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Mappa dei poteri nell’Europa medievale (2)

1) Il potere pontificio.
C’erano due potenze che aspiravano ad avere un potere universale: la Chiesa e
l’Impero. Nel medioevo queste due potenze sono in contrasto.
Il battesimo era considerato quell’atto giuridico che fa entrare il singolo all’interno
della Chiesa, che era considerata una istituzione creata per volontà divina e che
rappresentava tutti quelli che ne facevano parte.
Il vescovo di Roma, cioè il papa, era il successore di Pietro e da lui ne ereditava
anche i poteri. Ponendosi in questo modo al di sopra degli altri vescovi, finisce per
diventare il vertice della cristianità, quello che ha la massima competenza in fatto di
fede. Una cosa particolare è che sebbene la Chiesa dipendeva dal papa il papa non
faceva parte della Chiesa, questo vuol dire che i sudditi del papa (siano essi semplici
contadini o re) non avevano nessun diritto su di lui, del resto nessun papa rispondeva
giuridicamente delle proprie azioni. I papi pensavano a loro stessi come gli intermediari
tra Dio e gli uomini. Tutti i membri della Chiesa in quanto cristiani (quindi re compresi)
dovevano sottostare al potere del papa. Se il potere ha origine divina ed arriva alla
terra attraverso l’intermediazione del papa, ne deriva di conseguenza che il
pontefice poteva nominare non solo i vescovi ma anche i depositari del potere
temporale (quindi, ad esempio, nominare e deporre re ed imperatori). In questo
senso possiamo dire che il papato era detentore di un potere “teocratico” cioè di
derivazione divina. La forza del papato medievale stava soprattutto nella sua capacità
di imporsi sia nelle coscienze che nella vita sociale.
Di fondamentale importanza era il “diritto canonico” che comprendeva sia le norme
stabilite nei concili (cioè <<adunanza deliberante formata essenzialmente da vescovi, in
cui si decide di questioni di dottrina religiosa e di disciplina ecclesiastica>>1, che
quelle elaborate direttamente dall’autorità papale. Graziano nell’arco degli anni 1139-
1148 elabora il Decretum Gratiani che mette ordine nel diritto canonico nel senso che
all’interno di tutte le fonti canonistiche toglie quelle che non si utilizzavano più e
concilia le fonti contraddittorie .

2) L’organizzazione pontificia.
Altro elemento della forza del papato era la sua eccezionale capacità organizzativa. In
Italia il papa governava le terre del patrimonio di S. Pietro, giustificando tale potere
attraverso un documento (la “donazione di Costantino”) che avrebbe attestato la
cessione di alcuni territori italiani alla Chiesa nel IV secolo. Su questo documento i
papi facevano leva per giustificare il loro potere temporale. Solo nel Quattrocento,
quando muta il clima culturale, Valla, un umanista, ne dimostrerà la falsità.
Punto nevralgico del potere della Chiesa era la “Curia romana” che comprendeva gli
uffici della sua amministrazione centrale. L’organo di governo più importante invece
era il Collegio dei cardinali i cui membri erano scelti dal papa e provenivano
soprattutto dall’aristocrazia locale. Eleggono il papa e discutono sulle questioni più
importanti riguardanti gli aspetti legislativi, avevano incarichi diplomatici e potevano
dare ordini ai vescovi. La curia oltre al collegio dei cardinali aveva altri due uffici
importanti: la Camera apostolica che si occupava dell’amministrazione finanziaria e la
Cancelleria, dove si scrivevano e conservavano tutti gli atti papali. La Chiesa era

1 Barbero A., Frugoni C., Dizionario del Medioevo, Laterza, Roma-Bari, 1998 (I ed. 1994), p. 82.
1
radicata ed immersa nel sistema feudale. Il vescovo estendeva il suo potere su tutta
la diocesi, cioè <<la circoscrizione territoriale su cui si estendono la giurisdizione
spirituale e il governo ecclesiastico di un vescovo>>2. Tra le altre prerogative aveva
quella di ordinare i sacerdoti. Le città sedi episcopali godevano di un certo prestigio; la
loro chiesa principale, cioè la cattedrale era un edificio imponente. La maggior parte dei
cittadini non erano in grado di leggere e capire i tasti sacri (scritti in latino) e quindi si
affidavano al vescovo che assumeva le funzioni di interprete della parola divina.
Signori ecclesiastici e signori laici avevano la stessa posizione sociale: entrambi
amministravano le terre, esercitavano la giustizia, chiamavano alle armi, facevano
lavorare i contadini… Alle cariche ecclesiastiche si legava il “beneficio” cioè un
patrimonio più o meno grande di proprietà della Chiesa che fruttava delle rendite.
Le risorse economiche di questi enti ecclesiastici erano spesso ingenti, perché? Non
venivano assorbiti dalle guerre o da spese di prestigio; non si dividevano con l’eredità;
erano incrementati dai lasciti e donazioni dei fedeli. Se le chiese locali avevano la
possibilità di vedere stabilizzati se non incrementati regolarmente i loro beni, il papato,
in quanto istituzione centrale, aveva spese molto importanti. Doveva, infatti, mantenere
l’esercito, il personale che lavorava nei suoi uffici, i suoi rappresentanti in terre
straniere, erogare i donativi che per tradizione il papa faceva al popolo romano. Da
dove provenivano i proventi del papa? Soprattutto da: obolo di S. Pietro
(contributo di alcuni regni del Nord e dell’Est Europa); i tributi dei sovrani che
erano vassalli del papa; i versamenti degli enti ecclesiastici locali; i tributi che
versavano i vescovi nelle loro periodiche (almeno una volta ogni 3 anni) visite al
papa.
E’ anche grazie alla presenza stabile del papa che Roma veniva vissuta come la città
“caput mundi” cioè la testa del mondo.

3) Il potere monarchico
Durante il corso del medioevo ci fu una forte concorrenza tra il papato e le monarchie
(comprendendo anche l’Impero) nel senso che le monarchie accettavano il primato
della Chiesa nel campo spirituale ma rivendicavano per se stessi il predominio del
potere temporale. Anche il potere del monarca era di tipo teocratico (si
consideravano tali per volontà divina) e non a caso i sovrani di Francia ed Inghilterra
sostenevano di avere la capacità di curare i malati. In particolare sostenevano di guarire
dalla scrofolosi con il proprio tocco. Tale malattia aveva un decorso benigno e i segni
della stessa avevano un andamento alterno, così era facile far pensare loro che la
remissione fosse dovuta al re taumaturgo. Reminescenze di tale credenza si hanno fino
alla prima metà dell’Ottocento, segno che neanche la rivoluzione francese aveva
completamente scardinato questa credenza popolare. Tutto questo a conferma che il
re cercava di accreditarsi all’opinione pubblica come figura anche “sacra”. Nel
vostro manuale c’è una notazione molto interessante anche se probabilmente la prima
affermazione va letta non in senso assoluto ma in riferimento al medioevo, vediamola.
<<In tutte le forme di potere teocratico […] il potere era visto come una
concessione dall’alto verso il basso: se il suddito del monarca riceveva dei privilegi
questo accadeva in seguito a un’elargizione del sovrano, su cui egli non aveva
alcun diritto. Le leggi stesse non avevano carattere vincolante perché approvate da

2 Ivi, p. 100.
2
un’assemblea popolare, ma semplicemente perché il re voleva così>>3. Al di là
della classificazione di Weber, mi sembra evidente che la legittimazione del potere non
nasceva dal fatto che le scelte erano effettuate dai cittadini (direttamente o attraverso i
propri rappresentanti eletti) ma dal fatto che il sovrano aveva il potere “per grazia di
Dio”.
Come vi ricorderete, il papa pur comandando sulla Chiesa non ne fa parte. Allo stesso
modo il sovrano pur comandando sul popolo non ne faceva parte. Questa estraneità del
sovrano serviva a levargli le responsabilità. Il popolo non poteva giudicare il re né
togliergli il consenso visto che il potere del sovrano derivava da Dio e non dai sudditi.
Il potere teocratico, inevitabilmente, indeboliva la forza dei monarchi: in due
parole se tra il papa e Dio non c’era bisogno di nessun intermediario, tra il re e
Dio si, prova ne era che il sacramento attraverso il quale assumeva la sua funzione
era amministrata da funzionari ecclesiastici. Non dobbiamo scordare, inoltre, che il
papa era ritenuto l’intermediario tra Dio e gli uomini, il capo della Chiesa (alla quale
apparteneva chiunque fosse battezzato) e l’interprete autentico della legge divina. Gli
imperatori occidentali si potevano definire realmente tali solo dopo aver ricevuto
l’incoronazione dalle mani del papa. Venivano considerati dalla Chiesa come un
proprio “difensore”.

4) La comunità di villaggio
Tutte le forme di potere che abbiamo visto finora sono di carattere “teocratico” e
discendono dall’alto verso il basso. Nel medioevo c’erano anche forme di potere che
nascevano dal consenso dei membri della comunità e ci riferiamo al “comune” ed
alla “comunità di villaggio”. Partiamo da quest’ultima. In genere i contadini vivevano
al’interno di un villaggio. Alcuni lavori quali l’aratura, la potatura delle vigne, il taglio
del fieno, la mietitura, la vendemmia, presupponevano un grandissimo sforzo nell’arco
di un breve tempo. Le singole famiglie contadine non sarebbero riuscite a far fronte a
questa esigenza, così era usuale unire le loro forze. Inoltre dopo la mietitura i campi
venivano utilizzati in modo collettivo per il pascolo. Anche i terreni incolti venivano
sfruttati collettivamente per il pascolo, la caccia, la pesca, la raccolta della legna, la
raccolta del miele e dei frutti selvatici. Inoltre, in assenza di interventi delle autorità
pubbliche, l’intera comunità si occupava della manutenzione dei ponti e delle strade,
disboscava alcuni terreni, costruiva dighe, argini e canali. Pur dipendendo dai signori
le comunità di villaggio si riunivano in assemblea esprimendo una interessante
forma di autogoverno che prendeva insieme le scelte relative alle attività collettive.
Eleggevano anche i propri rappresentanti. Ovviamente più la comunità era compatta
ed i propri rappresentanti autorevoli più poteva tenere testa al signore. Un
importante cambiamento lo abbiamo nel XII e soprattutto nel XIII secolo: con la
ripresa dell’economia europea alcuni contadini riescono a sfruttare a proprio
vantaggio l’aumento dei prezzi riuscendo ad avere una vita più agiata. Gli altri,
invece, continuavano ad essere poveri. Questa distinzione tra contadini porta,
inevitabilmente, ad incrinare la solidarietà interna, inoltre i contadini arricchiti
sono portatori di valori nuovi, sempre più lontani da quelli che erano stati tipici
delle comunità di villaggio.

3 Giardina A., Sabbatucci G., Vidotto V., Il mosaico e gli specchi, vol 3 Dal feudalesimo alla guerra dei trent’anni,
Laterza, Roma-Bari, 2012, p. 28 (il neretto è mio).
3
5) l’origine del comune
Per comune intendiamo le forme di autogoverno delle città che si affermano
nell’XI e XII secolo in Germania, Inghilterra, Francia, Fiandra e soprattutto
nell’Italia centrale e settentrionale. Nascono con le “coniurationes” cioè un
giuramento di pace tra i cittadini che si impegnavano a fare le loro rivendicazioni
verso il signore. Poi avviavano le trattative con il signore per ottenere
l’autorizzazione a “fare comune”. In genere i signori concedevano loro la “carta di
comune” (i diritti ed i privilegi della comunità) ottenendo in cambio molti soldi. Di
fronte al rifiuto, invece, i cittadini spesso ricorrevano alle armi per affermarsi. A
volte, invece, erano i signori stessi a favorire la nascita del comune in cambio di
soldi e del mantenimento dei propri rappresentanti all’interno delle città.
Ogni comune aveva una storia tutta sua legata alle condizioni politiche, economiche e
sociali. Ad esempio in Inghilterra lo sviluppo dei comuni fu favorito dai signori e dal re
(che se ne serviva come freno verso i baroni). Nella Francia del Nord la monarchia
frena i comuni che erano sotto la sua dipendenza (ad esempio Parigi) ma favorisce
quelli sottoposti alla giurisdizione dei signori locali. Nonostante le specificità possiamo
individuare <<un elemento ricorrente: il comune si afferma sempre in
contrapposizione esplicita o implicita alle vecchie autorità feudali, come
espressione di forze sociali emergenti>>4. Queste forze sociali emergenti erano: i
mercanti, gli artigiani, i liberi proprietari terrieri residenti in città, i gruppi
familiari da cui venivano, per tradizione, reclutati gli ufficiali e chi faceva lavori di
carattere legale. Il comune poteva nascere dalla solidarietà o dal prevalere di una
componente sull’altra nel caso di conflittualità interna.
Da tutto quello che si è detto è chiaro il motivo per cui i comuni si sviluppano solo tardi
(e per di più sono deboli) nelle aree economicamente più depresse. In genere, infine,
l’autonomia dei comuni era inversamente proporzionale alla forza dei poteri feudali.
Le istituzioni principali del governo comunale erano gli “arenghi”, cioè i “consigli”,
che eleggevano come loro rappresentanti i magistrati (chiamati in vario modo tra cui,
consoli, con un esplicito riferimento al mondo romano). Appena eletti, i consoli
prestavano giuramento davanti alla cittadinanza esplicitando i loro obblighi, inoltre
rimanevano in carica per un periodo breve (tra 6 mesi ed 1 anno). Questo per evitare il
radicarsi di clientele e per permettere una maggiore rotazione delle cariche. Ad
assumere il potere (nei consigli e tra i magistrati) erano solo le famiglie più
importanti per censo, prestigio e cultura. Non tutti i cittadini avevano diritto a
partecipare alla vita politica: ne erano esclusi tutte le donne; i servi, i lavoratori a
giornata, i residenti da poco; le minoranze religiose (ebrei e musulmani). La piazza
ed il palazzo comunale diventano il simbolo dell’autonomia cittadina ed anche il punto
di riferimento e di aggregazione dei cittadini.

6) Il comune in Italia
In questo paragrafo ci concentreremo sul fenomeno dei comuni in Italia. La nascita del
comune avvenne con modalità particolari, tuttavia si possono rintracciare alcuni tratti
comuni. A) <<Il periodo in cui compaiono le nuove istituzioni comunali coincide
con il quarantennio 1080-1120, vale a dire con il periodo della lotta per le
investiture>>5. Prima di andare avanti apriamo una breve parentesi sulla lotta per le

4 Ivi, p. 32 (il neretto è mio).


4
investiture, che studieremo in seguito. Con questa locuzione intendiamo <<il conflitto
[…] che oppose il papato riformatore romano e l’impero germanico […]. Oggetto della
contesa tra le due parti fu la liceità della concessione dell’investitura imperiale dei
regalia , “i diritti pertinenti al regno” agli ecclesiastici>>6. La lotta per le investiture
possiamo farla nascere approssimativamente nel 1075 e terminare con il concordato di
Worms (anticipiamo che fu una sorta di compromesso) del 1122. Probabilmente la
coincidenza è dovuta al fatto che <<sia il potere imperiale, alle prese con la lotta per le
investiture […], sia l’autorità papale, alle prese con i tentativi di riforma della Chiesa
[…], imposero vescovi di loro nomina, estranei dunque alla realtà locale>>7. B) I
consoli (come abbiamo già visto si tratta dei cittadini che facevano parte dell’arengo) si
ripromettevano di curare gli interessi di tutta la città, non solo del gruppo di cui
era espressione (cioè, a seconda della città, prevalentemente aristocratico oppure
commerciale-imprenditoriale) e questo spiega perché all’inizio godono del
consenso di tutta la cittadinanza. Nel XII e XIII secolo ci sarà un notevole sviluppo
del ceto mercantile ed artigianale che creerà un irrigidimento da parte del ceto
aristocratico rispetto alla loro ascesa sociale e politica. C) Praticamente ovunque si
trovano gli stessi organi di governo e le stesse modalità di elezione e durata delle
cariche. L’arengo era l’assemblea generale e si occupava dei problemi di interesse
generale. Il collegio dei consoli era, di fatto, il potere esecutivo (il corrispettivo del
nostro governo). I consoli erano in carica per periodi brevi (come avevamo già visto
6mesi-1 anno). Il sistema elettivo garantiva il predominio dei notabili che, tra
l’altro, <<già da tempo svolgevano funzioni di governo in quanto collaboratori del
vescovo o del conte>>8.
Possiamo distinguere due aree dell’Italia: la zona centrale e nordica dove c’era
una concentrazione molto alta dei comuni ed il sud dove invece era bassa. Questo
perché nel nostro Meridione la dominazione normanna era molto accentratrice;
l’economia era meno dinamica; l’aristocrazia locale manteneva saldamente le proprie
prerogative. Per quanto riguarda il Nord dipendeva dall’imperatore che però era spesso
assente, inoltre abbiamo già visto il conflitto tra il papato e l’imperatore, ebbene il
papato incoraggiava la nascita dei comuni per indebolire il potere imperiale.
Peculiarità italiana era il “contado”, che possiamo definire come il territorio
circostante il comune che subisce la sua dominazione politica. Come afferma Vitolo:
<<in questo proiettarsi verso le campagne circostanti, per affermare la sua
autorità sull’intero territorio diocesano, il Comune si inseriva in quel più ampio
processo di superamento del particolarismo politico altomedievale. […] In
generale può dirsi che una politica sistematica di sottomissione del contado si ebbe
solo sul finire del XII secolo>>9 anche se qualche comune, come Milano, iniziò molto
presto quest’opera. Da segnalare che gli abitanti del contado avevano meno diritti di chi
risiedeva in città e pagavano tasse molto salate.
Questa specificità italiana del contado <<avrà alcune significative conseguenze. In
primo luogo, i comuni italiani assunsero quasi subito la fisionomia di Stati

5 Vitolo G., Medioevo. I caratteri originali di un’età di transizione, Sansoni, Milano, 2000, pp. 294-295 (il neretto è
mio).
6 Cantarella G. M., Investitura, lotta per le, in Enciclopedia del Medioevo, Garzanti, Milano, 2007, pp. 891-894, p.
891.
7 Giardina A., Sabbatucci G., Vidotto V., Il mosaico e gli specchi, vol 3, cit., p. 34 (la sottolineatura è mia).
8 Vitolo G., Medioevo. I caratteri originali di un’età di transizione, Sansoni, Milano, 2000, pp. 296 (il neretto è mio).
9 Ibidem (il neretto è mio).
5
territoriali, per quanto di piccole dimensioni, con forti tendenze espansionistiche:
ciò contribuì ulteriormente a disgregare la realtà politica italiana, alimentando un
municipalismo esasperato>>10.

7) I marginali
La marginalità comporta la non partecipazione, la separazione o l’esclusione
dell’individuo dalla vita sociale e, nei casi più estremi, dalla società nel suo
insieme. Già il filosofo Aristotele aveva definito l’uomo un “animale sociale”. Se ci
pensiamo è fortissimo, negli esseri umani, quello che alcuni sociologi definiscono il
“bisogno del noi”. Del resto ogni individuo ha bisogno del riconoscimento della propria
identità e personalità da parte della società. Abbiamo anche visto i processi di
socializzazione. Nelle società alto medievali (la prima parte del medioevo, la
seconda si chiama basso medioevo) era necessario rimanere radicati in un luogo
per poter scampare alla marginalità: villaggi, città, clan, famiglie, confraternite,
associazioni di mestiere, parrocchie e quartieri integravano l’individuo nel gruppo
sociale. Vivevano ai margini, quindi, i vagabondi, ma anche chi professava una
religione diversa come gli ebrei oppure gli eretici.
Nel nostro mondo contemporaneo la marginalità è un fenomeno più complesso.
Senza fissa dimora (i cosiddetti barboni); tossicodipendenti e alcolisti sono
sicuramente persone marginali. A volte si trovano in questa condizione anche i
cittadini stranieri cioè gli immigrati. Questi vivono in una condizione duplice: da
una parte sono intergrati nella loro comunità, ma dall’altra sono marginali
rispetto al paese che li ospita. Sicuramente vivono una condizione di marginalità i
rom, che dal canto loro (nel dir questo faccio riferimento a quanto ci ha raccontato nel
mio gruppo di Amnesty un mediatore culturale appartenente a quel mondo) non
sembrano volersi intergare con la società dove effettivamente risiedono. Per alleviare le
sofferenze di queste persone ci sono molti gruppi di volontariato che muovono da
diverse prospettive: da quelle più famose di carattere religioso (come la caritas) a quelle
più politicizzate (come per esempio alcuni centri sociali). Oggi si tende a parlare di
emarginazione in un senso più ampio per indicare quelle condizioni di disagio dovute
alla povertà, alla precarietà lavorativa, al lavoro in nero, alla mancanza di tutte le tutele
che dovrebbero, sulla carta, garantire una vita dignitosa per tutti.

BIBLIOGRAFIA
Barbero A., Frugoni C., Dizionario del Medioevo, Laterza, Roma-Bari, 1998 (I ed.
1994).
Cantarella G. M., Investitura, lotta per le, in Enciclopedia del Medioevo, Garzanti,
Milano, 2007, pp. 891-894.
Giardina A., Sabbatucci G., Vidotto V., Il mosaico e gli specchi, vol 3 Dal feudalesimo
alla guerra dei trent’anni, Laterza, Roma-Bari, 2012.
Vitolo G., Medioevo. I caratteri originali di un’età di transizione, Sansoni, Milano,
2000.

10 Giardina A., Sabbatucci G., Vidotto V., Il mosaico e gli specchi, vol 3, cit., p. 35 (il neretto è mio).
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