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Giovanni Boccaccio

Rime

Op. Grande biblioteca della letteratura italiana ACTA G. DAnna Thsis Zanichelli

Edizioni di riferimento elettroniche Liz, Letteratura Italiana Zanichelli a stampa Giovanni Boccaccio, Rime, a cura di V. Branca, Padova, Liviana, 1958

Design Graphiti, Firenze

Impaginazione Thsis, Firenze-Milano

Giovanni Boccaccio

Rime

Sommario
Parte prima .............................................................. 5 I Intornad una fonte in un pratello ................... 5 II Allombra di millarbori fronzuti ................... 5 III Il Cancro ardea passata la sestora ................. 6 IV Guidommi Amor ardendo ancora il sole ........ 6 V Non credo il suon tanto soave fosse................. 7 VI Sulla poppa sedea duna barchetta................ 7 VII Chi non creder assai agevolmente .............. 8 VIII Quel dolce canto col qual gi Orfeo........... 8 IX Candide perle orientali e nuove .................... 9 X Se bionde trecce chioma crespa e doro .......... 9 XI Quella splendida fiamma il cui fulgore ...... 10 XII Quellamorosa luce il cui splendore .......... 10 XIII Il folgor de begli occhi el qual ... ............ 11 XIV Il gran disio che lamorosa fiamma........... 11 XV Mai non potei per mirar molto fiso ........... 12 XVI Le parole soave e l dolce riso.................... 12 XVII Spesso mavvien chessendomio ... .......... 13 XVIII Comio vi veggo bella donna e cara ........ 13 XIX Con quanta affezion io vi rimiri ............... 14 XX S dolcemente a sua lacci madesca ........... 14 XXI Biasiman molti spiacevoli Amore ............. 15 XXII Amor che con sua forza e virt regna ...... 16 XXIII Questo amoroso fuoco s soave ............ 17 XXIV Quello spirto vezzoso che nel core......... 18 XXV Quante fiate per ventura il loco .............. 18 XXVI A quella parte ovio fui prima accesa ..... 19 XXVII Quando saccese quella prima fiamma . 19 XXVIII Misero me chio non oso mirare ......... 20 XXIX Sio ti vedessi Amor pur una volta ......... 20 XXX Trovato mhai Amor solo e senzarmi ...... 21 XXXI Che fabrichi? che tenti? che limando .... 21 XXXII Pallido vinto e tutto transmutato ......... 22 XXXIII Come in sul fonte fu preso Narcisso ... 22 XXXIV Quando posso sperar che mai ............ 23 XXXV Se quella fiamma che nel cor maccese . 23 XXXVI Scrivon alcun Partenop sirena ............ 24 XXXVII Vetro son fatti i fiumi ed i ruscelli ..... 24 XXXVIII Pervenut insin nel secul nostro ...... 25 XXXIX S tosto come il sole a noi sasconde .... 25 XL Chi nel suo pianger dice che ventura ......... 26 XLI Cesare poi chebbe per tradimento ........... 26 XLII Se zefiro omai non disacerba.................... 27 XLIII Lalta speranza che li mia martiri ........... 27 XLIV Segli avvien mai che tanto gli anni miei 28 XLV O iniquo uomo o servo disleale ............... 28 XLVI Quante fiate indrieto mi rimiro ............. 29 XLVII Se io potessi creder chin cinquanni ..... 29 XLVIII Dice con meco lanima tal volta .......... 30 XLIX Son certi augei s vaghi della luce........... 30 L Loscure fami e i pelagi tirreni ....................... 31 LI Le lagrime e i sospiri e il non sperare .......... 31 LII Se mi bastasse allo scriver lingegno ........... 32 LIII Dentro dal cerchio a cui intorno si gira .... 32 LIV Cos ben fusse inteso il mio parlare .......... 32 LV Fuggano i sospir mei fuggasi il pianto ........ 33 LVI Se quel serpente che guarda il tesoro ........ 33 LVII Qualor mi mena Amor dovio vi veggia ... 34 LVIII Amor se questa donna non sinfinge ....... 34 LIX Non deve alcuno per pena soffrire ............ 35 LX Chi che saspetti con piacer i fiori .............. 35 LXI Intra l Barbaro monte e l mar Tirreno .... 36 LXII Toccami l viso zefiro tal volta .................. 36 LXIII E Cinzio e Caucaso Ida e Sigeo .............. 37 LXIV Colui per cui Misen primieramente ...... 37 LXV Se io temo di Baia e il cielo e il mare ...... 38 LXVI Ben che si fosse per la tuo partita .......... 38 LXVII Poscia che gli occhi mia la vaga vista..... 39 LXVIII Deh quanto greve la mia sventura .... 39 LXIX Contento quasi ne pensier damore ...... 40 LXX Amor dolce signore .................................. 42 LXXI Laspre montagne e le valli profonde ...... 43 LXXII Perir possa il tuo nome Baia e il loco .... 44 LXXIII O miseri occhi miei pi chaltra cosa .. 44 LXXIV Cader post in que legami Amore ...... 45 LXXV I non ardisco di levar pi gli occhi ...... 45 LXXVI Non so qual i mi voglia ...................... 46 LXXVII Il fior che l valor perde ...................... 46 LXXVIII Riccio barbiere a messer Boccaccio ... 47 LXXVIIIbis Risposta a Riccio Barbiere ............ 47 LXXIX Sonetto di ser Cecco di Meletto .......... 48 LXXIXbis Risposta di messer Boccaccio. ......... 48 LXXX Larco degli anni tuoi trapassathai ....... 49 LXXXI Ad Antonio Pucci. ............................... 49 LXXXIbis Risposta d Antonio Pucci ............. 50 LXXXII Dietro al pastor dAmeto alle ... ........ 50 LXXXIII Sio veggio il giorno Amor che mi .... 51 LXXXIV S fuor dogni pensier nel qual .......... 51 LXXXV Quandio riguardo me vie pi che ..... 52 LXXXVI Ippocrate Avicenna o Galieno ........... 52 LXXXVII SAmor li cui costumi gi moltanni .. 53 LXXXVIII Grifon lupi leon bisce e serpenti .... 53

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LXXXIX Poco sennha chi crede la fortuna ...... 54 XC Era l tuo ingegno divenuto tardo ............. 54 XCI Infra leccelso coro dElicona .................... 55 XCII O Giustizia regina al mondo freno ......... 55 XCIII Fuggit ogni virt spent il valore ....... 56 XCIV Apizio legge nelle nostre scole ............... 56 XCV Saturno al coltivar la terra puose ............. 57 XCVI Tanto ciascun ad acquistar tesoro ........... 57 XCVII Sovra li fior vermigli e capei doro ....... 58 XCVIII Parmi tal volta riguardando il sole ...... 58 XCIX Dormendo un giorno in sonno mi parea 59 C Se la fiamma degli occhi chor son santi ....... 59 CI Che cerchi stolto? che dintorno miri? ......... 60 CII Dante se tu nellamorosa spera .................. 60 CIII Era sereno il ciel di stelle adorno .............. 61 CIV Le rime le quai gi fece sonore .................. 61 CV DOmero non pot l celeste ingegno ....... 62 CVI S accese fervente il mio desio ............... 62 CVII Mentre sperai e luno e laltro collo ........ 63 CVIII l vivo fonte di Parnaso e quelle............... 63 CIX Dura cosa ed orribile assai ..................... 64 CX Assai sem raggirati in alto mare ................. 64 CXI Quante fiate indrieto mi rimiro ............... 65 CXII Fuggesi il tempo e l misero dolente ....... 65 CXIII Fassi davanti a noi il Sommo Bene ........ 66 CXIV Volgiti spirto affaticato omai ................. 66 CXV O Sol challumi lune laltra vita ............ 67 CXVI O giorioso Re che l ciel governi ............ 67 CXVII Non treccia doro non docchi vaghezza68 CXVIII O luce etterna o stella mattutina ........ 68 CXIX O Regina degli angioli o Maria ............. 69 CX u mi trafiggi ed io non son dacciaio ......... 69 CXXI Poi satiro sei fatto s severo ..................... 70 CXXII Sio ho le Muse vilmente prostrate ....... 70 CXXIII Se Dante piange dove chel si sia ........ 71 CXXIV Gi stanco mhanno e quasi rintuzzato 71 CXXV Io ho messo in galea senza biscotto ...... 72 CXXVI Or sei salito caro signor mio ............... 72

Parte seconda I Iscinta e scalza con le trezze avvolte ............... 73 II O d felice o ciel chiaro sereno ..................... 73 III Doro crespi capelli ed annodati ................. 74 IV Levasi il sol tal volta in oriente .................... 74 V I cape dor di verde fronde ornati ................ 75 IX Io mi credea troppo ben laltrieri ................ 75 X Il mar tranquillo producer la terra ............... 76 XI Sio potessi lo specchio tenere ..................... 76 XVII I ho gi mille penne e pi stancate ........ 77 XIX Le nevi sono e le piogge cessate ................ 77 XX Per certo quando il ciel con lieto aspetto ... 78 XXII I vo sonetto i mie pensier fuggendo ...... 78 XXIV I solea spesso ragionar damore ............. 79 XXVIII O chAmor sia o sia lucida stella ......... 79 XXIX Rotto il martello rott quella ncugge 80 XXX Lasso! si mi lamento io nho ben donde 80 XXXII Dante Alighieri son Minerva oscura..... 81 XXXVIII Subita volont nuovo accidente........ 82

Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 4 ACTA G. DAnna Thsis Zanichelli

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Parte prima

Parte prima

I Intornad una fonte, in un pratello di verdi erbette pieno e di bei fiori, sedean tre angiolette, i loro amori forse narrando, ed a ciascuna l bello viso adombrava un verde ramicello chi capei dor cingea, al qual di fuori e dentro insieme i dua vaghi colori avvolgeva un suave venticello. E dopo alquanto luna alle due disse (comio udi): Deh, se per avventura di ciascuna lamante or qui venisse, fuggiremo noi quinci per paura?. A cui le due risposer: Chi fuggisse, poco savia saria, con tal ventura!.

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II Allombra di millarbori fronzuti, in abito leggiadro e gentilesco, con gli occhi vaghi e col cianciar donnesco lacci tendea, da lei prima tessuti de suoi biondi capei crespi e soluti al vento lieve, in prato verde e fresco, una angiolella; a quai giungeva vesco tenace Amor, ed ami aspri ed acuti. Da quai, chi vincappava lei mirando, invan tentava poi lo svilupparsi, tantera lartificio che i teneva. Ed io lo so, che n me di me fidando pi che l dovere, infra e lacciuoli sparsi fui preso da virt chio non vedeva.

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Parte prima

III Il Cancro ardea, passata la sestora, spirava zefiro e il tempera bello, quieto il mar, e in sul lito di quello, in parte dove il sol non era ancora, vidio colei, che l ciel di s innamora, en pi donne far festa: e laureo vello le cingea l capo in guisa che capello del vago nodo non usciva fuora. Nettuno, Glauco, Forco e la gran Teti dal mar lei riguardavan s contenti, che dir parevon: Giove, altro non voglio. Io, da un ronchio, fissi agli occhi lieti s adoppiati aveva e sentimenti, chun sasso paravamo io e lo scoglio.

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IV Guidommi Amor, ardendo ancora il sole, sopra lacque di Giulio, in un mirteto, ed era il mar tranquillo e il ciel quieto, quantunque alquanto zefir, come suole, movesse agli arbuscei le cime sole: quando mi parve udire un canto lieto tanto, che simil non fu consueto dudir giammai nelle mortali scuole. Per chio: Angela forse, o ninfa, o dea canta con seco in questo loco eletto, meco diceva, degli antichi amori. Quinci madonna in assai bel ricetto del bosco ombroso, in sullerbe e in su fiori, vidi cantando, e con altre sedea.

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Parte prima

V Non credo il suon tanto soave fosse che gli occhi dArgo tutti f dormire, n dAnfion la citara a udire quando li monti a chiuder Tebe mosse, n le sirene ancor quando si scosse invano Ulisse provvido al fuggire, n altro, se alcun se ne pu dire forse pi dolce, o di pi alte posse: quantuna voce chio dunangioletta udii, che lieta i suoi biondi capelli cantandornava di fronde e di fiori. Quindi nel petto entrommi una fiammetta, la qual, mirando li sua occhi belli, maccese il cor in pi di millardori.

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VI Sulla poppa sedea duna barchetta, che l mar segando presta era tirata, la donna mia con altre accompagnata, cantando or una or altra canzonetta. Or questo lito ed or questisoletta, ed ora questa ed or quella brigata di donne visitando, era mirata qual discesa dal cielo una angioletta. Io, che seguendo lei vedeva farsi da tutte parti incontro a rimirarla gente, vedea come miracol nuovo. Ogni spirito mio in me destarsi sentiva, e con amor di commendarla sazio non vedea mai il ben chio provo.

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Parte prima

VII Chi non creder assai agevolmente, sal canto dArion venne il delfino facendo s al suo legno vicino, al suo comando presto ed ubbidiente, che, solcando costei il mar sovente in breve barca, nel tempo pi fino, alla voce del suo canto divino molti ne venghin desiosamente? E quasa ci da Nettuno mandati circondan quella, e ogni cosa sinestra cacciando indrieto, ed onde e tempestate. O orecchi felici, o cuor beati, a quali la fortuna tanto destra, che dascoltarla fatti degni siate!

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VIII Quel dolce canto col qual gi Orfeo Cerbero vinse e il nocchier dAcheronte, o quel con chAnfion dal duro monte tir li sassi al bel muro dirceo; o qual dintornal fonte pegaseo cantar pi bel, color che gi la fronte sornar dalloro, con le Muse conte uomo lodando, o forse alcuno deo: sarebbe scarso a commendar costei, le cui bellezze assai pi che mortali ed i costumi e le parole sono. Ed io presumo in versi diseguali di disegnarle in canto senza suono! Vedete se son folli i pensier miei!

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Parte prima

IX Candide perle, orientali e nuove, sotto vivi rubin chiari e vermigli, da quali un riso angelico si muove che sfavillar sotto due neri cigli sovente insieme fa Venere e Giove, e con vermiglie rose i bianchi gigli misti fa il suo colore in ogni dove, senza che arte alcuna sassottigli: i capei doro e crespi un lume fanno sovra la lieta fronte, entralla quale Amore abbaglia della meraviglia; e laltre parti tutte si confanno alle predette, in proporzione eguale, di costei chi ver angioli simiglia.

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X Se bionde trecce, chioma crespa e doro, occhi ridenti, splendidi e soavi, atti piacevoli e costumi gravi, sentito motteggiare, onesto e soro parlar in donna, comin suo tesoro, pose natura mai o finser savi: tutt n costei, Amor, in cui le chiavi della mia pene desti e del ristoro. Dunque, se io sovente ne sospiro, non mi riprenda chi la mia speranza non vede posta in premio del martiro. Questa li mia pensier urge ed avanza con gli occhi sua a s alto desiro, che nulla pi sentir have n possanza.

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XI Quella splendida fiamma, il cui fulgore maperse prima lamorosa via, mincende s, qualor lanima mia vola col dove la chiama Amore, che l troppo lume el debile valore degli occhi abbaglia s, chella si svia dal debito sentier, e dove sia n sa, n vede, dogni ragion fuore. E mentre cos erra tremebonda, fa di me rider chi allor mi vede, e tal fiata alcun muove a pietate. Laonde segue che l desio, chabbonda, discuovre ci che nasconder si crede la disviata fuor di libertate.

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XII Quellamorosa luce, il cui splendore per li miei occhi mise le faville, che dentral cor andando a mille a mille, di lei la forma e la luce dAmore, questa per donna e colui per signore, lasciaronvi, non posson le pupille soffrir talor per lacute postille chaccese vengon pi del suo valore. Onde, contra mia voglia, sio non voglio lei riguardando perder di vederla, in altra parte mi convien voltare. O grieve caso ondio forte mi doglio: colei, cui cerco di veder poterla sempre, non posso poi lei riguardare!

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XIII Il folgor de begli occhi, el qual mavvampa il cor qualor io gli riguardo fiso, m tanto nella mente, ovio lho miso spesso, segnato con etterna stampa, chinvan, caro signore, ognaltra vampa ver me saetti del tuo paradiso: questo malleggia, questo mha conquiso, questo muccide, questo ancor mi scampa. Dunque, ti prego, al tuo arco perdona, e bastiti per una avermi preso, chassai gran legame questo e forte; e mentre l tuo valor la sua persona far pi bella, s com testeso, mai non mi scioglier se non la morte.

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XIV Il gran disio che lamorosa fiamma nel cuor maccese nei miei miglior anni, e tiene ancor crescendo ciascun giorno e terr forse insino allultimora, tolto ha da me ciascun altro desire: e com li piace mi si fa seguire. ..................................

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XV Mai non potei, per mirar molto fiso i rossi labbri e gli occhi vaghi e belli, il viso tutto e gli aurei capelli di questa, che m in terra un paradiso, nellintelletto comprender preciso qual pi mirabil si fosse di quelli: come chio stimo di preporre ad elli langelico leggiadro e dolce riso. Nel qual, quando scintillan quelle stelle che la luce del sol fanno minore, par sapra il cielo e rida il mondo tutto. Ondio, che tutto l cor ho dritto a quelle, esser mi tengo molto di megliore, sentendin terra s celeste frutto.

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XVI Le parole soave e l dolce riso, la treccia doro, che l cor mha legato e messo nelle man che mhanno ucciso gi mille volte e n vita ritornato di nuovo, s l petto infiammato, che tutto il mio desire al vago viso rivolto s, ed altro non grato che di vederlo e di mirarlo fiso. In quel mi par veder quantallegrezza che fa beati gli occhi de mortali, che si fan degni detterna salute. In quel risplende chiara la bellezza che l ciel adorna e che nimpenna lali allalto vol con penne di virtute.

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XVII Spesso mavvien chessendomio raccolto co miei pensier partito dalla gente, senza donde veder, nella mia mente sen vien colei nel cui celeste volto la mia salute sta, e che disciolto ne legami damor soavemente con gli occhi sua mi pose, e lietamente a s tirogni spirto altrove volto. Poi ragionanda lor fa riguardare la sua virt, la bellezza e l valore, de quai pi chaltra lha dotata Dio; dondun piacer mi nasce, el qual mi pare che rechi seco ci che puote Amore, e sol accenda a ben far il disio.

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XVIII Comio vi veggo, bella donna e cara, cos mi sento per gli occhi passare una soavit, la qual mi pare che del cor cacci ogni passione amara, e pongavi un desio, el qual rischiara ogni pensier turbato e che stimare mi fa voi di bellezza trapassare al mondognaltra, sola, unica, o cara. E quivi lodo la fortuna mia ed Amor che a voi mi f subbietto, come mapparve la vostra figura. N pi oltre la mia mente desia, che di poter con onest diletto prestar a cos bella creatura.

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XIX Con quanta affezion io vi rimiri, a voi non posson celar gli occhi miei, li quai de vostri, s comio vorrei, credon, quei riguardando, trar sospiri, che portin pace a ben mille martiri, che nascon del desio, chio non potei quel d frenar, ch arbitrio degli dei, dentrar per voi negli amorosi giri. E se quei, che nel mio petto portaro con amore speranza, non mi sono benigni, da cui dunque aspetto pace? Io non dimando al vostro onor contraro, ma mi facciate dun sospiro dono, il qual mitighi il foco che mi sface.

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XX S dolcemente a sua lacci madesca Amor, con gli occhi vaghi di costei, che, quanto pi mallontano da lei, pi vi tira l desio e pi linvesca: per chio non veggio come mai me nesca, e certo riuscirne non vorrei, tanto contenta tutti e desir miei i suoi costumi e lonest donnesca. Chi vuol si doglia e piangasi dAmore, chio me ne lodo per insino ad ora, se pi non marde il caro signor mio; e benedico quel vago splendore che l cor s dolcemente minnamora, allumandomi s, chio son pi chio.

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XXI Biasiman molti spiacevoli Amore e dicon lui accidente noioso, pien di spavento, cupido e ritroso, e di sospir cortese donatore. N vede di costoro il cieco errore come proceda il suo valor nascoso, nelluom prudente giusto ed animoso, per bene operar, volere onore. Come costui nellanima gentile pronto si pon per valoroso obbietto, cos la rende cortese ed umle. Ornarsi di costumi l suo diletto; fugge come nimico ognatto vile: chi dunque de cessar starli subbietto?

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XXII Amor, che con sua forza e virt regna, nel summo cielo ardendo sempre vive e lanima gentil di lui fa degna, regge mia vita e quel che la man scrive, dimostra el cuor divoto a sua deitade e del suo regno el fa ministro e cive. Amor vol fede e con lui son legade speranza con timor e gelosia, e sempre con leanza umanitade. Unde sovente per Rachele a Lia fa star suggetta lanima servendo con dolce voglia e con la mente pia. Cos si pasce, di sua fiamma ardendo, il cuor che onestamente Amor nutrica, con sua vaghezza nei suspir languendo. Supporta angoscia in pace e gran fatica per conservar della sua cara amata el digno onor e la sua fiamma antica. Amor come gemma in or legata, che mai non perde sua gentil natura, ma pi lucente sempre e pi pregiata. Non , come altrui pingesua figura, crudele, iniusto, faretrato e nudo, n ha de suoi suggetti poca cura; anzi di vera pace eterno scudo, vestito di virtute e gentilezza, ma contra ogni lascivo, alpestro e crudo; n senza il suo bel lume alcuna altezza in ciel fia degna o nel terrestre mondo, n val di donna, senza lui, baldezza. Amor fa con audacia luom facondo cortese, umano, e di costumi ornato, e l cuor dovel si possa fa iocondo. Premio non cerca, regni o alto stato, ma sol bontate ed un disio amoroso,

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con pura fede, luno o laltro amato. Onesta leggiadria, un cuor vezzoso, un parlar dolce, un animo sincero, un vago remirar tutto piatoso son le catene undel si fa maniero; nel foco ardente e con dolcezza abrusa temprando sue saette e larco fiero. De lui presumo in questa mia confusa e bassa rima le sue laude alzare, se l suo favor alla mia debil musa, porgendo, mi fara di lui cantare.

XXIII Questo amoroso fuoco s soave, che tuttora ardo e parmi crescer vita; ma vedo ben che, se l ciel non maita, rotta fra duro scoglio la mia nave. Tal mi tien chiuso sotto a mille chiave, che, con sua faccia angelica e polita, or pena etterna or dolcezza infinita mi mostra; or massicur ora mi spave. Cos del mio fin dubbio ardendo spero nel fuoco rinnovar come fenice, e questo dogni doglia medicina. N posso, a mio giudicio, dir con vero che per cosa terrena esser felice io cerchi, ma deffige alta e divina.

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XXIV Quello spirto vezzoso, che nel core mi misero i begli occhi di costei, parla sovente con meco di lei leggiadramente, e simile dAmore. E poi del suo animoso fervore una speranza crea ne pensier miei, che s lieto mi fa, chio mi potrei beato dir sella stesse moltore. Ma un tremor, da non so che paura nato, lo scaccia e rompe in mezzo il porto, chaver preso credea, di mia salute; e veggio aperto chalcun ben non dura lunga stagione in questo viver corto, quantunque possa natural virtute.

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XXV Quante fiate per ventura il loco veggio l dovio fui da Amore preso, tanto mi par di nuovo esser acceso da un desio pi caldo assai che l foco; e poi che quello ho riguardato un poco e stato alquanto sovra me sospeso, dico: Se tu ti fosse qui difeso, non sarestor, per merz chieder, fioco. Adunque piangi, poi la libertate avevi nelle man lasciata hai andare per donna vaga, e di poca pietate. Poi mi rivolgo, e dico che lo stare subbietto a s mirabile biltate somma e lieta libertate usare.

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XXVI A quella parte ovio fui prima accesa del piacer di colui, che mai del core non mi si partir, sovente Amore mi tira, n mi val farli difesa. Quindi rimiro lui, tutta sospesa, in gi e n su, pregandol, se l valore suo sempre cresca, che l vago splendore mi mostri del mio ben, che mha s presa. Il qual savvien che io veggia per grazia, contenta dentro mi ritraggo un poco, lodando Iddio, Amore e la fortuna; e mentre che daverlo visto sazia esser mi credo, raccender il foco sento di rivederlo e torno in una.

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XXVII Quando saccese quella prima fiamma dentro da me, che l cor mi munge ed arde, io solia dir talor: Questa non arde come suol arder ciascunaltra fiamma; anzi conforta, sospinge ed infiamma a valor seguitar chiunque ella arde: per che de esser contento, in cui ella arde, di pi fin divenir in cotal fiamma. Ma il cor, gi carbon fatto in questo foco, senza pace sperar, in tristo pianto, ha mutata sentenzia e chiede morte. E non trovando lei in cotal foco, ora rovente ed or bagnato in pianto, si sta in vita assai peggior che morte.

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XXVIII Misero me, chio non oso mirare gli occhi ne quali stava la mia pace; per che, come il ghiaccio si disface al sol, cos mi sento il cor disfare per soverchio disio nel riguardare: e saltro miro, tanto mi dispiace, chun gel noioso vienmi, il qual mi face di morte spesse volte dubitare. Fra questi estremi sto, n so che farmi: o arder tutto, lor mirando fiso, o di freddo morire, altro guardando. Lun mi duol men, ma troppo grave parmi da cui salute spero esser ucciso, e pi duro mi par morir guardando!

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XXIX Sio ti vedessi, Amor, pur una volta larco tirare e saettar costei, forse chalcuna speme prenderei di pace ancor, della mia pena molta; ma perch baldanzosa, lieta e sciolta la veggio e te codardo inver di lei, non so ben da qual parte i dolor miei saspettin fine, o lanima ricolta. Ogni suo atto impenna un de tuo strali; che dissio un? ma cento: ed il tuo arco ognor a trapassar mi par pi forte. Vedi chio son senzarmi, diseguali al poter tuo, e, se non chiudi il varco, lanima mia, ch tua, sen vola a morte.

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XXX Trovato mhai, Amor, solo e senzarmi l dove pi armato ed avveduto sei, credo, per uccidermi venuto, col favor di costei, chin disertarmi aguzza le saette che passarmi deono il cor; ma, poi che fia saputo, certo son ne sarai da men tenuto daver voluto pur cos disfarmi. Poco onor ti sar, sio non minganno, ferir, vincer, legar, uccider uno che far non puote inver di te difesa. Ma tu, che ad onor rispetto alcuno non avesti giammai, del mio gran danno ti riderai, ed io mavr loffesa.

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XXXI Che fabrichi? che tenti? che limando vai le catene, in che tu stesso entrasti, mi dice Amore, e te stesso legasti senza mio prego e senza mio comando? Che latebra, che fuga vai cercando di drieto a me, al qual tu obbligasti la fede tua, allor che tu mirasti langelica bellezza desiando? O stolte menti, o animali sciocchi! poi che tavrai co tua inganni sciolto e volando sarai fuggito via, una parola, un riso, un muover docchi, un dimostrarsi lieto il vago volto far tornarti pi stretto che pria.

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XXXII Pallido, vinto e tutto transmutato dallo stato primier quando mi vede la nemica damore e di mercede, nelle cui reti son preso e legato, quasi di ci che io ho gi contato del suo valor, prendendo intera fede, lieta pi preme il cor chella possede, indi sperando nome pi pregiato. Ondio stimo che sia da mutar verso, pur chAmor mel consenta, e biasimare ci che io scioccamente gi lodai. Forse diverr bianco il color perso, e per lo non ben dir potr impetrare, per avventura, fine alli mia guai.

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XXXIII Come in sul fonte fu preso Narcisso da s, da s cos costei, specchiando s, s ha presa dolcemente amando. E tanto vaga se stessa vagheggia, che, ingelosita della sua figura, ha di chiunque la mira paura, temendo s a s non esser tolta. Quel che ella di me pensi, colui sel pensi che in s conosce altrui. A me ne par, per quel chappar di fore, qual fu tra Febo e Danne, odio ed amore.

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XXXIV Quando posso sperar che mai conforme divenga questa donna a desir miei chancor con prieghi impetrar non potei dal sonno, mostrator di mille forme, chin sognalmen, dovella lascia lorme, mi dimostrasse: e contento sarei, poichio non posso pi riveder lei, che crudel cerca, lasso! in terra porme. Allora certo, quando torneranno li fiumi a monti, ed i lupi lagnelle dagli ovil temorosi fuggiranno. Dunque uccidimi, Amore, acci che quelle luci che fur principio del mio danno, del morir mio ridendo, sien pi belle.

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XXXV Se quella fiamma che nel cor maccese ed or mi sface in doloroso pianto, fosse ver me pietosa pur alquanto, e del mostrarsi un poco pi cortese, ancora spererei trovar difese alla mia vita, che m in odio tanto, e sospir grevi rivolger in canto e poter perdonar le fatte offese. Ma perch, come Febo fugg Dane, cos costei dogni parte mi fugge e niega agli occhi miei il suo bel lume, troppo invescata in lamorose pane la mia vita cognosco che si strugge, e l cor diventa di lagrime fiume.

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Rime

Parte prima

XXXVI Scrivon alcun Partenop, sirena ornata di bellezze e piena darte, aver sua stanza eletta in questa parte tra il colle erboso e la marina rena, e qui lasciata ancor det non piena le membra sua, che or son cener sparte, e il nome suo in pi felice carte e in questa terra fertile ed amena. E coma le fu il ciel mite e benigno, cos alle poi nate par che sia: ed io, miser a me, sovente il provo, veggendo bella la nemica mia vincer ogni mia forza col suo ingegno, ver me mostrando sempre sdegno novo.

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XXXVII Vetro son fatti i fiumi, ed i ruscelli gli serra di fuor ora la freddura; vestiti son i monti e la pianura di bianca neve e nudi gli arbuscelli, lerbette morte, e non cantan gli uccelli per la stagion contraria a lor natura; Borea soffia, ed ogni creatura sta chiusa per lo freddo ne sua ostelli. Ed io, dolente, solo ardo ed incendo in tanto foco, che quel di Vulcano a rispetto non una favilla; e giorno e notte chiero, a giunta mano, alquanto dacqua al mio signor, piangendo, n ne posso impetrar sol una stilla.

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Rime

Parte prima

XXXVIII Pervenut, insin nel secul nostro, che tante volte il cuor di Prometeo con laltre parti dentro si rifeo, di quante se ne pasce un duro rostro; il che parria forse terribil mostro, se non fesse di me simil trofeo soventAmor, cha scriverlo poteo far del mio lagrimar penna ed inchiostro. Io piango, e sento ben che l cor si sface; ed allor, quandegli per venir meno, debile, smunto e punto per laffanno, o Dio! nascoso sento che l riface el mio destin: laonde etterne fieno le pene che mi disfano e rifanno.

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XXXIX S tosto come il sole a noi sasconde e lombra vien, che l suo lume ne toglie, ognanimale in terra si raccoglie al notturno riposo, insin che londe di Gange rendon con le chiome bionde al mondo laurora, e le lor doglie, i duri affanni e lamorose voglie soave sonno allevia o le confonde. Ma io, come si fa il ciel tenebroso, s gran pianto per gli occhi mando fore, che tanta acqua non versan dua fontane; n dormir, n speranza alcun riposo posson prestare al mio crudel dolore: cos maffligge Amor fin la dimane.

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Rime

Parte prima

XL Chi nel suo pianger dice che ventura avversa gli al suo maggior disio, e chi lappone scioccamente a Dio, e chi accusa Amore e chi la dura condizion della donna che, pura, forse non sente lappetito rio, e chi del cielo fa rammarichio, non conoscendo s, di sua sciagura. Ma io, dolente, solo agli occhi miei ogni mia doglia appongo, che fur porte allamorosa fiamma che mi sface. Se stati fosser chiusi, ancor potrei signor di me contrastar alla morte, la qual or chiamo per mia dolce pace.

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XLI Cesare, poi chebbe, per tradimento dellegizian duttor, lorrate chiome, rallegrossi nel core, en vista come si fa qual che di nuovo discontento. E allora chAnnibl ebbe l presento del capo del fratel, chaveva nome Asdrubal, ricopr suo grave some ridendo alla suo gente, chera in pianto. Per somigliante ciascun uom tal volta per atto allegro o per turbato viso mostra l contrario di ci che l cor sente. Per, si canto, non dimostro riso: fo per mostrare a chi mi mira e ascolta chai dolor gravi i sia forte e possente.

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Rime

Parte prima

XLII Se zefiro omai non disacerba il cor aspro e feroce di costei, pi mai non spero, per cridar omei, trovar riposo alla mia pena acerba. Ma, s comel rinnova i fiori e lerba e piante state morte mesi sei, cos porria far dolce e verde lei, pietosa in vista, in fatti men superba. Questa speranza sola ancor mi resta, per la qual vivo, ingagliardisco e tremo dubbiando che la morte non me invole. Ondio, prima che venga al punto estremo, fortuna prego non me sia molesta cotanto ai piacer mei quanto la suole.

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XLIII Lalta speranza, che li mia martiri soleva mitigare alcuna volta, in noiosa fortuna ora rivolta de dolci mia pensier fattha sospiri. E gli amorosi e caldi mia desiri, lacrime divenuti, la raccolta rabbia per gli occhi fuor dal cor disciolta ................................... Oh, sio potesse creder di vedere, canuta e crespa e pallida colei, che con isdegno nuovo n cagione! Chancor la vita mia di ritenere, che fugge, a pi poter mingegnerei, per rider la cambiata condizione.

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Parte prima

XLIV Segli avvien mai che tanto gli anni miei lunghi si faccin, che le chiome doro vegga dargento, ondio or minnamoro, e crespo farsi il viso di costei, e cispi gli occhi bei, che tanto rei son per me lasso, ed il caro tesoro del sen ritrarsi, e il suo canto sonoro divenir roco, s comio vorrei: ogni mio spirto, ogni dolore e pianto si far riso, e pur sar s pronto, chio dir: Donna, Amor non tha pi cara, pi non adesca il tuo soave canto, pallide vizza non sei pi in conto: ma pianger poi lessere stata avara.

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XLV O iniquo uomo, o servo disleale, di che ti duol, di che vai lagrimando? di che Amor e me vai biasimando quasi cagion del tuo noioso male? Qual arco apersi io mai, o quale strale ti saettai? quai prieghi, o dove, o quando ti fur fatti per me, che, me amando, mi dessi il cor, di cui s or ti cale? Pregastu me, e sconiurasti Amore chio tavessi per mio: qual dunque inganno, qual crudelt t fatta? del mio onore mi cal pi troppo che del tuo affanno. Cos Fiammetta par talor nel core mi dica; ondio mi doglio ed hommi il danno.

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Parte prima

XLVI Quante fiate indrieto mi rimiro e veggio lore e i giorni e i mesi e gli anni chio ho perduto seguendo glinganni della folle speranza e del desiro, veggio il pericol corso ed il martiro sofferto invan in gli amorosi affanni, n trovar credo chi di ci mi sganni, tanto ne piango e contro a me madiro. E maledico il d che prima vidi gli occhi spietati, che Amor guidaro pe miei nel cor, che lasso e vinto giace. O crudel morte, perch non muccidi? Tu sola puoi il mio dolor amaro finire e pormi forse in lieta pace.

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XLVII Se io potessi creder chin cinquanni, chegli che vostro fui, tanto caluto di me vi fosse, che aver saputo il nome mio voleste de mia danni per ristorato avermi, de mia affanni potrei forse sperare ancora aiuto; n mi parrebbe il tempo aver perduto a condolermi de mia stessi inganni. Ma poichegli cos, come sperare posso merz? come fin allardore, che, quanto meno spero, pi cocente? So si dovria cotal amor lasciare; ma, non potendo, moro di dolore, cagion essendo voi del fin dolente.

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Parte prima

XLVIII Dice con meco lanima tal volta: Come potevi tu giammai sperare che dove Bacco pu quel che vuol fare, e Cerere vabbonda in copia molta, e dove fu Partenop sepolta, ovancor le sirene uson cantare, Amor, fede, onest potesse stare o fosse alcuna santit raccolta? E stu l vedevi, come toccuparo i falsocchi di questa, che non tama, e la qual tu con tanta fede segui? Destati omai, e fuggi il lito avaro, fuggi colei la tua morte brama. Che fai? che pensi? ch non ti dilegui?.

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XLIX Son certi augei s vaghi della luce, chavendogli la notte gi riposti nel lor albergo e dentro a s nascosti, desti da picciol suono, ove traluce quantunque picciol lume, gli conduce il desio desso; al qual seguir disposti, dove diletto cercan, ne sopposti lacci sottentron drieto al falso duce. Lasso, cos sovente maddiviene, ch, dove io sento dal voler chiamarmi drieto a begli occhi e falsi di costei, presto vi corro, e da nuove catene legar mi veggio onde discaprestarmi, stolto, speravo per rimirar lei.

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Parte prima

L Loscure fami e i pelagi tirreni, e pigri stagni e li fiumi correnti, mille coltella e glincendi cocenti, le travi e i lacci enfiniti veneni, lorribil rupi e massi, e boschi pieni di crude fere e di malvagie genti, vegnon, chiamate da sospir dolenti, e mille modi da morire osceni. E par ciascun mi dica: Vienne, chio son per iscaprestarti in un momento da quel dolor nel quale Amor tinvischia. Ondio a molti incontro col desio talor mi fo, comuom che nho talento; ma poi la vita trista non sarrischia.

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LI Le lagrime e i sospiri e il non sperare a quelle fine mhan s sbigottito, chio me ne vo per via comuom smarrito: non so che dire e molto men che fare. E quandavvien che talor ragionare oda di me (che nho tal volta udito), del pallido color e del partito vigore e del dolor che di fuor pare, una piet di me stesso mi viene s grande, chio desio di dir piangendo chi sia cagion di tanto mio martiro. Ma poi, temendo non aggiunger pene alle mia noie, tanto mi difendo, chio passo in compagnia dalcun sospiro.

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Parte prima

LII Se mi bastasse allo scriver lingegno la mirabil bellezza e l gran valore di quella donna, a cui diede il mio core Amor, della mia fede etterno pegno, ed ancora langoscia chio sostegno o per lo suo o per lo mio errore, veggendo me della sua grazia fore esser sospinto da crudele sdegno: io mostrerei assai chiaro ed aperto che l pianger mio e l mio esser smorto maraviglia non sia, ma chio sia vivo. Ma poi non posso, ciaschedun sia certo chegli assai maggiore il duol chio porto, che l mio viso non mostra e chio non scrivo.

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LIII Dentro dal cerchio, a cui intorno si gira ..........................................

LIV Cos ben fusse inteso il mio parlare, come lintende i caldi sospir mei; ch, ben chio viva in pianti acerbi e rei, un gioco mi parrebbe a lacrimare. Ma sio potesse alquanto dichiarare lanimo mio doglioso a chi vorrei, son certo che poche ore viverei fra tante angosce e tante pene amare. Io farei quei begli occhi pietosi, che, quando lacrimando a lor minchino, non mi sarebbon fieri e disdegnosi. Ondio prego il mio fato e il mio destino che porgan qualche luce a tenebrosi spirti che hanno a far s alto cammino.

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Parte prima

LV Fuggano i sospir mei, fuggasi il pianto, fugga langoscia e fuggasi el disio che auto ho di morir; vada in oblio ci che contra ad Amor gi pensai tanto; torni la festa, torni el riso e l canto, torni gli onor devuti al signor mio, li meriti del qual han fatto chio aggia la grazia bramata cotanto. Lo sdegno, el qual a torto me negava el vago sguardo degli occhi lucenti, coi qual Amor mi prese, tolto via; e quel saluto, chio pi desiava, con umil voce e con atti piacenti pur test mi rend la donna mia.

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LVI Se quel serpente che guarda il tesoro, del qual mha fatto Amor tanto bramoso, ponesse pur un poco el capo gioso, io crederei con un sottil lavoro trovar al pianto mio alcun ristoro: n in ci sarebbe il mio cor temoroso, come che pria, in punto assai dubbioso, gi mi negasse il promessadiutoro. Ma pria Mercurio chiuder que dArgo cantando di Siringa, che n que due io possa metter sonno col mio verso; e prima nelle lagrime chio spargo morendo adempier le voglie tue, crudel Amor, ver me fiero e perverso!

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Parte prima

LVII Qualor mi mena Amor dovio vi veggia, chassai di rado avvien, s cara siete, lanima, piena damorosa sete, come la luce vede, che lampeggia da bei vostri occhi, nel pensier vaneggia, quello sperando chancor non volete, ci saziarsi, e, come voi vedete, di mirarvi focosa, vi vagheggia. E com stolto il mio vago pensiero! L ondio credo refrigerio avere, accese fiamme attingo a milla mille; ma come cuocan non sento, nel vero, mentre egli avvien chio vi possa vedere: ma poi, partito, mardon le faville.

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LVIII Amor, se questa donna non sinfinge, la mia speranza al suo termine viene, perci che ogni volta chegli avviene che tu o forza di destin mi spinge dovella sia, cos l viso dipinge di pallidezza subita e non tiene le luci ferme, ma di desio piene ora ver me lallarga ed or le stringe; e s vinta si mostra dai sospiri, che n vista par che sol prieghi per pace, contenta chio in tale atto la miri. Io che far, che nella tua fornace ardo, premuto da mille desiri? Non arder, poi veggio che le piace?

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Parte prima

LIX Non deve alcuno, per pena soffrire, quanto che l tempo paia lungo o sia, gittar del tutto la speranza via o stoltamente cercar di morire: ch unora sola pu sopravvenire, la qual discaccia ogni fortuna ria e s consola altrui, che lomo oblia danno e dolor e fatica e martire. Ed io el so, el qual gi lungamente chiesi merc con doloroso pianto agli occhi bei, che gi fur dispiatati; non sperando ci, subitamente Amor i mie suspir rivolse in canto, e sento la letizia de beati.

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LX Chi che saspetti con piacer i fiori e di veder le piante rivestire e per le selve gli uccelletti udire cantando forse i lor pi caldi amori, io non son quel; ma, comio sento fuori zefiro e veggio il bel tempo venire, cos mattristo, e parmi allor sentire nel petto un duol, il qual par che maccuori. Ed di questo Baia la cagione, la qual invita s col suo diletto colei che l sen porta la mia pace, che non mel fa alcunaltra stagione; e che io vadia l mi interdetto da lei, che pu di me quel che le piace.

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Parte prima

LXI Intra l Barbaro monte e l mar Tirreno siedil lago dAverno intorniato da calde fonti, e dal sinistro lato gli sta Pozzuolo ed a destro Miseno; il qual sentora ogni suo grembo pieno di belle donne, avendo racquistato le frondi, la verdura e l tempo ornato di feste, di diletto e di sereno. Questi con la bellezza sua mi spoglia ognanno, nella pi lieta stagione, di quella donna ch sol mio desire. A s la chiama, ed io, contra mia voglia, rimango senza il cuore, in gran quistione qual men dorriemi, il viver o l morire.

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LXII Toccami l viso zefiro tal volta pi che lusato alquanto impetuoso, quasi se stesso allora avesse schiuso dal cuoi dUlisse, e la catena sciolta. E poi che lalma tuttha in s raccolta, par che mi dica: Leva il volto suso; mira la gioia chio, da Baia effuso, ti porto in questa nuvola rinvolta. Io lievo gli occhi, e parmi tanto bella veder madonna entra quellaura starse, che l cor vien men sol nel maravigliarse. comio veggio lei pi presso farse, lievomi per pigliarla e per tenella: e l vento fugge, ed essa spare in quella.

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Parte prima

LXIII E Cinzio e Caucaso, Ida e Sigeo, Libano, Sena, Carmelo ed Ermone, Athos, Olimpo, Pindo e Citerone, Aracinto, Menalo, Ismo e Rifeo, Etna, Pachin, Peloro e Lilibeo, Vesevo, Gauro, Massiche Caulone, Apennin, lAlpi, Balbo e Borione, Atlante, Abila, Calpe e Pireneo, o qualunqualtro monte, ombre giammai ebber cotanto grate a lor pastori, quanta me furon quelle di Miseno: nelle quai s benigno Amor trovai, che refrigerio diede a mia ardori e ad ogni mia noia pose freno.

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LXIV Colui per cui, Misen, primieramente foste nomato, cui ceneri ancora sparte nella tua terra fan dimora e faran, credo, perpetualmente, facea trombando inanimar la gente e ad arme ed a guerra, dora in ora, e de legni dEnea di poppa in prora batter il mar co remi virilmente. Ma tu di pace e damor e di gioia sei fatto grembo e dilettoso seno, degno detterno nome e di memoria. Ben lo so io, chin te ogni mia noia lasciai, e femmi dallegrezza pieno colui ch sire e re dogni mia gloria.

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Parte prima

LXV Se io temo di Baia e il cielo e il mare, la terra e londe e i laghi e le fontane e le parti domestiche e le strane, alcun non se ne dee maravigliare. Quivi sattende solo a festeggiare con suoni e canti, e con parole vane ad inveschiar le menti non ben sane, o damor le vittorie a ragionare. Ed havvi Vener s piena licenza, che spessavvien che tal Lucrezia vienvi, che torna Cleopatra allo suo ostello. Ed io lo so, e di quinci ho temenza, non con la donna mia s fatti sienvi, che l petto laprino ed intrinsi in quello.

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LXVI Ben che si fosse, per la tuo partita, lalta speranza, la qual io prendea de tuo vaghi occhi, qualor gli vedea, giovine bella, quasi che fuggita, pur sostenea la deboletta vita un soave pensier, che mi dicea, quando di ci con meco mi dolea: Tosto sar ormai la suo reddita! Ma ci mai non avvene, e me partire or convien contra grado, n speranza di mai vederti mi rimane alcuna. Onde morrommi, caro mio disire, e pianger, il tempo che mi avanza, lontano a te, la mie crudel fortuna.

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LXVII Poscia che gli occhi mia la vaga vista hanno perduta, il cui lieto splendore ciaschedun mio desir caldo damore facea contento in questa valle trista, dove pi noia chi pi vive acquista, non curo omai se del dolente core, alma, ten vai, perci che l mio dolore non regoler mai discreto artista. Anzi ten va, chio, che solea cantare, non vo pascer linvidia di coloro a quai doler solea la mia letizia. Vatten adunque omai, non aspettare desser cacciata, ed altrove ristoro prendi, se puoi, di questa mia trestizia.

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LXVIII Deh, quanto greve la mia sventura e mobile pi chaltro il viver mio! Io piango spesso con tanto disio quantalcun rida: e mentre il pianto dura, vien nella mente mia quella figura che pi chaltro mi piace, sallo Iddio; quivi col lieto aspetto vago e pio conforta l core e lalma rassicura, dicendo cose, chogni spiritello smarrito surge lieto e pien damore, e me fan pi chalcun altro contento. Di quinci nasce chi dal viso bello mi mostra esser lontano, onde l dolore torna pi fier che prima per lun cento.

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LXIX Contento quasi ne pensier damore, soletto un giorno in essi dimorava, immaginando il suo alto valore; mentre dolcemente pi pensava, lAmor mapparve con gioioso aspetto, ver me dicendo: Qual pensier ti grava? Non istar qui, chamoroso diletto ti mosterr, se tu mi seguirai, di belle donne in fresco giardinetto. Allora in piedi ritto mi levai, seguendo lui, che diritto sen gio in un giardin dilettevole assai. Lasciommi quivi, e disse: Mentre chio a tornar pener, fa che maspetti; e volando da me si dipartio. Ma e non stette guari, chio vedetti lui ritornar con dodici donzelle gaie, leggiadre e con gentili aspetti. Tutte eran fresche, dilicate e belle, derbe e di frondi verdi coronate, negli occhi lor lucenti pi che stelle. Tutte danzando venieno ordinate su un bello prato derbette e di fiori, nel qual danzando Amor lavea menate. Fessi ver me Amor: Tu, che di fori della danza dimori, riguardando ne belli occhi a costoro i miei ardori, odile nominare, s che quando forse sarai di fuor da questo loco, donorarle disii per mio comando. Tra laltre, che pi guarda il nostro foco con senno e con virt, costei quella, allato a cui con allegrezza gioco. Di Giachinotto monna Itta sappella, de Tornaquinci, e Meliana colei,

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di Giovanni di Nello, ch dopella. E la Lisa e la Pecchia, che con lei vengono appresso, amendune figliuole di Rinier Marignan son saper dei. A nostra danza quinta il tuo sole, cio quella Fiammetta, che ti diede con la saetta al cor, chancor ti dole. Ell pi bella chaltra, ma nol crede chi non riguarda lei con gli occhi tuoi, per che tanto avanti alcun non vede. E la bella lombarda segue poi, monna Vanna chiamata, e, se tu guardi, nulla pi bella n con esso noi. Di Filippozzo Filippa de Bardi seguita bella, e poi monna Lottiera di Neron Nigi con soavi sguardi. La Vanna di Filippo, Primavera da tal conosci tu degna chiamata, vedila poi seguir nostra bandiera. Allato allato a lei vedi onorata Sismonda di Francesco Baroncelli, e poi, appresso lei, accompagnata Niccolosa di Tedice Manoelli insieme appresso con Bartolomea di Giovanni: Beatrice cre sappelli. E ben che n fine della danza stea, non men bella, ma vien per riscossa, come tu vedi; ed io ben lo vedea. Tacquesi allora, e la danza fu mossa sopra bei fiori e sotto verde fronda, che a raggi solar toglieva possa. Onde ciascuna di quella gioconda e bella danza, gaia e leggiadretta, a cantar cominci, come seconda, questa leggiadra e bella canzonetta:

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LXX Amor, dolce signore, che hai il nostro core in tua balia, per Dio, fanne contente. Tu se nostro signor caro e verace, e noi cos volemo; tu se colui che ne puo render pace nel gran disio chavemo: per quanto potemo preghian tua signoria che nver di noi si porti umilemente. Noi siam qui giovinette, e tu l ti sai, che poca di grevezza, che noi sentiam, ci par sentire assai; per la tua grandezza a chiunque la sprezza, signor, falla sentire, cha noi non cal, che siam tue veramente. Fa sentire a coloro il tuo valore, che si fanno chiamare innamorati sanza farti onore: ch, se tu fai provare lor quanto tu puoi fare, saranno innamorati, e noi ti loderem pi degnamente. Noi ardiam tutte per la tua virtute nel tuo cocente foco. Per Dio, merc; deh, donaci salute anzi che mutiam loco, ch gi a poco a poco per te ci consumiamo, se tu non ci soccorri tostamente. Fa, signor nostro, gli animi pietosi degli nostri amadori; raffrena alquanto i lor atti orgogliosi con pi aspri dolori,

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che non hanno ne cori, s che la nostra pena e provi come noi chi non la sente. Entra en gli orecchi qui, ballata, avanti ad Amor nostro siri, come tu pietosamente canti i nostri aspri martiri, fa che pregando il giri a darci tosto gioia, prima ched ei nuccida crudelmente.

LXXI Laspre montagne e le valli profonde, i folti boschi e lacqua e l ghiaccio e l vento, lalpi selvagge e piene di spavento, e de fiumi e de mar le torbidonde, e qualunqualtra cosa pi confonde il pover peregrin, che mal contento da sua sallunga, non chalcun tormento mi desser, tornandio, ma fur gioconde: tanta dolce speranza mi recava, spronato dal desio di rivederti qual ver me ti lasciai, donna, pietosa. Or, oltra quel che io, lasso, stimava, truovo mi sdegni, e non so per quai merti: per che piange nel cor lalma dogliosa. E maledico i monti, lalpi e l mare, che mai mi ci lasciaron ritornare.

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LXXII Perir possa il tuo nome, Baia, e il loco, boschi selvaggi le tua piagge sieno, e le tua fonti diventin veneno, n vi si bagni alcun molto n poco: in pianto si converta ogni tuo gioco, e suspetto diventi el tuo bel seno a naviganti: il nuvolo e l sereno in te riversin fumo, solfo e fuoco; ch hai corrotto la pi casta mente che fosse n donna, con la tua licenza, se l ver mi disser gli occhi non guari; laondio sempre viver dolente, come ingannato da folle credenza: or fossio stato cieco non ha guari!

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LXXIII O miseri occhi miei pi chaltra cosa, piangete omai, piangete, e non restate: voi di colei le luci dispietate menasti pria nellanima angosciosa, chora disprezza; voi nellamorosa pregion legaste la mia libertate; voi col mirarla pi raccendavate il cor dolente, chor non truova posa. Dunque piangete, e la nemica vista di voi spingete col pianger pi forte, s chaltro amor non possa pi tradirvi. Questo desia e vuol lanima trista, perci che cose grave pi che morte lordisti gi incontro nel seguirvi.

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LXXIV Cader post in que legami, Amore, ne quai tu nhai gi molti avviluppati; rotte ti sien le braccia, ed ispuntati gli artigli e lali spennate e l vigore tolto, e la deit tua sia n orrore a quei che nasceran e che son nati, e sianti larco e gli strali spezzati, e il tuo nome sia sempre dolore: bugiardo, traditore e disleale, frodolente, assassin, ladro, scherano, crudel tiranno, spergiuro, omicida; ch dopo il mio lungo servire invano mi proponesti tal, chassai men vale: caggia dal ciel saetta che toccida.

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LXXV I non ardisco di levar pi gli occhi inverso donna alcuna, qualora i penso quel che mha fattuna. Nessuno amante mai con fermo core o con puro volere donna serv, comio servia costei; e quando pi fedele al suo valore credea merito avere, giovane novo f signor di lei. Ondio bassando gli occhi dico: Omei! Non ne mirar nessuna, ch come questa forse inganna ognuna.

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LXXVI Non so qual i mi voglia, viver o morir, per minor doglia. Morir vorre, ch l viver m gravoso, veggendo me per altri esser lasciato; e morir non vorre; ch, trapassato, pi non vedrei l bel visamoroso, per cui piango, invidioso di chi lha fatto suo e me ne spoglia.

LXXVII Il fior, che l valor perde da che gi cade, mai non si rinverde. Perduto ho il valor mio, e mia bellezza non ser comera: per ch l van disio, chi perde il tempo ed acquistarlo spera; io non son primavera, che ogni anno si rinnova e fassi verde. Io maledico lora che l tempo giovenil fuggir lassai; fantina essendo ancora, esser abbandonata non pensai: non se rallegra mai chi l primo fior del primo amore perde. Ballata, assai mi duole che a me non lice di metterti in canto; tu sai che l mio cor vole vivere con sospiri doglia e pianto: cos far fin tanto che l foco di mia vita giunga al verde.

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Rime

Parte prima

LXXVIII Riccio barbiere a messer Giovanni Boccaccio Sio avesse pi lingue che Carmente non ebbe, o fosse Appollo in me inchiuso, sarebbe el sole nellorion rinchiuso pi duna volta, del nostro oriente, che io potessi dire enteramente vostra magnificenza e moderno uso: ondio per di ci a voi mi scuso a guisa chal maestro fa el discente. Ma pi del dubbio ha presso lo ntelletto, il qual di vera luce pi maffosca, che non fa la nebbia verde lama. Se uom pu pi amar che non conosca e se conoscer pu pi che non ama, come da voi per altra volta detto, da voi siami chiarito con effetto.

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15 LXXVIIIbis

Risposta a Riccio Barbiere Allor che l regno dEtiopia sente il rodopeo cristallo esser deluso, e de sui ogni serpe leva el muso, surge a mortali un nobile ascendente, del quale f la Sidonia dolente pruove, al parlar, che sai, alto e diffuso; non Pompeo Magno, Giuba o il nobil Druso videro el ciel mai oprare altrimente. Per, se ben ti recherai al petto, con quale ago vedrai punga la mosca di ci che l tuo disio s caldo brama. Vedrai ancora che la gente tosca risponder sappia quandaltri la chiama, e per rampogna rendere un sonetto: ben charte non sia a te qual lintelletto.

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Giovanni Boccaccio

Rime

Parte prima

LXXIX

Sonetto di ser Cecco di Meletto de Rossi da Forl mandato a messer Francesco Petrarca, a messer Lancillotto Anguissola, a maestro Antonio da Ferrara e a messer Giovanni Boccaccio. Voglia il ciel, voglia pur seguir leditto che imposto fu da prima alli ampi giri, e rote intorno lorbe con quei spiri che giungon li elementi e lcentro inscritto: 5 che per servar quello antico rescritto, o che larmata man ver noi sadiri di Giove fulminando, o qual sammiri di tener lunare el sol trafitto. Non alcun che si cuopra alle saette 10 avvelenate che l bel viver fura, s che luman valor fra i bruti mette; e radi son, che con la mente pura conosca il suo Fattore o sue vendette: ma Lui non val parlar con lingua scura. 15 Le stelle erranti osservan lor viaggio, n noi costringe a seguitar suo raggio. Risposta di messer Giovanni Boccaccio. Lantiquo padre, il cui primo delitto ne fu cagion di morte e di sospiri, pose assai poco modo ai suoi desiri, essendo stato pur allor descritto. 5 Ma quel ritroso popul, che dEgitto non senza affanni usc dopo i martiri, ben chei vedessi mille fatti miri, rade volte segu consiglio dritto. Per che, se noi delle cose elette 10 pi lontan siamo, seguitar misura del ciel men grava allanime perfette. ben che spesso semplice paura solare eclisse o squarciar nuvolette faccia, chi l sente poco se ne cura. 15 Quel che mor per trarne di servaggio merc navr per lo cammin selvaggio.

LXXIXbis

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Parte prima

LXXX Larco degli anni tuoi trapassathai, cambiato il pelo e la virt mancata, di questa tuo picciola giornata gi verso l vespro camminando vai; buono adunque amor lasciare omai, e a pensar dellultima posata dice lanima seco, innamorata, qualor punta da non usati guai. Ma come lombra vede di colei, non vo dir gli occhi, che nel mondo venne per dar sempre cagione a sospir miei, cos allalto vol si trae le penne, e passi volge tutti a seguir lei, come f gi quando me si convenne.

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LXXXI Ad Antonio Pucci. Due belle donne nella mente Amore mi reca spesso, luna delle quali e di bellezze e di virtute eguali allaltra un poco di tempo maggiore. 5 Ma del vestir di ciascuna l colore in abito la mostra diseguali, per che mi dice parole cotali, il qual udirai appresso, l mio signore: Questa leggiadra e gaia giovinetta 10 pulzella veramente; e laltra poi, di brun vestita, vedova dimora. Ma perch amar non possonsi a unora, luna convien ti sia donna per noi: tosto d quale amar pi ti diletta. 15 In ci da me non so prender consiglio; per ricorro a te: dimmi qual piglio.

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Rime

Parte prima

LXXXIbis Risposta d Antonio Pucci. Tu mi se intrato s forte nel core con le tue dolci rime naturali, che tutti i mie disiri temporali son di servirti e non d altro tenore. Ben ch io d ogn esser sia di te minore, com io sapr cos ti dir: sali, poich Amor di s fatti segnali ti dice: Piglia qual ti par migliore. Se nnanzi che sospinga la saetta ti d le prese ne diletti tuoi, prendi l vantaggio e a poter lonora. Chi di fanciulla vergine innamora con dubbio segue gli sembianti suoi, per che rado attien quel che prometta. Onde io ti dico, come a padre figlio, che per la vedova abbandino il giglio.

LXXXII Dietro al pastor dAmeto alle materne ombre scendea quel che ad Agenre furt la figlia, quella il cui valore nei mur troiani ancor vi si discerne, quando tal donna, quale ad Oloferne con fiero augurio si arse il tristo core, mapparve, accesa con quello splendore ch terza luce nelle rote etterne. E femmi tal, vezzosa riguardando, qual f Cupido la figlia di Belo, stando ella attenta ed Enea ragionando. Laondio ardo, ed ardendo del gelo che sent Biblis temo, immaginando che l vestir bruno ed il candido velo non la faccia crudel ovvero onesta, oltre l disio che per lei mi molesta.

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Rime

Parte prima

LXXXIII Sio veggio il giorno, Amor, che mi scapestri de lacci tua, che s mi stringon forte, vaga bellezza n parole accorte n alcun altri mai piacer terrestri tanto potranno, chio pi mincapestri e mi rimetta nelle tua ritorte: avanti andr, fin che venga la morte, pascendo lerbe per gli luoghi alpestri. Tu mhai il cibo, il sonno ed il riposo e il parer uom fra gli altri ed il pensiero tolto, che io di me aver devrei, ed hami fatto del vulgo noioso favola divenire; ondio dispero mai poter ritrovar quel chio vorrei.

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LXXXIV S fuor dogni pensier, nel qual ragione passeggi o stia, seguendo lappetito, il mio folle pensier del tutto uscito, che paura nol pu n riprensione, n ancora colei che n cagione, avendo il suo bel viso assai seguito, ritrar dal corso, nel quale smarrito corro allultima mia destruzione. Cos fa, lasso, negli anni migliori il creder troppo al fervente desio e linvescarsi in le reti damore; che, quando vuol, non pu poi degli errori disvilupparsi il misero, che Dio e s offende, e vive male e muore.

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Parte prima

LXXXV Quandio riguardo me vie pi che l vetro fragile, e gli anni fuggir comil vento, s pietoso di me meco divento, che dir nol porria lingua, non che metro; piangendo il tempo, chho lasciatarietro mal operato, e prendendo spavento de casi, i quai talora a cento a cento posson del viver tormi il cammin tetro. N mi pu doglia, per ci, n paura la vaga donna trarre della mente, dovAmor disegn la sua figura. Per che, sio non minganno, certamente la fine a questamor la sepultura dar, ed altro no, ultimamente.

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LXXXVI Ippocrate, Avicenna o Galieno, diamante, zafir, perla o rubino, brettonica, marrobio o rosmarino, psalmo, evangelio ed orazion vien meno; piova n vento, nuvol n sereno, mago n negromante n indovino, tartaro n giudeo n saracino, n povert n doglia, ondio son pieno, poteron mai del mio petto cacciare questo rabbioso spirito damore, cha poco a poco alla morte mi tira. Ondio non so che mi debba sperare; ed ei dognaltro affan mi caccia fuore, come vuol, maffligge e mi martira.

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Parte prima

LXXXVII SAmor, li cui costumi gi moltanni con sospiri nfiniti provathai, t or pi grave che lusato assai, perch, seguendol, te medesmo inganni, credendo trovar pace tra gli affanni? perch da lui non ti scavresti omai? perch nol fuggi? e forse ancor avrai, libero, alcun riposo de tua danni. Non si racquista il tempo che si perde per perder tempo, n mai lagrimare per lagrimar restette, comuom vede. Bastiti chad Amor il tempo verde, misero, desti, ed ora, cha imbiancare cominci, di te stesso abbi mercede.

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LXXXVIII Grifon, lupi, leon, bisce e serpenti, draghi, leopardi, tigri, orsi e cinghiari, disfrenati cavai, tori armentari, rabbiosi can, tempeste e discendenti folgori, tuoni, impetuosi venti, ruine, incendi, scherani e corsari, discorridori armati e sagittari soglion fuggir le paurose genti: ma io, che non son tal, perch discerno comorribil fuggirmi a chi non torna, fuggita, se non vede dipartirme? forse son io el diavol dellinferno? e crederrel sio avessi le corna, poich cos a costei veggio fuggirme!

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Parte prima

LXXXIX Poco sennha chi crede la fortuna o con prieghi o con lacrime piegare, e molto men chi crede lei fermare con senno, con ingegno, o arte alcuna. Poco sennha chi crede atar la luna a discorrer il ciel per suo sonare, e molto men chi ne crede portare, morendo, seco lor che qui raguna. Ma pi chaltri mi par matto colui cha femina, qual vogli, il suo onore, sua libert e la vita commette. Elle donne non son, ma doglia altrui, senza piet, senza f, senzamore, liete del mal di chi pi lor credette.

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XC Era l tuo ingegno divenuto tardo e la memoria confusa e smarrita e lanima gentil quasi invilita drietal riposo del mondo bugiardo; quando taccese l mio vago riguardo e suscit la virt tramortita, tanto chio tho condotto ove sinvita al glorioso fin ciascun gagliardo. In te sta el venir, se lintelletto aggiungi, drieta me, che la corona ti serbo delle frondi tanto amate. Che farai? vienne! mi dice nel petto la donna per la quale Amor mi sprona: ed io mi sto, tant la mia viltate.

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Parte prima

XCI Infra leccelso coro dElicona mi trasport laltrieri il mio ardire; l dove, attento standomi ad udire ci che in quel sadopra e si ragiona, qual forse gi fu la lacona donna di Paris, una ninfa uscire dun lieto bosco e verso me venire co crin ristretti da verde corona. A me venuta disse: Io son colei che fo di chi mi segue il nome etterno, e qui venuta sono ad amar presta; lieva su, vieni!; ed io, gi di costei acceso, mi levai: ondio, dinferno uscendo, entrai nellamorosa festa.

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XCII O Giustizia regina, al mondo freno, mossa dalta virt dal sommo cielo, or fredda e pigra sta coverta a velo. Rompe questaire e mostra tuttel corso, e scendi con tuo forze e con lardire, che tal virt non manchi al buon disire. Fenda lusata spada, e non con fretta, che colpi non fien tardi a chi gli aspetta.

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Parte prima

XCIII Fuggit ogni virt, spent il valore che fece Italia gi donna del mondo, e le Muse castalie son in fondo, n cura quasalcun del lor onore. Del verde lauro pi fronda n fiore in pregio sono, e ciascun sotto il pondo dellarricchir sottentra, e del profondo surgono i vizi triunfando fore. Per che, se i maggior nostri hanno lasciato il vago stil de versi e delle prose, esser non deti maraviglia alcuna. Piangi dunque con meco il nostro stato, luso moderno e lopre viziose, cui oggi favoreggia la fortuna.

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XCIV Apizio legge nelle nostre scole e l re Sardanapalo, e lor dottrina di gran lunga preposta alla divina dagli ozi disonesti e dalle gole. E verit n in fatti n in parole oggi si truova, e ciaschedun inchina allavarizia s coma reina, la quale in tutto pu ci che la vuole. Onest s partita e cortesia, ed ognaltra virt al ciel tornata, ed insieme con esse leggiadria dalle villane menti discacciata; ma quanto questo per durar si sia, Iddio sel sa, chad ogni cosa guata.

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Parte prima

XCV Saturno al coltivar la terra puose gi lungo studio, e Pallade lo ingegno alle meccaniche arti, ed Ercul degno si f di etterna fama lorgogliose fiere domando; e lopre virtuose de buon Romani el nome loro e l regno ampliar ultra ad ogni mortal segno, e dAlessandro le imprese animose. Cos filosofia fece Platone, Aristotele ed altri assai famosi, ed Omero e Vergilio i versi loro. Oggi seria reputato un montone chi torcesse el camin dalli studiosi di perder tempo ad acquistar tesoro.

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XCVI Tanto ciascun ad acquistar tesoro con ogni ingegno s rivolto e dato, che quasi a dito per matto mostrato chi con virt seguisce altro lavoro. Per che costante stare infra costoro oggi conviensi, nel mondo sviato, a chi, come tu fosti, infiammato, Febo, del sacro e glorioso alloro. Ma perch tutto non pu la virtute ci chella vuol, senza il divino aiuto, a te ricorro, e prego mi sostegni contra li fati avversi a mia salute, dopo il giusto affanno, il gi canuto capo dalloro incoronar ti degni.

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Parte prima

XCVII Sovra li fior vermigli e capei doro veder mi parve un foco alla Fiammetta, e quel mutarsi in una nugoletta lucida pi che mai argento o oro. E qual candida perla in anel doro, tal si sedeva in quella unangioletta, volandal cielo splendida e soletta, doriental zafir vestita e doro. Io mallegrai, alte cose sperando, dovio dovea conoscer che a Dio in breve era madonna per salire, come poi fu: ondio qui, lagrimando, rimaso sono in doglia ed in desio di morte per potere a lei salire.

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XCVIII Parmi tal volta, riguardando il sole, assai pi che lusato acceso; per chio con meco dico: Forse esteso si siede in quello il mio fervente sole, il quale agli occhi miei sempre fu sole poscia chio fui ne lacci damor preso; per certo ei v: per di tanto peso son ora e raggi di questaltro sole. E s nel cor simpronta esto pensero, che mi pare veder, guardando in esso, s come aquila face, intento e fiso, la fiamma mia, e dessa assai intero ogni contegno, e conoscer da presso li capei doro e crespi ed il bel viso.

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Parte prima

XCIX Dormendo, un giorno, in sonno mi parea quasi pennuto volar verso il cielo drieto allorme di quella, il cui bel velo cenere fatto, ed ella fatta dea. Quivi s vaga e lieta la vedea, charder mi parve di pi caldo gelo chio non solea, e dileguarsi il gelo chin pianto doloroso mi tenea. guardando, langelica figura la man distese, come se volesse prender la mia; ed io mi risvegliai. Oh quanta fu la mia disavventura! Chi sa, se ella allor preso mavesse, e sio quaggi pi ritornava mai?

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C Se la fiamma degli occhi, chor son santi e che per me fur dardi e poi catene, mortificasse alquanto le mia pene e rasciugasse e grevi e lunghi pianti, io udirei quelli angelici canti, chode chi vede il sommo e vero bene, n vagando anderei drieto alla spene, chin questa vita molti ne fa erranti. Ma essa, etterna, le cose mortali disdegna, e ride del pensier fallace, che mi sospinge dovognor pi ardo; per che temo che mai alle mia ali non verran penne, che a tanta pace levar mi possan dal mondo bugiardo.

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Parte prima

CI Che cerchi, stolto? che dintorno miri? cenere sparta son le membra in chio piacqui gi tanto al tuo caldo desio e mossi il petto ai pietosi desiri. Perch non lievi gli occhi agli alti giri? Io dico al ciel, anzal regno di Dio, dove pi bel che mai il viso mio veder potrai, e pien de tuoi desiri. Cos con meco talora ragiona la bella donna, vedendo cercarmi quel che giammai quaggi veder non deggio. Ma come ravveduto mabbandona, piangendo penso come qui impennarmi possa, e volar al suo beato seggio.

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CII Dante, se tu nellamorosa spera, comio credo, dimori riguardando la bella Bice, la qual gi cantando altra volta ti trasse l dovera: se per cambiar fallace vita a vera amor non se noblia, io ti domando per lei, di grazia, ci che, contemplando, a far ti fia assai cosa leggiera. Io so che, infra laltre anime liete del terzo ciel, la mia Fiammetta vede laffanno mio dopo la sua partita: pregala, se l gustar dolce di Lete non la mha tolta, in luogo di merzede, a s mimpetri tosto la salita.

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Parte prima

CIII Era sereno il ciel, di stelle adorno, e i venti tutti nelle lor caverne posavono, e le nuvolette alterne resolute eron tutte intorno intorno, quanduna fiamma pi chiara che l giorno, rimirandio alle cose superne, veder mi parve per le strade etterne volando fare al suo loco ritorno; e di quella ver me nascer parole, le quai dicien: Chi meco esser desia, benignesser convien ed ubbidiente e dumilt vestito; e, saltro vuole cammin tener, giammai meco non fia nel sacro regno della lieta gente.

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CIV Le rime, le quai gi fece sonore la voce giovinil ne vaghi orecchi, e che movien de mia pensier parecchi a quel desio che minfiammava il core, scrivendole come dettava Amore, han fatto chiocce gli anni gravi e vecchi, poscia che morte ruppe quelli specchi, da quai forza prendea lo mio vigore. come il viso angelico tornossi al regno l, dondera a noi venuto per farne fede dellaltrui bellezza, e i passi miei di drieto a lui fur mossi, n rima poi n verso m piaciuto, n altro che il seguir la sua altezza.

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Rime

Parte prima

CV DOmero non pot l celeste ingegno a pien mostrar di Elna l vago riso, n Zeusi, dopo, lalte bel diviso, quantunque avesse di molte il disegno: e per contro a me stesso non sdegno, se l glorioso ben di paradiso scriver non so, n langelico viso, cha l mio cor seco nel celeste regno. Ma chi desia veder quella bellezza, che sola tenne in la vita mortale, duom non aspetti alcun dimostramento, ma di sacra virt simpenni lale e su sen voli in la suprema altezza: l la vedr, e rimarr contento.

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CVI S accese fervente il mio desio di seguitar colei, che quivi in terra con il suo altero sdegno mi f guerra infin allor chal ciel se ne salio, che, non chaltri, ma me metto in oblio: e parmi nel pensier, che sovente erra, quella gravezza perder che matterra, e quasi uccel levarmi verso Dio: e trapassar le spere, e pervenire davanti al divin trono, infra i beati, e lei veder, che seguirla mi face, s bella, chio non so poscia ridire, quando ne luoghi lor son ritornati gli spiriti, che van cercando pace.

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Parte prima

CVII Mentre sperai e luno e laltro collo trascender di Parnaso e ber dellonde del castalio fonte e delle fronde, che gi pi chaltre piacquero ad Appollo, adornarmi le tempie, umil rampollo de dicitori antichi, alle gioconde rime mi diedi; e ben che men profonde fosser, cantane in stil leggiero e sollo. Ma poscia che l cammino aspro e selvaggio, e gli anni miei gi faticati e bianchi tolser la speme del mio pervenire, vinto, lasciai la speme del viaggio, le rime e i versi e i miei pensieri stanchi, ondor non so, comio solea gi, dire.

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CVIII Il vivo fonte di Parnaso e quelle frondi, che furnad Appollo pi care, mha fatto lungo tempo Amor cercare drietalla guida delle vaghe stelle, che fra lombre salvatiche le belle Muse gi fer molte volte cantare; n mha voluto fortuna prestare desser potuto pervenire ad elle. Credo nha colpa il mio debil ingegno, chalzar non pu a vol s alto lale, e non ha gi studio o tempo perduto. Dar dunque riposo allalma frale, e mi dorr di non aver potuto di quelle farmi, faticando, degno.

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Parte prima

CIX Dura cosa ed orribile assai la morte ad aspettare e paurosa, ma cos certa ed infallibil cosa n fu n n, credo, sar mai; e l corso della vita breve, chhai, e volger non si pu n dargli posa; n qui si vede cosa s gioiosa, che l suo fine non sia lagrime e guai. Dunque perch con operar valore non cingegniamo di stender la fama e con quella far lunghi e brevi giorni? Questa ne d, questa ne serva onore, questa ne lieva degli anni la squama, questa ne fa di lunga vita adorni.

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CX Assai sem raggirati in alto mare, e quanto possan gli empiti de venti, londe commosse ed i fier accidenti, provatabbiamo; n gi il navicare alcun segno, con vela o con vogare, scampati ci ha dai perigli eminenti fra duri scogli e le secche latenti, ma sol Colui che, ci che vuol, pu fare. Tempo omai da reducersi in porto e lancore fermare a quella pietra, che del tempio congiunse e dua parieti; quivi aspettar el fin del viver corto nellamor di Colui, da cui simpetra con umilt la vita de quieti.

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Parte prima

CXI Quante fiate indrieto mi rimiro, maccorgo e veggio che io ho trapassato, forse perduto e male adoperato, seguendo in compiacermi alcun desiro, tante con meco dolente madiro, sentendo quel, cha tutti sol n dato, esser cos fuggito, anzi cacciato da me, che ora indarno ne sospiro. E so s conceduto che mia danni ristorar possa ancor di bel soggiorno in questa vita labile e meschina? Perch passato larco de mia anni, e ritornar non posso al primo giorno, e lultimo gi veggio savvicina.

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CXII Fuggesi il tempo, e l misero dolente, a cui si presta ad acquistar virtute, fama perenne ed etterna salute, el danno irreparabile non sente; ma neghittoso forma nella mente cagion allozio e scusa alle perdute doti, le quai poi tardi conosciute piange, tapino, e senza pro si pente. Surge col sol la piccola formica nel tempo estivo, e si raguna lesca, di che nel freddavverso si nutrica. Al negligente sempre par chincresca: onde nel verno muore, o chei mendica, e spesse volte senza lenza pesca.

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Parte prima

CXIII Fassi davanti a noi il Sommo Bene col grembaperto e pien de suoi tesori, ed, acci che ciascuna se ninnamori, a mostrar quali e son sovente viene; e di signore amico ne diviene, saprir vogliangli i nostri freddi cuori, e spira quinci e quindi e santi ardori a raffrenar le colpe e tor le pene. E noi, protervi ritrosi e selvaggi, ci ritraiam indrieto, ed al fallace ben temporale ostinati crediamo: dal qual menati per falsi viaggi, perdian, miseri noi, letterna pace, e nel foco perpetuo caggiamo.

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CXIV Volgiti, spirto affaticato, omai, volgiti, e vedi dove sei trascorso, del desio folle seguitando l corso, e col pi nella fossa ti vedrai. Prima che caggi, svegliati; che fai? torna a Colui, il quale il ver soccorso a chi vuol presta, e libera dal morso della morte dolente, alla qual vai. Ritorna a Lui, e lultimo tuo tempo concedi almeno al suo piacer, piangendo lopere mal commesse nel passato. N ti spaventi il non andar per tempo, chEi ti ricever, ver te facendo quel che gi fece allultimo locato.

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Parte prima

CXV O Sol, challumi lune laltra vita, e dentro al pugno tuo richiudi il mondo, poi non ti parve grave il mortal pondo per ritornarci nella via smarrita, se pietosorazion fu mai udita, chal ciel venisse a te da questo fondo, a me, che l mio bisogno non ascondo, presta i benignorecchi e s maita. Io ho, seguendo gli terren diletti e i tuo comandamenti non curando, offeso spesso la tua maiestade: or mi ravveggio, come tu permetti, e di tuo corte mi conosco in bando; per, di grazia, addomando pietade.

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CXVI O giorioso Re, che l ciel governi con etterna ragione e de mortali sol conosci le menti, e quante quali e nostri pensier sien chiaro discerni, deh volgiti ver me, se tu non sperni gli umili prieghi, e laffezion carnali da me rimuovi e s mimpenna lali, che io possa volare a beni etterni. Lieva dagli occhi mia loscuro velo che veder non mi lascia lo mio errore, e me sviluppa dal piacer fallace; caccia dal petto mio il mortal gelo, e quellaccendi s del tuo valore, che io di qui ne vegna alla tua pace.

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Parte prima

CXVII Non treccia doro, non docchi vaghezza, non costume real, non leggiadria, non giovanettet, non melodia, non angelico aspetto n bellezza pot tirar dalla sovrana altezza il Re del cielo in questa vita ria ad incarnar in te, dolce Maria, Madre di grazia e specchio dallegrezza; ma lumilit tua, la qual fu tanta, che pot romper ognantico sdegno tra Dio e noi, e far il ciel aprire. Quella ne presta adunque, Madre santa, s che possiamo al tuo beato regno, seguendo lei devoti, ancor salire.

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CXVIII O luce etterna, o stella mattutina, la qual chiuder non pu Borea n Austro, della nave di Pier timone, e plaustro del biforme grifon, che la divina citt lasci per farsi medicina, pria s chiudendo nel virginal claustro, del mal che gi commise il protoplaustro disubbidendo in nostra e sua rovina; volgi gli occhi pietosi allo mio stato, Donna del cielo, e non maver a sdegno, perchio sia di peccati grave e brutto. Io spero in te, e n te semprho sperato: prega per me, ed esser mi fa degno di veder teco il tuo beato frutto.

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Parte prima

CXIX O Regina degli angioli, o Maria, chadorni il ciel con tuoi lieti sembianti, e stella in mar dirizzi e naviganti a porte segno di diritta via, per la gloria ove sei, Vergine pia, ti prego guardi a mia miseri pianti; increscati di me, tomi davanti linsidie di colui che mi travia. Io spero in te ed ho sempre sperato: vagliami il lungo amore e reverente, il qual ti porto ed ho sempre portato. Dirizza il mio cammin, fammi possente di divenir ancor dal destro lato del tuo Figliuol, fra la beata gente.

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CXX Tu mi trafiggi, ed io non son dacciaio: e sa dir mi sospingon le punture, a dover ritrovarti le costure, credo parratti desto un gran vespaio. Deh, tu mhai pieno, anzi colmo, lo staio; bastiti omai, per Dio, e non mindurre a dettar versi delle tua lordure, chio sar daltra foggia, chio non paio. E poi che la parola uscita fuore, indrieto ritornar non si pu mai, n vale il dir: vorrei aver creduto. Sel ti prude la penna, il folle amore e la fortuna dan da dire assai: in ci trastulla lo tuo ingegno acuto.

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CXXI Poi satiro sei fatto s severo nella mia colpa ed tti s molesta, credo sarebbe cosa assai onesta prima lavasse il tuo gran vitupero, che mordesse laltrui: uom sa, per vero, la dolorosa e puzzolente festa che festi del tuo nato, quandin questa vita l produsse il natural sentiero. N lascia questo divenire antiquo linfamia tua, ch nel cinquantesmo gravida avevi quella cui tenevi. O crudel patre, o sacerdote iniquo! Poi, dovuom scarca l ventre, per battesmo si dieda quel cui generato avevi.

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CXXII Sio ho le Muse vilmente prostrate nelle fornice del vulgo dolente, e le lor parte occulte ho palesate alla feccia plebeia scioccamente, non cal che pi mi sien rimproverate s fatte offese, perch crudelmente Appollo nel mio corpo lha vengiate in guisa tal, chogni membro ne sente. Ei mha duom fatto un otre divenire, non pien di vento, ma di piombo grave tanto, chappena mi posso mutare. N spero mai di tal noia guarire, s dogni parte circondato mhave; ben so per che Dio mi pu aiutare.

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Rime

Parte prima

CXXIII Se Dante piange, dove chel si sia, che li concetti del suo alto ingegno aperti sieno stati al vulgo indegno, come tu di, della lettura mia, ci mi dispiace molto, n mai fia chio non ne porti verso me disdegno: come chalquanto pur me ne ritegno, perch daltrui, non mia, fu tal follia. Vana speranza e vera povertate e labbagliato senno delli amici e gli lor prieghi ci mi fecer fare. Ma non goderan guar di tal derrate questi ingrati meccanici nimici dogni leggiadro e caro adoperare.

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CXXIV Gi stanco mhanno e quasi rintuzzato le rime tua accese in mia vergogna; e quantunque a grattar della mia rogna io abbia assai nel mio misero stato, pur ho tal volta, da quelle sforzato, risposto a quel che la tua penna agogna, la qual non fu temperata a Bologna, se ben ripensi il tuo aspro dettato. Detto ho assai che io cruccioso sono di ci che stoltamente stato fatto, ma frastornarsi non si puote omai. Per ti posa ed a me d perdono, chio ti prometto ben che n tal misfatto pi non mi spinger alcun giammai.

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Parte prima

CXXV Io ho messo in galea senza biscotto lingrato vulgo, e senza alcun piloto lasciato lho in mar a lui non noto, ben che sen creda esser maestro e dotto: onde el di su spero veder di sotto del debol legno e di sanit voto; n avverr, perchei sappia di nuoto, che non rimanga l doglioso e rotto. Ed io, di parte eccelsa riguardando, ridendo, in parte piglier ristoro del ricevuto scorno e dellinganno; e tal fiata, a lui rimproverando lavaro senno ed il beffato alloro, gli crescer e la doglia e laffanno.

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CXXVI Or sei salito, caro signor mio, nel regno, al qual salire ancor aspetta ognanima da Dio a quelleletta, nel suo partir di questo mondo rio; or se col, dove spesso il desio ti tir gi per veder Lauretta; or sei dove la mia bella Fiammetta siede con lei nel cospetto di Dio. Or con Sennuccio e con Cino e con Dante sicuro detterno riposo mirando cose da noi non intese. Deh, sa grado ti fui nel mondo errante, tirami drieto a te, dove gioioso veggia colei che pria damor maccese.

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Parte seconda

Parte seconda

I Iscinta e scalza, con le trezze avvolte, e duno scoglio in altro trapassando, conche marine da quelli spiccando, giva la donna mia con altre molte. E londe, quasi in s tutte raccolte, con picciol moto i bianchi pi bagnando, innanzi si spingevan mormorando e ritraensi iterando le volte. E se tal volta, forse di bagnarsi temendo, i vestimenti in su tirava, s chio vedeo pi della gamba schiuso, oh, quali avria veduto allora farsi, chi rimirato avesse dovio stava, gli occhi mia vaghi di mirar pi suso!

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II O d felice, o ciel chiaro sereno, o prati, o arbuscegli, o dolci amori, o angeliche voci, o lieti cori, de qual i vidi un bel giardin ripieno; o celeste armonia, la qual seguieno non so si dica angelichi splendori o vergini terrene, e tra be fiori e le piante danzando si movieno! Chi con istile ornato e con preciso discrivere ne potria le vedute bellezze, omai mo viste fra mortali? Non io, chesser credendo in paradiso, muover sentii secreta virtute, che l cor mapr con pi di mille strali.

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Parte seconda

III Doro crespi capelli ed annodati da s e da verde frondi e bianchi fiori, un angelico viso e due splendori simili a stelle, e atti non usati veder fra noi, vezzosi e riposati, e un cantar di pi gioiosi amori soave e lieto ben tra mille fiori del primo tempo, insieme radunati in un giardino nato ad un bel fonte, posAmore in amare alla mia mente libera ancora, semplice e leggera. N pria, dal canto desto, alza la fronte, che tutte laccerchiar subitamente e presa a lui la dier, che vicin era.

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IV Levasi il sol tal volta in oriente, senzalcun raggio e rosso pe vapori; la luna, maculata di colori oscuri, appar men bella e men lucente; e del cielo ne sono assai sovente dalle nuvole tolti gli splendori; e nostri lumi, vie molto minori, per poco vento diventan niente. Ma que begli occhi splendidi, ne quali Amor fabrica e tempra le saette che mi passano il core a tutte lore, nebbia N vento curan, ma son tali quai furon sempre: due vive fiammette, lucenti pi chalcuno altro splendore.

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Parte seconda

V I cape dor, di verde fronde ornati, gli occhi lucenti e langelico viso, i leggiadri costumi e l vago riso di questa onesta donna hanno scacciati tutti li mia disiri, e sono in atti di s somma bilt qual io diviso, ed hanno di lor fatto un paradiso degli occhi mei, pi chaltri, innamorati. Onde ogni altra bellezza m noiosa: questa mi piace e questa vo cercando, in questa ogni mia gioia si riposa. Per lei sospiro e per lei vo cantando, per lei maggrada la vita amorosa, per lei salute spero disando.

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IX Io mi credea troppo ben laltrieri ricoverato aver mia libertate: rotti avea i legami ed ispezzate le porte ed ingannati i prigionieri, e come per salvatichi sentieri fuggiva forte e per vie disusate; ma la sventura, che le mia pedate segu, fece vani i mia pensieri. Perci chAmor, dondio non avvisai, vedendo mi rinchiude, e le sua armi ver me drizzando grid: Tu se giunto! O fuggitivo servo, ove ne vai? E rider, e l prender me e rilegarmi e l darmi a sua ministri fu in un punto.

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X Il mar tranquillo, producer la terra fiori ed erbette, el ciel queto girarsi, gli uccelli pi che lusato allegrarsi, quando fuori Eol zefiro disserra, ho gia veduto; se l veder non erra, veggio le donne belle e vaghe farsi, e le bestie ne boschi accompagnarsi, e pace e triegua farsi dogni guerra, posarsi i buoi delle fatiche loro, e bobolchi e pastor sotto alcuna ombra cercare il fresco e riposarsi alquanto. Ma io, che per amor mi discoloro, e cui disio pi che speranza ingombra, riposare non posso tanto o quanto.

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XI Sio potessi lo specchio tenere al cui consiglio fersi le saette, che mhanno il cor degli anni pi di sette passato senza alcun contasto avere, da lui mingegnere quelle sapere fabbricar io, e qual tempra le mette; po con alquante delle pi elette vi metterei nel petto il mio piacere. E ci saria vedervi sospirare, gridar merc senza trovarla, sio non fussi prima di vendetta sazio. Forse potresti ancor, donna, apparare lanimo altero fare umile e pio, e di non far daltrui giocondo istrazio.

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XVII I ho gi mille penne e pi stancate scrivendo in rima ed in parlar soluto langoscioso dolor, chho sostenuto lunga stagione aspettando pietate; e, sio non erro, assai men quantitate quietare il mar da venti combattuto, e qualunqualto monte avrien dovuto muover del luogo suo, men faticate, non che l cuor duna donna: il qual niente per lor di sua durezza s mutato, ma stassi freddo come ghiaccio allombra. Ondio mi struggo, e dolorosamente piango la mia fortuna disperato; N l cuor per tutto questo non mi sgombra.

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XIX Le nevi sono e le piogge cessate, lira del ciel, le nebbie e le freddure; i fior, le frondi e le fresche verdure, i lieti giorni e le feste tornate. Le donne son pi che lusato ornate, e tutte quasi Amor le creature trastulla e mena per le sue pasture, nel nuovo tempo, credo, innamorate. Per chio conosco ci chio non vorrei: a Baia n seno esser colei invita che muove e gira tutti e disir miei. Or dormissio infino alla reddita, o girmene potessi l con lei, o non saper chella vi fosse ita.

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XX Per certo, quando il ciel con lieto aspetto riguarda ver la stagon novella, nulla contrada ha l mondo cos bella N dove pi si prenda di diletto. Quivi Amor regna senzalcun sospetto, o l ciel che l faccia o singulare stella; Venere credo poi venisse in quella, del mare uscendo, come in luogo eletto. Quivi le piagge, la marina, i prati son pien di donne e di leggiadri amanti, e ci che piace par vi si conceda. Quivi son feste e dilettosi canti; quivi si mettono amorosi agguati, N mai senza gioir si leva preda.

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XXII I vo, sonetto, i mie pensier fuggendo, come colui che se li trova rei, per che sempre parlan di colei che la mia morte vuole e va chiedendo, e s mi va, l dovio vo, seguendo ad occuparmi piu eh io non vorrei: N giungon pria, che l bel viso di lei col mio rimemorar vo dipingendo. E simil fan le liete feste avute lamor, la grazia, el piacer e l diletto, e lei pongon dinnanzi alla mia mente: le qual, come conosco esser perdute, n mai di rivederle pi aspetto, pianti e sospir si fan subitamente.

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XXIV I solea spesso ragionar damore e talora cantar del vago viso, del qual fatto savea suo paradiso, come di luogo eletto, il mio signore. Or il mio canto rivolto in dolore e trasmutato in pianto il dolce riso, po che per morte da no s diviso e terra divenuto il suo splendore. N sar mai challa mente mi torni quella imagine bella, che conforto porger solea a ciascun mio disire, che io non pianga e maladichi i giorni che tanto mhanno in questa vita scorto, chio sento del mio ben fatto martire.

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XXVIII O chAmor sia, o sia lucida stella, te nel mio meditar forma sovente leggiadra, vaga, splendida e piacente, qual viva esser solevi, e cos bella. Quivi con teco lanima favella, ode e risponde, e tanta gioia sente, che la gloria del ciel crede niente, quantunque grande, per rispetto a quella. Ma, com la viva imagine si fugge e rompesi il pensier che la tenea, e che n terra se cener mi ricorda, torna il dolor che mi consuma e strugge, e prego te che la morte mi dea di te seguir: deh, non esser ni sorda!

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Parte seconda

XXIX Rotto il martello, rott quella ncugge che solean fabbricar le dolce rime, e rotti i folli, rotte son le lime, e la fucina tutta si distrugge; il foco pi nel suo carbon non rugge, che riscaldava le materie prime, di che formando lopre non sublime, cantai del falso amor cui ragion fugge. E per cessa la mia vaga penna di recar fole con parole vane, e da cos fatta arte si rimane. Ma della fior soprana di soprane, che vince laltre come sauro brenna, pur tratter io laude alta e perenna.

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XXX Lasso! si mi lamento io nho ben donde, chio corsi e corro sempre gli anni rei, e per vo gridando: Omei, omei per piani e per montagne e sopra londe. E quando io mi ripenso i non so donde mi debba riposar gli stanchi piei, s mi menan girando i pensier miei pi forte assai che l vento non fa fronde. I non so per qual cielo o per qual fato, o qual fortuna o qual distinto in terra, o per qual stella mi fosse ordinato chio non dovessi mai uscir di guerra, e povert mi stesse sempre allato, come fa, che da me mai non si sferra.

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XXXII Dante Alighieri son, Minerva oscura dintelligenza e darte, nel cui ingegno leleganza materna aggiunse al segno che si tien gran miracol di natura. Lalta mia fantasia, pronta e sicura, pass il tartareo e poi l celeste regno, e l nobil mio volume feci degno di temporale e spiritual lettura. Fiorenza magna terra ebbi per madre, anzi matregna, e io piatoso figlio, grazia di lingue scellerate e ladre. Ravenna fummi albergo nel mio esiglio: ed ella ha il corpo, lalma ha il sommo Padre, presso a cui invidia non vince consiglio.

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XXXVIII Subita volont, nuovo accidente, volonteroso desider di fatto, velocissimo e ratto, Amor chiamato da ciascuno ignaro, figurato se ben propriamente come dipinto se stato ritratto; sicch la forma e latto risponde a te sanza nessun divaro; onde color che prima ti formaro conobbon tua natura per gli segni, ch or ridi ed or piagni, ora scherzi, or tadir come fanciullo, che veramente segue ogni trastullo. Quantunque falli, non i maraviglia, chi ben riguarda le tuo condizioni: le tuo operazioni rispondon bene a te secondo el vero. Tu se dipinto con velate ciglia, fanciullo ignudo, con piedi ed unghioni pungenti pi che sproni, sempre- con larco a saettar leggero, ch vai vagando senza alcun pensiero come colui in cui non fermezza: e la tua parvolezza, trascorre sempre dove tu no ntendi, figura il viso e gli occhi, che tu bendi. Tua stolta volont di voler vano, lessenzia tua essendo figura oscura, palese rifigura il nudo aspetto della tua sembianza. O falso nome di volere umano chiamato Amor, sollecita paura fuor dogni dirittura, volubile disio pien dignoranza, fanciullo detto se per la tua usanza.

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Li momenti da cui sono commosse le subite percosse da tentazioni furiose e carnali, non rappresentan altro gli tuoi strali. Ahi quanti e quali mille volte e mille nhai mal condotti, vanit disfrena, per far tua voglia piena, e quanti nhai condotti a morta] pena! Chi da riprender pi che l grande Achille, credendo in te che giammai Pulisena portasse una sol vena dAmor, che morto avea suo maggior bene? Ahi quanto arriva mai chi non sastenc da tue bramose volont moleste! Per tuo forti tempeste trecento mila tra greci e troiani succison mortalmente come cani. La stoltiza tua mostr Sansone come bambin che nulla ha resistenza, ch tutta sua potenza e tutto suo podere abbandonone; e per seguir tua voglia Salomone perd tutta la sa sapenza e la divina Essenza volonterosamente rinnegone. Tu sempre fuggi da ragion, con fone tenendo presi glingannati affetti, e s li tieni stretti: per dipinto se, come tu pigli, co piedi armati di pungenti artigli. Per tuo voler fu cacciato Saturno, Loferno ucciso per le man di Iuditte, per te l signor Davitte trad, adulter, fe omicidio, per te fu morto il valoroso Turno, per te le forze a Tarquinio sconfitte,

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per te furon trafitte le belle membra a Assalon, mal Cupido, per te succise la reina Dido, 75 per te suo padre abbandon Medea, per te il giovane Andrea, fu si pu dir pur ieri strangolato, e tutto il regno suo vituperato. Morto ne venne lalto re Art, 80 con cento milia cavalier pregiati, seguendo i tuoi agguati, sempre lun laltro a libito sconfisse: principio dogni mal sempre se tu, trasciolta voglia corrente a peccati. 85 Per te fur dinotati li primi padri, che Dio maledisse: per te fu sempre quanto mai si disse dice e dir mai per sino al fine: ma le virt divine 90 ti cacceran dal mondo (e cos sia), come tu se cagion dogni resia. Canzon, va palesando questo Amore, dico di quel chha le luci velate, le membra travisate, 95 come di sopra figurato scrivo. E una vanit piena derrore, volonterosa e serva libertate di varia vanitate, piacer corrotto e dintelletto privo, 100 a chi pi il serve disider nocivo, disordinato, controgni virtute, nemico di salute. Per chi ama onor da lui si guardi, prima che l senta, ch poi saria tardi.

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