzai spaventato.


Infatti pensavo tu fossi calda come uno zampillo improvviso di

[sangue
e credevo di potermi tuffare nel tuo ardore vivente, libero
allora dalla muffa e dal freddo. Con la mano sul saliscendi
ti sentivo addormentata parlarmi stranamente.

Ma non osavo introdurmi, sentendomi sgomento all'improvviso.


Me ne andai a lavare nel mare la mia carne sorda
tornandone pulito e fremente, ma debole per il freddo
e sfinito, come la conchiglia della luna; sembra strano allora
che il mio amore possa risorgere al caldo, senza timore.

Ansia

Viene il vento del nord


soffiando piccoli stormi d'uccelli
attraverso la città come spruzzi,
e avanti strepita un treno
che in fuga corre al sud,
con volanti pugni di fumo,
dal nord nereggiante
verso cui mi volto e resto
fermo come un ago preciso,
sempre in attesa di ricevere
la notizia che è libera lei,
sempre fisso però, fin'adesso,
alla strada della sua agonia.

Interminabile ansietà

Si scioglie la brina nel sole,


il fumo crespo d'un treno nell'aria
svanisce, mentre due neri uccelli
di nuovo sfiorano la finestra.

Lungo la strada vuota, rossa


s'avvicina la bicicletta del telegrafo; aspetto
in un disgelo d'ansietà, che il ragazzo
salti giù al nostro cancello.

Ci ha superato, ma questo
che mi nasce nel petto è sollievo?
o ferita più profonda sapendo che ancora
ella non ha riposo?

La fine

Se avessi potuto tenerti nel mio cuore,


se solo avessi potuto in me avvolgerti,
quanto sarei stato felice!
Ma ora la carta della memoria davanti
una volta ancora mi srotola il corso
del nostro viaggio sin qui, qui dove ci separiamo.

E dire che tu non sei mai, mai stata


una qualche tua realtà, amor mio,
e mai alcuna delle tue varie facce ho visto!
Eppure esse mi vengono e vanno davanti,
e io forte piango in quei momenti.

Oh, mio amore, come stanotte fremo per te,


pur senza più speranza alcuna
di alleviar la sofferenza o ricompensarti
per tutta una vita di desiderio e disperazione.
Riconosco che una parte di me è morta stanotte.

La sposa
Sembra una ragazza il mio amore, stanotte,
eppure ella è vecchia.
Le trecce che sul suo cuscino giacciono distese
non sono d'oro,
ma intessute con argentea filigrana
e stranamente fredde.

Lei sembra una giovane fanciulla, tanto bella


e liscia è la sua fronte,
sono levigatissime le sue guance: chiusi i suoi occhi,
ella dorme con raro sonno,
tranquillo e seducente, così quieta e composta.

Anzi, dorme lei come una sposa, e sogni insegue


di cose perfette.
Infine riposa, diletta, nella forma del suo sogno,
e canta la sua bocca, morta,
apparentemente, come i tordi nelle sere chiare.

La madre vergine

Mio piccolo amore, mia cara,


una soglia eri per me,
e uscir mi facevi dai confini
in questa terra straniera dove
come cardi s'affolla la gente,
seppur piacevole a vedersi e decorosa.

Mio piccolo amore, mia carissima,


per due volte mi hai generato:
una dal ventre tuo, dolce madre,
l'altra dall'anima, libero
per rendermi d'ogni cuore, mia diletta,
libero d'entrare in tutti i cuori.

E così, mio amore, madre mia,


sempre ti sarò fedele.
Due volte son nato, mia carissima:
in te, alla vita e alla morte
ed è questo l'aldilà della vita
dove son io fedele.

Ti bacio nell'addio, mia cara,


ora son diverse le nostre vie;
tu un seme sei nella notte,
un uomo io, che deve arare
la difficile terra del futuro
per far germogliare il seme.

Ti bacio nell'addio, mia cara,


qui è finita tra noi.
Oh, foss'io calmo come tu sei,
dolce e quieta nella tua bara!
Dio, Dio! non dovessi lasciarti
sola, mia diletta.

È stata detta l'ultima parola ormai?


Pronunciato è l'addio?
Dammi la forza di lasciarti
ora che sei morta.
Debbo andare, ma senza speranza resta
l'anima mia al tuo letto accanto.

Alla finestra

Si piegano i pini ad ascoltare i mormorii del vento autunnale


che i neri pioppi fa agitare in un isterico riso
mentre la casa del giorno lentamente chiude le sue imposte orientali.

In fondo alla valle, confusamente le lapidi del cimitero lontane


si raggruppano, avvolgendo la loro vaghezza nel grigio sudario della

[nebbia,
ormai che nel crepuscolo i lampioni all'improvviso hanno iniziato a

[sanguinare.

Fuori dalla finestra volano le foglie e passando una parola


pronunciano al viso che fissa l'esterno, guardando
se soffia la notte un pensiero o un messaggio sui vetri.

Ricordo

Ricordi,
come notte dopo notte, quel novembre
scorresse uniforme e basso in cielo, e una stella
non v'era né uno stretto passaggio dove la luna
potesse uscire sui suoi campi?

Poi ricordi,
come verso nord, bruciasse in cielo una pustola
rossa come una macchia d'ansia
sugli altiforni, e piccole fiamme ondeggiassero,
spettri sullo splendore della brace?
Eran quelli i giorni
d'un autunno terribile per me;
quando nell'oscurità del cielo splendeva solo là
il rosso riflesso dell'agonia della mia amata,
di lei, che nella fiamma si fondeva

della morte: l'amore mio


carissimo da cui son nato, stava ora lasciandomi.
E ai piedi della sua croce
soffrivo il mio Getsemani.

Così a te venni;
e due volte, dopo baci sfrenati, vidi
l'orlo della luna divinamente sorgere
e sforzarsi per riuscire a staccarsi
dalla fredda siepe annerita dei cieli,

sforzarsi per fuggire,


per riuscire a rivelare col suo candore il mio mondo
sommerso, profondo e ombrato dignitosamente.
Ma la luna mai dispiegò come magnolia
il suo bianco, la sua forma di lume.

Poiché tu dicevi di no,


mi pregavi di non chiedere la dura
comunione, offrendomi "una cosa migliore",
così per un'ora oscura giacqui sul tuo petto,
sentendo scorrere la tua mano

quale ritmica brezza


sui miei capelli e lungo la fronte,
fin quando ti conobbi solo come un soffio.
- Sapere vorrei se solo un momento
Dio ci concede le sue chiavi!

E se allora soltanto
tu avessi potuto dischiudere la luna alla notte?
E battezzarmi io alla fonte
del tuo amore? Allora saremmo entrati entrambi
nella giusta, rara passione, e mai più?

Mi immagino se solo quel giorno


tu mi avessi preso, quanto diversa
sarebbe stata la mia vita? Mi sarei consumato
forse nella rabbia, e tu il capo piegato
avresti, sola essendo sino alla fine?

Ebbro
Troppo lontana ti so, amore,
perché possa tu da questa strada spettrale salvarmi
in cui superbe rose prorompono ed ansimano
in un notturno cielo dal peso incurvato

delle luci; ogni solitaria rosa,


ogni lampione dorato mostra
fantasmi e fantasmi di fiori,
e imbiancata è la notte da mille nevi

di biancospini e lillà,
bianchi lillà, notte scolorita
e gocciolante tutto l'aureo sedimento
che il frassino rende alla luce;

e mostra il rosso del biancospino


che alto si leva verso il velato cielo della notte
come bandiera bagnata in pallido sangue recente,
sangue sparso nella lotta silenziosa

della vita con l'amore e dell'amore con la vita,


battaglia per un po' di cibo di baci
nella lunga ricerca di una sposa
da tanto, tanto tempo inseguita.

Troppo lontana tu sei, amore mio,


per calmarmi la mente in questa mostra
che illude e passa per la notturna strada
lassù e poi torna quaggiù.
. . . . . . . . . . . .
La scogliera enorme degli ippocastani
su ogni sporgenza in equilibrio tiene
in piedi una ragazzina che guarda a me giù,
bimbette in bianca camicia da notte
che fan capolino da dietro le foglie
quasi saltar giù volessero se io
le invitassi tra le mie braccia:
- Ma bambina, sei troppo piccola per me!
immaturi i tuoi vezzi! -

Bianchi, piccoli mazzi di fanciulle in camicia da notte


qualcun altro vi coglierà...!
Ma là tra le ombre vedo sporgersi
un lillà, come una signora
con il volto in una mantiglia bianca
audacemente alla ricerca
di occhi innamorati;
e nella sua bianca, fiorita mantella di pizzo
con qual grazia sospira!
Con veli purpurei, poi ancora un lillà
temerario discretamente chiama
col suo debole profumo eccitante, per sapere
chi l'ha invitato ad uscire dall'oscurità:
non ressi alla sua voce e cadde una debole lacrima...
Oh, ma vedi il frassino luccicante
calar giù i suoi drappi,
pianta che vuoi liberarsi del suo oro e splende
bianca e spoglia della sua veste.
. . . . . . . . . . . .
Il corteo degli alberi fioriti
sulla strada va pallido-appassionato
e sul marciapiede quaggiù, amore
scorre in più umana parata.

A due a due la gente cammina,


i gomiti stretti in un mezzo abbraccio,
e passa, parlando
viso a viso monotona.

Io sono solo, e barcollo verso casa


lungo questa strada spettrale,
e mai donna fiorente guiderà
tra le mie braccia il suo peso beneaccetto,

né una ragazza, fior d'ippocastano,


furtiva entrerà nella mia stanza.
Non otterrò mai risposta alcuna:
vivere da solo è il mio destino!

Pena

Perché l'esile filo grigio,


che fluttua dalla sigaretta
dimenticata tra le mie dita,
mi turba così, perché?

Oh, lo capirai:
quando portavo al piano di sotto
mia madre, solo poche volte, al principio
della sua invisibile malattia,

trovavo poi, a rimprovero


per la mia gaiezza, alcuni capelli grigi e lunghi
sul davanti della mia giacca, e uno dopo l'altro
li osservavo volteggiare su per lo scuro camino.

Angoscia autunnale
Gli acri profumi autunnali
che ancora sanno di bestie furtive, pauroso
mi fanno d'ogni cosa, delle stelle d'autunno
lacrime tremanti e della notte che all'orecchio mi russa.

Poiché d'improvviso, tutta la mia vita,


breve vampata, mi ha lasciato,
come un impeto di dispersione,
nudo e indifeso nella macchia.

Tra i cespugli del mondo,


mi contraggo nudo come una bacca aperta
da poco; ma son io che in cerca di preda vago
anche tra gli odori che si spandono

intorno furtivi: io nuda bacca


di carne, mi trovo sgomento nella macchia!
Io tra i maculati odori segreti
che cercano vittime nella lussureggiante,

acre notte autunnale!


L'animo mio, con quell'inquieta folla
aspra ed infida dissennato
fuori avido s'aggira.

Così la notte, con la forza d'un respiro profondo


mi ha tirato fuori l'anima
tanto che io vacillo, dispersa la coscienza,
come un individuo morto.

Allo stesso tempo qui rimango


esposto tra i cespugli del mondo,
bacca di carne appena denudata
affinché la scrutino le stelle.

L'eredità

Da quando ti sei allontanata


nell'ignoto, mia cara,
da dove raggiungerti potevo,
vedo ogni ombra
quasi riconoscermi,
e dalla sorpresa assalito son io.

Stupefatto per la separazione,


a mala pena sento che t'ho perduta.
Un regalo m'hai lasciato
d'idiomi, così capisco la lingua
delle ombre e mi lanciano i silenzi
il loro senso.

Mi hai mandato un fuoco biforcuto


dall'aldilà: esso brucia nel soffio
del respiro della folla
e incendia la nereggiante pira
del lutto, finché gli uomini
non fluttuino come puri spiriti.

Forma dopo forma ondeggiano,


per le strade come fantasmi
lungamente accesi per me;
la stella sulle cime delle case
ogni sera mi saluta
con un canto lungo e ardente.

Per tutto il giorno la città trasluce


di tenui fantasmi
che vanno avanti e indietro,
nella comune veste che l'imprigiona,
mentre i loro sguardi svolazzano sino a me
intimiditi, affinché risponda di sì!

Così io, non sono solo, né triste,


pur essendomi venuta tu a mancare,
amore mio.
Vago tra la folla cittadina rivestita
di parole, ma attraverso esse e i movimenti suoi
la notte appare.

Silenzio

Da quando ti ho persa, sono ossessionato dal silenzio;


i suoni le lor piccole ali agitano
un attimo, poi all'onda s'abbandonano
della stanchezza, che dondola senza rumore.

Sia che per strada la gente


passeggi con monotono brusio
o sospiri il teatro e sospiri
con un profondo respiro roco,

o agiti il vento un groviglio di luce


sul fiume nero, profondo,
o gli ultimi echi della notte
facciano rabbrividire l'aurora,
io avverto il silenzio che aspetta
di poter bere tutto ancora
nella sua estrema totalità svuotando
il rumore degli uomini.

Ascoltando

Il tuo silenzio ascolto,


mia cara, in mezzo a tutto ciò;
avverto la tua quiete che tiene prigioniere
le mie parole mentre discorro.

Parole da una fucina sfuggite


come faville di breve durata;
vedo il silenzio assorbirle facilmente
veloce nel buio.

Forte canta l'allodola e lieta,


allora io vorrei che non rubi
il silenzio l'uccello e la canzone
e entrambi li disperda.

Rumoreggia un treno diretto a sud


la sua bandiera di fumo sventolando;
l'ombra furtiva del silenzio
scorgo corrergli a fianco.

E dalla fucina del mondo uscite


volteggianti nel vento della vita
miriadi di faville, di uomini, vanno
colmando la notte di tensione.

Eppure mai modificano l'oscurità


né possono vincerla coi loro schiamazzi;
nel silenzio perfetto solitarie
le stelle son boe nel cielo.

Angoscia occulta

Gialla una foglia saltella a me dinanzi


come un ranocchio, dall'oscurità;
perché dovrei trasalire ed acquietarmi?

Stavo vegliando la donna che mi generò


stesa nella chiazzata oscurità
della sua stanza di malata, rigida
nella volontà di morire, e la foglia vivace
mi distrasse verso quest'acquazzone di foglie e di luce:
la strada della città si confuse davanti ai miei occhi.

Ultime parole per Miriam

Tua è l'imbronciata tristezza,


anche mia è l'umiliazione;
era intenso il tuo amore e profondo,
il mio quello d'un fiore
che cresce alla luce del sole.

Avevi il potere d'esplorarmi,


stelo per stelo di farmi fiorire;
svegliasti il mio spirito, alla coscienza
mi generavi, dandomi dura
consapevolezza: poi subii una sconfitta.

Corpo contro corpo amarti


non potevo, sebbene volessi;
ci baciavamo e ribaciavamo benché non dovessimo.
Ti concedesti, la prova estrema tentammo
e non ci riuscì.

Tu sopportavi soltanto, inerte,


e ciò indebolì il mio nerbo d'artefice.
Non rispondeva la carne al mio assalto
così non riuscii a darti l'ultima
raffinata tortura che meritavi.

Armoniosa sei di forme, curata,


ma passiva e ottusa nella carne;
se ti avessi trafitto coll'angoscia
gonfia di spine, forse ti saresti trasformata
in un'adorabile trama risplendente

come una finestra policroma: il fuoco


migliore passato sarebbe traverso il tuo corpo
purificandolo, consacrato quindi
in una pura coscienza vergine. Ma ora
chi ti prenderà di nuovo?

chi ora ti darà il suo ardore per liberare


dalla caducità e impurità il tuo corpo?
Poiché il fuoco in me è venuto meno,
qual uomo sulla tua carne si chinerà
per fendere l'insopportabile tormento?

Una muta cosa, meravigliosa quasi,


è il tuo viso, che mi colma di vergogna
quando tendersi i lineamenti ne vedo;
avrei dovuto essere insensibile abbastanza
per portarti attraverso la fiamma.

Malato

Distesa l'uva guasta giace sulla sedia accanto al letto;


al vetro della finestra di continuo la nappa della tenda
batte oscillando ad ogni soffio d'aria.

La stanza è la nuda scorza d'un frutto, una zucca


svuotata completamente, dove un ragno
steso nella polvere, avvolto dalle sue zampe
come da un letto, il nulla osserva sulle scure pareti.

Ah, fosse mio il giorno all'esterno! Il giorno che è solo


invece una grigia caverna, dove grige pendono grandi ragnatele
dalla volta basse, e da loro cade un'umida polvere adagio
sulle scure rocce bagnate, le case, e sui ragni
con le facce bianche, che corrono veloci al suolo.

E io sono malato, mentre sta ancora cadendo una gelida pioggia.

Gelo e fior di loto

Quante volte, quali bianchi fior di loto


cresciuti sulla superficie dell'acque,
lì son sorti galleggiandomi sul sangue superbi
i dolci alberi del desiderio alla sua prigione sfuggito!

Così io sono tutto avvolto nella luce


del sensitivo sbocciare dei germogli della passione,
finché, nudi per lei nel loro migliore aspetto,
i fiori di tutto il mio fango emergono alla vista.

E quindi tutto offro me stesso


a questa donna cui piace amarmi, ma essa volge
d'odio uno sguardo sul fiore che arde
d'aprirsi e versarle la sua preziosa rugiada.

E la fioritura tutta si serra lenta in tormento,


affondando tutti i germogli d'amore del loto, morti,
mai dischiusi; allora quest'amante dal volto di luna
sorride di nuovo sul peso della sofferenza.

La pianta di tasso sulle colline


Una gobba luna si sporge nel crepuscolo,
le stelle, ragni che filano la loro tela,
scendono un po' più basse, per osservarci
dall'alto senza posa.

Vieni sotto quest'albero allora, dove ci nasconde


il suo mantello in tanta oscurità,
che qui anche siamo dai morsi al sicuro
dai morsi che lasciano il segno della tarma dell'ermellino.

Qua, in questa segreta tenda buia


di rami neri che toccano il suolo,
vieni, estrai la spina del mio scontento
e beatificami la piaga.

Che rara notte d'altri tempi!


Sotto la chioma del tasso
misteriosa è l'oscurità, e bruciarti
potrei come incenso in profumo!

Qui persino le stelle non possono spiarci,


né le falene posarsi
sul nostro mistero; niente
può scorgerci né metterci in fuga.

Abbi quindi fiducia nell'albero dai rami neri,


stenditi giù e per me apri
l'intima oscurità del mistero,
lasciati penetrare, come questa pianta.

Non rovinare l'attesa del tasso,


non sciupare quest'intima notte!
Svela il cuore del crepuscolo, senti
l'estrema segreta delizia.

Fedeltà ai morti

In due è rotta la luna, e sopra di me


una metà si trova, sulla bassa e quieta pianura del cielo;
l'altra parte della moneta di fedeltà spezzata
sepolta è nell'oscurità, dove i morti tutti giacciono.

Seppellirono nella tomba la sua metà quando vi fu posta lei;


la spinsero delicatamente per nasconderla tra i suoi capelli
nel folto dove a treccia si raccoglievano, quell'ultimo suo giorno;
e nascosta come una luna, là deve ancora risplendere.
Così nel cielo una metà è rimasta, segno per tutti
del duraturo impegno di fedeltà verso i morti;
il suo bordo rotto al buio si volge, splendore
finito come un amore spezzato, rivolto all'oscurità del sonno.

E lì nel buio l'altra metà giace, ove i morti tutti giacciono


perduti e pur composti ancora; e tra le due parti
vengono emessi sempre strani raggi, poiché io sento
d'essere illuminato sotto il cuore da una mezzaluna, magica e

[azzurra.

A un libero fine

Molti anni da bruciare ho io ancora, lentamente


come fiamma di candela su questo corpo; ma un'ombra
racchiudo azzurra in me, presenza che vive
entro la fiamma della mia esistenza, cuore invisibile della rosa.

Così lungo questi giorni, mentre il combustibile consumo della vita,


che importa quale materia arda nella mia fiamma quotidiana,
se scorgo come sia l'animo un'ombra inviolata,
un'oscurità che per me sogna il mio sogno, sempre identico?

Immersione

Quando lungo il marciapiede,


fiamme palpitanti di vita,
m'ondeggiano attorno le persone,
più non ricordo il mio lutto, il vuoto
nella costellazione della mia esistenza,
il posto ove sempre era una stella.

Sebbene l'astro polare


si sia spento come una candela
e i cieli tutti errino disorientati,
le pleiadi siano gente
sparsa intorno a me, e veda
la lunga dispiegata via lattea della strada,

quando ondeggiano le persone giù per il marciapiede,


non ricordo più il mio lutto.

Incendio di primavera
Arriva la primavera e prorompe in verdi falò,
agitati sbuffi d'alberi verde-fuoco e cespugli verde-fiamma;
i fiori di biancospino s'elevano in ghirlande di fumo
tra i boschi fumanti e gli acquatici giunchi tremanti.

Sono sorpreso da tale rinascita, una conflagrazione


di verdi fuochi accesi sul terreno, da questa vampata di crescita,
da queste fumate in impetuosi vortici gonfiate,
da volti di persone che si sfogano sotto il mio sguardo.

E io, quale sorta di fuoco sono io, circondato


da questa esplosione di primavera? Il Vuoto tra tutto ciò...!
Neppure un fumo pallido come la restante folla;
meno del vento che corre verso il richiamo fiammeggiante!

Gita in treno

Se possa la notte finire, mi chiedo,


se riesca questo viaggio, freccia lanciata,
d'oro luminosa, a volare leggero nel cielo
di un albeggiante domani,
senza che il sonno mai ci liberi
l'uno dall'altra, o sciolga
questa acuta turgida pena.

Ma cosa mai potrai vedere,


che al vetro senza posa in fuga
guardi turbinare le rosse scintille
e la notte che attraverso vi appare?
La tua presenza solitaria scruta
e tanto m'opprime che a stento sopporto
di spartire la notte con te.

Ferisci l'intimità del mio cuore palpitante;


desidererei scacciarti via da me;
mi soffoca questa promiscuità,
e in essa, solo a metà io t'amo;
quanto ho bramato questa notte in treno!
E ora, con dolore, ogni mia fibra
a Dio grida d'allontanarti.

Sebbene di certo sia il miglior sogno ancora


dell'anima mia, che una nuova notte calando
c'inghiotta in un sonno profondo, finché noi
una sola cosa si sia, come una liscia palla,
corrosa sotto quest'armatura
d'ostinata riluttanza che è in me;
si tratta d'un sogno mal fondato!
Così, Elena, quando verrà su di noi
un'altra notte, solleva le tue bianche dita
e nudo spogliami, pian piano palpandomi
leggera, leggera dappertutto.
Poiché con quanto ardore posso, bramo il tuo tocco,
ma non riesco a muovermi, pur volendo
molto esser tuo amante.

Notti e notti si sono appassite


con l'imperfezione d'un giorno non sbocciato e fiorito;
venuta un'altra notte, una nuova ne segue,
dimmi, la serberai per me?
Schiuderai il dolente bocciolo amoroso
del mio corpo, per liberare il torrente essenziale
che su te si riverserà dal mio cuore?

Liberazione

Elena, se ieri avessi saputo


che potevi liberarmi
dal male della ferita,
avessi saputo ieri che potevi
far sparire il turgido dolore elettrico,
assorbendolo nel suolo
del tuo corpo bianco, soffice,
come la terra inghiotte il fulmine d'un cielo angosciato,
avrei potuto odiarti, Elena.

Ma da quando si sono sciolte le mie membra tutte in fuoco,


da quando il mio sangue e l'ossa mie
si mutarono in fiamma violenta
su di te, terra della mia atmosfera, pietra
della mia lama, bella pietra focaia bianca del desiderio,
terra della mia instabile atmosfera,
sostanza del mio respiro incostante,
non posso che esserti fedele, Elena.

Ora che sino in fondo hai sorseggiato


la tetra tempesta scura di morte,
e morte è stata trascinata via dal blu
dei miei occhi, bella ti vedo e cara.
Bella, docile e forte, quando il mio fiato
ardente per il desiderio su te alita,
mi sento come vento che soffia
debole e leggero
mentre tu
sei la terra che sorvolo.

Donne intelligenti
Chiudi gli occhi, amor mio, lascia che t'accechi!
Ti hanno insegnato a scorgere solo problemi
sulla faccia delle cose, e algebra
negli occhi degli uomini pieni di desiderio,
e Dio vedi come geometria
che imbroglia i suoi cerchi, te e me per confondere.

Baciarti vorrei sugli occhi sino a baciarti cieca;


se potessi... se potesse qualcuno!
Forse allora nel buio troveresti quel che vai cercando:
la soluzione che per la mente sempre è troppo lontana,
fusa nel sangue...
che io sono il cervo, e tu la dolce cerva.

E ora basta farmi obiezioni! O vuoi che ti odi?


Un caleidoscopio son forse io,
che scuoti e riscuoti senza successo?
Sono condannato ad accoppiarmi con te in un lungo coito verbale?
Insoddisfatto, senza speranza
di farlo tra le tue cosce, lontano, via dal tuo sguardo inquirente?

Ballata di un'altra Ofelia

Oh il verde brillante delle mele nel frutteto,


fanali bagnati dalla pioggia!
Oh come cammina la mia bruna gallina inzuppata per l'aia!
Oh piangono i vetri della finestra!

Più non matureranno le verdi mele lucide,


piene di delusione e pioggia.
Nerastre avranno sapore di lacrime, quando le macchie gialle
dell'autunno narreranno ancora l'appassita storia.

Tutt'intorno è un chiocciare nel cortile! mia bruna gallina.


Un chioccio! e le ali di pioggia bagnate.
Un chioccio! mio animale color calendula. E ancora
un chioccio! per le tue gialle adorabili creature.

Un topo grigio le ha trovate infatti tutt'e tredici,


d'oro, ammucchiate nell'oscurità.
Frullar d'ali per un attimo, forte è il nemico e veloce;
oh, spenta è una lanuginosa gialla scintilla!

Una volta avevo un'amante come acqua che scorre lucente,


una volta il suo viso aperto era come il cielo
aperto come il grande sorriso del cielo che in giù guarda
verso i ranuncoli, ed io ero i ranuncoli.

Cosa allora si cela sotto le gonne di tutti gli alberi in fiore?


Cosa spunta dai tuoi orli, o mamma gallina?
È il sole che così interroga, con amabile fretta d'apprendere;
e quale amabile fretta d'apprendere è negli uomini!

Sì, ma è crudele, quando sia svestito ogni fiore


e la camicia della bianca pianta giaccia sul terreno,
che un essere grigio, come un'ombra, un topo, ladro temporalesco,
si insinui su di lei e ne rapini le ricchezze.

Oh il grigio granaio pieno di mele acerbe!


Oh le dorate scintille uccise!
E, dietro le nubi di foglie, gialle chiazze autunnali;
hai visto il sole maligno che ammicca?

Baci in treno

Ruotare traverso i suoi capelli


vedevo del Midlands
la campagna autunnale
che nuda s'estende
e le pecore al pascolo
saltare indietro spaventate.

E ancora, come sempre,


ruotava il mondo,
sulla fremente sua gola
si trovava la mia bocca
e al petto palpitante di lei
il mio era stretto.

Ma al centro di tutto
il mio cuore, in deliquio,
come perno immobile,
mentre intera la terra
sulla sua orbita furtiva
si spostava in cerchio.

E nelle mie narici ancora


il profumo del suo corpo,
mentre il mio viso cieco
sempre chiede di lei;
e continua un battito solo del cuore
a risuonare attraverso il mondo.

Il globo tutto girava


in un vortice di gioia
e come la danza di un derviscio
andava distruggendomi
la coscienza: roteava
la mia ragione come una trottola.

Ma al centro fermo
si trovava il cuore mio;
ad ogni sua pulsazione perfetta
unite eran le mie,
come trattenute dalla forza
di un'elettrocalamita accesa.

Respinto

Quando bussai alla porta suonò vuota la casa,


e sulla soglia m'attardai con la mano
alzata per bussare e bussare ancora;
ascoltando, in attesa dei passi suoi sul pavimento,
vuoto risuonava il mio cuore.

I lampioni sospesi bassi s'allungarono sulla strada


e sotto vi passava la gente
con ritmici passi, al cui sopravvenire in me
si riaccendeva la speranza, apprestandomi quindi
a salutare il risveglio del sorriso nei suoi occhi.

Le luci stanche si spensero lungo la via


l'ultima automobile si trascinò dietro la notte;
e là intorno andai girando nell'oscurità
con speranzosa agitazione e un dubbio
che languiva alla moribonda lampada del mio amore.

Trottando lenti due cavalli bruni


per bere si fermarono a una male illuminata vasca,
scuro il furgone s'allontanò con basso rumor di zoccoli
e le stelle della città, così pallide e sacre
ancora un po' s'avvicinarono, a cercare per le strade.

Un'auto veloce, vergognosa, mi passò vicina


e io vidi lei nell'ombra nascosta:
la vidi del marciapiede salire lo scalino
e svelta correre alla porta muta, dove ero
poco prima rimasto con la mano levata in alto.
Nella fretta d'entrare si strinse alla porta,
entrò, e rapidamente se la chiuse dietro
lasciando la strada stupefatta.

Molti giorni dopo


Mi chiedo se per te, tutto è come per me,
se sotto le tue sfuggenti parole, che vicino
ti fluiscono facili come una veste,
violento il cuore ti batte e sbatte.

Ho aspettato a lungo, e mai una volta ho confessato


neppure a me stesso, quant'amara fosse la separazione;
ora, ritornato, quale sarebbe
la riparazione migliore?

Se questi abiti potessi strapparmi


se potessi levare nudo il mio essere a te,
o se tu solo volessi respingermi, ben verrebbe una ferita
che lascerebbe sfogare il dolore.

Ma che mi tenga ancora a distanza con sì gentile


freddezza, non lo vuol riconoscere il mio cuore ardente,
no! però ti detesto, detesto te che ora
mi rifiuti i tuoi favori.

Bocca di leone

Mi pregò di seguirla nel suo giardino


dove la luce del sole, molle, si depositava come raccolta
tra i vecchi muri grigi; io non osavo
sollevare il viso, né avevo il coraggio d'alzare lo sguardo
temendo che i suoi occhi brillanti volassero sulle mie finestre
rivelatrici e come passeri strillassero: "Peccato!"

Così la seguivo con aria abbattuta e voce ridente,


il dondolio del suo bianco abito seguivo
che innanzi oscillava con ritmo; spiavo la cadenza
dei suoi piedi che per poco s'alzavano e poi fermi
comprimevano l'erba, profondamente, col suo peso regale:
al passo di lei con piacere avrei offerto il mio petto.

"Vedere mi piace", ella disse e s'accucciò giù


davanti ai miei occhi abbassandosi quale uccello che cova,
e s'accovacciavano i suoi seni entro gli orli del vestito
a riposare come pesanti uccelli, mossi appena
da un tranquillo respiro: "Vedere mi piace", diceva,
"la bocca di leone farmi le linguacce".

Rideva, allungando la mano sino al fiore,


per stringergli la gola cremisi - sentivo stretto il mio stesso collo
in suo potere e su mi si gonfiò il cuore, pieno,
fin quasi a farmi scoppiare in gola la sua pelle vinosa,
a soffocarmi nel mio proprio rossore. La osservavo
premere sul collo del fiore che apriva la bocca, finché il sangue mi

[salì

agli occhi, accecandomi...


La sua larga mano scura si stese
sulle finestre della mia mente;
e così nel buio scoprii
quel che andavo cercando:

il mio Graal, bruno calice intrecciato


di vene gonfie che si stringevano nel polso,
sotto la cui pelle bruna, l'ametista
bramavo assaporare! Versare bramavo

la rossa misura del mio cuore nella sua coppa;


e volevo bruciarvi ardentemente sentire
l'ametista col mio sangue bollente.

All'improvviso poi guardò in su,


e accecato fu in una fulva luce d'oro,
sinché non distolse i suoi occhi.

Così scese dall'alto


e il cuore mi svuotò d'amore;
allora lo tesi in aria
verso il cuculo che s'abbassò come una colomba
ed ella s'adagiò morbidamente.

Sembrò che il mondo al mattino e io


avessimo preso la forma d'una coppa, per accogliere
quest'uccello rapace, stanco
di tener ripiegate le sue ali in noi,
quanto noi eravamo stanchi di riceverlo.

Questo uccello, ricco


sontuoso ramo centrale;
questa mutevole magia,
quest'unico ritornello,
questa provocazione nella lotta,
questo grumo di notte,
questo campo di delizia.

Lei parlava, e io chiudevo gli occhi


per evitare allucinazioni.
Le facevo eco sorpreso
sentendo le labbra gridare da sole
la risposta che avevano pensato.
Un uccello marrone ancora vidi
alzarsi sui fiori ai miei piedi;
quindi volarmi lo sentii
fino sul cuore, e dolce
stendervisi la sua ombra.
Pensai di vedere un'ape
dilaniare la carne
compatta del trifoglio
e nel suo cuore annidarsi.

Lei mosse la mano, e nuovamente


sentii il bruno uccello
coprirmi il cuore,
quindi calarvi sopra,
come il cuculo usurpatore
arriva in un nido e ne spinge
oltre i bordi ogni deposta porzione
d'amore, prendendone possesso
e vi si sistema soffocando il nido
con le sue ali e le sue piume in un caldo amore.

Arrossita lei voltò verso di me il viso per il lampo


d'un attimo: "Guarda", disse ridendo, "se pure tu
riesci a farlo sbadigliare!" Misi la mano sulla gola
proprio del fiore e spalancò la bocca tutta con dolore.
E lei osservava, d'improvviso divenuta intensamente muta,
mi sorvegliava la mano per vedere sino a che punto l'avrei esaudita.

Stringevo il misero fiore strangolato tra le dita


fin quando indietro gli si piegò la testa, e le zanne
restarono sospese su di lei. Come un'arma, bianca e affilata
era la mia mano e tenne il serpentino fiore strozzato nelle strette
dolorose d'angosciosi morsi, sinché smise lei di ridere
e l'insegna del suo orgoglio, sconfitto, penzolò giù dall'asta.

Nascose il suo viso, mormorando tra le labbra


a bassa voce. "No!". Lasciai cadere il fiore,
ma tenni sospesa la mano sui suoi resti
che ella stava toccando, e verso di lei si tesero
tutte le mie dita: non si mosse e io neppure,
perché come una serpe la mia mano irretiva la sua, che non poteva

[prendere il volo.

Risi allora nell'oscurità del cuore, esultai come musica


che rida bassa all'improvviso. I miei occhi
invitarono i suoi all'incontro, e li riaprirono, indifesi,
per consultare la loro paura, vergogna e gioia, gioia
che in tali battaglie si cela sotto la sconfitta. Era fiero nei suoi occhi
neri il mio cuore d'aver fatto spuntare un sorriso.
Le sue buie profondità si scossero con fremiti convulsi
e il suo spirito scuro ondeggiò come acqua che vibra alla luce;
balzò su il mio cuore bramoso di immergersi rigido
col suo fervore entro lo stagno del crepuscolo di lei,
entro quell'anima grande, per trovarvi piacere.

Non mi importa che le larghe mani della vendetta


infine afferrino la mia gola; l'afferrino presto
se la gioia che si levano a punire, rossa
è sorta sulla mia notte come la luna del raccolto
che per me può significare anche solo morte,
morte che io so esser meglio del non-essere.

Vieni primavera, vieni tristezza

Rotonde nubi nelle braccia rotolano del vento,


come un seme nel cielo ruota la terra tonda,
e vedi, dove in boccio i noccioli si diradano,
si stendono gli anemoni selvatici
sotto il vento in ondulanti tremolii!

Nuotano sullo stagno blu


anitre bianche, schiamazzante flotta di nubi
e tu guarda, galleggiando da questa parte,
il papero dai riflessi azzurri navigare
orgoglioso come Abramo, il cui seme si moltiplicherà.

Nel lucido riflesso dell'acqua, là


s'arrampicano sette rospi sulle setose foglie scure,
sette rospi che si muovono nell'ombra per partecipare
alla misteriosa primavera che intreccia
i corpi nascosti che ovunque s'accoppiano.

E ora guarda, attraverso il bosco dove il verde dei faggi


si leva come neve nella bufera color dello smeraldo!
Un grande stallone baio, danza
sfiorando regalmente i cespugli, ed esce
nella primavera dal giro dei suoi deserti domestici.

E tu, che sei la mia ragazza col tuo ricco caldo viso
ardente, a quale attesa improvvisa ti apri tanto,
vedendo soffiare la polvere dalle inflorescenze
della betulla in alto, nel blu
del vento che soffia? Oh, dimmi che lo sai!

Sì, dillo! Poiché certo da un sole dorato


un maschio raggio vivificante inonda tutte
le creature come noi, fiori e persone
aperte al suo dominio e abbandonate
mentre vi pianta il suo nuovo seme. Cosa vi è in ciò da evitare?

Io credo che là, dalla terra, brividi


sottili volino alle vicine stelle, sottili raggi
occulti con vigore lanciati, dal nostro forte, alto
mondo dei sogni fecondo, nel cielo
per vivificare di nuovo la vergine primavera delle sfere.

Non senti tu fremere ogni molecola


di gioia mentre si dirige a piantarsi
entro la compagna che l'aspetta, per infondervi
cose nuove, e raggiungere una forma diversa,
svegliando dalla sonnolenza della vita un'altra volontà?

Di certo vorrei, non solo a parole, versare


il vivido, ahi, l'infuocato sovrappiù di vita
che esce dalla mia misura, per toccarti nel profondo,
e colmarti con ricchezza abbondante
con questo rinnovarsi dell'anno! - Così forse si dipinge il diavolo?

Le mani della fidanzata

Gli occhi suoi bruni, onici sono induriti


di spensieratezza come gemme in una perenne ritrosia;
sì, e l'acerba, prudente carezza della sua bocca
anche meno mi dice delle sue molte parole,

se non tradisse il suo bacio questa è l'unica mia consolazione,


che il sangue al colmo sulle labbra di lei,
due dure zampe rozze affonda, affamate, nella carne
solitaria del mio cuore, prima di fluire via, intimorito.

Dalla sua dura bocca capisco che ancora il suo cuore


è affamato d'amore, ma se abbandono la mano sul suo petto
ella mi scaccia, come una venditrice la cui merce
danneggiata è dal ladruncolo che fa la sua scelta.

Però le sue mani, quando le stringo, larghe


forti mani più pesanti delle mie, chiuse come leprotti
in trappola, sono sempre femminili, e il mio animo spento capisce
la loro muta confessione, ciò che deve sentire il sangue suo.

Perché le sue mani mi s'avvicinano solo come uccelli


che s'alzano pesanti il mattino dalla stoppia,
per poggiarsi su di me addormentati in un sonno
agitato, l'animo mio turbando.

Oh quanto carezzevolmente m'abbandona la sua mano sul


[ginocchio!
e in che strano modo cerca di ripudiare ciò, mentre mi penetra
nella carne e nelle ossa e mi saccheggia dentro,
agitandosi come un astuto ermellino, comunque ella la pensi!

E spesso la vedo serrar forte le mani


e nascondere i pugni cacciandoli tra le pieghe della gonna;
e come s'afferra talvolta con le sue grosse mani lucide
le braccia, quasi le facessero veramente male.

E tutta l'ho vista restare come incosciente


sul petto premendosi le mani aperte, come volesse sul cuore
schiacciarsi quelle sue colline, per uccidervi
il dolore, suo autentico angoscioso desiderio di me.

Alle sue mani fa interpretare la mia parte, quella dell'uomo


con lei: tra i seni profondamente le fa penetrare,
là ove dovrei essere io, e si serra le braccia con i palmi
vigorosi, che nel sonno me dovrebbero abbracciare.

Ah, sul muro ella poggia le mani


premendovele, grosse e scure, e baciandole,
quindi sciolti abbandona i suoi capelli neri, cade l'oscurità
attorno a lei dalle sue virginee ciocche intrecciate.

Così siede nella propria scura notte dei suoi amari capelli
sognando... Dio sa cosa, poiché lei sempre è per me
una giovane fidanzata che mi ama e si preoccupa
della sua virtù verginale e del mio buon nome.

Canzone d'amore

Non respingermi se ti dico


che scordo il suono della tua voce,
che i tuoi occhi dimentico, felici mentre indagano
traverso il tempo per scorgere il nostro matrimonio.

Ma quando sbocciano i fiori di melo


sotto la luna dalle dita pallide,
sul mio petto vedo il tuo chiaro volto
e i miei obblighi cancello, fingendomi malato.

Allora sulla mia camera chiudo


le imposte a nascondere il giardino, dove lieta
è la luna per i fiori aperti, che la seducono
con la loro bellezza, chiedendo d'esser ricambiati.

E a te levo le braccia dolenti


e il mio petto avido angosciato sollevo
e lacrimo davvero tormentandomi per te,
e alle porte del sonno mi slancio, per riposare.

Tutta l'ansiosa notte m'agito per te,


sognando che sottomessa la tua bocca si porga alla mia,
sento trasportarmi dal tuo petto vigoroso
in un sonno che nessun dubbio o sogno può insidiare.

Duplice

Qual splendido scoppio sarà di gigli rossi e la speronella che spacca


tutto con un azzurro bagliore!... quando lei lascerà
la sua stanza, dove ancora pende la notte come un pipistrello mezzo

[ripiegato.

Tarantella

Triste lui siede sullo scoglio bianco,


soave borbotta il mare volgendosi alla luna
e la luna ai ciottoli complice sorride e alle rocce scoscese.
Vicino ai flutti solo siede come un'ombra
mentre sugli scogli io ballo una tarantella e la cantilena
della mia ironia lo canzona sopra le spalle lucenti dell'onde.

Che posso far io, se non in solitudine danzare,


danzare al mare sfuggente e alla luna,
con la luna sul petto, sul corpo l'aria e la spuma sui piedi?
Poiché quest'uomo serio davvero nulla ha
della notte nell'animo, e niente entro di lui
dell'armonia delle acque: solo si lamenta dell'antica sapienza del

[mondo.

Vorrei che un marinaio selvaggio scendesse per la ghiaia brillante,


apparizione senz'anima con scintillio di mare negli occhi
e scorrer d'onde nelle braccia, e il bacio dell'anima perduta
sulle labbra: anch'io bramo d'esser senz'anima! Fremo
per toccare il mare nell'estremo stupore
della freddezza di fuoco, per sparire nella felicità d'un'anima persa!

Sotto la quercia

Tu, se fossi ragionevole,


quando ti dico che le stelle emettono segnali, tutti atroci,
non ti volgeresti a rispondermi:
"meravigliosa è la notte".

E se anche sapessi
come mi penetri dentro quest'oscurità, e infonda
paura profana alla mia essenza, ti soffermeresti
per distinguere ciò che ferisce da quello che allieta.

Perciò ti dico
che, sotto quest'albero vigoroso, il fluido di tutta l'anima
mi svanisce come vapore d'un sacrificio
sotto il coltello d'un Druido.

Ti ripeto che sanguino, che da vimini son legato


e la mia vita è al termine.
Ti dico che il mio sangue sulla terra di questa quercia
si spande goccia a goccia.

Spunta sopra di me il vischio nato dal sangue


nel fumo spesso.
Ma chi sei tu, che qua e là cinguetti
sotto la quercia?

Qual miglior cosa sei, quale peggiore?


Cosa hai a che fare tu con i misteri
di questo antico luogo dell'antica mia maledizione?
Che posto hai nei miei drammi?

Fratello e sorella

Trema una falce di luna indistinta seguendo il suo cammino,


debole come una cicatrice sul pallido cielo blu,
volta al declino; alcuni dolori l'han consumata
sino al vivo, così languidamente vaga
coi piedi sondando la via, senza sapere perché
continui lenta a scendere la lunga scala del cielo.

Dice qualcuno di vedere, sebbene vista io non l'abbia mai,


la luna morta raccolta fra le braccia della nuova;
in verità la fragile, delicata giovane
sarebbe stata troppo appesantita per salire così i cieli!
Ma resta il mio cuore immobile, mentre io sono allarmato da una

[nuova, grave paura:


può una giovane ragazza essere oppressa da una simile ombra di

[dolore?
Da quando la morte ci ha ritagliati dalla materna luna al vivo,
e gettati fuori come esili falci di luna, a compiere
un inesplorato percorso tra miriadi fitte di stelle
sparse di gente sconosciuta e relitti luminosi
di vite, che i funesti topi neri del dolore han roso
completamente, consumando ogni lucentezza di stella;

poiché la morte ci ha liberati del tutto, bianchi e svestiti,


finito il mese dell'infanzia, noi siam rimasti soli;
anche l'amata, scomparsa madre che ci diede alla luce
s'è liberata e non ci presta più attenzione, sebbene noi addolorati
ci lamentiamo; così siamo smarriti e timorosi
e ci mettiamo straniti in viaggio per la vastità del cielo.

Non gridiamo più ch'ella ancor qui ci sostenga,


non tratteniamo l'ombra sua fuori dell'oscurità!
Oh, scordiamola qui, accettiamo l'ignoto
puro che dinanzi abbiamo, portando avanti
l'arca dell'alleanza, ove ella non può andare!
Leviamoci ora e lasciamola, lei non lo saprà mai.

L'ombra della morte

Ancora la terra, come una nave, si dirige fuori del mare oscuro
sull'orizzonte azzurro e il sole si leva per vederci avanzare
lentamente in un altro giorno; pian piano il vascello
vagabondo delle tenebre segue la marea sorgente.

Per quest'alba che mi viene incontro, trasalisco


io sul ponte, nudo e sgomento alla luce del sole,
uscito perplesso dall'oscurità, sottratto alla persecuzione
della muta notte su cui sono imbarcati i giorni nostri.

Risorgere non mi sento, mentre su di me si spande la luce


del giorno; io sono sostanza d'ombra, tutto della notte
materia compatta, solo per errore trovandomi
spinto e tormentato tra folle di cose illuminate dal sole.

Io che ho la notte sulle labbra, che con un silenzio di morte sospiro,


cosa m'importa se le pietre stesse mi gridano irreale, se le nubi

[risplendono
nella vanità della loro sostanza su me, che son meno della pioggia?
Non so forse l'oscurità che è in loro? Se non dei sudari, che sono?

Le nuvole per il cielo vanno ricche di quiete,


un'ombra di scherno gettando su di me, come partecipe di morte,
ma resto fermo avanti a loro e cupo sfido il giorno
intero a far svanire l'ombra che nell'aria levo.
Sì, benché siano avvantaggiate le nubi su di me,
liete del loro volo luminoso, e morto sia l'amore,
io qui ancora non son senza casa e una tenda di tenebre
ho il giorno ove dorme lei sul suo letto perfetto.

Birdcage Walk

Quando via il vento soffia il suo velo


e di lei scopre il sorriso,
immobile impallidisco.
Quando via il vento soffia il suo velo,
per le pene mi lamento
d'amore e del domani:
quando via il vento soffia il suo velo
immobile impallidisco.

Tra vergogna e pena

Sta bruciando il tramonto e l'osservo:


anch'io andare vorrei
per le rosse porte, oltre la purpurea linea nera.

Andare vorrei
per le rosse porte ove liberarmi potessi
della vergogna mia come di scarpe nel portico,
della mia pena come di un abito,
e il mio corpo abbandonare, lasciandolo
quale bagaglio d'un viaggiatore partito,
andato nessuno sa dove.

Allora indietro volgermi vorrei, per vedere


il mio corpo che giace buttato come un rifiuto,
e riderne allegramente.

Invito alla morte

Da quando ti ho persa, mia cara, avvicinato s'è il cielo,


e io gli appartengo, chiare mi sono accanto le piccole stelle;
tra loro va la luna come un bianco uccello in mezzo a candide

[bacche,
e come un uccello frusciar la sento in cielo leggera.

E ora vorrei venir da te, mia adorata,


come un colombo che giù s'abbandona dalla cupola d'una cattedrale
per perdersi nella foschia del cielo; venire mi piacerebbe
e smarrirmi lontano con te, come spuma che si scioglie.

Perché son stanco, mia cara; ah, sollevare potessi i piedi,


i miei piedi tenaci, dalla cupola del mondo
per cadere come un respiro nell'ansimare del vento
ove tu sei perduta: che riposo sarebbe, amore mio, che riposo!

Sera grigia

Quando te ne sei andata, come mai ti sei portata via


il mio messale di deliziose, splendide ore?
Il mio libro di lucernarii e di rossi pergolati spinosi,
cieli d'oro e signore dai vestiti sgargianti.

Ora, sotto un grigio-azzurro crepuscolo, oltre la neve


che langue sui campi spogli, ammucchiate
stanno le grezze pietre di case rachitiche: dell'estate
i frutti felici tutti son colti e calpestati.

Ora come echi gialli brillano le lampade


tra le stoppie irreali all'imbrunire;
più avanti ove vibrati ha già i suoi colpi la falce della notte,
piccole stelle rotolano mature fuori dal guscio.

E la terra intera sparita è nel grigiore


d'una polvere mista a vapor d'oro,
eternità di rameggianti licheni, pallida come muffa,
da quando appassito s'è tutto il cielo e raffreddato.

Così io mi siedo e scruto il grigio volume


avvertendo le ombre come un cieco che legge
col terrore di trovare sanguinanti le ultime parole:
su, portami via questo opprimente Libro d'Ore.

Tramonto e lume di fuoco

A tutte le regine l'oscurità ruba le apparenze,


però i palmi delle sue nere mani son rossi
ardenti mentre covoni fan delle ore morte,
che tutte erano una volta gloria e tutte regine.

Io ancora ricordo le ore solari,


regine di giacinto vestite e cieli d'oro,
canto del mattino dove gli alberi hanno
volute damascate sull'inno dei fiori.
Qua bianche son le luci come nell'erba i bucaneve,
un camposanto è la città, così tranquilla
tutta e grigia ora che la notte è qui;
un altro tramonto rosso lacerato non verrà più.

Blu

Fuori dell'oscurità, dal sonno a volte inquieto,


scintille sprizzano balzando agli occhi in zampilli blu,
che rivelano segreti, custodendone infiniti.

Ogni tanto l'oscurità catturata in una ruota


rapida fluisce come un sogno e il blu dell'acciaio
la mostra allora che rotea vibrante.

Fuori dell'invisibile, fiumi di lucide gocce blu


scendono dai cieli piovosi, e ciuffi splendenti
di fiori blu ondeggiano dal basso elevandosi.

Tutte le varietà del blu stupiscono gli occhi,


componendo nei cieli un arcobaleno; nuove
scintille di meraviglia s'accendono per la sorpresa:

tutte queste cose essenziali si mutano in spuma e spruzzi


del mare della ricca oscurità, che misteriosamente
scossa s'apre in un balenio di vita, quasi delfini che balzano
nel mare di mezzanotte agitandolo a bruciare, sin quando vediamo la

[fiamma dell'ombra.

Campana a morto

Lugubremente gli alberi ondeggiano su e giù, su e giù.


Che cosa hai detto, mio caro?
Le foglie colpite dalla pioggia all'improvviso sono scosse,
come un bimbo addormentato ancora s'agita nella stretta d'un

[singhiozzo.
Sì, amor mio, sento.

Una solitaria campana, una sola, sfida il pomeriggio sconvolto dalla

[bufera.
Perché non lasciarla suonare?
Quando la odono si chinano le rose, i teneri, dolci
fiori dal cuore che sanguina e iniziano a pulsare.
Qual piccola cosa!

Sul prato cammina un uccello bagnato, chiama a vederlo il bambino.


Sì, non c'è più ora.
Chiamalo fuori dal silenzio, chiamalo a vedere
lo stornello che scuotendo la testa cammina nell'erba.
Ah, chi sa come?

Lui non può vederlo, mai posso mostrargli come scuota il capo
Non disturbarlo, amore!
mentre zampetta: non posso più chiamarlo da me,
mai: egli non è, qualsiasi cosa accada.
No, guarda lo stornello bagnato!

La coppa svuotala

Si scioglie la neve sull'erba.


Ragazzo, debbo dirti qualcosa?
Si scioglie la neve sull'erba,
ne assorbe la nebbia le chiazze,
e sul suo sciogliersi e impiastricciarsi
piena splende la luna.
Ma, ragazzo, sto dicendoti una cosa.

Con me ti ha coperto la neve nella villa.


Ascolta, e sentirai qualcosa!
Con me ti ha coperto la neve nella villa,
mentre si sono scaricati e fermati gli orologi,
e corte le giornate, a tua insaputa scorrendo,
si son succedute inavvertite.
Sì, ma sto dicendoti una cosa.

Quanti giorni pensi siano trascorsi?


Ora, ragazzo, una cosa ti chiedo.
Quanti giorni pensi sian trascorsi?
Quante volte ha riflesso il tuo volto il lume
della candela, più bianco e smunto divenendo?
Sette giorni, ragazzo mio, non altri.
Stai ascoltando questa cosa?

Sei venuto a dirmi addio, poiché


da alcune cose eri spaventato.
Sei venuto per farla bell'e finita con me
e per fuggire da una ragazza che più giovane sia
e sposarla più carina e fresca.
Sì, ma c'è che sei spaventato da qualcosa.

Non voglio baciare te, che tremi così!


Sei intimidito o cosa?
Felice non sei molto di andar via.
Desideri forse ch'io ti rivoglia? No, bello!
Quasi più niente in te è rimasto: su, vattene!
Ehi caro mio, dimmi qualcosa.

Tu, perfido, volevi lasciarmi, lo sai?


Certo che lo so!
Ma desideravi ti volessi ancora,
così avresti conosciuto anche la verità dell'animo mio.
Un uomo come te non si calma finché la sua audacia
non ha mostrato a una donna,
che sappia dargliene l'occasione. Vero?

E tu pensavi a una ragazzina,


eh, ragazzo, te lo dico io quel che pensavi.
Tu pensavi a una ragazzina,
che badasse a farti da moglie,
che sobbalzasse quando la tieni stretta
e pallida giacesse sotto di te, morta di paura.
Non è difficile trovarla.

Pensavi a volerti liberare di me.


Quel che è fatto è fatto.
Pensavi di volerti sposare per vedere
di essere padrone e signore di una donna.
Avevi bisogno di una donna diversa da me,
è chiaro, così chiaro che sei venuto
per dirmi addio! È così.

Ti dico che non sarai soddisfatto.


Meglio faresti a darmi retta, lo sai!
Ti dico che non sarai soddisfatto,
sinché una donna non t'avrà tolta l'ultima goccia
d'orgoglio, lasciandoti vuoto e mortificato,
vuoto, vuoto dalla testa ai piedi.
Questa, lo sai, è la verità!

Uno di quegli uomini sei che devono svuotare


- e per questo ti amavo -
il loro sangue in una donna, sino all'ultimo.
Devono, per quanto vi sfuggano;
lo vogliono, e ogni altra cosa è vana.
E una donna come me ti ama per questo.
Resterai sempre quello che sei?
Sì, sempre quello.
Mi guardi e mi capisci.
Allora puoi andartene, ora che mi odi.
Ma tornerai, perché quando un uomo
non si realizza, tenta ogni strada.
Allora vai, dacché è così.

Sei venuto a dirmi addio.


Ora vattene, dunque, vattene adesso.
Ti ci son voluti sette giorni per dirmelo.
Ora vai e sposati quella ragazza
e vediamo quanto passerà prima che tu sia
stanco e abbattuto per i suoi piaceri
e bramoso dei miei. Vattene allora!

Sei l'uomo d'una donna, ragazzo mio,


ma di una donna qual so io.
Dunque vai, che non avrai pace sinché
non sarai andato dall'altra, perché io sono
un brutto tipo di donna per qualsiasi giovanotto.
- Sì, un tipo curioso!

A tarda notte

Nel buio rigida dorme la casa, solo io,


estranea creatura, attraverso il salone
e per le scale salgo a trovare il gruppo di porte,
ritte custodi alte e severe.

Il rifugio desidero della mia camera. Ma cosa è


questa folla d'esseri sussultanti confusamente lanciati
all'improvviso contro di me che entro? Son solo le ombre
larghe degli alberi che proietta il lampione dalla strada?

Fantasmi e fantasmi; strane donne piangono


forte, inaspettatamente facendomi balzare
in corpo una paura indicibile, mentre il vento irrompe
fremendo e tra le persiane si lamenta.

Così simili a donne, alte strane donne che piangono!


Perché continuamente mi attraversano il letto?
Perché si contrae l'animo mio con innaturale paura?
Io sono in ascolto! Dicono forse esse qualcosa?

E sempre le lunghe figure piombano nere accanto al letto.


Loro sembra che facciano cenni, corran via, e facciano cenni.
Allora dove si va? che cosa?
Dite, qual è lo scotto?

Alte Baccanti nere di mezzanotte, perché


perché allora vi buttate al mio assalto?
Mi son forse intromesso nei vostri riti notturni?
Ma a cosa mi servirebbe?

C'è un qualche grande Iacco in questi tetri


paraggi suburbani?
O io profanato ho qualche femminile mistero,
orge nere e spettrali?

Mattino dopo

Come son io andato vagando sin qui, sotto la volta


di questa camera, nella casa della vita? ... D'oro il pavimento
era increspato ieri sera, e lei, teneramente fiorita,
trasluceva come al crepuscolo fanno i fiori,

al fresco della notte liberando il profumo mentre


le tenebre d'ogni sudicia forma di muffa cosparsa, ora sono,
e l'umida vecchia tela d'un'eredità di miseria
ammorbidisce questa grigia, cadente piega dell'arazzo del giorno.

E cosa, venendo a galla sulla foschia dello specchio,


verso la grata va del camino, quasi sentisse, non vedendola,
la strada verso il calore? - Un essere con una cimasa
alla sinistra? - Fantasma simile a una candela che si scioglie?

Macchia pallida, con due nere gocce tonde, come svanendo


in mezzo ad ogni altra cosa, qui avidamente pian piano
m'avvicina!... è il mio riflesso! Esplicito segno
della mia presenza là, nello specchio che pende dal soffitto!

Qualcuno combaciare farà quest'ombra allora con l'essere che fui,


come lo conobbi, l'altra notte, quando l'animo mio chiaro suonava

[come una campana


e felice come d'estate la pioggia? Perché dovrebbe essere così?
Cosa d'avverso m'accade, perché sia io in quest'inferno?

Viale d'inverno

Sugli alberi s'è stabilito il gelo


soffocando crudelmente le fantasie delle foglie,
che in silenzio le ha fatte sparire, spazzate come
romantiche storie d'altri tempi, che più non si raccontano.
Nudi gli alberi lungo il viale stanno pensierosi,
spento il loro abbondante, estivo vociare,
chiusi nella loro severa corteccia, affrontano l'urto
lungo e impietoso dell'inverno implacabile.

Una mano rimesso ha nel fitto dei rami alcune foglie?


Forse qualche debole, piccolo germoglio ha posto sulla filiforme

[betulla?
Son solo i passeri sui ramoscelli come nere foglie morte,
appollaiati a mucchi contro l'azzurro, tutti una cosa col loro sostegno!

Chiaro il cielo gelido riflette freddamente.


L'aria come un vivido pensiero tersa spira, e tutto,
alberi, uccelli e terra, s'arresta assorto,
in attesa della sentenza emessa dalla celeste volta.

Parliament Hill di sera

Si dissolvono le case nella liquida nebbia,


macchiando la spessa aria sporca
con chiazze rossastre che resistono ancora
alle lente attenzioni della Notte.

L'invernale crepuscolo svanisce senza speranza,


si consuma la città davanti agli occhi,
come il corpo è consumato quando la morte invade
tale fortezza del piacere.

Lenta brucia la brace verderame, spandendosi


soffice per il sudario della città, mentre le luci
notturne qua e là si dilatano piano
in uno spettrale splendore.

Banchina di notte prima della guerra


Carità

Lungo il fiume
nell'umida notte nera, mentre scende furtiva la pioggia,
cascando e sussultando nel sonno,
su un sedile, sola
si rannicchia una donna.

Devo tornare da lei.

Voglio darle
del denaro. Fuori scivola dall'abito sul petto
addormentato la sua mano; scorrono le mie dita
leggere sul dolce rilievo del pollice
nel palmo profondamente scavato.

Ecco il dono!

Dio, come trasale


e me guarda e guarda nel palmo della sua mano
e quindi me ancora!
Mi volto e corro
giù per la banchina, fuggo per salvarmi.

Ma perché? Perché?

Perché son come singhiozzi


i battiti del mio cuore e io torno in me stesso.
Mi fermo nella strada splendidamente traboccante
di umide luci basse. Non so
quel che ho fatto: in lotta è l'animo mio.

Toccato fui nel vivo. Voglio dimenticare.

Banchina di notte prima della guerra


Reietti

La pioggia notturna, invisibile sgocciola


e senza posa arriva a baciarmi viso e mani.

Tra i lampioni scivola il fiume


svelando i suoi nascondigli;
è illuminato da strisce dorate
a mezza via lungo le sue rive palpitanti.

Sotto il ponte
grandi vetture elettriche passano
ronzanti, ognuna con un riquadro di luce che le corre accanto.
Molto lontani, moscerini e moscerini
alla deriva sull'abisso che sbarra la notte
col silenzio, traversano la corrente toccata dai lumi.

Qui, a Charing Cross, sotto il ponte


in fila dormono gli esclusi
stipati l'uno appresso all'altro, con le teste contro il muro
i piedi in riga scomposta allungati
per terra, e un pezzente lancia un'occhiata
a questa scoperta stalla stando da un lato.

Quando dormono gli animali si coprono il viso


con un lato del corpo; stracci hanno questi
e membra in disordine nel loro sonno indifeso.
Però, quando i tram
gironzolando col fruscio d'una brezza
fan balenare come di sole un raggio traverso la nera massa vile,

due volti inermi compaiono nudi,


addormentati, due pallide macchie
rapprese, spazzate dalla luce delle vetture,
due grumi di spuma mostrati
nella povera, lunga marea ammassata,
due chiare, nitide stelle dischiuse tra erbacce melmose.

Sul pallore di due facce soltanto


passa il raggio vagante dei tram;
in due soli luoghi tristi rivela
il bianco osso nudo della nostra ipocrisia:

barbuto il piccolo uomo, consunto dal sonno,


dal viso come il fior di centone;
pesante una donna, ancor dura
e nei tratti rigida mentre dorme.

Sul pallore di due punti soltanto


balzati dalla negletta, nera massa scomposta
scivola la luce del tram che correndo
esce dal profondo.

Eloquenti
membra disordinate,
membra dolci nel sonno d'un giovane dalle cosce
lunghe e lisce, il caldo cercando contratte;
e l'orlo fangoso dei pantaloni logori
sui fragili stinchi nudi d'un uomo che agitandosi giace;

cinque rosse dita, pallottole sudice


come uccellini abbandonati in un nido di fango
rossi e implumi;
fogli di giornale avvolgono le membra
come pacchi e si strappano quando si muove
chi dorme o si gira nel riflusso della massa;

le ginocchia d'una donna,


rannicchiata difesa
che ella raccoglie sotto la gonna spiegazzata.
E stranamente pochi rumori giungono
dall'insieme di questi disgraziati
che insensibili dormono sulle lastre di pietra.

Sulle due facce, nette nel mucchio,


spudorate e chiare,
viaggia la luce, oscillando nel suo cammino
e d'un colpo sparisce.

Ai piedi degli addormentati,


vigilano quelli che aspettano un posto
per distendervisi; e così immobili, in piedi, dormono,
stancamente prendendo
il lento ondeggiare degli altri,
come annegati, che ritti galleggiano in mare.

Oh dimore ronzanti,
i tram dalle luci d'oro
che alti viaggiano e svaniscono rossastri nella notte!
Sui suoi piloni il ponte
s'incurva come un funebre drappo
su quest'umana rovina.

Sulla passerella esterna,


pian piano passa la folla dei teatri,
alti tenendo gli ombrelli che lucidi lampeggiano,
come fiori d'aglio infernali
che sull'erba notturna oscillano
umidi e vagando spariscono alla vista.

E ancora, presso la fila disfatta di piedi scomposti,


reietti montano la guardia,
dimenticati,
dimentichi, sinché la sorte uno ne sottrae
dal drappello.

Verso il Surrey le fabbriche


nere spiccano meravigliose su un cielo grigio-oro.
L'acqua invisibile del fiume scorre
e palpita come un metallo che ricco appare all'occhio.

E grandi moscerini dorati


attraversano
gli archi dei ponti
sopra l'umano groviglio.

Malattia

Lentamente davanti m'ondeggiano, tese nel buio


le mani che invisibili esplorano il silenzio,
caute, portandosi dietro la scorza del corpo.

Le dita incontrano solo la lanugine della notte


che invisibile il viso m'inganna e gli occhi. Cosa accadrebbe
se le mani nel loro vagare toccassero la porta?
Cosa, se d'improvviso inciampando, l'aprissi
e un'immensa alba grigia vorticasse ai miei piedi,
prima ch'io possa indietro tirarmi?

Cosa se involontariamente la porta spalancassi dell'eternità


e spazzato fossi via in un'orribile aurora, se sparissi nel gorgo
dell'aldilà eterno?

Prendimi le mani, amore mio, e stringile al petto.


Distoglile dalla loro avventura, prima che il destino
loro strappi ogni senso.

In chiesa

Nel coro l'inno cantano i giovani.


La luce del mattino sulle loro labbra si muove
in bagliori d'argento-umido, musicalmente.

D'improvviso, fuori dell'alta finestra, pende


un corvo nell'aria e riluce
sulla cima dolente d'una quercia rinsecchita.

Una macchia, un uccello ripiegato e immobile


sulla cima d'un albero secco!.... nel calice
cristallino del cielo cade una nera, grossa goccia,

una molle goccia colma d'oscurità che sembra


fluttuare nel delicato vino
della nostra domenica, oscurando il nostro sacro giorno.

Pianoforte

Nella penombra, dolce canta una donna per me;


a ritroso mi porta lungo la prospettiva degli anni
finché un bimbo seduto vedo sotto il pianoforte, nel frastuono del

[vibrar delle corde,


abbracciato ai piccoli piedi sospesi d'una madre, che mentre canta,

[sorride.

Contro la stessa mia volontà, il potere insidioso del canto


indietro m'attira, piange allora il cuore mio prigioniero
delle vecchie serate domenicali, a casa, con l'inverno fuori
e nel salotto comodo gli inni, e il suono del pianoforte a guidarci.
Così ora non serve che prorompa la cantante seguendo
il clamore del grande piano nero "appassionato". Su di me
sta il fascino dell'infanzia, precipitata è la mia virilità
nel fiume dei ricordi e come un bambino lacrimo sul passato.

Il settentrione

In un'altra regione, sopra uno stagno s'agitano neri pioppi,


e dietro le volute di fumo si spandono dalle fabbriche salendo e ruotano le
cornacchie:
l'aria è scura al nord per il vento e lo zolfo, e verde cupo è l'erba,
di porpora rivestita la gente nereggiando si muove palpabile per la

[scena.

Giù per le contee, silenziosamente, fuori dalle tenebre risonanti


che il nord ricoprono di stupore e rossore, il lento rombo profondo va
dell'umana vita lassù costretta, nel ronzio chiuso dell'acciaio

[rosseggiante
per il girare continuo sino al sonno, ottuso e narcotizzato dalla

[rotazione.

Fuori dal sonno, dalla depressione del moto, silenziosamente geme


e rimbomba sonnambula l'anima della gente prigioniera,

[addormentata
nella regolarità della forte macchina che corre mesmericamente,
[rintronandola col suono delle sue
parole
e senza speranza muovendola automaticamente, il di lei volere

[sottomesso al suo.

Ancora arriva interamente l'inudibile suono monotono, fuori dell'aria

[violacea,
il lamento degli esseri al sonno costretti, in un involontario, duro

[lavoro
là nel nord incantato, ora convulso per un sogno al mattino vicino,
per i violenti dolori che a provocare si levano il non lontano risveglio.

Tempesta d'amore

Molte rose nel vento


picchiettano sui vetri.
Un falco è in cielo; iniziano
lentamente a vibrare le sue ali.

Le rose son strappate dai colpi


del vento, e uno spruzzo
di rosso scende nell'aria fluttuante.

Sospeso ancora è il falco, e il cielo tutto


alle sue spalle scorre: solo un battito d'ala
svela la volontà che lo sostiene.

Tra l'erba si curvano le margherite,


il falco s'è lasciato cadere, il vento consuma
tutte le rose, e senza fine
uno stormir di foglie filtra il lacerante
grido d'un uccello.

Col vento va una rosa rossa. Il falco


la sua via battuta dai venti risale e senza fatica
verso il profondo cielo si dirige. Inviando le margherite
strani bianchi segnali, sembra vogliano
mostrare da qual posto sia stato lanciato il grido.

Ma, cuore mio, oh come stanno pigolando gli uccelli!


Un argenteo vento in fretta il viso
asciuga alla più giovane tra le rose.

E, cuore mio, oh smetti ogni preoccupazione!


Il falco più non c'è, sui vetri una rosa
picchietta come gli sbuffi del vento dell'ovest.

Batte, batte, altro non è che i colpi d'una rosa rossa,


e la paura è un fremere d'ali.
Che c'è, allora, se sbatte una rosa scarlatta
precipitando per la grigio-luccicante rovina delle cose?!

Breve visita a Elena

Tornando, la ritrovo sempre uguale,


proprio allo stesso gioco vecchio e delicato.

Ancora ella dice: "No, non liberar fiamme


a lambirmi e farmi del male!
Sii sempre te stesso!... perché rovinare il fascino
del tuo ardente cuore nel quale io guardo?!
Oh, meglio lì che in alcun libro
i drammi risplendono e si svolgono i sogni
che sempre amo!.... lì sembra
tu sia più attraente della vita stessa, sinché non arriva
il desiderio a lambirmi traverso la diga delle tue labbra,
e sul viso il fuoco randagio mi guizza
lasciandovi una scottatura, dolore terribile
che dell'olio ha bisogno dell'illusione. Oh, cuore
di fiamma e di beltà più non liberar
il tuo viperino fuoco bramoso; ah, la passione
riponi nel cestino dell'anima tua,
sii sempre te stesso, un ardente carbone gentile
che sopporta per la salda gioia del suo stesso calore!
Poiché in tal fuoco si crepa la porcellana
della mia carne e si frantuma spezzandosi dolorosamente,
s'anneriscono l'avorio mio e il mio marmo a macchie;
in due il velo si strappa del mio sensitivo mistero,
sudici diventano i miei altari e io resto spoglia,
esecrabile sacerdotessa, presa invano..."

Così il ritornello
vien ripreso, e il gioco così
di nuovo inizia e io vi sono tenuto
come un bracere che debole riluce azzurro di fiamma
perché la delicata adepta d'amore
le mani possa scaldarsi e sciogliere l'anima sua,
che incenso sparge e sale di parole
e pallidi baci, e piano i fumi assapora
del tributo d'incenso, che s'alzano come uccelli.
Eppure in questo gioco mi son perso,
e conosciuto ho cose che non debbono aver nome.
Scordato ho il luogo da cui son venuto,
vedendola schermirsi dalla fiamma
e nel contempo ad essa scaldarsi... quindi
biasimarmi perché nel cestino m'agito;
perché ardo, ma non di contentezza
al veder spegnersi la mia sostanza così sottilmente,
perché il suo gioco interrompo...
Orgoglioso dovrei essere della sua richiesta:
ch'io sia la sua opale di fuoco...

È giusto,
poiché son qui per così breve tempo,
non interromperla? Perché dovrei
intervenire con replica alcuna?!

Vent'anni fa

Lillà e fragole erano attorno alla casa


e farfare a ricoprire i sentieri,
e sulle dune di sabbia, molto lontano, rovi di more
prendevan la polvere dalle larghe anse del mare.
Lungo le terre incolte avanzavano i boschi,
e dalle loro chiome cadevano le noci.
Le reti al cancello appese ostacolavano
la corsa a lume di stelle d'una lepre.

Nei campi, d'autunno, la stoppia


fischiava la musica della spigolatura.
Sui ginocchi d'una madre,
i guai perdevano ogni senso.

Sì, quale buon principio


per questa triste fine!
Abbiamo noi colto i nostri frutti?
Dio ci protegga!

Leggendo una lettera

Seduta è lei nel giardino della ricreazione sotto una quercia


le cui gemme punteggiavan di giallo il pallido cielo azzurro.
Brilla al vento l'erba tenera e tra il groviglio dei germogli
l'aria risuona come sotto a una volta.

E sotto quella volta intricata di vento


rapita è e sollevata come in un pallone
traverso il vuoto assente, finché per vedere non si china:
sotto di lei la sabbia del deserto e il plotone desolato.

Giù riconosce la desolata terra, arida ovunque, in un sol punto


col suo colore di vita muoversi la vede, agitarsi e rigirarsi.
Ma il moto mai ha volto umano o suono,
solo di macchinari si tratta che ronzano a intermittenza.

Quindi, nel giardino della ricreazione, nuovamente


scende come un'estranea, meravigliata per la novità della scena;
e soffre alla vista dei bambini che intorno le giocano
ferita dai tulipani color del gesso e dalla verde sera.

I sette sigilli

Così questa è l'ultima notte che a casa ti trattengo,


vieni allora, voglio darti la benedizione per il viaggio.

Avrei preferito tu non partissi. No, vieni,


ancora non ti rimprovererò. Stenditi supina
e a lungo lasciati amare prima che tu vada,
perché cupo il cuore hai sempre e la voglia
ti manca d'amarmi. Ma anche così
voglio metterti il sigillo colle mie labbra,
porti una guardia d'onore ad ogni entrata,
sigillare ogni uscita da cui sgusciare potrebbe
il tuo amore per me.
Ti bacio la bocca. Oh, amore,
suggellare potessi io questa rossa, brillante fonte
di passione, seccarla, distruggerla, asportare
questa mobile, morbida sorgente cremisi
di baci! Oh, Dio mio, aiuto! Qui a questa fonte
giacerei per sempre bevendo e svuotando
le tue vene, come assorbe il cielo dal loro corso
i diluvii.
Coi baci chiudo i tuoi orecchi
e le tue narici sigillo; e porterai al collo intorno
- Su, lasciami fare - di baci una catenina.
Ti cingono essi come grani, e ognuno
dai suoi vicini è stretto.

E qui,
proprio nel mezzo del tuo vasto petto,
grande pongo un ardente sigillo d'amore
come una rosa scura, una misteriosa saldatura
sul ribollire lento del tuo ritmico cuore.
No, insisto, e una fede profonda mantenerti deve
integra per me. Ogni porta, ogni mistica porta
d'uscita da te, bollare io voglio e impregnarla
di crisma perfetto.
Ora è finita. A martello suonerà
la campana nel cielo prima che ciò sia disfatto.
Ma terminare lasciami quel che ho iniziato,
e rivestirti ora con un'invulnerabile maglia
di baci di ferro, di baci intrecciati come acciaio:
sulle tue cosce gambali e i tuoi ginocchi, sottile
foglia d'acciaio sui tuoi piedi. Così ti sentirai
invulnerabile e legata a me, per i sette grandi
sigilli sulle tue uscite, per la catena
intrecciata col mio mistico volere, perfettamente
su di te avvolta, avvolta in me, indomabile.

Le due mogli

Nella penombra chiara della camera bianco sedimenta


il flusso di un'altra alba. Il vento che inquieto
ha atteso per tutta la notte, d'improvviso un vortice
soffia quasi di neve dai susini e dai peri
e l'intelaiatura riempie della finestra con petali
per farveli morire in un mucchio.

Una bianca infermiera, presso il vetro che albeggia in quella spuma

[di fiori
tira giù le persiane, la cui ombra appena colora
i bianchi tappeti sul pavimento, così il letto silente
per la camera fluttua come un'isola di ghiaccio,
il profilo definitivamente formato dall'austera linea
del morto disteso immobile.

Da meno di un anno le due loro paia di piedi calcavano


il pacifico pavimento, quando sulla loro pace cadde la guerra.
Ma presto, troppo presto, lo ebbe lei a casa di nuovo,
con le ferite tra loro e la sofferenza, ospite
che andarsene non vuole. Ora che sparisce all'improvviso,
il dolore lascia un petto svuotato.

Una donna alta, con la sua bianca gonna lunga


che ondeggia ad ogni suo passo, una volta ancora
verso la stanza si affretta. Lo comprese lei forse,
silenziosa ascoltando fuori della muta porta?
Entrando, di profilo lo vide, alto su una pira
in attesa del fuoco.

Lo vide sul letto in rilievo, i piedi


che spuntano ad arco come la prua d'una barca,
la testa indietro distesa come la poppa d'una nave
col sartiame gelato, su un irreale mare di neve;
e cadde, come una felce ripiegandosi a terra scivolò,
recisa peonia dallo spettrale pallore.

Morbidamente giacque come un morto fiore gettato,


non sentì così l'infausta entrata, né vide l'altro amore,
la triste amante dall'occhio sepolcrale che tanto osava
e in quell'ora, rivendicando il proprio diritto
su una moglie afflitta, caduta in oblio, piegata
dalla sofferenza, senza più orgoglio.

3
I capelli dell'estranea eran tagliati come sulla testa scura
di un ragazzo e era pallido il suo viso d'avorio: silenziosi
i suoi occhi mentre ella guardava: poiché in loro
completa era l'oscurità del fallimento, senza rimedio.
Tetra, per l'irreparabile disastro, lei che aveva perso
ora l'ospite reclamava.

Leggera sorpassò il fiore pieno di dolore caduto,


biondo e bianco sul pavimento, e neppure girò
da quella parte la testa, ma dritta andò lentamente
verso il letto e fissa bruciava la fiamma dei suoi occhi.
Lo vide che giaceva con le guance bendate
e con tenerezza cominciò

a parlare: "Sapevo che sarebbe finita così", disse


"sapevo che presto, un giorno così ti avrei trovato.
Per questo non lottavo con te: tu andavi per la tua strada
invece di seguir la mia, e di noi due
...io morii per prima, io, che nell'oltre-vita
son ora tua moglie.

Fui io, con le mie dita, a tirar su la pianta


giovane del tuo corpo: e me tu guardavi
prima che il segreto lunare spuntasse entro i tuoi occhi!
La mia bocca t'incontrò prima che la bocca tua, bella,
rossa, cominciasse a cantare: e mai il tuo canto l'amore
mio rinnegò, finché non andasti al sud.

Fui io a posare di virilità il fiore sulla tua armoniosa


gioventù: io con fremiti e viticci ricoprii d'un manto
di nuova conoscenza le tue spoglie membra
ardenti: io al tuo cuore impressi il più forte battito:
io t'offersi il mio vigore, e la vita mia
gettai ai tuoi piedi.

Ma io, che hanno educato gli anni a essere tua sposa,


che per anni fui il sole per i brividi tuoi, per il tuo sudore l'ombra,
che per un anno eccezionale fui come una sposa per te,
tu m'hai riposta con le vecchie cose dolci della nostra gioventù.
Mai da allora di dolermi ho cessato per non essere stata grande
[abbastanza
per vincere ciò che di più basso era in te.

Ma ora tu mi sei restituito


e intatta io ho mantenuta per te la tua verginità.
E avanti vado per il resto della vita disinteressata,
indifferente qui di me stessa, da quando andata son io
ove tu sei andato, e noi due, laggiù,
come tutt'uno camminiamo.

Io son la tua vedova, e io soltanto.


Sogno che Dio con la testa annuisca e mi conceda lo sguardo
supremo e puro di questo tuo volto eterno, morto, da cui
sparita ora è la mobilità, il suo scatto da pantera,
e che tutto l'essere tuo a me sia porto, così nessuno
potrà deridere la mia interna lotta.

E finalmente bacio adesso il tuo viso perfetto


ora compiendo il nostro primo abbraccio interrotto.
Il silenzioso tuo sguardo, che Dio allora in fiamme
vedeva in ogni cespuglio ti è restituito,
e quindi noi ci siamo incontrati per terminare felici
il resto dei nostri giorni".

Si rialzò l'altra donna e subito disse:


"Ecco! Sei venuta a prenderlo adesso che è morto!
Ora è il tuo trionfo, ora che soltanto lui è
uno dei tuoi sogni! Questo è tutto quel che sempre
in lui vedere hai potuto: sognarti nel sangue
del tuo cuore ferito.

Come l'hai amato tu, tu che la sua mente solo


hai spinto sinché gli consumasse il cuore?!
Tu sei stata a ucciderlo, quando entrambi vi riempivate
di parole e cose ben dette. Ma lui non t'amò
mai nell'altro senso, mai il desiderio suo
arrivò a toccarti come fiamma.
Prendi quel che è tuo, il ricordo delle parole
tra voi dette, ché il suo tocco non conoscesti mai.
Mai come uccelli a te volaron le sue carezze,
il peso suo scendere mai hai fatto su te
per una notte intera.

Prendi quindi l'eternità, poiché questa non è


che un'altra parola, vanità e presunzione!
Ma non toccar quest'uomo che mai,
mai davvero a toccar te ebbe piacere. Per te non è
la mortalità ed egli mortale è ancora
contro ogni sua voglia.

Anche morto, mortale è tuttora e i suoi capelli


per quanto freddi, sono morbidi. Toccarlo
non osare, mentre ancor qui giace!
Stagli lontana, e se col suo spirito evanescente
comunicar ti piace, fallo in qualche altro luogo
come un'armonia perduta.

Ma non devi toccarlo, ch'egli odiava


esser da te toccato, come diceva, e lo saprai tu pure.
Perché sei qui? Cos'è per te il cadavere suo?
Tienti lontana assai e, come un Giudeo,
rallegrati ch'egli sia morto e tu no.
E indietro stai, hai capito!"

Fragor di battaglia

E lungo ogni ora, la città


rugge, qual fiera che giace
ferita in un antro
e affogare si sente nell'impetuoso
fluire dei giorni, onda dopo onda,
sulla sua tana.

Invisibile una maledizione libera


il diluvio che supera
ogni limite: grande la vecchia città
rugge distesa e la zampa
schiumosa sente dell'acque
protendersi dall'immensità.

Ma tutto ciò che far può,


mentre sale la marea,
è ora ascoltare, e le onde
sentir sinistre abbattersi come tuoni
per le strade frantumate, e sordo il fragore
sentir rotolare negli intervalli.

Al fronte

Molto lontano, a casa, i gigli statuari stan bianchi, schierati in

[giardino.
Voglia Dio cadano presto in frantumi, e nella terra grassa li calpesti il

[bestiame.
Vorrei in fiore i sambuchi sollevar si potessero improvvisi e le pareti
sfondassero di casa, e veloci ortiche spuntassero sul cuore che

[m'allevò.

Così tranquilla sta, nel suo composto silenzio d'alberi e d'inviolata

[pace
la casa dei miei padri, il luogo che m'appartiene, mio fato e mio antico

[arricchimento.
E ora che stan cadendo i cieli e il mondo scaturisce sudici zampilli,
l'anima darei perché con me rovinasse questa rustica casa, assieme
[sparissimo d'un
unico colpo.

1916: realtà della pace

Gli alberi nell'affanno d'autunno,


e le bacche che rosse cadono dal cespuglio,
e le miriadi tutte di leggeri semi
vaganti nella spinta insistente del vento

si lamentano sommessi per il parto autunnale;


i poveri frutti oscuri dalla luce respinti
nel mondo d'ombra, trascinati sono
tra le amare ginocchia della notte ulteriore.

Ricoperti d'un desolato ardore, nell'intimo uniti


da un nodo di vita che solo la felicità può sciogliere
tutti i frutti cadono al suolo molto amaramente
e amaramente passano ad amara corrosione.

Qual è la micidiale cosa che la violenza stessa


ha chiuso entro la quiete del furore?
Non si saprà finché non scoppi
dalla decomposizione una nuova fioritura.

Sì, ma come viene intanto torturato il terribile seme,


la sua interna, intensa scintilla, dal digrignare
all'esterno della mordente corrosione, dal duro morso
che distrugge la piccola indifesa corazza!

Duro non far sortite e ripiegar l'assalto!


Conoscere il mistero, ma non andare avanti!
Sopportare e non reagire, badando a salvar la scintilla
dalle furie della corrosione, quanto i semi dalla tramontana.

Più aspra e terribile è la pressione, quanto più duro è il cuore


che l'azzurro grano conserva di fiamma celeste
entro il suo vivo, impegnata a resistere e aspettare,
a soffrire incurante, solo a non spegnersi costretto.

Narciso

Dove tracciano i pesciolini una ragnatela


lucente che l'oscurità del ruscello rapida cela,
quando a quel luogo penso
e ricordo il ragazzino sdraiato a scrutarli
traverso l'ombrosa superficie
intessere i loro fili per l'acqueo recesso,

mi sembra
che una donna come te una ninfa esser dovrebbe
e che esista uno stagno ove dovremmo stare noi:
tu, chiara ondina madreperlacea,
fresca acqua senz'anima, stagno
che il mio corpo penetra, ultima scuola dell'anima mia.

Narciso
molto tempo fa s'avventurò nelle profondità del riflesso.
L'Ilisso
ruppe gli argini e dilagò: vaga memoria
dei pesci
che muti si muovevano in una nuova celeste direzione!

Ritorna
ondina verso le acque;
per me vorrei
uno stagno! Liberati dell'anima, oh, rinuncia
al tuo umano io immortale; segui dell'acqua il corso.

Soldati in treno

Splende il sole,
le farfare fiorite lungo la massicciata
della ferrovia brillano come monete lisce disseminate
da Giove ai lati dei binari, a ringraziare.

Un campanile
tra gli olmi violacei sta e gli asfodeli
che sotto spumeggiano: sul fondo
colline luminose... e in giro nessuno.

Inghilterra, Danae
sotto questa pioggia di cosmico oro
che cade nel tuo grembo di terra,
che siamo noi dunque?!

Cosa siamo noi,


che rotoliamo, color della creta, sfiniti
mentre per miglia e miglia, precipita
il treno del nostro destino?

Una mano è sul mio viso


una mano fredda. Occhiate furtive tra le dita
getto ad osservare il mondo che indietro
s'attarda, pur tenendo il passo.

Sempre è lì, quando lo spio,


tra le dita che mi coprono il volto!
Cos'è allora che dal suo posto precipita
e per la scarpata giù rotola?

Il treno è forse,
che come un meteorite
a ritroso cade nello spazio
senza speranza di posarsi più?

O è il modo illusorio,
che dalla realtà crolla
sotto i nostri occhi? O siamo noi
qual fulmine scagliati?

L'una cosa o l'altra


è perduta, da quando via roviniamo
divisi l'uno dall'altro
perpetuamente spinti da un unico moto.
In marcia

Siamo fuori, nella strada aperta,


traverso la bassa finestra dell'ovest una fredda luce si spande
sul suolo che mai prima calcarono i piedi miei
intorpiditi; avanti va la strada sconosciuta.

Presto gli spazi del cielo d'occidente


saran chiusi da persiane di nuvole scure.
Ma ancora saremo insieme, io e questa strada,
insieme ovunque, per quanto è lunga, vada.

Siamo inseguiti dal vento e sul grano


pallide ombre volan da noi lontane, come da nemici.
Quasi serpenti battiamo la vasta landa abbandonata
mentre oltre la lunga strada continua.

Nel cielo bassa la stanca luna si dissolve;


traverso i pioppi soffia il vento della notte;
attorno saltellano pallidi fantasmi assonnati
quando chiede il vento dove vada la strada leggera.

Molto distante un lume s'accende.


In file brillano piccole luci quasi invisibili,
che mai s'avvicinano per quanto procediamo
avanti, ovunque la strada sconosciuta vada.

Passo dopo passo tetro e sordo ricade.


Sempre uguale è il vento e di noi nessuno
conosce quel che vi sarà all'estrema sosta,
quando scopriremo dove questa nostra strada vada.

Poiché qualcosa avverrà, se passiamo e ripassiamo


per i contorti spasmi convulsi di questa marcia,
lungo l'erba invisibile che va,
ovunque vada questa vecchia strada.

Forse perverremo all'oblio.


Forse cammineremo finché stanchi i nostri piedi
sull'orlo d'un abisso arriveranno e lungo la china
senza fine precipiteremo dove ci porta l'ultima strada.

E così, avanziamo, diritti,


se andiamo a dormire il sonno
di quanti per sempre cadono nulla sapendo
di questa landa che l'ingiusta strada traversa.

Rovina
Il sole sanguina i suoi bagliori sulla nebbia
che in grigi cumuli s'affolla e s'avvolge esitante.
Come scogliere che in ombra celino un morto mare grigio
alcuni banchi si spingono al termine delle strade.

Sulle devastate terre nebbiose, staccandosi sul grigio arrossarsi


del mattino, gli olmi maestosi dai vaghi contorni, s'elevano
alti quasi verso di noi marciassero per l'aria, lunghi angeli
dell'oscurità che su tutti avanzano tenacemente.

L'attacco

Quando uscimmo dal bosco


una grande luce apparve!
La notte s'era levata
bianca.

Meravigliato, mi guardai intorno:


era così chiaro! Brillante
la stoppia per terra
splendeva bianca

come un campo di neve;


eppure caldi i ricorrenti
respiri leggeri della notte
mi passavano sul viso!

Bianca di corpo era la Notte e calda,


dolce-profumata a sentirla in gola,
chiara e luminosa.
Un battito leggero

pulsava per il blando essere intero


che Questa con me formava;
un battito che sempre stava per sparire
eppure non ci abbandonava.

Di fronte all'ira terribile, alla morte,


immobile scintillava tale meraviglia!
Tutte le sue incredibili forme, col fiato sospeso,
ascoltavano ferme

in estasi fantasticando:
bianca Notte intera!
Stupito, ogni albero nero
completamente fioriva.
Vidi la trasfigurazione
e l'Ostia, presente:
transustanziazione
dello Spirito Luminoso.

Quiete invernale

A causa della neve silenziosa, tutti eravamo


ammutoliti per la paura.
Nessun colpo di fucile, né in alto alcuna vibrazione
che irrompa a distogliere la nostra attenzione
dal vuoto che ci schiaccia.

Un corvo plana ad ali tese


senza un rumore.
Il silenzio si libra ininterrotto
invisibile, impercettibilmente,
in ogni angolo della nostra ansia.

Non ci guardiamo tra noi e gli occhi


trepidi ci copriamo.
Terra bianca, e rovine, noi stessi e null'altro...
tutto smentisce
la nostra esistenza; aspettiamo, eppure non siamo.

Assieme in un unico abbraccio, annullati


uomini e suolo nevoso.
Il silenzio è, solo il silenzio e mai un suono
né un fatto reale
che ci aiuti: tragicamente relegati nel silenzio!

Bombardamento

Al sole s'è la città aperta,


largo, rosso giglio con un milione di petali
spiegati; e si sfa.

Terso il cielo sfiora


i mille comignoli luccicanti
e dolcemente evapora al sole la città.

Frettolose creature corrono


entro il labirinto del fiore funesto,
cos'è che voglion sfuggire?

Un nero uccello precipita dal sole,


e nella sua corsa si dirige verso il cuore
dell'immenso fiore: il giorno è iniziato.

Rondò di un obiettore di coscienza

Han rovesciato le ore le loro plumbee sabbie monotone


ammucchiandole a occidente in pesanti cumuli grigi.
Incupito io trascino la mia pazienza traverso lande devastate;
il domani indietro riverserà tutte le tetre ore che detesto.

Il mio carro traverso il fradicio sudiciume invischiato nel fango


spingo e il nero sporco mi schizza sulle mani
mentre al tramonto faccio ora la mia strada verso il riposo.
Han rovesciato le ore le loro plumbee sabbie monotone.

Un pruno ritorto immobile è nella sera


in difesa del ricordo delle foglie e del tondo nido felice.
Ma la melma di queste stanche regioni s'è riversata nelle case,
ammucchiandole a occidente in pesanti cumuli grigi.

Tutto il giorno del ferro i colpi sul ferro hanno angosciato


i nervi scoperti del luogo. Adesso un po' di silenzio si diffonde
in un ansito di sollievo. Ma l'animo ancora è costretto.
Incupito io trascino la mia pazienza traverso lande devastate.

Han finito di cadere le ore, e comanda una stella


alle ombre di ricoprir la nostra umanità ferita, e al sonno
benedetto di renderci dimentichi; ma la stella lo sa:
il domani indietro riverserà tutte le tetre ore che detesto.

Ode funebre

Certo, dritto hai camminato


sino alla porta giusta!
Certo senza fallo hai seguito
la tua sorte! Troppo ora è tardi
per dire di più.

È chiaro che avevi ragione,


segue l'uomo il suo corso,
e naviga oltre i mari conosciuti.
Tu sei andato fuor di vista
e le mie domande vengon respinte
dalla linea dell'orizzonte che pone termine a tutto il visibile.

Ora, come una nave in porto,


nella morte scarichi le tue ricchezze
e gli avidi defunti felici sono di riceverti lì.
Lascia ch'essi vuotino
il tuo carico, respiro dopo respiro,
che ti sgombrino dei doni e li spartiscano fra loro.

Mi figuro le lor morte mani farsi più lucide,


le dita loro splendere al tramonto
per i gioielli della passione che traverso te un tempo si frangeva
come luce in gemme divisa da un prisma
e i petti lor morti più bianchi per la tua ira;
e sicuro sono che ungono le lor fronti col tuo dolore, crisma perfetto.

Sul tuo corpo, incudine percossa,


martellata fu la spada
a forma di luna che sguainano contro di noi
gli antenati; lama che nessun uomo
spuntare potrà;
spada che l'interrogativo separa da noi che respiriamo.

Certo, dritto hai camminato


sino alla porta giusta!
E certo s'è compiuto il tuo destino;
e esaltati sono i perfetti morti
d'avere vinto una volta ancora.

Adesso tu ai morti stai dando


l'estrema tua fedeltà.
Ma di noi che siamo vivi che accadrà,
di noi ancor timorosi
di credere nelle tue spietate legioni?

Retrocedendo

Lentamente ruota la notte,


treni veloci l'attraversano in luminosa corsa;
treni lenti passano furtivi,
questo mio treno ansioso pulsa, oltreconfine.

Ma qui non son io.


Sono via, oltre la portata di questo vortice,
là, ove il perno è, l'asse
di tutto questo meccanismo.

Io, che in lacrime siedo,


io, col cuore straziato per la partenza,
che non sopporto di ripensare al marciapiede della stazione.
Ode il mio spirito

voci d'uomini,
rumor d'artiglieria, aerei, presenze,
e sopra ogni altra cosa, l'assoluto silenzio,
ancora il perno...

Là, attorno all'asse


e pena, e amore, e angoscia
per la velocità s'assopiscono, in certezza assoluta;
puro sollievo.

Là, al perno
il tempo nel sonno ricade.
Né passato, né futuro: solo
la presenza perfetta degli uomini.

Ombre

Come sia, allora, debbo dirti?


Giunse una luce a due punte,
come lingue di fiamma oscurata,
a guizzare in me.

E così mi sembra
di averti, sempre la stessa,
con me in un unico mondo.

Nel vibrar d'un fiore,


in un verme cieco che striscia ancora,
in un topo che si ferma in ascolto,

tremano
le nostre ombre, senza che quelli
perdano di lucentezza.

In ogni lor parte scossa


vedo la nostra ombra fremere
quasi spuntasse fuori da noi, che siamo mano nella mano,

come se fossimo un'unica cosa,


un'ombra sola e la nostra oscurità
dissimular non si dovesse: capisci?

Ché ti ho chiaramente detto come sia.

Città nel 1917


Londra

Splendidamente soleva abbigliarsi di luci


sul Fiume gettando del suo scialle le frange,
nastri abbandonati.

E su nel cielo,
un biocchiuto orologio, come un gufo
solennemente era solito approvare con rintocchi
delle campane, uccello dagli occhi sporgenti.

Non c'è alcun riflesso sul Fiume,


né alcun orologio cogli occhi strabuzzati,
né alcun suono da St. Stephen,
né scialle frangiato di luci:

invece,
oscurità e pellicce indossate
leggere su corpi frettolosi,
morti dal piede felpato.

Londra
originaria, ricoperta
da pelli di lupo, i suoi indumenti
luminosi tutti spariti.

Londra, con una pelliccia


come l'oscurità d'un bosco,
come una palude di giunchi,
prima che nella sua tana irrompessero i Romani.

È giusto
che Londra, covo d'improvvise
oscurità maschili e femminili,
abbia rotto il suo incanto.

Pane sulle acque

Così perduta sei per me!


Ah, tu spiga di grano che giaci distesa,
quale cibo è questo per l'oscuro volo
degli uccelli del Poi!

Bianco pane a galla sulle acque,


buttato dalla mano che il cibo getta
senza saper dove,

tornerai indietro, quando girerà la corrente?


Dopo molti giorni? Brama
il mio cuore di saperlo!

Ritornerai molto tempo dopo


a narrar come un viaggiatore il tuo racconto,
più meraviglia che dolore?

Alla deriva vai, allora, che gli uccelli ciechi


e i branchi di pesci in onde ombrose
ti si avvicinino!

Poiché tu perduta sei per me.

Neonato di guerra

Il bambino, come un seme rotola


di senape, fuori dal guscio della morte,
nel fertile grembo imperscrutabile d'una donna.

Guarda, ha messo radici!


Vedi come fiorisce,
come cresce con magica linfa rosa!

Come per mostrar fede, era là


e non lo sapevamo noi, non ci importava;
frettoloso dal nostro guscio cadde come un piccolo seme.

Dì, è tutto quello di cui abbiamo bisogno?


Sarà vero che questo piccolo germoglio
farà fiorire sul cielo i suoi rami,
mentre noi vi dormiremo sotto?

Nostalgia

In su guarda la morente luna; questa notte


declina grigia attorno ai cieli con una dolce curva
di facile traversata; perduti lumini rossi in mare
mostrano dove fuor di vista le navi si muovono.

Familiare m'è il posto, perché io sono nato qui


e di questa stessa oscurità sono. L'ombrosa casa sottostante
è però oltre i limiti miei e i vecchi spiriti soltanto
sanno che son venuto e li sento salutarmi lamentosamente e

[piangere.

All'improvviso morì mio padre, mentre si mieteva il grano,


e più non è nostro il posto. Attento, ascolto dagli estranei
non venir alcun suono, tutto è scuro, e la paura
m'apre gli occhi sin quasi a svellere le radici del mio vedere.
Non posso andar più vicino, né verso la porta.
Assieme ci lamentiamo io e gli spiriti, all'ombra
della rimessa stringendoci. Agli orli dobbiamo gironzolare
per sempre, per sempre non potremo più vagar nei domestici luoghi?

È irrevocabile? Davvero non posso entrare


in cortile per l'aperto cancello? Né sorpassare le tettoie posso
e andare tra i mucchi di fieno? I morti solo, nei letti loro,
conoscono un'angoscia terribile come questa.

Le pietre bacio, bacio sul muro il muschio,


e fuso restar vorrei con questo posto.
E mi piacerebbe tutto stringerlo in un estremo abbraccio,
qui vorrei sul mio petto poterlo annullar completamente.

Sogni vecchi e nuovi


Nuovi

Una dipinta memoria è il mondo, dove forme colorate


delle vecchie vite spente, calde v'indugiano e indistinte;
tessuto ha il passato un infinito arazzo, che della mente mia
ricopre le sale, costringendomi la vita ad adeguarvi.

Deliziosamente ho vissuto nelle stanze del passato


dove le vite degli uomini che furono risplendono piano
e non più male fa il ferro, né puzza il denaro, e la morte
infine è solo tristezza d'uomini, privati dell'abito proprio.

Ma penso ora d'aver visto tutto, e ora sento


muri spessi di pietra dietro l'arazzo.
Sono rinchiuso, prigioniero e non so come.
E m'ostacolano le vite passate, mi ingombrano e imbarazzano.

Mani non hanno, non hanno corpi, queste forme tutte


che sogni sono oggi e uomini erano un tempo.
Così a gridare il mio cuore inizia e chiede
solo d'uscire da questa terribile tana oscura.

. . . . . . . . . . . .

Rotta è l'apparenza dei sogni, lacerato è l'arazzo,


c'è una breccia nei muri del passato e passa la luce del giorno.
Vanno veloci figure d'uomini giù per la massicciata
della ferrovia, vivi e indaffarati.

Attive sagome d'uomini, lungo le rotaie!


Ognuno un segreto ha che s'agita nel corpo, come egli si muove
a diminuir la distanza, con un tocco viene, quando è l'ora,
a scoprire quel che è vivo e quel che è morto.
Nell'ancheggiare invisibile del loro arrivar senza avanzare
la fresca aria nuova della vita palpita. Per combattere vengono,
per strappar l'arazzo e buttar giù i muri nella lotta per la vita,
con l'ascia in mano, il martello e il piccone sulle spalle arcuate.

Venite, su, e rompete questa prigione, questa dimora del passato!


Solo illusione è l'arazzo, via venite a strapparlo!
I muri sono spessi e le interne stanze sono tali che il cuore
sgomentano, affollate di schiavi, i più al lavoro e pochi a divertirsi.

. . . . . . . . . . . . . . . .

Son belli i vecchi sogni, amati, e soavi non tradiscono,


ma logori più non nascondono i muri cui sono davanti.
Murato, murato dentro, il mondo intero è un vasto
interno impuro, dimora di sogni ove ansimano e fremono i sognatori.

Venite, su, a svegliarci dall'odierna e terribile irrealtà!


In un sonno fantastico asfissiamo e impura è l'aria che si respira.
Perché chiusa è la casa e sigillato e pesante è il fiato degli ospiti,
immersi in sogni corrotti, dall'angoscia avvelenati.

Sogno orrendo di fatica, fetore d'acciaio e olio!


Il dimenarsi di migliaia d'operai che di diventare ricchi sognano tutti,
e liberano effluvi spaventosi in un orribile sforzo senza fine,
eterno, solo il denaro sospirando e vogliosi fantasticandolo.

Sogno spettrale di ricchezza, di mucchi di monete da spendere,


di passeggiate sul viso degli altri, come su un selciato!
Sogno di cavalcare e essere invidiati, d'un'invidia illimitata,
su cui trionfare possano quelli ricchi e pieni di successo.

. . . . . . . . . . . . . . . .

L'intero vasto mondo è dentro di noi adesso che siamo chiusi.


Completamente viziata è l'aria e venefica e droga gli animi nostri,
così dormiamo dolorosamente stupiti, oppressi da non poterci

[destare.
Ricchi e poveri ugualmente s'agitano e sognano tutti insieme.

Su, venite, o uomini, lungo la ferrovia! Venite e in quanto uomini


abbattete i muri che imprigionano tutto il vasto mondo!
Dateci aria, vi preghiamo. Oh, si possa noi respirare ancora,
respirare aria fresca e svegliarci dagli immondi sogni in cui siamo

[chiusi!

Fresca sentir l'aria in gola, fresco il respiro nel petto,


nuove pronunciar parole colle labbra, al brutto sogno fuggir
del possesso, del guadagno, dell'avere, alla battaglia che strappa
denaro dalla terra, dalle sudate fatiche degli uomini e delle bestie.

. . . . . . . . . . . . . . . .

Oh, uomini con l'ascia e il piccone, rompete il muro dell'osceno sogno


e liberateci, ricchi e poveri, lasciandoci respirare e toccare
l'un l'altro meravigliati al risveglio, destati dal raggio reale
della luce del giorno, usciti dalla gabbia dello sporco sogno.

Poiché liquida è la sostanza vera del sogno e misteriosamente

[scorre,
e i corpi degli uomini e delle donne son fusa materia di sogni
che s'agita secondo un cosmico moto: del vivo mondo il cuore,
come sempre, pulsa invisibile, e vivo il suo sangue scorre.

E quel che è vita, solo è sogno nella carne, in cui si gonfia e forma!
I corpi nostri, disciolte gocce di sangue di sogno che ruotano e

[s'allargano
come un tessuto, sono quasi fuse cellule di una viva pianta di rose
che ai fiori danno vita, alle spine e al profumo delicato.

Quel giorno

Quel giorno
rose metterò su rose e coprirò la tua tomba
con una moltitudine di rose bianche;
e poiché sei stata coraggiosa, una rossa luce brillante

vi sarà, così la gente sotto i frassini


passando nella strada della valle, alzerà gli occhi
per vedere sul colle la tomba, meravigliata,
e stupendosi salirà a spostare i fiori

per vedere chi onori


così bianca e tanto sanguigna, rossa insegna.
Quindi dirà: "Da tanto tempo è morta,
chi dopo tanti giorni l'ha ricordata?"

E lì, in piedi,
considereranno come abbia tu compiuto il tuo viaggio
inosservata tra loro, silenziosa regina perduta
nel labirinto di queste terrene faccende.

Una regina, dirà la gente tutta,


s'è addormentata non vista su una dimenticata collina.
E lì sconosciuta, non notata dorme
sinché albeggi il giorno della mia resurrezione.

Sole d'autunno

D'autunno il sole fa spuntar i crochi


e li riempie sino a traboccare
di vino mortale, tesoro
che giù scorre per i calici, sprecato.

Tutte, tutte uguali le pallide coppe di Persefone


son sulla mensa, stracolme;
versata è la porzione degli dei;
ora, voi tutti bevetene, o mortali!

Questo è il momento, pienissimo è il calice


di cielo scintillante;
prenderà ora ogni mortale
la bevanda in un unico lungo, forte sorso.

Fuor della coppa della regina infernale, il pallido vino celeste!


Bevete allora, invisibili eroi, bevete!
Mai le labbra si ritirino dai calici
mentre volte ai cieli son le gole.

Assumete così, entro il vino, il grande giuramento


degli dei sul cielo, la terra e il gorgo infernale,
di romper questo nauseabondo sogno morboso
ove assieme ci dimeniamo per il desiderio.

Giurate, sul pallido vino versato dalle coppe


della regina d'inferno, di svegliarvi e liberarvi
da quest'incubo in cui ci agitiamo,
di fuggire da questo passato immondo.

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