alla trascrizione di Marie Steiner. L'indice, le indicazioni dei passi della Bibbia e le note a piè di pagina
sono del redattore Pietro Archiati.
www.forumgeisteswissenschaft.de
PD
ISBN 3-938650-47-8
www.liberaconoscenza.it
Rudolf Steiner
il vangelo di giovanni
e i sinottici
Dieci conferenze
Indice
Prefazione
Prima conferenza
Seconda conferenza
• Il Bodhisattva e il Buddha
• La presentazione al tempio
Quarta conferenza
Quinta conferenza
• Il Verbo si fa carne
Sesta conferenza
Settima conferenza
• Il dramma di Edipo
• La leggenda di Giuda
• Le nozze di Cana
Ottava conferenza
I sette segni
• Il rinnovamento dell'iniziazione
• L'operare da Io a Io
• I sette segni
Nona conferenza
• Il cerimoniale iniziatico
Decima conferenza
Il futuro dell’evoluzione
Prefazione
All’età di cinquant’anni Rudolf Steiner si reca a Stoccolma, dove tiene dieci conferenze sul Vangelo di
Giovanni. Per dieci giorni un uomo assolutamente moderno, che si confronta a fondo con tutte le correnti
culturali del suo tempo, parla di un avvenimento verificatosi duemila anni prima e che per lui rappresenta
l’elemento fondamentale nell’evoluzione dell’umanità e nella vita quotidiana di ogni essere umano.
Nello Spiegel del 14 maggio 2005 c’è un articolo su due persone che si sono tolte la vita per mancanza di
prospettive a livello materiale. La loro situazione, così si legge in questo articolo, è paragonabile a quella
di milioni di altre persone che, a causa della disoccupazione e della mancanza di denaro, devono lottare
contro la paura di regredire nella scala sociale. Nella loro lettera d’addio i due scrivono di non aver
preteso molto, solo un po’ di benessere per poter condurre una vita felice.
Che cos’hanno in comune questi due episodi: le conferenze di Steiner da un lato e i due suicidi dall’altro?
Moltissimo, addirittura tutto!
In un’immagine si manifesta la malattia mortale della nostra epoca, nell’altra vengono mostrate le vie
della guarigione. Basta solo avere il coraggio di guardare negli occhi la malattia dell’umanità odierna, il
cui nome è materialismo. Ma dato che perlopiù il malato non sa di essere in fin di vita, è fondamentale
capire pienamente in che cosa consiste questa malattia.
Negli ultimi secoli la società moderna ha bandito lo spirito dalla vita pubblica, dalla vita in tutte le sue
manifestazioni, stabilendo dispoticamente che la conoscenza scientifica sia possibile solo per quanto
riguarda il mondo materiale. Solo questa conoscenza può pretendere e ottenere riconoscimento e
finanziamenti da parte del potere statale. Nelle seguenti parole vediamo come questo potere sia in grado
di mostrare senza mezzi termini la propria intolleranza dogmatica: «Credo che nessuno di noi possa
cavarsela senza metafisica. Credo che esista qualcosa che sta oltre la nostra limitata ragione, per così dire
al di là e al di qua del nostro mondo razionalmente concepibile. Credo che non si dovrebbe volergli dare
un nome.» (Wolf Singer, Die Zeit del 12 maggio 2005, pag. 44). In questo divieto papale di pensiero – e
per di più rivolto anche alla volontà! – il direttore del Max-Planck-Institut di Francoforte sa di avere dalla
sua parte il potere dello stato borghese e dell’economia materialistica, e dall’altra l’impotenza della
religione e della morale tradizionali.
Nella conquista del mondo visibile la tecnica, il braccio destro dell’economia, ha prodotto una vera e
propria ubriacatura – grazie alla produzione di macchine sempre più complesse, alla rivoluzione di
Internet, alla radiotecnologia e all’ingegneria genetica. Miliardi di persone si sono fatte abbindolare dalla
menzogna culturale secondo la quale ciò che conta più di tutto nella vita sono i soldi, il cibo,
l’automobile, le vacanze – in una parola: il godimento fisico. Si crede che solo questo possa dare
all’uomo la felicità. Nella società materialistica cultura, arte e religione servono nella migliore delle
ipotesi a tacitare le coscienze o a fare da diversivo, per riprendere fiato dalla lotta brutale per l’esistenza –
analogamente allo svago procuratosi mediante l’alcool, la televisione o altre dipendenze a cui deve
ricorrere la gente terra terra che non dispone del denaro o del gusto necessari per godersi la cultura
“superiore”.
In questo mondo le conferenze di Steiner sono paragonabili alla “rivoluzione” avvenuta duemila anni fa
di cui parlano. Confermano quella che l’umanità sente da sempre come verità semplice e fondamentale:
tutto ciò che è materiale, fisico, è strumento per l’evoluzione dell’anima e dello spirito. L’uomo può
essere veramente felice solo sperimentando in ogni attività e in ogni incontro una realizzazione sempre
maggiore nel mondo dei suoi pensieri e dei suoi sentimenti. Nel suo anelito alla conoscenza vuole fare
sempre più l’esperienza della verità e nell’incontro con l’altro sempre più quella dell’amore. Grazie alla
gioia dell’evoluzione interiore, farà volentieri per sé e per gli altri anche tutto ciò che serve da
fondamento materiale per coltivare la bellezza dell’anima e la profondità dello spirito. Ma non vorrà
sapere nulla delle situazioni in cui il denaro, l’aspetto esteriore e il possesso diventano la meta suprema
dell’esistenza e dove non proverebbe altro che il vuoto di significato e la propria irrilevanza in quanto
essere umano. Nessuno può essere felice in una società che corteggia i vincitori e lascia sul lastrico i
perdenti, in una società che non si occupa di educare le persone in modo che anche chi non è più in grado
di esercitare una professione abbia abbastanza fiducia in se stesso da poter ricominciare da capo.
Com’è possibile che la scienza dello spirito di Rudolf Steiner sia stata praticamente ignorata dalla cultura
per un secolo? Forse questo è accaduto anche per via del fatto che quelli che finora se ne sono occupati
appartengono in prevalenza alla borghesia moderna. Hanno coltivato la scienza dello spirito in ampia
misura lontano dalla vita sociale e professionale – come ristoro dalla lotta materialistica per l’esistenza da
cui dipende la loro esistenza. Non pochi di quelli che fra di loro occupano una posizione di primo piano
stanno prendendo sempre più le distanze da Steiner, proprio dove lui vorrebbe favorire una rinascita della
società odierna e della vita moderna. Di motivi per dissociarsi da Steiner se ne sono trovati abbastanza: si
dice che sia troppo radicale, esagerato, che è ormai superato, che è intollerante nei confronti delle altre
razze, degli altri popoli o delle religioni non cristiane, che la sua “triarticolazione” sociale è già fallita ai
suoi tempi. E poi, come si può prendere sul serio uno che sostiene che vita culturale, religione e morale
siano diventate “vuota retorica” nella società moderna, che invece della profonda convinzione della pari
dignità di tutti gli uomini regna ovunque la “convenzione” borghese fissata sui privilegi e che, invece
della solidarietà nella vita economica, la “routine” dell’adulazione del potere del denaro produce sempre
più paura e disponibilità a ricorrere alla violenza!
Non è difficile individuare la ragione più profonda di questo tragico fallimento. Il 4 agosto 1924 Rudolf
Steiner spiega come l’uomo che prende sul serio la scienza dello spirito dipenda completamente
dall’inziativa interiore e prosegue dicendo: «Ciò dipende appunto dal fatto che … lo scienziato dello
spirito … è come un’ape dotata di un pungiglione, ma che al momento giusto ha paura di pungere.
L’iniziativa è il pungiglione, ma si ha paura di pungere al momento giusto, si ha soprattutto paura di
pungere l’elemento materialistico. Non si teme che in questo modo l’elemento arimanico-materialistico
venga danneggiato, ma che il pungiglione punga e torni indietro – per poi conficcarsi in colui che punge.
Più o meno questa è la natura della paura, e così l’iniziativa si blocca a causa di una generica paura
esistenziale. Le cose vanno solo capite a fondo! Nel momento in cui ci imbattiamo dappertutto a livello
teorico e pratico nel materialismo che è quanto mai potente, veniamo disorientati nella nostra iniziativa. E
se un antroposofo ha la sensibilità per questo, si sentirà confuso e ostacolato in ogni aspetto, fin negli
impulsi più intensi della sua volontà, dal materialismo teorico e pratico.»
In ogni uomo ce n’è un altro, più profondo e nel contempo più elevato, che tende dal basso verso l’alto
con coraggio e senza scendere a compromessi. Quest’uomo non aspira ad uno stipendio più alto, a un
maggior potere o a una maggior considerazione sulla scena di questo mondo, ma attraversando il vuoto di
significato del materialismo – la retorica ipocrita, la convenzione ossequiosa e la routine insulsa – tende
alle vette dello spirito, ad uno spirito che abbia la forza di plasmare la vita in senso umano in ogni suo
particolare. L’uomo vuole vivere in un mondo in cui il valore supremo sia costituito dall’essere umano
stesso, in cui ci siano solo vincitori.
Rudolf Steiner anticipa “il grande senso di vergogna” che attende il materialismo moderno[1]. È
soprattutto la cultura occidentale ad essere predestinata a questo grande senso di vergogna. Sempre più
individui si dovranno dire: «Come abbiamo potuto essere così ciechi da aver organizzato la vita e creato
tutta una cultura in modo da ignorare ovunque la parte essenziale e più importante dell’essere umano – la
sua anima e il suo spirito?»
Queste conferenze di Rudolf Steiner descrivono l’operato di allora e di oggi dell’Essere spirituale che
aiuta tutti a far sì che l’uomo diventi l’elemento più importante in ogni uomo, che dà ad ognuno la forza
di vivere in modo che tutto ciò che fa si ponga al servizio dell’evoluzione interiore dell’uomo. A questo
punto desidero citare le seguenti parole di Rudolf Steiner, che forse per coloro che trovano dogmatica o
imbarazzante la sua cosiddetta cristologia potranno risultare un po’ “pungenti”. Nella conferenza del 27
febbraio 1917 parla di nuovo della disonestà della partita doppia dell’uomo moderno: da una parte la
realtà del mondo naturale con le sue forze, dall’altra l’irrealtà dell’ordine morale, degli ideali dell’uomo
fatti nascere dalla natura come una bolla di sapone per poi farli nuovamente svanire nel nulla: «E se ci si
domanda qual è il motivo per cui al giorno d’oggi gli esseri umani vivono così ciecamente in
un’impossibilità intellettuale … questo consiste … nel fatto che nel corso degli ultimi secoli gli uomini
hanno più o meno già disimparato a pensare nel suo vero e reale significato il mistero del Cristo che
dovrebbe stare al centro della vita dell’età moderna. … Ed è così … che il modo in cui l’uomo si pone nei
confronti del mistero cristico dai tempi del mistero del Golgota è una specie di metro di valutazione per
tutto il suo mondo concettuale e di sentimento. Se non può concepire il mistero del Cristo come qualcosa
di reale, allora nemmeno in relazione alla restante concezione del mondo può sviluppare idee e concetti
imbevuti di realtà, che intervengano davvero nella realtà.» E il 10 aprile 1917 lo stesso Rudolf Steiner
dice: «Che cos’è che conferisce realtà operante a ciò che vive nella nostra idea morale? È il Cristo, è il
Cristo! … Certo, l’illuminista odierno la riterrà una delle idee più reazionarie …» Duemila anni fa ad
ogni uomo sono state messe a disposizione tutte le forze che gli permettono di rendere così reale ed
efficace l’ordine morale – i suoi pensieri, i suoi ideali – al punto che essi agiscano nella natura del suo
corpo e nella vita quotidiana né più né meno come la forza naturale che fa crescere una pianta o muovere
un animale.
Pietro Archiati
Prima conferenza
Come si pone lo scienziato spirituale nei confronti dei Vangeli? Essi non sono fonte, ma conferma delle
ricerche effettuate nella cronaca dell’Akasha.[2] Valore dei documenti storici – vedi per esempio Euclide.
Il materialismo è entrato anche nella religione.
Che cosa devono essere i Vangeli per l’uomo comune? Una spiegazione dell’evento cristico.
Solo che ci sono quattro Vangeli invece di uno. In un primo momento emergono le contraddizioni: nel
Vangelo di Matteo l’infanzia di Gesù viene raccontata in modo diverso e così via.
• le cerchie radicali rifiutano in toto i Vangeli, soprattutto quello di Giovanni: sostengono che non possa
essere un documento storico, ma che sia un inno.
Domanda storica: ma i Vangeli non sono stati letti ed esaminati anche dagli uomini vissuti in altre
epoche?
Risposta: non così diffusamente, questo è stato reso possibile solo dall’invenzione della stampa. Prima
erano in pochi a studiarli, ma quei pochi erano i più istruiti, i più esperti. Costoro non si sono mai
scandalizzati per le contraddizioni. Erano pervasi da un profondo senso di gratitudine per l’esistenza dei
quattro Vangeli. È stato quando i Vangeli sono diventati popolari che sono comparsi quelli che vi hanno
trovato le contraddizioni.
Dobbiamo pensare che gli studiosi dei primi tempi siano stati così poco illuminati? No, si sapeva che
quattro narratori hanno descritto da diverse angolazioni ciò che hanno capito del grande avvenimento.
Considerando insieme queste quattro facciate, le quattro descrizioni, allora ci si può elevare a poco a poco
alla comprensione di questo grandissimo evento.
Prendiamo un oggetto come esempio: lo si può osservare da quattro lati. Ciascuno mostra un aspetto
diverso, e solo tutti e quattro insieme danno il quadro globale. Lo stesso avviene in ambito spirituale:
anche lì vanno descritti quattro aspetti. Come mai?
Ogni Vangelo parte da quello che non può essere capito dal punto di vista comune, fisico, ma dal punto di
vista dell’iniziazione, della veggenza, della conoscenza spirituale.
In epoca precristiana c’erano quattro tipi di iniziazione, ed ogni Vangelo è stato scritto in base ad una
particolare iniziazione.
Che cos’è un iniziato? Un individuo tale per cui le sue conoscenze trascendono dall’ambito fisico a quello
spirituale, uno che ha sviluppato i propri talenti spirituali.
Si può sviluppare solo ciò che è già presente come predisposizione. Nell’uomo sono presenti tre forze – il
pensare, il sentire e il volere. Sono queste che l’iniziato deve sviluppare al massimo.
Per raggiungere questo scopo si sviluppavano in tempi antichi parti singole. Se si fossero educate le tre
forze uniformemente, non sarebbe stato possibile portare ognuna di esse ad uno sviluppo così elevato. Per
far evolvere ogni singola forza fino alla veggenza era necessario operare una separazione.
Pertanto ognuna di queste iniziazioni era unilaterale. Ma solo privandosi delle altre, rinunciando ad esse,
era possibile sviluppare le forze più alte in una data direzione.
Gli iniziati si sostenevano a vicenda. Per esempio l’iniziato al pensiero, che aveva la visione più elevata
delle leggi dello spirito, poteva stabilire il momento in cui doveva avere inizio la guarigione operata
dall’altro.
Qual era il quarto tipo di iniziazione? Era quello in cui tutti e tre i tipi di iniziazione venivano armonizzati
ma non portati a quelle altezze. Quando nelle scuole misteriche si doveva prendere una decisione
importante, si ubbidiva a quelli che avevano raggiunto l’armonia e che non erano meno progrediti nello
sviluppo delle forze animiche singole.
La seguente osservazione ci può fornire un orientamento per comprendere questa realtà: il cosmo intero è
pervaso da quello che in seguito diventa saggezza umana. Questa è la legge che sta alla base … Per
esempio: la carta … la vespa[3] … La saggezza che realizza ciò intesse già da lungo tempo il corso degli
eventi.
Anche ciò che l’uomo può acquisire sotto forma di iniziazione è già obiettivamente dentro di lui. Si
diceva quindi: «Quando tratteniamo ciò che è nostro vengono fuori le forze divine inconsce.»
2) il guaritore, il terapeuta
3) il mago, il taumaturgo e
• L’iniziazione del saggio, i cui pensieri si librano in alto sopra la saggezza terrena: l’aquila.
• L’iniziazione del terapeuta – su che cosa si fonda? Sulle forze che sgorgano dall’anima, le forze
psichiche, in particolare le forze dell’amore che fa dono di sé. L’uomo diventa un benefacente guaritore
nella misura in cui vince l’egoismo, in cui riesce a liberarsi da se stesso. Lo spirito di sacrificio è
l’essenza del terapeuta sul piano fisico. Quando l’uomo raggiunge un livello tale per cui niente più ha
significato per lui stesso ma solo per gli altri, allora è diventato un guaritore. Da qui la tradizione secondo
la quale Luca era medico. Simbolo: il toro sacrificale.
• Il mago ha come simbolo il leone, che rappresenta la forza. Per questo viene attribuito a Marco.
• In Matteo le forze appaiono perfettamente armonizzate. Il suo simbolo è quindi quello dell’uomo.
Che cos’è l’evento cristico? Una confluenza di tutte le correnti religiose e filosofiche dell’umanità.
1) L’indiana: saggezza che esisteva già prima del mondo fisico, prima che ci fosse la storia. Intensi
ricordi affiorano nell’anima degli antichi Rishi. Si volge lo sguardo indietro verso un’antichissima
saggezza di cui i Veda conservano solo una debole immagine. Il mondo esteriore non è altro che inganno,
illusione, Maya. L’unica realtà è quella dello spirito. Da questa corrente spirituale ha potuto svilupparsi il
senso del sacrificio: si sapeva sacrificare tutto per la spiritualità.
Buddha è come il punto di sbocco di tutta questa corrente spirituale. Quello che lui è stato in grado di
dare era destinato a confluire nella grande corrente cristiana per poter continuare a vivere in essa. Nel
Vangelo di Luca troviamo una grandiosa descrizione di come questo è avvenuto.
2) Un’altra corrente spirituale era contenuta in quanto è stato annunciato da Zoroastro, da Zarathustra.
Qui troviamo un altro elemento: il mondo esteriore non è considerato privo di valore. Il Sole è
un’espressione, il vestito di realtà spirituali. Ahura Mazda è la Grande Aura del Sole. La fisicità non è
illusione, ma involucro ed espressione dello spirito.
Zarathustra dice: «Voglio parlare: ora venite qui ed ascoltatemi, voi che da lontano e da vicino ne avete
desiderio. Voglio parlare, e le forze malvagie non devono più soggiogare l’uomo facendogli dire cose che
non sono vere. Chi non presterà ascolto alle mie parole subirà qualcosa di brutto quando il ciclo
dell’evoluzione terrena sarà alla fine.»
Zarathustra prepara una corrente che si caratterizza come lavoro sul piano fisico e che confluisce
anch’essa in quella cristiana. Questa concezione del mondo che descrive le forze eterico-cosmiche che
stanno dietro la fisicità trova vita soprattutto nel Vangelo di Marco.
3) Una terza corrente descrive ciò che l’antico popolo ebraico aveva da dare alla civiltà umana. A livello
esteriore aveva un elemento da dare all’Entità cristica: il corpo fisico. (L’essere umano è composto di
quattro parti: il corpo fisico, il corpo eterico, il corpo astrale e l’Io.) Il corpo fisico del Cristo viene
ereditato dall’antico popolo ebraico. Questo aspetto doveva descriverlo l’autore del Vangelo di Matteo.
4) Giovanni ci ha fornito il Vangelo della saggezza. Nella corrente greca ha inizio il pensiero umano.
Tutto questo confluisce nella corrente cristiana. E vedremo che cosa aveva da dire il Buddha, non 600
anni prima di Cristo, ma nel momento degli eventi di Palestina.
Riassumendo:
2) Scrittura di tutta la morale: Luca (la vita umana come servizio sacrificale)
3) Cosmologia: Marco
• l’induismo (Luca),
• lo zoroastrismo (Marco),
Mentre la critica frantuma i Vangeli, la scienza dello spirito mostrerà come il cristianesimo sia solo agli
inizi della sua evoluzione.
Seconda conferenza
Buddha e Zarathustra
nel cristianesimo
Stoccolma, 4 gennaio 1910
Il Vangelo di Giovanni si differenzia dagli altri tre nella misura in cui in base al suo contenuto viene
attribuito a un discepolo diretto del Cristo Gesù – cosa che non avviene negli altri tre Vangeli. È per
questo che nel Vangelo di Giovanni abbiamo i più profondi tesori di saggezza del cristianesimo.
Che atteggiamento deve assumere una moderna scienza dello spirito nei confronti dei quattro Vangeli?
Lo stesso che ha nei confronti delle altre scritture religiose. La scienza dello spirito può essere edificata
solo sulle proprie basi, vale a dire sulle esperienze della coscienza che è in grado di percepire nei mondi
spirituali.
L’unico vero documento storico è la “cronaca dell’Akasha” (v. Nota, p. 17). Una volta che avremo
raccolto qualche risultato da questo documento spirituale, potremo confrontarlo con i documenti di cui
disponiamo. Ci comportiamo così anche quando come matematici studiamo un documento di matematica.
Riconosciamo come giusto un teorema matematico solo quando l’abbiamo compreso sulla base della
nostra ricerca personale.
Nell’evento di Palestina sono confluite tutte le correnti spirituali dell’epoca precristiana. Dobbiamo ora
esaminarle un po’ più attentamente. Dobbiamo vedere come ci splendono incontro a partire dalla
personalità del Cristo Gesù.
La personalità del Cristo Gesù è quindi qualcosa di straordinariamente complesso ed è questa che
dobbiamo comprendere – non in maniera astratta, ma del tutto concreta.
Dobbiamo pertanto porci la domanda: come si arriva ad una comprensione del Cristo Gesù?
Il Vangelo di Giovanni ce lo descrive come il Verbo cosmico incarnato, come il Logos fattosi carne. Per
capire questo, dobbiamo ricorrere a tutto ciò che è fluito attraverso l’evoluzione umana quale patrimonio
di saggezza.
In primo luogo dobbiamo occuparci della corrente di cui abbiamo detto che si è conclusa nella figura del
Buddha Gautama. Se è vero che costui ha agito nella personalità del Cristo Gesù, è a lui che dobbiamo
per primo rivolgere la nostra attenzione.
Per la scienza dello spirito un Buddha non è solo una determinata personalità, ma una dignità, un rango
evolutivo da conquistare. Come un uomo nella propria vita fra nascita e morte raggiunge dapprima i
gradini inferiori per poi rivestire cariche superiori, così, attraverso molte vite, un’individualità s’innalza
fino a giungere a quella che chiamiamo il gradino, la dignità del Buddha.
Quell’individualità a cui diamo il nome di Buddha Gautama aveva conseguito questa dignità sei secoli
prima dell’apparizione del Cristo Gesù. Prima quest’individualità non era ancora un Buddha, ma quello
che noi chiamiamo un Bodhisattva. Questa individualità è quindi ascesa dalla dignità del Bodhisattva a
quella del Buddha.
Nel mondo degli uomini ci sono diversi Bodhisattva. Sono guide e maestri dell’umanità. Possiamo
comprendere la particolare missione didattica dell’individualità del Buddha Gautama se teniamo conto
del fatto che l’umanità ha attraversato diversi stadi nella propria evoluzione.
L’umanità non ha sempre avuto il tipo di coscienza di cui dispone adesso, ma se l’è conquistata pian
piano. Se potessimo osservare le incarnazioni passate, vedremmo le nostre anime dotate di altre qualità,
ma senza l’attuale intelletto, senza logica e capacità di giudizio in grado di fare deduzioni. Al loro posto
le nostre anime avevano una coscienza onirica, indistinta, crepuscolare. Ciò che si riconosceva affiorava
in immagini. La coscienza umana era chiaroveggente, ma diffusa, sfocata.
Per questo a quei tempi non si poteva agire sull’umanità mediante insegnamenti, come accade oggi, ma si
agiva maggiormente per via di ispirazione, come per suggestione – non tramite qualcosa basato su una
lucida capacità di giudizio.
Erano per così dire la presenza diretta del maestro e lo sguardo del discepolo rivolto verso il grande
maestro a decidere del tipo di rapporto. Era in questo modo che operava il Bodhisattva prima di diventare
Buddha. A quei tempi non si incarnava completamente nella sua personalità con la sua essenza superiore,
con il suo Io superiore.
Una coscienza chiaroveggente avrebbe potuto vedere in primo piano la personalità umana – e ben
sovrastante ad essa, non identica ad essa, una possente aura che si espandeva nel mondo spirituale, che
era ancora legata come con dei fili al mondo spirituale e dalla quale le ispirazioni si effondevano nei
discepoli.
Ma le cose non dovevano restare così. L’anima umana doveva arrivare a capire in base alla propria
capacità di giudizio quali sono la direzione e la meta del cammino dell’uomo.
Per questo possiamo usare due concetti, due sono le qualità che l’umanità deve conquistare: l’amore e la
compassione. La predisposizione all’amore e alla compassione esisteva già anche prima, era stata
instillata incosciamente nelle anime umane dal Bodhisattva. Ora l’umanità doveva arrivare a capire di che
cosa si trattava. L’ispirazione divina doveva diventare impulso interiore umano.
Questo può avverarsi solo se una cosa del genere viene dapprima vissuta in qualche luogo da
un’individualità straordinaria. La dottrina della compassione e dell’amore è stata vissuta per la prima
volta dal Buddha Gautama, e adesso l’umanità è in grado di fare quello che prima non poteva fare: far
scaturire questo insegnamento dalla propria anima. Una volta trapiantata sulla Terra, un’esperienza del
genere può fluire nella coscienza di tutti gli uomini.
Così il Bodhisattva ha dovuto calarsi una volta con tutta la sua individualità nella personalità umana ed
essere per l’umanità l’esempio vivente di questo insegnamento. E l’ha fatto come figlio di Suddhodana,
come Buddha Gautama.
Alla sua nascita era ancora il Bodhisattva, è solo in seguito che è diventato il Buddha. Quando ha lasciato
il palazzo di suo padre aveva ben chiaro che l’insegnamento della compassione e dell’amore non deve
venir accolto solo dal di fuori come ispirazione, ma che l’umanità dev’essere trasformata in modo che la
compassione e l’amore scaturiscano da lei stessa.
È stato il primo a provare l’impulso dell’amore e della compassione dentro una corporeità. In tal modo è
stata data anche agli altri uomini la possibilità di vivere questo impulso. Tutto va preparato in questo
modo: attraverso un’individualità particolarmente evoluta, all’umanità viene fornito l’esempio e le viene
così inculcato ciò che è nuovo, come è avvenuto per l’insegnamento dell’amore e della compassione
tramite il Buddha Gautama, l’ex Bodhisattva.
Quando un tale Bodhisattva ascende al gradino di Buddha, ottiene un successore. È ben raccontato nella
leggenda che coincide con la ricerca spirituale: quando il Buddha ascese ai mondi spirituali, passò la
corona al suo successore. Quel successore è ancor oggi un Bodhisattva. E all’occhio del veggente ciò che
viene narrato nella leggenda si manifesta come verità: che dopo tremila anni quel Bodhisattva salirà al
grado di Buddha. Allora sarà il Buddha Maitreya.
Quando avverrà questo? Quando ci sarà un numero sufficiente di esseri umani che avranno vissuto come
esperienza interiore proprio ciò che ha sperimentato il Buddha sotto l’albero Bodhi – l’insegnamento
della compassione e dell’amore. Allora per mezzo di un nuovo Buddha, il Buddha Maitreya, l’umanità
riceverà una nuova missione. Al giorno d’oggi gli insegnamenti di quel Bodhisattva che un giorno sarà il
Buddha Maitreya si riversano in una schiera di eletti. Qui la leggenda conferma l’indagine spirituale.
Ora dobbiamo chiederci: che ne è stato del Buddha dopo che ha abbandonato il suo corpo fisico? La
risposta a questa domanda è importante per il cristianesimo.
È vero che quella in cui un Bodhisattva diventa un Buddha è l’ultima incarnazione fisica. Egli dovrà in
seguito agire in altre forme di esistenza, in forme più elevate.
Al di sopra del corpo fisico c’è il corpo eterico. Il Buddha Gautama non doveva più incarnarsi in un corpo
umano fisico, ma doveva agire solo a partire dal corpo eterico.
Ora dobbiamo renderci conto di come è diversa un’incarnazione di questo genere, e lo possiamo fare
seguendo dal basso la via verso la chiaroveggenza.
Su che cosa si basa l’iniziazione? Nella vita ordinaria l’uomo osserva il mondo mediante gli organi del
corpo fisico. Il dono della divinazione è dovuto al fatto che l’uomo diventa in grado di rendersi
indipendente dagli organi del corpo fisico. Veggente è colui che non ha più bisogno del corpo fisico per
percepire il mondo, ma che sa usare il proprio corpo eterico per penetrare nel mondo spirituale, nel
mondo delle origini. È capace di far emergere questo corpo eterico e di fornirlo di organi sovrasensibili.
Dopo di che si verifica un’esperienza ben precisa. Quelle tre forze – il pensare, il sentire e il volere – di
cui abbiamo già parlato, si manifestano come tre esseri autonomi. Mentre di solito nell’uomo comune
queste tre forze sono tenute insieme dall’Io, nel veggente l’anima si divide in queste tre forze. Ed ora il
veggente ha il compito di controllare queste tre strutture animiche con il suo Io superiore. Deve
armonizzarle, guidarle, diventarne padrone.
Nelle fasi successive dell’evoluzione si verificano anche altre divisioni di forze: successivamente dovrà
dominare sette enti animici di questo genere. Il corpo fisico tiene insieme le forze come una calamita. Da
solo, il corpo eterico si dilaterebbe, dato che soltanto l’elasticità del corpo fisico tiene insieme le forze
animiche.
Un’individualità come quella del Buddha Gautama non si incarna in un solo corpo eterico, ma in un
gruppo. Ha quindi continuato a vivere come guida di un simile gruppo di esseri, che altro non erano che il
suo corpo eterico. Questo è il vero significato del nirmanakaya[4], in concreto.
Un simile corpo (kaya) non può essere definito tramite qualcosa che viene percepito nel mondo fisico.
Buddha quindi era vivo ai tempi degli eventi di Palestina. Un veggente l’avrebbe individuato nel mondo
spirituale sotto forma di guida di una schiera di esseri spirituali.
Era questo l’aspetto che aveva quando ha fornito il suo contributo alla personalità del Cristo. Ha agito nel
cristianesimo mediante quello che è diventato dalla sua ultima incarnazione nel mondo spirituale. Questo
dobbiamo cercare come buddismo nel cristianesimo: ciò che Buddha è stato in grado di far affluire dalla
sua incarnazione superiore. Se già per l’uomo comune lo stare fermo equivale alla morte, troveremo
ancor più plausibile che un essere come il Buddha non si fermi nella sua evoluzione.
La seconda corrente è quella dello zoroastrismo. Anche quello che Zarathustra aveva da dare – non
durante la sua esistenza come Zarathustra nell’antica Persia, ma all’epoca in cui il Cristo Gesù era sulla
Terra – è confluito nel cristianesimo.
Quello di cui narra la storia non è lo Zarathustra originario. Era consuetudine che gli annunciatori più
importanti assumessero il nome della grande guida. Il fondatore originario risale veramente ai tempi
indicati dai Greci: 5.000 anni prima di Platone. Era un’individualità profondamente iniziata. Poiché
apparteneva alle individualità più eminenti, ha avuto la possibilità non solo di insegnare, ma anche di
chiamare a sé grandi discepoli in quella che aveva fondato come istituzione.
• al primo tutto ciò che si può sapere sui segreti dell’universo che in un dato momento si trovano riversati
nello spazio;
• all’altro ciò che era avvenuto nel tempo, nelle epoche che si erano succedute; gli aveva mostrato come a
poco a poco si erano formati gli eventi cosmici.
Questi due discepoli aveva Zarathustra. Ed entrambi si sono reincarnati. Quello a cui Zarathustra aveva
insegnato tutto il sapere relativo allo spazio si è reincarnato in colui che ha fondato la grande civiltà
egizia, Ermete.
A quel punto è subentrato qualcosa di particolare, che si può capire solo se si fa riferimento ai misteri più
profondi. Un’individualità come quella di Zarathustra diventa capace di trasmettere i propri corpi quando
questi sono ad un livello particolarmente alto. Il corpo astrale di Zarathustra venne conservato e
incorporato in Ermete alla sua nascita, di modo che costui portasse nella propria individualità il corpo
astrale perfetto di Zarathustra. Così il sacrificio di queste possenti individualità ha luogo in modo che in
un primo tempo si sacrifichino parzialmente.
Ma Zarathustra ha trasmesso anche il suo corpo eterico. Questo corpo venne conservato e passato al
secondo discepolo (Mosè), che era stato istruito sulla successione degli eventi nel tempo.
Le scritture religiose usano sempre immagini potenti nelle loro narrazioni. Per il ricercatore spirituale
queste immagini diventano chiare quando vengono illuminate dalla scienza dello spirito.
All’inizio del suo sviluppo un bambino ha poche impressioni, poi dall’anima escono a poco a poco
impulsi e desideri. Quel bambino non poteva ancora riceverli dalla vita quotidiana. Per questo, prima di
destarsi alla sua vita istintiva, il bambino ha dovuto essere estromesso dalla vita quotidiana. Lo si è potuto
fare chiudendolo in una cesta e mettendolo in acqua (Es 2,1-10). Allora nel suo corpo eterico ha potuto
risplendere ciò che da Zarathustra era fluito in lui. Ciò succede a Mosè.
Così in Mosè è nato di nuovo questo secondo discepolo di Zarathustra. In questo modo Zarathustra agisce
nelle civiltà future: agisce attraverso i suoi discepoli.
Così, grazie al sacrificio dei propri corpi, Zarathustra ha operato la fondazione della civiltà egizia e di
quella ebraica – di queste due importanti correnti spirituali.
L’Io ha continuato a comparire come essere umano. Grazie allo splendido influsso di cui ha goduto,
questo Io è stato in grado di crearsi ogni volta il proprio corpo astrale ed eterico. Da ultimo, l’Io di
Zarathustra è apparso 600 anni prima di Cristo nelle antiche scuole misteriche caldee sotto il nome di
Zaratas o Nazaratos. Quando Pitagora si recò in Asia, fra i suoi grandi maestri c’era anche Zaratas o
Nazaratos.
E quando gli Ebrei furono deportati nella cattività babilonese, i più eminenti maestri occulti ebrei
divennero discepoli di Zaratas.
Ecco dunque che abbiamo seguito il percorso di Zarathustra. Abbiamo visto come fosse ricomparso in
qualità di maestro. In tutto questo ci sono le origini del mistero di Palestina.
Seicento anni dopo vediamo che in Palestina nascono due bambini da due coppie di genitori. Entrambi i
genitori si chiamavano Giuseppe e Maria – erano nomi comuni. Entrambi i bambini sono diventati
importanti per l’evoluzione dell’umanità.
Uno dei due bambini discendeva nel suo corpo dalla linea salomonica della casa reale di Davide. Ci sono
due linee: una passa per Salomone, l’altra per Nathan. Una è quella regale della casa di Davide, l’altra è la
linea sacerdotale. Una coppia di genitori discendeva dalla linea salomonica, l’altra da quella natanica. Un
bambino è il cosiddetto Bambin Gesù betlemita e l’altro è il Bambin Gesù nazareno.
Oggi ci occuperemo del fanciullo betlemita, quello in cui si è incarnata l’individualità che un tempo era
esistita come Zarathustra (Zaratas) – il maestro di Pitagora e dei maestri occulti ebrei. Questo Io di
Zarathustra si è manifestato incarnandosi nel Gesù fanciullo betlemita. In lui dobbiamo vedere lo
Zarathustra adolescente – e accanto a lui cresceva anche l’altro.
I due erano molto diversi per quanto riguarda il loro sviluppo. Il betlemita ha sviluppato le qualità
mediante le quali si ottengono concetti chiari e netti riguardo al mondo esterno: gli organi del corpo si
sono sviluppati al massimo. Era un bambino precoce, capace di apprendere tutto ciò che si può imparare
dall’esterno.
Diverso era il fanciullo Gesù proveniente da Nazareth. In lui c’erano poche facoltà per comprendere ciò
che l’umanità ha conquistato in termini di ricchezze culturali. Ma in cambio aveva qualcosa nell’anima
che può essere definito come il massimo sviluppo dell’animo e del cuore. Questo fanciullo con lo sguardo
sempre volto verso l’alto, agli altri mondi, era la delizia del suo ambiente.
Così crebbero i due. Poi, quando ebbero 12 anni, si verificò un evento importante.
Terza conferenza
Abbiamo visto in che modo complesso si sono concentrati gli eventi in Palestina. Per la coscienza
chiaroveggente, un bambino discende dalla linea salomonica della casa di Davide, e l’altro da quella
natanica. Zarathustra si è incarnato nel bambino discendente dalla linea salomonica.
Oggi ci dobbiamo occupare dell’altro bambino Gesù, quello che ha origine dalla linea sacerdotale.
Dobbiamo cominciare dal corpo eterico di questo bambino per descriverne la peculiare natura.
Per capirlo dobbiamo tornare indietro di parecchio nell’evoluzione dell’umanità. La ricerca
chiaroveggente ci mostra che fino ad allora nel genere umano non era mai nato un essere con un simile
corpo eterico. Per capire questo dobbiamo tornare all’epoca lemurica.[5]
Sappiamo che, andando a ritroso nella nostra evoluzione, prima della nostra epoca troviamo: la civiltà
greco-latina (con l’evento di Palestina); poi la civiltà egizia, quella caldeo-assiro-babilonese; più indietro
ancora quella che chiamiamo epoca protopersiana; e prima ancora la civiltà indiana.
Prima di queste civiltà c’è stata quella che noi chiamiamo la grande catastrofe atlantidea: un continente in
cui prima abitavano le nostre anime – l’antica Atlantide – è stato spazzato via … Per lunghi periodi di
tempo l’umanità si era sviluppata in modo completamente diverso da come avrebbe fatto in seguito.
Anche questo continente stesso era sorto per via di una terribile catastrofe, i cui resti si trovano nei
fenomeni vulcanici attuali. Là le nostre anime vivevano in corpi completamente diversi, con aspetti e
forme che all’uomo d’oggi sembrerebbero decisamente fantastici. Possiamo capire ciò che si è sviluppato
in epoca lemurica solo se ci rendiamo conto che ampi territori erano disabitati.
In passato le anime umane hanno abitato la Terra in forme di esistenza completamente diverse. Ma la
Terra a quei tempi era deserta: gli esseri umani si recavano in tutt’altre regioni. Solo pochi venivano sulla
Terra e sopravvivevano alla sua ardua evoluzione. Dovevano sopportare un violento assalto da parte dei
mondi dello spirito.
Era il tempo in cui veniva piantato il primo seme dell’Io. A quell’epoca si facevano sentire quelle entità
che noi definiamo “luciferiche”. Esse vanno cercate senza corpo fisico, solo nei mondi spirituali.
Avevano messo le mani sui corpi astrali degli esseri umani e avevano avuto la meglio su di loro. Da allora
nell’uomo si è affermato quello che chiamiamo l’elemento luciferico (peccato originale).
Che cosa ne sarebbe stato dell’uomo se questo non fosse successo? Non sarebbero sorti gli impulsi
derivanti dalla libertà. Per questo l’uomo ha dovuto accogliere in sé la capacità di fare il male, la
predisposizione al male.
Ma l’influsso luciferico sarebbe diventato troppo forte nel corso del tempo. Affinché questo non
accadesse, fu creato un contrappeso. Ai pochi uomini che erano rimasti sulla Terra semideserta furono
tolte delle parti del corpo eterico e trasferite nel mondo spirituale. E le cose rimasero così: i loro
discendenti si svilupparono in modo da essere privi di una parte di corpo eterico.
L’uomo si è evoluto in modo che una parte del suo corpo eterico non si trovasse dentro di lui, ma
rimanesse nel mondo spirituale. Questa parte del corpo eterico che non è stata incorporata a nessun uomo,
che quindi non è stata toccata dall’influsso luciferico, venne riversata nel Bambin Gesù natanico. In lui
era dunque presente una somma di forze che non erano mai state prima in un corpo umano – forze pure,
immuni da ogni influenza luciferica.
Le scritture religiose, che si basano davvero su una ricerca chiaroveggente, mostrano in maniera
meravigliosa queste realtà. E se l’uomo crede di capire meglio un documento sacro grazie ad una scienza
qualsiasi, deve ben presto rendersi conto che le sacre scritture hanno sempre ragione.
Nella narrazione della tentazione del serpente del Vecchio Testamento (Gn 3) si fa meravigliosamente
cenno a quell’aver trattenuto una parte del corpo eterico. Il serpente rappresenta l’influsso luciferico: ora
l’uomo è in grado di distinguere fra bene e male (albero della conoscenza).
Jahweh dice: «Che non stenda ora la sua mano e non colga dall’albero della vita, per mangiarne e vivere
in eterno.» (Gn 3,22). È questo che anche la coscienza chiaroveggente constata: quest’albero della vita è
stato trattenuto nel mondo spirituale e poi introdotto nel bambino Gesù natanico. Tutta la purezza, la forza
dell’amore di questo bambino va cercata in questo fatto – in questo corpo eterico che proviene dall’epoca
preluciferica.
Sul corpo astrale del bambino Gesù natanico ha esercitato la propria influenza una potenza importante.
Nel suo sviluppo fino alla nascita venne instillato in lui nientemeno che quello che vi ho descritto come il
nirmanakaya (corpo della trasformazione) del Buddha.
Abbiamo visto che il Buddha non aveva più bisogno di calarsi in un corpo fisico. Questo Buddha scese
come essere superiore, attratto dal puro corpo eterico all’altezza del quale si era evoluto. Nella forma da
lui assunta a quel tempo scese e si unì al corpo astrale del fanciullo Gesù.
Così che un chiaroveggente avrebbe visto il nirmanakaya del Buddha aleggiare nell’aura del bambino.
L’autore del Vangelo di Luca ce lo descrive: i pastori che abitavano nelle vicinanze divennero
chiaroveggenti e videro librarsi sopra il bambino una schiera di angeli. (Lc 2,8-14). Questa schiera altro
non è che il nirmanakaya del Buddha – i corpi eterici moltiplicatisi.
Ecco allora che in questo bambino agisce un corpo eterico così meraviglioso come non ce n’erano mai
stati prima. E attraverso di lui il Buddha agiva dal proprio mondo e faceva affluire quel contributo che
aveva da dare, ora che da seicento anni aveva continuato ad evolversi. La filosofia orientale descrive
magnificamente – in piena sintonia con i Vangeli – questa discesa del Buddha nell’aura del bambino.
Si narra infatti, e ciò coincide con i fatti della ricerca spirituale, che quando nacque il figlio del re
Suddhodana, un vecchio veggente, Asita, vide che nel corpo del bimbo era sceso il Bodhisattva. Si
presentò a palazzo e, dopo aver reso omaggio, gli occhi gli si riempirono di lacrime. Il padre del bambino
gli chiese: «Perché piangi? Incombe forse una disgrazia sul bambino?» E il veggente rispose: «No, ma
piango perché sono vecchio e in questa vita non vedrò più il mio Bodhisattva come Buddha …» Piangeva
perché non avrebbe potuto vivere il momento in cui il suo signore sarebbe asceso allo stato di Buddha.
Nell’evoluzione dell’umanità le cose si concatenano in modo che le individualità connesse fra loro
riappaiano insieme. Asita si è reincarnato quale Simeone del Vangelo di Luca. E quando il fanciullo Gesù
natanico viene presentato al tempio, Simeone è di nuovo là. E come un tempo aveva pianto al cospetto del
bimbo Bodhisattva, ora si trova di fronte al suo Buddha, al nirmanakaya del Buddha, che poteva vedere
nell’aura del bambino presentato al tempio. Per questo completa così il suo discorso: «Ora, O Signore,
lascia che il tuo servo se ne vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno mirato la tua
salvezza!» (Lc 2,29-30)
Ecco allora che nelle scritture religiose ogni leggenda ne richiama un’altra, descrivendo in immagini i
reali avvenimenti celati dietro il mondo fisico.
A questo punto dobbiamo rivolgere la nostra attenzione all’altro fanciullo Gesù, in cui era incarnato
Zarathustra. Abbiamo visto come Zarathustra in Caldea fosse stato maestro di Pitagora e di un gran
numero di iniziati ebrei. L’Io di questo bambino lo conosciamo, ma adesso dobbiamo prenderne in
considerazione il corpo.
Quel corpo discendeva dall’antico popolo ebraico. In lui dovevano svilupparsi strumenti, organi tali da
poter essere usati dall’Io di Zarathustra. Doveva essere tramandato per eredità quel corpo di carne che
contenesse gli organi necessari. E anche qui scrittura religiosa e ricerca spirituale coincidono.
In sostanza l’antico popolo ebraico risale ad un progenitore che è stato scelto tramite una “selezione”
particolare. Questo progenitore, Abramo, aveva una missione speciale.
Più andiamo indietro e più l’umanità, come sappiamo, aveva una coscienza diversa, ottusa. L’intelletto
doveva essere conquistato a poco a poco. Prima bisognava formare il corpo fisico in modo che potesse
diventare uno strumento per questa conquista. L’antica chiaroveggenza doveva scomparire, essere
sacrificata.
Occorreva cercare quell’individualità che si rivelasse più adatta ad essere uno strumento per la
combinazione razionale, logica, degli eventi del mondo. E l’individualità che meno di tutte tendeva alla
chiaroveggenza e che più di tutte dirigeva lo sguardo al mondo esteriore, cercando di capirne le
connessioni, era quella di Abramo.
Le immagini che affiorano dentro l’anima erano ignote ad Abramo, mentre costui aveva il talento del
pensiero matematico, della deduzione. Per questo era stato prescelto. Guardava verso l’esterno, vedeva
dall’esterno il mondo che l’induismo aveva definito Maya – e cercava di capire ciò che è spirituale
mediante la combinazione di fenomeni esteriori, cosa che non poteva avvenire senza il lavoro del
cervello.
Quello che prima veniva rivelato agli uomini interiormente, ad Abramo veniva dato dall’esterno – e
questo egli doveva trasmettere di generazione in generazione. Il popolo ebraico non doveva ottenere nulla
dall’interiorità, per mezzo di “visioni interiori”, ma tutto dall’esterno. Tutti i talenti che il popolo avrebbe
sviluppato dovevano venir accolti dall’esterno.
Lo vediamo rappresentato in un’immagine simbolica di grande potenza: nel sacrificio di Isacco – e nel
fatto che Abramo lo riottiene come dono. Con Isacco sarebbe stato sacrificato il popolo intero ... Così
Israele ha ricevuto come dono – dall’esterno – non solo la sua missione, ma anche tutto il suo carattere di
popolo.
È importante ciò che viene tramandato come comunicazione di Jahweh ad Abramo: «Guarda il cielo e
conta le stelle, se ti riesce. Così sarà la tua progenie!» (cfr. Gn 15,5). L’ordine doveva essere come quello
delle stelle nel cielo: numero cardinale 12 (zodiaco). Da lì le dodici tribù di Israele che corrispondono ai
numeri in cielo. Quello che altrimenti era spirituale doveva qui manifestarsi nella discendenza fisica. Così
si è sviluppato il popolo da cui doveva provenire il corpo per Zarathustra.
È solo a poco a poco che giunge il nuovo. In Giuseppe (Gn 37 e segg.) c’era qualcosa di atavico, nella sua
vita onirica, per questo ha dovuto essere estromesso dall’antico popolo ebraico. Ma se il popolo ebraico
non avesse recuperato la saggezza originaria dall’esterno, per via di Giuseppe, tramite il popolo egiziano,
ne sarebbe stato escluso eccessivamente. Mosè ha poi trasmesso questa saggezza: il popolo l’ha ricevuta
dall’esterno e l’ha fatta sua. Questo popolo doveva ricevere dall’esterno perfino la saggezza
chiaroveggente.
Il popolo si è sviluppato di generazione in generazione in maniera tale per cui alla fine, a compimento
della propria missione, è stato in grado di produrre il corpo per Zarathustra.
Spiegazione delle nascite del corpo: se si osserva l’evoluzione del singolo individuo dal punto di vista
chiaroveggente, questi si evolve in modo che nasca per primo il suo corpo fisico. L’uomo si libera
dall’involucro materno fisico … Nel settimo anno nasce il corpo eterico, poi a quattordici anni si lascia
l’involucro astrale e a ventuno nasce l’Io. Ci sono quindi tre epoche prima che l’uomo sia maturo per
mostrare all’umanità il suo Io senza involucri.
Quello che nella vita del singolo uomo deve subentrare sotto forma di tre settenni, ha dovuto svilupparsi a
poco a poco in tutto l’antico popolo ebraico affinché potesse nascere il corpo adatto per Zarathustra:
1) dal punto di partenza (Abramo) fino all’epoca di Davide;
Perché un Io così elevato potesse trovare un adeguato involucro per l’Io è stato necessario che questo
involucro si sviluppasse in un popolo intero, di generazione in generazione. Quello che è un anno in una
singola vita, in un popolo è una generazione.
Sette generazioni per volta però non bastano. Le generazioni si sviluppano in modo che venga sempre
saltato un anello. Nonni e nipoti si assomigliano. Per questo hanno dovuto susseguirsi tre volte 14
generazioni, così dall’antico popolo ebraico ha potuto svilupparsi l’involucro per l’Io. È questo che viene
descritto nella tabella delle generazioni nel Vangelo di Matteo (Mt 1,1-17) – mentre nel Vangelo di Luca
viene descritto il bambino natanico.
Come mai l’autore del Vangelo di Luca non va indietro solo fino ad Abramo, ma va fino ad Adamo,
addirittura fino al dio nell’uomo? (Lc 3,38) Perché ha il compito di mostrare che in questo Bambin Gesù
c’è qualcosa che non deriva da uomini che hanno già subito l’influsso “luciferico” (del peccato originale).
Il fatto che i due Vangeli divergano fra loro è quindi ben motivato.
Zarathustra aveva dei discepoli. Questi discepoli restano uniti al loro maestro. Costoro sapevano anche
che il loro astro, la stella d’oro – “Zarathustra” – sarebbe rinato nel bambino salomonico. Come stella
spirituale si librava sopra i misteri caldei, poi li ha lasciati. E tre discepoli hanno seguito la via che lui
indicava loro: fino al Gesù Bambino betlemita, per incarnarsi. Tre discepoli seguirono la “loro” stella e
venerarono il bambino.
Questa è l’adorazione dei tre Re Magi[6], come la troviamo nel Vangelo di Matteo (Mt 2,1-12).
Entrambi i bambini crebbero fino a 12 anni. A quel punto il fanciullo salomonico aveva sviluppato al
massimo le sue facoltà: una saggezza terrena, che può essere sviluppata mediante lo strumento dei sensi, e
tutti i frutti che gli erano rimasti dalle incarnazioni precedenti. Allora era arrivato al punto di poter
compiere un grande sacrificio.
L’altro fanciullo Gesù, il natanico, aveva sviluppato quelle facoltà che derivano da un corpo eterico tutto
puro e dal nirmanakaya del Buddha. Quel bambino non aveva un Io del tipo che si sviluppa di
incarnazione in incarnazione.
Zarathustra era così progredito da poter compiere un grande sacrificio. Un Io può abbandonare il corpo
che ha posseduto fino a un certo momento per entrare in un altro. Ed è questo che accadde: l’Io del Gesù
salomonico lasciò il proprio corpo e si unì col Gesù natanico.
Anche questo ci viene descritto magnificamente nel Vangelo: nella scena del tempio (Lc 2,41-52). I
genitori perdono il ragazzo e lo ritrovano dopo tre giorni. Non lo riconoscono più. Come mai? Ora in lui
sono unificati:
• l’Io di Zarathustra.
Il fanciullo Gesù salomonico morì poco tempo dopo. Altrettanto presto morì anche la madre del Bambin
Gesù natanico. Poco dopo la sua nascita, la famiglia del bambino salomonico si era trasferita a Nazareth. I
due bambini erano cresciuti insieme. Dopo la morte del fanciullo di Matteo e della madre di Luca la
madre del bambino salomonico si trasferì dal padre del bambino natanico. E così il dodicenne crebbe fino
a trent’anni – fino al successivo grande evento a cui si fa cenno col battesimo nel Giordano.
Vediamo quindi come tutto si unisce in maniera complessa per continuare a fluire in una nuova e potente
corrente.
Quarta conferenza
Il cristianesimo
come religione di risurrezione
Abbiamo visto quanto complessa dovesse essere la personalità che doveva far confluire al mondo in una
corrente superiore tutte le precedenti correnti spirituali.
Sono stati designati due bambini: il bambino Gesù salomonico e quello natanico. Abbiamo visto che al
dodicesimo anno si è verificato quel singolare evento per cui l’Io di Zarathustra si è trasferito nel corpo
del fanciullo natanico.
• racchiude nel corpo astrale tutto ciò che il Buddha è diventato dalla sua ultima incarnazione e
• ha nel corpo eterico quel corpo eterico puro risalente ai tempi prima che si affermassero gli influssi
luciferici che hanno portato gli uomini sempre più giù nel mondo terreno.
Ci si chiede: perché è stato necessario che nascessero due bambini Gesù? Non ne sarebbe bastato uno –
dato che era una sintesi di tutto quello che si era sviluppato nel popolo ebraico?
Eppure è stato necessario: affinché nel corpo emergessero tutte le qualità di cui aveva bisogno il Cristo
Gesù, occorreva attraversare i più svariati stadi dell’evoluzione umana.
Il fanciullo salomonico aveva quanto di più eccellente si potesse trovare negli strumenti fisici. Dalla
nascita fisica fino al settimo anno, l’essere umano produce quelle che sono le migliori caratteristiche del
corpo fisico; fino ai quattordici anni le migliori qualità del corpo eterico e poi fino ai ventun anni circa
quelle del corpo astrale. Solo in seguito vengono sviluppate le caratteristiche migliori dell’Io.[7]
Quello che abbiamo nel corpo fisico e in quello eterico – a eccezione dell’essenza che dopo la morte
portiamo con noi nel mondo spirituale – lo ereditiamo dai nostri antenati. Così il bambino salomonico ha
potuto ereditare solo ciò che poteva crescere nel corpo fisico e in quello eterico. Fino ai 12 anni l’Io di
Zarathustra era in quelle componenti esteriori che si possono ottenere perfette per ereditarietà.
Dal dodicesimo anno avrebbe avuto inizio lo sviluppo del corpo astrale, che però non viene ereditato, ma
annesso all’individualità quando è ancora nel mondo spirituale. Per potersi sviluppare nel corpo astrale
più perfetto possibile, l’Io di Zarathustra ha dovuto ricevere appunto il più perfetto che ci fosse. Per
questo erano necessarie le esperienze fatte dal Buddha che proveniva dalla civiltà spirituale indiana, che
tendeva ad allontanarsi da ciò che è terreno.
Se l’Io di Zarathustra si fosse incarnato fin dall’inizio nel bambino natanico, non avrebbe ottenuto il
corpo fisico e il corpo eterico perfetti di cui aveva bisogno, i quali dovevano aver assunto non solo
l’interiorità ma anche tutta l’esteriorità – come poteva avvenire solo nella linea regale e non in quella
sacerdotale.
Dopo che l’Io di Zarathustra ebbe assorbito tutto ciò che si vive con degli strumenti così perfetti, fu in
grado di sperimentare l’altro aspetto, quello che proviene dal corpo astrale perfetto. Zarathustra poté così
sviluppare tutte le qualità più intime dell’uomo.
Ora cresceva per salire ad un gradino ancora più alto e perfetto. Questo avvenne per mezzo dell’evento
noto come il battesimo di Giovanni nel Giordano. Di che si tratta?
Per capirlo dobbiamo descrivere la missione di Giovanni il Battista. A che scopo era stato mandato nel
mondo?
Va sottolineato di nuovo il fatto che l’umanità attraversa diverse epoche. C’è stata un’epoca in cui hanno
predominato la rivelazione e l’ispirazione interiori – nel modo più perfetto in seno al popolo indiano. Per
costoro il mondo visibile era un’illusione. Quelli che raggiungevano l’illuminazione interiore erano gli
uomini più progrediti di quel tempo.
1) si avevano ancora delle ispirazioni, ma che queste diventavano sempre meno perfette. Questo avveniva
presso gli Egizi;
2) gli esseri umani cominciavano a poco a poco ad apprezzare il mondo esterno, a considerarlo come una
manifestazione dello spirito. Zarathustra aveva avuto la missione di insegnare proprio questo al popolo
persiano. Questo era il significato della sua dottrina solare: il mondo della Maya è espressione di
saggezza spirituale. L’uomo può percepire lo spirito non solo nella propria interiorità, ma anche sotto il
velo dell’illusione esteriore.
Così Zarathustra trasmise al suo popolo la dottrina della luce che risplende in questo mondo. Il tenore del
suo insegnamento era più o meno questo: «Oh, noi uomini siamo ancora imperfetti per quanto riguarda i
nostri sensi e il nostro intelletto, ma a poco a poco ci formeremo. Dietro l’illusione c’è il senso spirituale
del mondo e noi ci evolveremo in modo che questo spirito giunga a noi.»
Quella trasmessa da Zarathustra al suo popolo era una dottrina di fiducia, di speranza in una luce che
sarebbe comparsa nel mondo, nelle tenebre. E gli è stato possibile insegnarla poiché aveva a che fare con
un popolo particolare.
Due migrazioni di popoli: quando si verificò la catastrofe di Atlantide, gli uomini cominciarono a
spostarsi da occidente a oriente. Ci furono due grandi migrazioni:
1) attraverso l’Europa fino all’Asia: l’Europa del nord, del centro e del sud fu percorsa dal flusso dei
popoli nordici che in parte si fermarono in Europa;
Ci furono queste due correnti di popoli poiché avevano attitudini diverse. Quello nordico era portato a
sviluppare l’intelletto e la ragione, a volgere lo sguardo verso l’esterno. Quelli che hanno attraversato
l’Africa tendevano invece di più a guardare verso l’interno, a sviluppare le forze della riflessione
silenziosa – e di meno a dirigere il loro interesse al mondo esterno.
Il popolo più avanzato della corrente nordica era il paleopersiano, in cui ha agito Zarathustra.
Lo spirito prevalente nella corrente africana era il seguente: «Per quanto vi lavoriate dentro, il mondo
esteriore non consente di trovarci lo spirito. Lo spirito è andato in frantumi nel mondo, lo si trova integro
solo dopo la morte.» (Osiride).
Le due correnti, l’interiore e l’esteriore, erano destinate a unificarsi. La più perfetta interiormente come
rivelazione era la protoindiana – quella egiziana era meno perfetta.
Una cosa tuttavia era caratteristica comune di tutti gli uomini: non erano ancora in grado di arrivare alla
piena coscienza dell’Io, alla coscienza di sé. Vivevano nello spirito solo a patto di ottundere la loro
coscienza, di abbassarla, di sacrificarla. Anche gli uomini di Zarathustra dovevano entrare in estasi,
abbandonarsi al fulmine, al tuono ecc.
Solo dopo una lunga evoluzione gli uomini hanno conseguito la maturità necessaria per congiungere fra
loro la rivelazione interiore e quella esteriore.
Il tempo in cui ciò è diventato possibile è stato quando sono comparsi sulla Terra Giovanni il Battista e il
Cristo Gesù. Prima di loro non c’erano esseri umani in grado di fare l’esperienza della rivelazione dello
spirito mantenendo desto l’Io, in piena coscienza di sé.
Com’erano prima gli uomini? Potevano dirsi: «Possiamo arrivare allo spirito, ma dobbiamo abbandonare
la nostra parte migliore, il nostro Io. Dobbiamo rinunciare alla nostra autocoscienza ed essere rapiti in un
‹aldilà›. Nel nostro uomo terreno non possiamo fare l’esperienza dei regni celesti.»
Giovanni il Battista ha potuto annunciare la venuta del tempo in cui l’uomo avrebbe potuto fare
l’esperienza dei regni celesti mantenendo la propria coscienza di sé – preservando il proprio Io. Questo
era il messaggio di Giovanni: «Il regno dei cieli è vicino!» (cfr. Mt 3,2)
Come poteva dimostrare che è così? Se agli uomini si fosse semplicemente detto: «Siete maturi per
entrare con il vostro Io nell’elemento spirituale», non l’avrebbero capito. Come glielo si poteva far
capire? Solo attraverso il battesimo di Giovanni, che consisteva in una totale immersione nell’acqua. Che
cosa succedeva?
Sapete cosa succede quando si sta per annegare. Per un po’ il corpo eterico viene tirato fuori. In quel
momento gli esseri umani si liberano dagli ostacoli del corpo fisico. Nel simbolo del battesimo nel
Giordano viene espresso il fatto che ora l’uomo interiore è maturo per fare l’esperienza dello spirito pur
conservando la coscienza dell’Io.
Che uomini erano quelli che venivano battezzati? Erano i primi a dire: «Il nostro Io adesso è tale per cui a
poco a poco può salire nello spirituale mantenendo desta la coscienza di sé ...»
C’erano allora alcuni uomini che sapevano quale ora aveva suonato l’orologio cosmico. Questo piccolo
gruppo ha quindi potuto dirsi: «In ogni essere umano c’è un centro costituito dall’Io che può ascendere
allo spirituale.» Lo sapevano per esperienza. I più grandi maestri avrebbero potuto insegnarlo come teoria
senza essere capiti.
Prima si poteva solo dire: «Se l’uomo sacrifica il proprio Io, se lo rende oggettivo, si crea le condizioni
per ascendere. Se vi fate assorbire completamente dallo spirito del vostro popolo, se non vi sentite come
singoli individui ma come immersi nell’Io del popolo – se vi dite di voler essere un tutt’uno con Abramo
–, allora potete sperare di trovare il mondo spirituale grazie a questa dimenticanza dell’Io.»
Ma non è giusto mantenere anche per un’altra epoca ciò che andava bene per quella precedente. Giovanni
il Battista ora doveva insegnare qualcosa di diverso: «L’Io ha in sé le forze per ascendere.» Questo era il
suo nuovo insegnamento.
Quando gli si avvicinarono i vecchi maestri – i conservatori che volevano perpetuare le antichissime
dottrine dell’immersione astrale –, che parole rivolse loro il Battista?
Per l’astrale era sempre stato scelto il simbolo del serpente. Quindi si rivolse loro in questo modo: «Razza
di vipere, cioè voi che vi attenete alla dottrina del serpente, chi vi ha insegnato a sfuggire all’ira, al
cambiamento che sta per venire?» (cfr. Mt 3,7; 12,34; 23,33; Lc 3,7)
E adesso arrivava colui che portava dentro di sé l’Io di Zarathustra, nel corpo astrale il nirmanakaya del
Buddha, nel corpo eterico ciò che non aveva subito l’influsso del principio luciferico. Venne Gesù e si
fece battezzare. Si era immerso anche lui nell’acqua ...
Allora quel corpo eterico eccellente, grande e puro si ritirò dal corpo fisico. Tutto quello che aveva
vissuto nel Buddha Gautama uscì fuori: davanti a lui sorsero le immagini di tutto ciò che era avvenuto, di
tutto il vissuto. Così Gesù di Nazareth fece l’esperienza di tutto ciò che si trovava dentro di lui, di quello
che a poco a poco era entrato in lui. Vide tutto ciò dentro di sé ... È stato l’istante più grande mai vissuto
sulla Terra.
Nel corpo eterico apparve quello che sarebbe stato dell’umanità se non fosse caduta in basso verso le
influenze luciferiche: apparve l’immagine dell’uomo puro, perfetto.
E che cosa si rivelava nel corpo astrale? Ciò che aveva vissuto il Buddha Gautama. Questi da illuminato
si era voltato a guardare tutta l’evoluzione della Terra. Aveva visto come ad ogni incarnazione l’uomo si
era reso sempre più materiale. Perciò Buddha poté solo riflettere su ciò che fa andare l’uomo oltre le
incarnazioni fisiche.
Quella di Buddha era una dottrina del dolore: «Tutto è sofferenza.» Il suo era l’insegnamento relativo alla
liberazione dal corpo terreno. A questo scopo ha fornito una guida nella dottrina della compassione e
dell’amore: per conseguire ciò che libera gli uomini. Si sarebbe così ottenuta la liberazione dalla
sofferenza, ma gli uomini avrebbero perso i frutti dell’esistenza terrena.
Nulla deve andare perduto. Tutto dev’essere trasformato in spirito. «Dovete considerarvi degli allievi che
intendono portare tutto nei mondi spirituali, per farlo risorgere a una vita più alta.» Il cristianesimo è una
religione del risveglio e della risurrezione!
Il senso ultimo del buddismo è la liberazione dal dolore, quello del cristianesimo è la trasformazione della
sofferenza in beatitudine.
In questo mondo ci è dato di sperimentare qualcosa che non potremmo vivere in nessun altro luogo.
Trasformare il metallo grezzo nell’oro dello spirito – questo è il nostro compito. Ci trasformeremo così se
a poco a poco vinceremo quello che vive dentro di noi come concetto di sofferenza. Il vincere la malattia,
il superare l’ostacolo dà forza. La morte è la più grande illusione, è Maya.
Se tutto inganna, se tutto è mescolato a Maya, se la morte è solo menzogna, solo Maya, allora possiamo
procedere al superamento della morte. Il Golgota è l’unico luogo in cui la morte ci appare nella sua verità:
come portatrice di nuova vita.
Solo all’interno della Maya si è separati da ciò che si ama. Se si supera il mondo sensoriale l’unione sarà
ancor più intensa. Per mezzo del progresso nello spirito si fa l’esperienza che:
• Non conseguire ciò che si desidera? – si acquisiscono desideri così purificati che gli ostacoli della
fisicità non si frappongono più ai propri progetti.
Così si manifesta il grande passo in avanti dalla dottrina del Buddha a quella del Cristo. Non dobbiamo
fuggire o abbandonare il mondo, ma dobbiamo portarlo con noi. Cristo vuole redimere con gli uomini
anche il mondo.
Al battesimo nel Giordano, Gesù di Nazareth ha provato quell’infinita misura del dolore di cui un giorno
il Buddha Gautama aveva riempito la propria anima. Questo doveva provare Gesù. Tutta la magnificenza
a cui l’umanità è chiamata stava davanti a lui in immagini da una parte; tutto il dolore umano dall’altra.
Così ha potuto dirsi: «Questa è l’immagine che proviene dal corpo eterico puro – gli esseri umani se la
sono giocata per entrare nel corpo fisico. Quello che c’è nell’altra immagine è quanto hanno sentito i
migliori: il dolore, la sofferenza per la sorte degli uomini.»
Con quella coscienza Gesù si trovava solo di fronte all’umanità intera. Che cosa doveva dirsi?
Doveva dirsi: con la coscienza finora conquistata dall’umanità è impossibile ascendere ai mondi
spirituali. Tutto dev’essere abbandonato per far sì che venga creato qualcosa di assolutamente nuovo: un
nuovo corpo eterico, che faccia salire a stadi sempre più perfetti. Per questo era necessario che quanto gli
uomini avevano conseguito fino ad allora venisse infranto al momento di entrare nello spirituale.
Tutto questo si è svolto in quell’anima. Nel momento in cui sono tornati nel corpo fisico, come hanno
agito il corpo eterico e quello astrale? In modo tale che tutte quelle grandi sensazioni e idee ebbero su
quel corpo fisico un effetto letale, di disgregamento. L’esperienza fu troppo poderosa per quel corpo
fisico.
Si è verificato un evento duplice: l’Io di Zarathustra apparteneva a quel corpo. Ora era stato assegnato un
nuovo compito. L’Io di Zarathustra lo lasciò e un nuovo Io, quello del Cristo che corrispondeva alla
coscienza or ora descritta, entrò in quel corpo che aveva iniziato il cammino verso la morte, poiché la
coscienza era diventata per lui troppo grande. In quel corpo era entrata la coscienza cristica.
E così abbiamo sfiorato il mistero del più grande momento dell’evoluzione terrena.
«Ecco l’Agnello di Dio», poté dire Giovanni, «che toglie i peccati del mondo», che ha vissuto nella sua
anima tutta la sofferenza dell’umanità. (Gv 1,29·36)
Dobbiamo definire questo evento non solo cosmico, ma anche umano. È questa la cosa più significativa
di quest’anima: che non anelava solo alla redenzione, alla propria liberazione, ma ha deciso di dare
origine ad una nuova evoluzione.
L’anima del Cristo Gesù ha deciso liberamente di vivere quei tre anni. L’importante è che nel momento
del battesimo da parte di Giovanni si è trattato di una libera decisione di farsi carico di tutto il destino
dell’umanità.
Quinta conferenza
Il Verbo cosmico
fatto carne
Il fatto che l’individualità incarnatasi in occasione del battesimo da parte di Giovanni nel corpo in cui
prima si trovava l’Io di Zarathustra fosse così elevata, non significa affatto che essa avesse una capacità
ridotta di provare dolore e sofferenza – al contrario. È necessario sottolinearlo, poiché molti credono che
colui che si è incarnato nel momento del battesimo nel Giordano fosse un’individualità superiore e quindi
soffrisse di meno. Ma non è così.
Che individualità si è incarnata? L’individualità di Zarathustra ha abbandonato i tre corpi, dopo di che ne
è subentrata un’altra. È solo con lentezza e gradualità che si può arrivare alla comprensione di Colui che
ha vissuto questi tre anni sulla Terra.
Una volta Zarathustra aveva annunciato che dietro la luce solare fisica c’è una luce spirituale – Ahura
Mazda. Non dobbiamo immaginarci nulla di astratto, ma una vera entità spirituale che non si è mai
incarnata né prima né dopo.
Possiamo farcene un’idea completa salendo a livelli ancora più alti di quelli a cui abbiamo finora cercato
di far cenno. L’uomo deve dirsi: a poco a poco, dall’essere imperfetto che ero, sono diventato quello che
sono oggi, ma gradualmente diventerò ancora più perfetto. In me c’è già il seme di quello che diventerò in
seguito.
Così l’uomo può paragonare la propria essenza a quella del macrocosmo. Che cosa cerca di incarnazione
in incarnazione? «Nella mia anima troverò sempre più conoscenze e sensazioni sul mondo.»
Chi dice di poterle trovare nella propria anima e non all’esterno è come se dicesse di poter bere acqua da
un bicchiere in cui non c’è niente. Ciò che l’uomo fa emergere nella sua anima sotto forma di pensieri ed
emozioni dev’essere già presente nel mondo. Tutto quello che ancora potremo trovare in futuro
dev’essere alla base del mondo. Il mondo è pieno di contenuto spirituale. Ciò che l’umanità finirà per
trovare in se stessa si trova già nel mondo fin dall’inizio dei tempi.
1. il mondo dei minerali, che procede secondo le cosiddette leggi inanimate della natura;
Ma lui ha qualcosa che gli altri non hanno e che deve portarlo a un grado di sviluppo sempre più alto.
L’animale può arrivare a emettere un suono che esprime il suo dolore, ma non riesce a giungere al
gradino di sviluppo che articola il suono rendendolo espressione del proprio contenuto di pensiero.
Per questo l’uomo può sentirsi come il coronamento della creazione terrestre e può definire come il
proprio “Io” ciò che dà origine a questo suono vocale. Nell’uomo è come se la parola intessuta di
pensiero si irraggiasse dall’egoità. Pertanto questa parola è sempre stata considerata la realtà più alta.
Quando l’uomo riesce a guardare in un futuro remoto, vede che la sua parola può essere intessuta di
qualcosa di sempre più elevato.
Come il corpo umano è l’espressione fisica dell’Io che vive in lui, così l’universo è un’espressione fisica
del Verbo cosmico. Zarathustra ha dato il nome di Ahura Mazda alla Parola cosmica che è dietro la luce
dell’universo. In greco questo Verbo cosmico veniva chiamato Logos (Logoj), così che Zarathustra si
riferiva al Verbo cosmico al di là della luce.
Giovanni il Battista aveva il compito di cogliere il momento in cui questo Verbo cosmico si sarebbe
manifestato. Quando questo si fosse incarnato, egli avrebbe dovuto dire: «Finora il Verbo cosmico si era
riversato solo nella vastità del Tutto, ma ora per la prima volta ha afferrato un’anima umana.» (cfr. Gv
1,32-34).
Vediamo allora che nel trentesimo anno di vita l’Io di Zarathustra abbandona i suoi involucri corporei e fa
il suo ingresso in essi quello che sta alla base del nostro mondo come contenuto spirituale.
Colui che il Cristo ha designato come suo annunciatore ha detto: «In principio era il Verbo, e il Verbo era
presso Dio. Egli era in principio presso Dio.» All’inizio la Parola cosmica non era dentro l’uomo, bensì
effusa nell’universo, cioè “presso Dio”. (1,1-2). E a poco a poco, del tutto gradualmente, il Logos si è
riversato nell’umanità.
Dapprima grazie al fatto che il Logos è diventato vita (1,4) – in quello che in origine era il corpo umano
fisico. Poi è venuto il tempo degli influssi luciferici, del peccato originale. Se non ci fosse stata la caduta,
l’uomo sarebbe stato pervaso dal Logos anche per quanto concerne il corpo eterico. Così invece ne è stata
permeata solo una parte.
Se non fossero sopravvenuti gli influssi luciferici, nell’uomo il corpo astrale avrebbe irradiato dal di
dentro la luce astrale. Così è stato invece oscurato, la luce non ha brillato in modo che l’uomo la potesse
percepire come luce splendente: «E la luce risplende fra le tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta»
(1,5).
È nel momento del battesimo da parte di Giovanni che ha brillato pienamente: «Il Verbo si fece carne e
abitò fra noi.» (1,14). Il Logos era ora penetrato in un corpo umano e si era fatto carico di tutto ciò che gli
uomini sono diventati calandosi sempre più profondamente nella materia. Così Egli ha preso su di sé ogni
dolore umano.
In questo modo si può capire a poco a poco che cosa è successo al momento del battesimo nel Giordano.
Ma Egli non doveva fare solo l’esperienza di quanto si vive di incarnazione in incarnazione, bensì anche
di ciò che si prova nel corpo umano per mezzo dell’iniziazione. L’autore del Vangelo di Giovanni non si
è occupato di questo, perché il suo compito era quello di descrivere il Cristo che faceva l’esperienza
umana del conoscere.
Il Cristo che faceva l’esperienza del corpo astrale doveva essere descritto dagli altri: da Matteo e Luca.
Matteo descrive il fanciullo Gesù salomonico fino al compimento del dodicesimo anno. Anche se in
seguito l’Io di Zarathustra si è trasferito nell’altro fanciullo, nel Gesù natanico, si era prima comunque
sviluppato nel Gesù salomonico, aveva destato in lui tutti i sentimenti. Per questo è rimasto in lui tutto ciò
che aveva vissuto in quel corpo. Matteo descrive soprattutto il Cristo Gesù in quanto uomo, mentre Luca
ne descrive principalmente il corpo astrale.
I veggenti Matteo e Luca hanno descritto il lato umano di Gesù – Matteo dall’esterno e Luca dall’interno.
I veggenti Marco e Giovanni dovevano descrivere qualcos’altro. Marco aveva il compito di dirigere lo
sguardo verso il Logos in quanto questo pervade tutte le cose, verso la manifestazione periferica del
Logos, quale risplendeva in Gesù di Nazareth. Per questo descrive gli eventi successivi al battesimo.
Giovanni voleva mostrare come questo Logos è diventato essenza e vita interiore di un uomo, come ha
potuto risplendere in qualità di Io.
Come arriva dall’esterno e si interiorizza: Marco. Come si fa carne e si riversa all’esterno: Giovanni.
Ora bisognava descrivere come l’uomo che portava in sé il Cristo non vivesse solo il lato umano,
temporale, ma anche quello dell’iniziato, il lato eterno:
1. gli altri tre, come veri veggenti, descrivono ciò che dev’essere superato;
2. Giovanni descrive ciò che diviene l’Io quando l’ha superato, descrive la massima perfezione.
Prima della venuta sulla Terra del Cristo Gesù, l’iniziazione poteva essere vissuta in due modi: quello
egiziano (Osiride) e quello persiano (Mithra).
1. L’egiziana: si sviluppa verso l’interiorità dell’anima, distogliendo lo sguardo dal mondo esteriore e
volgendolo all’interiorità. Tutto ciò che oscilla avanti e indietro nel corpo astrale è Maya. Solo quando
scendiamo in recessi più profondi giungiamo allo spirito.
Immaginiamoci un’anima che sia stata iniziata in Egitto. Doveva portare a coscienza tutto ciò che di male
era penetrato in lei di incarnazione in incarnazione. Oggi lo si chiama il “tentatore” o “il piccolo
guardiano della soglia”. È la manifestazione dell’entità luciferica dentro l’anima: la superbia e la
menzogna. L’uomo se ne doveva liberare.
L’uomo può liberarsi solo di ciò che guarda direttamente negli occhi. Se vuole liberarsene, deve rendersi
conto di tutte le fonti di superbia e vanità che ha dentro di sé. Deve sperimentare ogni capacità di
illusione, di menzogna. L’iniziando ai misteri egizi doveva incontrare tutto ciò che gli esseri luciferici
hanno fatto dell’anima. Nei misteri greci lo si chiamava “diabolos” (diavolo).
2. La persiana: nell’iniziazione persiana, che voleva condurre l’uomo verso l’esterno, questi non doveva
scendere in se stesso, ma uscire da sé, andare in estasi. La potenza che andava vista era un’altra: quella
che gli impedisce di trovare lo spirito nel mondo esteriore, che gli fa credere che il velo dei sensi sia
l’unica realtà che esiste. Credere che l’elemento fisico sia una realtà è altrettanto ragionevole quanto
ritenere che l’immagine allo specchio sia una realtà. Ma le forze luciferiche hanno indotto a considerare
realtà il velo diventato opaco della Maya.
Zarathustra sapeva descrivere il secondo tipo di forze che impediscono all’uomo di giungere allo spirito –
le potenze arimaniche che, dopo che quelle luciferiche avevano tessuto il velo, glielo potevano mettere
davanti. Quando va in estasi, l’uomo porta con sé l’errore di credere che il mondo esterno non sia un velo.
È da questo che lo protegge il secondo, «il grande guardiano della soglia». La fede nella realtà di ciò che
è materiale gli appare come un’immagine ingannevole. Il grande guardiano è colui che esorta a
distinguere dal vero mondo spirituale l’illusione che ci trasciniamo dietro.
Dobbiamo quindi distinguere due tappe: o l’uomo ha la forza di resistere, di passare oltre, oppure resta
presso il guardiano della soglia senza poter proseguire. Per questo esiste la possibilità di fermarsi alla
vanità e alla menzogna: presso il Diabolos – mentre il tentatore esterno che mostra le immagini illusorie
viene chiamato Satana.
Satana (Satauaj) è il tentatore in cui ci imbattiamo quando seguiamo la via verso l’esterno, Diavolo
(Diaboloj) quello che incontriamo quando ci dirigiamo verso l’interno. Il “grande guardiano della soglia”
ci porta oltre le tentazioni di Satana.
Nel Cristo Gesù dovevano unirsi i due tipi di iniziazione, per questo ha dovuto vincere entrambi i
tentatori.
Il veggente Marco descrive il tentatore che mostra le immagini illusorie (Satanas). E quelli che hanno
presentato il lato umano del Cristo Gesù hanno dovuto descrivere come attraverso la discesa nell’anima si
pari davanti l’altro tentatore (Diabolos).
Leggete le scene della tentazione in Matteo e Luca, e vedrete che si differenziano notevolmente da
Marco, e a ragione:
Queste descrizioni non sono casuali, ma ben motivate. Anche la scena della tentazione viene descritta in
due modi diversi.
In Luca e Matteo leggiamo: «Di’ che queste pietre diventino pani.» (Mt 4,3; Lc 4,3). E il tentatore, il
Diabolos, si appella alla vanità: «Tutto questo io ti darò (te ne farò signore), se ti prostri e mi adori.» (Mt
4,9; Lc 4,6). Qui abbiamo la descrizione di chi vuole costruirsi egoisticamente un mondo – solo nella sua
interiorità – e non pensa che si debba compenetrare il mondo che ovunque ci circonda.
Marco descrive l’esperienza che fa l’iniziato che va verso l’esterno. Nel mondo esteriore ci sono due
regni della natura – quello minerale e quello vegetale – che non si sono compenetrati di corpo astrale.
Solo nel corpo astrale e nell’Io è presente la possibilità della vanagloria e dell’errore, la possibilità di
cadere. Queste realtà noi le possiamo riversare nel mondo esteriore. Che forma assumeranno allora i
nostri errori? Forme di animali, non di piante o di pietre. La capacità di errore riguardo al mondo esteriore
si esprime in figure di animali che dobbiamo vincere.
Solo vedendo accanto a sé la figura angelica del grande guardiano della soglia l’uomo supera le figure
animali che altrimenti potrebbe scambiare per verità del mondo spirituale. Per questo Marco si esprime in
modo così bello: «Subito dopo lo Spirito lo spinse nel deserto, ove rimase quaranta giorni, tentato da
Satana; se ne stava con le fiere (gli animali) e gli angeli lo servivano» (Mc 1,12-13) – cioè, lo portavano
verso l’alto.
Dove due Vangeli descrivono cose diverse, possiamo dimostrare che hanno motivo di farlo. La via verso
l’interno porta quindi attraverso le tentazioni e il piccolo guardiano della soglia, e distrugge la fissazione
su se stessi. La via di Marco porta all’esterno, al grande guardiano della soglia, che distrugge la fissazione
sul mondo materiale.
Ecco dunque che i Vangeli di Matteo, Marco e Luca non descrivono quello che vive l’uomo comune, ma
le esperienze che ogni tipo di iniziato deve fare sulla Terra.
E l’autore del Vangelo di Giovanni ha dovuto descrivere come il Cristo stesso diventa vincitore, come
diventa in grado di vivere la vita del mondo intero.
Il Cristo Gesù diventa l’esempio vivente dell’ideale del futuro. Un’individualità come la sua non vive
egoisticamente nella propria interiorità, ma in ogni essere. Per questo può destare in ogni essere le forze
per vivere un giorno così da poter dire: «Io sono la luce e la vita.»
Il Cristo può riversare questa luce e questa vita in un’altra individualità. Nel Risveglio di Lazzaro (Gv
cap.11) troviamo la descrizione di quella potenza la cui vita può fluire nell’altra individualità: «La sua
morte apparirà come vita, poiché io sono la vita.» (cfr. 11,4).
Dato che voleva descrivere questa poderosa individualità, l’autore del Vangelo di Giovanni non descrive
prima le tentazioni, ma il vincitore. E vincitore lo è diventato al prezzo che il Cristo Gesù si è fatto
“Agnello di Dio” che non vuol essere altro che l’espressione di Dio, nient’altro che ciò che fa spazio
all’operare della volontà cosmica (cfr. 5,30; 6,38-39).
È così che sorge in Giovanni il Battista la piena convinzione: grazie alla certezza che davvero colui che
gli sta di fronte, l’Agnello, sia maturo per prendere su di sé i peccati del mondo.
Lo scienziato spirituale può riconoscere le verità in modo sempre più indipendente dai Vangeli – e poi
esse gli brillano incontro dai Vangeli stessi. Da qui ci si rende conto che coloro i quali hanno scritto i
Vangeli erano dei veggenti. Questo è il risultato, se prima troviamo le stesse verità in maniera autonoma.
Sesta conferenza
Natanaele
e la magia dell’amore
Nel Vangelo di Giovanni si può notare che le cose non vengono mai raccontate direttamente, ma che si
dice sempre: «Questa o quella persona ha visto questa o quest’altra cosa». Come mai?
Ne troviamo la conferma nel fatto che all’inizio del Vangelo di Giovanni si fa notare come Nicodemo sia
andato dal Cristo Gesù “di notte” (3,2). “Di notte”: in questa espressione non c’è niente di casuale.
Pensare che uno stimato sapiente ebreo si sia recato di soppiatto da Gesù di Nazareth nel cuore della notte
è una ridicolaggine.
La verità è che abbiamo a che fare con una particolare “apparizione”. Questo incontro non si è verificato
a livello della personalità fisica, con passi fisici, ma nel mondo astrale: Nicodemo l’ha vissuto nel sonno.
Di notte, cioè nel mondo astrale, ha avuto luogo la conversazione che ci viene descritta. In via del tutto
eccezionale, per una volta Nicodemo è diventato chiaroveggente. Ha potuto recarsi dal Cristo Gesù nel
mondo astrale e avere quel dialogo con lui. Quello che era il Cristo poteva quindi manifestarsi in
un’esperienza particolare per quelli che dovevano percepirlo.
Sull’esempio di questo racconto di Nicodemo dobbiamo renderci conto del perché in seguito alla
“testimonianza” (alla visione) di Giovanni il Battista diventa evidente che in Gesù c’è il Cristo, il dio del
nostro mondo.
Per questo nel Vangelo di Giovanni non si racconta «Lo spirito scese su Gesù.» Il battesimo non viene
descritto come percezione oggettiva, ma viene detto che Giovanni il Battista descrive la propria
esperienza in quanto lui ha visto in una visione discendere la colomba (1,32). Altrimenti non si capisce
come mai i Vangeli sembrano contraddirsi – se non li si legge come prodotti di veggenti che descrivono
ognuno le proprie esperienze spirituali.
Ora può sorprendere il fatto che a certe domande Giovanni il Battista risponde in modo del tutto strano:
«Sei tu il Cristo?» «Non lo sono». «Sei Elia?» «Non lo sono». «Sei il Profeta?» «No». (1,19-23). Che
cosa significa?
Vedremo che lo stesso Cristo Gesù definisce Giovanni la reincarnazione di Elia (cfr. Mt 11,11-14; 17,11-
13). Giovanni però risponde di no. Perché? Questo ha a che fare con qualcosa che nel Vangelo di
Giovanni dev’essere affrontato con la massima profondità.
Era giunta l’ora in cui l’Io dell’uomo doveva diventare una componente cosciente della natura umana.
Nei tempi antichi c’era quella coscienza crepuscolare di cui abbiamo parlato – una coscienza
chiaroveggente – che poi è andata scemando, dato che bisognava conquistare la coscienza desta. Giovanni
era chiamato ad annunciare espressamente questa coscienza dell’Io: «I cieli sono qui, il regno dei cieli è
vicino (all’Io cosciente dell’uomo)».
Giovanni il Battista era colui il quale viveva con particolare intensità questa verità: «Ognuno può far
sorgere nella propria anima la coscienza dell’Io.» Qual era allora il suo destino?
Dato che prima esisteva una chiaroveggenza naturale, gli esseri umani potevano guardarsi indietro e
sapere di essere esistiti in incarnazioni precedenti. Colui che più di tutti era chiamato a sottolineare la
personalità di questa vita presente doveva pagare la sua missione con il non saper abbracciare con la
coscienza personale le incarnazioni passate. Il suo compito era unicamente quello di far notare che
l’uomo deve ora sviluppare la coscienza di sé nel periodo compreso fra la nascita e la morte, e di indicare
Colui il quale darà all’uomo la capacità di elevare la propria coscienza ai mondi spirituali.
Gradino per gradino ci viene mostrato come il Cristo irradia la propria essenza a partire dal proprio Io,
per infonderla in tutti gli altri esseri.
1. il corvo, il messaggero,
3. il combattente, il lottatore,
4. il leone,
7. il padre.
1. Il corvo: sta con un piede nel mondo esterno ed entra in quello spirituale dapprima attraverso lo studio.
È un intermediario, un messaggero.
3. Il combattente: a quei tempi non si poteva comunicare qualcosa appena lo si era conquistato, ma si
trattava di farlo prima maturare per poter diventare un “lottatore” per il mondo spirituale, un “apostolo”
del mondo spirituale.
4. Il leone: era colui del quale si poteva dire che il suo Sé si era purificato al punto che i messaggi che
doveva portare dal mondo spirituale non venivano più compromessi dalle sue opinioni personali.
Oggi si reputa giusto che ognuno abbia il proprio punto di vista. Però dove si è davvero conquistata la
verità non ci sono più punti di vista. Al giorno d’oggi gli uomini si guadagnano una verità inequivocabile
solo in campo matematico: 3 x 3 = 9. All’interno dell’attuale ciclo dell’umanità questo è l’unico ambito in
cui si ha la sensazione che dove comincia la verità cessi ogni opinione personale.
Nei misteri valeva la massima: «Solo chi non tiene in nessun conto la propria opinione giunge alla
verità.» Occorre farsi strumento della verità oggettiva: «Non dico quello che credo, ma ciò che fluisce
dentro di me come verità oggettiva.»
L’iniziato aspira a sentirsi come un puro involucro della verità, a non essere interrogato sulla sua
opinione. Il “leone” è contraddistinto da questo ideale, da questa esperienza interiore. Chi aveva questa
sensazione di non aggiungere nulla di proprio era pronto a salire al quinto gradino.
5. Il persiano: per capire il quinto grado va tenuto conto che non esistono solo esseri spirituali come quelli
che risiedono nell’uomo esteriore, ma anche altri che si rivelano in modo del tutto diverso che in una
forma esteriormente visibile. Oggi si considera lo spirito del popolo come qualcosa di astratto, come una
somma di prerogative. E invece è qualcosa di reale, di ancor più reale dell’uomo – un’entità molto più
potente e vasta dei singoli individui umani.
Chi aveva raggiunto un grado di iniziazione tale per cui non faceva più emergere la propria opinione, la
propria individualità, era anche maturo per far vivere dentro di sé lo Spirito del popolo. Questo faceva di
lui per esempio un “persiano”, un portavoce dello spirito del suo popolo. Quelli che lo ascoltavano si
dicevano: «In lui ci parla lo spirito del popolo. Egli si procura una lingua tramite gli uomini che hanno
raggiunto il quinto grado di iniziazione.»
6. L’eroe solare: il sesto era lo spirito solare, poiché in lui non parla solo lo spirito di un popolo, ma lo
spirito dell’intero sistema solare, le leggi che lo governano.
7. Il padre: era colui tramite il quale parlava lo spirito del Padre, del Padre universale, che si era spinto
fino all’origine del sistema solare.
Le cose non venivano però tutte osservate rigorosamente secondo la definizione che vi ho fornito adesso.
C’erano scuole iniziatiche in cui si ottemperava a tutti i precetti meticolosamente – ma non poteva essere
ovunque così. E in certe zone è successo che sono rimasti solo i nomi. (Come nei riti odierni delle società
segrete attuali).
Dove questi gradi venivano osservati rigorosamente, anche queste definizioni erano sacre. Quando si
presenta Natanaele, Gesù vede che si tratta di un “israelita” – come si usava definire un iniziato del quinto
grado. Per questo si rivolge a lui dicendo: «Ecco un vero israelita!» (1,47).
Pensate che impressione gli deve aver fatto! Chi lo sapeva? Solo chi lo era. Per questo Natanaele si è
detto: «Ho di fronte qualcuno che sa di più ...» Sapeva che doveva aver ricevuto questa conoscenza
altrove, poiché non era stato iniziato fra gli israeliti. Per questo gli dice: «Tu sei un re (1,49): tu sai
qualcosa che altrimenti non potresti sapere!» – poiché Cristo gli ha detto: «Io ti ho visto quando eri sotto
il fico (albero Bodhi).» (1,48).
Un iniziato del quinto grado vede accendersi dentro di sé lo spirito del popolo. Vi guarda dentro e vede
che le singole anime del popolo sono come tanti rami. Si sente un tutt’uno con quell’albero (“il fico”) le
cui radici andavano fino ad Abramo e i cui rami erano carichi di germogli. Ed ogni foglia era un’anima
israelita, lo si vedeva nel mondo astrale. Per questo Natanaele sapeva chi gli stava di fronte.
A quel punto Cristo soggiunse, ed è importante: «Per averti detto che ti ho visto sotto il fico, tu credi?
Vedrai cose maggiori di queste. In verità, in verità vi dico: voi vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio
salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo.» (1,51). Ciò vuol dire: Quando verrete a conoscenza di ciò che
vive nella mia anima non vedrete solo quello che vive sull’albero del fico, ma anche gli Esseri spirituali
veri e propri, le Gerarchie angeliche che salgono e scendono, vedrete i fondamenti spirituali del mondo.
L’evangelista ci fornisce così una descrizione del fatto che fra gli Israeliti era sorto un vero iniziato. Dopo
aver mostrato che nel Cristo è presente un sapiente, mostra che in lui c’è Uno che agisce oltre la singola
volontà – Uno che conosce con gli occhi dello spirito e che fa fluire la propria volontà in altre
individualità. Come avviene questo?
Prendiamo il fatto che in sostanza ogni uomo è un’entità a sé stante. In evoluzioni successive, nonostante
il formarsi dell’individualità, gli esseri umani avranno sempre più cose in comune. Ci sarà un legame
sempre più saldo fra anima e anima. Gli uomini saranno sempre più capaci di far fluire l’impulso volitivo
dell’amore da uomo a uomo, cosa che nell’umanità precedente era possibile solo grazie al legame della
consanguineità. Se sulla Terra non fosse giunto nulla di nuovo, gli uomini sarebbero diventati sempre più
estranei gli uni agli altri.
Questo è il senso dell’evoluzione: che gli esseri umani si sono sempre più affrancati dai legami di sangue
e che al loro posto deve subentrare il legame animico. Il vecchio deve rimanere, ma ad esso deve
aggiungersi il nuovo. Grazie all’impulso del Cristo Gesù deve subentrare l’amore che sgorga dall’anima,
dallo spirito, l’amore universale per il prossimo: «Chi non è in grado di apprezzare l’amore nello spirito
più di quello per il padre e la madre che viene dal sangue, non può essere mio discepolo.» (cfr. Lc 14,26;
Mt 10,37).
Affinché il Cristo Gesù potesse portare al mondo questo impulso, ha dovuto lui stesso sviluppare la più
grande forza di volontà che possa comunicarsi ad un’altra anima. Quando due persone sono l’una accanto
all’altra e una beve dell’acqua, e l’altra pensa a qualcosa, la prima sentirà il sapore dell’acqua perché il
pensiero dell’altra non può agire in lei. Ma pensate che l’una possa agire sull’altra con la volontà, così che
una sensazione gustativa si modifichi: per mezzo del suo amore può provocare questa sensazione.
L’importante non è la materia, ma ciò che si vive. Bisogna prendere le mosse da una teoria della
conoscenza spirituale, non da una materialistica. Dietro le nostre sensazioni non c’è la materia, ma lo
spirito (v. la mia teoria della conoscenza nella Filosofia della libertà). Dietro tutte le cose c’è lo spirito –
la materia è “Maya”, illusione. Sensazioni in trasformazione – questo è il contenuto del nostro mondo.
L’autore del Vangelo di Giovanni ci insegna a modo suo questo spiritualismo, mostrandoci che nel Cristo
Gesù vive una spiritualità così intensa che lui può agire sulle sensazioni come fa lo spirito, e non come
avviene di solito da persona a persona.
Alle nozze di Cana (2,1-11) si mostra che nel Cristo Gesù, oltre alla conoscenza, c’era una forte volontà.
Così capiamo anche che nel Cristo viveva una volontà fortissima, completamente trasformata in amore.
Infatti solo una volontà che non vuole niente per sé può essere così forte da accendersi nell’altro. Il
maestro di tavola ha avuto la sensazione fisica di questa forte volontà (1,9-10).
Dobbiamo considerare che il Vangelo di Giovanni è davvero un libro misterico, dobbiamo attribuire
importanza a questo fatto.
Un fatto importante è che il nome dell’autore del Vangelo di Giovanni non viene mai scritto – e neanche
il nome della madre. Alle nozze di Cana si dice: «E vi era la Madre di Gesù.» (2,1). La scena sotto la
croce va letta attentamente: «Sua madre e la sorella di sua madre Maria (moglie di Cleofa) e Maria
Maddalena.» (19,25).
Nei misteri non si parla dell’effettiva “madre” del Cristo Gesù se non come di una personalità chiamata
“Sofia” (sapienza). Dietro questo enigma altro non si cela che ciò che viene rappresentato nelle nozze di
Cana: in che modo ha potuto far ingresso un impulso volitivo così potente.
«Che c’è tra me e te, o donna?» (2,4). La madre, che capisce, dice: «Fate tutto quello che egli vi dirà»
(2,5) – «Tra me e te» viene di solito tradotto (in tedesco): «Donna, che c’entro io con te?» In greco le
parole hanno all’incirca – poiché le realtà spirituali possono essere espresse solo approssimativamente – il
significato di cui sopra. È un grande mistero quello a cui si allude. Quando due persone hanno in comune
un segreto è sufficiente un accenno.
In quell’istante è successo qualcosa anche nell’altra madre. Ricordatevi di tutto ciò che è stato detto ... Il
Gesù salomonico aveva dei fratelli (cfr. Mt 13,55-56; Mc 6,3). Al tempo in cui l’Io di Zarathustra è
passato nel Gesù natanico, è morta anche la madre del Gesù natanico. E allora abbiamo una famiglia
composta dal padre natanico e dalla madre salomonica con i suoi figli. L’altro padre era morto
relativamente presto, ed è rimasta la madre adottiva di quel Gesù che vive adesso.
Nell’istante in cui il Cristo fa il suo ingresso in Gesù, anche la madre subisce una trasformazione. Viene
illuminata e irradiata dalla madre del Gesù natanico defunta, che ora ritorna spiritualizzata. Da questo
momento costei vive come individualità spirituale nella madre salomonica, alla quale viene così restituita
la verginità: è nello stesso stato in cui si trovava all’inizio. E questa è la donna che si usa chiamare la
“Sofia divina”.
Per mezzo del legame fra questa donna rinata nello spirito e il Cristo, ha potuto sorgere quella potenza
d’amore che è rifulsa nel Cristo.
La trasformazione non avviene solo in Gesù di Nazareth nel suo trentesimo anno, ma anche nella madre:
in lei vive d’ora in poi l’anima rinata della madre del Gesù natanico.
Settima conferenza
Caino, Edipo e Giuda
È un tratto comune a tutte le religioni e alle concezioni del mondo dei tempi antichi l’affermazione
secondo la quale l’uomo deve affrontare una lotta interiore, vincere una certa battaglia dentro di sé se
vuole agire armoniosamente nella vita esteriore. Si potrebbe anche dire che se un essere umano o un
qualsiasi essere non è in grado di affrontare nel modo giusto questa battaglia nella propria interiorità,
questa si manifesterà nel mondo come disarmonia nelle sue azioni esteriori.
Fra l’Io e la natura astrale (l’anima) nasce un conflitto. L’uomo deve sedare dentro di sé questa lotta che
deve sorgere fra l’Io e gli istinti e i desideri – altrimenti si esprimerà come conflitto e disarmonia nel
mondo esteriore.
Questa idea si realizza nella conoscenza inferiore, ordinaria. La forza conoscitiva ci dice: nella tua
interiorità devi essere in grado di dominare gli istinti e i desideri del tuo corpo astrale, altrimenti questi si
manifesteranno in una cattiva azione. Così si è avverato il fratricidio di Caino – un conflitto non risolto a
livello interiore.
Il racconto di Caino (Genesi 4) dovrebbe dirci: «Ecco cosa ottiene l’uomo se non uccide nella sua anima
con la sua parte buona le passioni cattive, il “fratello cattivo”.» Questa lotta – che ci viene mostrata in
Caino e Abele – deve svolgersi nell’anima, altrimenti si manifesta all’esterno. Questo era uno dei due
severi ammonimenti.
L’altro si riferiva alla conoscenza più profonda, quella che noi chiamiamo esoterica, iniziatica.
Dentro di sé l’uomo doveva creare un’armonia che gli rendesse possibile agire armoniosamente nel
mondo esterno. In che modo?
Qui andiamo a toccare un capitolo importante, un ammonimento riguardo a ogni tipo di iniziazione che
dobbiamo scrivere davanti alla nostra anima.
Prendiamo di nuovo in considerazione le quattro parti dell’uomo. Si sono sviluppate così: dapprima la
predisposizione per il corpo fisico, poi per il corpo eterico, poi la predisposizione per il corpo astrale e
infine quella per l’Io.
Ora, se osserviamo l’uomo nella sua vita quotidiana normale, in cui queste quattro parti sono intrecciate
fra loro, non saremmo in grado di distinguerle se le volessimo solo elencare in successione. Nel corpo
sorto dopo il diluvio universale esiste da un lato uno stretto legame fra l’Io e il corpo fisico, e dall’altro
uno altrettanto intimo fra corpo astrale e corpo eterico. Nell’uomo in stato di veglia sono saldamente
connessi fra loro:
Hanno tutti avuto origine dal cosmo, dallo spirito del cosmo: sono come uno spirito compresso, come
ghiaccio che si cristallizza dall’acqua.
Lo spirito da cui ha avuto origine il corpo fisico viene chiamato lo “spirito del Padre”. Nel corpo fisico è
cristallizzato il principio paterno del cosmo. Per questo anche nelle sue forze ereditarie il corpo fisico è
più intimamente connesso con il principio paterno. Nella linea puramente fisica l’uomo eredita dalla
stirpe paterna, mentre quello che eredita nel corpo eterico lo eredita dagli antenati materni.
Questo è il mistero dell’ereditarietà: l’elemento plasmante, formante, proviene dalla madre, poiché la
componente eterica si cristallizza dal principio materno del cosmo. Dato che l’Io, lo spirito, è strettamente
legato alla parte fisica, l’uomo eredita la struttura dell’Io dalla linea paterna; l’elemento astrale, l’anima,
invece, che è legata al mondo eterico, proviene maggiormente dal principio materno.
L’Io deriva dalle sue incarnazioni precedenti, ma per esprimersi nel mondo dipende dal patrimonio
particolare del corpo fisico. Per esempio, se il nostro corpo fisico è debole, l’Io si dimostrerà poco
coraggioso.
Gli individui che grazie alla visione interiore sapevano di queste cose l’hanno sempre sottolineato.
Goethe per esempio ha detto: «Del padre ho la statura, la dirittura morale, della mamma l’indole gaia e il
piacere di favoleggiare.» (Descrizione del fisico e dell’Io; del corpo eterico, e delle immaginazioni nel
corpo astrale).
Se ci rendiamo conto di questo, possiamo capire tutto ciò che incontriamo nella vita in riferimento ai
genitori e ai progenitori. Per questo poeti e artisti evidenziano una così grande eredità materna, poiché
questa si trova nel corpo astrale ed è collegata al corpo eterico.
Così le quattro parti della nostra natura ci collocano nel macrocosmo quando osserviamo
• a partire dal corpo eterico e da quello astrale il principio materno del cosmo.
L’iniziato deve instaurare un nuovo rapporto fra queste quattro parti della propria natura – in lui deve
aver luogo una trasformazione dei loro intrecci.
Il corpo fisico deve perdere tutto il suo dominio. Mentre si ascende alla “chiaroveggenza”, alla “magia”,
occorre mettere a tacere il corpo fisico con tutte le forze e le abitudini con le quali è solito soggiogarci.
Bisogna “ucciderlo”. Si diceva perciò: «Uccidi il principio paterno dentro di te.»
Una volta superato il principio paterno del corpo fisico, dopo averne assunto il controllo, che cosa è in
grado di fare l’uomo? Può unirsi a livello eterico con ciò che vive nello spirito.
Mentre di solito percepiamo e sentiamo con gli strumenti fisici, ora cominciamo a vedere e a sentire con
gli organi del corpo eterico. Perciò si diceva: «Colui che uccide dentro di sé l’elemento paterno, si unisce
al principio materno.» L’iniziato percorre allora quella via in cui reprime l’elemento paterno e si unisce a
quello materno.
In questo consisteva a quei tempi il terribile pericolo dell’iniziazione – per coloro che non ne coglievano
la grandezza. Era giunto il tempo in cui le regole non venivano più applicate rigorosamente.
Avviene qualcosa di terribile se l’uomo consegue la mortificazione del fisico e il connubio con l’eterico
senza la dovuta maturità morale. Sarà allora in grado di fare determinate esperienze, ma la sua
chiaroveggenza sognante lo porterà ad una terribile disarmonia nel mondo esterno.
Le antiche concezioni del mondo hanno espresso così questa tragedia: «Chi non ha compiuto con maturità
“l’uccisione del padre” e “l’unione con la madre”, manifesterà con tremende disarmonie nel mondo
esterno quello che dovrebbe avvenire nella sua interiorità.» Ciò si esprime in maniera sconvolgente nel
dramma di Edipo.
Costui diventa chiaroveggente dal punto di vista astrale, ma non viene portato al punto di intuire lo
spirituale che è nel mondo fisico. L’essere entrato in contatto con un oracolo non ha portato Edipo alla
maturità. Per questo l’oracolo gli dice: «Tu diverrai un iniziato, e cioè: “ucciderai” il padre, il corpo
fisico, e “sposerai” la madre, il corpo eterico.» Ma Edipo non era moralmente maturo per questo: invece
di svolgersi nella sua interiorità, come richiede il contenuto dell’iniziazione, questo dramma si riversa sul
piano fisico.
Questa tragedia vuol farci comprendere il traviamento di una chiaroveggenza degenerata come quella
dell’antichità, quale monito a tendere alla maturità quando ci si inoltra nel mondo spirituale.
Come nel fratricidio di Caino si manifesta la lotta non appianata fra corpo astrale ed Io, così nel dramma
di Laio e Giocasta (Edipo) si rivela un’iniziazione degenerata.
Questo doveva portare l’impulso cristico: grazie a un rinnovamento, a un consolidamento delle forze
dell’Io, della coscienza di sé, queste confusioni e questi smarrimenti non avrebbero più dovuto essere
possibili. Le vecchie forze animiche non bastavano più per raggiungere le vette più alte.
E chi ancora ci provava poteva essere colpito da cecità. Nella cecità di Edipo vediamo simboleggiata
l’antica iniziazione che volge al tramonto. Contiene l’antica, ormai degenerata, forza dell’iniziazione. Ne
vediamo una controparte nel risveglio del cieco nato (cap.9). Ciò che il Cristo era venuto a portare doveva
infondere nuove forze nell’antica iniziazione.
Sebbene risolva l’enigma della sfinge (“l’uomo”), Edipo non riesce a penetrare il velo del mondo fisico.
Per mezzo del Cristo Gesù i ciechi riprendono a vedere … (cfr. Mt 11,5; Lc 7,21-22).
Così nell’evento del Cristo Gesù si scontrano il vecchio mondo in declino e quello nuovo in ascesa. E nel
Cristo Gesù abbiamo veramente una luce che ha dovuto fare il sacrificio di essere vinta, uccisa dalla
vecchia luce in declino, cioè dalla tenebra.
Una leggenda[9] mostra come le vecchie tenebre compiano la loro ultima azione sulla luce nascente, sul
Cristo Gesù in persona:
Ad una coppia di sposi laggiù in Asia venne predetto: avrete un figlio, ma di lui vi dovrete solo
lamentare, poiché egli ucciderà il padre e sposerà la madre dopo aver ucciso il fratello. Questo figlio
doveva realizzare tutte le disarmonie, poiché aveva in sé un’antica spiritualità e riguardo al mondo il buio
più totale. I genitori esposero il bambino sull’isola Kariot. Il bambino venne quindi “esposto”,
estromesso. Là lo trovò la regina, che lo prese con sé. In seguito la regina ebbe un figlio, l’altro si sentì
svantaggiato e uccise il fratello putativo, dopo di che fuggì e trovò alloggio come amministratore nella
casa del governatore Pilato. Un giorno ebbe una lite con il vicino, un uomo anziano. Lo uccise e ne sposò
la moglie. Poi, attraverso varie circostanze, si rese conto che quell’uomo era suo padre e che lui aveva
sposato sua madre. Allora fuggì dalla casa di Pilato e trovò accoglienza da Colui che aveva pietà non solo
per i giusti, ma anche per i peccatori. E divenne uno dei 12 apostoli (Giuda).
In questa meravigliosa leggenda si esprime ciò che è diventato possibile per il fatto che la lotta è stata
spostata del tutto all’interno. A quei tempi, in cui le regole non venivano più osservate rigorosamente e
l’antica chiaroveggenza era degenerata, c’era confusione riguardo al mondo esterno, confusione interiore
che ha contribuito alla morte momentanea della nuova luce.
Così questa leggenda ci mostra come la spiritualità degenerata fosse in grado di uccidere
provvisoriamente la nuova luce. Questa sapeva però armonizzare in modo del tutto spirituale l’anima e
l’Io dell’uomo.
Nelle nozze di Cana (2,1-11) ci appare il nuovo principio di iniziazione, completamente immerso
nell’elemento spirituale.
Il “padre” era morto, il corpo fisico era cioè superato: dal momento del battesimo nel Giordano era stato
messo completamente sotto il dominio delle forze superiori. Era cominciato ciò che può essere definito al
massimo grado un dirigersi verso la morte. E nella stessa misura Egli diventa una fonte di poteri che
emanano da lui – e che continuano ad aumentare nel susseguirsi dei sette segni.
Ecco quindi che il Vangelo di Giovanni è una delle più grandi opere d’arte – nella sua composizione,
nella gradazione degli eventi –, mai prodotte dall’umanità. Così è stata irradiata quella forza terapeutica
in grado di trasfondersi negli altri, di cui ieri vi ho fornito la descrizione. Nel battesimo del Giordano il
padre è simbolicamente assente. È in effetti già morto, quindi anche in realtà non c’è più.
E il principio materno vive una rinascita nel momento in cui il corpo eterico puro della madre natanica
discende e pervade l’altra madre. Ora costei ridiviene vergine, e fra Cristo e sua madre si instaura un
profondo legame. Per questo alle nozze di Cana la nuova unione, il nuovo connubio con la madre, viene
rappresentata nel simbolismo più profondo e reale. «C’è qualcosa di nuovo tra me e te, o donna.» (cfr.
2,4). Che descrizione splendida, meravigliosa, dell’unione con il principio materno cosmico!
Questo è il mistero profondo che ci presenta in una nuova forma l’antico percorso di iniziazione – il
superamento del principio paterno fisico e l’unione con il principio materno eterico. Tutto è avvolto in
un’atmosfera pura, sacra. La forza d’amore intensificata al massimo può agire nell’anima dell’altro uomo
facendo sì che l’acqua che viene portata alla sua bocca diventi per lui “vino”.
La pura suggestione produce invece l’inganno, ma qui non c’è inganno. Solo il materialista che crede
unicamente alla trasformazione reale della materia può vederci un inganno, lui che crede solo a ciò che
risulta da una reazione chimica. Lo spiritualista invece nella reazione chimica vede solo Maya.
Quello che gli altri hanno bevuto era vino per la loro struttura fisiologica? È una domanda capziosa: il
Cristo avrebbe incitato a godere del vino, avrebbe trasformato l’acqua insapore del Vecchio Testamento
nel vino spumeggiante del Nuovo!
Coloro che pensano così non capiscono una parola, quella con cui Cristo dice: «L’ora mia non è ancora
venuta.» (2,4).
È solo un segno premonitore. Ogni grande guida dell’umanità deve rispettare i propri tempi.
Commetterebbe un sacrilegio nei confronti dell’umanità se non facesse da ponte tra il vecchio e il nuovo,
se non desse un segno che si agganci al vecchio.
A quei tempi vigeva il culto di Dioniso. In tempi più antichi non c’era il vino. Qui abbiamo il vino come
offerta per il servizio divino.
Nessuno può appellarsi al fatto che, poiché il vino un tempo ha avuto una missione, debba averla per
sempre, in assoluto. Si avvicinano i tempi in cui le cose cambiano. Quando qualcosa viene esteso al di là
della propria epoca, la sua missione si trasforma nel suo opposto. Anche le cose materiali hanno la loro
missione. A che cosa è servito il vino?
Affinché l’uomo potesse sviluppare una forte egoità, bisognava dargli una mano a livello materiale. Oggi
questo stimolo fisico non è più necessario – ma allora lo era. Per arrivare all’autocoscienza sul piano
fisico ci voleva qualcosa di materiale, il vino, a corroborare il sangue.
Una festa in cui viene raffigurato un futuro nuovo doveva venir inserita nel vecchio culto di Dioniso. Il
Cristo però non dispensa del vino, ma dell’acqua in cui è stata infusa una nuova forza. Ecco allora da un
lato entrare in gioco il servizio di Dioniso, che dall’altro però viene superato.
I Vangeli vengono letti da molti “in semplicità”, ma non perdono nulla se chi vi si immerge si accosta
anche a verità che derivano dai misteri. Ci si può spingere sempre più in profondità, nessuna saggezza
umana è abbastanza profonda per scandagliare fino in fondo i Vangeli. Continueremo a tornare in nuove
incarnazioni, a imparare cose nuove – e quindi a penetrare sempre più a fondo in questi testi che sono
stati scritti per l’eternità.
Nel libro dei libri, il “Vangelo”[10], che è stato portato sulla Terra dal mondo degli Angeli, è contenuto
ciò che ci verrà sempre più incontro a mano a mano che ci addentreremo nei mondi spirituali.
Ottava conferenza
I sette segni
La leggenda di Giuda accenna al fatto che un’antica corrente spirituale diretta verso il basso si unisce ad
una nuova diretta verso l’alto. Tutto doveva rinnovarsi: dall’impressione fatta dall’evento cristico
sull’anima più ingenua (la samaritana), fino a quella su chi aveva raggiunto un certo grado di iniziazione
(Nicodemo).
Quest’ultimo – l’effetto dell’evento cristico sugli iniziati secondo l’antica tradizione – lo vediamo
chiaramente nel dialogo con Nicodemo (cap.3).
“Di notte” (3,2): qui l’interpretazione banale non calza. Uno di quelli che si erano spinti fino a un certo
livello di visione spirituale poteva venire “di notte” grazie alla propria chiaroveggenza. Nicodemo si
trovava di fronte al Cristo Gesù per forza di chiaroveggenza – in virtù delle doti che già possedeva. Ma il
Cristo Gesù aveva qualcosa da dire anche a questo iniziato ebreo, e precisamente che l’antica iniziazione
non basta più e che deve sopraggiungere qualcosa di nuovo.
«Se non nasci di nuovo, per acqua e spirito …» (3,3·5): se Nicodemo non sperimenterà una nuova
apertura dei suoi sensi spirituali, non potrà giungere allo spirito. «Non solo gli altri, anche tu devi nascere
di nuovo.» (cfr. 3,10).
Prima infatti la “rinascita” non veniva vissuta come avrebbe dovuto esserlo in futuro. L’Io si offuscava,
nell’antica iniziazione egiziana si affievoliva. Anche chi grazie all’estasi oltrepassava il velo del mondo
sensibile doveva perdere il proprio Io, la coscienza di sé.
Ora invece l’uomo deve imparare a orientarsi nel mondo spirituale senza perdere il proprio Io. Per questo
Cristo dice: «Chi è stato iniziato come lo sei stato tu, sente effondersi lo spirito, ma non sa da dove
viene.» (cfr. 3,8). Quindi Cristo testimonia che Nicodemo è in grado di percepire lo spirito, ma non sa da
dove proviene poiché non riesce a conservare il proprio Io.
Ecco dunque che anche per l’iniziato doveva sopraggiungere qualcosa di assolutamente nuovo: è questo
l’elemento essenziale che incontriamo nei primi capitoli del Vangelo di Giovanni.
L’uomo moderno trova nel Vangelo soprattutto dei “miracoli” che non si svolgono secondo le odierne
leggi della natura. Questo modo di vedere lo può avere solo chi crede che il mondo sia sempre stato così
come lo vediamo oggi.
La nostra anima ha perduto le sue doti chiaroveggenti per conquistare col tempo la coscienza di sé, e poi
risalire verso la chiaroveggenza futura.
Dato che un tempo gli uomini erano chiaroveggenti, l’anima poteva agire in modo più diretto e
immediato sull’altra anima. Oggi lo può fare solo per mezzo della parola. Chi evolve oltre nel metodo di
familiarizzarsi con i mondi spirituali deve, per essere capito, cercare e trovare ricettività nell’altro – cosa
a cui oggi si arriva per mezzo della parola.
Le cose non stavano così nell’antichità persiana ed egizia. Un desiderio provato da uno agiva nell’anima
dell’altro, e l’anima esercitava una forza maggiore sul corpo. Il fatto di poter esercitare un influsso tramite
la volontà, precisamente tramite rappresentazioni plastiche, permetteva di agire terapeuticamente sugli
altri esseri umani.
Per questo quando Cristo ha fatto la sua comparsa non ci si meravigliava che fosse possibile guarire gli
altri mediante l’influsso psichico (animico). La cosa più importante per la gente di quei tempi, anche per i
non credenti e i detentori del potere in Palestina, non era il fatto che Cristo facesse dei “miracoli”, ma
qualcos’altro.
Che cosa succedeva nell’antica iniziazione? L’antica chiaroveggenza crepuscolare poteva agire in base
alla visione, ma c’era un punto a cui non poteva giungere, il centro dell’Io, poiché l’Io, la coscienza di sé
nel senso più alto è venuta al mondo solo per mezzo del Cristo.
Egli quindi poteva spingere il suo sguardo fino all’Io, fino alla parte più intima dello spirito umano.
Poteva agire da Io ad Io, non solo da anima ad anima[11].
Che cosa le fa capire che lui è quello che deve venire? In un simile racconto l’essenziale non si può
cogliere con interpretazioni allegoriche. La donna dice: «Credo in lui perché ha visto le mie faccende più
personali, perché è penetrato fin nel mio Io.» (cfr. 4,29-39)
Da che cosa dipende questo? Ogni tipo di iniziazione antica era un’iniziazione di popolo, pertanto si
aveva familiarità con tutto ciò che aveva a che fare con il proprio popolo. Nel Cristo abbiamo l’impulso
che è andato oltre ogni confine, fino al singolo uomo.
Ciò che è del tutto individuale è nello stesso tempo quanto di più universalmente umano vi sia. Cristo si è
spinto fino all’intimità più profonda dell’uomo, per questo la sua forza spirituale era così intensa, poiché
arrivava fino all’Io.
Gli altri potevano guarire gli appartenenti al loro popolo. Cristo guarisce lo straniero, agisce al di là del
limite del popolo: ciò viene indicato nella guarigione del figlio del dignitario di corte (4,46-54). Poiché il
padre fa un’esperienza animica che va fino all’intimo, questa forza terapeutica agisce anche da lontano.
Quello che agisce nel profondo dell’animo umano – di incarnazione in incarnazione – è ciò che è in
relazione con il senso di benessere dell’uomo, con la salute e la malattia. Quelle che sono le qualità
morali dell’anima si manifestano nel corpo oltre la singola incarnazione.
Chi vedeva solo l’anima poteva cogliere soltanto l’elemento animico nell’incarnazione attuale, non quello
che riguarda il karma. Cristo vede fin dentro il karma, nell’Io, e può dire (all’infermo presso la piscina di
Betesda: 5,1-16): «I tuoi peccati ti sono perdonati.» (cfr. Gv 5,14; 20,23)
Non agisce solo nelle sensazioni, ma fino a quel centro dell’uomo in cui si esplica il karma. E questo
rappresenta un aumento di forze.
Una cosa emerge dai racconti del Vangelo di Giovanni: per agire in modo nuovo il Cristo doveva di volta
in volta prendere coscienza di qualcosa. Nelle nozze di Cana (cap.2) per esempio si tratta del legame con
la madre. Qualcosa di diverso succede in occasione della guarigione del figlio del dignitario di corte
(cap.4) e dell’infermo alla piscina di Betesda (cap.5). Lì si tratta del legame che nel suo Io lo unisce all’Io
di ogni uomo. Di questo aveva preso coscienza nel dialogo con la samaritana (cap.4).
Il Vangelo di Giovanni ci mostra in maniera incisiva la “crescita” del Cristo. In questo sta la perfezione
artistica nella struttura del Vangelo di Giovanni.
Ed ora vediamo in che modo parla di Cristo Giovanni il Battista, che deve dire che genere di spirito vive
in lui. Lo paragona allo spirito che c’era nelle antiche iniziazioni. Prima questo spirito ha parlato
“secondo la misura” (3,34), ma ora non più. Che cosa vuol dire?
Prima l’iniziato doveva usare un “metro”, doveva agire con la metrica dei mantra per stimolare l’anima
dell’altro. Adesso lo spirito deve agire direttamente, non secondo una prosodia suggestiva esteriore.
Anche qui allora ci viene fatto notare come l’Io del Cristo debba esplicarsi nella sua azione divina diretta.
Quello che per noi può diventare insegnamento sul Cristo dev’essere accolto a poco a poco nell’interiorità
degli uomini, in modo da formarsi spiritualmente: «Un bel giorno è venuto l’essere dell’Io a mostrarci
come dobbiamo evolverci. Quando avremo vissuto ogni incarnazione in senso cristiano, al traguardo
dell’evoluzione terrena saremo “cristificati”.»
Dall’Io, dal centro più intimo, un impulso passerà al centro più intimo dell’altro. Così la fraternità verrà
conseguita per mezzo della forza del Cristo.
Così viene mostrato come lo spirito prende il posto di quello che prima solo la materia poteva fare. «Io
sono il pane di vita» (6,35):
• nel senso simbolico esteriore: negli antichi misteri egizi si sapeva che il pane è simbolo della saggezza;
• per una reale interpretazione interiore: l’Io sviluppatosi alla massima potenza deve prendere il posto
della realtà materiale.
Questo doveva essere dimostrato con una grande azione, la moltiplicazione dei pani (cap.6).
Viene detto: «Quando gli vennero porti i pani e i pesci, il Cristo li benedisse» (6,11). Cioè, li unì con il
suo spirito. Lo spirito cominciò a operare al posto della materia, realizzò quello che di solito veniva
realizzato dalla materia. Si sono saziati: di che? «Io sono il pane di vita» (6,35·48), dice il Cristo. Mentre
moriva a poco a poco, il corpo di Gesù ha potuto effondere le proprie forze grazie al sacrificio.
Il Cristo Gesù era in grado di agire, a partire dal centro, sull’esistenza materiale. L’azione del corpo del
Cristo Gesù viene “mangiata” spiritualmente dai 5.000.
Nel linguaggio misterico il corpo dell’uomo viene suddiviso in 12 parti, che corrispondono ai dodici segni
zodiacali: fronte = Ariete, collo = Toro, mani = Gemelli, petto = Cancro ecc.
Quello che i convenuti hanno “gustato” era in rapporto con il corpo del Cristo: per questo si sono raccolti
12 canestri (6,12-13). Che lo spirito abbia un effetto fisico, quello di saziare, è un fatto reale. In tal modo i
presenti furono pervasi dallo spirito e in quel momento ebbero la visione chiaroveggente delle 12 parti
fisiche di Gesù.
Ecco allora che in questi racconti troviamo sempre un passaggio dalla fisicità alla chiaroveggenza.
Nel quarto segno (la moltiplicazione dei pani, cap.6) abbiamo quindi un potenziamento – e lo abbiamo
anche nel quinto segno (la visione del Cristo sulle acque, 6,16-21).
L’autore del Vangelo di Giovanni descrive i fatti in modo tale che noi possiamo attribuire esattezza alle
sue parole. Ma spesso i titoli moderni sono sbagliati: non c’è scritto “Gesù cammina sulle acque”, ma che
«i discepoli lo videro» (6,19) camminare. Viene accennato al fatto che Egli abbia agito a distanza, che
fosse spiritualmente vicino a loro nel momento in cui si sentivano così abbandonati – che fosse realmente
con loro a livello spirituale[12].
Quando ascendiamo allo spirito possiamo sempre fare l’esperienza del Cristo. Era uscito dal corpo con il
suo spirito ed era spiritualmente presso i discepoli. Con la grande forza del suo Io poteva vincere lo
spazio e il tempo.
L’autore del Vangelo di Giovanni ci mostra come la coscienza propria del Cristo si intensifichi sempre
più.
Come fa l’uomo a conseguire quella forza d’amore? Elevandosi ai massimi livelli, ciò a cui viene
accennato nei discorsi sul giudicare (cfr. 7,45-52). Egli non vuole mai far agire il proprio Io, ma solo le
grandi leggi del Padre cosmico.
Portando a morte il suo “elemento paterno”, il suo corpo fisico, giunge al Padre cosmico. Questa
elevazione nella propria coscienza ci viene descritta in modo sublime in una scena di grande potenza:
Gli viene presentata un’adultera (8,1-11). Capire la legge del karma significa sapere che anche l’azione
più piccola che facciamo va ad aggiungersi al conto della nostra vita. Basta che noi stiamo ad osservare,
poiché il karma agisce in virtù delle proprie leggi. Il Cristo si comporta in questo modo. Vede che cos’ha
la donna sul conto della sua vita, ma non giudica (8,11). Scrive nella Terra (8,6) quello che ha visto,
poiché il karma dell’uomo agisce attraverso l’evoluzione della Terra. In questo modo ci dice: «Lasciamo
che sia l’evoluzione della Terra a pareggiare il conto karmico».
Così, in questa scena, il Cristo spegne in sé la volontà propria e lascia agire il Padre. In tal modo può
trasmettere agli altri la forza del proprio Io fino a modificarne le sensazioni. Diventa così colui che non
chiude nulla in se stesso, ma fa irradiare tutto negli altri.
Mediante questo sacrificio si ripara ai danni prodotti dall’umanità nei propri confronti. Essa aveva agito
nell’interiorità, si era rivolta verso l’Io, ma non aveva ancora avuto la possibilità di irradiare verso
l’esterno la propria essenza.
L’essere che si irradia divinamente è luce: «Io sono la luce del mondo.» (8,12). Per il fatto di essere
questa luce irraggiante Egli può aiutare l’uomo reso cieco dal karma (il cieco nato, cap.9), può agire sulle
sofferenze che l’Io si porta dietro per via delle azioni compiute nelle incarnazioni precedenti.
Deve agire in modo che il suo operato sia espressione dell’agire divino del principio paterno di cui il
cosmo è permeato. (cfr. 9,16-18). Cristo non vuole agire per volontà propria, per questo agisce nel senso
del karma. Grazie alla sua presenza si produce ciò che avviene nel senso della giustizia cosmica.
Il massimo incremento della sua forza lo vediamo laddove Egli comunica il proprio Io alla fisicità
dell’altro, dove dice: «Io sono la vita.» (cfr. 11,25; 14,6).
Lazzaro (cap.11) deve diventare un uomo in cui vive l’Io stesso del Cristo. Per questo ha introdotto una
nuova iniziazione al posto di quella antica. L’ultimo atto dell’antica iniziazione era un sonno letargico
della durata di tre giorni e mezzo. Lo ierofante poi svegliava ...
In Lazzaro va mostrato come mediante la potenza della presenza del Cristo Gesù venga posto termine
all’antica iniziazione. Ma a questa doveva seguire quella nuova: dopo tre giorni e mezzo, tramite il Cristo,
in Lazzaro – il discepolo che Cristo “amava” (11,3·11·36; 20,2) – doveva essere ridestato “l’Io sono”.
Non era il mondo spirituale vecchio stile, ma quello che viveva nello spirito del Cristo – l’egoità del
Cristo, la perfezione di atman, buddhi e manas[13] ... e ciò che era fluito in lui avataricamente* dai mondi
superiori. Il mondo che viveva in Lui doveva accendersi in Lazzaro in forma di saggezza.
Così che Lazzaro per mezzo di questa iniziazione era stato pervaso dalla suprema saggezza del Cristo
stesso. Conosceva i misteri attraverso il Cristo e per questo era in grado di comunicare tutti i misteri
dell’evento cristico.
Egli è “Giovanni”, l’annunciatore dei misteri del Cristo stesso. Per questo prima non si fa cenno a
“Giovanni”, e dopo ci si riferisce a lui come Lazzaro: «Così caro era al Signore.»
Ecco come il Cristo Gesù ha realizzato l’iniziazione di colui che poi sarebbe diventato il suo annunciatore
nel mondo.
Nona conferenza
Grazie al movimento scientifico-spirituale gli uomini dovranno entrare sempre più in contatto con il
contenuto dei Vangeli, mentre invece ne sono stati progressivamente allontanati dalla ricerca critica.
Si può capire bene come la moderna ricerca storico-teologica sia arrivata a scomporre i Vangeli, a
distruggere la Bibbia – per il fatto che è andato perduto lo sguardo dell’uomo per le realtà spirituali.
Occorre ora recuperare questo sguardo.
La ricerca critica ha portato sempre più a credere che i Vangeli sinottici descrivano dei fatti, ma che siano
in contraddizione fra loro poiché non avrebbero riferito qualcosa di cui erano a conoscenza, ma solo
raccontato cose sentite da altri. Alla base ci sarebbe stata una certa fonte aramaica. Questa avrebbe
contenuto brevi racconti sugli eventi di Palestina e i detti di Gesù, e sulla sua scorta si sarebbero imbastiti
i tre Vangeli. L’autore del Vangelo di Giovanni invece avrebbe semplicemente espresso in immagini la
sua opinione personale.
In questo modo i Vangeli andrebbero perduti. Oggi ci dobbiamo occupare dei veri fatti che possiamo
constatare in base alla ricerca spirituale, non seguendo un’immaginaria fonte aramaica. La comprensione
della vera fonte degli altri tre Vangeli può permetterci di capire ancor più profondamente il Vangelo di
Giovanni.
Dobbiamo cercare questa fonte nelle profondità dei misteri dell’antichità, dove esisteva un cerimoniale
iniziatico.
Nell’antichità i metodi che conducono l’uomo al mondo spirituale non venivano descritti teoricamente
agli iniziandi così come siamo in grado di farlo al giorno d’oggi. L’uomo dei secoli trascorsi, le cui
qualità animiche erano diverse, non avrebbe avuto la maturità necessaria per utilizzare i metodi odierni.
Ne andavano usati altri che si esprimessero anche in processi esteriori. Ogni iniziazione era preceduta da
un insegnamento accurato.
Che tipo di insegnamento era quello che si doveva seguire per anni? Era simile alla filosofia odierna,
anche se il contenuto di conoscenza spirituale ha fatto dei passi avanti. Il discepolo doveva apprendere
quella che allora era scienza dello spirito – dopo di che arrivava l’iniziazione esoterica vera e propria, che
doveva condurre ai tre stadi a cui si viene condotti anche oggi:
A quei tempi i vari stadi non potevano essere vissuti così intimamente come processi animici, ma
avevano luogo in processi e azioni esteriori.
Durante la catarsi (purificazione), nei templi venivano presentati determinati processi simbolici – anche
drammatici, di quelli che il discepolo doveva sperimentare sul proprio corpo –, riti simbolici che si sono
conservati in certe confraternite del presente. Tali azioni avevano lo scopo di liberare le forze animiche.
L’attenzione dell’uomo doveva essere richiamata sulle tentazioni a cui veniva esposto, alle scabrose
situazioni in cui poteva cadere se seguiva i propri desideri e non teneva a freno i propri affetti. Doveva
impararlo per esperienza. Venivano presentate situazioni fatali in grado di spegnere le bramosie.
Dall’anima veniva estratto ciò che doveva collegarsi a quelle immagini – le sensazioni più nobili –
mediante la catarsi. Una volta che quest’ultima aveva avuto termine, cominciava l’ingresso nel mondo
delle immaginazioni, delle immagini.
Si è sempre fatto notare il rischio che si corre se si entra in questo mondo quando non si è ancora maturi,
poiché in quel caso all’immaginazione si mescola ciò che proviene dai propri desideri, perfino ciò di cui
l’uomo da tempo non è più cosciente nella vita esteriore.
Oggi l’uomo non esprime nella vita esteriore tutto ciò che c’è in lui: l’educazione e le convenzioni glielo
impediscono. Se nell’uomo non fosse stata inculcata una serie di qualità dovute all’educazione, alla
religione, al popolo e alle circostanze, egli vivrebbe in modo completamente diverso. Così invece viene
tenuto a freno.
Quando si innalza alla conoscenza immaginativa, l’uomo manifesta anche ciò di cui non sa niente, ciò che
vive in lui solo potenzialmente. Così, nonostante i suoi sforzi, senza purificazione può diventare molto
peggiore di quanto sarebbe diventato nella vita esteriore. Da qui il grande risalto dato alla catarsi. Era
mediante simili processi che il discepolo veniva condotto attraverso i tre stadi.
L’atto finale veniva raggiunto in questo modo dagli allievi dei più disparati misteri, per esempio in quelli
egizi.
Dopo che l’adepto aveva passato i tre gradi dell’iniziazione, l’ultimo atto consisteva nell’essere reso
come morto per tre giorni e mezzo.
Che cosa sopraggiungeva in quell’occasione? Qualcosa di diverso rispetto al normale sonno, dove il
corpo fisico e quello eterico restano nel letto, mentre il corpo astrale e l’Io fuoriescono. Nell’ultimo atto
dell’iniziazione solo il corpo fisico rimaneva al proprio posto – in uno stato simile a quello della morte.
Veniva estratta la connessione di corpo eterico, corpo astrale ed Io.
In tal modo, “uccidendo il proprio principio paterno”, cioè il corpo fisico, all’iniziato era possibile fare
delle esperienze che gli consentivano di diventare un “missionario” (un inviato) del mondo spirituale.
Dopo che lo ierofante aveva vegliato affinché il corpo eterico non si allontanasse troppo da quello fisico,
l’iniziando poteva ritornare, poteva di nuovo compenetrare il cervello ed esprimere a parole ciò che aveva
vissuto. Era così diventato un “testimone” dei mondi spirituali.
Diversa era l’iniziazione presso Zarathustra. Nei territori settentrionali, nella cintura che attraversava la
Persia, il Mar Caspio, la Russia, la Scandinavia, la Britannia e la Francia, l’ultimo atto dell’iniziazione
aveva un carattere diverso. Non veniva compiuto in questo modo, ma invece dopo che il discepolo dei
druidi aveva attraversato gli stadi degli eubati (immaginazione; lat. vates = indovino), dei bardi
(ispirazione) e dei druidi (intuizione), veniva introdotto nei mondi eterici. Tutta la preparazione era
strutturata in modo che il discepolo potesse recepire i processi sottili che agiscono nel macrocosmo. Le
forze animiche tacevano e l’anima poteva riversarsi nel mondo esterno e sperimentarlo nella sua
grandezza ed estensione.
Mentre nell’iniziazione egizia il discepolo usciva completamente dalla connessione con il mondo
esteriore e si immergeva nella profondità della propria anima – cioè scendeva fino a Persefoneia –, il
discepolo dei misteri druidici veniva innalzato ai mondi esterni e poteva riversare la propria essenza fino
alla decaduità, fino allo zodiaco. Era “morto” nel senso opposto, così che era in grado di leggere la
scrittura delle stelle, la parola cosmica, come una verità. Sapeva che le cose parlano in modo diverso a
seconda della posizione delle costellazioni. In questo consisteva la differenza rispetto all’iniziazione
egizia, questa via era adatta alla costituzione degli uomini che al nord erano diversi.
Che cosa doveva succedere a queste due vie dell’iniziazione per mezzo del Cristo? Dovevano venire
unificate, dovevano entrambe poter venir percorse dal medesimo individuo.
Dalle due iniziazioni ne doveva risultare una sola. Chi è in grado di leggere i Vangeli lo noterà
abbastanza bene.
Che cosa ci vuol dire l’autore del Vangelo di Giovanni? Che lui stesso è stato risvegliato da Cristo nel
senso dei fatti esposti ieri (cap.11). A Betania si è svolto l’ultimo atto di un dramma iniziatico. Cristo l’ha
iniziato portandolo fino all’esperienza che veniva vissuta nell’iniziazione egizia.
Gli ha fatto vivere anche qualcos’altro? Questo è importante: questa iniziazione non si era svolta
meramente come una egiziana. Lazzaro è stato condotto gradualmente all’ultimo atto e poi gli sono state
comunicate anche le principali esperienze di un’iniziazione nordica.
E l’autore del Vangelo di Giovanni ce lo racconta in maniera quanto mai tangibile! Quanto viene esposto
lì può essere narrato solo da colui che ha vissuto l’iniziazione, e in quel dato modo può raccontare solo
chi l’ha ricevuta dal Cristo stesso.
Giovanni il Battista era là coi suoi discepoli. Vide passare Gesù ed esclamò: «Ecco l’Agnello di Dio che
prende su di sé i peccati del mondo!» (1,29·36) Come dobbiamo intendere queste parole? La ricerca
spirituale procede in maniera realistica. All’epoca in cui questo è successo, l’evangelista “Giovanni”
poteva essere il testimone spirituale veggente di quegli eventi.
Aveva conseguito la capacità di farsi ispirare pienamente secondo i processi esteriori del cosmo. Doveva
dunque agire una costellazione stellare per liberare dall’anima la forza chiaroveggente. Questa gli fu così
favorevole che lui poté volgere a quel processo il suo occhio chiaroveggente. Viene detto: «Era circa l’ora
decima» (1,39). È un accenno alla costellazione stellare. I Vangeli diventano così comprensibili in ogni
loro minima espressione.
Così l’autore del Vangelo di Giovanni mostra che è stato guidato da un lato come si faceva nei misteri
nordici – e dall’altro anche come si faceva negli altri metodi. Sa bene come l’uno e l’altro uomo giungono
ai mondi spirituali.
Ma questa non è la conclusione, l’ultima conseguenza del Vangelo. Ci mostra solo la giustificazione (che
Lazzaro aveva di scriverlo).
Conoscevano i metodi mediante i quali un uomo viene condotto all’iniziazione. L’autore del Vangelo di
Giovanni è stato iniziato dal Cristo stesso, mentre gli altri tre erano stati iniziati in altre scuole misteriche.
Come interpretavano gli eventi di Palestina?
Diamo uno sguardo agli antichi templi misterici. L’uomo veniva elevato per entrare a far parte del mondo
spirituale. Se si fosse descritto il suo percorso, ne sarebbe risultata una serie di rituali, di cerimonie ... Si
insegnava però anche un’altra cosa:
«Quello che adesso si svolge qui nell’oscurità dei templi misterici un giorno diventerà un evento storico.
Ci sarà una vita che esteriormente si delinea come nel tempio la vita degli iniziati. Quando
Vishvakarman, quando Ahura Mazda, quando Osiride scenderà fino al piano fisico, sperimenterà non solo
nel tempio ma nella vita
esteriore quello che qui avviene mediante i riti. Quando questo accadrà, sarà disceso sulla Terra il Dio del
nostro pianeta.»
quindi la possibilità di raccontare con parole proprie sia gli antichi processi iniziatici sia la vita esteriore
del Cristo, dato che i due percorsi coincidevano.
Non c’era quindi alla base dei Vangeli nessuna fonte aramaica inventata, ma c’erano i precetti riguardanti
i processi iniziatici. Gli evangelisti hanno in primo luogo considerato il percorso iniziatico e secondo
questa fonte hanno raccontato ciò che sapevano. Oggi le biografie vengono certo scritte in un altro modo.
Mentre scrivevano la biografia del Cristo Gesù, gli evangelisti avevano questa convinzione: «Tutto il
resto è irrilevante. Essenziale è ciò che coincide con i processi dell’iniziazione». È stata allora descritta
una vita tipica: quella dell’iniziato cosmico che presenta al mondo l’immagine dell’iniziazione come fatto
storico – una morte che dura tre giorni e mezzo, dalla quale viene ridestata la forza dell’Io divino.
Il discepolo più intimo, quello che meglio di tutti conosceva le cause più profonde dell’evento di
Palestina, era Giovanni-Lazzaro, che aveva il manuale dell’iniziazione trasmessogli dal Cristo Gesù in
persona.
E con questo abbiamo creato il concetto che ci consente di intendere l’evento di Palestina come fatto
storico e come processo iniziatico ad un tempo. Il cammino iniziatico stesso è diventato un fatto storico.
In questo troviamo il motivo di alcune cose, che altrimenti nei Vangeli non potrebbero essere capite.
In caso di richiamo in vita di un morto o di un morto apparente, i sommi sacerdoti non si sarebbero riuniti
per deliberare su come uccidere sia Lazzaro risvegliato sia il Cristo che l’aveva ridestato (cfr. 12,10).
L’unzione a Betania (12,1-8): gli adepti degli antichi misteri erano di idee conservatrici, chi tradiva i
misteri doveva essere punito con la morte. Il Cristo Gesù aveva compiuto quanto segue: fino ad allora
solo pochi potevano venire a conoscenza degli strumenti mediante i quali si veniva condotti nel mondo
spirituale. D’ora in poi doveva diventare possibile a tutti vivere secondo il processo iniziatico. Il percorso
di iniziazione doveva essere reso percepibile agli occhi di tutti: dapprima in maniera esemplare mediante
la risurrezione di Lazzaro, poi con la morte sulla croce.
Per Lazzaro l’iniziazione si era svolta fuori del tempio. Era avvenuta in pubblico – estratta dal tempio. Da
un lato è stata la più grande opera di bene nei confronti dell’umanità e per gli altri un tradimento che
andava punito con la morte. Per questo attentarono alla vita di entrambi (12,10-11).
Si potrebbe obiettare: se il processo iniziatico comporta dei pericoli, era lecito renderlo pubblico? Nel
modo in cui è stato fatto, sì. Se lo si fosse descritto solo fino all’evento di Lazzaro sarebbe stato
pericoloso. Ma dopo il dodicesimo capitolo segue il racconto di quello che è dovuto accadere affinché le
cose rivelate non risultassero pericolose (cap.13-21).
Se capiamo l’intero Vangelo di Giovanni vi troviamo ciò che ha reso legittimo accennare al processo
iniziatico.
Decima conferenza
Il futuro dell’evoluzione
L’evento di Palestina ha trasposto il mistero del tempio iniziatico sul piano della storia universale.
Quello che noi abbiamo sotto forma di descrizione della passione, della morte e della risurrezione del
Cristo è un’espressione storica di ciò che prima si svolgeva nei recessi del tempio. Ora doveva aver luogo
l’unificazione dei misteri del nord con quelli del sud.
Come sappiamo, le due vie dell’iniziazione erano diverse: un discendere nella propria anima presso gli
Egizi, ove durante i tre giorni e mezzo si escludeva tutto ciò che viveva nella fisicità. Nella zona
settentrionale, compresa la Persia, le esperienze erano di altra natura. Là l’uomo doveva ridurre al silenzio
ciò che c’è nella sua anima. Doveva ridurre al silenzio quello che c’era dentro di lui (mentre l’altro
doveva far tacere quello che era al di fuori di lui). Egli doveva dissolversi nel cosmo – non più vivere
nella propria pelle ma espandere il proprio essere oltre gli elementi, vivere all’interno dell’acqua,
dell’aria, delle stelle, nel sistema planetario.
Si potrebbe caratterizzare questi misteri dell’area settentrionale dicendo che in un primo tempo l’iniziato
faceva un’esperienza ancora semi-interiore: faceva l’esperienza di immedesimarsi in ogni essere. Per
esempio, doveva imparare a sentirsi dentro la pianta, o a seguire il proprio respiro mentre respirava – a
seguire il respiro e a diventare una sola cosa con l’aria –, a diventare una sola cosa con la luce e così via.
Queste esperienze dell’iniziato settentrionale, del microcosmo nel macrocosmo, potevano anche essere
espresse simbolicamente. Gli si diceva: «Vivrai questo o quello» – ma prima, in modo analogo
all’iniziazione meridionale, gli si mostravano simbolicamente alcune cose che avrebbe dovuto provare.
Così che l’ultimo atto consisteva nel mostrare a livello simbolico come l’iniziato dovesse identificarsi con
ogni cosa.
Ne sentiamo ancora degli echi nella nostra iniziazione odierna, più interiore. Occorre sentire un ideale
superiore negli esseri inferiori, per esempio nella rosa. Bisognerebbe provare questa sensazione che nei
regni inferiori le passioni e i desideri non hanno ancora trovato posto.
Questo immedesimarsi in tutti gli esseri veniva chiamato la lavanda dei piedi (13,1-17): nei misteri
settentrionali veniva eseguita una lavanda simbolica dei piedi. Questo era il primo atto.
Poi l’iniziando doveva imparare a sentire come in verità in lui l’elemento fisico, corporeo, sia qualcosa di
spirituale. Lo si poteva vivere solo compiendo la flagellazione simbolica (19,1). Nella vita normale
l’uomo non ha coscienza della sua corporeità se non quando qualcosa comincia a fargli male – allora sì
che sente i suoi arti. Questo doveva essere eseguito simbolicamente in un primo momento: gli si
procuravano dei dolori.
Il terzo atto doveva insegnare come l’uomo possa non solo sentire lo spirito dentro di sé, ma anche
immergersi in tutto il sistema planetario. Egli può sentire come l’uomo riceva i propri elementi non solo
dalla Terra, ma anche dal Sole. Doveva imparare a sentire che dietro il Sole c’è uno spirito, che questo
Sole spirituale non ha niente a che vedere con l’esistenza materiale. Doveva imparare a vederlo anche
quando il Sole fisico è invisibile (contemplazione del Sole a mezzanotte).
Il Sole viene allora nascosto dalla materia della nostra Terra, ma per un occhio spirituale la materia
diventa trasparente. Sulle spalle dell’iniziando veniva messo un mantello rosso (19,2) come simbolo del
fatto che doveva seguire la via indicatagli dal rosso della sera: doveva andar dietro al sole che tramonta.
Poi doveva imparare che il Sole fisico viene visto con il cervello, ma che per vedere quello spirituale non
serve lo strumento del cervello. Tutta l’attività fisica del cervello doveva essere soppressa: a tal scopo gli
si conficcava una corona di spine sulla fronte (19,2).
2. la flagellazione,
1) esiste un’iniziazione che, mediante la lavanda dei piedi, la flagellazione e l’incoronazione di spine,
porta al punto in cui è possibile riconoscere lo Spirito del Sole;
2) esiste un’iniziazione che mediante la soppressione del corpo fisico conduce nelle profondità
dell’anima, dove si fa l’esperienza di ciò che è eterno nell’uomo, lo spirito.
E si doveva mostrare che lo spirito che si trova quando ci si immerge nell’anima e lo spirito che si trova
quando si ascende verso il Sole, sono una cosa sola. Per questo entrambi, uniti, devono diventare un unico
evento storico. Questo doveva mostrare il Giovanni “Lazzaro”.
Gli altri evangelisti dovevano mostrare come ciò che è fisico nel mondo esterno è in realtà spirituale,
dovevano mostrare che quando l’uomo diventa davvero chiaroveggente trova il Sole spirituale là fuori
nello spazio.
Come lo mostrano i tre Vangeli? E come fanno a mostrare che lo Spirito del Sole è sceso e si è incarnato
in Gesù di Nazareth? Attraverso quella che descrivono come la trasfigurazione, la glorificazione (Mt
17,1-13; Mc 9,1-13; Lc 9,28-36).
Il Cristo Gesù esce con i suoi tre apostoli e fa in modo che essi percepiscano nello spirito, che siano
rapiti: vedono il Cristo come Sole, e Mosè ed Elia come suoi annunciatori che gli appartengono
spiritualmente. È l’annunciazione secondo la quale Vishvakarman, Ahura Mazda, Osiride[14] è lo Spirito
del Sole che si è esteso talmente da abbracciare la Terra, da vivere con la Terra dopo aver preso come
punto di partenza il corpo di Gesù di Nazareth. Quello era il punto a partire dal quale ha preso possesso
della Terra. Da allora Vishvakarman, Ahura Mazda, Osiride non si trova più solo all’esterno come Spirito
del Sole, ma anche come Spirito della Terra.
Se prima si fosse esaminata dal punto di vista astrale l’aura della Terra, nell’atmosfera animico-spirituale
della Terra non si sarebbe trovato lo Spirito del Sole. Da allora vi si vede qualcosa di nuovo: lo Spirito del
Sole, che ha incluso la Terra nella propria sfera d’azione ed è diventato lo Spirito della Terra. Dopo che
un tempo il Sole si era allontanato dalla Terra, in seguito le si era riavvicinato sempre più, e nel momento
del battesimo nel Giordano è entrato nel corpo di Gesù di Nazareth.
Andava anche mostrato che chi comprende pienamente questo fatto e cerca di giungere al Cristo può fare
le stesse esperienze. Ecco allora che un elemento duplice – l’iniziazione settentrionale e quella
meridionale – doveva diventare un fatto storico.
Tutti e quattro i Vangeli raccontano la fusione fra iniziazione settentrionale e meridionale. Raccontano
prima la lavanda dei piedi, la flagellazione, la vestizione con il mantello e l’incoronazione con le spine –
poi la crocifissione, cioè il “morire” per tre giorni e mezzo, e infine il risveglio dopo tre giorni e mezzo.
Questa è la fusione dei due percorsi iniziatici.
Dopo essere stato iniziato dal Cristo Gesù in persona, l’autore del Vangelo di Giovanni ha capito il
mistero nella sua totalità e universalità. Un altro aveva compiuto o un’iniziazione settentrionale oppure
una meridionale. Il Cristo Gesù invece l’ha iniziato in modo che capisse nel migliore dei modi come le
due iniziazioni si fondono fra loro.
Nello stesso tempo ci mostra come ora possiamo vivere intimamente in sette stadi e mezzo quello che ci è
stato mostrato come evento storico esemplare:
1° sentimento: «Ora per molti mesi devi fare l’esperienza dell’umiltà universale: ciò che la pianta dice al
minerale, e così via – fino al Cristo Gesù che lo dice ai dodici: (‹Ti ringrazio, perché senza di te non
potrei esistere.›)»
Quando il discepolo dell’iniziazione cristiana lascia agire in sé questo sentimento di umiltà, questo
esercita un forte effetto sulla sua anima. Quando si fa compenetrare del tutto da questa sensazione, essa si
trasforma in visione astrale, nell’immagine della lavanda dei piedi. Allora ci si è messi al posto del Cristo
Gesù. Per mezzo del sentimento l’elemento simbolico di un tempo si trasforma nel fatto storico e in
quello intimamente mistico di oggi. Questa esperienza di sentimento è un seme che rende l’uomo capace
di guardare indietro di 1.900 anni.
2° sentimento: «Oh, ci sono varie cose da sopportare: il mondo è pieno di sofferenze. Qualunque cosa
accada, tu vuoi rafforzare la tua volontà al punto da riuscire a mantenerti diritto.» Per anni va vissuto
questo sentimento. Poi cominciamo a sentire la nostra corporeità come se fosse colpita da flagelli. Questo
è come un seme che si trasforma nell’immagine chiaroveggente della flagellazione.
3° sentimento: «Tu diventerai una cosa sola con ciò che hai riconosciuto in saggezza, una sola cosa con la
spiritualità. Anche se sarai colpito dallo scherno e dal dileggio, ti manterrai diritto, non vacillerai.»
Questa sensazione si trasforma nel sentirsi disattivare il cervello fisico. Si prova una specie di
perforazione del cervello fisico. Questo si trasforma nell’immagine akashica dell’incoronazione di spine e
nella conoscenza del fatto che Cristo è davvero lo Spirito del Sole disceso sulla Terra.
Ora è necessario vivere dentro di sé, nel microcosmo, ciò che si è riconosciuto nella visione spirituale del
macrocosmo. Quanto viene sperimentato nel metodo settentrionale va adesso vissuto in modo che il
Cristo faccia il suo ingresso nell’interiorità, che il Cristo cosmico diventi il Cristo mistico.
4° sentimento: il quarto grado che segue al terzo si consegue grazie al sentimento che il nostro corpo
diventa uguale a qualunque cosa esterna, come qualcosa che non ci appartiene. Dobbiamo quindi sentirci
come qualcuno che “porta” il proprio corpo (come il Cristo che “porta” la croce). Il corpo deve diventare
qualcosa di oggettivo, come se avessimo con esso solo un legame esteriore. Noi siamo forti grazie a ciò
che sappiamo maneggiare esteriormente, come un martello.
L’anima può avere un rapporto obiettivo nei confronti dei propri dolori e sofferenze, come nei confronti
del colpo di martello. Nel momento della meditazione, quando il discepolo è pienamente maturo per
questa esperienza, sulle mani, sui piedi e sulla parte destra del petto compaiono delle macchie rosso
sangue: è la “prova del sangue”. Allora di quell’uomo diciamo che è inchiodato, “crocifisso” al suo
corpo. La crocifissione si amplia in modo da far riconoscere come si è svolto l’atto successivo sul
Golgota.
5° sentimento: poi viene qualcosa che è difficile descrivere con parole umane: un momento in cui l’uomo
smette di percepire con i sensi fisici. Per lui il mondo ha davvero cessato di esistere. La luce fisica
scompare, le tenebre si diffondono – subentra la morte mistica, che gli fa conoscere tutti i dolori e le
sofferenze possibili in questo mondo. È la discesa agli inferi. Lì l’uomo fa la conoscenza del lato oscuro
della vita. Poi la notte mistica si squarcia in due, come una cortina, e l’uomo vede dentro ad ogni cosa.
6° sentimento: d’ora in poi non si sente più solo unito allo spirito della Terra, ma anche a quello
planetario. È unito a tutta la Terra: ciò si esprime nella sepoltura. Adesso segue ciò che è accaduto quando
la materia fisica del corpo del Cristo si è “smaterializzata” – mentre la parte spirituale dell’essere cristico
continua a vivere come Spirito della Terra e si trova tuttora nell’atmosfera astrale della Terra. Da quel
momento Egli è diventato visibile per i chiaroveggenti, per esempio per Paolo che scrive: «È apparso a
Cefa e poi ai Dodici. Apparve pure a più di cinquecento fratelli in una sola volta, dei quali i più vivono
tuttora, mentre alcuni sono morti.» (1ª Cor. 15,5). Da allora ha potuto apparire alla visione spirituale.
La risurrezione significa qualcosa di spirituale. Come mai Tommaso (20,24-29) non è stato subito in
grado di percepire il Cristo? Poiché non era ancora riuscito a sviluppare dentro di sé la forza chiamata
“fede”: quella forza di volontà che rende chiarosenzienti. Nel momento in cui Tommaso si è lasciato
pervadere dalla fede, da quella forza di volontà, ha potuto sviluppare la chiaropercezione – che fa
percepire lo spirituale come un corpo (20,27). Con la sua forza puramente spirituale il Cristo poteva
perfino spezzare il pane (cfr. 20,30).
L’essenziale è che nel momento dell’iniziazione ci rendiamo conto che prima il Cristo non era legato
all’atmosfera spirituale della Terra, e che da allora lo si trova in essa.
7. qualcosa che non si può descrivere, poiché il cervello fisico non lo può immaginare: l’Ascensione al
cielo, l’unione con lo Spirito del Padre.
Così ci vengono mostrate le fasi dell’iniziazione nordica e di quella meridionale, che grazie alla
crocifissione del Cristo sono diventate una sola. Ed ora ad esse si è aggiunta quella rosicruciana.
Vediamo quindi come i segreti del mistero sono stati portati alla luce e anche come il Cristo è diventato il
fondatore di una nuova iniziazione.
Il Cristo non deve restare un’esperienza puramente interiore. Non lo sarebbe potuto diventare se nel
contempo non fosse stato un evento storico.
La luce è un processo interiore dell’occhio, ma l’occhio non si sarebbe mai formato se non ci fosse stato il
Sole con la sua luce.
Così è stato l’evento fisico, storico, del Golgota a rendere possibile l’esperienza di un Cristo interiore,
mistico. Il Cristo storico fa sorgere nell’anima il Cristo interiorizzato.
2. il Cristo visto da Paolo – con l’occhio chiaroveggente quando è aperto: il Cristo paolino, quello che
maggiormente ha contribuito alla diffusione del cristianesimo. Paolo ha annunciato il Cristo spirituale,
che da quel giorno è sempre con noi;
3. il Cristo che può vivere misticamente nel cuore di ognuno di noi, che ci può conquistare fin nel
profondo: il Cristo interiore.
Appendice
La leggenda di Giuda
Come si racconta nella Legenda aurea, la leggenda di Giuda è composta da due parti: si narra di una storia
molto più antica, definita “apocrifa”. A questa Jacopo da Varagine, l’autore della Legenda nel
tredicesimo secolo, ricollega alcune osservazioni su Giuda.
Queste due parti sono molto diverse nella loro essenza. La storia più antica racconta alla maniera dei
vecchi miti – contiene infatti anche il mito di Edipo e quello di Caino. Il mito non tratta mai di un uomo
in particolare, ma sempre dell’uomo in quanto tale, di quello che è presente in ogni essere umano. Nel
corso della sua umanizzazione, ogni uomo vive a proprio modo il destino di Caino, di Edipo e di Giuda.
Ciò che nel tredicesimo secolo viene aggiunto dall’autore della Legenda si riferisce invece a quell’unico
Giuda cattivo da cui bisogna prendere le distanze. Non si vuole aver nulla a che fare con lui, mentre il
senso dell’originaria storia di Giuda era esattamente l’opposto: non solo ogni essere umano ha a che fare
con lui, ma ogni uomo è Giuda e Giuda è ogni uomo. Chi non è ancora in grado di identificarsi con Giuda
non è ancora arrivato a conoscere se stesso. Naturalmente è anche esistito un certo Giuda 2.000 anni fa,
un uomo del tutto concreto e singolo. Ma questa è un’altra faccenda, che riguarda solo lui e nessun altro.
L’universalismo cristiano parla di Giuda in quanto presente in ugual misura in ogni uomo – e questo vale
per tutti e dodici gli apostoli. Nell’individualismo etico della scienza dello spirito si considera inoltre il
modo individuale di ognuno di essere Giuda, modo che è unico in ogni uomo.[16]
Mattia ha preso il posto di Giuda fra gli apostoli. Ma prima di tutto guardiamo quali sono state la nascita e
l’origine di questo Giuda. In una storia apocrifa si può leggere quanto segue:
«Viveva a Gerusalemme un uomo di nome Ruben (chiamato anche Simone, della stirpe di Dan o,
secondo Geronimo, della stirpe di Issachar). Costui aveva una moglie di nome Ciborea. Una notte, dopo
aver assolto ai doveri coniugali, Ciborea si addormentò e fece un sogno che raccontò terrorizzata al
marito, con lamenti e singhiozzi: «In sogno mi vidi partorire un figlio scellerato che sarà causa di rovina
per tutto il nostro popolo.» Ruben le disse: «Tu parli di una cosa empia, indegna di essere pronunciata.
Credo che tu sia stata rapita da uno spirito della Pizia.» La moglie gli rispose: «Ma se mi accorgerò di
aver concepito e metterò al mondo un figlio, allora senza dubbio non sarà stato uno spirito magico, ma
una rivelazione certa.» Quando, col passar del tempo, ebbe partorito un figlio, i genitori furono colti da
grande paura e rifletterono su cosa fare del bambino. Dato che avevano orrore di ucciderlo ma nemmeno
volevano allevare il distruttore del loro popolo, lo misero in un cesto e lo affidarono al mare. Le onde lo
spinsero fino a un’isola chiamata Skarioth. Da quell’isola egli prese il nome di Giuda Iscariota. La regina
di quel luogo, che non aveva figli, passeggiava in riva al mare e quando vide la cesta trasportata dalle
onde diede ordine di aprirla. Trovandovi dentro un bimbo dal bell’aspetto, sospirò e disse: «Ah, potessi
avere la consolazione di un simile rampollo, così da non essere privata di un successore per il mio
regno!» Fece quindi nutrire il bambino in segreto e finse di essere incinta. Infine fece finta di aver dato
alla luce un figlio maschio e questa lieta notizia si diffuse per tutto il regno. Il principe si entusiasmò
immensamente per la nascita dell’erede e il popolo esultò con grande gioia. Il bambino fu allevato in
conformità allo splendore reale. Non molto tempo dopo la regina e il re concepirono un figlio che venne
al mondo a tempo debito. Una volta cresciuti, i due bambini giocavano spesso insieme. Giuda tormentava
il figlio del re con cattive parole e atti di violenza, facendolo spesso piangere. La regina ne soffriva molto
e sapendo che Giuda non era suo figlio, lo picchiava sovente. Ma anche così egli non smetteva di
molestare il fanciullo. Alla fine emerse che Giuda non era veramente figlio della regina, bensì un
trovatello. Quando Giuda ne venne a conoscenza provò una grande vergogna e uccise di nascosto il
fratello putativo, il figlio del re. A quel punto ebbe paura di essere condannato a morte, fuggì a
Gerusalemme con quelli che dovevano consegnare il tributo ed entrò a servizio alla corte di Pilato che a
quei tempi era governatore. E poiché Dio li fa e poi li accoppia, Pilato vide che Giuda si confaceva al suo
stile di vita e cominciò a tenerlo in grande considerazione. Così Giuda assunse la direzione dell’intera
corte e tutto si piegava ai suoi voleri. Un giorno Pilato, guardando dal suo palazzo in un frutteto, fu colto
da un desiderio così grande di quelle mele che sembrava quasi morirne. Ma quel giardino apparteneva a
Ruben, il padre di Giuda. Tuttavia Giuda non conosceva il proprio padre né Ruben il proprio figlio, dato
che credeva che questi fosse morto nei flutti del mare, e Giuda non aveva la minima idea di chi fosse suo
padre e di quale fosse la sua patria. Pilato dunque fece chiamare Giuda e gli disse: «Sono stato colto da
una voglia tale di quei frutti che credo che morirò se non riuscirò ad averne.» Giuda allora fu d’un salto
nel frutteto e in men che non si dica colse le mele. Nel frattempo arrivò Ruben e scoprì Giuda che
coglieva le sue mele. I due cominciarono a litigare violentemente, insultandosi a vicenda. Dalla lite
passarono alle botte, facendosi reciprocamente del male. Infine Giuda batté Ruben con una pietra nel
punto in cui la nuca si collega al collo, uccidendolo all’istante. Portò via le mele e raccontò l’accaduto a
Pilato. Sul finir del giorno, mentre sopraggiungeva la notte, Ruben fu trovato morto e si credette che fosse
stato sorpreso da morte improvvisa. Dopo di che Pilato consegnò a Giuda tutte le proprietà di Ruben e gli
diede in moglie la sposa di lui, Ciborea. Un giorno che costei sospirava intensamente e suo marito Giuda
le chiedeva con insistenza che cosa avesse, gli rispose: «Ahimè, io sono la più infelice delle donne,
poiché ho abbandonato il mio bambino fra le onde del mare e ho trovato morto mio marito. E Pilato ha
aggiunto dolore a dolore, poiché mi ha costretta a sposarti mentre ero in lutto e mi ha unita a te in
matrimonio contro la mia volontà.» Dopo che ebbe narrato tutto di quel bambino abbandonato e dopo che
Giuda le ebbe riferito tutto ciò che gli era capitato, si resero conto che Giuda aveva sposato la propria
madre e aveva ucciso il proprio padre. Mosso da pentimento e su consiglio di Ciborea, Giuda si recò dal
nostro Signore Gesù Cristo e lo implorò di perdonarlo per i suoi errori».
Questo è quanto si può leggere nella leggenda aprocrifa a cui abbiamo accennato prima. Spetta al giudizio
del lettore decidere se deve essere letta in assemblea, nonostante sia più da respingere che da accettare.
Il Signore però fece di Giuda un suo discepolo e lo scelse come apostolo. Giuda gli divenne così familiare
e caro che lo nominò suo amministratore, proprio lui che in seguito l’avrebbe tradito. Era lui che gestiva
la cassa comune, eppure rubava parte di quanto veniva dato a Cristo. – Al tempo della passione del
Signore si rattristò nel vedere che l’unguento del valore di trecento denari non era stato venduto, poiché
voleva arricchirsi anche mediante quello. E così andò e vendette il Signore per trenta denari, di cui
ciascuno valeva dieci denari comuni, facendo così in modo di risarcire la perdita che aveva subito. Alcuni
dicono anche che lui aveva rubato solo la decima parte di tutto ciò che era stato dato a Cristo, per questo
aveva venduto il Signore per la decima parte che aveva perduto con l’unguento, cioè trenta denari. Preso
dal rimorso, riportò indietro il denaro, dopo di che se ne andò e si impiccò con una corda. Il suo corpo si
spaccò nel mezzo e ne uscirono le interiora. La sua bocca però non doveva espellere nulla, poiché non era
conveniente che una bocca che aveva baciato quella gloriosa del Cristo venisse deturpata in modo così
vile. Era invece giusto che le sue viscere che avevano ideato il tradimento cadessero a terra scoppiate e
che la gola da cui era uscita la voce del traditore venisse stangolata da una corda. Egli morì quindi appeso
per aria, affinché colui che aveva offeso gli angeli nel cielo e gli uomini sulla Terra si accompagnasse ai
demoni nell’aria, separato dalla sfera degli angeli e degli uomini.[17]
[2] Questo termine sanscrito viene tradotto con “spazio aperto”, “spazio aereo pieno di luce”. È il quinto
elemento, il più sottile, il portatore della vita e dei pensieri – una “cronaca” sovrasensibile in cui viene
registrato indissolubilmente anche tutto ciò che avviene nel mondo terreno. Rudolf Steiner lo chiama
“mondo eterico”: in greco aiqhr (etere) già in Omero è lo spazio dello splendore celeste fiammeggiante
(in latino aestus, in italiano estate, la calura estiva). È la duplice creazione dello Spirito del Sole: luce e
calore come manifestazione di saggezza e amore. Nel Nuovo Testamento questo mondo eterico viene
chiamato “libro della vita” (cfr. Apocalisse 3,5; 20,15) – un nome che corrisponde meravigliosamente sia
al “mondo eterico” che alla “cronaca dell’Akasha”.
[4] La dottrina del trikaya (tre corpi) distingue tre tipi fondamentali di manifestazione e azione del
Buddha:
1) Dharmakaya (corpo dell’insegnamento): prima di diventare un Buddha, un Bodhisattva agisce più che
altro per ispirazione dall’alto, senza incarnarsi del tutto nell’uomo.
2) Sambhogakaya (corpo della perfezione): nella vita in cui il Bodhisattva diventa un Buddha, la sua
incarnazione è completa, d’ora in poi egli si manifesta – nel pensiero come nell’azione – completamente a
partire dall’uomo.
3) Nirmanakaya (corpo della trasformazione): è la forma (kaya) dell’operare del Buddha dopo la
perfezione, in cui non si manifesta più con univalenza mediante un corpo fisico, ma, prestandosi a molte
interpretazioni, attraverso la polivalenza dell’immaginazione. Per i pastori di Betlemme questa ricchezza
ha assunto la forma molteplice della visione di una schiera di angeli (Lc 2,13).
Sulla dottrina del trikaya vedi: Enciclopedia delle religioni, diretta da M. Eliade; Götter und Mythen des
indischen Subkontinents (Divinità e miti del subcontinente indiano), a cura di H.W. Haussig (1984), pag.
476; Rudolf Steiner, Il Vangelo di Luca, 3ª conferenza.
[5] Rudolf Steiner suddivide l’evoluzione globale della Terra in sette epoche principali: 1. la polare; 2.
l’iperborea; 3. la lemurica; 4. l’atlantidea; 5. la postatlantidea (la nostra); e altre due.
[6]I tre Magi o saggi d’Oriente rappresentano i tre tipi di iniziati di cui si è parlato nella 1ª conferenza: il
primo “specializzato” come saggio (aquila), il secondo come guaritore (toro sacrificale), il terzo come
mago (leone). A Betlemme portano i loro doni al bambino di Matteo, al loro maestro nel quale trovano la
loro unità (il Vangelo di Matteo ha come simbolo l’uomo).
[7] A quei tempi questi periodi erano più brevi, ciascuno della durata di circa sei anni, il che spiega la
pubertà raggiunta intorno ai dodici.
[8] Steiner intende dire: Il buddismo è una religione di redenzione dell’uomo dal mondo della materia, il
cristianesimo è una religione di redenzione del mondo della materia, cioè di risurrezione comune
dell’uomo e dei regni della natura.
[9] Nella Legenda Aurea medievale di Jacopo da Varagine è sotto la rubrica di Mattia, che ha preso il
posto di Giuda fra i dodici. (v. Appendice)
[10]In greco euangelion (euangelion) significa letteralmente: una buona (eu) novella, portata agli uomini
dagli angeli (angeloi), in qualità di messaggeri della divinità. La “buona novella” degli angeli è l’essersi
fatto uomo del Figlio di Dio, che in tal modo ha reso possibile a ogni uomo il diventare sempre più
divino.
[11] Per le “classi dominanti della Palestina” la pericolosa novità consisteva nel fatto che Cristo ridestava
in ogni uomo l’autonomia dell’Io – il che comporta la fine di ogni fede nell’autorità e di ogni esercizio di
potere.
[12] Il miracolo dei pani avviene di giorno, la visione del Cristo sulle acque di notte. Durante la notte ha
luogo sul lago un incontro spirituale – non fisico – con il Cristo. L’incapacità della teologia moderna di
considerare lo spirito una realtà si manifesta nelle modifiche che hanno continuato ad essere apportate
proprio in riferimento al 6° capitolo. Si ritiene che il testo sia contraddittorio per quanto riguarda gli
spostamenti del Cristo – Egli si troverebbe infatti su una sponda o sull’altra del lago senza esserci arrivato
a piedi o in barca. Ma non si tiene conto del fatto che il testo parla espressamente di una “visione
spirituale” degli apostoli e lo si intitola: “Cristo cammina sulle acque”. Per un punto di vista
materialistico, questo camminare non può essere che fisico. L’esegesi dà troppo poco peso al fatto che un
camminare fisico sarebbe magia nera, una lesione della libertà degli altri, che sarebbero costretti a credere
al “superuomo”, a sottomettersi a lui. Al teologo illuminato non resta che dirsi: è tutto inteso solo
simbolicamente, sono solo immagini. In senso oggettivamente storico non è successo niente.
[13] Questa triade superiore, divino-spirituale dell’uomo viene espressa da Steiner con i seguenti termini
da lui coniati: Sé spirituale (manas), spirito vitale (buddhi) e uomo spirituale (atman). In paleoindiano
avatar(a) significa all’incirca: incarnazione, manifestazione (di un essere divino).
[14] Lo spirito unitario del sistema solare – chiamato Logos dal Vangelo di Giovanni – ha nomi diversi
nei tre periodi culturali precedenti:
1) in quello paleondiano è noto come Vishvakarman (“creatore di tutto” in sanscrito) –, nei Veda è il
Verbo creatore, il fondatore dell’universo;
[15] Questi tre tipi di azione del Cristo corrispondono ai tre tipi di “universali” dei pensatori cristiani del
medioevo:
3) Universalia post res (il Logos nel pensiero umano): il Cristo mistico.
3) Il Buddha non si incarna più e agisce dal mondo spirituale (Nirmana-Kaya): come il Cristo, che dopo
la risurrezione vive a livello puramente spirituale e nell’interiorità dell’uomo.
[16] La parte successiva della leggenda viene qui riportata in corsivo nella versione di Jacques Laager; la
parte più antica, in campo scuro, è una traduzione dal latino eseguita direttamente dal redattore Pietro
Archiati.
[17] Qui tocchiamo con mano il materialismo che inizia già nel XIII secolo. Non viene più visto il Giuda
che vive spiritualmente in ogni uomo, ma solo in modo “materialistico” il Giuda percepibile mediante i
sensi, quell’esemplare unico con cui si crede di non aver niente a che fare.
Appendice
La leggenda di Giuda
Come si racconta nella Legenda aurea, la leggenda di Giuda è composta da due parti: si narra di una storia
molto più antica, definita “apocrifa”. A questa Jacopo da Varagine, l’autore della Legenda nel
tredicesimo secolo, ricollega alcune osservazioni su Giuda.
Queste due parti sono molto diverse nella loro essenza. La storia più antica racconta alla maniera dei
vecchi miti – contiene infatti anche il mito di Edipo e quello di Caino. Il mito non tratta mai di un uomo
in particolare, ma sempre dell’uomo in quanto tale, di quello che è presente in ogni essere umano. Nel
corso della sua umanizzazione, ogni uomo vive a proprio modo il destino di Caino, di Edipo e di Giuda.
Ciò che nel tredicesimo secolo viene aggiunto dall’autore della Legenda si riferisce invece a quell’unico
Giuda cattivo da cui bisogna prendere le distanze. Non si vuole aver nulla a che fare con lui, mentre il
senso dell’originaria storia di Giuda era esattamente l’opposto: non solo ogni essere umano ha a che fare
con lui, ma ogni uomo è Giuda e Giuda è ogni uomo. Chi non è ancora in grado di identificarsi con Giuda
non è ancora arrivato a conoscere se stesso. Naturalmente è anche esistito un certo Giuda 2.000 anni fa,
un uomo del tutto concreto e singolo. Ma questa è un’altra faccenda, che riguarda solo lui e nessun altro.
L’universalismo cristiano parla di Giuda in quanto presente in ugual misura in ogni uomo – e questo vale
per tutti e dodici gli apostoli. Nell’individualismo etico della scienza dello spirito si considera inoltre il
modo individuale di ognuno di essere Giuda, modo che è unico in ogni uomo.[1]
Mattia ha preso il posto di Giuda fra gli apostoli. Ma prima di tutto guardiamo quali sono state la nascita e
l’origine di questo Giuda. In una storia apocrifa si può leggere quanto segue:
«Viveva a Gerusalemme un uomo di nome Ruben (chiamato anche Simone, della stirpe di Dan o,
secondo Geronimo, della stirpe di Issachar). Costui aveva una moglie di nome Ciborea. Una notte, dopo
aver assolto ai doveri coniugali, Ciborea si addormentò e fece un sogno che raccontò terrorizzata al
marito, con lamenti e singhiozzi: «In sogno mi vidi partorire un figlio scellerato che sarà causa di rovina
per tutto il nostro popolo.» Ruben le disse: «Tu parli di una cosa empia, indegna di essere pronunciata.
Credo che tu sia stata rapita da uno spirito della Pizia.» La moglie gli rispose: «Ma se mi accorgerò di
aver concepito e metterò al mondo un figlio, allora senza dubbio non sarà stato uno spirito magico, ma
una rivelazione certa.» Quando, col passar del tempo, ebbe partorito un figlio, i genitori furono colti da
grande paura e rifletterono su cosa fare del bambino. Dato che avevano orrore di ucciderlo ma nemmeno
volevano allevare il distruttore del loro popolo, lo misero in un cesto e lo affidarono al mare. Le onde lo
spinsero fino a un’isola chiamata Skarioth. Da quell’isola egli prese il nome di Giuda Iscariota. La regina
di quel luogo, che non aveva figli, passeggiava in riva al mare e quando vide la cesta trasportata dalle
onde diede ordine di aprirla. Trovandovi dentro un bimbo dal bell’aspetto, sospirò e disse: «Ah, potessi
avere la consolazione di un simile rampollo, così da non essere privata di un successore per il mio
regno!» Fece quindi nutrire il bambino in segreto e finse di essere incinta. Infine fece finta di aver dato
alla luce un figlio maschio e questa lieta notizia si diffuse per tutto il regno. Il principe si entusiasmò
immensamente per la nascita dell’erede e il popolo esultò con grande gioia. Il bambino fu allevato in
conformità allo splendore reale. Non molto tempo dopo la regina e il re concepirono un figlio che venne
al mondo a tempo debito. Una volta cresciuti, i due bambini giocavano spesso insieme. Giuda tormentava
il figlio del re con cattive parole e atti di violenza, facendolo spesso piangere. La regina ne soffriva molto
e sapendo che Giuda non era suo figlio, lo picchiava sovente. Ma anche così egli non smetteva di
molestare il fanciullo. Alla fine emerse che Giuda non era veramente figlio della regina, bensì un
trovatello. Quando Giuda ne venne a conoscenza provò una grande vergogna e uccise di nascosto il
fratello putativo, il figlio del re. A quel punto ebbe paura di essere condannato a morte, fuggì a
Gerusalemme con quelli che dovevano consegnare il tributo ed entrò a servizio alla corte di Pilato che a
quei tempi era governatore. E poiché Dio li fa e poi li accoppia, Pilato vide che Giuda si confaceva al suo
stile di vita e cominciò a tenerlo in grande considerazione. Così Giuda assunse la direzione dell’intera
corte e tutto si piegava ai suoi voleri. Un giorno Pilato, guardando dal suo palazzo in un frutteto, fu colto
da un desiderio così grande di quelle mele che sembrava quasi morirne. Ma quel giardino apparteneva a
Ruben, il padre di Giuda. Tuttavia Giuda non conosceva il proprio padre né Ruben il proprio figlio, dato
che credeva che questi fosse morto nei flutti del mare, e Giuda non aveva la minima idea di chi fosse suo
padre e di quale fosse la sua patria. Pilato dunque fece chiamare Giuda e gli disse: «Sono stato colto da
una voglia tale di quei frutti che credo che morirò se non riuscirò ad averne.» Giuda allora fu d’un salto
nel frutteto e in men che non si dica colse le mele. Nel frattempo arrivò Ruben e scoprì Giuda che
coglieva le sue mele. I due cominciarono a litigare violentemente, insultandosi a vicenda. Dalla lite
passarono alle botte, facendosi reciprocamente del male. Infine Giuda batté Ruben con una pietra nel
punto in cui la nuca si collega al collo, uccidendolo all’istante. Portò via le mele e raccontò l’accaduto a
Pilato. Sul finir del giorno, mentre sopraggiungeva la notte, Ruben fu trovato morto e si credette che fosse
stato sorpreso da morte improvvisa. Dopo di che Pilato consegnò a Giuda tutte le proprietà di Ruben e gli
diede in moglie la sposa di lui, Ciborea. Un giorno che costei sospirava intensamente e suo marito Giuda
le chiedeva con insistenza che cosa avesse, gli rispose: «Ahimè, io sono la più infelice delle donne,
poiché ho abbandonato il mio bambino fra le onde del mare e ho trovato morto mio marito. E Pilato ha
aggiunto dolore a dolore, poiché mi ha costretta a sposarti mentre ero in lutto e mi ha unita a te in
matrimonio contro la mia volontà.» Dopo che ebbe narrato tutto di quel bambino abbandonato e dopo che
Giuda le ebbe riferito tutto ciò che gli era capitato, si resero conto che Giuda aveva sposato la propria
madre e aveva ucciso il proprio padre. Mosso da pentimento e su consiglio di Ciborea, Giuda si recò dal
nostro Signore Gesù Cristo e lo implorò di perdonarlo per i suoi errori».
Questo è quanto si può leggere nella leggenda aprocrifa a cui abbiamo accennato prima. Spetta al giudizio
del lettore decidere se deve essere letta in assemblea, nonostante sia più da respingere che da accettare.
Il Signore però fece di Giuda un suo discepolo e lo scelse come apostolo. Giuda gli divenne così familiare
e caro che lo nominò suo amministratore, proprio lui che in seguito l’avrebbe tradito. Era lui che gestiva
la cassa comune, eppure rubava parte di quanto veniva dato a Cristo. – Al tempo della passione del
Signore si rattristò nel vedere che l’unguento del valore di trecento denari non era stato venduto, poiché
voleva arricchirsi anche mediante quello. E così andò e vendette il Signore per trenta denari, di cui
ciascuno valeva dieci denari comuni, facendo così in modo di risarcire la perdita che aveva subito. Alcuni
dicono anche che lui aveva rubato solo la decima parte di tutto ciò che era stato dato a Cristo, per questo
aveva venduto il Signore per la decima parte che aveva perduto con l’unguento, cioè trenta denari. Preso
dal rimorso, riportò indietro il denaro, dopo di che se ne andò e si impiccò con una corda. Il suo corpo si
spaccò nel mezzo e ne uscirono le interiora. La sua bocca però non doveva espellere nulla, poiché non era
conveniente che una bocca che aveva baciato quella gloriosa del Cristo venisse deturpata in modo così
vile. Era invece giusto che le sue viscere che avevano ideato il tradimento cadessero a terra scoppiate e
che la gola da cui era uscita la voce del traditore venisse stangolata da una corda. Egli morì quindi appeso
per aria, affinché colui che aveva offeso gli angeli nel cielo e gli uomini sulla Terra si accompagnasse ai
demoni nell’aria, separato dalla sfera degli angeli e degli uomini.[2]
[1] La parte successiva della leggenda viene qui riportata in corsivo nella versione di Jacques Laager; la
parte più antica, in campo scuro, è una traduzione dal latino eseguita direttamente dal redattore Pietro
Archiati.
[2] Qui tocchiamo con mano il materialismo che inizia già nel XIII secolo. Non viene più visto il Giuda
che vive spiritualmente in ogni uomo, ma solo in modo “materialistico” il Giuda percepibile mediante i
sensi, quell’esemplare unico con cui si crede di non aver niente a che fare.
Rudolf Steiner (1861-1925) ha integrato le moderne scienze naturali con una indagine scientifica del
mondo spirituale. La sua antroposofia rappresenta, nella cultura odierna, una sfida unica al superamento
del materialismo.
La scienza dello spirito di Steiner non è solo teoria. La sua fecondità si palesa nella capacità di rinnovare i
vari ambiti della vita: l’educazione, la medicina, l’arte, la religione, l’agricoltura, fino a prospettare l’idea
di una triarticolazione dell’intero organismo sociale che riserva all’ambito della cultura, a quello della
politica e a quello dell’economia una reciproca indipendenza.
Fino a oggi Rudolf Steiner è stato ignorato dalla cultura dominante. Questo forse perché molti uomini
indietreggiano impauriti di fronte alla scelta che ogni uomo deve fare tra potere e solidarietà, fra denaro e
spirito. In questa scelta si manifesta quell’interiore esperienza della libertà che è stata resa possibile a tutti
gli uomini a partire da duemila anni fa, e che porta a un crescente discernimento degli spiriti nell’umanità.
La scienza dello spirito di Rudolf Steiner non può essere né un movimento di massa né un fenomeno
elitario: da un lato, infatti, solo il singolo individuo, nella sua libertà, può decidere di farla sua; dall’altro
questo singolo individuo può mantenere le sue radici in tutti gli strati della società, in tutti i popoli e in
tutte le religioni egli sia nato e cresciuto.