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Il Mulino - Rivisteweb

Anne Eusterschulte
Apparitiones. Apparenza e manifestazione
dell’arte nella Teoria estetica di Theodor W.
Adorno (traduzione di Erika Benini)
(doi: 10.1403/86060)

La Cultura (ISSN 0393-1560)


Fascicolo 1, aprile 2017

Ente di afferenza:
Università di Bologna (unibo)

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Apparitiones.
Apparenza e manifestazione dell’arte nella Teoria
estetica di Theodor W. Adorno
di Anne Eusterschulte
Traduzione di Erika Benini*

Nell’apparenza si promette il senza apparenza1

«Le opere d’arte sono epifanie neutralizzate e dunque qualitati-


vamente mutate. [...] Sono cose in cui l’importante è manifestarsi»2.
Così Adorno nella Teoria estetica. Il concetto di apparition che
Adorno chiama qui in causa indica contemporaneamente il carat-
tere di manifestazione dell’arte e l’esperienza estetica della manife-
stazione. Con il discorso delle apparitions è concepita una condensa-
zione semantica di connotazioni sedimentatesi storicamente che, allo
stesso tempo, sono aspetti sistematici dell’esperienza estetica. Tali
connotazioni verranno dapprima presentate separatamente, per poi
mostrare come proprio questi livelli di significato si compenetrino al
pari di un palinsesto.
1.  Un primo aspetto concerne la temporalità estetica3: momenti di
una simultaneità paradossale legati a un improvviso brillare e scom-
parire. Questi momenti sono accomunati alle manifestazioni celesti,
alle apparitiones, all’apparire istantaneo di una stella o alla luminosità
esplosiva di un fuoco d’artificio che nell’attimo della sua manifesta-

Per le questioni critiche come per i preziosi consigli si ringrazia Konstantin Bethscheider,
Erika Benini, Sara Ehrentraut e Simon Godard.

* Ndt: Si esplicita che le citazioni di testi non tradotti in italiano sono a cura della tradut-
trice.
1
  T.W. Adorno, Negative Dialektik, in Gesammelte Schriften, a cura di R. Tiedemann,
in collaborazione con G. Adorno, S. Buck-Morss e K. Schultz [GS], vi, Suhrkamp Verlag,
Frankfurt am Main 2003; trad. it. a cura di S. Petrucciani, Dialettica negativa, Einaudi, Torino
2004, p. 363.
2
  T.W. Adorno, Ästhetische Theorie, GS vii, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main 2003;
trad. it. a cura di F. Desideri e G. Matteucci, Teoria estetica, Einaudi, Torino 2009, pp. 108-
109.
3
  Sulla neutralizzazione dell’empirico attraverso il «tempo estetico» cfr. ivi, p. 144.

LA CULTURA / a. LV, n. 1, aprile 2017 119


Anne Eusterschulte

zione si polverizza nel nulla. Una manifestazione di una presenza ma-


teriale4 la cui simultaneità5 coincide con la sua volatilizzazione.
2. Il carattere epifanico racchiude mezzi interpretativi della fi-
losofia del tempo e della storia, che ricavano la loro dirompenza da
teologismi escatologici-messianici6. Questo cerchio verrà tracciato da
riflessioni estetiche sulle epifanie del bello di James Joyce.
3. Con ciò si chiariscono le implicazioni teologiche, vale a dire
le allusioni ad un accadere rivelatorio. La visione fondata teologi-
camente di una apparition stellare, trasposta in un mondo interiore,
passa all’ambito dell’esperienza estetica.
4. I momenti teologici guidano a una dimensione utopica
dell’apparition estetica che si realizza in immagini. Nell’opera d’arte
vive una pregnanza condensata nel materiale, un attimo fecondo di
pienezza di senso che abolisce, per la coscienza percepente, il corso
del tempo nella sua successione7. Una traccia di queste anomalie im-
maginative porta alle apparitions di Paul Valéry.
5. Il minimo spostamento permette nell’opera d’arte la manife-
stazione di un possibile inadempiuto. Questo ci porta al carattere
linguistico dell’arte, una écriture in cui è inscritta una promessa. Di-
venta incombente a questo punto il riferimento alla figura linguistica
della dialettica in stato di quiete8 e all’interpretazione benjaminiana
delle affinità elettive. Una stella che, nel momento della catastrofe,
promette speranza. La manifestazione estetica dell’illuminazione pro-
fana porta al di là di Adorno.

1. La temporalità estetica

Cosa significa che le opere d’arte sono cose in cui l’importante è


che avvenga una manifestazione? «All’opera d’arte in quanto manife-
stazione si avvicina di più l’apparition, la manifestazione celeste. Con
essa le opere d’arte restano d’accordo, in quanto essa si leva [cor-

4
  Hans Ulrich Gumbrecht definisce le «culture della presenza [Präsenzkulturen]» in con-
trapposizione alle culture soggettive [Subjektkulturen], ovvero alla generazione di significato
rappresentativa, poiché non possono «concepire un significato senza una incorporazione». Cfr.
H.U. Gumbrecht, Präsenz, con una introduzione di J. Klein, Suhrkamp Verlag, Berlino 2012.
5
  Cfr. K. H. Bohrer, Plötzlichkeit. Zum Augenblick des ästhetischen Scheins, Suhrkamp Ver-
lag, Frankfurt am Main 1981.
6
  Il Kierkegaard del giovane Adorno ne pone le basi.
7
  Questo discorso sottende la teoria di Bergson dell’élan vital, cioè del créateur.
8
  Cfr. T.W. Adorno, Teoria estetica; cit., p. 114: «Si può pensare alla definizione di Benja-
min della dialettica in stato di quiete, delineata nel contesto della sua concezione dell’imma-
gine dialettica [aggiunta dell’Autrice]. Essendo le opere d’arte in quanto immagini la durata
del transeunte, esse si concentrano nel manifestarsi in quanto qualcosa di momentaneo. Espe-
rire l’arte vuol dire la stessa cosa che rendersi conto del suo processo immanente quasi nell’at-
timo del suo stato di quiete; forse di ciò si nutre il concetto centrale dell’estetica di Lessing,
quello di momento fecondo».

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Apparitiones. Apparenza e manifestazione dell’arte nella Teoria estetica di Adorno

sivo dell’Autrice] sugli uomini distante dalla loro intenzione e dal


mondo cosale»9. Come per le manifestazioni celesti, il manifestarsi
che si compie nell’esperienza estetica delle opere d’arte non consi-
ste né in un qualcosa alla mercé della disposizione umana, né tan-
tomeno si lascia ‘includere’ nel contesto degli oggetti culturalmente
preparati di cui abbiamo dimestichezza.
Un breve riferimento al termine latino apparitio può mostrare
come i motivi adorniani siano collegati tra loro sia da una prospet-
tiva fenomenologico-linguistica sia da prospettiva di storia delle idee.
Apparitio nell’antichità romana sta ad indicare quegli eventi per-
cettivi, quei fenomeni, la cui manifestazione improvvisa è di solito
direttamente legata con il loro venire meno. Una subitaneità in cui
si mostra istantaneamente qualcosa che allo stesso tempo in modo
fulmineo si ritrae. Il termine latino apparitio richiama per esempio
il manifestarsi degli astri o il balenare di comete nel cielo. Quello
che appare lucente in cielo è un movimento nel tempo, che colloca
qualcosa di istantaneamente chiaro davanti agli occhi e preannuncia
qualcosa. Le manifestazioni celesti valgono solitamente nelle antiche
culture come segnali divini, legati al destino, che possono mostrare
la salvezza incombente come la sciagura: testi celesti sul futuro che
hanno bisogno di un’interpretazione. Le apparitiones hanno il carat-
tere di segno, il carattere di un messaggio. Se nelle manifestazioni
celesti si ha a che fare principalmente con co-stellazioni, allora si ar-
ticola, nella momentaneità e fuggevolezza di quei fenomeni, una ri-
chiesta sotto forma di formula [An-Spruch]: ciò che si manifesta (ap-
pareo)  –  e racchiude in sé qualcosa di latente che si mantiene celato
e nascosto  –  mostra e indica, nella modalità della presenza, un pas-
sato, o meglio un futuro non ancora realizzato.
Se trasponiamo questo discorso alle opere d’arte, allora, come
per le manifestazioni celesti, queste si realizzano, nello loro cosalità
e allo stesso tempo nel loro carattere effimero10, in una vita breve, e
passano in una costellazione temporanea sopra le fatticità del mondo
costituito. Appaiono in segnali luminosi che danno alle cose un’al-
tra luce e le mostrano in una diversa prospettiva: «Esse superano il
mondo cosale grazie alla propria cosalità, alla propria obiettivazione
artificiale. Diventano eloquenti in forza dell’innesco di cosa e ma-

9
  Ivi, pp. 108-109.
10
  ejfhvmero~ indica in greco la durata di un solo giorno. In questo senso, per tornare alle
apparizioni celesti, le effemeridi sono manifestazioni del giorno di uno stato di un astro, per
così dire trascrizioni di un evento stellare nella fugacità di un giorno: costellazioni effimere.
Per Adorno l’effimero dell’arte allude all’auratico del bello naturale, al carattere di lontananza
del più vicino (Benjamin), alla caducità e fuggevolezza. Cfr. T.W. Adorno, Ästhetik (1958/59),
a cura di E. Ortland, in Nachgelassene Schriften, a cura del T.W. Adorno Archiv, iv: Vorlesun-
gen, iii, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main 2009, p. 45.

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Anne Eusterschulte

nifestazione. Sono cose in cui l’importante è manifestarsi [corsivo


dell’Autrice]»11.
Adorno pone continuamente l’accento sul carattere linguistico
della specifica obiettività dell’arte attraverso cui qualcosa parla «il
proprio linguaggio», un linguaggio che ha «una vicinanza con la mu-
sica»; nella manifestazione il carattere degli oggetti spaziali cambia
improvvisamente, e questi «diventano qualcosa di temporale»12. La
statica spaziale dell’oggetto si trasforma istantaneamente in una di-
namica temporale. Questo capovolgersi da una datità spaziale a una
temporale si comprende come rapporto dialettico tra un vedere/una
sincronizzazione visuale e un ascoltare/una diacronia acustica, dialet-
tica che si sviluppa in specifiche modalità nei diversi mezzi e generi
artistici13.
Bisogna comprendere innanzitutto il fatto che, tra la cosa artifi-
ciale nella sua resistenza formata materialmente e la concezione este-
tica, si crea un attrito in cui, per così dire, si innesca la manifesta-
zione: l’oggetto artistico diventa eloquente. L’‘immagine’ emerge in
un movimento linguistico e temporale. Articolato temporalmente, si
manifesta nell’esperienza come un’immagine in movimento, e perde
la sua spazialità.
Il manifestarsi nella subitaneità dell’esperienza artistica ha un
proprio «nucleo temporale», anche «se deve la sua durata al fatto
di essere stato dipinto, composto o scritto»14. Seppure per così dire
nell’istante l’ascoltare e il vedere vengono meno, seppure veniamo
estirpati dai nostri schemi abitudinari della percezione quotidiana,
è proprio questa intensità dell’esperienza  –  che Adorno chiama ri-
petutamente un ‘crepitare’  –  «che in punti particolari apre gli oc-
chi, o in momenti particolari di una musica apre le orecchie»15. Un
dettaglio ottiene luminosità, si rivolge a noi all’improvviso partendo
dall’opera d’arte nella sua totalità, come nella Sonata in Re-minore
di Beethoven (op. 31.2), così che «si ha la sensazione che sorga una

11
  T.W. Adorno, Teoria estetica, cit., p. 109.
12
  Cfr. T.W. Adorno, Lezione del 23.1.1961, Trascrizione inedita, Theodor W. Adorno Ar-
chiv, Frankfurt am Main, Vorlesung [Vo] 7063. Per la segnalazione della lezione sono molto
riconoscente a Michael Schwarz del Walter Benjamin/T.W. Adorno Archiv di Berlino. Per
l’autorizzazione ad utilizzare le citazioni della lezione di estetica inedita ringrazio il T.W.
Adorno Archiv e l’Hamburger Stiftung zur Förderung von Wissenschaft und Kultur.
13
  Non si intende qui nessuna assimilazione dei diversi mezzi e ‘linguaggi’ artistici, cioè
delle loro ‘scritture’ (écriture); al contrario, è un’esigenza adorniana mantenere differenziate
le diverse modalità della temporalità e spazialità. Cfr. T.W. Adorno, Über einige Relationen
zwischen Musik und Malerei, GS 16, pp. 628-642.
14
  T.W. Adorno, Lezione inedita del 23.1.1961, cit., Vo 7067.
15
  Ivi. Cfr. anche T.W. Adorno, Teoria estetica, cit., p. 107; Lezione inedita del 23.1.1961,
cit., e Über einige Relationen zwischen Musik und Malerei, cit., p. 635: «La parola crepitare è
forse l’accostamento più tollerabile a ciò che dovrebbe essere compreso come carattere della
scrittura e come convergenza tra musica e pittura». Crepitare [Knisten], parola da un punto
di vista storico legata allo scricchiolio [Knirschen] sia nel senso di uno scoppiettare rumoroso,
come il bruciare fugace di rami nel fuoco, sia nel senso del ‘suono di uno sgretolio’.

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Apparitiones. Apparenza e manifestazione dell’arte nella Teoria estetica di Adorno

stella»16. Un ‘luogo stellare’ che balena all’improvviso, e che natural-


mente non riguarda solo l’opera musicale, è allo stesso tempo una
promessa carica di speranza: «Alcune battute di Beethoven suonano
come la frase delle Affinità elettive: “Come una stella la speranza è
caduta dal cielo [...]”»17.
Come il parlare, o più precisamente il divenire ascoltabile, può
rendere possibile una rappresentazione per immagini, corporea, allo
stesso modo ciò che nell’opera d’arte si manifesta e si lascia ricono-
scere diventa per così dire sonoro. Questo si articola specificamente
nel medium della forma propria linguistica dell’arte. «Se il linguag-
gio della natura è muto, l’arte cerca di far parlare il muto [...]»18.
La spontanea pretesa che qualcosa diventi eloquente si annulla
immediatamente e si sottrae a scritture in grado di fissare un signi-
ficato. La traccia che mostra il manifestarsi estetico, è allo stesso
tempo un momentaneo palesarsi e un venire meno.
L’esperienza della presenza oscilla tra la percezione di una datità
sensuale-empirica e un processo mentale. Ciò vale allo stesso modo
per la concezione di una costellazione di corpi celesti come scrittura
segreta o linguaggio di segni enigmatici. Anche questa ‘scrittura’ non
è semplicemente in cielo. Si mostra prima di tutto nella sua specifica
prospettiva visuale [Hin-Sicht]. Occorre una percezione che abbia il
carattere di co-stellazione, di un atto mentale che crei una relazione
tra gli eventi percettivi e li renda ‘eloquenti’. Solo così entrano nella
nostra prospettiva visuale, e ci guardano. Solo mediante questa mo-
dalità del vedere, l’essere guardati dai lati dell’oggetto materiale di-
venta esperibile19.
«Così è ogni opera d’arte autentica, come se aprisse gli occhi
all’osservatore, come se accadesse nell’attimo dell’osservazione»20.
Ciò a cui l’attività di rappresentazione dà voce, nello sposta-
mento di prospettiva visuale rispetto al dato materiale, e ciò che
viene liberato grazie all’opera d’arte nell’esperienza estetica, è sem-

16
  T.W. Adorno, Lezione inedita del 23.1.1961, cit., Vo 7071.
17
  T.W. Adorno, Teoria estetica, cit., p. 251, che fa riferimento al testo benjaminiano sulle
Affinità elettive.
18
  Ivi, p. 105. Adorno fa qui esplicito riferimento, come in altri momenti, al testo benjami-
niano Über die Sprache überhaupt und über die Sprache des Menschen, in Gesammelte Schriften
[GS], a cura di R. Tiedemann e H. Schweppenhäuser. In collaborazione con T.W. Adorno e
G.G. Scholem, ii, 1, pp. 140-157; trad. it., Sulla lingua in generale e sulla lingua dell’uomo, in
Angelus novus, a cura di R. Solmi, Einaudi, Torino 1995, pp. 53-70.
19
  Walter Benjamin sviluppa queste riflessioni a proposito del carattere auratico delle cose,
che ricambiano lo sguardo nel momento in cui mostriamo loro attenzione. Cfr. W. Benjamin,
Über einige Motive bei Baudelaire (1939), in GS i 2, pp. 646-647; trad. it., Di alcuni motivi in
Baudelaire, in Angelus novus, cit., p. 124: «Ma nello sguardo è implicita l’attesa di essere ri-
cambiati da ciò a cui si offre. [...] Chi è guardato o si crede guardato alza gli occhi. Avvertire
l’Aura di una cosa significa dotarla della capacità di guardare». Cfr. G. Didi-Hubermann, Was
wir sehen blickt uns an. Zur Metapsychologie des Bildes, trad. ted. di M. Sedlaczek, Wilhelm
Fink Verlag, München 1999.
20
  T.W. Adorno, Lezione inedita del 23.1.1961, cit., Vo 7063.

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Anne Eusterschulte

pre allo stesso tempo il centro nevralgico per immaginarsi qualcosa


che, rispetto alla realtà, potrebbe anche essere altro. Le opere d’arte
sono in questo senso «non solo l’altro dell’empiria: tutto in esse di-
venta un altro»21.
Già nella costituzione paradossale dell’evento percettivo si trova
un potenziale utopico, uno spostamento [Ver-Setzung] in un possibile
altro. Questo spostamento, o differimento minimo, allude a motivi
della Kabbala luriana e alla speranza di una riparazione della ‘rot-
tura dei vasi’. Adorno in realtà qui non punta a un ri-composizione
di ciò che è disperso, in cui è sempre anche alluso uno smarri-
mento della Rivelazione della Scrittura22, ma piuttosto a evidenziare
la frammentarietà della realtà al di là della prospettiva visuale con
cui guardiamo abitualmente il reale. Questa frammentarietà deve per
prima cosa diventare visibile. Nello spostamento di prospettiva verso
i frammenti, verso la vita danneggiata, vale a dire nella percezione
costellativa del frantumato, diventa rappresentabile la possibilità
dell’essere altro: «Gli elementi di tale altro sono raccolti nella real­tà,
ma, spostati di poco, sono dovuti entrare in una nuova costella-
zione per trovare la loro giusta collocazione. Piuttosto che imitare
quest’ultima, le opere d’arte mostrano alla realtà questo spostamento
[corsivo dell’Autrice]»23.
Potrebbe anche essere altro. Le opere d’arte sono testimonianze
di qualcosa che non è, una possibile prassi, un non-ancora-stato che
viene risvegliato grazie alla memoria di ciò che è stato, come possi-
bilità. «Il non-essente è loro mediato dai frammenti dell’essente che
esse raccolgono nell’apparition. Non sta all’arte decidere con la pro-
pria esistenza se quel non-essente, che si manifesta, esiste comunque
come manifestantesi oppure permane nell’apparenza. Le opere d’arte
hanno credito perché costringono a riflettere da cosa derivi il fatto
che esse, figure dell’essente e incapaci di chiamare all’esistenza il
non-essente, possano diventare sua immagine di successo [...]»24.
La conseguenza di questo discorso è qui la promessa dell’arte
che non testimonia un riscatto, ma un anelito. L’arte rende qualcosa
rappresentabile, sensibilizza la riflessione per il possibile non ancora

21
  T.W. Adorno, Teoria estetica, cit., p. 109.
22
  Cfr. T.W. Adorno, Kierkegaard. Konstruktion des Ästetischen, in GS 2, p. 189; trad. it.
a cura di A. Burger Cori, Kierkegaard. La costruzione dell’estetico, pp. 326-327, in riferimento
della lettera dell’alfabeto scritta per errore che si ribella allo scrittore.
23
  T.W. Adorno, Teoria estetica, cit., pp. 177-178. Cfr. anche ivi, p. 186: «Posto che ci
sia qualcosa di vero nella tesi di Schopenhauer dell’arte come mondo replicato, quest’ultimo
nella sua composizione è comunque costituito [corsivo dell’Autrice] dagli elementi del mondo
primo, conformemente alle descrizioni ebraiche della condizione messianica, che sarebbe in
tutto come quella usuale, e diversa solo come qualcosa di minuscolo [corsivo dell’Autrice]. Solo
che il mondo replicato è tendenzialmente negativo nei confronti del primo, più distruzione di
ciò che è messo in scena dai sensi familiari che raccolta in un senso dei tratti sparsi dell’esi-
stenza».
24
  Ivi, p. 112.

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Apparitiones. Apparenza e manifestazione dell’arte nella Teoria estetica di Adorno

realizzato. Ciò si realizza in un lasciar-manifestare il cui carattere di


apparenza deve sempre essere conservato consapevolmente.
«Con la sua mera forma essa promette ciò che non è, annuncia
obiettivamente e, benché in modo distorto, la pretesa che ciò, visto
che si manifesta, debba essere possibile»25.
Questo immaginario non è una fantasmagoria soggettiva, non è
un’apparenza ingannevole. Nell’abbandono26 all’opera d’arte, al suo
linguaggio, si articola nell’esperienza estetica una corrente sotter-
ranea collettiva. Il contenuto di verità delle opere d’arte è storico.
L’esperienza soggettiva della contemplazione dell’oggetto artistico è
sempre impregnata delle esperienze storiche materiali e si muove in
percorsi storicamente modificabili. Una storia collettiva che mette
in relazione esperienze, e che non è tuttavia mai disponibile come
esplicito orizzonte di esperienza. Nell’opera d’arte questa storia si
articola in spostamenti e rotture: «Il linguaggio [corsivo dell’Au-
trice] delle opere d’arte è costituito, come qualunque linguaggio, da
una corrente sotterranea collettiva. [...] In forza di tale contenuto di
esperienza, non solo con il fissare o il dar forma nel senso usuale,
le opere d’arte divergono dalla realtà empirica [corsivo dell’Autrice];
empiria attraverso la deformazione empirica. In ciò consiste la loro
affinità con il sogno [...]»27.
Le opere d’arte, che trasformano qualcosa in una forma le-
gata materialmente, sono così una sorta di stato di coagulazione, in
quanto fissano qualcosa in una forma cosale; esse lo affidano, tutta-
via, continuamente a una liquefazione, nella misura in cui le situa-
zioni di rappresentazione e di interpretazione malleabili sul piano
storico contestualizzano in modo sempre nuovo la stessa ‘immagine’
e la rendono eloquente. Le ‘immagini estetiche’ nel momento della
manifestazione rendono visibile un proprio ‘tempo interno’ e una
propria ‘storicità’. In loro è inscritta un’esperienza temporale grazie
alla specifica modalità della costellazione.
«[...] Le opere d’arte diventano immagini in virtù del fatto che
a parlare sono i processi stessi [...]. Molto più probabilmente i pro-
cessi latenti nelle opere d’arte ed erompenti nell’attimo, la loro stori-
cità interna, sono la storia esterna sedimentata»28. Per Adorno l’arti-
sta si legittima attraverso la sua capacità soggettiva di immergersi nel
mondo dell’esperienza e nella sua datità storica, per «rappresentare
calandosi nelle esperienze ad esse sottese, monadologicamente, ciò
che è al di là della monade»29.

25
  Ivi, p. 111.
26
  Cfr. T.W. Adorno, Ästhetik (1958/59), pp. 192, 196, 204, e 397 (nota 15 in riferimento
a Hegel).
27
  T.W. Adorno, Teoria estetica, cit., p. 116.
28
  Ivi, pp. 115-116.
29
  Ivi, p. 116.

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Anne Eusterschulte

Nelle opere d’arte non si parla solo di rapporti con la realtà dati
oggettivamente in costellazioni soggettive. Le opere d’arte parlano a
soggetti e, così facendo e nel modo in cui lo fanno, consentono che
ai singoli soggetti in questione si renda manifestabile la virulenza ti-
pica della collettività.

2. Epifania delle esperienze estetiche: Joyce

Che le opere d’arte siano epifanie neutralizzate, come sottolinea


Adorno, rimanda già al fatto che non si tratta del palesarsi di qual-
cosa di trascendente in senso teologico. Le opere d’arte diventano
epifanie grazie all’abbandono soggettivo all’oggetto estetico nella sua
cosalità materiale. Ciò esige una dimenticanza di sé, un abbando-
narsi a ciò che in questa intensiva percezione rivela la propria esi-
stenza.
Così si mantiene un carattere di rivelazione, una «traccia di rive-
lazione», in quanto «l’eredità teologica dell’arte è la secolarizzazione
della rivelazione»30.
Con ciò emerge nuovamente la tensione peculiare. Spiegare l’arte
unicamente come un riflesso del reale vorrebbe dire assegnarle pro-
prio quello stato positivistico di una ripetizione di rapporti reali al-
terati. L’arte sarebbe in verità solo un’apparenza ingannevole. Attri-
buirle un contenuto rivelatorio, dichiararla per così dire il simbolo
di una verità di un altro mondo, vorrebbe dire dotarla di una carica
numinosa alla stessa stregua di un oggetto di culto. Eppure come si
può rimanere fedeli a un’idea di un’apparizione trasgressiva31?
Per Adorno questa insubordinazione si risolve nelle opere stesse,
vale a dire nella loro chiusura enigmatica. «Le opere ermetiche non
affermano ciò che le trascende come un essere che si trova in un
ambito superiore [...]. Ciò per cui le opere d’arte esistenti sono più
che esistenza è però non qualcosa che esiste di per sé, ma il loro lin-
guaggio [corsivo dell’Autrice]»32.
L’apparenza suggestiva dell’opera d’arte agisce contro la fatticità
del reale. Questa rimanda a un senso perduto, ma senza una collo-
cazione affermativa. Ogni illusione di pienezza di senso viene subito
negata. L’opera d’arte lascia allusivamente apparire ciò che manca.
Deve allo stesso tempo però negare la parvenza di poterlo incasto-
nare, altrimenti il carattere di apparenza potrebbe destare l’impres-
sione che, al di là del rifiuto del reale, sia ‘figurabile’ nell’arte una

30
 Ivi, p. 142. Cfr anche T.W. Adorno, Lezione inedita del 23.1.1961, cit., Vo 7065: «In
breve tutte le opere d’arte sono secolarizzate e quindi epifanie in sé modificate».
31
 T.W. Adorno, Teoria estetica, cit., p. 141.
32
  Ivi, p. 140.

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Apparitiones. Apparenza e manifestazione dell’arte nella Teoria estetica di Adorno

concreta utopia. Discordanza, dissonanza che è sempre anche polifo-


nia disturbante, caratterizza piuttosto l’espressione che si rende ma-
nifesta nell’esperienza estetica. Consente di fiutare le latenze inadem-
piute nel fattuale. L’arte si impiglia continuamente nelle evocazioni
dell’apparenza. Non può fare altro che disilludere, allo stesso tempo,
questa apparenza: figure dell’anelito e tristezza per l’apparenza sfug-
gente.
«Dalle opere d’arte traluce silente un “sarebbe”, sullo sfondo di
un “non è”, ove il soggetto grammaticale è inesplicabile; non lo si
può riferire deitticamente a nulla di presente nel mondo»33.
L’estetica di Adorno dell’apparizione è legata alla concrezione
cosale dell’opera d’arte. Illusione e disillusione sottolineano il mo-
mento dell’innesco. Un excursus su Joyce mostra come gli elementi
di una teologia dell’apparizione servano per definire l’esperienza
estetica come epifania. Ne Le gesta di Stephen di Joyce ci sono fe-
nomeni di apparizione marginali. Oggetti, situazioni o avvenimenti
fugaci fuoriescono improvvisamente dagli schemi abituali della per-
cezione quotidiana o del già più volte visto nella sua funzionale ca-
sualità (come un orologio della stazione). Tale è la modalità estetica
di una momentanea sospensione visionaria, che permette l’epifania
dell’oggetto focalizzato, così che questo, nella sua invasiva evidenza,
si manifesta per un attimo visuale [Augen-Blick] e subito per sparire
nuovamente34.
Il discorso di una manifestazione  –  retoricamente un’intensità
della rappresentazione che mette davanti agli occhi qualcosa da af-
ferrare, un’esperienza cioè dell’evidenza immediata  –  rimanda teolo-
gicamente a un palesarsi. Trasposto alla bellezza che si rende epi-
fanica: una costituzione dell’esperienza nell’ambito di un percepire
modificato che fa diventare le cose eloquenti. Ciò accade in tre
fasi: innanzitutto queste cose vengono estrapolate dalla totalità del
mondo percepito e divengono esperibili nella loro integrità; è l’og-
getto particolare, solo e proprio quello, su cui è concentrata tutta
l’attenzione. Successivamente queste cose vengono considerate all’in-
terno del processo percettivo nella loro struttura immanente: come
un tutto formato e in sé omogeneo. Infine, con queste premesse, le
cose si mostrano nella loro manifestazione lucente e nella loro spe-
cificità. «La sua anima, la sua identità, balzano fuori a noi dai veli

33
  Ivi, p. 142.
34
  Cfr. J. Joyce, Stephen Hero. Part of the First Draft of ‘A Portrait of the Artist as a Young
Man’, a cura di T. Spencer, Londra 1956; trad. it. di C. Linati, G. Melchiori e G. Monicelli,
Le gesta di Stephen, Mondadori, Milano 2011, p. 199: «Per epifania intendeva Stephen un’im-
provvisa manifestazione spirituale, o in un discorso o in un gesto o in un giro di pensieri,
degni di essere ricordati. Stimava cosa degna per un uomo di lettere registrare queste epifanie
con estrema cura, considerando che erano attimi assai delicati ed evanescenti, e disse a Cranly
che l’orologio del Ballast Office era capace di comunicare un’epifania».

127
Anne Eusterschulte

dell’apparenza. L’anima dell’oggetto più comune, la struttura del


quale è stata così calettata, ci appare radiante. L’oggetto compie la
sua epifania»35.
L’oggetto stesso diventa attivo, si dischiude, si irradia, sotto il no-
stro sguardo, per chiamare in causa il topos benjaminiano, spalanca
in un certo qual modo i nostri occhi e si rivolge a noi. Si potrebbe
anche dire che ci trafigge gli occhi, se si prende questa espressione
del tutto seriamente in senso antimetaforico, per rimandare, nel senso
del punctum (Barthes), al fatto che qualcosa sporge fuori dall’ensem-
ble delle convenzioni percettive codificate culturalmente e ci aggre-
disce. Non si tratta di nessun senso profondo nascosto, di nessuna
«luce di un qualche altro mondo, l’idea di cui la materia non è che
l’ombra, la realtà di cui essa non è che il simbolo»36. La datità ma-
teriale lascia ‘spiccare’ qualcosa, che per così dire ci viene incontro
all’improvviso e si vivifica nell’attimo visuale.
Joyce descrive ciò come un’epifania negli oggetti quotidiani ipo-
teticamente meno apparenti, in cose quindi che possono essere facil-
mente non viste poiché sembrano completamente captate nella loro
relatività pratico-funzionale della quotidianità. Ancora una volta non
si tratta qui di un atto visivo meramente fisico, aspetto importante
anche in riferimento alla comprensione dell’epifania adorniana, ma
di una modalità visiva artistica (artistic apprehension) che permette
la manifestazione dell’immagine estetica. Si tratta di un capovolgi-
mento improvviso, l’oggetto diventa per così dire vivente davanti a
un occhio spirituale (spiritual eye). «Questa suprema qualità l’artista
la sente, quando la sua immaginazione comincia a concepire l’imma-
gine estetica. Shelley paragonò stupendamente lo stato d’animo di
questo istante misterioso a un carbone che si spegne. L’istante in cui
quella suprema qualità della bellezza, il limpido splendore dell’im-
magine estetica, viene luminosamente percepita dalla mente che
l’interezza e l’armonia dell’immagine hanno arrestato e affascinato,
quell’istante è la stasi luminosa e muta del piacere estetico, uno stato
spirituale molto simile a quella condizione cardiaca che il fisiologo
italiano Luigi Galvani, usando una frase altrettanto bella che quella
di Shelley, ha chiamato l’incanto del cuore [corsivi dell’Autrice]»37.
Lo specifico sguardo che fa brillare le cose e le rende visibili
nella loro specificità al di là della prospettiva quotidiana, non può
essere distinto da un movimento dell’immaginazione che rende pre-
sente questa apparizione e la rende spirituale [geistig].

35
  Ivi, p. 201.
36
  J. Joyce, A Portrait of the Artist as a Young Man, J. Cape, Londra 1956; trad. it. di C.
Pavese, Dedalus. Ritratto dell’artista da giovane, Adelphi, Milano 1990, pp. 258-259.
37
  Ivi, p. 259.

128
Apparitiones. Apparenza e manifestazione dell’arte nella Teoria estetica di Adorno

Tematizzata è qui quella temporalità dell’«attimo ‘intensifi-


cato’»38 che si trova in Joyce, Proust e Musil  –  importanti autori
di riferimento per Adorno. Questo modo di focalizzarsi sull’espe-
rienza interiore del soggetto può apparire in contrasto con il mo-
mento della speranza in Adorno, quasi come un ritirarsi in una
interiorità lontana dagli accadimenti del mondo e promettente feli-
cità. Invece, l’emergere della fantasia racchiude indirettamente una
dimensione critico-sociale, come proprio l’immergersi nel mondo
immaginato è una reazione alle deformazioni del mondo vivente
esterno. Si tratta di una critica implicita, non di una fuga dalla
real­tà. Questa è l’interiorità in senso stretto: «In modo modificato
ma determinabile, la piena esperienza della vita esterna che si ri-
presenta interiormente»; come «il tempo, medium della musica, è
il senso interno», così il cambiamento verso l’interno è il modus di
abbandonarsi intensivamente a qualcosa di cui esperire nel partico-
lare la sua esistenza39.
E così anche la specifica esperienza attimale in Joyce o in Proust
non è un mero percepire puntuale del puro ora, ma caricato dal
tempo ricordato. Sono attimi dell’esperienza passata che nel mo-
mento attimale diventano involontariamente di nuovo presenti, e che
richiamano un mondo sepolto e in ultimo alla giovinezza.
Per Adorno proprio i movimenti di fantasia e riflessione libe-
rati nella finzione letteraria, in riferimento ad autori determinanti
dell’avanguardia francese e inglese (per fare alcuni nomi: Baudelaire,
Proust e Valéry per la prima  –  Poe e Joyce per la seconda), sono
un punto di partenza per riflettere criticamente il manifestarsi di
un possibile altro. Una forma di riflessione del possibile non adem-
piuto, che viene a manifestarsi in base agli e insieme agli oggetti
dell’esperienza.
Il modo in cui questo momento improvviso diventa esperibile
da un punto di vista estetico, in cui cioè un oggetto diventa epifa-
nico, viene da Adorno definito come un improvviso essere catturati.
Questo essere rapiti è attimale e violento, proveniente da una inten-
sità spiazzante che mette in moto la riflessione. Adorno allude all’at-
timo fecondo in riferimento a Lessing: l’apparire di una momenta-
nea pregnanza40. «Le opere d’arte diventano manifestazioni in senso

38
  K.H. Bohrer, Plötzlichkeit. Zum Augenblick des ästhetischen Scheins, cit., p. 186.
39
  Cfr. T.W. Adorno, Teoria estetica, cit., p. 157.
40
  Decisiva è la concentrazione attimale, per così dire un detonatore nucleare, che in
quanto ‘irreale’ rende esperibile in modo puntuale un’esperienza condensata del tempo e della
storia. Roland Barthes definisce questa puntualità della pienezza di senso come il carattere ar-
tificiale, irreale o non reale, dell’arte, e si richiama a Lessing e al momento pregnante delle
arti figurative, momento allo stesso tempo concretamente assoluto e astratto. Cfr. R. Barthes,
Diderot, Brecht, Ejzenstejn, in L’ovvio e l’ottuso. Saggi critici iii, trad. it. di C. Benincasa, G.
Bottiroli, G.P. Caprettini, D. De Agostini, L. Lonzi e G. Mariotti, Einaudi, Torino 1985.

129
Anne Eusterschulte

pregnante, manifestazioni di qualcosa d’altro, quando l’accento cade


sull’irreale della loro propria realtà. Il carattere di atto a esse imma-
nente conferisce loro qualcosa di momentaneo, di improvviso, siano
o no realizzate nei loro materiali come un che di duraturo. La sen-
sazione di venir-sorpresi al cospetto di ogni opera significativa lo
registra»41.
Il carattere di atto delle opere d’arte, come partisse da loro un
movimento che ci assale e ci trascina in esse, è un improvviso es-
sere presi con un momento liberatorio che, nel suo coinvolgimento,
si estrania totalmente dal mondo estraniato. È una liberazione espe-
ribile nel suo carattere momentaneo, o una ‘trascendenza rispetto al
mero essente’, in un’esperienza attimale presente nella sua corpo-
reità. Il momento «dell’essere sopraffatti, della dimenticanza di sé,
propriamente dell’estinzione del soggetto [...] È come se in quest’at-
timo  –  si potrebbero citare gli attimi del pianto  –  il soggetto in sé
scosso potesse franare [...], si estinguesse in sé stesso e trovasse la
sua felicità proprio in questa estinzione»42. Questa ‘sospensione tem-
poranea’ del soggetto che si abbandona all’opera d’arte non è un
annullarsi privo di memoria in un compimento sensuale. Nella mi-
sura in cui nella struttura materiale dell’arte, nella dissonanza della
forma, si trova una certa resistenza rispetto a un mero lasciarsi-trasci-
nare  –  Adorno chiama questo aspetto un accumulo di riflessione  –,
l’opera d’arte provoca processi di comprensione, come quelli che si
manifestano nel sentimento del sublime.
L’esperienza del sublime, che Kant determina a partire dalle
forze naturali, diventa la ragione strutturale di quell’esperienza della
resistenza che vive sempre all’interno dell’esperienza estetica.
«In questo sentimento di resistenza contro il mero essente è
contenuta in realtà l’utopia, secondo cui questo mero essente non
avrebbe l’ultima parola. E questa immagine senza immagini dell’u-
topia, questa espressione di un’utopia, che non esprime sé stessa ma
rende noto che si manifesta qualcosa di più forte, o che noi ci mani-
festiamo come qualcosa di più forte del mondo come è ora»43.
L’estetica del sublime di Kant diventa il parametro per compren-
dere l’esperienza estetica attraverso un sentimento di tensione, un
«tremare-in-sé stessi» come «un tipo di movimento della coscienza
[...] che oscilla tra il sentimento dell’impotenza e dell’essere sopraf-
fatto, e quello del proprio-essere-potente e della resistenza»44.

41
  T.W. Adorno, Teoria estetica, cit., p. 107.
42
  Cfr. T.W. Adorno, Ästhetik (1958/59), cit., p. 197.
43
  Ivi, p. 52.
44
  Ivi, pp. 53-54.

130
Apparitiones. Apparenza e manifestazione dell’arte nella Teoria estetica di Adorno

3. Teologema dell’apparizione

Tenendo presente il tremare estetico, torniamo ad alcuni ele-


menti relativi alla semantica teologica contestuale di un’esperienza
estetica. Adorno non fa nessun mistero sull’uso inverso di elementi
teologici. Ma ciò accade in una chiara assenza di cariche religiose45.
Il carattere di apparizione dell’arte non è «l’interiorità priva di
oggetto»46, ma, sia nella produzione estetica (nell’opera d’arte) che
nella percezione estetica (nell’esperienza estetica), raggiunge il suo
fine attraverso il soggetto singolo passando per le correnti ogget-
tive del linguaggio. Le opere d’arte si articolano di volta in volta in
una personificazione specifica, storica, vale a dire in una forma lin-
guistica artistica in cui la forma è sempre concepita come contenuto
storico sedimentato. Il venire-a-manifestazione mostra un rapporto
di incorporazione.
La formulazione latina apparitio appare nel contesto teologico
come luogo dell’epifavneia greca, o meglio della qeofavneia. Una
teo­fania/epifania (apparizione divina) è, in quanto momento di un
divenire visibile visionario, un’esperienza della rivelazione che ac-
cade a una singola persona in un limite spazio-temporale momen-
taneo: un attimo vissuto nella sua singolarità  –  si pensi ancora una
volta alla «trascendenza nei confronti del mero esserci»47 –, che di
solito è testimonianza, da un punto di vista storico-religioso nell’alto
come nel nuovo testamento, del palesarsi di Dio48.
La rivelazione che ci deve qui interessare è quella, in senso lato,
‘linguistica’. Una epifania, un giungere-a-manifestazione dell’ineffa-
bile (dal punto di vista teologico: di Dio) è esperita come simulta-
neità dialettica di latenza e apparenza. Ciò accade a proposito della

45
  Cfr. a questo proposito il saggio in lingua inglese di Adorno Theses Upon Art and Re-
ligion Today, in GS 16, pp. 645-653. Proust è qui per Adorno l’autore che, proprio mentre
si rivolge ad oggetti concreti, particolari e materiali, traspone una idea del tutto teologica (la
speranza della risurrezione e dell’immortalità) nelle sue opere letterarie, e assegna loro il ca-
rattere di un ‘geroglifico’ (letteralmente: caratteri scritti sacri) nel momento in cui evoca nella
concentrazione su un dettaglio opaco il ricordo del passato, contrasta la forza del passato:
«Lui è colui che, in un mondo non religioso, prende la frase dell’immortalità letteralmente e
prova a salvare la vita, come un’immagine, dal dolore della morte» (p. 653). Con ciò Proust,
secondo Adorno, rende impotente la morte, opponendosi alla morte della singola vita con il
dimenticato: «Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?» (Paolo, 1 Cor 11,55).
46
  Come Adorno spiega ripetutamente nel suo Kierkegaard, cit.
47
  T.W. Adorno, Ästhetik (1958/59), cit., p. 196.
48
  Sistematicamente rilevante è il carattere linguistico dell’apparire divino come annuncia-
zione di sé stesso al mondo intero (cfr. Ps 50, Ps 68), ovvero il palesarsi in forma linguistica
nel fuoco, nella nebbia, nel fumo, nelle forze naturali, soprattutto nei discorsi (in cui Dio
viene ascoltato, ma non visto) a Mosè sul monte Sinai (Ex 3,14-19, 16), nel sogno di Gia-
cobbe (Gn 28,10 e seguenti), il Canto di Debora (Jg 5,3-5; Hk 3) o le profezie di Ezechiele
o Daniele. Nel tardo antico di stampo cristiano l’epifania indica la manifestazione storica del
Cristo nell’esistenza corporea, ovvero l’adventus dei, indicativamente sul modello dell’adora-
zione dei saggi (dei re) a cui una stella ha mostrato il cammino.

131
Anne Eusterschulte

materializzazione di un ‘linguaggio’, vale a dire nelle forme dell’arti-


colazione temporalizzate e allo stesso tempo diafane.
Assumiamo una rappresentazione teologica della creazione, come
per esempio la descrive Agostino, secondo cui le manifestazioni
della natura addirittura gridano (clamant), sono cioè espressione
della creazione divina, mentre si mostrano mutevoli, in un oscillare
tra visibilità e ascoltabilità: «È l’evidenza stessa che parla per loro»49.
Il carattere linguistico delle cose fisiche garantisce un’esperienza
dell’evidenza, nella misura in cui la loro mutabilità visibile ‘parla’ a
partire da una immutabilità non visibile. Tutto quello che viene co-
nosciuto e percepito, così una famosa formulazione del filosofo me-
dioevale Giovanni Scoto Eriugena, non è «null’altro se non l’appari-
zione di ciò che non appare (non apparentis apparitio), la manifesta-
zione di ciò che è nascosto (occulti manifestatio), l’affermazione del
negativo (negati affirmatio), la comprensione del non comprensibile
(incomprehensibilis comprehensio), l’espressione dell’inesprimibile
(ineffabilis fatus)»50.
Non si tratta assolutamente di avvicinare la filosofia adorniana
alla teologia negativa, quanto di far riferimento ad altri livelli sto-
rici di senso che si concentrano nel concetto di apparitio. Se, in uno
sfondo teologico, si pronuncia e può divenire percepibile qualcosa
di divino in tutte le modalità espressive delle cose (omnis visibilis
et invisibilis creatura theophania, id est divina apparitio, potest appel-
lari), se ogni cosa, visibile come invisibile, può essere afferrata come
manifestazione divina, allora ciò porta ad essere rivolti al rapporto
di immanenza dell’illuminazione profana, e soprattutto ad essere tra-
sposti a una natura storica delle cose, alle loro predisposizioni sto-
riche, a una dimensione irriducibile che trasgredisce ogni compren-
dere, e che supera la mera cosalità.
Il pensiero che arriva come un lampo, il pensiero dell’attimo in
cui si guarda (del balenio in cui si guarda), per così dire l’innesco
della cosa e la sua manifestazione, guadagnano un significato emi-
nente. In una famosa testimonianza Agostino cerca questo scor-
gere come un «lampo in cui la vista si smarrisce (in ictu trepidan-
tis aspectus)»51. È incisivo  –  è un ictus, un colpo o un taglio, come
quello inferto dalla violenza di un’arma  –  e una improvvisa manife-
stazione dell’intermittenza più sfuggente, che consuma il flusso tem-
porale empirico, che provoca una scossa nel percipiente.

49
 Agostino, Confessiones, ed. it. a cura di R. De Monticelli, Confessioni, Garzanti, Milano
1999, libro xi, 4.6, p. 719.
50
  Giovanni Scoto Eriugena, Periphyseon/De divisione naturae, ed. it. a cura di N. Gorlani,
Divisione della natura, Bompiani, Milano 2013, p. 699.
51
  Agostino, Confessioni, cit., libro vii, 17.23, p. 489.

132
Apparitiones. Apparenza e manifestazione dell’arte nella Teoria estetica di Adorno

Ciò che qui fa irruzione con violenza non è la visione di una di-
mensione sacra sovratemporale, ma un momento di una conoscenza
che può mandare in pezzi l’aldiquà, per subito sottrarsi nuovamente.
Non può essere trattenuto: «Ma non riuscii a fissarvi lo sguardo e
ricaddi spossato nei soliti giorni, senz’altro portare con me che la
memoria innamorata e struggente: come di un profumo di cose che
ancora non potevo gustare»52. Sono impressioni sensuali del tutto
lievi di una speranza nel qui e ora, allusioni alla figura messianica
di un giungere-a-manifestazione che rimane sfuggente, e che istanta-
neamente riporta di nuovo al terreno della realtà. Si tratta qui solo
di questa connotazione della manifestazione divina teologica: l’appa-
rizione che si dà nel tempo, come un balenare che transita nel tra-
scorrere temporale.
In una teoria dell’illuminazione profana, rivolta a un’invettiva
storico-critica e politica53, l’apparizione si rivolge alla figura del ‘con-
tinuare a vivere’ (Aby Warburg). È la forza attimale dirompente che
si mostra nell’esperienza estetica come una violenza improvvisa di
una visione sfuggente54. In uno di questi momenti il passato e il pre-
sente si uniscono nel momento dell’ora e lasciano che venga a mani-
festarsi un possibile altro – il continuare a vivere del possibile altro.
Il «dispiegarsi delle opere» è il loro «continuare a vivere»55, così
Adorno, nella misura in cui i momenti non conciliati in sé stessi che
sono contenuti nell’opera d’arte e che ‘si fanno garanti’ dell’incon-
ciliabilità dell’elemento storico, ne racchiudono la dinamica interna
e possono esperire le alienazioni per così dire esplosive in diversi
momenti temporali. L’esperienza estetica è in questo senso cairotica.
Nel kairov~ negativo, come Adorno lo vede realizzare in Beckett, si
concretizza questo processo. Se Beckett, come si afferma in Aspet-
tando Godot ma anche nelle molte altre poesie in prosa, mette in
scena la progressione come un ‘subentrare’, e se, con ripetizioni e
con slittamenti di significato infiniti, opera parcours interrotti e fram-
menti di dialogo, ciò si lascia leggere da un lato come una «estra-
polazione del kairov~ negativo»: «La pienezza dell’attimo si capo-
volge in ripetizione infiniti, convergendo con il nulla»56. Quello che
secondo Adorno si mostra non è una rappresentazione della realtà
o un tentativo di presentare forme di contatto ristrette alla sfera

52
  Ibid.
53
  Cfr. G. Didi-Huberman, Apocalypses?, in Survivance des lucioles, Minuit, Parigi 2009;
trad. it. di C. Tartarini, Come le lucciole: una politica delle sopravvivenze, Bollati Boringhieri,
Torino 2013, cap. Apocalissi?
54
  Ibid. Nel capitolo Distruzioni Didi-Huberman si riferisce alle Tesi di filosofia della storia
di Benjamin e al riferimento a un Messia che potrebbe entrare attraverso una piccola porta in
ogni secondo, per leggere ciò come cifra dell’immagine dialettica balenante, transitante, e della
sua bellezza sfuggente.
55
  T.W. Adorno, Teoria estetica, cit., p. 259.
56
  Ivi, pp. 42-43.

133
Anne Eusterschulte

umana. Si tratta piuttosto di liberare un processo, una modalità di


esperienza umana fondante che si dà ora e precisamente in un de-
terminato attimo. «Ma nel punto zero in cui si aggira la prosa di Be-
ckett, come le forze nell’infinitamente piccolo della fisica, salta fuori
un mondo secondo di immagini, [corsivi dell’Autrice] tanto triste
quanto ricco, concentrato di esperienze storiche [...]»57. Questo im-
mediato dischiudersi della pienezza di senso negativa, kairos dell’e-
sperienza58, sarebbe proprio la dinamica che si fa garante nell’opera
d’arte, che può sempre scaricarsi in modo nuovamente esplosivo.
La disposizione trasformante dell’esperienza estetica, che nel
manifestarsi dell’opera d’arte irrompe commovendo, ricorre per
Adorno al brivido teologico  –  un’esperienza di Dio fulminea e la
cui violenza allo stesso tempo evoca timore e reverenza. Se le opere
d’arte sono «immagini del brivido», di un brivido tanto più alie-
nante quanto più nell’opera d’arte appare inconciliabile la crepa tra
le singole cose della realtà storica, disposte in modo funzionale dalla
realtà che opera in modo razionale, e un ‘più’ non riducibile e allo
stesso tempo essente dei fenomeni, allora ci si chiede in che modo
un brivido passato come un passato vibra in queste opere»59.
Una scossa di assestamento della dialettica dell’illuminismo: da
una parte il disincanto illuministico della natura è, in collegamento
con una critica dell’irrazionalismo religioso, una grande liberazione.
Questo coinvolge la paura mitica. Tuttavia in questo processo illu-
ministico la natura perde il proprio brivido, cioè la propria esigenza
non concettuale di commuoversi, ciò che questo ‘più’ è, come mera
positività del fattuale. Ma forse è proprio questo stesso movimento
illuministico che si appresta a salvare il brivido. Infatti questo mo-
vimento concentra lo sguardo verso ciò che «suscita brividi nella
realtà stessa»60, verso una disillusione razionale che, nelle cose, con
il rigetto del numinoso ha incluso ogni magia, ogni momento che
rimanda al di là del calcolo funzionale. Seguendo queste riflessioni
adorniane possiamo comprendere il gesto di verità dell’arte, nel
momento in cui prende in sé questo spavento di una realtà ineso-
rabile. Da una parte, nella misura in cui rende esperibile l’irrazio-
nalità dell’ipotetica composizione razionale del mondo. Dall’altra in
quanto assume la loquacità racchiusa nell’elemento singolare della
natura e ne permette la manifestazione nell’opera artistica. «La na-
tura ha la propria bellezza in ciò, che sembra dire di più di quel che

57
  Ivi, p. 43.
58
  Kairos, a differenza di Chronos, in quanto attimo critico che esige una decisione, che
sfida l’uomo così come il momento della Grazia dell’Alto Testamento o la Potenza Divina che
si innalza in cielo del Nuovo Testamento (Mar 1, 15).
59
  T.W. Adorno, Lezione inedita del 23.1.1961, cit., Vo 7064.
60
  T.W. Adorno, Teoria estetica, cit., p. 113.

134
Apparitiones. Apparenza e manifestazione dell’arte nella Teoria estetica di Adorno

essa è»61. Questo momento transitorio della natura, l’effetto della lo-
quacità  –  in senso benjaminiano si potrebbe chiamare la dimensione
auratica di una vicina lontananza –, l’arte cerca di sottrarre alla con-
tingenza l’apparenza, sfuggente più di ogni altra, di quel rimandare-
oltre-sé-stessi. Ma come può riuscirci, se questo esternare è qualcosa
di involontario, di non orientabile, a cui aderisce un carattere di ri-
velazione? L’arte prende un mezzo in-diretto, per portare ad espres-
sione qualcosa che non si lascia direttamente ‘tradurre’: segue un
procedimento cristallizzante. La formazione costitutiva e la concen-
trazione di momenti materiali diventano nell’opera d’arte il punto in
cui si condensa un accadere che ottiene, dal gioco reciproco tra i
momenti, un ‘linguaggio’ trasgressivo. Un linguaggio che si dà come
richiamo al di là dell’oggetto concreto e si sottrae alla fissità del si-
gnificato.
«La loro trascendenza è ciò che di esse parla ovvero la loro
scrittura, ma è una trascendenza senza significato o, più esattamente,
con un significato mozzato o coperto. Mediata soggettivamente, essa
si palesa in maniera obiettiva ma tanto più desultoria»62.
Desultoria: questa parola ci rimanda al cambio di cavallo di un
acrobata nel maneggio. Un’acrobazia del passaggio in movimento.
Avventura e rischio. Anche l’arte quindi sarebbe oggettivamente
esperibile attraverso un movimento balzante, di superamento conti-
nuo. Ma questi salti non possono essere pensati come cambiamenti
comprensibili secondo un piano, come se dovesse conseguentemente
apparire una dimensione di trascendenza. Non può essere un’evo-
cazione finalizzata di intensità o caratteristiche effettive, poiché «il
brivido a cui si è mirato non vale più nulla: non compare»63. Non
si lascia realizzare come un effetto. Come si struttura quindi questa
esperienza? Le riflessioni frammentarie di Paul Valéry offrono, se-
condo Adorno, un tentativo di risposta.

4. Pregnanza dell’immaginazione: Le anomalie di Valéry

Torniamo alla constatazione che le opere d’arte diventano ma-


nifestazioni in senso pregnante, manifestazioni di un altro, quando
l’accento «cade sull’irreale della loro propria realtà» e «il carattere
di atto ad esse immanente» «conferisce a loro qualcosa di momenta-
neo, di improvviso» che ‘assale’ chi esperisce64.

61
  Ivi, p. 105.
62
  Ivi, p. 106. Cfr. anche ivi, pp. 151 e 152: «Il vero linguaggio dell’arte è muto, il suo
momento muto ha il primato su quello significante» legato alla funzione della comunicazione
e designazione. «L’espressione è lo sguardo delle opere d’arte».
63
  Ivi, p. 106.
64
  Ivi, p. 107.

135
Anne Eusterschulte

Questo ‘assalire’ va oltre la datità materiale dell’oggetto artistico


percettibile. Nella percezione diventa esperibile la presenza sfuggente,
istantanea di un altro. Questa esperienza della presenza comporta una
determinata “irrealtà” delle opere d’arte, nel momento in cui queste
lasciano manifestare qualcosa non verificabile empiricamente né de-
terminabile concettualmente. Eppure a partire dalle opere d’arte si at-
tua in senso pregnante, nella comprensione quindi, il fatto che l’arte
possa dispiegare in modo immaginativo e riflessivo questo momento
fecondo: un’altra, possibile verità. A essere chiamata in causa è una
forma di riflessione che, a partire da percezioni esteriori date dai
sensi, orienta proprie traiettorie di senso. Confrontabile con il sogno
o con il modo di abbandonarsi alle anomalie e ai capricci. Sono que-
sti ‘Capricen’ che danno spazio alla pregnanza estetica, all’attimo fe-
condo, e quindi a una pienezza di senso allusiva.
«Chissà quindi se le leggi proprie o le forme essenziali del pen-
siero non siano visibili nel modo più puro, nel modo più semplice,
in quegli attimi  –  in quelle fasi  –  in cui c’è la più grande libertà
(della sostituzione, del salto, della fantasia)? Situazioni che sarebbero
analoghe a movimenti privi di attrito di corpi celesti e a reazioni
chimiche alla più alta temperatura. Per questo si darebbe un senso
molto più profondo ai capricci degli artisti, e a quelli dei bambini.
Siffatte bagatelle avrebbero il loro valore. Da tenere a mente è an-
che il fatto che questi giochi notoriamente sembrano molto leggeri,
non impegnativi e reversibili, mentre esigono una velocità molto
elevata»65. Così Paul Valéry.
Per Valéry sono questi Capricen, queste disposizioni d’animo ad
abbandonarsi a dis-locazioni, «le vere trovate  –  originate da un tipo
di cristallizzazione improvvisa o quasi improvvisa. È un ordine sui
generis, emerso dal caso. Questo stesso caso, o un numero di circo-
stanze, può anche racchiudere il sentimento, l’emozione, ma a titolo
di elemento. Questo riordino ha una grande vicinanza con fenomeni
del ricordo  –  della risonanza generalizzata. Così il rumore  –  il mezzo
tono  –  di uno colpo metallico può improvvisamente dare vita a una
disposizione cerebrale favorevole –  a un colpo fortunato»66.
La produzione poetica di cui parla Valéry non è un movimento
intenzionale o un comporre pianificato. Questa si abbandona a pen-
sate, conduce con fare danzante a un Ensemble, ed è tuttavia, nel
rigore della sua forma, tutt’altro che arbitraria. Per produrre e farsi
portatrice di reminiscenze nei momenti di rappresentazione, l’opera
d’arte ricorre soprattutto alle trovate, alle anomalie, alle polifonie
che, provocate a partire dal materiale, si muovono all’interno del lin-

65
  Paul Valéry, Valeur de caprices (1905-1906, Sans titre, iii, 869), in: Cahiers, ii, a cura di
Judith Robinson-Valéry, Gallimard, Parigi 1974, p. 989.
66
  Ivi (1913 L13, v, 15-16), p. 998.

136
Apparitiones. Apparenza e manifestazione dell’arte nella Teoria estetica di Adorno

guaggio artistico e rendono rappresentabili delle possibilità nelle ri-


sonanze che fluttuano liberamente.
«Le analogie e le metafore devono essere considerate prodotti
regolari, atti di uno stato del tutto determinato in cui tutto il mani-
festante si manifesta all’interno di una sorta di risonanza di similitu-
dini. In questo stato non emerge nessuna cosa isolatamente, lo spi-
rito procede per gruppi interi, e ciò che rimane isolato è per lui una
cosa incompiuta, un atto incompleto. A questo punto della perce-
zione  –  sembra perfino che ogni oggetto dato nella realtà sia un ele-
mento costitutivo di un indivisibile psichico  –  non qualcosa di meno
ma qualcosa di più [corsivo dell’Autrice]»67.
Percepiamo qui una presenza costellativa, un senso di possibilità
(Musil). Questa emancipazione non è lasciata a fluttuazioni associa-
tive soggettive né dal punto di vista della produzione né da quello
della ricezione estetica. Secondo Valéry si tratta sempre di nuovo
di possibilità inadempiute liberate nell’immaginazione in quanto la-
tenze, nel e a partire dal materiale, da una cosa o un’immagine ap-
parentemente insignificanti. «L’uomo guarda un’immagine e vede
una realtà. Contempla un disegno e vede delle cose. Guarda delle
cose e vede possibili atti, operazioni. Solo questo possibile conferi-
sce un valore alle cose viste. Egli concepisce questi possibili atti, li
intuisce prima (siano attuabili o meno), e da ciò ne trae il sentire di
relazioni costanti, di variazioni indipendenti, di legami, di sistèmes
fermés... Il genio si situa nella percezione di questo possibile. Egli lo
accresce o in punto specifico o in maniera sistematica. A volte inse-
risce altri legami, a volte delle libertà non ancora immaginate [cor-
sivo dell’Autrice]»68.
Trovare e rendere l’estraneo esperibile nei particolari, «come
quando si percepisce una melodia nel cadere monotono di gocce
d’acqua, nel dondolare di un treno o dallo sbattere ritmico di una
macchina... C’è bisogno per questo, io credo, di un oggetto indeter-
minato [corsivo dell’Autrice], o un perno o un materiale, e di una
disposizione»69.
Per un confronto di Adorno con Valéry si deve sottolineare, in
questa capacità di esperire il possibile nel dato, il momento della ri-
gorosa non-identità dei fenomeni esistenti con i tentativi di defini-
zione linguistica o di appropriazione strumentalizzante. «“I piccoli
fatti inesplicati contengono sempre di che rovesciare tutte le spiega-
zioni dei grandi fatti” (498)»70.

67
  Ivi (1913, v, 26), pp. 998-999.
68
  Ivi (1914, v, 389), p. 1000.
69
  Ivi (1910, B 1910, iv, 422), p. 992.
70
  T.W. Adorno, Valérys Abweichungen, in Noten zur Literatur, GS 11; ed it. a cura di G.
Manzoni, E. De Angelis e A. Ferioli, L’ago declinante di Valéry, in Note per la letteratura 1943-
1961, Einaudi, Torino 1979, p. 168.

137
Anne Eusterschulte

Tuttavia queste anomalie non sono frutto di un’arbitrarietà o di


un’immaginazione libera e soggettiva, ma arrivano ad essere rigide
leggi formali. Nella lettura adorniana l’approccio storico-filosofico,
critico-storico materialista di Valéry diventa il punto centrale di una
riflessione sul possibile bandito71. «“Per me io riassumo tutto questo
incanto del mare dicendomi che esso non cessa di mostrare il pos-
sibile ai miei occhi” (1335). [...] La sua somiglianza con sé stessa la
rende linguaggio. Soltanto in questo paralinguismo tutta l’arte ha la
sua unità [corsivo dell’Autrice]»72. Questa somiglianza chiusa in sé
stessa la rende pendant di un Assoluto, anche e proprio nella sua in-
determinatezza e inimitabilità, come della condizione di movimento
non calcolabile dei momenti di cambiamento, dello scivolare l’uno
nell’altro dei singoli toni in un fruscio73, della pienezza delle possibi-
lità. Imitare questa assolutezza  –  in sé una indeterminatezza chiusa,
determinata  –  nel condizionato, «a ciò si appiglia la promessa utopi-
stica: “Ascolta questo rumore fine che è continuo e che è il silenzio.
Ascolta quel che si ode allorché niente si fa udire” (656)»74.

5. Écriture: Epifania e premonizioni dell’arte

L’istantaneità ambigua dell’eloquenza che brilla e della sua vo-


latilizzazione nella manifestazione estetica rimanda a una modalità
temporale specifica dell’esperienza estetica che è impregnata di teo­
logia. Le opere d’arte sono epifanie o manifestazioni (apparition),
ma anche allo stesso tempo ‘premonizioni’. Una scrittura sempre
sfuggente. Una scrittura rimanda sempre a una leggibilità, a una se-
mantica decifrabile. Dove la scrittura compare, chiama in causa la
lettura. Adorno opera tuttavia con una tensione escatologica: «Le
opere d’arte sono epifanie neutralizzate e dunque qualitativamente
mutate. [...] Sono cose in cui l’importante è manifestarsi [...] segno
celeste e prodotto al tempo stesso, premonizione [corsivo dell’Au-
trice], scrittura che balena e scompare, che tuttavia non si può leg-
gere nel suo significato»75. Epifania e premonizioni.
Secondo il libro di Daniele dell’Antico Testamento, nel corso di
una festa sacrilega il re Baldassarre vede comparire all’improvviso
una scrittura lucente sul muro. Nessuno dei saggi e degli indovini

71
  Ivi, p. 177: «Con il linguaggio cifrato si è giunti a dire che il soggetto estetico non è
l’individuo produttivo nella sua casualità bensì un soggetto sociale latente, come rappresen-
tante del quale agisce il singolo artista».
72
  Ivi, p. 189.
73
  Già in Leibniz l’esperienza estetica del je ne sais quoi viene illustrata con l’esempio del
mare.
74
  T.W. Adorno, L’ago declinante di Valéry, cit., p. 189.
75
  T.W. Adorno, Teoria estetica, cit., pp. 108-109.

138
Apparitiones. Apparenza e manifestazione dell’arte nella Teoria estetica di Adorno

presenti è in grado di leggere e decifrare questa scrittura che, come


scritta da una mano miracolosa, annuncia una disgrazia: una pre-
monizione, vale a dire una scrittura che racchiude in sé un cambia-
mento catastrofico, che è scritta in modo enigmatico e in un segno
indecifrabile e che suscita puro terrore. Solo il profeta sa decifrare
il messaggio che mostra il futuro, che accenna a una catastrofe che
da molto tempo si sta realizzando nella realtà storica (Dan 5,1-39).
Il carattere della scrittura che qui giunge a risoluzione, rimanda
‘in modo geroglifico’ a una saggezza divina che istantaneamente si
estingue come monito, ma non prima di aver segnalato qualcosa di
enigmatico e di minaccioso. Risulta efficace far riferimento alla pre-
monizione biblica, tanto più che nell’estetica di Adorno la premoni-
zione riguarda una citazione proprio nella sua unicità. Ed è proprio
questa correlazione evidenziata tra la premonizione e l’epifania in
cui si concentra, trasposta nell’esperienza estetica, proprio l’eccita-
zione attimale ed elettrizzante del pericolo e della promessa nel suo
processo. In questo segno improvviso e fulmineo della catastrofe,
preludio di deterioramento e distruzione, si realizza per Adorno
uno stato di tensione immanente all’opera d’arte che scuote mental-
mente e fisicamente l’esperienza estetica.
«In fondo si ritrova nell’improvvisa manifestazione delle opere
d’arte stesse, lì dove le opere d’arte somigliano a manifestazioni ce-
lesti, anche sempre qualcosa che scompare, si incupisce e minaccia,
e col fatto che la catastrofe trionfa sui momenti di realtà dell’opera
d’arte, la catastrofe stessa attraversa l’attimo della realtà in un modo
simile alle opere di Franz Kafka, [che] si percuotono direttamente
sul corpo del lettore che le esperisce, un po’ come se si stesse sui
binari e arrivasse all’improvviso un treno veloce sferragliando.
Nell’opera d’arte dunque la pregnanza teologica  –  se per una volta
voglio così definire la manifestazione dell’opera d’arte  –  e quello ni-
chilistico, cioè quel bruciare che parte dall’attimo di questa manife-
stazione stessa, sono due facce della stessa medaglia»76.
Proprio questo rimando alla premonizione dell’Antico Testa-
mento rende più chiaro in che misura le opere d’arte siano ‘lin-
guaggio’. Sono ‘eloquenti’ ben oltre di ogni funzionalità comunica-
tiva o informativa. Nelle opere d’arte si delineano per così dire fre-
quenze sismografiche, scosse. Questo tipo di écriture caratterizza per
Adorno il confronto con l’opera d’arte nella Modernità. Effetti di
una ‘scrittura scarabbocchiata’, come in Klee, Wols  –  e potremmo
forse pensare a Cy Twombly –, che non si prestano a nessuna let-
tura, ma ‘dicono’ che si ritraggono di fronte a una decifrazione,
‘dicono’ che «è andato perduto il codice e al cui contenuto contri-

76
  T.W. Adorno, Lezione inedita del 23.1.1961, cit., Vo 7067.

139
Anne Eusterschulte

buisce non da ultimo il fatto che quest’ultimo manca. Linguaggio le


opere d’arte lo sono come scrittura»77.
Che il carattere del linguaggio sia tale che la sua assegnazione
di significato sia reciso e si sottragga ad uno scioglimento ermeneu-
tico, è stato già sottolineato. Ma in che modo questo linguaggio, l’e-
spressione in una forma propria per il materiale, deve essere definita
scrittura (écriture)?
In riferimento alle riflessioni adorniane sul rapporto tra la pit-
tura e la musica diventa nuovamente rilevante la dimensione costi-
tutiva dello spazio e del tempo delle forme artistiche. È la modalità
specifica di medium che fa diventare qualcosa eloquente. Qui con-
vergono pittura e musica (o altre forme artistiche), senza che ciò
debba significare una confusione sinestetica tra la peculiarità della
temporalità e quella della spazialità. Questo movimento linguistico
non è una forma di espressione mimica o narrativa, altrettanto poco
una forma di espressione comunicativa o una funzione simbolizzante
con una referenza rappresentativa rispetto a ciò che viene imitato.
Il linguaggio si manifesta in una ‘struttura’ costituitasi a partire dal
materiale specifico e dalla sua conformazione, in una forma che
parla a partire dal materiale: «Le figure del loro essere strutturate
sono scrittura»78. Si tratta per così dire di scritture segrete che rom-
pono la relazione tra i segni e ciò che viene mostrato, riscattano l’e-
straneo legato a un non esprimibile che risveglia nel corpo, senza
nominarlo, uno spavento latente.
«Non sarebbe assurdo chiamare sismografico quel carattere della
scrittura. Viene originato dal lontano e aprioristico tremare delle ca-
tastrofi. Nel rifletterlo le arti sobbalzano insieme a questo tremare;
le tracce di questi sobbalzi, che le opere preservano, sono i tratti
della scrittura che le caratterizzano»79.
Registrazioni di scosse di assestamento e prime avvisaglie di
scosse del ‘terreno’ storico-materiale80. Le catastrofi storiche sono
inscritte nell’opera d’arte: movimenti sussultori e colpi/choc della
storia materiale. Nella misura in cui «le opere d’arte fanno perve-

77
  T.W. Adorno, Teoria estetica, cit., p. 168. Accanto a una écriture automatique bisogne-
rebbe qui occuparsi delle connessioni con il concetto di écriture blanche, ovvero della écriture
au degré zéro di Roland Barthes, del punto zero del linguaggio letterario che diventa a sua volta
importante per il confronto con il procedimento espressivo-linguistico di Maurice Blanchot.
78
  T.W. Adorno, Über einige Relationen zwischen Musik und Malerei, GS 16, p. 634.
79
  Ivi, p. 635.
80
  L’adattamento dei movimenti riscontrabili sismograficamente, le curve di intensità di
un terreno con ancora movimenti sussultori legati al terremoto, il pericolo di una latente eru-
zione, mostrano in senso lato le sedimentazioni negli strati dello spirito dell’esperienza, che si
assestano, rimbombano come eco, continuano a vivere nelle opere d’arte, in cui questi sono
iscritti come écriture di catastrofi virulente, nella cui forma espressiva pulsano. Qui bisogna
però anche pensare a scosse della storie reale: per antonomasia la écriture du desastre  –  detto
con le parole di Blanchot.

140
Apparitiones. Apparenza e manifestazione dell’arte nella Teoria estetica di Adorno

nire scosse e choc, la loro manifestazione esplode [...] e diventa


catastrofe»81.
Il carattere della scrittura rimanda alla figura dialettica della
fissità-dinamicità: grafemi che rilevano il movimento di una scossa,
da una parte fissati senza tempo (come una registrazione), ma che
contemporaneamente attivano una temporalità nell’atto della ‘let-
tura’. Arrestati nel tempo (localizzati nell’‘immagine della scrittura’)
mostrano allo stesso tempo un movimento dello scrivere nello spa-
zio (una performatività). Sono sempre figure di tensione che Adorno
associa all’opera d’arte e all’esperienza estetica, per afferrare que-
sta esplosività caricata e puntuale nello spazio e nel tempo. E così
si consideri la subitaneità come momento di convergenza delle arti
temporali e spaziali, che, di volta in volta, riaprono a un’esperienza
specifica costituentesi nello spazio e nel tempo82, cioè a quella figura
su cui si concentra Adorno:
«Scrittura lo sono le opere d’arte in quanto balenanti, e una tale
subitaneità ha allo stesso tempo qualcosa di temporale come la tra-
sparenza autoproducentesi del fenomeno ha qualcosa di ottico»83.
Decisivo è il tempo registrato di volta in volta nell’opera d’arte, la
loro immersione sismografica e carica di tensione nella temporalità,
vale a dire l’esperienza in loro depositata della realtà storica.
«Ma la manifestazione e la sua esplosione nell’opera d’arte
sono essenzialmente storiche»84. L’opera d’arte è in sé storica  –  non
solo attraverso il suo inquadramento nel percorso storico  –  «ma in
quanto essente è qualcosa che diviene. Ciò che in essa si manifesta
è il suo tempo interno, e l’esplosione della manifestazione che ne fa
saltare la continuità. [...] Analizzare le opere d’arte significa la stessa
cosa che rendersi conto della storia immanente accumulata al suo
interno»85.
In questo senso la singola opera d’arte è anche Mnemosyne,
tempo ricordato. Nell’attimo della manifestazione si fa garante del
conservare come dello scomparire. «Le opere d’arte sono tanto qual-
cosa che sta fermo quanto qualcosa di dinamico; generi al di sotto
della cintura omologata come i tableaux nelle scene da circo e nelle
riviste»86. Si pensi ancora una volta al cambio di cavallo dell’acro-
bata, alla discontinuità. Lo sfondo di mondi illusori del circo, della

81
  T.W. Adorno, Lezione inedita del 23.1.1961, cit., Vo 7066.
82
  Adorno modifica e specifica qui la distinzione dicotomica di Lessing tra simultaneità/
pittura e successione/poesia con inclusione della musica, o delle ‘arti linguistiche’ in senso
lato nella determinazione specifica del modo relativo di una costituzione temporale e spaziale,
e traspone a questa a questa in un modo di volta in volta specifico il carattere transitorio
dell’attimo pregnante.
83
  T.W. Adorno, Über einige Relationen zwischen Musik und Malerei, cit., p. 640.
84
  T.W. Adorno, Teoria estetica, cit., p. 115.
85
  Ibid.
86
  Ivi, p. 108.

141
Anne Eusterschulte

varietà e dello spettacolo rimanda al mondo ambiguo dell’apparire.


Le opere d’arte come i fuochi d’artificio che in modo illusorio innal-
zano momentaneamente dalla bassezza della vita, ma non per idea-
lizzare o per esserne catturati, quanto per sprigionare scarti e altera-
zioni come promesse disilluse.
«Non è per una perfezione superiore che le opere d’arte si di-
stinguono dall’esistente manchevole ma, come i fuochi d’artificio,
perché brillando si attualizzano in una manifestazione espressiva.
[...] Più che possedere idealità, in virtù della propria spiritualizza-
zione esse promettono un sensibile impedito o negato»87.
Come nei fuochi d’artificio, di cui il loro splendore crescente
mentre si manifesta già si estingue, e fa esperire a chi stupefatto l’os-
serva il momento del loro scomparire nell’attimo del loro apparire.
Così violento e presente, fragile e sfuggente. Si strappa nell’attimo
dalla realtà abituale e allo stesso tempo riflette l’inesplicabilità di
ciò che si manifesta. Il fatto che l’opera d’arte sia proprio un fuoco
d’artificio, una rapidissima simultaneità di apparire e scomparire,
che questo secondo Adorno diventi la quintessenza di ciò che, in
senso traslato, un’opera d’arte nella sua manifestazione può scate-
nare come esperienza estetica, riconduce non in ultimo al confronto
con Kierkegaard. Già nel libro di Kierkegaard il razzo diventa cifra
della sfera estetica, cioè di una dialettica dell’immagine:
Così un razzo, per la forza della polvere, monta in un solo schizzo, sta fermo
un momento raccolto, intero, poi scoppia disperdendosi a tutti i venti. Non diver-
samente l’idea della sfera estetica: messa in libertà dalla dialettica soggettiva e lar-
gamente irraggiandola, sospesa nell’eternità del momento quale totalità apparente,
disintegrando la luce della speranza sulle cose alle quali appartiene, come il razzo
appartiene alla moderna antichità della pirotecnica. [...] La speranza insita nell’este-
tico È quella della trasparenza di figure decadenti88.

Cosa rimane se il bagliore della speranza si polverizza sempre di


nuovo? E in che misura dovrebbe apparire una speranza nell’este-
tica delle figure decadenti? Adorno crea costellazioni di motivi, crea
connotazioni tra esperienze la cui familiarità quotidiana e il cui ca-
rattere popolare dello spettacolo rendono traducibili, proprio nell’e-
sperienza estetica, delle sedimentazioni critiche. Sono tentativi di in-
castonare in figure paradossali aspetti, tra loro incrociati, di un’espe-
rienza spazio-temporale. In configurazioni di momentaneità e fugge-
volezza, in esperienze di intensità istantanea, immediatezza e arresto
fino all’irrigidimento al cospetto di una resistenza con cui l’opera
d’arte interrompe le strutture di continuità e commuove nell’attimo.
Il carattere di sopraffazione dell’esperienza estetica, il trattenere

87
  Ivi, p. 109.
88
  T.W. Adorno, Kierkegaard, cit., pp. 322-324.

142
Apparitiones. Apparenza e manifestazione dell’arte nella Teoria estetica di Adorno

il fiato, si rovescia in una dinamicità: ciò che si mostra e si indica


nel suo scomparire, si dis-loca come nell’esperienza del sublime in
uno stato di tensione che evoca movimenti dell’immaginazione che
fanno apparire l’‘altro’. Queste figure hanno implicazioni politiche.
La scossa di assestamento di un passato è allo stesso tempo un’avvi-
saglia di scossa di un possibile futuro89.
L’effetto di presenza90 dell’esperienza estetica e l’accadibilità
nella manifestazione, che sembrano quasi venire dal nulla, sono per
Adorno una violenza che assale il soggetto esperente. L’esperienza
è collegata anche a un momento di felicità istantanea. Allo stesso
tempo appare una contraddizione irrisolvibile che porta scompi-
glio. Il brivido del mondo interiore nella sua tremenda permanenza
prende il posto sia dell’esperienza teologica di Dio sia di esperienze
di una lontananza: «Ciò che in essa si manifesta non è più ideale
e armonia; il suo aspetto liberatorio risiede ormai nei contradditto-
rio e nel dissonante»91. L’arte fa rabbrividire, custodisce uno spa-
vento e dispiega allo stesso tempo una ‘magia’ specifica che risve-
glia una speranza: «Denuncia e anticipazione in essa sono sincopati.
Se l’apparition è lo sfavillante, l’esser-toccato, allora l’immagine è il
tentativo paradossale di avvincere questo qualcosa di assolutamente
fuggevole. Nelle opere d’arte qualcosa di momentaneo si a trascen-
dente; l’obiettivazione rende l’opera d’arte attimo»92.
Questo essere-toccati dis-locante non è un accadere numinoso al
di là del tempo, ma uno spavento improvviso dovuto ad una espe-
rienza storica singolare e irriducibile che, crescendo in modo non
nitido come esperienza inconscia, si presenta del tutto come invo-
lontaria93  –  e che, come traccia della memoria, attraversa la fatticità
del dato e allo stesso tempo porta al suo superamento. In termini
adorniani: «La coscienza non potrebbe affatto disperare del grigio,
se non nutrisse il concetto di un altro colore di cui non manca una
traccia disseminata nell’intero negativo. Esso proviene sempre dal
passato, la speranza dal suo contrario, da quel che dovette perire o
che è condannato; questa interpretazione sarebbe certo adeguata alla
frase conclusiva del saggio su Le affinità elettive di Benjamin: “Solo
per chi non ha speranza, ci è data la speranza”»94.

89
  Cfr. W. Benjamin, Schönes Entsetzen, in GS iv 1, pp. 434-435; trad. it. di G. Carchia,
Seducente orrore, in Opere Complete, iii: Scritti 1928-1929, Einaudi, Torino 2010, p. 278.
90
  Cfr. H.U. Gumbrecht, Präsenz, cit., p. 346.
91
  T.W. Adorno, Teoria estetica, cit., p. 113.
92
  Ivi, pp. 113-114.
93
  Cfr. a questo proposito la storicità interna di ogni essenza linguistica, ovvero la corpo-
reità retorica della rappresentazione linguistica. T.W. Adorno, Dialettica negativa, cit., pp. 50-
53.
94
  Ivi, pp. 339-340.

143
Anne Eusterschulte

Ma questo significa cercare la speranza in attimi di senso com-


piuto, vale a dire nell’esperienza estetica? Non sarebbe piuttosto un
pretesto per compensare il deterioramento disillusorio nella vita? Un
tale ritirarsi rassegnato in una vita interiore prometterebbe semmai
un compimento momentaneo. La speranza non deve però assoluta-
mente essere cercata in un’aspettativa di felicità di questo tipo, quasi
si trattasse del sogno socialista della ‘pienezza della vita’. Come riu-
scirci quindi?
Pensiamo ancora a Proust e al suo modo di «portare a incerta
espressione la speranza nella resurrezione»95. Una speranza con cui
la teologia negativamente ottiene ragione sia contro i fedeli sia con-
tro un puro nichilismo come negazione completa della promessa
di senso e come affermazione di un vuoto morto come factum bru-
tum96. Non si tratta della rappresentazione di una risurrezione in
un al di là metafisico a cui la filosofia potrebbe rivolgersi. Infatti «il
concetto di resurrezione attiene alle creature [corsivo dell’Autrice],
non alle creazioni ed è per le opere spirituali index della loro non
verità  –  forse però sorge, se solo viene realizzato ciò che è pensato
nel suo segno. L’arte ne anticipa qualcosa»97.
Proprio l’arte, nel mostrare di diventare il segno nel non appa-
rente, dovrebbe porre un segno al posto del nulla abissale: «Non c’è
luce sugli uomini e le cose che non sia riverbero della trascendenza.
È incancellabile dalla resistenza al mondo funzionale dello scambio
quella dell’occhio, che non vuole che i colori del mondo sbiadi-
scano. Nell’apparenza si promette il senza apparenza»98.
Concludiamo con un ultimo motivo stellare, con un apparire
stellare che si schiude come bagliore di speranza oltre l’al di qua
del fattuale e il nichilismo dubitante. «Come una stella cadente, la
speranza passò sulle loro teste»99. Questo riferimento alle Affinità
elettive di Goethe, che Benjamin fa proprio, nel suo saggio dedicato
all’opera, per voler esortare al più volte citato appello della spe-
ranza per i senza speranza, è tutt’altro che una pretesa di trascen-
denza consolante. Dà la possibilità di salvare nei linguaggi dell’arte
quell’apparenza sfuggente al cospetto del catastrofico: «Poiché l’ap-
parenza della conciliazione può, anzi deve essere voluta; essa sola è
la sede dell’estrema speranza. Così la speranza finisce per liberarsi
dell’apparenza; ed è solo come una domanda tremante che, alla fine
del libro, quel ‘come sarà bello’ risuona dietro i morti, che, se mai
possiamo sperare che si ridestino, non è già in un mondo bello, ma

95
  Ivi, p. 340.
96
  Cfr. ivi, p. 340.
97
  Ivi, p. 362.
98
  Ivi, pp. 362-363.
99
  W. Benjamin, Wahlverwandtschaften, GS i 1, p. 201; trad. it., Le affinità elettive, in An-
gelus novus, cit., p. 241.

144
Apparitiones. Apparenza e manifestazione dell’arte nella Teoria estetica di Adorno

in un mondo beato. Elpís rimane l’ultima delle parole orfiche: alla


certezza della benedizione, che gli amanti raccolgono nella novella,
corrisponde la speranza nella redenzione, che nutriamo per tutti i
morti. Essa è la sola giustificazione della fede dell’immortalità [...],
[il solo che giunge ad espressione] [...] la stella cadente [corsivo
dell’Autrice]»100.
E se nella speranza messianica benjaminiana risuona ancora la
stella della redenzione di Rosenzweig, la luce messianica di Adorno
diventa proprio quella figura per poter vedere qualcosa sotto una
luce totalmente diversa. L’arte, e con lei l’esperienza estetica è un
percorso, la possibilità di far diventare eloquente una tale speranza
messianica nella redenzione: nella trasparenza delle figure decadenti:
«Si tratta di stabilire prospettive in cui il mondo si dissesti, si estra-
nei, riveli le sue fratture e le sue crepe, come apparirà un giorno,
deformato e manchevole, nella luce messianica»101. Proprio di questo
‘parla’ l’arte, proprio in questo consisterebbe il suo linguaggio mes-
sianico102 che rende manifestabile qualcosa di inadempiuto.
La forma linguistica dell’arte si manifesta in questa écriture si-
smografica. E non è proprio la modalità di rappresentazione ador-
niana, anche nella sua Teoria estetica, essa stessa in un certo senso
una determinata écriture di co-stellazioni manifestantesi in un’opera
d’arte linguistica?

Anne Eusterschulte, Apparitiones. Appearance and Expression of the Work of Art


in Theodor W. Adorno

In his Aesthetical Theory Theodor W. Adorno raises the question of «what it


means to appear». The conceptualization of «appearance» becomes crucial in or-
der to describe the specific immediate presence of aesthetic phenomena. Adorno
is dealing with an ambiguous term of «apparition» to emphasize the epiphanic
character of artworks. The objective dimension of coming into light and the subjec-
tive dimension of aesthetic experience are inseparably intertwined. Refering to the
cultural-historical backgrounds of interpretating celestial apparitions as well as to
theological, literary and metaphorical connotations in terms of a starlight appear-
ing in the sky the article tries to show how Adorno establishes a paradoxical con-
cept of aesthetic presentness and experience. The concept of apparition implies a
certain temporality of aesthetic experience: the simultaneity of a sudden emergence
and an immediate disappearance like a comet or a firework. This epiphanic char-
acter alludes to historico-political and eschatological implications. It sheds light
on a messianic perspective of a future fullfillment. In Adorno the religious or re-

100
  Ivi, pp. 241-242.
101
  T.W. Adorno, Minima moralia, GS 4; trad. it. di L. Ceppa, Einaudi, Torino 1994, p.
304.
102
  E probabilmente, mediata da Benjamin, risuona anche in Adorno un’eco di Rosenzweig
in riferimento al ‘carattere linguistico’, che Adorno trasferisce all’arte, in quanto nella funzione
restitutiva dell’accadere linguistico è presente, secondo Rosenzweig, proprio una promessa
messianica. Cfr. F. Rosenzweig, Der Stern der Erlösung, Suhrkamp, Frankfurt am Mein 1988;
trad. it. di G. Bonola, La stella della redenzione, Vita e Pensiero, Milano 2005.

145
Anne Eusterschulte

velatory meaning of epiphany is transposed to the aesthetic sphere. The moment


of aesthetic appearance is characterized by abruptedness as a sudden imaginative
realization of transparency, like a rapture. This instantaneous visionary experience
of a fullness of meaning provoked by an artwork suspends the time continuum. It’s
a moment of deviation from the common view of things. So the artwork opens the
mind’s eye for a latent promise but at the same time this indication of possibilities
extinguishes. With this dialectical figure of appearance and disappearance, pointing
out a moment of suddenness and vanishing like the sudden flash of an insignifi-
cant écriture Adorno emphasizes the negative character of aesthetical appearance.
Artworks are testifying to a possible praxis but the «it could be otherwise» only
appears in a non-affirmative mode through a constellation of fragments of the given
material socio-historical world. By this fragmentary re-composition and dislocation
artworks evoke a momentary suspense of everyday life fungibility and rationality.
They reveal a transcendence that comes into light throughout the manifestation of
the fragmentariness of the existing reality, i.e. through the ruins of violence and an-
nihilation. But by confronting with the immanence of a tacit potential of the mate-
rial world of things and their unredeemed past artworks evoke an intense, deeply
shattering aesthetical experience. For Adorno art by denying any affirmative expli-
cation witnesses to an ineffable hope: It reveals a critical agency through the trans-
parency of collapsing figures – like a falling star.

Keywords: aesthetic experience; apparition; epiphany; constellation; immanence/tran-


scendence; critics; suddenness; écriture.

Anne Eusterschulte (e Erika Benini)


Freie Universität Berlin
Institut für Philosophie
Habelschwerdter Allee 30
D – 14195 Berlin
aneuster@zedat.fu-berli.de
erikabenini00@gmail.com

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