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APPUNTI STORIA DELLA MUSICA I

I GRECI

Non esistono fonti scritte, anche se siamo in possesso di numerose fonti derivate da
letteratura, arti visive, miti e filosofia.

Avevano un sistema di notazione di tipo alfabetico.

La musica per i greci ha valore conoscitivo e curativo ed ha importanza filosofica,


matematica, pedagogica e, appunto, conoscitiva.

IL MITO è un racconto che serve a rappresentare simbolicamente concetti profondi. È un


insieme di significati che non culmina con una morale ma è una spiegazione simbolica
della natura e dell’ indole umana.

La musica è molto presente nel mito. Quello più celebre è di Orfeo, un semidio che con la
forza della sua musica interagisce con la natura e riesce a raggiungere l’ Ade per
recuperare Euridice, moglie defunta il giorno delle loro nozze. Orfeo riesce a farsi restituire
la moglie dagli dei, che gli impongono il divieto di voltarsi verso di lei fino a quando non
saranno tornati all’ esterno. Durante il tragitto Euridice si lamenta per il dolore del morso
(muore per il morso di una vipera). Appena uscito Orfeo si volta per verificare che il dolore
non avesse impedito alla moglie di seguirlo, ma lei non era ancora giunta fuori dalla porta
degli inferi e la perde per sempre.

Il significato di questo mito è che l’ uomo non può andare oltre la natura. La musica può
interagire con la natura, che rimane però indomabile.

Esistono poi due miti per spiegare la nascita dei due principali strumenti dei greci.

Aulòs (strumento a fiato a doppia ancia): Atena condanna medusa a vegliare le porte dell’
Ade. Medusa era brutta e incuteva timore. Atena volle creare uno strumento che
riproducesse i suoi versi mostruosi ma quando lo suonava diventava a sua volta brutta
per il gonfiarsi delle guance. Gettò via, quindi, l’ aulos, che fu raccolto dal satiro Marsia.
Egli sfidò Apollo che suonava la lira ma perse perché Apollo poteva anche parlare
contemporaneamente e dunque la sua musica era più alta. Marsia fu spellato vivo per la
sua superbia.

L’ aulos è legato ai riti orgiastici dionisiaci chiamati ditirambo.

Lira: Hermes ruba delle mandrie ad Apollo e mentre scappa incontra una tartaruga. La
scuoia e mette delle corde nel guscio. Regala la lira ad Apollo che ne è entusiasta e
concede ad Hermes le vacche

I miti in questione spiegano l’ indole degli strumenti. L’ aulos è irrazionale (Marsia) ma


deriva dal razionale (Atena), la lira è razionale (Apollo) ma deriva ad irrazionale (Hermes
che ruba).

LA TEORIA DELL’ ETHOS E I FILOSOFI GRECI

Pitagora per primo studia matematicamente gli intervalli musicali.

I numeri per i greci avevano valore conoscitivo, così come l’ anima. Studiando
matematicamente la musica, essa diveniva un mezzo per conoscere il cosmo.

Essendo la musica composta da numeri, essa influenzava attivamente la vita delle


persone. Andava quindi conosciuta e classificata. Questa è la teoria dell’ ethos: la musica
influisce attivamente sull’ indole umana e sul cosmo e va quindi gestita.

Per Platone esistono diverse armonie, ovvero scale o generi veri e propri. Alcune di esse
sono praticabili, come la dorica (armonia della virilità), mentre altre lo sono meno, come la
frigia (armonia dell’ entusiasmo) e la lidia (femminilità).

Damone precede Platone in questo pensiero. La teoria dell’ ethos è espressa da Platone
nella “Repubblica”, dove parla di società.

Si parla di musica perché parlarne teoricamente è benvisto e degno dei pensatori, ma la


pratica va ai musicopratici, ovvero servi. Questo pensiero è comune in tutti i teorici greci
che parlano di musica.

Le armonie che influiscono sul comportamento costituiscono la “catarsi allopatica”


platonica, secondo cui l’ individuo è purificato dal contatto con le giuste armonie e non da
quelle sconvenienti.

Per Aristotele, grazie alla tragedia, l’ uomo può vivere delle pulsioni, anche negative,
liberandosene. Ciò è alla base del concetto di “catarsi omeopatica” aristotelica. L’ uomo
di purifica attraverso l’ esperienza traumatica che vive durante lo spettacolo tragico.

Aristotele ipotizza la nascita della TRAGEDIA, così come farà Nietzsche.

Afferma che nasce dal ditirambo, un rito dedicato a Dioniso, che consiste nel dividersi
simbolicamente in satiri e menadi. I partecipanti vi si travestivano, bevevano e
copulavano. Poi sacrificavano un capro per mangiarlo in onore del dio. Questo potrebbe
essere il punto d’ origine del nome: tragoidia= canto del capro/dei capri.

Il rito ebbe delle evoluzioni. Iniziarono a cantare in cerchio e nacque dunque l’ idea di
coro. Poi un individuo si staccò dal coro e parlava a nome del coro stesso (corifeo).
Successivamente, un attore cominciò a recitare la parte del dio (Ipocrites).

Nasce quindi la tragedia. Si evolvette ancora con i suoi tre massimi autori: Eschilo,
Sofocle ed Euripide. Essi scrivevano pensando anche alla musica, che doveva essere
cantata.

Eschilo: passaggio da uno a due attori che cambiavano maschera per inscenare più
personaggi.

Sofocle: aumentano gli attori in scena e la narrazione assume carattere maggiormente


psicologico.

Euripide: usa diverse armonie e i temi diventano più sociali. Il coro perde importanza.
Platone fa coincidere con Euripide l’ inizio della crisi della tragedia.

La struttura della tragedia


Prologo: narrazione antefatto

Parodo: entrata del coro nell’ orchestra (nome che deriva da orchimai=io danzo). Il coro
commentava e faceva da intermediario tra sentimento popolare e scena.

Episodi: parti recitate

Stasimi: interventi del coro

Esodo: uscita del coro

Epilogo: fine della vicenda

Aristotele dà delle regole per la corretta funzionalità della tragedia. Gli atti cruenti non
dovranno avvenire in scena.

In più fornisce le tre “unità aristoteliche”:


- le vicende del dramma devono avvenire in un solo giorno (unità di tempo);

- La narrazione deve svolgersi in un solo posto (unità di spazio);

- Non si possono raccontare più vicende (unità d’ azione). Si possono fare richiami ad
antefatti.

LA MUSICA PER I CRISTIANI

Col cristianesimo nasce il concetto di storia, in quanto si faceva distinzione tra il passato
del peccato originale, il presente della redenzione e un futuro basato sulla promessa della
salvezza.

Secondo Nietzsche hanno avuto l’ idea di dare speranza all’ uomo e quindi hanno vinto
storicamente. Nasce il concetto di resurrezione. La storia diviene una simmetria in cui si
auspica nel futuro mentre, per i greci, era una visione circolare.

Dio diventa il centro della vita e dell’ universo.

Questa idea condiziona tutto fino ad oggi. Ad esempio, Marx sostituisce a Dio il
comunismo per le sue idee.

Questa promessa cristiana ruba il posto alla civiltà greca e scompare l’ idea di mito, in
quanto non si ha più bisogno di spiegazioni.

La musica per i cristiani è PREGHIERA, ovvero l’ unione di musica e parola.

SVILUPPI ED IMPORTANZA DELLA LITURGIA

Intorno al 300 si inizia ad organizzare la liturgia cristiana, fino a 313 (editto di Costantino),
in cui il cristianesimo diventa un culto professabile nell’impero. A fine del 300 da
perseguitati i cristiani divennero persecutori (380 editto di Teodosio: cristianesimo
religione ufficiale dell’ impero; 408 editto di Onorio).

I cristiani derivano dall’ ebraismo e parte delle preghiere derivano dal culto giudaico.

Non si aveva un canto “misurato” ma uno “fermo” o “piano”, in cui le durate cambiavano
ma il significato rimaneva lo stesso.

Il samo è una preghiera presa dagli ebrei così come la pratica della cancellazione, in cui si
prendeva una nota ripetendola.

Il cristianesimo si irradia in Europa. Alcune preghiere saranno in greco (ad esempio il


Kyrie), anche se presto il latino diverrà la lingua ufficiale del cristianesimo.

In ogni regione geografica si pregava in maniera diversa (quindi si cantava anche


diversamente).

Esistono numerosi riti, tutti tramandati per tradizione orale:

- rito beneventano

- Rito greco-bizantino

- Rito ambrosiano (incentrato sugli Inni che hanno un rapporto testo-musica strofico)

- Rito di Aquileia

- Rito Galliani (Francia)

- Rito mozarabico (Spagna)

Il periodo tra il 500 e il 600 è fondamentale perché fioriscono i monasteri e nasce il


concetto di libro. I monasteri più importanti sono quello di Montecassino (529), e quello di
San Gallo (614).

Nei monasteri si imparava a pregare/cantare. Nei canti c’ erano dei punti fissi ed altri
arbitrari. Non c’ era comunque l’ esigenza di imparare a memoria nota per nota.

Il canto liturgico aveva un triplice ruolo di amplificazione: era amplificazione del testo
sacro, amplificazione liturgica (il sacerdote era in contatto con Dio ed intona la sua parola
ponendosi in posizione di superiorità rispetto agli altri) e amplificazione fonica, in quanto
cantando il sacerdote era udibile maggiormente.

C’ era una metrica accentuata e quantitativa che seguiva gli accenti del testo ed il suo
suono. Ciò definiva anche la durata delle note.

Il canto liturgico aveva diversi stili:


- sillabico: a nota corrisponde sillaba

- Melismatico: a sillaba corrispondono più note

- Semisillabico o neumatico: a sillaba corrispondono due o tre note

Un repertorio tipicamente sillabico è quello dei Salmi e degli Inni, mentre uno melismatico
è quello degli Alleluia.

Dagli ebrei deriva anche il modo liturgico. I Sali possono infatti essere eseguiti in 3 modi,
dette “salmodie”:

- responsoriale: solista con assemblea che risponde

- Antifonica: divisione in due semicori che si rispondono

- Diretta: solo un solista

IL CANTO GREGORIANO

Nell’ 800 vengono poste le basi del canto gregoriano.

Questo repertorio di canti nasce da un’ esigenza di Carlo Magno di unire politicamente la
Francia e il Vaticano. Per prima cosa doveva far pregare tutti allo stesso modo e inventò il
mito di Gregorio Magno, pontefice vissuto due secoli prima di lui, in seguito alla scoperta
dei canti che gli furono dettati dallo Spirito Santo.

Mito di Gregorio Magno: narra che il papa dettò ad un amanuense i canti da dietro un
telo. Il papa durante la dettatura prendeva lunghe pause. Il monaco, incuriosito, sbirciò e
vide un uccellino che dettava. Lo spirito santo, sotto forma di uccellino, dettava i canti al
pontefice

Grazie a questa leggenda il canto diventa “rivelato” da Dio e dunque assoluto e


immutabile.

Ora si ha l’ esigenza di imparare a memoria queste preghiere/canti e nasce, quindi, la


scrittura con i primi neumi posti sopra il testo per ricordare l’ andamento del canto.

Il canto gregoriano è, di fatto, una sintesi tra rito gallico e rito romano antico, ovvero l’
unione delle conoscenze dei sacerdoti francesi e di quelli italiani.

MOMENTI LITURGICI

La liturgia si basa sulle vicende della vita di Cristo, in particolare sulla nascita, la morte e
la resurrezione. I momenti liturgici sono avvento, natale, cresima, pasqua, ascensione o
pentecoste.

Nei monasteri c’ era anche la liturgia delle ore che scandiva la giornata della vita
monastica e che comprendeva diverse preghiere:

1. Mattutino (1)

2. Lodi (5)

3. Odi (7)

4. Terza (9)

5. Sesta (12)

6. Nona (15)

7. Vespri (17)

8. Compieta (20)

La messa è il momento più importante della vita religiosa in cui si riporta la resurrezione di
Cristo. È divisa in liturgia della parola ed eucaristica.

I canti della messa possono essere divisi in Ordinarium (Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus,
Agnus Dei) e Proprium (Introito, Graduale, Alleluia/Tractus, Offertorio, Communio).

Le fonti di questi canti sono delle raccolte a disposizione dei sacerdoti come i Graduali
(per il Proprium), i Kyriali, i Messali ( per il celebrante), e il Liber Usualis (più recente.
Comprende canti da messa e Ufficio).

MODI O TONI ECCLESIASTICI

I modi ecclesiastici sono definiti dalla scelta di “repercussio”, ovvero la nota su cui il
canto si assesta e rimane maggiormente, e la “finalis”, ovvero la nota conclusiva.

Non hanno attinenza coi modi usati in Grecia.

Anche i modi ecclesiastici nascono per avere un riferimento dovuto alla necessità di
ricordare il canto.

Non si parla comunque ancora di tonalità, bensì di un “ambito” con una propria struttura
interna.

I protus autentico RE
MI FA SOL LA
SI DO RE
(Dorico) Rep. Finalis

II protus plagale LA SI DO RE
MI FA
SOL LA
(Ipodorico) Rep. Finalis

III deuters autentico MI


FA SOL LA SI DO
RE MI
(Frigio) Rep. Finalis

IV deuters plagale SI DO RE MI
FA SOL LA
SI
(Ipofrigio) Rep. FInalis

V tritus autentico FA
SOL LA SI DO
RE MI FA
(Lidio) Rep. Finalis

VI tritus plagale DO RE MI FA
SOL LA SI DO

(Ipolidio) Rep. FInalis

VII tetradus SOL


LA SI DO RE
MI FA SOL
autentico (Misolidio) Rep. Finalis

VIII tatradus plagale RE


MI FA SOL
LA SI DO
RE
(Ipomisolidio) Rep. Rep. Finalis

Per ricordare meglio il vocalizzo e i velismi si “tropavano”, ovvero si aggiungeva del testo.
Ciò ha portato a composizioni autonome. Trovando il melisma dell’ Alleluia, ad esempio,
si forma la Sequenza.

Dopo un po’ si iniziarono ad aggiungere anche delle note e ci si spostava, quindi, dai
canti di partenza.

LA NOTAZIONE NEUMATICA E PASSAGGIO A SISTEMA DIASTEMATICO

Come abbiamo già visto, i “neumi” erano simboli che venivano posti sopra il testo per
ricordare l’ andamento del canto al sacerdote o a chi doveva eseguirlo.

Questo sistema di notazione era “adiastematico”, ovvero senza l’ uso di rigo musicale. Il
luogo in cui questa pratica nasce e si sviluppa è l’ abbazia di San Gallo, in Svizzera. Ciò
permetteva di segnare solo l’ andamento del canto e non l’ effettiva altezza delle note,
mentre la velocità era, talvolta, segnata con delle lettere.

Intorno all’ anno 1000, nella regione d’ Aquitania, si inizia a sviluppare la scrittura
“diastematica” (uso dei righi musicali), che permise di fornire informazioni più precise sull’
altezza. In questa regione in particolare si usava una caratteristica scrittura quadrata per
le note. Non si ha comunque ancora bisogno di specificare la durata.

GUIDO D’ AREZZO (ca.991-post 1033)

Questi sistemi di notazione arrivano in Italia dove vengono assorbiti dal monaco
benedettino Guido d’ Arezzo. Egli poneva i neumi direttamente sui righi musicali, che
erano presenti in numero variabile. Usava, infatti, quanti righi servivano. Intorno all’ anno
1000 si arriverà poi al tetragramma e al pentagramma nel 1200.

L’ opera di Guido d’ Arezzo, scritta e concepita per uso didattico, è fortemente influenzata
da quella di Boezio, i cui scritti erano stati usati come base per la costituzione dello studio
musicale nel medioevo. Egli, infatti, come Platone, trattava la musica come una disciplina
matematica, ponendola nel Quadrivio insieme ad aritmetica (numero da solo), geometria
(numero al terreno) e astronomia (numero ai pianeti). (musica: numero al suono). Trattando
di musica da un punto di vista teorico (la pratica era per i servi), Boezio descrive 3
“armonie”:

- mondana: musica delle sfere, prodotta dai rapporti matematici dei pianeti

- Humana: rapporti tra corpo e cosmo e tra parti del cosmo stesso

- Instrumentalis: studio dei principi matematici che sottoscrivono alla musica (studio
della manifestazione acustica)

La grande innovazione di Guido d’ Arezzo sta nell’ invenzione del sistema chiamato
“solmizzazione”. Egli infatti inventa le note intese come rapporto tra tono e semitono e
definisce i loro nomi col canto “Ut queant Laos”, le quali strofe iniziavano con le sillabe
Ut, Re, Mi, Fa, Sol, La. Nasce quindi l’ esacordo, composto dalla relazione fissa di tono e
semitono tra le note che lo compongono. Questa relazione fissa porta al potere eseguire
un brano leggendo senza conoscerlo da prima. La teoria della solmisazione consisteva
nell’ individuare il semitono dell’ esacordo ed attribuire alle note che lo formano sempre il
nome di MI-FA. Tutto ciò che è semitono viene chiamato MI-FA. In particolare, ci sono tre
possibili esacordi. Il Naturale ha il semitono tra il Mi e il Fa, il Duro tra il Si e il Do e il Molle
tra il La e il Sib.

Guido d’ Arezzo aggiunge anche l’ elemento della chiave a inizio rigo usando le lettere C,
F, G, che diverranno poi chiavi di Do, Basso e Violino.

IL DRAMMA LITURGICO

Per i cristiani la tragedia era una rappresentazione che non poteva essere valida perché
uno dei sentimenti chiave del cristianesimo è la compassione. Ciò va in contrasto col
concetto di catarsi omeopatica di Aristotele, secondo cui lo spettatore trae giovamento
dall’ assistere alle sofferenze rappresentate.

La potenza del teatro tragico viene traslata nel dramma liturgico, che ha un valore
educativo e catechetico. Il dramma liturgico nasce per la liturgia pasquale, dove viene
rappresentata la Visitatio Sepulchri, ma senza abiti di scena. La pratica viene poi allargata
al natale perché era ritenuta efficace. Dall’ intento educativo passa ad essere una.
Manifestazione e la chiesa ne condanna l’ esistenza. Ciò lo porta a diventare un’ usanza
profana.

REPERTORIO PROFANO - TROVATORI E TROVIERI

Non esisteva solo musica sacra. Esistevano musicisti al servizio delle autorità politiche
che dovevano esaltarne la potenza. Erano detti facenti parte dell’ Alta Cappella.

A partire dal 1100, in Francia, nasce il repertorio dei trovieri e dei trovatori. Non
conosciamo le origini di questi appellativi, anche se pare derivino da “tropare”. Le loro
tematiche poetiche erano incentrate su scene della vita di corte dove si adorava la figura
femminile di donna angelica, vicina a quella della madonna. Spesso questa figura
angelica non ricambiava l amore e diveniva “crudele”.

I trovatori erano dei veri signori che componevano per diletto, come ad esempio
Guglielmo d’ Aquitania. Non sono da confondere con i giullari, che erano sbandati
cantastorie, e menestrelli, ovvero figure organizzate assoldate dal signore. I trovatori
operano nel sud della Francia e scrivono in lingua “d’ Oc”. La tradizione di questo
repertorio era orale e possiamo ricostruirla solo con fonti del secolo successivo.

Con loro nascono le prime forme musicali come la strofica Canso, in cui si ripete la strofa
e si pone in contrasto con un’ altra sezione (AAB). Questo schema è comunemente
chiamato barform e, in Germania, si chiamerà successivamente Lied.

Le tematiche erano:

- passerella: dialogo tra una passerella e il cavaliere

- Alba: dialogo tra amanti che devono separarsi al sopraggiungere dell’ alba

- Tensò o tensione: canzoni a risposta tra due effettivi trovatori

- Sirventes: temi eroici, politici e moraleggianti

Successivamente si sposteranno verso nord e diventeranno i trovieri, che conservarono


gli stessi canti e tematiche ma cambiarono lingua, passando a quella “d’ Oil”. Finalmente
iniziarono a scrivere per preservare il repertorio che avevano lasciato al sud.

Nascono il rondeau e il lai, una forma trobadorica che ha origine dai canti liturgici e
presenta frasi melodiche ripetute che variano solo nella chiusa. Di origine trovieri sono
invece il virerai, composto da strofa e refrain e la Ballade, composta da 3 o 5 strofe che
seguono lo schema AAB.

LA POLIFONIA

Con la polifonia, per la prima volta, diventa indispensabile calcolare e segnare le durate
musicali. Con essa si inizierà anche a parlare della figura del compositore. Nasce nord
Europa per essere eseguita nelle grandi cattedrali.

Per la prima volta inizia il dualismo tra musica e parola, rompendo la loro coesistenza
esistente dall’ inizio della musica per i cristiani. Si iniziano a studiare il contrappunto e si
inizia a comporre a strati la musica.

In realtà, la polifonia non nasce scritta ma esisteva già come prassi esecutiva. Le prime
tracce scritte derivano da un trattato anonimo del nono secolo, il Musica Enchiriadis. Qui
si esemplificano alcune tecniche polifoniche che erano già in uso e che vengono
chiamate “organa” (plurale di “organum”). Il primo ad essere spiegato è l’ organum
parallelo, in cui alla voce del canto monodico gregoriano (vox principali), si aggiunge una
seconda vox organalis. Si intona lo stesso canto su consonanza perfetta, ovvero ottava,
quarta giusta e quinta giusta. Successivamente si arriva a una differenziazione della voce
aggiunta e si arriva all’ “organum del musica enchiriadis”, che impone alle voci di
procedere nella stessa direzione, seppure ammettendo il cambio dei salti che eseguono.

Nei trattati del secolo successivo si parla, poi del “discanto”, con cui si ammette il moto
contrario e si ragiona “nota contro nota”. Il profilo melodico delle voci inizia quindi a
cambiare. Il canto gregoriano inizia ad assestarsi alla voce inferiore.

È importante specificare che la polifonia era usata solo in alcune parti del pezzo ed era
affiancata da parti monodiche.

L’ organum melismatico consisteva proprio nel porre la voce del canto gregoriano alla
parte inferiore , assegnandogli valori lunghi. La voce aggiunta era caratterizzata da velismi
con note dal valore breve. Questo melisma era ancora un canto improvvisato. I nomi delle
voci variano e diventano TENOR per la voce inferiore che ha il canto gregoriano e tiene il
pezzo, e DUPLUM per la voce aggiunta. Le due voci si relazionano per consonanze,
ovvero il duplum toccherà consonanze col tenero al momento in cui questo ultimo
cambierà nota e comunque si fermerà solo su consonanze durante il melisma. Si pensa
che questo organum possa essere nato come ampliamento del discanto.

ARS ANTIQUA

Tutte queste prassi esecutive diverranno musica scritta tra il 1100 e il 1200 in Francia, a
Notre Dame e la nascente università di Parigi. I primi compositori di cui abbiamo
testimonianza dall’Ars Antiqua furono Leonino e Perotino. Di loro parla Anonimo IV nel XIII
secolo, dicendo che scrissero tanti organa, tutti raccolti nel “Magnus Liper Organi”.
Leonino era il maestro di Perotino. Ritmicamente scrivevano con le figure della breve e
della longa e si avvalevano ancora dei neumi. Del Magnus Liper Organi non abbiamo fonti
dirette ma trascrizioni postume. La parte della polifonia era assegnata ai solisti, mentre le
monodie gregoriane erano eseguite dal coro.

In questo periodo si iniziò a dare importanza alla voce più alta, che assumeva connotati
maggiormente melodici.

Il modo in cui erano eseguiti i canti erano quindi un’ alternanza di polifonia cantata da
solisti e parti in coro, anche se era presente una “clausula”, ovvero una sezione
melismatica, che era possibile quando al tenor il canto gregoriano era sillabico e fungeva
da bordone. Nelle sezioni melismatiche il tenor intraprenderà un vero contrappunto
rispondendo al duplum dando forma alla clausola. Esse sono dirette ascendenti del
mottetto e fanno parte del repertorio polifonico parigino, derivando dal discanto. Le
clausolae venivano cantate su un’ unica sillaba per tenor e duplum.

Perotino, nelle clausolae, andrà oltre l’ opera del suo maestro e introdurrà una terza voce.
Per sviluppare la clausola a 3 voci si iniziano a teorizzare valori ritmici differenti e ad
affrontare salti melodici più variegati.

Francone da Colonia, nell’ “Ars Cantus Mensuralis” (1250) (primo trattato in cui si parla di
scrittura ritmica) spiega il passaggio dalla concezione modale del ritmo a quella
mensurale , ovvero istituiva rapporti proporzionali tra le figure ritmiche.

prima, il valore di longa e breve cambiava in base al contesto ma rimanevano solo i loro
due nomi. Se la longa appariva da sola valeva 3, se appariva con la breve valeva 2 e la
breve 1 per far rimanere la loro somma 3 (notazione modale del ritmo).

IL MOTTETTO

Nasce come tornatura della clausola. Viene infatti aggiunto un testo al duplum e,
successivamente, anche al triplum. Il duplum cambierà nome in “motetus” dal francese
“mot”, ovvero parola. Il testo aggiunto è diverso da quello del tenor. Lutero, nel 1517, si
oppose aòòa pratica politestuale e al mottetto perché voleva che il popolo partecipasse ai
canti.

Già nel XIII secolo, il mottetto iniziò a diventare profano, per poi consolidarsi come tale nel
1300.

I testi, seppur diversi, condividono il significato e la atematica e si pone attenzione alla


loro metrica.

Notiamo come, per risparmiare la pergamena sul quale i mottetti venivano scritti, essi non
venissero scritti a partitura ma come il triplum e il motetus venissero scritti in colonna,
sopra il tenor, che era un breve frammento di canto gregoriano ripetuto. Questo perché le
due voci sopra il tenor avevano tante note e segnarle in partitura avrebbe richiesto tanto
spazio.

Triplum Motetus

Tenor ———————————————————— ———————————————————————

Le voci venivano pensate orizzontalmente, quindi spesso si avevano dissonanze.

Il “conductus” era simile al mottetto ma il tenor non era di origine gregoriana. Questo è
originale sia come testo che come musica. È una composizione omoritmia e le voci hanno
lo stesso testo. Anche il conductus diverrà profano.

MOTTETTO: polifonico, politestale, polilinguistico (i testi aggiunti potevano essere in


francese mentre il canto gregoriano rimaneva in latino).

IL ‘300

ARS NOVA

Se il 1200 è il secolo dell’ Ars Antiqua, il 1300 è quello dell’ Ars Nova. Per quanto come
termine fosse già usato nel ‘300 per distaccarsi dalle pratiche del passato, in musicologia
è usato nel XX secolo da Hugo Riemann che lo impiega per descrivere il periodo storico.

Francone da Colonia nell’ “Ars Cantus MEnsuralis” stabilisce i valori ,usicali stabili e
perfettamente proporzionati tra loro, maxima, longa, breve e semibreve.

La musica inizia dunque a vivere di regole proprie e non è più legata alla parola. Per la
prima volta si può ideare un pezzo e scriverlo prima dell’ esecuzione, senza dovere
trascrivere qualcosa di già impostato.

Coloro che per primi usarono il termine “ars Nova” furono Johannes de Morir nell’ “Ars
Novae Musicae (1321) e Philippe de Vitry nell’ “Ars Nova” del 1322/23.

Quest ultimo era un vescovo che si considera un innovatore. Scriveva mottetti che sono
in parte raccolti nel poema chiamato “Roman de Fauvel”, testimoniando lo spostarsi del
mottetto da sacro a profano.

La grande innovazione dell’ ars nova sta nello sdoganare i tempi binari, che fino ad ora
non erano stati usati per l’ attinenza teologica del numero 3. Si introducono le nuove
figure ritmiche come la minima. Il tempo è classificato in “tempus” (numero di divisioni/
movimenti), che può essere perfetto (quindi ternario) e imperfetto (binario). Si definisce
poi la “prolatio” (numero di suddivisioni), che può anch’ essa essere perfetta o imperfetta.
Il tempus perfetto era segnato ad inizio brano con un cerchio chiuso, che veniva aperto in
caso di tempus imperfetto. La prolatio imperfetta era invece segnata da un punto interno
al cerchio. In assenza del punto avremo una prolatio imperfetta.

Philippe de Vitry è anche importante per i suoi “mottetti isoritmici”, dove veniva usato
un “color”, ovvero un gruppo di note tratte da un canto gregoriano, al quale veniva
applicato uno schema ritmico ricorrente chiamato “tàlea”, pensato dal compositore. Con
questo metodo si costruiva il tenor del mottetto. Isoritmico perché lo schema ritmico si
ripete incessante, anche se le note del color terminano (si ripartirà da capo col color dal
punto della talea in cui si è).

GUILLAUME DE MACHAUT (1300-1377) E LA NASCITA DEL COMPOSITORE

Era un prelato che svolse la sua carriera in ambiente di corte come diplomatico. Aveva
dunque un alto livello sociale. Tutta la sua opera la racchiude egli stesso in due codici,
uno del 1342 (Remede de fortune) e uno del 1360 (Voir dia).

È la prima volta che un compositore cura la sua opera in modo diretto ed organico.
Scrisse, nel corso degli anni, anche un’ intera messa (Messa di Notre Dame), musicando
tutto l’ ordinario e l’ Ite Missa Est del Proprio. Anche questo è innovativo, visto che i vari
momenti della liturgia erano scritti da persone diverse. La Messa di Notre Dame è una
composizione polifonica scritta con sistema isoritmico.

I CONSERVATORI

Questo secolo di innovazioni divise tra innovatori e conservatori.

Papa Giovanni XXII, con la bolla “Docta Sanctorum Patrum” del 1324, condanna queste
novità, in particolare l’ uso del 2. Il cambio delle regole ternarie va contro Dio perché
nasce dall’ uomo e va contro la natura.

In più temeva le regole musicali che la scindevano dalla parola, contrariamente a come
era stato dai primi cristiani fino a quel momento. Temeva che la messa venisse intaccata
dalle regole e che la musica non tenesse più conto della parola.

Jacobus de Liegi, nel “Speculum Musicae” del 1330, dice che l’ ascolto in realtà non è
cambiato nonostante le nuove figure ritmiche dell’ Ars Nova. Anche i pattern ritmici, a suo
dire, rimanevano più vari nell’ Ars Antiqua.

ARS NOVA IN ITALIA

Nella musica del ‘300 in Italia, la musica si presume dal testo.

Madrigale, caccia e ballata sono le tre forme del ‘300 italiano.

Nel ‘200 in Italia si usava prevalentemente monodia e la musica era tramandata


oralmente. Questa è la tradizione della “lauda”, ovvero un canto monodico, devozionale,
in volgare ed extra liturgico tramandato, appunto, oralmente. Ha una struttura strofica.

Francesco d’ Assisi è stato il primo a scrivere sia il testo che la musica ma a noi sono
arrivati solo i testi delle sue laude. La prima fonte con riferimenti musicali è il Laudario di
Cortona del 1297.

Arrivati nel ‘300, arriva la polifonia grazie al contatto mercantile con la Francia. La
polifonia giunge nelle università italiane che studiano i trattati francesi. Le città principali
sono Bologna e Padova, dove operano Marchetto da Padova e Jacopo da Bologna.

Entrambi scrissero mottetti. Del primo abbiamo un mottetto politestuale che nel 1305
viene eseguito all’ inaugurazione della Cappella degli Scrovegni e due trattati di ritmica e
notazione, il Lucidarium e il Pomerium.

Di Jacopo da Bologna, cha lavorò direttamente per gli Scrovegni, abbiamo due trattati
politestuali.

LE FORME

Madrigale del ‘300: da non confondere col madrigale del’500. Ha una forma strofica. È
composto dalla strofa, di almeno due terzine, e un ritornello, formato da un distico di
endecasillabi in rima baciata. Forma AAB. Era solitamente a due voci. Deriva da
“madricalis”, cioè lingua madre, o da “mandrialis”, ovvero “dall’ argomento bucolico”.

Caccia: non ha schema strofico ed utilizza il canone a due voci più il tenor.

Ballata: fiorisce a Firenze, che diventa un centro culturale. Lorenzo Masini, Herardello da
Firenze e Francesco Landini diedero alla ballata monodica un carattere polifonico.
Rispetto ai francesi, si lega la forma poetica alla musica e si hanno tante fioriture alla voce
alta che domina. Spesso si trovano anche cambi ti tempo.

Landini scrisse 141 ballate a 2 e 3 voci. La forma poetica è data da endecasillabi misti a
settenari. È divisa in un numero variabile di strofe o stanze, tutte precedute da un
ritornello. La stanza è, a sua volta, divisa in due piedi con stessa musica e una volta che
avrà la stessa musica del ritornello. Per legare maggiormente la volta al ritornello che le
succederà, si univano un rima baciata l’ ultimo verso della volta ed il primo del ritornello.
La struttura musicale era quindi A (ritornello ) B (piede) B (piede) A (volta).

Strofa

Lo schema metrico è accentuato dal clausole e


pause poste in modo pratico dal compositore.

‘400 IN ITALIA

La matematica ha importanza centrale. La musica è autonoma dal testo e scritta in modo


isoritmico, in cui i numeri assumono un ruolo simbolico.

Dalla varietà ritmica del ‘300 si passa a strutture unitarie e coerenti. Si usa poco materiale
musicale che deve comunque avere varietà attraverso espedienti compositivi, che
renderanno la musica, appunto, coerente (poco materiale) ma varia.

I numeri significativi sono 3 (virtù teologali: fede, speranza, carità), 4 (virtù cardinali:
prudenza, giustizia, fortezza, temperanza) e la loro somma 7, ovvero l’ Unione delle virtù,
simbolo di simbiosi tra Dio e uomo.

L’ arte è intesa come un artificio. Si piega la materia al numero per imitare razionalmente il
creato. Si sfoggia, quindi, del vero e proprio virtuosismo nel trovare espedienti
difficilmente identificabili ma numericamente simbolici come frasi palindrome che
venivano diversificate modificando i segni mensurali. Si utilizza anche la sezione aurea di
Fibonacci.

CONTESTO E FORME DEI FIAMMINGHI

Il contesto della musica dei fiamminghi è ufficiale o sacro. L’ ufficialità aveva specchio
nelle forme musicali che erano anch’ esse sacre, ovvero Messa e Mottetto.

Viene sempre considerata importante l’ unità musicale sopracitata.

Il canone è una delle prassi di scrittura più usate dai fiamminghi che dovevano riproporre
il canto in più modi possibili usando espedienti come il retrogrado (tutta la frase al
contrario), l’ inverso (altezze invertite), retrogrado dell’ inverso ed aumentazione (si
allungano le figure ritmiche).

Nelle messe, l’ unità è anche data dall’ uso dello stesso cantus firmus per tutte le parti
dell’ ordinario. Il cantus firmus aveva origine gregoriana o profana e veniva messo anche
al tenor. Il tenor, che prima era distaccato perché aveva valori lunghi, adesso inizia a
diventare una voce come le altre e ad avere valori più brevi.

I compositori fiamminghi diventano dei professionisti contesi dai signori. Divennero dei
servi di alto rango, retribuiti e protetti dai signori. Nasce quindi il concetto di
“mecenatismo”. La musica diventa simbolo sonoro della grandezza del padrone.

La musica era anche un’ occasione per unire la corte sotto la potenza del padrone. I
signori pagavano per avere musica per situazioni istituzionali in modo da far risultare il
proprio potere. Si parla dunque di “mecenatismo istituzionale”. In questo contesto, a
corte erano presenti dei trombettisti e i fiati della “cappella alta” (l’ aggettivo alto è inteso
come “aulico”, erano per situazioni importanti) e gli strumenti o cantori della “cappella di
corte”.

Esiste anche il “mecenatismo umanistico”, che spingerà i compositori a scrivere su testi


letterari.

I fiamminghi coprono sei generazioni e vanno da Dufay (1400) a Sweelinck (1621),


maestro di Bach.

LA MESSA CICLICA

È detta ciclica proprio per l’ uso dello stesso cantus firmus per tutte le sue parti.

Si potevano usare C.F. già usati da altri, quasi come una sorta di sfida musicale. Ad
esempio, il tema dell’ Homme Harmè, è stato usato da cani e porci. Il canto dal quale
viene ispirata la messa è indicato nel nome stesso della messa, quindi apertamente
dichiarato dal compositore.

Nasce il concetto di “imitazione”. Le voci si imitano e non c’è una gerarchia tra di loro. All’
inizio il tenor, prima di assumere importanza paritaria alle altre voci, rimaneva coi valori
lunghi ma fungeva da risposta per aumentazione del C.F., quindi comunque imitava.

Un altro tipo di scrittura per la messa ciclica è detto “parafrasi”, che si sviluppa nel ‘500.
Qui il C.F. del tenor viene esposto con le stesse identiche durate dalle altri voci. Si chiama
“imitazione sistematica”.

CAMBIAMENTI NELLE FORME

Nella caccia il canone era all’ ottava ed era posta maggiore attenzione all’ altezze. Nel
‘400 varia e includerà anche la riproposizione delle durate. Si usava diminuzione o
aumentazione.

Ockeghem scrisse la “Missa Prolationum”, in cui indica solo il canto dato e dà istruzioni
per eseguire il canone per le varie voci.

Il “canone enigmatico” è legato a un riferimento extramusicale come un indovinello o un’


immagine che ricalca e traspone nel tema, mentre i canoni censurali hanno voci che
entrano tutte con figure diverse.

Il mottetto diventa una composizione ufficiale. Non ha più tanti testi ma uno solo in latino.

FIGURA DEL SOVRANO LETTERARIO

Nel ‘400 riemerge la figura del sovrano letterario, già esistita ai tempi dei greci. Era una
figura che ne sapeva di musica e che poteva attuare una censura critica.

La musica diviene importantissima nell’ educazione del nobile. Il repertorio che gli viene
sottoposto è formato da frottole e chanson francesi, che diventeranno poi il madrigale del
‘500.

Quest’ ultima si basava sulla poesia. Era un canto monodico che a noi arriva come
riproposizione polifonica postuma. Il canto in origine era accompagnato da strumenti
come liuti, vielle o viole da gamba. Era musica per l’ intimità nobiliare.

Prendiamo d’ esempio le corti di Mantova e Ferrara, dove Isabella d’ Este, che veniva da
Ferrara ma era in sposa a Filippo Gonzaga da Mantova, organizzava eventi con
esecuzioni musicali. Anche Lucrezia Borgia da Ferrara lo faceva e le due si contendevano
i musicisti. Le nobildonne avevano dei propri musicisti diversi da quelli del padrone. Le
frottole, di cui questo repertorio è formato, sono simili a ballate, che derivano dal testo.
Un importante autore è Bartolomeo Tromboncino.

Tra le fonti tardive che abbiamo vanno citati gli “11 volumi di frottole” stampati da
Bartolomeo Petrucci.

In questo periodo vediamo come i compositori usassero forme stereotipate a seconda del
testo che dovevano musicare. Queste forme stereotipate erano dette “aeri” o “modi” ed
erano ricorrenti cadenze o salti al basso per evidenziare la punteggiatura del testo.

Anche i fiamminghi usavano questo repertorio riportandolo in chiave polifonica.

LA STAMPA MUSICALE

Inizia a diffondersi nel ‘500.

Il primo stampatore è Petrucci che pubblica anche una raccolta di “100 canti di musica”
nel 1501. Il suo sistema è a caratteri mobili a triplice impressione. Si avevano tre matrici,
una per il rigo, una per le note e una per il testo.

A roma c’ era Andrea Antico che aveva un sistema a impressione unica su tavoletta di
legno. Questa tecnica è detta a xilografia. Un minimo errore avrebbe però costretto a
riscrivere l’ intera tavola di legno.

Pierre Atteignant aveva, invece, un sistema a caratteri mobili a unica impressione, dotato
quindi di innumerevoli tessere da concatenare per costruire la pagina.

REPERTORIO DELLA CHANSON PARIGINA

In Francia la chanson diventa una polifonia più semplice e alternava parti


constrappuntistiche a omoritmiche.

Aveva un determinato ritmo, detto “dattilico” o narrativo, formato da Lunga Breve Breve.

Le voci avevano scrittura per lo più sillabica.

La lingua usata era il francese.

Clement Janequin è un compositore importante per le sue chanson descrittive, in cui


parlava di guerre o scene naturali.

La chanson parigina è importante perche porterà per la prima volta a composizioni


strumentali. Ci si arriva partendo dagli strumenti che all’ inizio doppiavano le voci e si
finirà per porli in loro sostituzione.

In realtà già esisteva musica strumentale ma non veniva scritta perché la musica con
dignità era considerata quella vocale, in quanto aveva il testo. Aveva dunque una
trasmissione per lo più orale.

Nel ‘400 nascono anche le “famiglie strumentali”, ovvero variazioni di un unico strumento
per aumentare il range di estensioni coperto in modo che ogni voce avesse il suo
corrispettivo strumentale. Nascono anche le prime composizioni didattiche strumentali,
dette “bicine”
Il passaggio da chanson vocali alla musica strumentale è divisibile in 3 passaggi:

- gli strumenti doppiano le voci (nelle chanson)

- si hanno rielaborazioni delle chanson apposta per lo strumento

- Si scrive direttamente musica per lo strumento (“canzoni da suonare”)

Queste Canzoni da Suonare avevano un titolo di derivazione testuale o musicale (ad


esempio “la cromatica”), una forma indipendente e parti contrastanti omoritmie e
contrappuntistiche.

Inoltre, con l’ avvento della musica strumentale, nascono le indicazioni di dinamica.

IL ‘500

Il contesto storico del ‘500 è segnato dalla riforma protestante e, in seguito, dalla
controriforma cattolica.

La chiesa scomunica Martin Lutero con una bolla papale del 1520 che tre anni prima
aveva inserito nelle sue 95 tesi alcuni punti tra cui la necessità di un libero esame delle
sacre scritture e un rapporto diretto del fedele con Dio senza l’ intermediazione
ecclesiastica.

Lutero traduce le sacre scritture in tedesco, poichè in molti non sapevano leggere il latino
e afferma che ognuno debba divenire il sacerdote di se stesso.

Con Lutero nasce un nuovo canto liturgico, ovvero il Corale Protestante, un canto in
tedesco che vede una partecipazione attiva dei fedeli, in modo da includerli nella liturgia.
Per rendere la partecipazione dei fedeli migliore si attua una manovra di pedagogia
musicale nei paesi protestanti.

Si crea una profonda crepa tra il popolo settentrionale (soprattutto tedesco) e meridionale
(soprattutto italiano).

Le melodie dei corali erano spesso prese da canti popolari tedeschi. Lutero stesso ha
scritto dei temi. I corali erano generalmente eseguiti a 4 voci ed erano sillabici ed
omoritmici.

In Italia chi cantava aveva un approccio più professionale, al contrario della Germania
dove tutti cantavano.

successivamente, in risposta alla riforma protestante, in Italia si attua la controriforma


tramite il Concilio di Trento (1545-1563), col quale si ha un’ importante riscoperta del
canto gregoriano e l’ abolizione dei tropi e delle Sequenze. Si abolisce ogni elemento
profano come i cantus firmus delle messe che non erano tratti dal gregoriano.

Per andare in contro ad una maggiore intelligibilità testuale, si impone una semplificazione
della polifonia. Addirittura, in quel momento la chiesa era intenzionata ad abolire la
polifonia.

In questo scenario opera Giovanni Pierluigi da Palestrina, che con la “Missa Papae
Marcelli” intende spiegare al papa Marcello II che la polifonia poteva essere salvata
preservando anche l’ intelligibilità del testo.

In questo periodo, a Roma, si ebbe un proliferare di piccole corti cardinalizie mosse dall’
ambizione dei cardinali di succedere sul trono papale. Infatti, in quanto sede papale, a
Roma il potere era esercitato prevalentemente dalla chiesa. Vi si svilupparono molte
cappelle musicali stabili.

Le 4 più importanti sono la Sistina, la Giulia, la Cappella della Basilica di San Giovanni in
Laterano e quella di Santa Maria Maggiore. Di queste, le ultime due erano deputate ad
eseguire musica liturgica, mentre la Sistina e la Giulia erano cappelle papali. Mentre i
cantori della Giulia erano di estrazione locale, nella Sistina provenivano da tutta Europa e
non si usava, a differenza delle altre cappelle, accompagnamento di nessun tipo. Tutto,
nella Sistina, era cantato a cappella. Tra i cantori non erano ammesse donne e per le parti
del soprano ci si avvaleva dei castrati.

STILE ALLA PALESTRINA

Palestrina visse e operò a Roma e nella limitrofa Palestrina, dove presumibilmente


nacque. Operò in tutte e 4 le principali cappelle di Roma e divenne Maestro di Cappella
nella Cappella Giulia grazie all’ elezione di papa Giulio III, precedentemente vescovo di
Palestrina che lo favorì.

Fu corteggiato sia dall’ imperatore Massimiliano II che lo voleva a Vienna che per la corte
del duca Guglielmo Gonzaga da Mantova.

Palestrina conosceva a fondo la tradizione franco-fiamminga e la utilizzò in tutte le sue


numerose composizioni, tra messe, mottetti, madrigali, musica sacra e profana.

Il suo stile guarda al contrappunto come un ritorno all’ unità piuttosto che alla varietà.
Anche le dissonanze sono affrontate con cautela. Ciò ha come risultato una grande
morbidezza di suono. Lo stile di Palestrina diventa lo stile ecclesiastico per eccellenza per
la mancanza di asprezze e verrà detto “stile anticus”. Questo resisterà per secoli nella
scrittura di musica sacra ecclesiastica e si contrapporrà al sempre in evoluzione “stile
modernus” della musica da camera e della produzione teatrale.

FORME E CAMBIAMENTI DEL ‘500

Nel mottetto si abbandona il cantus firmus e si usa un testo suddiviso in più sezioni con
entrata per imitazione delle voci. La scrittura è contrappuntista e si contrappone a sezioni
omoritmie.

Nasce una nuova tecnica di scrittura delle messe detta “parodia”, che consiste nel
comporre le sezioni di una messa usando una composizione polifonica preesistente come
modello. Si componevano le parti dell’ ordinaria partendo da un mottetto, da una
chanson o da lavori polifonici di altri autori, adattandole e cambiando il testo.

IL MADRIGALE DEL ‘500

Si torna a dare grande attenzione al testo, instaurando un rapporto particolare con la


musica. Si cerca di esprimere il significato delle parole attraverso il suono. Come anche
teorizzato dal poeta Pietro Bembo, si porrà maggiore attenzione alla fonetica delle parole.

Si arriva ad un rapporto esclusivo tra musica e parola, abbandonando la concezione


strofica. Ogni parola doveva avere la “sua” musica. Questo rapporto era detto
“madrigalismo”

Il madrigale di solito era a 4 o 5 voci ed era eseguito a cappella. C’ era omogeneità tra le
voci, quindi mancava una gerarchia e si alternavano nel contrappunto.

I madrigali nascevano ed erano fruibili in ambito privato. Erano cantati intorno ad un


tavolo dal compositore e altri cantanti che spesso erano intellettuali che si dilettavano con
la musica.

In realtà una forma “informe” simile al madrigale già esisteva. Infatti intorno agli anni 20
del XVI secolo, a Firenze il francese Philippe Verdetto scrisse composizioni polifoniche su
testi di alcuni letterati fiorentini in modo simile alla chanson parigina e avvicinandosi molto
al madrigale, in quanto non esiste accompagnamento per le voci.

A Roma troviamo invece numerosi madrigali scritti da Sebastiano Festa.

In seguito, però, al Sacco di Rima del 1527, molti nobiluomini ed intellettuali romani si
spostarono a Venezia, dove troviamo un autore di origine fiamminga, Jacques Arcadelt,
che scrisse 4 libri di madrigali.

Apportato a Venezia il madrigale subì delle variazioni e si arriva alla seconda fase del
madrigale del ‘500. Essa risente di una forte influenza fiamminga. Si inseriscono con
Nicola Vicentino dei cromatismi intesi come abbellimento espressivo, che danno forma al
“madrigale cromatico”.

I più importanti autori di madrigali in Italia in questo periodo furono Luzzasco Luzzaschi,
Luca Merenzio e Carlo Gesualdo da Venosa.

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