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Margherita Garelli 4B LSU 04/2022

Traccia: La figura della donna e la rappresentazione dell'amore tra latinità (da Virgilio e Orazio agli elegiaci)
e contemporaneità, analogie e differenze.
La poesia è uno degli strumenti con cui l’amore viene rappresentato e descritto più frequentemente. Oggi,
purtroppo, è un tipo di scrittura che non è più molto usato e che anzi, si sta dimenticando. L’amore rimane,
però, è uno degli aspetti umani più complessi da descrivere a parole e forse la poesia ha gli strumenti
migliori per farlo. Nell’antichità questo era più che scontato, non esistevano molte altre forme di scrittura che
potessero avere come tema principale l’amore e per questo la poesia era molto diffusa. Essa, ad esempio, era
uno dei principali tipi di scrittura nell’epoca latina dove il valore sociologico dell’amore era molto diverso
dal nostro, ma le emozioni provate dagli uomini sono sempre le stesse. Quindi quando Virgilio descrive
l’amore improvviso e inaspettato che Didone prova per Enea, racconta quello che oggi viene chiamato
“colpo di fulmine”. Per questo poeti e letterati del suo calibro sono ancora molto contemporanei perché
anche se le norme sociali e le abitudini di una società cambiano, le emozioni provate dagli individui sono le
stesse.
Molte volte nella poesia le donne vengono miticizzate e descritte come creature celesti superiori agli uomini.
Questo avviene in maniera evidente nella poesia cavalleresca del Medioevo, dove le donne sono veri e propri
angeli che solo con lo sguardo fanno innamorare gli uomini. Nella poesia latina, invece, non è sempre così, i
poeti hanno una visione più realista delle donne e dell’amore. Si rendono conto che entrambe le cose
possono donare una gioia immensa, ma anche una grande sofferenza.
Virgilio, una delle colonne portanti della poesia latina, nell’Eneide inserisce un personaggio con delle
caratteristiche molto innovative e rivoluzionarie: Didone. Essa è una vera e propria eroina, intelligente e
coraggiosa, determinata e caparbia. È una regina, che si è guadagnata il suo regno con l’astuzia e la strategia
e che, fino all’arrivo di Enea nel suo regno, era algida e sicura di sé. Con l’arrivo di Enea la situazione
cambia perché lei si innamora perdutamente. Questo la porta ad affrontare una profonda autoanalisi che la fa
dubitare della sua integrità morale e della promessa di amore eterno fatta al suo defunto marito. Virgilio
scrive: “At regina gravi iamdudum saucia cura volnos alit venis et caeco carpitur igni.” (Eneide IV, vv. 1-2)
Anche se lei continua ad avere molti dubbi sui suoi sentimenti, ormai è presa dalla passione per Enea. Questo
sentimento è descritto da Virgilio come un grave affanno che alimenta la ferita che ha nelle vene. Un fuoco
la consuma dall’interno facendola ardere di passione. Questo è l’innamoramento per Virgilio; una scarica di
adrenalina che provoca dolore nel cuor degli innamorati che si infiammano di passione. Il fatto che lei sia
così vulnerabile di fronte all’amore, non la rende meno impavida. Didone continuerà ad essere la regina forte
ed indipendente che era prima anche dopo aver conosciuto Enea. Questo è evidente nella sua rabbia dopo la
decisione del suo amato di abbandonarla. Lei lo maledirà in preda alla collera concludendo il suo climax di
emozioni suicidandosi. Questo è un vero atto di coraggio; lei è sopraffatta dalle emozioni e si uccide
trafiggendosi con la spada che lo stesso Enea gli aveva regalato. Didone non è una donna debole che non sa
gestire le sue emozioni, ma è audace e decisa nelle sue azioni e per questo è una vera eroina. Essere emotivi
non rende deboli e questo sempre di più sta caratterizzando tantissimi protagonisti di romanzi, soprattutto di
formazione, che hanno lo scopo di guidare i giovani nella crescita insegnando come gestire le loro emozioni.
Orazio, uno dei poeti latini più influenti del primo secolo avanti Cristo, ha una visione particolare
dell’amore; più distaccata e meno passionale. Nella poesia che dedica a Pirra, ad esempio, paragona l’amore
ha una tempesta che lo ha travolto e che lo ha avviluppato in un turbinio di emozioni molto intense. Lui,
però, è riuscito ad uscire appendendo gli abiti umidi. Guarda all’amore come qualcosa di effimero e non
duraturo che colpisce gravemente gli uomini, ma che non dura per sempre. Quando scrive questa poesia, è
consapevole che chi è innamorato in quel momento, come Pirra e il giovane che è con lei, deve godersi
quell’attimo perché non durerà. Descrive, infatti, la sua acquisita consapevolezza sull’amore con queste
parole: “Me tabula sacer votiva paries indicat uvida suspendisse potenti vestimenta maris deo” (Odi I, 5, vv.
13-16). I suoi abiti sono bagnati perché lui è stato nella tempesta e ha vissuto quelle emozioni, ma ora se ne
spoglia e le appende simbolicamente per andare avanti. Non rinnega le emozioni che ha provato e non
rimpiange l’amore che lo ha travolto, ma comprende che la passione non può durare per sempre. Questa è
una visione molto razionale dell’amore ed è anche moderna e quasi sfacciata. La visione disincantata del
sentimento amoroso è alla base di molti romanzi rosa che prendono in giro il romanticismo da favola e
parlano in modo schietto e veritiero di relazioni sfortunate e per nulla durature. Questo permette al lettore di
immedesimarsi completamente nella lettura rivedendosi nel protagonista, la maggior parte delle volte donna,
che si barcamena tra siti di incontri e appuntamenti disastrosi. Alla fine quando avrà quasi completamente
rinunciato all’amore, arriverà la tanto agognata anima gemella che farà finire il romanzo con un matrimonio
in pompa magna. Questa, però non è realmente la realtà. Non tutti trovano l’anima gemella e va bene così.
Tutti durante la vita troveranno una persona che gli farà provare le famose farfalle nello stomaco, ma questo
non significa che tutti sono destinati a trovare qualcuno in giovane età e stare insieme per sempre. Si tratta
veramente di una visione antica dell’amore per cui il matrimonio è assolutamente necessario e dove una
persona è considerata “poverina” se vive da sola a cinquanta anni senza figli e senza compagno. Oggi una
donna che non fa almeno un figlio è considerata da molti come una donna a metà, come se il suo valore fosse
misurabile attraverso il numero di creature a cui da la vita. Una donna è una donna. Non è necessario avere
un anello al dito o qualcuno da portare alla materna per esserlo. Se Orazio scriveva già della fugacità
dell’amore secoli fa, bisognerebbe smetterla di imporre canoni che la gente deve seguire per essere
considerata una persona di valore. Se qualcuno non vuole avere una relazione stabile, nessuno ha il diritto di
dire che è qualcosa di indecoroso, perché finché non intacca la vita degli altri è libero di fare quello che
vuole. Oggi ci sono tantissimi libri su come superare una rottura che sono sicuramente meno poetici di
Orazio. Negli ultimi anni il dolore relativo all’amore sta acquisendo una grande dignità che prima non aveva.
Nonostante gli spiriti tradizionalisti che ancora sono presenti, soprattutto in Italia, viviamo nell’epoca
dell’amore libero senza quasi nessuna restrizione. Oggi per fortuna chiunque è libero di amare e questo
stesso verbo ha acquisito molti più significati di quelli che aveva in passato. Se una persona non soffre in
conseguenza alla fine di una relazione è considerata una persona insensibile e quindi c’è molta più libertà di
esprimere il proprio dolore. Si cerca sempre di più di normalizzare le emozioni da parte di entrambi i generi
cosa che un tempo non veniva neanche presa in considerazione. Le donne erano quelle sensibili mentre gli
uomini non soffrivano mai. Oggi, invece, questa convinzione machista sta sempre di più perdendo credito
permettendo a tutti di esprimere liberamente le proprie emozioni. In un particolare tipo di poesia latina,
ovvero l’elegia, è notevole il dolore che i poeti provano di conseguenza ad un amore perduto, ma anche
durante il periodo dell’innamoramento che descrivono tanto roseo quanto sofferente. Riconoscono la
grandezza di questo sentimento, ma sanno che quando finirà li distruggerà.
Properzio, un noto poeta elegiaco, descrive ampiamente l’amore utilizzando parole relative alla malattia e
alla sofferenza per indicare quando sia dolorosamente travolgente come sentimento. Nella poesia dedicata
alla sua amata Cinzia scrive: “Cynthia prima suis miserum me cepit ocellis, contactum nullis ante
Cupidinibus. Tum mihi constantis deiecit lumina fastus et caput impositis pressit Amor pedibus” (Carmina I,
1, vv.1-4)
Il poeta fa riferimento al mito richiamando Cupido, il dio dell’amore, che con una delle sue frecce lo ha
colpito attraverso gli occhi della sua amata che lo hanno catturato. L’Amore, in questo caso impersonificato,
lo costringe ad abbassare lo sguardo e gli calpesta il capo. Gli uomini erano completamente succubi delle
donne che amavano, ma erano lieti di questo perché esse erano esseri da venerare. Nonostante sia
un’immagine piuttosto violenta, il poeta non scrive queste parole per suscitare pena nel lettore, ma per
descrivere a pieno questo sentimento straziante che lo sta consumando. Un aspetto interessante della poesia
di Properzio è che Cinzia non è una donna tradizionale, non è la classica matrona, ma è una donna
indipendente che non segue il mos maiorum. Le donne che erano oggetto del desiderio dei poeti latini molto
spesso erano sposate e questo faceva aumentare ancora di più la bramosia dei poeti perché il gusto del
proibito è qualcosa di primordiale. Era raro, però, che venisse descritta una donna come Cinzia che era dedita
ai piaceri e aveva uno stile di vita libero e senza restrizioni. Properzio l’amava per questo, ma allo stesso
tempo era spaventato dello spirito di iniziativa di quella donna. Era passionale e questo appagava il poeta, ma
lui desiderava sposarla nonostante fosse consapevole che una volta convolati a nozze quella bruciante
passione si sarebbe spenta perché non sarebbe stato più qualcosa di proibito. Questo accade ancora tutt’oggi.
Le donne che vengono definite desiderabili sono indipendenti, forti, indomite e coraggiose. Nella realtà però
le donne che sono perfette nell’immaginario collettivo sono quelle “casa e chiesa”, quelle che accettano di
lasciare il lavoro per badare ai bambini con piacere, che puliscono, cucinano, stirano, cuciono, tengono la
contabilità, mentre il marito ha la sola funzione di lavorare per poi tornare a casa dove verrà servito e riverito
da sua moglie. La donna che scatena le passioni degli uomini è una donna libertina, ma poi quella che si
aspettano di trovare è una ragazza ingenua con i così detti “sani principi”. Questo perché le ragazze e forti,
non sono manipolabili e incutono timore agli uomini che vedono il sesso femminile come quello debole.
Tibullo, altro poeta elegiaco, vede l’amore in maniera meno passionale ed ha una visione semplice di esso
che può essere paragonata alla vita agreste. Quando parla di Delia, la sua amata, è estremamente gentile nel
farlo e, oltre a esortarla a non disperarsi quando morirà, le promette che lei è l’unica cosa che conta per lui.
Infatti scrive: “Non ego laudari curo, mea Delia; tecum dum modo sim, quaeso segnis inersque vocer.”
(Corpus Tibullianum I, 1, vv.57-58) Non gli interessa essere lodato e vivere nel lusso fintanto che lei è al suo
fianco. Il poeta è felice nella sua quotidianità condivisa con lei ed è determinato a fare in modo che quel
sentimento di pace ed equilibrio che prova non svanisca con il tempo. Preferisce essere chiamato pigro e
indolente piuttosto che vivere una vita senza la sua amata. Nelle sue parole non c’è sofferenza e sottolinea,
poi, parlando del momento in cui morirà, come dovrà comportarsi Delia. Scrive : “Flebis et arsuro positum
me, Delia, lecto, tristibus et lacrimis oscula mixta dabis. Flebis: non tua sunt duro praecordia ferro vincta,
neque in tenero stat tibi corde silex.” (Corpus Tibullianum I, 1, vv. 61-64) “Tu Manes ne laede meos, sed
parce solutis crinibus et teneris, Delia, parce genis.” (Corpus Tibullianum I, 1, vv. 67-68) Tibullo non
desidera che Delia soffra per lui, vuole solamente che abbia il coraggio di liberare le proprie emozioni. Come
scrive, lei non è senza sentimenti e non ha una pietra al posto del cuore e quindi è normale che soffrirà
quando lui verrà a mancare. Nello stesso tempo la esorta a non soffrire troppo perché non sopporterebbe di
vederla stare male per lui. Vuole che vada avanti ricordandolo con tenerezza, ma senza struggersi per lui.
Questa è una visione molto moderna dell’amore che vede la donna come un essere libero e non come una
proprietà. Quante storie di femminicidio si sento alla televisione con protagoniste donne che avevano cercato
di rifarsi una vita dopo una relazione, magari anche finita di comune accordo, senza riuscirci perché il
proprio compagno l’ha uccisa per gelosia. Si parla spesso nei film o nei romanzi romantici di appartenere
romanticamente ad una persona, ma è una metafora. Non significa che appena si inizia una relazione con
qualcuno si diventa schiavi abbandonando la privacy e assecondando ogni decisione e desiderio dell’altra
persona. Se la relazione perfetta e romantica è quella in cui uno dei due componenti della coppia è succube
dell’altro, significa che è un’idea di amore contorta e malata. Le persone hanno il diritto di mantenere i
propri segreti senza avere il terrore che uno della coppia li scopra leggendo i messaggi o le mail dell’altro
senza consenso. Un tempo le donne appartenevano ai padri fino al matrimonio e dopo di esso erano una
proprietà di loro marito. Oggi non è più così. Nessuno deve essere padrone di nessuno perché ognuno al
diritto di essere libero. Questo include anche avere più relazioni nel corso della vita o innamorarsi di nuovo
dopo la morte del coniuge come Didone o come Tibullo esorta a fare Delia.
La scrittura è la traduzione di una società. All’interno di essa si possono individuare le tradizioni, i valori e le
consuetudini di un popolo; così era per i romani è così e per gli occidentali oggi. Leggere testi del passato
permette di conoscere e confrontare la nostra cultura con la sua antenata. Non c’è una versione giusta e una
sbagliata; la donna per certi versi era più libera nell’antica Roma e per certi versi è più libera oggi. Questo
vale per tutto, ma è la benedizione e la maledizione della storia, si ripete.

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