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I MEZZI DI PROVA

Mezzo di prova è lo strumento processuale che permette di acquisire un elemento di prova. Il codice ha previsto 7
mezzi di prova tipici (artt. 194-243)
• Testimonianza
• Esame delle parti
• Confronti
• Ricognizioni
• Esperimenti giudiziali
• Perizia affiancata dalla consulenza tecnica di parte
• Documenti
Le modalità di assunzione sono tali da permettere al giudice la valutazione dell’attendibilità e della credibilità della
fonte. Il codice, però, non ha previsto un’assoluta tassatività: è permesso assumere nuovi mezzi di prova che il
progresso scientifico e tecnologico potrebbe elaborare - Affinché ciò accada, però, il giudice dovrà sentire le parti e
valutare i requisiti della prova atipica in base all’art. 189 —> il giudice potrà ammettere la prova solo qualora ritenga
che sia idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti, e non pregiudichi la libertà morale della persona.
L’atipicità potrebbe consistere anche nell’utilizzare componenti non tipiche all’interno di un mezzo tipico - es., nel
caso in cui la ricognizione di una persona o di una cosa sia effettuata mediante un cane addestrato e non tramite una
persona.
Requisiti della prova atipica:
1. Deve essere idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti —> deve essere in concreto capace di fornire elementi
attendibili e di permettere una valutazione sulla credibilità della fonte di prova
2. Deve assicurare la liberà morale della persona-fonte di prova —> deve lasciare integra la facoltà di determinarsi
liberamente rispetto agli stimoli
Le modalità di assunzione della prova atipica vengono determinate dal giudice dopo aver sentito le parti. L’ordinanza
giudice che accolga o rigetti l’assunzione di una prova è impugnabile insieme alla sentenza finale.
Principio di legalità della prova: la prova è uno strumento di conoscenza disciplinato dalla legge (precisi requisiti –
art.189). È necessario, quindi, che la prova atipica non si risolva in uno strumento per aggirare i requisiti delle prove
tipiche, contrabbandando omissioni o irritualità come semplici profili di atipicità. Dal sistema è ricavabile il principio
di non sostituibilità, che vieta l’aggiramento di quelle forme probatorie che sono poste a garanzia dei diritti
dell’imputato o dell’attendibilità dell’accertamento. In casi del genere, si configura un vero e proprio divieto
probatorio, a pena di inutilizzabilità degli elementi acquisiti.
Assai discussa è la ricognizione informale dell’imputato: in dibattimento il pm chiede al testimone se è presente
nell’aula l’autore del reato. La giurisprudenza lo ritiene ammissibile; la dottrina, invece, ha ritenuto applicabile il
principio di non sostituibilità secondo cui la disciplina legale che traccia le caratteristiche essenziali di una prova non
può essere elusa attraverso l’impiego di differenti modalità acquisitive, tipiche o atipiche. La ricognizione informale, a
differenza della testimonianza che si svolge con esame incrociato, dovrebbe aver luogo in un contesto idoneo a
neutralizzare la tensione emotiva del ricognitore (quindi non il dibattimento).
La testimonianza
Il codice distingue tra testimonianza (artt. 194 ss.) e l’esame delle parti (art 208 ss.). Il testimone ha l’obbligo di
presentarsi al giudice e dire la verità. L’imputato, invece, quando si offre all’esame incrociato, non ha l’obbligo di
presentarsi, né di rispondere alle domande, né di dire la verità. Inoltre, la qualità di imputato è di regola incompatibile
con la qualità di testimone, salvo eccezioni.
Imputato e testimone sono esaminati sui fatti che costituiscono oggetto di prova, cioè sulla responsabilità
dell’imputato e sui fatti che servono a valutare la credibilità delle fonti e l’attendibilità degli elementi di prova. La loro
deposizione avviene nella forma dell’esame incrociato (art. 209).
Qualità di testimone: può essere assunta dalla persona che ha conoscenza dei fatti oggetto di prova ma, al tempo
stesso, non riveste una delle qualifiche alle quali il codice riconosce l’incompatibilità a testimoniare (Art. 197).
La persona diventa testimone solo se e quando, su richiesta di parte (o d’ufficio nei casi previsti), è chiamata a deporre
davanti al giudice nel procedimento penale.
Obblighi del testimone:
a. Presentarsi al giudice —> se non si presenta senza un legittimo impedimento, il giudice può ordinare
l’accompagnamento coattivo e condannarlo al pagamento di una somma.
b. Attenersi alle prescrizioni date dal giudice per le esigenze processuali
c. Rispondere secondo verità alle domande rivolte —> se tace o afferma il falso incorre nel reato di falsa
testimonianza
Art. 188: Non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona interessata, metodi o tecniche idonei a influire
sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti

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Tra i metodi che influiscono sulla facoltà di reagire liberamente rispetto agli stimoli o che sono idonei ad alterare la
capacità di ricordare i fatti o la capacità di valutarli possiamo enumerare la tortura fisica o psichica, la narcoanalisi,
l’ipnosi e il poligrafo (lie detector).
Il divieto ha ad oggetto le modalità di acquisizione della prova: esso determina l’invalidità dell’atto acquisitivo.
N.B. la legge 110/2017 ha introdotto il reato di tortura —> nuovo c.2bis dell’art 191= Le dichiarazioni o le
informazioni ottenute mediante il delitto di tortura non sono comunque utilizzabili, salvo che contro le persone
accusate di tale delitto e al solo fine di provarne la responsabilità penale.
Il divieto vale nei confronti della persona quando questa viene in rilievo come “fonte di prova dichiarativa”, cioè
quando la dichiarazione non esiste senza la collaborazione dell’individuo. Viene in rilievo la differenza con la
posizione dell’imputato che è titolare di una situazione soggettiva che consiste in un pieno diritto di non collaborare
(diritto di difesa e presunzione di innocenza): l’imputato deve essere moralmente libero di scegliere se rendere la
dichiarazione.
Persona= fonte di prova reale: Se una persona riveste interesse probatorio non per ciò che dice, ma per ciò che è (ad
es., per le ferite che ha subito che per le caratteristiche del volto), vengono in rilievo mezzi di prova che mirano ad
elementi diversi dalla dichiarazione —> identificazioni, ricognizioni, ispezioni, perquisizioni, sequestri, consulenze
tecniche e perizie. Con riferimento a tali attività, bisogna notare come una compressione delle libertà dell’individuo
sia funzionale alla ricerca e all’acquisizione della prova; l’art 13 comma 2 Cost. consente la limitazione della libertà
personale in presenza di un atto motivato dell’autorità giudiziaria nei casi e nei modi previsti dalla legge.
Oggetto e forma: La deposizione è resa in dibattimento con le forme dell’esame incrociato. Le regole sono contenute
negli artt. 498 e 499. Il testimone è esaminato sui fatti che costituiscono oggetto di prova. Le domande devono essere
pertinenti, cioè devono riguardare sia i fatti che si riferiscono all’imputazione, sia i fatti dai quali dipende
l’applicazione delle norme processuali. Le domande, poi, devono avere ad oggetto fatti determinati (art. 194): il
testimone non può esprimere valutazioni o apprezzamenti personali, salvo che sia impossibile scinderli dalla
deposizione sui fatti. Infine, non può deporre su voci correnti nel pubblico.
L’esame può estendersi ai rapporti di parentela, o di interesse che lo legano alle parti o ad altri testimoni; può avere ad
oggetto le circostanze che servono ad accertare la credibilità sia delle parti, sia dei testimoni. Le deposizioni sulla
moralità dell’imputato sono ammesse ai soli fini di qualificare la personalità dello stesso, in relazione al reato e alla
pericolosità, sempre che si tratti di fatti specifici.
Le domande che riguardano la persona offesa incontrano due limiti (scopo= tutelare la dignità e consentire l’esercizio
del diritto alla prova):
• La deposizione su fatti che servono a definire la personalità della persona offesa è ammessa soltanto quando il fatto
dell’imputato deve essere valutato in relazione al comportamento di quella persona.
• Nei procedimenti per delitti di violenza sessuale, di prostituzione minorile e di tratta di persone (Art 472 c.3bis), le
domande aventi ad oggetto la vita privata o la sessualità della persona offesa dal reato sono di regola vietate; sono
consentite solo se necessarie alla ricostruzione del fatto.
Testimonianza indiretta: Dei fatti da provare il testimone può avere conoscenza diretta o indiretta. Ha una
conoscenza diretta quando ha percepito personalmente il fatto da provare con uno dei cinque sensi. Ha una
conoscenza indiretta quando ha appreso il fatto da una rappresentazione che altri ha riferito a voce, per iscritto o con
altro mezzo.
La persona da cui si è “sentito dire” è comunemente indicata dagli studiosi italiani con l’espressione “teste di
riferimento”: egli può aver percepito personalmente il fatto (allora è denominato “teste diretto”), oppure può averlo
“sentito dire” da un’altra persona (allora è un teste indiretto). Per esigenza di miglior comprensione della materia si
farà riferimento al caso in cui il teste di riferimento sia un teste diretto--> l’art. 195 c.7 richiede che il testimone
indiretto indichi la persona o la fonte da cui ha appreso la notizia dei fatti oggetto di esame. La mancata
individuazione impedisce di valutare la credibilità e l’attendibilità di quanto è stato riferito —> punita con
l’inutilizzabilità.
Il concetto di individuazione è diverso da quello di identificazione; per individuare è sufficiente, ad es., aver indicato
la persona che abitualmente frequenta un determinato luogo, anche se non ne conoscono le generalità.
La seconda condizione per poter utilizzare la testimonianza indiretta opera quando una delle parti chiede che venga
sentita la persona che ha avuto conoscenza diretta del fatto: il giudice è obbligato a disporne la citazione (art 195). Se
il giudice omette la citazione, la testimonianza indiretta non è utilizzabile – se nessuna delle parti ha chiesto la
citazione, la testimonianza indiretta è utilizzabile anche senza che si faccia luogo all’esame del teste. In via
eccezionale, la testimonianza indiretta è utilizzabile quando l’esame del testimone diretto risulti impossibile per
morte, infermità o irreperibilità. L’irreperibilità presuppone che sia stato impossibile notificare la citazione al
testimone non solo individuato, ma anche identificato – se citato ma non comparso, si dispone l’accompagnamento
coattivo.
Valutazione della testimonianza indiretta: In questi casi in cui la testimonianza indiretta è comunque utilizzabile,
questa dovrà essere valutata con particolare cura.
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Il codice permette al giudice di disporre d’ufficio la citazione del testimone diretto, se questa non è stata richiesta da
nessuna delle parti. Una volta osservate le disposizioni del codice, il giudice potrà valutare sia la testimonianza
indiretta che quella diretta. Il giudice, in particolare, deve valutare la credibilità e l’attendibilità di ciascuna delle
dichiarazioni in base agli esiti dell’esame incrociato e del riscontro operabile con gli altri risultati probatori già
acquisti.
N.B. è vietato assumere deposizioni su fatti appresi da persone vincolate al segreto professionale o d’ufficio, salvo
che queste abbiano comunque divulgato tali fatti.
Il codice pone un divieto di testimonianza sulle dichiarazioni comunque rese dall’imputato o dall’indagato in un atto
del procedimento: è finalizzato ad evitare che siano introdotti nel processo elementi che non risultano dalla
documentazione formale dell’atto. Ex art. 62, il divieto ha natura oggettiva, cioè si riferisce a chiunque riceva
dichiarazioni. Il divieto ha per oggetto dichiarazioni in senso stretto, cioè espressioni di contenuto narrativo. Le
dichiarazioni, rispetto alle quali opera il divieto, sono quelle rese nel corso del procedimento —> in occasione di un
atto tipico e non durante la pendenza del procedimento. Infine, il divieto riguarda le dichiarazioni dell’imputato che
abbiano una valenza di prova, e non quelle che siano rilevanti come fatti storici di reato.
In base all’art. 62 comma 2, il divieto di testimonianza indiretta si estende alle dichiarazioni, comunque inutilizzabili,
rese dall'imputato nel corso di programmi terapeutici diretti a ridurre il rischio che questi commetta delitti sessuali a
danno di minori. La ratio consiste nel garantire l’efficacia del trattamento di recupero; la norma mira a tutelare la
serenità del paziente, evitando che la sua collaborazione al programma terapeutico possa avere dannosi sviluppi
processuali.
Test.indiretta pol.giud: Art 195 comma 4= gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria non possono deporre sul
contenuto delle sommarie informazioni assunte da testimoni o imputati connessi, né delle denunce, querele o istanze,
né delle informazioni e delle dichiarazioni spontanee rese dall’indagato.
Il divieto ha giustificazione nel principio del contraddittorio: le dichiarazioni rese in segreto durante le indagini non
sono di regola utilizzabili.
Art 195 comma 4= la testimonianza indiretta della polizia è ammessa fuori dalle ipotesi di espresso divieto.
La polizia è ammessa a testimoniare de relato
• quando è chiamata a riferire su dichiarazioni ricevute fuori dall’esercizio delle sue funzioni
• Su dichiarazioni percepite dalle persone informate sui fatti nel corso di attività tipiche come identificazioni, ricognizioni
informali, sequestri, o atipiche quali appostamenti, pedinamenti
Nei casi di “sentito dire” la polizia riferisce dichiarazioni prive di contenuto narrativo (minaccia, avvertimento, offesa, ma anche
le dichiarazioni che costituiscono corpo del reato-es.calunnia- sono solo formalmente delle dichiarazioni)
Poiché l’art. 195 vieta determinate modalità di acquisizione delle dichiarazioni (quelle risultanti dal verbale redatto ex
art. 357 c 2 lett a,b) ci si è chiesti se fosse consentita la deposizione indiretta sulle informazioni non verbalizzate.
La corte costituzionale (sentenza 305/2008) ha applicato i principi del diritto di difesa e del giusto processo e ha
ristretto la possibilità della polizia di deporre su dichiarazioni non verbalizzate.
°Quando esistevano le condizioni per verbalizzare e non si è provveduto, la testimonianza è vietata;
°quando, invece, la polizia si trovava in una situazione di eccezionalità e urgenza tale da non permettere la
verbalizzazione, la testimonianza indiretta è ammessa. PER RIPETERE VEDI RIEPILOGO p. 285
Incompatibilità a testimoniare
Il codice pone, in via generale, la regola secondo cui ogni persona ha la capacità di testimoniare (art 196); prevede poi
una serie di eccezioni, che consistono in situazioni di incompatibilità relative ad un determinato procedimento.
Possono deporre come testimoni sia l'infermo di mente sia il minorenne. In questi casi il giudice dovrà valutare con
particolare attenzione la credibilità del dichiarante e l'attendibilità della dichiarazione. Egli può verificare l'idoneità
fisica o mentale del soggetto chiamato a deporre ordinando gli accertamenti opportuni con i mezzi consentiti dalla
legge, come ad esempio disporre una perizia per valutare con quale precisione il testimone sia in grado di rievocare la
realtà (art 196). L'esame sulla credibilità in generale, operato dal perito, va tenuto distinto dalla valutazione
sull'attendibilità della prova, che rientra nei compiti esclusivi del giudice.
L'incompatibilità è prevista dall’art. 197; ricorre quando una persona, benché chiamata a deporre, non è legittimata a
svolgere la funzione di testimone in un determinato procedimento penale a causa della posizione assunta in tale
procedimento o a causa dell'attività ivi esercitata.
Le cause di incompatibilità sono collegate a due distinte ragioni:
• Le prime tre ipotesi dell’Art. 197 (lett. a,b,c) vogliono escludere che alcune persone abbiano un obbligo, penalmente sanzionato,
di dire il vero
• Quelle indicate alla lett. d dello stesso articolo, intendono escludere che possano deporre quei soggetti che hanno svolto nel
medesimo procedimento le funzioni di giudice, pubblico ministero o loro ausiliario o altre funzioni ritenute incompatibili con
quella di testimone

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Art 197
a. Non possono essere assunti come testimoni gli imputati concorrenti nel medesimo reato (o vi sia cooperazione
colposa o condotte indipendenti che hanno determinato un unico evento). L'incompatibilità opera a prescindere dal
fatto che i rispettivi procedimenti siano riuniti o separati e cessa per il singolo imputato con l'irrevocabilità della
sentenza che lo riguarda (proscioglimento, condanna o patteggiamento, ovvero tutti casi nei quali l’imputato non
corre rischi, non potendo essere processato una seconda volta per il medesimo fatto storico di reato- Art. 649)

b. Non possono essere assunti come testimoni e sono sentiti con l'esame ai sensi dell’art 210:
i. Gli imputati in procedimenti legati da una connessione debole (reati commessi per eseguire o occultare gli
altri) → cd connessione teleologica, come ad es. l’imputato di omicidio chiamato a deporre nel procedimento
per occultamento di cadavere a carico di un altro imputato)
ii. Gli imputati in procedimenti collegati.
Alla regola posta dalla b. sono state previste due eccezioni:33
- I soggetti menzionati possono deporre come testimoni quando nei loro confronti è stata emessa una sentenza
irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di patteggiamento
- Costituisce la novità più rilevante introdotta dalla legge n. 63/2001 in attuazione del giusto processo. Gli
imputati possono testimoniare se, nel corso dell'interrogatorio, hanno reso dichiarazioni su fatti altrui, cioè
fatti concernenti la responsabilità di altri imputati collegati o connessi teleologicamente (compatibilità
parziale, poiché limitata a fatti altrui) Su fatti diversi da quelli altrui già dichiarati, i soggetti restano
incompatibili

c. Non possono essere assunte come testimoni le persone che, nel medesimo processo, sono presenti nella veste di
responsabile civile e di civilmente obbligato per la pena pecuniaria. Possono rendere dichiarazioni in qualità di
parte, quindi senza l'obbligo penalmente sanzionato di dire il vero.

d. Non possono essere assunti come testimoni coloro che, nel medesimo procedimento, svolgono o hanno svolto la
funzione di giudice, pubblico ministero o loro ausiliario (ovvero cancellieri e segretari con funzioni “serventi”
rispetto al compimento di atti dell’autorità giudiziaria, quale quella di redigere verbali). Queste persone, infatti,
non sono psichicamente terze rispetto agli atti compiuti

Sono altresì incompatibili


e. il difensore che abbia svolto attività di investigazioni difensiva

f. coloro che hanno formato la documentazione dell'intervista o che hanno redatto la relazione che recepisce le
dichiarazioni scritte ai sensi dell'articolo 391ter.

Le menzionate ipotesi di incompatibilità devono essere interpretate ristrettivamente.

La regola generale prevede che il testimone ha l’obbligo di rispondere secondo verità alle domande che gli sono
rivolte nel corso dell’esame; ma può accadere che siano formulate domande che potrebbero indurre il testimone ad
autoincolparsi di qualche reato.
Se il testimone fosse obbligato a rispondere secondo verità si troverebbe a dover decidere tra il rispondere, quindi
incriminarsi, oppure non rispondere, ed integrare il reato di falsa testimonianza.
Una simile situazione non sarebbe compatibile con la costituzione (tra i diritti dell'individuo rientra anche il diritto di
non incriminare se stesso) → per questo motivo, il testimone non può essere obbligato a deporre su fatti dai quali
potrebbe emergere una sua responsabilità penale (art. 198 comma 2) Si tratta di una sorta di tutela anticipata del diritto
al silenzio spettante all’imputato.

La situazione giuridica soggettiva viene definita come un privilegio, cioè un'esenzione da un regime ordinario
(obbligo di deporre), data la presenza di un interesse privato meritevole di tutela dall’ordinamento. E si tratta di una
formula ampia, poiché il teste ha diritto di non rispondere a tutte le domande sui fatti dai quali emerga una
“responsabilità” per un reato commesso in passato. Si precisa che la responsabilità che deve derivare dalla risposta è
una responsabilità penale; non è sufficiente che possa scaturire soltanto una responsabilità di tipo civilistico o
amministrativo.
Chi conduce l'interrogatorio non ha l'obbligo di informare il testimone che può non rispondere; né è vietato alle parti
fare domande autoincriminanti al testimone. Il testimone è comunque libero di rispondere.
Vi è un divieto probatorio che ha come destinatario il giudice.

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A fronte di una domanda autoincriminante, si possono verificare due ipotesi:
1. Il testimone rifiuta di rispondere opponendo che la domanda è autoincriminante. Egli dovrà dare opportuna
giustificazione (senza essere obbligato a precisare troppi dettagli) pena la vanificazione del privilegio stesso. Il
giudice valuta le giustificazioni, e se le ritiene infondate può rinnovare al testimone l'avvertimento che ha l'obbligo
di dire la verità.
Se le giustificazioni sono fondate, si impone al giudice un divieto probatorio: non può costringere il testimone a
parlare, pena l'inutilizzabilità della risposta
2. Il testimone risponde. Se emergono indizi di reità a suo carico per un reato pregresso, in base all'articolo 63,
l'autorità procedente (il giudice, il PM o la polizia) deve :
interrompere l'esame; deve
avvertire il soggetto che tali dichiarazioni possono essere utilizzate contro di lui;
invitarlo a nominare un difensore.
Le dichiarazioni effettuate dal testimone fino a questo momento non possono essere utilizzate contro di lui.
(NEMO TENETUR SE DETEGERE→ nessuno è tenuto ad affermare la propria responsabilità)
Dichiarazioni rese da una persona che avrebbe dovuto essere sentita in qualità di indagato o di imputato
L’art. 63 comma 2 in merito alla facoltà di non rispondere stabilisce che tali dichiarazioni non possono essere
utilizzate né contro la persona che le ha rese, né contro altre persone.

I prossimi congiunti dell'imputato Non possono essere obbligati a deporre come testimoni, e, pertanto, devono
essere avvisati della facoltà di astenersi dal deporre (art. 199). La ratio è duplice: ° da un lato, l'ordinamento vuole
prevenire un conflitto psichico tra il dovere di verità e il dovere morale di non danneggiare il prossimo congiunto, nel
rispetto dei sentimenti familiari; ° dall'altro lato, il codice vuole garantire la genuinità della prova prevenendo
situazioni nelle quali il teste, se affermasse il falso, sarebbe scriminato in base all'articolo 384 comma 2, poiché non
avvisato preventivamente della facoltà di astenersi dal deporre.
Il prossimo congiunto deve essere avvisato, a pena di nullità, della facoltà di astenersi dal deporre e gli deve essere
chiesto se intende avvalersi di tale facoltà.

Devono essere avvisati in quanto prossimi congiunti:


a. Gli ascendenti
b. I discendenti
c. Il coniuge
d. La parte di un’unione civile tra persone dello stesso sesso
e. Fratelli e sorelle
f. Affini nello stesso grado (fino ai cognati), salvo quando sia morto il coniuge e non vi sia prole
g. Zii e nipoti
h. Colui che è legato all’imputato da un vincolo di adozione

Durante le indagini, l’avviso sulla facoltà di astenersi dal rendere la deposizione deve essere loro rivolto dal PM,
conformemente al rinvio dell’Art. 362 all’Art. 199 o dalla polizia giudiziaria, conformemente al rinvio dell’Art. 351
all’Art. 199. Se l'avviso è omesso, la dichiarazione è affetta da nullità relativa ed il prossimo congiunto non è
punibile per un’eventuale falsità o reticenza.
Se il prossimo congiunto, debitamente avvisato, decida di testimoniare, non può rifiutarsi di rispondere alle singole
domande secondo verità. Se si rifiuta o depone il falso, commette il reato di falsa testimonianza.

Le persone assimilate ai prossimi congiunti Il codice elenca una serie di persone che hanno la facoltà di non
rispondere alla singola domanda che concerne fatti verificatisi durante la convivenza coniugale con l'imputato. Si
tratta di persone che sono assimilate ai prossimi congiunti e che devono ricevere l'avviso della facoltà di non
rispondere.

a. Colui che, come coniuge di fatto (more uxorio), o come parte di una unione civile di fatto, conviva con l’imputato
o abbia con egli convissuto
b. Il coniuge separato dall’imputato
c. La persona nei cui confronti sia intervenuta sentenza di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili
del matrimonio o dell’unione civile tra persone dello stesso sesso contratti con l’imputato

Perdita della facoltà di astenersi dal deporre I prossimi congiunti sono obbligati a deporre quando hanno presentato
denuncia, querela o istanza, oppure essi, o un loro prossimo congiunto, sono offesi dal reato. In tali casi non è necessario
ricevere gli avvisi ex Art. 199.
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La violazione degli obblighi del testimone
Prima che inizi l'esame incrociato il giudice avverte il testimone dell'obbligo di dire la verità e lo informa della
conseguente responsabilità penale per false dichiarazioni o reticenza. Il testimone legge la formula con la quale si
impegna a dire tutta la verità e non nascondere nulla di quanto a sua conoscenza; dopodiché è invitato a fornire le
sue generalità. Comincia, poi, l’esame incrociato: le domande sono di regola poste dalle parti, eccezionalmente dal
presidente.
Quando appare che il testimone violi l'obbligo di rispondere secondo verità, soltanto il giudice può rivolgergli
l’ammonimento a rispettare l'obbligo di dire il vero: le parti non possono ammonire il testimone, “poiché ciò potrebbe
nuocere alla sincerità delle risposte”, ma solo sollecitare il giudice ad esercitare tale potere.
Se il testimone rifiuta di deporre fuori dei casi previsti dalla legge, il giudice deve avvertirlo sull'obbligo di deporre
secondo verità. Se il testimone persiste, il giudice dispone l'immediata trasmissione degli atti al pubblico ministero
(art. 207). Il PM, ricevuta copia del verbale di udienza, dà inizio alle indagini preliminari per accertare se sussiste
reato di falsa testimonianza nella forma della reticenza.
Può accadere che il testimone renda dichiarazioni contraddittorie, incomplete o contrastanti con le prove già acquisite.
Il giudice, su richiesta di parte o d'ufficio, gli rinnova l'avvertimento dell'obbligo di dire la verità.
Se il PM non chiede subito copia del verbale di udienza, il giudice si potrà attivare solo al termine del dibattimento. Ex
art 207 comma 2, con la decisione definitoria della fase processuale relativa alla testimonianza, se il giudice ravvisa
indizi del reato di falsa testimonianza, ne informa il PM e gli trasmette i relativi atti. In ogni caso è vietato arrestare in
udienza il testimone per falsa testimonianza o reticenza.
Il segreto professionale
Alcuni testimoni hanno il potere-dovere di non rispondere a determinate domande quando la risposta comporti la
violazione dell'obbligo del segreto professionale. Tale segreto è definito qualificato perché la possibilità di non
rispondere spetta soltanto ai professionisti indicati espressamente dall'articolo 200 cpp.
Tutela penale del segreto professionale
Per segreto si intende una notizia che non deve essere portata alla altrui conoscenza e che non è già di per sé notoria.
Nella materia in oggetto, la disciplina processuale deve essere attentamente coordinata con quella tracciata dal codice
penale. L’art. 622 c.p. stabilisce, infatti, un divieto di rivelazione in capo a chiunque, soggetto privato o pubblico,
abbia avuto notizia di un fatto segreto per ragione del proprio stato o ufficio o della propria professione o arte; la
rivelazione del segreto è vietata quando può nuocere alla persona che si sia rivolta al professionista.
Il codice di procedura penale riconosce la facoltà di non rispondere in relazione a fatti coperti da segreto professionale
soltanto ad alcuni professionisti tassativamente elencati dall'articolo 200. Gli altri professionisti non indicati
nell'articolo 200 sono considerati alla pari degli altri testimoni e devono rispondere secondo verità. L'obbligo di verità
che incombe sul professionista comune chiamato a deporre come testimone, costituisce giusta causa ai sensi
dell'articolo 622 c.p.; il professionista comune, quindi, non commette il delitto di rivelazione del segreto.
I professionisti qualificati
Dal simultaneo operare dell’art 200 cpp e dell’art 622 cp si ricava che essi hanno il potere-dovere di rifiutarsi di
rispondere alla singola domanda che li induca a narrare un fatto segreto appreso nell’esercizio della loro professione,
quando da ciò può derivare un pregiudizio per il cliente. Se il professionista qualificato depone comunque su un fatto
del genere, egli non può invocare la giusta causa ex articolo 622 e risponde di violazione del segreto professionale.
Si opera un bilanciamento tra l’interesse della giustizia all’accertamento dei reati (che spinge verso l’applicazione
generalizzata dell’obbligo di rispondere secondo verità senza deroghe) e gli interessi individuali tutelati dal segreto
professionale qualificato, che tende ad esonerare dall’obbligo di rispondere persone rese dalla loro professione
depositarie di informazioni piuttosto delicate. Sono situazioni che coinvolgono interessi costituzionalmente rilevanti,
come ad esempio quello a professare la propria religiosa, quello a difendersi in ogni tipo di processo e quello alla
salute.
Occorre che quel determinato fatto, sul quale il testimone deve deporre, sia stato appreso dai professionisti qualificati
per ragione del proprio ministero, ufficio o professione. Pertanto, se uno di costoro è a conoscenza di un fatto in
qualità di comune cittadino, egli resta vincolato all'obbligo di deporre secondo verità.
I professionisti che hanno l’obbligo giuridico di riferire il fatto all’autorità giudiziaria
L'articolo 200 pone un ulteriore limite: è necessario che il professionista qualificato non abbia comunque un obbligo
giuridico di riferire quel fatto all'autorità giudiziaria —> vale per tutti quei professionisti che siano dipendenti pubblici
o che, da privati, siano pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio. In quanto tali, hanno l'obbligo di denuncia
dei reati procedibili d’ufficio dei quali vengono a conoscenza nell'esercizio o a causa della loro funzione o servizio.
Quando il professionista qualificato eccepisce il segreto, il giudice deve provvedere agli accertamenti necessari. Se
ritiene fondata l'eccezione, rispetta la facoltà di tacere; altrimenti ordina al testimone di deporre (art. 207).
Categorie di professionisti qualificati:
a. Ministri di confessioni religiose i cui statuti non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano
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b. Avvocati, investigatori privati autorizzati, i consulenti tecnici e i notai. Gli investigatori privati che possono
opporre il segreto professionale sono soltanto quelli specificatamente autorizzati alle indagini processuali
c. I medici e i chirurghi, i farmacisti, le ostetriche e ogni altro esercente una professione sanitaria
d. Gli esercenti altri uffici o professioni ai quali la legge riconosce la facoltà di astenersi dal deporre determinata dal
segreto professionale
Solo la legge può estendere il segreto professionale, come è accaduto per i consulenti del lavoro, i dipendenti dei
servizi pubblici o privati convenzionati che si occupano del recupero dei tossicodipendenti, i dottori commercialisti, i
ragionieri, i periti commerciali e gli assistenti sociali iscritti all’albo professionale.
Il segreto professionale è esteso anche ai giornalisti con alcuni limiti.
• Può essere mantenuto relativamente ai nomi delle persone dalle quali è stata appresa una notizia di carattere
fiduciario
• Possono opporre il segreto soltanto i giornalisti iscritti nell'albo professionale
• Il giornalista è comunque tenuto ad indicare al giudice la fonte delle proprie informazioni quando le notizie sono
indispensabili ai fini della prova del reato per cui si procede e la loro veridicità può essere accertata soltanto
attraverso l'identificazione della fonte della notizia→ garanzia: tali limiti sono valutati dal giudice, ma la struttura
della regolamentazione tende a far prevalere l’interesse di giustizia su quello del giornalista a mantenere coperta la
fonte. Quando il giornalista può conservare il segreto, la notizia non può essere utilizzata nel processo, per il divieto
sulla testimonianza indiretta.
NB: il segreto bancario cede di fronte all’esigenza di accertare fatti penalmente rilevanti.
Segreto d’ufficio e di stato
Vi sono testimoni che, in virtù della loro qualifica pubblica, sono obbligati ad astenersi dal deporre su fatti conosciuti
in ragione del loro ufficio.
Il segreto d'ufficio, la cui violazione è prevista dall'articolo 326 c.p., vincola il pubblico ufficiale e l'incaricato di
pubblico servizio —> l’art 201 impone loro di non rispondere alle domande su fatti coperti dal segreto. L'obbligo di
astenersi dal rispondere, però, viene meno quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio hanno
l'obbligo di riferire all'autorità la notizia di reato (obbligo di denuncia). Tali soggetti, quindi, non possono mantenere
segreti quei fatti che concernono reati procedibili d’ufficio.
Se il testimone pub uff o inc pub ser oppone il segreto d’ufficio il giudice valuta la fondatezza dell’eccezione; in caso
contrario, gli ordina di deporre.
Il segreto di Stato
Una particolare forma di segreto d'ufficio è il segreto di Stato (Art 39 legge 124/2007): “Sono coperti dal segreto di Stato
gli atti, i documenti, le notizie, le attività e ogni altra cosa la cui diffusione sia idonea a recare danno all’integrità della
Repubblica, anche in relazione ad accordi internazionali, alla difesa delle istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento,
all’indipendenza dello Stato rispetto agli altri Stati e alle relazioni con essi, alla preparazione e alla difesa militare dello Stato”.
In base all'articolo 202, i pubblici ufficiali, i pubblici impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio hanno l'obbligo
di astenersi dal deporre su fatti coperti dal segreto di Stato.
Una volta opposto il segreto di Stato, l'autorità procedente ha due obblighi:
1. Deve procedere al cosiddetto interpello, informando il presidente del Consiglio dei Ministri e chiedendo
l'eventuale conferma del segreto
2. Deve sospendere ogni iniziativa volta ad acquisire e ad utilizzare la notizia oggetto del segreto
Se entro 30 giorni dalla notificazione della richiesta il presidente del consiglio non dà conferma del segreto, l'autorità
giudiziaria acquisisce la notizia e provvede per l'ulteriore corso del procedimento: il dichiarante è svincolato dal
segreto di Stato e deve deporre.
Se, invece, il presidente del consiglio conferma l'esistenza del segreto di Stato, è previsto un divieto probatorio molto
ampio: il giudice ed il pm non possono né acquisire né utilizzare, neanche indirettamente, le notizie coperte dal
segreto. Se la notizia coperta dal segreto è indispensabile per il proseguimento del procedimento, il giudice deve
dichiarare di non doversi procedere per l'esistenza del segreto di Stato.
Il segreto di polizia sugli informatori
Un'altra forma di segreto è quella che impone di non rivelare i nomi degli informatori della polizia giudiziaria e dei
servizi di sicurezza. Legittimati ad opporre tale segreto sono gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria, il personale
dipendente dei servizi per le informazioni e la sicurezza militare o democratica. Tutto quello che affermano di aver
sentito dagli informatori non può essere acquisito né utilizzato, se non quando l'informatore sia stato esaminato.
L'articolo 204 esclude che i segreti d'ufficio, di Stato o di polizia possano opporsi per fatti concernenti reati diretti
all'eversione dell'ordinamento costituzionale nonché ai delitti previsti dagli articoli 285,416 bis, 416 ter e 422 c.p.
L’esame delle parti
È denominato esame delle parti il mezzo di prova attraverso cui le parti private possono contribuire all'accertamento
dei fatti nel processo penale.
Possono definirsi generali le seguenti regole:
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I. Il dichiarante non ha l'obbligo penalmente sanzionato di dire la verità né di essere completo nel narrare i fatti; ha
la facoltà di non rispondere alle domande
II. Le dichiarazioni sono rese secondo le norme sull'esame incrociato
III. Le domande devono riguardare i fatti oggetto di prova
L'esame delle parti, però, è sottoposto a regimi giuridici diversi in ragione della persona che rilascia la dichiarazione.
L’esame dell’imputato (art. 208)
Questo strumento serve ad acquisire il contributo probatorio dell'imputato sui fatti oggetto di prova.
L'esame ha luogo solo con il consenso o su richiesta dell'interessato. Il mancato consenso non può essere valutato
negativamente dal giudice in quanto scelta che fa parte della strategia difensiva; però, in caso di mancato consenso,
quando la difesa afferma l’esistenza di un fatto, il rifiuto di sottoporsi all’esame opposto dall’imputato non gli
permette di adempiere all’onere di convincere il giudice.
La possibilità di mentire
L'imputato non è vincolato all'obbligo di rispondere secondo verità. Infatti, egli non è testimone in quanto
incompatibile con tale qualifica. Qualora l'imputato dica il falso, non incorre in conseguenze penali. Infatti, non
essendo testimone, non integra il reato di falsa testimonianza, poiché questa rappresenta un reato proprio; qualora,
invece, le sue dichiarazioni integrino reati diversi, beneficia della causa di non punibilità stabilita dall'articolo 384 c.p.
in favore di chi agisce per salvarsi da un grave e inevitabile pericolo nella libertà e nell’onore. L'articolo 384 non si
applica ai reati di calunnia e di simulazione di reato.
Pur non comportando sanzioni penali, l'aver dichiarato il falso può provocare conseguenze processuali: qualora
dall'esame incrociato risulti che l'imputato abbia mentito, questo perde di credibilità.
Diritto al silenzio
L'imputato può rifiutarsi di rispondere ad una qualsiasi domanda; del suo silenzio deve essere fatta menzione nel
verbale. Il silenzio può essere valutato dal giudice come argomento di prova (l'imputato può essere considerato non
credibile).
Infine, l'imputato ha la possibilità di affermare di aver sentito dire qualcosa pur potendo non indicare la fonte; la sua
dichiarazione può essere usata (diversamente dal caso del testimone e delle parti private) poiché data la sua particolare
posizione è importante acquisire anche ciò che sia venuto a sua conoscenza per via indiretta.
Le parti private diverse dall’imputato
Il responsabile civile, il civilmente obbligato per la pena pecuniaria e la parte civile, che non debba essere esaminata
come testimone, sono sottoposti all'esame incrociato sulla base delle regole generali previste dal codice per l'esame
delle parti:
a. Sono esaminati soltanto se richiedono il proprio esame o vi consentono
b. Possono non rispondere alle domande
c. non rispondono di falsa testimonianza
d. Se affermano di aver sentito dire, valgono le ordinarie condizioni di utilizzabilità previste dall'articolo 195
La parte civile chiamata a testimoniare, come tale è obbligata a deporre, e quindi sottoposta all’obbligo penalmente
sanzionato di dire la verità.
Il contributo probatorio dell’imputato tra diritto al silenzio e diritto a confrontarsi con l’accusatore
Sistema inquisitorio —> l'imputato ha l'obbligo di rispondere secondo verità; le false dichiarazioni sono sanzionate ed
è permesso l'utilizzo della tortura
Sistema accusatorio —> l'imputato non può essere costretto a testimoniare, anzi ha il diritto di restare in silenzio di
fronte alla polizia, al pm ed al giudice. É permesso all'imputato di offrirsi come testimone volontario soltanto davanti
al giudice: il contraddittorio impone che l'imputato sia controinterrogato dalla pubblica accusa e dall'imputato
concorrente nel medesimo reato o in un fatto inscindibile.
Sistema misto —> l'imputato è assolutamente incompatibile con la qualità di testimone, quindi non può neanche
offrirsi volontariamente; l'incompatibilità vale soltanto nel proprio procedimento penale.
Il codice del 1988 ha mantenuto la soluzione tipica del sistema misto; in più ha introdotto la totale inutilizzabilità delle
dichiarazioni rese in segreto prima del dibattimento dall’imputato nei cfr di altro imputato connesso e collegato.
Inoltre, non vi era tutela del diritto a confrontarsi con l’accusatore quando questi era a sua volta imputato.
Tra il 1992 ed il 1998 la corte costituzionale ed il legislatore hanno adottato soluzioni opposte, ampliando o
restringendo i limiti di utilizzabilità delle precedenti dichiarazioni. Nel 1999 il parlamento ha introdotto, tra i principi
del giusto processo, il diritto dell'imputato di confrontarsi con le persone che rendono dichiarazioni a suo carico.
La legge ha conservato, in favore dell'imputato e dell'imputato concorrente nel medesimo reato, l'assoluta
incompatibilità a testimoniare impedendo loro di assumere il ruolo di testimone volontario; ma ha anche introdotto
una forma di testimonianza coatta a carico degli imputati che sono accusati di aver commesso un reato in connessione
debole o collegato: hanno l'obbligo di testimoniare se hanno reso dichiarazioni su fatti che concernono la
responsabilità di altri. (vedi pag.307 secondo capoverso)

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L’esame di persone imputate in procedimenti connessi
L’imputato connesso o collegato può contribuire all'accertamento dei fatti con quattro differenti strumenti di prova:
1. Esame degli imputati concorrenti nel medesimo reato e situazioni assimilate
2. esame degli imputati collegati o connessi teleologicamente
3. testimonianza assistita prima della sentenza irrevocabile
4. testimonianza assistita degli imputati giudicati
NB: l’ordine riflette una gradazione crescente dal dichiarante più simile all’imputato (più garanzie) fino a quello più
simile al testimone (meno garanzie).
L'imputato connesso o collegato è l'imputato di quel procedimento che ha, rispetto al procedimento principale, un
rapporto di connessione o di collegamento probatorio, a prescindere dal fatto che i rispettivi procedimenti siano
riuniti o separati.
L'esame di tali soggetti è disciplinato dall'articolo 210 che predispone una duplice regolamentazione, in ragione del
tipo di connessione che intercorre tra i procedimenti.
Disciplina comune agli imputati connessi o collegati
In linea generale, gli imputati connessi o collegati godono delle medesime garanzie che sono riconosciute all'imputato
principale.
a) L'unica differenza assai significativa consiste nel fatto che l'imputato connesso o collegato ha l'obbligo di
presentarsi per rendere l'esame. Se non si presenta, il giudice ne ordina l'accompagnamento coattivo.
b) L'imputato connesso o collegato deve essere avvisato che ha la facoltà di non rispondere; se, però, egli rende
dichiarazioni dalle quali emergono indizi a proprio carico, l'autorità procedente non ha l'obbligo di interrompere
l'esame.
c) Inoltre, l'imputato connesso o collegato deve essere assistito da un difensore.
1. L’imputato di un procedimento connesso nelle ipotesi di concorso nel medesimo reato e situazioni assimilate.
L'imputato concorrente è incompatibile con la qualifica di testimone, fino a che non sia stata pronunciata sentenza
irrevocabile nei suoi confronti. Possiamo fare l’esempio di A e B imputati di aver commesso il furto di un’autovettura
in concorso tra loro.
Disciplina codicistica È necessario che l'esame dell'imputato connesso sia stato chiesto da una delle parti del
procedimento principale o che sia stato disposto d'ufficio dal giudice, nei casi previsti dalla legge. Il nominativo
dell'imputato deve essere inserito nelle liste testimoniali almeno sette giorni prima dell'inizio del dibattimento, con
indicazione delle circostanze sulle quali è chiamato a deporre.
Se l’imputato concorrente decide di rispondere, non ha l'obbligo penalmente sanzionato di dire la verità (non è un
testimone). Per quanto riguarda gli altri reati commessi con false dichiarazioni (es. favoreggiamento), restano punibili
soltanto la calunnia e la simulazione di un reato che nessuno ha commesso.
NB: La facoltà di non rispondere riguarda sia le domande sul fatto di reato a lui addebitato come imputato concorrente
B, sia le domande sui fatti commessi dall’imputato del procedimento principale. L'imputato concorrente può rifiutarsi
di rispondere anche se la domanda non è suscettibile di assumere un significato autoincriminante, e questo anche se
dal fatto affermato potrebbe non emergere alcuna sua responsabilità penale. In tale situazione, l’imp del procedimento
principale (A), accusato dall’imp concorrente nel reato, ha solo formalmente il diritto di controesaminare tale
soggetto; questi può legittimamente rifiutarsi di rispondere a tutte o ad alcune delle domande e può dire il falso anche
deponendo su un fatto altrui.
2. L’esame degli imputati collegati o connessi teleologicamente
L’art 210 comma 6 stabilisce un regime peculiare per gli imputati legati da una connessione debole (c.d. teleologica)
o collegati, che non hanno reso in precedenza dichiarazioni concernenti la responsabilità dell’imputato.
Gli imputati connessi o collegati
a. Hanno il dovere di presentarsi
b. Sono assistiti da un difensore (di fiducia o d’ufficio)
c. Sono avvisati che hanno la facoltà di non rispondere
Gli imputati collegati o connessi devono essere avvertiti che se renderanno dichiarazioni su fatti concernenti la
responsabilità di altri assumeranno la qualifica di teste limitatamente a tali fatti.
A questo punto inizia l’escussione. L'imputato connesso teleologicamente o collegato ha facoltà di tacere e, se parla,
non ha l’obbligo di dire la verità, ma se rende dichiarazioni su fatti riguardanti la responsabilità altrui, da quel
momento è qualificabile come testimone assistito limitatamente ai fatti dichiarati.
Una differente interpretazione Dalle medesime disposizioni è stata ricavata una differente interpretazione di tipo
meramente letterale: ex art 210 comma 6, alle persone imputate in procedimenti collegati o connessi teleologicamente
è dato l’avvertimento che, se renderanno dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità di altri, assumeranno in
ordine a tali fatti l’ufficio di testimone; e se non si avvalgono della facoltà di non rispondere, assumono l’ufficio di
testimone. In base a questa differente interpretazione, a far scattare il mutamento di veste del dichiarante (da imputato
a testimone) è la sola manifestazione della volontà di rispondere. Il giudice deve ammonire sull’obbligo di dire la
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verità ed il testimone è tenuto a pronunciare la relativa impegnativa ex art. 497. Quindi, è sufficiente registrare il mero
dato oggettivo costituito dalla scelta di parlare, senza dover procedere a valutazioni opinabili circa la natura delle
dichiarazioni su fatti propri, altrui o inscindibili. Questa interpretazione trascura la sistematica del codice per due
motivi:
- perché la disciplina sull’incompatibilità (riferita a tutte le ipotesi di mutamento di status) stabilisce in modo
chiaro che l’imputato collegato o connesso teleologicamente è incompatibile con la qualifica di testimone fin
quando non abbia reso dichiarazioni su fatti altrui; al contrario, la suddetta interpretazione darebbe rilevanza
all’inciso secondo cui l’incompatibilità a testimoniare cesserebbe solo quando l’imputato c. o c.p. decida di
rispondere.
- l’interpretazione criticata comporterebbe una asimmetria tra quanto accade nel corso delle indagini e quanto
accade in dibattimento; infatti, mentre durante l’interrogatorio è solo la dichiarazione sul fatto altrui a far
perdere l’incompatibilità a testimoniare, in dibattimento la caduta dell’incompatibilità conseguirebbe alla sola
scelta di parlare a prescindere dal contenuto delle dichiarazioni.
Il riscontro delle dichiarazioni rese dall’imputato connesso o collegato
Delle dichiarazioni rese dall'imputato connesso o collegato deve essere fatto un riscontro particolarmente accurato. Per
riscontro si intende il controllo di attendibilità di una dichiarazione; questo controllo è implicito per qualsiasi
dichiarazione resa nel corso del procedimento, ma per quelle rese dagli imputati connessi o collegati si prevede un
obbligo più rigoroso. (vedi art 192 comma 3 cpp dal quale si ricava che le dichiarazioni degli imputati connessi o
collegati sono valutabili come prova solo in caso di riscontri)
La ratio dello strumento sta nel fatto che, di regola, l'imputato ha l'interesse più forte in relazione all'esito del
procedimento penale. Le dichiarazioni di un imputato connesso, quindi, potrebbero essere finalizzate ad alleggerire la
propria posizione. → perciò dire il falso potrebbe fargli ottenere un vantaggio o un minore svantaggio o ancora
permettergli di vendicarsi di un complice per il comportamento da questi tenuto.
Il codice, tuttavia, non elimina totalmente il libero convincimento del giudice; infatti, anche se il riscontro ha avuto
esito positivo, il fatto affermato non deve, solo per questo, ritenersi vero; se così fosse, saremmo di fronte ad una
prova legale, circostanza esclusa dall’art 192 comma 1.
Una volta che il riscontro abbia avuto un esito positivo, il giudice dovrà verificare se la dichiarazione può essere utile
a ricostruire il fatto storico in un determinato modo.
Altri elementi di prova
Il codice impone di valutare gli altri elementi di prova: è sufficiente che gli altri elementi siano tali da permettere
semplicemente di affermare l'attendibilità del dichiarante su quel determinato punto. Può accadere che l’imputato
ammetta la propria responsabilità, indicando altri come colpevoli del medesimo fatto di reato→ tale è definita la
“chiamata di correo”; ma può anche accadere che un imputato indichi un’altra persona come responsabile di un altro
fatto di reato (cd. dichiarazione accusatoria). Tutte queste situazioni rientrano nel regime giuridico particolare ex art
192 commi 3 e 4.
Il riscontro estrinseco
Il codice precisa che il riscontro deve avere ad oggetto altri elementi di prova, estrinseci rispetto alla dichiarazione
stessa. Qualora si tratti di dichiarazioni di altre persone si parla di riscontri incrociati: questo tipo di riscontro è
ammesso, purché sia rispettata la caratteristica della altruità dell'elemento di prova, cioè dell'indipendenza rispetto alla
dichiarazione da provare (ad esempio, non deve esserci stato accordo tra i dichiaranti).
Il riscontro intrinseco
Dall'obbligo di effettuare un riscontro estrinseco, la giurisprudenza ha ricavato l'obbligo di effettuare anche un
riscontro intrinseco: cioè valutare la credibilità del dichiarante, la precisione, la costanza, la spontaneità e la coerenza
all'interno della stessa dichiarazione resa. Inoltre, in caso di dichiarazione contra se occorre valutare la “genesi remota
e prossima della decisione di confessare”.
Infine, la dichiarazione è frazionabile, cioè deve essere effettuato un riscontro per ogni fatto asserito e per ogni
soggetto indicato come responsabile.
La testimonianza assistita
Art 197bis l'imputato è sentito con l'assistenza obbligatoria del proprio difensore di fiducia o d'ufficio, in ragione del
collegamento tra il reato, che gli è addebitato, e quello che è oggetto del procedimento nel quale è chiamato a deporre.
Sono previste due categorie di testimonianza assistita:
- 3. Testimonianza assistita prima della sentenza irrevocabile Una categoria opera nei confronti dei soli imputati
collegati o connessi teleologicamente e unicamente quando il procedimento penale a loro carico non si è ancora
concluso con sentenza irrevocabile. Possono deporre come testimoni assistiti se hanno reso dichiarazioni su fatti
che concernono la responsabilità di altri
- 4. Testimonianza assistita degli imputati giudicati Un’altra categoria scatta dopo che si è concluso con sentenza
irrevocabile il procedimento a carico dell’imputato connesso o collegato
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Norme comuni a tutti i testimoni assistiti
L’art 197 bis detta alcune regole comuni ad entrambe le categorie di testimoni assistiti
a. Ai testimoni assistiti si applicano le norme sulla testimonianza, salvo se derogate espressamente o implicitamente
dalle regole contenute nell'articolo 197 bis.
b. I testimoni in oggetto devono essere assistiti da un difensore, anche d’ufficio
c. Le dichiarazioni rilasciate dai testimoni assistiti non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese nel
procedimento a suo carico, nel procedimento di revisione della sentenza di condanna ed in qualsiasi giudizio civile
o amministrativo relativo al fatto addebitato al dichiarante. Questa norma vuole neutralizzare i pregiudizi derivanti
al testimone assistito da eventuali dichiarazioni a sé sfavorevoli, ed opera sia nel caso in cui il teste assistito è
ancora sottoposto a procedimento penale, sia nel caso in cui nei cfr di tale persona sia intervenuta una sentenza
irrevocabile.
d. Le dichiarazioni rese sono utilizzabili soltanto in presenza di riscontri che ne confermino l’attendibilità, e ciò in
quanto il legislatore ritiene poco affidabili tali dichiaranti, dato il legame tra il procedimento a loro carico e quello
nel quale sono chiamati a rendere dichiarazioni.
e. Non si applica nei confronti del testimone assistito (in quanto imputato) l'articolo 63, a tutela delle dichiarazioni
autoindizianti: se egli rende dichiarazioni autoindizianti, l'autorità procedente non deve interrompere l’esame, né
dare avvertimenti, né invitarlo a nominare un difensore e l’esame prosegue normalmente.
Le singole categorie di testimoni assistiti
3. Testimonianza assistita prima della sentenza irrevocabile
Affinché scatti l'obbligo di deporre come testimone è necessario che:
• l'imputato sia stato avvisato che se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri assumerà
l'ufficio di testimone; per fatto altrui si intende un fatto che concerne la responsabilità di altri per un reato connesso
o collegato con quello addebitato al dichiarante.
• Una volta avvertito, l'imputato collegato o connesso deve aver reso dichiarazioni su un fatto altrui. Non è necessario
che l'imputato sia consapevole delle conseguenze accusatorie derivanti dalla propria dichiarazione: ciò che conta è il
fatto oggettivo che la dichiarazione concerna la responsabilità altrui.
A seguito di tali dinamiche l'imputato collegato o connesso diventa compatibile con la qualifica di testimone
assistito. Si tratta di una compatibilità condizionata e parziale:
- condizionata perché scatta soltanto se l'imputato in questione ha reso dichiarazioni sul fatto altrui
- parziale perché è limitata al singolo fatto altrui già dichiarato
Lo speciale privilegio contro l’autoincriminazione Il testimone assistito non può essere incriminato sulla base della
dichiarazione effettuata come testimone assistito. Inoltre gode di un ulteriore privilegio: ai sensi dell'articolo 197 bis
comma 4, egli può non rispondere sui fatti che concernono la propria responsabilità in ordine al reato per cui si
procede o si è proceduto nei suoi confronti.
Poiché l'obbligo testimoniale è limitato ai fatti altrui già dichiarati, l'unico caso in cui l'escussione del teste assistito
può inerire alla propria responsabilità è l'ipotesi nella quale le precedenti dichiarazioni vertano su fatti inscindibili.
Quando i fatti sono inscindibili, la facoltà di non rispondere sul fatto proprio si estende inevitabilmente anche al fatto
altrui; ma se il teste assistito decide di rispondere, egli ha un obbligo di verità penalmente sanzionato→ perde la
facoltà di mentire.
Questa disciplina si applica sia quando i procedimenti connessi o collegati sono riuniti, sia quando sono separati.
È possibile che l’imputato renda dichiarazioni che induttivamente sono rilevanti per accertare un fatto che riguarda la
responsabilità di una persona, senza esserne consapevole.
4. Testimonianza assistita degli imputati giudicati In questo caso, l'imputato può essere chiamato in qualsiasi
momento come testimone assistito in un procedimento collegato o connesso, anche se non ha mai reso dichiarazioni su
fatti altrui o non ha ricevuto l'avviso previsto dall'articolo 64. Si tratta di un testimone permanente, poiché l’obbligo di
rispondere secondo verità non è limitato al fatto altrui su cui ha già reso dichiarazioni.
La posizione processuale dell'imputato dipende dalla formula terminativa della sentenza che lo riguarda. Occorre
distinguere tre differenti situazioni:
i. Imputato condannato o al quale è stata applicata la pena su sua richiesta (patteggiamento) —> gli imputati
possono essere chiamati in qualsiasi momento a testimoniare in un procedimento connesso o collegato, anche se
non hanno reso dichiarazioni su fatti altrui. Sono sentiti come testimoni assistiti ed hanno l'obbligo di verità
penalmente sanzionato
Le dichiarazioni rese non sono utilizzabili contro di loro nel procedimento a loro carico, nel procedimento di
revisione della sentenza di condanna o in qualunque processo civile o amministrativo relativo al fatto oggetto della
sentenza.
Godono del privilegio contro l'auto incriminazione su fatti diversi da quelli giudicati. Per contro, di regola non
hanno il privilegio sul giudicato. Solo in un caso il legislatore protegge il dichiarante: quando è stato condannato
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con sentenza irrevocabile, l'imputato non può essere obbligato a deporre sui fatti per i quali è stata pronunciata in
giudizio sentenza di condanna, se nel procedimento aveva negato la propria responsabilità o non aveva reso
alcuna dichiarazione. Tale privilegio non può essere invocato dalla persona nei cui confronti sia stata emessa
sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti.
Ai dichiaranti in esame si applicano tutte le altre disposizioni previste dall'articolo 197 bis
ii. Imputato prosciolto con formule terminative diverse dall'assoluzione perché il fatto non sussiste o per non
aver commesso il fatto—> non godono di alcun privilegio contro l'autoincriminazione sul fatto proprio coperto
dalla sentenza irrevocabile (qui l’interesse difensivo è ritenuto affievolito, poiché opera l’efficacia preclusiva del
“ne bis in idem”). Godono, invece, del normale privilegio contro l'autoincriminazione in relazione a fatti diversi
da quello per cui si è proceduto a loro carico. Si applicano tutte le altre disposizioni previste dall'articolo 197 bis
iii. Imputato assolto con formula piena perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto —> vanno
trattati in modo simile al testimone comune. Tali soggetti devono essere esaminati senza l'assistenza di un
difensore e senza che sia indispensabile acquisire un riscontro esterno. Sono sostanzialmente assimilati al
testimone comune trovandosi in situazione di assoluta indifferenza rispetto ai fatti oggetto del procedimento. Tale
dichiarante è obbligato a rispondere secondo verità sul fatto proprio coperto dalla sentenza irrevocabile. Per
contro, gode del normale privilegio contro l'autoincriminazione in relazione a fatti diversi da quello per cui si è
proceduto a suo carico
La deposizione degli imputati o indagati connessi in caso di archiviazione o di non luogo a procedere
La giurisprudenza di legittimità ha sentito fortemente l’esigenza di sottrarre alcuni tipi di imputati connessi e collegati
e di testimoni assistiti alla necessità dei riscontri delineando figure intermedie da attrarre nella categoria dei testimoni
comuni.
La situazione conseguente alla sentenza di non luogo a procedere
L'articolo 197 non menziona la sentenza di non luogo a procedere tra i provvedimenti che determinano la cessazione
dell'incompatibilità a testimoniare. Pertanto, valgono le regole generali sulla prova dichiarativa per quegli imputati nei
confronti dei quali sia stato pronunciato un provvedimento di non luogo a procedere per un reato connesso o collegato
a quello per cui si procede. → da ciò deriva che gli imputati connessi per concorso nel medesimo reato, oggetto di
sentenza di non luogo a procedere, sono radicalmente incompatibili con la qualifica di teste e vengono esaminati ex art
210 comma 1.
Al contrario, gli imputati collegati o connessi teleologici, oggetto di non luogo a procedere sono compatibili come
testimoni nei limiti dell’art 64, ovvero sono sentiti come testimoni assistiti se hanno reso dichiarazioni sul fatto altrui
precedute da rituale avvertimento ex art 64; altrimenti devono essere esaminati ex art 210 comma 6.
La situazione conseguente al provvedimento di archiviazione
L'articolo 197 si riferisce testualmente agli imputati connessi o collegati; a giudizio del Tonini tale disposizione deve
essere estesa agli indagati in forza dell'articolo 61 (clausola di equiparazione tra imputato e indagato).
Questa interpretazione ha trovato accoglimento nella giurisprudenza della corte costituzionale; invece, nella
giurisprudenza di legittimità si sono registrate differenti soluzioni. Le sezioni unite della cassazione hanno prospettato
una soluzione innovativa: la persona, nei cui confronti sia stata disposta archiviazione, ha perso la qualifica di
indagato e pertanto sfugge all'ambito applicativo dell'incompatibilità a testimoniare. Poiché l'archiviato non è più
indagato egli deve essere sentito come testimone comune.
La soluzione della corte non sembra accettabile perché è basata su un'interpretazione meramente letterale; essa lascia
senza tutela l'archiviato nonostante tale persona si trovi in una situazione delicatissima: infatti, in qualunque momento
le indagini a suo carico possono essere riaperte sulla base della mera esigenza di nuove investigazioni.
Considerazioni sulla disciplina della testimonianza assistita (devi assolutamente leggere paragrafo pagina 326, qui
la trattazione è tronca)
La dottrina si è posta il problema se quella prevista nell'articolo 197 bis sia una testimonianza volontaria o coatta.
Alcuni ritengono sia volontaria:
- sono dati all’indagato gli avvisi che ha facoltà di non rispondere alle domande e che, se renderà dichiarazioni,
assumerà la posizione di testimone
- Il testimone gode comunque del privilegio dell’autoincriminazione
Il collaboratore e il testimone di giustizia
Legge n.45/2001 13 febbraio: ha stabilito i requisiti che consentono agli imputati ed ai condannati di diventare
collaboratori di giustizia e i requisiti per ottenere misure di protezione e di benefici processuali e penitenziari.
La successiva legge n.6 del 2018 11 gennaio ha distinto la regolamentazione della figura del testimone di giustizia
dalla regolamentazione della figura del collaboratore di giustizia.
Il collaboratore di giustizia→ è colui che, pur avendo commesso dei delitti, con le sue dichiarazioni, nuove e complete,
ha dato un contributo di notevole importanza per le indagini e per i processi che abbiano ad oggetto i soli delitti di
mafia e di terrorismo e assimilati previsti dall'articolo 51 cpp.
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La persona che ha manifestato la volontà di collaborare è ammessa a misure di protezione se si trova in grave e attuale
pericolo per effetto della collaborazione. Il collaboratore può ottenere benefici sia in relazione alle misure cautelari,
sia a quelle definitive; in quest’ultimo caso, deve espiare almeno un quarto della pena o 10 anni se condannato
all’ergastolo.
Il collaboratore entro 180 giorni deve fornire al pm tutte le notizie in suo possesso che siano utili:
A. Alla ricostruzione dei fatti e delle circostanze sui quali è interrogato
B. alla ricostruzione degli altri fatti di maggiore gravità ed allarme sociale di cui è a conoscenza
C. Alla individuazione e alla cattura dei loro autori
D. alla individuazione, al sequestro e alla confisca del denaro, dei beni e di ogni altra utilità dei quali egli, o altri
appartenenti ai gruppi criminali, dispongono direttamente o indirettamente
Le sue dichiarazioni sono trasfuse nel cosiddetto verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione. Sottoscrivendo
tale verbale, il collaboratore si impegna a rendere in futuro dichiarazioni su quei fatti che sono riconducibili alle
informazioni contenute nel verbale pena la perdita dei benefici a lui riconosciuti dal programma di protezione.
NB: il collaboratore sarà sentito
- come imputato concorrente (senza obbligo di verità penalmente sanzionato) o
- come testimone assistito (con obbligo di verità sul fatto altrui già dichiarato)
a seconda del tipo di legame esistente tra il proprio procedimento e quello nel quale è chiamato a deporre, nonché in
base all’oggetto delle precedenti dichiarazioni.
Il testimone di giustizia Come detto la legge 6 del 2018 ha dato al testimone di giustizia una regolamentazione
nettamente distinta da quella che lo assimilava al collaboratore.
i. Ha fornito una precisa definizione giuridica: il testimone di giustizia è colui che ha i seguenti requisiti:
a. Ha reso dichiarazioni di fondata attendibilità intrinseca e rilevanti per le indagini o per il giudizio
b. Si trova in una situazione di grave, concreto e attuale pericolo rispetto alla quale le ordinarie misure di
sicurezza non sono adeguate
c. Non ha riportato condanne per delitti dolosi o preterintenzionale né ha tratto profitto dall'essere venuto in
relazione con il contesto delittuoso (è ammissibile che abbia tenuto comportamenti penalmente rilevanti a
causa dell'assoggettamento a singoli o alle associazioni criminali)
d. non è (né è stato) sottoposto a misure di prevenzione
ii. Ha dato al testimone di giustizia una protezione preferibilmente nel luogo di origine con misure di sostegno
economico e di reinserimento
iii. Gli ha attribuito l'assistenza di un referente che lo accompagna in tutto il suo percorso (funge da sostegno
psicologico nei rapporti con le istituzioni)
iv. Ha previsto che nei suoi confronti possono essere utilizzati gli strumenti processuali dell'incidente probatorio e
dell'esame a distanza (ciò è previsto anche per il collaboratore)
Confronti, ricognizioni ed esperimenti giudiziali
Alcuni mezzi di prova hanno una caratteristica comune: nella fase di simulazione esiste un vero e proprio potere di
direzione spettante al giudice. Le parti hanno un ruolo marginale, cioè controllare che l'atto si svolga in modo
regolare, e non possono procedere ad esame incrociato.
Il confronto
Il confronto consiste nell'esame congiunto di due o più persone che siano già state esaminate o interrogate, quando vi
è disaccordo su fatti e circostanze importanti (art. 211).
All’esito del confronto, è possibile che uno dei protagonisti ricostruisca meglio il fatto, ammettendo l’inesattezza del
suo ricordo; oppure è possibile che le precedenti dichiarazioni di uno dei soggetti coinvolti siano svuotate di
credibilità.
Presupposti
• L'esistenza di un disaccordo tra due o più persone su fatti e circostanze importanti
• La necessità che le persone da mettere a confronto siano già state esaminate o interrogate
Soggetti al confronto possono essere imputati (o indagati), testimoni o altre parti private; il cfr può realizzarsi quindi
fra soggetti in posizione processuale omogenea (es. fra imputati) o eterogenea (es. imputato-testimone). L'imputato
può avvalersi del diritto al silenzio.
Il momento nel quale è disposto il confronto Il confronto può realizzarsi nella fase delle indagini, quando si siano già
raccolte dichiarazioni; in udienza preliminare; in dibattimento; in appello; nel giudizio di rinvio e nel giudizio di
revisione. Il mezzo può essere esperito anche nell'incidente probatorio, quando vi sia il pericolo di dispersione o
inquinamento della prova.
In quanto mezzo di prova, il confronto segue la disciplina generale della materia. Di regola è chiesto dalle parti, ma
può anche essere disposto dal giudice ex articolo 507.

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Il confronto non è manifestamente irrilevante quando vi è disaccordo fra dichiaranti; è pertinente quando il disaccordo
verte su fatti o circostanze importanti.
Le modalità Il giudice, titolare di un potere propulsivo oltreché direttivo, richiama ai protagonisti le precedenti
dichiarazioni discordanti e chiede loro se le confermano. Ove il disaccordo persista, li invita alle reciproche
contestazioni. Tutto ciò che avviene durante il confronto deve essere verbalizzato e va annotato anche il contegno dei
partecipanti, verifica utile per accertare l’eventuale imbarazzo derivante dalle contestazioni. In ogni caso, l’imputato (e
anche l’imputato connesso) continua a godere del diritto al silenzio.
La ricognizione
La ricognizione è quel mezzo di prova mediante il quale si chiede, ad una persona che abbia percepito con i propri
sensi un essere umano, di riconoscerlo individuandolo tra simili (art. 213). Può essere disposta anche quando è
necessario procedere al riconoscimento di cose (art 215), voci, suoni o quanto può essere oggetto di percezione
sensoriale (216).
Lo svolgimento è disciplinato minuziosamente dal codice, in quanto una modalità irregolare può infirmare
l'attendibilità del riconoscimento. L'atto può essere compiuto nel corso del dibattimento o nell'incidente probatorio e si
svolge nel rispetto del contraddittorio.
Accertamenti sull’attendibilità Il giudice invita il ricognitore a descrivere la persona che ha visto indicando tutti i
particolari che ricorda. Poi gli chiede:
a. Se sia stato in precedenza chiamato ad effettuare il riconoscimento
b. Se, prima e dopo il fatto, abbia visto, anche riprodotta in fotografia, la persona da riconoscere
c. Se la stessa gli sia stata indicata o descritta; se vi siano altre circostanze che possono influire sull'attendibilità del
riconoscimento
Nel verbale deve essere fatta menzione degli adempimenti previsti e delle dichiarazioni rese, il tutto a pena di nullità.
La predisposizione della scena In assenza del ricognitore, il giudice dispone che siano presenti almeno due persone
(c.d. distrattori) il più possibile somiglianti anche nell'abbigliamento a quella sottoposta a ricognizione; invita
quest’ultima a scegliere il suo posto rispetto alle altre persone, curando che si presenti, per quanto possibile, nelle
stesse condizioni in cui sarebbe stata vista dalla persona chiamata ad operare il riconoscimento.
Il tentativo di riconoscimento Reintrodotto il ricognitore, il giudice gli chiede se riconosce uno dei presenti; ciò
presuppone che il giudice debba informare il ricognitore che l'indiziato potrebbe non essere tra le persone presenti.
Nel caso in cui il ricognitore affermi di riconoscere qualcuno, il giudice lo invita ad indicare chi abbia riconosciuto e a
precisare se ne sia certo. Il verbale, a pena di nullità, deve menzionare le modalità di svolgimento della ricognizione;
non occorre alcun cenno ad osservare le predette prescrizioni, mentre è importante, ai fini dell’attendibilità della
prova, indicare il numero dei distrattori, la somiglianza, lo scegliere il posto, le modalità della domanda.
Se vi è fondata ragione di ritenere che il ricognitore possa subire intimidazioni dalla presenza della persona sottoposta
a ricognizione, il giudice dispone che l'atto sia compiuto senza che quest'ultima possa vedere il primo, ad esempio
attraverso uno spioncino.
Per la ricognizione di una cosa, si osservano modalità analoghe.
Può essere chiamato ad effettuare la ricognizione sia il testimone, sia l’imputato che può esercitare il suo diritto al
silenzio.
La naturale collocazione della ricognizione è durante le indagini nella forma dell’incidente probatorio, o nella forma
dell’individuazione quale atto di iniziativa del pm, ma essa può svolgersi anche durante il dibattimento.
L’esperimento giudiziale
L’esperimento giudiziale è ammesso quando occorre accertare se un fatto sia o possa essere avvenuto in un
determinato modo (art. 218). Consiste nella riproduzione, per quanto possibile, della situazione in cui il fatto si
afferma essere avvenuto e nella ripetizione delle modalità di svolgimento dello stesso. Il fatto di reato è ovviamente
irripetibile; lo scopo è quello di valutare la verosimiglianza della ricostruzione riproducendone le modalità di
svolgimento.
Il giudice dirige lo svolgimento delle operazioni; può designare d’ufficio un esperto per l’esecuzione di quelle
operazioni che richiedono speciali conoscenze.
L’esperimento si distingue dall’ispezione, che ha ad oggetto una percezione statica della situazione attuale di una cosa
o di una persona; infatti, con l’esperimento si riproduce un fatto già avvenuto, mettendo in movimento cose e persone.
Il mezzo di prova può essere disposto in dibattimento, o può essere condotto durante le indagini preliminari con lo
strumento dell’incidente probatorio.
L’attendibilità è subordinata alla possibilità di riprodurre esattamente a posteriori tutte le condizioni nelle quali si
afferma essere avvenuto il fatto da ricostruire.
Tuttavia, oggi è possibile ricostruire un fatto mediante computer nella realtà virtuale sulla base delle prove raccolte
(computer generated evidence). Lo strumento implica metodologie nuove e di alta specializzazione tecnico-scientifica,
quindi può essere ammesso solo se sussistono le condizioni richieste dal codice per l’assunzione della prova atipica.
Occorre garantire che siano controllate in contraddittorio l’accuratezza e la completezza dei dati raccolti; l’affidabilità
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dell’hardware e del software utilizzato; la qualificazione professionale dell’operatore che inserisce i dati e li elabora. Il
giudice deve determinare, sentite le parti, quelle modalità di assunzione che siano adatte all’impiego di
apparecchiature telematiche.
La perizia e la consulenza tecnica di parte
Considerazioni preliminari: prova scientifica e contraddittorio
L’evoluzione del concetto di scienza e contraddittorio
Nel sistema inquisitorio il perito era configurato come l'ausiliario del giudice che aveva l'iniziativa probatoria; nel
sistema prevalentemente accusatorio del codice del 1988 la perizia è diventata un mezzo di prova che si svolge in
contraddittorio.
La perizia è un mezzo di prova finalizzato ad integrare le conoscenze del giudice con quelle di un esperto. Deve essere
disposta dal giudice quando occorre compiere una valutazione per la quale sono necessarie specifiche competenze
tecniche, scientifiche o artistiche.
Ha 3 funzioni:
1. Svolgere indagini per acquisire dati probatori
2. acquisire gli stessi dati selezionandoli e interpretandoli
3. effettuare valutazioni sui dati già acquisiti
Il giudice deve nominare un esperto nel caso in cui le conoscenze richieste siano conoscenze specifiche: non è invece
necessario l'intervento di un esperto quando le conoscenze siano non specifiche.
La perizia non è l'unico strumento che permette di raggiungere le finalità indicate nell'articolo 220: esiste anche la
consulenza tecnica di parte all'interno della perizia, oppure una consulenza tecnica di parte fuori dei casi di perizia
(art. 223).
La perizia
Si caratterizza per essere un mezzo di prova particolarmente garantito: sin dalla fase del conferimento dell'incarico si
instaura un contraddittorio tra il perito e di consulenti delle parti, che possono presentare osservazioni e richieste. Il
giudice ha il compito di formulare i quesiti definitivi, dopo aver sentito il perito, i consulenti tecnici, il pm e i difensori
presenti (articolo 226).
Il perito ha il potere di compiere l'accertamento e di valutarne gli esiti; le parti potranno soltanto cercare di dimostrare
al giudice l'erroneità o la lacunosità della perizia.
Di regola la perizia è disposta a richiesta di parte, ma può essere disposta anche d'ufficio nel dibattimento.
Durante le indagini la perizia può essere svolta nella forma dell'incidente probatorio, e quindi soltanto a richiesta del
pm o dell'indagato; può essere disposta dal giudice per le indagini preliminari nelle ipotesi previste dall'articolo 392
(la persona, le cose luoghi da esaminare sono soggetti a modificazione non evitabile o quando si prevede che la perizia
durerà più di 60 giorni).
Il giudice sceglie il perito in base a precisi vincoli:
• Deve essere iscritto agli albi; può essere eccezionalmente scelta una persona al di fuori di tali albi, quando questa sia
fornita di particolare competenza tecnica
• Sono previste situazioni di incapacità ed incompatibilità del perito simili a quelle previste per il giudice —> il perito
deve trovarsi in situazione di terzietà ed impregiudicatezza.
Il perito ha l'obbligo di prestare il suo ufficio, salvo che sussista uno dei motivi di astensione; non può prestare il suo
ufficio se è citato come testimone, cioè abbia conosciuto i fatti oggetto di prova prima di assumere l’incarico.
Il perito deve presentarsi in udienza ed impegnarsi ad adempiere al proprio ufficio secondo verità (art. 226). Dopo che
il giudice ha formulato in via definitiva i quesiti, i consulenti possono assistere allo svolgimento della perizia,
presentare al giudice osservazioni e riserve e proporre specifiche indagini.
Il perito gode di propri poteri di direzione e di impulso; tuttavia, egli resta sotto il controllo del giudice. In particolare,
il perito può prendere visione soltanto degli atti acquisibili al fascicolo per il dibattimento (Art. 228).
Il giudice può autorizzare il perito ad assistere all'esame delle parti o all'assunzione delle prove. Il perito può chiedere
notizie all'imputato, all'offeso e ad altre persone informate, con il limite che gli elementi acquisiti possono essere
utilizzati soltanto i fini dell'accertamento peritale.
Il perito può essere autorizzato dal giudice a servirsi di ausiliari di sua fiducia. Il giudice ha il potere di adottare tutti
gli altri provvedimenti che si rendono necessari per l'esecuzione delle operazioni peritali.
Il risultato della perizia è la relazione che il perito dovrebbe svolgere, di regola, oralmente e che può formulare per
iscritto su autorizzazione del giudice. Dopo che ha presentato la relazione scritta, il perito può essere sottoposto
all'esame incrociato su richiesta di parte. Il giudice non è vincolato alla perizia perché può disattenderne le
conclusioni dando adeguata motivazione.
L’art 220 comma 2 pone il divieto di ammissione di perizie volte ad accertare il carattere e la personalità dell'imputato
e in genere le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche; sono vietate le perizie tendenti a stabilire l'abitualità
o la professionalità nel reato e la tendenza a delinquere. Sono ammesse sull'imputato soltanto quelle perizie che
tendono ad accertare una malattia mentale.
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La ratio può essere rinvenuta nell'esigenza di tutelare la presunzione di innocenza dell'imputato. Infatti, dopo la
condanna irrevocabile, la perizia criminologica è ammessa in relazione alla fase dell'esecuzione della pena o della
misura di sicurezza.
Il consulente tecnico di parte all’interno della perizia
Quando è stata disposta la perizia, le parti hanno la facoltà di nominare propri consulenti tecnici in numero non
superiore a quello dei periti (art. 225). Al consulente tecnico si applicano le cause di incapacità e di incompatibilità
che sono previste per il perito; non può essere nominato consulente tecnico colui che è chiamato a prestare l'ufficio di
testimone.
Le parti private non hanno l'obbligo di scegliere il consulente tecnico all'interno di albi.
I consulenti possono assistere al conferimento dell'incarico e presentare al giudice richieste, osservazioni e riserve
delle quali è fatta menzione nel verbale. Inoltre, i consulenti possono assistere allo svolgimento della perizia
proponendo al perito specifiche indagini; anche in tal caso possono presentare richieste, osservazioni e riserve delle
quali si dà atto nella relazione peritale (art. 230). Se sono nominati dopo l'esaurimento delle operazioni peritali, i
consulenti possono prendere conoscenza delle relazioni e chiedere al giudice di essere autorizzati a esaminare la
persona, la cosa o il luogo oggetto della perizia.
La normativa sulla consulenza tecnica di parte è ricavabile per analogia da quanto previsto per il perito, salvo le
differenze dettate espressamente dal codice.
Una delle principali differenze sta nel fatto che il perito assume l'obbligo penalmente sanzionato di far conoscere la
verità. Invece, nessun obbligo del genere è previsto espressamente dal codice per il consulente di parte.
Il consulente di parte fuori dei casi di perizia (art 223)
È il nuovo istituto introdotto dal codice del 1988. Sia il pm, sia le parti private possono avvalersi dell'opera di
specialisti al fine di raccogliere elementi di prova scientifica, tecnica, artistica; e ciò, a prescindere dal fatto che il
giudice abbia ammesso o meno perizia. Il consulente delle parti private o del pm è sentito in dibattimento con esame
incrociato su domande del pm e del difensore (art 501); nell'udienza preliminare le domande sono poste dal giudice.
Formalmente la consulenza tecnica non ha la natura di un mezzo di prova; tale natura gli è stata espressamente
riconosciuta dalla corte costituzionale.
Mediante la nomina di un consulente tecnico fuori della perizia, ciascuna parte ha il diritto di tentare di convincere il
giudice applicando la legge scientifica che ritiene più corretta. I consulenti tecnici possono svolgere la propria attività
anche quando il giudice non ha disposto la perizia. Il consulente propone valutazioni tecniche che si traducono in
memorie scritte e che possono essere oggetto di deposizione orale nell'esame incrociato.
Il consulente nominato da una parte privata può:
- svolgere investigazioni difensive per ricercare ed individuare elementi di prova
- Conferire con le persone che possono dare informazioni
- Esaminare, previa autorizzazione, il materiale che l'autorità giudiziaria ha posto sotto sequestro
Il difensore della parte privata può scegliere se presentare o meno al giudice gli elementi di prova che siano stati
raccolti dal consulente tecnico.
La possibilità di nominare un consulente va riferita anche alla persona offesa e all'indagato; tali soggetti possono
nominare consulenti in numero non superiore a due. Anche in questo caso valgono le situazioni di incompatibilità già
analizzate in relazione alla consulenza tecnica interna alla perizia.
La pubblica accusa può nominare consulenti tecnici sia nel caso di perizia, sia fuori dei casi di perizia. Il pubblico
ministero nomina il consulente tecnico di regola scegliendo una persona iscritta negli albi dei periti. Nella sola fase
delle indagini preliminari, la pubblica accusa può nominare consulenti tecnici in base ad una normativa che costituisce
una ulteriore specificazione dell’articolo 223
La valutazione della perizia e della consulenza tecnica di parte
È possibile affermare che risulta oggettivamente difficile valutare una prova scientifica: da un lato c'è il pericolo che il
giudice si rimetta completamente al parere dello scienziato; dall'altro lato, il rischio è che il giudice si arroghi il diritto
all'ultima parola. Gli opposti pericoli si neutralizzano calando la prova scientifica all'interno degli ordinari meccanismi
conoscitivi del processo.
La prova scientifica deve essere valutata con i controlli che si applicano alle altre prove: il giudice nella motivazione
della sentenza deve esporre perché ritiene attendibile la prova sulla quale fonda la sua decisione e perché ritiene non
attendibili le prove contrarie.
Non si può imporre al giudice di adottare una motivazione tecnica entrando nel merito delle argomentazioni degli
specialisti. Tuttavia, si ritiene necessario che il giudice dimostri di aver preso in considerazione le diverse ricostruzioni
tecniche e di averle accettate o scartate sulla base di motivi oggettivi.
Emerge l'assoluta centralità dell'esame incrociato al quale possono essere sottoposti gli esperti, poiché è grazie a tale
strumento che le parti riescono a convincere il giudice.
Per verificare la validità dell'opinione che l'esperto espresso, occorre che il giudice motivi sui seguenti punti:
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• Se l'esperto ha in concreto una specifica idoneità ad espletare l'incarico affidatogli
• Se la teoria a cui ha fatto riferimento sia stata o possa essere verificata o smentita
• Se la teoria sia stata oggetto di pubblicazione scientifica ed esaminata ad altri esperti
• Se è conosciuto il coefficiente di errore relativo alla teoria proposta
• Occorre verificare se la teoria prospettata sia sempre attuale oppure abbia subito nel tempo revisioni o
aggiornamenti
Il perito è attendibile se la sua ricostruzione ha resistito all'urto del contraddittorio. Non esiste una gerarchia tra perito
il consulente.
La prova scientifica deve essere collocata nel quadro delle altre risultanze processuali: nella valutazione il giudice
deve necessariamente verificare se il risultato della prova scientifica appare coerente con le altre prove raccolte nel
procedimento.
Sull'onda delle acquisizioni della sentenza Franzese, si deve ritenere che alla perizia si applicano le regole generali
sulla prova, nel senso che la materia scientifica, tecnica o artistica non è né immune né incompatibile con esse.
Ovviamente sono necessari degli adattamenti:
1. Al posto degli ordinari criteri della non manifesta irrilevanza e superfluità, si prevedono i requisiti della specificità
delle competenze e dell’occorrenza
a. Specificità delle competenze —> pone al giudice il divieto di operare lui stesso come esperto
b. Occorrenza —> la Cassazione, nel recente caso Yara, ha specificato che il giudice non deve nominare un
perito quando le teorie esposte dai c.t. dell’accusa sono affidabili e sono in grado di spiegare
l’argomentazione probatoria di quello specifico caso
2. La peculiarità della perizia sta nel fatto che il giudice ha il dovere di ammetterla sia quando è richiesta dalle parti,
sia quando le parti restano inerti
3. L’onere di dimostrare che la tesi utilizzata è quella maggiormente accreditata dagli studiosi ricade sulla parte che
utilizza tale tesi. La giurisprudenza di legittimità ha stabilito che la condanna presuppone la dimostrazione, al di là
di ogni ragionevole dubbio, che la legge sulla quale è fondata l’accusa sia riconosciuta dagli studiosi come quella
maggiormente accreditata. Quindi, alla difesa è sufficiente dimostrare l’esistenza di un serio dubbio in ordine alla
forza della teoria posta a base dell’impianto accusatorio.
4. Una recente sentenza delle S.U. ha spazzato via l’idea secondo cui la perizia fosse una prova neutra: certamente il
perito è un soggetto indipendente, ma da questa indipendenza non deriva che il suo parere scientifico debba essere
definito neutro. La perizia non può essere considerata portatrice di una verità assoluta
5. L’imputato ha il diritto che sia ammessa la prova peritale
Limitazioni alla libertà personale
Può accadere che nel corso della perizia si renda necessario compiere atti idonei ad incidere sulla libertà personale
dell’indagato o di altre persone.
Qualora l’interessato sia consenziente, non scatta la necessità di tutelare la libertà personale. In questo caso i prelievi e
gli accertamenti possono essere effettuati nel corso delle comuni attività peritali, senza particolari formalità e
requisiti, con il solo limite ricavabile dall’art. 5 c.c.
Nel caso in cui, invece, l’individuo non presti il proprio consenso si applica l’art. 224bis. Affinché possano essere
disposti accertamenti coercitivi, è necessario che si proceda per un delitto doloso o preterintenzionale, consumato o
tentato, per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a 3 anni, oppure
per i delitti colposi di omicidio stradale e lesioni personali stradali, e negli altri casi espressamente previsti dalla legge.
Inoltre, occorre che la perizia risulti assolutamente indispensabile per la prova dei fatti. Di tale motivazione il
giudice dovrà dare conto nella motivazione dell’ordinanza che dispone la perizia coattiva.
Infine, la norma indica quali sono le attività che possono essere compiute:
- prelievo di capelli, peli, mucosa del cavo orale su persone viventi ai fini della determinazione del profilo del DNA
- Accertamenti medici (in materia di violenza sessuale e pedofilia)
Non sono ammesse le operazioni che contrastano con espressi divieti posti dalla legge; che possano mettere in
pericolo la vita, l’integrità fisica o la salute della persona o del nascituro; che secondo la scienza medica possano
provocare sofferenze di non lieve entità.
La perizia coattiva è disposta con ordinanza motivata, che contiene:
• La nomina del perito
• La sommaria enunciazione dell’oggetto delle indagini
• L’indicazione del giorno, dell’ora e del luogo fissati per la comparizione
• Le generalità della persona
• L’indicazione del reato
• L’indicazione specifica del prelievo o dell’accertamento da effettuare e delle ragioni che lo rendono indispensabile
• l’avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore o da una persona di fiducia

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• L’avviso che, in caso di mancata comparizione non dovuta a legittimo impedimento, potrà essere ordinato l’accompagnamento
coattivo
L’ordinanza è notificata all’interessato, all’imputato e al suo difensore, nonché alla persona offesa almeno 3 giorni prima di quello
stabilito per l’esecuzione delle operazioni.
Se l’individuo compare ma mostra un atteggiamento ostile, il giudice dispone che le operazioni vengano eseguite coattivamente.
La prova documentale
Il documento è quella rappresentazione di un fatto che è incorporata su di una base materiale con un metodo analogico
o digitale. Comprende quattro elementi:
1. Il fatto rappresentato —> tutto ciò che può essere oggetto di prova (fatti, persone, cose, dichiarazioni di scienza
o di volontà)
2. La rappresentazione —> è la riproduzione di un fatto; può avvenire per opera dell’uomo o automaticamente
mediante uno strumento
3. L’incorporamento —> è l’operazione mediante la quale la rappresentazione è fissata su una base materiale. Il
codice cita:
a. Scrittura
b. Fotografia
c. Fonografia
d. Cinematografia
e. Qualsiasi altro mezzo
4. La base materiale —> può essere la più varia; è sufficiente l’idoneità a conservare la rappresentazione al fine di
riprodurla quando occorra
Documento tradizionale = la rappresentazione di un fatto che è incorporata su di una base materiale con un metodo
analogico
Documento informatico = la rappresentazione di un fatto che è incorporata su di una base materiale con un metodo
digitale. Il documento informatico pone dei problemi in quanto il dato è facilmente modificabile da persone anche
differenti all'autore; inoltre in alcuni casi un successivo accesso al file tramite il dispositivo provoca la modifica del
contenuto dello stesso. Per questo, può essere arduo conservare un documento informatico inalterato; di qui la
necessità di particolari cautele.
Bisogna distinguere tra il concetto di documento e quello di documentazione. Il documento è la rappresentazione di
un fatto che è incorporata su di una base materiale, quando il fatto rappresentato è differente da un atto del
procedimento penale. La documentazione, invece, è la rappresentazione di un atto del procedimento penale che è
incorporata su di una base materiale e che è formata da un soggetto del procedimento.
La modalità di documentazione di un atto del procedimento è di regola il verbale (artt. 134-142).
Subito dopo l'entrata in vigore del codice del 1988, un'opinione dottrinale ha sostenuto che il documento contenente
una dichiarazione non è utilizzabile come prova del fatto narrato perché ciò sarebbe contrario al principio di oralità.
La Corte costituzionale (sent. 142/1992) ha precisato che l'articolo 234 non distingue tra rappresentazione di fatti e
rappresentazione di dichiarazioni: il documento contenente una dichiarazione può costituire prova del fatto
rappresentato.
Dall’art. 111 comma 4 Cost. si ricava il diritto dell’imputato a confrontarsi con l’autore della dichiarazione, anche se
tale dichiarazione è contenuta in un documento.
Il documento anonimo
La prova documentale può essere valutata dal giudice nella sua attendibilità quando è noto l'autore del documento.
Infatti all'autore, chiamato a deporre, possono essere rivolte le domande che servono a valutarne la credibilità e
l’attendibilità (art. 194). Una verifica del genere non può avvenire se l'autore del documento è ignoto.
Anonima è quella rappresentazione della quale non è identificabile l'autore; per il documento anonimo è prevista una
specifica disciplina.
Il codice distingue il caso in cui il documento contenga una dichiarazione anonima, dal caso in cui il documento
contenga una rappresentazione differente dalla dichiarazione. Nel caso in cui si tratti di una dichiarazione anonima,
il codice prevede l’inutilizzabilità.
Invece, il codice non regola la rappresentazione anonima diversa dalla dichiarazione. Poiché è posto come regola
generale il libero convincimento del giudice, ne deriva che le ipotesi di inutilizzabilità delle prove devono essere
tassative. Quindi, possiamo concludere che i documenti anonimi non dichiarativi sono utilizzabili.
Se si presenta il caso di un documento misto, che contiene sia una dichiarazione anonima sia una rappresentazione
diversa dalla dichiarazione, occorre ritenere che esso sia utilizzabile solo in quella parte di rappresentazione che non
costituisce una dichiarazione.
Il documento può essere sottoposto alle parti private o ai testimoni se occorre verificarne la provenienza.
Una volta accertata l'identità dell'autore, il documento non è più anonimo ed è quindi utilizzabile. Naturalmente,
occorre accertare se l'autore è credibile e se la dichiarazione è attendibile.
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L'assenza della sottoscrizione o la sottoscrizione illeggibile dà luogo al documento soltanto formalmente anonimo.
L'autore della rappresentazione può essere identificato attraverso un mezzo di prova come, ad esempio, una perizia.
A questo punto sorge il problema del valore probatorio della dichiarazione che non sia stata sottoscritta dall’autore,
nel caso in cui questo sia stato comunque identificato. La mancata sottoscrizione rende problematico, ma non
impossibile, attribuire alla dichiarazione un sicuro significato probatorio.
Il codice prevede due eccezioni al divieto di utilizzare dichiarazioni anonime (art. 240):
i. Le dichiarazioni che costituiscono corpo del reato —> mediante o sulle dichiarazioni è stato commesso il reato;
oppure quando queste ne costituiscono il prodotto, profitto o prezzo
ii. Le dichiarazioni che comunque provengano dall’imputato —> bisogna chiarire se è richiesto che l’imputato sia
autore della dichiarazione o se sia sufficiente che l’imputato sia colui che la presenta nel procedimento.
se si richiedesse che l’imputato fosse l’autore della dichiarazione, questa cesserebbe di essere anonima, quindi la
previsione dell’eccezione sarebbe inutile. Di conseguenza, occorre che venga interpretato nel senso che le
dichiarazioni sono utilizzabili se sono presentate dall’imputato.
Ovviamente il valore probatorio sarà molto limitato, in quanto sarà difficile dimostrare l’attendibilità della
dichiarazione.
Il codice vieta l'acquisizione di documenti aventi determinati oggetti. La violazione del divieto comporta
l'inutilizzabilità dell'elemento di prova.
Art 234
• Documenti che contengono informazioni sulle voci correnti nel pubblico intorno ai fatti di cui si tratta nel processo
• Documenti concernenti la moralità delle persone che partecipano al processo penale
È previsto un generale divieto di utilizzazione, rispetto al quale sono previste delle eccezioni
Ai fini del giudizio sulla personalità dell'imputato e della persona offesa dal reato, i documenti utilizzabili sono
tassativamente indicati dall'articolo 236 (certificati del casellario giudiziale, documentazione esistente presso gli uffici
del servizio sociale e della magistratura di sorveglianza, le sentenze irrevocabili del giudice italiano, le sentenze
straniere riconosciute).
Il codice pone l'obbligo di acquisire i documenti che costituiscono corpo del reato qualunque sia la persona che li
abbia formati o li detenga. Sono corpo del reato le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso, o le
cose che ne costituiscono il prodotto o il profitto o il prezzo.
È consentita l'acquisizione anche di ufficio di qualsiasi documento proveniente dall'imputato. Tale disposizione trova
un limite nel divieto di sequestro in presenza di segreti tutelati dal codice di procedura penale. Vi è anche il divieto di
sequestrare presso il difensore carte o documenti relativi all'oggetto della difesa e la corrispondenza tra l'imputato e il
proprio difensore. Il sequestro è consentito, per carte e documenti, quando costituiscono il corpo del reato.
L'articolo 238 permette alle parti di ottenere, a determinate condizioni, che siano acquisite ed utilizzati in dibattimento
le prove che sono state raccolte in un altro procedimento penale o civile.
Gli atti di un altro procedimento seguono un regime di utilizzabilità che simile a quello che vige nel procedimento
principale per la documentazione degli atti assunti fuori del dibattimento.
Si applica un regime differente a seconda che gli atti assunti nel procedimento a quo siano ripetibili o non ripetibili nel
procedimento ad quem.
- atti non ripetibili —> I verbali sono utilizzabili in due ipotesi:
1. Se si tratta di impossibilità di ripetizione originaria
2. se si tratta di non ripetibilità sopravvenuta, purché essa sia dovuta a circostanze non prevedibili
- Atti ripetibili
• Prove dichiarative: occorre distinguere in base alla sede in cui esse sono state assunte
a. I verbali delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini sono utilizzabili in due ipotesi:
1. Se l'imputato del procedimento ad quem vi consente
2. In mancanza di consenso, le dichiarazioni sono utilizzabili se la persona viene esaminata nel
procedimento ad quem, nei limiti della disciplina delle contestazioni previste dagli articoli 500 e 503
b. I verbali delle dichiarazioni assunte in incidente probatorio o in dibattimento: sono utilizzabili sia nelle ipotesi
appena menzionate, sia se il difensore dell'imputato del procedimento ad quem ha partecipato all'assunzione
della prova
c. Le dichiarazioni rese in giudizio civile chiuso con sentenza irrevocabile sono utilizzabili contro l'imputato, se
nei suoi confronti fa stato la sentenza civile
• Prove non dichiarative: le prove ripetibili che provengono dal procedimento a quo sono utilizzabili nel
procedimento ad quem soltanto se si tratta di dati raccolti nell'incidente probatorio, nel dibattimento o nel
giudizio civile concluso con sentenza irrevocabile

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Le parti del procedimento ad quem hanno il diritto di ottenere l'esame della persona le cui dichiarazioni sono state
acquisite, purché l'atto sia ripetibile. La lettura dei verbali di dichiarazioni può avvenire soltanto dopo che la persona è
stata interrogata.
L'articolo 238 bis consente che le sentenze irrevocabili possono essere acquisite ai fini della prova di un fatto iniziale
accertato. Il codice pone come condizione che vi siano riscontri esterni che ne confermino l'attendibilità ai sensi
dell'articolo 192 comma tre. Le parti sono ammesse a provare il contrario. La norma è stata introdotta nel 92 ed è
finalizzata alla repressione della criminalità mafiosa. Nonostante la specificità della causa dell'introduzione, l'articolo
238 bis non è stato limitato a particolari tipologie di reato e, dunque, ha un ambito applicativo generale. La
disposizione deve essere oggetto di una interpretazione adeguatrice che tenga conto del principio costituzionale del
contraddittorio: le dichiarazioni rese contra alios da chi si è sempre sottratto all'esame dell'imputato e del suo difensore
sono inutilizzabili anche se contenute in una sentenza irrevocabile legittimamente acquisite ai sensi dell'articolo 238
bis.
I documenti illegali
L'articolo 240 comma 2 disciplina due peculiari categorie di documenti predisposti attraverso attività che possiamo
definire di spionaggio e dossieraggio illeciti. Entrambi sono puniti con la sanzione dell'inutilizzabilità rafforzata
dall'obbligo di distruzione. Il requisito comune consiste nel rappresentare un fatto che deve essere differente da un
atto del procedimento penale.
Spionaggio illecito = Dati e contenuti di conversazioni o comunicazioni, relativi al traffico telefonico e telematico,
illegalmente formati o acquisiti.
Dossieraggio illecito = documenti formati attraverso la raccolta illegale di informazioni. Si riferisce a quel trattamento
illecito di dati personali che è punito dagli articoli 167 e 171 del codice privacy. Non rientrano in tale categoria è la
raccolta di dati non personali ed il trattamento di dati personali in violazione di norme del codice privacy diverse da
quelle ricordate.
1. Pm deve disporre l'immediata secretazione e custodia in luogo protetto
2. È vietato effettuare copia in qualunque forma in qualunque fase del procedimento
3. È sancita l'inutilizzabilità dei documenti illegali
4. Il pm entro quarantott'ore devi chiedere al giudice per le indagini preliminari di disporre la distruzione dei relativi
documenti, supporti ed atti
Le operazioni di distruzione si svolgono nel contraddittorio tra le parti. Il gip, entro quarantott'ore dalla richiesta del
pm, fissa un'udienza in camera di consiglio che dovrà tenersi entro 10 giorni. Le parti private vengono avvisate che
potranno nominare un difensore di fiducia, almeno tre giorni prima della data di udienza.
Sentite le parti, il gip legge il provvedimento in udienza e, qualora ne ravvisi presupposti, dispone la distruzione e ne
dà esecuzione subito dopo, alla presenza del pm e dei difensori delle parti.
La disciplina è stato oggetto di una pronuncia di incostituzionalità che ha inteso rafforzare il contraddittorio camerale.
All'udienza dovrà applicarsi l'articolo 401 in base al quale essa si svolge in camera di consiglio con la partecipazione
necessaria del pm e del difensore dell'indagato e con la partecipazione facoltativa del difensore della persona offesa.
La corte, inoltre, ha rafforzato il contenuto rappresentativo del verbale: diviene un vero e proprio surrogato di quel
corpo del reato che deve essere distrutto. La funzione primaria del verbale è quella di costituire una prova sostitutiva
del corpo di reato. Da tale impostazione deriva che tanto più il verbale risulta dettagliato, tanto meglio esso esplica la
propria funzione surrogatoria. È necessario, quindi, inserire anche tutte le circostanze che hanno caratterizzato
l'attività diretta all’intercettazione, alla detenzione ed all'acquisizione del materiale. Resta fermo quel limite
invalicabile a tutela della riservatezza che è costituito dal divieto di far riferimento alle informazioni contenute nel
documento illecito.

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