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PARTE PRIMA

(Evoluzione storica del processo penale)


CAPITOLO 1 (I sistemi processuali)
1. Diritto penale e diritto processuale penale
La legge penale definisce i “tipi di fatto” che costituiscono reato e le sanzioni previste per coloro che li commettono,
la legge processuale penale regola il procedimento mediante il quale si accerta:
- Se è stato commesso un fatto di reato
- Se l’imputato ne è l’autore → in caso positivo, quale pena debba essergli applicata
Questo compito in una società ordinata spetta allo Stato in base al diritto; non si può lasciare che i cittadini, le
persone offese o i loro familiari si facciano Giustizia da soli.
La legge regola le modalità attraverso cui si esplica il procedimento penale e il giudice provvede agli accertamenti.
Il diritto processuale penale è il complesso delle norme di legge che disciplinano le attività dirette all’attuazione del
diritto penale nel caso concreto → ha una funzione strumentale rispetto al diritto penale sostanziale.
2. Il sistema inquisitorio
In generale entrambi i sistemi sono solamente MODELLI, quindi astrazioni di alcuni caratteri che si possono
riscontrare nei vari sistemi nel corso della storia
SISTEMA INQUISITORIO: PRINCIPIO DI AUTORITA’, maggiore è il potere dato alla autorità inquirente meglio verrà
accertata la verità che si ricerca → cumulo di tutte le funzioni processuali in una figura: giudice, accusatore e
difensore dell’imputato (GIUDICE INQUISITORE, non importa la composizione)
Ne deriva quindi che le parti non hanno poteri ma sono solamente oggetti del giudizio
Caratteristiche principali:
- INIZIATIVA D’UFFICIO, anche PROBATORIA: sia l’iniziativa del processo che anche la ricerca delle prove spetta
al giudice che in questo ruolo non deve essere ostacolato dall’atteggiamento delle parti
- SEGRETO: l’inquisitore non ricorre la contrapposizione dialettica delle parti per scoprire la verità, ma assume
le deposizioni in segreto e non ha la necessità di confrontare la versione dei fatti che deriva dalle sue prove
con le posizioni di accusa e difesa perché limitando i suoi poteri ostacolerebbero la ricerca del vero
- SCRITTURA: l’inquisitore deve redigere un verbale delle disposizioni senza l’obbligo però di riportare le
parole esatte, ma solamente la sua versione dal momento che è l’unico a poterne comprendere il significato
- NESSUN LIMITE ALL’AMMISSIBILITA’ DELLE PROVE: dal momento che conta solamente il risultato (trovare la
verità) viene ammesso qualsiasi mezzo con cui l’inquisitore riesca ad ottenere delle prove, tortura compresa
(anche quando ex: ritenga che il testimone stia dicendo il falso)
- PRESUNZIONE DI REITA’: basta anche solamente una denuncia anonima perché l’imputato venga chiamato a
discolparsi, deve dimostrare con delle prove la sua innocenza altrimenti viene condannato
- CARCERAZIONE PREVENTIVA: anticipazione della sanzione con la custodia preventiva qualora manchino
prove a sostegno dell’innocenza dell’imputato a cui comunque non vengono rese note né l’accusa né le
prove a suo carico
- MOLTEPLICITA’ DELLE IMPUGNAZIONI: per compensare al potere del giudice, viene concesso il potere di
impugnazione alla parte presso un giudice superiore con gli stessi poteri inquisitori del primo giudice
3. Il sistema accusatorio
SISTEMA ACCUSATORIO (SEPARAZIONE DELLE FUNZIONI PROCESSUALI): PRINCIPIO DIALETTICO, la verità si può
accertare tanto meglio quanto le funzioni processuali sono ripartite tra gli antagonisti e bilanciate tra loro.
Il giudice rimane indipendente ed imparziale ed ha il compito di decidere sulla controversia sulla base delle prove
prodotte dall’accusa e dalla difesa → mediante lo scontro dialettico tra queste il giudice ha la possibilità di valutare
la fondatezza degli argomenti e scegliere la ricostruzione del fatto storico migliore
Dal momento che quindi sorgono contrasti tra le due parti viene richiesta l’imparzialità del giudice per dirimerli
Vuole evitare che l’uso del potere degeneri in abuso
Caratteristiche principali:

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- INIZIATIVA DI PARTE: il giudice non può procedere d’ufficio, ma l’iniziativa spetta solo alle parti. In origine
l’iniziativa spettava ad un “accusatore” privato (persona offesa o qualunque cittadino), successivamente il
potere è stato esercitato da un organo pubblico (P.M.)
- INIZIATIVA PROBATORIA DI PARTE: ripartito equamente tra giudice, accusatore e difesa in modo che nessuno
possa abusarne → si richiede quindi una dettagliata regolamentazione della prova
Chi accusa ha l’onere di ricercare le prove e di convincere il giudice che l’imputato è colpevole, la difesa di
dimostrare il contrario (l’imputato non è colpevole o le modalità di svolgimento del fatto sono state diverse).
Il giudice decide se ammettere o meno il mezzo di prova richiesto. L’istituto che esprime il sistema
accusatorio è l’esame incrociato: distribuzione dettagliata dei poteri di iniziativa delle parti e di quelli di
controllo del giudice
- CONTRADDITTORIO: adempie alle due funzioni di tutela delle parti e di accertamento dei fatti. Tale principio
assicura che, prima della decisione, il giudice permetta alla parte interessata di sostenere le proprie ragioni;
riferito alla materia della prova, il principio tende a far sì che ciascuna delle parti possa contribuire alla
formazione della prova ponendo le domande al dichiarante → non può quindi essere utilizzata per la
decisione la dichiarazione di una persona citata da una parte se alla controparte non viene permesso di
interrogarla in sede di controesame
La parte quindi ha la possibilità di mettere in dubbio l’esistenza del fatto affermato dalla controparte
- ORALITÀ: non sono ammesse dichiarazioni scritte e non possono quindi essere usate ai fini della decisione.
Solo oralmente si può valutare l’attendibilità e la credibilità del teste.
Si ha oralità PIENA solamente quando viene permesso a coloro che ascoltano di porre domande e ricevere le
relative risposte da colui che ha reso la dichiarazione
- LIMITI ALL’AMMISSIBILITÀ DELLE PROVE: posti per garantire l’attendibilità delle stesse e la loro utilità ai fini
della ricostruzione del fatto, solamente se viene seguito un certo metodo per il loro reperimento allora
possono essere vagliate nella loro attendibilità
- PRESUNZIONE DI INNOCENZA: il giudice può condannare l’imputato solo quando l’accusa ha provato la reità
dell’imputato al di fuori di ogni ragionevole dubbio, in un processo regolato dalla legge e rispettoso del
diritto di difesa, altrimenti fino a quel momento l’imputato viene considerato innocente → non possono
essere richieste all’imputato quindi delle prove per discolparsi, ma è compito dell’accusatore dimostrare la
colpevolezza dell’imputato che altrimenti verrà dichiarato non colpevole
- LIMITI ALLA CUSTODIA CAUTELARE: la sanzione penale non può essere anticipata in via provvisoria. Solo la
misura cautelare può essere applicata se ed in quanto vi siano prove che dimostrino che in concreto esistono
esigenze cautelari ex: pericolo di inquinamento delle prove, fuga, reati gravi e allo “stato degli atti” (alla luce
cioè di indagini incomplete che però dimostrano che ci sono prove importanti a carico dell’imputato dal
momento che vige il principio della presunzione di innocenza che richiede un quantum della prova
considerevole)
- LIMITI ALLE IMPUGNAZIONI: le impugnazioni sono poste per accertare se in primo grado il giudice ha
osservato i diritti delle parti, qualora si riscontri una violazione il dibattimento deve essere svolto
nuovamente davanti ad un altro giudice che deve essere indipendente ed imparziale esattamente come
quello di primo grado
4. Il sistema misto
Quasi tutte le forme che si sono presentate nel corso della storia presentano caratteristiche miste ma ufficialmente
viene definito sistema “misto” solamente quello adottato dal Code d’instruction criminelle francese (promulgato nel
1808 ed entrato in vigore nel 1811)
2 fasi, secondo la separazione delle funzioni tra accusa e giudizio:
- ISTRUZIONE: INQUISITORIA prevalentemente, segreta e svolta dal giudice istruttore, che rimane comunque
indipendente dal potere esecutivo e sottoposto al controllo della corte d’appello, anche se
o Si richiedeva prima dell’istruzione un’accusa formale formulata dal pubblico ministero
o L’istruttoria terminava quando il pubblico ministero aveva deciso per il rinvio a giudizio o il
proscioglimento
o Il giudice non poteva rifiutarsi di compierla
o All’imputato veniva garantito il controllo giurisdizionale sulla richiesta di rinvio a giudizio
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Il giudice istruttore ha poteri coercitivi sulla libertà delle persone mentre il PM no dal momento che
quest’ultimo dipende dal potere esecutivo (contrariamente quindi a quello che succede con il giudice) →
unica occasione in cui viene meno: il PM e la polizia giudiziaria potevano arrestare l’imputato e perquisirlo
solamente in presenza di flagranza di reato
Viene quindi ritenuto un momento di assunzione della prova
- DIBATTIMENTO: ACCUSATORIA prevalentemente, anche se
o Le domande ai testimoni erano rivolte dal presidente (giudice togato)
o Gli atti compiuti prima del dibattimento potevano essere letti e servire a fondamento della decisione
per la giuria popolare
Viene quindi ritenuto un momento di controllo e critica alle prove precedentemente raccolte
Attualmente la maggior parte degli stati europei adotta un sistema misto sul modello dell’originale francese →
Italia? Il modello prima recepito come misto assume inizialmente una sfumatura più accusatoria, poi inquisitoria
(1930)

CAPITOLO 2 (Dalla costituzione al codice di procedura penale)


1. I principi del processo penale nella Costituzione del 1948
La Costituzione ha introdotto molte novità rispetto allo Statuto Albertino, anche se a causa del tempo limitato che i
costituenti avevano a loro disposizione hanno posto solamente le garanzie fondamentali dando per scontato molti
principi fondamentali che i riteneva non richiedessero una esplicita previsione
È espressione di diversi orientamenti ideologici:
- LIBERALE:
o Separazione dei poteri dello stato e delle varie funzioni all’interno del processo penale
o Diritto di difesa inviolabile in ogni stato e grado del procedimento
o Azione penale che spetta al pubblico ministero
o Il principio del giudice naturale, cioè precostituito per legge
- PERSONALISTICO:
o Diritti inviolabili della persona umana
o Riserva di legge e giurisdizione
o Le varie libertà: personale, di domicilio, di corrispondenza, di circolazione
o Presunzione di innocenza
- SOLIDARISTICO:
o Persegue l’eguaglianza sostanziale rimuovendo gli ostacoli di carattere economico ex: assicurando
anche ai non abbienti un difensore
o L’azione penale diventa obbligatoria in modo che chiunque possa perseguire qualcuno a prescindere
dalle sue capacità economiche
o Obblighi ex lege per testimone, denunciante e cittadino
2. Dalla legge-delega (81/1987) al codice di procedura penale
3 direttive fondamentali che il governo doveva seguire nell’elaborare il codice:
- Attuare le norme costituzionali
- Adeguare il codice alle direttive contenute nei trattati internazionali relativi ai diritti della persona
- Attuare i caratteri del sistema accusatorio → alla fine ne viene concretamente attuata una forma
ATTENUATA sulla base dei principi voluti dal parlamento
3. Le linee generali del processo penale
3 principi fondamentali:
- SEPARAZIONE DELLE FUNZIONI
Funzione di garanzia, il giudice ha solamente il compito di dirigere l’assunzione delle prove e decidere sulla base
delle richieste formulate dalle parti; mentre il pubblico ministero deve solamente cercare le prove senza però
poterle assumere
Maggiore dialettica quindi tra accusa e difesa dal momento che le parti espongono le proprie ragioni in equilibrio
sotto il controllo del giudice imparziale

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- NETTA RIPARTIZIONE DELLE FASI PROCESSUALI
Il procedimento penale è composto dalle indagini preliminari svolte dal P.M., l’udienza preliminare e il dibattimento
in modo da tutelare i valori propri del sistema accusatorio:
- Si vuole che la prova utilizzabile nella decisione in dibattimento sia quella che viene assunta nel pieno
contraddittorio delle parti, e cioè davanti al giudice ed alla presenza del PM e del difensore dell’imputato.
Pertanto, almeno come regola, la prova assunta prima del dibattimento è inutilizzabile
- Si vuole tutelare il diritto dell’imputato a che un giudice controlli la necessità di un rinvio a giudizio e, quindi,
la fondatezza dell’accusa fondata dal PM: è predisposta un’udienza preliminare, nella quale il giudice
esamina gli atti raccolti dal PM e decide se rinviare a dibattimento l’imputato o pronunciare una sentenza di
non luogo a procedere dal momento che il rinvio a giudizio è fonte di spese processuali e sofferenza per
l’imputato
Le fasi:
A. INDAGINI PRELIMINARI: in questa fase il PM svolge funzioni investigative, per ricercare elementi di prova e
identificare il colpevole; può disporre perquisizioni, sequestri, accertamenti tecnici e il fermo di un soggetto
gravemente indiziato ma NON misure coercitive, le quali possono essere disposte solo dal giudice su sua
richiesta. Le funzioni di garanzia sono svolte dal G.I.P. che decide sulle richieste delle parti SENZA poteri di
iniziativa probatoria. In questa fase il P.M. non ha, di regola il potere di assumere prove direttamente
utilizzabili per la decisione finale. Se occorre assumere subito prove non rinviabili al dibattimento, il P.M. o
l’indagato possono farne domanda al giudice; se questi la accoglie, la prova è assunta dinnanzi a lui in
un’udienza denominata INCIDENTE PROBATORIO con le stesse modalità del dibattimento (ex: viene
ammesso quando si deve raccogliere la testimonianza di un testimone minacciato o gravemente malato)→
le dichiarazioni vengono documentate in verbali e possono essere successivamente usate ai fini della
decisione leggendole in dibattimento
B. A. RICHIESTA DI ARCHIVIAZIONE: terminate le indagini preliminari, il p.m. deve scegliere entro un termine
prefissato se chiedere al G.I.P. il rinvio a giudizio o l’archiviazione. Egli chiede l’archiviazione se la notizia di
reato è infondata, dopo quindi che ha valutato se le prove da lui raccolte sono idonee a sostenere l’accusa o
meno. Occorre sottolineare che il p.m. non può archiviare il caso di sua iniziativa, ma deve necessariamente
rivolgere al giudice una richiesta. Ciò costituisce un’applicazione del principio costituzionale in base al quale
l’azione penale è obbligatoria (art. 112)
a. Se il GIP accoglie la richiesta del p.m., dispone l’archiviazione
b. Se il GIP NON accoglie la richiesta del p.m., deve svolgersi un’udienza in camera di consiglio alla
quale possono partecipare il p.m. ed i difensori della persona offesa e dell’indagato. Il giudice svolge
una funzione di controllo, all’esito della quale può adottare tre diversi provvedimenti:
i. se ritiene che la notizia di reato sia infondata, dispone l’archiviazione;
ii. può chiedere al p.m. di effettuare ulteriori indagini, fissando il termine per il compimento
delle stesse;
iii. IMPUTAZIONE COATTA: ordina al p.m. di formulare l’imputazione e fissa la data dell’udienza
preliminare dal momento che ritiene che le prove raccolte siano idonee
Nelle ultime due ipotesi il potere del giudice è molto penetrante e arriva anche ad influenzare l’esercizio
dell’azione penale
B. RICHIESTA DI RINVIO A GIUDIZIO: nel caso in cui il p.m. terminate le indagini, intenda chiedere il rinvio a
giudizio deve depositare il fascicolo e notificare all’indagato e al suo difensore un “avviso di conclusioni delle
indagini”: contiene la descrizione del reato addebitato e l’invito all’indagato di esercitare determinati diritti.
Quindi, se il p.m. non intende chiedere l’archiviazione, presenta richiesta di rinvio e formula l’imputazione.
C. UDIENZA PRELIMINARE: il giudice fissa l’udienza preliminare, che si svolge in contraddittorio, ma senza la
presenza del pubblico. Al giudice spetta di verificare se esistono elementi idonei a sostenere l’accusa in
giudizio:
a. NON sussistono: il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere
b. SUSSISTONO elementi idonei a sostenere l’accusa in dibattimento: il giudice emana il decreto che
dispone il giudizio e suddivide l’originario fascicolo delle indagini in due distinti fascicoli:

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i. Il fascicolo per il dibattimento contiene i verbali degli atti assunti in contraddittorio (es.
nell’incidente probatorio) ed i verbali degli atti non ripetibili assunti dal p.m. e dalla polizia
giudiziaria. Detti verbali sono conosciuti dal giudice e possono essere letti in dibattimento ed
utilizzati ai fini della decisione → il giudice deve decidere quindi solamente sulla base delle
prove assunte nel contraddittorio tra le parti, senza essere influenzato dalle prove raccolte
in segreto
ii. Il fascicolo del p.m. ha un contenuto residuale, in quanto contiene i verbali degli atti assunti
dal p.m., dalla polizia giudiziaria e dal difensore. Detto fascicolo è conosciuto solo dalle parti
e non dal giudice; gli atti in esso contenuti, di regola, non sono utilizzabili per la decisione
dibattimentale. Solamente in casi eccezionali possono essere usati come prova del fatto
rappresentato
D. DIBATTIMENTO: qui il principio del contraddittorio è attuato attraverso l’esame incrociato, le domande sono
poste direttamente dal p.m. e dai difensori mentre il presidente del collegio
giudicante ha il potere di ammetterle o meno → ha poteri più ampi, può intervenire per garantire la lealtà
dell’esame e la correttezza della contestazione, può rivolgere direttamente domande e indicare temi di
prova nuovi o più ampi o ordinare l’assunzione di nuovi mezzi di prova
viene quindi respinta la concezione agonistica del processo
- SEMPLIFICAZIONE DEL PROCEDIMENTO
Lo svolgimento ordinario del processo penale impone ampie garanzie e richiede tempi lunghi, specialmente nella
fase dibattimentale.
Il codice prevede 6 riti semplificati:
- PATTEGGIAMENTO: l’imputato si può accordare con il PM sulla specie e sulla misura di pena da applicare;
l’accordo tiene conto della possibilità, prevista dalla legge, di ridurre la pena fino ad un terzo. Ora il massimo
della pena patteggiabile è stato portato a 5 anni mentre non vi è alcun limite per quella pecuniaria
Il giudice ha comunque il potere di controllare la correttezza della qualificazione giuridica del fatto e la
congruità della pena
- GIUDIZIO ABBREVIATO: l’imputato può chiedere che il processo sia definito nell’udienza preliminare, sulla
base degli atti raccolti nel fascicolo delle indagini ed il giudice emette quindi in quel momento una sentenza
di proscioglimento o condanna; in caso di condanna la pena è ridotta di un terzo.
- GIUDIZIO IMMEDIATO: se la prova è evidente e l’imputato è stato invitato a rendere interrogatorio, il p.m.
può chiedere al g.i.p. il rinvio a giudizio senza udienza preliminare
o Il giudice respinge la richiesta: restituisce gli atti al pubblico ministero
o Il giudice accoglie la richiesta: viene disposto il giudizio immediato → entro 15 giorni dalla
notificazione del decreto di giudizio immediato, l’imputato può chiedere il giudizio abbreviato o il
patteggiamento, altrimenti ha luogo il dibattimento
- GIUDIZIO IMMEDIATO: se il pubblico ministero ha chiesto il rinvio a giudizio, l’imputato può anche chiedere
che abbia luogo subito il dibattimento senza passare attraverso l’udienza preliminare ed il giudice è
obbligato ad accogliere la sua richiesta
- GIUDIZIO DIRETTISSIMO: quando la persona è arrestata in flagranza o l’indagato ha confessato durante
l’interrogatorio, il p.m. può condurlo direttamente davanti al giudice in dibattimento.
- PROCEDIMENTO PER DECRETO: per i reati meno gravi il p.m. può presentare al g.i.p. richiesta motivata di
emissione di un decreto penale di condanna ad una pena pecuniaria. Il pubblico ministero chiede una pena
diminuita fino alla metà rispetto al minimo edittale → in caso di opposizione, l’imputato potrebbe perdere la
diminuzione della pena e gli altri benefici
4. I principi del “giusto processo”
Inizialmente il principio di oralità veniva affermato in modo assoluto quindi ex: le dichiarazioni rese dal testimone
alla polizia giudiziaria non potevano essere usate in dibattimento; poi però la corte costituzionale affermò il principio
di non dispersione della prova raccolta prima del dibattimento, dando quindi ampia utilizzabilità alle dichiarazioni
rese alla polizia e al pubblico ministero prima del dibattimento
2 orientamenti opposti:

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- Legislatore: 1997, riafferma il principio del contraddittorio nella formazione della prova e la conseguente
inutilizzabilità delle dichiarazioni raccolte in segreto
- Corte costituzionale: richiede il principio del contraddittorio solamente sulla prova, quindi ritiene necessario
il contraddittorio solamente sulla prova anche già formata → il contraddittorio è assicurato quando
l’imputato può fare contestazioni sulla persona che lo accusa
Per recepire però le norme sulla convenzione europea sui diritti dell’uomo, dal momento che la giurisprudenza non
voleva accordargli direttamente valore costituzionale, il governo le ha inserite nella costituzione mediante la
modifica dell’art. 111, sancendo il principio del contraddittorio NELLA FORMAZIONE DELLA PROVA
5. I principi attinenti ad ogni processo
Con la riforma del ’99 dell’art. 111 cost, è stato inserito nella costituzione il PRINCIPIO DEL GIUSTO PROCESSO, che è
a sua volta sintesi di vari principi:
- RISERVA DI LEGGE: il 1° comma dell’art. 111 Cost. sancisce che la “giurisdizione si attua mediante il giusto
processo regolato dalla legge”. Quindi, soltanto il legislatore può regolare lo svolgimento del processo; tale
compito non può essere svolto da organi amministrativi né giurisdizionali.
- GIUSTO PROCESSO: concetto ideale di giustizia che preesiste rispetto alla legge e si ricollega a tutti quei
diritti inviolabili che fanno capo alle persone coinvolte nel processo e che lo stato ex art. 2 cost si impegna a
riconoscere (possono comunque anche essere ricavati dai trattati internazionali)
- CONTRADDITTORIO DEBOLE: SULLA PROVA (già formata), nella sua accezione classica che si riferisce alla
necessità che il giudice emani la sua decisione audita altera parte, dal momento che un soggetto deve essere
messo nelle condizioni di esporre le sue difese prima che il provvedimento sia quindi deciso → si richiede
però che la parte e il difensore conoscano i presupposti di fatto e di diritto alla base della decisione del
giudice
(si contrappone all’accezione forte che invece si riferisce al metodo dialettico di formazione della prova)
- PARITA’ DELLE PARTI: sancito dal 2° comma dell’art. 111 cost., il quale, ha una potenzialità diversa nel
processo civile e in quello penale. Nel processo civile, infatti, è possibile attuare la piena parità delle armi tra
attore e convenuto. Nel processo penale, parità significa non identità ma equilibrio di poteri: secondo il
principio di ragionevolezza la corte costituzionale giustifica qualche asimmetria tra le parti se è dovuta alla
posizione istituzionale del PM o ad esigenze di corretta amministrazione della giustizia
- GIUDICE IMPARZIALE: riguarda la funzione esercitata nel processo ed impone l’assenza di legami tra giudice
e parti, mentre la terzietà riguarda lo status quindi il piano ordinamentale dal momento che il giudice non
deve cumulare nella sua persona altre funzioni → gli viene affiancato il principio del contraddittorio dal
momento che la sua piena attuazione richiede un determinato assetto di giurisdizione
- RAGIONEVOLE DURATA: l’attuazione in concreto viene rimessa al legislatore, si tratta del recepimento di un
precetto della convenzione europea dei diritti dell’uomo (tipico comunque del sistema accusatorio che
richiede la concentrazione del processo) e ha comportato numerose condanne all’Italia da parte della corte
europea per il suo mancato rispetto → contrapposto però all’efficienza processuale, valore che richiede
comunque il rispetto delle garanzie processuali per l’imputato, ma il contrasto viene appianato dal termine
“ragionevole”
Mentre la convenzione europea sancisce con questo precetto un vero e proprio diritto soggettivo
immediatamente azionabile, la corte costituzionale anche a causa del suo ruolo può sindacare non sul
singolo processo ma solamente sulle disposizioni che prevedrebbero lungaggini eccessive non giustificate da
reali esigenze del processo
6. I principi inerenti al processo penale
- DIRITTI DELL’ACCUSATO: l’indagato deve essere informato riservatamente della natura e dei motivi
dell’accusa nel più breve tempo possibile
Crea della frizione con le esigenze delle indagini del pubblico ministero, così viene inserito il “possibile” ad
indicare comunque compatibilmente con l’esigenza di efficacia e genuinità delle indagini
Si richiede riservatezza dal momento che non si vuole che si aprano processi paralleli ex: mediatici
L’accusato ha il diritto di disporre del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la sua difesa
- DIRITTO A CONFRONTARSI CON L’ACCUSATORE:

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o L’accusato ha il diritto, “davanti al giudice, di interrogare o far interrogare le persone che rendono
dichiarazioni a suo carico” → riconoscimento del diritto costituzionale a confrontarsi con
l’accusatore
La base è sempre la convenzione europea ma con 2 differenze:
▪ Deve trovare attuazione davanti al giudice, importantissima garanzia
▪ Si parla in generale di persone che rendono accuse a carico e non solamente di testimoni,
quindi vengono ricompresi ex: anche gli imputati connessi o collegati
Nonostante non venga specificato, con “far interrogare” ci si riferisce al giudice
o All’imputato è riconosciuto anche il diritto di “ottenere la convocazione e l’interrogatorio di persone
a sua difesa nelle stesse condizioni dell’accusa e l’acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo
favore”: diritto alla prova in capo all’imputato, anche se le prove devono sempre superare il vaglio
giudiziale di ammissibilità secondo il principio di ragionevolezza e parità delle parti
o Qualora non parlasse la lingua impiegata nel processo o non la capisse, l’accusato può farsi assistere
da un interprete
- PRINCIPIO DEL CONTRADDITTORIO:
o OGGETTIVO: “nella formazione della prova”, una prova che sia attendibile non si ottiene in segreto
con espressioni unilaterali, ma in modo dialettico (attraverso l’esame incrociato) → contraddittorio
quindi come metodo di conoscenza
Il comma 5 dell’art. 111 Cost. prevede una serie di eccezioni, poiché, il contraddittorio in senso
oggettivo viene bilanciato con altre esigenze ritenute prevalenti. Il comma 5 prevede, infatti, che “la
legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso
dell’imputato, per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta
illecita”
o SOGGETTIVO: costituisce il riconoscimento a livello costituzionale del diritto dell’imputato di
confrontarsi con l’accusatore “dinnanzi” al giudice: “la colpevolezza dell’imputato non può essere
provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente
sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore”. Il diritto a confrontarsi trova
la sua sanzione attraverso l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da chi ha eluso il contraddittorio.
7. Cenni sulla successione delle norme processuali nel tempo
Il principio di certezza del diritto richiede che gli operatori conoscano quale sia la norma che devono osservare nella
situazione concreta
- La legge apporta una specifica disciplina per i rapporti giuridici pendenti al momento della sua entrata in
vigore:
o Norme INTERTEMPORALI: sono strumentali, costituiscono un criterio sulla base del quale si individua
la disciplina per il caso concreto disciplinando quindi l’applicazione di altre norme, si limitano ad
individuare nei rapporti pendenti quali saranno sottoposti alla nuova disciplina e quali invece no
o Norme TRANSITORIE: norme materiali di diretta applicazione, che prevedono una disciplina speciale
per il caso concreto di norma intermedia tra la vecchia e la nuova
- La legge non dà nessuna indicazione in merito: TEMPUS REGIT ACTUM, la legge non dispone che per
l’avvenire e non ha effetto retroattivo → la nuova disciplina quindi è immediatamente efficace ma mai
retroattiva
Quindi:
o Atti processuali da compiere: nuova disciplina
o Atti processuali istantanei già compiuti con effetti esauriti: vecchia disciplina
o Atti processuali già compiuti i cui effetti però devono ancora essere sottoposti a controlli: nuova
disciplina

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PARTE SECONDA
(Profili generali del procedimento penale)
CAPITOLO 1 (I soggetti del procedimento penale)
1. Procedimento e processo
A. IL PROCESSO PENALE SUL FATTO, SULL’AUTORE E SULLE CONSEGUENZE
Scopo processo penale: accertare
- Se una determinata persona ha commesso il reato, dopo aver verificato i fatti storici → non si perseguono
finalità astratte ma quelle concreto di valutare se deve essere irrogata una pena e in quale misura
- Qual è la personalità dell’autore del reato: è necessario dal momento che a differenza della sanzione civile
ed amministrativa, quella penale è proporzionata alla personalità dell’autore dell’illecito oltre che dalla
gravità della lesione al bene tutelato
- Quali sono le sanzioni che devono essere applicate: dal momento che queste hanno anche funzione
rieducativa, il giudice deve accertare l’evoluzione della personalità del reo in sede esecutiva per determinare
quale sia il contenuto della pena più adatto in relazione al grado di risocializzazione manifestato dal
condannato
B. AZIONE PENALE
PROCEDIMENTO PENALE: serie cronologicamente ordinata di atti diretti alla pronuncia di una decisione penale,
ciascuno dei quali, in quanto validamente compiuto, fa sorgere il dovere di porre in essere il successivo, fino alla
decisione → 3 elementi fondamentali:
- Si richiede che gli atti siano compiuti rispettando una determinata SEQUENZA TEMPORALE
- Gli atti del procedimento devono avere la FINALITA’ di accertare l’esistenza di un determinato fatto illecito
penalmente e la sua attribuibilità ad una persona
- Il compimento di un atto del processo fa sorgere in un altro soggetto il dovere di compierne un altro
successivo fino alla decisione definitiva, che potrà essere una sentenza (se viene percorso tutto il corso del
processo fino alla sua conclusione) di condanna o proscioglimento oppure un decreto (qualora invece il
processo si arresti prima dell’imputazione
Il procedimento è costituito dalle indagini preliminari, dall’udienza preliminare e dal giudizio.
PROCESSO PENALE: porzione del procedimento penale, ne fanno parte l’udienza preliminare e il giudizio, restandone
escluse le indagini. Il momento iniziale del processo corrisponde all’esercizio dell’azione penale; il momento finale si
ha quando la sentenza diventa irrevocabile, e cioè, non più impugnabile perché nessuna parte ha presentato ricorso
nei termini o perché tutte le impugnazioni ordinarie sono state esperite.
GRADO: se il giudice prende cognizione dell’oggetto, su cui deve decidere, in primo esame ovvero in appello, o infine
in Cassazione
STATO: fase del procedimento, quindi indagini preliminari, udienza preliminare, giudizio
AZIONE PENALE: richiesta diretta al giudice di decidere sull’imputazione, circoscrivendone il thema decidendi. Il p.m.
la esercita quando chiede il rinvio a giudizio dell’imputato (art. 450 c.p.p), formulando l’imputazione che è appunto
contenuta nell’azione penale
IMPUTAZIONE: consiste nell’addebitare ad un determinato soggetto un fatto storico di reato (art. 417 c.p.p.) e viene
formulata dal p.m. al termine delle indagini preliminari
Elementi di essa sono:
- L’enunciazione chiara e precisa di un fatto storico di reato addebitato ad una persona
- L’indicazione degli articoli ritenuti violati
- Le generalità della persona a cui è addebitato il reato
L’esercizio dell’azione penale determina due effetti:
- Pone al giudice l’obbligo di decidere su un determinato fatto storico
- Fissa in modo tendenzialmente immutabile l’oggetto del processo, e cioè impone al giudice il divieto di
decidere su un fatto storico diverso da quello precisato nell’imputazione

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Mentre nel processo ORDINARIO l’azione penale viene esercitata quando il giudice nell’udienza preliminare viene
chiamato a decidere sul rinvio a giudizio, nel processo SPECIALE (senza udienza preliminare) l’azione penale viene
invece esercitata con quell’atto introduttivo del singolo procedimento con il quale viene precisata l’imputazione
C. SOGGETTI E PARTI
SOGGETTI: coloro che sono titolari di potere di iniziativa nel procedimento penale (nozione da cui si parte per la
definizione, non quella di processo ma quella di procedimento quindi sono soggetti anche in relazione alle indagini
preliminari) (giudice, p.m., polizia giudiziaria, imputato, parte civile, responsabile civile, civilmente obbligato per la
pena pecuniaria, persona offesa e difensore) → il compimento di un atto da parte di un soggetto fa sorgere in un
altro il potere di compiere un atto successivo
Non sono invece considerati soggetti i testimoni e i periti, perché costoro non hanno poteri di iniziativa in relazione
al procedimento; essi rientrano nella nozione ampia di persone che partecipano al procedimento.
PARTI: il soggetto attivo e quello passivo dell’azione penale, cioè colui che ha chiesto al giudice una decisione in
relazione all’imputazione e colui contro il quale tale decisione è chiesta. Sono parti necessarie il p.m. e l’imputato
AZIONE CIVILE DI DANNO: entro il processo penale il danneggiato dal reato può esercitare l’azione civile tendente ad
ottenere la condanna dell’imputato al risarcimento del danno derivante dal reato.
Il danneggiato esercita l’azione civile costituendosi parte civile successivamente al momento in cui il p.m. ha
esercitato l’azione penale → è una parte eventuale perché:
- La sua presenza deriva da una sua scelta facoltativa e in sua assenza il processo avrebbe comunque una sua
esistenza giuridica
- Chiede al giudice una decisione in relazione all’imputazione
2. Il giudice
A. GIUDICI ORDINARI E SPECIALI
GIURISDIZIONE: 2 significati
- Funzione dello stato che consiste nell’applicazione della legge al caso concreto con forza cogente da parte di
un giudice terzo
- Potere dello stato che viene impersonato da organi che hanno la caratteristica dell’indipendenza e
dell’imparzialità
È un potere diffuso, frazionato cioè in più organi ciascuno dei quali ha una competenza limitata
- Organi giudiziari ORDINARI: hanno una competenza generale a giudicare tutte le persone e sono composti da
magistrati ordinari, che fanno parte dell’ordinamento giudiziario e ai quali la costituzione garantisce
indipendenza e autonomia
Quelli di primo grado sono il tribunale in composizione collegiale o monocratica, la corte di assise, il giudice
di pace e il tribunale dei minorenni; mentre quelli di appello sono la corte d’appello, la corte d’Assise di
appello e la sezione della corte di appello per i minorenni.
Vi è poi la Corte di Cassazione: essa ha sede a Roma, è unica per tutto il territorio nazionale e davanti ad essa
possono essere impugnate tutte le sentenze per motivi di legittimità. La Corte può controllare se vi è stata
inosservanza della legge e se il giudice inferiore ha motivato in modo corretto, ma non può decidere nel
merito, cioè ad es., non può valutare l’attendibilità delle dichiarazioni di un testimone.
- Organi giudiziari SPECIALI: sono competenti a giudicare solamente determinate persone e sono composti da
magistrati speciali che non appartengono all’ordinamento giudiziario e le cui garanzie di indipendenza sono
previste da legge ordinaria
GIURISDIZIONE: insieme delle regole che permettono di distinguere i procedimenti di competenza della magistratura
ordinaria da quelli di competenza di quella speciale
AUTORITA’ GIUDIZIARIA: giudice e pubblico ministero intesi come organi, è la stessa espressione che viene usata nel
corpus normativo che li disciplina in questa parte della loro natura
MAGISTRATO: a livello di persona fisica, viene usato indifferentemente sia per indicare quello requirente che quello
giudicante (quindi sia p.m. che giudice)
B. GIURISDIZIONE E GIUSTO PROCESSO
ORDINE: espressione usata nella costituzione per indicare la magistratura di cui viene garantita l’indipendenza →
non viene usata la dizione potere dal momento che si vuole sottolineare che la magistratura non partecipa alla

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funzione di indirizzo politico, anche se comunque quando afferma che è “autonoma ed indipendente da ogni altro
potere” comunque implicitamente la riconosce come tale
Possono sorgere i conflitti tra un organo giurisdizionale e un altro potere dello stato e vengono risolti dalla corte
costituzionale
INDIPENDENZA E IMPARZIALITA’: sono caratteristiche che distinguono da ogni altro potere quello giudiziario, che ha
la funzione di emanare sentenze, cioè applicare la legge al caso concreto → il giudice è soggetto solamente alla legge
- INDIPENDENZA: sia come potere giudiziario che persona fisica, viene garantita dalla costituzione mediante il
consiglio superiore della magistratura → eletto per 2/3 da magistrati ordinari e per 1/3 dal parlamento in
seduta comune tra cittadini aventi una precisa competenza giuridica
- IMPARZIALITA’ (art. 111, II Cost.): qualora quindi il giudice possa apparire parziale ha il dovere di astenersi,
altrimenti può venir ricusato
Non è comunque sufficiente solamente la garanzia apprestata dalla costituzione di un giudice indipendente da altri
poteri dello stato ma si richiede che effettivamente sia garantito lo svolgimento della sua funzione
C. COMPETENZA PER MATERIA E PER FUNZIONE
COMPETENZA: parte della funzione giurisdizionale che è svolta dal singolo organo, viene individuata per
approssimazioni successive tenendo conto di:
- MATERIA: titolo del reato, 2 criteri
o QUANTITATIVO: pena edittale, si ha riguardo alla pena massima stabilita dalla legge per ciascun
reato consumato o tentato senza tenere conto della continuazione, della recidiva e delle circostanze
MA DI:
▪ Aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria
▪ Circostanze ad effetto speciale, ossia che comportano l’aumento della pena di più di 1/3
o QUALITATIVO: tipo di reato
La competenza per materia è distribuita tra la Corte d’Assise, tribunale per i minorenni, giudice di pace e
tribunale.
Il tribunale per i minorenni si occupa dei reati commessi dai minori degli anni 18 in considerazione dell’età
che l’imputato aveva all’epoca dei fatti contestati. Questa competenza è esclusiva: è competente il tribunale
per i minorenni anche se il minore ha commesso un reato che sarebbe di competenza della corte di Assise,
del tribunale o del giudice di pace o anche se il minore dovesse aver compiuto il reato insieme a degli adulti
È composto da due giudici togati e due esperti in psicologia, pedagogia e comunque materie analoghe
nominati con decreto del capo dello stato su proposta del ministro della giustizia previa deliberazione del
consiglio della magistratura (quindi 1. Il ministro della giustizia propone, 2. Il consiglio superiore della
magistratura delibera a favore, 3. Nomina ufficiale da parte del capo di stato con suo decreto)
Per quanto concerne i reati commessi da persone adulte, la competenza per materia è ripartita tra la corte di
assise ed il giudice di pace; il tribunale ha una competenza, di regola, residuale, salvo determinati reati
espressamente indicati dalla legge.
Alla corte d'assise (giudice collegiale composto da due giudici di carriera e sei giudici popolari) è
attribuita, in estrema sintesi, la competenza a giudicare i più gravi fatti di sangue e i più gravi delitti
politici.
È un giudice collegiale composto da due giudici di carriera e sei giudici popolari → le sono quindi stati
sottratti quei delitti che richiedono competenze tecnico-giuridiche che i giudici popolari non hanno, mentre
le sono state attribuite quelle materie in cui si ritiene che la valutazione di un cittadino che non sia giudice di
carriera si possa esprimere al meglio
Il Giudice di Pace è un giudice non professionale, infatti si richiede solamente che abbia una laurea in
giurisprudenza e abbia superato l’esame di abilitazione alla pratica forense (o in alternativa che sia notaio o
abbia insegnati materie giuridiche all’università), nominato a tempo determinato.
Si occupa dei reati caratterizzati da sanzione tenue e che richiedono un accertamento semplice, spesso
frutto di situazioni di microconflittualità individuale.
Il tribunale ha una competenza residuale per i fatti che non rientrano nella competenza dei predetti organi.
Giudica quindi reati che sono previsti in modo specifico da singole norme di legge e per cui sono richieste

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competenze riguardo a materie tecniche o comunque di una certa complessità (es. i reati commessi a mezzo
cinema, stampa, radio e televisione → competenza qualitativa).
o Composizione COLLEGIALE: è formato da 3 giudici e si occupa
▪ Reati puniti con pena superiore nel max a 10 anni ma inferiori ai 24, purché non siano di
competenza della corte d’assise
▪ Reati di criminalità organizzata
▪ Reati di aborto
▪ Delitti concernenti le armi
▪ Usura
o Composizione MONOCRATICA: è composto quindi da un solo giudice e si occupa di reati che in
genere hanno una notevole pericolosità sociale
▪ Reati puniti con la pena detentiva fino a 10 anni purché non siano già di competenza del
giudice di pace
▪ Reati contro l’incolumità pubblica
▪ Rimozione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro
▪ Adulterazione e contraffazione di cose in danno alla salute pubblica
▪ Delitti in cui in generale la pena è molto elevata: produzione e traffico illecito di sostanze
stupefacenti
- TERRITORIO: luogo in cui è stato commesso il reato, si fa riferimento quindi al locus commissi delicti e
risponde a determinate esigenze
o Effettivo controllo sociale
o Rendere più agevole e rapida la raccolta delle prove
o Ridurre i disagi per parti e testi
o Il diritto e la giustizia di principio devono essere riaffermati nel luogo in cui sono stati violati
Comunque ECCEZIONI:
o Morte di più persone: è competente il luogo in cui è avvenuta l’azione o omissione
o Reato permanente: è competente il giudice del tribunale in cui ha avuto luogo la consumazione del
reato
o Delitto tentato: è competente il tribunale dell’ultimo luogo in cui vi è stato un tentativo di
commettere il delitto
- FUNZIONE: che deve essere svolta in una determinata fase o grado del processo o deve svolgere determinati
atti
- (eventuale) CONNESSIONE con altri procedimenti
PROCEDIMENTO VS MAGISTRATO: qualora un magistrato assuma la qualifica di persona offesa, indagato,
danneggiato o imputato allora la competenza viene attribuita al giudice competente per materia che ha sede nel
capoluogo del distretto indicato da una apposita tabella della legge 420/1998 che estende la sua efficacia anche ai
provvedimenti connessi e in materia di rimessione → si cerca di assicurare l’imparzialità dell’organo giudicante
E. LA COMPETENZA PER CONNESSIONE – RIUNIONE E SEPARAZIONE DEI PROCEDIMENTI
CONNESSIONE: criterio attributivo della competenza del giudice, non comporta per forza la riunione dei
procedimenti
3 casi di connessione dei procedimenti di competenza del tribunale e della corte d’assise:
- Quando il reato viene commesso da più persone in concorso o cooperazione tra loro; o comunque se più
persone con condotte indipendenti hanno determinato l’evento
- Quando una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione o omissione; o nel caso di reato
continuato: più azioni commissive o omissive all’interno del medesimo disegno criminoso
- In caso di più reati, quando gli uni siano stati commessi per eseguire o occultare gli altri
Un solo giudice quindi è competente a valutare tutti i reati connessi, anche se i processi non devono per forza essere
riuniti ma si possono svolgere anche separatamente → individuazione del giudice:
- Tra giudici competenti per materia, la corte d’assise prevale sul tribunale
- Tra giudici tutti competenti per materia ma competenze territoriali diverse, prevale il giudice competente
per il reato più grave
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- In caso di reati di pari gravità, prevale il giudice del reato commesso per primo
- Tra tribunale in composizione collegiale e in composizione monocratica prevale quello in composizione
collegiale
DEROGHE: nel caso di procedimenti con imputati minorenni, è sempre e comunque competente il tribunale per i
minorenni dal momento che si ha riguardo al fine primario della rieducazione, quindi è necessario un giudice
specializzato → non opera quindi la connessione tra procedimenti con imputati che al momento del reato erano
minorenni e imputati maggiorenni
RIUNIONE DEI PROCEDIMENTI: simultaneus processus, fine a cui tende la connessione sia per una ragione di
economia di atti processuali che anche per ricostruire con maggiore chiarezza e completezza il quadro probatorio ed
i rapporti tra i vari reati
Si richiedono i requisiti:
- I procedimenti devono essere pendenti nella stessa fase e nello stesso grado
- I procedimenti devono essere di competenza del medesimo giudice
- I procedimenti siano connessi o comunque sussista tra loro una ipotesi di collegamento probatorio:
o Reati commessi gli uni in occasione degli altri per assicurarne al colpevole o ad altri il profitto
o Reati commessi da più persone in danno reciproco le une alle altre
o Se la prova di un reato/circostanza influisce su quella di un altro reato/circostanza
- La riunione non deve determinare un ritardo nella definizione dei procedimenti
Esiste un margine di discrezionalità dal momento che il giudice la può disporre con ordinanza, sentite le parti,
quando si ritenga assolutamente necessaria per l’accertamento dei fatti
Di solito è la decisione preferita all’inizio delle indagini
SEPARAZIONE DEI PROCEDIMENTI: esigenza tipicamente accusatoria, si assicura un solo imputato in un singolo
procedimento per esigenze di migliore difesa → separazione OBBLIGATORIA: viene quindi posto il dovere di separare
i procedimenti in determinate ipotesi:
- Nel corso dell’udienza preliminare è possibile subito decidere la posizione di un imputato
- Per un imputato debba sospendersi il procedimento
- Un imputato non è comparso in dibattimento quindi occorre rinnovare la citazione nei suoi confronti
- Uno o più difensori di imputati non sono comparsi in dibattimento per motivi legittimi
- Per un imputato l’istruzione dibattimentale è già conclusa, mentre per altri deve continuare con tempi più
lunghi
- Per uno degli imputati stanno per scadere i termini di custodia cautelare per reati di criminalità organizzata e
simili quindi bisogna definire con urgenza il grado per evitare la scarcerazione automatica
Altrimenti quando comunque il giudice la ritenga necessaria per esigenze di celerità del processo
F. IL PRINCIPIO DEL GIUDICE NATURALE
Art. 25 Cost.: “nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge”
- Il principio della riserva assoluta di legge in materia di competenza (la competenza del giudice può essere
determinata solo dalla legge, e non da fonti secondarie ex: regolamenti e atti amministrativi
- Le norme che regolano la competenza non devono conferire un potere di scelta discrezionale
- Il divieto di applicazione retroattiva delle norme concernenti la competenza, sono applicabili ai fatti di reato
che sono stati commessi dopo la loro entrata in vigore
Tale principio, in definitiva, impedisce che un organo legislativo, amministrativo o giurisdizionale possa sottrarre
discrezionalmente un procedimento ad un determinato giudice considerato “il più idoneo” ad accertare il fatto di
reato nel rispetto dei diritti dell’imputato e della legge → ulteriore tutela della garanzia dell’indipendenza
dell’organo giudicante, “naturale” nel senso che preesiste rispetto alla legge e che questa deve tutelare mediante le
norme di competenza che ripartiscono i procedimenti tra i vari organi giurisdizionali
G. I CONFLITTI DI GIURISDIZIONE E DI COMPETENZA (artt. 28- 32)
I conflitti di giurisdizione avvengono tra un giudice ordinario e uno speciale o tra più speciali, mentre conflitti di
competenza avvengono tra più giudici ordinari
Può essere:
- POSITIVO: quando più giudici prendono cognizione del medesimo fatto attribuito alla medesima persona
- NEGATIVO: quando più giudici rifiutano tale cognizione, ritenendo la propria incompetenza.
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Il conflitto può insorgere in ogni stato e grado del processo, e può essere denunciato dal p.m. o dalle parti ad uno dei
giudici in conflitto, o rilevato d’ufficio. L’ordinanza che rileva il conflitto è trasmessa alla Cassazione con la copia degli
atti necessari alla decisione.
La cassazione decide in modo vincolante (a meno che risultino nuovi fatti che determinano la competenza di un
giudice superiore), ma né l’ordinanza, né la denuncia hanno effetto sospensivo del processo → decide in camera di
consiglio e con una sentenza stabilisce quale giudice è competente a giudicare
H. LA DICHIARAZIONE DI INCOMPETENZA (ARTT. 21- 27)
L’inosservanza delle disposizioni che regolano la competenza comporta che il giudice dichiari la propria
incompetenza, mentre cambiano i termini in cui il giudice può rilevare il difetto, gli effetti delle pronunce del giudice
dichiarato incompetente rimangono sempre gli stessi
Di regola le prove acquisite dal giudice incompetente restano efficaci, mentre le dichiarazioni, se ancora ripetibili,
sono utilizzabili in giudizio solo con il meccanismo delle contestazioni probatorie. Le misure cautelari già disposte
conservano un’efficacia provvisoria limitata a 20 giorni dalla ordinanza che dichiara l’incompetenza; entro tale
termine il giudice competente deve disporre, se necessario, una nuova misura cautelare
PER MATERIA:
- Per difetto, quando procede un giudice inferiore meno idoneo a giudicare rispetto uno superiore, tale
incompetenza è rilevabile fino al pervenire della sentenza irrevocabile (regime più rigoroso)
- Per eccesso, quando sta procedendo un giudice superiore per un reato di competenza di un giudice inferiore
può essere rilevata anche d’ufficio, ma non oltre le questioni preliminari prima della dichiarazione di
apertura del dibattimento. Se il giudice di primo grado ritenga erroneamente di essere competente, la Corte
di Appello che accerti un’incompetenza per eccesso deve decidere nel merito.
PER TERRITORIO: eccepibile dalle parti e rilevabile dal giudice fino alla chiusura della discussione finale dell’udienza
preliminare o se questa è assente, deve essere eccepita o rilevata nel corso delle questioni preliminari in
dibattimento
Qualora l’eccezione dovesse essere respinta in udienza, può essere ripresentata nelle questioni preliminari
Qualora venga respinta anche nelle questioni preliminari, deve costituire oggetto di specifico motivo di
impugnazione, altrimenti la questione è preclusa
I. L’INOSSERVANZA DELLE DISPOSIZIONI SULLA COMPOSIZIONE COLLEGIALE MONOCRATICA DEL TRIBUNALE
Il legislatore ha escluso che le eventuali violazioni delle norme sulla corretta composizione del tribunale possano
incidere sulla capacità dell’organo giudicante → si sono voluti configurare i rapporti tra le due articolazioni del
tribunale come un modulo organizzativo interno all’ufficio giudiziario
Si vuole che il problema venga considerato come relativo alla cognizione del giudice, quindi una semplice questione
di forma o di rito
Con una norma di chiusura viene stabilito che l’inosservanza delle norme sulla composizione collegiale o
monocratica del tribunale non determina né l’invalidità degli atti del procedimento né l’inutilizzabilità delle prove già
acquisite
L. CAPACITA’ DEL GIUDICE
È il complesso dei requisiti necessari per un legittimo esercizio della funzione giudicante, ne sono condizioni quelle
che sono stabilite dalle leggi dell’ordinamento giudiziario
- GENERICA: unica la cui mancanza viene sanzionata con la nullità, si ottiene con l’ammissione al ruolo
- SPECIFICA: presuppone la regolare costituzione del giudice nell’ambito di un determinato processo
NON si considerano attinenti all’argomento le disposizioni che riguardano la destinazione del magistrato giudicante
agli uffici giudiziari e alle sezioni → si vuole evitare che norme interne degli uffici giudiziari possano dare luogo a
nullità processuali
RIPARTIZIONE TRA TRIBUNALE COLLEGIALE E MONOCRATICO: la violazione delle norme che la disciplinano come
anche delle norme che stabiliscono l’assegnazione dei magistrati a sezioni o collegi non danno luogo a nullità
processuali → limitata rilevanza quindi alla garanzia costituzionale del giudice naturale precostituito per legge dal
momento che viene circoscritta all’individuazione dell’organo giudiziario nel suo complesso
M. L’IMPARZIALITA’ DEL GIUDICE
L’imparzialità perché sia effettiva, deve essere fondata su 3 principi:

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- Soggezione del giudice alla legge, sono necessarie leggi precise, certe, che non lascino al giudice scelte
discrezionali
- Separazione delle funzioni processuali (accusa, difesa e giudice) da quelle che sono tipiche di parte
- Terzietà: status, piano ordinamentale, limite che segna il passaggio dalle funzioni di giudice a quelle di
pubblico ministero e viceversa → il passaggio si può realizzare però solamente cambiando distretto di corte
d’appello e dopo un controllo di professionalità relativo al nuovo lavoro da svolgere
- Impregiudicatezza come situazione psichica di assenza della forza della prevenzione: riguarda
l’atteggiamento interiore del giudice rispetto alla decisione da prendere, manca qualora il giudice abbia già
emesso una sentenza sul medesimo imputato relativamente al medesimo reato → corte costituzionale:
assenza di un pre-giudizio rispetto all’oggetto (res giudicanda, responsabilità dell’imputato) del
procedimento
Fondamento nella forza di prevenzione: naturale tendenza di ogni persona a tenere fermo un giudizio già
espresso → tanto più forte tanto è importante la posizione che la persona riveste dal momento che sempre
più difficilmente ammetterà di essersi sbagliata
- Equidistanza dalle parti: assenza di legami tra il giudice persona fisica e una delle parti/con la questione da
decidere, né attuali né potenziali
- Garanzie procedimentali che consentano di estromettere il giudice parziale (astensione, ricusazione,
rimessione), anche se prima dell’intervento delle parti dovrebbe essere il giudice a rendersi conto della
situazione ed astenersi
N. INCOMPATIBILITA’ DEL GIUDICE
Può essere definita come l’incapacità a svolgere una determinata funzione in relazione ad un determinato
procedimento dal momento che manca l’impregiudicatezza
Le situazioni che vi danno luogo sono facilmente riconoscibili EX ANTE prima quindi che il magistrato sia stato
assegnato ad un determinato procedimento → sono criteri di organizzazione preventiva della funzione
giurisdizionale in modo da assicurare l’imparzialità della stessa
L’impregiudicatezza può essere apprezzata fino alla formazione dell’organo giudicante
Qualora non vengano individuate subito, preventivamente quindi rispetto alla formazione dell’organo, costituiscono
poi motivo di astensione o ricusazione
Le situazioni di “pregiudizio” o “pregiudicanti” ricomprese in 3 categorie:
- Il fatto che un magistrato abbia svolto una funzione che deve restare distinta da quella di giudice, come la
funzione di pm, polizia giudiziaria, difensore, testimone, perito, consulente tecnico, denunciante e
querelante (art. 34) → principio di separazione delle funzioni processuali come fondamento del sistema
accusatorio
- Il fatto che un parente o un affine del magistrato abbia già esercitato, nel medesimo procedimento, sia la
funzione di giudice, sia altre funzioni separate o diverse (art. 35)
- Il fatto che un magistrato abbia già svolto la funzione di giudice nel medesimo procedimento penale (art. 34)
o Pronuncia della sentenza in un precedente grado del procedimento
o Emissione del provvedimento conclusivo dell’udienza preliminare
o Emissione decreto penale di condanna
o Disposizione del giudizio immediato
o Decisione sull’impugnazione avverso la sentenza di non luogo a procedere
o Corte costituzionale: pronuncia di una valutazione in relazione alla responsabilità dell’imputato
riguardo al medesimo fatto
o Qualora il giudice sia già stato giudice per le indagini preliminari non può emettere il decreto penale
di condanna, tenere l’udienza preliminare o partecipare al giudizio a meno che abbia svolto
solamente funzioni di tipo non decisorio come aver provveduto all’assunzione dell’incidente
probatorio → si è infatti solamente limitato all’assunzione della prova
O. ASTENSIONE E RICUSAZIONE DEL GIUDICE
Sono rimedi che funzionano EX POST e consentono di rimuovere un giudice già designato in relazione ad un
determinato procedimento, in presenza di situazioni che compromettono l’imparzialità

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ASTENSIONE: obbliga il magistrato a chiedere di essere dispensato dallo svolgere le funzioni di giudice in un
determinato procedimento quando
- Ha un legame con una delle parti
- Ha un legame con l’oggetto della decisione
- Vi sono gravi ragioni di convenienza
Il singolo magistrato deve fare richiesta al capo dell’ufficio giurisdizionale a cui appartiene che poi deciderà
La dichiarazione di astensione è valutata dal presidente dell’organo giudicante al quale appartiene il magistrato; non
può essere accolta automaticamente, lo è se si accerta che in concreto esistono le situazioni che mettono in pericolo
l’imparzialità (dovere di procedere). Al termine dell’elencazione, l’art. 36 impone al giudice di astenersi anche
quando vi siano “gravi ragioni di convenienza”: la ragione è grave se incide sulla libertà di determinazione del
giudice.
RICUSAZIONE: istituto con il quale le parti possono accertare le situazioni in cui appare pregiudicata l’imparzialità del
giudice perché ha rapporti con una delle parti o con l’oggetto del processo → le parti devono quindi presentare una
dichiarazione sulla quale deciderà poi un distinto organo giurisdizionale
L’accertamento in concreto delle situazioni in cui appunto l’imparzialità viene pregiudicata viene rimessa all’iniziativa
degli interessati dal momento che la casistica è pressoché infinita
Le parti possono ricusare il giudice nei casi previsti dall’art. 36, tranne:
- Per “gravi ragioni di convenienza”: si è ritenuto che una clausola così aperta in favore delle parti potesse
rappresentare una lesione eccessiva del prestigio della magistratura
- L’elencazione è tassativa (non vi è quindi clausola aperta in conclusione dell’articolo)
Il codice la dispone qualora nell’esercizio delle proprie funzioni abbia manifestato indebitamente il proprio
convincimento sull’oggetto dell’imputazione
La competenza a decidere sulla ricusazione è disciplinata dall’art. 40:
- Sulla ricusazione di giudice del tribunale/corte d’assise anche di appello: decide la corte d’appello
- Sulla ricusazione di giudice della corte d’appello: decide una sezione della corte stessa diversa da quella a cui
appartiene il giudice ricusato
Il procedimento è giurisdizionale, quando viene accertata una situazione pregiudizievole viene designato un altro
magistrato in base alle norme sull’ordinamento giudiziario → il giudice ricusato nel frattempo non deve sospendere
la sua attività ma non può pronunciare sentenza
Nel caso in cui concorrano una dichiarazione di ricusazione ed astensione, quella di astensione fa considerare come
non proposta la ricusazione
MOTIVI COMUNI ALL’ASTENSIONE E ALLA RICUSAZIONE:
Si tratta di situazioni legate a vicende personali che potrebbero mettere a causa anche di istinti e atteggiamenti
inconsci a repentaglio l’imparzialità del giudice
- Il giudice deve astenersi e può essere ricusato se si trova in una delle situazioni di incompatibilità contenute
negli artt. 34 e 35.
- Sono motivi comuni tutte quelle situazioni nelle quali il giudice abbia legami con le parti o con l’oggetto del
procedimento.
Il giudice, qualora le cause di incompatibilità non abbiano funzionato prima, ha l’obbligo di astenersi e può
essere ricusato:
o Se ha interesse nel procedimento o se alcuna delle parti private o un difensore è debitore o
creditore di lui, del coniuge o dei figli
o Se è tutore, curatore, procuratore o datore di lavoro di una delle parti private
o Se ha dato consigli o ha manifestato il suo parere sull’oggetto del procedimento fuori dell’esercizio
delle funzioni giudiziarie
o Se alcuno dei prossimi congiunti di lui o del coniuge è offeso o danneggiato dal reato o parte privata
o Se un prossimo congiunto di lui o del coniuge svolge o ha svolto funzioni di pm
o Se vi è inimicizia grave fra lui o un suo prossimo congiunto e una delle parti private
P. LA RIMESSIONE DEL PROCESSO
Qualora viene pregiudicata l’imparzialità dell’intero ufficio giudicante territorialmente competente, il codice prevede
lo spostamento della competenza per territorio ad un altro organo giurisdizionale con la stessa competenza per
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materia situato presso il capoluogo del distretto di corte d’appello che è individuato ex art. 11 c. p. p. (competenza
per i procedimenti che riguardo i magistrati) → viene subordinato all’accertamento da parte della cassazione di uno
dei requisiti che lo legittimano a seguito di una richiesta motivata da parte:
- Di imputato e p.m. presso il giudice che precede
- Del procuratore generale presso la corte d’appello
I CASI: si richiedono gravi situazioni locali, tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili,
quindi la situazione deve essere:
- GRAVE: che lasci fondatamente presagire un esito non imparziale del giudizio
- LOCALE: non diffusa sull’intero territorio nazionale
- ESTERNA: rispetto al processo, non deve essere quindi connessa alla dialettica processuale
- NON ALTRIMENTI ELIMINABILE: con strumenti a disposizione del potere esecutivo
Quindi:
- Quando sono pregiudicate la sicurezza e l’incolumità pubblica
- Quando viene pregiudicata la libera determinazione delle persone che partecipano al processo: si richiedono
fenomeni di vera coartazione fisica o psichica di persone anche diverse dal giudice → viene tutelato quindi
direttamente il regolare svolgimento del processo mentre solamente indirettamente l’imparzialità del
giudice
- Situazioni che determinano motivi di legittimo sospetto: grave e oggettiva situazione locale, idonea a
giustificare la rappresentazione di un concreto pericolo di non imparzialità dell’intero ufficio giudicante della
sede in cui si svolge il processo
IL PROCEDIMENTO: la corte di cassazione verifica l’esistenza delle cause che dispongono la rimessione e, qualora
accolga la richiesta, trasferisce il processo ad un altro giudice che abbia:
- Stessa competenza per materia
- Abbia sede nel capoluogo del distretto di corte d’appello ex art. 11 c. p. p.
Il processo viene quindi attribuito ad un altro giudice precostituito per legge
LA DECISIONE: la Cassazione decide in camera di consiglio, dopo aver assunto, se necessario, le opportune
informazioni
- Richiesta accolta: l’ordinanza che accoglie la richiesta viene comunicata senza ritardo al giudice che procede
e a quello designato
Il giudice designato provvede alla rinnovazione degli atti compiuti anteriormente alla rimessione su richiesta
delle parti purché si tratti di atti ripetibili (art. 48)
- Richiesta inammissibile: con la stessa ordinanza con cui la richiesta viene dichiarata inammissibile le parti
private possono essere condannate al pagamento a favore della cassa delle ammende di una somma tra
1000 e 5000 euro
Nonostante si cerchi di bilanciare il principio di imparzialità con quello del giudice naturale, prevale comunque quello
di imparzialità, nonostante comunque il secondo imponga la tassatività delle ipotesi di remissione
Q. LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI DELLA DECISIONE PENALE
IL PRINCIPIO DI AUTOSUFFICIENZA DELLA GIURISDIZIONE PENALE: nel momento in cui si deve accertare la
responsabilità dell’imputato, il giudice penale può avere la necessità di risolvere una questione pregiudiziale, cioè
una questione che si pone come antecedente logico-giuridico per giungere alla decisione (es: altruità della cosa nel
furto)
IL PRINCIPIO DI AUTOSUFFICIENZA DELLA GIURISDIZIONE PENALE: nel momento in cui si deve accertare la
responsabilità dell’imputato, il giudice penale può avere la necessità di risolvere una questione pregiudiziale,
- In senso LATO: una questione che si pone come antecedente logico-giuridico per giungere alla decisione (es:
altruità della cosa nel furto)
- In senso STRETTO: quando l’iter logico per arrivare alla decisione sull’imputazione presuppone la risoluzione
di una controversia non appartenente alla diretta cognizione del giudice procedente
Il giudice penale ha il potere di risolvere ogni questione da cui dipende la sua decisione, salvo che la legge non
disponga diversamente

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RISOLUZIONE DELLA QUESTIONE IN VIA INCIDENTALE: egli si limita a risolvere la questione in via incidentale, cioè
solo in quanto presupposto dell’accertamento della responsabilità dell’imputato; la sua decisione non ha efficacia
vincolante in nessun altro processo (art. 2 co. 2).
LE REGOLE PROBATORIE: per contenere la durata del procedimento, nel risolvere la pregiudiziale il giudice non è
vincolato ai limiti di prova previsti dalle leggi civili → può quindi portare a dei contrasti con delle decisioni di altri
giudici civili, penali o amministrativi
L’unica eccezione è prevista per lo stato di famiglia e la cittadinanza (art. 3 co. 4 “la sentenza irrevocabile del giudice
civile sullo stato di famiglia e di cittadinanza ha efficacia di giudicato nel processo penale”) → si devono osservare i
limiti di prova delle leggi civili dal momento che questi rapporti sono regolati secondo il principio di correttezza dei
rapporti giuridici solamente dalle leggi civili che vincolano il giudice penale
AUTOSUFFICIENZA:
- TOTALE: nell’accertare LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI PENALI
- PARZIALE: nell’accertare LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI SULLO STATO DI FAMIGLIA O DI CITTADINANZA, il
sorgere di una questione del genere determina, qualora il giudice lo ritenga necessario (ha solamente il
potere-dovere), la sospensione del procedimento penale in presenza di requisiti che devono essere
interpretati in modo tassativo
o La questione deve essere seria
o L’azione a norma delle leggi civili deve essere già in corso
Dal momento che devono prevalere le necessità di durata ragionevole del processo, qualora non ricorra uno
dei requisiti il processo va sospeso
- QUASI TOTALE: CONTROVERSIE CIVILI ED AMMINISTRATIVE DIVERSE DALLO STATO DI FAMIGLIA E DI
CITTADINANZA, l’art. 479 prevede, come condizione che il giudice civile o amministrativo pronunci una
sentenza irrevocabile entro un anno dal momento della sospensione del processo penale →trova comunque
un ostacolo nel principio della ragionevole durata del processo
- PREGIUDIZIALE COMUNITARIA: il giudice penale può rimettere alla corte di giustizia UE le questioni
espressamente previste nel trattato istitutivo della comunità
3. Il pubblico ministero
A. L’ORGANO E LE SUE FUNZIONI
Rappresenta l’interesse generale dello Stato alla repressione dei reati ed è frazionato in tanti uffici ciascuno dei quali
svolge le sue funzioni, di regola, soltanto davanti all’organo giudiziario presso cui è costituito (art. 51, comma 3).
UFFICI DEL PUBBLICO MINISTERO DAVANTI AL GIUDICE ORDINARIO: le funzioni del pm nelle indagini preliminari e
nei procedimenti di primo grado sono svolte, presso il tribunale monocratico e collegiale da un ufficio denominato
“Procura della Repubblica presso il tribunale” → svolge anche le funzioni di pubblico ministero per i reati di
competenza della corte d’assise e del giudice di pace
Per i giudizi d’appello vi è una procura generale presso la corte d’appello.
Presso la cassazione vi è un ufficio di procura generale
LE FUNZIONI:
- Veglia sull’osservanza delle leggi, alla regolare amministrazione della giustizia, alla tutela dei diritti dello
Stato, delle persone giuridiche e degli incapaci
- Promuove la repressione dei reati, svolgendo quindi le indagini per valutare se chiedere il rinvio a giudizio o
l’archiviazione
- La Costituzione (112) gli impone di esercitare l’azione penale a meno di archiviazione, quando quindi dalle
indagini sono emersi elementi idonei a sostenere l’accusa
- Fa eseguire i giudicati ed ogni altro provvedimento del giudice nei casi stabiliti dalla legge
Egli svolge nel procedimento la funzione di parte pubblica
Diversa è la situazione soggettiva dello stato-persona che viene rappresentato dall’avvocatura dello stato: quando il
reato ha cagionato un danno ad un bene dello stato, il ministro competente può decidere di chiedere il risarcimento
nel processo penale → l’avvocatura dello stato rappresenta il ministro che si costituisce parte civile
STATUS: il magistrato che fa parte dell’ufficio del pm ha una piena indipendenza di status regolata dalla Cost.; è
inamovibile nel grado e nella sede; è nominato a seguito di pubblico concorso ed i provvedimenti disciplinari ce lo
riguardano sono deliberati dal csm
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La costituzione gli ha posto l’obbligo di esercitare l’azione penale → soggezione quindi del p.m. alla legge
La principale differenza rispetto al giudice sta nel fatto che l’ufficio del p.m. ha alcune caratteristiche
dell’organizzazione gerarchica; quest’ultima viceversa, è assente all’interno degli uffici del giudice.
B. I RAPPORTI CON IL POTERE POLITICO
La costituzione ha deciso di configurare il p.m. come rappresentante della legge → viene quindi svincolato dalla
politica, dal controllo operato dal potere esecutivo o legislativo
È vincolato alla legge nel senso di vincolo al prodotto del potere legislativo ma non al potere legislativo stesso
Ha garanzie di indipendenza simili a quelle dei giudici, dal momento che non è completa la separazione tra potere
legislativo ed esecutivo e manca un efficace controllo del primo sul secondo
C. I RAPPORTI ALL’INTERNO DELL’UFFICIO
I rapporti gerarchici all’interno dell’ufficio rispondono a due diverse esigenze:
- Garantire la indipendenza del singolo magistrato del pubblico ministero che ha l’obbligo di far rispettare la
legge
- Assicurare la buona organizzazione dell’ufficio della pubblica accusa che ha oneri di iniziativa e di impulso del
procedimento penale → coordinamento tra le indagini dei singoli magistrati per evitare intralci, anche
rispetto ad eventuali direttive divergenti alla polizia giudiziaria
EVOLUZIONE LEGISLATIVA: la materia ha cambiato la configurazione che aveva nel 1988; si è passati da un sistema
classificabile come personalizzazione delle funzioni ad una gerarchia attenuata.
Infatti, inizialmente, il titolare dell’ufficio designava il magistrato in modo automatico in base al sistema tabellare che
vige per i giudici, la revoca era prevista solo in casi tassativi, cioè quando contravviene alle direttive generali del
giudice o comunque quando le richieste erano insostenibili sul piano tecnico
Esisteva un rapporto di sovraordinazione ma il magistrato designato conservava una sua autonomia, dal momento
che il titolare dell’ufficio poteva dare solamente direttive di carattere generale per l’organizzazione dell’ufficio (non
di carattere specifico relativamente al singolo procedimento)
LA GERARCHIA ATTENUATA: i criteri automatici non costituiscono più l’unico metodo di assegnazione delle
controversie ma il procuratore della repubblica può farlo anche in deroga al predetto criterio stesso
Il principio generale la titolarità esclusiva dell’azione penale spetta al procuratore che la esercita personalmente o
per mezzo di altri magistrati addetti all’ufficio → nuovo istituto: ASSEGNAZIONE, conferisce poteri con limitata
autonomia funzionale, con questo atto il procuratore stabilisce i criteri a cui il magistrato deve attenersi
nell’esercizio dell’attività, sia generali che particolari
LA REVOCA: il titolare dell’ufficio può revocare l’assegnazione con provvedimento motivato quando
- Il magistrato viola i criteri generali o particolari
- Si verifica un contrasto con il titolare stesso
Entro 10 giorni dalla revoca, il magistrato può presentare le sue osservazioni scritte al procuratore della repubblica
→ qualora non intervenga un chiarimento, sia il titolare dell’ufficio che anche il magistrato interessato possono
rivolgersi al CSM
Impiego della polizia giudiziaria? Il procuratore della repubblica determina i criteri generali ai quali i magistrati
addetti all’ufficio devono attenersi nel suo impiego e nella utilizzazione delle risorse finanziarie concesse all’ufficio
LA PIENA AUTONOMIA IN UDIENZA: quando però il magistrato designato si trova in udienza svolge le sue funzioni in
piena autonomia, come disposto dall’art. 53 che disciplina anche i casi di sostituzione. Il capo dell’ufficio provvede
alla sostituzione:
- Soltanto su consenso dell’interessato
- Se il consenso manca, nel caso di grave impedimento o di rilevanti esigenze di servizio
- Obbligo di procedere alla sostituzione se il magistrato ha un interesse privato nel procedimento.
Il titolare dell’ufficio deve trasmettere al CSM copia del provvedimento motivato con cui ha disposto la sostituzione
del magistrato
RAPPORTI CON GLI ORGANI DI INFORMAZIONE: il procuratore della repubblica vi mantiene personalmente i rapporti
e ogni informazione che fornisce deve essere riportata in modo anonimo (non devono esserci riferimenti ai
magistrati incaricati del procedimento) → non possono fornire notizie circa l’attività giudiziaria dell’ufficio
Il procuratore della repubblica ha l’obbligo di segnalare al CSM le condotte dei suoi magistrati che siano in contrasto
con la legge per l’esercizio del potere di vigilanza e di sollecitazione del potere disciplinare
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D. I RAPPORTI TRA GLI UFFICI
Ogni ufficio del pubblico ministero è competente a svolgere le sue funzioni esclusivamente presso l’organo
giudiziario davanti al quale è costituito → eccezioni che danno vita a rapporti di sovraordinazione, ma MAI
gerarchico dal momento che altrimenti si tratterebbe di un potere che si esplica mediante direttive e ordini il cui
rispetto è imposto giuridicamente
L’ufficio superiore ha solamente singoli e limitati poteri di sorveglianza riguardanti la disciplina e l’organizzazione
IL PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE: svolge una funzione di sorveglianza, nel senso che ha
il potere di iniziare l’azione disciplinare contro un qualsiasi magistrato requirente o giudicante; la decisione spetterà
poi al C.S.M. (potere che spetta anche al ministro della giustizia)
Lo stesso procuratore può essere chiamato a risolvere un contrasto negativo o positivo tra uffici del pm appartenenti
a diversi distretti di corte d’appello.
NOZIONE DI CONTRASTO TRA UFFICI:
- NEGATIVO: due uffici, durante le indagini preliminari in relazione ad un determinato reato, negano la
competenza per materia o per territorio del giudice presso il quale ciascuno di essi esercita le funzioni,
ritenendo la competenza di un altro giudice (art. 54)
- POSITIVO: quando due uffici stanno svolgendo indagini a carico della stessa persona ed in relazione al
medesimo fatto e ciascuno di essi ritenga la propria competenza esclusiva (art. 54 bis).
IL PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO: svolge una funzione di sorveglianza,
- Ha il potere di risolvere i conflitti (positivi o negativi) tra due uffici del pm nel medesimo distretto di corte
d’appello
- Ha il potere di avocare un singolo affare in casi tassativamente previsti dalla legge.
Non viene comunque attivato un potere gerarchico sull’ufficio inferiore, dal momento che l’ufficio superiore non può
dare direttive vincolanti in relazione alla trattazione del singolo caso
IL POTERE DI AVOCAZIONE: in base al diritto amministrativo, l’avocazione è il potere dell’organo superiore di
sostituirsi all’organo inferiore nello svolgimento di una determinata attività. Il codice attribuisce tale potere al
procuratore generale presso la corte di appello nei confronti del procuratore della repubblica presso il tribunale in
presenza di situazioni determinate espressamente previste dalla legge,
- Quando il titolare, o un magistrato dell’ufficio inferiore, hanno omesso un’attività doverosa
- Quando il processo rischia una stasi per l’inerzia del p.m.
Vuole conciliare il principio di indipendenza della pubblica accusa con quelli di buona amministrazione dell’ufficio e
di ragionevole durata del processo (tutti precetti costituzionali
E. L’ASTENSIONE DEL MAGISTRATO DEL PUBBLICO MINISTERO
Mentre il giudice ha l’obbligo di astenersi ove ricorra una di quelle situazioni che lo faccia apparire parziale e
comunque può essere ricusato, il p.m. non può essere ricusato dal momento che è parte, anche se il pubblico
interesse che deve rispettare gli impone un obbligo di lealtà
ASTENSIONE: il pubblico ministero ha il dovere di astenersi quando ci sono delle gravi ragioni di convenienza, cioè
quando ha un interesse privato o comunque un rapporto con le parti del procedimento → sulla dichiarazione decide
il capo dell’ufficio del pubblico ministero
SOSTITUZIONE: il capo dell’ufficio ha l’obbligo di sostituire il p.m. quando questo abbia un interesse privato nel
procedimento e non si sia astenuto → deve essere esercitato anche durante l’udienza penale nella quale il p.m.
svolge le sue funzioni con piena autonomia
Casi:
- Il magistrato ha interesse nel procedimento come parte anche solamente potenziale
- Il magistrato è creditore o debitore di una delle parti private
- Il magistrato è tutore, curatore, procuratore o datore di lavoro di una delle parti private
- Una delle parti private è prossima congiunta del p.m. stesso o del coniuge
- Un prossimo congiunto del p.m. è offeso, danneggiato o parte privata
Il procuratore capo qualora il magistrato non si sia astenuto ha l’obbligo di sostituzione, dal momento che non si
vuole che un interesse privato del p.m. possa ostacolare il corretto esercizio della sua funzione
Avocazione OBBLIGATORIA: se il capo dell’ufficio omette di provvedere alla sostituzione, il procuratore generale
presso la corte d’appello designa per l’udienza un magistrato appartenente al suo ufficio
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DOVERE DI LEALTA’ PROCESSUALE: viene imposto dall’interesse pubblico che deve perseguire, il p.m. non può
limitarsi a ricercare le prove favorevoli all’accusa, ma deve svolgere anche accertamenti su fatti e circostanze a
favore dell’indagato (art. 358).
Il p.m. si distingue da:
- Giudice: dal momento che è collocato in un ufficio che dipende da un capo anche se solamente per gli
aspetti organizzativi dell’attività
- Parti private: dal momento che comunque persegue un interesse pubblico, mentre il loro è privato e quindi
non gli impone nella stessa misura l’obbligo di lealtà processuale
Tutti i risultati delle indagini, anche favorevoli all’indagato, devono essere raccolti dal pubblico ministero e depositati
contestualmente comunque all’avviso di conclusione delle indagini
F. LE PROCURE DISTRETTUALI E LA PROCURA NAZIONALE ANTIMAFIA E ANTITERRORISMO
COLLEGAMENTO TRA LE INDAGINI: art. 371, tale norma elenca i casi nei quali le indagini si considerano collegate:
- Procedimenti sono connessi ex art. 12 (e non sono stati riuniti)
- Reati dei quali gli uni sono stati commessi in occasione degli altri o per conseguirne o assicurarne al
colpevole o ad altri, il profitto, il prezzo, il prodotto o l’impunità; o comunque se la prova di un reato o di una
circostanza influisce sulla prova di un altro reato o circostanza (collegamento probatorio, art. 371).
- Se la prova di più reati deriva anche in parte dalla stessa fonte.
In tali casi gli uffici del p.m. hanno l’obbligo di coordinarsi tra loro, ossia, devono scambiarsi gli atti e le informazioni e
comunicarsi reciprocamente le direttive impartite alla polizia giudiziaria
Relativamente ai delitti di criminalità organizzata mafiosa e non, la violazione dell’obbligo di coordinamento viene
sanzionata con la avocazione
Dal momento che la situazione imponeva uno stretto collegamento tra tutti i vari centri d’indagine ma si doveva
comunque salvaguardare l’autonomia del p.m. dal vertice politico Falcone propose la soluzione poi modificata e
adottata dal parlamento di ridurre il numero delle procure legittimate a svolgere indagini in materia di associazione a
delinquere mafiosa e di istituire una procura nazionale antimafia
LA PROCURA DISTRETTUALE: Esso è l’ufficio della procura della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di
ciascuno dei 26 distretti di corte d’appello; a tale ufficio sono attribuite le funzioni del p.m. in primo grado in
relazione ai delitti di criminalità organizzata mafiosa e simili, ai delitti con finalità terroristiche, ai reati informatici e
intercettazione abusiva → la procura svolge quindi le indagini preliminari ed esercita le funzioni di pubblica accusa
nell’udienza preliminare e in dibattimento entro l’ambito territoriale del distretto di corte d’appello
Per tali delitti tutte le attività investigative della polizia giudiziaria sono coordinate da questo ufficio all’interno del
medesimo distretto.
All’interno della procura è istituita una Direzione Distrettuale Antimafia (D.D.A): un gruppo di magistrati dediti
esclusivamente ai procedimenti attinenti alla criminalità organizzata mafiosa e assimilati → hanno l’obbligo di
coordinarsi in modo stretto tra loro e con il procuratore capo e possono essere applicati temporaneamente presso
altre procure distrettuali
LA PROCURA NAZIONALE ANTIMAFIA E ANTITERRORISMO: ufficio con sede a Roma, capo della Direzione Nazionale
Antimafia è il Procuratore Nazionale Antimafia soggetto al controllo del Procuratore Generale presso la Cassazione e
viene nominato in seguito all’accordo, il concerto, con il ministro della giustizia.
L’ufficio del procuratore nazionale è chiamato “direzione territoriale antimafia e antiterrorismo” ed è composto da
20 magistrati del pubblico ministero più 2 procuratori aggiunti tutti nominati dal csm una volta sentito il procuratore
nazionale
FUNZIONI: il P.N.A. ha compiti di coordinamento e di controllo che gli permettono di verificare se sia effettivo il
coordinamento tra i singoli uffici del pm che stanno indagando per i delitti indicati nell’art. 51 co. 3 bis. Non può
compiere direttamente indagini, ma può avocare le indagini condotte da quella procura distrettuale che abbia
dimostrato una grave inerzia o che non si sia coordinata con gli altri uffici → può quindi fornire tutti gli strumenti per
rendere le indagini efficaci mediante anche l’elaborazione centrale di tutte le informazioni raccolte dalle procure
distrettuali
Ha poteri di impulso nei confronti dei procuratori distrettuali e di controllo sull’attività degli organi centralizzati di
polizia giudiziaria

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Non risponde agli organi di indirizzo politico ma è semplicemente sotto la sorveglianza del procuratore generale
presso la cassazione e del csm
NON può dare direttive vincolanti nel merito alle procure distrettuali, al massimo può convocare i capi per accertare
appunto se questi si sono coordinati tra loro → non ha quindi un potere gerarchico nei confronti dei 26 procuratori
distrettuali
4. Polizia giudiziaria
A. POLIZIA GIUDIZIARIA E SICUREZZA
Lo stato tutela l’ordine e la legalità servendosi di 4 corpi di polizia:
- Polizia di stato
- Arma dei carabinieri, che ha recentemente compreso anche il corpo forestale dello stato
- Guardia di finanza
- Corpo di polizia penitenziaria
Svolgono funzioni di polizia giudiziaria e di sicurezza
LA POLIZIA AMMINISTRATIVA E DI SICUREZZA: la polizia amministrativa si occupa dell’osservanza della legge e dei
regolamenti amministrativi, in esecuzione delle funzioni proprie del potere esecutivo
Si distingue in molte specializzazioni tra le quali spicca la polizia di sicurezza che ha come compito la tutela della
collettività, dell’ordine pubblico e della sicurezza delle persone: prevenzione dei reati.
LA POLIZIA GIUDIZIARIA: (art. 55) deve anche di propria iniziativa prendere notizia dei reati, impedire che vengano
portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro sia
utile all’applicazione della legge penale. La differenza tra polizia di sicurezza e giudiziaria si basa sulla
contrapposizione tra prevenzione dei reati e repressione di un reato → raccolta di tutti gli elementi necessari per
accertare il reato e rendere possibile lo svolgersi del processo penale
Quando svolge la funzione amministrativa o di sicurezza (prevenzione del reato quindi), la polizia non gode di poteri
coercitivi (cioè non può direttamente limitare le libertà fondamentali) che gli vengono attribuiti solamente appena
giunge notizia di reato esercitando quindi la funzione di polizia giudiziaria → può:
- In situazioni di necessità ed urgenza procedere all’arresto in flagranza o al fermo di una persona gravemente
indiziata
- In caso di flagranza perquisire persone o luoghi
L’esercizio dei poteri coercitivi avviene in relazione al successivo svolgersi del procedimento penale, con la garanzia
del diritto di difesa e sotto il controllo del p.m. e del giudice
La funzione di polizia di sicurezza è diretta da un organo unitario, dal ministro dell’interno, mentre a livello locale dal
prefetto e questore
LA DIPENDENZA FUNZIONALE DELLA POLIZIA GIUDIZIARIA: la funzione di polizia giudiziaria è svolta sotto la direzione
del pm e sotto la sorveglianza del procuratore generale presso la corte d’appello (art. 56), che può dare inizio al
procedimento disciplinare contro l’ufficiale o l’agente per aver trasgredito ai doveri tipici della sua funzione → la
sorveglianza sul corretto esercizio di questa funzione spetta quindi ai 26 procuratori generali presso le corti d’appello
Riguardo la lotta alla criminalità organizzata, la funzione di polizia giudiziaria è svolta dalla Direzione Investigativa
Antimafia, che è posto sotto la direzione e la sorveglianza del procuratore nazionale antimafia.
A prescindere dalla funzione che svolge, la polizia resta sotto la dipendenza organica del potere esecutivo, quindi per
le promozioni e la carriera l’ufficiale dipende dal corpo di appartenenza e, per il tramite di questo, dal ministro
presso cui è incardinato il corpo medesimo. In definitiva, colui che svolge funzioni di polizia giudiziaria dipende
funzionalmente dal pm e organicamente dal potere esecutivo → vi è pericolo che le direttive dell’autorità giudiziaria
siano ostacolate da direttive in senso contrario provenienti dagli organi del potere esecutivo
B. LA DIPENDENZA DALL’AUTORITA’ GIUDIZIARIA
Per attuare il principio di cui all’art. 109 Cost., secondo il quale, l’autorità giudiziaria dispone direttamente della
polizia giudiziaria e rafforzarne quindi la direzione funzionale, il codice distingue tre strutture con funzione di P.G.
caratterizzate da un diverso grado di dipendenza dall’autorità giudiziaria:
- SEZIONI: maggior grado di dipendenza, si tratta di organi costituiti presso gli uffici del pm di primo grado e
composti, di regola, da ufficiali e agenti di polizia di Stato, dei carabinieri e della guardia di finanza, anche se
eccezionalmente possono esservi assegnati ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria appartenenti ad altre
amministrazioni quando vi sono particolari esigenze di specializzazione
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Svolgono esclusivamente funzioni di polizia giudiziaria sotto la dipendenza del capo del singolo ufficio del
pubblico ministero che ne dirige e coordina l’attività
Il P.M. dispone direttamente del personale della sezione (art. 58), cioè incarica delle indagini
nominativamente un ufficiale di polizia giudiziaria con possibilità di delega ad altri uffici di polizia
Il potere direttivo dell’autorità giudiziaria è rafforzato con strumenti che incidono sulla carriera, sulla
mobilità e sulle promozioni del personale appartenente alle sezioni
- SERVIZI: minor grado di dipendenza funzionale, sono costituiti presso i corpi di appartenenza (questure,
comandi dei carabinieri e della guardia di finanza) e si considerano tali tutti gli uffici che svolgono in maniera
continuativa funzioni di polizia giudiziaria. Il dirigente del servizio è responsabile verso il procuratore della
repubblica presso il tribunale dove ha sede il servizio dell’attività di polizia giudiziaria svolta da lui stesso e
dal personale dipendente. Il minor grado di dipendenza funzionale sta nel fatto che il P.M. non dispone
direttamente del personale di questi uffici, dà un incarico non personalmente ad un ufficiale di polizia
giudiziaria, bensì impersonalmente all’ufficio: sarà il responsabile di questo a scegliere l’ufficiale che
condurrà le investigazioni
- ALTRI UFFICI: gli organi di P.G. che non sono ricompresi nelle categorie precedenti sono comunque
sottoposte funzionalmente alla magistratura e sono tenuti a eseguire i compiti ad essi affidati dall’autorità
giudiziaria → sono quindi tutti coloro che svolgono funzioni di polizia giudiziaria presso i più vari corpi della
polizia amministrativa
C. UFFICIALI ED AGENTI DI POLIZIA GIUDIZIARIA
Gli ufficiali ed agenti della polizia giudiziaria rispetto all’accertamento di determinati reati hanno competenza:
- GENERALE:
o Persone alle quali l’ordinamento riconosce tale qualità
o Ufficiali superiori e inferiori (non i generali) ed i sottoufficiali di carabinieri, guardia di finanza, corpo
di polizia penitenziaria e forestale dello stato
o Sindaco ma solamente in via residuale
o Agenti di polizia giudiziaria compresi quelli della municipale
- LIMITATA: persone a cui questa funzione di polizia giudiziaria viene affidata espressamente da una legge o
da un regolamento → di norma svolgono funzioni di polizia amministrativa, quindi prevenzione di
determinati reati, qualora però gli giunga notizia che uno di quei reati che deve prevenire è stato commesso,
scatta la funzione di polizia giudiziaria
La qualità di ufficiale o agente di polizia giudiziaria è determinata dalla qualifica svolta nel rispettivo
ordinamento dal momento che l’attribuzione della qualifica opera nei limiti del servizio a cui tali persone
sono destinate e secondo le rispettive attribuzioni
5. L’imputato
A. LA DISTINZIONE TRA IMPUTATO ED INDAGATO
All’inizio del procedimento penale le indagini possono essere svolte contro ignoti o un indagato preciso, anche se
questo avviene nella minor parte dei casi perché non sempre il denunciante è in grado di riconoscere la persona
responsabile del reato che denuncia
La polizia giudiziaria trasmette la denuncia al P.M. e questi ordina alla segreteria l’iscrizione nel registro delle notizie
di reato. Svolte le indagini, se gli elementi raccolti consentono di addebitare il reato ad una determinata persona, il
suo nome comparirà nel registro accanto alla denuncia. Questa è “persona sottoposta alle indagini preliminari”,
comunemente noto come indagato.
Soltanto in relazione al momento conclusivo delle indagini il codice usa il termine imputato: è la persona alla quale è
attribuito il reato nell’imputazione (art. 417) formulata con la richiesta di rinvio a giudizio o con atto omologo
nell’ambito del singolo procedimento speciale.
L’ASSUNZIONE DELLA QUALITA’ DI IMPUTATO: a norma dell’art. 60, nel procedimento ordinario l’assunzione di tale
qualifica avviene con la richiesta di rinvio a giudizio; mentre nei procedimenti speciali la qualifica di imputato si
acquista nel momento in cui si instaura il singolo rito e cioè
- Con la richiesta di giudizio immediato
- Con la richiesta di applicazione della pena ad iniziativa congiunta delle parti

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- Con l’atto introduttivo del giudizio direttissimo, che consiste nella contestazione dell’imputazione in udienza
o nella citazione a comparire
Tale qualità si conserva ex art. 60 in ogni stato e grado del processo sino a che non sia più soggetta ad impugnazione
la sentenza di non luogo a procedere, sia divenuta irrevocabile la sentenza di proscioglimento o di condanna, o sia
diventato esecutivo il decreto penale di condanna.
Tale qualità si riassume in caso di revoca della sentenza di non luogo a procedere o di revisione del processo.
LA QUALITA’ DI INDAGATO: il codice pone la fondamentale distinzione tra indagato ed imputato perché
- Il p.m. deve prendere prima una posizione definitiva sull’addebito solamente quando, terminate le indagini
preliminari, chiede rinvio a giudizio → l’imputazione deve essere sorretta da una consistente base probatoria
- Prima che sia stata formulata una imputazione il codice usa un termine neutro, “persona sottoposta alle
indagini preliminari” → il p.m. può esercitare un addebito provvisorio che comunque non è una imputazione
e serve solamente per permettere all’indagato di esercitare il diritto di difesa, quindi solamente a fini di
garanzia
- Fini garantistici, dal momento che per quanto riguarda il diritto di difesa si attua una piena equiparazione tra
i due, anche se l’equiparazione non è totale dal momento che le indagini preliminari sono segrete, mentre
l’udienza preliminare e il giudizio sono caratterizzati dal contraddittorio → a causa di ciò comunque, le
misure cautelari previste per l’imputato possono essere applicate, qualora ne ricorrano i presupposti, anche
all’indagato
B. L’INTERROGATORIO
Atto attraverso il quale si possono esplicare quell’insieme di diritti che comunemente sono raggruppati nel diritto di
difesa → può essere svolto da vari soggetti, in questo caso si tratta quello effettuato dal p.m. nelle indagini
preliminari
REGOLE GENERALI: ex art. 64 dall’interrogatorio si potranno ottenere dichiarazioni solo se e nei limiti in cui
l’indagato decida liberamente di renderle e comunque non attraverso l’utilizzo di mezzi coercitivi neanche qualora vi
fosse il consenso dell’interessato → la libertà di autodeterminazione dell’imputato non è disponibile
AVVISI: egli deve ricevere una serie di avvisi prima che abbia inizio l’interrogatorio,
- Che le sue dichiarazioni possono essere sempre utilizzate nei suoi confronti, sia durante le indagini che
durante il dibattimento anche se il medesimo non si presenta o tace → possono quindi essere usate sia a suo
favore che contro di lui
- Che ha la facoltà di non rispondere a tutte o ad alcune delle domande e che se non risponde il procedimento
comunque segue il suo corso (omissione-irritualità=inutilizzabilità); l’indagato è avvertito che ha l’obbligo di
rispondere secondo verità sulla sua identità personale.
- Che se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, assumerà in ordine a questi,
l’ufficio di testimone (L. 63/2001)
LE REGOLE DELL’INTERROGATORIO SUL MERITO: cioè sui fatti addebitati.
Il p.m. prima di rivolgere le domande all’indagato deve informarlo sul fatto che gli è attribuito, sugli elementi di
prova a suo carico e comunicargli le fonti di prova (es. il nome del testimone) a meno che ciò non pregiudichi le
indagini (es: rischio di inquinamento delle indagini); soltanto a questo punto il p.m. invita l’indagato a rispondere alle
domande (art. 65).
Tre sono le possibilità che si presentano a quest’ultimo:
- L’indagato può rifiutare di rispondere a tutte le domande o ad alcune di esse. In tal caso il pm dà atto nel
verbale che l’indagato si è avvalso della facoltà di non rispondere.
- L’indagato può rispondere. Se i fatti che egli ammette sono a lui sfavorevoli si ha una confessione. Occorre
precisare che l’indagato non ha un obbligo, penalmente sanzionato, di dire la verità → i difensori di norma
consigliano che è meglio tacere piuttosto che dire falsità, dal momento che se la falsità dovesse venire
accertata, costituirà prova che l’indagato non è credibile e le sue dichiarazioni verranno usate come
elemento contro di lui
- POSSIBILITA’ DI MENTIRE: l’indagato può rispondere dicendo il falso; in tal caso, non commetterà né falsa
testimonianza, né false informazioni al p.m., non essendo né un testimone, né come possibile testimone. In
relazione ad ulteriori reati che egli possa integrare rendendo dichiarazioni mendaci, egli è protetto dalla
causa di non punibilità prevista dall’art. 384 co. 1 c.p. Tale norma stabilisce una scusante in favore di colui
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che ha commesso determinati delitti contro l’amministrazione della Giustizia per esservi stato costretto dalla
necessità di salvarsi da un grave e inevitabile pregiudizio alla libertà o nell’onore. Egli è però coperto dalla
causa di non punibilità soltanto in relazione a determinati fatti di reato, nei limiti in cui non abusa del diritto
di difesa
LIMITI: casi in cui l’indagato commette un reato dal momento che, abusando del diritto di difesa, crea
intralcio all’amministrazione della giustizia
o Quando compie simulazione di reato: afferma falsamente che è avvenuto un reato che nessuno ha
commesso
o Quando calunnia una persona: incolpa di un reato una persona che sa di essere innocente
Può mentire ma non può arrivare al punto di sviare la giustizia abusando del diritto di difesa
C. DISTINZIONE TRA INDAGATO E PERSONA INFORMATA (POSSIBILE TESTIMONE)
L’indagato e l’imputato possono rimanere in silenzio e mentire, invece il testimone ha l’obbligo di dire la verità.
TESTIMONE E PERSONA INFORMATA: la persona che ha conoscenza di fatti che devono essere accertati nel
procedimento penale è qualificata “testimone” quando depone davanti al giudice (art. 194); viceversa quando è
esaminata dal pm o dalla polizia giudiziaria è denominata “persona che può riferire circostanze utili ai fini delle
indagini”. La persona informata ha una posizione analoga a quella del testimone: essa può essere definita un
possibile testimone e può essere definita anche come possibile testimone
- Viene ammonita dall’inquirente circa l’obbligo di rispondere a verità
- Se dice il falso commette il delitto di false informazioni
Anche l’indagato può possedere informazioni utili ai fini delle indagini ma il codice pone una incompatibilità tra la
situazione di indagato e quella di persona informata → ne deriva che non ha neanche l’obbligo di verità
L’indagato è quindi incompatibile con gli obblighi di natura testimoniale anche nel corso delle indagini preliminari
Alle persone informate si estendono le stesse fattispecie di incompatibilità che interessano anche i testimoni
LE DICHIARAZIONI AUTOINDIZIANTI: può accadere che nel corso della deposizione il testimone (o il possibile tale)
renda, più o meno consapevolmente, “dichiarazioni da cui emergono indizi di reità a suo carico”. A seguito di ciò
l’autorità deve (art. 63):
- Interrompere l’esame
- Avvertire la persona che potranno essere svolte indagini nei suoi confronti
- Invitarla a nominare un difensore
Le dichiarazioni rilasciate fino a quel momento non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese, ma
possono essere usate a suo favore o contro altre persone.
Si vuole quindi tutelare il testimone che si sia messo nei guai adempiendo al dovere di verità → quindi doppia tutela:
- Impedire che il testimone continui a parlare peggiorando la sua situazione
- L’autorità procedente deve interrompere la dichiarazione attivando garanzie difensive
- Neutralizzare le dichiarazioni già rese nella loro efficacia pregiudizievole per chi le ha rilasciate
L’ELUSIONE DELLA QUALITA’ DI INDAGATO: ai sensi del comma 2, art. 63, se una persona ascoltata come testimone o
persona informata doveva essere sentita sin dall’inizio in qualità di imputato o di indagato, le sue dichiarazioni non
possono essere utilizzate → si vogliono quindi evitare abusi da parte dell’autorità inquirente dal momento che
potrebbe essere tentata di trascurare gli indizi di colpevolezza a carico di una persona per sentirla come
semplicemente informata dei fatti e ottenere dichiarazioni sulla responsabilità sua e delle altre persone
L’inutilizzabilità quindi come sanzione neutralizza atteggiamenti di questi tipo
D. LA VERIFICA DELLA IDENTITÀ FISICA E ANAGRAFICA DELL’INDAGATO
Può accadere che nel corso delle indagini ci si trovi di fronte ad una persona fisica e non si sappia con certezza se si
tratta davvero del soggetto a cui si attribuisce il reato, occorre dunque accertare l’identità fisica e anagrafica del
medesimo → occorre verificare l’identità di tale persona, a questo fine servono due accertamenti:
- IDENTITA’ FISICA DELL’INDAGATO: stabilire quindi se l’indagato coincide con quella persona, autore del fatto
illecito, che ha lasciato la sua impronta sul luogo del reato → a ciò si può pervenire se in via preliminare si
prova che le impronte digitali del sospettato sono identiche a quelle ritrovate sul luogo del reato
Una volta accertata l’identità fisica dell’indagato, il processo può svolgersi anche nell’incertezza sull’identità
anagrafica, il cui dubbio non pregiudica il compimento di alcun atto da parte dell’autorità procedente

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Soltanto se c’è errore sull’identità fisica dell’imputato allora il giudice deve pronunciare sentenza di
assoluzione
In ogni stato e grado del procedimento, quando risulta che l’imputato è stato segnalato, anche sotto diverso
nome, all’autorità giudiziaria quale autore di un reato commesso antecedentemente o successivamente a
quello per il quale di procede, sono eseguite le comunicazioni all’autorità giudiziaria competente ai fini
dell’applicazione della legge penali → si vogliono agevolare il coordinamento delle indagini e permettere
l’inizio di procedimenti penali per false dichiarazioni di identità personale
- IDENTITA’ ANAGRAFICA DELL’IMPUTATO: si tratta di attribuire un nome ad un volto o ad una traccia
genetica. Il principale strumento per perseguire tale fine è l’interrogatorio, poiché sulla propria identità
personale il soggetto deve dichiarare il vero e non può tacere. Fin dall’inizio del procedimento il p.m. e la
polizia giudiziaria procedono all’identificazione dell’indagato, che viene invitato a dichiarare le proprie
generalità dietro l’ammonimento delle conseguenze a cui andrà incontro se mente
Viene punito sia il rifiuto di dare indicazioni che dare dichiarazioni false
E. SOSPENSIONE O DEFINIZIONE DEL PROCEDIMENTO PER INCAPACITA’ PROCESSUALE DELL’IMPUTATO
In presenza di determinati presupposti il giudice deve valutare se l’imputato (o l’indagato) è in
grado di partecipare coscientemente al procedimento penale (70 co. 1), cioè se è capace di esercitare
consapevolmente quel diritto di autodifesa che spetta a lui personalmente e non può essere
esercitato da altre persone al suo posto → il diritto di autodifesa non può essere esercitato dal curatore o tutore
eventualmente nominati
Il giudice quindi prima di porsi il problema se sospendere o meno il procedimento deve compiere una valutazione
preliminare ex riforma Orlando
- PRONUNCIA CHE PROSCIOGLIE L’IMPUTATO: sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, il
giudice non deve sospendere il procedimento quando è possibile prosciogliere l’imputato perché
o Innocente
o Vi è una situazione di improcedibilità
o Mancava totalmente la capacità di intendere e volere al momento del fatto del reato
- IMPOSSIBILITA’ DI PROSCIOGLIERE L’IMPUTATO: il giudice, in base allo stato degli atti, si trova nella
condizione di dover accertare la responsabilità penale e quindi appare probabile una condanna dal momento
che comunque l’imputato era imputabile del tutto o anche semi al momento del reato → il giudice deve
quindi accertare se l’imputato è nello stato mentale idoneo per partecipare coscientemente al procedimento
Qualora non lo sia, deve accertare se l’incapacità sia reversibile o meno
o INCAPACITA’ REVERSIBILE: SOSPENSIONE DEL PROCEDIMENTO, il giudice deve disporre con
ordinanza che il procedimento sia sospeso e nominare un curatore speciale che dovrebbe di norma
coincidere con il rappresentante legale
Ogni 6 mesi il giudice dispone una perizia per accertare lo stato psichico dell’imputato: l’ordinanza
viene REVOCATA se
▪ L’imputato risulti in grado di partecipare coscientemente al processo
▪ Il giudice deve pronunciare una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere
In caso di sospensione per impedimento dell’imputato il corso della prescrizione del reato rimane
sospeso
o INCAPACITA’ REVERSIBILE ed IMPUTATO NON PERICOLOSO: quando si accerta
▪ Lo stato mentale dell’imputato è tale da non consentire la partecipazione cosciente al
procedimento
▪ Tale stato è irreversibile
▪ L’imputato non è pericoloso, eventualmente viene disposta solamente la confisca ma non
altra misura di sicurezza
Il giudice deve quindi revocare l’ordinanza ed emettere una sentenza di non luogo a procedere (in
udienza preliminare) o di non doversi procedere (in dibattimento)
Quando lo stato di incapacità viene meno o si accerta che è stato erroneamente dichiarato, può
essere esercitata l’azione penale per il medesimo fatto contro la medesima persona

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o INCAPACITA’ IRREVERSIBILE ed IMPUTATO PERICOLOSO: quando si richiede una misura di sicurezza
che non sia la confisca, il giudice ogni sei mesi deve disporre ulteriore accertamenti → l’applicazione
di questo genere di misure impedisce quindi la pronuncia della sentenza di non luogo a procedere o
di non doversi procedere
6. Il difensore
A. LA RAPPRESENTANZA TECNICA
Difesa: tutela contro un attacco mosso ai diritti di un soggetto con qualsiasi procedura giudiziaria
La “difesa penale” è un diritto di cui beneficiano le parti ed alcuni fra i soggetti del procedimento e consente
all’imputato di ottenere il riconoscimento della piena innocenza o comunque di essere condannato ad una sanzione
non più grave di quella applicabile secondo la legge.
La difesa è un diritto che consiste nel potere di esigere da altri un comportamento conforme alla legge → sono
titolari del diritto di difesa le parti e altri soggetti del procedimento
Tale diritto può essere esercitato sia personalmente (autodifesa) sia per mezzo del difensore (difesa tecnica).
Esempio di autodifesa è il diritto spettante sia all’indagato che all’offeso di ricevere notizia del procedimento penale
in corso; esempio di difesa tecnica è il potere del difensore di condurre l’esame incrociato (498).
IL DIFENSORE: è una persona che ha particolare competenza tecnico-giuridica e che ha determinate qualifiche di tipo
penalistico, privatistico e processuale.
- La qualifica penalistica è quella di esercente un servizio di pubblica necessità, dal momento che a questa
funzione si accede mediante una speciale abilitazione dello stato e comunque della sua opera i privati sono
obbligati a valersi (359 c.p).
- La qualifica privatistica è quella di rappresentante tecnico di parte
RAPPRESENTANZA TECNICA: è il potere del difensore di compiere atti processuali per conto del cliente, a patto che i
medesimi non siano personali, e cioè che non siano dalla legge espressamente riservati alla parte (art. 99); inoltre, il
difensore non hai il potere di disporre del diritto in contesa → perché questo possa essere possibile, tale
rappresentanza è conferita dal cliente (imputato o indagato) al difensore mediante una procura ad litem. La nomina
può essere:
- Orale davanti all’autorità procedente, che ne redige verbale
- Per atto scritto consegnato alla medesima autorità dal difensore o comunque trasmessa dall’interessato con
raccomandata sempre all’autorità procedente (art. 96)
Non viene richiesta l’autentica della firma
La persona offesa conferisce la rappresentanza tecnica con le medesime forme semplificate previste anche per
l’imputato
Le altre parti (parte civile, responsabile civile, civilmente obbligato per la pena pecuniaria) attribuiscono al difensore
la rappresentanza tecnica mediante una procura speciale conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata
(art. 100)
RAPPRESENTANZA VOLONTARIA PER GLI ATTI PERSONALI: quando si deve compiere nel procedimento un atto
personale e non può essere presente la parte assistita, non è sufficiente la rappresenta tecnica del difensore: è
necessario il conferimento di una rappresentanza volontaria al difensore o ad altra persona di fiducia mediante
procura speciale a compiere un determinato atto (art. 122). La rappresentanza volontaria permette di compiere un
atto processuale in nome e per conto della parte. A pena di inammissibilità, deve essere rilasciata per atto pubblico o
scrittura privata autenticata e deve contenere la determinazione dell’oggetto e del fatto a cui si riferisce → se viene
rilasciata per scrittura privata al difensore, la sottoscrizione può essere autenticata dal difensore medesimo
Può anche eventualmente essere rilasciata preventivamente, qualora si verifichino i presupposti per il compimento
dell’atto al quale la procura si riferisce
ATTI PERSONALISSIMI: atti per cui non ci può essere rappresentanza volontaria
RAPPORTO CLIENTE – DIFENSORE: ha natura fiduciaria,
- Prima dell’accettazione del mandato il difensore può rifiutare la nomina, previa tempestiva comunicazione a
chi l’ha effettuata ed all’autorità procedente → la non accettazione è efficace nel momento in cui viene
comunicata all’autorità procedente
- Dopo che ha accettato il mandato, il difensore può rinunciarvi previa comunicazione ai suddetti soggetti, ma
non ha effetto finché la parte non sia assistita da un nuovo difensore e non sia decorso il termine a difesa
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non inferiore a 7 giorni; infatti fino ad allora la parte sarà rappresentata dal difensore rinunciante (art. 81).
Ciò vale anche in caso di revoca del mandato.
RAPPORTO DIFENSORE – IMPUTATO: ASSISTENZA, tra l’imputato e il difensore esiste una rappresentanza tecnica che
assume la forma di assistenza nel senso che l’imputato può sempre compiere personalmente gli atti che non siano
per legge riservati al difensore → la difesa non può escludere quel tipo di autodifesa che spetta all’imputato che
comunque può compiere un atto processuale anche senza dover per forza essere rappresentato dal difensore
ASSISTENZA: particolare forma di difesa tecnica che non esclude l’autodifesa del soggetto assistito → di regola
l’imputato ha diritto di partecipare personalmente agli atti del procedimento affiancato dal proprio difensore che si
limita appunto ad assistere
Il diritto di autodifesa dell’imputato prevale sul diritto alla difesa tecnica dal momento che nel procedimento penale
è in questione un diritto di libertà
In base all’art. 99 co. 2 l’imputato può togliere effetto, con espressa dichiarazione contraria, all’atto compiuto dal
difensore prima che, in relazione all’atto stesso, sia intervenuto un provvedimento del giudice
Al difensore competono la facoltà ed i diritti che la legge riconosce all’imputato a meno che essi siano
personalmente riservati a quest’ultimo
DEONTOLOGIA: il difensore non si identifica con la parte, in quanto egli ha il dovere di comportarsi con lealtà e
probità (105 co. 4 c. p. p.), nonostante ciò non ha l’obbligo di ricercare e di introdurre nel processo gli elementi
sfavorevoli al suo assistito; collabora all’accertamento dei fatti limitandosi ad addurre gli elementi a favore del
cliente, poiché persegue un interesse privato quindi è libero di valutare se un elemento di prova è favorevole
rispetto alla richiesta che intende rivolgere al giudice. Il difensore non deve introdurre nel procedimento prove che
egli sa essere false, ma tale divieto non gli impedisce di argomentare sulla base di prove da altri introdotte, anche se
ritiene che siano false (art. 82).
B. DIFENSORE DI FIDUCIA E DIFENSORE D’UFFICIO
L’imputato ha il diritto di farsi assistere da non più di due difensori di sua scelta (di fiducia; art. 96).
La nomina è un atto a forma libera e può essere effettuata in 3 modi:
- Con dichiarazione, scritta o orale, resa dall’indagato all’autorità procedente;
- Con dichiarazione scritta consegnata a tale autorità dal difensore;
- Con dichiarazione scritta trasmessa a tale autorità con raccomandata.
Non occorre alcuna autentica della sottoscrizione, nemmeno se è inviata tramite raccomandata
Quando l’indagato non ne abbia nominato uno o ne sia rimasto privo, il codice prevede (solo per tale soggetto)
l’istituto della difesa d’ufficio (art. 97), poiché è necessaria la difesa tecnica in favore dell’imputato: principio del
nostro ordinamento, il legislatore vuole che comunque sia presente nel procedimento un soggetto tecnicamente
idoneo a difendere l’imputato e non coinvolto emotivamente
L’imputato non può esercitare una autodifesa esclusiva neanche se per ipotesi avesse la qualità di avvocato
DESIGNAZIONE DEL DIFENSORE D’UFFICIO: l’elenco dal quale viene tratto il nominativo viene predisposto e
aggiornato dal consiglio nazionale forense e vi sono inseriti gli avvocati che ne hanno fatto richiesta e possono
documentare di avere la capacità tecnica che è imposta dalla legge → il controllo spetta al consiglio dell’ordine
circondariale di appartenenza che predispone i criteri di nomina sulla base della prossimità alla sede del
procedimento penale e della reperibilità
Quando giudice, p.m. o polizia giudiziaria devono compiere un atto per cui è prevista l’assistenza del difensore e
l’imputato ne è privo, essi devono chiedere il nominativo del difensore d’ufficio ad un apposito ufficio presso l’ordine
forense di ciascun capoluogo di corte d’appello → viene assicurata l’effettività della difesa, designando difensori che
esercitino il patrocinio nella sede giudiziaria presso la quale essi sono chiamati come difensori d’ufficio
Il magistrato o l’ufficiale di polizia danno avviso dell’atto che sta per essere compiuto al difensore il cui nominativo
viene comunicato dall’ufficio centralizzato
Egli ha l’obbligo di prestare patrocinio e può essere sostituito solamente per giustificato motivo
LA FUNZIONE DELLA DIFESA D’UFFICIO: la difesa di ufficio non ha una funzione di assistenza sociale, bensì
unicamente quella di attuare il contraddittorio quando comunque l’imputato si disinteressa alla nomina, rimane
privo di avvocato o nessuno vuole assisterlo → irrinunciabilità della difesa tecnica
Dal momento che il miglior modo di accertare a verità è il contraddittorio, l’imputato non deve rinunciare alle sue
armi dialettiche
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L’imputato ha comunque piena libertà di scelta sulla sua strategia difensiva quindi può togliere efficacia all’atto
compiuto dal difensore o nominarne uno di fiducia così che quello d’ufficio cessi dalle sue funzioni
Il difensore d’ufficio ha diritto alla retribuzione → viene affermata la stabilità dell’incarico e ne viene quindi
sanzionato l’abbandono
IL SOSTITUTO DEL DIFENSORE DI FIDUCIA O D’UFFICIO: il difensore ha il potere di nominare un sostituto che esercita
i diritti e assume i doveri del difensore medesimo → non viene condizionata al caso di impedimento del titolare e
può avvenire per qualsiasi motivo
C. IL DIFENSORE DELLA PERSONA OFFESA
L’offeso può nominare un difensore nelle medesime forme semplificate che sono previste per il difensore
dell’imputato → RAPPRESENTANZA
L’offeso ha il potere comunque di esercitare quei diritti e facoltà che gli sono riconosciuti ex lege → in alcuni casi può
agire personalmente nel procedimento quindi non è obbligato ad avere il ministero di un difensore, a differenza di
quanto viene previsto per le parti private diverse dall’imputato
Nella pratica comunque dato che l’offeso può non essere un giurista può avere comunque sempre bisogno
dell’assistenza di un difensore
L’offeso NON può, a differenza dell’imputato, togliere efficacia ad un atto della difesa tecnica ma solamente se vuole
evitare una difesa non gradita può revocare la nomina di un difensore e nominarne un altro
D. IL DIFENSORE DELLE PARTI PRIVATE DIVERSE DALL’IMPUTATO (ES: PARTE CIVILE)
La parte civile, il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria “stanno
obbligatoriamente in giudizio con il ministero di un difensore” (rappresentanza tecnica in senso stretto;
art. 100) → non possono quindi stare in giudizio personalmente
RAPPRESENTANZA TECNICA: si richiede una procura speciale per conferire la procura ad litem al difensore e si
richiede che la firma sia autenticata da una persona a ciò abilitata oppure dallo stesso difensore che sia stato
nominato per il processo
Si presume conferita solamente per un grado del processo, salvo che sia espressa volontà diversa
Il difensore della parte privata può quindi compiere e ricevere per conto della parte rappresentata tutti quegli atti
del procedimento che la legge non riserva espressamente alla parte → il difensore non può quindi compiere atti che
comportino una disposizione del diritto in contesa salvo che non ne abbia ricevuto espressamente il potere
RAPPRESENTANZA VOLONTARIA: il difensore per compiere atti in nome della parte rappresentata deve essere
munito di procura speciale con la quale il cliente, nei casi consentiti dalla legge, può nominarlo proprio procuratore
speciale per il compimento di determinati atti
Il difensore può compiere atti che incidono sulla situazione giuridica sostanziale della parte rappresentata in nome e
per conto di essa → ulteriore procura speciale, deve contenere la determinazione dell’oggetto e dei fatti per cui
viene rilasciata e, a pena di inammissibilità, con atto pubblico o scrittura privata autenticata (nel qual caso viene
richiesta l’autenticazione della firma da parte del difensore)
IL PATROCINIO PER I NON ABBIENTI: la legge 217/1990 ha istituito il patrocinio a spese dello Stato in favore delle
persone che hanno un reddito annuo non superiore a euro 11.528,41. Il patrocinio è concesso su istanza ai soggetti
che sono parti private (imputato, indagato, condannato, offeso, parte civile, responsabile civile, civilmente obbligato)
al fine di assicurare la difesa tecnica
- Nel procedimento penale per reati di tipo non tributario
- In relazione all’azione risarcitoria che venga eventualmente esercitata davanti al giudice civile per i danni
derivati dai medesimi delitti
Libertà di scelta del difensore, che viene scelto tra quelli inseriti in appositi elenchi predisposti dai consigli degli
ordini previa valutazione dei requisiti dell’avvocato che ne fa domanda
Il rapporto tra difensore e cliente è privato anche se l’onorario lo paga lo stato
E. REGOLE PER L’ATTIVITA’ DIFENSIVA
INCOMPATIBILITA’: la difesa di più imputati può essere assunta a un difensore comune purché le diverse posizioni
non siano tra loro incompatibili → si richiede un nesso di interdipendenza in base al quale un imputato abbia
effettivamente interesse a sostenere una tesi difensiva sfavorevole ad un altro imputato
Qualora l’autorità giudiziaria la rilevi, deve indicarla, esporne i motivi e fissare un termine per rimuoverla → 2 modi
per eliminarla:
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- Rinuncia del difensore a una delle difese
- Revoca della nomina da parte dell’imputato
Se non viene rimossa entro il termine fissato, il giudice la dichiara e provvede a sostituire il difensore incompatibile
con uno d’ufficio
ABBANDONO E RIFIUTO DELLA DIFESA: l’art. 105 riconosce al consiglio dell’ordine forense la competenza esclusiva
per le sanzioni disciplinari relative ai casi di abbandono della difesa o di rifiuto della difesa d’ufficio.
L’autorità giudiziaria riferisce al consiglio dell’ordine:
- I casi di abbandono e rifiuto della difesa d’ufficio
- Quando il difensore abbia violato i doveri di lealtà e probità
- Quando il difensore abbia difeso più imputati in questioni incompatibili
LE GARANZIE PER IL LIBERO ESERCIZIO DELLA DIFESA:
- GENERALI: tutela del segreto professionale assicurata dall’art. 200: “gli avvocati non possono essere obbligati
a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero”.
- SPECIALI: riguardano la tutela dell’ufficio e dei colloqui con i clienti volte ad assicurare la riservatezza e
l’efficacia dell’attività del difensore e l’immunità da interferenze dell’autorità inquirente.
UFFICIO DEL DIFENSORE: lo studio legale ha delle garanzie
- Non è consentita l’intercettazione relativa a conversazioni o comunicazioni dei difensori, consulenti tecnici e
loro ausiliari e neanche tra i medesimi e le persone da loro assistite
- Le ispezioni, perquisizioni ed i sequestri di norma sono vietati, sono ammessi solamente in casi tassativi di
cui la legge disciplina anche le modalità da seguire a pena di inutilizzabilità:
- Le ispezioni e le perquisizioni sono ammesse quando i difensori o le persone che svolgono stabilmente
attività nel medesimo ufficio sono imputati e comunque limitatamente all’accertamento del reato loro
attribuito → non viene in considerazione l’attività svolta dal difensore
- Le ispezioni e le perquisizioni sono ammesse anche per rilevare tracce o altri effetti materiali del reato
- Le ispezioni e le perquisizioni sono ammesse per ricercare cose o persone predeterminate che si siano
nascoste nell’ufficio dell’avvocato
- Il sequestro di carte o documenti sull’oggetto della difesa è vietato nell’ufficio del difensore e dei suoi
ausiliari incaricati in relazione al procedimento → viene ammesso soltanto per oggetti che sono corpo del
reato
NON DELEGABILITA’ DEGLI ATTI DI RICERCA: qualora siano ammessi, devono essere compiuti personalmente dal
giudice → nel corso delle indagini può provvedere il p.m. ma dopo essere stato autorizzato dal giudice con decreto
motivato
PREAVVISO AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO D’ORDINE: il magistrato che sta per compiere una perquisizione, una
ispezione o un sequestro deve comunicarlo prima al presidente del consiglio d’ordine perché possa assistere alle
operazioni, a pena di nullità → dal momento che viene tutelata la funzione difensiva, non è necessario quando il
difensore sia lui stesso imputato per il reato per cui si procede
I COLLOQUI PER ESIGENZE DIFENSIVE: è previsto il divieto di intercettare comunicazioni o conversazioni tra difensori,
investigatori privati, consulenti tecnici in relazione al procedimento nonché le conversazioni tra i predetti e i loro
assistiti. È vietato altresì sequestrare la corrispondenza tra imputato e difensore salvo che essa sia corpo del reato;
l’inosservanza di tali precetti comporta l’inutilizzabilità degli atti compiuti.
Qualora l’intercettazione si sia comunque verificata e abbia ad oggetto un tema difensivo, il risultato è inutilizzabile a
meno che le stesse persone non abbiano deposto o divulgato i medesimi fatti
7. La persona offesa dal reato e la parte civile
A. LA PERSONA OFFESA
La persona offesa dal reato è il titolare dell’interesse giuridico protetto da quella norma incriminatrice che si assume
sia stata violata da reato. Il codice attribuisce alla persona offesa la qualifica di soggetto del procedimento; la
qualifica di parte le viene riconosciuta solo se la persona offesa si è costituita parte civile
Ex art. 90, in caso di decesso dell’offeso:
- Le sue facoltà e i suoi diritti previsti dalla legge sono esercitati dai prossimi congiunti a prescindere dai diritti
successori, quindi la qualità di offeso viene attribuita anche a chi ha rinunciato all’eredità

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- Le facoltà e i diritti previsti dalla legge sono esercitati dalla persona alla medesima legata da relazione
affettiva e con essa stabilmente convivente
Vittima: soggetto che ha subito la condotta illecita sulla propria pelle
I POTERI SOLLECITATORI: la persona offesa in qualità di soggetto può esercitare i diritti e le facoltà riconosciutigli
dalla legge (90 co. 1), tra cui l’indicazione di elementi di prova, il deposito di memorie ecc → mera facoltà, perché al
loro esercizio non corrisponde un obbligo del giudice di pronunciarsi
I DIRITTI DI INFORMATIVA: l’offeso ha il diritto a ricevere le informazioni necessarie al fine di esercitare i propri
poteri nel procedimento penale e devono essergli fornite in una lingua a lui comprensibile sin dal primo contatto con
l’autorità procedente ex: notizie sulle modalità di presentazione di denuncia e querela, informazioni sulle misure di
protezione che possono essere disposte a suo favore o sulle strutture antiviolenza che possono fornire un supporto
psicologico
La persona offesa ha il diritto di conoscere le iscrizioni che la riguardino e che sono contenute nel registro delle
notizie di reato, oltre ad ulteriori diritti di informativa:
- Avviso della data e del luogo in cui si svolgerà l’udienza preliminare
- Notifica del decreto che dispone il giudizio
Deve comunque essere sempre in grado di valutare sulla base di questi atti se gli conviene costituirsi parte civile
qualora sia stato anche danneggiato
Questi diritti possono però svolgere a pieno la loro funzione nel modo più pieno se l’offeso ha nominato il suo
difensore dal momento che solamente questo è tecnicamente in grado di consigliare al suo assistito come muoversi
Il pm avvisa l’offeso, l’indagato e i difensori del giorno e del luogo dell’accertamento, informandoli che hanno la
facoltà di nominare un consulente tecnico di parte e comunque qualora non se lo possano permettere possono
usufruire del patrocinio gratuito fornito dallo stato
LA PARTECIPAZIONE AL PROCEDIMENTO: i poteri di partecipazione sono esercitabili possono essere esercitati dalla
persona offesa che abbia nominato un difensore; egli può limitarsi ad assistere ai pochi atti di indagine per cui è
ammessa la sua presenza (es. accertamento tecnico non ripetibile), oppure può attivarsi fino a svolgere le c.d.
investigazioni difensive (327 bis) → indagini compiute o personalmente dal difensore o attraverso sostituto, che può
essere anche un consulente tecnico di parte o un investigatore privato autorizzato, per permettere al difensore di
cercare elementi di prova intervistando anche persone che possano dare informazioni
I risultati di queste indagini possono essere consegnati al p.m. o anche direttamente al giudice
La persona offesa può anche chiedere per iscritto al p.m. di promuovere un incidente probatorio in cui viene assunta
una prova non rinviabile in dibattimento: il difensore della parte offesa sarà avvisato, potrà parteciparvi e chiedere al
giudice di rivolgere domande alle persone sottoposte ad esame
La persona offesa può essere sentita come testimone in dibattimento e come possibile testimone durante le indagini
preliminari
LA PERSONA OFFESA VULNERABILE: 2 differenti qualifiche per garantire determinate protezioni nel momento in cui
esse depongono
- Minorenne
- Persona che si trovi in situazioni di particolare vulnerabilità
Vengono disposte queste protezioni per una migliore valutazione dell’attendibilità della deposizione stessa:
- Per il loro esame si richiede l’assistenza di uno psicologo/psichiatra
- L’esame deve anche essere a volte sottoposto ad una registrazione e si deve svolgere in sedi diverse dal
tribunale
I POTERI DI CONTROLLO SULLA EVENTUALE INATTIVITA’ DEL P.M.: alla parte offesa sono riconosciuti poteri di tipo
penalistico che tendono a tutelare il suo interesse ad ottenere il rinvio a giudizio dell’imputato → non è una vera e
propria azione penale ma solamente poteri di controllo sull’inattività del p.m.
L’offeso può mettersi in contatto con il g.i.p. e presentargli le proprie conclusioni in due casi: se il p.m. ha chiesto al
giudice la proroga delle indagini o l’archiviazione → l’iniziativa del p.m. deve essere notificata alla persona offesa che
abbia precedentemente chiesto di essere informata

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B. PARTE CIVILE
Dal momento che il reato in concreto potrebbe aver provocato un danno, colui che lo ha commesso è obbligato a
risarcire il danno o a restituire la cosa sottratta → l’illecito penale e quello civile derivano dal medesimo titolo che è
costituito dal fatto di reato
IL DANNO DERIVANTE DA REATO: è composto da
- Danno PATRIMONIALE: privazione o diminuzione del patrimonio nelle forme del danno emergente e del
lucro cessante, viene quantificato per l’equivalente pecuniario onde consentire il ripristino della situazione
preesistente e che avrebbe dovuto proseguire se non fosse stato commesso il reato
- Danno NON PATRIMONIALE: consiste nelle sofferenze fisiche e psichiche patite a causa del reato e viene
calcolato con modalità di tipo satisfattivo → il giudice in via equitativa determina una cifra di denaro che
possa dare una soddisfazione tale da compensare le sofferenze patite
Il danno non patrimoniale è risarcibile in due casi:
o Quando la risarcibilità è prevista in modo espresso dalla legge;
o Quando il danno non patrimoniale deriva dalla lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti
dalla Costituzione
LA PERSONA DANNEGGIATA DAL REATO: colui che ha subito un danno patrimoniale o non patrimoniale in
conseguenza del reato e ha diritto al risarcimento del danno
L’azione per accertare la responsabilità dell’imputato e la condanna al risarcimento del danno può essere esercitata:
- Davanti al giudice civile in un autonomo procedimento
- Davanti al giudice penale solamente dopo che il p.m. ha esercitato l’azione penale → il danneggiato esercita
quindi l’azione civile costituendosi parte civile nel processo penale
Limite: l’azione che esercita il danneggiato può tendere solamente ad ottenere la condanna al risarcimento
del danno/alla restituzione, non possono esserne esercitate altre che abbiano oggetti diversi
La medesima persona riveste quindi sia la qualifica di persona offesa del reato che anche di quella
danneggiata, raramente ha solamente una delle due qualifiche
L’essere persona offesa ha la qualifica del soggetto del procedimento con tutti i diritti e le facoltà che ne
derivano mentre al solamente danneggiato non spettano
LE REGOLE: 2 regole non espresse
- L’azione civile rimane ospite nel processo penale: mantiene quindi la sua natura e le sue caratteristiche,
rimane facoltativa e disponibile dal momento che in qualsiasi momento il danneggiato può revocare la
costituzione di parte civile (ex: con la stipula di una transazione)
Il giudice penale nel pronunciarsi non può andare oltre i limiti della domanda, cioè la quantità del
risarcimento
- L’azione civile subisce la regolamentazione del processo penale: i poteri ed il comportamento della parte
civile sono quindi disciplinati dal codice di procedura penale → deroghe quindi rispetto alla disciplina del
processo civile: le prove dell’illecito e dei danni cagionati sono ricercate dal p.m. d’ufficio, ciò non esclude
che comunque la parte possa farlo autonomamente di sua iniziativa
La parte civile comunque a differenza del processo civile qualora si affidi al p.m. non deve anticipare le spese
processuali
I DOVERI DELLA PARTE CIVILE: contrariamente al processo civile, la parte civile ha l’obbligo sanzionato di dire la
verità
Può chiedere al giudice di far pagare all’imputato una provvisionale che deve essere disposta dal giudice nei limiti in
cui vi siano prove del danno → condanna immediatamente esecutiva in primo grado
In definitiva il danneggiato che si costituisce parte civile incontra prevalentemente vantaggi:
- Non anticipa le spese del procedimento, non deve ricercare le prove (lo fa il p.m.),
- Gode dei tempi più ristretti della giustizia penale
Di contro:
- Si trova in un procedimento in cui l’iniziativa e le scelte fondamentali spettano al p.m.
- Il passaggio in giudicato dell’eventuale sentenza di assoluzione dell’imputato impedisce al giudice civile di
condannare al risarcimento del danno.

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LA DICHIARAZIONE DI COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE: la costituzione di parte civile avviene con dichiarazione scritta
(art. 78) e sottoscritta dal difensore della parte civile, dal momento che il danneggiato sta in giudizio mediante
difensore munito di procura speciale conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata
Essa svolge la medesima funzione dell’atto di citazione del processo civile e deve contenere a pena di
inammissibilità:
- Le generalità della persona fisica o giuridica
- Le generalità dell’imputato contro cui viene esercitata l’azione civile
- Nome e cognome del difensore e l’indicazione della procura a questi rilasciata
- Le ragioni che giustificano la domanda. Quest’ultima consiste nella richiesta la giudice di pronunciare la
condanna dell’imputato al risarcimento del danno (petitum). Le ragioni (causa petendi) consistono nei motivi
per i quali si asserisce che il reato ha provocato un danno patrimoniale o non patrimoniale e consentono al
giudice di valutare se il richiedente è legittimato a costituirsi parte civile. In questo momento la causa
petendi e il petitum sono indispensabili a pena di inammissibilità, mentre, non è necessaria la precisazione
del quantum dell’ammontare del risarcimento (dovrà essere indicato al momento della presentazione delle
conclusioni scritte al termine del dibattimento)
- La sottoscrizione del difensore.
La procura speciale al difensore è apposta in calce o a margine della dichiarazione di parte civile ed il difensore
certifica l’autografia della sottoscrizione del danneggiato → se viene conferita con un atto separato, questo viene
depositato nella cancelleria del giudice o comunque viene presentato in udienza preliminare con la dichiarazione di
costituzione
La dichiarazione può essere presentata:
- Nell’udienza all’ausiliario del giudice
- Prima dell’udienza, nella cancelleria del giudice → deve essere notificata a cura della parte civile alle altre
parti (p.m. ed imputato) e produce effetto nei confronti di queste dal momento in cui viene eseguita la
notificazione
ESCLUSIONE: viene disposta dal giudice con ordinanza qualora non esistono i requisiti sostanziali e formali per la
costituzione di parte civile su richiesta motivata di p.m., imputato, responsabile civile ma anche d’ufficio →
l’ordinanza non è impugnabile
REVOCA:
- ESPRESSA: dichiarazione resa in udienza
o Dalla parte civile personalmente
o Da un suo procuratore speciale
o Con atto scritto depositato in cancelleria e notificato alle parti
- TACITA:
o Quando la parte civile non presenti le proprie conclusioni scritte in dibattimento al momento della
discussione finale
o Quando la parte civile promuove l’azione civile davanti al giudice civile
L’AZIONE RISARCITORIA DAVANTI AL GIUDICE CIVILE: il danneggiato dal reato può compiere in alternativa 2 scelte
rispetto al costituirsi parte civile
- Esercitare l’azione di danno davanti al giudice civile: deve essere esercitata in modo tempestivo prima che il
giudice pronunci la sentenza di primo grado, può svilupparsi senza subire sospensioni parallelamente allo
svolgersi del procedimento penale
L’eventuale assoluzione del procedimento penale non ha la forza del giudicato quindi non vincola il giudice
che può comunque condannare l’imputato al risarcimento del danno se le prove sono sufficienti
- Rimanere inerte: corre il rischio che il giudice assolva l’imputato con una formula ampia che ha l’efficacia del
giudicato → dal momento che poteva partecipare ma non ha voluto farlo, la sentenza di assoluzione ha
efficacia vincolante in relazione al fatto che sia stato accertato
8. Altri soggetti del procedimento penale
Soggetti comunque la cui presenza è rara all’interno del procedimento penale
- ENTE RAPPRESENTATIVO DI INTERESSI LESI DAL REATO: soggetto che si può qualificare come persona offesa
di creazione politica
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Per i reati relativi all’uso di informazioni riservate nelle operazioni in valori mobiliari, la commissione
nazionale per la società e la borsa può esercitare i diritti e le facoltà riconosciute dal codice agli enti
rappresentativi di interessi lesi dal reato, come anche le associazioni di animali riconosciute con decreto
ministeriale
Secondo l’art. 91 l’ente può esercitare in ogni stato e grado del procedimento i diritti e le facoltà dell’offeso;
da ciò si ricava che l’ente è un “soggetto” del procedimento e non può diventare “parte”.
Il difensore che rappresenta l’ente può partecipare all’udienza preliminare e al dibattimento; in tale sede
può chiedere al presidente l’ammissione di nuovi mezzi prova e di rivolgere domande alle persone
sottoposte ad esame incrociato. In definitiva, l’ente rappresentativo dell’interesse leso dal reato è soltanto
un soggetto che si colloca come accusatore a fianco del pm, senza poter esercitare né l’azione civile né
l’azione penale.
- RESPONSABILE CIVILE: è il soggetto obbligato a risarcire il danno cagionato dall’autore del reato; può essere
citato nel processo penale a richiesta della parte civile (art. 83) o può intervenire volontariamente se vi è
stata costituzione della parte civile (art. 85) → responsabile civile per un fatto altrui
Questi è un soggetto che non ha partecipato al compimento dell’illecito, ma è chiamato a risarcire il danno
provocato dall’autore dell’illecito (185 c.p.). Il codice civile prevede singole ipotesi di responsabilità per fatto
altrui; in tali casi, il responsabile civile è obbligato in solido con l’imputato al risarcimento del danno ex:
padroni e committenti
Nel processo penale si può citare come responsabile civile la compagnia assicurativa per la responsabilità da
circolazione stradale → spetta anche all’imputato eccezionalmente
- LA PERSONA CIVILMENTE OBBLIGATA PER LA PENA PECUNIARIA: è una parte eventuale del processo, citata a
richiesta del pm o dell’imputato (art. 89) → particolare forma di responsabilità che si attiva quando l’autore
del reato condannato e soggetto ad esecuzione per una pena pecuniaria (multa o ammenda), sia insolvibile;
in tal caso l’obbligo di pagare spetta ai soggetti indicati dagli artt. 196 e 197 c.p.
È una responsabilità civile sussidiaria ed eventuale per il caso di insolvibilità del condannato in relazione al
pagamento della multa o dell’ammenda.
Soltanto dopo che è stata citata su richiesta del p.m. o dell’imputato questa diventa effettivamente parte del
processo penale e il giudice deciderà su i suoi obblighi con sentenza
- GLI ENTI RESPONSABILI IN VIA AMMINISTRATIVA PER I REATI COMMESSI DA LORO RAPPRESENTANTI O
DIRIGENTI: il d. lgs. 231/2001 ha introdotto la responsabilità amministrativa dipendente dal compimento di
determinati reati. Tale responsabilità è attribuita alle persone giuridiche in relazione ai reati commessi,
nell’interesse o a vantaggio dell’ente, da persone che rappresentano o dirigono l’ente medesimo, o da
persone in posizione subordinata in caso di omesso controllo da parte dei soggetti in posizione apicale; tale
responsabilità è limitata ai reati espressamente elencati dalla legge ex: concussione, corruzione, frode
Agli enti è addebitata una responsabilità amministrativa anche se questa è accertata all’interno di un
procedimento penale; nei loro confronti sono applicabili sanzioni pecuniarie ed interdittive.
Il pm cita l’ente in qualità di parte; l’ente che intende partecipare al procedimento si costituisce con una
dichiarazione scritta, se non si costituisce viene dichiarato contumace.

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CAPITOLO 2 (Gli atti)
1. Gli atti del procedimento penale
A. CONSIDERAZIONI GENERALI
Viene definito “atto del procedimento penale” quell’atto che è compiuto da uno dei soggetti (giudice, pubblico
ministero, polizia giudiziaria, parti private, ecc.) e che è finalizzato alla pronuncia di un provvedimento penale (sia
esso una sentenza, una ordinanza o un decreto); rientrano nel concetto di “atto” sia gli atti delle indagini preliminari,
sia gli atti dell’udienza preliminare e del giudizio → il primo atto del procedimento penale è quindi quello che segue
la ricezione della notizia di reato da parte della polizia giudiziaria o del p.m.
Con il termine atto si designa quindi l’attività che è compiuta dal soggetto oltre che il suo risultato permanente
quindi indica sia il verbale che documenta l’attività compiuta che il testo del provvedimento pronunciato
- A FORMA VINCOLATA: gli atti più importanti del procedimento penale hanno una forma vincolata, il rispetto
è una delle garanzie fondamentali poste a tutela dei soggetti che sono coinvolti nel procedimento penale
Un esempio di norma che prevede atti a forma vincolata è l’art. 125, c.1, secondo cui «la legge stabilisce i
casi nei quali il provvedimento del giudice assume la forma della sentenza, dell’ordinanza o del decreto».
- A FORMA LIBERA: quando il codice non impone una forma vincolata, l’atto ha una forma libera.
Tutti gli altri provvedimenti del giudice sono adottati senza formalità e anche oralmente.
LINGUA: ai sensi dell’art. 109 c. 1 gli atti del procedimento sono compiuti in lingua italiana. Se il cittadino italiano
appartiene ad una minoranza linguistica riconosciuta, egli è, a sua richiesta, interrogato o esaminato nella
madrelingua e il relativo verbale è redatto anche in tale lingua.
TESTIMONI ED ATTI DEL PROCEDIMENTO: in varie disposizioni il codice prevede che determinate persone possono
assistere ad atti del procedimento penale perché sono persone di fiducia di uno dei soggetti interessati dallo
svolgimento del relativo atto, del quale garantiscono la regolarità e sul quale possono essere chiamate a
testimoniare ex: ispezione e perquisizione personale → gli vengono estese apposite garanzie
OBBLIGO DI OSSERVANZA DELLE NORME PROCESSUALI: prevedendo il giusto processo regolato dalla legge, la
costituzione detta un principio generale di legalità processuale
Il codice di rito, a chiusura del sistema, impone di rispettare le norme in esso scritte anche quando la mancata
osservanza di queste non comporta nullità o altra sanzione processuale → obbligo deontologico assistito da sanzioni
disciplinari per magistrati, cancellieri, ausiliari del giudice, uffici giudiziari ed agenti di polizia giudiziaria
B. GLI ATTI DEL GIUDICE
- SENTENZA: è l’atto con cui il giudice adempie al dovere di decidere, che gli è posto a seguito dell’esercizio
dell’azione penale, esaurisce una fase o un grado del processo e con essa il giudice si spoglia del caso → se
una parte impugna la sentenza allora un altro giudice esaminerà successivamente il caso fino alla sentenza
irrevocabile
La sentenza deve essere sempre motivata, e cioè deve dare conto del percorso logico seguito dal giudice per
giungere alla decisione → dal momento che l’obbligo è posto direttamente dalla costituzione, viene ripreso
anche dal codice che prevede la nullità relativa in caso di mancanza
- ORDINANZA: è il provvedimento con cui il giudice risolve singole questioni senza definire il procedimento.
L’ordinanza deve essere sempre motivata a pena di nullità (art. 125, c. 3) e, di regola, è revocabile dal
giudice.
Viene emesso una volta che si sia svolto il contraddittorio tra le parti
- DECRETO: è un “ordine” dato dal giudice; deve essere motivato soltanto se la legge lo precisa espressamente
Viene emesso in assenza di contraddittorio
Nei casi in cui lo prevede il codice può anche essere emesso dal p.m.
Singole norme del codice stabiliscono quando un provvedimento del giudice deve avere la forma di ordinanza
piuttosto che di decreto dal momento che è impossibile enunciare un criterio generale di distinzione
L’IMMEDIATA DECLARATORIA DI DETERMINATE CAUSE DI NON PUNIBILITA’: L’art. 129 c. 1 pone la regola secondo
cui il giudice ha l’obbligo di dichiarare immediatamente d’ufficio determinate cause di non punibilità → il codice
enumera espressamente le formule terminative che comportano la declaratoria d’ufficio:
- Il fatto non sussiste
- L’imputato non ha commesso il fatto
- Il fatto non costituisce reato
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- Il fatto non è previsto dalla legge come reato
- Il fatto è estinto
- Manca una condizione di procedibilità
L’IMMEDIATA DECLARATORIA IN OGNI STATO E GRADO DEL PROCESSO: la pronuncia del giudice deve intervenire
immediatamente in ogni stato e grado del processo, e cioè in momenti successivi all’esercizio dell’azione penale →
norme speciali regolano la fase e il grado
LA GERARCHIA TRA LE FORMULE DI PROSCIOGLIMENTO: l’art. 129, c. 2, pone una gerarchia tra le formule che il
giudice è tenuto ad emettere: quando esiste una causa di estinzione del reato e risulta evidente dagli atti la “non
responsabilità penale” dell’imputato, il giudice deve dare la preferenza a questo tipo di pronuncia, che assume la
forma della sentenza di assoluzione o della sentenza di non luogo a procedere.
Se non è già stata acquisita agli atti la prova evidente della mancanza di responsabilità dell’imputato, il giudice è
tenuto a pronunciare l’estinzione del reato → l’imputato ha diritto a rinunciare all’amnistia sopravvenuta e alla
prescrizione del reato maturata nel tempo rendendo inoperante l’obbligo di immediata declaratoria delle relative
cause di estinzione
LA CORREZIONE DEGLI ERRORI MATERIALI: l’art. 130 prevede la procedura di correzione degli errori materiali.
L’istituto richiede almeno quattro requisiti:
- Soltanto gli atti del giudice riferibili al modello delle sentenze, delle ordinanze e del decreto
- L’errore non deve essere causa di nullità dell’atto
- L’errore deve essere materiale, ossia consistere in una difformità tra il pensiero del giudice e la formulazione
esteriore di tale pensiero oppure anche in una omissione relativa ad un comando che dipende in maniera
automatica dalla legge
- L’eliminazione dell’errore non deve comportare una modifica essenziale dell’atto, quindi si escludono le
correzioni che incidono sul dispositivo
I POTERI COERCITIVI DEL GIUDICE: al giudice spettano poteri coercitivi nell’esercizio delle sue funzioni, al fine del
sicuro compimento degli atti ai quali procede. Il potere coercitivo comporta la possibilità di ottenere comportamenti
anche contro la volontà dei singoli interessati; si tratta di poteri di “polizia processuale” per l’esercizio dei quali la
legge non impone l’osservanza di particolari formalità dal momento che l’ordine può anche essere solamente orale
ed essere riprodotto nel verbale di udienza. Spetta al giudice il potere di chiedere l’intervento della polizia
giudiziaria; se necessario, anche l’intervento della forza pubblica.
L’ACCOMPAGNAMENTO COATTIVO DELL’IMPUTATO E DI ALTRE PERSONE: tra gli atti che costituiscono espressione
del potere coercitivo si può collocare l’accompagnamento coattivo (artt. 132 e 133). L’istituto consiste in una
restrizione della libertà personale poiché l’accompagnamento può essere eseguito con la forza (si tratta di una
limitazione della libertà). L’accompagnamento coattivo ha una finalità limitata che è quella di condurre una persona
davanti al giudice per rendere possibile la acquisizione di un contributo probatorio.
È comunque necessario che la legge preveda espressamente l’intervento di una determinata persona per il
compimento di uno specifico atto
I DESTINATARI DELL’ACCOMPAGNAMENTO: tra i destinatari del provvedimento di accompagnamento coattivo vi
sono sia l’imputato o indagato (art. 132), sia le altre persone indicate nell’art. 133, quali il testimone, il perito, il
consulente tecnico, l’interprete ed il custode di cose sequestrate. Il potere del giudice è molto ampio perché
concerne i procedimenti per qualsiasi reato anche di minima entità e questo provvedimento può essere disposto
anche nei confronti di reati per i quali non viene ammessa nessuna misura cautelare
C. GLI ATTI DELLE PARTI
2 soli modelli generali di atti delle parti:
- RICHIESTA: è richiesta ogni tipo di domanda che le parti rivolgono al giudice al fine di ottenere una decisione
Sulle richieste ritualmente formulate dalle parti il giudice deve provvedere senza ritardo e comunque entro
quindici giorni, salvo specifiche disposizioni di legge. Se non adempie a tale obbligo, la parte può presentargli
formale istanza ai sensi dell’art. 3 della legge n. 117 del 1988 sulla responsabilità dei magistrati. A questo
punto il giudice deve decidere entro trenta giorni. L’inosservanza delle norme del codice può dar luogo ad
una responsabilità disciplinare ai sensi dell’art. 124 dal momento che potrebbero ricorrere gli estremi del
diniego di giustizia

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- MEMORIA: che ha un contenuto meramente argomentativo teso ad illustrare questioni in fatto o in diritto.
Nel codice si trovano le memorie che la persona offesa può presentare in ogni stato e grado del
procedimento (art. 90).
D. PROCEDIMENTO IN CAMERA DI CONSIGLIO
“camera di consiglio”: 2 situazioni diverse
- Luogo in cui il giudice si ritira per formare il proprio convincimento sulla singola questione da decidere
- Modalità di svolgimento dell’attività giurisdizionale alla quale le parti e gli interessati hanno diritto di
partecipare → ex: quando il giudice non accoglie la richiesta di archiviazione del pm
2 caratteristiche:
o Assenza del pubblico
o Non necessaria partecipazione delle parti, dei loro difensori e degli interessati
Procedura semplificata per tutte le volte in cui si richiede una decisione in tempi rapidi e si deve attivare un
contraddittorio quindi solamente eventuale → le parti ed i difensori ricevono un avviso ma senza obbligo di
presentarsi
MODELLO ORDINARIO: L’atto iniziale è il decreto di fissazione dell’udienza. Alle parti, agli altri interessati ed ai loro
difensori è dato avviso della data fissata per l’udienza almeno dieci giorni prima della stessa → adempimento
richiesto a pena di nullità
Fino a cinque giorni prima dell’udienza gli interessati possono presentare memorie presso la cancelleria del giudice.
CONTRADDITTORIO EVENTUALE: all’udienza il contraddittorio è soltanto eventuale, perché la partecipazione delle
parti, degli interessati e dei loro difensori è facoltativa. Il giudice ha comunque l’obbligo di ascoltare, a pena di
nullità, tutti coloro che intervengono all’udienza. Se l’imputato o il condannato sono detenuti in luogo diverso da
quello in cui ha sede il giudice, alla loro audizione deve procedere a pena di nullità il magistrato di sorveglianza prima
che abbia luogo l’udienza in camera di consiglio (art. 127, c. 3) → secondo la corte costituzionale il giudice ha il
potere di disporre anche d’uffici la traduzione in udienza del detenuto
Il provvedimento conclusivo della procedura camerale assume la forma dell’ordinanza, che è impugnabile mediante
ricorso per cassazione.
Non viene osservata comunque quando il giudice omette un provvedimento de plano, cioè senza formalità
E. LA DOCUMENTAZIONE DEGLI ATTI
Gli atti del procedimento penale devono essere documentati perché se ne possa conservare traccia.
Il codice prevede che a tale documentazione si provveda «mediante verbale, redatto dall’ausiliario che assiste
giudice o pm (…) che contiene la menzione del luogo, dell’anno, del mese, del giorno e, quando occorre, dell’ora in cui
è cominciato e chiuso, le generalità delle persone intervenute (...)»; esso deve riprodurre sia la domanda, sia la
risposta. Mediante il verbale l’ausiliario si limita ad attestare quello che è avvenuto in sua presenza e le dichiarazioni
ricevute; spetterà poi al giudice valutare se le dichiarazioni rese sono vere o false.
VALORE PROBATORIO: il verbale deve documentare gli atti ma non è fonte di prova, quindi è implicita la libera
valutazione di quanto è in esso contenuto → dal momento che è la documentazione dello svolgimento di un atto,
serve quindi solo a provare che questo atto si sia svolto, ciò comporta che il verbale di un atto del procedimento può
essere sottoposto ad una verifica da parte del giudice quanto alla correttezza e veridicità della descrizione di ciò che
il pubblico ufficiale attesta essere avvenuto in sua presenza.
DOCUMENTAZIONE: disciplina generale affiancata a quella speciale che regola la documentazione nelle varie fasi del
procedimento → può essere effettuata almeno con 3 modalità differenti:
- VERBALE IN FORMA INTEGRALE: in dibattimento di regola deve essere redatto il verbale in forma integrale
con la stenotipia o altro strumento meccanico ovvero, in caso di impossibilità di ricorso a tali mezzi, con la
scrittura manuale (art. 134, c. 2)
- VERBALE IN FORMA RIASSUNTIVA CON RIPRODUZIONE FONOGRAFICA: una seconda modalità di
documentazione è il verbale «in forma riassuntiva» (art. 134, c. 3), il giudice deve controllare che sia
riprodotta la parte essenziale delle dichiarazioni nell’originaria espressione
“riassuntivo” non significa riassunto del concetto delle dichiarazioni, ma solo sommaria esposizione degli
elementi extra-dichiarativi. Quando il verbale è redatto in forma riassuntiva deve essere effettuata anche la
riproduzione fonografica.

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- VERBALE IN FORNA RIASSUNTIVA SENZA RIPRODUZIONE FONOGRAFICA: vi è una terza modalità di
documentazione che si effettua quando gli atti da verbalizzare hanno contenuto semplice o limitata rilevanza
(art. 140, c. 1), oppure qualora gli strumenti di riproduzione e gli ausiliari tecnici non siano disponibili
- RIPRODUZIONE AUDIOVISIVA: 3 situazioni distinte
o Discrezionale quando l’autorità ritiene sufficienti le altre 3 modalità e comunque è assolutamente
indispensabile la riproduzione audiovisiva
o Consentita anche al di fuori delle situazioni di assoluta indisponibilità quando si tratta di
dichiarazioni rese da una persona particolarmente vulnerabile
o Obbligatoria, alternativa alla riproduzione solamente fonografica quando al di fuori dell’udienza
viene interrogata una persona detenuta → data la sua situazione, si vuole garantire l’assenza di
condizionamenti
F. LA NOTIFICAZIONE
I. CONSIDERAZIONI PRELIMINARI: nel corso del procedimento penale sorge più volte l’esigenza di fornire conoscenza
di atti a determinate persone, perché queste possano esercitare i propri diritti o adempiere ai propri doveri. La
notificazione è lo strumento previsto dalla legge per rendere noto al destinatario un atto (o una attività) del
procedimento; di regola essa è eseguita mediante la consegna, al destinatario, della copia dell’atto stesso. Questo
può essere un atto del procedimento (es. la richiesta di archiviazione), o l’avviso di una attività già compiuta o da
compiere (es. l’avviso che è depositato in segreteria il verbale di un atto di indagine). L’organo che esegue la
notificazione è, di regola, l’ufficiale giudiziario (ausiliario del giudice) o chi ne esercita le funzioni (art. 148).
Esistono anche forme equipollenti alla notificazione:
- Consegna di copie dell’atto all’interessato dalla cancelleria
- Lettura dei provvedimenti o degli avvisi dati verbalmente dal giudice agli interessati che sono presenti
CONOSCENZA EFFETTIVA E PRESUNTIVA: Il codice ha voluto contemperare 2 esigenze contrastanti
- Portare alla conoscenza effettiva del destinatario l’atto da notificare
- L’esigenza di accertare il reato e assicurare la celerità degli adempimenti formali, in modo da non ritardare il
corso del procedimento penale
Le formalità prescritte dalla legge sono finalizzate ad assicurare l’effettiva conoscibilità dell’atto da parte
dell’interessato, una volta che esse sono state adempiute scatta la presunzione legale di avvenuta conoscenza
Il codice in materia di protezione dei dati personali (d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196) ha voluto tutelare la riservatezza
della persona destinataria della notifica. Infatti, quando la notifica non può essere eseguita in mani proprie del
destinatario, l’atto è consegnato in busta sigillata, ad esempio, al portiere → non viene però prevista in caso di
notificazione al difensore o al domiciliatario
LA RELAZIONE DI NOTIFICAZIONE: la relazione di notificazione è il verbale di una attività compiuta; come tale, è
destinata a far prova di quanto il pubblico ufficiale ha compiuto e dei fatti da lui constatati. La notificazione produce
effetto per ciascun destinatario dal giorno della sua esecuzione (art. 168, c. 3); pertanto, da tale momento l’atto si
presume conosciuto dal destinatario
L’ufficiale giudiziario scrive, in calce all’originale e alla copia notificata, questa relazione che appunto indica:
- L’autorità o la parte privata richiedente
- Le ricerche effettuate
- Le generalità della persona alla quale è stata consegnata la copia
- I rapporti di questa con il destinatario
- Le funzioni o le mansioni da questa svolte
- Il luogo e la data della consegna della copia
- Sottoscrizione dell’ufficiale giudiziario
II. I SOGGETTI LEGITTIMATI A DISPORRE LE NOTIFICAZIONI
- DAL GIUDICE: anche se di norma sono effettuate dall’ufficiale giudiziario, nei procedimenti con detenuti ed
in quelli davanti al tribunale del riesame il giudice può disporre che, in caso di urgenza, le notificazioni siano
eseguite dalla polizia penitenziaria del luogo in cui i destinatari sono detenuti.
- DAL PM: le notificazioni di atti del pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari sono eseguite
dall’ufficiale giudiziario, ovvero dalla polizia giudiziaria nei soli casi di atti di indagine o provvedimenti che la
stessa è delegata a compiere o è tenuta ad eseguire. Gli esempi rispettivamente sono i seguenti: la notifica
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dell’invito a presentarsi (art. 375) per compiere l’interrogatorio delegato alla polizia giudiziaria; la notifica di
un decreto di sequestro che la polizia giudiziaria è delegata ad eseguire
- CHIESTE DALLE PARTI PRIVATE: le parti private possono effettuare le notificazioni di loro interesse secondo
le regole ordinarie oppure valersi di una modalità semplificata → invio di una copia dell’atto da parte del
difensore mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento
III. I DESTINATARI DELLE NOTIFICAZIONI
- AL PM: le notificazioni al pubblico ministero sono eseguite nel modo ordinario o anche direttamente dalle
parti mediante consegna di copia dell’atto alla segreteria.
A cura della cancelleria vengono anche notificati gli atti al giudice
Il pubblico ufficiale responsabile annota sull’originale l’avvenuta consegna con l’indicazione della data e
dell’ora a cui questa è avvenuta
- AL DIFENSORE: anche le notificazioni al difensore possono essere eseguite nel modo ordinario anche se
comunque è stata prevista una procedura semplificata che può essere disposta sia dal giudice che dal pm e si
richiede che comunque la notificazione avvenga con mezzi idonei. In ogni caso l’ufficio che invia l’atto deve
attestare in calce ad esso di avere trasmesso il testo originale.
- ALL’IMPUTATO DETENUTO: le notificazioni all’imputato detenuto sono eseguite nel luogo di detenzione
mediante consegna di copia alla persona (art. 156 c. 1). Se questa si rifiuta di ricevere l’atto, se ne fa
menzione nella relazione di notificazione e la copia rifiutata è consegnata al direttore dell’istituto o a chi ne
fa le veci → qualora questo non sia possibile per legittima assenza dell’interessato, il direttore lo informa
immediatamente con il mezzo di costruzione più celere
LA DICHIARAZIONE E L’ELEZIONE DI DOMICILIO DA PARTE DELL’IMPUTATO: per rendere più veloce la notificazione
all’imputato, il codice disciplina la dichiarazione o l’elezione di domicilio.
- DICHIARAZIONE: compiuta con l’intervento dell’imputato o dell’indagato, l’autorità procedente lo invita a
dichiarare o eleggere il proprio domicilio. Dichiarare il domicilio significa indicare quel luogo, ove l’imputato
abita o lavora, nel quale gli atti saranno a lui notificati;
- ELEZIONE: eleggere il domicilio (dal latino “eligere”, scegliere) comporta l’indicazione di un domiciliatario, e
cioè di una persona differente dall’imputato, che viene da lui scelta per ricevere copia dell’atto da notificare
→ una volta consegnata in questo modo, la copia si considera legalmente conosciuta dall’imputato
L’imputato viene avvertito a pena d nullità che se si rifiuta di dichiarare o eleggere un domicilio o se omette di
comunicare una successiva variazione dello stesso allora le notificazioni saranno effettuate con consegna al
difensore
Sia della elezione o dichiarazione che della omissione delle stesse ne deve essere fatta menzione nel verbale
PRIMA NOTIFICAZIONE ALL’IMPUTATO NON DETENUTO: nel caso in cui non sia stato possibile invitare l’imputato a
dichiarare o eleggere il domicilio, scatta una ulteriore normativa. Di regola la prima notificazione è eseguita
mediante consegna di copia alla persona (c.d. a mani proprie), e ciò può avvenire sia nel domicilio sia altrove; la
notifica può anche essere eseguita mediante consegna di copia dell’atto ad una persona che conviva anche
temporaneamente con l’imputato o, in mancanza, al portiere o a chi ne fa le veci. Se non è possibile consegnare la
copia alle predette persone, si procede a nuova ricerca e, in caso di esito negativo, la notificazione è effettuata
mediante deposito dell’atto nella casa comunale di abituale residenza o lavoro, con affissione dell’avviso di deposito
alla porta della casa di abitazione o del luogo di lavoro (art. 157 c. 8). L’avvenuto deposito è comunicato all’indagato
mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento.
Gli effetti della notificazione ricorrono dalla data della raccomandata
DECRETO DI IRREPERIBILITA’: se l’imputato non è reperibile, il giudice o il pubblico ministero devono disporre nuove
ricerche nel luogo di nascita, in quello di ultima residenza anagrafica o di dimora e negli altri luoghi indicati dall’art.
159 c. 1. Qualora le ricerche diano esito negativo, il giudice o il pubblico ministero emettono un decreto di
irreperibilità. Con tale provvedimento viene designato un difensore all’imputato che ne sia privo e viene ordinato
che le notificazioni siano eseguite mediante consegna di copia al difensore, che rappresenta l’irreperibile.
Si applica anche all’imputato latitante o evaso, senza che siano necessarie precedenti ricerche
SUCCESSIVE NOTIFICAZIONI ALL’IMPUTATO NON DETENUTO: le successive notificazioni che siano effettuate
all’imputato non detenuto sono eseguite in relazione all’esito della prima notificazione, quindi nel domicilio eletto,

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presso il difensore se l’imputato è dichiarato irreperibile, o comunque nel luogo dove è stata effettuata la prima
notificazione
Secondo la l. 60/2005, quando l’imputato ha nominato un difensore di fiducia, le notificazioni successive sono
eseguite tramite consegna al difensore, che può dichiarare subito all’autorità di non accettare la notificazione che
quindi verrà eseguita con le modalità ordinarie
Qualora però non dovesse rendere immediata comunicazione allora la notificazione è corretta
NOTIFICAZIONI DELL’IMPUTATO ALL’ESTERO: se è nota la residenza o dimora estera dell’indagato o dell’imputato, il
giudice o il pubblico ministero inviano una raccomandata con l’indicazione dell’autorità procedente, del titolo del
reato e della data e del luogo del fatto, invitando il soggetto a dichiarare o eleggere domicilio nel territorio dello
Stato entro il termine di trenta giorni.
NOTIFICAZIONI ALLA PERSONA OFFESA, ALLA PARTE CIVILE, AL RESPONSABILE CIVILE, AL CIVILMENTE OBBLIGATO
PER LA PENA PECUNIARIA ED ALTRI SOGGETTI: la notificazione alla persona offesa e ad altri soggetti, diversi dalle
parti private sono eseguite con le modalità della prima notificazione all’imputato non detenuto.
IV. NULLITA’: il codice prevede una serie di nullità speciali relative alle notificazioni: si tratta di tutte quelle ipotesi
nelle quali non sono state osservate determinate formalità prescritte dalla legge → si vuole ridurre lo scarto tra
conoscenza effettiva e reale
V. NOTIFICHE TELEMATICHE: per alcuni tipi di notifiche è stato previsto l’uso della PEC concesso però solamente ad
uffici giudiziali autorizzati e solamente in relazione a determinati tipi di atti
VI. NOTIFICHE A MEZZO POSTA: si rimanda alle norme speciali, se l’ufficio postale restituisce il piego per irreperibilità
del destinatario, l’ufficiale giudiziario provvede alla notificazione attraverso i modi ordinari
G. LA TRADUZIONE DEGLI ATTI: L’INTERPRETE
La materia è regolamentata dalla Cedu, che pone tre garanzie in favore dell’accusato che non comprende la lingua
del processo:
- Il diritto, di carattere generale, di essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui
comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico;
- Il diritto sempre di carattere generale e spettante ad ogni persona che non comprenda o non parli la lingua
impiegata in udienza, di farsi assistere gratuitamente da un interprete;
- Il diritto, spettante specificamente all’arrestato, di essere informato dei motivi dell’arresto.
Viene recepita nell’art. 111, III Cost.: l’accusato deve essere assistito da un interprete se non comprende o non parla
la lingua impiegata nel processo
FUNZIONE:
- TRADIZIONALE: l’autorità procedente nomina un interprete quando
o Occorre tradurre uno scritto in una lingua straniera o in un dialetto non facilmente intellegibile
o La persona che vuole o deve fare una dichiarazione non conosce la lingua italiana
- INNOVATIVA: regolamentazione diversa per imputato e offeso, in alcuni casi la nomina di
interprete/traduttore è obbligatoria mentre in altri solamente discrezionale
NEI CONFRONTI DELL’IMPUTATO: ha diritto di farsi assistere gratuitamente da un interprete per
- Comprende l’accusa a lui formulata e seguire lo svolgimento degli atti e delle udienze a cui partecipa
- Le comunicazioni con il difensore prima dell’interrogatorio e per formulare memorie e richieste
È obbligatorio tradurre, entro un termine congruo per consentire l’esercizio del diritto di difesa, per iscritto
all’imputato determinati atti:
- Informazione di garanzia e sul diritto di difesa
- Provvedimenti che dispongono udienza preliminare e citazione a giudizio
- Sentenze
Riguardo agli altri atti la traduzione viene rimessa alla discrezionalità del giudice e viene eventualmente disposta,
d’ufficio o su richiesta di parte, con atto motivato, impugnabile unitamente alla sentenza
NEI CONFRONTI DELL’OFFESO: è obbligatoria la nomina di un interprete quando
- Occorre procedere all’audizione della persona offesa
- L’offeso vuole partecipare all’udienza e abbia fatto richiesta di interprete

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- Bisogna tradure anche solo in parte atti che abbiano informazioni utili all’esercizio dei diritti dell’offeso →
può essere disposta sia in forma orale che anche di riassunto e i diritti dell’offeso non ne ricevono
pregiudizio
LA NOMINA DI INTERPRETE/TRADUTTORE: con il provvedimento di nomina l’autorità procedente dispone anche l
notificazione all’interprete del decreto di citazione → nei casi urgenti può anche essere citato oralmente
dall’ufficiale o dalla polizia giudiziaria
Con l’incarico, l’interprete viene assoggettato all’obbligo di verità e di segreto su tutti gli atti che si compiono per suo
mezzo o in sua presenza
INCOMPATIBILITA’:
- Non può svolgere il ruolo di interprete colui che è incompatibile come teste (art. 144 c. 1, lett. d) dal
momento che si vuole evitare il cumulo di funzioni in capo alla stessa persona
- L’interprete è incompatibile anche con il testimone, il perito, il consulente tecnico e, più in generale, con
tutte quelle persone che hanno la facoltà di astenersi da testimoniare, quali sono il prossimo congiunto
dell’imputato (art. 199) ed il titolare di un segreto professionale (art. 200).
Si può assimilare maggiormente ad un perito ed infatti è sottoposto allo stesso obbligo di verità
La prestazione del suo ufficio è obbligatoria e nel caso manchi ai suoi doveri ne può anche essere disposto
l’accompagnamento coattivo
SORDO/MUTO: solamente quando non sappiano né leggere né scrivere, la qualità di interprete può anche essere
eccezionalmente assunta da un prossimo congiunto della persona interessata
2. Le cause di invalidità degli atti
A. CONSIDERAZIONI GENERALI
I requisiti formali che devono avere i singoli atti del procedimento penale danno luogo al “modello legale” del
singolo atto, che risponde all’esigenza che l’atto possa svolgere la funzione che ad esso viene assegnata
nell’ordinamento. L’atto perfetto è quello che è conforme al modello descritto dalla norma processuale; esso è
valido e produce gli effetti giuridici previsti dalla legge, primo fra tutti quello di essere utilizzato dal giudice nella
decisione → il suo valore probatorio viene valutato liberamente dal giudice che può ritenerlo attendibile o meno
L’atto che non è conforme al modello legale può essere:
- INVALIDO: quando la singola inosservanza di legge è prevista come causa di
o Decadenza: comporta l’invalidità dell’atto che sia stato eventualmente compiuto dopo che è scaduto
un termine perentorio (art. 173)
o Inammissibilità: impedisce al giudice di esaminare nel merito una richiesta presentata da una parte
anche solo potenziale quando la richiesta stessa non ha i requisiti richiesti dalla legge
o Nullità: vizio che colpisce un atto che sia stato compiuto sena l’osservanza di determinate
disposizioni stabilite espressamente dalla legge come a pena di nullità
o Inutilizzabilità: è una invalidità che colpisce direttamente il valore probatorio di un atto: il giudice
non può basarsi su di esso per emettere una decisione
- MERAMENTE IRREGOLARE: L’atto è irregolare se la difformità dal modello legale non rientra in una delle
suddette cause di invalidità; l’inosservanza di legge nel compiere l’atto non è prevista a pena di invalidità.
Pertanto l’atto irregolare è valido, e il giudice potrà tenerne conto ai fini della decisione, anche se comunque
rimane libero di apprezzarne il valore probatorio
Può eventualmente essere rilevante sotto il profilo disciplinare, dal momento che al soggetto colpevole può
essere applicata una sanzione
B. PRINCIPIO DI TASSATIVITA’
Vige uno stretto principio di tassatività, nel senso che l’inosservanza della legge processuale è causa di invalidità
soltanto quando una norma espressamente vi ricollega una delle invalidità di cui sopra → qualora l’inosservanza non
rientra espressamente in una norma allora l’atto è semplicemente irregolare
Il principio di tassatività è dettato specificamente per la nullità e per la decadenza; tuttavia esso è desumibile
dall’intero sistema delle cause di invalidità → dal momento che gli effetti impediscono al giudice di ricavare dall’atto
risultati utili alla decisione, quando l’atto viziato non è rinnovabile viene compromesso l’accertamento di tutto il
fatto storico

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Vengono quindi fatte prevalere le esigenze di certezza nell’individuare le situazioni che diano luogo ad invalidità in
modo che si sappia con sicurezza se l’atto è valido o meno
C. INAMMISSIBILITA’
Questa causa di invalidità impedisce al giudice di esaminare nel merito una richiesta avanzata da una parte effettiva
o potenziale del procedimento, quando la richiesta non ha i requisiti stabiliti dalla legge a pena di inammissibilità. Il
requisito può riguardare il tempo entro il quale deve essere compiuto l’atto, il contenuto dell’atto, può toccare un
aspetto formale, o ancora può riguardare la legittimazione al compimento dell’atto.
REGIME GIURIDICO: l’inammissibilità è rilevata dal giudice su eccezione di parte o anche d’ufficio; quando la rileva, il
giudice dichiara l’inammissibilità della domanda (con ordinanza o con sentenza) e non decide sul merito della stessa.
D. LA DECADENZA; LA RESTITUZIONE NEL TERMINE
La decadenza denota la perdita del potere di porre in essere un atto a causa del mancato compimento dello stesso
entro un termine perentorio. L’atto eventualmente compiuto oltre il termine perentorio è giuridicamente invalido.
Lo svolgersi del procedimento penale richiede lo svolgimento di una serie di atti in un ordine preciso → gli strumenti
che impongono una determinata cadenza al procedimento sono denominati termini; essi indicano il momento in cui
un atto può o deve essere compiuto (art. 172)
TERMINI:
- PERENTORI: quelli che prescrivono il compimento di un atto entro e non oltre un determinato periodo di
tempo; se tale periodo è superato, il soggetto decade dal potere di compierlo validamente; essi non possono
essere prorogati, salvo che la legge disponga altrimenti (art. 173, c. 2)
I termini si considerano perentori solamente qualora la legge li disciplini come tali
- ORDINATORI: quelli che fissano il periodo di tempo entro il quale un determinato atto deve essere compiuto;
tuttavia, a differenza dei termini perentori, l’atto è validamente compiuto anche se realizzato dopo il
decorso del termine.
Qualora il superamento del termine non abbia una valida giustificazione, il soggetto che abbia compiuto
l’atto in ritardo può andare incontro a delle sanzioni disciplinari
- DILATORI: quelli con i quali si prescrive che un atto non può essere compiuto prima del loro decorso; la
prassi li definisce “termini liberi”. La finalità è quella di garantire che uno (o più) dei soggetti processuali
abbia il tempo necessario per prepararsi al compimento di un determinato atto
- ACCELERATORI: quando la legge prevede il limite temporale entro il quale un determinato atto deve essere
compiuto; la finalità è quella di ottenere che il procedimento si svolga in modo celere al fine di assicurarne la
ragionevole durata (art. 111, c. 2 Cost.).
Il singolo termine acceleratorio o dilatorio può essere perentorio solamente quando viene espressamente qualificato
come tale dalla legge
IL REGIME GIURIDICO: il codice di regola stabilisce che gli atti compiuti dopo il termine perentorio sono
INAMMISSIBILI → 2 sanzioni processuali quindi:
- SOGGETTIVA: estinzione del potere di compiere un atto, decadenza quindi
- OGGETTIVA: l’atto compiuto oltre il termine è inammissibile
Il termine è “perentorio” quando è stabilito a pena di decadenza. L’art. 173, c. 1 pone in materia un espresso
principio di tassatività: i termini si considerano stabiliti a pena di decadenza soltanto nei casi previsti dalla legge. Ove
la legge non preveda la decadenza, né l’inammissibilità, l’atto compiuto oltre il termine è valido. Il termine stesso, in
tal caso, deve ritenersi di tipo “ordinatorio”
RESTITUZIONE NEL TERMINE: la restituzione nel termine è un rimedio di carattere eccezionale, destinato a
riassegnare alle parti la possibilità di esercitare un potere che si era estinto per l’inutile decorso di un termine
processuale previsto a pena di decadenza. Il codice prevede due differenti istituti:
- GENERALE: quando la parte prova di non essere riuscita ad osservare il termine per caso fortuito o forza
maggiore → impossibilità oggettiva non imputabile alla parte, non deve avere le caratteristiche dell’errore
Sono legittimati a chiederla il pm, le parti private e il difensore → viene equiparato all’imputato anche
l’indagato e si ritiene legittimata anche la persona offesa
Viene concessa solamente quando chi la chiede, su cui quindi pesa l’onere della prova, dimostra di non aver
potuto adempiere per una delle cause stabilite

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- SPECIALE: nei confronti del decreto penale di condanna, dal momento che la parte può aver avuto
conoscenza solamente presuntiva e non effettiva dell’atto
LA DECISIONE: l’ordinanza con cui si concede deve essere motivata, nell’accogliere la richiesta il giudice se occorre
ordina anche la scarcerazione dell’imputato detenuto e adotta tutti i provvedimenti necessari per far cessare gli
effetti determinati dalla scadenza del termine
L’ordinanza che accoglie la richiesta può essere impugnata solamente insieme alla sentenza che viene emessa nel
relativo procedimento, mentre quella che la respinge anche autonomamente e contro di essa viene anche ammesso
il ricorso per cassazione
LA RESTITUZIONE NEL TERMINE PER PROPORRE OPPOSIZIONE AL DECRETO PENALE DI CONDANNA: decreto emesso
alla fine di un procedimento speciale quando il pm ritiene che possa essere comminata una pena pecuniaria
Presupposti:
- Oggettivo: il decreto penale deve avere il carattere della irrevocabilità, quindi il titolo esecutivo deve essersi
formato validamente
- Soggettivo: la richiesta deve essere presentata dall’imputato o dal suo difensore
LA RICHIESTA: la richiesta deve essere effettuata al giudice competente (quello per le indagini preliminari) entro 30
giorni da quello in cui l’imputato ha avuto conoscenza effettiva del provvedimento a pena di decadenza
Il rimedio deve essergli concesso a meno che:
- Abbia avuto tempestiva conoscenza del provvedimento
- Abbia rinunciato a proporre opposizione
Se viene accertata una delle due situazioni in giudice respinge la richiesta con una ordinanza riguardo alla quale si
può proporre poi ricorso in cassazione
Il richiedente la cui domanda sia stata accolta (in assenza delle due situazioni che altrimenti l’avrebbero impedito)
può proporre opposizione, esercitando quindi i suoi diritti → il decreto è sottoposto all’effetto sospensivo
dell’esecuzione e non è quindi più irrevocabile
E. LA NULLITA’
Questa causa d’invalidità colpisce un atto del procedimento che è stato compiuto senza l’osservanza di quelle
disposizioni che sono imposte dalla legge appunto a pena di “nullità”. Ex principio di tassatività non è possibile
applicare la nullità per analogia: se anche il caso appare “simile” ad una ipotesi sanzionata con la nullità, quest’ultima
non può regolare il caso non previsto; una volta accertata una nullità, non è possibile valutare se vi sia stato un
pregiudizio concreto per l’interesse protetto o se comunque l’atto nullo abbia raggiunto l’effetto.
I. LE MODALITA’ DI PREVISIONE: NULLITA’
- SPECIALI: per una determinata inosservanza, precisata nella species
- GENERALI: sono previste per ampie categorie di inosservanze, toccano soprattutto i soggetti principali del
processo in aspetti particolarmente rilevanti
II. IL REGIME GIURIDICO: 3 tipi
- ASSOLUTE: le inosservanze più gravi che sono previste dall’art. 179 e che riguardano i soggetti necessari del
procedimento penale. Le nullità assolute sono rilevabili anche d’ufficio in ogni stato e grado del
procedimento e sono insanabili se non dall’irrevocabilità della sentenza
o Condizioni di capacità del giudice, generica all’esercizio della funzione giurisdizionale → sono
comunque escluse le disposizioni sulla destinazione del giudice agli uffici giudiziari e alle sezioni, alla
formazione dei collegi e all’assegnazione dei processi a sezioni, collegi e giudici
o Numero di giudici per costituire il collegio stabilito dalle norme di ordinamento giudiziario
o Iniziativa del pm nell’esercizio dell’azione penale
o Omessa citazione dell’imputato o assenza di suo difensore nei casi in cui ne è obbligatoria la
presenza ex: udienze dibattimentali e preliminare
- INTERMEDIE: sono generali e vengono indicate ex art. 180 come “altre nullità”
Hanno un trattamento che è simile a quelle assolute dal momento che possono essere rilevate d’ufficio dal
giudice ma anche a quelle relative dal momento che sono sanabili
Hanno un termine per essere dedotte dalle parti ed essere rilevate dal giudice
o Inosservanza delle disposizioni sulla partecipazione al procedimento del pm

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o Inosservanza delle disposizioni che riguardano assistenza, intervento e rappresentanza dell’imputato
e delle altre parti private
o Inosservanza delle disposizioni sulla citazione in giudizio della persona offesa dal reato e del
querelante
o Quando il giudice decide senza la richiesta necessaria del pm
o Compimento di un atto senza previo avviso al difensore delle parti private quando viene imposto
dalla legge
- RELATIVE: fattispecie che costituiscono nullità speciali e non sono né assolute né intermedie
o Quando i prossimi congiunti non vengono avvertiti che possono non deporre come testimoni
Sono dichiarabili dal giudice solamente su eccezione della parte interessata in termini più brevi rispetto a
quelle intermedie → non sono quindi rilevabili d’ufficio
III. LIMITI DI DEDUCIBILITA’: si applicano sia alle nullità intermedie che a quelle relative, danno luogo ad un difetto di
legittimazione della parte perché questa trova un limite ad eccepire la nullità
La nullità non può più essere fatta valere da:
- Colui che vi ha dato o concorso a darvi causa
- Colui che non ha interesse all’osservanza della disposizione violata
- Quando la parte assiste ad un atto, deve eccepire la nullità prima che questo sia compiuto o comunque
immediatamente dopo → se non assiste valgono gli ordinari limiti che sono stabiliti a pena di decadenza
IV. LE SANATORIE: è quel fatto giuridico ulteriore e successivo rispetto all’atto viziato, che affiancato a quest’ultimo
lo rende equivalente all’atto valido; a causa della sanatoria l’atto viziato produce gli stessi effetti dell’atto conforme
al modello legale. La sanatoria, se si verifica, impedisce a qualsiasi parte di eccepire (ed al giudice di rilevare) la
nullità dell’atto.
- GENERALI: si applicano alle nullità di tipo intermedio o relativo, e non si applicano alle nullità assolute.
o Quando la parte si è avvalsa della facoltà, al cui esercizio l’atto omesso o nullo è preordinato
o Quando la parte interessata ha rinunciato espressamente ad eccepirla o comunque ha accettato
anche tacitamente gli effetti di questo
o Quando la parte si avvale della facoltà al cui esercizio l’atto omesso o nullo è preordinato
- SPECIALI:
o Nel caso di una citazione, quando la parte interessata è comparsa o ha rinunciato a comparire →
quando però compare solamente per far valere la nullità ha diritto ad un termine a difesa non
inferiore a 5 giorni
o Nel caso di una citazione a comparire in dibattimento, il termine per dedurla non può essere
inferiore a 20 giorni
V. LA DICHIARAZIONE DI NULLITA’: il giudice la può dichiarare quando
- Non ci sono limiti di deducibilità
- Non si sono verificate sanatorie applicabili a quel tipo di nullità
2 problemi però a questo punto:
- ESTENSIONE della nullità: rende invalidi anche gli atti consecutivi che dipendono da quello dichiarato nullo
→ tocca quindi solamente gli atti successivi e dipendenti, dal momento che si richiede che l’atto nullo sia
una condizione necessaria del valido compimento di quello successivo
- RINNOVAZIONE dell’atto nullo: il giudice la dispone qualora sia necessaria e possibile, ponendo le spese a
carico di chi ha dato causa alla nullità per dolo o colpa grave
Non è possibile quando l’atto è all’origine non ripetibile o lo è diventato successivamente
F. L’INUTILIZZABILITA’
Il termine “inutilizzabilità” indica:
- Il “vizio” da cui può essere affetto un atto o un documento
- Il “regime giuridico” al quale l’atto viziato è sottoposto, e cioè il non poter essere messo a fondamento di
una decisione del giudice oppure di un atto del pubblico ministero o della polizia giudiziaria.
L’inutilizzabilità è un tipo di invalidità che ha la caratteristica di colpire il “valore probatorio” dell’atto → è colpito nel
suo aspetto sostanziale, cioè di essere posto a base di una decisione

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I. I TIPI DI INUTILIZZABILITA’:
- ASSOLUTA: quando il giudice non può basarsi su di esso per emettere un qualsiasi provvedimento;
- RELATIVA: quando la legge indica le persone nei confronti delle quali non può essere utilizzato un
determinato atto o la categoria di provvedimenti che non possono basarsi su tale atto.
- SPECIALE: ogniqualvolta una norma del codice commini espressamente tale sanzione per il mancato rispetto
delle condizioni previste per l’acquisizione di una determinata prova
- GENERALE: si riferisce a categorie di inosservanze delineate nel genere
- II. PATOLOGICA: consegue ad alcuni tra i vizi più gravi del procedimento probatorio (ammissione, assunzione
e valutazione della prova)
Le prove acquisite in violazione dei divieti stabilii dalla legge non possono essere utilizzate → interpretazione
restrittiva in base al principio di tassatività dell’invalidità
Perché ricorra, il divieto deve essere previsto da una norma processuale, quindi la violazione di un divieto
probatorio → se la violazione avesse riguardato norme sostanziali le prove sarebbero state illecitamente
acquisite, mentre in questo caso ex art. 191 c. p. p. sono illegittimamente acquisite
Ne consegue che quindi le prove raccolte in violazione della norma di diritto sostanziale possono comunque
essere usate
- IV. FISIOLOGICA: è una conseguenza del principio della separazione delle fasi del procedimento ed è posta a
tutela del principio del contraddittorio: essa tende ad evitare che siano utilizzate per la decisione prove
raccolte nel corso delle indagini preliminari. In tale fase, infatti, di regola non viene garantito il principio del
contraddittorio nella formazione della prova, salvo l’ipotesi dell’incidente probatorio.
L’atto è stato compiuto in modo formalmente regolare quindi ma durante le indagini senza contraddittorio
Il giudice ai fini della deliberazione può utilizzare solamente le prove legittimamente acquisite in tale fase,
quindi:
o Inosservanza dei divieti di lettura degli atti compiuti in segreto prima del dibattimento li rende
inutilizzabili ai fini della decisione → la prova è diversa da quella legittimamente acquisita nel
dibattimento e quindi inutilizzabile
Diventa quindi una sorta di griglia selettiva per gli elementi di prova che possono essere posti a fondamento
della decisione dibattimentale
Principio quindi che va a munire di una sanzione il mancato rispetto del principio del contraddittorio
DIVIETO PROBATORIO: in base all’art. 191 l’inutilizzabilità è “la conseguenza che deriva dall’aver acquisito una prova
violando un divieto probatorio”. Il vizio consiste nel fatto che il giudice ha esercitato nell’acquisizione di una prova
un “potere” che la legge processuale vietava
III. IL REGIME GIURIDICO DELL’INUTILIZZABILITA’: l’inutilizzabilità colpisce il suo valore probatorio. Il giudice d’ufficio,
o su richiesta di parte, dichiara che l’atto è inutilizzabile.
L’art. 191, c. 2, pone la regola secondo cui l’inutilizzabilità deve essere rilevata anche d’ufficio dal giudice in ogni
stato e grado del procedimento, e cioè dalle indagini preliminari alle impugnazioni.
A differenza della nullità, essa non può essere sanata e non è neanche possibile procedere alla rinnovazione
dell’atto: viene impedito quindi che una prova entri nel processo
Secondo il principio di tassatività, è affetta da inutilizzabilità quella norma che ha violato uno specifico divieto
probatorio
G. L’ATTO INESISTENTE; L’ATTO ABNORME
ATTO INESISTENTE: figura che è stata elaborata dalla dottrina e dalla giurisprudenza dal momento che l’applicazione
rigorosa del principio di tassatività in materia di invalidità avrebbe potuto lasciare vuoti di tutela → i vizi che
affliggono gli atti sono talmente gravi da non rientrare neanche nelle nullità insanabili, non sono neanche state
previste dalla legge proprio per la loro eccezionalità
Non si poteva però permettere che il giudicato si consolidasse con una deformità così grave
- Carenza di potere giurisdizionale in colui che ha pronunciato la sentenza ex: sentenza penale emessa dal
giudice della pubblica amministrazione
- Sentenza pronunciata contro un imputato totalmente incapace perché coperto da immunità o contro
persona inesistente

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L’atto non esiste in senso giuridico, l giudicato che eventualmente si fosse formato deve essere considerato
solamente apparente e non impedisce che l’interessato chieda comunque di rilevarlo → deroga al principio di
tassatività dell’invalidità
Può quindi essere chiesta dal giudice anche dopo che la sentenza stessa è diventata apparentemente irrevocabile
Fa eccezione quindi sia al principio di tassatività dell’invalidità che anche dela regola del giudicato
ATTO ABNORME: può essere sottoposto a ricorso per cassazione prima della irrevocabilità della sentenza → il
principio di tassatività dei mezzi di impugnazione avrebbe precluso la possibilità di impugnare quei provvedimenti
affetti da anomalie così gravi da renderli eccentrici rispetto al sistema del codice
La giurisprudenza ha inventato questa categoria definendola come un vizio non tipizzato che giustifica un ricorso in
cassazione immediato
- STRUTTURALE: per la singolarità e stranezza del contenuto, è avulso dall’intero ordinamento processuale
- FUNZIONALE: anche se è espressione in astratto di un potere legittimo, si esplica al di fuori dei casi consentiti
e dalle ipotesi previste determinando la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo
L’impugnabilità dipende dalla sua conoscenza EFFETTIVA ma il termine nonostante sia contato a questa comunque
rimane quello ordinario
Fa eccezione solamente al principio di tassatività delle invalidità ma non alla regola del giudicato dal momento che
per farla valere si devono rispettare i termini per il ricorso in cassazione con appunto decorrenza dalla conoscenza
effettiva dell’atto

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CAPITOLO 3 (Principi generali sulla prova)
1. Sistema processuale e norme sulla prova
Il codice dell’88 ha scelto il sistema ACCUSATORIO: ne derivano alcune conseguenze in merito alla prova, alla sua
ricerca, ammissione, assunzione e valutazione → questi poteri devono essere divisi tra giudice, accusa e difesa in
modo che nessuno possa farne un abuso ed è quindi indispensabile che il codice disciplini la materia
È necessario che il potere di un soggetto bilanci quello dell’altro, che vi sia quindi un giudice imparziale che dirima il
contrasto tra gli antagonisti del processo → deve rimanere in una situazione di imparzialità e neutralità psichica
Il giudice ha il potere di decidere, le parti di ricercare le prove, chiederne l’ammissione e contribuire alla formazione
delle stesse
2. Il ragionamento del giudice: la sentenza
Le prove sono destinate a rendere possibile la decisione sulla reità dell’imputato
Il giudice:
- Accerta se l’imputato ha commesso il fatto che gli è stato addebitato nell’imputazione;
- Interpreta la norma incriminatrice al fine di ricavarne quale è il fatto tipico punibile;
- Valuta se il fatto storico, che ha accertato, è “conforme” al fatto tipico previsto dalla legge
La logica che viene quindi applicata dal giudice parte dal principio secondo cui i fatti possono essere valutati in base a
norme →
- Impone un ordine logico alla discussione delle singole questioni, infatti innanzitutto vengono trattate quelle
che riguardano la ricostruzione del fatto storico, quindi quelle che attengono all’interpretazione della legge
- Ragione di economia alla base dal momento che una questione è presupposto per affrontare la successiva
- Frena l’intuizionismo e gli aspetti irrazionali che si possono manifestare nel momento di decidere
Con la motivazione, le parti possono poi verificare se l’iter sia stato rispettato dal momento che il giudice deve dare
conto dell’applicazione di questi criteri
ACCERTAMENTO DEL FATTO STORICO: all’inizio del processo il “fatto storico commesso dall’imputato” non è certo;
l’accusa ne afferma l’esistenza; la difesa in tutto o in parte la nega. Il conflitto tra accusa e difesa non può essere
risolto in base ad un atto di fede, bensì deve essere verificato mediante un accertamento basato su principi razionali.
Il giudice non può limitarsi ad affermare che un testimone è attendibile soltanto perché gli crede, ma deve spiegare i
motivi sui quali fonda la sua convinzione. Perché l’accertamento sia “razionale”, deve avere le seguenti
caratteristiche: deve essere basato su prove, deve essere oggettivo, deve essere basato sui principi della logica,
dell’esperienza e della scienza.
- “Provare” vuol dire indurre nel giudice il convincimento che il fatto storico sia avvenuto in un determinato
modo. Tale fatto deve essere “rappresentato” al giudice mediante altri fatti. La prova è, appunto, quel
procedimento logico in base al quale da un fatto noto si deducono l’esistenza del fatto storico da provare e
le modalità con le quali si è verificato.
- La seconda caratteristica è conseguenza della prima. L’accertamento, perché sia “oggettivo”, deve fondarsi
su fatti realmente avvenuti che trovino fondamento nelle prove
- L’accertamento deve essere “logico”, e cioè basato sui principi razionali che regolano la conoscenza.
L’assunzione delle prove deve permettere al giudice di valutare la credibilità e l’attendibilità di colui che
rende dichiarazioni. Inoltre, il risultato di una prova deve essere messo a confronto con i risultati di altre
prove: se vi è una contraddizione, questa deve essere risolta.
Il giudice deve riportare nella motivazione il percorso logico che ha seguito nella ricostruzione del fatto
storico in modo che sia possibile controllarne l’operato
L’accertamento, effettuato dal giudice, può dar luogo a due soluzioni alternative:
- Un giudizio sull’esistenza di un fatto storico così come esso è stato descritto nell’imputazione
- Un giudizio che esclude che il fatto storico si sia verificato nel modo ipotizzato dall’ accusa.
Si tratta comunque di un giudizio su di un fatto
L’INDIVIDUAZIONE DELLA NORMA PENALE INCRIMINATRICE: si tratta di un accertamento di tipo “giuridico” e non di
fatto. Il giudice esamina la legge penale e ricava da essa il fatto tipico previsto dalla norma incriminatrice → ha
comunque come parametro di riferimento il fatto storico indicato nell’imputazione e ricostruito mediante le prove
Il ragionamento svolto dal giudice è di tipo “giuridico” per due motivi:
- Perché ha per oggetto le disposizioni di legge;
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- Perché usa il metodo dell’interpretazione per chiarire il significato esatto della legge e per ricostruire il fatto
tipico previsto dalla norma incriminatrice.
IL GIUDIZIO DI CONFORMITA’: formalmente, la decisione è una sentenza che è composta da
- Motivazione:
o Motivi IN FATTO: il giudice, sulla base delle prove che sono state acquisite nel corso del processo,
ricostruisce il fatto storico commesso dall’imputato
o Motivi IN DIRITTO: il giudice interpreta la legge e individua il fatto tipico previsto dalla norma penale
incriminatrice
o Giudizio di conformità: il giudice valuta se il fatto storico rientra nel fatto tipico
- Dispositivo: il giudice trae le conseguenze dal giudizio di conformità,
o Il fatto storico commesso dall’imputato è conforme al fatto tipico previsto dalla norma
incriminatrice, il giudice condanna
o Il fatto storico commesso dall’imputato NON è conforme al fatto tipico previsto dalla norma
incriminatrice, il giudice assolve
Il dispositivo è quindi quella parte della sentenza nella quale il giudice emette un ordine che può quindi
essere di condanna o assoluzione
Il giudice applica quindi il diritto al caso concreto
3. Prova e indizio
I. I SIGNIFICATI DEL TERMINE PROVA: 4 diversi significati
- FONTE DI PROVA: sono fonti di prova le persone, le cose ed i luoghi che forniscono un elemento di prova (es.
art. 65, c. 1). Il reato, come qualsiasi fatto umano, lascia tracce sia nella memoria delle persone che lo hanno
percepito, sia nelle cose presenti nei luoghi nel quale si è verificato.
Persone/cose/luoghi sono le fonti dalle quali possono essere tratte informazioni utili per ricostruire un fatto
del passato
- MEZZO DI PROVA: è lo strumento col quale si acquisisce al processo un elemento che serve per la decisione;
ad esempio, mezzo di prova è una testimonianza (artt. 194-207).
- ELEMENTO DI PROVA: è l’informazione (intesa come dato grezzo) che si ricava dalla fonte di prova, quando
ancora non è stata valutata dal giudice (art. 65, c. 1)
- RISULTATO PROBATORIO: il giudice valuta la credibilità della fonte e l’attendibilità dell’elemento ottenuto
È l’elemento di prova valutato in base ai criteri della credibilità e della attendibilità.
Attraverso i risultati delle prove acquisite nel processo, il giudice ricostituisce il fatto storico di reato (c.d.
conclusione probatoria; es. art. 530)
Un fatto si può ritenere accertato quando l’ipotesi formulata corrisponde alla ricostruzione del fatto operata
mediante prove
II. IL RAGIONAMENTO INFERENZIALE: il fatto storico di reato è avvenuto nel passato, e può essere conosciuto
soltanto attraverso le tracce che ha lasciato nel mondo del reale o nella memoria degli uomini; da tali tracce,
attraverso le prove, il giudice ricava l’esistenza del fatto del passato → gli strumenti di cui egli si serve consistono
nelle prove
Nel suo insieme la prova può essere definita come un ragionamento che da un fatto noto (es. dichiarazione del
testimone) ricava l’esistenza di un fatto che è avvenuto in passato e delle cui modalità di svolgimento occorre
convincere il giudice (da qui la denominazione “inferenziale” per il ragionamento probatorio, poiché da un fatto di
oggi ricava l’esistenza di un fatto passato). Nel processo penale il fatto da provare è precisato nell’art. 187, c.1
OGGETTO DI PROVA: in primo luogo, il fatto descritto nell’imputazione, e cioè il fatto storico addebitato all’imputato.
Sono fatti da provare anche quelli che permettono di quantificare la sanzione penale e quelli dai quali dipende
l’applicazione di norme processuali (art. 187, c. 2); si tratta, ad esempio, dei fatti che servono per stabilire la
credibilità di una persona che rende dichiarazioni (art. 194, c. 2) o che servono a provare, ad esempio, se un teste è
stato minacciato (art. 500, cc. 4 e 5)
In caso di costituzione di parte civile, sono oggetto di prova i fatti inerenti alla responsabilità civile derivante da reato
III. LA PROVA RAPPRESENTATIVA: Si distingue tra prova rappresentativa e di indizio.
Con “prova rappresentativa” si fa riferimento a quel ragionamento che dal fatto noto ricava, per rappresentazione,
l’esistenza del fatto da provare. Il giudice deve valutare l’affidabilità della fonte e l’attendibilità della
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rappresentazione prima di decidere se e quale “risultato probatorio” se ne possa ricavare. È una valutazione
razionale di credibilità e di attendibilità basata su regole logiche, scientifiche e di esperienza. Detta valutazione è
operata di regola attraverso lo strumento dell’esame incrociato (domande, contestazioni).
- Si tratta di accertare quanto il dichiarante è sincero; quanto è stato attento allo svolgimento del fatto;
quanto è in grado di comprendere il significato degli elementi che riferisce; se ha precedenti penali →
giudizio di credibilità della fonte.
- Si tratta di valutare quanto la rappresentazione effettuata dalla fonte è idonea a descrivere il fatto avvenuto
Frutto delle due operazioni è il risultato probatorio il giudice valuta quanto della rappresentazione fornita sia
accettabile razionalmente e di ciò deve dare atto nella motivazione precisando i resultati acquisiti e i criteri adottati
Tra il fatto noto (la rappresentazione) e il fatto ignoto (da provare) vi è di mezzo la valutazione di credibilità
della fonte e di attendibilità della rappresentazione. Una volta ritenuta credibile la fonte ed attendibile la narrazione,
il giudice ottiene il risultato probatorio: è ragionevole ritenere che il racconto del testimone corrisponda allo
svolgimento del fatto al quale il testimone stesso ha assistito
DECISIONE: al termine del processo, valutati tutti i risultati derivanti dagli elementi di prova acquisiti, il giudice nella
motivazione ricostruisce il fatto storico indicando perché ritiene attendibili le prove poste a base della decisione e
non attendibili di conseguenza quelle contrarie
IV. LA PROVA INDIZIARIA: con il termine “indizio” (definito anche prova critica) si fa riferimento a quel ragionamento
che da un fatto provato (cd. circostanza indiziante) ricava l’esistenza di un ulteriore fatto da provare (ad esempio, il
fatto addebitato all’imputato) → il collegamento è costituito da una inferenza basata su di una massima di
esperienza o una legge scientifica
L’oggetto da provare può essere sia il fatto storico che è addebitato all’imputato (e che è denominato nella prassi
fatto principale); sia un’altra circostanza indiziante, che viene denominata fatto secondario e dalla quale, con una
ulteriore inferenza, si può ricavare l’esistenza del fatto principale.
Differisce quindi dalla prova rappresentativa perché con questa da un fatto noto ex: dichiarazione di un testimone si
ricava per rappresentazione il fatto da provare; mentre in caso di prova indiziaria mediante una massima di
esperienza da un fatto provato se ne deduce uno da provare
V. LA MASSIMA DI ESPERIENZA: la massima di esperienza è una regola di comportamento che esprime quello che
avviene nella maggior parte dei casi (id quod plerumque accidit); più precisamente, essa è una regola che è ricavabile
da casi simili al fatto noto (circostanza indiziante). L’esperienza può permettere di formulare un giudizio di relazione
tra fatti; vi è una relazione quando si ricava che una categoria di fatti si accompagna ad un’altra determinata
categoria di fatti → “in casi simili vi è un identico comportamento”, la massima di esperienza che comunque è
solamente una regola e non appartiene al mondo dei fatti, dà luogo ad un giudizio di probabilità e non di certezza.
Tuttavia, non esiste altra possibilità di accertamento, quando non sia disponibile una valida prova rappresentativa.
Il giurista ha ben chiari gli aspetti di opinabilità del ragionamento indiziario:
- Bisogna stabilire, tra più fatti storici umani non ripetibili, quali sono gli elementi simili e se prevalgono su
quelli dissimili
- Anche se l’atteggiamento umano è condizionato dagli istinti e dalle passioni, non è detto che l’agre umano
rispecchi comunque le regole formulate → le massime di esperienza indicano solamente che vi è una
possibilità che una persona, in una situazione simile, si comporti in modo identico ma non è detto che se è
avvenuto nella maggior parte dei casi si ripeterà
IL METODO DI ELABORAZIONE DELLA MASSIMA DI ESPERIENZA: il giudice applica un ragionamento di tipo induttivo
quando esamina casi simili alla circostanza indiziante e formula una regola di esperienza; e cioè, da casi particolari
ricava l’esistenza di una regola generale.
Successivamente il giudice svolge un ragionamento deduttivo, e cioè applica alla circostanza indiziante la regola
generale che ha ricavato in precedenza → il punto cruciale del ragionamento probatorio è quindi la scelta della
massima di esperienza.
Il giudice deve formulare le regole in base alla “migliore esperienza” e non in base a scelte personali arbitrarie o
all’opinione dell’uomo medio. Inoltre, il giudice deve scegliere in modo corretto quale, fra più massime di
esperienza, è applicabile al caso concreto, tenuto conto delle particolarità di quest’ultimo → deve applicare quella
regola che meglio si attaglia al caso di specie e non automaticamente quella che appare la più probabile in astratto.
La bontà del ragionamento del giudice emerge dalla motivazione della sentenza nella quale, come precisa l’art. 192
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c. 1, si deve dare conto dei risultati acquisiti e dei criteri adottati → massime di esperienza utilizzate dal giudice nel
ragionamento inferenziale che muove dalle risultanze processuali
VI. LA LEGGE SCIENTIFICA: in materie che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche, il
giudice deve affidarsi a persone che hanno conoscenze specialistiche in quella determinata disciplina (art. 220).
Costoro potranno valutare quale legge della natura è applicabile ad un determinato fatto, al fine di individuarne le
cause. Da un lato, la legge scientifica dà maggiore certezza, poiché è possibile conoscere esattamente in quanti ed in
quali casi risulta attendibile. Da un altro lato, restano margini di opinabilità, poiché si tratta di:
- Scegliere la legge scientifica che deve essere applicata al caso di specie;
- Valutare in quale modo deve essere applicata;
- Individuare i fatti ai quali applicarla.
Si tratta, cioè, di interpretare correttamente un fenomeno e di considerare quali sono le condizioni simili nelle quali
si è verificato, in modo da valutare quale è la probabilità che un determinato fatto lo abbia causato.
CARATTERISTICHE: per leggi scientifiche si intendono quelle leggi che esprimono una relazione certa o
statisticamente significativa tra due fatti della natura, e che hanno le caratteristiche della generalità, della
sperimentabilità e della controllabilità.
- Sperimentabili perché il fenomeno scientifico deve essere riconducibile ad esperimenti misurabili
quantitativamente: gli esperimenti sono ripetibili dagli scienziati mediante procedure che verificano la
misura dei fenomeni e la validità della legge.
- Generali in quanto non ammettono eccezioni o, comunque, il margine di errore è esattamente conosciuto.
Se si verificano eccezioni alla legge scientifica, questa viene modificata o abbandonata.
- Controllabili perché la loro formulazione è sottoposta alla critica della comunità degli esperti.
CARATTERISTICHE DELLE MASSIME DI ESPERIENZA: le regole di comune esperienza non sono sperimentabili in
quanto il reato è un fatto umano che per sua natura non è ripetibile, né di regola è misurabile quantitativamente;
non sono controllabili perché non ci sono tecnici del diritto in grado di seguire, con procedure comunemente
accettate, il nascere di una regola di esperienza ed il suo livello di generalità; non sono generali perché le regole del
comportamento umano ammettono eccezioni; né sono autonome rispetto ai casi dai quali sono tratte perché da
questi sono ricavate.
Nella loro formulazione quindi il giudice deve essere cauto
VII. LA REGOLA GIURIDICIA DI VALUTAZIONE DEGLI INDIZI: l’indizio è idoneo ad accertare l’esistenza di un fatto
storico di reato soltanto quando sono presenti altre prove che escludono una diversa ricostruzione dell’accaduto →
l’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti: regola
giuridica di valutazione, da cui si ricava che un solo indizio non è mai sufficiente
- GRAVITA’: attiene al grado di convincimento, è “grave” l’indizio che è resistente alle obiezioni e che,
pertanto, ha una elevata persuasività → la massima di esperienza quindi che viene formulata deve avere una
elevata persuasività
- PRECISIONE: quando è stata ampiamente provata, altrimenti si rischia di porre in pericolo il caso con delle
fondamenta poco solide
- CONCORDANZA: quando convergono tutti verso la medesima conclusione. Non debbono esservi elementi
contrastanti; se questi residuano, occorre poter escludere ogni altra ricostruzione prospettabile
Il ragionamento indiziario dimostra come probabilmente il fatto da provare sia avvenuto → massima cautela, dal
momento che bisogna escludere tutte le alternative ragionevoli spiegando nella motivazione della sentenza perché
appaiono assolutamente improbabili, in modo da ritenere il fatto provato OLTRE OGNI RAGIONEVOLE DUBBIO
Se viene accertato il probabile movente della condotta, costituisce da cemento per il quadro indiziario
Gli indizi devono essere gravi, precisi e concordanti solamente quando tendono a dimostrare l’esistenza di un fatto
ALIBI: se l’oggetto della prova è un fatto incompatibile con la ricostruzione del fatto storico, operata
nell’imputazione, allora è sufficiente anche un solo indizio. L’alibi è quel ragionamento attraverso il quale si dimostra
che l’imputato non poteva essere a quell’ora sul luogo del delitto perché nel medesimo momento era in altro luogo
ben distante → il fatto provato è che l’imputato nell’ora in cui era stato commesso il delitto era in un luogo diverso
Si applica la massima di esperienza secondo la quale la persona non può trovarsi contemporaneamente in due luoghi
diversi quindi l’imputato non può aver commesso il delitto con le modalità temporali affermate dall’accusa (basta
quindi anche un solo indizio a dimostrare che il reato non si è svolto con le modalità indicate dal pm)
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L’elemento su cui si basa l’alibi comunque deve passare il vaglio di attendibilità da parte del giudice
4. Il procedimento probatorio ed il diritto alla prova
IL PRINCIPIO DI LEGALITA’ PROCESSUALE IN MATERIA PROBATORIA: il procedimento probatorio è regolamentato dal
codice nei fondamentali momenti della ricerca, dell’ammissione, dell’assunzione e della valutazione della prova. In
un sistema di tipo accusatorio (quale è quello italiano) spetta alle parti il potere di ricercare le fonti e di chiedere al
giudice l’ammissione del relativo mezzo di prova. I poteri in materia di prova risentono del principio della
separazione delle funzioni processuali. Alle parti spetta unicamente il potere di ricerca e di domanda → la prova non
è di proprietà delle parti
Al giudice spetta il potere di decidere l’ammissione e di emettere una valutazione sulle prove. I poteri sono
regolamentati dalla legge perché le parti contrapposte non ne abusino; il controllo spetta al giudice imparziale (ma
anche i suoi poteri sono regolati dalla legge al fine di evitare abusi anche da parte di costui); quindi esiste un vero e
proprio principio di “legalità processuale in materia probatoria”
DIRITTO ALLA PROVA: operazione di sintesi, comprende il potere che spetta a ciascuna delle parti di
- Ricercare le fonti di prova
- Chiedere l’ammissione del relativo mezzo
- Partecipare alla sua assunzione
- Ottenere una valutazione del risultato al momento delle conclusioni
A. LA RICERCA DELLA PROVA
La ricerca delle fonti di prova spetta esclusivamente alle parti: in primo luogo al pubblico ministero (art. 326 c.p.p.),
sul quale incombe l’onere della prova, e cioè l’onere di convincere il giudice della reità dell’imputato;
successivamente spetta all’imputato l’onere di ricercare sia quelle prove che possano convincere il giudice della non
credibilità della fonte o della inattendibilità dell’elemento di prova a carico, sia quelle tendenti a dimostrare che i
fatti si sono svolti diversamente (art. 327-bis c.p.p.). Il nostro sistema (prevalentemente accusatorio) deve
permettere alle parti di ricercare le prove. Il diritto di indagare è concesso alle parti in tutto il corso del
procedimento e costituisce un aspetto fondamentale per la realizzazione del contraddittorio (artt. 24, cc. 2 e 111, cc.
2 e 4 Cost.).
B. L’AMMISSIONE DELLA PROVA
L’ammissione del mezzo di prova deve essere chiesta al giudice dalle parti (art. 190 c.p.p.); esse hanno l’onere di
introdurre il singolo mezzo di prova e lo adempiono chiedendo (ad esempio) l’esame di un testimone o l’acquisizione
di un documento. Il giudice ammette la prova in base a quattro criteri (art. 190, c. 1 c.p.p.): la prova deve essere
- Pertinente, deve dimostrare l’esistenza del fatto storico enunciato nell’imputazione
- Non deve essere vietata dalla legge
- Non deve essere superflua, sovrabbondante, non deve quindi tendere ad acquisire il medesimo risultato
conoscitivo che si aspetta da una pluralità di mezzi di prova → la sua assunzione si sarebbe rivelata
inutilmente defatigante
- Deve essere rilevante, e cioè utile per l’accertamento; è sufficiente il dubbio, e cioè la non manifesta
irrilevanza o superfluità (art. 190, c. 1 c.p.p.).
È sufficiente anche il dubbio, cioè la non manifesta irrilevanza o superfluità
Alle parti è sufficiente dimostrare la probabile rilevanza; nel dubbio, la richiesta deve essere accolta.
PROVVEDIMENTO DI AMMISSIONE: il giudice deve provvedere sulla richiesta di ammissione «senza ritardo con
ordinanza» (art. 190, c. 1 c.p.p.); egli deve motivare l’eventuale rigetto della richiesta e soprattutto deve provvedere
subito → le parti hanno il diritto di affrontare l’istruzione dibattimentale avendo ben chiaro il quadro probatorio di
cui possono disporre
IL DIRITTO ALLA PROVA CONTRARIA: il codice prevede espressamente il “diritto alla prova contraria”;
quando siano stati ammessi i mezzi di prova richiesti dall’accusa, l’imputato ha diritto all’ammissione delle «prove
indicate a discarico sui fatti costituenti oggetto delle prove a carico» (art. 495, c. 2 c.p.p.). Il medesimo diritto spetta
al pubblico ministero «in ordine alle prove a carico dell’imputato sui fatti costituenti oggetto delle prove a discarico».
La parte avversa ha diritto all’ammissione della prova che ha per oggetto il medesimo fatto ed è finalizzata a
dimostrare che non è avvenuto o che si è verificato con una differente modalità.

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LA GARANZIA COSTITUZIONALE: L’art. 111, c. 3 Cost. proclama il diritto per l’imputato di «ottenere la convocazione e
l’interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell’accusa e l’acquisizione di ogni altro mezzo di prova
a suo favore» (ma anche le prove richieste dall’imputato devono superare il vaglio giudiziale di ammissibilità).
LIMITI AL DIRITTO ALL’AMMISSIONE DELLA PROVA: il diritto all’ammissione della prova è stato limitato per impedire
l’usura delle fonti di prova, evitando cioè che il dichiarante, che debba presentarsi a più udienze, vada incontro
inutilmente a rischi di intimidazione o sicurezza per la persona
I POTERI DI INIZIATIVA PROBATORIA DEL GIUDICE: nella fase dell’ammissione della prova il giudice, di regola, ha
soltanto il potere di decidere se ammettere o meno il mezzo di prova chiesto da una delle parti; egli di regola non
può introdurre un mezzo di prova senza una richiesta di parte, e cioè d’ufficio. Ai sensi dell’art. 190, c. 2, è la legge a
stabilire i casi eccezionali in cui le prove sono ammesse d’ufficio; ad esempio, in dibattimento, in via eccezionale, il
giudice può ammettere una prova quando questa sia assolutamente necessaria.
Il giudice ha un potere di supplenza della inerzia delle parti, giustificato dal fatto che l’esito dell’accertamento di un
processo penale incide sulla libertà personale che è un bene indisponibile della persona umana e che viene
dichiarato inviolabile dalla costituzione → il potere di iniziativa del giudice probatoria del giudice esercitabile
d’ufficio serve quindi ad evitare che sia reso disponibile un diritto inviolabile
C. L’ASSUNZIONE DELLA PROVA
L’assunzione della prova avviene con il metodo dell’esame incrociato. Rientra nel “diritto alla prova” la
partecipazione delle parti alla assunzione del mezzo di prova attraverso la formulazione diretta delle domande al
dichiarante; spetta al giudice il potere di vietarle (art. 499 c.p.p.).
L’art. 111, III Cost. riconosce solamente all’imputato il diritto di interrogare e far interrogare davanti al giudice le
persone che rendono dichiarazioni a suo carico → traduzione del principio inglese secondo il quale l’imputato ha
diritto a confrontarsi con chi lo accusa, l’accusatore ha l’obbligo di rispondere secondo verità
ESAME INCROCIATO: l’esame incrociato è comunemente ritenuto il miglior strumento che permette di valutare se il
dichiarante risponde secondo verità. Se correttamente usato, esso consente di smascherare la persona che dice il
falso in modo intenzionale o anche soltanto inconsciamente, a causa di difetti nella percezione o nella memoria
Nel controesame, la parte può porre domande-suggerimento per vagliare l’attendibilità della dichiarazione: è
attendibile il dichiarante che sa resistere alle provocazioni che gli sono poste attraverso domande e contestazioni
(tortura “civile”)
LA TUTELA DELLA LIBERTA’ MORALE DEL DICHIARANTE: un generale divieto probatorio, che concerne le modalità di
assunzione della prova dichiarativa, è previsto dall’art. 188 c.p.p.: «non possono essere utilizzati, neppure con il
consenso della persona interessata, metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad
alterare la capacità di ricordare o di valutare i fatti».
D. LA VALUTAZIONE DELLA PROVA
Le parti hanno il diritto di offrire al giudice la propria valutazione degli elementi di prova. Si tratta del potere di
“argomentare” sulla base dei risultati che siano stati acquisiti. In dibattimento ciò avviene al momento della
discussione finale (art. 523) → le parti espongono le proprie conclusioni nell’ordine che rispetta le cadenze
dell’onere della prova: prima il pm, poi i difensori della parte civile e dell’imputato
Il presidente dell’organo collegiale dirige la discussione mantenendola sui binari
Al diritto delle parti corrisponde il dovere del giudice di dare una valutazione logica dell’elemento di prova raccolto:
in base all’art. 192, c., «il giudice valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri
adottati», e cioè delle regole di esperienza e leggi scientifiche che ha utilizzato. Il giudice nella motivazione non
può trascurare di esaminare i risultati di una prova che appaia pertinente e rilevante; nella sentenza il giudice debba
indicare le prove poste a base della decisione e le «ragioni per le quali ritiene non attendibili le prove contrarie» (art.
546, c. 1, lett. e c.p.p.).
E. LA FORMULAZIONE DELLA MIGLIORE IPOTESI ED IL TENTATIVO DI SMENTITA
Verificatosi un fatto di reato, l’investigatore deve formulare un’ipotesi ricostruttiva su come si è svolta la vicenda,
identificando le possibili cause di ogni accadimento → si cerca di identificare le possibili cause di ogni avvenimento
delimitando l’ambito delle ipotesi proponibili
In questa fase le leggi scientifiche e le massime d’esperienza vengono utilizzate a ritroso (dall’effetto B alla causa A)
per formulare ipotesi sulla possibile causa del fenomeno. Le leggi scientifiche e le massime di esperienza consentono

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di affermare che, dato l’evento A, seguirà come conseguenza l’evento B → problema, perché anche qualora una
legge sia altamente predittiva comunque non è detto che per forza proprio quella causa abbia dato origine all’evento
Proprio per il fatto che nel processo penale la legge scientifica funziona a ritroso, colui che deve ricostruire la causa
di un evento utilizza inizialmente il suo bagaglio di conoscenze per formulare tutte le ipotesi sulle possibili cause; tra
queste l’investigatore sceglie quella che appare la più probabile in riferimento al caso concreto.
TENTATIVO DI SMENTITA: una volta formulata una ipotesi riguardo allo svolgimento dei fatti, l’investigatore va a
verificare se effettivamente questa trovi riscontro nella realtà
LA DERIVA SCIENTISTA: negli ultimi tempi si sta attribuendo sempre più alle leggi scientifiche un carattere risolutivo
nella ricostruzione della vicenda processuale → per accertare la colpevolezza di un imputato è sufficiente utilizzare
le nuove tecnologie che portano a conclusioni non dubitabili
Il problema è che la legge scientifica permette solamente di collegare un evento ad una sua possibile causa ma non si
può accertare l’esistenza di tutti i fatti che si vogliono provare
Accertato un fatto mediante una legge scientifica comunque questa non è mai l’ultima inferenza che ci permette di
affermare la responsabilità dell’imputato
ULTIMA INFERENZA: la scienza non offre il passaggio finale per la ricostruzione del fatto storico che è invece frutto di
una operazione mentale complessa in cui operano criteri logici che presiedono al momento della valutazione
L’ultima inferenza è sempre legata all’applicazione di una massima di esperienza
La legge della natura quindi è solamente un utile strumento logico all’interno di un ragionamento inferenziale che
però è molto più complesso e articolato
5. L’onere della prova
I. LA PRESUNZIONE DI INNOCENZA: l’art. 27, c. 2 Cost. afferma che «l’imputato non è considerato colpevole sino alla
condanna definitiva». L’Assemblea costituente con tale formula ha voluto soddisfare insieme due esigenze
insopprimibili:
- Prevedere la custodia cautelare prima della sentenza irrevocabile
- Affermare la presunzione di innocenza
Non ha comunque risolto i problemi dal momento che la dottrina continua ad usare l’espressione presunzione di non
colpevolezza che invece ha una connotazione negativa
In un’unica formula si sono volute combinare:
- Una regola di trattamento: impone il divieto di anticipare la pena, mentre consente l’applicazione di misure
cautelari nei suoi confronti → l’imputato non deve essere assimilato al colpevole sino al momento della
condanna definitiva
- Una regola probatoria: tende ad ottenere l’effetto che è enunciato dall’art. 2728, c. 1 c.c., secondo cui «le
presunzioni legali dispensano da qualunque prova coloro a favore dei quali esse sono stabilite» → dal
momento che l’imputato viene presunto innocente, l’onere della prova ricade su chi sostiene la sua
colpevolezza
Viene meglio specificata nella convenzione europea dei diritti dell’uomo: ogni persona accusata di un reato è
presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata → secondo la corte
costituzionale, il giudice deve prendere questa disposizione a parametro di riferimento per l’interpretazione
della norma nazionale
La presunzione d’innocenza è una presunzione legale relativa, e cioè valida finché non sia stato dimostrato il
contrario → l’onere della prova ricade su quella parte che sostiene la reità dell’imputato. Nel procedimento penale
spetta al pubblico ministero formulare un addebito prima provvisorio (art. 65, c. 1 c.p.p.) e poi definitivo (art. 405
c.p.p.); pertanto su di lui ricade in prima battuta l’onere della prova.
L’espressione può essere usata in 2 significati distinti:
- ONERE SOSTANZIALE DELLA PROVA: la parte deve convincere il giudice dell’esistenza del fatto affermato
Art. 2697 c. c.: chi vuol far valere in giudizio un diritto deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento
“Provare” significa convincere il giudice della esistenza di un fatto storico affermato da una parte. Ciò
costituisce un “onere” in senso sostanziale per la parte, perché l’inosservanza dello stesso comporta la
situazione svantaggiosa del rigetto della domanda da parte del giudice → l’aver soddisfatto l’onere
comporta l’accoglimento della domanda

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L’onere della prova costituisce una regola probatoria, nel senso che individua la parte sulla quale ricadono le
conseguenze del non aver convinto il giudice dell’esistenza del fatto affermato. Se colui che accusa ha
provato la reità dell’imputato, l’onere della prova può considerarsi soddisfatto; a questo punto incombe
sull’imputato l’onere della prova contraria. Alla difesa spetta di provare la mancanza di credibilità delle fonti
o l’inattendibilità delle prove d’accusa: dare quindi la prova di fatti favorevoli alla difesa o che il fatto può
essere ricostruito in modo diverso da quello prospettato dal pm (che è investito dell’accusa e quindi su cui
grava l’onere)
- ONERE FORMALE DELLA PROVA: la parte deve chiedere al giudice l’ammissione della prova che ritiene utile
per adempiere all’onere sostanziale
L’elemento di prova deve essere introdotto nel processo, e cioè la parte interessata ha l’onere di chiedere al
giudice l’ammissione di quel mezzo di prova la cui ammissione permetterà il formarsi dell’elemento stesso: si
tratta di un onere c.d. “formale”. L’onere formale di introdurre la prova è previsto nell’art. 190, c. 1 c.p.p.,
secondo cui «le prove sono ammesse a richiesta di parte». L’onere di introdurre la prova attribuisce alle parti
il compito:
o Di ricercare le fonti di prova;
o Di valutare la necessità del mezzo di prova al fine di ottenere il risultato vantaggioso, e cioè
dimostrare l’esistenza del fatto affermato;
o Di chiedere al giudice l’ammissione del mezzo di prova., che viene concessa qualora la prova sia
pertinente, rilevante, non vietata dalla legge e non superflua
IV. L’ONERE DI CONVINCERE IL GIUDICE: l’aver soddisfatto l’onere di prova formale non comporta per forza di aver
soddisfatto anche quello sostanziale, dal momento che questo richiede che il giudice sia convinto dell’esistenza del
fatto storico da essa affermato → giuridicamente, un fatto non provato è inesistente
La mancata osservanza dell’onere di introdurre un determinato mezzo di prova (onere formale) non comporta
inevitabilmente il rigetto della domanda, anche se tale effetto può essere molto probabile (infatti un’altra parte del
processo potrebbe chiedere l’ammissione di quel determinato mezzo di prova). Una volta acquisito l’elemento di
prova, il giudice deve valutare se esso è idoneo a dimostrare l’esistenza di un fatto oggetto di prova: si tratta del c.d.
principio di acquisizione della prova.
Il giudice ha il potere residuale di sollecitare le parti o di introdurre d’ufficio determinati mezzi di prova nelle ipotesi
stabilite dalla legge ex: nel corso del dibattimento, terminata l’acquisizione delle prove, il giudice «se risulta
assolutamente necessario» può disporre anche d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova (art. 507)
I POTERI ESERCITABILI D’UFFICIO DAL GIUDICE: eccezione al potere dispositivo delle parti sulla prova, toccano
solamente l’onere della prova in senso formale (onere di introdurre il mezzo di prova nel processo) ma non quello
sostanziale di convincere il giudice dell’esistenza del fatto affermato da una parte
FATTO:
- NOTORIO: è un fatto di pubblica conoscenza in un determinato ambito territoriale. Si tratta, ad esempio, di
un terremoto, della svalutazione della moneta, di uno sciopero generale. L’esistenza di un simile fatto è
conosciuta dal giudice senza la necessità che le parti chiedano l’ammissione di un determinato mezzo di
prova: notoria non egent probatione.
Il fatto deve essere indubitabile e incontestabile
- PACIFICO: è un fatto di conoscenza non pubblica; esso è affermato da una parte ed è ammesso
esplicitamente o implicitamente dalla controparte. Ad esempio, la difesa non contesta che un testimone
abbia detto una determinata frase; il fatto pacifico non ha bisogno di essere provato: il giudice può
direttamente utilizzarlo come “elemento di prova” per la sua decisione.
Il giudice rimane comunque libero di valutare se il testimone è credibile e comunque se quello che ha detto è
attendibile
V. IL QUANTUM DELLA PROVA (STANDARD PROBATORIO): quantità della prova che deve essere fornita al giudice →
colui che accusa deve fornire la prova della colpevolezza dell’imputato in modo da eliminare ogni ragionevole
dubbio, per molto tempo questo standard è rimasto privo di espressa previsione nel codice di rito
AL DI LA’ DI OGNI RAGIONEVOLE DUBBIO: con la legge n. 46 del 2006 il Parlamento ha modificato l’art. 533 c. 1
relativo alla sentenza di condanna e ha stabilito che il giudice pronuncia tale sentenza quando l’imputato «risulta

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colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio». La prova d’accusa, che lascia residuare un
ragionevole dubbio, è equiparata alla mancata prova.
Questo criterio costituisce allo stesso tempo una norma:
- Probatoria: disciplina nel quantum la prova che è dovuta dal pm
- Di giudizio: che il giudice deve applicare, egli deve ritenere come non provata la reità e quindi assolvere
l’imputato
L’ONERE DELLA PROVA DELLE CAUSE DI NON PUNIBILITA’: la particolarità del processo penale sta nel fatto
che il dubbio va a favore dell’imputato anche quando questi ha l’onere della prova, e cioè quando egli deve
convincere il giudice dell’esistenza di un fatto favorevole. Ai sensi dell’art. 530, c. 3, «se vi è la prova che il fatto è
stato commesso in presenza di una causa di giustificazione o di una causa personale di non punibilità ovvero vi è
dubbio sull’esistenza delle stesse, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione». Ciò vuol dire che il dubbio
sull’esistenza di un fatto impeditivo o estintivo va a favore dell’imputato, che può essere considerato il “convenuto”
nel processo penale.
L’imputato avrà soddisfatto l’onere della prova e sarà quindi prosciolto se avrà fatto sorgere al giudice il ragionevole
dubbio sull’esistenza della scriminante
Si può giustificare dal momento che nel processo penale non vi è equivalenza tra le posizioni soggettive
contrapposte ma è solamente l’imputato a poter ricevere un pregiudizio al suo diritto di libertà
6. L’ambito di applicabilità delle norme sulle prove
Le norme generali sulle prove siano applicabili in tutto il procedimento penale a meno che non siano incompatibili
con la regolamentazione del singolo atto da compiere in una determinata fase.
7. Oralità, immediatezza e contraddittorio
PRINCIPIO DI ORALITA’: Al termine “oralità” si può attribuire il significato di “comunicazione del pensiero mediante la
pronuncia di parole destinate ad essere udite”. Contrapposta all’ oralità è la scrittura, intesa quale forma di
comunicazione del pensiero mediante segni visibili, alfabetici o ideografici
- In senso pieno soltanto quando coloro che ascoltano possono porre domande ed ottenere risposte a viva
voce dal dichiarante → viene assicurato il diritto dell’imputato a confrontarsi con il dichiarante
- Fittizia: qualora lo scritto viene letto, dal momento che comunque chi ascolta non può porre domande a chi
parla
PRINCIPIO DI IMMEDIATEZZA: è attuato quando vi è un rapporto privo di intermediazioni tra l’assunzione della prova
e la decisione. Da un lato, si vuole che il giudice prenda direttamente contatto con la fonte di prova (artt. 526 e 514);
da un altro lato, si tende ad assicurare che vi sia identità fisica tra il giudice che assiste all’assunzione della prova e
colui che prende la decisione di condanna o assoluzione (art. 525, c. 2) → si vuole permettere una valutazione di
prima mano sulla credibilità e sull’attendibilità del dichiarante
PRINCIPIO DEL CONTRADDITTORIO: comporta la partecipazione delle parti alla formazione della prova. Nella prova
dichiarativa ciò avviene quando le parti pongono le domande e formulano le contestazioni. → contraddittorio per la
prova, gli elementi si formano in modo dialettico
Il giudice è quindi in grado di valutare la credibilità del soggetto e l’attendibilità della sua dichiarazione
È interesse della giustizia che l’accertamento del reato avvenga in questo modo dal momento che così viene
garantito alle parti anche il diritto alla prova
L’oralità è funzionale al contraddittorio perché permette il massimo della dialettica processuale.
Espresso riconoscimento costituzionale del metodo dialettico inteso come migliore forma di conoscenza: art. 111, IV
Cost., il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova → il giudice in
dibattimento deve quindi decidere solamente sulla base delle prove raccolte nel contraddittorio
ECCEZIONI: i principi dell’oralità, dell’immediatezza e del contraddittorio servono ad accertare la verità nel modo
migliore. Essi hanno un valore strumentale in quanto assicurano la correttezza del risultato → è impossibile per il
giudice accertare la verità assoluta a causa della limitatezza delle capacità umane, quello che conta è che
l’accertamento avvenga in base a prove, nel rispetto delle garanzie fondamentali
Non sempre nella realtà è possibile attuare in modo assoluto i principi menzionati, e si pone allora il problema di
stabilire quando è ragionevole prevedere alcune eccezioni. Ad esempio, se il testimone di un reato è stato
minacciato prima del dibattimento, diventa determinante conoscere quale versione dei fatti aveva esposto nel corso
delle indagini. Lo stesso vale quando il testimone è deceduto prima del dibattimento. Il nuovo c. 5 dell’art. 111 Cost.
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ha tipizzato le situazioni eccezionali nelle quali è possibile derogare al principio del contraddittorio: «la legge regola i
casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell’imputato o per accertata
impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita».
8. Questioni pregiudiziali e limiti probatori
Il giudice, quando accerta se vi è corrispondenza tra un fatto storico e una norma di legge, a volte deve risolvere
questioni civili o amministrative che rappresentano l’antecedente logico-giuridico della decisione penale. La
questione costituisce un antecedente (ed è chiamata “pregiudiziale”) quando dalla sua soluzione dipende o meno
l’esistenza di un elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice che deve essere applicata.
Il codice di regola attribuisce al giudice penale il potere si risolvere ogni questione da cui dipende la decisione sia
sull’esistenza del reato che sull’applicazione della norma fondamentale → occorre distinguere:
- Quando la questione pregiudiziale ha per oggetto una controversia sullo «stato di famiglia e di cittadinanza»,
il giudice penale è vincolato ai limiti di prova stabiliti dalle leggi civili.
Il giudice penale non può superare il segreto che riguarda lo stato di figlio legittimo per adozione
La sentenza irrevocabile del giudice civile su una questione pregiudiziale in queste materia vincola anche il
giudice penale
- Quando la questione pregiudiziale ha un qualsiasi altro oggetto, il giudice penale non è vincolato ai limiti di
prova posti dalla relativa materia, bensì applica soltanto le regole probatorie del processo penale → questo
infatti tende ad ottenere risultati il più possibile aderenti alla verità e non è vincolato ad esigenze dei
rapporti giuridici sottostanti quindi non può sopportare i limiti ai poteri di valutazione della prova che sono
posti al giudice civile per questo motivo o alla necessità di superare le difficoltà dovute all’onere della prova
di determinati fatti

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CAPITOLO 4 (I mezzi di prova)
1. Mezzi di prova tipici e atipici
MEZZO DI PROVA: strumento processuale che permette di acquisire un elemento di prova, 7mezzi di prova previsti al
codice che sono disciplinati secondo le modalità della loro acquisizione:
- Testimonianza
- Esame delle parti
- Confronti
- Ricognizioni
- Esperimenti giudiziali
- Perizia (affiancata della consulenza di parte)
- Documenti
Le modalità di assunzione sono previste in modo da valutare nella maniera migliore la credibilità sia della fonte che
anche dell’elemento di prova che se ne ricava
Il codice non prevede la tassatività dei mezzi di prova, infatti ne sono previsti alcuni anche atipici che non hanno una
componente regolata dalla legge
Ai sensi dell’art. 189 c.p.p. (Prove non disciplinate dalla legge - ATIPICHE): “Quando è richiesta una prova non
disciplinata dalla legge, il Giudice può assumerla se essa risulta idonea ad assicurare l'accertamento dei fatti e non
pregiudica la libertà morale della persona. Il Giudice provvede con ordinanza all'ammissione, sentite
obbligatoriamente le parti sulle modalità di assunzione della prova atipica” → il codice quindi si apre verso i nuovi
mezzi di prova che possono essere creati dal progresso scientifico e tecnologico
PROVA ATIPICA: utilizzo di componenti non tipiche all’interno di un mezzo tipico → il risultato coincide con quello
della ricognizione tipica
Può essere ammessa se ha 2 requisiti:
- Deve essere idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti: in concreto quindi deve fornire elementi
attendibili e permettere una valutazione sull’attendibilità della prova
- Deve assicurare la libertà morale della persona-fonte di prova: deve lasciarne integra la facoltà di
determinarsi liberamente rispetto agli stimoli
Non si possono quindi usare narcoanalisi, ipnosi e macchina della verità
Le modalità di assunzione della prova sono prescritte dal giudice dopo aver ascoltato le parti → procedimento che
deve essere seguito anche qualora la parte chiede l’ammissione del mezzo di prova
L’ordinanza del giudice che la concede o meno è controllabile mediante l’impugnazione della sentenza
PRINCIPIO DI LEGALITA’ DELLA PROVA: la prova costituisce un elemento di conoscenza disciplinato dalla legge
La legge disciplina nel dettaglio il catalogo dei mezzi di prova e lascia comunque la valvola di sicurezza della prova
atipica, a cui si può ricorrere quando il risultato voluto non si sarebbe potuto ottenere altrimenti con altri mezzi
2. La testimonianza
A. CONSIDERAZIONI PRELIMINARI
Il codice distingue in modo netto tra due mezzi di prova: “la testimonianza” (artt. 194 ss.) e “l’esame delle parti”
(artt. 208 ss.), sia per quanto riguarda gli aspetti procedurali che anche quelli di diritto penale sostanziale
Il testimone ha l’obbligo penalmente sanzionato di presentarsi al giudice e di dire la verità (artt. 198 c.p.p. e 372
c.p.), mentre l’imputato, quando si offre all’esame incrociato ai sensi dell’art. 208, non ha l’obbligo di presentarsi
(art. 208), né l’obbligo di rispondere alle domande (art. 209, c. 2), né l’obbligo di dire la verità → la qualità di
imputato è di regola incompatibile con quella di testimone salve le eccezioni
Testimone e parti sono in grado di dare un contributo conoscitivo al processo dal momento che sono esaminati sui
fatti che costituiscono oggetto di prova, e cioè sulla responsabilità dell’imputato e sui fatti che servono a valutare la
credibilità delle fonti e l’attendibilità degli elementi di prova (art. 187). La loro deposizione avviene nella forma
dell’esame incrociato (art. 209 c. 1), con lo strumento che quindi viene considerato come più efficace per
l’accertamento dei fatti
LA QUALITA’ DI TESTIMONE: la qualità di testimone può essere assunta dalla persona che ha conoscenza dei fatti
oggetto di prova ma che, al tempo stesso, non riveste una delle qualifiche alle quali il codice riconduce
l’incompatibilità a testimoniare (es., la qualifica di imputato). La persona così delineata diventa “testimone” soltanto

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se e quando su richiesta di parte (o d’ufficio nei casi previsti) è chiamata a deporre davanti ad un “giudice” nel
procedimento penale.
GLI OBBLIGHI DEL TESTIMONE:
- Ha l’obbligo di presentarsi al giudice (art. 198); se non si presenta senza un legittimo impedimento, il giudice
può ordinare il suo accompagnamento coattivo a mezzo della polizia giudiziaria e può condannarlo al
pagamento di una somma da euro 51 a euro 516 nonché alle spese alle quali la mancata comparizione ha
dato causa (art. 133)
- Il testimone ha l’obbligo di attenersi alle prescrizioni date dal giudice per le esigenze processuali (art. 198).
- Il testimone ha l’obbligo di «rispondere secondo verità alle domande che gli sono rivolte», se tace ciò che sa
oppure afferma il falso o nega il vero allora commette delitto di falsa testimonianza
LA LIBERTA’ MORALE DELLA PERSONA NELL’ASSUNZIONE DELLA PROVA DICHIARATIVA: secondo l’art. 188 c.p.p.:
«non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona interessata, metodi o tecniche idonei a influire
sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare o di valutare i fatti» (tortura fisica o psichica,
narcoanalisi, ipnosi e il poligrafo o macchina della verità) → divieto probatorio che opera oggettivamente
Introduzione del reato di tortura: le dichiarazioni o le informazioni ottenute mediante il delitto di tortura non sono
comunque utilizzabili, salvo che contro persone accusate di tale delitto e al solo fine di provarne la responsabilità
penale → riduce quindi in modo mirato la portata del vizio
B. LA DEPOSIZIONE: OGGETTO E FORMA
La deposizione è resa in dibattimento con le forme dell’esame incrociato. Il testimone è esaminato sui «fatti che
costituiscono oggetto di prova» (art. 194, c. 1). Le domande devono essere:
- Pertinenti, e cioè devono riguardare sia i fatti che si riferiscono all’imputazione, sia i fatti dai quali dipende
l’applicazione di norme processuali (art. 187), come l’accertamento dell’attendibilità di una dichiarazione
- Devono avere ad oggetto fatti determinati: il testimone di regola non può esprimere valutazioni né
apprezzamenti personali, a meno che sia impossibile dividerli dalla deposizione sui fatti
- Deve riguardare le circostanze che abbiano ad oggetto la credibilità delle parti e dei testimoni
L’esame del testimone può estendersi ai rapporti di parentela o di interesse che lo legano alle parti o ad altri
testimoni. Le deposizioni sulla moralità dell’imputato sono ammesse ai soli fini di qualificare la personalità dello
stesso in relazione al reato ed alla pericolosità e sempre che si tratti di fatti specifici (art. 194, c. 1).
DOMANDE CHE RIGUARDANO LA PERSONA OFFESA: si vuole tutelare la dignità della persona offesa dal reato ma al
tempo stesso permettere l’esercizio del diritto di prova che spetta a tutte le parti del processo → le deposizioni sulla
personalità della persona offesa sono ammesse solamente quando il fatto dell’imputato deve essere valutato in
relazione al comportamento di quella persona
C. LA TESTIMONIANZA INDIRETTA
Conoscenza può essere:
- DIRETTA: quando si percepisce personalmente un fatto da provare con uno dei cinque sensi
- INDIRETTA: quando si apprende il fatto da una rappresentazione che altri hanno fatto a voce, per scritto o
con qualsiasi altro mezzo
TESTE DI RIFERIMENTO: la persona da cui si è “sentito dire” è comunemente indicata dagli studiosi italiani con
l’espressione “teste di riferimento”: egli può avere percepito personalmente il fatto (ed allora è denominato “teste
diretto”); oppure può averlo “sentito dire” da un’altra persona (ed allora è anch’egli un “teste indiretto”). Il
problema della testimonianza indiretta sta nel seguente punto.
Nel processo penale attraverso l’esame incrociato è possibile accertare la credibilità e l’attendibilità del testimone
che ha avuto una conoscenza personale del fatto da provare; a tal fine, il codice permette che siano fatte le
contestazioni (art. 500) e le domande-suggerimento nel controesame (art. 499, c. 3). Quando il fatto è conosciuto dal
testimone “per sentito dire” occorre che sia possibile accertare l’attendibilità sia del testimone indiretto, sia del
testimone diretto. Ecco perché il codice pone alcune condizioni all’utilizzabilità della deposizione indiretta; esse
permettono di effettuare il controllo sulla credibilità della persona da cui si è “sentito dire” e sull’attendibilità di
quanto è stato riferito → si vuole quindi consentire il controllo della conoscenza riferita e della fonte dalla quale la si
è appresa
LA PRIMA CONDIZIONE: posta dall’art. 195, c. 7, richiede che il testimone indiretto indichi la persona o la fonte «da
cui ha appreso la notizia dei fatti oggetto dell’esame»; si deve individuare fisicamente la persona o la fonte del
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“sentito dire”. Quando non è individuato il teste diretto o, comunque, la fonte (ad esempio, il documento) da cui si è
appreso il fatto riferito, la testimonianza non è utilizzabile (condizione a pena di inammissibilità)
LA SECONDA CONDIZIONE: opera soltanto quando una delle parti chiede che venga sentita nel processo la persona
che ha avuto conoscenza diretta del fatto; in tal caso il giudice è obbligato a disporne la citazione (art. 195, c. 1). Se il
giudice omette la citazione, la testimonianza indiretta non è utilizzabile.
Se nessuna delle parti ha chiesto la citazione, la testimonianza indiretta è utilizzabile, anche senza che si faccia
ricorso all’esame del teste diretto
ECCEZIONE ALLA SECONDA CONDIZIONE: in via eccezionale la testimonianza indiretta è utilizzabile quando l’esame
del testimone diretto «risulti impossibile per morte, infermità o irreperibilità» (art. 195, c. 3) → l’impossibilità deve
essere valutata con particolare cura, dal momento che rende più difficile il controllo di attendibilità su quanto si è
sentito dire
Il codice permette al giudice di disporre d’ufficio la citazione del testimone diretto se essa non è stata richiesta da
nessuna delle parti → dal momento che però il giudice non è obbligato, il sentito dire può essere valutato anche
senza citazione del testimone diretto
VALUTAZIONE DELLA TESTIMONIANZA INDIRETTA: una volta osservate le condizioni, il giudice può utilizzare ai fini
della decisione sia la deposizione diretta che anche quella indiretta → deve quindi valutare l’attendibilità di ciascuna
delle due dichiarazioni in base agli esiti dell’esame incrociato del singolo dichiarante e del riscontro operabile con le
altre prove già acquisite
È vietato assumere deposizioni su fatti appresi da persone vincolate da segreto professionale o d’ufficio, salvo che
queste abbiano comunque divulgato tali fatti (art. 195, c. 6).
DIVIETO DI TESTIMONIANZA INDIRETTA SULLE DICHIARAZIONI DELL’IMPUTATO: il codice pone un divieto di
testimonianza sulle dichiarazioni «comunque rese» dall’imputato (o dall’indagato) in un atto del procedimento (art.
62): la prova delle dichiarazioni rese dall’imputato (o dall’indagato) deve ricavarsi unicamente dal verbale che deve
essere redatto ed utilizzato «con le forme ed entro i limiti previsti per le varie fasi del procedimento». In sede di
interrogatorio e di sommarie informazioni, all’indagato deve essere dato avviso della facoltà di non rispondere allo
scopo di tutelare la sua libertà nei confronti dell’autorità inquirente → deve essere libero di scegliere se e quando
rendere la dichiarazione, che assumono quindi rilievo solamente per mezzo di un regolare verbale da cui appunto
questo avviso deve risultare
È quindi finalizzato ad evitare che siano introdotti nel processo elementi che non risultano dalla documentazione
formale dell’atto → tutela del diritto al silenzio che costituisce manifestazione del diritto di difesa e presunzione di
innocenza
LE DICHIARAZIONI RESE DALL’IMPUTATO NEL CORSO DI PROGRAMMI TERAPEUTICI: ex art. 62, II il divieto di
testimonianza indiretta si estende alle dichiarazioni, comunque inutilizzabili, rese dall’imputato nel corso di
programmi terapeutici diretti a ridurre il rischio che commetta delitti sessuali o a danno dei minori → si vuole
garantire l’efficacia al programma di recupero, assicurando a chi vi si sottopone che le sue dichiarazioni non
potranno avere ingresso nel procedimento a suo carico
Si tutela quindi la serenità del paziente, evitando che la sua collaborazione a programmi terapeutici abbia negative
ricadute processuali che, contro la presunzione di innocenza, darebbero luogo a giudizi sulla personalità
LA TESTIMONIANZA INDIRETTA DELLA POLIZIA GIUDIZIARIA: ex art. 195, IV gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria
non possono deporre sul contenuto sia delle dichiarazioni acquisite da testimoni nelle sommarie informazioni, nelle
denunce e nelle querele presentate oralmente, sia delle dichiarazioni rese dall’indagato → ha fondamento nel
principio del contraddittorio: le dichiarazioni rese in segreto durante le indagini non sono di regola utilizzabili per la
decisione e sarebbe aggirata la regola dell’inutilizzabilità
Fuori dalle ipotesi di espresso divieto, la indiretta della polizia è ammessa → il criterio distintivo rimane legato al
formale svolgimento della specifica funzione di assumere sommarie informazioni o di ricevere dichiarazioni
dall’indagato
Gli “altri casi” ammessi sono quindi:
- Quando la polizia è chiamata a riferire su dichiarazioni ricevute fuori dall’esercizio delle sue funzioni
- Dichiarazioni percepite nel corso di attività tipiche ex: identificazioni, ricognizioni informali, sequestri
- Prove atipiche come appostamenti e pedinamenti

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D. INCOMPATIBILITA’ A TESTIMONIARE
Il codice pone la regola secondo cui ogni persona ha la capacità di testimoniare (art. 196, c.1) → sono previste però
eccezioni, che consistono in situazioni di incompatibilità relative ad un determinato procedimento
La regola, che riconosce a qualsiasi persona la capacità di testimoniare, permette che si assumano come testimoni
sia l’infermo di mente, sia il minorenne. In questi casi il giudice dovrà valutare con particolare attenzione la
credibilità del dichiarante e l’attendibilità della dichiarazione, egli può verificare l’idoneità fisica o mentale del
soggetto chiamato a deporre ordinando gli accertamenti opportuni con i mezzi consentiti dalla legge
L’incompatibilità a testimoniare ricorre quando una persona, pur capace di deporre, non è legittimata a svolgere la
funzione di testimone in un determinato procedimento penale a causa della posizione assunta in tale procedimento
o a causa dell’attività ivi esercitata.
LA RATIO DELL’INCOMPATIBILITA’: le prime tre ipotesi dell’art. 197 (lettere a, b, c) vogliono escludere che alcune
persone abbiano un obbligo, penalmente sanzionato, di dire il vero; ed infatti tali soggetti non possono testimoniare,
bensì possono dare il loro contributo conoscitivo con quel mezzo di prova che è denominato “esame delle parti”.
Invece, le situazioni previste nella lettera d, vogliono escludere che possano comunque deporre quei soggetti che
hanno svolto «nel medesimo procedimento» le funzioni di giudice, pubblico ministero o loro ausiliario o altre
funzioni ritenute incompatibili con quella di testimone.
ART. 197 LETTERA A. Non possono essere assunti come testimoni gli imputati concorrenti nel medesimo reato o
condizioni assimilate: cooperazione colposa o comunque condotte indipendenti che hanno determinato un unico
evento → opera a prescindere al fatto che i rispettivi procedimenti siano riuniti o separati e cessa per il singolo
imputato con l’irrevocabilità della sentenza che lo riguarda
Questi soggetti possono essere chiamati a rendere testimonianza quando «nei loro confronti sia stata pronunciata
sentenza irrevocabile» di proscioglimento, di condanna o di patteggiamento → l’imputato non corre rischi dal
momento che non può essere processato una seconda volta per un medesimo fatto storico di reato (art. 649).
Nonostante sia una testimonianza munita di particolari garanzie e caratterizzata dall’assistenza difensiva che viene
riconosciuta al dichiarante, viene comunque esclusa dalla corte costituzionale l’assistenza difensiva in relazione
all’imputato assolto con sentenza irrevocabile per non aver commesso il fatto
ART. 197 LETTERA B. Di regola non possono essere assunti come testimoni, bensì sono sentiti con l’esame (ai sensi
dell’art. 210, esame di persone imputate in un procedimento connesso):
- Gli imputati in procedimenti legati da una connessione debole, e cioè nel caso in cui i reati per cui si procede
«sono stati commessi per eseguire o per occultare gli altri» (c.d. connessione teleologica; art. 12, lett. c). Un
esempio è l’imputato di omicidio che è chiamato a deporre nel procedimento relativo al reato di
occultamento del cadavere, addebitato ad un altro imputato;
- Gli imputati in procedimenti collegati ai sensi dell’art. 371, c. 2, lettera b. Si ha collegamento, ad esempio,
quando la prova di un reato o di una sua circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un’altra
circostanza (collegamento probatorio)
- Quando un reato è stato commesso in occasione di un altro, per assicurarne al colpevole o ad altri il profitto,
o che comunque siano stati commessi da più persone le une in danno delle altre
Alla regola dell’incompatibilità, prevista dalla lettera b, sono state poste due eccezioni:
- I soggetti menzionati possono deporre come testimoni quando nei loro confronti è stata emessa sentenza
irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di patteggiamento → stessa disciplina prevista in relazione
agli imputati concorrenti nel medesimo reato, stessa ratio
- La seconda eccezione è introdotta dalla legge n. 63/01 di attuazione del giusto processo: gli imputati
menzionati divengono compatibili con la qualifica di teste se, nel corso dell’interrogatorio, hanno reso
dichiarazioni su fatti “altrui”, e cioè concernenti la responsabilità di altri imputati collegati o connessi
teleologicamente → compatibilità solamente parziale, dal momento che è limitata ai fatti altrui (su fatti
diversi da quelli altrui già dichiarati i soggetti rimangono incompatibili con la qualifica di teste
ART. 197 LETTERA C. Non possono essere assunte come testimoni le persone che, nel medesimo processo, sono
presenti nella veste di responsabile civile e di civilmente obbligato per la pena pecuniaria → possono solamente
rendere dichiarazioni, su loro consenso o richiesta, in qualità di parti e quindi senza obbligo di dire la verità
ART. 197 LETTERA D. Non possono essere assunti come testimoni coloro che, nel medesimo procedimento, svolgono
o hanno svolto la funzione di giudice, pubblico ministero o loro ausiliario.
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Per ausiliari si intendono, ad esempio, i cancellieri e segretari che abbiano svolto funzioni serventi rispetto al
compimento dell’autorità giuridiziaria, cioè redigere verbali. L’incompatibilità in esame si fonda sul rilievo che le
predette persone non sono psichicamente “terze” rispetto agli atti compiuti; di tali atti può essere data prova
soltanto mediante i verbali che sono stati redatti. Sono altresì incompatibili «il difensore che abbia svolto attività di
investigazione difensiva e coloro che hanno formato la documentazione» dell’intervista o che hanno redatto la
relazione che recepisce le dichiarazioni scritte «ai sensi dell’art. 391-ter». → dal momento che l’art. 197 pone delle
eccezioni deve essere interpretato restrittivamente, quindi queste tipologie di soggetti si ritengono incompatibili
solamente sull’attività che hanno provveduto a documentare
Il difensore è quindi incompatibile a testimoniare solamente con riferimento all’attività difensiva che ha svolto
mentre per il resto, a meno di disposizioni contrarie del codice forense, può essere compatibile come testimone
E. IL PRIVILEGIO CONTRO L’AUTOINCRIMINAZIONE
Può accadere che i testimoni, soggetti ad obbligo di verità, formulino domande che potrebbero indurre il testimone
ad autoincolparsi di qualche reato. In ipotesi del genere, se il testimone fosse obbligato a rispondere secondo verità,
egli si troverebbe in una penosa alternativa: rispondere incriminando se
stesso (rischiando quindi un procedimento penale per il reato) oppure dire il falso per non ammettere la propria
responsabilità (subendo un processo per falsa testimonianza). Una situazione del genere non sarebbe compatibile
con la Costituzione, che garantisce i diritti fondamentali dell’individuo, tra i quali rientra anche il diritto di non
incriminare sé stesso (artt. 2 e 24, c. 2 Cost.). Per questo motivo, il codice tutela il testimone e stabilisce che egli
«non può essere obbligato a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere una sua responsabilità penale» (art. 198, c.
2).
IL PRIVILEGIO: la situazione giuridica soggettiva, regolamentata dall’art. 198, c. 2, può essere correttamente definita
“privilegio”, perché si prevede una “esenzione da un regime ordinario”, che è appunto l’obbligo di deporre →
l’esenzione viene concessa in virtù di un interesse privato considerato meritevole di tutela dall’ordinamento
Il teste ha diritto di non rispondere non soltanto alla singola domanda, ma a tutte le domande che concernono quei
“fatti” dai quali emerga una sua responsabilità per un reato commesso in passato.
Si richiede solamente che dalla risposta su un determinato fatto possa derivare la responsabilità penale del
dichiarante → non è sufficiente una semplice responsabilità di tipo amministrativo o civilistico
Non vi è comunque un obbligo in caso a chi interroga il teste di informarlo che può non rispondere e comunque le
parti non hanno il divieto di porgli domande autoincriminanti → il testimone è libero, se crede, di rispondere dal
momento che comunque anche le parti che pongono la domanda non sanno se questa lo porterà ad autoincriminarsi
IL DESTINATARIO DEL DIVIETO: il medesimo comma stabilisce un divieto probatorio che ha come destinatario il
giudice. Quando il testimone rifiuta di rispondere ad una domanda autoincriminante, la legge vieta al giudice di
costringerlo a parlare. Pertanto, se il giudice costringe il teste a deporre e successivamente si riconosce l’esistenza
del privilegio contro l’autoincriminazione, le dichiarazioni eventualmente rese sono inutilizzabili (dal momento che si
tratta della violazione di un divieto probatorio che si porta questa conseguenza) → ovviamente il testimone deve
eccepire il privilegio in modo fondato e non pretestuoso
Il testimone comunque davanti ad una domanda del genere rimane libero di scegliere se rispondere o meno
LE RISPOSTE AUTOINCRIMINANTI: quando il testimone abbia reso una dichiarazione da cui emergono indizi di reità a
suo carico per un reato pregresso, l’autorità procedente deve
- Interrompere l’esame
- Avvertire il soggetto che in seguito a tali dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi confronti
- Invitarlo a nominare un difensore
Le dichiarazioni rese precedentemente sono affette da inutilizzabilità soggettiva relativa: non possono essere
utilizzate contro la persona che le ha rese → tutela del privilegio contro l’autoincriminazione che sarebbe
compromesso se le dichiarazioni rese in veste di teste con obbligo di verità venissero usate contro di lui
DICHIARAZIONI RESE DA UN TESTIMONE CHE AVREBBE DOVUTO ESSERE SENTITO COME INDAGATO O IMPUTATO:
inutilizzabilità assoluta delle dichiarazioni rese in quella sede dal momento che se fosse subito stato sentito come
imputato sarebbe anche stato avvertito della facoltà di non rispondere → non possono essere usate quindi né
contro la persona che le ha rese né contro altri

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F. IL TESTIMONE PROSSIMO CONGIUNTO DELL’IMPUTATO
I prossimi congiunti dell’imputato non possono essere obbligati a deporre come testimoni (art. 199) → sono
anteposti i sentimenti, anche nel rispetto dell’art. 384, I secondo il quale non è punibile chi ha commesso falsa
testimonianza per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé stesso o un prossimo congiunto da un pericolo
grave e inevitabile alla libertà e all’onore
Sono “prossimi congiunti” gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli
zii e i nipoti; fra i “prossimi congiunti” non si comprendono gli affini, allorché sia morto il coniuge e non vi sia prole. Il
c.p.p. impone che il testimone prossimo congiunto dell’imputato sia avvisato dal giudice della facoltà di astenersi dal
rendere la deposizione, se l’avviso è omesso, la dichiarazione resa è affetta da nullità relativa e l’eventuale reato di
falsa testimonianza non è punibile. Nel caso in cui il prossimo congiunto, regolarmente avvisato, decida di deporre
come testimone, egli non può più rifiutarsi di rispondere alle singole domande; se afferma il falso, egli commette il
reato di falsa testimonianza e non opera, in suo favore, la causa di non punibilità dell’art. 384, c. 1 c.p.
PERSONE ASSIMILATE AI PROSSIMI CONGIUNTI: in base all’art. 199, c. 3 c.p.p., la facoltà di astensione ed il diritto al
preavviso della stessa sono estesi ad altre persone. La facoltà di astensione opera senza limiti in favore di colui che è
legato all’imputato da vincoli di adozione; opera con alcuni limiti in favore:
- Di chi, pur non essendo coniuge dell’imputato, come tale conviva o abbia convissuto con esso;
- Del coniuge separato dell’imputato;
- Della persona nei cui confronti sia intervenuta sentenza di annullamento, scioglimento o cessazione degli
effetti civili del matrimonio contratto con l’imputato.
In questi tre casi la facoltà di astensione dalla testimonianza è limitata ai «fatti verificatisi o appresi dall’imputato
durante la convivenza coniugale»
Qualora però abbiano prestato denuncia, querela, istanza o loro o un loro congiunto siano stati offesi dal reato sono
obbligati a deporre
G. LA VIOLAZIONE DEGLI OBBLIGHI DEL TESTIMONE
Prima che inizi l’esame incrociato, il giudice avverte il testimone dell’obbligo di dire la verità e lo informa della
conseguente responsabilità penale per false dichiarazioni o reticenza → il testimone si impegna a dire tutta la verità
e a non nascondere niente di quanto è a sua conoscenza, quindi deve fornir le sue generalità
Ha quindi inizio l’esame incrociato in cui il testimone è tenuto a rispondere alle domande poste, di regola, dalle parti
ed, eccezionalmente, dal presidente. Quando appare che il testimone violi l’obbligo di rispondere secondo verità,
soltanto il giudice può rivolgergli l’ammonimento a rispettare l’obbligo di dire il vero. Le parti non possono
ammonire il testimone, mentre possono sollecitare il giudice ad esercitare tale potere → un ammonimento rivolto
direttamente dalla parte potrebbe configurare una domanda vietata dal momento che va a nuocere alla sincerità
delle risposte
- Può accadere che il testimone rifiuti di deporre fuori dei casi espressamente previsti dalla legge. In tal caso il
giudice provvede ad avvertirlo sull’obbligo di deporre secondo verità. Se il testimone persiste nel rifiuto, il
giudice «dispone l’immediata trasmissione degli atti al pubblico ministero perché proceda a norma di legge»
(art. 207, c. 1).
- Può accadere che il testimone renda dichiarazioni contraddittorie, incomplete o contrastanti con le prove già
acquisite. Il giudice, su richiesta di parte o d’ufficio, gli rinnova l’avvertimento dell’obbligo di dire il vero.
Ove il pm non si attivi subito chiedendo copia del verbale di udienza, il giudice potrà attivarsi solamente al termine
del dibattimento
Con la decisione che definisce la fase processuale in cui il testimone ha prestato il suo ufficio, il giudice, se ravvisa
indirizzi del reato di falsa testimonianza, ne informa il pm trasmettendogli i relativi atti
Divieto comunque di fermare in udienza il testimone per reati concernenti il contenuto della disposizione, quindi
testimonianza falsa e reticente
H. IL SEGRETO PROFESSIONALE
Alcuni testimoni con determinate qualifiche hanno il potere-dovere di non rispondere a determinate domande
quando la risposta comporti la violazione dell’obbligo del segreto professionale. Tale segreto può essere definito
“qualificato” perché la possibilità di non rispondere spetta soltanto ai professionisti indicati espressamente dall’art.
200 del codice di procedura penale (ministri del culto, avvocati, persone esercenti professioni sanitarie).

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LA TUTELA PENALE DEL SEGRETO PROFESSIONALE: per “segreto” si intende una notizia che non deve essere portata
alla altrui conoscenza e che, pertanto, non è già di per sé notoria. Di solito, si tratta di un fatto della vita privata che il
singolo ha interesse a mantenere riservato → le necessità della vita sociale impongono al privato a rivolgersi a
professionisti e a riferirgli determinate notizie
Il codice penale, all’art. 622, stabilisce un divieto di rivelazione in capo a chiunque abbia avuto notizia di un fatto
segreto per ragione del proprio «stato o ufficio, o della propria professione o arte», la rivelazione del segreto è
vietata quando può nuocere alla persona che si è rivolta al professionista
Professionisti qualificati: gli viene espressamente prevista dal codice la facoltà di non rispondere
I professionisti invece non qualificati sottostanno alle stesse norme dei testimoni e hanno quindi l’obbligo
penalmente sanzionato di dire la verità → l’adempimento dell’obbligo di dire la verità costituisce giusta causa quindi
il professionista non compie il reato di rivelazione del segreto
I PROFESSIONISTI QUALIFICATI: il codice riconosce a questi soggetti la facoltà di non deporre su fatti
coperti da segreto professionale. Costoro hanno il potere-dovere di rifiutarsi di rispondere alla singola domanda che
li induca a narrare un fatto segreto appreso nell’esercizio della loro professione, quando da ciò può derivare un
pregiudizio per il cliente. Se il professionista qualificato depone comunque su un fatto del genere, egli non può
invocare la “giusta causa” e risponde di violazione del segreto professionale.
Bilanciamento tra esigenze in conflitto:
- Interesse della giustizia ad accertare i reati quindi applicazione generalizzata dell’obbligo di rispondere
secondo verità senza deroghe né limitazioni
- Interessi individuali protetti dal segreto professionale qualificato, si vuole esonerare dall’obbligo di
rispondere secondo verità le persone che abbiano ricevuto per lavoro racconti di segreti personali di altri
Occorre che il fatto su cui il professionista deve deporre sia stato appreso dai professionisti qualificati per ragione del
proprio ministero, ufficio, professione → se invece ne viene a conoscenza come privato cittadino, allora ha
comunque l’obbligo di rispondere secondo verità, non potrebbe esserne esonerato neanche in caso di successivo
obbligo
Qualora rivelino fatti pregiudizievoli per il loro assistito, commettono il delitto di rivelazione di segreto professionale
a meno che non vi sia qualche giusta causa → dal punto di vista processuale rimangono comunque utilizzabili perché
non viene violato alcun divieto probatorio
Quando il teste eccepisce il segreto, il giudice può provvedere agli accertamenti necessari → se quindi ritiene
l’eccezione infondata, ordina al testimone di deporre
LE CATEGORIE DI PROFESSIONISTI QUALIFICATI: le categorie di professionisti qualificati elencati dall’art. 200 sono:
- I «ministri di confessioni religiose, i cui statuti non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano» (art. 200,
c. 1, lett. a). Tradizionalmente questa ipotesi ricomprende, nel caso della religione cattolica, il segreto
imposto al sacerdote dal sacramento della confessione;
- Gli «avvocati, gli investigatori privati autorizzati, i consulenti tecnici e i notai» (art. 200, c. 1, lett. b), gli
investigatori privati possono opporre il segreto professionale solamente se sono espressamente autorizzati
alle indagini processuali
- «i medici e i chirurghi, i farmacisti, le ostetriche e ogni altro esercente una professione sanitaria» (art. 200, c.
1, lett. c);
- «gli esercenti altri uffici o professioni ai quali la legge riconosce la facoltà di astenersi dal deporre
determinata dal segreto professionale» (art. 200, c. 1, lett. d).
IL SEGRETO PROFESSIONALE DEI GIORNALISTI: il segreto professionale è esteso ai giornalisti con alcuni limiti.
- Esso può essere mantenuto relativamente ai «nomi delle persone» dalle quali è stata appresa una notizia di
carattere fiduciario nell’esercizio della professione
- Possono opporre questo segreto soltanto i «giornalisti professionisti iscritti nell’albo professionale».
- Il giornalista è comunque obbligato a indicare al giudice la fonte delle sue informazioni quando le notizie
sono indispensabili ai fini della «prova del reato per cui si procede» e la loro veridicità può essere accertata
soltanto attraverso «l’identificazione della fonte della notizia» (art. 200, c. 3)
Nei casi in cui il giornalista può tenere il segreto sulla fonte, la notizia stessa non è utilizzabile nel processo a causa
del divieto che riguarda la testimonianza diretta
Il segreto bancario cede di fronte all’esigenza di accertare fatti penalmente rilevanti
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I. IL SEGRETO D’UFFICIO E DI STATO; GLI INFORMATORI DI POLIZIA
Vi sono testimoni che in virtù di una loro qualifica pubblica hanno l’obbligo di astenersi dal deporre su fatti
conosciuti in ragione del loro ufficio
IL SEGRETO D’UFFICIO: In determinati casi previsti da leggi o regolamenti il buon funzionamento della pubblica
amministrazione può imporre che sia mantenuto il segreto su alcune specie di notizie che concernono lo
svolgimento del servizio pubblico. In tali ipotesi siamo in presenza del segreto d’ufficio, la cui violazione integra il
delitto previsto dall’art. 326 c.p. (rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio)
Dal momento che potrebbe sorgere un conflitto con l’obbligo di dire la verità, non devono rispondere a domande su
fatti coperti da segreto d’ufficio
Ai sensi dell’art. 201 c.p.p., l’obbligo di astenersi dal rispondere viene meno quando il pubblico ufficiale o l’incaricato
di pubblico servizio hanno l’obbligo di riferire all’autorità la notizia di reato; e cioè, in sostanza, quando hanno
l’obbligo di denuncia → il buon funzionamento della pubblica amministrazione non può tollerare che così rimangano
impuniti dei reati, quindi non possono mantenere segreti dei fatti che costituiscono reato
Qualora venga opposto il segreto d’ufficio, il giudice deve valutare se l’eccezione è fondata, altrimenti deve obbligare
il soggetto a deporre
IL SEGRETO DI STATO: una particolare specie di segreto d’ufficio è il segreto di Stato, che ai sensi dell’art. 39 della
legge 3 agosto 2007 n. 124 copre «gli atti, i documenti, le notizie, le attività e ogni altra cosa la cui diffusione sia
idonea a recare danno all’integrità della Repubblica, anche in relazione ad accordi internazionali, alla difesa delle
istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento, all’indipendenza dello Stato rispetto agli altri Stati e alle
relazioni con essi, alla preparazione e alla difesa militare dello Stato». In base all’art. 202, c. 1 c.p.p., i pubblici
ufficiali, i pubblici impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio hanno l’obbligo di astenersi dal deporre come
testimoni su fatti coperti dal segreto di Stato.
Qualora venga opposta l’esistenza di questo segreto, l’autorità giudiziaria ha 2 obblighi:
- Procedere all’interpello informando il presidente del consiglio dei ministri e chiedendo eventuale conferma
del segreto
o Se entro 30 giorni dalla notificazione della richiesta il presidente del consiglio dei ministri non dà
conferma dell’esistenza del segreto, allora l’autorità giudiziaria acquisisce la notizia e provvede per
l’ulteriore corso del procedimento → il dichiarante deve quindi deporre
o Se il presidente del consiglio dei ministri conferma invece l’esistenza del segreto, allora divieto
probatorio ampio: il giudice ed il pm non possono né acquisire né usare anche indirettamente
notizie coperte dal segreto → se quindi questo fatto è necessario per la risoluzione dell’intero
procedimento, allora il giudice deve dichiarare di non doversi procedere per l’esistenza del segreto
- L’autorità giudiziaria deve sospendere ogni iniziativa volta ad acquisire e ad utilizzare la notizia oggetto di
segreto
IL SEGRETO DI POLIZIA SUGLI INFORMATORI: un’altra specie di segreto è quella che consente di non rivelare i nomi
degli informatori della polizia giudiziaria e dei servizi di sicurezza. Legittimati ad opporre tale segreto sono sia gli
ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria, sia il personale dipendente dai servizi per le informazioni e la sicurezza
militare o democratica (art. 203). Costoro possono mantenere segreti i nomi degli informatori; ma tutto quello che
affermano di aver “sentito dire” da loro non può essere acquisito né utilizzato, se non quando l’informatore sia stato
esaminato.
3. L’esame delle parti
A. CONSIDERAZIONI GENERALI:
È denominato “esame delle parti” il mezzo di prova mediante il quale le parti private possono contribuire
all’accertamento dei fatti nel processo penale. Possono definirsi “generali” le seguenti regole:
- Il dichiarante non ha l’obbligo penalmente sanzionato di dire la verità né di essere completo nel narrare i
fatti; inoltre egli ha la facoltà di non rispondere alle domande;
- Le dichiarazioni sono rese secondo le norme sull’esame incrociato;
- Le domande devono riguardare i fatti oggetto di prova.
L’esame delle parti è sottoposto a regimi giuridici diversi in ragione della persona che rilascia la dichiarazione
B. L’ESAME DELL’IMPUTATO

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L’esame ha luogo soltanto su richiesta o consenso dell’interessato, e cioè soltanto se l’imputato lo chiede, o se vi
consente quando è chiesto da una parte. In caso di mancato consenso, quando la difesa afferma l’esistenza di un
fatto, il rifiuto di sottoporsi all’esame, opposto da quell’imputato, che potrebbe confermarne l’esistenza, non
permette a questi di adempiere all’onere della prova, e cioè all’onere di convincere il giudice.
LA POSSIBILITA’ DI MENTIRE: l’imputato che ha chiesto l’esame non è vincolato all’obbligo di rispondere secondo
verità; infatti, egli non è testimone in quanto è incompatibile con tale qualifica.
L’imputato può dire il falso senza incorrere in conseguenze penali:
- Non può commettere il delitto di falsa testimonianza proprio perché non può rivestire la qualifica di
testimone → la falsa testimonianza è un reato proprio e può quindi essere commesso solamente da chi ha
tale ruolo
- L’imputato, qualora con false dichiarazioni commetta altri reati, beneficia della causa di non punibilità
stabilita dall’art. 384 c. 1 c.p. in favore di chi agisce per salvarsi da un grave e inevitabile pericolo nella libertà
o nell’onore
L’imputato è punibile se afferma falsamente essere avvenuto un reato che nessuno ha commesso (simulazione di
reato) o se incolpa di un reato un‘altra persona, sapendola innocente (calunnia).
IL DIRITTO AL SILENZIO: nel corso dell’esame l’imputato può rifiutarsi di rispondere ad una qualsiasi
domanda (e cioè, su di un fatto proprio o altrui), e del suo silenzio ne viene fatta menzione nel verbale → il silenzio
dell’imputato quindi può essere valutato dal giudice come argomento di prova e quindi l’imputato può essere
ritenuto non credibile dal momento he il silenzio può dimostrare che egli ha qualcosa da nascondere
C. LE PARTI PRIVATE DIVERSE DALL’IMPUTATO
Il responsabile civile, il civilmente obbligato per la pena pecuniaria e la parte civile, che non debba essere esaminata
come testimone, sono sottoposti all’esame incrociato sulla base delle regole generali previste per l’esame delle parti
- Sono esaminati solamente se richiedono il proprio esame o vi consentono
- Possono non rispondere alle domande
- Non rispondono di falsa testimonianza perché appunto non sono testimoni
- Per il sentito dire valgono le solite condizioni di utilizzabilità
Occorre sottolineare che la parte civile, quando è chiamata a testimoniare, è obbligata a deporre in tale qualità e
non come parte privata; di conseguenza, assume l’obbligo penalmente sanzionato di dire la verità → la rinuncia al
contributo probatorio della parte civile costituisce un sacrificio troppo grande nella ricerca della verità processuale
D. L’ESAME DI PERSONE IMPUTATE IN PROCEDIMENTI CONNESSI E COLLEGATI
L’imputato in questo caso può contribuire all’accertamento dei fatti con 4 diversi strumenti di prova, ciascuno di essi
deve essere esaminato separatamente dal momento che ha regime normativo diverso:
- Esame di imputati concorrenti nel medesimo reato e situazioni assimilate
- Esame degli imputati collegati o connessi teleologicamente
- Testimonianza assistita prima della sentenza irrevocabile
- Testimonianza assistita degli imputati giudicati
Imputato connesso o collegato: imputato in un procedimento che, rispetto a quello principale, ha un rapporto di
connessione o di collegamento probatorio a prescindere dalla circostanza che i due procedimenti siano riuniti o
separati → duplice regolamentazione a seconda del tipo di connessione che intercorre tra i procedimenti:
- ESAME DEGLI IMPUTATI CONCORRENTI NEL MEDESIMO REATO (art. 12 lett. A): l’imputato CONCORRENTE è
incompatibile con la qualifica di testimone fino a che nei suoi confronti non sia stata pronunciata una
sentenza irrevocabile → gode delle medesime garanzie che sono riconosciute all’imputato principale:
o Dal momento che gli vengono chiesti fatti sulla responsabilità altrui, deve deporre con le norme sulla
citazione dei testimoni; se non si presentasse allora il giudice ne ordina l’accompagnamento coattivo
o Dal momento che parlando potrebbe incriminarsi, deve essere avvertito della facoltà di non
rispondere
o Deve essere assistito da un difensore, al massimo nominato d’ufficio in mancanza di quello di fiducia
Se decide di rispondere, non ha l’obbligo di dire la verità perché comunque è incompatibile con la figura del
testimone → i reati commessi con false dichiarazioni sono scusati tranne che si tratti di calunnia e
simulazione di reato (ha quindi gli stessi limiti dell’imputato)

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- ESAME DEGLI IMPUTATI COLLEGATI O CONNESSI TELEOLOGICAMENTE (art. 12 lett. C): quando non hanno
reso in precedenza dichiarazioni sulla responsabilità dell’imputato, allora sono incompatibili a testimoniare
Si applicano, dove possibile, le disposizioni BASE sull’imputato connesso:
o Hanno il dovere di presentarsi
o Devono essere assistiti da un difensore
o Sono avvisati che hanno la facoltà di non rispondere e comunque non hanno l’obbligo di vertà
o Se renderanno dichiarazioni sulla responsabilità altrui, assumeranno la qualifica di testimone
limitatamente a tali fatti
E. IL RISCONTRO
Per “riscontro” si intende comunemente il controllo di attendibilità di una dichiarazione; sotto questo profilo, tutte
le dichiarazioni rese nel corso del procedimento penale devono essere sottoposte ad un riscontro di “tipo
originario”: si tratta di vedere se i fatti che sono stati affermati dal dichiarante trovino conferma negli altri elementi
raccolti (fa parte del più general obbligo di motivazione imposto al giudice). Ai sensi dell’art. 192, c. 1, il giudice
deve valutare la prova «dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati».
L’obbligo del riscontro è posto dal codice come condizione per valutare le dichiarazioni rese sia dal coimputato del
medesimo reato, sia dall’imputato di un procedimento connesso o collegato probatoriamente, a prescindere dal
fatto che i relativi procedimenti siano riuniti o separati → le dichiarazioni sono valutate unitamente gli elementi di
prova che ne confermano l’attendibilità, quindi da questa dicitura si può dedurre che le dichiarazioni degli imputati
connessi/collegati possono essere valutati come prova solo se ci sono dei riscontri
Il medesimo obbligo di riscontro è posto per il testimone assistito (art. 197-bis, c. 6).
LA RATIO: l’imputato è la persona che ha, di regola, l’interesse più forte in relazione all’esito del procedimento
penale; egli sarà toccato sia dalle misure cautelari nel corso del procedimento, sia dalle conseguenze sulla sua libertà
e sul suo onore in caso di sentenza di condanna irrevocabile. Le dichiarazioni di un imputato connesso potrebbero
essere finalizzate ad “alleggerire” la propria posizione. A causa di ciò, l’imputato ha un forte interesse a dire il falso,
se del caso accusando altre persone, per ottenere un qualche vantaggio o, quanto meno, un minore svantaggio
oppure anche per vendicarsi di un complice per il suo atteggiamento
Il codice pone come condizione il riscontro per l’ammissibilità della dichiarazione del coimputato senza però
eliminare il libero convincimento del giudice: una volta che il riscontro ha esito positivo, il giudice deve verificare e la
dichiarazione può essere utile a ricostruire il fatto storico in un determinato modo → il riscontro deve essere
effettuato con modalità rigorose, la motivazione del giudice deve dare conto del percorso logico che ha seguito nella
determinazione
GLI ALTRI ELEMENTI DI PROVA: il riscontro è particolarmente accurato, perché il codice impone di valutare “altri
elementi di prova”; è sufficiente che questi siano tali da permettere semplicemente di affermare l’attendibilità del
dichiarante su quel determinato punto → resta comunque il libero convincimento del giudice dal momento che
qualora la dichiarazione sull’esistenza del fatto sia ritenuta attendibile, il dichiarante non deve presumersi credibile
in tutte le altre dichiarazioni rese
Cadono nel regime di applicazione dell’art. 192, II e III (dichiarazioni rese da coimputato nel medesimo processo o
imputato in procedimento connesso) le situazioni in cui:
- Può accadere che l’imputato ammetta la propria responsabilità, indicando altri come colpevoli del medesimo
fatto di reato. In tal caso si ha quella che comunemente viene definita “chiamata di correo”.
- Può accadere che una persona indichi un’altra come responsabile di un altro fatto di reato: “dichiarazione
accusatoria”
IL RISCONTRO:
- INTRINSECO: il codice precisa che il riscontro deve avere ad oggetto “altri” elementi di prova; se ne ricava
che gli elementi devono essere “esterni” (o “estrinseci”) rispetto alla dichiarazione stessa. Oggetto della
prima verifica deve essere la credibilità del dichiarante. La giurisprudenza afferma che la dichiarazione deve
essere valutata al suo interno (riscontro intrinseco) al fine di controllare se essa è precisa, coerente in sé
stessa, costante, spontanea → quando si tratti di una dichiarazione a proprio carico, si deve valutare la
genesi remota e prossima della decisione di confessare
- ESTRINSECO: il riscontro “esterno” può dirsi effettuato in modo pieno quando l’attendibilità della
dichiarazione è dimostrata da altri elementi di tipo oggettivo → occorrono concrete circostanze fattuali
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Il riscontro “esterno” può basarsi anche su dichiarazioni di altre persone, e cioè di altri testimoni o
coimputati (riscontri incrociati). La giurisprudenza riconosce che questo tipo di riscontro è ammesso, purché
sia rispettata la caratteristica dell’“altruità” dell’elemento di prova
Le dichiarazioni altrui devono essere rigorosamente indipendenti da quella da riscontrare, non deve quindi
esserci stato un accordo tra i dichiaranti → le altre dichiarazioni quindi devono essere a loro volta riscontrate
F. LA TESTIMONIANZA ASSISTITA
CONSIDERAZIONI GENERALI: la legge n. 63 del 2001 ha introdotto nel nostro ordinamento un nuovo istituto, la
“testimonianza assistita” (art. 197-bis), dal momento che si sono volute ridurre le incompatibilità a testimoniare in
un procedimento connesso o collegato e ampliare le garanzie nei confronti delle persone costrette a deporre.
L’imputato è sentito con l’assistenza obbligatoria del proprio difensore di fiducia o d’ufficio, in ragione del
collegamento tra il reato, che gli è addebitato, e quello che è oggetto del procedimento nel quale è chiamato a
deporre. Vi sono due categorie di testimonianza assistita:
- Una categoria opera nei confronti dei soli imputati collegati o connessi teleologicamente ed unicamente
quando il procedimento penale a loro carico non si è ancora concluso con sentenza irrevocabile. Tali soggetti
possono deporre come testimoni se hanno reso «dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di
altri» (art. 64, c. 3, lett. c). La compatibilità con la qualifica di teste è limitata alla deposizione sui fatti altrui
già dichiarati.
- Un’altra categoria scatta dopo che si è concluso con sentenza irrevocabile il procedimento a carico
dell’imputato connesso o collegato di qualsiasi tipo.
NORME COMUNI A TUTTI I TESTIMONI ASSISTITI: l’art. 197-bis detta alcune regole comuni a entrambe le
categorie:
- Al testimone assistito si applicano le norme sulla testimonianza, salo se derogate espressamente o
implicitamente dalle norme ex art. 197-bis → pertanto egli ha l’obbligo di presentarsi al giudice (c. 1).
Sui reati che sono oggetto del procedimento a loro carico vi sono norme espresse che regolano il diritto a
non rispondere in modo speciale rispetto all’art. 198, II che rimane quindi applicabile solamente su fatti
diversi da quelli per cui si procede a carico del testimone assistito, sa nel caso di imputato connesso con
procedimento pendente che con sentenza irrevocabile
- Ai sensi del c. 3, i testimoni in oggetto devono essere assistiti da un difensore; in mancanza del difensore di
fiducia deve essere loro designato un difensore d’ufficio;
- Il c. 5 stabilisce che le dichiarazioni rilasciate dai testimoni assistiti «non possono essere utilizzate contro la
persona che le ha rese nel procedimento a suo carico, nel procedimento di revisione della sentenza di
condanna ed in qualsiasi giudizio civile o amministrativo relativo al fatto» addebitato al dichiarante → vuole
neutralizzare i pregiudizi che possono derivare al testimone assistito da eventuali dichiarazioni a sé
sfavorevoli ed opera sia che questo sia sottoposto a procedimento sia che questo abbia già avuto nei suoi
confronti una sentenza irrevocabile
- Il c. 6 stabilisce che le dichiarazioni dei testi assistiti sono utilizzabili solo in presenza di riscontri che ne
confermino l’attendibilità (si ritengono tali testimoni poco affidabili per il legame che intercorre tra il
procedimento a loro carico e quello in cui sono chiamati a rendere dichiarazioni)
Dal momento che comunque il testimone assistito è un imputato, non si applica l’art. 63 in tutela delle dichiarazioni
autoindizianti → l’autorità procedente non deve quindi interrompere l’esame né invitarlo a nominare un difensore
che comunque è già presente, anzi l’esame prosegue normalmente
LE SINGOLE CATEGORIE DI TESTIMONI ASSISTITI: dal dichiarante più simile all’imputato che ha maggiori garanzie a
quello più simile al testimone che invece ha meno garanzie
- I TESTIMONI ASSISTITI PRIMA DELLA SENTENZA IRREVOCABILE (art. 197-bis, II): occorre precisare in
presenza di quali presupposti scatti l’obbligo di deporre come testimone
o È necessario che l’imputato sia stato ritualmente avvisato che «se renderà dichiarazioni su fatti che
concernono la responsabilità di altri, assumerà (...) l’ufficio di testimone» (art. 64, c. 3, lett. c). Per
fatto altrui si deve intendere un “fatto che concerne la responsabilità” di altri per un reato connesso
o collegato con quello addebitato al dichiarante.
o Una volta avvertito, l’imputato collegato o connesso teleologicamente deve aver reso dichiarazioni
su un fatto altrui. È sufficiente che l’imputato abbia reso una dichiarazione su di un “fatto che
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concerne la responsabilità di altri” per un reato collegato o connesso teleologicamente → non è
necessario che il dichiarante nel momento in cui parla sia consapevole delle conseguenze
accusatorie, basta solamente il fatto oggettivo che la dichiarazione concerna la responsabilità altrui
L’imputato collegato o connesso teleologicamente diventa compatibile con la qualifica di testimone
assistito: è una compatibilità parziale e condizionata
▪ Condizionata perché scatta solo se l’imputato in questione ha reso dichiarazioni sul fatto
altrui;
▪ Parziale perché è limitata al singolo fatto altrui già dichiarato
LO SPECIALE PRIVILEGIO CONTRO L’AUTOINCRIMINAZIONE: il testimone assistito con procedimento pendente gode
del comune privilegio contro l’autoincriminazione con riferimento a reati diversi da quelli che sono oggetto del
procedimento a suo carico. Inoltre, all’imputato collegato o connesso teleologicamente è riconosciuto un ulteriore
singolare privilegio: ai sensi dell’art. 197-bis, c. 4, egli non può rispondere sui fatti che concernono la propria
responsabilità in ordine al reato per cui si procede o si è proceduto nei suoi confronti. Poiché l’obbligo testimoniale è
limitato ai fatti altrui già dichiarati nel dibattimento o nelle indagini, l’unico caso in cui l’escussione del teste assistito
può inerire alla propria responsabilità è l’ipotesi nella quale le precedenti dichiarazioni vertano su fatti inscindibili.
Quando quindi i fatti sono inscindibili, la facoltà di non rispondere sul fatto proprio si estende anche inevitabilmente
al fatto altrui → se il teste però decide di rispondere, ha l’obbligo di verità sanzionato perdendo quindi la facoltà di
mentire
Opera sia quando i procedimenti connessi o collegati sono riuniti sia quando sono separati → il coimputato collegato
o connesso che ha reso dichiarazioni su fatti altrui viene sentito sugli stessi fatti come testimone assistito anche se
rende l’esame nel proprio procedimento
IL FATTO CHE CONCERNE LA RESPONSABILITA’ ALTRUI: non sempre l’imputato è in grado di riconoscere il fatto come
altrui dal momento che potrebbe assumere questa caratteristica solamente in un secondo tempo
IV. LA TESTIMONIANZA ASSISTITA DALL’IMPUTATO GIUDICATO (art. 197-bis, I): il secondo tipo di testimonianza
assistita è quella che viene resa dall’imputato dopo che la sentenza, che lo riguarda, è diventata irrevocabile, sia essa
una sentenza di proscioglimento, di condanna o di patteggiamento. L’imputato giudicato può essere sempre
chiamato (art. 197-bis, c. 1) come testimone assistito in un procedimento collegato o connesso, anche se non ha mai
reso dichiarazioni su fatti altrui o non ha ricevuto l’avviso previsto dall’art. 64, c. 3, lett. c. In questo caso l’imputato
connesso o collegato giudicato è testimone “permanente” → l’obbligo di rispondere secondo verità non è limitato al
fatto altrui per chi ha già reso dichiarazioni
La posizione processuale dell’imputato dopo che la sua sentenza è diventata irrevocabile dipende dalla formula
terminativa della sentenza medesima, 3 differenti situazioni a seguito delle decisioni della corte costituzionale:
- Patteggiamento: imputato condannato o al quale è stata applicata la pena su sua richiesta
Possono essere chiamati sempre come testimoni assistiti in un procedimento collegato, connesso anche se
non hanno mai reso dichiarazioni su fatti altrui o non hanno ricevuto l’avviso previsto
o Hanno l’obbligo di verità
o Le dichiarazioni da loro rese non possono però essere usate contro di loro in un eventuale processo
di revisione della sentenza di condanna o comunque in qualunque procedimento civile o
amministrativo relativo al fatto delle sentenze o dei procedimenti medesimi → privilegio contro
l’autoincriminazione anche su fatti diversi da quelli giudicati
o Non hanno il privilegio del giudicato, solamente quando questo è stato condannato con sentenza
irrevocabile non può essere obbligato a deporre sui fatti per i quali è stata pronunciata in giudizio
sentenza di condanna nei suoi confronti se nel procedimento aveva negato la propria responsabilità
o non aveva reso alcuna dichiarazione (non può essere invocato quindi dalla persona che abbia
patteggiato)
Si applicano tutte le disposizioni dell’art. 197 bis (assistenza difensiva, inutilizzabilità contra se delle
dichiarazioni, riscontri)
- Imputato prosciolto con formule terminative diverse dall’assoluzione perché il fatto non sussiste o per non
aver commesso il fatto

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Possono sempre essere chiamati come testimoni assistiti in un procedimento collegato o connesso anche se
non hanno reso dichiarazioni su fatti altrui o non hanno ricevuto l’avviso ex art. 64, III, lett. C. (se rende
dichiarazioni di fatti che riguardano terzi allora assumerà riguardo a questi l’ufficio di testimoni)
Non godono di alcun privilegio contro l’autoincriminazione riguardo a fatti che siano stati oggetto di
sentenza irrevocabile → l’interesse difensivo si è affievolito perché opera il ne bis in idem
Godono invece del privilegio contro l’autoincriminazione in relazione a fatti diversi da quello per cui si è
proceduto a loro carico
Si applicano tutte le disposizioni dell’art. 197 bis (assistenza difensiva, inutilizzabilità contra se delle
dichiarazioni, riscontri)
- Imputato assolto con formula piena perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto
Devono essere trattati in modo simile al testimone comune dal momento che l’assoluzione con la formula
piena sancisce la loro estraneità rispetto al fatto che viene comunque resa ancora più sicura dal principio ne
bis in idem
Devono quindi essere esaminati senza l’assistenza di un difensore e senza che sia indispensabile un riscontro
esterno
Rimane ferma la disciplina dell’inutilizzabilità contra se delle dichiarazioni rese
Gode del normale privilegio contro l’autoincriminazione in relazione a fatti diversi rispetto a quello per cui si
è proceduto a suo carico mentre per il resto è tenuto a rispondere secondo verità sul fatto proprio coperto
dalla sentenza irrevocabile
G. IL COLLABORATORE E IL TESTIMONE DI GIUSTIZIA
La legge 13 febbraio 2001, n. 45 ha reso meno stringenti i requisiti che consentono agli imputati ed ai condannati di
diventare collaboratori di giustizia, oltre che per ottenere misure di protezione e benefici processuali e penitenziari
ed ha accumunato il testimone di giustizia al collaboratore di giustizia dettandone una disciplina del tutto nuova
COLLABORATORE DI GIUSTIZIA: la persona che ha manifestato la volontà di collaborare per un delitto di tipo
terroristico, mafioso o assimilato
- È ammessa a misure di protezione se si trova in una situazione di grave e attuale pericolo per effetto della
collaborazione
- Ha diritto a benefici sia in relazione alle misure cautelai che a quelle definitive (deve espiare almeno ¼ della
pena o 10 anni nel caso in cui si tratti di ergastolo)
Entro 180 giorni, deve fornire al pm tutte le informazioni in suo possesso che siano utili:
- Alla ricostruzione dei fatti e delle circostanze sulle quali è interrogato
- Alla ricostruzione degli altri fatti di maggiore gravità ed allarme sociale di cui è a conoscenza
- Alla individuazione e alla cattura dei loro autori
- Alla individuazione, sequestro e confisca di denaro, beni e ogni altra utilità di cui egli o gli altri appartenenti a
gruppi criminali dispongono sia direttamente che indirettamente
Le sue dichiarazioni sono annotate nel verbale illustrativo de contenuti della collaborazione → con la sottoscrizione
di questo, il collaboratore si impegna a rendere dichiarazioni su quei fatti propri o altrui che sono riconducibili alle
informazioni in esso contenute pena la perdita dei benefici del programma di protezione
TESTIMONE DI GIUSTIZIA: specificità della sua figura →
- La legge ne ha fornito una definizione precisa:
o Deve aver reso dichiarazioni di fondata attendibilità intrinseca e rilevanti per le indagini o il giudizio
o Si trova in una situazione di grave, attuale e concreto pericolo rispetto alla quale le ordinarie misure
di sicurezza non bastano
o Non ha riportato condanne per delitti dolosi o preterintenzionali né ha tratto profitto dal contatto
con il contesto del delitto (sono comunque ammessi atteggiamenti che avrebbero potuto essere
penalmente rilevanti a causa dell’assoggettamento a singoli o all’associazione
o Non è stato sottoposto a misure di prevenzione
- Gli viene data una protezione preferibilmente nel luogo di origine con misure di sostegno economico e
reinserimento
- Ha l’assistenza di un referente che lo accompagna in tutto il percorso fino all’inserimento nel piano
provvisorio di protezione e che fa da sostegno psicologico nei rapporti con le istituzioni
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- Nei suoi confronti si usano incidente probatorio ed esame a distanza
4. Confronti, ricognizioni ed esperimenti giudiziali
A. CONSIDERAZIONI PRELIMINARI
Alcuni mezzi di prova hanno in comune il fatto che durante la loro assunzione il giudice ha un vero e proprio potere
di direzione mentre le parti si limitano a controllare che l’atto si svolga in modo regolare (ex: niente esame
incrociato)
B. IL CONFRONTO
Il confronto consiste nell’esame congiunto di due o più persone (testimoni o parti) che siano già state esaminate o
interrogate, quando vi è disaccordo tra di esse su fatti e circostanze importanti.
Le modalità di svolgimento danno rilievo al potere del giudice che richiamando i soggetti delle precedenti
dichiarazioni, chiede se le confermano e le invita a contestare reciprocamente le dichiarazioni contrastanti
Si richiede:
- Un disaccordo tra più persone su fatti e circostanze importati
- Necessità che le persone da mettere a confronto siano già state esaminate o interrogate
Il giudice può quindi ammettere il confronto a cui partecipino uno o più testimoni o anche imputati, tranne che
questi ultimi non si possono avvalere del diritto al silenzio
C. LA RICOGNIZIONE
La ricognizione può essere definita come il mezzo di prova mediante il quale, ad una persona che abbia percepito
con i propri sensi una persona o una cosa, si chiede di riconoscerla individuandola tra altre simili.
Viene disciplinata minuziosamente e anche solo un aspetto di irregolarità rende inattendibile quanto ottenuto
L’atto può essere compiuto nel corso del dibattimento o nell’incidente probatorio e si svolge nel rispetto del
contraddittorio tra le parti.
Il potere direttivo del giudice si manifesta sia negli atti preliminari che anche durante la stessa
INTERVISTA AL RICOGNITORE (art. 213): il giudice invita colui che deve eseguire la ricognizione, il ricognitore, a
descrivere la persona che ha visto indicando tutti i particolari che ricorda
Quindi gli chiede:
- Se è stato chiamato in precedenza ed eseguire il riconoscimento
- Se prima o dopo il fatto per cui si procede abbia visto altrove anche in foto la persona che deve riconoscere
- Se ci sono circostanze che possono influire sull’attendibilità del riconoscimento, quindi se la persona gli è
stata descritta o che
Nel verbale viene fatta menzione degli adempimenti e delle dichiarazioni rese a pena di nullità della ricognizione (dal
momento che sono proprio previste per garantire l’attendibilità di questa)
LA PREDISPOSIZIONE DELLA SCENA (art. 214): in assegna del ricognitore, il giudice chiede che siano presenti almeno
2 persone, i distrattori, che assomigliano a quella sottoposta a ricognizione anche nell’abbigliamento invitando poi la
persona che deve essere riconosciuta a scegliere il suo posto rispetto alle altre persone facendo attenzione a
presentarsi come era stata vista dal ricognitore
TENTATIVO DI RICONOSCIMENTO: il giudice, quando entra il ricognitore, gli chiede se riconosce uno dei presenti
informandolo anche del fatto che l’indiziato potrebbe non esserci
Se il ricognitore afferma di riconoscere qualcuno, il giudice lo invita a indicarlo e a precisare se ne è certo → tutte le
modalità di svolgimento della ricognizione devono essere menzionate nel verbale a pena di nullità, indicando
dunque:
- Numero dei distrattori
- Somiglianza
- Lo scegliere del posto
- Le modalità della domanda
Non occorre sottolineare il rispetto delle disposizioni ma queste caratteristiche sì dal momento che potrebbero
compromettere l’attendibilità del risultato probatorio a causa dell’influenza che potrebbero avere sul ricognitore
Se il ricognitore può subire intimidazioni dalla persona che deve riconoscere allora il giudice può disporre che il
ricognitore rimanga nascosto a questo
Anche qualora si debba riconoscere una cosa, il giudice deve seguire modalità analoghe mettendole accanto almeno
altre 2 cose simili
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Anche l’imputato può essere ricognitore e ha diritto al silenzio
Nonostante si possa svolgere anche durante il dibattimento comunque la ricognizione di norma si tiene durante le
indagini nella forma di:
- Incidente probatorio
- Individuazione quale atto di iniziativa del pm (forma non garantita)
D. ESPERIMENTO GIUDIZIALE
Viene ammesso quando si deve accertare che un fatto sia avvenuto in un determinato modo, quindi si riproduce
quando fedelmente possibile la situazione di svolgimento dello stesso ripetendola
Dal momento che comunque il fatto storico è irripetibile si valuta la verosimiglianza della ricostruzione alle modalità
di svolgimento
Il giudice dirige lo svolgimento delle operazioni, potendo anche d’ufficio designare un esperto per l’esecuzione di
quelle che richiedono specifiche conoscenze
5. La perizia e la consulenza tecnica di parte
A. PREMESSA TERMINOLOGICA
PERITO: corrispondente del CONSULENTE TECNICO D’UFFICIO nominato nel processo civile, mentre per quanto
riguarda il consulente tecnico di parte la definizione rimane invariata
PERIZIA: è un mezzo di prova finalizzato ad integrare le conoscenze del giudice con quelle di un esperto. Essa deve
essere disposta dal giudice quando occorre compiere una valutazione per la quale sono necessarie specifiche
competenze tecniche, scientifiche o artistiche. La perizia adempie alle tre seguenti funzioni:
- Svolgere indagini per acquisire dati probatori;
- Acquisire gli stessi dati selezionandoli e interpretandoli;
- Effettuare valutazioni sui dati già acquisiti (art. 220, c. 1).
Il perito quindi percepisce quei dettagli della faccenda che solo una persona esperta della materia può cogliere,
applica una legge scientifica propria della sua specializzazione al fatto noto in modo da accertarne l’esistenza
LA PROVA SCIENTIFICA: prova che, partendo da un fatto dimostrato, utilizza una legge scientifica per accertare
l’esistenza di un ulteriore fatto da provare → rientra nella categoria della prova critica o indizio, dal momento che il
rapporto tra fatto noto e da provare viene espresso da una regola
Legge scientifica: legge che esprime una relazione certa o statisticamente significativa tra due fatti della natura → fin
quando può essere conosciuta ed applicata dal giudice non c’è bisogno dell’esperto, che diventa necessario
solamente quando le conoscenze richieste (scientifiche, tecniche o artistiche) siano specifiche
Competenza specifica: nozione elastica e variabile comunque nel tempo, dal momento che comunque poco alla volta
diventano di comune disposizione
Mentre il testimone espone un fatto, il perito da una valutazione sul fatto per precisare la legge scientifica che vi va
applicata → la perizia può anche essere una prova rappresentativa di ciò che il perito ha fatto o percepito
nell’adempimento dell’incarico
Stesa funzione ha anche la CONSULENZA TECNICA DI PARTE ALL’INTERNO DELLA PERIZIA oltre che comunque FUORI
DAI CASI DI PERIZIA
B. LA PERIZIA
Rispetto agli altri strumenti di conoscenza e di valutazione, la perizia si caratterizza per essere un “mezzo di prova”
particolarmente garantito: sin dalla fase del conferimento dell’incarico si instaura un contraddittorio tra il perito ed i
consulenti delle parti, i quali possono assistere alle operazioni ed avanzare osservazioni e richieste → il giudice ha il
potere di formulare definitivamente i quesiti, dopo comunque aver sentito perito, consulenti tecnici, pm e difensori
presenti
Dal momento che l’accertamento e i relativi esiti spetta al perito, le parti possono solamente dimostrare l’erroneità
o lacunosità della perizia → funzione paragiudiziale del perito, risolve questioni tecnico-scientifiche e fornisce un
aiuto al giudice
L’esecuzione della perizia ha molti vantaggi:
- Ridurre il rischio di errori favorendo il confronto tra esperti
- Economizzare tempo e risorse
- Fare in modo che l’esperto del giudice non persegua interessi di parte

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- Scelta obbligata comunque quando le parti non sono in grado di operare un proprio accertamento mediante
consulenti tecnici
L’AMMISSIONE DELLA PERIZIA: può essere disposta sia su richiesta di parte che anche d’ufficio dal giudice quando ne
senta la necessità
Durante le indagini può essere svolta nella forma dell’incidente probatorio, quindi solamente a richiesta del pm e
dell’indagato: viene disposta dal giudice per le indagini preliminari quando la persona, le cose o i luoghi da
esaminare
- Sono soggetti a modificazione non evitabile
- Quando la perizia durerà più di 60 giorni
LA SCELTA DEL PERITO: il giudice deve scegliere una persona iscritta in appositi albi esistenti presso il singolo
tribunale o, eccezionalmente, al di fuori tra comunque coloro che siano muniti di particolare competenza tecnica di
cui ne deve essere data motivazione
IL CONFERIMENTO DELL’INCARICO: il perito deve presentarsi in udienza e obbligarsi ad adempiere al suo ufficio
secondo verità → la formulazione dei quesiti spetta al giudice con la garanzia del contraddittorio, dal momento che
sono sentiti prima perito, parti e consulenti tecnici
Il giudice solamente dopo aver sentito le parti presenti formula i quesiti definitivi
I consulenti possono assistere allo svolgimento della perizia, presentare al giudice le osservazioni e riserve oltre che
proporre specifiche indagini
L’ATTIVITA’ DI PERITO: il perito ha propri poteri di direzione ed impulso anche se comunque rimane sotto il controllo
del giudice quando
- Prende contatto con il materiale probatorio
- Occorre risolvere questioni relative ai propri poteri: può prendere visione solamente degli atti acquisibili al
fascicolo per il dibattimento
Il giudice ha comunque il potere di adottare tutti gli altri provvedimenti che si rendono necessari per l’esecuzione
delle operazioni peritali (art. 227, V)
LA RELAZIONE PERITALE: prodotto finale dell’attività, di norma si dovrebbe svolgere oralmente anche se su
autorizzazione del giudice anche per iscritto (art. 227, V) → di norma il perito ottiene sempre l’autorizzazione per la
forma scritta
Su richiesta di parte comunque il perito dopo aver presentato la relazione può essere sottoposto ad esame
incrociato per recuperare il contraddittorio anche sulla prova scientifica
Il giudice non è vincolato alla perizia perché può disattenderne i risultati dandone però motivazione nella sentenza
DIVIETO DI PERIZIA CRIMINOLOGICA: l’art. 220 c. 2 pone il divieto di ammissione di perizie volte ad accertare «il
carattere e la personalità dell’imputato e in genere le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche»;
parimenti sono vietate le perizie tendenti a stabilire «l’abitualità o la professionalità nel reato» e la «tendenza a
delinquere». In definitiva, sono ammesse sull’imputato soltanto quelle perizie che tendono ad accertare una malattia
mentale. La ratio del divieto può essere rinvenuta nell’esigenza di tutelare la presunzione di innocenza dell’imputato.
Gli accertamenti criminologici sulla personalità del soggetto potrebbero condizionare il giudizio sulla reità
dell’imputato in relazione a quel fatto che deve essere accertato nel processo, violando principi fondamentali del
diritto penale come quello di materialità.
Questi accertamenti poi si esplicano con intrusioni nella psiche e nel passato dell’imputato comportando la
violazione della sua riservatezza → non è comunque compatibile con la presunzione di innocenza
C. CONSULENTE TECNICO DI PARTE ALL’INTERNO DELLA PERIZIA
Quando è stata disposta la perizia, le parti possono nominare i propri consulenti tecnici in numero non superiore a
quello dei periti (art. 225, I)
Al consulente tecnico si applicano le stesse cause di incapacità e incompatibilità previste per il perito → chi è
chiamato come testimone non può essere nominato consulente tecnico
Le parti private non devono scegliere per forza il loto consulente all’interno di albi ma sarebbe meglio perché
andrebbe a garantire la credibilità della persona; mentre il pm di regola deve sceglierlo egli albi dei periti
I consulenti possono assistere al conferimento dell’incarico e presentare al giudice richieste, osservazioni e riserve
delle quali di cui viene fatta menzione nel verbale

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Se nominati dopo l’esaurimento delle operazioni peritali, i consulenti possono conoscere le relazioni e chiedere al
giudice di essere autorizzati ad esaminare la persona, la cosa o il luogo oggetto della perizia
Di norma, le disposizioni sono le stesse che valgono per il perito tranne che per alcune deroghe espressamente
previste dal codice → stesso oggetto (indagini o valutazioni che richiedono conoscenze specifiche), limiti (divieto di
accertamenti su carattere e personalità dell’imputato) e strumento (esame incrociato)
Non ha a differenza del perito però l’obbligo di verità, anche se comunque una eventuale bugia potrebbe inficiare
sull’attendibilità della sua valutazione
NATURA DELLA CONSULENA TECNICA DI PARTE: è sia espressione della difesa tecnica che anche mezzo di prova
scientifica, tecnica o artistica
D. IL CONSULENTE TECNICO DI PARTE FUORI DAI CASI DI PERIZIA
Nuovo istituto del codice dell’88 per attuare il diritto delle parti alla prova per esperti → sia il pm che le parti private
possono farsi assistere da specialisti per raccogliere elementi di prova scientifica, tecnica e artistica a prescindere del
fatto che il giudice abbia ammesso o meno la perizia
Può fornire al giudice valutazioni necessarie per motivare la decisione: il consulente delle parti private e del pm sono
sentiti in dibattimento con esame incrociato su domande del pm e del difensore, mentre nell’udienza preliminare le
domande le pone il giudice
Nonostante la natura di mezzo di prova non sia espressamente attribuita dal codice, l’ha fatto invece la corte
costituzionale secondo la quale dal momento che i consulenti possono offrire al giudice elementi utili per la
decisione, rendono superflua la nomina del perito → dal momento che comunque sono valutazioni che il giudice non
può compiere da solo, deve scegliere se disporre la perizia o utilizzare le valutazioni operate da un consulente
tecnico di parte
L’OGGETTO DELLA CONSULENZA DI PARTE: con la nomina del consulente, ciascuna parte ha il diritto di tentare di
convincere il giudice applicando la legge scientifica che ritiene più corretta → viene eliminato il filtro della necessaria
presenza del perito tra giudice ed esperti di parte
Il consulente propone valutazioni tecniche che si traducono in memorie scritte e possono essere oggetto di
deposizione orale nell’esame incrociato previsto ex art. 501 (secondo il quale si applicano anche a loro le disposizioni
dei testimoni)
Il consulente nominato da una parte privata può:
- Svolgere investigazioni difensive per trovare elementi di prova
- Conferire con le persone che possono dare informazioni
- Visionare, previa autorizzazione, il materiale che l’autorità giudiziaria ha posto sotto sequestro
Il difensore della parte privata può scegliere se presentare o meno al giudice gli elementi di prova che siano stati
raccolti dal consulente tecnico
LA NOMINA DEL CONSULENTE DI PARTE: la facoltà viene concessa a ciascuna parte, intendendosi sia persona offesa
che indagato che nelle indagini preliminari sono parti potenziali → max due difensori
Stesse situazioni di incompatibilità della consulenza tecnica endoperitale → non può quindi essere nominato
consulente tecnico chi è chiamato a prestare l’ufficio di testimone, quindi se un tecnico è a conoscenza del fatto
oggetto di prova la legge gli preclude l’ufficio di consulente attribuendo maggiore importanza a quello di testimone,
con il conseguente obbligo di verità
Il consulente tecnico è fonte di conoscenza singolare che le parti possono sottoporre al giudice per incidere sul suo
convincimento → spetta quindi alle parti l’onere di fornire prove mediante i loro esperti, salvo comunque il potere
officioso del giudice di interpellare un perito di propria fiducia
E. LA VALUTAZIONE DELLA PERIZIA E DELLA CONSULENZA TECNICA DI PARTE
Il giudice deve esporre nella motivazione della sentenza perché ritiene attendibile la prova su cui si fonda la sua
decisione e di conseguenza perché non le prove contrarie → non gli si può imporre una motivazione tecnica, dal
momento che si svaluterebbe il presupposto stesso della perizia (acquisire informazioni tecniche di competenze che
il magistrato non ha)
È necessario che il giudice dimostri di aver preso in considerazione le differenti ricostruzioni tecniche e di averle
scartate sulla base di motivi oggettivi → secondo la giurisprudenza, il giudice quando presceglie una tesi scientifica
deve dare ragione del perché l’ha preferita

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Assoluta centralità dell’esame incrociato a cui possono essere sottoposti gli esperti dal momento che è lo strumento
mediante il quale si possono convincere il giudice, che sarà quindi portato a ritenere più attendibili le conclusioni di
un esperto che identificando una legge scientifica valida, riesca a provarne l’applicabilità del caso concreto
LA VALUTAZIONE DELL’AFFIDABILITA’ DEL METODO SCIENTIFICO: è fondamentale che il controesame verta
sull’analisi della teoria di riferimento accolta dal tecnico → per valutarne l’attendibilità, il giudice deve motivare:
- Se il consulente in concreto ha una specifica idoneità ad espletare l’incarico affidatogli
- Se la teoria a cui ha fatto riferimento può essere verificata o smentita
- Se la teoria sia stata oggetto di pubblicazione scientifica ed esaminata da altri esperti
- Se è conosciuto il coefficiente di errore relativo alla teoria proposta
- Se la teoria prospettata sia attuale o abbia subito nel tempo revisioni o aggiornamenti
Chi conduce l’esame può così dimostrare la differenza tra e conclusioni che derivano da studi validi e verificabili e
quelle basate su deduzioni tratte da teorie speculatine non convalidate
La prova scientifica deve essere collocata nel quadro delle altre risultanze processuali → il giudice deve quindi
valutare la coerenza con le altre prove raccolte nel procedimento, spiegando se hanno eliminato ogni ragionevole
dubbio sulla ricostruzione dell’accusa o se invece sia sorto il ragionevole dubbio
Secondo il criterio della probabilità logica, il giudice pronuncia sentenza di condanna quando le risultanze
determinano la certezza processuale, cioè una spiegazione concreta molto credibile razionalmente al di là di ogni
ragionevole dubbio
F. RIEPILOGO
- Alla perizia si applicano le regole generali sulla prova, quindi la materia scientifica/artistica/tecnica non è
incompatibile con esse né immune → sono comunque necessari adattamenti che considerino la peculiarità
della prova per esperti rispetto alla prova personale e reale
- La perizia viene ammessa anche su richiesta di parte anche se eccezionalmente può essere disposta anche
d’ufficio → sfugge alla totale disponibilità della prova, dal momento che il giudice la può richiedere a
prescindere dal fatto che le parti abbiano nominato un consulente tecnico o abbiano espletato un
accertamento tecnico non ripetibile
- All’ammissione della perizia bisogna dimostrare la scientificità del metodo e la competenza dell’esperto, da
cui poi dipende comunque l’affidabilità della persona
- Si richiedono occorrenza e specificità, nel senso che la perizia deve dimostrare di essere utile ed idonea a
provare un fatto la cui valutazione richiede conoscenze che vanno oltre al sapere comune → devono
comunque essere esaminati in contraddittorio, il provvedimento ammissivo è sindacabile con
l’impugnazione della sentenza
- Il giudice ha il dovere di ammettere la perizia sia quando le parti lo chiedono che quando comunque
rimangono inerti
- Dal momento che il giudice è obbligato a nominare un esperto, l’imputato ha un diritto alla prova peritale in
modo simile a quanto accade per la prova dichiarativa → nonostante non vi siano ostacoli al recepimento
dei precetti costituzionali, la giurisprudenza nega alle parti il diritto all’assunzione della prova peritale poiché
è ancora legata alla concezione mista del codice precedente e ritiene che la perizia sia una prova neutra
G. LA PERIZIA CHE RICHIEDE ATTI IDONEI AD INCIDERE SULLA LIBERTA’ PERSONALE
Può accadere che nel corso della perizia si renda necessario compiere atti idonei ad incidere sulla libertà personale
dell’indagato o di altre persone: (prelievi di campioni biologici finalizzati all’estrazione del profilo del DNA).
I PRELIEVI CON IL CONSENSO DELL’INTERESSATO: non scatta la necessità di tutelare la libertà personale, i prelievi e
gli accertamenti possono essere quindi effettuati durante le attività peritali e le loro tipologie non richiedono una
elencazione tassativa → solo limite ex art. 5 c.c. sulla disposizione del proprio corpo: non si può acconsentire ad atti
che comportino una diminuzione permanente dell’integrità fisica o psichica e che ledano la propria dignità
I PRELIEVI E GLI ACCERTAMENTI COATTIVI: qualora l’individuo non presti il proprio consenso, trova applicazione la
disciplina tratteggiata dal nuovo art. 224-bis → si vuole tutelare la libertà ma anche l’esigenza di accertamento del
reato, che costituisce comunque secondo la corte costituzionale il valore primario sul quale si fonda ogni
ordinamento ispirato al principio di legalità
- Anzitutto, la norma precisa la tipologia di reati in relazione ai quali attività del genere possono essere
disposte (art. 224-bis, c. 1). La perizia coattiva è consentita quando si procede per un delitto doloso o
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preterintenzionale, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della
reclusione superiore nel massimo a tre anni, oppure per delitti colposi di omicidio stradale e lesioni personali
stradali
- In secondo luogo, occorre che la perizia risulti assolutamente indispensabile per la prova dei fatti → il
giudice ne dovrà dare conto nella motivazione dell’ordinanza che dispone la perizia coattiva
- In terzo luogo, ai sensi dell’art. 224-bis, c. 1, l’esecuzione coattiva concerne gli «atti idonei ad incidere sulla
libertà personale, quali il prelievo di capelli, di peli o di mucosa del cavo orale su persone viventi ai fini della
determinazione del profilo del DNA o accertamenti medici» → a causa del principio di tassatività devono
essere espressamente previsti dalla legge
LIMITI: non possono in alcun caso essere disposte «operazioni che contrastano con espressi divieti posti dalla legge»;
che possano «mettere in pericolo la vita, l’integrità fisica o la salute della persona o del nascituro»; che «secondo la
scienza medica, possano provocare sofferenze di non lieve entità» (art. 224-bis, c. 4) → il parlamento ha deciso di
non elencare tassativamente le fattispecie dal momento che avrebbe ostacolato il progresso tecnologico in materia e
l’impiego dei nuovi ritrovati
Le operazioni peritali sono comunque eseguite «nel rispetto della dignità e del pudore di chi vi è sottoposto»; a parità
di risultato, sono prescelte comunque le tecniche meno invasive (art. 224-bis, c. 5).
L’ORDINANZA CHE DISPONE LA PERIZIA COATTIVA: la perizia coattiva viene disposta con ordinanza motivata (art.
224-bis, c. 2). L’ordinanza reca quelle stesse indicazioni che sono contenute nel provvedimento che dispone la
comune perizia: essa contiene la nomina del perito, la sommaria enunciazione del giorno dell’ora e del luogo fissati
per la comparizione dello stesso. Inoltre, il provvedimento che dispone la perizia coattiva deve contenere a pena di
nullità:
- Le generalità della persona da sottoporre all’esame e quanto altro valga ad identificarla;
- L’indicazione del reato per cui si procede, con la descrizione sommaria del fatto;
- L’indicazione specifica del prelievo o dell’accertamento da effettuare e delle ragioni che lo rendono
assolutamente indispensabile per la prova dei fatti;
- L’avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore o da persona di fiducia;
- L’avviso che, in caso di mancata comparizione non dovuta a legittimo impedimento, potrà essere ordinato
l’accompagnamento coattivo;
- L’indicazione del luogo, del giorno e dell’ora stabiliti per il compimento dell’atto e delle relative modalità.
REGOLAMENTAZIONE: l’ordinanza è notificata all’interessato, all’imputato e al suo difensore nonché alla persona
offesa almeno tre giorni prima di quello stabilito per l’esecuzione delle operazioni peritali. Qualora l’interessato non
compaia senza addurre un legittimo impedimento, il giudice può disporre l’accompagnamento coattivo, nel luogo,
nel giorno e nell’ora stabiliti (art. 224-bis, c. 6). La persona sottoposta ad accompagnamento coattivo non può essere
tenuta a disposizione oltre il compimento dell’atto previsto e di quelli consequenziali per i quali perduri la necessità
della sua presenza. In ogni caso, la persona non può essere trattenuta oltre le ventiquattro ore (art. 132, c. 2).
La perizia si svolge a pena di nullità con la presenza necessaria del difensore della persona interessata
6. La perizia documentale
A. LA DEFINIZIONE DI DOCUMENTO
Il documento è quella rappresentazione di un fatto che è incorporata su di una base materiale con un metodo
analogico o digitale. Da ciò si ricava che il concetto di documento comprende quattro elementi:
- Il fatto rappresentato. Nel concetto di fatto rappresentato devono essere ricompresi sia i “fatti, persone o
cose”, sia i contenuti di pensiero che sono espressi nelle dichiarazioni di scienza o di volontà. Pertanto, il
fatto rappresentato è, in sintesi, tutto ciò che può essere oggetto di prova.
- La rappresentazione. La rappresentazione è la riproduzione di un fatto. Le modalità di rappresentazione sono
le più varie: parole, immagini, suoni o gesti.
- L’incorporamento è l’operazione mediante la quale la rappresentazione è fissata su di una base materiale.
L’art. 234 cita la scrittura accanto alla fotografia, alla fonografia e alla cinematografia, ma lascia la possibilità
che l’incorporamento avvenga con «qualsiasi altro mezzo»; oggi i metodi di incorporamento sono due:
quello analogico e quello digitale:
- La base materiale sulla quale è incorporata la rappresentazione può essere la più varia. È sufficiente
l’idoneità a conservare la rappresentazione al fine di riprodurla quando occorra, non che sa particolarmente
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durevole anche se comunque ciò rimane particolarmente auspicabile. La base materiale può essere la
tradizionale carta, il nastro magnetico o il più moderno supporto informatico.
Il codice non contiene una definizione espressa di documento ma pone 2 requisiti:
- Negativo: l’oggetto rappresentato deve essere un atto o un fatto differente dagli atti processuali compiuti
nel procedimento nel quale il documento è acquisito
- Positivo: art. 234, I, è sufficiente uno scritto o comunque un altro oggetto idoneo a rappresentare una cosa,
una persona o un fatto
LA DOCUMENTAZIONE: quando l’oggetto rappresentato è un atto del medesimo procedimento, normalmente
consiste nel verbale → atto del procedimento, atto che persegue la finalità del procedimento e che viene compiuto
da uno dei soggetti legittimati quindi giudice, pm, poliia giudiziaria e difensori
La documentazione rappresenta quindi atti processuali compiuti in quel procedimento nel quale la documentazione
è effettuata
La sua normativa segue le disposizioni generali (134-142) più comunque una disciplina speciale per i singoli atti →
l’utilizzabilità della documentazione dipende dal singolo atto di cui si tratta
IL DOCUMENTO: rappresenta un fatto o un atto differente all’atto processuale compiuto nel procedimento nel quale
il documento è acquisito → in quanto mezzo di prova, è utilizzabile in dibattimento
B. DOCUMENTO ANONIMO
La prova documentale può essere valutata dal giudice nella sua attendibilità quando è noto l’autore del documento.
Infatti all’autore, chiamato a deporre, possono essere rivolte le domande che servono a valutarne la credibilità e
l’attendibilità (art. 194, c. 2). Una verifica del genere non può avvenire quando è ignoto l’autore del documento. In
tal caso, infatti, risulta impossibile ricercare gli elementi di prova che servono a valutare la credibilità.
Un processo è giusto quando permette all’imputato di confrontarsi con il suo accusatore e non sarebbe possibile in
caso di documento anonimo
Si definisce anonima quella rappresentazione della quale non è identificabile l’autore. Il codice distingue l’ipotesi in
cui il documento contenga una dichiarazione anonima dall’ipotesi in cui il documento contenga una
rappresentazione diversa dalla dichiarazione (ad esempio, una foto). Nel solo caso in cui si sia in presenza di una
“dichiarazione” anonima, il codice prevede la sanzione dell’inutilizzabilità. Pertanto, una lettera anonima che
contiene la narrazione di un fatto non è utilizzabile. Del documento anonimo che contenga una rappresentazione
diversa dalla dichiarazione il codice non dà alcuna regolamentazione. Poiché è posto come regola generale il libero
convincimento del giudice, ne deriva che le ipotesi di inutilizzabilità di elementi di prova devono essere previste
espressamente.
Quindi, si può concludere che i documenti anonimi non dichiarativi possono essere utilizzati. Ad esempio da una
foto, della quale è ignoto l’autore, sarà possibile ricavare che una persona era viva alla data riportata sul giornale,
che la medesima teneva in mano
LA VERIFICA DELLA PROVENIENZA: il codice prevede che il documento possa essere sottoposto alle parti private o ai
testimoni «se occorre verificarne la provenienza» (art. 239) → il documento cessa di essere anonimo quando il suo
autore ne riconosce la paternità (se ne ricava quindi una definizione di anonimo come di rappresentazione della
quale non è stato verificato l’autore. Una volta accertato l’autore della dichiarazione, essa non è più anonima e,
pertanto, diventa utilizzabile → bisogna sempre però valutare la credibilità della dichiarazione e del suo autore
L’assenza della sottoscrizione o la sottoscrizione illeggibile (o di fantasia) dà luogo al documento soltanto
formalmente anonimo. Infatti, se vi è riconoscimento, il documento non è più sostanzialmente anonimo.
L’autore della rappresentazione può anche essere individuato con un altro mezzo di prova ex: perizia
IL VALORE PROBATORIO: diverso è il problema del valore probatorio che si deve dare alla dichiarazione che non sia
stata sottoscritta dall’autore col proprio nome, quando l’autore della stessa sia stato comunque identificato
mediante perizia o riconoscimento espresso. La mancata sottoscrizione col proprio nome dimostra che l’autore non
ha voluto impegnare la propria responsabilità nel fare una determinata dichiarazione. Si pone un problema di
credibilità della fonte e di attendibilità della rappresentazione; infatti ci si può chiedere che cosa avesse da
nascondere l’autore della dichiarazione, se non ha voluto sottoscriverla, evitando così di impegnare la propria
responsabilità → non è comunque impossibile attribuirle un valore probatorio, è solamente più difficile

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LE DICHIARAZIONI ANONIME INUTILIZZABILI: il codice prevede due eccezioni al divieto di utilizzare il documento
contenente dichiarazioni anonime. In base all’art. 240 sono utilizzabili le dichiarazioni che costituiscono corpo del
reato e quelle che comunque provengano dall’imputato.
- La prima eccezione costituisce un’applicazione dell’art. 235, che impone che il corpo del reato sia sempre
acquisito al procedimento. Da ciò si ricava che le dichiarazioni anonime sono ammesse soltanto in quel
procedimento penale nel quale esse costituiscono il corpo del reato, quindi o quando mediante loro il reato
è stato commesso o quando ne costituiscono profitto, prodotto o prezzo
- La seconda eccezione permette di utilizzare quella dichiarazione anonima che provenga “comunque”
dall’imputato (art. 240, c. 1).
C. LA DISCIPLINA DI DETERMINATI DOCUMENTI
DOCUMENTI DI CUI È VIETATA L’ACQUISIZIONE: pena l’inutilizzabilità dell’elemento di prova che se ne potrebbe
ricavare, ex art. 234, III viene vietata l’acquisizione di documenti che contengono informazioni sulle voci correnti nel
pubblico intorno ai fatti di cui si tratta nel processo
Viene posto in generale il divieto di utilizzazione dei documenti sulla moralità delle persone che partecipano al
procedimento penale ma ne vengono poste delle eccezioni
DOCUMENTI DI CUI È OBBLIGATORIA L’ACQUISIZIONE: il codice pone l’obbligo di acquisire i documenti che
costituiscono corpo del reato «qualunque sia la persona che li abbia formati o li detenga» (art. 235). Ai sensi dell’art.
253, c. 2, sono corpo del reato «le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso nonché le cose che
ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo». Inoltre è consentita l’acquisizione anche d’ufficio di qualsiasi
documento proveniente dall’imputato, anche se sequestrato presso altri o da altri prodotto.
D. L’USO DI ATTI DI ALTRI PROCEDIMENTI
L’art. 238 permette alle parti di ottenere che siano acquisite le prove che sono state raccolte in un altro
procedimento penale o civile → esigenza di rispettare il contraddittorio sia oggettivo che oggettivo
Gli atti di un procedimento quindi anche se considerati formalmente un documento nella sostanza sono
documentazione di atti di carattere procedimentale → regime di utilizzabilità simile a quello della documentazione
degli atti assunti fuori dibattimento
Regime differente a seconda della tipologia di atti:
- Non ripetibili. I verbali degli atti non ripetibili sono utilizzabili in due ipotesi:
o Se si tratta di impossibilità di ripetizione originaria (es. accertamenti tecnici non ripetibili);
o Se si tratta di non ripetibilità sopravvenuta, purché essa sia dovuta a circostanze non prevedibili nel
momento in cui l’atto è stato compiuto (es. verbali di sommarie informazioni rese da un possibile
testimone successivamente deceduto).
- Ripetibili. L’art. 238 effettua una ulteriore distinzione tra i verbali di dichiarazioni e quelli di prove non
dichiarative
o Prove dichiarative. Distinzione a seconda della sede in cui sono state assunte
▪ Verbali delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini. Sono utilizzabili in due ipotesi:
• Se l’imputato del procedimento ad quem vi consente;
• In mancanza di consenso dell’imputato, le dichiarazioni sono utilizzabili se la persona
viene esaminata nel procedimento ad quem nei limiti della disciplina delle
contestazioni previste dagli artt. 500 e 503;
La norma effettua un rinvio all’intero disposto delle due norme richiamate, in quanto
compatibili
▪ Verbali delle dichiarazioni assunte in incidente probatorio o in dibattimento. Sono utilizzabili
sia nelle due ipotesi appena menzionate sia in assenza di tali condizioni, se il difensore
dell’imputato del procedimento ad quem ha partecipato all’assunzione della prova (art. 238,
c. 2-bis) → trova applicazione a prescindere dalla qualifica soggettiva dei dichiaranti
▪ Le dichiarazioni rese in un giudizio civile chiuso con sentenza irrevocabile. Sono utilizzabili
contro l’imputato, se nei suoi confronti fa stato la sentenza civile (c. 2). Dal momento che poi
il giudice civile fra stato tra le parti, i loro eredi ed aventi causa, per il legislatore il solo fatto
di essere erede o avente diritto di una persona che è stata parte nel procedimento civile

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legittima l’utilizzabilità della prova lì formata nei confronti dell’imputato del procedimento
penale
o Prove non dichiarative. Le prove non dichiarative che siano ripetibili e provengano dal procedimento
a quo risultano utilizzabili nel procedimento ad quem soltanto se si tratta di dati raccolti
nell’incidente probatorio, nel dibattimento o nel giudizio civile concluso con sentenza irrevocabile.
IL DIRITTO DI ESAMINARE L’AUTORE DELLE DICHIARAZIONI: limite generale dell’usare prove o atti di un altro
procedimento, le parti del procedimento ad quem hanno il diritto di ottenere l’esame della persona le cui
dichiarazioni sono state acquisite purché l’atto sia ripetibile (art. 238, c. 5). Se l’esame ha luogo, la lettura dei verbali
di dichiarazioni può avvenire soltanto dopo che la persona è stata interrogata → viene valorizzato il principio
secondo al quale non può essere provata la colpevolezza dell’imputato sulla base di dichiarazioni di chi
volontariamente si è sempre sottratto all0interrogatoio dell’imputato o del suo difensore
LE SENTENZE IRREVOCABILI: infine, l’art. 238-bis consente che le sentenze irrevocabili possano essere «acquisite ai
fini della prova di (un) fatto in esse accertato». Ne consegue che la decisione può essere utilizzata al fine di ritenere
provato il fatto accertato nella sentenza.
Il codice pone come condizione il fatto che vi siano riscontri esterni che ne confermano l’attendibilità → le parti sono
ammesse a provare il contrario
E. DOCUMENTI ILLEGALI
L’art. 240 c. 2 disciplina due peculiari categorie di documenti, predisposti attraverso lo spionaggio e il dossieraggio
illeciti. La norma appena ricordata commina in relazione ad essi la sanzione della inutilizzabilità rafforzata
dall’obbligo di distruzione → il requisito comune è di rappresentare un fatto che deve essere differente da un atto
del procedimento penale
Sfuggono alle due categorie di documenti illegali quelle intercettazioni che sono state autorizzate dall’autorità
giudiziaria → verranno sanzionate con l’inutilizzabilità solamente se sono state compiute senza l’uso delle norme
processuali
LO SPIONAGGIO E DOSSIERAGGIO ILLECITI: la definizione di “spionaggio illecito” è indicato nel c. 2 dell’art. 240 con la
seguente espressione: «dati e contenuti di conversazioni o comunicazioni, relativi a traffico telefonico e telematico,
illegalmente formati o acquisiti». Quello che definiamo “dossieraggio illecito” è indicato nel c. 2 dell’art. 240 con la
seguente espressione: «documenti formati attraverso la raccolta illegale di informazioni». L’espressione si riferisce a
quel trattamento illecito di dati personali che è punito dagli artt. 167-171 del codice privacy (d.lgs. n. 196 del 2003).
Non vi rientrano le raccolte di dati personali ed il trattamento degli stessi in violazione di norme diverse da queste →
qualora quindi non si riscontrino divieti probatori o non siano stati colpiti da inutilizzabilità speciale sono utilizzabili
In relazione a queste due categorie di documenti sono previsti i seguenti obblighi e divieti:
- Il pubblico ministero deve disporre l’immediata secretazione e custodia in luogo protetto;
- È vietato effettuare copia in qualunque forma e in qualunque fase del procedimento;
- È sancita la inutilizzabilità dei documenti illegali previsti nel c. 2 dell’art. 240;
- Il pubblico ministero, entro quarantotto ore, deve chiedere al giudice per le indagini preliminari di disporre la
distruzione dei relativi documenti, supporti ed atti (c. 3).
Si è dunque introdotta una forma di inutilizzabilità rinforzata dalla distruzione in relazione ai documenti acquisiti in
violazione delle norme penali a tutela a tutela della sfera intima ed inviolabile dell’individuo → va quindi oltre
l’inutilizzabilità comune
LA PROCEDURA DI DISTRUZIONE: le operazioni di distruzione si svolgono nel contraddittorio tra le parti. L’art. 240 c.
4 prevede che il giudice per le indagini preliminari, entro le quarantotto ore dalla richiesta del pubblico ministero,
fissi una udienza in camera di consiglio che dovrà tenersi entro dieci giorni. Le parti private vengono avvisate che
potranno nominare un difensore di fiducia, almeno tre giorni prima della data dell’udienza. L’art. 240, c. 5 disciplina
lo svolgimento dell’udienza; sentite le parti, il giudice per le indagini preliminari legge il provvedimento in udienza
e, qualora ne ravvisi i presupposti, dispone la distruzione e vi dà esecuzione subito dopo, alla presenza del pubblico
ministero e dei difensori delle parti.
Dopo una pronuncia di incostituzionalità intesa a rafforzare il contraddittorio camerale, adesso si applica anche l’art.
401, I e II quindi l’udienza si deve svolgere in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del pm e del
difensore dell’indagato, mentre rimane solamente facoltativa quella del difensore della persona offesa → in caso di

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mancata comparizione del difensore dell’indagato, il giudice deve disegnare un altro difensore immediatamente
reperibile
LA DISTRUZIONE DEL CORPO DI REATO: l’art. 240, c. 6, nella sua versione originaria, disciplinava il verbale di
distruzione e stabiliva che in esso si doveva dare atto dell’avvenuta intercettazione o detenzione o acquisizione
illecita, delle sue modalità e dei soggetti interessati senza alcun riferimento al contenuto dei relativi documenti,
supporti e atti; al tempo stesso, il nuovo c. 1-bis, introdotto nell’art. 512, concernente la lettura di atti per
sopravvenuta impossibilità di ripetizione, stabiliva che nel dibattimento era sempre consentita la lettura dei verbali
relativi all’acquisizione ed alle operazioni di distruzione dei documenti illeciti. La Corte costituzionale, con
la sentenza n. 173 del 2009, cercando di trovare un bilanciamento prima insoddisfacente tra la necessità di tutelare
la riservatezza e l’esigenza di garantire il diritto alla prova e all’accertamento dei fatti, ha sottolineato che la
distruzione appare un rimedio d’emergenza; ciononostante, allo stato attuale tale strumento si configura come
indispensabile a fronte della situazione di incertezza sulla effettività della tutela del diritto alla riservatezza contro
indebite diffusioni mediatiche di informazioni delicatissime.
IL VERBALE SOSTITUTIVO DEL CORPO DEL REATO: la corte costituzionale ha quindi rafforzato il contenuto
rappresentativo del verbale, facendolo diventare un surrogato del corpo del reato andato distrutto
Si deve quindi ritenere che il verbale non può esercitare alcun condizionamento sulla decisione da assumere
nell’ambito del procedimento principale relativo alla responsabilità dell’autore del documento illecito → dal
momento che la sua funzione è sostitutiva del corpo del reato, quanto più è dettagliato tanto meglio esplica la sua
funzione
La corte costituzionale ha quindi ritenuto necessario ampliare la potenzialità rappresentativa del verbale in
questione includendovi anche tutte le attività che hanno caratterizzato l’intercettazione, la detenzione e
l’acquisizione del materiale
Rimane comunque fermo il limite costituito dal divieto di far riferimento alle informazioni contenute nel documento
illecito → la correttezza e l’obbiettività del verbale sostitutivo sono garantite dal fatto che tale documentazione si
forma nel contraddittorio necessario tra le parti

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CAPITOLO 5 (I mezzi di ricerca della prova)
1. Profili generali
Il codice definisce «mezzi di ricerca della prova» le ispezioni, le perquisizioni, i sequestri e le intercettazioni di
comunicazioni → si caratterizzano per l’attitudine ad offrire al giudice risultanze probatorie direttamente utilizzabili
in sede di decisione
I mezzi di ricerca della prova non sono di per sé fonte di convincimento, ma rendono possibile acquisire cose
materiali, tracce o dichiarazioni dotate di attitudine probatoria. L’elemento probatorio si forma in seguito
all’esperimento del mezzo di prova (ad esempio, il testimone racconta fatti che ha percepito) ed entra nel processo
attraverso questo dal momento che gli preesiste
I mezzi di prova possono essere assunti soltanto davanti al giudice nel dibattimento o nell’incidente probatorio; i
mezzi di ricerca della prova possono essere disposti oltre che dal giudice, anche dal pubblico ministero e, in alcune
ipotesi, possono essere compiuti dalla polizia giudiziaria (artt. 352 - 354). I mezzi di ricerca della prova si basano, di
regola, sul fattore “sorpresa” e, perciò, non consentono il preventivo avviso al difensore dell’indagato quando sono
compiuti nella fase delle indagini
I MEZZI DI RICERCA DELLA PROVA INFORMATIVA: PARTICOLARITA’
- OGGETTI MATERIALI: dei mezzi di ricerca della prova sia il singolo supporto informatico (pen drive, floppy
disk, CD, DVD, hard disk), sia il sistema che contiene uno o più dei supporti e che consiste nel semplice
computer o in un intero sistema telematico
- OGGETTI DEMATERIALIZZATI: i singoli documenti informatici, che sono registrati nei supporti o nei sistemi
predetti, sono gli oggetti dematerializzati dei mezzi di ricerca della prova
La legge n. 48 ha ricondotto nell’alveo dei mezzi “tipici” di ricerca della prova la perquisizione, l’ispezione ed il
sequestro di ogni sistema o supporto informatico.
2. Le ispezioni
L’ispezione (art. 244) consiste nell’osservare e descrivere persone, luoghi e cose allo scopo di accertare le tracce e gli
altri effetti materiali del reato → è un mezzo di ricerca della prova che ha prevalentemente finalità descrittiva
Essa è disposta, di regola, dall’autorità giudiziaria quando occorre «accertare le tracce e gli altri effetti materiali del
reato» (art. 244, c. 1).
Se il reato non ha lasciato tracce o effetti materiali (o se questi sono scomparsi) l’autorità giudiziaria, se possibile,
cerca di individuare il modo, il tempo e le cause delle eventuali modificazioni → può comunque disporre rilievi ed
ogni altra operazione tecnica anche in relazione a sistemi informatici o telematici, adottando anche misure tecniche
dirette ad assicurare la conservazione dei dati originali ed impedirne l’alterazione
Se necessario, l’ispezione si svolge con l’impiego di poteri coercitivi. Sia il giudice, sia il pubblico ministero possono
disporre l’intervento della polizia giudiziaria e, se necessario, della forza pubblica (artt. 131 e 378) → dal momento
che va a violare libertà protette dalla costituzione, l’ispezione deve essere disposta con decreto motivato
L’ISPEZIONE PERSONALE: ha ad oggetto il corpo di un essere umano vivente o parti di esso, sia normalmente visibili
che anche celate alla altrui vista. Prima che si proceda a questo atto l’interessato è avvertito della facoltà di farsi
assistere da una persona di fiducia, purché questa sia prontamente reperibile e idonea a norma dell’art. 120.
L’ispezione personale è eseguita, nei limiti del possibile, nel rispetto del pudore e della dignità della persona che vi è
sottoposta (art. 245, c. 2). L’ispezione può essere compiuta anche per mezzo di un medico, che non può essere un
medico legale → qualora questo intervenga, non viene richiesto che l’autorità giudiziaria assista alle operazioni
L’ISPEZIONE DI LUOGHI O DI COSE: la persona che ha la disponibilità del luogo in cui è eseguita l’ispezione, ed anche
l’imputato, hanno diritto, se presenti, ad avere copia del decreto che autorizza l’atto.
L’autorità giudiziaria, oltre al potere di disporre della forza pubblica, ha anche il potere di ordinare che una persona
non si allontani prima che le operazioni siano concluse e può far condurre coattivamente sul posto il trasgressore
NELLE FASI DELL’UDIENZA PRELIMINARE O DEL DIBATTIMENTO: l’ispezione di persone, luoghi o cose è disposta dal
giudice
DURANTE LE INDAGINI PRELIMINARI: l’ispezione viene compiuta dalla polizia di propria iniziativa in situazione di
urgenza sotto la forma di accertamenti e rilievi → la polizia giudiziaria in casi del genere può disporre di sua iniziativa
quei rilievi sulle persone che sono diversi dall’ispezione personale
Quando il pm procede all’ispezione, il difensore dell’indagato deve essere preavvisato almeno 24 ore prima

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Nei casi di assoluta urgenza, qualora vi sia fondato motivo di ritenere che il ritardo possa pregiudicare la ricerca o
l’assicurazione della prova, il pm può procedere anche prima del termine fissato dandone avviso al difensore senza
ritardo, o anche senza darne avviso, se vi è fondato motivo di ritenere che le tracce possano essere alterate → viene
comunque fatta salva la facoltà del difensore di intervenire
Qualora si ometta l’avviso o si proceda prima del termine, il pm deve specificatamente indicare, a pena di nullità, i
motivi della deroga e le modalità dell’avviso
3. Le perquisizioni
La perquisizione (art. 247) consiste nel ricercare una cosa da assicurare al procedimento o una persona da arrestare
- PERSONALE: è disposta quando vi è fondato motivo di ritenere che taluno occulti sulla persona il corpo del
reato o le “cose pertinenti al reato” → rientrano anche le cose che hanno la funzione di provare il reato o la
responsabilità del suo autore
- LOCALE: è disposta quando vi è fondato motivo di ritenere che tali cose si trovino in un determinato luogo
ovvero che in esso possa eseguirsi l’arresto dell’imputato o dell’evaso
- INFORMATICA: è disposta «quando vi è fondato motivo di ritenere che dati, informazioni, programmi
informatici o tracce comunque pertinenti al reato si trovino in un sistema informatico o telematico» anche
qualora tale sistema sia protetto da misure di sicurezza
Devono essere adottate misure tecniche dirette ad assicurare la conservazione dei dati originali ed
impedirne l’alterazione
La perquisizione è disposta dall’autorità giudiziaria (e cioè dal giudice o dal pubblico ministero) con decreto
motivato; la motivazione dovrà attestare la presenza di sufficienti indizi.
L’autorità giudiziaria può procedere sia personalmente che anche delegarne l’esecuzione ad un ufficiale di polizia
giudiziaria
LA RICERCA DI UNA COSA DETERMINATA: quando si ricerca una cosa determinata, l’autorità giudiziaria può limitarsi
ad “invitare” taluno a consegnare la cosa; se l’invito è accolto e la cosa è presentata, non si fa luogo a perquisizione,
salvo che sia utile procedervi per la completezza delle indagini → può infatti essere utile conoscere anche il luogo
dove la cosa era conservata e nascosta
REGOLAMENTAZIONE DELL’ATTO DI PERQUISIZIONE: si richiede nell’esecuzione il rispetto di alcune formalità a tutela
dei diritti garantiti dalla costituzione
- Se su PERSONA: occorre consegnare a questa una copia del decreto con l’avviso della facoltà di farsi
assistere da persona di fiducia, purché prontamente reperibile e idonea (art. 249)
Se si trova la persona ricercata, si da esecuzione all’ordinanza di custodia cautelare o ai provvedimenti di
arresto o di fermo
- Se su LUOGO: deve essere consegnata copia del decreto all’interessato e a colui che abbia la disponibilità del
luogo, qualora questi siano presenti → gli deve essere dato avviso della facoltà di farsi assistere o
rappresentare da una persona di fiducia, a condizione che questa sia prontamente reperibile e idonea (la
differenza con la perquisizione personale sta proprio nella possibilità di farsi rappresentare dalla persona di
fiducia)
Se le cose rinvenute nel corso della perquisizione sono corpo del reato o comunque vi sono pertinenti, sono
sottoposte a sequestro
NELLE FASI DELL’UDIENZA PRELIMINARE E DEL DIBATTIMENTO: la perquisizione viene disposta dal giudice
- SU INIZIATIVA DEL PM: nel corso delle indagini preliminari la perquisizione è ordinata dal pubblico ministero,
che vi provvede personalmente o delegandola ad un ufficiale di polizia giudiziaria. All’indagato, che sia
eventualmente presente alla perquisizione, viene chiesto se è assistito da un difensore; qualora l’indagato ne
sia privo, è designato un difensore d’ufficio.
- DI INIZIATIVA DELLA POLIZIA GIUDIZIARIA: sempre nel corso delle indagini preliminari la polizia giudiziaria
può procedere di sua iniziativa a perquisizione personale o locale, ma soltanto in flagranza di reato o nel
caso di evasione (art. 352). Se l’indagato è presente alla perquisizione, la polizia deve avvertirlo della facoltà
di farsi assistere dal difensore di fiducia che può intervenire all’atto
La polizia giudiziaria deve trasmettere il verbale delle operazioni senza ritardo al pm del luogo nel quale la
perquisizione è stata eseguita
Se ne ricorrono i presupposti, il magistrato ne convalida la perquisizione entro le 48 ore successive
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4. Il sequestro probatorio
I TIPI DI SEQUESTRO: il codice prevede tre distinte forme di sequestro: il sequestro “probatorio” (collocato tra i mezzi
di ricerca della prova), il sequestro “preventivo” ed il sequestro “conservativo” → il primo viene collocato tra i mezzi
di ricerca della prova mentre gli altri due tra le misure cautelari dal momento che sono maggiormente incisivi sui
diritti soggettivi (quello di indisponibilità crea inibisce anche l’attività di un soggetto)
Comune è la caratteristica di creare un vincolo di indisponibilità su una cosa mobile o immobile, attraverso uno
spossessamento coattivo; diverse sono invece le finalità quindi di conseguenza anche le regolamentazioni
SEQUESTRO PROBATORIO: (art. 253) consiste nell’assicurare una cosa mobile od immobile al procedimento per
finalità probatorie, mediante lo spossessamento coattivo della cosa e la creazione di un vincolo di indisponibilità
sulla medesima → si vogliono conservare immutate le caratteristiche della cosa al fine dell’accertamento dei fatti
È necessario un requisito:
- “naturalistico”, e cioè che vi sia un bene materiale;
- “giuridico”, e cioè:
o Che si tratti del corpo del reato o di una cosa pertinente al reato
o Che la cosa sia “necessaria” per l’accertamento dei fatti
REGOLAMENTAZIONE: all’interessato, se presente, deve essere consegnata una copia del decreto di sequestro (art.
253, IV)
La polizia giudiziaria deve avvertire l’indagato, se presente, che ha facoltà di farsi assistere dal difensore di fiducia →
dal momento che si tratta di un atto a sorpresa, il difensore dell’indagato ha diritto di assistere senza preavviso
Il sequestro è mantenuto fino a quando sussistono le esigenze probatorie (art. 262, c. 1); il limite massimo è la
sentenza irrevocabile, dopodiché la cosa deve essere restituita, salvo che ne sia stata ordinata la confisca (art. 262, c.
4).
La conversione di un tipo di sequestro in un altro è possibile soltanto se è emesso un provvedimento autonomo
rispondente ai requisiti ed alle finalità del nuovo tipo di sequestro → il codice prevede espressamente le singole
ipotesi di conversione: da probatorio in conservativo o preventivo con apposito provvedimento del giudice emesso
su richiesta del soggetto rispettivamente legittimato
NELLE FASI DELL’UDIENZA PRELIMINARE O DEL DIBATTIMENTO il sequestro probatorio è disposto dal giudice con
decreto motivato.
NEL CORSO DELLE INDAGINI PRELIMINARI il decreto motivato di sequestro è emanato, di regola, dal pubblico
ministero.
IL SEQUESTRO PROBATORIO OPERATO DALLA POLIZIA GIUDIZIARIA: sempre durante le indagini preliminari la polizia
giudiziaria interviene soltanto in situazione di urgenza, infatti la polizia di sua iniziativa deve curare che le tracce o le
cose pertinenti al reato siano conservate fino all’eventuale intervento del pm (art. 354, I) Se vi è pericolo nel ritardo
ed il pubblico ministero non può intervenire tempestivamente ovvero non ha ancora assunto la direzione delle
indagini, la polizia giudiziaria effettua il sequestro (art. 354, c. 2) → il verbale deve quindi essere trasmesso entro 48
ore al pm del luogo dove il sequestro è stato eseguito e qualora ne ricorrano i presupposti questo entro 48 ore lo
convalida
RICHIESTA DI RIESAME: contro il decreto di convalida del sequestro e contro lo stesso decreto di sequestro,
l’indagato, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione
possono proporre richiesta di riesame (art. 355, c. 3). Sulla richiesta decide in composizione collegiale il tribunale del
capoluogo della provincia nel quale ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento
IL SEQUESTRO PRESSO BANCHE: l’autorità giudiziaria o i suoi delegati possono esaminare atti, documenti e
corrispondenza o dati informatici presso le banche per rintracciare cose da sottoporre a sequestro o accertare altre
circostanze utili per le indagini → l’autorità giudiziaria può anche solo fare una richiesta di esibizione o consegna
Qualora la banca si rifiuti, l’autorità giudiziaria procede personalmente (o il pm se durante le indagini)
SEQUESTRO DI CORRISPONDENZA: presso coloro che forniscono servizi postali, telegrafici, telematici o di
telecomunicazione si può procedere al sequestro di lettere o comunque corrispondenza anche se inoltrati per via
telematica che l’autorità giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere spediti o diretti all’imputato o che comunque
possono avere una relazione con il reato
Qualora proceda un ufficiale della polizia giudiziaria, deve consegnare all’autorità giudiziaria gli oggetti sequestrati
senza aprirli e comunque venire a conoscenza del loro contenuto
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CUSTODIA DELLE COSE SEQUESTRATE: sono affidate in custodia alla segreteria o alla cancelleria, qualora non sia
possibile l’autorità giudiziaria dispone che avvenga in un luogo diverso determinando quindi un altro custode idoneo
ex art. 120
Qualora la custodia riguardi documenti informatici, il custode deve impedirne l’alterazione o l’accesso di terzi salva
comunque diversa disposizione dell’autorità giudiziaria
5. Le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni
A. NOZIONE DI INTERCETTAZIONE
È intercettazione quella “captazione, ottenuta mediante strumenti tecnici di registrazione, del contenuto di una
conversazione o di una comunicazione segreta in corso tra due o più persone, quando l’apprensione medesima è
operata da parte di un soggetto che nasconde la sua presenza agli interlocutori”. Requisiti:
- Segretezza. I soggetti devono comunicare tra loro col preciso intento di escludere estranei dal contenuto
della comunicazione e secondo modalità tali da tenere quest’ultima segreta → viene quindi esclusa la
percezione di un’espressione di pensiero, anche rivolta ad un soggetto determinato, che venga effettuata in
modo poco discreto da renderla conoscibile a terzi
- Strumenti di captazione. Il soggetto che intercetta deve usare strumenti tecnici di registrazione (elettro-
meccanici, elettronici o digitali) che siano idonei a superare le cautele elementari, che dovrebbero garantire
la libertà e segretezza del colloquio, e a captarne i contenuti. Non effettua un’intercettazione colui che
ascolta una conversazione origliando dietro una porta; mentre lo è l’attività di un terzo che nasconde un
apparecchio magnetofonico in una stanza in cui si svolge la conversazione tra altre persone per poi andare a
recuperarlo e ascoltare quello che si sono dette
- Terzietà e clandestinità. Il soggetto captante deve essere assolutamente estraneo al colloquio e deve
operare in modo clandestino. Non è intercettazione, ma documento, la registrazione di un colloquio
effettuata da una delle persone che vi partecipano attivamente o da una persona che è comunque ammessa
ad assistervi. Infatti, in tale caso manca il requisito della “clandestinità” rispetto agli interlocutori.
L’intercettazione è un’attività che può essere compiuta soltanto per iniziativa del pubblico ministero e su
autorizzazione del giudice per le indagini preliminari. Essa può avere ad oggetto:
- «conversazioni o comunicazioni telefoniche e (...) altre forme di telecomunicazione» (art. 266);
- Il «flusso di comunicazioni relativo a sistemi informatici o telematici ovvero intercorrente tra più sistemi»;
- Comunicazioni o conversazioni tra presenti (c.d. intercettazioni ambientali).
LE IPOTESI CHE NON COSTITUISCONO INTERCETTAZIONE: differente dalla intercettazione, perché non ha per oggetto
una “comunicazione”, è il pedinamento mediante apparecchiatura satellitare G.P.S., che può essere disposto dalla
polizia giudiziaria come mera attività atipica; sono estranee all’intercettazione l’acquisizione dei tabulati del traffico
telefonico.
Costituiscono invece documento le registrazioni fonografiche occultamente eseguite da uno degli interlocutori
B. I PRINCIPI COSTITUZIONALI SULLE INTERCETTAZIONI
Ex riserva di giurisdizione, le intercettazioni devono essere autorizzate dal giudice per le indagini preliminari con
decreto motivato su richiesta del pm
Ex riserva di legge, la legge prevede dei requisiti necessari che variano in base al tipo di reato oggetto del singolo
procedimento → possono quindi essere raggruppati in reati intercettabili, quantum della prova e termini di durata
Il giudice quindi nel decreto di autorizzazione deve motivare la presenza di ciascuno dei requisiti
LA RIFORMA ORLANDO: bilancia le esigenze contrapposte dell’efficienza investigativa, la riservatezza delle persone
coinvolte nelle intercettazioni e la libertà di stampa con diritto di informazione → nessuna menzione però della
presunzione di innocenza
Le modifiche guardano soprattutto alla procedura di esecuzione delle intercettazioni e del loro inserimento nel
procedimento
C. I REQUISITI PER DISPORRE LE INTERCETTAZIONI
I REATI INTERCETTABILI: in base al reato oggetto del singolo procedimento, si distingue tra
- PER REATI COMUNI:
Si tratta di:
- Delitti non colposi per cui viene prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel max a 5 anni
- Delitti contro la pubblia amministrazione per cui viene prevista una pena non inferiore nel massimo a 5 anni
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- Delitti che riguardano stupefacenti o sostanze psicotrope
- Delitti concernenti le armi o le sostanze esplosive
L’intercettazione del flusso di comunicazioni relativo a sistemi informatici o telematici può essere disposto oltre che
per questi casi anche per i reati commessi mediante l’impiego di tecnologie informatiche o telematiche → reati
quindi commessi con strumenti particolarmente insidiosi
I GRAVI INDIZI DI REATO: indizi dell’avvenuta commissione di uno di quei reati che consentono l’intercettazione, ma
non viene richiesta la prova del reato a carico di una determinata persona (l’individuazione è invece lo scopo per cui
appunto viene disposta questa misura)
Si richiede che sia assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini, quindi quando altri atti di
investigazione sono già stati compiuti ma ci sono informazioni che non possono essere prese altrimenti
I TERMINI DI DURATA: non oltre i 15 giorni, può essere prorogata dal giudice con decreto motivato per periodi
successivi di 15 giorni quando comunque ci sono i presupposti
LE INTERCETTAZIONI TRA PRESENTI (AMBIENTALI): quando avviene nel domicilio del privato, viene consentita
solamente se vi è fondato motivo di ritenere che in quel domicilio si svolge una attività criminosa
L’USO DEL CAPTATORE INFORMATICO: la intercettazione ambientale può essere eseguita mediante l’inserimento di
un captatore informatico su un dispositivo elettronico portatile → il decreto che la autorizza deve indicare:
- Perché sia necessaria proprio questa modalità alle indagini (perché non sono quindi utilizzabili le
intercettazioni solite passive)
- I luoghi e il tempo, anche indirettamente determinati, in relazione ai quali viene consentita l’attivazione del
microfono
- PER REATI DI CRIMINALITÀ ORGANIZZATA O EQUIPARATI
I requisiti per procedere alle intercettazioni sono attenuati
I REATI INTERCETTABILI:
- Delitti di criminalità organizzata;
- Minaccia con mezzo del telefono;
- Terrorismo anche internazionale;
- Delitti contro la libertà individuale.
I REQUISITI PROBATORI: nei procedimenti per questi reati sono attenuati i requisiti probatori perché
l’intercettazione è ammessa quando:
- Vi sono «sufficienti indizi di reato»
- Quando l’intercettazione è necessaria per lo svolgimento delle indagini.
Può quindi anche essere il primo atto che viene compiuto
Il pm e l’ufficiale di polizia giudiziaria possono farsi aiutare da agenti di polizia giudiziaria
I TERMINI DI DURATA: la durata dell’intercettazione non può superare i quaranta giorni, ma può essere prorogata
per periodo successivi di venti giorni.
Se urgenza, alla proroga provvede il pm con provvedimento sottoposto a convalida del giudice
LE INTERCETTAZIONI TRA PRESENTI (AMBIENTALI): nei reati di criminalità organizzata, o ad essa equiparati, le
intercettazioni ambientali nel domicilio privato sono consentite anche se non vi è motivo di ritenere che nei luoghi
predetti si stia svolgendo l’attività criminosa.
L’USO DEL CAPTATORE INFORMATICO: è sempre consentito in un dispositivo portatile, quindi l’intercettazione può
essere effettuata anche nel domicilio privato a prescindere dalla sussistenza di altri requisiti
Per i reati esclusi però dall’art. 51, III bis e quater si richiede comunque che vi sia un fondato motivo di ritenere che
nel domicilio si stia svolgendo una attività criminosa
- PER I PIÙ GRAVI REATI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE COMMESSI DA PUBBLICI UFFICIALI
Con pena di reclusione non inferiore nel max a 5 anni, si applicano le disposizioni previste per i reati di criminalità
organizzata → quindi l’uso del captatore informatico in un privato domicilio è consentito solamente quando vi è il
fondato sospetto che vi si stia svolgendo una attività criminosa
DIVIETI DI INTERCETTAZIONE: in favore di determinate persone per la salvaguardia di valori di rilievo costituzionale
che comunque si sommano al generale interesse alla segretezza delle comunicazioni e conversazioni ex: in favore di
difensori, consulenti tecnici o ausiliari, dei quali non si possono intercettare le conversazioni con i loro assistiti e il
contenuto delle comunicazioni non si può neanche trascrivere sommariamente
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D. IL PROCEDIMENTO ESECUTIVO
1. LA RIFORMA ORLANDO
Scopo della riforma è stato mettere fine alla prassi iniziata negli anni ’80 di pubblicare il testo intero delle
intercettazioni sui giornali perché comunque nessuno temeva la sanzione, estremamente esigua
LA SELEZIONE ALL’ORIGINE: la selezione delle conversazioni da verbalizzare viene effettuata all’inizio, quando
devono essere trascritte e prima che venga meno il segreto esterno, con quindi la libertà di pubblicazione sui vari
mezzi di informazione
Viene compiuta dalla polizia giudiziaria in collaborazione con il pm, quella definitiva viene fatta poi dal giudice a cui
comunque spetta la parola finale sull’acquisizione delle intercettazioni
Sono stati quindi disciplinati 3 diversi tipi di trascrizione delle registrazioni, con il divieto di trascrivere ma fin
dall’inizio le conversazioni non rilevanti
Si è quindi escogitato:
- L’archivio riservato presso il pm in cui sono conservate tutte le intercettazioni, verbali ed annotazioni
- Distinzione tra il deposito presso la segreteria del pm ed il tradizionale inserimento nel fascicolo delle
indagini ad opera del gip
Tutto il funzionamento viene però rimesso al rispetto della deontologia professionale da parte degli operatori
La soluzione comunque apportata con questa riforma è solamente parziale dal momento che non sono state
menzionate le conseguenze per atteggiamenti che contrastino con la presunzione di innocenza
2. IL PROCEDIMENTO
Per il codice sono equivalenti comunicazioni, conversazioni e flussi di comunicazioni informatiche e telematiche
- ORDINARIO: in base all’art. 267 il pubblico ministero chiede al giudice per le indagini preliminari
l’autorizzazione a disporre le intercettazioni; deve trasmettere al giudice i verbali degli atti da cui si ricava
l’esistenza dei presupposti delle captazioni, operando una scelta all’interno del fascicolo delle indagini
L’autorizzazione ad intercettare deve essere concessa dal giudice con decreto motivato
- URGENZA: nei casi di urgenza, l’intercettazione è disposta dal pubblico ministero, che deve comunicare il
relativo decreto motivato al giudice non oltre ventiquattro ore decorrenti dal proprio provvedimento. Il
giudice entro le quarantotto ore successive decide sulla convalida con decreto motivato → mancata
convalida? Non si può proseguire con l’intercettazione e quando eventualmente già acquisito è inutilizzabile
DECRETO ESECUTIVO: dopo che il giudice ha autorizzato le intercettazioni, il pubblico ministero emana un decreto
(c.d. decreto esecutivo) con cui regola le modalità e la durata delle operazioni (art. 267, c. 3).
Il pm procede alle operazioni personalmente o avvalendosi di un ufficiale di polizia giudiziaria (art. 267, IV)
MODALITA’: il pubblico ministero determina le modalità delle intercettazioni, e cioè stabilisce quali sono i numeri
telefonici e i dispositivi da controllare. Le operazioni possono essere compiute esclusivamente per mezzo degli
impianti installati nella procura della Repubblica. Tuttavia, quando tali impianti risultano insufficienti o inidonei e
sussistono eccezionali ragioni di urgenza, il pubblico ministero può disporre, con provvedimento motivato, il
compimento delle operazioni mediante impianti di pubblico servizio o in dotazione alla polizia giudiziaria (art. 268 c.
3). → le operazioni sono distribuite presso gli uffici:
- Captazione, presso l’operatore telefonico
- Registrazione, presso la procura della repubblica
- Ascolto, presso gli uffici di polizia giudiziaria con relazione dei verbali sommari (brogliacci)
DURATA: per i delitti comuni il termine è di 15 giorni, mentre per quelli di criminalità organizzata di 40 → può
comunque essere prorogata dal giudice con decreto motivato per periodi successivi, nel primo caso di 15 e nel
secondo di 20
UTENZE INTERCETTABILI: in base ai requisiti previsti dal codice sono intercettabili sia le utenze riferibili agli indagati,
sia quelle riferibili ai testimoni, sia, infine, le utenze riferibili a persone estranee ai fatti, quando queste ultime
possono essere destinatarie di comunicazioni provenienti da indagati o da testimoni. Presso l’ufficio del pubblico
ministero è tenuto un registro riservato nel quale sono annotati in ordine cronologico i decreti che regolano le
intercettazioni ed i provvedimenti del giudice che autorizzano, convalidano e prorogano le stesse (art. 267, c. 5).
3. LA SELEZIONE AD OPERA DELLA POLIZIA GIUDIZIARIA E DEL PM

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Le comunicazioni intercettate sono registrate → ex art. 268, I è redatto verbale delle operazioni, che ha ampiezza
diversa a seconda dello scopo di eliminare fin dall’origine la traccia di quelle conversazioni che appaiono non
rilevanti ai fini della prova del fatto
La prima selezione deve essere fatta dalla polizia giudiziaria con il pm, a cui questa si deve rifare costantemente
Varie modalità di verbalizzazione con differenti oggetti:
- I VERBALI SOMMARI: la polizia giudiziaria provvede a trascrivere anche sommariamente il contenuto delle
intercettazioni → nella prassi, i verbali si chiamano brogliacci e contengono solamente conversazioni
rilevanti
- IL DIVIETO DI VERBALIZZAZIONE E LA RELATIVA ANNOTAZIONE: la polizia giudiziaria ha il divieto di trascrivere
le comunicazioni non rilevanti ai fini delle indagini sia per l’oggetto che per i soggetti coinvolti e che
riguardano sia dati sensibili che non (ex legge sulla privacy) → nel verbale deve quindi essere fatta menzione
solamente la data, l’ora e il dispositivo su cui la registrazione è avvenuta
Per consentire il controllo del pm, la polizia giudiziaria deve informare preventivamente il pm con
un’annotazione sui contenuti delle comunicazioni giudicate non rilevanti → deve permettere al pm un
controllo efficace, quindi è necessario indicare i nominativi delle persone e il contenuto della comunicazione
LA TRASCRIZIONE COATTA: il pm può disporre con decreto motivato che le comunicazioni siano trascritte nel
verbale in due casi
o Dati NON sensibili, quando il pm li considera rilevanti per i fatti oggetto di prova
o Dati SENSIBILI, quando il pm li ritiene necessari ai fini della prova
Viene quindi fatta dalla polizia giudiziaria nel verbale sommario (brogliaccio)
- IL DIVIETO DI VERBALIZZAZIONE SENZA ANNOTAZIONE: divieto di intercettazione e trascrizione delle
comunicazioni tra persona assistita e suo difensore,
o Il contenuto non può essere trascritto neanche sommariamente
o Nel verbale delle operazioni sono annotate solamente la data, l’ora e il dispositivo su cui viene
effettuata la registrazione
o La polizia giudiziaria non deve redigere alcuna annotazione, diversamente che per le comunicazioni
non rilevanti
4. LA TRASMISSIONE ALL’ARCHIVIO RISERVATO
Dopo la scadenza del termine per lo svolgimento delle operazioni nei provvedimenti di autorizzazione/proroga, è
prevista la trasmissione al pm dei verbali, delle registrazioni e delle annotazioni e tutta la documentazione viene
conservata nell’archivio riservato → archivio che viene gestito con modalità informatiche e con vincoli di segretezza
regolamentati dall’ufficio del pm, gli accessi vengono documentati in un apposito registro
Il pm con decreto può disporre il differimento della trasmissione dei verbali e delle registrazioni quando la
prosecuzione delle operazioni rende necessario, per la complessità delle indagini, che l’ufficiale di polizia giudiziaria
delegato all’ascolto consulti le risultanze acquisite → allo stesso tempo il pm fissa le prescrizioni per assicurare la
tutela del segreto sul materiale non trasmesso
Viene quindi configurata una fase in cui tutta la documentazione resta presso la polizia giudiziaria ma con il vincolo
del segreto regolamentato in segreto dal pm
5. IL DEPOSITO AI FINI DELLA DECISIONE DEL GIUDICE (C.D. INCIDENTE DI STRALCIO)
Viene rispettato anche in questa fase il principio generale del sistema accusatorio in base al quale tutte le prove sono
acquisite su richiesta delle parti: dal momento che siamo nelle indagini, il contraddittorio è documentale e l’udienza
in camera di consiglio non è obbligatoria
Questa fase inizia entro 5 giorni dalla conclusione delle operazioni di intercettazione, salvo proroghe concesse dal
giudice al pm quando dal deposito può derivare un grave pregiudizio per le indagini e comunque non oltre la
chiusura delle medesime
- IL PM:
o Deve depositare annotazioni, verbali, registrazioni, decreti di autorizzazione, convalida e proroga
delle intercettazioni → le comunicazioni utilizzate per l’adozione di una misura cautelare si trovano
già inserite nel fascicolo delle indagini
o Deve formare e depositare l’elenco delle comunicazioni che egli ritiene rilevanti ai fini di prova

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o Deve far dare avviso immediatamente ai difensori delle parti della facoltà di prendere visione
dell’elenco menzionato e della facoltà di ascoltare le registrazioni
- I DIFENSORI: entro 10 giorni dalla ricezione dell’avviso, termine che comunque può essere prorogato dal
giudice in relazione alla complessità del procedimento e al numero delle intercettazioni possono
o Accedere all’archivio riservato per esaminare gli atti, prendere visione dell’elenco delle
intercettazioni considerate rilevanti dal pm e ascoltarle, senza però fare copia di nulla
o Chiedere l’acquisizione delle comunicazioni che considerano rilevanti a fini di prova ma escluse
dall’elenco del pm
o Chiedere l’eliminazione delle comunicazioni che ritengono inutilizzabili o di cui viene vietata la
trascrizione, anche sommaria, nel verbale perché irrilevanti
Le richieste dei difensori con gli atti allegati a loro fondamento sono depositate nella segreteria del pm che
ne cura l’immediata trasmissione al giudice → il pm e i difensori comunque fino alla decisione del giudice
possono integrare le richieste e presentare memorie
LA DISTINZIONE TRA SEGRETO VERSO IL DIFENSORE E SEGRETO VERSO L’ESTERNO: la novità sta nell’aver separato il
venir meno del segreto verso il difensore dall’aver mantenuto il divieto di rivelazione verso l’esterno → soltanto con
l’ordinanza con cui il giudice dispone l’acquisizione del fascicolo viene meno il segreto sugli atti ed i verbali delle
conversazioni e comunicazioni oggetto di acquisizione
Prima di quel momento sono rese conoscibili al difensore mediante deposito senza possibilità di farne copia le
annotazioni, i verbali e le registrazioni unitamente ai decreti che hanno disposto, autorizzato, convalidato o
prorogato l’intercettazione → deposito singolare che rende conoscibili al difensore atti che restano segreti in quanto
contenuti nell’archivio riservato
Verso l’esterno le intercettazioni rimangono segrete fino a che non vengono acquisite nel fascicolo delle indagini
quindi:
- In via provvisoria: quando il pm con un suo atto, dopo che la misura cautelare è stata eseguita, inserisce i
verbali delle intercettazioni rilevanti nel fascicolo delle indagini
- In via definitiva: con l’ordinanza di acquisizione del giudice
6. LA DECISIONE DEL GIUDICE
Con la riforma Orlando, si è separata la decisione sull’acquisizione delle intercettazioni da quella sulla necessità della
trascrizione delle medesime → l’acquisizione deve essere fatta entro la conclusione delle indagini preliminari,
mentre la trascrizione si compie all’inizio del dibattimento
LA NUOVA COMPETENZA DEL GIP: viene attribuita una competenza funzionale in questa fase al gip che ha
autorizzato, convalidato o prorogato le intercettazioni dal momento che grazie ai provvedimenti già presi sul tema il
giudice potrà orientarsi nell’attività di stralcio
Dalla presentazione delle richieste menzionate (acquisizione delle intercettazioni) il giudice ha un termine ordinario
di 5 giorni per decidere, potendo anche ascoltare le conversazioni → di norma l’ordinanza viene emessa in camera di
consiglio senza intervento del pm e dei difensori anche se, qualora lo ritenga necessario, il giudice può disporre che
si svolga un’udienza della quale fa avvertire tempestivamente pm e difensori
IL C.D. STRALCIO: il giudice può prendere con ordinanza varie decisioni, la novità sta nell’introduzione di un principio
dispositivo in favore delle parti
- Il giudice può disporre l’acquisizione delle conversazioni e comunicazioni indicate dalle parti, salvo che siano
manifestamente irrilevanti → basta quindi anche solamente un dubbio sulla rilevanza e le comunicazioni
devono essere acquisite su richiesta delle parti
Con l’ordinanza viene quindi meno ex dicitura del codice il segreto sugli atti e i verbali delle conversazioni e
comunicazioni oggetto di acquisizione → sono inseriti nel fascicolo delle indagini
Caduto il segreto, di tali atti può essere pubblicata una sintesi
- Il giudice deve ordinare che d’ufficio lo stralcio delle registrazioni e dei verbali di cui è vietata l’utilizzazione
→ verranno poi distrutti
- Il giudice deve decidere sulla richiesta dei difensori di acquisire comunicazioni che il pm aveva considerato
irrilevanti → qualora il giudice le considerasse rilevanti e le comunicazioni non siano state verbalizzate,
ordina al pm la trascrizione sommaria a sua cura e i relativi verbali verranno inserti nel fascicolo delle
indagini
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(si tratta delle informazioni di cui la polizia giudiziaria aveva trascritto solamente data, ora e dispositivo sul
quale erano state registrate)
- Il giudice dispone che non siano acquisite le comunicazioni manifestamente irrilevanti, i relativi verbali
vengono riconsegnati al pm perché li custodisca nell’archivio riservato → rimangono coperti da segreto
esterno
IL REGIME DELLE INTERCETTAZIONI ACQUISITE: i difensori possono far eseguire la trasposizione delle registrazioni
acquisite su supporto informatico o altro strumento idoneo alla riproduzione dei dati e possono ottenere copia dei
verbali delle operazioni concernenti le comunicazioni o conversazioni acquisite → caduto il segreto, si può farne
copia per le esigenze processuali e ne può venire pubblicato il contenuto riassuntivo
IL C.D. INCIDENTE DI STRALCIO NELL’UDIENZA PRELIMINARE: durante l’udienza preliminare, le parti possono
chiedere che siano inserite nel fascicolo delle indagini le conversazioni o comunicazioni intercettate che non siano
state acquisite in precedenza → sostanzialmente sono quelle che anche se all’inizio considerate irrilevanti alla fine si
rivelano decisive per la sentenza di non luogo a procedere
Se il giudice accoglie la richiesta di inserimento nel fascicolo delle indagini, si applicano in quanto compatibili le
norme sull’incidente di stralcio
7. LA NORMATIVA SPECIALE PER LE INTERCETTAZIONI UTILIZZATE AL FINE DI EMETTERE LE MISURE CAUTELARI
La richiesta del pm è segreta, quando però la misura cautelare viene eseguita il difensore ha diritto di conoscere gli
elementi in base ai quali viene disposta e a fare copia dei verbali → se si fonda su verbali di intercettazioni,
normativa speciale per la tensione tra le esigenze informative e di riservatezza oltre che investigative
Infatti il pm deve riprodurre dell’intercettazione solamente i brani essenziali quando è necessario
Il gip quindi nell’ordinanza che accoglie la richiesta del pm deve riprodurre anche lui solamente brani essenziali
quando ciò sia necessari per l’esposizione delle esigenze cautelari e degli indizi → il giudice deve anche restituire
contestualmente per la conservazione nell’archivio riservato gli atti contenenti le comunicazioni o conversazioni
ritenute irrilevanti o inutilizzabili
La riforma vuole evitare di rendere note le comunicazioni irrilevanti e si selezionare il verbale sommario eliminando
le parti non necessarie che ledono la riservatezza delle persone
IL DEPOSITO DOPO CHE È STATA ESEGUITA LA MISURA CAUTELARE: gli atti presentati al giudice devono però essere
depurati dalle intercettazioni non rilevanti o inutilizzabili
Il difensore dell’indagato ha diritto di esame e di copia dei verbali delle comunicazioni e conversazioni intercettate ->
ha comunque diritto alla trasposizione dei dati su supporti idonei alla riproduzione degli stessi
Il pm inserisce nel fascicolo delle indagini i verbali e gli atti relativi alle intercettazioni
Il testo dell’ordinanza cautelare per evitare il mercato nero delle informazioni può essere pubblicato dopo che l’atto
non è più segreto in quanto la misura è stata eseguita
8. LA TRASCRIZIONE DELLE INTERCETTAZIONI
Su richiesta delle parti il giudice del dibattimento dispone la trascrizione delle registrazioni osservando forme, modi e
garanzie previsti per l’espletamento delle perizie
Delle trascrizioni, registrazioni e stampe le parti possono estrarre copia
9. I DIVIETI DI UTILIZZAZIONE DELLE INTERCETTAZIONI
Inutilizzabilità prevista quando:
- Le intercettazioni sono state eseguite fuori dai casi consentiti dalla legge oppure quando viene violato un
diritto di intercettazione
- Non sono state osservate le disposizioni in merito
- Comunicazioni di persone vincolate dal segreto professionale a meno che i fatti siano stati da loro stessi
divulgati
- I dati acquisiti nel corso delle operazioni preliminari all’inserimento del captatore informatico sul dispositivo
elettronico portatile e i dati acquisiti al di fuori dei limiti di tempo e luogo indicati nel decreto autorizzativo
Viene accompagnata dalla sanzione della distruzione della registrazione e della relativa verbalizzazione a meno che
non costituisca corpo del reato
10. L’USO DI INTERCETTAZIONI IN PROCEDIMENTI DIVERSI DA QUELLI IN CUI SONO STATE DISPOSTE

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Di norma, i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti DIVERSI da quelli nei quali
sono disposte, a meno che risultino indispensabili per l’accertamento dei delitti per cui è obbligatorio l’arresto in
flagranza
I verbali possono comunque essere usati come notizia di reato
CAPTATORE INFORMATICO? Regola speciale, i risultati delle intercettazioni operate mediante questo non possono
essere usate per la prova di reati diversi da quelli per i quali è stato emesso il decreto di autorizzazione
11. LE COMUNICAZIONI DI APPARTENENTI AI SERVIZI SEGRETI
Il pm deve disporne l’immediata segretazione e custodia in un luogo protetto e chiedere al presidente del consiglio
dei ministri se le informazioni sono coperte dal segreto di stato → affermativo: l’autorità giudiziaria non può usare le
notizie coperte da segreto
E. L’AGENTE SEGRETO ATTREZZATO PER IL SUONO
Una figura che può essere assimilata parzialmente all’intercettazione è la registrazione fonografica occultamente
eseguita da uno degli interlocutori d’intesa con la polizia giudiziaria
2 ipotesi differenti:
- La polizia ascolta la conversazione nello stesso momento in cui avviene
L’ascolto contestuale. Con riferimento all’ascolto contestuale, la Corte cost. ha considerato l’atto come una
sorta di intercettazione mascherata; pertanto, quando la polizia giudiziaria abbia operato in assenza dei
presupposti richiesti dalla disciplina (es. autorizzazione del giudice), la captazione è inutilizzabile.
- Il privato registra la conversazione e la mette a disposizione della polizia in quanto memorizzata per un
ascolto differito
La mera registrazione. Secondo la Cassazione, sarebbe un’attività d’indagine atipica che incide sul diritto alla
segretezza delle conversazioni e delle comunicazioni (art. 15 Cost.).
Non compromette il diritto fondamentale come le intercettazioni (la libertà e la segretezza delle
comunicazioni), infatti sono fatte con il consenso di uno dei partecipanti alla conversazione quindi implicano
una minore intrusione nella sfera privata → può quindi dirsi rispettato l’art. 15 Cost dal momento che questa
minore intrusione giustifica garanzie minori
L’attività quindi può essere effettuata se autorizzata con un provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria
che può essere costituito anche da un decreto del pm
F. LE INTERCETTAZIONI DEI CONFRONTI DEI PARLMENTARI
Le intercettazioni che riguardano i membri del parlamento sono disciplinate dalla l. 20 giugno 2003, n. 140; esse si
dividono in tre categorie:
- Siamo in presenza di intercettazioni “dirette” quando sono sottoposti ad intercettazione utenze o luoghi
appartenenti al parlamentare o nella sua disponibilità.
- Le intercettazioni sono “indirette” quando l’attività di captazione interessa utenze intestate a differenti
soggetti che, tuttavia, possono ritenersi interlocutori abituali del parlamentare, o concerne luoghi a lui non
appartenenti, ma che possono presumersi dal medesimo frequentati (Corte cost., n. 114/2010).
Per disporre una intercettazione diretta o indiretta nei confronti di un parlamentare viene richiesta la preventiva
autorizzazione a procedere della camera di appartenenza, altrimenti l’atto è inutilizzabile sia nei confronti del
parlamentare che di terzi
- L’intercettazione è definita “casuale” quando non è disposta su utenze riferibili al parlamentare e l’ingresso
di quest’ultimo nell’area di ascolto è del tutto accidentale.
In base all’art. 6, legge n. 140, il giudice per le indagini preliminari, qualora ritenga irrilevanti i verbali e le
registrazioni delle conversazioni intercettate nel corso di procedimenti a carico di terzi, alle quali abbia preso
parte un parlamentare, sentite le parti, a tutela della riservatezza, ne decide in camera di consiglio la
distruzione; viceversa, se considera rilevanti tali intercettazioni, deve chiedere un’autorizzazione alla Camera
cui il parlamentare appartiene → è necessaria solamente quando la conversazione deve essere utilizzata sia
nei confronti del parlamentare che di terzi
Quando l’autorizzazione non viene concessa, le intercettazioni sono inutilizzabili nei confronti del
parlamentare coinvolto, ma potranno essere impiegate nei confronti di terzi, e quindi i relativi verbali e
registrazioni non devono essere distrutti

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Se il giudice vuole usare le intercettazioni solo contro persone diverse dal parlamentare allora non viene
richiesta nessuna autorizzazione
6. I NUOVI STRUMENTI DELLA TECNICA: TABULATI TELEFONICI E VIDEORIPRESE
A. I TABULATI TELEFONICI
L’acquisizione dei tabulati del traffico telefonico è disciplinata dall’art. 132 d.lgs. n. 1 96 del 2003, come modificato
poi da successive leggi
La conoscenza di dati esterni del traffico telefonico non è intercettazione dal momento che non vi è il requisito della
comunicazione in corso, quindi l’acquisizione può avvenire anche con decreto motivato del pm
I dati dei 3 tipi di traffico telefonico devono essere conservati dal fornitore per differenti periodi di tempo
I termini di conservazione danno luogo ad una normativa:
- ORDINARIA per REATI COMUNI: i dati del traffico telefonico sono conservati dal fornitore
o Chiamate senza risposta, 30 giorni dalla data della chiamata
o Dati del traffico telematico, 12 mesi dalla data della comunicazione
o Dati del traffico telefonico rimanenti, 24 mesi dalla data della comunicazione
- SPECIALE per REATI GRAVI: 72 mesi, per assicurare la repressione di terrorismo, mafia, omicidio volontario,
sequestro di persona a fini di estorsione, armi, stupefacenti, tratta di persone ecc
ACQUISIZIONE DEI DATI: entro i predetti termini il pubblico ministero dispone con decreto motivato la acquisizione
dei dati presso il fornitore anche su istanza del difensore dell’imputato, dell’indagato, dell’offeso e delle altre parti
private
Il difensore dell’imputato può anche chiedere direttamente al gestore del traffico telefonico i dati relativi alle utenze
intestate al proprio assistito con le modalità della richiesta ai documenti alle pubbliche amministrazioni (art. 391
quater) → ha diritto di conoscere i dati del traffico entrante quando dalla mancata acquisizione di questi può
derivare un pregiudizio effettivo e concreto allo svolgimento delle investigazioni difensive
B. LE VIDEORIPRESE
Con il termine videoriprese si indica la registrazione (effettuata attraverso strumenti tecnici di captazione visiva) di
quanto accade in un luogo, all’insaputa di chi in esso si trovi. In particolare, la registrazione può essere disposta in un
luogo pubblico o in un luogo di privata dimora. Quando
- Quando l’attività è svolta da soggetti privati, la videoripresa è un «documento» ed è utilizzabile nel
procedimento penale purché non costituisca documenti illegale
- Quando la videoripresa è svolta da soggetti pubblici come atto di indagine nel procedimento penale la
disciplina in assenza di apposita regolamentazione è stata ricostruita dalla corte costituzionale e quella di
cassazione.
Innanzitutto occorre distinguere la ripresa di:
o Comportamenti comunicativi (ex: due soggetti che dialogano tra loro) costituisce una forma di
intercettazione e, pertanto, ne segue la disciplina.
Le intercettazioni ambientali possono quindi essere effettuate solamente quando vi è fondato
sospetto che nel domicilio si stia svolgendo una attività criminosa, requisiti che non viene richiesto in
tutti gli altri casi che seguono la disciplina ordinaria
o Comportamenti non comunicativi (ex: un soggetto che si muove in un luogo) ha una disciplina
differente a seconda del luogo nel quale viene posta in essere. In particolare, le Sezioni unite Prisco
del 2006 hanno prospettato una tripartizione tra:
▪ Luoghi domiciliari: sono caratterizzati dall’esistenza, in capo ad un soggetto, del diritto di
escludere chiunque altro; gli spazi citati rientrano nell’area protetta dall’art. 14 Cost.
(inviolabilità del domicilio). Pertanto, le videoriprese risultano vietate a pena di
inutilizzabilità (art. 191).
▪ Luoghi riservati: sono caratterizzati dalla mancanza della stabilità del diritto di escludere
chiunque altro. Tale diritto persiste soltanto se il titolare è presente sul luogo (ex: toilette dei
locali pubblici; privés di discoteche). Tuttavia, si tratta di spazi che, pur non rientrando nel
concetto di domicilio, sono caratterizzati da una aspettativa di riservatezza maggiore
rispetto ai luoghi pubblici. Vengono tutelati dall’art. 2 Cost. che protegge la riservatezza in

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modo mendo intenso del domicilio. Un’eventuale limitazione è consentita in assenza di una
disciplina legislativa espressa, purché sia attuata attraverso un provvedimento dell’autorità
giudiziaria, fornito di congrua motivazione. Pertanto, le videoriprese nei luoghi riservati
possono essere disposte con un atto motivato del pubblico ministero e sono utilizzabili come
prova atipica (art. 189).
▪ Luoghi pubblici: non è configurabile alcuna aspettativa di riservatezza con riferimento alle
immagini → le riprese possono essere effettuate dalla polizia anche di propria iniziativa e si
tratta di atti non ripetibili che in dibattimento possono essere usate come prova atipica
La registrazione disposta dal pm nei luoghi riservati o dalla polizia giudiziaria nei luoghi
pubblici, potrà essere ammessa nel dibattimento ex art. 189 e il giudice dovrà sentire le parti
sulle modalità di acquisizione
▪ Il comportamento in concreto non riservato: La sentenza della Corte costituzionale n. 149
del 2008 ha delineato una ulteriore distinzione che concerne le videoriprese di mere
immagini effettuate nei luoghi domiciliari; affinché scatti la tutela del domicilio delineata
dall’art. 14 Cost., non basta che un comportamento venga tenuto in luoghi di privata dimora,
ma occorre che esso in concreto sia riservato, e cioè non possa essere liberamente osservato
dagli estranei, senza ricorrere a particolari accorgimenti. Qualora il comportamento tenuto
all’interno del luogo domiciliare sia in concreto non riservato, le videoriprese sono
sottoposte al medesimo regime valevole per quelle effettate in luoghi pubblici. Pertanto,
esse possono essere disposte anche dalla polizia giudiziaria di propria iniziativa e sono
utilizzabili come prova atipica
▪ Gli impianti di videosorveglianza: le videoriprese effettuate con impianti di videosorveglianza
messi in opera da soggetti pubblici o privati rientrano nella categoria dei documenti e
possono essere acquisite al processo in base all’art. 234 → sono quindi esclude dalle
intercettazioni

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CAPITOLO 6 (Le misure cautelari)
1. I principi generali delle misure cautelari
A. LA DEFINIZIONE DI PROVVEDIMENTO CAUTELARE
Tra l’inizio del procedimento penale e quando la sentenza viene eseguita passa un periodo di tempo anche molto
ampio anche in relazione alle impugnazioni che possono essere proposte e previste ex lege
Nel procedimento penale, i tempi lunghi possono essere dovuti alla complessità delle indagini o all’esigenza di
accertare il fatto di reato con il rispetto del diritto di difesa; durante questo periodo di tempo possono sorgere
pericoli per lo svolgersi del procedimento penale e specificamente per l’accertamento dei fatti e per l’efficacia della
sentenza. Al fine di evitare tali rischi sono previste le misure cautelari: esse sono quei provvedimenti provvisori e
immediatamente esecutivi, finalizzati ad evitare che il trascorrere del tempo possa provocare uno dei seguenti
pericoli:
- Il pericolo per l’accertamento del reato;
- Il pericolo per l’esecuzione della sentenza;
- Il pericolo che si aggravino le conseguenze del reato o che venga agevolata la commissione di ulteriori reati.
Le misure cautelari (ad esempio, la custodia in carcere, l’obbligo di presentarsi alla polizia, il sequestro conservativo)
comportano la limitazione di alcune libertà fondamentali che sono tutelate dalla Costituzione e dalle Convenzioni
internazionali. Si tratta della libertà personale, della libertà di circolazione e della libertà di disporre di beni mobili ed
immobili.
CARATTERISTICHE:
- STRUMENTALITA’: la caratteristica fondamentale è la strumentalità rispetto al procedimento penale; le
misure cautelari hanno i seguenti scopi:
o Permettono l’accertamento del reato (quando vi è il pericolo di inquinamento delle prove);
o Assicurano l’esecuzione della sentenza definitiva (quando vi è pericolo che l’imputato fugga o
disperda il proprio patrimonio);
o Evitano l’aggravamento delle conseguenze del reato o la commissione di ulteriori reati.
- URGENZA: vi è una situazione di urgenza quando un ritardato intervento rende probabile il verificarsi di uno
dei fatti temuti. Il codice prevede un elenco tassativo delle esigenze cautelari, che giustificano l’applicazione
di una misura cautelare personale (art. 274). Non è permesso al giudice di giustificare l’applicazione di una
simile misura per esigenze diverse da quelle previste dalla legge.
MISURE CAUTELARI E PRESUNZIONE DI INNOCENZA: La Costituzione impone che l’imputato non sia
“considerato colpevole” fino alla condanna definitiva (art. 27, c. 2): ne deriva che la pena può essere
applicata soltanto dopo la sentenza irrevocabile di condanna. Tale principio costituzionale sembra porsi in
contraddizione con l’art. 13, c. 5 Cost. che consente la limitazione della libertà personale anche prima della
sentenza irrevocabile → il contrasto è ancora più accentuato se si tiene presente che le misure cautelari
possono arrivare ad un livello di coercizione coincidente con quello della pena
Secondo la Corte costituzionale (sentenza 21 luglio 2010, n. 265), affinché le restrizioni della libertà
personale dell’imputato nel corso del procedimento siano compatibili con la presunzione d’innocenza, è
necessario che esse siano nettamente differenziate rispetto alla pena. La misura cautelare non deve essere
una “anticipazione” della sanzione penale che potrà essere successivamente applicata con la condanna. Per
questo motivo, la misura cautelare può essere giustificata soltanto dall’esistenza di un pericolo per il
procedimento penale. Se in concreto non sussiste nei confronti dell’imputato nessuna delle esigenze
previste dal codice, non può essere applicata nessuna misura.
Per differenziare comunque la custodia cautelare dalla pena, il legislatore deve prevedere una molteplicità di
misure idonee a far fronte alla varietà delle esigenze cautelari e meno afflittive della custodia in carcere
(misura maggiormente limitativa della libertà personale)
- PROGNOSI DI COLPEVOLEZZA ALLO STATO DEGLI ATTI: nel processo penale l’applicazione di una misura
cautelare personale richiede l’accertamento di “gravi indizi” di colpevolezza (art. 273) basato sugli elementi
di prova che l’accusa è riuscita a raccogliere sin dall’inizio delle indagini → accertamento allo stato degli atti,
basato quindi su materiale probatorio suscettibile di essere modificato successivamente in relazione ai nuovi
elementi che siano stati raccolti dalla accusa e dalla difesa

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L’accertamento deve essere fondato su elementi di prova ed adeguatamente motivato (art. 292) →
l’imputato, per ottenere una maggiore tutela dei propri diritti, ha comunque interesse che l’accertamento
degli indizi di reità sia svolto in modo approfondito
- IMMEDIATA ESECUTIVITA’: la necessità di evitare i pericoli, che possono sorgere nell’attesa della sentenza
definitiva, impone l’immediata esecutività del provvedimento cautelare (art. 293). L’esecutività è l’idoneità
del provvedimento ad essere attuato coattivamente anche contro la volontà della persona interessata.
L’ordinanza che dispone la misura cautelare viene trasmessa immediatamente al pm che ne ha fatto
richiesta e che ne cura l’esecuzione
Il provvedimento rimane esecutivo anche se eventualmente sia stato impugnato
- PROVVISORIETA’:
o Il provvedimento cautelare non condiziona la decisione “definitiva”, che è pronunciata dal giudice al
termine del dibattimento sulla base delle prove raccolte in contraddittorio
o Il provvedimento cautelare è revocabile o modificabile in attesa della sentenza definitiva → viene
emesso allo stato degli atti
Le prove, che saranno successivamente raccolte, potranno portare alla acquisizione di ulteriori
elementi tali da confermare o, viceversa, escludere i gravi indizi di reità; oppure potrebbero
attestare il modificarsi o il venir meno delle esigenze cautelari → è quindi possibile revocare o
modificare anche in peggio la misura cautelare
- PREVISIONE PER LEGGE: le misure cautelari comportano la limitazione della libertà personale e domiciliare.
La Costituzione esige che la legge preveda espressamente i casi ed i modi nei quali il provvedimento
dell’autorità giudiziaria può porre limiti alle predette libertà; si tratta dei princìpi di riserva di legge e di
tassatività, posti dagli articoli 13 e 14 Cost. → entro tali limiti le libertà fondamentali possono essere
compresse per perseguire i fini legittimi del processo penale
- GIURISDIZIONALITA’: le misure cautelari sono disposte con un provvedimento emanato dal giudice. Da ciò
deriva che, di regola, il pubblico ministero e la polizia giudiziaria non hanno il potere di disporre misure
cautelari → il codice pone una garanzia superiore a quella della costituzione dal momento che riserva
all’autorità giudiziaria il potere di emanare questo tipo di provvedimento
La riserva di giurisdizione non è assoluta; infatti sia la Costituzione (art. 13, c. 3), sia il codice ammettono che
i provvedimenti temporanei possano essere disposti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria; (ad
esempio il fermo di persona gravemente indiziata di un delitto nelle ipotesi previste dall’art. 384 c.p.p.) →
provvedimenti precautelari, essi devono essere sottoposti a convalida da parte del giudice entro un tempo
predeterminato, altrimenti l’indagato deve essere rimesso in libertà.
- IMPUGNABILITA’: nei confronti dei provvedimenti cautelari è possibile proporre impugnazione. La
Costituzione (art. 111, c. 7) prevede il ricorso per cassazione per violazione di legge contro tutti i
provvedimenti che comportano una limitazione della libertà personale → garanzia estesa dal codice dal
momento che per tutti i provvedimenti cautelari ha previsto anche una impugnazione di merito (appello o
riesame)
- PROPORZIONALITA’: l’applicazione delle misure deve rispettare il principio di proporzionalità ex diritto
sovranazionale della carta dei diritti fondamentali dell’ue e comunque anche interno e giurisprudenza della
consulta
B. MISURE CAUTELARI E SISTEMA PROCESSUALE
Nel sistema accusatorio, la libertà è la regola quindi queste misure limitative devono rimanere l’eccezione → la
presunzione di innocenza non devono né anticipare la pena né costringere l’imputato a confessarsi colpevole, ma
devono essere previste tassativamente per evitare l’arbitrio del giudice e quindi lo stravolgimento della funzione di
queste misure
La presunzione di innocenza e il rispetto delle libertà fondamentali impongono una pluralità di misure cautelari tra
cui il giudice può scegliere quella più adatta al caso concreto (la custodia cautelare in carcere rimane quindi
l’extrema ratio)
IL CRITERIO DEL MINORE SACRIFICIO: la compressione della libertà perdonale deve essere contenuta entro i limiti
minimi indispensabili a soddisfare le esigenze cautelari riconoscibili nel caso concreto → il ricorso a misure
maggiormente incisive viene giustificato solamente quando con quelle più lievi non si sono ottenuti i risultati voluti
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Il legislatore ha quindi l’obbligo di:
- Strutturare il sistema secondo l modello della pluralità graduata, predisponendo una gamma di misure che
incidono in modo diverso sulla libertà personale
- Prefigurare meccanismi individualizzati di selezione del trattamento cautelare, adeguate alle esigenze
configurabili nelle singole fattispecie concrete
IL CODICE DELL’88: doveva attuare i principi del sistema accusatorio, dopo l’entrata in vigore del codice le misure
cautelari hanno subito diverse modifiche sostanzialmente lungo 2 direttrici
- Doppio binario: regime differenziato per reati come terrorismo, criminalità organizzata e comunque i delitti
più gravi
- Si sono posti rimedi alla mancanza di contraddittorio nei confronti della difesa dell’imputato
La disciplina non ha quindi trovato un equilibrio dal momento che le modifiche degli ultimi anni hanno solamente
corretto disfunzioni che si sono manifestate durante gli anni e a correggere interpretazioni giurisprudenziali contro i
principi costituzionali
C. LA RISERVA DI LEGGE E GIURISDIZIONE
RISERVA DI LEGGE: la costituzione prevede restrizioni della libertà personale solamente nei casi e nei modi previsti
dalla legge → questo potere ha quindi solamente carattere eccezionale
CASI E MODI PREVISTI DALLA LEGGE: art. 272 c. p. p. “le libertà della persona possono essere limitate con misure
cautelari solamente a norma delle disposizioni del presente titolo” delle misure cautelari personali appunto → viene
disposta una regolamentazione generale che si applica quando viene disposta una limitazione prevista sia nel codice
che anche in leggi esterne
LA RISERVA DI GIURISDIZIONE: art. 279 c. p. p. sull’applicazione, revoca o modifica delle misure cautelari “provvede il
giudice che procede” → interpretazione autentica della costituzione che ex art. 13, II permette la limitazione della
libertà personale solamente con “atto motivato dell’autorità giudiziaria”, quindi del giudice
Il pm può solamente chiederle, ma l’applicazione è riservata al giudice che è organo terzo o imparziale (prima
dell’esercizio dell’azione penale, si tratta del gip)
LE REGOLE GENERALI: il gip deve motivare ampiamente il suo provvedimento, quindi il pm deve convincerlo che
esistono in concreto i presupposti che fondano la singola misura, trasmettendo al giudice i verbali degli atti che
giustificano la misura richiesta
Dopo che la misura coercitiva è stata eseguita, l’imputato ha diritto di essere sentito dal giudice in un interrogatorio
di garanzia: il difensore ha quindi la possibilità di conoscere la richiesta del pm e degli atti che la pubblica accusa ha
presentato al giudice → il contraddittorio sulla misura cautelare viene quindi posticipato ad un momento successivo
rispetto all’applicazione di questa
2. La struttura normativa delle misure cautelari personali
A. LE MISURE CAUTELARI PERSONALI
Il codice prevede varie categorie di misure cautelari. Vi è una prima distinzione fondamentale tra misure:
- Reali: toccano singoli beni mobili o immobili ed impongono il divieto di disporre di tali beni
o Sequestro conservativo: a tutela della garanzia del pagamento delle somme dovute per le spese del
procedimento e i danni cagionati dal reato
o Sequestro preventivo: per evitare l’aggravamento delle conseguenze del reato
- Personali: comportano limiti alla libertà personale o alla libertà di determinazione nei rapporti familiari e
sociali
Si dividono in tre categorie: misure coercitive, interdittive e misure di sicurezza applicate provvisoriamente a
scopi cautelari.
1. MISURE COERCITIVE
Sono enumerate dal codice in ordine crescente di gravità e si dividono in:
- OBBLIGATORIE:
o DIVIETO DI ESPATRIO: (art. 281) impone all’imputato di non uscire dal territorio nazionale senza
l’autorizzazione del giudice, che può dare tutte le disposizioni necessarie per assicurare l’esecuzione
del provvedimento (ad esempio, ritiro dei documenti validi per l’espatrio)
o DIVIETO DI DIMORA: (art. 283, c. 1) impone all’imputato di non dimorare in un determinato luogo e
di non accedervi senza l’autorizzazione del giudice
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o OBBLIGO DI PRESENTARSI ALLA POLIZIA GIUDIZIARIA: (art. 282) si prescrive all’imputato di
presentarsi presso gli uffici di quest’ultima nei giorni e nelle ore indicati dal giudice
o OBBLIGO DI DIMORA: si prescrive all’imputato di non allontanarsi, senza l’autorizzazione del giudice,
dal comune o da una sua frazione (può essere aggiunto, inoltre, un obbligo di reperibilità) → il
giudice può limitare progressivamente la libertà dell’imputato senza pregiudizio per le normali
esigenze di lavoro
o ALLONTANAMENTO DALLA CASA FAMILIARE: (art. 282-bis), il giudice prescrive all’imputato di
lasciare immediatamente la casa familiare, ovvero di non farvi rientro e di non accedervi senza
autorizzazione. Qualora sussistano esigenze di tutela della persona offesa o dei suoi prossimi
congiunti, il giudice può prescrivere obblighi accessori, come il divieto di avvicinarsi a luoghi
determinati, abitualmente frequentati dalla persona offesa (art. 282-bis, c. 2), o l’obbligo di versare
un assegno periodico ai conviventi (art. 282-bis, c. 3).
Viene predisposto soprattutto con riferimento ai delitti di violenza nelle relazioni familiari anche se
non vi è alcuna norma che lo riservi espressamente → riforme recenti hanno però consentito che:
▪ Il giudice può applicare l’allontanamento dalla casa familiare fuori dall’ordinario limite di
pena superiore nel massimo a 3 anni e di accompagnare la misura con il braccialetto
elettronico
▪ La polizia giudiziaria può applicare la misura precautelare dell’allontanamento d’urgenza su
autorizzazione del pm e con successiva convalida del giudice
o DIVIETO DI AVVICINAMENTO AI LUOGHI FREQUENTATI DALLA PERSONA OFFESA: (art. 282-ter,
introdotto dal d.l. 23 febbraio 2009, n. 11), il giudice può
▪ Prescrivere all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati, abitualmente frequentati
dalla persona offesa, dai prossimi congiunti di questa o da persone legate da relazione
affettiva o convivenza con la persona offesa;
▪ Prescrivere all’imputato di mantenere una determinata distanza dai predetti luoghi (art.
282- ter, cc. 1 e 2);
▪ Vietare all’imputato di comunicare attraverso qualsiasi mezzo con la persona offesa, i suoi
congiunti e le persone legate a lei da una relazione affettiva o convivenza
- CUSTODIALI: le misure custodiali comportano per l’imputato una situazione di custodia, dalla quale derivano
due conseguenze
o Negativa consiste nella configurabilità del delitto di evasione (art. 385 c.p.), ove l’imputato si
allontani dal luogo di custodia;
o Positiva sta nel fatto che il periodo trascorso in custodia sarà computato come esecuzione della pena
detentiva, nel caso in cui questa debba essere eseguita in seguito a condanna (artt. 285, c. 3 e 657
c.p.p.)
Comprendono:
o ARRESTI DOMICILIARI: (art. 284) impongono all’imputato di non allontanarsi dalla propria abitazione
o da altro luogo di privata dimora ovvero da un luogo pubblico di cura o di assistenza → si può
anche:
▪ Aggiungere limiti alla facoltà dell’imputato di comunicare con persone diverse rispetto a
quelle che abitano con lui
▪ Concedergli di andare al lavoro quando non può altrimenti fare fronte alle sue esigenze di
vita o comunque sia assolutamente indigente
o BRACCIALETTO ELETTRONICO: (art. 275-bis) non è una misura cautelare, bensì una modalità di
esecuzione di altra misura cautelare ex: dell’arresto domiciliare o dell’allontanamento dalla casa
familiare.
▪ Dal punto di vista tecnico, il braccialetto è uno strumento con il quale è possibile controllare
costantemente gli spostamenti dell’indagato;
▪ Dal punto di vista giuridico, il braccialetto elettronico è definito dal legislatore come una
procedura «di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici» (art. 275-bis).
Esso permette di evitare una misura cautelare più pesante, e cioè la custodia in carcere.
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Poiché lo strumento incide sui diritti fondamentali della persona e comprime la riservatezza della vita
privata, la sua applicazione è subordinata al consenso dell’indagato (art. 275-bis, c. 2). Nonostante la
legge imponga che una volta che viene disposto l’arresto domiciliare, qualora la polizia lo abbia a
disposizione, il giudice deve applicarlo; egli può anche non farlo ma allora deve motivare perché nel
caso concreto non lo ritiene necessario «in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari
da soddisfare» (art. 275-bis, c. 1, mod. dal decreto-legge n. 146 del 2013, conv. nella legge n. 10 del
2014).
Con lo stesso provvedimento con cui viene previsto il braccialetto elettronico, il giudice prevede
l’applicazione della misura della custodia cautelare quando l’imputato neghi il consenso all’adozione
del braccialetto
DIVIETO DI PROCEDERE ALL’ARRESTO DOMICILIARE: il codice vieta di concedere gli arresti domiciliari
a chi sia stato condannato per il reato di evasione nei cinque anni precedenti al fatto per il quale si
Procede → eccezione, il giudice può concedere l’arresto domiciliare se ritiene «sulla base di specifici
elementi, che il fatto sia di lieve entità e che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con tale
misura» → il giudice può assumere nelle forme più rapide le relative notizie
Si vuole con questa norma superare l’automatismo dei divieti restituendo al giudice il potere di
valutare il fatto pregresso in base al principio di offensività
o CUSTODIA IN CARCERE: (art. 285) è la più grave delle misure coercitive; con il relativo
provvedimento il giudice dispone che l’imputato venga immediatamente condotto in un istituto di
custodia a disposizione dell’autorità giudiziaria (separato dai detenuti che stanno scontando una
pena definitiva) → la mancata costruzione di carceri adeguate fa sì che questa misura rimanga
inosservata
▪ Se l’imputato necessita di cure specialistiche che non possono essere fatte in luogo di
detenzione, il giudice ne dispone la CUSTODIA CAUTELARE IN LUOGO DI CURA (art. 286) e, se
del caso, adotta i provvedimenti necessari per prevenire il pericolo di fuga (es.
piantonamento).
▪ Se l’imputato non è socialmente pericoloso, il giudice dispone il ricovero presso il servizio
psichiatrico ospedaliero (centro di igiene mentale)
▪ Se l’imputato è socialmente pericoloso, il giudice deve applicare in via provvisoria il ricovero
in un ospedale psichiatrico giudiziario (se infermo di mente totale) o in una casa di cura e
custodia (se infermo di mente parziale)
2. MISURE INTERDITTIVE
Le misure interdittive consistono nell’applicazione provvisoria a scopo cautelare di determinati divieti. La loro
previsione risponde alla finalità di far fronte alle esigenze cautelari con misure meno gravi di quelle custodiali. In
concreto può accadere che il pericolo di inquinamento delle prove o di compimento di ulteriori reati sia scongiurato
con la semplice imposizione di determinati divieti all’imputato
Si comprime quindi la facoltà di esercitare determinati diritti e poteri collegati ad una situazione giuridica soggettiva
propria di uno status civile o professionale lasciando inalterata la libertà fisica del soggetto in senso stretto
3 tipi che il giudice può adattare alle esigenze del caso concreto su richiesta del pm:
- SOSPENSIONE DELL’ESERCIZIO DELLA RESPONSABILITA’ GENITORIALE: priva temporaneamente
l’imputato, in tutto o in parte, dei poteri ad essa inerenti (art. 288).
- SOSPENSIONE DELL’ESERCIZIO DI UN PUBBLICO UFFICIO O SERVIZIO: impedisce temporaneamente
all’imputato, in tutto o in parte, le attività relative (art. 289)
Durante le indagini preliminari, il pm quando presenta questa richiesta il giudice deve procedere
all’interrogatorio prima di decidere (non successivamente come per tutte le altre ipotesi in cui viene
previsto l’interrogatorio di garanzia)
Ne è stata ampliata l’operatività per evitare la custodia cautelare, quindi se il pm chiede una misura
coercitiva (più grave) e il giudice ritiene di dover applicare anche la sospensione dall’esercizio del
pubblico ufficio l’interrogatorio di garanzia si svolge 10 giorni dalla notificazione della misura stessa
(eccezione introdotta nel 2015, per il resto l’interrogatorio di garanzia rimane prima)

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- DIVIETO DI ESERCITARE DETERMINATE PROFESSIONI, IMPRESE O UFFICI DIRETTIVI: il giudice interdice
temporaneamente all’imputato, in tutto o in parte, le attività predette (art. 290).
Di norma, possono essere applicate solamente in relazione a quei reati per cui la legge stabilisce la pena
dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a 3 anni
APPLICAZIONE PROVVISORIA DI MISURE DI SICUREZZA: infine, il codice prevede che alcune misure di sicurezza
possano essere applicate provvisoriamente a titolo di provvedimento cautelare (art. 312 c.p.p.). L’applicazione
provvisoria ha per oggetto:
- Ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario per l’imputato che sia affetto da vizio di mente totale;
- Ricovero in una casa di cura e custodia per l’imputato semi-infermo di mente;
- La libertà vigilata.
Occorre che siano presenti i seguenti presupposti:
- I gravi indizi di “commissione del fatto”;
- Che l’imputato sia socialmente pericoloso;
- Che non siano applicabili in concreto le cause di giustificazione, di non punibilità o di estinzione del reato
B. LE CONDIZIONI GENERALI DI APPLICABILITA’ DELLE MISURE CAUTELARI PERSONALI
Il codice pone le seguenti condizioni generali di applicabilità delle misure cautelari personali:
- LA GRAVITÀ DEL DELITTO. La condizione che il delitto addebitato sia di una determinata gravità è posta
dall’art. 280 (“condizioni di applicabilità delle misure coercitive”). Il codice (artt. 280 e 287) dispone che
non siano applicabili le misure coercitive ed interdittive nei procedimenti per quei reati che sono
denominati “contravvenzioni”; in questi ultimi si possono adottare soltanto misure cautelari reali, e cioè
il sequestro conservativo e preventivo.
Ex art. 280 di regola sono applicabili misure coercitive ed interdittive al di sotto di una soglia minima di
gravità del delitto addebitato che viene commisurata in relazione alla pena detentiva stabilita nel
massimo
CATEGORIE DI DELITTI:
o Delitti punibili nel massimo con la reclusione ino a 3 anni → non può essere disposta nessuna
misura coercitiva o interdittiva
o Delitti punibili nel massimo con la reclusione superiore a 3 anni ma inferiore a 5: sono applicabili
le misure coercitive diverse dalla custodia in carcere
o Delitti punibili nel massimo con la reclusione di almeno 5 anni o l’ergastolo: consentono
l’applicazione della misura della custodia in carcere, che viene ammessa anche nei confronti
degli imputati che abbiano trasgredito alle prescrizioni a riguardo della misura cautelare a loro
applicata
- LA PUNIBILITA’ IN CONCRETO. Secondo l’art. 273, c. 2, occorre che il delitto addebitato all’imputato sia
punibile in concreto. In caso contrario, non vi è la possibilità di applicare alcuna misura cautelare
personale; «nessuna misura può essere applicata se risulta che il fatto è stato compiuto in presenza di
una causa di giustificazione (es. legittima difesa) o di non punibilità (es. fatti compiuti a danno di
congiunti) o se sussiste una causa di estinzione del reato (es. prescrizione) ovvero una causa di estinzione
della pena che si ritiene possa essere irrogata» (es. indulto di tre anni, se la pena non sarà superiore a
tale entità).
- I GRAVI INDIZI. L’art. 273 pone, come requisito della misura cautelare personale, l’esistenza di “gravi
indizi di colpevolezza” → quantum di prova che va a legittimare la misura cautelare
Dal momento che comunque queste misure vengono applicate nella fase delle indagini preliminari
quando quindi in assenza di contraddittorio dibattimentale la base probatoria è ancora provvisoria
(perciò si usa la dicitura indizi), le prove sono gli elementi esistenti allo stato degli atti
Il giudice su questi elementi deve formulare un giudizio prognostico sulla possibilità che si pervenga alla
condanna che accerterà la colpevolezza dell’imputato
PRESUNZIONE DI INNOCENZA E DECISIONE ALLO STATO DEGLI ATTI: dal momento che la misura cautelare viene
fondata sulla prognosi della condanna, il principio della presunzione di innocenza richiede per il quantum della prova
necessario a fondarne l’applicazione non soltanto il fumus boni juris ma si richiede una gravità tale che l’accusa provi
come molto probabile la reità dell’indagato
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LA BASE PROBATORIA DEL GIUDIZIO CAUTELARE: il pm presenta al giudice una richiesta di applicazione della misura
cautelare insieme agli elementi sui quali la stessa si fonda: atti raccolti in modo unilaterale dal pm, dalla polizia
giudiziaria ed eventualmente dai difensori di indagato ed offeso, possono essere usati come prova durante le
indagini
Le norme sulle prove si ritengono applicabili durante le indagini a meno che non siano incompatibili anche
solamente implicitamente con la regolamentazione del singolo atto da compiere in una determinata fase
Si richiamano però espressamente nella disciplina:
- Si impongono i riscontri per le dichiarazioni di imputati connessi o collegati
- Si richiede l’indicazione delle fonti per sentito dire
- Divieto dell’utilizzazione delle dichiarazioni che la polizia giudiziaria ha ricevuto dai suoi informatori a
meno che questi non siano stati sentiti
- Divieto di utilizzazione dei risultati delle intercettazioni eseguite illegittimamente
Questi richiami devono essere considerati come un giudizio ex lege di compatibilità e necessaria applicazione almeno
di queste norme a cui viene effettuato rinvio
C. ESIGENZE CAUTELARI
Le misure personali possono essere applicate soltanto quando esiste in concreto almeno una delle esigenze cautelari
indicate tassativamente dall’art. 274. La tassatività della previsione ha lo scopo di impedire che si tenda, attraverso
le misure cautelari, ad anticipare l’applicazione della sanzione penale. Ciò è espressamente inibito dalla presunzione
di innocenza, che vieta appunto l’applicazione anticipata della pena prima che sia stata pronunciata una sentenza
definitiva di condanna.
Il pm, nel presentare al giudice la richiesta motivata della misura cautelare, deve fornire anche gli elementi di prova
che dimostrino in concreto sia l’esistenza di tutte le condizioni necessarie per applicare la misura richiesta sia il
ricorrere di almeno una delle esigenze cautelari, cioè:
- PERICOLO DI INQUINAMENTO DELLA PROVA: il pubblico ministero deve dimostrare che vi sono in
concreto situazioni di attuale pericolo sia per l’acquisizione della prova (pericolo di occultamento), sia
per l’acquisizione in modo genuino (pericolo di alterazione) → le indagini devono essere quelle relative
al fatto di reato per cui si procede
Nel provvedimento deve essere contenuto a pena di nullità l’elenco delle situazioni che possono dare
pericolo
Dal silenzio mantenuto dall’imputato (o dalla sua mancata ammissione degli addebiti) non si può
ricavare l’esistenza del pericolo di inquinamento della prova.
- PERICOLO DI FUGA: questa esigenza sussiste quando l’imputato si è dato alla fuga o vi è il concreto
pericolo che si dia alla fuga. Occorre, tuttavia, che il giudice ritenga possibile che all’imputato possa
essere irrogata in concreto con la sentenza una pena superiore a due anni di reclusione.
Le situazioni di concreto e attuale pericolo non possono essere desunte esclusivamente dalla gravità del
titolo di reato per cui si procede
- PERICOLO CHE VENGANO COMMESSI DETERMINATI REATI: la misura coercitiva può essere applicata
quando vi è il pericolo che l’imputato commetta una delle seguenti categorie di delitti:
o Gravi delitti con l’uso di armi o di altri mezzi di violenza personale;
o Gravi delitti diretti contro l’ordine costituzionale;
o Delitti di criminalità organizzata;
o Delitti della stessa specie di quello per il quale si procede → si può disporre:
▪ Arresto domiciliare, quando la pena è di reclusione di 4 anni nel massimo
▪ Carcerazione cautelare, quando la pena è di reclusione di 5 anni nel massimo o quando
si tratta di finanziamento illecito ai partiti
Il pericolo concreto ed attuale deve essere desunto da specifiche modalità del fatto di reato e dalla
personalità pericolosa dell’autore del fatto, con il limite che però si deve trattare di precedenti penali e
comportamenti o atti concreti (non quindi la gravità del reato) che devono essere espressamente indicati
→ si richiede la motivazione a pena di nullità
D. I CRITERI DI SCELTA DELLE MISURE CAUTELARI PERSONALI

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Il giudice, dopo aver accertato che esistono sia i gravi indizi di reità, sia almeno una delle esigenze cautelari, dispone
la misura con ordinanza. Tuttavia il suo potere è vincolato a limiti formali e sostanziali.
- Sotto un profilo formale, il giudice non può disporre una misura più grave di quella richiesta dal pubblico
ministero → principio accusatorio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato
- Da un punto di vista sostanziale, egli ha il potere-dovere di scegliere la misura cautelare in base ai criteri
che sono espressamente indicati nell’art. 275 → la sua decisione è frutto di una discrezionalità vincolata
a leggi che attuano i principi costituzionali
In base alla presunzione di innocenza le misure cautelari coercitive devono rispettare il criterio del minore sacrificio
necessario (contenuta quindi entro i limiti indispensabili a soddisfare le esigenze cautelari del caso concreto). In base
all’art. 275 c.p.p. la misura da applicarsi deve essere:
- “adeguata” alle esigenze cautelari presenti in concreto;
- “proporzionata” alla gravità del fatto e della sanzione che potrà essere irrogata;
- “graduata” in modo tale da applicare la custodia in carcere soltanto quando ogni altra misura risulti
inadeguata.
L’accertamento di questi requisiti si deve basare su elementi di prova ricavati dal caso concreto: non sono quindi
ammessi né automatismi né presunzioni → il giudice deve motivare l’ordinanza per permettere la verifica
sull’esercizio del potere discrezionale
INDIVIDUAZIONE DELLE MISURE: Entro il ventaglio delle misure prefigurate dalla legge, il giudice deve individuare
quelle astrattamente idonee a tutelare le esigenze cautelari nel caso concreto e prescegliere la meno afflittiva.
Soltanto in tal modo è possibile ridurre al minimo indispensabile la limitazione delle libertà dell’individuo in un
momento anteriore rispetto alla pronuncia della condanna definitiva. Tale disciplina costituisce attuazione del
criterio del “minore sacrificio” che ispira la disciplina della custodia cautelare nel nostro sistema processuale.
Secondo la corte costituzionale, il tratto saliente della normativa riguardo alle misure restrittive sta nel fatto che i
presupposti e le condizioni siano apprezzati dal giudice sulla base della situazione concreta, così da realizzare una
piena individualizzazione della coercizione cautelare
- PRINCIPIO DI ADEGUATEZZA: il giudice deve valutare la «specifica idoneità di ciascuna (misura) in
relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto» (art. 275, c. 1)
→ il codice stesso quindi ne prevede varie
Una volta che il pubblico ministero abbia adempiuto all’onere di provare l’esistenza di una determinata
esigenza cautelare, occorre che vi sia una piena corrispondenza funzionale tra la misura da adottare ed il
pericolo che si vuole evitare.
- PRINCIPIO DI PROPORZIONALITA’: le misure cautelari devono rispondere ad un’idea di civiltà, secondo la
quale la libertà di una persona non deve essere limitata più di quanto non sia strettamente necessario →
si vuole quindi evitare che venga disposta una misura coercitiva pesante quando la sentenza di condanna
inciderà poco o niente sulla sentenza definitiva
L’art. 275, c. 2 dispone che «ogni misura (debba) essere proporzionata all’entità del fatto e alla sanzione
che si ritiene possa essere irrogata». La norma opera in senso favorevole all’imputato perché impone
che, in relazione ad una scarsa rilevanza del fatto di reato, la misura cautelare non risulti eccessivamente
afflittiva.
LA PREVEDIBILE ESECUZIONE DELLA PENA IN UNO STATO NON DETENTIVO: la legge regola
espressamente i casi limite in cui sarà prevedibile che ai fini della richiesta della misura cautelare, al
momento della pronuncia dell’eventuale condanna la pena sarà scontata fuori dal carcere
DIVIETO DI CARCERAZIONE CAUTELARE: quando il giudice ritiene che, all’esito, del giudizio, la pena
detentiva irrogata non sarà superiore a 3 anni e quindi sarà sospesa in attesa dell’applicazione di una
pena alternativa
NON opera però:
o Quando l’indagato ha trasgredito le prescrizioni di una misura cautelare
o Nei procedimenti dei delitti più gravi o di violenza personale
o Quando gli arresti domiciliari non possono essere disposti per inidoneità del domicilio e
nessun’altra misura è adeguata

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Il giudice, sulla base degli elementi di prova allegati dal pm alla sua richiesta, deve valutare in anticipo se
ci sarà una decisione di condanna e se la pena detentiva potrà essere condizionalmente sospesa o sarà
contenuta nel limite dei 3 anni, salvi reati gravi o di violenza personale
- PRINCIPIO DI GRADUALITA’: la custodia in carcere costituisce la più intensa delle limitazioni della libertà
personale e, pertanto, deve essere applicata soltanto quando non sia assolutamente possibile operare
diversamente (extrema ratio). L’art. 275, c. 3 sancisce che «la custodia cautelare in carcere può essere
disposta soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata».
2 nuovi istituti a rafforzamento dell’operatività del principio:
o Comma 3, le misure coercitive diverse dal carcere possono essere applicate cumulativamente dal
giudice → ha quindi più alternative, contribuendo a rendere maggiormente residuale l’ipotesi
del carcere
o Comma 3 bis, deve indicare le specifiche ragioni per cui ritiene non idonea, nel caso concreto, la
misura degli arresti domiciliari e del braccialetto elettronico → applicazione del principio del
minor sacrificio necessario
ECCEZIONI: in presenza di gravi indizi di alcuni delitti, devono operare 2 presunzioni
o SEMPRE RELATIVA (di SUSSISTENZA delle esigenze cautelari). In presenza di gravi indizi dei delitti
ex art. 275, III (mafia, terrorismo, violenza alla persona) si considera esistente almeno una delle
esigenze cautelari ex art. 274 → ammette la prova contraria
È ammessa quando viene suggerita da alcuni aspetti ricorrenti in determinati tipi di reati e che
quindi ne indicano una grande pericolosità
o RELATIVA MA ANCHE ASSOLUTA (di ADEGUATEZZA DELLA CARCERAZIONE CAUTELARE).
▪ ASSOLUTA: presunzione assoluta di adeguatezza della carcerazione cautelare per i soli
delitti di associazione sovversiva, terroristica e mafiosa → in presenza di gravi indizi di
questi reati si presume:
▪ Presunzione relativa: almeno una esigenza cautelare
▪ Presunzione assoluta: l’unica misura adeguata è la custodia cautelare in carcere
→ non ammette prova contraria, cade solamente se prima cade quella relativa
che ne costituisce il presupposto, quindi non dovrebbe esserci nessuna esigenza
cautelare
La corte costituzionale la ritiene ragionevole quando risulta confermata da regole di
esperienza che non siano state contraddette da dati di fatto → viene affermata
esplicitamente soprattutto con riguardo all’associazione mafiosa dal momento che si
ritiene che le altre misure non trinchino i rapporti tra l’indagato ed il suo gruppo
▪ RELATIVA: per tutti gli altri reati del 275, III (delitti di competenza della procura
distrettuale e nazionale antimafia e antiterrorismo, violenza sulla persona, omicidio
volontario, sfruttamento della prostituzione minorile e iniziative turistiche connesse,
pornografia minorile
Si richiede:
▪ Almeno una esigenza cautelare (relativa)
▪ L’unica misura adeguata sia la carcerazione cautelare (preventiva)
Viene quindi meno:
▪ Quando elementi acquisiti dimostrano che queste esigenze non sussistono
▪ Quando le esigenze del caso concreto possono essere soddisfatte anche con
misure diverse dalla carcerazione cautelare
LE SITUAZIONI INCOMPATIBILI CON LA CUSTODIA IN CARCERE: il codice prevede situazioni che impediscono
la custodia cautelare in carcere. Quest’ultima non può essere comunque disposta quando:
- L’imputato è affetto da «malattia (che) si trova in una fase così avanzata da non rispondere più (...) ai
trattamenti disponibili e alle terapie curative» (art. 275, c. 4-quinquies).
- Vi sono poi altre situazioni che di regola impediscono la custodia in carcere:
o Donna incinta;
o Madre di prole di età fino a sei anni con lei convivente;
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o Padre in analoghe condizioni, se la madre è assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla
prole;
o Persona che ha superato l’età di settanta anni.
L’imputato che si trova nelle situazioni menzionate è sottoposto al carcere soltanto se sussistono esigenze cautelari
di eccezionale rilevanza, come potrebbe accadere quando egli è particolarmente pericoloso a causa dei suoi
precedenti penali o del reato commesso. Se si tratta di madri o padri detenuti e sussistono esigenze cautelari di
eccezionale rilevanza, è prevista la custodia cautelare in istituti di custodia attenuata, denominati ICAM (art. 285-bis,
legge n. 62/2011) → se le esigenze cautelari non sono eccezionali, possono anche essere affidati in arresto
domiciliare in una casa famiglia protetta
- Tossicodipendente che ha in corso un programma di riabilitazione che non può continuare in carcere: il
giudice deve valutare se è possibile concedergli l’arresto domiciliare presso la struttura che l’imputato
stesso gli ha indicato
3. Applicazione delle misure cautelari personali
A. IL PROCEDIMENTO
L’applicazione delle misure cautelari personali avviene in due fasi.
- Nella prima vi è una decisione del giudice fondata su di una richiesta che viene presentata dal pubblico
ministero senza che sia sentita la difesa, poiché la misura deve essere eseguita “a sorpresa” per essere
efficace.
- Nella seconda fase vi è una qualche forma di contraddittorio perché il giudice per le indagini preliminari
deve interrogare l’indagato (sottoposto a custodia o ad altra misura cautelare) ed il difensore ha il diritto
di esaminare i verbali degli atti che sono stati valutati dal giudice.
Le due fasi del procedimento applicativo hanno una caratteristica comune: il potere di controllo che può essere
esercitato dal giudice è molto limitato; inoltre, all’indagato non è riconosciuto il diritto alla prova, e cioè la possibilità
di far assumere prove a difesa. Infine, il giudice decide soltanto su atti e documenti scritti, senza poter sentire a viva
voce alcun testimone.
Con l’ultima riforma del 2017 sono stati introdotti alcuni correttivi che hanno reso più incisivo il contraddittorio in
favore dell’indagato → inversione di tendenza rispetto alle scelte del 1988
B. LA RICHIESTA DEL PM E LA DECISIONE DEL GIUDICE
La prima fase del procedimento applicativo ha inizio quando il pubblico ministero chiede per scritto al giudice per le
indagini preliminari l’adozione di una misura cautelare personale; termina quando il giudice prende, sempre per
scritto, una decisione sulla richiesta; la procedura è segreta, e cioè deve svolgersi all’insaputa dell’indagato e del suo
difensore.
La struttura rispetta il principio della separazione delle funzioni: il pm, in qualità di parte, non ha il potere di limitare
la libertà dell’indagato ma solamente di rivolgere una richiesta al gip presentandogli i verbali delle indagini
preliminari che sono poi gli elementi su cui la richiesta si fonda
Nei verbali sono comprese le trascrizioni sommarie delle intercettazioni che il pm ritiene rilevanti → la richiesta
stessa deve riprodurre quando è necessario soltanto i brani essenziali delle comunicazioni e conversazioni
intercettate
La pubblica accusa gode di un vero e proprio potere di selezionare gli atti raccolti durante le indagini preliminari; di
conseguenza il giudice, non conoscendo l’intero fascicolo delle indagini, ha una cognizione limitata nel momento in
cui accerta se vi sono i presupposti per applicare una determinata misura cautelare.
Il giudice decide sulla base degli atti di indagine che valgono come prove dal momento che sono posti a fondamento
della decisione sulla libertà personale
L’OBBLIGO DI PRESENTARE AL GIUDICE TUTTI GLI ELEMENTI A FAVORE DELL’IMPUTATO: la legge n. 332/1995
ha posto al pubblico ministero l’obbligo di presentare al giudice «tutti gli elementi a favore dell’imputato e le
eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate» (art. 291, c.1). L’effetto dovrebbe essere quello di ampliare
le conoscenze del giudice quando questi deve valutare l’esistenza delle condizioni e dei presupposti della misura
richiesta → tutto dipende quindi dall’ampiezza della selezione fatta dal pm, che dovrebbe essere in grado di valutare
se da un elemento si può ricavare una prova a favore anche solo attenuando l’esigenza cautelare
È una valutazione molto difficile da fare prima di aver conosciuto la tesi difensiva

100
Si è ora sancito che il giudice ha un solo limite al suo potere di decidere sulla richiesta presentata dal pubblico
ministero; e cioè, non può applicare una misura più grave di quella richiesta. Viceversa, il giudice può applicare sia la
misura richiesta, sia una misura meno grave; ma può anche non applicare nessuna misura, se ritiene che non
sussistano le esigenze cautelari o le condizioni di applicabilità.
IL MODELLO LEGALE DI MOTIVAZIONE DEI PROVVEDIMENTI CAUTELARI: la legge n. 332/1995 ha stabilito che la
motivazione deve essere esaustiva e deve rispettare una struttura prefissata (art. 292 c. 2 lett. c e c-bis). Il giudice
deve precisare le specifiche esigenze cautelari e gli specifici indizi che giustificano in concreto la misura disposta, con
l’indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza, tenuto conto
anche del tempo trascorso dalla commissione del reato → deve essere frutto di una autonoma valutazione del
giudice, dal momento che non sono accettabili formule di stile, motivazioni per relationem conformate sulla base
della richiesta del pm e prive di rielaborazione logica da parte del giudice
Se applica la custodia in carcere, il giudice deve spiegare perché tale misura non può essere sostituita con altre meno
gravi (lett. c-bis). Inoltre, il giudice deve esporre i motivi per i quali ritiene “rilevanti” gli elementi a carico: da ciò
deriva che non sono più ammesse ipotesi a tavolino o teoremi accusatori senza prove. Infine, il giudice deve esporre i
motivi per i quali ritiene “non rilevanti” gli elementi a difesa raccolti sia dal pubblico ministero, sia dal difensore.
Il giudice deve motivare l’applicazione della misura cautelare secondo cadenze simili a quelle della sentenza
dibattimentale → gli indizi, oltre ad essere gravi devono quindi avere un minimo di precisione e concordanza almeno
in relazione agli elementi a favore della difesa
Non si richiede la completezza perché comunque è la fase delle indagini
LA MOTIVAZIONE SUI RISULTATI DELLE INTERCETTAZIONI: quando la motivazione dell’ordinanza richiede che siano
esposte le esigenze cautelari e gli indizi e questi dati si ricavano dalle intercettazioni, il giudice deve riprodurre
solamente i brani essenziali delle comunicazioni e conversazioni rilevanti → il giudice deve motivare con molta
attenzione perché il testo originale dell’ordinanza può essere pubblicata sui mezzi di informazione
Il giudice ha un forte potere di selezione delle intercettazioni che sono allegate alla richiesta del pm: dal momento
che tutti gli elementi presentati dal pm saranno depositati e saranno conoscibili dal difensore dell’indagato dopo
l’esecuzione della misura cautelare, il giudice ne deve separare quelle comunicazioni o conversazioni non utilizzabili
e restituire al pm i relativi atti che verranno conservati nell’archivio riservato → gli atti rimarranno così segreti
L’ESECUZIONE DEL PROVVEDIMENTO CAUTELARE: l’ordinanza che dispone la custodia cautelare è eseguita, su
incarico del pubblico ministero, dalla polizia giudiziaria che consegna all’imputato copia del provvedimento. Se è
disposta la carcerazione cautelare o l’arresto domiciliare, la polizia consegna all’indagato, unitamente al
provvedimento, una comunicazione scritta in cui lo informa in una lingua a lui comprensibile (art. 293, c. 1, mod. dal
d.lgs. n. 101 del 2014):
- Della facoltà di nominare un difensore e di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato nei casi
previsti;
- Del diritto di ottenere informazioni in merito all’accusa;
- Del diritto all’interprete e alla traduzione di atti fondamentali;
- Del diritto di avvalersi della facoltà di non rispondere;
- Del diritto di accedere agli atti sui quali si fonda il provvedimento;
- Del diritto di informare le autorità consolari e di dare avviso ai familiari;
- Del diritto di accedere all’assistenza medica di urgenza;
- Del diritto di essere condotto davanti all’autorità giudiziaria non oltre cinque giorni dall’inizio
dell’esecuzione, se la misura applicata è quella della custodia cautelare in carcere ovvero non oltre dieci
giorni se la persona è sottoposta ad altra misura cautelare;
- Del diritto di comparire dinanzi al giudice per rendere l’interrogatorio, di impugnare l’ordinanza che
dispone la misura cautelare e di richiederne la sostituzione o la revoca.
La polizia giudiziaria informa immediatamente il difensore di fiducia eventualmente nominato e redige verbale di
tutte le operazioni compiute, immediatamente trasmesso al giudice che ha emesso l’ordinanza e al pubblico
ministero.
IL VERBALE DI “VANE RICERCHE”. IL LATITANTE: quando non è possibile eseguire l’ordinanza che dispone una misura
cautelare perché il destinatario non è stato rintracciato, l’ufficiale o l’agente di polizia giudiziaria redige un verbale
“di vane ricerche” indicando le indagini svolte (art. 295). Il verbale deve essere trasmesso al giudice che ha emanato
101
il provvedimento. Questi, se ritiene le ricerche esaurienti, dichiara lo stato di latitanza di colui che volontariamente si
sottrae «alla custodia cautelare, agli arresti domiciliari, al divieto di espatrio, all’obbligo di dimora o a un ordine con
cui si dispone la carcerazione» (art. 296).
I COLLOQUI DEL DIFENSORE CON L’IMPUTATO IN CUSTODIA CAUTELARE: il codice assicura all’indagato la
possibilità di entrare immediatamente in contatto con l’avvocato al fine di concordare le strategie difensive; ciò
viene garantito anche in favore dell’indagato che sia sottoposto all’arresto, al fermo o alla custodia cautelare e deve
potersi esercitare fin dall’inizio dell’esecuzione della misura (art. 104, cc. 1 e 2).
Il difensore di fiducia e d’ufficio vanno quindi immediatamente informati dell’avvenuta esecuzione della misura
C. INTERROGATORIO DI GARANZIA
La seconda fase del procedimento applicativo ha inizio nel momento in cui la misura cautelare personale è eseguita;
si conclude con l’interrogatorio davanti al giudice che ha deciso l’applicazione della misura stessa. Questo
interrogatorio nella prassi è denominato “di garanzia” perché assume una funzione prevalentemente difensiva.
Infatti, al termine di tale atto, il giudice deve valutare se permangono le condizioni di applicabilità e le esigenze
cautelari originarie → controllo giurisdizionale sulla legittimità e fondatezza della misura disposta
Se gli indizi e le esigenze sono venuti meno o si sono attenuate in seguito alle risposte date dall’indagato, il giudice
deve provvedere alla revoca della misura disposta o alla sua sostituzione con una meno grave
L’AVVISO DI DEPOSITO: l’art. 293 c. 3 impone al giudice per le indagini preliminari di depositare immediatamente in
cancelleria, insieme all’ordinanza applicativa della misura, anche la richiesta del pubblico ministero e gli atti
presentati con la stessa, cioè
- Elementi su cui la richiesta si fonda
- Elementi a favore dell’indagato
- Eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate
Un avviso di deposito deve essere notificato al difensore, che ha diritto di esaminare gli atti nella cancelleria e di
estrarne copia.
Il difensore ha in ogni caso diritto alla trasposizione, su supporto idoneo alla riproduzione dei dati, delle relative
registrazioni → diritto di copia molto importane perché il difensore così può anticipare le sue deduzioni già nel corso
dell’interrogatorio
IL DIVIETO POSTO AL PM DI SENTIRE L’INDAGATO IN CUSTODIA CAUTELARE PRIMA CHE IL GIUDICE PROVVEDA
ALL’INTERROGATORIO DI GARANZIA: l’interrogatorio cd. investigativo è svolto dal pubblico ministero nel corso delle
indagini (art. 64 e 65). La legge n. 332/1995 ha vietato che l’interrogatorio investigativo della persona in stato di
custodia cautelare sia svolto da parte del
pubblico ministero prima dell’interrogatorio di garanzia compiuto dal giudice (art. 294, c. 6). Si tratta di una regola
finalizzata ad evitare che il pubblico ministero possa strumentalizzare la situazione della persona sottoposta a
custodia al fine di operare indebite pressioni allo scopo di ottenere confessioni o chiamate di correo; pertanto, è il
giudice che per primo deve interrogare l’indagato che si trovi in carcere o in arresto domiciliare → soltanto dopo, nel
corso delle indagini, il pm potrà procedere all’interrogatorio investigativo ex art. 64
QUANDO SI SVOLGE L’INTERROGATORIO DI GARANZIA: l’interrogatorio di garanzia è un adempimento che deve
essere compiuto dal giudice che ha deciso in ordine all’applicazione della misura coercitiva o interdittiva quando
questa è disposta durante le indagini preliminari, o durante l’udienza preliminare, o fino alla dichiarazione di
apertura del dibattimento.
All’interrogatorio di garanzia deve procedere il giudice che ha deciso in ordine all’applicazione della misura
cautelare: quando è disposta dalla corte d’assise o dal tribunale, all’interrogatorio procede il presidente del collegio
o uno dei componenti da lui delegato
L’interrogatorio di garanzia deve svolgersi entro un termine breve, e cioè entro cinque giorni dall’inizio
dell’esecuzione della custodia in carcere (art. 294, cc. 1 e 1-bis). Per le altre misure cautelari coercitive e interdittive,
l’interrogatorio deve avvenire non oltre dieci giorni dalla esecuzione del provvedimento o dalla sua notificazione.
LO SVOLGIMENTO DELL’INTERROGATORIO: la cancelleria del giudice deve dare tempestivo preavviso del
compimento dell’interrogatorio al pm e al difensore → soltanto il difensore ha l’obbligo di intervenire all’atto, il pm
può anche non essere presente
Il giudice ha il compito di porre le domande (art. 294, II)

102
L’interrogatorio di garanzia si svolge sulla base delle disposizioni generali sull’interrogatorio dell’indagato (artt. 64 e
65): dati gli avvisi, deve essere contestato all’indagato l’addebito e devono essergli resi noti gli elementi di prova ed
anche le fonti. Se l’indagato è detenuto, deve essere disposta la registrazione fonografica dell’interrogatorio ai
sensi dell’art. 141-bis a pena di inutilizzabilità.
LA CADUCAZIONE DELLA MISURA PER OMESSO INTERROGATORIO DI GARANZIA: L’interrogatorio può diventare
l’occasione per instaurare, con la presenza del difensore, il primo contraddittorio sulla misura cautelare. Soltanto
dopo aver sentito le parti contrapposte, infatti, il giudice è in grado di pronunciare una vera decisione → ex art. 294,
III il giudice deve valutare se permangono le condizioni di applicabilità e le esigenze cautelari al fine di valutare se la
misura deve essere revocata o sostituita
Le misure cautelari coercitive e interdittive perdono immediatamente efficacia se il giudice non procede
all’interrogatorio entro i termini fissati dal codice (art. 302) → in caso di custodia in carcere disposta prima
dell’apertura del dibattimento, il termine è di 5 giorni dall’esecuzione della misura, mentre per le altre misure
coercitive ed interdittive il termine è di 10 giorni
4. Le vicende successive
3 ipotesi i cui può essere modificata la misura cautelare applicata:
- REVOCA: deve essere immediatamente disposta:
o Quando si accerti che le condizioni generali di applicabilità «risultano mancanti, anche per fatti
sopravvenuti» (art. 299, c. 1; ad esempio, gli indizi non risultano essere gravi in seguito alle
indagini successivamente svolte dall’accusa o dalla difesa);
o Quando si accerti che siano venute meno completamente le esigenze cautelari (pericolo di
inquinamento delle prove, pericolo di fuga o pericolo del compimento di gravi delitti).
- SOSTITUZIONE IN MELIUS: deve essere disposta quando le esigenze cautelari risultano «attenuate», o
quando la misura non appare più proporzionata all’entità del fatto o alla sanzione che si ritiene possa
essere inflitta
Può anche derivare dall’applicazione cumulativa di più misure meno gravi
Quando vi sono delle presunzioni ma relative, il giudice può valutare se le prove fornite fanno ritenere
idonea una misura più lieve (possibilità che non gli viene concessa quando la presunzione è assoluta) →
soltanto il venir meno di tutte le esigenze cautelari permette di revocare la misura menzionata
GLI AVVISI ALLA PERSONA OFFESA IN CASO DI REVOCA DELLA MISURA CAUTELARE O DI SOSTITUZIONE IN MELIUS:
deve essere dato avviso alla persona offesa che è stata presentata la richiesta di revoca o sostituzione in melius di
varie misure cautelari il cui venir meno può incidere sui rapporti personali con l’indagato → l’avviso deve essere dato
nei procedimenti per delitti commessi con violenza alla persona
Quando la richiesta viene presentata fuori udienza o in situazioni assimilate, la parte richiedente deve notificare tale
richiesta contestualmente e a pena di inammissibilità al difensore della persona offesa o, in sua mancanza, alla
persona offesa stessa → il difensore e la persona offesa possono, nei 2 giorni successivi alla notifica, presentare
memorie, decorso questo termine il giudice deve decidere
In relazione alle medesime misure cautelari per le quali sono imposti gli avvisi viene previsto che l’eventuale
provvedimento emesso dal giudice, sia d’ufficio che su richiesta di parte, sia immediatamente comunicato, a cura
della polizia giudiziaria, ai servizi socio-assistenziali e al difensore della persona offesa o in sua mancanza alla
persona offesa stessa
ULTERIORI AVVISI ALL’OFFESO IN CASO DI SCARCERAZIONE, EVASIONE O SITUAZIONI ANALOGHE: nei procedimenti
per delitti commessi con violenza alla persona sono immediatamente comunicati alla persona offesa solamente però
se ne ha fatto richiesta ulteriori avvisi che si aggiungono a quelli ex art. 299
Devono essere dati alla persona offesa con l’ausilio della polizia giudiziaria e sono:
- Scarcerazione e cessazione della misura di sicurezza detentiva
- Evasione dell’imputato in stato di custodia cautelare o del condannato
- Volontaria sottrazione dell’internato all’esecuzione della misura di sicurezza detentiva
- SOSTITUZIONE IN PEIUS: può essere disposta dal giudice soltanto su richiesta del pubblico ministero. Ciò
avviene sia quando le esigenze cautelari risultano essersi aggravate (art. 299, c. 4), sia quando l’imputato
ha trasgredito le prescrizioni che concernono la misura (art. 276).

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Il giudice su richiesta del pm sostituisce la misura applicata con un’altra più grave, ne dispone
l’applicazione con modalità più gravose o applica congiuntamente altra misura coercitiva o interdittiva
B. LE CAUSE DI ESTINZIONE DELLE MISURE CAUTELARI PERSONALI
Le misure cautelari personali si estinguono in due modi differenti:
- In seguito a un provvedimento del giudice che accerta il modificarsi dei presupposti applicativi (ope
iudicis);
- Di diritto, per perdita di efficacia dovuta al verificarsi di determinati eventi previsti dalla legge (ope legis)
o Quando per il medesimo fatto e nei confronti della medesima persona, alla quale è stata
applicata la misura, intervenga un provvedimento anche non definitivo che esclude l’addebito;
o Quando sia decorso il termine massimo di durata della singola misura cautelare prima della
definizione del procedimento con sentenza di condanna irrevocabile (artt. 303-308);
o Quando a seguito di condanna la pena irrogata è stata dichiarata estinta o è stata
condizionalmente sospesa (art. 300 c. 3);
o Quando a seguito di condanna la pena irrogata è eguale o inferiore alla custodia cautelare già
subita (art. 300 c. 4)
PROCEDIMENTO: quando accerta la caducazione automatica della misura cautelare per uno dei motivi
appena elencati, il giudice adotta i provvedimenti necessari per la immediata cessazione della misura
stessa e, se si tratta di custodia cautelare, dispone l’immediata liberazione della persona interessata, se
non detenuta per altra causa.
C. I TERMINI DI DURATA MASSIMA DELLE MISURE CAUTELARI PERSONALI
Una delle cause di estinzione delle misure cautelari coercitive è la decorrenza del termine di durata massima. Ove
esso venga superato, il giudice deve disporre la cessazione degli effetti o la liberazione.
Il termine massimo attua due garanzie costituzionali:
- Ex art. 13, V Cost: la legge deve stabilire i termini massimi della carcerazione preventiva
- Ex art. 27, II Cost: vieta di anticipare la sanzione penale prima della condanna definitiva → quindi se non
viene previsto un termine massimo rischierebbe seriamente di diventare una condanna definitiva
Si vuole quindi che la funzione cautelare di queste misure non venga stravolta
I termini massimi di custodia cautelare coprono il periodo di tempo che va dalla esecuzione della misura coercitiva o
dal fermo o dall’arresto, fino a quando la sentenza di condanna è diventata irrevocabile. Soltanto da questo
momento inizia l’esecuzione della sanzione. Il codice prevede varie tipologie di termini:
- Termini massimi intermedi (o di fase) ricollegati a determinate fasi (o gradi) del procedimento (art. 303,
c. 1; es. le indagini preliminari);
- Termine massimo complessivo fino alla sentenza irrevocabile (art. 303, c. 4).
TERMINI INTERMEDI: i termini massimi intermedi hanno la caratteristica di essere autonomi tra loro e cioè operano
soltanto in quella determinata fase (o grado) del procedimento. Una volta conclusa la fase (o grado) anteriore, inizia
a decorrere il successivo termine intermedio, anche se il periodo di tempo precedente non è stato utilizzato per
intero. Se a seguiti dell’annullamento della sentenza o di altra causa il procedimento regredisce alla fase o grado
precedente, inizia a decorrere nuovamente il termine relativo a quella fase
- PRIMO: copre il periodo di tempo che va, da quando è stata eseguita la misura già nel corso delle
indagini, fino al provvedimento che dispone il giudizio o fino all’ordinanza che dispone il giudizio
abbreviato o fino alla sentenza di patteggiamento (art. 303, c. 1, lettera a). In relazione ai più gravi delitti,
entro un anno deve intervenire il provvedimento. Il termine può essere prorogato fino a 6 mesi se sono
necessari accertamenti particolarmente complessi o sussistono gravi esigenze cautelari
- SECONDO: copre il periodo di tempo che va dal rinvio a giudizio fino alla sentenza di condanna di primo
grado (art. 303, c. 1, lettera b). In relazione ai più gravi delitti, la condanna deve intervenire entro un
anno e sei mesi. In caso di giudizio abbreviato la condanna deve essere pronunciata entro nove mesi.
- TERZO: copre il periodo di tempo che va dalla pronuncia della condanna di primo grado fino alla
condanna in grado di appello; questa deve intervenire entro un anno e sei mesi (art. 303, c. 1, lett. c).
- QUARTO: copre il periodo di tempo che va dalla pronuncia della condanna di secondo grado fino alla
sentenza irrevocabile, che deve intervenire entro un anno e sei mesi (art. 303, c. 1, lettera d); il termine
predetto non opera quando vi è stata condanna sia in primo grado sia in appello (cosiddetto criterio
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della “doppia conforme”) o quando l’impugnazione sia stata proposta soltanto dal pubblico ministero. In
tal caso si applica il termine complessivo.
- COMPLESSIVO: si riferisce alla durata dell’intero procedimento. Esso costituisce il limite entro il quale
deve intervenire la sentenza di condanna irrevocabile ed opera a prescindere dalla durata dei singoli
termini intermedi. Per i delitti più gravi il termine è di sei anni e comprende le eventuali proroghe che
siano state concesse ai sensi dell’art. 305.
ESTINZIONE DELLA CUSTODIA: quando vengono superati i termini massimi previsti dal codice, la custodia si estingue
di diritto e l’imputato deve essere immediatamente liberato
Il giudice dispone una delle altre misure delle quali ricorrono i presupposti solamente se sussistono le ragioni che
avevano determinato la custodia cautelare
La custodia viene ripristinata se l’imputato ha trasgredito le prescrizioni della nuova misura cautelare o se viene
emessa una sentenza di condanna in primo o in secondo grado e vi è pericolo di fuga
TERMINI DI DURATA MASSIMA DELLE MISURE DIVERSE DALLA CUSTODIA CAUTELARE:
- Misure obbligatorie: termini intermedi e complessivi pari al doppio di quanto è previsto per la custodia
cautelare (art. 308, I)
- Misure interdittive: non possono avere durata superiore a 12 mesi e perdono efficacia quando è decorso
il termine fissato dal giudice nell’ordinanza
Qualora siano state disposte per esigenze probatorie, il giudice può disporne la rinnovazione con il
termine massimo di 12 mesi
5. Le impugnazioni contro le misure cautelari personali
A. CONSIDERAZIONI PRELIMINARI
Il codice prevede tre mezzi di impugnazione: il riesame, l’appello ed il ricorso per cassazione; l’impugnazione contro
una misura cautelare costituisce un procedimento incidentale, che si sviluppa parallelamente allo svolgersi del
procedimento principale.
- Il riesame è ammesso di regola soltanto contro le ordinanze che applicano per la prima volta una misura
coercitiva
La richiesta può essere proposta esclusivamente dall’imputato o dal suo difensore, non dal pubblico
ministero.
- L’appello è ammesso nei confronti di tutti gli altri provvedimenti in tema di misure cautelari personali.
Esso può essere proposto dall’imputato, dal suo difensore e dal pubblico ministero.
Competente a decidere sia sul riesame, sia sull’appello è il tribunale in composizione collegiale del capoluogo del
distretto di corte d’appello in cui ha sede il giudice che ha disposto la misura, nella prassi viene denominato
“tribunale della libertà”
- Il ricorso per cassazione è ammesso di regola contro le decisioni emesse in sede di riesame e di appello
La caratteristica comune ai tre mezzi di impugnazione sta nel fatto che essi non hanno efficacia sospensiva sul
provvedimento che limita la libertà personale (art. 588, c. 2). Ciò vuoi dire che la misura cautelare continua ad avere
effetto, nonostante che sia stata presentata impugnazione.
B. RIESAME
Il riesame è una impugnazione completamente devolutiva, che permette all’imputato di ottenere il controllo
giurisdizionale sulla legittimità e sul merito del provvedimento che applica una misura coercitiva ab initio. Il riesame
si distingue nettamente dall’appello, che è un’impugnazione ad effetto limitatamente devolutivo e che permette di
controllare tutti i rimanenti provvedimenti presi dal giudice in tema di misure cautelari personali.
Poiché si tratta di un’impugnazione completamente devolutiva, il tribunale ha il potere di valutare la legittimità ed il
merito della misura coercitiva senza essere vincolato né dagli eventuali motivi del ricorso dell’imputato, né dalla
motivazione del provvedimento che ha applicato la misura (art. 309, c. 9).
Dà luogo ad un veloce procedimento in quanto il tribunale della libertà deve decidere sulla richiesta dell’imputato
entro termini brevi e perentori pena la perdita di efficacia della misura coercitiva
Il riesame consiste nella impugnazione del provvedimento che applica per la prima volta una misura coercitiva, non
ha ad oggetto l’intero rapporto giuridico attinente alla libertà personale dell’indagato dal momento che su una
richiesta di ottenere la revoca o la sostituzione, deve decidere il giudice che procede

105
OGGETTO DEL RIESAME: è il provvedimento che applica inizialmente una misura coercitiva, il tribunale valuta i
presupposti della stessa tenendo conto sia degli atti che erano conosciuti al giudice che ha emanato il
provvedimento sia degli atti e dei documenti che sono stati presentati successivamente dalle parti al tribunale
PROCEDIMENTO: la richiesta di riesame deve essere presentata dall’imputato o dal suo difensore entro il termine di
dieci giorni a pena di inammissibilità. Quest’ultimo per l’imputato decorre dall’esecuzione o dalla notificazione del
provvedimento; per il difensore decorre dalla notifica dell’avviso di deposito dell’ordinanza che dispone la misura. La
richiesta di riesame può contenere i motivi per i quali l’imputato chiede che il provvedimento sia annullato o
modificato ma può anche essere non motivata. L’imputato può chiedere di comparire personalmente in udienza
La richiesta è presentata nella cancelleria del tribunale della libertà; il presidente fa dare immediato avviso
all’autorità procedente, quindi il pm.
Il pm entro 5 giorni da quando la richiesta è pervenuta al tribunale, deve trasmettergli sia gli atti presentati quando
aveva chiesto a suo tempo la misura coercitiva, sia tutti gli elementi sopravvenuti a favore della persona sottoposta
alle indagini → se la trasmissione non avviene nel termine, allora l’ordinanza perde di efficacia e il giudice lo deve
dichiarare d’ufficio, e salve le eccezionali esigenze cautelari specificatamente motivate la misura non può essere
rinnovata
L’avviso della data fissata per l’udienza viene comunicato, almeno 3 giorni prima, al pm preso il tribunale della libertà
e almeno 3 giorni prima l’avviso viene notificato all’imputato e al suo difensore
Fino al giorno dell’udienza gli atti rimangono depositati in cancelleria con facoltà per il difensore di esaminarli ed
estrarne copia
IL DIFFERIMENTO DELLA DATA DELL’UDIENZA: l’imputato, entro 2 giorni dalla notificazione dell’avviso di udienza,
può chiedere personalmente per giustificati motivi al tribunale di differire la data dell’udienza min 5 max 10 giorni →
il tribunale deve accogliere la richiesta se i fondati motivi esistono, in questo caso il termine per la decisione di 10
giorni e quello per il deposito dell’ordinanza di 30 sono prorogati nella stessa misura
L’udienza si svolge in camera di consiglio, con un contraddittorio facoltativo
L’imputato che ne ha fatto richiesta con l’atto introduttivo del riesame ha diritto a comparire personalmente
Il pm e il difensore dell’imputato devono essere preavvisati almeno 3 giorni prima e possono partecipare all’udienza
→ se presenti hanno anche il diritto di esporre oralmente le proprie conclusioni
In seguito all’udienza in camera di consiglio, il tribunale deve decidere con ordinanza entro il termine di 10 giorni
dalla ricezione degli atti
IL DEPOSITO DELLA DECISIONE: l’ordinanza del tribunale deve essere depositata in cancelleria entro 30 giorni dalla
decisione salvi i casi in cui la stesura della motivazione sia particolarmente complessa per il numero degli attestati o
la gravità delle imputazioni → il giudice può disporre un termine per il deposito più lungo, comunque non oltre il 45
giorno dalla decisione
Tutti i termini sono perentori, se scadono quindi il provvedimento impugnato perde efficacia e non può essere
rinnovato, salve eccezionali esigenze cautelari specificatamente motivate
POTERI DEL TRIBUNALE DEL RIESAME: il tribunale ha un potere cognitivo molto limitato: può decidere sugli atti scritti
presentati dal pm (non su tutti gli atti di indagine raccolti fino a quel momento) → il pm deve trasmettere tutti gli
elementi sopravvenuti a favore della persona sottoposta alle indagini
Il difensore può presentare direttamente al tribunale della libertà i risultati delle indagini private
Il tribunale decide sulla base dei soli atti scritti e dei documenti presentati → non è quindi possibile stabilire
l’audizione di persone né l’assunzione di prove non rinviabili, né imporre al pm di svolgere determinate indagini
Il tribunale può:
- Riformare il provvedimento anche per motivi diversi da quelli enunciati nell’impugnazione,
- Confermare il provvedimento per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento
stesso
LE DECISIONI DEL TRIBUNALE:
- Può dichiarare l’inammissibilità della richiesta di riesame perché, ad esempio, è stata presentata oltre i
termini o da soggetti non legittimati.
- Può annullare l’ordinanza per motivi:
o Tradizionali: manca uno degli elementi essenziali indicati a pena di nullità

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o Nuovo: quando la motivazione manca anche nel senso che l’argomentazione logica è solamente
apparente oppure non contiene una autonoma valutazione delle fonti di prova ed indizi forniti
dalla difesa → si vuole quindi evitare la mera trasposizione degli argomenti del pm senza una
rielaborazione logica del giudice e motivazioni solamente apparenti
- Può riformare, e cioè modificare la misura, ma soltanto in modo più favorevole all’imputato anche per
motivi diversi da quelli enunciati
- Può confermare la misura coercitiva per ragioni diverse da quelle indicate nel provvedimento stesso
C. L’APPELLO
L’appello è un’impugnazione limitatamente devolutiva che, in sintesi, permette di controllare tutti quei
provvedimenti presi dal giudice in tema di misure cautelari personali, che non sono sottoponibili a riesame. Pertanto,
l’appello è un mezzo di impugnazione residuale rispetto al riesame e riguarda tutte quelle ordinanze che non
applicano per la prima volta (ab initio) una misura coercitiva. Possono essere sottoposti ad appello (non a riesame) i
provvedimenti che applicano ab initio una misura interdittiva.
Inoltre, il pubblico ministero può presentare appello:
- Contro l’ordinanza del giudice che ha applicato una misura coercitiva meno grave di quella da lui
richiesta;
- Contro l’ordinanza che ha concesso la revoca o la sostituzione della misura su richiesta dell’imputato.
Infine, l’imputato ed il suo difensore possono presentare appello contro i provvedimenti differenti da quelli che
applicano per la prima volta una misura coercitiva.
Competente a decidere sull’appello è il tribunale (in composizione collegiale) del capoluogo del distretto di corte
d’appello nel quale ha sede il giudice che ha disposto la misura (art. 309, c. 7).
L’appello deve essere proposto, a pena di inammissibilità, entro dieci giorni dall’esecuzione o notificazione del
provvedimento (art. 310, c. 2).
PROCEDIMENTO: il tribunale di pace decide in 20 giorni dalla ricezione degli atti, e viene regolato da termini
ordinatori quindi il loro eventuale superamento non comporta l’inefficacia della misura cautelare impugnata
Le modalità di svolgimento del procedimento di appello sono in buona parte simili a quelle previste per il riesame
(art. 310). La più importante differenza consiste nelle formalità che regolano la dichiarazione con cui le parti
redigono l’appello; essa deve precisare (a pena di inammissibilità) i motivi per i quali il soggetto interessato ritiene
che il provvedimento debba essere annullato o modificato. L’appello è un’impugnazione ad effetto “parzialmente
devolutivo” proprio perché il controllo esercitabile dal tribunale è limitato a quei punti del provvedimento che
sono oggetto dei motivi di doglianza esposti nella dichiarazione di impugnazione dall’imputato o dal pubblico
ministero.
IL DEPOSITO DELLA DECISIONE DI APPELLO: l’ordinanza del tribunale deve essere depositata in cancelleria entro 30
giorni dalla decisione, salvi i casi in cui la stesura della motivazione sia particolarmente complessa per il numero degli
arrestati e la gravità delle imputazioni → il giudice può indicare nel dispositivo un termine più lungo, comunque non
oltre il 45esimo giorno da quello della decisione (come tutti i termini di questo procedimento è ordinatorio)
D. IL RICORSO PER CASSAZIONE
Il ricorso per cassazione costituisce una impugnazione esperibile contro le decisioni che il tribunale della libertà ha
pronunciato sulla richiesta di riesame o sull’appello (art. 311, c. 1), deve essere proposto entro 10 giorni dalla
comunicazione o dalla notificazione dell’avviso di deposito del provvedimento che viene impugnato
Legittimati a proporre ricorso sono l’imputato, il suo difensore, il pubblico ministero che ha richiesto l’applicazione
della misura e il pubblico ministero presso il tribunale della libertà → con la riforma orlando l’imputato non può più
sottoscrivere personalmente il ricorso per cassazione e la giurisprudenza ritiene che sia una regola generale da
applicare conto le misure sia reali che personali
Quindi a pena di inammissibilità l’imputato deve esercitare il suo diritto di ricorrere per cassazione esclusivamente
per il tramite di un difensore che sia iscritto nell’albo speciale e che sia munito di specifico mandato
La corte di cassazione decide in camera di consiglio entro trenta giorni dalla ricezione degli atti
osservando le forme previste dall’art. 127 (art. 311 c. 5).
IL GIUDICATO CAUTELARE: il legislatore non ha riconosciuto all’imputato il diritto di ottenere un controllo in
contraddittorio sulla persistenza delle esigenze cautelari e della gravità degli indizi. Alla difesa è stato permesso

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soltanto di sollecitare il giudice ad emettere un provvedimento de plano e di impugnare il diniego di revoca o di
modifica migliorativa della custodia cautelare. La giurisprudenza della Corte di cassazione, ritenendo applicabile il
principio di preclusione (dal momento che con questa situazione si creava un sovraffollamento di rimedi che
potevano anche essere esperiti insieme) ha elaborato una inedita figura di “giudicato cautelare” al fine di garantire
una qualche forma di stabilità per i provvedimenti emessi nella materia in oggetto. L’effetto di tale giudicato consiste
nell’impedire al giudice, adito successivamente, di valutare nuovamente le questioni già esaminate in una
precedente impugnazione cautelare → si ritiene che si tratti di un effetto preclusivo non definitivo, che è superabile
in presenza di elementi nuovi rispetto alla situazione di stato e di diritto sulla quale si è basata la precedente
decisione
E. LA RIPARAZIONE PER L’INGIUSTA CUSTODIA CAUTELARE
All’imputato è riconosciuto un vero e proprio diritto ad ottenere un’equa riparazione per la custodia cautelare subita
ingiustamente (art. 314). La domanda di riparazione è presentata dall’imputato dopo che la sentenza è divenuta
irrevocabile; sulla richiesta decide la corte d’appello con un procedimento in camera di consiglio.
Il presupposto del diritto ad ottenere l’equa riparazione consiste nell’ingiustizia sostanziale o formale della custodia
cautelare subita (ad esempio, la custodia in carcere o l’arresto domiciliare) → non si deve accertare che sia dovuta
da un atto illecito compiuto dall’autorità giudiziaria dal momento che avrebbe comportano un onere della prova
troppo pesante per il richiedente
Il richiedente deve quindi solamene dimostrare che la sua situazione rientra in una delle due ipotesi di ingiustizia,
formale e sostanziale, ex art. 314 → la somma di denaro che gli può essere attribuita viene quindi denominata
riparazione e non risarcimento
INGIUSTIZIA:
- FORMALE: prevista dall’art. 314 c. 2, ciò avviene quando la custodia cautelare risulta applicata
illegittimamente, a prescindere dall’esito del processo a carico dell’imputato che potrebbe essere stato
sia prosciolto che condannato. Il diritto alla riparazione presuppone soltanto che sia stato accertato con
decisione irrevocabile che il provvedimento custodiale è stato emesso senza che esistessero le condizioni
di applicabilità previste dagli articoli 273 e 280 del codice, e, cioè, occorre che una decisione irrevocabile
(ad esempio, del tribunale della libertà) abbia accertato che mancavano i “gravi indizi”, o che il delitto
addebitato non era punibile perché estinto per prescrizione, o ancora che tale delitto era punito con una
pena che non consentiva la custodia cautelare.
Il diritto all’equa riparazione spetta sia all’imputato prosciolto per qualsiasi causa che all’imputato
condannato
È necessaria l’illegittima ormale della misura, non rileva la giustificazione sostanziale
- SOSTANZIALE: prevista dall’art. 314 c. 1, il diritto all’equa riparazione spetta all’imputato che sia stato
assolto per motivi completamente liberatori in punto di responsabilità, e cioè perché era innocente. È
richiesta una sentenza irrevocabile di assoluzione con uno dei seguenti dispositivi:
o Perché il fatto non sussiste,
o L’imputato non lo ha commesso,
o Il fatto non costituisce reato
o Non è previsto dalla legge come reato
Alla sentenza di assoluzione sono parificati la sentenza di non luogo a procedere pronunciata al termine
dell’udienza preliminare ed il provvedimento di archiviazione emesso all’esito delle indagini preliminari
(art. 314, c. 3).
LIMITI ALLA RIPARAZIONE: il codice pone al diritto alla riparazione alcuni ostacoli.
- Il primo ostacolo è previsto dall’art. 314, c. 4: il diritto alla riparazione è escluso per quella parte di
custodia cautelare che è stata comunque computata ai fini della determinazione della quantità di pena
detentiva che avrebbe dovuto essere scontata dall’imputato, poi condannato;
- Il secondo ostacolo è posto dall’art. 314, c. 1: l’imputato non ha diritto alla riparazione se ha dato causa
o ha concorso a dare causa all’ingiusta custodia cautelare per dolo o colpa grave.
PROCEDIMENTO: la domanda di riparazione deve essere proposta alla corte d’appello entro due anni dal giorno in
cui la sentenza è diventata irrevocabile (o è stato notificato il provvedimento di archiviazione).
Ex art. 315, II l’entità della riparazione non può comunque eccedere il miliardo di lire, quindi 516.456 euro
108
La corte d’appello decide in via equitativa dal momento che si tratta di una somma indennitaria e non risarcitoria
6. Le misure cautelari reali
Comportano un vincolo di indisponibilità su cose mobili o immobili e di norma possono essere disposte solamente
dal giudice
Il codice ne prevede due tipi:
- Sequestro preventivo: giustificato dall’esigenza di impedire che una cosa pertinente ad un reato possa
essere utilizzata per aggravare o protrarre le conseguenze dello stesso
- Sequestro conservativo: evita che diminuiscano o si disperdano le garanzie patrimoniali che potranno
permettere successivamente al condannato di pagare le somme dovute per il risarcimento e per le spese
di giustizia
Sono applicabili per qualsiasi genere di reato
LA DIFFERENZA CON IL SEQUESTRO PROBATORIO: mezzo di ricerca della prova, si differenzia dal sequestro
conservativo e preventivo per la diversa finalità perseguita, dal momento che è diretto all’acquisizione della prova →
la cosa materiale di interesse viene quindi sottratta a chi la possiede per essere imputata al materiale di prova sulla
base del quale il giudice deve pronunciare la decisione
La finalità è quindi direttamente collegata alla cosa in sé e non alla persona che la detiene → il soggetto possessore
può quindi essere chiunque
- IL SEQUESTRO CONSERVATIVO: il sequestro conservativo pone su di una cosa mobile o immobile un
vincolo di indisponibilità che ha lo scopo di garantire l’adempimento delle obbligazioni civili sorte in
conseguenza sia del compimento del reato → si vuole quindi evitare che vengano disperse le garanzie
patrimoniali
Può essere chiesto:
o Dal pm nei confronti del solo imputato a garanzia della pena pecuniaria e delle spese di giustizia
o La parte civile nei confronti dell’imputato e del responsabile civile a garanzia del pagamento
delle obbligazioni civili nascenti da reato (quindi restituzioni e risarcimento danni)
Può essere richiesto dall’imputato in ogni stato e grado del processo, quindi dopo che l’azione penale sia
stata esercitata → durante le indagini preliminari vi è quindi un vuoto di tutela dal momento che non
può essere richiesto al giudice penale e non sempre l’equivalente civilistico è altrettanto efficace
Il sequestro conservativo si fonda sui requisiti civilistici di:
o Fumus boni iuris: fumus commissi delicti, mera pendenza del processo penale però
recentemente la giurisprudenza richiede elementi ulteriori rispetto alla astratta configurabilità di
reato
o Periculum in mora: timore di insufficienza delle risorse patrimoniali sulle quali soddisfare le
obbligazioni nascenti dal reato e nella prognosi di una condotta di depauperamento del
patrimonio.
PROCEDIMENTO: viene disposto dal giudice senza che sia necessario sentire la controparte, egli valuta se
la pretesa del richiedente è fondata e se vi è l’esigenza cautelare
L’ordinanza del giudice dispone il sequestro e ne demanda l’esecuzione all’ufficiale giudiziario
L’imputato o il responsabile civile possono chiedere al giudice che il sequestro sia convertito nella
prestazione di una cauzione idonea
Dopo l’esecuzione del provvedimento, chiunque vi abbia interesse può proporre richiesta di riesame (art.
318) al tribunale del riesame del capoluogo di provincia nel quale ha sede l’ufficio che ha emesso il
provvedimento e decide in composizione collegiale
(per le misure cautelari personali invece è competente il tribunale distrettuale)
IN FAVORE DI ORFANI DI CRIMINI DOMESTICI: orfani di un genitore a seguito dell’omicidio di questo da
parte del coniuge, anche divorziato o separato, o dall’altra pare dell’unione civile anche se questa è
cessata o dalla persona che era o è legata al genitore ucciso da relazione affettiva e stabile convivenza
Il pm deve accertare se le vittime hanno lasciato figli minori o maggiorenni non economicamente
autosufficienti → il giudice dispone quindi il sequestro dei beni dell’imputato a garanzia del risarcimento
dei danni civili subiti dai figli stessi

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- IL SEQUESTRO PREVENTIVO: in base all’art. 321, il sequestro preventivo è disposto dal giudice su
richiesta del pubblico ministero in presenza di una delle seguenti esigenze cautelari
o La pericolosità della cosa da sottoporre a vincolo di indisponibilità può derivare dal rapporto che
la medesima ha con il fatto di reato (il sequestro preventivo può essere disposto per
interrompere la costruzione di un immobile abusivo)
Si vuole infatti evitare che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o
protrarre le conseguenze di esso
o Un’altra esigenza cautelare è la pericolosità in sé della cosa (art. 321, c. 2); infatti il sequestro
preventivo è ammesso quando della cosa è consentita o imposta la confisca dal codice penale
(ad es. è sequestrata l’arma usata per commettere un reato) → la pericolosità è stata già
valutata quindi dal legislatore che ne ha previsto la confisca obbligatoria o facoltativa
È finalizzato quindi ad assicurare la cosa al processo con vincolo di indisponibilità
o Al sequestro preventivo è assegnata l’ulteriore funzione di fronteggiare il pericolo che la cosa
possa «agevolare la commissione di altri reati» (art. 321, c. 1) → indicazione troppo generica che
rende concreto il rischio che l’autorità giudiziaria eserciti un’attività di mera prevenzione anche
di reati non collegati a quello commesso
Una limitazione potrebbe essere imposta dal fatto che riguarda beni di rilevanza costituzionale
ex: libera iniziativa economica e diritto al lavoro, quindi devono essere necessariamente
sottoposti ad un bilanciamento con altri diritti costituzionali tutelati da norme incriminatrici
REGOLAMENTAZIONE: il sequestro preventivo può essere chiesto dal pubblico ministero al giudice
competente a pronunciarsi sul merito; durante la fase delle indagini preliminari è competente a disporlo
il giudice per le indagini preliminari → ha natura prettamente penalistica e comporta una vera e propria
inibitoria (obblighi di fare e non fare)
Deve essere collegata ad una cosa mobile o immobile il cui uso è implicato necessariamente nell’agire
vietato dalla legge penale
FUMUS COMMISSI DELICTI: di recente, la giurisprudenza ha accolto il principio di proporzionalità dal
momento che il giudice deve motivare adeguatamente sulla impossibilità di perseguire il medesimo
risultato della misura cautelare reale con una meno invasiva interdittiva
Si richiede che vi sia un minimo di prova degli elementi oggettivi del reato
PERICULUM IN MORA: attitudine della cosa ad essere strumentalmente ed oggettivamente collegata
all’aggravarsi o al protrarsi di un illecito già realizzato o alla perpetrazione di altri fatti criminosi
PROCEDIMENTO: variano in relazione all’oggetto del sequestro
o Beni mobili e crediti: norme del codice civile del pignoramento presso il debitore o terzi
o Beni immobili o mobili registrati: trascrizione del provvedimento presso gli uffici competenti
o Azioni e quote: annotazione nei libri sociali e nel registro delle imprese
o Strumenti finanziari dematerializzati: registrazione nell’apposito conto tenuto da intermediari
La revoca può essere chiesta al giudice dal pm, dall’imputato o da chiunque ne abbia interesse quando
sono venute meno le esigenze preventive stabilite dalla legge
Nel corso delle indagini preliminari se ritiene che vada disposta la revoca allora provvede il pm con
decreto motivato, altrimenti se si intende respingere la richiesta di revoca, il pm la trasmette al giudice a
cui presenta richieste specifiche corredate dagli elementi sulle quali si fondano le sue valutazioni
Si può collegare la cessazione di tali esigenze all’esecuzione di specifiche disposizioni su consenso
dell’interessato: l’autorità giudiziaria quindi impone la restituzione della cosa impartendo le prescrizioni
del caso e imponendo una idonea cauzione a garanzia della esecuzione delle prescrizioni nel termine
stabilito
IMPUGNAZIONI: possono presentare richiesta di riesame l’imputato, il difensore, la persona alla quale le
cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione
Sulla richiesta decide il tribunale del riesame in composizione collegiale, situato nel capoluogo di
provincia nella quale ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento
L’ordinanza di diniego del sequestro preventivo e quella che respinge la revoca proposta dall’imputato
sono appellabili di fronte al capoluogo di provincia
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RICORSO PER CASSAZIONE: contro le ordinanze emesse dal tribunale del riesame, il pm, l’imputato (e il
suo difensore), la persona alla quale sono state sequestrate le cose e quella che avrebbe diritto alla loro
restituzione possono proporlo per violazione di legge

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PARTE TERZA
(Il procedimento ordinario)
CAPITOLO 1 (Le indagini preliminari)
1. Disposizioni generali sulle indagini
A. CONSIDERAZIONI PRELIMINARI
Le indagini preliminari costituiscono la prima fase del procedimento penale. Essa inizia nel momento in cui una
notizia di reato perviene alla polizia giudiziaria o al pubblico ministero; termina quando quest’ultimo esercita l’azione
penale o ottiene dal giudice l’archiviazione richiesta
Le indagini preliminari consistono in investigazioni svolte dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria. In base
all’art. 327 la direzione delle indagini spetta al pubblico ministero → si vuole attuare il principio secondo cui
l’autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria
Vi sono atti che sono compiuti ad iniziativa della polizia giudiziaria ed altri del pm → diversa regolamentazione, sia a
livello dell’utilizzabilità in dibattimento che anche ei poteri coercitivi in capo all’organo inquirente
Gli atti di indagine sono svolti in segreto dal soggetto che investiga e, quindi, sono assunti in modo unilaterale
e senza il contraddittorio. Per tale motivo, di regola, gli atti di indagine non sono utilizzabili ai fini della decisione
pronunciata in dibattimento (“principio della separazione delle fasi”).
Dal momento che ex art. 111, IV Cost. il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione
della prova, il giudice non può utilizzare ai fini della deliberazione prove diverse da quelle legittimamente acquisite
nel dibattimento → la lettura non è una modalità di legittima acquisizione salvo i casi espressamente previsti
Al fine di sottolineare il variare del regime di utilizzabilità in dibattimento, il legislatore indica con termini
differenti le prove e gli atti di indagine, anche se comunque dal punto di vista contenutistico sono simili
B. LE FINALITA’ DELLE INDAGINI PRELIMINARI
- Servono al pm per operare la scelta tra la richiesta di rinvio a giudizio e la richiesta di archiviazione: art.
326, il pm e la polizia giudiziaria svolgono, nell’ambito delle rispettive attribuzioni, le indagini necessarie
per le determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale
- Gli elementi acquisiti servono al pm per ottenere dal gip i vari provvedimenti che solo lui può disporre
ex: misure cautelari e autorizzazione alle intercettazioni → i risultati ottenuti sono quindi utilizzabili sia
da parte del pm che da parte del giudice per emettere provvedimenti nelle indagini e nell’udienza
preliminare
- La formazione della prova non ha luogo in contraddittorio in 3 casi:
o Per consenso dell’imputato
o Per non reperibilità oggettiva
o Per effetto di condotta illecita del dichiarante
Gli elementi di prova sono quindi valutati:
- Dal pm per decidere se esercitare l’azione penale
- Dal gip, quando pronuncia i provvedimenti di sua competenza
- Dal giudice del dibattimento in via eccezionale per pronunciare la decisione finale
C. IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
Nel corso della fase in esame è previsto l’intervento del giudice per le indagini preliminari; questi svolge una
funzione di controllo imparziale sui provvedimenti più importanti, senza esercitare poteri di iniziativa → giurisdizione
semipiena, 2 limiti fondamentali:
- La funzione viene esercitata solamente nei casi previsti dalla legge
- La funzione viene esercitata solamente su richiesta delle parti
Il soggetto che in tale fase ha l’iniziativa è il pubblico ministero e non il giudice.
Fra i casi previsti dalla legge ricordiamo la convalida dell’arresto e del fermo, l’emissione dei provvedimenti cautelari
e l’autorizzazione alle intercettazioni.
La legge consente che davanti al gip siano acquisite delle prove non rinviabili in dibattimento: udienza in
contraddittorio chiamata incidente probatorio (art. 392)

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Prima della formulazione dell’imputazione, il giudice non ha cognizione piena del quadro probatorio ma deve
decidere sulla base dei verbali presentati dalle parti solamente potenziali → cognizione limitata
La funzione viene svolta prima dell’esercizio dell’azione penale, derogando quindi al principio nulla iurisdictio sine
actione → si giustifica dall’esigenza di assicurare un organo imparziale in una fase in cui il pm chiede provvedimenti
che incidono pesantemente sulle libertà sancite dalla costituzione
2. La notizia di reato
A. CONSIDERAZIONI GENERALI
La notizia di reato è un’informazione che permette alla polizia giudiziaria ed al pubblico ministero di venire a
conoscenza di un illecito penale. La presenza di una notizia di reato produce tre effetti:
- Segna il passaggio dalla funzione di polizia di sicurezza (attività tendente a prevenire il compimento di
reati e a controllare che la legge sia osservata) alla funzione di polizia giudiziaria (indagine su di un reato
del quale si abbia notizia);
- Impone alla polizia giudiziaria, che abbia appreso la notizia di un reato, l’obbligo di informarne il pubblico
ministero (art. 347);
- Impone a quest’ultimo l’obbligo di provvedere all’immediata iscrizione della notizia nel «registro delle
notizie di reato» (art. 335).
Il codice regola espressamente la denuncia ed il referto.
B. LA DENUNCIA
La denuncia può essere presentata da qualsiasi persona che abbia avuto notizia di un reato (sia essa un cittadino
italiano, uno straniero o perfino lo stesso autore del fatto illecito), può essere scritta o orale e può essere presentata
sia da un ufficiale di polizia giudiziaria che anche dal pm direttamente
Essa contiene l’esposizione degli elementi essenziali del fatto ed indica il giorno dell’acquisizione della notizia di
reato «nonché le fonti di prova già note» → contiene le generalità della persona a cui il fatto è attribuito, della
persona offesa e di coloro che sono in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione del fatto
Di regola la denuncia è facoltativa (art. 331): essa è rimessa al senso civico della singola persona, ma vi sono alcune
ipotesi nelle quali la denuncia costituisce, per persone che svolgono determinate funzioni o professioni, un obbligo
sanzionato penalmente (artt. 331 e 334)
DA PARTE DEI PRIVATI: una persona privata ha l’obbligo di denuncia nei seguenti casi:
- Quando sia cittadino italiano ed abbia avuto notizia di un delitto contro la personalità dello Stato per il
quale la legge stabilisce l’ergastolo;
- Quando abbia ricevuto cose provenienti da delitto;
- Quando abbia notizia di materie esplodenti situate nel luogo da lui abitato;
- Quando abbia subìto un furto di armi o esplosivi;
- Quando abbia avuto conoscenza di un delitto di sequestro di persona a fini di estorsione
PUBBLICI UFFICIALI (art. 357 c.p.) e INCARICATI DI PUBBLICO SERVIZIO (art. 358 c.p.): hanno l’obbligo di presentare
denuncia quando vi è una determinata relazione tra la funzione o il servizio da loro svolto e la conoscenza del reato.
Infatti, i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio hanno l’obbligo di denuncia dei reati dei quali vengano a
conoscenza sia nell’esercizio delle funzioni (e cioè durante l’orario di lavoro), sia a causa della funzione o servizio
(anche fuori dell’orario di lavoro) → l’obbligo scatta quando la notizia concerne un reato non procedibile a querela
LE QUALIFICHE DI PUBBLICO UFFICIALE E DI INCARICATO DI PUBBLICO SERVIZIO: ai fini del processo penale
il pubblico ufficiale e l’incaricato di pubblico servizio hanno l’obbligo di presentare denuncia e, con
riferimento alla testimonianza, l’obbligo di mantenere il segreto d’ufficio (art. 201).
Nel diritto penale queste qualifiche sono fondamentali per la configurabilità di determinati reati sia commessi da
questi che contro di questi
Requisiti COMUNI:
- La funzione ed il servizio sono pubblici quando sono disciplinati da norme di diritto pubblico e da atti
autoritativi → il tipo di disciplina quindi traccia la differenza rispetto ai privati
- Caratterizzazione oggettiva: ciò che rileva è l’esercizio in concreto della funzione o servizio pubblici
IL PUBBLICO UFFICIALE: sono funzioni pubbliche (e, in quanto tali, integrano la qualifica di pubblico ufficiale) le
funzioni legislative, giudiziarie e amministrative. Al fine di consentire una più precisa delimitazione del concetto di

113
pubblica funzione, con particolare riferimento a quella amministrativa, l’art. 357, c. 2 c.p. afferma che la stessa deve
avere almeno una delle seguenti caratteristiche:
- Deve consistere nella «formazione» o «manifestazione» della volontà della pubblica amministrazione
- Deve svolgersi per mezzo di «poteri autoritativi» o «certificativi»
L’INCARICATO DI PUBBLICO SERVIZIO: viene definito dall’art. 358 c.p. mediante un requisito positivo e due negativi.
- Il servizio deve essere disciplinato (come la pubblica funzione) da norme di diritto pubblico e da atti
autoritativi;
- Devono mancare le caratteristiche proprie della funzione pubblica, e cioè lo svolgimento di poteri
certificativi o autoritativi o la formazione o la manifestazione della volontà della pubblica
amministrazione;
- Il servizio non deve comportare l’esercizio di semplici mansioni d’ordine né la prestazione di un’opera
meramente materiale
Lo Stato (o altro ente pubblico) può affidare l’esercizio di un servizio pubblico a soggetti privati; nel momento in cui il
privato esercita tale servizio egli assume la qualifica di incaricato di pubblico servizio.
GLI UFFICIALI E GLI AGENTI DI POLIZIA GIUDIZIARIA: data la particolare qualifica rivestita, sono tenuti ad informare il
pubblico ministero di tutti i reati procedibili d’ufficio dei quali sono venuti comunque a conoscenza (art. 361,
c. 2 c.p.), quindi anche fuori del servizio svolto
ESENZIONE DALL’OBBLIGO DI DENUNCIA: Il difensore e i suoi ausiliari non hanno obbligo di denuncia «neppure in
relazione ai reati dei quali abbiano avuto notizia nel corso delle attività investigative da essi svolte» (art. 334-bis)
LE INFORMAZIONI CHE DEVONO ESSERE DATE DAL PM E DALLA POLIZIA GIUDIZIARIA AL FINE DI TUTELARE LA
PERSONA OFFESA DAL REATO: la persona offesa dal reato ha il diritto di ricevere le informazioni necessarie al fine di
esercitare i propri poteri nel procedimento penale, deve avvenire in una lingua a lei comprensibile sia dal primo
contatto con l’autorità procedente
In base all’art. 101, c. 1, al momento dell’acquisizione della notizia di reato il pubblico ministero e la polizia
giudiziaria devono informare la persona offesa della facoltà di nominare un difensore di fiducia; inoltre, devono
avvisarla della possibilità di accesso al patrocinio a spese dello Stato. In base all’art. 609-decies c.p., quando si
procede per determinati delitti contro la persona in ambito familiare, il procuratore della repubblica deve darne
notizia al tribunale per i minorenni.
C. IL REFERTO
Il referto è una particolare forma di denuncia alla quale è tenuto colui che, nell’esercizio di una professione sanitaria,
ha prestato la propria assistenza o opera in casi che possono presentare i caratteri di un delitto procedibile d’ufficio
(art. 365 c.p.).
Il soggetto obbligato deve far pervenire il referto entro 48 ore o, se vi è pericolo nel ritardo, anche immediatamente,
al pm o alla polizia giudiziaria (art. 334) → l’obbligo viene meno quando il referto esporrebbe la persona assistita a
procedimento penale (art. 365, II)
- Medico PRIVATO: obbligo in capo all’esercente una professione sanitaria di referto quando assista la
persona offesa dal reato → bilanciamento tra interesse dello stato alla conoscenza e alla repressione di
reati e il diritto alla salute (dal momento che se il referto fosse obbligatorio, difficilmente l’autore del
reato si sottoporrebbe alle cure
- Impiegato PUBBLICO: egli assume come qualifica assorbente quella di incaricato di pubblico servizio,
quindi è obbligato alla denuncia e al referto tutte le volte in cui, a causa delle sue funzioni, abbia avuto
conoscenza di un reato procedibile d’ufficio
D. L’OBBLIGO DI INFORMARE IL PUBBLICO MINISTERO
Una volta che la polizia giudiziaria ha ricevuto una notizia di reato (es. denuncia o referto), scatta l’obbligo per la
polizia stessa di informare il pubblico ministero. L’informativa è la fonte dalla quale il pubblico ministero attinge la
notizia di reato; l’informativa deve precisare gli «elementi essenziali del fatto» e gli altri «elementi di prova e le
attività compiute» (art. 347, c. 1) → la polizia deve quindi trasmettere una notizia di reato significativa, quindi
quando viene raccolto l’elemento di prova dell’illecito penale
Dal ricevimento della notizia di reato scatta l’obbligo in capo alla polizia giudiziaria di trasmettere l’informativa, che
infatti deve contenere l’indicazione precisa circa il giorno e l’ora in cui la notizia è stata acquisita (art. 347, c. 4).

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I TERMINI PER LA TRASMISSIONE DELL’INFORMATIVA: il termine, entro cui l’obbligo deve essere adempiuto, varia in
relazione a determinate situazioni previste dall’art. 347 → il codice pone la regola di riferire la notizia senza ritardo e
per iscritto al pm, ma sono previste delle eccezioni
L’informativa deve essere data immediatamente anche in forma orale quando sussistono ragioni di urgenza o
quando si tratta di determinati delitti gravi o di criminalità organizzata (art. 347, c. 3); il termine è di quarantotto ore
nel caso in cui la polizia giudiziaria abbia compiuto atti per i quali è prevista l’assistenza del difensore dell’indagato
(art. 347, c. 2-bis). L’avvenuto arresto in flagranza impone alla polizia l’obbligo di informare immediatamente il
pubblico ministero (art. 386, c. 1).
CARATTERI DIFFERENZIALI TRA INFORMATIVA E NOTIZIA DI REATO: una differenza fondamentale tra l’informativa di
polizia giudiziaria e la notizia di reato è l’impersonalità della informativa. Infatti, mentre le notizie di reato
obbligatorie sono il frutto di obblighi imposti ad una specifica persona che abbia avuto la conoscenza del fatto,
l’obbligo di informativa investe l’organo di polizia giudiziaria inteso come unità operativa.
La funzione di informazione completa ed organica impone un’organizzazione e un coordinamento all’interno
dell’ufficio: l’ufficiale di grado più alto in grado ha il compito di riunire tutti gli elementi in un unico documento da
spedire, nei termini di legge, al pm competente indicando gli ufficiali e gli agenti che hanno svolto le indagini
3. Le condizioni di procedibilità
Il codice pone la regola della procedibilità d’ufficio (art. 50, c. 2); le condizioni di procedibilità sono atti ai quali la
legge subordina l’esercizio dell’azione penale in relazione a determinati reati per i quali non si debba procedere
d’ufficio. Sono condizioni di procedibilità la querela, l’istanza, la richiesta di procedimento e l’autorizzazione a
procedere. In mancanza di una condizione di procedibilità si possono compiere soltanto «gli atti di indagine
preliminare necessari ad assicurare le fonti di prova» (art. 346) → non si possono quindi disporre atti coercitivi come
il fermo, l’arresto o le misure cautelari dal momento che queste costituiscono anche condizione per l’esercizio di
determinati poteri coercitivi
Si può comunque disporre il sequestro probatorio che non richieda una previa perquisizione
- LA QUERELA: (art. 336) è un atto con il quale la persona offesa manifesta la volontà che si persegua
penalmente il fatto di reato che essa ha subìto a prescindere dal soggetto che risulterà esserne l’autore.
La querela si compone di due elementi:
o La notizia di reato
o La manifestazione della volontà che si proceda penalmente in ordine al medesimo
Differisce dalla denuncia quindi al momento che può essere presentata da chiunque, non deve
necessariamente contenere una manifestazione di volontà ed è sufficiente solamente la notizia che sia
avvenuto un fatto di reato
Il diritto di querela deve essere esercitato, di regola, entro il termine di tre mesi dal giorno in cui la
persona offesa ha avuto notizia del fatto che costituisce reato (art. 124 c.p.); nel caso di delitti contro la
libertà sessuale il termine è di sei mesi (art. 609- septies, c. 2 c.p.).
Viene proposta con le forme previste per la denuncia: se viene recapitata per posta o spedita da un
incaricato, occorre anche l’autentica sottoscrizione da parte di un pubblico ufficiale autorizzato o anche
dal difensore
RINUNCIA: (art. 339 c.p.p.) è l’atto con cui la persona offesa di rinuncia ad esercitare il diritto di querela.
La rinuncia è un atto irrevocabile ed incondizionato con cui la persona offesa, prima di aver proposto
querela, manifesta la volontà che non si proceda penalmente per il reato subìto.
Può essere fatta sia con atto espresso che tacitamente
REMISSIONE: di regola, la querela, una volta proposta, può essere revocata. A tal fine il codice penale
prevede l’istituto della remissione. Si tratta di quell’atto irrevocabile ed incondizionato con cui la persona
offesa, dopo aver proposto querela, manifesta la volontà che non si proceda penalmente per il fatto di
reato. Non produce effetto se l querelato non l’ha accettata espressamente o tacitamente
Incontra alcuni limiti in relazione a particolari tipi di reato (ex: materia sessuale o gravi atti persecutori)
- L’ISTANZA: (art. 341 c.p.p.) è un atto con il quale la persona offesa manifesta la volontà che si proceda
per un reato che è stato commesso all’estero e che, se fosse stato commesso in Italia, sarebbe
procedibile d’ufficio

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- LA RICHIESTA DI PROCEDIMENTO: è l’atto con cui il ministro della giustizia manifesta la volontà che si
proceda per un determinato reato commesso all’estero o per altri reati espressamente previsti dagli artt.
127, 313, c. 4 e 604 c.p.
- L’AUTORIZZAZIONE A PROCEDERE: (art. 343 c.p.p.) è un atto discrezionale ed irrevocabile che viene
emanato da un organo dello Stato.
2 ragioni per cui la legge pone l’autorizzazione come condizione per l’esercizio dell’azione penale e il
compimento dei singoli atti del procedimento
o In alcuni casi viene in considerazione la qualità dell’imputato, che è un rappresentante di un
organo pubblico e che si vuole proteggere contro le “azioni di disturbo” del potere giudiziario.
o In altri casi viene in considerazione la qualità della persona offesa dal reato, che è un organo
pubblico del quale si vuole evitare che venga compromesso il “prestigio” in un processo penale
(art. 313 c.p.).
In mancanza delle condizioni di procedibilità, la polizia giudiziaria di regola non ha l’obbligo di informare
il pm della notizia di reato dal momento che l’obbligo scatta soltanto se vengono compiute le indagini
LA MANCANZA DI UNA CONDIZIONE DI PROCEDIBILITA’: RIPROPONIBILITA’ DELL’AZIONE PENALE
Ex art. 345, il provvedimento di archiviazione e la sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, con cui
viene dichiarata la mancanza di una condizione di procedibilità, non impediscono l’esercizio dell’azione penale per il
medesimo fatto o contro la medesima persona se in seguito è proposta querela, istanza, richiesta o concessa
autorizzazione
4. Il segreto investigativo ed il divieto di pubblicazione
A. CONSIDERAZIONI PRELIMINARI
Lo svolgersi del procedimento penale genera un contrasto tra esigenze opposte: proteggere la ricerca delle fonti di
prova contro gli atti che possono mettere in pericolo l’acquisizione e la genuinità delle informazioni e assicurare
l’esercizio del diritto di difesa
L’esigenza di tutela delle indagini impone di coprire col segreto gli atti iniziali del procedimento; la garanzia del
diritto di difesa richiede che gli atti possano essere conosciuti dall’indagato e dalle altre potenziali parti private →
art. 111, III Cost.: l’accusato ha il diritto di essere informato riservatamente nel più breve tempo possibile della
natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico
Con il termine “segreto” si indica un limite posto alla conoscibilità di fatti; di essi viene assicurata la conoscenza
esclusiva in favore di determinati soggetti. Per gli «atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia
giudiziaria» è previsto come regola l’obbligo del segreto (art. 329, c. 1) → l’atto di indagine non deve quindi essere
rivelato ed opera in modo oggettivo, poiché grava su tutti i soggetti a prescindere dalla loro qualifica
L’atto può essere rivelato dall’inquirente a soggetti pubblici autorizzati a conoscerlo; ciò avviene, ad esempio, nei
rapporti tra diversi uffici del pubblico ministero, impegnati in indagini collegate. Il soggetto autorizzato a conoscere
l’atto è, a sua volta, vincolato dall’obbligo del segreto.
B. GLI ATTI CONOSCIBILI DALL’INDAGATO
Alla regola della segretezza sono state poste varie deroghe in favore della difesa.
GLI ATTI “GARANTITI” sono quelli ai quali il difensore ha diritto di assistere previo avviso che deve essergli dato
almeno ventiquattro ore prima del compimento dell’atto stesso. Si tratta dell’interrogatorio, dell’ispezione e del
confronto ai quali partecipa l’indagato e dell’ispezione alla quale non deve partecipare l’indagato (art. 364 c. 1 e 3).
Quando vi è fondato motivo di ritenere che il ritardo nel compimento di uno di questi atti possa pregiudicare la
ricerca o l’assicurazione delle fonti di prova, il pm può compiere l’atto prima del termine, ma deve comunque dare
tempestivamente avviso al difensore d’ufficio o a quello di fiducia
Nella categoria degli atti garantiti rientra altresì l’accertamento tecnico non ripetibile disposto dal pubblico ministero
su «persone, cose o luoghi il cui stato è soggetto a modificazione» (art. 360) o la modificazione dei quali è
determinata dall’ accertamento stesso (art. 117 disp. att.).
La facoltà di assistere ad alcuni atti di indagine è concessa per tutelare l’indagato e di assicurare la regolarità dell’atto
stesso: la garanzia quindi assicura comunque il contraddittorio debole
Quando il difensore può assistere agli atti di indagine comunque il suo intervento viene limitato al presentare
richieste, osservazioni e riserve al pm delle quali viene fatta menzione nel verbale -> non si tratta del contraddittorio
nella formazione della prova
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ATTI A SORPRESA: nella categoria degli “atti a sorpresa” rientrano gli atti ai quali il difensore ha facoltà di assistere
senza tuttavia avere diritto al preavviso. Si tratta delle perquisizioni e dei sequestri, che sono atti per loro natura non
ripetibili fin dall’origine (art. 365 c.p.p.).
IL DEPOSITO: degli atti sia “garantiti”, sia “a sorpresa”, è previsto il deposito del verbale a prescindere dal fatto che il
difensore abbia partecipato o meno all’atto medesimo (art. 366). Il deposito avviene presso la segreteria del
pubblico ministero entro il terzo giorno successivo al compimento dell’atto, con facoltà per il difensore di esaminare
il verbale ed estrarne copia nei cinque giorni successivi.
Quando non è stato dato avviso del compimento dell’atto, al difensore viene immediatamente notificato l’avviso di
deposito
Ove sia stato eseguito un sequestro, il difensore ha facoltà di esaminare le cose sequestrate nel luogo in cui esse si
trovano e di estrarne copia se si tratta di documenti (art. 366, c. 1).
L’INFORMAZIONE DI GARANZIA: quando il pubblico ministero ritiene di compiere un atto garantito, egli ha l’obbligo
di inviare all’indagato ed alla persona offesa l’informazione di garanzia (art. 369). Il contenuto più importante
dell’informazione di garanzia è l’invito ad esercitare la facoltà di nominare un difensore di fiducia; se l’indagato non
provvede alla nomina, il pubblico ministero designa il difensore d’ufficio richiedendo il nominativo all’ufficio presso
l’ordine forense del capoluogo di corte d’appello
C. GLI ATTI SEGRETI
IL SEGRETO INVESTIGATIVO: per gli atti di indagine compiuti dal pm e dalla polizia giudiziaria è posto l’obbligo del
segreto → sono segrete anche le richieste del pm di autorizzazione al compimento di atti di indagine e gli atti del
giudice che provvedono su tali richieste (ex: richiesta di intercettazione e relativo provvedimento del giudice)
Fra gli atti segreti rientrano gli accertamenti tecnici ripetibili (art. 359), l’individuazione di persone o di cose (art. 361)
e l’assunzione di informazioni da possibili testimoni (art. 362). Questi atti sono coperti dal segreto investigativo fino
all’avviso di conclusione delle indagini (art. 415-bis) → sono coperti dal segreto fino a quando l’imputato non ne
possa avere conoscenza e comunque non oltre la chiusura delle indagini, quindi l’avviso di conclusione delle
medesime
L’obbligo del segreto opera in modo oggettivo e si riferisce a tutte le persone che hanno partecipato o assistito al
compimento dell’atto
La violazione dell’obbligo del segreto investigativo può rientrare in almeno due fattispecie incriminatrici.
LA RIVELAZIONE DI SEGRETI INTERENTI AD UN PROCEDIMENTO PENALE: il nuovo art. 379-bis c.p., primo
periodo, punisce con la reclusione fino ad un anno «chiunque rivela indebitamente notizie segrete concernenti un
procedimento penale, da lui apprese per avere partecipato o assistito ad un atto del procedimento stesso». Il
presupposto, che pone l’obbligo del segreto, è l’aver partecipato o assistito ad un atto segreto.
Il vincolo di segretezza concerne lo svolgimento e la documentazione dell’atto del procedimento, non si estende al
fatto storico oggetto di indagine
Le persone che hanno partecipato al compimento di un atto di indagine (ad esempio, i possibili testimoni sentiti dal
pubblico ministero) non possono rivelare lo “svolgimento” dell’atto (ad esempio, le domande rivolte e le risposte
date); tuttavia, le persone stesse sono libere di riferire quei fatti storici, dei quali sono a conoscenza.
LA RIVELAZIONE DEL SEGRETO D’UFFICIO: l’art. 326 c.p. punisce il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio
il quale riveli un atto segreto «violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della
(propria) qualità» → rientrano nella categoria dei pubblici ufficiali i magistrati e la polizia giudiziaria
DURATA DEL SEGRETO INVESTIGATIVO: l’obbligo del segreto viene meno in due casi
- In primo luogo ciò avviene quando l’indagato può «avere conoscenza» dell’atto (art. 329, c. 1): si deve
trattare di una possibilità “legale” di conoscenza, che può aversi anche quando, di fatto, il difensore non
è stato presente all’atto o non si è recato nella segreteria del pubblico ministero ad esaminare il verbale.
- In secondo luogo l’obbligo del segreto cade quando si perviene alla chiusura delle indagini preliminari
(art. 329, c. 1): avviso di conclusione delle indagini
IL POTERE DI SEGRETARE LO SVOLGIMENTO DEGLI ATTI DI INDAGINE CONOSCIBILI: il pubblico ministero esercita il
potere di segretazione «in caso di necessità per la prosecuzione delle indagini, e in particolare quando la conoscenza
dell’atto può ostacolare le indagini riguardanti altre persone. L’obbligo del segreto concerne lo svolgimento dell’atto.
IL POTERE DI SEGRETARE I FATTI OGGETTO DI INDAGINE: l’art. 391-quinquies attribuisce al pubblico ministero un
ulteriore potere di segretazione, che consiste in un ampliamento del potere di rivelazione:
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- Il segreto non è limitato al solo svolgimento dell’atto, ma anche ai fatti storici oggetto di indagine;
- Questa segretazione concerne esclusivamente quegli atti di indagine che comportano l’assunzione di
dichiarazioni da parte di possibili testimoni o indagati;
- Occorre che sussistano specifiche esigenze attinente alle indagini.
In presenza dei predetti requisiti, il pubblico ministero può vietare alle persone sentite di «comunicare i fatti e le
circostanze oggetto dell’indagine di cui hanno conoscenza». Il divieto è disposto con decreto motivato e non può
avere una durata superiore a due mesi.
La persona sentita è vincolata da un duplice divieto:
- Non rivelare le domande poste e le risposte date
- Non comunicare le notizie attinenti al fatto di indagine
Il pm può precludere a tutti, quindi anche alla difesa dell’indagato e della persona offesa, l’assunzione di
informazioni dai soggetti vincolati al segreto
Viene estesa ex art. 379-bis la sanzione che viene prevista in caso di violazione del segreto investigativo
D. DIVIETO DI PUBBLICAZIONE
Divieto di pubblicare gli atti del procedimento penale con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione (c.d.
segreto esterno) L’art. 114 c. 1 c.p.p. pone il divieto di pubblicare determinati atti del procedimento penale con il
mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione. Il divieto è di tipo assoluto o attenuato.
GLI ATTI SEGRETI: nei confronti degli atti di indagine che sono segreti è posto il divieto assoluto di pubblicazione, e
cioè è vietato pubblicarne sia la riproduzione totale o parziale, sia il riassunto, sia il contenuto generico. Il legislatore
vuole evitare che la conoscenza anticipata degli atti segreti di indagine vanifichi l’attività investigativa che si sta
svolgendo.
Qualora però una pubblicazione possa aiutare le indagini, il pm può consentire con decreto motivato la
pubblicazione di singoli atti o parte di essi → sono quindi pubblicati presso la segreteria del pm
GLI ATTI CONOSCIBILI: sia quelli che lo siano fin dall’origine che anche quelli che lo diventino successivamente. Per gli
atti conoscibili vige un divieto attenuato di pubblicazione, nel senso che è vietato pubblicare l’«atto» (art. 114, c. 2
c.p.p.), e cioè il testo parziale o totale dell’atto stesso.
Viceversa, è consentito pubblicare il «contenuto» dello stesso (art. 114, c. 7 c.p.p.), e cioè «notizie di stampa più o
meno generiche e prive di riscontri documentali riguardanti il contenuto di atti» → eccezione: è possibile pubblicare
il testo dell’ordinanza che applica una misura cautelare
LE SANZIONI PENALI: la pubblicazione arbitraria di atti del procedimento penale è punita con la sanzione dell’arresto
fino a 30 giorni in alternativa con l’ammenda di 258 euro nel massimo → contravvenzione oblazionabile con il
versamento di 129 euro
Ha comunque una scarsa efficacia deterrente soprattutto nei confronti dei giornalisti e comunque non sembra
idonea a garantire i valori giuridici che devono essere tutelati
IL DIVIETO DI DIVULGAZIONE DI DETERMINATI ATTI: è vietato pubblicare le generalità e l’immagine dei minorenni in
relazione a qualsiasi atto del procedimento penale; il divieto vige nei confronti del minorenne imputato → qualora
sia testimone, persona offesa o danneggiato del reato, il divieto riguarda anche gli elementi che anche
indirettamente possano portare alla sua identificazione
Maggiore tutela del caso dei procedimenti per violenza sessuale, pedofilia e pedopornografia: pena dell’arresto da 3
a 6 mesi chiunque divulghi, anche con mezzi di comunicazione di massa, LE GENERALITÀ O L’IMMAGINE DELLA
PERSONA OFFESA senza il di lei consenso
Divieto di pubblicazione di immagini di PERSONE PRIVATE DELLA LIBERTA’ PERSONALE ritratte con le manette o
quando comunque siano sottoposte a misure di coercizione fisica → viene meno soltanto con il consenso della
persona interessata, in ogni caso la sanzione per gli impiegati pubblici o persone esercenti una professione per cui
viene prevista una speciale abilitazione da parte dello stato vengono previste ex art. 115 una sanzione disciplinare
IL DIVIETO DI PUBBLICARE I DOCUMENTI CONCERNENTI LO SPIONAGGIO ED IL DOSSIERAGGIO ILLECITI: l’art. 4 del
d.l. 22 settembre 2006 n. 259 recante «Disposizioni urgenti per il riordino della normativa in tema di intercettazioni
telefoniche», convertito con modificazioni nella legge 20 novembre 2006 n. 281, ha introdotto il divieto di pubblicare
gli atti o i documenti di cui al c. 2 dell’art. 240 c.p.p. Si tratta di due categorie di documenti illegali:

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- SPIONAGGIO ILLECITO: sono ricompresi quei documenti, supporti e atti concernenti dati e contenuti di
conversazioni o comunicazioni, che siano relativi a traffico telefonico e telematica e che siano stati
illegalmente formati o acquisiti;
- DOSSIERAGGIO ILLECITO: sono ricompresi quelli formati attraverso la raccolta illegale di informazioni
5. L’attività di iniziativa della polizia giudiziaria
A. LA REGOLAMENTAZIONE DELL’ATTIVITA’ DI INIZIATIVA
All’interno delle indagini preliminari si distingue tra attività a iniziativa della polizia giudiziaria e del pm → differente
regolamentazione degli atti sotto vari profili ex: esercizio di poteri coercitivi sulle cose e tutela del diritto di difesa
Il pubblico ministero ha poteri di perquisizione e sequestro probatorio più incisivi rispetto alla polizia giudiziaria che
agisce di propria iniziativa. La perquisizione ad iniziativa della polizia giudiziaria (art. 352), infatti, può avvenire
soltanto in caso di flagranza o evasione; essa deve essere sottoposta a convalida del pubblico ministero; inoltre,
all’indagato, che sia presente, deve essere dato l’avviso della facoltà di nominare un difensore di fiducia (art. 114
disp. att.). Viceversa, nel caso di perquisizione ordinata dal pubblico ministero (art. 247), non si richiede, quale
requisito, la flagranza o l’evasione (bastano sufficienti indizi); non vi deve essere ovviamente la convalida, ma
occorre che venga designato un difensore d’ufficio all’indagato che sia presente e che non abbia nominato un
difensore di fiducia (art. 365).
L’INIZIATIVA AUTONOMA DI POLIZIA: circa la polizia giudiziaria, vi è un’attività di iniziativa in senso stretto (c.d.
autonoma) che consiste nel raccogliere «ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto e alla individuazione del
colpevole» (art. 348, c. 1). Tale attività prende avvio dal momento in cui è pervenuta la notizia di reato e termina nel
momento in cui il pubblico ministero ha impartito le sue direttive.
L’INIZIATIVA SUCCESSIVA: vi è poi un’attività di iniziativa in senso ampio (c.d. successiva) che la polizia giudiziaria
svolge dopo aver ricevuto le direttive dal pubblico ministero. Tale attività può ancora distinguersi in iniziativa guidata
ed in iniziativa parallela.
- La prima consiste nella stretta esecuzione delle direttive del pubblico ministero.
- La seconda comprende «tutte le altre attività di indagine per accertare i reati», che la polizia può
eseguire purché ne informi prontamente il pubblico ministero (art. 348) → l’iniziativa parallela è quindi
legittima ma deve avere carattere di eccezionalità, il pm deve avere un quadro generale delle indagini
In sintesi, la polizia è libera di svolgere indagini parallele, ma deve prontamente renderne noti i risultati alla pubblica
accusa.
L’INIZIATIVA INTEGRATIVA: infine, è prevista la c.d. attività integrativa, ossia svolta di iniziativa ma sulla base dei dati
emersi a seguito del compimento di atti delegati dal pubblico ministero, per assicurarne la massima efficacia, come
avviene ad esempio quando da un interrogatorio delegato si scoprono fonti di prova da assicurare → l’attività
integrativa e parallela incontrano 2 limiti:
- Il sistema induce a ritenere che sia vietato il compimento di atti eventualmente in contrasto con le
direttive del pm
- La polizia ha l’obbligo di informare prontamente il pm degli ulteriori elementi raccolti
OPERAZIONI TECNICHE MEDIANTE AUSILIARI: l’art. 348 c. 4 legittima la polizia giudiziaria a compiere di propria
iniziativa «atti od operazioni che richiedono specifiche competenze tecniche». L’art. 348 autorizza la polizia giudiziaria
ad avvalersi dell’opera di «persone idonee le quali non possono rifiutare la propria opera»: sono i c.d. ausiliari di
polizia giudiziaria
L’ausiliario svolge l’atto insieme alla polizia giudiziaria in funzione di semplice aiuto materiale → il consulente tecnico
svolge le attività in proprio e a seguito di incarico del pm, a cui dovrà riferire i risultati
B. LE SOMMARIE INFORMAZIONI DELL’INDAGATO
Indicazione unitaria delle 3 diverse modalità con cui l’indagato può rendere dichiarazioni alla polizia giudiziaria →
modalità molto differenti nei presupposti e nel regime di utilizzabilità
- INFORMAZIONI CON LA PRESENZA DEL DIFENSORE: in primo luogo, l’atto non può essere compiuto dal
semplice agente di polizia giudiziaria, ma è riservato all’ufficiale. Quest’ultimo può assumere
informazioni ponendo domande all’indagato purché:
o Libero (art. 350, c. 1)
o Sempre che il suo difensore sia presente (art. 350, c. 3)

119
Presuppone quindi che la polizia abbia invitato l’indagato a nominare un difensore e che questo,
nominato e quindi preavvisato tempestivamente, sia potuto intervenire
Nel caso in cui l’indagato non abbia nominato un difensore di fiducia, la polizia avverte il difensore
d’ufficio di turno.
Se il difensore non è stato reperito o non è comparso, la polizia provvede a norma dell’art. 97, c. 4, mod.
dalla legge n. 60/2001, chiedendo un altro nominativo all’apposito ufficio centralizzato.
In caso di urgenza, da motivarsi espressamente, la polizia designa come sostituto un altro difensore
immediatamente reperibile
In ogni caso, le sommarie informazioni devono essere assunte dall’indagato con la necessaria presenza
del difensore di fiducia o d’ufficio.
Le formalità di questo atto sono ridotte rispetto all’interrogatorio svolto dal pm: non viene imposto
l’obbligo di contestare all’indagato un addebito provvisorio né di rendere noti gli elementi a suo carico
È sufficiente che l ‘indagato riceva quegli avvertimenti che sono disciplinati dall’art. 64:
o Le sue dichiarazioni potranno essere sempre utilizzate nei suoi confronti;
o Può non rispondere ad alcuna domanda «ma comunque il procedimento seguirà il suo corso»;
o Se renderà dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità di altri assumerà in ordine a tali
fatti la qualifica di testimone.
Soltanto sulle proprie generalità l’indagato ha l’obbligo di rispondere secondo verità
- LE DICHIARAZIONI SPONTANEE: l’ufficiale o l’agente di polizia può «ricevere» dichiarazioni spontanee
dall’indagato libero o arrestato (art. 350, c. 7); occorre che l’iniziativa sia venuta dall’indagato.
La legge non ha voluto regolamentare il contatto tra polizia ed indagato quando non è presente il
difensore (non gli viene posto l’obbligo di dare gli avvisi ex art. 64, III)
- LE INFORMAZIONI PER LA PROSECUZIONE DELLE INDAGINI: la terza modalità consente agli ufficiali di
polizia giudiziaria di porre domande all’indagato libero o arrestato anche in assenza del difensore (art.
350, c. 5); tuttavia delle notizie così assunte è vietata sia la documentazione, sia l’utilizzazione in
dibattimento ed in fasi precedenti (art. 350, c. 6). Il codice pone due limiti:
o Le domande possono essere rivolte all’indagato soltanto sul luogo o nell’immediatezza del fatto
di reato
o Deve trattarsi di notizie utili «ai fini della immediata prosecuzione delle indagini».
Il codice non impone alla polizia di avvertire l’indagato che ha la facoltà di rimanere silenzioso → le
notizie non sono utilizzabili nel procedimento, ma oramai sono state raccolte e possono servire per
indirizzare le indagini anche se non valgono ad integrare i requisiti del compimento di un successivo atto
del giudice o dell’autorità inquirente
C. LE SOMMARIE INFORMAZIONI DA PERSONE DIVERSE DALL’INDAGATO
DEL POSSIBILE TESTIMONE: coloro che rendono le informazioni sono indicati dal codice con l’espressione «persone
che possono riferire circostanze utili ai fini delle indagini» e vengono denominati nella prassi “persone informate” (o
“possibili testimoni”).
Hanno una posizione processuale sostanzialmente analoga a quella del testimone poiché hanno un obbligo di verità
→ viene estesa alla persona informata l’incompatibilità a testimoniare che viene prevista in relazione all’imputato,
quindi colui che risulta indagato non può essere sentito come persona informata
LA REGOLAMENTAZIONE: alla persona informata (possibile testimone) sono applicabili gli artt. 197- 203 del codice
(art. 351 che rinvia all’art. 362). La persona informata:
- È titolare del privilegio contro l’autoincriminazione (art. 198, c. 2)
- Può rifiutarsi di rispondere su fatti dai quali potrebbe emergere una propria responsabilità penale
- Può opporre all’inquirente l’esistenza di un segreto nei casi previsti dalla legge
- Se è prossimo congiunto dell’indagato, deve essere avvisata della facoltà di astenersi dal rendere
dichiarazioni (art. 199)
Quale “possibile testimone” è sentita anche la persona offesa dal reato.
La persona informata (possibile testimone) ha l’obbligo di presentarsi alla polizia, se convocata; ove non si presenti,
può essere incriminata per inosservanza di un provvedimento della pubblica autorità (art. 650 c.p.).
Ha l’obbligo di attenersi alle prescrizioni date
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Le sommarie informazioni sono documentate mediante verbale (art. 357, cc. 1 e 2, che rinviano all’art. 373); di
regola non sono utilizzabili in dibattimento (art. 5 14),
- Se ripetibili, eccezionalmente sono utilizzabili mediante contestazione nei limiti ex art. 500
- Se non ripetibili, sono utilizzabili mediante lettura alle condizioni ex art. 512
DA POSSIBILI TESTIMONI VULNERABILI: quando si devono assumere informazioni da minorenni in relazione a delitti
di prostituzione minorile, adescamento di minori, atti persecutori, maltrattamenti in famiglia, pedopornografia e
assimilati
Ex art. 351, I ter la polizia giudiziaria deve avvalersi dell’ausilio di un esperto in psicologia o psichiatria infantile,
nominato dal pm
L’atto di indagine deve essere diretto dall’ufficiale di polizia giudiziaria
DELL’IMPUTATO DI UN PROCEDIMENTO CONNESSO O COLLEGATO: sempre nella forma delle “sommarie
informazioni” l’ufficiale di polizia giudiziaria può porre domande all’imputato (o all’indagato) di un procedimento
connesso o collegato (art. 351, c. 1-bis). Questi ha diritto ad essere assistito da un difensore; in caso di mancata
nomina di quello di fiducia, gli è designato un difensore d’ufficio. Il difensore deve essere tempestivamente avvisato
ed ha diritto di assistere all’atto.
L’ufficiale interrogante deve dare gli avvisi previsti ex art. 210, pena l’inutilizzabilità delle dichiarazioni
eventualmente rese
D. IDENTIFICAZIONE
L’identificazione (art. 349) è un atto non garantito con cui “viene dato un nome ad un volto”: oggetto
dell’identificazione, cioè, è una persona fisica individuata, di cui però non si conoscono le generalità. Lo scopo
dell’identificazione pertanto è la scoperta del nome dell’indagato. Possono essere sottoposti ad identificazione la
persona offesa, i possibili testimoni e la persona sottoposta alle indagini. In sintesi, possiamo dire che oggetto di
identificazione possono essere tutte le persone che hanno avuto a che fare con il reato, direttamente o
indirettamente → si vogliono quindi individuare le generalità di tutte le persone che possono avere un ruolo negli
sviluppi del procedimento e che pertanto può essere indispensabile contattare
ACCOMPAGNAMENTO COATTIVO PER IDENTIFICAZIONE: ogni volta che una persona rifiuta di farsi identificare,
oppure fornisce generalità o documenti di cui si possa ritenere la falsità, è possibile l’accompagnamento coattivo per
identificazione (art. 349 c. 4). Questo consiste nel portare la persona da identificare negli uffici di polizia ed ivi
trattenerla per il tempo strettamente necessario per l’identificazione e comunque non oltre le dodici ore. La persona
può essere trattenuta non oltre le ventiquattro ore nel caso in cui «l’identificazione risulti particolarmente complessa
oppure occorra l’assistenza dell’autorità consolare o di un interprete»; ma la polizia deve dare previamente avviso
orale o scritto al pubblico ministero e la persona ha la facoltà «di chiedere di avvisare un familiare o un convivente».
Dell’accompagnamento e dell’ora in cui questo è stato compiuto occorre dare immediata notizia al pm, che può
ordinare in qualsiasi momento che la persona trattenuta sia rilasciata qualora non sussistano le condizioni (art. 349,
V)
IDENTIFICAZIONE DELL’INDAGATO: la persona sottoposta alle indagini è invitata a dichiarare le proprie generalità,
con l’avviso che costituisce reato sia il rifiutarsi di fornirle, sia il darle false (art. 66, c. 1) → il diritto di non rispondere
non si applica alle dichiarazioni sulla propria identità personale
Per la completa identificazione la polizia giudiziaria richiede all’indagato, oltre alle generalità: il soprannome o lo
pseudonimo; le condizioni di vita individuale, familiare o sociale; se è sottoposto ad altri processi; le condanne
riportate nello Stato o all’estero; i beni patrimoniali dei quali l’indagato è proprietario; le cariche pubbliche rivestite,
gli uffici o servizi pubblici o di pubblica utilità prestati anche in passato. Qualora ad essere sottoposto ad
identificazione sia l’indagato, la polizia giudiziaria può procedere, ove occorra, a rilievi antropometrici, fotografici o
dattiloscopici (art. 349, c. 2).
PRELIEVO DI MATERIALE BIOLOGICO: tra i rilievi da compiersi nei confronti dell’indagato per fini di identificazione è
compreso il prelievo di capelli o saliva, che può avvenire su consenso dell’interessato. Se l’indagato non presta il suo
consenso, la polizia giudiziaria procede al prelievo coattivo nel rispetto della dignità personale dell’interessato, ma
deve ottenere dal pubblico ministero una previa autorizzazione scritta oppure resa oralmente e confermata per
iscritto (art. 349 c. 2-bis, inserito dal d.l. antiterrorismo n. 144/2005, conv. in l. n. 155).

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I rilievi possono anche essere effettuati sull’indagato riguardo al quale non c’è dubbio sull’identità: lo scopo dei rilievi
oltre l’identificazione in sé è quindi anche la ricerca di eventuali precedenti o l’apertura di una nuova scheda
personale negli archivi segnaletici
L’ELEZIONE DI DOMICILIO PER LE NOTIFICAZIONI: inoltre, la persona sottoposta alle indagini viene invitata (ai sensi
dell’art. 349 c. 3) ad eleggere un domicilio per le notificazioni che si renderanno necessarie nel corso del
procedimento (es.: informazione di garanzia, richiesta di rinvio a giudizio)
Ex art. 161, I nel primo atto che viene compiuto con l’intervento dell’imputato o dell’indagato, l’autorità procedente
lo invita a dichiarare o eleggere il proprio domicilio → dal momento che questi adempimenti possono essere svolti
solamente presso gli uffici della polizia giudiziaria, vale quello che viene disposto a riguardo dell’accompagnamento
coattivo per identificazione
Dell’identificazione è redatto verbale integrale, conservato nel fascicolo del pubblico ministero.
L’identificazione è un tipico atto non garantito: non deve essere dato nessun avviso al difensore che comunque non
può parteciparvi
E. I RILIEVI E GLI ACCERTAMENTI URGENTI: IL SOPRALLUOGO
Per molte specie di reati è il mezzo più veloce per l’identificazione del colpevole, se però le tracce lasciate dal
colpevole sono perdute dagli inquirenti non possono più essere recuperate
Gli atti fondamentali di tipo investigativo sono i rilievi e gli accertamenti urgenti, che hanno le seguenti finalità:
- Comprendere la dinamica del fatto dalla quale spesso dipende l’esistenza o meno del reato;
- Raccogliere gli elementi di prova presenti;
- Cercare spunti per la successiva attività di indagine.
Quindi:
- ATTIVITA’ DI CONSERVAZIONE: l’attività generica di conservazione consiste nel curare che le cose o
tracce pertinenti al reato siano conservate e che lo stato dei luoghi non sia mutato prima dell’intervento
del pubblico ministero (art. 354, c. 1). Pertanto la polizia giudiziaria deve impedire, da un lato, che
vengano asportate cose (es. l’arma del delitto) o cancellate tracce (es. le impronte digitali dall’arma); da
un altro lato, che cose o tracce vengano aggiunte (es. mozziconi di sigaretta) o che siano spostate di
posizione (es. il bossolo del proiettile mortale);
- RILIEVI URGENTI: i rilievi sono atti non ripetibili che devono essere compiuti di propria iniziativa dalla
polizia giudiziaria in presenza di due presupposti
o Che il pubblico ministero non possa «intervenire tempestivamente»;
o Che ci sia il pericolo che nel frattempo lo stato dei luoghi cambi o le tracce vadano perdute (c.d.
urgenza) → urgenza: tutte quelle situazioni in cui il pm non ha ancora assunto la direzione delle
indagini a prescindere dal motivo per cui ciò sia avvenuto
- ACCERTAMENTI URGENTI: l’accertamento urgente è una operazione di tipo tecnico che deve essere
compiuta dalla polizia in presenza dei presupposti sopra menzionati.
All’accertamento può procedere di regola soltanto un ufficiale e, in casi eccezionali, anche un agente
(art. 113 disp. att.) → quando le attività da compiere richiedono competenze tecniche, la polizia
giudiziaria può avvalersi di esperti che non possono rifiutarsi di collaborare: ausiliari di polizia giudiziaria
La polizia giudiziaria, quando agisce di propria iniziativa, deve conservare gli elementi di prova e non
modificarli. Un accertamento che comporti la modifica dell’elemento di prova è riservato al pubblico
ministero, che lo compirà nelle forme garantite dell’art. 360 (accertamento non ripetibile da svolgersi
con preavviso all’indagato e all’offeso). Pertanto, la polizia giudiziaria può compiere soltanto quegli
accertamenti urgenti che, se anche manipolano una cosa, tuttavia non comportano modifiche
dell’elemento di prova. Ad esempio, la polizia può prelevare da un oggetto le impronte digitali al fine di
conservarle inalterate.
- SEQUESTRO PROBATORIO: si tratta della tipica attività di assicurazione delle fonti di prova
(“repertazione”). La polizia giudiziaria compie il sequestro se vi è pericolo nel ritardo ed il pubblico
ministero non può intervenire tempestivamente o comunque quando il pm non ha ancora assunto la
direzione delle indagini. Il verbale è trasmesso entro quarantotto ore al pubblico ministero del luogo
dove il sequestro è stato eseguito; questi, nelle quarantotto ore successive, convalida il sequestro con
decreto motivato, se ne ricorrono i presupposti (art. 355, c. 2).
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- DIRITTO DI DIFESA: i rilievi, gli accertamenti urgenti ed il sequestro, compiuti dalla polizia giudiziaria in
sede di sopralluogo, sono atti che nascono all’origine come non ripetibili, essi sono inseriti nel fascicolo
delle indagini e successivamente confluiranno nel fascicolo per il dibattimento dopo che il gip avrà deciso
il rinvio a giudizio (art. 431) → atti a sorpresa ai quali può assistere senza preavviso il difensore
dell’indagato; se l’indagato è presente al rilievo, all’accertamento, alla perquisizione e al sequestro, la
polizia deve avvertirlo della facoltà di farsi assistere dal difensore di fiducia.
- ACQUISIZIONE DI REPERTI BIOLOGICI: il materiale biologico, da cui può essere estratto il profilo genetico
(DNA), non sempre fa parte della sfera corporale di una persona vivente e non necessariamente è
oggetto di prelievo. Infatti, le tracce biologiche possono essere acquisite anche da luoghi, cadaveri o cose
→ il materiale raccolto viene quindi denominato reperto
La raccolta di tracce biologiche può avvenire anche fuori dal sopralluogo, dal momento che si tratta di
tracce biologiche che hanno già lasciato la sfera corporale del proprietario, non viene in considerazione
la necessità di effettuare prelievi o accertamenti personali coattivi
- PRELIEVO DI MATERIALE BIOLOGICO: attualmente la polizia giudiziaria può prelevare coattivamente
materiale biologico esclusivamente dall’indagato e soltanto al fine di provvedere all’identificazione
personale di tale soggetto; pertanto, su persone diverse dall’indagato, l’acquisizione di campioni
biologici può avvenire soltanto con il consenso dell’indagato.
- ACCERTAMENTI OBBLIGATORI EX CODICE DELLA STRADA: 2 diversi tipi di accertamenti obbligatori ma
non coercitivi a carico del conducente
o Al fine di accertare lo stato d’ebbrezza, l’art. 186, c. 3 cod. strada consente alla polizia stradale di
sottoporre i conducenti ad esami qualitativi non invasivi anche attraverso apparecchi portatili;
quando l’esito è positivo e in ogni caso di incidente o quando si ha altrimenti motivo di ritenere
che il conducente sia sotto l’effetto dell’alcool, la polizia stradale ha il potere di accompagnare il
conducente al più vicino ufficio al fine di effettuare l’accertamento con strumenti determinati
dal regolamento (il rifiuto è punibile, tra l’altro, con l’arresto da sei mesi a un anno).
o Al fine di accertare lo stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti, l’art. 187
cc. 2 e 2-bis cod. strada consente alla polizia stradale di sottoporre i conducenti ad esami
qualitativi non invasivi anche attraverso apparecchi portatili; se l’esito è positivo o quando si ha
motivo di ritenere che il conducente sia sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope il
conducente può essere sottoposto ad accertamenti clinico-tossicologici e strumentali o analitici
su campioni di mucosa del cavo orale prelevati a cura di personale sanitario ausiliario delle forze
di polizia anche mediante accompagnamento presso strutture sanitarie fisse o mobili (il rifiuto è
punibile, tra l’altro, con l’arresto da sei mesi a un anno).
Dottrina e giurisprudenza riconducono i due tipi di accertamenti previsti dal codice della strada
all’attività di indagine urgente svolta dalla polizia giudiziaria se avviene a seguito di un reato
F. LA PERQUISIZIONE SU INIZIATIVA DELLA POLIZIA GIUDIZIARIA
I requisiti della perquisizione su iniziativa della polizia giudiziaria:
- Oggetto da ricercare: cose o tracce pertinenti al reato, ovvero la persona dell’indagato o dell’evaso
- Situazione in cui questa avviene, in alternativa:
o Flagranza di reato
o Evasione
o Se di deve procedere al fermo di una persona indagata, esecuzione di una ordinanza che dispone
la custodia cautelare, carcerazione per uno dei delitti per cui viene previsto l’arresto obbligatorio
in flagranza
- Pericolo del ritardo: occorre ricercare subito cose o tracce che si possono cancellare
- Fondato motivo di ritenere che nel luogo o sulla persona vi siano le cose cercate: la polizia giudiziaria
deve avere a disposizione elemento obbiettivi da cui emerga con sufficiente probabilità che le cose o
persone ricercate si trovino nel posto dove viene effettuata la perquisizione → semplice indizio fondato
sulla probabilità
All’indagato, se presente, la polizia giudiziaria deve dare avviso della facoltà di nominare un difensore di fiducia

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La polizia entro 48 ore deve trasmettere al pm del luogo dove la perquisizione è stata eseguita il relativo verbale
affinché questo nelle 48 ore successive possa disporre la convalida
6. L’attività di iniziativa del pubblico ministero
A. IL REGISTRO DELLE NOTIZIE DI REATO. L’INFORMAZIONE DI GARANZIA.
L’arrivo dell’informativa proveniente dalla polizia giudiziaria (art. 347) fa sorgere a carico del pubblico ministero
l’obbligo di iscrivere la notizia di reato nell’apposito registro (art. 335) → il pm deve indicare alla segreteria in quale
registro debba essere iscritta la notizia di reato e se eventualmente debba essere annotato affianco il nome di un
indagato
IL REGISTRO DELLE NOTIZIE DI REATO: esistono tre tipi di registri; il registro ordinario contiene le notizie di reato (art.
335).
- Il pubblico ministero, nel momento in cui ordina che sia iscritta nel registro la singola notizia di reato,
può non essere in grado di individuare la persona alla quale debba essere addebitato il medesimo
(registro denominato “modello 44”). Se anche, per ipotesi, la polizia giudiziaria ritenesse di aver
individuato il responsabile, la pubblica accusa non sarebbe vincolata da questa indicazione;
- Soltanto quando ritiene di formulare un addebito nei confronti di una persona, il pubblico ministero
ordina alla segreteria di iscrivere il nominativo dell’indagato nel registro, accanto alla notizia di reato già
inserita (il registro è denominato, in questo caso, “modello 21”) → l’iscrizione può anche essere
aggiornata se muta la qualificazione giuridica o le circostanze del fatto
Dalla data in cui è iscritto nel registro il nome della persona alla quale il reato è attribuito, decorre il termine (di
regola, sei mesi) entro cui il pubblico ministero deve decidere se esercitare l’azione penale, chiedere l’archiviazione o
chiedere la proroga delle indagini.
IL REGISTRO DEGLI ATTI NON COSTITUENTI NOTIZIE DI REATO: la circolare 18 ottobre 1989, n. 533 ha previsto un
secondo registro, denominato «registro degli atti non costituenti notizia di reato» (detto anche “modello 45”); in
esso il pubblico ministero ordina che siano iscritti tutti quegli esposti dai quali non sia possibile ipotizzare in alcun
modo un fatto di reato. Nella prassi il relativo fascicolo è denominato “atti relativi a ...”.
IL REGISTRO DELLE NOTIZIE ANONIME: infine, l’art. 108 disp. att. prevede un terzo registro, denominato «registro
delle notizie anonime» (detto anche “modello 46”). Di queste non può essere fatto alcun uso nel procedimento
penale, almeno di regola; in via eccezionale, l’art. 240 permette che siano utilizzate se costituiscono «corpo del
reato» o provengono comunque dall’imputato. Decorsi cinque anni, i documenti anonimi ed il registro devono
essere distrutti.
LA CONOSCIBILITA’ DEL REGISTRO SU INIZIATIVA DEL SOGGETTO INTERESSATO: una volta che il nome dell’indagato è
stato iscritto nel registro delle notizie di reato, le indagini continuano a svolgersi di regola in segreto (art. 329) → se
non vengono quindi compiuti atti conoscibili e non viene disposta alcuna misura cautelare, l’indagato non ha
conoscenza ufficiale che è in corso un procedimento penale
Qualora non venga compiuto alcun atto conoscibile per la difesa, il primo momento certo nel quale l’indagato
ottiene una notizia ufficiale del procedimento a suo carico si ha nel momento in cui il pubblico ministero ha concluso
le indagini preliminari e ritiene che debba essere chiesto il rinvio a giudizio; in tal caso, egli è tenuto ad inviare
all’indagato e al difensore il cd. avviso di conclusione delle indagini (art. 415-bis) → contiene la sommaria
enunciazione del fatto e l’avviso che gli atti fino a quel momento compiuti sono stati depositati e possono essere
visionati dal difensore
Prima di tale momento, soltanto se e quando il pm intende compiere un atto garantito l’indagato ha una notizia
“ufficiale” che consiste nell’informazione di garanzia che lo invita a nominare un difensore (vale anche per l’offeso,
che ha diritto a ricevere l’informazione di garanzia)
Prima dell’avviso di garanzia, indagato e offeso possono avere notizia ufficiale del procedimento nei loro confronti
solamente attivandosi chiedendo alla segreteria del pm di avere conoscenza delle iscrizioni che li riguardano
Le iscrizioni sono di regola conoscibili dall’indagato e dall’offeso; ma in casi eccezionali restano segrete (nei quali
appunto offeso ed indagato non possono avere conoscenza ufficiale del procedimento a loro carico)
IL SEGRETO SULLE ISCRIZIONI NEL REGISTRO: si può tracciare la seguente distinzione
- Se si procede per delitti di criminalità mafiosa le iscrizioni restano segrete fino a due anni (art. 335, c. 3):
le iscrizioni non sono conoscibili a richiesta, la proroga delle indagini viene data in segreto fino appunto
ad un massimo di 2 anni
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- Se si procede per gravi delitti non mafiosi, le iscrizioni restano segrete fino ad un anno: le iscrizioni non
sono conoscibili a richiesta, la durata delle indagini inizialmente eccezionalmente è di un anno (invece
che 6 mesi) ma la richiesta di proroga deve essere comunicata all’indagato
- Se si procede per altri reati, il pubblico ministero può disporre la segretazione fino ad un massimo di tre
mesi quando sussistono specifiche esigenze attinenti all’attività di indagine, e cioè, quando vi è pericolo
di inquinamento delle prove
Sia quando non esistono iscrizioni a carico del richiedente che quando sono segrete la segreteria, su indicazione del
pm, risponde alla richiesta con: non risultano iscrizioni suscettibili di comunicazione
INFORMAZIONE ALLA PERSONA OFFESA DAL REATO: ex riforma Orlando, dopo 6 mesi dalla data di presentazione
della denuncia o della querela, l’offeso potrà richiedere di essere informato dalle autorità che si occupa del
procedimento del medesimo → non si deve violare il segreto investigativo
INFORMAZIONE DI GARANZIA: il pubblico ministero che sta per compiere un atto garantito deve
inviare all’indagato ed alla persona offesa l’informazione di garanzia, invitando quindi ad esercitare la facoltà di
nomina di una persona di fiducia
L’informazione deve essere inviata sia all’indagato che alla persona offesa per posta in piego chiuso raccomandato
con ricevuta di ritorno → urgenza: il pm dispone la notifica per mezzo dell’ufficiale giudiziario
Nell’informazione devono essere indicati elementi quanto mai scarni sull’addebito provvisorio. Il codice impone di
precisare, oltre alle norme di legge che si assumono violate, la data ed il luogo del fatto storico di reato, ovviamente
nei limiti in cui tali dati risultino dalle indagini
Vi devono quindi essere:
- Elementi sull’addebito provvisorio
- Le norme di legge violate
- Data e luogo del fatto storico di reato
- Offeso ed indagato hanno diritto, se ne fanno richiesta, alla comunicazione delle iscrizioni contenute nel
registro delle notizie di reato
Il diritto dell’indagato alla tempestiva conoscenza viene sancito ex art. 111, III che ha comunque recepito una norma
della CEDU
INFORMAZIONE SUL DIRITTO ALLA DIFESA: deve essere inviata all’indagato in occasione del primo tra gli atti garantiti
che si svolgono su iniziativa del pubblico ministero, al fine di rendere effettivo l’istituto della difesa d’ufficio (es.
interrogatorio dell’indagato). Nella comunicazione della nomina di un difensore d’ufficio sono indicati, affinché
l’indagato sappia tutti gli obblighi e le facoltà connesse alla difesa d’ufficio:
- L’informazione della obbligatorietà della difesa tecnica nel processo penale «con l’indicazione della
facoltà e dei diritti attribuiti dalla legge» all’indagato;
- Il nominativo del difensore d’ufficio e il suo indirizzo e recapito telefonico;
- La precisazione che, nonostante la designazione d’ufficio, l’indagato ha la facoltà di nominare un
difensore di fiducia, in mancanza del quale dovrà essere assistito da quello d’ufficio
- L’indicazione dell’obbligo di retribuire il difensore d’ufficio, a meno che l’indagato non ottenga
l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato e l’avvertimento che, in caso d’insolvenza, si procederà ad
esecuzione forzata;
- L’indicazione delle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato;
- L’avviso che l’indagato ha diritto all’interprete ed alla traduzione degli atti fondamentali del
procedimento (d. lgs. n. 101/2014).
Nella pratica l’informazione sul diritto di difesa viene inviata insieme a quella di garanzia in un unico atto → deve
essere comunque inviata prima dell’invito a presentarsi a rendere interrogatorio che comunque nel corso delle
indagini non deve essere necessariamente compiuto
Il d.lgs. n. 101/2014 dispone che l’informazione sul diritto di difesa deve essere comunicata, quanto meno,
contestualmente all’avviso della conclusione delle indagini ai sensi dell’art. 415-bis.
ATTI GARANTITI E ASSISTENZA DIFENSIVA: l’atto garantito ha la caratteristica di non poter essere compiuto
validamente se, prima di disporlo, il pubblico ministero non ha avvisato il difensore dell’indagato: l’atto sarebbe
nullo per violazione dei diritti di intervento e di assistenza spettanti a quest’ultimo (art. 178, c. 1, lett. c) → l’atto
sarebbe in questo caso nullo per violazione dei diritti di intervento ed assistenza che gli spettano
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Il difensore di fiducia e quello designato d’ufficio hanno la facoltà ma non il dovere di assistere all’atto garantito;
pertanto, l’atto è validamente compiuto se il difensore, regolarmente preavvisato, non si presenta.
B. GLI ATTI COMPIUTI PERSONALMENTE O SU DELEGA
Il pubblico ministero può compiere atti di indagine personalmente o può delegarli alla polizia giudiziaria; la delega
può riguardare sia gli atti “atipici”, sia gli atti “tipici” purché quelli tipici siano specificatamente delegati → si vuole
quindi evitare che il pm dia alla polizia giudiziaria una delega generica
Il pm può imporre alla polizia le sue direttive, un indirizzo generale dentro al quale poi la polizia opera con atti di
propria iniziativa
DELEGA: la delega è di regola consentita; i divieti sono previsti in modo esplicito, implicito o sono ricavabili
comunque dalla natura dell’atto
- È previsto in modo implicito il divieto di delegare l’interrogatorio dell’indagato arrestato (o comunque in
custodia cautelare) ed i confronti col medesimo (art. 370, c. 1).
- È ricavabile dalla natura dell’atto il divieto di delegare l’accertamento tecnico (artt. 359 e 360) in quanto
spetta al pubblico ministero personalmente la scelta dell’esperto e la formulazione dei quesiti → non è
delegabile l’accertamento tecnico coattivo dal momento che potrebbe incidere sulla libertà personale
quindi deve essere compiuto dal pm sotto il controllo del giudice
- È previsto in modo esplicito il divieto di compiere ispezioni, perquisizioni e sequestri, che si svolgono
negli uffici dei difensori e che sono disposti nel corso delle indagini preliminari; ad essi provvede
personalmente il pubblico ministero in forza di un motivato decreto di autorizzazione del giudice (art.
103 c. 4 c.p.p.).
Alcuni atti di indagine compiuti direttamente dal pm ma anche per delega devono essere eseguiti rispettando il
diritto del difensore ad assistere al compimento dell’atto → viene concessa in funzione del controllo della regolarità
dello svolgimento dell’atto, sul rispetto della libertà morale dell’indagato presene e sulla correttezza formale
dell’atto
LA DOCUMENTAZIONE DEGLI ATTI DI INIZIATIVA DEL PM: gli atti assunti dal pubblico ministero vengono documentati
in vari modi, a prescindere dal fatto che siano stati compiuti personalmente o per delega alla polizia giudiziaria. Alla
redazione del verbale provvede l’ufficiale di polizia giudiziaria o l’ausiliario che assiste il pubblico ministero (art. 373
c. 6).
IL VERBALE IN FORMA:
- INTEGRALE: una prima modalità comporta la redazione di un verbale che contiene sia le domande, sia le
risposte. La redazione del verbale in forma integrale riguarda alcuni atti in considerazione della loro
importanza (art. 373 c. 1): si tratta delle denunce e delle querele presentate oralmente; degli
interrogatori e dei confronti con l’indagato; delle ispezioni, delle perquisizioni e dei sequestri; delle
sommarie informazioni, degli interrogatori degli imputati connessi e degli accertamenti tecnici non
ripetibili.
- RIASSUNTIVA: la seconda modalità di documentazione consiste nella redazione del verbale in forma
riassuntiva, che contiene la narrazione delle parti essenziali delle dichiarazioni (art. 373). Il nuovo art.
141-bis stabilisce che, a pena di inutilizzabilità, ogni interrogatorio reso fuori udienza da una persona,
che si trovi a qualsiasi titolo in stato di detenzione, deve essere documentato integralmente con mezzi di
riproduzione fonografica o audiovisiva.
La trascrizione della riproduzione viene disposta solamente se richiesta dalle parti
Dell’interrogatorio deve essere redatto verbale in forma riassuntiva
ANNOTAZIONE: infine, è prevista l’annotazione di atti che hanno un contenuto semplice o una limitata rilevanza (art.
373 c. 3). Ciò avviene, ad esempio, per il pedinamento.
FASCICOLO DELLE INDAGINI: l’atto contenente la notizia di reato e la documentazione delle indagini sono conservati
in un apposito fascicolo presso l’ufficio del pubblico ministero assieme agli atti trasmessi dalla polizia giudiziaria (art.
373 c. 5).
IL CONTROLLO SULLA LEGITTIMAZIONE DEL PUBBLICO MINISTERO: controllo di natura non giurisdizionale su
richiesta di parte mediante il quale l’ufficio superiore può accertare se il pm che svolge le indagini sia legittimato,
quindi collocato presso il giudice competente

126
Indagato, offeso e rispettivi difensori hanno la facoltà di chiedere al pm di trasmettere gli atti al suo omologo presso
il giudice competente
Se il pm rigetta la richiesta o comunque non decide entro 10 giorni, il richiedente può riproporre la richiesta entro i
successivi 10 giorni a:
- Procuratore corte d’appello
- Se si ritiene che il giudice competente sia in un altro distretto, al procuratore generale presso la corte di
cassazione a cui spetta determinare l’ufficio del pm legittimato ad indagare
Il procuratore generale, assunte le varie informazioni e acquisita copia degli atti, decide entro 20 giorni con decreto
motivato dandone comunicazione ai soggetti ed uffici interessati → in questo caso, la richiesta può essere riproposta
al pm solamente se basata su fatti nuovi e diversi, altrimenti non viene ammessa
C. ASSUNZIONE DI INFORMAZIONI DAL POSSIBILE TESTIMONE
Le informazioni dal possibile testimone (art. 362) possono essere assunte dal pubblico ministero personalmente o
attraverso la polizia giudiziaria da lui delegata. Coloro che rendono le informazioni vengono denominati nella prassi
“persone informate”. Inoltre, l’art. 362 estende alla persona informata quell’incompatibilità a testimoniare che è
prevista in relazione all’imputato dall’art. 197; di conseguenza, colui che risulta indagato non può essere sentito
come persona informata → rispetto a possibile testimone è quindi anche più corretto persona informata
REGOLAMENTAZIONE: la persona informata è titolare del privilegio contro l’autoincriminazione: può rifiutarsi di
rispondere su fatti dai quali potrebbe emergere una propria responsabilità penale. Inoltre, può opporre
all’inquirente l’esistenza di un segreto nei casi previsti dalla legge. Al tempo stesso, la persona informata (possibile
testimone) ha i medesimi doveri processuali del testimone: deve presentarsi ed attenersi alle prescrizioni date e
deve rispondere secondo verità → l’inquirente può sentire la persona offesa in qualità di possibile testimone
Per convocare la persona informata, il pm emette un decreto di citazione che contiene l’avvertimento che, in caso di
mancata comparizione senza legittimo impedimento, può essere disposto l’accompagnamento coattivo
Il pm provvede a citare il consulente tecnico, l’interprete e il custode delle cose sequestrate
LE INFORMAZIONI DEL POSSIBILE TESTIMONE VULNERABILE: minorenni in relazione a delitti di prostituzione
minorile, adescamento di minori, pedopornografia e assimilati
Il pm deve essere assistito da uno psicologo o psichiatra infantile e l’atto di indagine deve essere diretto dal
magistrato o dall’ufficiale di polizia giudiziaria delegato
LE INFORMAZIONI SULLO SVOLGIMENTO DELL’ATTIVITA’ DIFENSIVA: l’art. 362 c. 1, secondo periodo, pone al
pubblico ministero ed alla polizia giudiziaria il divieto di chiedere «alle persone già sentite dal difensore o dal suo
sostituto» informazioni sulle domande formulate e sulle risposte date nel corso dell’intervista → limite al potere di
indagine dell’autorità inquirente a tutela della segretezza degli atti di investigazione difensiva
DOCUMENTAZIONE: le sommarie informazioni sono documentate mediante verbale (art. 373, c. 1 lett. d); di regola
non sono utilizzabili in dibattimento (art. 514)
- Se ripetibili, sono eccezionalmente utilizzabili mediante contestazione nei limiti ex art. 500
- Se non ripetibili, sono utilizzabili mediante lettura ex art. 512
GARANZIA CONTRO L’AUTOINCRIMINAZIONE: circa il possibile testimone, se dalle informazioni rese emergono
«indizi di reità a suo carico», l’autorità inquirente ne interrompe l’esame e lo avvisa che «a seguito di tali
dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi confronti»; inoltre lo invita a nominare un difensore (art. 63, c.
1). Il codice pone un’altra garanzia ancora più estesa allo scopo di evitare che l’inquirente senta come possibile
testimone una persona, che viceversa dovrebbe interrogare in qualità di “indagato” con il rispetto delle garanzie
difensive, poiché in precedenza già vi erano indizi a suo carico. Se la persona doveva essere sentita sin dall’inizio in
qualità di imputato o di indagato, le sue dichiarazioni non possono essere utilizzate.
D. L’INTERROGATORIO DELL’INDAGATO. L’INVITO A PRESENTARSI.
Il pm che vuole sottoporre l’indagato ad interrogatorio deve fargli notificare un invito a presentarsi, che deve
contenere:
- Le generalità dell’indagato;
- Il giorno, l’ora e il luogo della presentazione e l’autorità davanti alla quale deve presentarsi;
- L’indicazione che si darà luogo a interrogatorio;
- L’avvertimento che il pubblico ministero potrà disporre l’accompagnamento coattivo dell’indagato nel
caso di mancata presentazione di questi senza che sia stato addotto un legittimo impedimento;
127
- La «sommaria enunciazione del fatto quale risulta dalle indagini fino a quel momento compiute» →
solamente quando l’indagato è chiamato a rendere interrogatorio
Il codice intende fare riferimento a ciò che nella prassi è denominato addebito provvisorio. Lo scopo della
disposizione è quello di predisporre un sistema che garantisca al massimo l’indagato, permettendogli di concordare
col difensore la linea difensiva.
L’AVVISO AL DIFENSORE: il difensore (di fiducia o d’ufficio) dell’indagato deve essere preavvisato dell’interrogatorio
almeno ventiquattro ore prima del suo compimento (art. 364 c. 3). Nei casi di assoluta urgenza il pubblico ministero
può procedere a interrogatorio (o a ispezione o confronto) anche prima del termine fissato dandone avviso al
difensore senza ritardo e comunque tempestivamente (comma 5)
L’INTERROGATORIO DELL’INDAGATO LIBERO: l’interrogatorio dell’indagato libero può essere compiuto dal pubblico
ministero personalmente o su delega alla polizia giudiziaria (art. 370 c. 1). Se l’interrogatorio è condotto
personalmente dal pubblico ministero, l’atto può svolgersi anche senza la presenza del difensore, che tuttavia deve
essere stato preavvisato; se l’interrogatorio è svolto dalla polizia giudiziaria delegata, il difensore dell’indagato deve
essere necessariamente presente.
L’INTERROGATORIO DELL’INDAGATO ARRESTATO, FERMATO O IN STATO DI CUSTODIA CAUTELARE: l’interrogatorio
dell’imputato sottoposto a fermo, arresto o custodia cautelare può essere condotto soltanto dal pubblico ministero:
non è ammessa la delega alla polizia giudiziaria.
E. L’INTERROGATORIO DI UNA PERSONA IMPUTATA IN UN PROCEDIMENTO CONNESSO O COLLEGATO
Il pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari può interrogare un imputato di un procedimento connesso o
collegato, che si svolga separatamente → se sceglie di rendere dichiarazioni, allora il relativo atto ha efficacia
determinante per le indagini dal momento che di solito è a conoscenza di fatti determinanti per aver avuto contatti
con il responsabile del reato principale
L’imputato connesso è formalmente estraneo al procedimento principale; tuttavia ha nel medesimo un forte
interesse che si manifesta sotto due profili:
- Occorre tutelare il diritto di difesa di tale soggetto, che non può essere costretto a rendere dichiarazioni
autoincriminanti
- È necessario guardarsi dal rischio che egli menta per influire a suo favore nel processo a proprio carico →
problemi con il diritto di difesa dell’indagato del procedimento principale
LA REGOLAMENTAZIONE DELL’ATTO: si ricava per relationem dalla disciplina dell’esame dibattimentale di persone
imputate in un procedimento connesso o collegato; tuttavia, differentemente da quanto è previsto per il
dibattimento, l’interrogatorio dell’imputato connesso o collegato si svolge in segreto rispetto agli altri imputati.
L’imputato (o indagato) di un procedimento connesso o collegato, citato dal pubblico ministero, ha l’obbligo di
presentarsi e riceve il medesimo avvertimento che viene dato al possibile testimone ai sensi dell’art. 377, c. 2, lett. c:
in caso di mancata comparizione senza legittimo impedimento, la pubblica accusa può ordinare direttamente
l’accompagnamento coattivo → il pm ha l’obbligo di preavvisare il difensore del soggetto in questione del
compimento dell’interrogatorio
Se non viene nominato il difensore di fiducia, deve essere nominato il difensore d’ufficio di turno, che riceve l’avviso
La presenza del difensore è prevista come garanzia in favore dell’imputato (o indagato) di un procedimento
connesso o collegato. Nessuna garanzia è disposta nei confronti dell’indagato del procedimento principale nel quale
è assunto l’interrogatorio dell’imputato di un procedimento connesso; infatti, tale atto è “non conoscibile”, nel
senso che il difensore dell’indagato non può partecipare all’interrogatorio né ha diritto ad esaminarne il verbale
in segreteria.
L’APPLICABILITA’ DELLE NORME SULLE PROVE ALLE INDAGINI PRELIMINARI: si vuole esaminare se le dichiarazioni
rese sono utilizzabili liberamente o se, viceversa, debba osservarsi l’obbligo di trovare i riscontri che dimostrino
l’attendibilità delle medesime; ove non si considerino applicabili le norme sulle prove nella fase delle indagini, non vi
sarebbe l’obbligo di controllare le dichiarazioni degli imputati connessi e collegati e queste ultime potrebbero
determinare gravi errori nei provvedimenti che devono essere presi dal giudice e dal pubblico ministero.
F. L’ACCERTAMENTO TECNICO OPERATO DAL CONSULENTE DEL PUBBLICO MINISTERO
Nel corso delle indagini preliminari il pubblico ministero ed il difensore delle parti private possono avere l’esigenza di
svolgere accertamenti che comportano specifiche conoscenze scientifiche, tecniche o artistiche. È possibile per la

128
pubblica accusa e per l’indagato chiedere al giudice la nomina di un perito con quell’istituto che è denominato
incidente probatorio (art. 392), ma richiede lunghi tempi di attivazione e ammissibilità da parte del giudice
In alternativa il codice predispone lo strumento della consulenza tecnica di parte.
La pubblica accusa durante le indagini preliminari può nominare consulenti tecnici quando occorre procedere ad
«accertamenti, rilievi segnaletici, descrittivi o fotografici e ad ogni altra operazione tecnica per cui sono necessarie
specifiche competenze» (art. 359, c. 1); il consulente non può rifiutare la sua opera.
Il consulente può essere autorizzato dal pm ad assistere a singoli atti di indagine
2 distinte regolamentazioni a seconda che l’atto sia o non sia ripetibile in dibattimento:
- RIPETIBILE: qualora l’accertamento tecnico appaia ripetibile, il pubblico ministero nomina un consulente
tecnico e fa svolgere l’accertamento in segreto. Il verbale di tale atto è collocato nel fascicolo delle
indagini ed è destinato ad essere inserito nel fascicolo del pubblico ministero se e quando, in seguito
all’udienza preliminare, sarà disposto il rinvio a giudizio (art. 433).
- NON RIPETIBILE: in questo caso il codice attribuisce a tale atto un’efficacia simile alla perizia,
subordinandolo ad un controllo ad opera dell’indagato. La non ripetibilità deriva da varie situazioni:
o L’accertamento tecnico riguarda persone, cose o luoghi «il cui stato è soggetto a modificazione»
(art. 360, c. 1);
o Può essere lo stesso accertamento a determinare la modifica di cose, luoghi o persone.
In detti casi il pubblico ministero deve dare un previo avviso all’indagato, all’offeso ed ai difensori in
quanto costoro possono nominare consulenti tecnici come avviene per la perizia (art. 360, c. 1).
L’indagato privo di difensore viene avvisato che è assistito da uno d’ufficio ma può anche nominare il suo
di fiducia
I difensori e i consulenti tecnici eventualmente nominati hanno diritto di assistere al conferimento
dell’incarico, di partecipare agli accertamenti e di formulare osservazioni e riserve
Il verbale relativo all’accertamento non ripetibile è destinato a confluire nel fascicolo per il dibattimento
dopo che sia stato disposto il rinvio a giudizio
LA RICHIESTA DI INCIDENTE PROBATORIO: l’indagato ha l’ulteriore potere di formulare, prima del conferimento
dell’incarico, riserva di promuovere incidente probatorio (c. 4) → strumento di reazione per l’indagato se non è
soddisfatto del consulente del pm e vuole che il giudice gliene nomini uno che operi in base ai quesiti che questo
stesso gli formula
La riserva di promuovere incidente probatorio perde efficacia e non potrà essere ulteriormente formulata se
l’indagato non propone la richiesta entro 10 giorni dalla formulazione della riserva stessa → si vogliono evitare
riserve pretestuose a cui non segua la richiesta di incidente dal momento che il pm potrebbe essere in questo modo
distolto dall’accertamento tecnico e verrebbe compromessa l’acquisizione di una prova genuina con conseguente
abuso del diritto di difesa
IL COMPIMENTO DI ACCERTAMENTI IN SEGUITO AD UNA RISERVA EFFICACE: se l’indagato, dopo aver formulato la
riserva, chiede al gip entro 10 giorni l’incidente probatorio, il pm deve disporre che non si provveda agli accertamenti
a meno che questi se differiti, non possono più essere utilmente compiuti → violazione del divieto? I risultati non
possono essere usati ai fini del dibattimento, inutilizzabilità relativa dal momento che l’accertamento può essere
usato solamente nel corso delle indagini preliminari e nei riti semplificati che eliminano il dibattimento
Reazione quindi ad un eventuale abuso del pm
IL COMPIMENTO DI ACCERTAMENTI IN SEGUITO AD UNA RISERVA NON EFFICACE: se l’indagato, dopo aver formulato
la riserva, non chiede l’incidente probatorio entro 10 giorni, il pm può compiere a pieno titolo gli accertamenti
necessari e potranno anche essere utilizzati in dibattimento
Quindi l’accertamento non ripetibile se l’indagato acconsente, è destinato a svolgere la funzione che di regola è
propria della perizia in incidente probatorio
G. ACCERTAMENTI IDONEI AD INCIDERE SULLA LIBERTA’ PERSONALE
La legge n. 85/2009 ha disciplinato l’ipotesi in cui il pubblico ministero debba porre in essere accertamenti tecnici
che richiedono il compimento di atti idonei ad incidere sulla libertà personale in mancanza di consenso della persona
ad essi sottoposta (art. 359-bis).

129
LA PROCEDURA ORDINARIA: il nuovo art. 359-bis disciplina l’ipotesi in cui la necessità di svolgere attività del genere
si presenti al pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari. La norma è in larga parte costruita con la tecnica
del rinvio alla disciplina predisposta in relazione alla perizia coattiva (art. 224-bis).
IL PRELIEVO SU CONSENSO MEDIANTE ACCERTAMENTO TECNICO: quando occorre eseguire accertamenti idonei ad
incidere sulla libertà personale, il pubblico ministero può procedervi direttamente attraverso il proprio consulente
tecnico, soltanto se vi è il consenso della persona interessata (art. 359 se atti ripetibili o 360 se non ripetibile)
Ciò che viene prelevato dalla persona è denominato dalla legge «campione biologico»
IL PRELIEVO COATTIVO MEDIANTE ACCERTAMENTO TECNICO: qualora non vi sia il consenso dell’interessato, l’art.
359-bis permette il prelievo coattivo di capelli, peli o mucosa del cavo orale su persone viventi, finalizzato alla
tipizzazione del profilo genetico, ed il compimento di accertamenti medici. Il pm deve chiedere al gip l’autorizzazione
e questo gliela concede con ordinanza «quando ricorrono le condizioni (...) previste» dall’art. 224-bis.
È necessario che:
- Si proceda per un delitto doloso o preterintenzionale, consumato o tentato, per il quale la legge
stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni (art. 224-bis, c. 1).
- L’accertamento tecnico risulti assolutamente indispensabile per la prova dei fatti
Si vietano operazioni che:
- Contrastino con espressi divieti imposti dalla legge
- Possano mettere in pericolo vita, integrità fisica o salute della persona o del nascituro
- Secondo la scienza medica possano provocare sofferenze non di lieve entità
Le operazioni sono eseguite «nel rispetto della dignità e del pudore di chi vi è sottoposto». L’ordinanza del giudice
deve essere motivata e deve contenere tutti quei requisiti che sono indicati all’art. 224-bis, c. 2.
A parità di risultato comunque devono essere preferite tecniche meno invasive
Dal momento che rientra nella regola del segreto investigativo e che quindi è diverso dalla perizia, quando si svolge
come atto ripetibile l’indagato ha il diritto di venire a conoscenza dell’accertamento tecnico coattivo solamente
quando vi è sottoposto o comunque al termine delle indagini
LA PROCEDURA D’URGENZA: il legislatore ha previsto una procedura di urgenza che prescinde dal previo controllo
giurisdizionale. Quando vi è fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare grave o irreparabile pregiudizio
alle indagini, il pubblico ministero dispone lo svolgimento delle operazioni con decreto motivato, che deve contenere
tutti i requisiti che l’art. 224 bis, II richiede in relazione all’ordinanza che dispone la perizia coattiva
Il pubblico ministero può ordinare direttamente l’accompagnamento coattivo, qualora la persona da sottoporre alle
operazioni non si presenti senza addurre un legittimo impedimento → se la persona rifiuta di sottoporvisi, il
magistrato inquirente può ordinare l’esecuzione coattiva delle operazioni
Entro le quarantotto ore successive alla effettiva limitazione della libertà personale il pubblico ministero
deve chiedere al giudice per le indagini preliminari la convalida del decreto e dell’eventuale provvedimento di
accompagnamento coattivo → il giudice provvede con ordinanza al più presto e comunque entro le 48 ore
successive alla comunicazione dandone avviso immediatamente al pm e al difensore
IL PRELIEVO COATTIVO PER I DELITTI DI OMICIDIO STRADALE E LESIONI PERSONALI STRADALI: normativa speciale,
per la cui applicazione si richiede
- Che il conducente si rifiuti di sottoporsi agli accertamenti
- Che vi sia urgenza, quindi dal ritardo possa derivare un grave o irreparabile pregiudizio alle indagini
Il pm chiede quindi alla polizia giudiziaria di procedere all’accompagnamento coattivo del conducente presso
l’ospedale più vicino e di far eseguite coattivamente gli accertamenti
L’ordine viene dato con decreto motivato ma può anche essere dato con autorizzazione orale successivamente
confermata per iscritto
Entro le 48 ore successive allo svolgimento delle operazioni, il pm chiede la convalida del decreto al gip che provvede
al più presto e comunque entro le 48 ore successive
Si richiede che vengano rispettati il divieto di mettere in pericolo l’integrità fisica e il rispetto della dignità, oltre che
comunque a parità di risultati si richiede la scelta di tecniche meno invasive (art. 224 bis, IV e V)
H. INDIVIDUAZIONE DI PERSONE E DI COSE. ALTRE ATTIVITA’ DI INDAGINE
Durante le indagini preliminari il pm può provvedervi sia direttamente che anche mediante delega alla polizia
giudiziaria
130
L’INDIVIDUAZIONE DI COSE E PERSONE: la normativa prevista dal codice è basata sul presupposto implicito che l’atto
di individuazione sia sempre ripetibile in un momento successivo davanti al giudice nella forma della ricognizione. La
nozione di “ripetibilità” consiste nella mera possibilità materiale di ripetere l’atto a prescindere dal risultato al quale
tale atto può condurre (mentre la nozione giuridica allude solamente a quell’atto che, se compiuto successivamente,
è idoneo a fornire un risultato utile)
REGOLAMENTAZIONE: una volta che ha fatto la sua scelta, il legislatore omette di regolamentare la individuazione.
Poiché l’atto è ritenuto essere ripetibile, il pubblico ministero nell’eseguire l’individuazione non è tenuto a rispettare
le regole che nella ricognizione sono poste a pena di nullità al fine di assicurare l’attendibilità del risultato (art. 213).
Sempre in considerazione della ripetibilità dell’atto, non è prevista la presenza del difensore.
Per estensione analogica e sistematica dal momento che comunque sono norme generali sulle prove e tendono a
garantire l’attendibilità dell’atto si ritengono applicabili anche:
- Obbligo del controllo sul ricognitore, a cui deve chiedere di descrivere in modo particolareggiato la
persona
- Sistemare la scena come ex art. 214 e redigere verbale
Il difensore non conosce neanche il verbale dell’atto perché questo è segreto; il codice si limita a prescrivere che il
pubblico ministero proceda ad individuazione di persone o cose «quando è necessario per la immediata
prosecuzione delle indagini» (art. 361 c. 1) → non è quindi utilizzabile solamente a fini investigativi, quindi in caso di
individuazione svoltasi senza le cautele della ricognizione è utilizzabile ogni volta in cui egli prende una decisione nel
corso delle indagini come anche applicare una misura cautelare
Gli psicologi ci insegnano da tempo che sia l’individuazione, sia la ricognizione sono atti “non utilmente ripetibili” da
parte del medesimo ricognitore nei confronti del medesimo sospettato. Il ricognitore, la seconda volta che procede
all’atto, riconosce inconsciamente non colui che ha visto sul luogo del reato, bensì l’immagine più recente che ha
percepito nella precedente individuazione fotografica o personale → l’attendibilità probatoria del secondo atto è
minata alla radice.
L’INDIVIDUAZIONE DI PERSONE È DIVENTATA UN ATTO GARANTITO: il pm deve far avvisare il difensore di fiducia o
d’ufficio dell’indagato almeno 24 ore prima del compimento dell’atto, qualora non lo avesse, viene avvisato che
verrà assistito da uno d’ufficio e comunque ne può nominare uno di fiducia
Nei casi di assoluta urgenza, il pm può procedere anche prima del termine prefissato avvisando il difensore
tempestivamente
La legge non impone queste garanzie a pena di nullità, ma può inficiare il valore probatorio dell’atto
ALTRE ATTIVITA’ DI INIZIATIVA DEL PUBBLICO MINISTERO: tra gli atti di iniziativa del pubblico ministero rientrano i
mezzi di ricerca della prova, quali la perquisizione, il sequestro probatorio e l’ispezione personale.
ISPEZIONE PERSONALE: dal momento che comunque si tratta di un atto particolarmente invasivo, è riservato
all’iniziativa del pm che nell’esecuzione materiale può affidarsi anche ad un medico
Il soggetto sottoposto a ispezione può farsi assistere da una persona di sua fiducia
Dal momento che si tratta di un atto garantito, il difensore dell’indagato deve avere un preavviso di 24 ore e meno di
urgenza e pericolo di alterazione delle tracce quando comunque il difensore ha sempre diritto di assistere
Ha diritto di essere presente non il difensore dell’ispezionato che comunque lo può richiedere ma quello
dell’indagato
LE OPERAZIONI SOTTOCOPERTURA: al fine di acquisire elementi di prova relativi ai delitti molto gravi, è prevista una
causa di non punibilità che consente ad alcuni corpi di polizia, autorizzati dal pubblico ministero, di svolgere
operazioni sotto copertura, e cioè indagini compiute da soggetti incaricati che si infiltrano all’interno di associazioni
criminali; nell’ambito di tali attività, è possibile che gli infiltrati si rendano autore di reati, che sono dichiarati dalla
legge non punibili con una specifica «causa di giustificazione». In questi procedimenti e per quelli di usura,
estorsione e sequestro a scopo di estorsione, possono essere omessi o ritardati atti processuali (es. arresto,
fermo, sequestro, misure cautelari, esecuzione di pene) al fine di acquisire rilevanti elementi probatori o per
individuare i responsabili → deve esserne data comunicazione al pm che ha il potere di autorizzarla
in casi di urgenza il pm può anche disporre la misura oralmente, ma il relativo decreto deve essere emesso entro le
48 ore successive
7. L’arresto in flagranza ed il fermo
A. LE MISURE PRECAUTELARI
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Soltanto il giudice è competente ad applicare una misura cautelare che limiti la libertà personale con provvedimento
avente effetti duraturi nel tempo anche se comunque c’è un termine max di durata sempre
La polizia giudiziaria ha il potere di disporre misure coercitive temporanee denominate arresto e fermo, che limitano
la libertà personale dell’indagato in situazioni di urgenza, fino a quando non interviene la convalida del giudice, se
non viene emessa entro il termine perentorio di 48 h allora il provvedimento perde efficacia → misure
PRECAUTELARI, che consistono quindi in un anticipo della tutela della misura cautelare dal momento che quando
comunque non è possibile attendere il procedimento cautelare, per impedire che il destinatario della misura si
sottragga alle ricerche, viene dato questo potere all’organo più presente sul luogo dei delitti, cioè quindi alla polizia
giudiziaria, a condizione che comunque la magistratura ne sia investita in termini brevissimi
B. L’ARRESTO
L’arresto in flagranza è un provvedimento che di regola è disposto dalla polizia giudiziaria ed eccezionalmente dai
privati. In particolare, il potere di arresto ha la finalità di assicurare alla giustizia gli autori del reato e di impedire che
il reato medesimo venga portato a conseguenze ulteriori.
È in stato di:
- Flagranza (in senso pieno) colui che viene colto nell’atto di commettere il reato.
- “quasi flagranza” il soggetto che, subito dopo il reato, è inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona
offesa o da altre persone ovvero è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che abbia commesso il
reato immediatamente prima
- “flagranza differita” la polizia giudiziaria può procedere all’arresto di persone che abbiano commesso atti
violenti sia nelle manifestazioni sportive o comunque pubbliche quando non è possibile procedere
immediatamente all’arresto per sicurezza ed incolumità pubblica
ARRESTO OBBLIGATORIO:
- Per la polizia giudiziaria (art. 380, c. 1) in presenza di un delitto non colposo per il quale la legge stabilisce
la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni e nel massimo a venti
anni (es. sequestro di persona a scopo di estorsione; art. 630 c.p.)
- In presenza dei delitti di associazione mafiosa, traffico di stupefacenti, furto aggravato, rapina,
estorsione, pornografia minorile e altri in cui vi siano particolari esigenze di tutela della collettività anche
se comunque non rientrano nei limiti edittali ex comma 1
- Ex singole leggi, chi viene colto in flagranza di delitto colposo di omicidio stradale aggravato (uso da
parte del conducente di sostanze psicotrope o stupefacenti e autisti di mezzi pesanti colti in stato di
ebrezza)
ARRESTO AD OPERA DI PERSONE PRIVATE: l’arresto può essere effettuato da ogni persona se il delitto è procedibile
d’ufficio (art. 383, c. 1). Il soggetto che ha eseguito l’arresto in flagranza deve senza ritardo consegnare la persona
ristretta nella libertà e le cose costituenti il corpo del reato alla polizia giudiziaria, che redige il verbale della
consegna e ne rilascia copia (art. 383, c. 2).
ARRESTO FACOLTATIVO: l’altra ipotesi di arresto è denominata “facoltativa” dal codice, nel senso che è rimesso alla
discrezionalità dell’ufficiale od agente di polizia valutare se la misura è giustificata dalla gravità del fatto ovvero dalla
pericolosità del soggetto desunta dalla sua personalità o dalle circostanze del fatto (art. 381, c. 4). In presenza di tali
condizioni l’arresto in flagranza è consentito quando si procede:
- Per un delitto non colposo per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a
tre anni (es. calunnia; art. 368 c.p.),
- Per un delitto colposo per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a
cinque anni (es. lesioni gravissime a più persone; art. 590, c. 4 c.p.).
- Ulteriori ipotesi ex art. 318, II a prescindere dalla pena edittale, come evasione, violenza o minaccia a
pubblico ufficiale, lesione personale volontaria, furto,…
- Falsa attestazione sulla identità personale e alterazioni per impedire l’identificazione
DIVIETO DI ARRESTO IN FLAGRANZA: non viene mai consentito l’arresto né facoltativo né obbligatorio quando
tenuto conto delle circostanze del fatto, questo stesso appare compiuto ex art. 385:
- Nell’adempimento di un dovere
- Nell’esercizio di una facoltà legittima
- In presenza di una causa di non punibilità
132
Se il delitto è perseguibile a querela, può essere eseguito se viene proposta anche con dichiarazione resa oralmente
all’ufficiale o agente di polizia presente sul luogo → se successivamente la querela viene rimessa, l’arrestato viene
messo subito in libertà anche se ricusa la remissione
ARRESTO IN FLAGRANZA DIFFERITO PER REATI COMMESSI CON VIOLENZA ALLE PERSONE O ALLE COSE: 2 ipotesi
legislative con requisiti comuni e diversi che sono efficaci fino al 30 giugno 2020
Requisiti comuni:
- Reati commessi con violenza alle persone o alle cose espressamente previsti dalla legge
- Non è possibile procedere immediatamente all’arresto in flagranza per ragioni di sicurezza ed incolumità
pubblica
- Di questi reati una persona risulta esserne l’autore sulla base di una documentazione video fotografica
dalla quale emerge inequivocabilmente il fatto
- L’arresto deve comunque essere effettuato entro le 48 ore dal fatto e non oltre il tempo necessario
all’identificazione del colpevole
Requisiti differenti:
- Ipotesi 1: reati commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive per cui è facoltativo o
obbligatorio l’arresto in flagranza e per altri reati comunque espressamente previsti
- Ipotesi 2: reati compiuti in presenza di più persone anche in occasioni pubbliche per cui è obbligatorio
l’arresto → non si può quindi praticare ex: in caso di resistenza a pubblico ufficiale o danneggiamento
aggravato
C. IL FERMO
Il fermo è un provvedimento che può essere disposto di regola dal pubblico ministero quando sono presenti le
seguenti condizioni (art. 384, c. 1):
- Che vi siano gravi indizi a carico dell’indagato;
- Che sussistano specifici elementi di prova che fanno ritenere fondato il pericolo di fuga;
- Che si proceda per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non
inferiore nel minimo a due anni e superiore nel massimo a sei anni (furto pluriaggravato, rapina)
Si prescinde dalla pena edittale per reati:
o Che riguardano armi da guerra ed esplosivi
o Che abbiano finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico
Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria possono procedere al fermo negli stessi casi in cui tale atto può essere
disposto anche dal pm, quindi:
- Prima che il pubblico ministero abbia assunto la direzione delle indagini (art. 384, c. 2);
- Dopo l’assunzione della direzione delle indagini, ma qualora sia successivamente individuato un indiziato
fino ad allora ignoto (art. 384, c. 3);
- Sempre dopo che il pm ha assunto l’assunzione delle indagini, qualora sopravvengano specifici elementi
che rendano fondato il pericolo che l’indiziato sia per darsi alla fuga e non sia possibile, per la situazione
di urgenza, attendere il provvedimento del pubblico ministero.
Il pubblico ministero non è titolare del potere di arresto in flagranza; può disporre il fermo nelle ipotesi in cui vi sia
flagranza purché comunque il reato rientri nei limiti edittali del fermo e siano presenti le condizioni che legittimano
questo provvedimento
D. LA CONVALIDA DELL’ARRESTO E DEL FERMO
Il procedimento di convalida dell’arresto e del fermo attua due princìpi fondamentali posti dalla Costituzione:
- Il principio in base al quale le misure limitative della libertà personale possono essere applicate soltanto
dal giudice; pertanto l’arresto ed il fermo, quali provvedimenti provvisori e temporanei, devono essere
sottoposti alla convalida del giudice (art. 13, c. 3 Cost.)
- Le norme attuano il principio in base al quale la polizia giudiziaria è sotto la diretta disponibilità
dell’autorità giudiziaria (art. 109 Cost.).
Il procedimento di convalida può essere suddiviso in tre fasi:
- La polizia giudiziaria pone l’arrestato a disposizione del pm
- Il pm chiede la convalida dell’arresto del fermo o dell’arresto al giudice
- Udienza di convalida davanti al giudice
133
A causa dei termini perentori che scandiscono il procedimento e comunque anche dell’organizzazione degli uffici
della polizia giudiziaria, viene prevista la perfetta fungibilità della persona fisica che provvede ai vari adempimenti
LA PRIMA FASE DEL PROCEDIMENTO: ADEMPIMENTI CONNESSI ALL’ESECUZIONE DELL’ARRESTO E DEL FERMO
Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria che hanno eseguito le misure precautelari hanno doveri di informativa nei
confronti dell’arrestato, del difensore di questi e del pubblico ministero.
Per quanto concerne l’arrestato e il fermato, il d.lgs. n. 101/2014 impone di consegnare al medesimo una
comunicazione scritta in cui la polizia informa l’arrestato di quanto segue (art. 386, c. 1):
- Della facoltà di nominare un difensore di fiducia e di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato
nei casi previsti dalla legge;
- Del diritto di ottenere informazioni in merito all’accusa;
- Del diritto all’interprete ed alla traduzione di atti fondamentali;
- Del diritto di avvalersi della facoltà di non rispondere;
- Del diritto di accedere agli atti sui quali si fonda l’arresto o il fermo;
- Del diritto di informare le autorità consolari e di dare avviso ai familiari;
- Del diritto di accedere all’assistenza medica di urgenza;
- Del diritto di essere condotto davanti all’autorità giudiziaria per la convalida entro novantasei ore
all’avvenuto arresto o fermo;
- Del diritto di comparire dinanzi al giudice per rendere l’interrogatorio e di proporre ricorso per
cassazione contro l’ordinanza che decide sulla convalida dell’arresto o del fermo».
In aggiunta, gli ufficiali e gli agenti hanno i seguenti doveri di informazione:
- Danno immediata notizia del provvedimento al pubblico ministero del luogo ove l’arresto o il fermo è
stato eseguito (art. 386, c. 1);
- Al medesimo trasmettono l’informativa di reato (art. 347);
- Se non è nominato un difensore di fiducia, chiedono al pubblico ministero la designazione del difensore
d’ufficio (art. 386, c. 2);
- Informano immediatamente dell’arresto o del fermo il difensore (art. 386 c. 2); la disposizione è
funzionale all’art. 104 c. 2, che riconosce all’arrestato il diritto di conferire con il difensore «subito dopo
l’arresto o il fermo»;
- Senza ritardo e con il consenso dell’arrestato danno ai familiari di quest’ultimo notizia dell’esecuzione
della misura (art. 387).
Gli stessi ufficiali e agenti devono poi provvedere a 2 ulteriori adempienti:
- Devono porre l’arrestato o il fermato a disposizione del pubblico ministero al più presto e, comunque,
non oltre le ventiquattro ore: la polizia conduce quindi l’arrestato nella casa circondariale del luogo nel
quale la misura deve essere eseguita
Eccezionalmente, il pm può disporre che l’arrestato sia custodito nei luoghi in cui si esegue l’arresto
domiciliare, quindi la propria abitazione o un luogo pubblico di cura o assistenza
- Devono trasmettere al pubblico ministero il verbale dell’arresto sempre entro le ventiquattro ore (art.
386, c. 3) → il pm può anche autorizzare una dilazione, in modo che comunque sia possibile presentare
al giudice il verbale entro 48 ore dall’arresto
LA SECONDA FASE DEL PROCEDIMENTO: ha la funzione di mettere in grado la pubblica accusa sia di formulare la
richiesta di convalida, sia di chiedere nella successiva udienza una delle misure cautelari personali. A tal fine il
pubblico ministero può procedere all’interrogatorio dell’arrestato o del fermato dando previo avviso al difensore,
che ha facoltà di essere presente all’atto (art. 388, c. 1).
All’inizio dell’interrogatorio il giudice, dopo aver avvertito l’arrestato della facoltà di non rispondere, lo informa:
- Del fatto per cui si procede
- Delle ragioni che hanno determinato il provvedimento
- Degli elementi a suo carico se le indagini non ne ricevono pregiudizio
Il pubblico ministero può liberare l’arrestato o il fermato in due casi: ordina la liberazione senza chiedere la convalida
al giudice quando
- Risulta evidente che l’arresto o il fermo è stato eseguito per errore di persona o fuori dai casi consentiti
dalla legge;
134
- La misura è divenuta inefficace perché sono decorsi i termini per porre l’arrestato a disposizione del
pubblico ministero o per chiedere la convalida al giudice (art. 389)
Il pubblico ministero ordina la liberazione (ma deve egualmente chiedere al giudice la convalida) quando, pur
considerando giustificato l’arresto o il fermo, ritiene di non dover chiedere al giudice l’applicazione di una misura
cautelare coercitiva (art. 121 disp. att.).
LA TERZA FASE DEL PROCEDIMENTO: inizia con la richiesta di convalida che deve essere presentata dal pubblico
ministero al giudice per le indagini preliminari competente in relazione al luogo dove l’arresto o il fermo è stato
eseguito (art. 390, c. 1). Ricevuta la richiesta, il giudice fissa l’udienza di convalida al più presto e comunque entro le
48 ore successive dandone avviso senza ritardo al pm e al difensore
Si svolge in camera di consiglio con la partecipazione facoltativa del pubblico ministero e necessaria del difensore
dell’imputato → quest’ultimo non è obbligato a intervenire; ma, se è presente, deve essere interrogato dal giudice.
Il giudice anche d’ufficio verifica che all’arrestato o all’indagato siano state date tutte le informazioni necessarie sui
suoi diritti e al massimo provvede lui
L’arresto o il fermo cessa di avere efficacia se l’ordinanza di convalida non è pronunciata o depositata nelle
quarantotto ore successive al momento in cui l’arrestato o il fermato è stato posto a disposizione del giudice; e cioè,
dal momento in cui il giudice ha ricevuto la richiesta di convalida
LE DECISIONI: CONVALIDA ED EMISSIONE DELLA MISURA CAUTELARE
In sede di convalida vengono prese due distinte decisioni:
- Il giudice accerta se l’arresto o il fermo è stato legittimamente eseguito e se sono stati osservati i termini
perentori per porre l’arrestato a disposizione del pubblico ministero e per chiedere la convalida; quindi
decide con ordinanza se convalidare o meno l’arresto o il fermo; tale provvedimento può essere oggetto
di ricorso per cassazione (art. 391, c. 4).
Il giudice deve valutare la sussistenza degli elementi che legittimavano l’adozione dell’arresto o del
fermo con un giudizio ex ante: si richiedono separatamente o la gravità del fatto o la pericolosità del
soggetto
- In secondo luogo, il giudice valuta se sussistono i presupposti della misura cautelare richiesta dal
pubblico ministero (art. 391, c. 5); quindi può applicarla. L’ordinanza è impugnabile presso il tribunale
della libertà.
Il giudice può convalidare l’arresto o il fermo, ma non applicare alcuna misura cautelare (art. 391, c. 6); e viceversa
può negare la convalida, ma disporre egualmente una misura cautelare → i due accertamenti sono indipendenti tra
loro
Arresto e fermo comunque cessano di avere efficacia se il giudice non decide sulla convalida nelle 48 ore successive
al momento in cui l’arrestato o il fermato è stato posto a sua disposizione
La cognizione del giudice è limitata al fatto di reato: il giudice non può modificare il fatto storico addebitato ma
solamente valutare la sua esistenza sulla base degli elementi addotti → il giudice può attribuire al fatto una
qualificazione giuridica diversa da quella data dal pm ma solamente ai fini della valutazione in oggetto e comunque
non influisce sulle indagini
E. L’ALLONTAMENTO DI URGENZA DALLA CASA FAMILIARE
Si tratta di una nuova misura precautelare (introdotta dal d.l. n. 93/2013, conv. in legge n. 119/2013) il cui contenuto
consiste nell’allontanamento fisico del soggetto dalla casa familiare e nel «divieto di avvicinarsi ai luoghi
abitualmente frequentati dalla persona offesa» (art. 384-bis, c. 1) → in quanto compatibili vengono applicate le
norme sull’arresto e il fermo
IL PROVVEDIMENTO DISPOSTO IN VIA D’URGENZA: l’allontanamento d’urgenza può essere effettuato dalla polizia
giudiziaria nei confronti di chi è «colto in flagranza dei delitti» di violenza alla persona previsti nell’art. 282-bis, c. 6
Si richiedono fondati motivi per ritenere che le condotte criminose possano essere reiterate ponendo in grave e
attuale pericolo la vita o l’integrità fisica della persona offesa → il pm deve autorizzare sia per iscritto ma anche
oralmente poi confermando per iscritto, anche per via telematica
LA PRIMA FASE DEL PROCEDIMENTO: gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria avvertono l’indagato della facoltà di
nominare un difensore di fiducia, ed entro ventiquattro ore trasmettono al pubblico ministero il relativo verbale, che
contiene:
- La nomina del difensore di fiducia
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- La data, luogo e ora in cui l’allontanamento è stato eseguito
- Le ragioni dietro l’allontanamento
Questi può procedere all’interrogatorio dell’indagato, durante il quale lo informa del fatto per cui si procede e delle
ragioni che hanno determinato il provvedimento, comunicandogli inoltre gli elementi a suo carico e le fonti → ne
deve dare tempestivo avviso al difensore
LA SECONDA FASE DEL PROCEDIMENTO: entro quarantotto ore dall’allontanamento il pubblico ministero chiede la
convalida al giudice per le indagini preliminari competente in relazione al luogo dove l’arresto o il fermo è stato
eseguito (art. 390); il giudice fissa l’udienza di convalida entro le quarantotto ore successive dandone avviso al
pubblico ministero e al difensore.
Se non ritiene di comparire all’udienza di convalida, il pm trasmette al giudice le richieste con gli elementi su cui le
stesse si fondano
LA TERZA FASE DEL PROCEDIMENTO: all’udienza di convalida deve essere presente il difensore, e possono essere
presenti l’indagato e il pubblico ministero, che indica i motivi dell’allontanamento e illustra le richieste in ordine alla
libertà personale. Il giudice procede quindi all’interrogatorio dell’indagato, se presente, e sente in ogni caso il suo
difensore.
2 oggetti distinti nella decisione:
- Se convalidare o meno la misura cautelare
- Se disporre o meno la misura cautelare richiesta dal pm o altra meno grave
Se l’allontanamento viene legittimamente eseguito e se sono stati osservati i termini, il giudice provvede alla
convalida con ordinanza: il giudice dispone quindi l’applicazione della misura coercitiva, quindi l’allontanamento
dalla casa familiare
La convalida dell’allontanamento d’urgenza consente al pm di disporre il giudizio direttissimo
8. L’incidente probatorio
A. CONSIDERAZIONI PRELIMINARI
La formazione della prova è stata riservata al dibattimento perché così viene garantito il contraddittorio più ampio
→ viene anche tutelata l’immediatezza tra l’assunzione della prova e la decisione sulla medesima, dal momento che
la deliberazione viene affidata agli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento
Non è comunque tutelato in modo assoluto dal momento che ci sono delle esigenze pratiche: viene a questo fine
predisposto l’incidente probatorio, un’udienza che si svolge in camera di consiglio senza la presenza del pubblico e
nella quale davanti al gip si assumono le prove nelle medesime forme prescritte per il dibattimento
B. I CASI DI INCIDENTE PROBATORIO
I casi in cui si fa ricorso all’incidente probatorio fanno riferimento ai singoli mezzi di prova che possono essere
assunti in tale sede → la richiesta deve essere valutata dal giudice in base ai parametri di pertinenza e rilevanza
I CASI TASSATIVI DI NON RINVIABILITA’: 3 casi in cui alcuni mezzi di prova possono essere assunti nell’incidente
probatorio se sono presenti i casi tassativi di non rinviabilità al dibattimento ex art. 392
- Testimonianza e confronto, sono ammessi se il dichiarante non potrà deporre in dibattimento a causa di
un grave impedimento o anche una minaccia
- Esperimento giudiziale e perizia urgente, se la prova riguarda una persona, una cosa o un luogo il cui
stato è soggetto a modificazione non evitabile
- La ricognizione, se vi sono particolari esigenze di urgenza che non consentono di rinviare l’atto al
dibattimento
I CASI DI INCIDENTE PROBATORIO SU MERA RICHIESTA DI PARTE: altri mezzi di prova devono essere assunti
nell’incidente probatorio sulla base del solo presupposto che il pubblico ministero o l’indagato lo abbiano chiesto al
giudice per le indagini preliminari, senza che sia necessario il requisito della non rinviabilità → la prova deve essere
comunque pertinente e rilevante
- I mezzi di prova più importanti riguardano:
o L’esame dell’indagato quando questi debba deporre su fatti concernenti la responsabilità altrui
o L’esame dell’imputato (o indagato) connesso o collegato ai sensi dell’art. 210
o L’esame del testimone di giustizia

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- Altro mezzo di prova che è assunto nell’incidente probatorio sul solo presupposto della richiesta
proveniente dal pubblico ministero o dall’indagato è la perizia c.d. di lunga durata che, se disposta nel
corso del dibattimento, ne potrebbe determinare una sospensione superiore a sessanta giorni.
- A tale ipotesi la legge n. 85/2009 ha aggiunto quella della perizia coattiva. Si tratta di quella modalità di
effettuazione che comporta il compimento di atti idonei ad incidere sulla libertà personale (art. 224-bis).
Nell’ambito di tali operazioni è possibile procedere al prelievo coattivo di capelli, di peli o di mucosa del
cavo orale ai fini della determinazione del profilo del DNA o ad altri accertamenti medici → si richiede
che siano presenti i requisiti per quella forma di perizia, nel caso di quella di lunga durata e coattiva il
mezzo di prova deve essere assunto nell’incidente probatorio a prescindere dalla situazione di urgenza
dell’accertamento
- Il difensore può chiedere che siano assunti con incidente probatorio la testimonianza o l’esame delle
persone che si siano avvalse della facoltà di non rispondere o di non rendere la dichiarazione scritta nel
corso dell’intervista svolta dal difensore → non occorre che sussista il requisito della rinviabilità dell’atto
- Quando viene chiamato a deporre un offeso vulnerabile:
o Minorenne o maggiorenne comunque in un procedimento per violenza contro la persona, viene
esteso anche alla corruzione di minore
o Persona offesa in condizione di particolare vulnerabilità, qualsiasi sia l’oggetto del procedimento
L’ESAME DELLA PERSONA VULNERABILE: la ratio dell’incidente è duplice
- Vi è l’esigenza di permettere un controllo sulla credibilità ed attendibilità della deposizione della persona
offesa nel momento in cui la memoria non ha ancora subìto quelle deformazioni che si verificano
inevitabilmente in situazioni del genere con il passaggio del tempo;
- Vi è l’esigenza di ridurre, in favore della medesima persona offesa, lo stress da esposizione al processo.
L’esame dell’offeso vulnerabile deve essere condotto con modalità protette che hanno una regolamentazione
comune sia nell’incidente probatorio che nel dibattimento: la testimonianza deve essere registrata e svolgersi in
strutture specializzate, usando il vetro specchio e qualora la persona esaminata sia un minore o un maggiorenne
infermo di mente le domande le deve porre il giudice
C. IL CONTRADDITTORIO SULL’AMMISSIBILITA’ DELL’INCIDENTE
L’incidente probatorio si svolge in varie fasi:
- Il contraddittorio sull’ammissibilità dell’incidente;
- La decisione del giudice sull’ammissibilità e fondatezza della richiesta;
- Lo svolgimento dell’udienza in camera di consiglio;
- L’eventuale integrazione del contraddittorio.
Possono fare richiesta di incidente probatorio il pubblico ministero, l’indagato ed il suo difensore.
La persona offesa può solamente fare richiesta al pm che ha l’obbligo di pronunciare decreto motivato se non lo
accoglie
I soggetti che chiedono al giudice l’incidente probatorio hanno l’onere (posto a pena di inammissibilità) di precisare
nella richiesta:
- La prova da assumere, i fatti che ne costituiscono l’oggetto e le ragioni della sua rilevanza;
- Le «persone nei confronti delle quali si procede per i fatti oggetto della prova»;
- I motivi per cui la prova non è rinviabile al dibattimento.
Il pm deve fornire ulteriori indicazioni sulla persona offesa e sui difensori delle persone interessate
La richiesta di incidente è presentata alla cancelleria del giudice per le indagini preliminari ed è notificata alla
controparte, e cioè, secondo i casi, al pubblico ministero ovvero all’indagato ed al suo difensore → possono
presentare al giudice deduzioni scritte sull’ammissibilità e fondatezza della richiesta e sull’estensione oggettiva e
soggettiva dell’incidente entro 2 giorni dalla notificazione della richiesta
LA DECISIONE SULLA RICHIESTA: a seguito dell’eventuale contraddittorio scritto, il giudice decide sulla richiesta di
incidente con una ordinanza non impugnabile.
- In caso di accoglimento, fissa la data dell’udienza ed indica l’oggetto della prova e le persone interessate
all’assunzione della stessa → viene quindi dato avviso della data dell’udienza a pm, persona offesa,
persone interessate all’assunzione della prova e loro difensori

137
- Se ritiene di doverla respingere, il giudice dichiara inammissibile la richiesta o la rigetta perché infondata;
l’ordinanza è comunicata al pubblico ministero ed alle persone interessate, ma non è impugnabile (art.
398, c. 1).
Il pubblico ministero ha il potere di chiedere al giudice il differimento dell’incidente «quando la sua esecuzione
pregiudicherebbe uno o più atti di indagine preliminare» (art. 397, c. 1). La decisione sulla richiesta è presa dal
giudice senza contraddittorio ed è comunicata al pubblico ministero e notificata per estratto (e cioè, senza la
motivazione) alle persone interessate.
Non viene consentito quando pregiudicherebbe l’assunzione della prova
D. LO SVOLGIMENTO DELL’UDIENZA
La regolamentazione dell’udienza punta ad anticipare il dibattimento durante la fase delle indagini preliminari → le
parti private potenziali conoscono solamente parzialmente gli atti assunti nelle indagini
Dal momento che la conoscenza degli atti è indispensabile per controllare in modo efficace la credibilità e
l’attendibilità del dichiarante, il pm ha l’obbligo di depositare prima dell’udienza i verbali delle dichiarazioni che la
persona da esaminare ha rilasciato in precedenza alla polizia giudiziaria e al pm
Il giudice fa notificare all’indagato, all’offeso e ai difensori il giorno in cui avverrà l’udienza con l’avvertenza che nei
due giorni prima l’udienza potranno prendere cognizione ed estrarre copia delle dichiarazioni già rese dalla persona
da esaminare
UDIENZA IN CAMERA DI CONSIGLIO: l’udienza si svolge in camera di consiglio, e cioè senza la presenza del pubblico.
È richiesta la partecipazione necessaria del pubblico ministero e del difensore (di fiducia o d’ufficio) dell’indagato
(art. 401, c. 1).
Il difensore dell’offeso ha il diritto ma non l’obbligo di partecipare all’udienza: non può porre direttamente domande
al dichiarante ma solamente chiedere al giudice di rivolgerle
L’indagato e l’offeso hanno diritto di partecipare personalmente all’udienza quando si deve esaminare una persona o
un testimone; negli altri casi viene richiesta l’autorizzazione del giudice
Le prove sono assunte con le forme stabilite per il dibattimento; il giudice per le indagini preliminari non ha il potere
di assumere d’ufficio nuove prove ma può rivolgere domande alle persone già esaminate → complemento
dell’esame incrociato
UTILIZZABILITA’ IN DIBATTIMENTO: l’incidente probatorio ha la funzione di anticipare la formazione della prova
garantendo il diritto di difesa dell’indagato nei confronti del quale la prova stessa potrà essere successivamente
utilizzata in dibattimento mediante lettura ai sensi dell’art. 511 → il codice pone sia:
- Il divieto di estendere l’oggetto della prova a fatti «riguardanti persone diverse da quelle i cui difensori
partecipano all’incidente»;
- Il divieto di verbalizzare le dichiarazioni aventi tale oggetto (art. 401, c. 6).
- Il divieto di utilizzare in dibattimento nei confronti dell’imputato le prove assunte nell’incidente senza la
partecipazione del suo difensore quindi senza la garanzia del contraddittorio
Ai divieti si può derogare soltanto se si provvede ad integrare il contraddittorio in favore delle nuove persone
interessate (art. 402).
La sentenza pronunciata sulla base di una prova assunta con l’incidente probatorio non produce gli effetti del
giudicato salvo che il danneggiato ne abbia fatto accettazione anche tacita
9. L’avviso di conclusione delle indagini
Quando il pm ritiene di dover chiedere il rinvio a giudizio, deve far notificare all’indagato e al suo difensore l’avviso di
conclusione delle indagini: deve essere notificato prima della scadenza del termine per le indagini e contiene
- La sommaria indicazione del fatto per il quale di procede
- Le norme di legge che si assumono violate
- Data e luogo del fatto
- L’avvertimento che l’indagato e il suo difensore possono prendere visione del fascicolo delle indagini,
depositato presso la segreteria del pm → la difesa conosce quindi tutti gli atti di indagine in un momento
anteriore al deposito della richiesta di rinvio a giudizio
- Entro 20 giorni, l’indagato può:
o Presentare memorie, documenti anche relativi ad indagini del difensore
o Chiedere al pm il compimento di atti di indagine
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o Rilasciare dichiarazioni o chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio
È utile per valutare le strategie difensive anche per l’eventuale richiesta di procedimenti speciali
L’indagato si ritiene quindi ufficialmente informato della conclusione delle indagini a proprio carico
LA RICHIESTA DELL’INDAGATO DI ESSERE INTERROGATO: il pm non è vincolato ad adempiere alle richieste
dell’indagato tranne quando questo, entro 20 giorni dalla notifica dell’avviso, chiede di essere sottoposto ad
interrogatorio
In tutti gli altri casi la valutazione del pm è discrezionale, se ritiene di svolgerle deve adempiere entro 30 giorni dalla
richiesta → il termine può essere prorogato dal giudice su richiesta del pm una sola volta e per non più di 60 giorni
Causa di nullità se il pm non invita l’indagato a presentarsi per rendere interrogatorio, qualora invece sia stato
proprio l’indagato a richiedere di esservi sottoposto, la nullità riguarda la richiesta di rinvio a giudizio e il decreto di
citazione diretta
L’atto acquista un più intenso significato difensivo dal momento che il codice dà la possibilità all’indagato il diritto di
essere interrogato e prevede la c.d. discovery, secondo la quale l’indagato può conoscere tutti gli elementi a suo
carico prima di affrontare l’interrogatorio
FUNZIONE DELL’ISTITUTO: l’avviso di conclusione delle indagini permette
- La completezza delle investigazioni preliminari
- Il diritto dell’indagato a dare un contributo consapevole per chiarire la sua posizione
La sollecitazione a nuove indagini dall’indagato al pm comporta una riapertura del termine utile per compiere atti di
indagine, quando quello generale sia scaduto
Nessun avviso deve essere dato alla persona offesa tranne che nel caso di delitti di maltrattamenti contro familiari e
atti persecutori riguardo ai quali questo avviso deve essere notificato anche al difensore della persona offesa o, in
sua mancanza, alla persona offesa stessa

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CAPITOLO 2 (La conclusione delle indagini preliminari)
1. Il termine per le indagini preliminari
A. CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE
In questa fase la pubblica accusa deve decidere se procedere ed esercitare l’azione penale o chiedere l’archiviazione,
quindi una delle finalità delle indagini preliminari è permettere al pm di assumere le determinazioni relative
all’esercizio di questa azione eventualmente
Le indagini preliminari hanno un termine di durata sia quando si procede contro ignoti, sia quando è stato
identificato un indagato; in questi casi i termini possono essere prorogati dal giudice per le indagini preliminari su
richiesta del pubblico ministero, soltanto entro un termine massimo ed invalicabile che di regola consiste in diciotto
mesi e, in casi eccezionali, può arrivare fino a due anni per i reati più gravi o per le indagini più complesse (art. 407).
B. IL TERMINE NEL PROCEDIMENTO CONTRO UN INDAGATO
Il termine per le indagini nei confronti di un indagato inizia a decorrere dal momento in cui il nome di questi è iscritto
nel registro delle notizie di reato (art. 405, c. 2). Il termine ordinario è di sei mesi; in via eccezionale il termine è di un
anno se si procede per delitti gravi o di criminalità organizzata → entro questi termini, il pm deve esercitare l’azione
penale o chiedere l’archiviazione, qualora non fosse in grado di fare nessuno de due però deve chiedere al giudice la
proroga delle indagini (può avvenire una o più volte prima della scadenza del termine con ordinanza del giudice su
appunto richiesta del pm)
La prima proroga può essere motivata su di una generica «giusta causa» (art. 406, c. 1). Successive proroghe
possono essere richieste dal pubblico ministero «nei casi di particolare complessità delle indagini ovvero di oggettiva
impossibilità di concluderle entro il termine prorogato» (art. 406, c. 2).
Ciascuna proroga può essere autorizzata dal giudice per un termine non superiore a 6 mesi, ma ci sono comunque
delitti per la proroga non può essere concessa per più di una volta
IL TERMINE MASSIMO PER LE INDAGINI CONTRO UN INDAGATO: il codice pone alle indagini preliminari un termine
massimo comprensivo delle proroghe. Il termine generico è di diciotto mesi; è previsto il termine di due anni nei
seguenti casi (art. 407, c. 2):
- Se le indagini preliminari riguardano delitti gravi o di criminalità organizzata, indicati specificamente;
- Se le investigazioni sono particolarmente complesse per il numero di reati collegati o di indagati o di
persone offese;
- Se le indagini richiedono il compimento di atti all’estero;
- Se si tratta di procedimenti collegati.
C. LA PROROGA DEL TERMINE PER LE INDAGINI
Prima della scadenza del termine il pm può chiederne la proroga al gip indicando le ragioni che giustificano il
proseguimento delle indagini stesse
Il codice prevede un procedimento di proroga di tipo ordinario e uno speciale, avente ad oggetto le indagini per i
delitti di criminalità organizzata mafiosa, per i delitti in materia di terrorismo e per quelli concernenti la violenza
sessuale e la pedofilia (art. 406, c. 5-bis).
- Nel procedimento speciale per criminalità mafiosa e reati assimilati non vi è alcun contraddittorio sulla
richiesta del pubblico ministero ed il giudice decide sempre senza udienza (de plano, con ordinanza
emessa entro dieci giorni dalla richiesta) anche quando, per ipotesi, non dovesse accogliere la richiesta di
proroga.
- Nel procedimento ordinario è necessario in primo luogo instaurare il contraddittorio. Il giudice per le
indagini preliminari cura che la richiesta di proroga sia notificata all’indagato ed alla persona offesa che
nella notizia di reato abbia dichiarato di volerne essere informata (art. 406, c. 3). Costoro sono avvisati
che possono presentare memorie (entro cinque giorni dalla notificazione); il giudice decide entro dieci
giorni dalla scadenza del termine per la presentazione delle memorie. La decisione del giudice è presa
senza udienza (de plano) qualora egli allo stato degli atti ritenga di accogliere la richiesta di proroga (art.
406, c. 4); in caso contrario, egli fissa la data di una udienza e ne fa dare avviso al pubblico ministero,
all’indagato ed all’offeso. Il procedimento si svolge in camera di consiglio e la decisione (che concede o
nega la proroga) è presa con ordinanza non impugnabile (art. 406, c. 6).
Se il giudice concede la proroga il termine è di max 6 mesi, se non la concede il pm deve formulare
l’imputazione o chiedere l’archiviazione
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GLI ATTI COMPIUTI DOPO IL TERMINE: gli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine sono di regola
inutilizzabili; sono utilizzabili solo se la richiesta di proroga è stata presentata prima della scadenza e il giudice ha
concesso la proroga (art. 406, c. 8). L’eventuale inutilizzabilità opera non soltanto ai fini della decisione
dibattimentale, ma anche nelle fasi anteriori al dibattimento.
Alla scadenza del termine max delle indagini il pm deve esercitare l’azione penale o chiedere l’archiviazione
D. IL TERMINE DEL PROCEDIMENTO CONTRO IGNOTI
Quando si procede contro ignoti, il termine per le indagini preliminari decorre dalla data di iscrizione della notizia di
reato nell’apposito registro. Entro il termine di sei mesi il pubblico ministero deve chiedere alternativamente
l’archiviazione perché è ignoto l’autore del reato, ovvero la proroga del termine per poter proseguire le indagini (art.
415, c. 1) → il termine ha la funzione di assicurare il rispetto dell’obbligatorietà dell’azione penale
La decisione del giudice sulla richiesta di proroga del termine perché «è ignoto l’autore del reato» è presa de plano,
qualora il giudice ritenga di concedere proroga (art. 406, c. 4). In caso contrario il giudice fissa la data di una udienza
così come avviene nel procedimento contro un indagato noto.
Il controllo ha un oggetto limitato: il giudice deve verificare se per il fatto di reato non sia ancora stato individuato
l’indagato per evitare elusioni del precetto che impone l’immediata annotazione del nome dell’indagato stesso nel
registro delle notizie di reato
DECISIONI SULLA RICHIESTA DI PROROGA: il giudice può prendere tre diverse decisioni
- Può non autorizzare la proroga ed in tal caso il pubblico ministero deve formulare richiesta di
archiviazione se il responsabile resta ignoto; viceversa, deve esercitare l’azione penale se il reato è da
attribuire a persona già individuata.
- Oppure il giudice può autorizzare con decreto motivato il pubblico ministero a proseguire le indagini (art.
415, c. 2): la proroga non può essere superiore a 6 mesi e comunque nel caso di nuove proroghe le
indagini non possono superare i limiti ex art. 407 (18 mesi)
- Infine, il giudice, se ritiene che il reato sia da attribuire ad una persona già individuata, ordina che il
nome di questa sia iscritto nel registro delle notizie di reato (art. 415 c. 2): inizia quindi automaticamente
a decorrere un nuovo termine di 6 mesi entro il quale il pm deve formulare richiesta di archiviazione o
rinvio a giudizio, o chiedere una ulteriore proroga
E. I TERMINI MASSIMI PER LE INDAGINI PRELIMINARI
Termine massimo di 18 mesi comprensivo di proroghe, massimo 2 anni in caso di reati particolari
SANZIONI IN CASO DI SUPERAMENTO: gli atti compiuti dopo il termine non possono essere utilizzati, la sanzione
colpisce però gli atti di indagine e non le richieste che il pm può presentare fuori termine
L’ULTERIORE TEMPO CONCESSO AL PM PER L’ESERCIZIO DELL’AZIONE PENALE O PER LA RICHIESTA DI
ARCHIVIAZIONE (c.d. SPATIUM DELIBERANDI): si vuole porre rimedio all’inerzia del pm, quindi gli viene concesso un
nuovo termine all’interno del quale può però solamente valutare le indagini già svolte ma non compierne delle
nuove pena la loro inutilizzabilità
- Reati comuni non previsti dall’art. 407, II: 3 mesi dalla scadenza del termine
- Reati ex art. 407, II: triplice termine che si aggiunge a quello ordinario di 2 anni per le indagini
o 15 mesi per delitti di mafia, terrorismo e delitti gravissimi
o 3 mesi con ulteriore proroga da parte del procuratore generale presso la corte d’appello su richiesta
del pm quando le investigazioni sono complesse per il numero degli indagati o la molteplicità dei
fatti collegati
o Per i rimanenti reati, 3 mesi per deliberare l’azione penale o la richiesta di rinvio a giudizio
IL SUPERAMENTO DEL TERMINE PER DELIBERARE E L’AVOCAZIONE DEL PROCURATORE GENERALE: se non esercita
l’azione penale e non chiede l’avocazione, il pm deve darne comunicazione tempestiva al procuratore generale
presso la corte d’appello che dispone, con decreto motivato, l’avocazione → svolge le indagini preliminari
indispensabili e formula richieste entro 30 giorni dal decreto di avocazione
2. L’azione penale
A. LA NOZIONE DI AZIONE PENALE
L’azione penale è stata definita come “la richiesta diretta al giudice di decidere sull’imputazione”. Il codice precisa
quali sono gli atti con i quali è esercitata l’azione penale. Ai sensi dell’art. 405, c. 1, il pubblico ministero esercita
l’azione penale formulando l’imputazione. Nel procedimento ordinario l’imputazione è ricompresa nella richiesta di
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rinvio a giudizio (art. 417, c. 1); nei riti speciali è ricompresa nell’atto che instaura il singolo procedimento (ad es., il
giudizio direttissimo, art. 451, c. 4).
L’IMPUTAZIONE consiste nell’addebitare ad una determinata persona un fatto di reato.
Elementi dell’imputazione sono:
- L’enunciazione del fatto storico «in forma chiara e precisa»;
- L’indicazione degli articoli di legge violati (il c.d. titolo del reato);
- Le generalità della persona alla quale è addebitato il reato.
- Devono essere precisate anche le circostanze aggravanti e quelle che richiedono l’applicazione di una
misura di sicurezza
EFFETTI DELL’AZIONE PENALE: l’esercizio dell’azione penale determina due effetti
- Pone al giudice l’obbligo di decidere su di un determinato fatto storico
- Fissa in modo tendenzialmente immutabile l’oggetto del processo, e cioè impone al giudice il divieto di
decidere su di un fatto storico differente da quello precisato nell’imputazione.
Nonostante il codice non stabilisca gli elementi probatori necessari per formulare l’imputazione che possono tuttavia
essere ricavati a contrario da quelli che vengono richiesti per l’archiviazione (quando tutti gli elementi raccolti non
sono in grado di sostenere l’accusa in giudizio)
L’imputazione è formulata quando il pubblico ministero ha raccolto elementi idonei a sostenere l’accusa in giudizio,
ossia quando i risultati delle indagini sono in grado di permettere al pubblico ministero di dimostrare la fondatezza
dell’accusa → gli elementi di prova devono avere una certa consistenza dal momento che, se non vengono
contraddetti in dibattimento, devono rendere altamente probabile una sentenza di condanna
LA RESPONSABILITA’ NEL FORMULARE L’IMPUTAZIONE: l’imputazione non è formulata all’inizio delle
indagini preliminari, bensì alla conclusione delle stesse, nel momento in cui il pubblico ministero chiede il rinvio a
giudizio dal momento che egli deve ritenere possibile in giudizio una sentenza di condanna
INFORMAZIONI SULL’AZIONE PENALE: quando viene esercitata l’azione penale o solamente applicate misure anche
precautelari, il pm ha dei doveri di informazione
- PERCHE’ L’AUTORITA’ PUBBLICA VALUTI SE IRROGARE UN PROVVEDIMENTO CAUTELARE DI
SOSPENSIONE DELLE FUNZIONI A CARICO DELL’IMPUTATO: il pm deve quindi informare l’autorità da cui
dipende l’imputato che è impiegato statale o comunque di un ente pubblico (stesso discorso nel caso di
ecclesiastico o religioso del culto cattolico con l’ordinario della diocesi)
- PERCHE’ L’AUTORITA’ PUBBLICA POSSA INIZIARE UN PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO RISPETTO AL
QUALE IL FATTO DI REATO HA UN PROFILO DI PREGIUDIZIALITA’: se il reato comporta un pericolo o
pregiudizio per l’ambiente, il pm deve informare il ministro per l’ambiente e la regione competente
(idem con il ministro per la salute e le politiche agricole in relazione a reati che possano rientrare nella
loro sfera di competenza) → il pm deve informare il procuratore generale per la corte dei conti quando il
reato danneggia l’erario
- PERCHE’ L’AUTORITA’ PUBBLICA POSSA CONTROLLARE SE ALTRA AUTORITA’ HA ADEMPIUTO AL SUO
POSTO AD INIZIARE IL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO: il pm deve quindi informare l’autorità
anticorruzione
Se l’imputato dipende dai servizi segreti, ne devono essere informati il comitato parlamentare per i servizi di
informazione e sicurezza
B. LE CARATTERISTICHE DELL’AZIONE PENALE
L’azione penale ha quattro caratteristiche: è obbligatoria, è monopolio del pubblico ministero, è irretrattabile ed è
procedibile d’ufficio.
- OBBLIGATORIETA’: impone che il pubblico ministero valuti la fondatezza di ciascuna notizia di reato e che
compia le indagini necessarie per decidere se occorre formulare l’imputazione ovvero chiedere
l’archiviazione (art. 326); esso non impone che il pubblico ministero debba necessariamente “accusare”.
L’obbligo istituzionale del pubblico ministero è quello di controllare che la legge sia rispettata.
Nonostante quindi abbia chiesto l’archiviazione, se ritiene che possano essere svolte nuove
investigazioni il pm chiede la riapertura delle indagini
Nel corso del dibattimento il pm può quindi chiedere anche il proscioglimento evidentemente
I PRINCIPI DI EGUAGLIANZA E LEGALITA’: l’obbligatorietà dell’azione penale ha il fine di assicurare
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due princìpi fondamentali:
o Il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.): se la persona offesa non ha possibilità economiche, ciò non
deve impedire che il reato venga comunque perseguito
o Il principio di legalità (art. 25, c. 2 Cost.): può essere soltanto la legge a determinare chi debba essere
punito e chi debba andare esente da pena → non deve quindi dipendere da una scelta discrezionale
compiuta da un soggetto
IL CONTROLLO SUL MANCATO ESERCIZIO DELL’AZIONE PENALE: se l’azione penale è obbligatoria, è
necessario che sia previsto uno strumento tecnico che renda effettivo l’adempimento di tale dovere,
esso consiste in un controllo effettuato dal giudice → la scelta del pm non esercitare l’azione penale
disponendo l’archiviazione viene sottoposta al controllo del gip
- IL MONOPOLIO DELL’AZIONE PENALE: quando non è necessaria la querela, la richiesta, l’istanza o
l’autorizzazione a procedere, l’azione penale è esercitata d’ufficio → di regola quindi il pm non è
vincolato all’iniziativa di altri soggetti ma è necessario che un fatto storico previsto dalla legge come
reato
Non viene richiesta neanche una notizia dal momento che può prenderne di propria iniziativa
- IRRETRATTABILITA’ DELL’AZIONE PENALE: l’esercizio dell’azione penale può essere sospeso o interrotto
solamente nei casi previsti dalla legge quindi nessuno di regola può interrompere il processo →
ECCEZIONE, quando lo stato mentale dell’imputato ne impedisce la cosciente partecipazione al processo
il giudice lo sospende con ordinanza e comunque ogni 6 mesi fa disporre degli accertamenti in modo tale
che la sospensione è revocata non appena ‘imputato sembra essere tornato in sé
Non è comunque consentita la sospensione quando l’imputato può avere nei suoi confronti una
sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere
3. L’archiviazione
A. CONSIDERAZIONI PRELIMINARI
Se il pm ritiene che non vi siano elementi per esercitare l’azione penale, formula la richiesta di archiviazione che
viene controllata dal gip: controllo de plano (senza udienza) che può però diventare più penetrante in 2 casi
- Quando il giudice non accoglie la richiesta di archiviazione
- Quando l’offeso si oppone
L’archiviazione ha quindi 3 funzioni:
- Il pm inizia a selezionare i procedimenti per non appesantire il successivo filtro (udienza preliminare)
- Il giudice controlla il corretto adempimento dell’obbligo di presentare l’azione penale da parte del pm
- L’offeso ha il diritto di far controllare al giudice in una udienza di camera di consiglio l’eventuale inerzia
del pm
PRESUPPOSTI:
- DI FATTO: la notizia di reato è infondata e gli elementi acquisiti nel corso delle indagini non sono idonei a
sostenere l’accusa (quando quindi dovrebbero essere in grado, se confermati in dibattimento, di portare
ad ottenere ad una condanna ma effettivamente non lo sono)
Il giudice che quindi dispone l’archiviazione effettua una prognosi sull’esito di un eventuale dibattimento
dal momento che ritiene probabile una sentenza di assoluzione → l’archiviazione quindi è un
provvedimento emesso allo stato degli atti, basato su un giudizio prognostico sulla superfluità del
processo dati gli elementi raccolti dal pm
In questa valutazione giudice e pm devono anche tenere in conto che le prove raccolte in un eventuale
dibattimento non saranno idonee a portare nuovi elementi tali da mutare la situazione del termine delle
indagini
- DI DIRITTO:
o Manca una condizione di procedibilità
o Il reato è estinto
o Il fatto non viene previsto dalla legge come reato
o Sono rimasti ignoti gli autori del reato
B. LA RICHIESTA DI ARCHIVIAZIONE NEI CONFRONTI DI UN INDAGATO
Con la richiesta di archiviazione, il pm trasmette al gip:
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- Il fascicolo delle indagini sulla notizia di reato,
- La documentazione delle indagini,
- I verbali degli atti compiuti davanti al giudice
Il pm deve quindi instaurare un contraddittorio con la persona offesa che nella notizia di reato o dopo la sua
presentazione abbia dichiarato di voler essere informata sulla eventuale archiviazione
- Reati comuni: nell’avviso si indica che nel termine di 20 giorni l’offeso può prendere visione degli atti e
presentare opposizione con richiesta motivata di prosecuzione delle indagini preliminari
- Delitti commessi con violenza alla persona: (e per furto in abitazione) l’avviso della richiesta di
archiviazione va sempre notificato a cura del pm alla persona offesa, 30 giorni per fare opposizione
L’offeso può prendere visione degli atti e presentare opposizione specificando le ragioni per le quali chiede la
prosecuzione delle indagini → l’opposizione viene presentata alla segreteria del pm
Possibilità anche per l’offeso che non abbia richiesto di essere informato sull’archiviazione
L’OFFESO NON PRESENTA OPPOSIZIONE: il gip fa un controllo de plano
- Accoglie la richiesta: decreto di archiviazione
- Non accoglie la richiesta: entro 3 mesi fissa la data dell’udienza in camera di consiglio a cui possono
partecipare quindi con diritto di essere avvisati il pm, l’offeso e l’indagato
L’OFFESO PRESENTA OPPOSIZIONE:
- Ammissibile: quindi che contiene l’oggetto delle ulteriori indagini richieste e gli elementi di prova,
udienza in camera di consiglio
- Inammissibile: il giudice ne dichiara l’invalidità e fa un controllo de plano i cui esiti sono gli stessi del caso
in cui l’offeso non presenti opposizione
UDIENZA IN CAMERA DI CONSIGLIO: senza pubblico ma con la possibilità di partecipare per pm, offeso ed imputato,
il gip ha ampi poteri di controllo e decide sia sulla richiesta di archiviazione che sull’eventuale opposizione dell’offeso
Il giudice entro 3 mesi deve emettere una decisione che sia:
- Ordinanza di archiviazione che si basa sempre sui soliti presupposti di fatto e diritto
- Ordinanza, il pm deve compiere ulteriori indagini: viene fissato dal giudice anche un termine entro il
quale devono essere compiute, il pm è vincolato al compimento delle indagini (coatte) ma comunque ha
discrezione nelle modalità di svolgimento delle stesse
- Ordinanza di imputazione coatta, il pm deve formulare una imputazione: entro 10 giorni, il giudice
decide in tal senso sulla base di una valutazione diversa rispetto a quella del pm sugli elementi di prova
Limite ex separazione delle funzioni: il giudice non può imporre al pm di chiedere il rinvio a giudizio o di
formulare una determinata imputazione → il pm deve formulare per forza una imputazione quindi, che
sia conforme alla legge e comunque nel termine di 10 giorni
UDIENZA PRELIMINARE SENZA RICHIESTA DI RINVIO A GIUDIZIO: entro 2 giorni dalla formulazione della imputazione
coatta il giudice deve fissare con decreto l’udienza preliminare → forma particolare di udienza preliminare, dal
momento che non è preceduta dalla richiesta di rinvio a giudizio ma un diverso giudice controlla la fondatezza
dell’accusa e può ordinare ulteriori indagini
2 principi sanciti con l’imputazione coatta:
- Obbligatorietà dell’azione penale
- Separazione delle funzioni tra accusa e giudizio
LE NULLITA’ INTERVENUTE NEL CORSO DEL PROCEDIMENTO DI ARCHIVIAZIONE: con la riforma orlando è stato
attuato il principio della ragionevole durata del processo con 2 meccanismo procedurali
- Vengono previste ex lege le ipotesi di nullità prima solamente stabilite dalla giurisprudenza:
o Attinenti alla procedura di archiviazione in senso stretto
o Attinenti all’udienza in camera di consiglio presso il gip
- Al posto del ricorso per cassazione è stato introdotto il reclamo al tribunale monocratico per far valere le
nullità verificatesi: viene appunto regolamentato questo procedimento che si chiude con una ordinanza
non impugnabile
C. ARCHVIAZIONE PER PARTICOLARE TENUITA’ DEL FATTO

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Il giudice non deve irrogare la sanzione penale quando l’offesa è di lieve entità e segue ad un comportamento non
abituale → si richiede logicamente un accertamento rigoroso delle condizioni e comunque il danneggiato può
sempre agire per il risarcimento del danno davanti al giudice civile
Si ritiene quindi una particolare condizione di non punibilità basata sull’accertamento dei presupposti ex lege:
- L’imputato ha commesso un fatto storico antigiuridico, quindi non è presente in concreto né una causa
di giustificazione né una esimente
Deve aver offeso un bene giuridico ma in modo lieve
- La pena detentiva prevista per il reato non deve essere superiore a nel max 5 anni, viene ammesso anche
in caso di pena pecuniaria da sola o che accompagni quella detentiva → non si tiene conto delle
circostanze tranne quelle:
o Per cui la legge stabilisce una pena diversa da quella ordinaria del reato
o Ad effetto speciale
In queste due circostanze non si tiene conto del giudizio di bilanciamento tra circostanze aggravanti e
attenuanti per limitare la discrezionalità del giudice
- L’offesa deve essere di particolare tenuità per le modalità della condotta, da valutare in base agli indici di
gravità del reato → esiguità del danno o del pericolo cagionato quindi: requisiti negativi
o I motivi non devono essere abbietti o futili
o Non deve aver agito con crudeltà
o Non deve aver operato delle sevizie e comunque non approfittato delle condizioni di minorata difesa
della vittima
o Non deve aver cagionato morte o lesioni gravissime ad una persona
- Il comportamento non deve essere abituale: requisiti negativi
o Non deve essere stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza
o Non deve aver commessi più reati della stessa indole
o Il reato non deve avere ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate (non vengono quindi
compresi reati persecutori e seriali)
Se il giudice li accerta può dichiarare che il fatto non è punibile
LA DECLARATORIA DELLA TENUITA’ DEL FATTO NEL CORSO DEL PROCEDIMENTO: viene fatta con le forme previste
per la decisione che chiude la fase del procedimento nella quale il giudice è chiamato a pronunciarsi quindi
- Indagini preliminari: archiviazione
- Udienza preliminare: sentenza di non luogo a procedere
- Atti preliminari al dibattimento: sentenza anticipata di proscioglimento
- Giudizio: sentenza di proscioglimento per mancanza di punibilità
Al giudice viene quindi chiesto un accertamento del fatto storico che andrebbe fatto nella fase del giudizio ma che in
via di deflazione del contenzioso può essere anticipato all’udienza preliminare → ha comunque il suo culmine
quando viene pronunciata in sede di archiviazione
L’offeso e l’indagato comunque possono presentare opposizione alla richiesta del pm di disporre l’archiviazione per
particolare tenuità
IL PROCEDIMENTO DI ARCHIVIAZIONE PER PARTICOLARE TENUITA’ DEL FATTO: il pm che nel corso delle indagini
accerti la presenza dei presupposti può chiedere al gip l’archiviazione per particolare tenuità del fatto → viene
regolato in modo speciale rispetto al procedimento ordinario
Al momento della richiesta, il pm fa comunicare all’indagato e alla persona offesa che entro 10 giorni possono
prendere visione degli atti e presentare opposizione indicando le ragioni del dissenso rispetto alla richiesta a pena di
inammissibilità
- L’OPPOSIZIONE VIENE PRESENTATA
E se viene ritenuta ammissibile, il giudice avvisa pm, offeso ed indagato della data dell’udienza che si svolge in
camera di consiglio durante la quale il giudice, sentite le parti, si pronuncia con ordinanza → vari epiloghi:
- Il giudice può accogliere la richiesta e pronunciare ordinanza motivata di archiviazione per particolare
tenuità del fatto
- Il giudice può rigettare la richiesta con ordinanza e pronunciare un provvedimento che sia
o Gli atti vanno restituiti al pm
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o Il pm deve fare ulteriori indagini e gli fissa un termine per il compimento delle stesse
o Il pm deve formulare l’imputazione
- L’OPPOSIZIONE NON VIENE PRESENTATA
Il giudice decide senza formalità:
- Accoglie la richiesta e pronuncia un decreto motivato di archiviazione per particolare tenuità del fatto
- Non accoglie la richiesta del pm e stabilisce che gli vengano restituiti gli atti
D. LA RICHIESTA DI ARCHIVIAZIONE PERCHE’ IL REATO È STATO COMMESSO DA PERSONE IGNOTE
Valgono le norme dell’archiviazione contro indagati per quanto applicabili
Con la richiesta di archiviazione il pm trasmette al giudice il fascicolo delle indagini → il pm deve instaurare
contraddittorio con la persona offesa che, nella notizia di reato o successivamente alla sua presentazione, abbia
dichiarato di voler essere informata sull’eventuale archiviazione
- Reati comuni: entro 20 giorni l’offeso può prendere visione degli atti e presentare opposizione con
richiesta motivata di prosecuzione delle indagini preliminari
- Delitti commessi con violenza alla persona (compreso furto in abitazione): l’avviso della richiesta di
archiviazione viene sempre notificato dal pm alla persona offesa che può opporsi entro 30 giorni
L’offeso:
- Non si oppone: il gip accoglie la richiesta de plano
- Si oppone o il giudice non accoglie la richiesta: udienza in camera di consiglio → il giudice ne comunica la
data ad offeso, suo difensore e pm
DECISIONI: a seguito dell’udienza il gip può
- Accogliere la richiesta del pm e disporre l’archiviazione con decreto motivato
- Se ritiene che il fatto sia da attribuire a persona individuata, ordina che il nome di questa sia iscritto nel
registro delle notizie di reato
- Se ritiene necessarie ulteriori indagini, il giudice le indica con ordinanza al pm fissando il termine
indispensabile per il compimento delle stesse → devono comunque rispettare il termine previsto per le
indagini preliminari che ex riforma orlando decorre non dall’iscrizione del nominativo nel registro degli
indagati ma dal provvedimento del giudice
E. LA RIAPERTURA DELLE INDAGINI A SEGUITO DELL’ARCHIVIAZIONE
Quando il procedimento contro un indagato è stato archiviato, il pubblico ministero può compiere nuove indagini
soltanto dopo essere stato autorizzato con decreto motivato del giudice per le indagini preliminari (art. 414, c. 1).
Ottenuta l’autorizzazione, il pubblico ministero procede ad una nuova iscrizione nel registro delle notizie di reato
(art. 414, c. 2); da tale momento decorrono nuovamente i termini ordinari. Per ottenere l’autorizzazione non è
necessario che siano presenti nuovi elementi, bensì è sufficiente che il pubblico ministero prospetti al giudice un
nuovo piano d’indagine «che può scaturire dalla diversa interpretazione degli elementi già acquisiti» (Relazione
al progetto preliminare).
MANCATA AUTORIZZAZIONE A RIAPRIRE LE INDAGINI E COMPIMENTO DI NUOVI ATTI INVESTIGATIVI: gli atti
d’indagine compiuti in mancanza di autorizzazione sono inutilizzabili; ma esistono dei limiti soggettivi e oggettivi
- Deve trattarsi di atti espletati nei confronti della medesima persona e per il medesimo fatto oggetto
della pronuncia di archiviazione,
- Le indagini devono essere state compiute dal medesimo ufficio con iscrizione nello stesso registro delle
notizie di reato.
L’inutilizzabilità deriva quindi dal divieto probatorio stabilito dalla legge anche se implicito
MANCATA AUTORIZZAZIONE A RIAPRIRE LE INDAGINI ED ESERCIZIO DELL’AZIONE PENALE: analogo problema
si pone quando, in mancanza di autorizzazione a riaprire le indagini, il medesimo ufficio del pubblico ministero
eserciti l’azione penale in relazione al medesimo fatto in precedenza addebitato e archiviato. La prevalente
giurisprudenza di legittimità e costituzionale ritiene precluso l’esercizio dell’azione penale rispetto al medesimo
fatto-reato, considerato sia dal punto di vista soggettivo che oggettivo, da parte del medesimo ufficio del pubblico
ministero; pertanto, la richiesta di rinvio a giudizio risulta affetta da nullità assoluta ai sensi degli artt. 178 lett. b e
179 c.p.p., poiché il vizio riguarda l’iniziativa del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale.

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CAPITOLO 3 (L’udienza preliminare)
1. Considerazioni generali
L’udienza preliminare ha la funzione:
- Di assicurare che un giudice controlli la legittimità ed il merito della richiesta di rinvio a giudizio
formulata dal pubblico ministero;
- Essa è inoltre la sede nella quale si possono volgere i procedimenti speciali che eliminano il dibattimento,
ossia il rito abbreviato, il patteggiamento e la essa alla prova.
Il magistrato, al quale sono assegnate le funzioni di giudice dell’udienza preliminare, non può essere quel magistrato
che ha svolto le funzioni di giudice per le indagini preliminari nel medesimo procedimento. Infatti, l’art. 34 c. 2-bis
pone, di regola, una incompatibilità, che può essere superata soltanto quando il giudice per le indagini preliminari si
è limitato a svolgere funzioni di tipo non decisori. Pertanto, un magistrato può esercitare le attività di g.i.p. e di g.u.p.
in procedimenti differenti, ma non nel medesimo procedimento.
LA RICHIESTA DI RINVIO A GIUDIZIO: nel procedimento ordinario la richiesta di rinvio a giudizio segna il passaggio
dalla fase delle indagini preliminari alla fase dell’udienza preliminare. Ciò comporta, al tempo stesso, l’inizio del
“processo” in quanto la richiesta di rinvio a giudizio è il modo ordinario con il quale è esercitata l’azione penale.
In seguito alla riforma ex legge Carotti, l’udienza preliminare svolge più funzioni contemporaneamente:
- Il giudice può controllare se le indagini sono complete → la completezza delle indagini può indurre
l’imputato a scegliere uno dei riti alternativi
- I nuovi standard decisori permettono un filtro più incisivo sulla inevitabilità del dibattimento
GLI ADEMPIMENTI CHE PRECEDONO L’UDIENZA: la fase delle indagini si conclude con la richiesta di rinvio a giudizio
che contiene
- Imputazione: enunciazione chiara e precisa di fatto storico, titolo del reato e generalità della persona alla
quale il fatto è addebitato
- Indicazione delle fonti di prova acquisite
La richiesta non deve essere motivata dal momento che non si vuole né appesantire il lavoro del pm né condizionare
il giudice
La richiesta viene quindi trasmessa insieme al fascicolo delle indagini al giudice dell’udienza preliminare e viene
depositata nella sua cancelleria con il fascicolo → il giudice fissa luogo, data e ora dell’udienza, quindi da quel
momento ha lui il compito di portare il processo fino alla conclusione dell’udienza preliminare
Tra la ricezione della richiesta e la data dell’udienza non devono trascorrere più di 30 giorni e le parti devono essere
avvisate della stessa per avere un termine libero di almeno 10 giorni
L’AVVISO DELLA DATA DELL’UDIENZA: viene notificato insieme alla richiesta di rinvio a giudizio a
- Imputato, che viene avvertito che comunque anche se non compare potrà essere giudicato in assenza
- Offeso
- Pm
- Difensore dell’imputato, che viene avvertito anche della possibilità di prendere visione degli atti e delle
cose depositate in cancelleria, produrre documenti e memorie
Da questo momento ogni atto integrativo delle indagini preliminari deve essere reso immediatamente conoscibile
alle parti → il pm e i difensori infatti hanno la possibilità di svolgere queste indagini suppletive anche a seguito della
richiesta di rinvio a giudizio e tutta la relativa documentazione deve essere trasmessa al giudice e depositata per
farne prendere visione alle altre parti
LA COSTITUZIONE DELLE PARTI: l’udienza preliminare si svolge in camera di consiglio con la partecipazione
necessaria del pm e del difensore dell’imputato (art. 420, I)
Ex convenzione europea dei diritti dell’uomo, la corte di Strasburgo ha elaborato dal principio dell’equo processo il
diritto dell’imputato a partecipare all’udienza e quindi anche alla conoscenza personale della celebrazione del
processo → l’assenza dell’imputato quindi viene ritenuta legittima solamente se la sua rinuncia a comparire è
volontaria e non equivoca
La prova della conoscenza deve essere data dallo stato oltre ogni ragionevole dubbio
IL NUOVO SISTEMA INTRODOTTO NEL 2014: (l. 67/2014) eliminazione della contumacia, la vecchia contumacia viene
scissa in 2 istituti
- Se la persona è irreperibile, il processo deve essere sospeso
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- Se sono stati consegnati avviso o citazione a mani proprie (o qualsiasi altro fatto sintomatico della
conoscenza del procedimento), il processo prosegue contro l’imputato che viene dichiarato assente del
quale quindi si presume la rinuncia volontaria a comparire
Quindi quando l’imputato non compare in udienza, sia preliminare che dibattimentale:
- VALUTAZIONE DELLA REGOLARITA’ DELLA NOTIFICA: il giudice deve regolare se vi è stata regolare
costituzione delle parti (art. 420, II)
o Le parti sono comparse: il verbale d’udienza documenta
▪ Se è presente l’imputato
▪ Quale sia il suo difensore
▪ Che avvocato rappresenti la parte civile ed il civilmente obbligato per la pena pecuniaria
o Se accerta la nullità dell’avviso o della notificazione, il giudice fissa la data della nuova udienza e
provvede alla rinnovazione della notificazione o dell’avviso
- ASSENZA DEL DIFENSORE: il giudice designa un sostituto che sia immediatamente reperibile e che
esercita i diritti ed assume i doveri del difensore di fiducia o di ufficio
Se è dovuta per legittimo impedimento comunque prontamente segnalato, il giudice con ordinanza fissa
la nuova udienza e ne dispone la notificazione all’imputato
- LEGITTIMO IMPEDIMENTO DELL’IMPUTATO: verifica della causa della mancata comparizione
dell’imputato, quindi il giudice deve accertare se
o L’imputato ha un legittimo impedimento
o Questo provoca una assoluta impossibilità di comparire in udienza
Nel caso sussistano, il giudice deve disporre il rinvio ad una nuova udienza e ordinare la rinnovazione
dell’avviso; altrimenti il giudice ordina di procedere in assenza dell’imputato
- L’IMPUTATO CONSIDERATO PRESENTE:
o Dopo che si è presentato all’udienza di è allontanato
o Si è presentato ad una udienza ma non a quella successiva
- L’IMPUTATO CHE HA RINUNCIATO AD ASSISTERE: valida anche se poi ha avuto un legittimo
impedimento, il giudice procede in assenza dell’imputato
- L’IMPUTATO DICHIARATO ASSENTE:
o Non ha un legittimo impedimento
o L’impedimento non provoca una assoluta impossibilità di comparire in udienza
Il giudice deve valutare se l’imputato possa essere considerato assente consapevole però del
procedimento e il codice prevede alcuni fatti sintomatici:
o Ha dichiarato o eletto domicilio → non è legittima però se viene fatta nello studio dell’avvocato di
fiducia che l’indagato ancora non conosce
o È stato arrestato, fermato o sottoposto a misura cautelare
o Ha nominato un difensore di fiducia
o Ha ricevuto personalmente la notificazione dell’avviso dell’udienza
Se questi sussistono, il giudice pronuncia ordinanza che dispone di procedere in assenza e l’imputato
viene rappresentato dal difensore → viene quindi razionalizzato il sistema delle presunzioni
finalizzandolo all’accertamento dell’esistenza e della regolarità dei fatti sintomatici tipici e atipici
In presenza quindi dei fatti sintomatici, la presunzione è triplice:
o Dal fatto sintomatico si deduce la conoscenza del procedimento
o Dalla conoscenza del procedimento si deduce la conoscenza dell’udienza
o Dalla conoscenza dell’udienza si deduce la rinuncia a comparire
- LA SOSPENSIONE DEL PROCESSO NEI CONFRONTI DELL’IMPUTATO IRREPERIBILE: può accadere che nei
confronti dell’imputato non comparso, destinatario di una notifica formalmente valida, risulti impossibile
far operare i meccanismi presuntivi sopra ricordati, quando quindi facciano difetto i fatti sintomatici e
non risulti «con certezza» che l’imputato è a conoscenza del procedimento o si è volontariamente
sottratto alla conoscenza dello stesso

148
Dal momento che le presunzioni risultano disinnescate e il giudice non può dichiarare l’assenza del
colpevole, il giudice deve rinviare l’udienza e disporre che l’avviso sia notificato all’imputato
personalmente ad opera della polizia giudiziaria (art. 420-quater, c. 1).
o Se la notifica ha successo e l’imputato non compare, il giudice dichiara di procedersi in assenza
o Ma se la notifica a mani proprie «non risulta possibile», il giudice deve disporre con ordinanza la
sospensione del processo nei confronti dell’imputato non comparso (art. 420-quater, c. 2).
È, dunque, chiaro che l’area operativa della sospensione finisce per coincidere con le ipotesi nelle quali
l’imputato risulta irreperibile. La sospensione nei confronti dell’irreperibile non può essere disposta se
deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 → le esigenze di giustizia e di
tutela quindi della presunzione di innocenza impongono di pervenire a sentenza anche nei confronti
dell’imputato irreperibile
Durante la sospensione del processo è inibita ogni attività, salva l’acquisizione delle prove non rinviabili
che il giudice deve disporre a richiesta di parte con le modalità richieste per il dibattimento (art. 420-
quater, c. 3).
L’arresto del procedimento comporta che sia disposta:
o La separazione dagli altri processi riuniti (art. 18, c. 1, lett. b);
o La prescrizione del reato (art. 159, c. 3-bis c.p.)
Infine, la parte civile può iniziare o proseguire l’azione per ottenere la condanna al risarcimento del
danno nei confronti dell’imputato nella sede civile, poiché l’art. 75, c. 3 è stato dichiarato non
applicabile.
GLI ACCERTAMENTI SUCCESSIVI ALLE ORDINANZE DI PROCEDERSI IN ASSENZA E DI SOSPENSIONE DEL
PROCESSO: nel corso dell’udienza preliminare può accadere che il giudice accerti situazioni nelle quali
egli deve rivedere l’ordinanza di procedersi in assenza o l’ordinanza di sospensione del processo per
irreperibilità.
- LA REVOCA DELL’ORDINANZA DI PROCEDERSI IN ASSENZA: nel corso dell’udienza preliminare,
dichiarativa dell’assenza dell’imputato è revocata anche d’ufficio
MERA COMPARIZIONE TARDIVA: quando l’imputato compare prima della decisione, se non fornisce a
prova della mancata conoscenza incolpevole del processo o della impossibilità di comparire senza sua
colpa, si revoca l’ordinanza e l’udienza prosegue nel modo ordinario
o CON PROVA DELLA MANCATA CONOSCENZA: l’imputato fornisce la prova che
▪ L’assenza è dovuta ad una colpevole ancata conoscenza della celebrazione del processo
▪ Versava nell’impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo
impedimento e che ciò sia avvenuto con ritardo senza sua colpa
Il giudice deve rinviare l’udienza preliminare e l’imputato può:
▪ Chiedere l’acquisizione di atti e documenti
▪ Rendere dichiarazioni spontanee
▪ Chiedere il rito abbreviato o il patteggiamento
L’ACCERTAMENTO DELLA MANCATA CONOSCENZA DEL PROCEDIMENTO: revoca dell’ordinanza di
procedersi in assenza quando il giudice accerta in positivo che esistevano le condizioni per dichiarare la
sospensione del processo contro l’irreperibile, quindi deve ordinare alla polizia giudiziaria il tentativo di
notifica personale della vocatio in iudicium
- LA REVOCA DELL’ORDINANZA DI SOSPENSIONE DEL PROCESSO: allo scadere di 1 anno dalla pronuncia
dell’ordinanza di sospensione del processo o anche prima se ce ne è l’esigenza, il giudice dispone nuove
ricerche dell’imputato per la notifica dell’avviso dell’udienza che il giudice ha rinviato all’anno successivo
Il giudice deve revocare l’ordinanza di sospensione del processo quando:
o Le ricerche hanno avuto esito positivo
o L’imputato ha nominato un difensore di fiducia nel frattempo
o Quando vi sia prova certa della conoscenza dell’imputato del procedimento nei suoi confronti
o Se deve essere pronunciato il proscioglimento
Il giudice quindi con la stessa ordinanza fissa la nuova udienza disponendo che l’avviso sia notificato a:
o Imputato e suo difensore, che può anche chiedere il giudizio abbreviato o il patteggiamento
149
o Parti private
o Offeso
o Pm
2. Lo svolgimento ordinario dell’udienza
L’udienza preliminare si svolge in camera di consiglio in base a norme che impongono un contraddittorio più
completo rispetto a quello previsto nell’art. 127. All’udienza devono comunque essere presenti il pubblico ministero
ed il difensore (di fiducia o d’ufficio) dell’imputato (art. 420, c. 1).
La persona offesa è avvisata della data dell’udienza e può essere presente sia personalmente che per mezzo del suo
difensore, che comunque può presentare richieste solamente se la persona offesa si è costituita parte civile
Di regola, è composto dai seguenti momenti:
- COSTITUZIONE DELLE PARTI: è questo il momento in cui il difensore del danneggiato deve presentare
all’ausiliario del giudice la dichiarazione di costituzione di parte civile. Il giudice accerta se le parti si sono
costituite regolarmente.
- AMMISSIONE DI ATTI E DOCUMENTI: viene decisa dal giudice, compresa anche la documentazione delle
investigazioni difensive. Il giudice dichiara quindi aperta la discussione
- ESPOSIZIONE DEL PM: Il pubblico ministero espone sinteticamente «i risultati delle indagini preliminari e
gli elementi di prova che giustificano la richiesta di rinvio a giudizio» → illustra quindi gli elementi di
prova e gli elementi che ne ha ricavato
- DICHIARAZIONI SPONTANEE ED EVENTUALE INTERROGATORIO DELL’IMPUTATO: atti con funzione
difensiva che non possono essere sollecitati dal pm. L’interrogatorio viene svolto dal giudice tuttavia se
una delle parti lo richiede il giudice deve disporre che avvenga con le forme dell’esame incrociato
- ESPOSIZIONE DEI DIFENSORI DELLE PARTI PRIVATE: i difensori delle parti private svolgono le proprie
argomentazioni. Inizia la parte civile e proseguono il responsabile civile, la persona civilmente obbligata
per la pena pecuniaria e l’imputato. Il pubblico ministero ed i difensori possono replicare una sola volta.
- CONCLUSIONI: il pubblico ministero ed i difensori formulano e illustrano le rispettive conclusioni
utilizzando gli atti contenuti nel fascicolo delle indagini preliminari ed i documenti ammessi dal giudice
prima dell’inizio della discussione → termine ultimo per l’imputato di chiedere il patteggiamento, rito
abbreviato o la sospensione del processo con messa alla prova
- DECISIONE DEL GIUDICE INTERLOCUTORIA O DEFINITIVA: al termine dell’udienza, il giudice può prendere
una decisione
o Definitiva quando pronuncia la sentenza di non luogo a procedere o il decreto che dispone il giudizio
(art. 424)
o Interlocutoria quando dichiara di non poter decidere allo stato degli atti; in tal caso indica al
pubblico ministero le ulteriori indagini (art. 421-bis) o dispone anche d’ufficio l’assunzione di prove,
dando inizio allo svolgimento eccezionale dell’udienza preliminare
LE INDAGINI SU INIZIATIVA DEL GIUDICE: il giudice, quando ritiene di non poter decidere allo stato degli atti perché
le indagini preliminari sono incomplete, pronuncia ordinanza con la quale indica al pubblico ministero «le ulteriori
indagini fissando il termine per il loro compimento e la data della nuova udienza preliminare» (art. 421-bis) → del
provvedimento deve essere data comunicazione al procuratore generale presso la corte d’appello che può disporre
l’avocazione delle indagini
La disposizione non ha soltanto lo scopo di consentire che il giudice conceda al pubblico ministero un’ultima
occasione per rafforzare una richiesta di rinvio a giudizio priva di fondamento; l’integrazione può essere disposta
anche nell’ipotesi in cui il giudice rilevi lacune investigative in relazione ad elementi favorevoli all’imputato → viene
quindi tutelato il principio di completezza delle indagini preliminari
Soltanto quando il pm abbia svolto le indagini in modo esaustivo infatti è possibile valutare correttamente, alla luce
degli elementi raccolti, l’utilità di un futuro dibattimento
Una volta che il pm avrà provveduto, si tiene una nuova udienza che ha come oggetto di discussione i risultati delle
indagini → all’esito di questa, il giudice può:
- Ritenere di dover poter decidere allo stato degli atti il rinvio a giudizio o il non luogo a procedere
- Emettere una nuova ordinanza per l’integrazione delle indagini
- Disporre una forma di assunzione delle prove denominata integrazione probatoria
150
3. L’attività di integrazione probatoria del giudice
L’attività di integrazione probatoria del giudice consiste nel potere di assumere prove nel corso dell’udienza
preliminare.
IL PRESUPPOSTO: il presupposto perché tale potere sia esercitabile sta nella impossibilità di «decidere allo stato degli
atti». Il giudice, se non ordina al pubblico ministero l’integrazione delle indagini, «può disporre, anche d’ufficio,
l’assunzione delle prove delle quali appare evidente la decisività ai fini della sentenza di non luogo a procedere» (art.
422, c. 1) → il giudice deve quindi decidere se debbano essere assunte le prove e le parti non hanno nessun diritto
Lo svolgimento dell’udienza, ove il giudice valuti di non poter decidere allo stato degli atti, vede susseguirsi i
seguenti momenti:
- AMMISSIONE DELLE PROVE: il criterio in base al quale il giudice dispone l’ammissione delle prove è
quello della “evidente decisività” delle stesse ai fini della sentenza di non luogo a procedere; il
supplemento istruttorio è finalizzato all’assunzione di prove a discarico già individuabili sulla base degli
atti o documenti esistenti. Inoltre non potrebbero ammettersi prove tendenti a dimostrare la necessità
del rinvio a giudizio → vincolo solamente apparente alla discrezionalità del giudice dal momento che
raramente il risultato di una prova appare on certezza prima che sia stata assunta
- ASSUNZIONE DELLE PROVE: l’audizione dei testimoni, consulenti tecnici e periti e l’interrogatorio degli
imputati connessi sono condotti dal giudice. Le parti possono proporre domande a mezzo del giudice nel
seguente ordine: per primo il pubblico ministero e successivamente i difensori della parte civile, del
responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e dell’imputato.
- INTERROGATORIO: l’imputato può chiedere di essere sottoposto all’interrogatorio «in ogni caso», e cioè
senza che il giudice possa sindacare l’ammissibilità di tale atto (art. 422, c. 4). Anche l’interrogatorio deve
essere condotto dal giudice.
Se una parte ne fa richiesta, può essere svolto con le forme dell’esame incrociato
- CONCLUSIONI DELLE PARTI: terminata l’assunzione delle prove, il pubblico ministero e i difensori
illustrano le rispettive conclusioni. Quindi il giudice pronuncia la decisione di rinvio a giudizio o di non
luogo a procedere
4. La modifica dell’imputazione
In base agli elementi emersi nel corso dell’udienza e alla discussione che si svolge in tale sede, può sorgere l’esigenza
di apportare modificazioni alla imputazione originaria. La modifica è possibile in presenza di due condizioni:
l’iniziativa del pubblico ministero e il rispetto di determinati limiti di modificabilità
La necessità di iniziativa del pm deriva dal principio della separazione delle funzioni, si deve attivare contestando la
modifica dell’addebito all’imputato
IL FATTO DIVERSO: finché si tratta di variare la descrizione del fatto storico (che comunque deve restare inalterato
negli elementi essenziali della fattispecie), il pubblico ministero è legittimato a contestare all’imputato un fatto
«diverso» da quello contestato nella richiesta di rinvio a giudizio; lo stesso vale se si tratta di aggiungere una
circostanza aggravante, un fatto commesso in esecuzione del medesimo disegno criminoso (reato continuato) o un
altro reato commesso con la medesima condotta (concorso formale). Nelle predette ipotesi il pubblico ministero
modifica l’imputazione e la contesta all’imputato presente. Se l’imputato non è presente, la modificazione è
comunicata al difensore che rappresenta l’imputato ai fini della contestazione (art. 423 c. 1).
IL FATTO NUOVO: se nel corso dell’udienza risulta a carico dell’imputato un fatto «nuovo» non enunciato nella
richiesta di rinvio a giudizio, il pubblico ministero può chiedere che sia contestato all’imputato, purché si tratti di un
reato procedibile d’ufficio. In tal caso, l’imputato può consentire o meno alla modifica dell’imputazione; ove
l’imputato consenta, il giudice autorizza la contestazione (art. 423, c. 2).
Scelte che comunque rimangono di spettanza delle parti necessarie del processo:
- Il pm può decidere se iniziare un procedimento separato nel quale svolgere le indagini che reputa
necessarie
- L’imputato valuta se gli conviene percorrere lo svolgimento ordinario di un nuovo procedimento o
affrontare direttamente la valutazione del giudice nell’udienza preliminare
5. La sentenza di non luogo a procedere
Il codice prevede un unico “tipo” di sentenza di non luogo a procedere a seguito dell’udienza preliminare, senza
distinguere tra svolgimento ordinario, supplemento di indagine ed integrazione probatoria
151
MOTIVI DI NON LUOGO A PROCEDERE: la sentenza è pronunciata in base a motivi di diritto o di fatto (art. 425), ossia
quando
- Sussiste una causa che estingue il reato (ad es., prescrizione);
- Sussiste una causa per la quale l’azione penale non doveva essere iniziata o proseguita (es. manca la
querela);
- Il fatto non è previsto dalla legge come reato;
- Esiste la prova che l’imputato è, in sintesi, innocente;
- È accertato che la persona non è punibile per qualsiasi causa, ivi compreso il difetto di imputabilità.
Tuttavia, il giudice non può pronunciare la sentenza di non luogo a procedere se «ritiene che dal proscioglimento
dovrebbe conseguire l’applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca» (art. 425, c. 4) → le misure di
sicurezza personali con le quali si possono opporre limiti alla libertà possono essere applicate solamente sulla base di
un provvedimento che consegue al più completo controllo svolto dal giudice del dibattimento
Quando l’offesa è tenue ed il comportamento non è abituale, il giudice dell’udienza preliminare pronuncia il non
luogo a procedere perché il fatto non è imputabile
LA REGOLA DI GIUDIZIO DELL’UDIENZA PRELIMINARE: il giudice deve pronunciare la sentenza di non luogo a
procedere quando gli elementi raccolti siano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa
in giudizio → quando quindi il dibattimento è superfluo
- Insufficienti: allo stato degli atti fanno ritenere di non poter essere integrati dalla attività istruttoria tipica
del dibattimento
- Contraddittori: quando tra le prove raccolte vi è un contrasto che non può essere superato dallo
svolgimento del dibattimento
L’ACCERTAMENTO DELLA GENERICITA’ O DELL’INDETERMINATEZZA DELLA IMPUTAZIONE: la giurisprudenza ha
riconosciuto al giudice dell’udienza preliminare il potere di ritenere generica o indeterminata quell’imputazione che,
viceversa, il pubblico ministero avrebbe dovuto formulare «in forma chiara e precisa» nella richiesta di rinvio a
giudizio (art. 417, c. 1, lett. b). Ove accerti che il fatto addebitato non risulti enunciato in modo chiaro, il giudice ha il
dovere di sollecitare il pubblico ministero a precisare l’imputazione con il meccanismo di adeguamento previsto
dall’art. 423, da applicarsi in via estensiva
Dal momento che questo è un vero e proprio dovere del pm, e non adempie il giudice al momento della conclusione
dell’udienza preliminare ha il potere di attestare il vizio di imputazione e di restituire con ordinanza gli atti al pm
invitandolo a riformulare l’imputazione medesima → con questa ordinanza il procedimento regredisce quindi alle
indagini preliminari, è quindi solamente un provvedimento eccezionale adottato in questo caso come extrema ratio
se il pm non adempie all’ordine del giudice omettendo di modificare l’imputazione nell’udienza preliminare (se non
lo facesse il provvedimento sarebbe abnorme e contrasterebbe con le esigenze di economia processuale e la
ragionevole durata)
6. Il decreto che dispone il giudizio
Il decreto che dispone il giudizio è emesso nei casi nei quali il giudice dell’udienza preliminare non pronuncia la
sentenza di non luogo a procedere → non indica il quantum di prova necessario che tuttavia si può ricavare a
contrario, infatti il giudice emette il decreto che dispone il giudizio quando gli elementi forniti dal pubblico ministero
a sostegno della richiesta e le prove eventualmente raccolte nell’udienza preliminare appaiono idonee a sostenere
l’accusa in giudizio (corte costituzionale: valutazione di merito del giudice come vera e propria prognosi sulla
possibilità di successo dell’accusa nella fase dibattimentale)
Il decreto esprime una “decisione”, ma non è motivato in quanto il legislatore vuole evitare il pregiudizio che
deriverebbe all’imputato ove un giudice prima del dibattimento affermasse l’attendibilità degli elementi di prova a
carico → contiene:
- Enunciazione chiara e precisa del fatto e delle circostanze
- Indicazione dei relativi articoli di legge
- Indicazione sommaria delle fonti di prova e dei fatti a cui esse si riferiscono
Esso svolge altresì la funzione di citazione a giudizio in quanto convoca le parti per il dibattimento. Il giudice precisa
la data ed il luogo dell’udienza dibattimentale con l’avvertimento per l’imputato che, non comparendo, sarà
giudicato in «contumacia» (in realtà in «assenza», poiché la legge n. 67/2014 ha eliminato la contumacia ma non
ha modificato l’art. 429, c. 1, lett. f).
152
Il decreto deve essere notificato a:
- Imputato contumace all’udienza preliminare
- Imputato e offeso comunque non presenti alla lettura del decreto stesso
La notifica deve essere effettuata almeno 20 giorni prima della data fissata per il giudizio
7. Il fascicolo per il dibattimento e il fascicolo del pm
Subito dopo aver emesso il decreto che dispone il giudizio, il giudice provvede a suddividere il fascicolo unico delle
indagini in due fascicoli (per il dibattimento e del pubblico ministero) → deve essere fatto nella medesima udienza
nel contraddittorio delle parti, qualora le parti ne facciano richiesta il giudice deve fissare un’udienza apposta
La distinzione tra i due fascicoli deriva dalla scelta fondamentale di riservare al dibattimento la formazione della
prova ed evitare quindi che in quella sede il giudice venga condizionato dalla conoscenza degli atti assunti fuori dal
contraddittorio
IL PRINCIPIO DELLA NEUTRALITA’ PSICHICA DEL GIUDICE IN DIBATTIMENTO: inutilizzabilità fisiologica degli atti delle
indagini preliminari a tutela della separazione delle fasi del procedimento penale
Perché la regola del contraddittorio sia effettiva, occorre che il giudice del dibattimento nel decidere non sia
influenzato dalle prove raccolte in segreto durante le investigazioni. È necessario assicurare al magistrato un’assoluta
neutralità psichica: essa esprime l’imparzialità che la Costituzione garantisce come modalità di esercizio della
giurisdizione (art. 111, c. 2).
Il giudice deve decidere solamente sulla base delle prove che si sono formate nel contraddittorio delle parti per
evitare quei pregiudizi mentali che sono fondati su atti raccolti in modo non controllabile nella loro attendibilità e
credibilità
Ai fini del dibattimento, è indispensabile assicurare la suddivisione degli atti processuali in 2 distinti fascicoli:
- Raccolti in contraddittorio, possono essere conosciuti dal giudice in dibattimento e possono costituire
motivo della sentenza
- Raccolti in modo unilaterale da una delle parti, non devono essere conosciuti al giudice ma servono alle
parti medesime per prepararsi all’esame incrociato
IL FASCICOLO PER IL DIBATTIMENTO: in tale fascicolo sono raccolti quegli atti, compiuti prima del dibattimento, che
si sono formati nel contraddittorio delle parti o che sono nati fin dall’origine come “non ripetibili”.
Viene conosciuto dal giudice e dalle parti e gli atti in esso contenuti dopo essere stati letti possono anche essere
utilizzati ai fini della decisione
IL FASCICOLO DEL PM: ha un contenuto residuale, dal momento che vi sono inseriti gli atti diversi da quelli inseriti nel
fascicolo per il dibattimento che sono stati compiuti fino a quel momento, quindi tutta la documentazione di atti
- Del pm
- Della polizia giudiziaria
- Del difensore: nel corso delle indagini, viene custodito presso l’ufficio del gip e contiene quegli atti di
investigazione difensiva che il difensore abbia presentato direttamente al giudice
È conosciuti dalle parti ma non dal giudice del dibattimento quindi di regola gli atti in questo contenuti non possono
essere letti né utilizzati per la decisione
L’ACQUISIZIONE CONCORDATA DI ATTI DI INDAGINE: in base al nuovo c. 2 dell’art. 431 «le parti possono concordare
l’acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero nonché della
documentazione relativa all’attività di investigazione difensiva» → una volta inserito, il singolo atto può essere letto
e diventa utilizzabile per la decisione
L’accordo delle parti comunque non ha effetti totalmente dispositivi: il giudice al termine dell’istruzione
dibattimentale se lo ritiene strettamente necessario può disporre anche d’ufficio l’assunzione di mezzi di prova
relativi agli atti acquisiti su accordo delle parti → il giudice così garantisce che le parti non possano arbitrariamente
escludere il contraddittorio che sia indispensabile per accertare i fatti
8. L’impugnazione contro la sentenza di non luogo a procedere
La riforma Orlando ha ripristinato la possibilità di proporre appello contro la sentenza di non luogo a procedere,
anche se vengono escluse quelle relative a contravvenzioni punite con la sola poena dell’ammenda o con pena
alternativa
Possono proporre appello:
- PM: la corte può
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o Confermare la sentenza
o Pronunciare un non luogo a procedere con formula più favorevole all’imputato
- Procuratore della repubblica
- Procuratore generale presso la corte d’appello soltanto nei casi in cui egli abbia esercitato il potere di
avocazione o quando il procuratore della repubblica abbia fatto acquiescenza al provvedimento
- L’imputato, a meno che la sentenza non abbia dichiarato che il fatto non sussiste o che l’imputato non
l’ha commesso: la corte può
o Confermare la sentenza
o Pronunciare un non luogo a procedere con formula più favorevole all’imputato
- La persona offesa nei casi di nullità ex art. 419, VII (contenuto e termine della notificazione): la corte può
o Rigettarlo confermando la sentenza di non luogo a procedere
o Accoglierlo e dichiarare la nullità della sentenza di non luogo a procedere, disponendo la
trasmissione degli atti al giudice perché proceda a rinnovare l’udienza preliminare
Decide la corte d’appello in camera di consiglio, con la sentenza di non luogo a procedere possono ricorrere per
cassazione l’imputato e il procuratore generale ma solamente per:
- Straripamento di potere
- Inosservanza di legge sostanziale e processuale (questa solamente se sanzionata da nullità,
inammissibilità, inutilizzabilità e decadenza)
Sull’impugnazione la cassazione decide in camera di consiglio con contraddittorio scritto
9. La revoca della sentenza di non luogo a procedere
Legittimato a chiedere la revoca della sentenza di non luogo a procedere è soltanto il pubblico ministero, viene
chiesta al gip quando siano presenti nuove fonti di prova che da sole o unitamente a quelle già acquisite possono
determinare il rinvio a giudizio → controllo più rigido rispetto alla richiesta di riapertura delle indagini dopo
l’archiviazione, dal momento che in quel caso è necessario solamente che il pm adduca l’esigenza di nuove
investigazioni
Dopo la sentenza di non luogo a procedere la richiesta di revoca della stessa e di riapertura delle indagini è
subordinata alla presenza di nuove prove di reità:
- Fonte di prova che è stata individuata dopo la sentenza
- È stato raccolto un nuovo elemento di prova che sia da solo che con quelli già acquisiti può determinare
il rinvio a giudizio
Il gip se dichiara ammissibile la richiesta:
- Designa un difensore all’imputato che ne sia privo
- Fissa la data dell’udienza in camera di consiglio
- Ne fa dare avviso a pm, imputato, difensore e alla persona offesa
LE DECISIONI: al termine dell’udienza, il giudice prende una decisione
- Dichiara inammissibile e rigetta la richiesta del pm
- Revoca la sentenza di non luogo a procedere e fisa l’udienza preliminare, solamente quando però il pm
ha chiesto il rinvio a giudizio
- Revoca la sentenza di non luogo a procedere e dispone la riapertura delle indagini, stabilendo un termine
improrogabile non superiore a 6 mesi: entro questo il pm deve concludere le indagini e
o Formulare richiesta di rinvio a giudizio
o Chiedere l’archiviazione
10. Le pronunce che perseguono la deflazione del procedimento penale
Possono anche essere emessi provvedimenti che concludono il procedimento (conclusioni anticipate quindi rispetto
al dibattimento) → l’imputato viene incentivato a chiedere quei provvedimenti che possono portargli vantaggi
rispetto alla sentenza finale pronunciata in dibattimento ma deve richiederli entro la formulazione delle conclusioni
al termine dell’udienza preliminare
Vi sono:
- PROCEDIMENTI SPECIALI CHE ELIMINANO IL DIBATTIMENTO: l’imputato può chiedere patteggiamento,
giudizio abbreviato, e messa alla prova entro però massimo il momento in cui il difensore espone le sue
conclusioni al termine dell’udienza preliminare
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- ISTITUTI DEFLATTIVI DI DIRITTO SOSTANZIALE: permettono al giudice di emettere pronunce concludendo
il procedimento prima del dibattimento
o Oblazione: prima dell’apertura del dibattimento, causa di estinzione del reato
o Particolare tenuità del fatto: sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non è punibile
o Condotte riparatorie: deve aver messo in atto prima dell’apertura del dibattimento

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CAPITOLO 4 (L’investigazione difensiva)
1. Il diritto di difendersi mediante prove
Nel sistema accusatorio il giudice non ha il potere di ricercare le prove; questo spetta unicamente alle parti.
Parimenti, il giudice non può, di regola, ammettere i mezzi di prova d’ufficio; al contrario, può farlo soltanto su
iniziativa delle parti. Nel sistema accusatorio, in definitiva, la prova non è “del giudice”; le prove sono “di parte” nel
senso che in relazione ad esse le parti esercitano il potere di ricerca, di richiesta, di ammissione, di assunzione. Da ciò
deriva che le parti hanno quello che è stato definito “diritto alla prova”. Hanno, cioè, il diritto di ricercare le prove
sulle quali possono basare le proprie richieste, di valutare fino a che punto gli elementi raccolti possano essere
utilizzati vantaggiosamente, di giustificare al giudice la necessità che sia ammesso il relativo mezzo di prova, di Il
diritto alla prova spetta sia al pubblico ministero, sia alle parti private. Per poter funzionare correttamente un
sistema processuale di tipo accusatorio deve necessariamente consentire l’investigazione difensiva; e cioè deve
permettere ai difensori delle parti private di ricercare le fonti, di acquisire gli elementi di prova e di presentarli al
giudice.
2. Il fondamento costituzionale delle indagini difensive
Gli organi pubblici non sono in grado di svolgere le indagini necessarie a tutelare il diritto di difesa dal momento che
sono oberati di lavoro e comunque non spetta a loro il compito di valutare quali elementi devono essere ricercati per
accertare quei fatti che la parte privata ha l’interesse a chiarire → nella separazione delle funzioni, il difensore è
l’organo che meglio di tutti può valutare quali sono le prove meglio adatte a dimostrare l’esistenza di un fatto
affermato da una parte privata e quali domande devono essere rivolte ad un testimone per chiarire se è attendibile
Il fondamento si può trovare nel diritto di difesa che ex costituzione è inviolabile in ogni stato e grado del
procedimento (mentre la libertà personale può essere limitata comunque)
Oltre a questo bisogna anche tenere conto di 2 enunciati dell’art. 111 cost:
- L’espresso riconoscimento del principio della parità delle parti: deve essere colto in base al principio di
adeguatezza quindi il concetto deve adattarsi a
o Tipo di processo
o Natura dell’interesse che la singola parte persegue
- Riconoscimento in capo all’imputato il diritto di disporre del tempo e delle condizioni necessari per
preparare la sua difesa: quindi riconoscimento costituzionale del diritto di svolgere tutte le investigazioni
difensive che sono legate da un immediato nesso funzionale con l’esercizio del diritto d difesa
3. Investigazioni pubbliche e private a confronto
FINALITA’: La finalità delle investigazioni difensive è descritta dall’art. 327-bis.
Il difensore ha facoltà di svolgere investigazioni «per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio
assistito»; pertanto, si tratta di attività compiute per un interesse di tipo privato da un libero professionista.
Il difensore è antagonista dell’accusa all’interno di un processo dialettico, non ha quindi l’obbligo di collaborare nella
ricerca della verità contro il proprio assistito
Il difensore non può introdurre nel processo prove che sa essere false (art. 50, c. 1 del Codice deontologico forense).
Ove lo faccia, egli rischia l’incriminazione per il delitto di favoreggiamento personale (art. 378 c.p.) o per altri reati
specifici.
LA DIFFERENTE REGOLAMENTAZIONE DELLE INVESTIGAZIONI PUBBLICHE E PRIVATE:
- Il pubblico ministero si configura durante le indagini come una parte “potenziale”, che nella sua
caratterizzazione “pubblica” ha un obbligo di lealtà processuale. Ai sensi dell’art. 358, egli è tenuto a fare
sia nell’interesse della Giustizia, sia nel suo interesse di parte che potrebbe vedere respinta la propria
domanda, ove tali fatti fossero successivamente accertati di fronte al giudice.
- Il difensore invece ha un dovere di correttezza, ma non ha l’obbligo di ricercare e di presentare al giudice
gli elementi sfavorevoli alla parte assistita → collabora quindi all’accertamento della verità limitandosi a
presentare gli elementi a favore del cliente perseguendo un interesse privato (ha quindi la libertà di
valutare se un elemento di prova è favorevole alla richiesta che intende rivolgere al giudice)
4. I soggetti dell’investigazione difensiva
IL DIFENSORE: Ai sensi dell’art. 327-bis il titolare del potere di svolgere investigazioni difensive è il difensore
dell’indagato e dell’offeso.
La titolarità deriva dal conferimento dell’incarico professionale perché deriva da un atto scritto
156
Il potere di investigazione è riconosciuto dalla legge in ogni stato e grado del procedimento, nel corso
dell’esecuzione penale o per promuovere il giudizio di revisione (art. 327- bis, c. 2).
L’ATTIVITA’ INVESTIGATIVA PREVENTIVA: l’attività investigativa c.d. “preventiva” è svolta «per l’eventualità che si
instauri un procedimento penale» (art. 391-nonies).
La nomina deve essere effettuata mediante mandato con sottoscrizione autenticata e che reca l’indicazione dei fatti
ai quali si riferisce → il mandato ha, tra l’altro, la funzione di tutelare il difensore nei suoi rapporti con l’autorità
giudiziaria e con il cliente.
Le parti private potenziali possono incaricare il difensore anche prima che la notizia di reato sia iscritta nel registro
Ad una persona può derivare un pregiudizio irrimediabile per il solo fatto che sia presentata una denuncia o che un
altro imputato abbia fatto una chiamata in correità → da ciò deriva la necessità che il difensore dell’interessato
proceda ad indagini per sostenere la propria versione dei fatti (analogo potere spetta comunque anche alla persona
offesa)
In sede di indagini preventive il difensore può svolgere gli atti disciplinati dal codice tranne quelli che richiedono
l’autorizzazione o l’intervento dell’autorità giudiziaria
IL SOSTITUTO: poiché il difensore non può occuparsi personalmente di tutte le indagini relative ai vari procedimenti
che gli sono affidati, vi è la possibilità che le attività di investigazione siano svolte dal sostituto, da investigatori
privati autorizzati e da consulenti tecnici (art. 327-bis, c. 3) → dal momento che le investigazioni di queste sono
compiute su incarico del difensore comunque lui ne rimane il titolare esclusivo del relativo potere investigativo
L’INVESTIGATORE PRIVATO AUTORIZZATO: l’art. 222 delle disposizioni di attuazione del codice di
procedura penale delinea la figura dell’investigatore privato «autorizzato» → l’autorizzazione richiesta si configura
come una ulteriore autorizzazione concessa dal prefetto a colui che è già investigatore privato e che quinti in
precedenza ha ottenuto la licenza
I SOGGETTI LEGITTIMATI A SVOLGERE L’INTERVISTA: di regola, il difensore ha facoltà di delegare ai suoi ausiliari
(consulenti ed investigatori) tutte le attività di investigazione difensiva. Circa l’intervista, mentre anche gli ausiliari
possono conferire in modo informale con le persone informate sui fatti, soltanto il difensore ed il suo sostituto
hanno la facoltà di assumere informazioni o ricevere dichiarazioni scritte da tali persone (art. 391-bis, c. 2)
5. L’intervista difensiva
A. LA REGOLAMENTAZIONE
L’intervista di possibili testimoni e di indagati connessi è il più importante tra gli atti di indagine.
Le modalità consistono in:
- Svolgimento di un colloquio non documentato;
- Nell’assunzione di informazioni da verbalizzare;
- Nel rilascio di una dichiarazione scritta.
Il colloquio informale può essere svolto sia dal difensore che dai suoi ausiliari, mentre le informazioni e le
dichiarazioni possono essere acquisite soltanto dal difensore e dal suo sostituto
L’art. 391-bis esclude dall’intervista alcune persone che sono incompatibili con la qualifica di teste:
- Responsabile civile,
- Civilmente obbligato per la pena pecuniaria,
- Del giudice,
- Del pubblico ministero e dei loro ausiliari,
- I difensori e i loro ausiliari che abbiano svolto o verbalizzato altre interviste nel medesimo procedimento
(art. 197, c. 1, lett. c e d): il difensore ha infatti il divieto di svolgere l’intervista nei confronti della
persona assistita
GLI AVVISI: prima che il colloquio abbia inizio il difensore o il suo ausiliario deve avvertire la persona
intervistata, a pena di inutilizzabilità dell’atto
- Della propria qualità e dello scopo del colloquio;
- Se intende semplicemente conferire ovvero ricevere dichiarazioni o assumere informazioni indicando, in
tal caso, le modalità e la forma di documentazione;
- Dell’obbligo di dichiarare se è sottoposta ad indagini o imputata nello stesso procedimento, in un
procedimento connesso o per un reato collegato;
- Della facoltà di non rispondere o di non rendere la dichiarazione;
157
- Del divieto di rivelare le domande eventualmente rivoltegli dalla polizia giudiziaria o dal pubblico
ministero e le risposte date;
- Delle responsabilità penali conseguenti alla falsa dichiarazione.
Dagli avvisi, che devono essere dati, si ricava che la persona intervistata ha la facoltà di non rispondere
Se il testimone decide di rendere dichiarazioni, egli assume l’obbligo penalmente sanzionato di dire la verità
Le false dichiarazioni del difensore vengono quindi punite con la reclusione fino a 4 anni
B. IL COLLOQUIO NON DOCUMENTATO
La prima modalità dell’intervista consiste nello svolgimento di un colloquio non documentato. Si tratta di un atto che
può essere compiuto anche dagli ausiliari del difensore (consulente tecnico, investigatore privato autorizzato).
È finalizzato a vagliare il possibile testimone per verificare quali sono i fatti che conosce e se egli può fornire elementi
di prova a favore della persona assistita dal difensore
Il colloquio è funzionale ad una eventuale assunzione di informazioni oppure alla richiesta di una dichiarazione
scritta. Il fatto che il colloquio non sia documentato rappresenta una garanzia per il difensore, che può effettuare il
suo vaglio preliminare con notevole libertà
Il codice riconosce anche agli ausiliari del difensore la facoltà di effettuare il colloquio: rilievo, di tipo pratico, che le
attività preliminari sono di regola delegate a tali soggetti
Diversa è l’attività tipica dell’investigatore e del consulente per cercare ed individuare le fonti di prova: espressione
di libertà costituzionale quindi è esclusa dall’art. 391-bis
C. L’ASSUZIONE DI PROVE E LA RELATIVA VERBALIZZAZIONE
L’assunzione di informazioni costituisce il modello principale di intervista. Di regola il difensore potrà chiedere al
possibile testimone di narrare liberamente quanto è a sua conoscenza, oppure può condurre l’intervista formulando
domande. È anche possibile che la narrazione sia guidata dalle domande di colui che conduce l’intervista.
Una volta che il difensore di documentare le informazioni, queste devono essere verbalizzate secondo le regole
ordinarie in quanto applicabili, con la particolarità che in questo caso è il difensore medesimo a provvedere alla
verbalizzazione
LE DICHIARAZIONE AUTOINCRIMINANTI: nell’ipotesi in cui la persona che sia stata sentita in qualità di possibile
testimone, renda nel corso delle informazioni una dichiarazione dalla quale emergano indizi a proprio carico, la
normativa è analoga a quella vigente per l’autorità giudiziaria → il difensore o il sostituto devono quindi
interrompere l’assunzione delle informazioni e le precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzate contro la
persona che le ha rese
Possono quindi essere usate contro le altre persone secondo le ordinarie modalità
D. LA DICHIARAZIONE SCRITTA
L’ultima modalità di intervista consiste nel richiedere al possibile testimone o all’imputato il rilascio di una
dichiarazione scritta. La dichiarazione resa dalla persona intervistata deve essere da lei sottoscritta; il difensore o il
sostituto autenticano la firma. Quindi, l’intervistatore deve redigere una relazione, che è allegata alla dichiarazione
(art. 391-ter c. 2). Nella relazione devono essere riportati:
- La data in cui la dichiarazione è stata ricevuta;
- Le generalità del difensore (o del sostituto) e della persona che ha rilasciato la dichiarazione;
- L’attestazione di aver rivolto gli avvertimenti previsti dalle disposizioni generali relative all’intervista;
- I fatti sui quali verte la dichiarazione.
Le modalità di utilizzazione sono identiche a quelle previste in relazione al verbale relativo all’assunzione di
informazioni
E. L’AUDIZIONE DELLA PERSONA CHE SI È AVVALSA DELLA FACOLTA’ DI NON RISPONDERE
La persona sentita dal difensore ha la facoltà di non rispondere o di non rendere la dichiarazione richiesta. Il
difensore può chiedere che la persona sia sentita con incidente probatorio anche fuori dei casi di non rinviabilità
disciplinati dall’art. 392; o può chiedere al pubblico ministero di disporre l’audizione del possibile testimone.
L’INCIDENTE PROBATORIO: si procede con incidente probatorio all’escussione del testimone o all’esame
dell’imputato connesso che si siano avvalsi della facoltà di non rispondere (art. 391-bis, c. 11).
L’AUDIZIONE PRESSO IL PUBBLICO MINISTERO: il difensore può chiedere al pubblico ministero l’audizione del
dichiarante che si sia avvalso della facoltà di non rispondere; ma la richiesta può essere rivolta alla pubblica accusa
soltanto in relazione al possibile testimone. Il difensore deve indicare al pubblico ministero le circostanze in relazione
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alle quali vuole che la persona sia sentita e le ragioni per le quali le circostanze medesime sono utili ai fini delle
indagini.
Oggi la legge punisce con la pena della reclusione fino a quattro anni la persona che di fronte al pubblico ministero
rende dichiarazioni false o tace, in tutto o in parte, ciò che sa (art. 371-bis c.p.).
6. La presentazione della documentazione difensiva
LA FACOLTA’ DI DEPOSITARE LA DOCUMENTAZIONE DIFENSIVA: il difensore ha, di regola, la facoltà e non l’obbligo di
presentare agli inquirenti pubblici e al giudice la documentazione dell’attività di indagine difensiva svolta → il
difensore palesa al giudice solamente quell’aspetto dei fatti favorevole al proprio cliente
Il difensore ha la facoltà di presentare al pm gli elementi di prova in favore del proprio assistito, logicamente ha
interesse ad avvalersene tutte le volte che ritiene possibile indurre il pm a prendere una decisione in favore del
proprio cliente, mentre negli altri casi la difesa presenterà direttamente al giudice gli atti favorevoli all’assistito
Il difensore ha la possibilità di presentare gli elementi difensivi direttamente al giudice → quando il giudice nelle
indagini preliminari o nell’udienza preliminari,
- Deve adottare una decisione con l’intervento della parte privata assistita dal difensore
- Deve adottare una decisione per la quale non viene previsto l’intervento della persona assistita
7. Le altre attività di investigazione difensiva
CONSIDERAZIONI GENERALI: la legge n. 397/2000 ha previsto una serie di attività di indagine tipiche, ulteriori
rispetto all’intervista, che di regola possono essere svolte sia dal difensore, sia dai suoi ausiliari → il difensore non è
muniti di poteri coercitivi e nel corso delle investigazioni agisce come privato
Quindi ogni volta che le sue attività comportano una compressione dei diritti di libertà dei cittadini interessati
dall’investigazione, il difensore necessita della collaborazione quindi qualora questi si oppongano il difensore può
ricorrere al pm o al giudice per superarla
LA RICHIESTA DI DOCUMENTI ALLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: il primo atto di indagine consiste nella richiesta di
documentazione alla pubblica amministrazione (art. 391-quater) → atto riservato alla titolarità esclusiva del
difensore
Se risulta necessario per le indagini, il difensore «può chiedere i documenti in possesso della pubblica
amministrazione» ed estrarne copia a sue spese
L’ACCESSO AI LUOGHI: nel corso delle investigazioni, il difensore o i suoi ausiliari possono avere necessità di visionare
i luoghi o le cose pertinenti al reato ovvero di procedere alla descrizione degli stessi o infine di eseguire rilievi tecnici,
grafici, planimetrici, fotografici o audiovisivi (art. 391-sexies) → al difensore sono permesse quelle attività che
escludono ogni alterazione dello stato dei luoghi e delle cose
L’esame o il sopralluogo hanno come esito, ma non necessariamente, la redazione di un verbale nel quale sono
riportati:
- La data e il luogo dell’accesso;
- Le generalità delle persone intervenute e quelle del verbalizzante;
- La descrizione dello stato dei luoghi e delle cose;
- L’indicazione degli eventuali rilievi tecnici, grafici, planimetrici, fotografici o audiovisivi eseguiti, che
fanno parte integrante dell’atto e sono allegati al medesimo. Il verbale è sottoscritto dalle persone
intervenute.
Quando l’accesso riguarda luoghi privati o non aperti al pubblico, il difensore e i suoi ausiliari devono sollecitare il
consenso di chi ne ha la disponibilità → se non viene rilasciato, può essere sollecitato l’intervento del giudice che
autorizza l’accesso con decreto motivato che specifica le modalità in concreto
Non è consentito l’accesso ai luoghi di abitazione o alle loro pertinenze a meno che sia necessario accertare le tracce
e gli altri effetti materiali del reato
8. La consulenza tecnica fuori dai casi di perizia
LA CONSULENZA TECNICA PRIVATA: l’indagato e l’offeso mediante i rispettivi difensori possono nominare consulenti
tecnici di parte al fine di svolgere investigazioni specialistiche al di fuori della perizia e anche se questa non è stata
disposta → si configura un vero e proprio diritto alla prova scientifica
2 direzioni di potenziamento dei poteri delle parti private:
- Più poteri partecipativi: il difensore quindi mediante un suo esperto può venire a conoscenza e operare
valutazioni sul materiale già raccolto dal pm → si evita che l’accusa dal momento che giunge per prima
159
alla raccolta degli elementi probatori, può compromettere le esigenze investigative della difesa fino al
momento dell’esercizio dell’azione penale
3 fronti:
o Il consulente della difesa può esaminare le cose sequestrate nel luogo in cui esse si trovano: può
quindi comportare rilievi tali da non comportare una alterazione irreversibile dell’oggetto
o Il consulente può intervenire sulle ispezioni compiute dagli organi di accusa: il difensore ha diritto di
assistervi con preavviso dal momento che sono atti garantiti
Dal momento che comunque la partecipazione del difensore spesso può risultare non sufficiente per
la sua mancanza di conoscenze tecniche nelle materie di discussione, la partecipazione del
consulente si ritiene renda ancora più efficace il diritto alla prova
Si intendono nella norma che deve essere interpretata con una accezione ampia sia le ispezioni
personali che quelle locali
o Il consulente può esaminare l’oggetto delle ispezioni alle quali il consulente non è intervenuto: viene
richiesto che il giudice disponga l’accesso del consulente con un decreto
Il consulente tecnico comunque ha sempre bisogno dell’autorizzazione dell’autorità giudiziaria
- La difesa può procedere in alternativa e autonomamente dal pm al compimento di atti irripetibili
GLI ACCERTAMENTI TECNICI NON RIPETIBILI COMPIUTI DAL DIFENSORE: attività di acquisizione e valutazione di dati
tecnici compiute su persone, cose o luoghi il cui stato è soggetto a modificazione o comunque attività che
determinano esse stesse la modifica delle cose, luoghi o persone
ATTI NON RIPETIBILI: in relazione al dibattimento, tutti quegli atti che non vi potranno essere esperiti in modo utile
→ 2 specie di irripetibilità:
- Legato al concetto di urgenza, e consegue al naturale deperimento della cosa per agenti naturali o
comunque esterni al procedimento penale → sono comunque fruttuosamente esperibili più di una volta
da parte di soggetti diversi
- Assoluta, consegue all’esperimento dell’atto stesso quindi non può più essere utilmente compiuto →
solamente in questa ipotesi la parte che procede all’atto può ledere il diritto alla prova spettante alle
controparti
Quando il difensore sta per compiere un accertamento non ripetibile ne deve dare comunicazione al pm per
l’esercizio delle facoltà previste ex art. 360 in quanto compatibili (accertamenti tecnici non ripetibili) → il pm ha 3
possibilità:
- Assistere all’accertamento condotto dal consulente privato sia personalmente che mediante consulente
- Procedere ad un proprio accertamento tecnico non ripetibile alla presenta del consulente tecnico del
difensore
- Esercitare le facoltà previste ex art. 360 in quanto compatibili
La clausola di compatibilità impone di interpretare l’art. 360 invertendo le parti: al pm vengono attribuiti i poteri che
attribuisce invece alla difesa nel corso degli accertamenti tecnici non ripetibili compiuti dalla pubblica accusa
Il pm quindi quando avvisato dal difensore, può formulare riserva di incidente probatorio → la difesa gode della
possibilità di procedere comunque all’accertamento tecnico quando questo atto sia ritenuto non differibile (come
viene previsto ex art. 360 per il pm)
VERBALE DEGLI ACCERTAMENTI TECNICI NON DIFFERIBILI: compiuti dal difensore deve essere inserito nel fascicolo
del dibattimento
- Conferisce valore probatorio agli atti irripetibili compiuti dalla difesa
- Tende a favorire il contraddittorio nel compimento di tali atti
9. Le modalità di utilizzazione degli atti di investigazione difensiva
La documentazione presentata al gip viene inserita in un apposito fascicolo, formato e conservato presso l’ufficio del
giudice e denominato fascicolo del difensore
Il pm può prendere visione ed estrarre copia soltanto quando viene adottata una decisione su richiesta delle altre
parti o con il loro intervento
Dopo la chiusura delle indagini preliminari, il fascicolo del difensore confluisce nel fascicolo unico delle indagini
LA FORMAZIONE DEI FASCICOLI: una volta conclusasi l’udienza preliminare con il decreto che dispone il giudizio, il
giudice provvede nel contraddittorio delle parti a formare il fascicolo per il dibattimento inserendovi
160
- I verbali degli atti non ripetibili compiuti dal difensore
- La documentazione degli atti non ripetibili compiuti in occasione dell’accesso ai luoghi, presentata nel
corso delle indagini e dell’udienza preliminari → non si applica al documento che è mezzo di prova
- La documentazione degli accertamenti tecnici non ripetibili compiuti dal consulente tecnico di parte
privata su iniziativa del difensore
Gli altri atti di investigazione difensiva non menzionati in quanto ripetibili sono inseriti nel fascicolo del pm che ha
carattere residuale
UTILIZZABILITA’ IN DIBATTIMENTO: gli atti di indagine difensiva seguono il regime di utilizzabilità proprio del
fascicolo nel quale sono inseriti → quindi mentre quelli nel fascicolo per il dibattimento possono essere letti ed
utilizzati dal giudice, quello in quello del pm possono essere utilizzati per le contestazioni probatorie alla stregua dei
verbali delle dichiarazioni raccolte dall’inquirente

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CAPITOLO 5 (Il giudizio di primo grado)
SEZIONE 1 (I principi che regolano il procedimento)
1. Le disposizioni generali sul dibattimento
Nel dibattimento la formazione della prova avviene nel contraddittorio: le parti pongono direttamente le domande
alle persone esaminate → immediatezza tra la formazione delle prove e la decisione, il giudice decide dopo aver
assistito all’assunzione delle prove
Il dibattimento comunque si dovrebbe svolgere in udienze per lo più ravvicinate nel tempo (istituto che
maggiormente rispetta le caratteristiche del sistema accusatorio)
Il dibattimento comunque non accoglie la struttura del processo di parti
IL C.D. PROCESSO DI PARTI: si ha “processo di parti” quando queste ultime dispongono sia dell’oggetto del processo,
sia delle prove.
Il processo penale non accoglie lo schema del processo civile:
- L’azione penale non è disponibile, bensì obbligatoria: il pubblico ministero non può operare transazioni
sull’imputazione (cioè sull’oggetto del processo);
- Le parti non hanno l’esclusiva disponibilità dei mezzi di prova: una volta che sono state acquisite le prove
da esse richieste, il giudice può assumere, nuove prove d’ufficio se risulta assolutamente necessario;
- Il giudice non è vincolato a decidere nei limiti delle richieste delle parti: può assolvere o condannare ad
una pena più grave di quella richiesta dal pubblico ministero. Il giudice nel decidere è vincolato soltanto
all’osservanza della legge.
IL FATTO STORICO ENUNCIATO NELL’IMPUTAZIONE: l’unico vero limite al potere disciplinare del giudice è il fatto
storico enunciato nell’imputazione → il giudice ne può dare una definizione giuridica diversa rispetto a quella
nell’imputazione, purché comunque il reato così definito non ecceda la sua competenza (modificazione quindi del
titolo di reato, la sua qualificazione giuridica)
Se il giudice accerta che il FATTO STORICO È DIVERSO da quello descritto nell’imputazione o comunque contestato in
dibattimento, deve ordinare la trasmissione degli atti al pm perché eserciti nuovamente l’azione penale
I POTERI DEL PRESIDENTE DELL’ORGANO GIUDICANTE: se l’organo è collegiale, ripartizione tra i poteri del presidente
e dell’organo giudicante
- Presidente: poteri di direzione del dibattimento ex: disciplina delle udienze
- Collegio: poteri decisori ex: decisione con ordinanza l’ammissione delle prove richieste dalle parti
Se il giudice è monocratico, tutti i poteri si cumulano nella sua figura
L’UDIENZA: è il tempo di una singola giornata in cui si svolge uno o più processi
(dibattimento: trattazione di una udienza di un determinato processo, quindi può anche durare più udienze se
complesso)
IL VERBALE DELL’UDIENZA viene redatto dall’ausiliario che assiste il giudice e viene inserito nel fascicolo del
dibattimento che può quindi essere consultato dal giudice
Devono essere riprodotte domande e risposte della persona esaminata → valgono anche per il dibattimento le solite
3 forme
Giudizio di primo grado è diviso in 3 fasi:
- Gli atti preliminari al dibattimento: rendono possibile l’attuazione pratica dei principi ispiratori del
dibattimento stesso
- Il dibattimento
- Gli atti successivi al dibattimento
2. La pubblicità delle udienze
- MEDIATA: attuata mediante la possibilità di pubblicare gli atti del dibattimento tramite stampa o altro
mezzo di diffusione → doppia funzione:
o Controllo dell’opinione pubblica sul funzionamento della giustizia
o Manifestazione del pensiero ex art. 21 Cost. mediante cronaca e critica giudiziaria
- IMMEDIATA: viene assicurata dalle modalità di svolgimento dell’udienza che di norma è aperta al
pubblico a pena di nullità (ci sono comunque categorie di persone non ammesse)

162
Eccezione quando il giudice dispone che l’udienza si svolga a porte chiuse: si richiedono comunque
situazioni espressamente previste dalla legge, nelle quali può anche essere limitata la pubblicità mediata
→ la decisione del giudice a riguardo è un vero e proprio dovere imposto dalla legge
IL DIBATTIMENTO A PORTE CHIUSE: ipotesi previste ex art. 472, I e II, si procede a porte chiuse e viene
vietata la pubblicazione degli atti del dibattimento (cosa che invece può essere concessa in altri casi
nonostante il processo si celebri a porte chiuse)
IL REGIME GIURIDICO PRREVISTO PER GLI ATTI DI VIOLENZA SESSUALE ED ASSIMILATI: (anche prostituzione minorile
e tratta di persone) di norma si svolgono a porte aperte anche se
- Offeso adulto: può chiedere che il processo si celebri a porte chiuse
- Offeso minore: il processo si celebra sempre a porte chiuse
A prescindere dal titolo di reato poi:
o Imputato: il processo è sempre a porte chiuse
o Viene semplicemente esaminato: il giudice ha invece il potere discrezionale di disporre il processo a
porte chiuse
LE RIPRESE TELEVISIVE DEL DIBATTIMENTO: sono sempre vietate quando si procede a porte chiuse per motivi di
segretezza o riservatezza, altrimenti il giudice dà l’autorizzazione
- Se vi è il consenso delle parti
- Se sussiste un interesse sociale rilevante alla conoscenza del dibattimento
Se ritiene al contrario che il regolare svolgimento del processo possa trarne pregiudizio, il giudice la vieta
3. I principi del contraddittorio, della concentrazione, dell’oralità e dell’immediatezza
I. CONTRADDITTORIO:
- DEBOLE: negli atti garantiti durante la fase delle indagini preliminari, diritto del difensore di essere
presente ad un atto di indagine e conoscere il relativo verbale (la cui conoscenza comunque è completa
quando il pm invia l’avviso di conclusione delle indagini preliminari)
- FORTE: nel dibattimento, partecipazione delle parti alla formazione della prova che qualora sia orale
avviene nell’esame incrociato che si svolge in dibattimento e nell’incidente probatorio
II. ORALITA’: forma verbale di comunicazione del pensiero consistente nella pronuncia di parole destinate ad essere
udite (si contrappone quindi alla scrittura: comunicazione del pensiero con segni visibili)
È la regola che il codice pone per le dichiarazioni
III. IMMEDIATEZZA: rapporto privo di intermediazione tra acquisizione delle prove e decisione dibattimentale
2 corollari:
- Identità fisica tra il giudice che decide e quello di fronte al quale si svolge il dibattimento (art. 525, II) a
pena di nullità assoluta → il giudice quindi mediante l’esame incrociato valuta l’attendibilità e la
credibilità di ogni dichiarazione garantendo così il diritto alla prova e il principio di immediatezza
- La decisione deve essere basata sulle prove che sono state acquisite in dibattimento: sono utilizzabili
tutte le prove che siano state acquisite legittimamente, non solo quelle orali quindi la norma rinvia alle
disposizioni che stabiliscono quando una norma è legittima
Pur preferendo le prove orali comunque il codice non disconosce forme di acquisizione di prove
precostituite
IV. CONCENTRAZIONE: non devono esservi intervalli tra l’assunzione della prova in udienza, la discussione finale e la
deliberazione della sentenza → la decisione è così prodotto fedele delle risultanze del processo, evitando che gli
intervalli di tempo lunghi possano ingannare la memoria del giudice
Ex art. 477, I: quando non è assolutamente possibile esaurire il dibattimento in una sola udienza, il presidente dispone
che esso venga proseguito nel giorno seguente non festivo
Ex art. 525, I: la sentenza è deliberata subito dopo la chiusura del dibattimento
Viene concretamente però violato spesso a causa delle strutture e dei mezzi carenti dell’organizzazione della
giustizia anche fino alla mancata applicazione della pena
LA PRIORITA’ DI TRATTAZIONE DI DETERMINATI PROCEDIMENTI: i dirigenti degli uffici giudicanti devono assicurare
ad alcuni procedimenti con i provvedimenti organizzativi necessari la rapidità in
- Formazione dei ruoli di udienza
- Trattazione dei medesimi
163
Vengono quindi elencati i reati più gravi in relazione ai quali deve essere accordata la priorità:
- Delitti più gravi: reclusione non inferiore nel max a 4 anni
- Delitti che destano allarme sociale ex: associazione mafiosa, terrorismo ecc
- Rito direttissimo obbligatorio
- Giudizio immediato obbligatorio
- Procedimenti in relazione ad imputati detenuti
- Processi per i delitti più gravi contro la pubblica amministrazione
Viene quindi limitata la discrezionalità prima lasciata ai dirigenti degli uffici giudicanti
Ha comportato però la prescrizione per altri reati meno gravi la cui repressione è comunque fondamentale per la
pace sociale → molti quindi si vedono rinviare continuamente le udienze
SEZIONE II (Gli atti preliminari al dibattimento)
4. La funzione degli atti preliminari al dibattimento
A. CONSIDERAZIONI GENERALI
La sottofase degli atti preliminari ha
- Inizio quando la cancelleria del giudice competente a riceve il decreto che dispone il giudizio ed il
fascicolo per il dibattimento
- Fine quando in udienza il presidente dell’organo giudicante dichiara aperto il dibattimento
Compiono attività sia le parti che il presidente mentre l’intervento del collegio è solamente eventuale e nell’ipotesi
in cui sia pronunciato il proscioglimento anticipato
Al termine dell’udienza preliminare, nel momento in cui redige il decreto che dispone il giudizio, il giudice chiede al
presidente dell’organo competente il giorno e l’ora dell’udienza dibattimentale. Di essi è data comunicazione alle
parti presenti all’udienza preliminare mediante lettura del decreto mentre per le parti assenti esso è notificato
almeno 20 giorni prima della data dell’udienza dibattimentale
In caso di fatti imprevisti, il presidente dell’organo giudicante può anticipare o differire l’udienza per giustificati
motivi dandone comunicazione alle parti
LA FUNZIONE NECESSARIA PRIMA DELL’UDIENZA: la fase degli atti preliminari al dibattimento svolge la funzione di
svelare quali sono i testimoni, consulenti tecnici, periti e imputati connessi dei quali una parte intende
chiedere l’ammissione in dibattimento al momento delle richieste di prova; a tale scopo ogni parte ha l’onere di
depositare una lista contenente i nomi delle persone menzionate e le circostanze sulle quali deve vertere l’esame
(art. 468, c. 1).
LE ALTRE FUNZIONI:
- Ottenere dal presidente del collegio giudicante l’autorizzazione alla citazione dei testimoni, consulenti
tecnici, periti e imputati connessi (art. 468, c. 2);
- Permettere l’assunzione di prove urgenti (art. 467);
- Permettere la pronuncia di una sentenza anticipata di proscioglimento (art. 469)
- Assicurare la costituzione delle parti (art. 484, II-BIS)
- Consentire la trattazione delle questioni preliminari (art. 491)
B. LA LISTA DEI TESTIMONI, CONSULENTI TECNICI, PERITI E IMPUTATI CONNESSI
In base all’art. 468, c. 1, le parti che intendono chiedere l’esame di testimoni, periti, consulenti tecnici e imputati
connessi o collegati devono depositare in cancelleria, almeno sette giorni prima della data fissata per il dibattimento,
la lista con la indicazione delle circostanze su cui deve vertere l’esame.
L’INDICAZONE DEI MEZZI DA ASSUMERE A PROVA PRINCIPALE: il codice impone un vero e proprio “onere” di svelare
in anticipo i mezzi di prova dichiarativa che la parte intende assumere in dibattimento a titolo di prova principale e le
circostanze su cui deve vertere l’esame → prova PRINCIPALE: tende a dimostrare l’esistenza di un fatto che la parte
stessa afferma essere accaduto
In caso di inosservanza di tale onere, scatta la sanzione della inammissibilità: dal momento che tocca la domanda di
ammissione relativa a quel mezzo di prova che viene presentata in dibattimenti in corso di richieste di prova, il
giudice non deve neanche valutarla
Nella lista devono essere indicati i testimoni, periti o consulenti tecnici e imputati connessi e collegati che una parte
intende sentire in dibattimento. Non devono essere indicate le parti private, perché queste godono del potere di non
consentire all’esame. La dottrina tradizionale ritiene che la funzione della lista sia quella di permettere la discovery, e
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cioè di assicurare una previa conoscenza alle altre parti, in modo da evitare “prove a sorpresa”. In effetti, ciascuna
delle parti ha diritto ad esaminare in cancelleria le liste presentate dalle altre parti ed in tal modo può conoscere per
tempo quella che sarà la prevedibile richiesta di ammissione di prove che le altre parti formuleranno nel corso delle
richieste introduttive.
IL DIRITTO ALL’AMMISSIONE DELLA PROVA CONTRARIA: le funzioni delle liste
- Mettere in grado ciascuna delle parti di esercitare il proprio diritto all’ammissione della prova contraria
(art. 468, c. 4)
- Chiedendo l’autorizzazione alla citazione a prova contraria di testimoni, periti, consulenti tecnici,
imputati connessi o collegati che comunque non siano compresi nella propria lista
- Presentandoli direttamente in dibattimento a prova contraria e chiederne l’ammissione nelle
richieste di prova
Prova contraria: tende a negare l’esistenza di un fatto affermato da una prova principale, può essere sia
la prova negativa del medesimo fatto che quella anche affermativa ma di un altro fatto che però è
incompatibile con l’esistenza del primo
- Permettere alle parti di preparare il controesame che intendono svolgere nei confronti dei dichiaranti.
Le parti private in questa fase hanno piena conoscenza degli atti raccolti nelle indagini e nell’udienza preliminare, in
quanto esse hanno potuto prendere visione del fascicolo per il dibattimento e il fascicolo del pubblico ministero.
Pertanto tutte le parti sono in grado di indicare quali sono le persone che vogliono chiamare a deporre a prova
principale; per cui possono valutare la convenienza di chiedere l’ammissione di altre persone «a prova contraria».
Il termine massimo per esercitare il diritto alla prova contraria è il momento delle richieste di prova
Il presidente deve in ogni caso disporre la citazione del perito nominato nell’incidente probatorio (art. 468, c. 5).
C. L’AUTORIZZAZIONE A CITARE I DICHIARANTI (prima funzione)
Le parti, se vogliono rendere obbligatoria la presenza dei testimoni dei quali vogliono ottenere l’esame in
dibattimento, hanno l’onere di chiederne la citazione. Il presidente la autorizza escludendo le testimonianze vietate
dalla legge e quelle manifestamente sovrabbondanti (art. 468, c. 2).
La richiesta può essere presentata anche per i soggetti di cui si vuole ottenere in dibattimento l’esame a prova
contraria: deve essere presentata in tempo utile perché la citazione possa avvenire per il dibattimento e comunque
non opera il limite di 7 giorni liberi prima del dibattimento
Il presidente può disporre la citazione per la data fissata per il dibattimento o per altre successive udienze nelle quali
sia previsto l’esame
La prima udienza è quindi diventata una udienza di comparizione delle parti
D. L’ASSUNZIONE DI PROVE URGENTI (seconda funzione)
“prove urgenti”: non rinviabili al dibattimento.
L’assunzione di tali prove è richiesta dalle parti al presidente del collegio giudicante, nei casi previsti dall’art. 392,
cioè quando è possibile procedere a incidente probatorio. Qualora il presidente accolga la richiesta, le prove urgenti
sono assunte in una udienza che si svolge in forme diverse da quelle previste per l’incidente probatorio, in una vera e
propria udienza dibattimentale anticipata, che si celebra con la presenza del pubblico; tuttavia non interviene il
collegio giudicante, ma soltanto il presidente dello stesso
E. LA PRONUNCIA DELLA SENTENZA ANTICIPATA DI SCIOGLIMENTO (terza funzione)
Permettere l’emissione di una sentenza anticipata di proscioglimento nei casi nei quali l’azione penale
- Non doveva essere iniziata (es. mancanza della querela)
- Non deve essere proseguita (es. perché è stato confermato il segreto di Stato),
- Nei casi nei quali il reato è estinto (es. amnistia o prescrizione).
La sentenza può essere emessa solo:
- Quando non è necessario assumere prove in dibattimento;
- L’imputato ed il pubblico ministero non si oppongano
La sentenza di non doversi procedere è emessa dal collegio giudicante in camera di consiglio «sentiti il pubblico
ministero e l’imputato» ed è inappellabile → viene pronunciata nell’udienza già fissata per il dibattimento ma prima
della dichiarazione di apertura del medesimo
Ove dagli atti appaia evidente l’innocenza dell’imputato (ad es. a seguito dell’assunzione delle prove urgenti) il
giudice non può pronunciare sentenza anticipata di proscioglimenti, bensì deve procedere a dibattimento: la
165
ristrettezza delle formalità di questa fase non permette di riconoscere all’imputato il diritto al proscioglimento nel
merito dal momento che presuppone l’instaurazione di un giudizio in senso proprio
LA PARTICOLARE TENUITA’ DEL FATTO: può essere pronunciata sentenza anticipata di proscioglimento, viene
richiesto
- La mancata opposizione del pm e dell’imputato
- La persona offesa sia stata previamente ascoltata in camera di consiglio
- Se comparso, deve essere sentito anche l’imputato
F. LE INDAGINI INTEGRATIVE
Una volta che sia stato emesso il decreto che dispone il giudizio, il pubblico ministero e il difensore possono
compiere attività integrativa di indagine con esclusione degli «atti per i quali è prevista la partecipazione
dell’imputato o del difensore di questo» (si possono assumere quindi quegli atti per cui non è necessario dare
preavviso). Ove debba essere assunto un atto che prevede il contraddittorio e tale atto non sia rinviabile al
dibattimento, si deve utilizzare lo strumento dell’assunzione della prova “urgente”. Le indagini integrative sono
sottoposte ad un contraddittorio successivo; la documentazione di tali atti deve essere depositata, con facoltà delle
parti di prenderne visione e di estrarne copia» (art. 430, c. 2); è poi inserita nei fascicoli del pubblico
ministero e del difensore soltanto «quando di essa le parti si sono servite per la formulazione di richieste al giudice
del dibattimento e quest’ultimo le ha accolte» (art. 433, c. 3, mod. dalla legge n. 397/2000). L’art. 430-bis, introdotto
dalla legge n. 479 del 1999, vieta alla polizia giudiziaria, al pubblico ministero ed al difensore di assumere
informazioni dalle persone indicate da altra parte nelle liste testimoniali, a pena di inutilizzabilità delle dichiarazioni
eventualmente raccolte.
5. La costituzione delle parti e le questioni preliminari
In udienza, prima che inizi il dibattimento, si svolgono alcune attività che fanno parte ancora degli atti preliminari al
dibattimento stesso: il controllo della regolare costituzione delle parti (compiuto dal presidente del collegio
giudicante) e la discussione di eventuali questioni preliminari che siano state sollevate dal pubblico ministero o dai
difensori delle parti.
A. IL DIRITTO DELL’IMPUTATO A PARTECIPARE AL DIBATTIMENTO
Il codice vuole garantire in modo rigoroso il diritto dell’imputato a partecipare al processo. In tal senso ha disposto la
legge n. 67 del 2014, in adempimento di obblighi internazionali.
L’art. 484, c. 2-bis, rende applicabili in quanto compatibili le disposizioni degli artt. 420-bis, 420-ter, 420- quater e
420-quinquies, e cioè le disposizioni dell’udienza preliminare che disciplinano il controllo sulla regolarità delle
citazioni, l’assenza dell’imputato e la dichiarazione di sospensione del processo contro l’imputato irreperibile.
I. LA VALUTAZIONE DELLA REGOLARITA’ DELLA NOTIFICA: All’inizio dell’udienza dibattimentale il giudice deve
controllare se vi è stata regolare costituzione delle parti (art. 420, c. 1). Se le parti sono comparse, il verbale
d’udienza documenta se è presente l’imputato, quale è il suo difensore ed, eventualmente, quale avvocato
rappresenta la parte civile, il responsabile civile ed il civilmente obbligato per la pena pecuniaria → termine ultimo
entro il quale il danneggiato dal reato ha facoltà di costituirsi parte civile, comparendo per mezzo di un difensore
(art. 79, c. 1). Il giudice, se accerta la nullità di un avviso o di una notificazione, deve fissare la data della nuova
udienza e deve ordinare la rinnovazione del relativo avviso o notificazione (art. 420, c. 2).
II. L’ASSENZA DEL DIFENSORE: se il difensore dell’imputato non è presente, il giudice designa un sostituto che sia
immediatamente reperibile. Questi esercita i diritti ed assume i doveri del difensore di fiducia o d’ufficio (art. 102, c.
2). Nel caso in cui risulta che l’assenza del difensore è dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per legittimo
impedimento (purché prontamente comunicato), il giudice fissa con ordinanza la data della nuova udienza e ne
dispone la notificazione all’imputato (art. 420- ter, c. 5).
III. LEGITTIMO IMPEDIMENTO DELL’IMPUTATO: dopo la verifica della regolarità della notifica, occorre valutare la
causa della mancata comparizione dell’imputato. Ai sensi dell’art. 420-ter, c. 1, il giudice ha il potere di accertare:
- Se l’imputato ha un legittimo impedimento
- Se questo provoca un’assoluta impossibilità di comparire in udienza
Se le due condizioni sussistono, il giudice deve disporre il rinvio ad una nuova udienza ed ordinare la rinnovazione
dell’avviso.
Se non vi è assoluta impossibilità a comparire, il giudice valuta se disporre di procedersi in assenza dell’imputato

166
IV. L’IMPUTATO CONSIDERATO PRESENTE: ai sensi dell’art. 420-bis, c. 3, l’imputato è «considerato presente» ed è
rappresentato dal difensore quando
- Dopo essersi presentato, si è allontanato dall’udienza
- Presentatosi ad una udienza, non compare ad una successiva
V. L’IMPUTATO CHE HA RINUNCIATO AD ASSISTERE: valida anche se poi ha avuto un legittimo impedimento, il
giudice procede in assenza dell’imputato
VI. L’IMPUTATO DICHIARATO ASSENTE:
- Non ha un legittimo impedimento
- L’impedimento non provoca una assoluta impossibilità di comparire in udienza
Il giudice deve valutare se l’imputato possa essere considerato assente consapevole però del procedimento e il
codice prevede alcuni fatti sintomatici:
- Ha dichiarato o eletto domicilio → non è legittima però se viene fatta nello studio dell’avvocato di fiducia
che l’indagato ancora non conosce
- È stato arrestato, fermato o sottoposto a misura cautelare
- Ha nominato un difensore di fiducia
- Ha ricevuto personalmente la notificazione dell’avviso dell’udienza
Se questi sussistono, il giudice pronuncia ordinanza che dispone di procedere in assenza e l’imputato viene
rappresentato dal difensore
VII. LA SOSPENSIONE DEL PROCESSO NEI CONFRONTI DELL’IMPUTATO IRREPERIBILE: può accadere che nei confronti
dell’imputato non comparso, destinatario di una notifica formalmente valida, risulti impossibile far operare i
meccanismi presuntivi sopra ricordati, quando quindi facciano difetto i fatti sintomatici e non risulti «con certezza»
che l’imputato è a conoscenza del procedimento o si è volontariamente sottratto alla conoscenza dello stesso
Dal momento che le presunzioni risultano disinnescate e il giudice non può dichiarare l’assenza del colpevole, il
giudice deve rinviare l’udienza e disporre che l’avviso sia notificato all’imputato personalmente ad opera della polizia
giudiziaria (art. 420-quater, c. 1).
- Se la notifica ha successo e l’imputato non compare, il giudice dichiara di procedersi in assenza
- Ma se la notifica a mani proprie «non risulta possibile», il giudice deve disporre con ordinanza la
sospensione del processo nei confronti dell’imputato non comparso (art. 420-quater, c. 2).
È, dunque, chiaro che l’area operativa della sospensione finisce per coincidere con le ipotesi nelle quali l’imputato
risulta irreperibile. La sospensione nei confronti dell’irreperibile non può essere disposta se deve essere pronunciata
sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 → le esigenze di giustizia e di tutela quindi della presunzione di
innocenza impongono di pervenire a sentenza anche nei confronti dell’imputato irreperibile
Durante la sospensione del processo è inibita ogni attività, salva l’acquisizione delle prove non rinviabili che il giudice
deve disporre a richiesta di parte con le modalità richieste per il dibattimento (art. 420-quater, c. 3).
L’arresto del procedimento comporta che sia disposta:
- La separazione dagli altri processi riuniti (art. 18, c. 1, lett. b);
- La prescrizione del reato (art. 159, c. 3-bis c.p.)
Infine, la parte civile può iniziare o proseguire l’azione per ottenere la condanna al risarcimento del danno nei
confronti dell’imputato nella sede civile, poiché l’art. 75, c. 3 è stato dichiarato non applicabile.
B. GLI ACCERTAMENTI SUCCESSIVI ALLE ORDINANZE DI PROCEDERSI IN ASSENZA E DI SOSPENSIONE DEL
PROCESSO:
Nel corso dell’udienza preliminare può accadere che il giudice accerti situazioni nelle quali egli deve rivedere
l’ordinanza di procedersi in assenza o l’ordinanza di sospensione del processo per irreperibilità.
LA REVOCA DELL’ORDINANZA DI PROCEDERSI IN ASSENZA: nel corso dell’udienza preliminare, dichiarativa
dell’assenza dell’imputato è revocata anche d’ufficio
MERA COMPARIZIONE TARDIVA: quando l’imputato compare prima della decisione, se non fornisce a prova della
mancata conoscenza incolpevole del processo o della impossibilità di comparire senza sua colpa, si revoca
l’ordinanza e l’udienza prosegue nel modo ordinario
- CON PROVA DELLA MANCATA CONOSCENZA: l’imputato fornisce la prova che
o L’assenza è dovuta ad una colpevole ancata conoscenza della celebrazione del processo

167
o Versava nell’impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo
impedimento e che ciò sia avvenuto con ritardo senza sua colpa
Il giudice deve rinviare l’udienza preliminare e l’imputato può:
o Chiedere l’acquisizione di atti e documenti
o Rendere dichiarazioni spontanee
o Chiedere il rito abbreviato o il patteggiamento
L’ACCERTAMENTO DELLA MANCATA CONOSCENZA DEL PROCEDIMENTO: revoca dell’ordinanza di procedersi in
assenza quando il giudice accerta in positivo che esistevano le condizioni per dichiarare la sospensione del processo
contro l’irreperibile, quindi deve ordinare alla polizia giudiziaria il tentativo di notifica personale della vocatio in
iudicium
LA REVOCA DELL’ORDINANZA DI SOSPENSIONE DEL PROCESSO: allo scadere di 1 anno dalla pronuncia dell’ordinanza
di sospensione del processo o anche prima se ce ne è l’esigenza, il giudice dispone nuove ricerche dell’imputato per
la notifica dell’avviso dell’udienza che il giudice ha rinviato all’anno successivo
Il giudice deve revocare l’ordinanza di sospensione del processo quando:
- Le ricerche hanno avuto esito positivo
- L’imputato ha nominato un difensore di fiducia nel frattempo
- Quando vi sia prova certa della conoscenza dell’imputato del procedimento nei suoi confronti
- Se deve essere pronunciato il proscioglimento
Il giudice quindi con la stessa ordinanza fissa la nuova udienza disponendo che l’avviso sia notificato a:
- Imputato e suo difensore, che può anche chiedere il giudizio abbreviato o il patteggiamento
- Parti private
- Offeso
- Pm
All’udienza l’imputato può chiedere il giudizio abbreviato o il patteggiamento
C. LE QUESTIONI PRELIMINARI
Dopo che è stato compiuto l’accertamento della costituzione delle parti vi è la possibilità, per le parti stesse, di
proporre eventuali questioni preliminari; dopo tale momento, le questioni di regola sono precluse → eccezione:
alcune possono essere discusse successivamente se la possibilità di proporle sorge solamente durante il
dibattimento
SEZIONE III (Il dibattimento)
6. L’apertura del dibattimento e le richieste di prova
Il presidente dichiara aperto il dibattimento e fa dare lettura dell’imputazione: esso costituisce il momento principale
della fase del giudizio di primo grado e il suo nucleo centrale è l’istruzione dibattimentale, nella quale la prova si
forma nel contraddittorio delle parti mediante l’esame incrociato. Il dibattimento:
- Si apre con la lettura del capo d’imputazione (art. 492),
- Prosegue con le richieste di prove e l’istruzione dibattimentale,
- Termina con la discussione delle parti (art. 423).
A. LE RICHIESTE DI PROVA
Sono presentate da:
i. Pm
ii. Difensore delle parti private eventuali
iii. Difensore dell’imputato
Nelle richieste la singola parte indica i fatti che intende provare e chiede l’ammissione delle relative prove
L’ORDINE DELLE RICHIESTE: l’ordine in cui le parti formulano le proprie richieste rispecchia il principio dell’onere
della prova: per primi parlano il pubblico ministero e la parte civile. La difesa ha il diritto di sapere quali sono le prove
che l’accusa intende presentare, prima di dover chiedere l’ammissione delle proprie. In precedenza, al momento del
deposito delle liste testimoniali, ogni parte ha indicato le persone delle quali intende chiedere l’escussione a prova
principale e le circostanze sulle quali deve vertere l’esame (art. 468). Nel momento delle richieste di prova occorre
che ciascuna parte chieda l’ammissione di tutte le prove (sia orali, sia reali) delle quali intende servirsi. In particolare,
le parti devono precisare anche le fonti che intendono assumere “a prova contraria”, e cioè per contrastare prove

168
richieste da un’altra parte → nei limiti del prevedibile quindi le richieste vogliono delineare l’oggetto dell’istruzione
dibattimentale
L’INDICAZIONE DEI FATTI DA PROVARE: poiché l’organo giudicante non conosce le indagini svolte, spetta alle
parti, titolari del diritto alla prova, di presentare le richieste di ammissione dei mezzi di prova; la richiesta di
ammissione è valutata dal giudice nella sua pertinenza e rilevanza in relazione al fatto che deve essere
provato (tema di prova) → nel caso di:
- Pm: fatti che dimostrano l’esistenza del fatto storico descritto dall’imputazione
- Imputato: fatti che sostengono la linea difensiva
IL DIVIETO DI LETTURA DI ATTI DI INDAGINE: l’art. 493, c. 4 precisa che nel corso delle richieste di prova il presidente
«impedisce ogni divagazione, ripetizione e interruzione e ogni lettura o esposizione del contenuto degli atti compiuti
durante le indagini preliminari». L’espressa previsione intende contrastare la prassi, seguita da alcuni pubblici
ministeri, di leggere memorie nelle quali si dava ampio spazio ad atti di indagine, la conoscenza dei quali è preclusa
al giudice del dibattimento. Il giudice conosce soltanto il fascicolo per il dibattimento, mentre non può leggere quello
del pubblico ministero.
Non si parla più neanche oramai di “esposizione introduttiva” dal momento che si vuole impedire che in quel
momento le parti facciano il resoconto delle indagini svolte → si vuole mantenere il giudice psichicamente neutrale
B. I CRITERI DI AMMISSIONE DELLE PROVE
Il giudice deve ammettere la prova quando essa è pertinente e quando vi sia anche soltanto il dubbio che possa
essere rilevante e non sovrabbondante; deve essere esclusa la prova vietata dalla legge. Le parti hanno un vero e
proprio «diritto alla prova» e ciò comporta per il giudice il dovere di motivare l’ordinanza che rigetta la richiesta di
ammissione; l’impugnazione contro l’ordinanza potrà essere proposta soltanto unitamente a quella contro la
sentenza.
L’AMMISSIONE DELLA PROVA CONTRARIA: ai sensi dell’art. 495, c. 2, «l’imputato ha diritto all’ammissione delle
prove indicate a discarico sui fatti costituenti oggetto delle prove a carico; lo stesso diritto spetta al pubblico
ministero in ordine alle prove a carico dell’imputato sui fatti costituenti oggetto delle prove a discarico». La prova
può essere definita contraria quando tende a negare l’esistenza del fatto affermato dalla prova principale. La prova
contraria, se tende a negare l’esistenza del medesimo fatto, è per legge pertinente.
Il giudice deve comunque valutare che la prova anche se contraria non sia manifestatamente irrilevante, quindi
l’ammissione è disposta quando vi è soltanto il dubbio che essa possa fornire un contributo idoneo per la decisione
C. LA PRECLUSIONE DERIVANTE DALLA MANCATA PRESENTAZIONE DELLA LISTA DEI TESTIMONI
L’art. 468, c. 1 impone alle parti a pena di inammissibilità di presentare almeno sette giorni prima della data del
dibattimento la lista delle persone delle quali intendono chiedere l’esame. Ove il nome del singolo dichiarante
(testimone, imputato connesso, perito o consulente tecnico) non sia stato inserito nella lista, la richiesta di sentirlo in
dibattimento è inammissibile. Tale sanzione ha lo scopo di permettere alle altre parti di esercitare il diritto alla prova
contraria. Tuttavia, il successivo art. 493, c. 2 ammette che il giudice possa acquisire le prove non indicate nella lista
quando la parte che le richiede dimostra di non averle potute indicare tempestivamente → le parti possono ancora
chiedere l’ammissione di prove, ma non hanno il “diritto” di ottenere un provvedimento in tal senso, poiché la loro
richiesta è subordinata al potere discrezionale del giudice di ammettere le nuove prove, quando queste ultime siano
«assolutamente» necessarie per accertare il fatto storico.
LE DICHIARAZIONI SPONTANEE: dopo che le parti hanno formulato le proprie richieste di prova, il presidente informa
l’imputato che egli ha la facoltà di rendere in ogni stato del dibattimento le «dichiarazioni che ritiene opportune,
purché esse si riferiscano all’oggetto dell’imputazione e non intralcino l’istruzione dibattimentale» (art. 494, c. 1).
Queste dichiarazioni, denominate «spontanee», sono un atto diverso dall’esame dell’imputato in quanto l’imputato
non si offre al controesame della parte avente un interesse opposto; e pertanto non rischia di essere messo in
difficoltà da domande della controparte.
D. LA DECISIONE SULLA RICHIESTA DI AMMISSIONE
Il giudice decide senza ritardo con ordinanza (art. 190); le parti, infatti, hanno il diritto ad una tempestiva pronuncia
giudiziale, poiché è indispensabile sapere subito quali sono i mezzi di prova di cui possono disporre nel momento in
cui stanno per affrontare l’istruzione dibattimentale.
E. L’ACQUISIZIONE CONCORDATA DI ATTI DI INDAGINE

169
È consentita l’acquisizione concordata al fascicolo del dibattimento di «atti contenuti nel fascicolo del pubblico
ministero, nonché della documentazione relativa all’attività di investigazione difensiva» (art. 493, c. 3). Si tratta di
una previsione identica a quella che opera al momento della formazione del fascicolo per il dibattimento al termine
dell’udienza preliminare → questa facoltà si ritiene possa essere esercitata anche successivamente nel corso del
dibattimento dal momento che costituisce espressione del diritto alla prova ed è una forma dialettica alternativa al
contraddittorio
IL POTERE INTEGRATIVO DEL GIUDICE ED IL PRINCIPIO DISPOSITIVO ATTENUATO: le parti, quando decidono di
accordarsi sull’acquisizione di un atto rinunciando contestualmente all’escussione orale della prova, non possono
superare quel contraddittorio che sa necessario per accertare il reato → il giudice anche d’ufficio può disporre
l’assunzione dei mezzi di prova relativi agli atti acquisiti su accordo delle parti
Il potere dell’organo giudicante costituisce quindi il presidio al contraddittorio nella formazione della prova inteso in
senso oggettivo come metodo di accertamento dei fatti
7. Istruzione dibattimentale
Il secondo momento del dibattimento è costituito dall’“istruzione dibattimentale”; in tale momento sono assunte le
prove. L’istruzione dibattimentale è suddivisa in porzioni di tempo, all’interno delle quali si dà luogo all’assunzione
delle prove richieste dalla singola parte ed ammesse dal giudice.
- Inizia con l’assunzione delle prove richieste dal pm
- Prosegue con l’assunzione delle prove richieste dalle altre parti (civile e imputato)
L’ORDINE DEI CASI: l’ordine nel quale si svolge l’istruzione dibattimentale rispetta i due principi generali dell’onere
della prova (art. 27, c. 2 Cost.) e della disponibilità della prova (art. 190 c.p.p.). Le porzioni di tempo, all’interno delle
quali ciascuna parte provvede all’assunzione delle prove richieste, sono denominate “casi” nel processo
anglosassone.
i. Caso dell’accusa
ii. Caso della difesa → l’ultimo caso è appunto quello dell’imputato dal momento che ha diritto di
conoscere l’esito delle prove a suo carico
La successione dei casi può essere modificata solamente di accordo tra le parti ex principio di disponibilità della
prova
Entrambi i casi comprendono l’assunzione di prove orali diverse dall’esame delle parti ed anche letture che la parte
stessa richiede in quanto necessarie a svolgere la propria argomentazione: sono quindi sentiti testimoni, periti e
consulenti tecnici
L’ESAME DELLE PARTI: l’esame di una parte può essere chiesto dalla stessa; se è chiesto da un’altra parte, può
avvenire soltanto col consenso della parte che deve esservi sottoposta. L’esame delle parti ha luogo «appena
terminata l’assunzione delle prove a carico dell’imputato», e cioè subito dopo il caso del pubblico ministero (ed,
eventualmente, quello della parte civile). In tal modo l’esame dell’imputato avviene prima del caso della difesa, al
fine di evitare che l’imputato “modelli” le sue dichiarazioni su ciò che hanno affermato i testi a discarico. Le parti che
hanno richiesto l’esame, o vi hanno consentito, vengono escusse nel seguente ordine (art. 503, c. 1):
i. La parte civile che non sia stata citata come testimone,
ii. Il responsabile civile
iii. La persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria
iv. L’imputato
L’ORDINE DELLE PROVE ALL’INTERNO DEL SINGOLO CASO: all’interno del singolo “caso” (dell’accusa o della difesa)
l’ordine nel quale vengono assunte le prove è stabilito dalla parte che ha richiesto le stesse → viene confermato da
art. 497, I, i testimoni sono esaminati l’uno dopo l’altro nell’ordine prescelto dalle parti che li hanno indicati
L’operatività viene estesa anche a periti e consulenti tecnici ex richiamo all’art. 501
8. L’esame incrociato
A. I PRELIMINARI ALL’ESAME INCROCIATO
Le prove orali sono tutte assunte mediante l’esame incrociato. Le regole poste dal codice per l’esame diretto, il
controesame ed il riesame valgono per i testimoni, per gli imputati connessi o collegati, per i periti, per i consulenti
tecnici e per le parti che abbiano consentito all’esame o lo abbiano richiesto. Tuttavia gli obblighi, ai quali sono
sottoposti i predetti soggetti, sono differenti.

170
IL TESTIMONE: il testimone ha l’obbligo, penalmente sanzionato, di rispondere secondo verità; deve essere avvisato
dal presidente dell’esistenza di tale obbligo e delle responsabilità previste dalla legge per i testimoni falsi o reticenti.
Il presidente invita il testimone a rendere solennemente e pubblicamente una dichiarazione con la quale si impegna
a dire la verità: il testimone non giura, ma pronuncia la formula indicata nell’art. 497, c. 2 e viene invitato dal
presidente a fornire le proprie generalità
IL PERITO: si osservano le disposizioni sull’esame dei testimoni «in quanto applicabili»; egli, al momento in cui gli
viene conferito l’incarico da parte del giudice, assume l’obbligo di «far conoscere la verità», obbligo sanzionato
penalmente e permane al momento in cui il perito è sentito con l’esame incrociato.
IL CONULENTE TECNICO DI PARTE: costituisce una espressione della difesa tecnica e può essere nominato da una
delle parti anche quando non è disposta perizia
Quello di parte privata viene esaminato su richiesta della parte che lo ha nominato e le altre parti possono
sottoporlo a controesame
LE PARTI: sono sottoposte ad esame soltanto su loro richiesta o con il loro consenso (art. 208); non hanno un obbligo
penalmente sanzionato di dire la verità; se rifiutano di rispondere ad una domanda, ne è fatta menzione nel verbale
(art. 209, c. 2). Il rifiuto può essere valutato dal giudice come argomento di prova, e cioè può incrinare la credibilità
del soggetto esaminato.
B. LO SVOLGIMENTO DELL’ESAME INCROCIATO
L’esame incrociato può essere definito come quell’insieme di regole con le quali le parti pongono direttamente le
domande alla persona esaminata → esso è elaborato sul modello anglo-americano ma sono stati attribuiti maggiori
poteri di controllo al giudice; in particolare, il presidente dell’organo giudicante ha la funzione di «assicurare la
pertinenza delle domande, la genuinità delle risposte, la lealtà dell’esame e la correttezza delle contestazioni» (art.
499, c. 6).
Si articola in 3 fasi:
- ESAME DIRETTO: è condotto dalla parte che ha chiesto di interrogare il testimone (o altro soggetto che
rende dichiarazioni); esso tende ad ottenere la manifestazione dei fatti conosciuti dal testimone; tali fatti
dovrebbero essere utili a dimostrare la tesi di colui che lo ha citato. Si presume che l’interrogante
conosca previamente le informazioni che il testimone dovrà fornire; il suo scopo è quello di dimostrare
che il teste è attendibile e credibile. Per tale motivo sono vietate le “domande-suggerimento” (art. 499,
c. 3).
- CONTROESAME: è condotto dalla parte che ha un interesse contrario a quella che ha chiesto l’esame del
testimone (o altro dichiarante) ed è eventuale, nel senso che la controparte ha “facoltà” di porre
domande alla persona già sentita nell’esame diretto.
Il controesame può avvenire su:
- Fatti: tende a
o Far dichiarare al testimone un fatto diverso o contrario a quello esposto nell’esame diretto;
o Ottenere dal dichiarante una spiegazione alternativa del fatto stesso;
o Far ammettere fatti che contraddicono le conclusioni alle quali è pervenuta la controparte
- Credibilità del testimone: tende a far dichiarare al testimone fatti che dimostrano la non credibilità
di quest’ultimo
- Su entrambi gli oggetti. Il controesame sulla credibilità mentre quello sui fatti
Sono ammesse domande suggerimento perché il loro scopo è sia di vedere come reagisce il testimone
sia di farlo cadere in inganno → attuazione del principio secondo il quale la prova capace di resistere alle
suggestioni è quella che più si accredita
- RIESAME: è condotto dalla persona che ha chiesto l’assunzione della testimonianza. Esso è doppiamente
eventuale, in quanto
o Avviene solo se si è svolto il controesame
o Soltanto se la parte, che ha chiamato a deporre il testimone, intende procedere al riesame
stesso.
La funzione del riesame è quella di consentire, a chi ha introdotto la prova, il “recupero” della sequenza
dei fatti, dopo che il controesame ha cercato di mettere in dubbio la loro esistenza; oppure consente di

171
esporre la ragione di contraddizioni nelle quali il testimone è caduto; pertanto tende a corroborare la
validità della dichiarazione inizialmente resa.
IL POTERE DI RIVOLGERE DOMANDE: si tratta di un congegno articolato e complesso che ha regole precise; il suo
scopo è quello di sottoporre il dichiarante alla immediata verifica delle parti contrapposte. Non può essere
sottoposto ad interruzioni e, nel corso del suo svolgimento, le parti hanno unicamente la possibilità di formulare
opposizioni sulle quali il presidente decide immediatamente senza formalità
Soltanto al termine della sequenza esame diretto – controesame – riesame il presidente può porre d’ufficio
domande al testimone
Le parti hanno poi quindi diritto a concludere l’esame secondo l’ordine prescritto, rinnovando del tutto o in parte la
sequenza descritta
C. LE REGOLE CHE PRESIEDONO ALL’ESAME INCROCIATO
Il codice pone regole che riguardano sia il modo di rivolgere le domande, sia il modo di rispondere alle stesse da
parte del testimone (o altro dichiarante). Le regole valgono in generale per tutti e tre i momenti e hanno lo scopo di
tutelare sia la genuinità della prova, sia il rispetto della dignità della persona sottoposta ad esame.
REGOLE PER LE DOMANDE:
- Sono ammesse domande su fatti «specifici» (art. 499, c. 1). La regola non vieta tuttavia che una parte
chieda al dichiarante di narrare ciò che ha percepito (si vuole quindi impedire che il dichiarante riferisca
una lezione imparata a memoria). La domanda, inoltre, deve avere ad oggetto un fatto “determinato” e
non un apprezzamento del dichiarante → viene concesso solamente quando è impossibile dividerlo
dall’esposizione dei fatti
- Sono vietate le domande “nocive”, che sono idonee a minare la sincerità delle risposte; non sono
ammesse le domande intimidatorie o, viceversa, suadenti.
- Sono vietate le domande che violano il rispetto della persona umana (art. 499, c. 2), e cioè che ledono
l’onore o la reputazione del deponente.
Il codice non prevede materie non indagabili, infatti nel controesame quando occorre valutare la
credibilità del dichiarante, il diritto a difendersi mediante prove prevale sulla riservatezza della persona
Su richiesta dell’interessato, il presidente dispone che il dibattimento si svolga a porte chiuse quando
l’assunzione della prova può causare un pregiudizio alla «riservatezza dei testimoni ovvero delle parti
private in ordine a fatti che non costituiscono oggetto dell’imputazione»; il giudice dispone che si
proceda a porte chiuse «quando la pubblicità può nuocere al buon costume».
REGOLE PER LE RISPOSTE: il testimone ha facoltà di non deporre:
- Su fatti dai quali potrebbe emergere una sua responsabilità penale;
- Su fatti coperti da segreto professionale;
- Su fatti coperti da segreto d’ufficio o di Stato.
Il testimone assistito può non deporre:
- Sui fatti di cui all’art. 197-bis, c. 4 (fatti per cui quindi sia stato condannato con sentenza di condanna ma
sui quali abbia negato la propria responsabilità o non aveva reso alcuna dichiarazione)
- Nei casi previsti dall’art. 199 quando è prossimo congiunto dell’imputato.
Il presidente dell’organo giudicante può escludere, sia su eccezione di parte sia d’ufficio, le domande vietate →
spetta a lui spetta di vigilare che il contraddittorio si svolga correttamente:
- «interviene per assicurare la pertinenza delle domande e la lealtà dell’esame» (art. 499, c. 6);
- Controlla «la correttezza delle contestazioni, ordinando, se occorre, l’esibizione del verbale nella parte in
cui le dichiarazioni sono state utilizzate per le contestazioni»;
- Decide «immediatamente e senza formalità» sulle opposizioni formulate dalle parti nel corso dell’esame
(art. 504).
D. L’ESAME PROTETTO DEL TESTIMONE VULNERABILE
2 categorie di persone vulnerabili:
- Minorenni e maggiorenni infermi di mente, la cui tutela viene però limitata ad un elenco di reati previsto
dal codice ex: violenza alla persona
- Maggiorenni e minorenni di cui comunque si accerti la particolare vulnerabilità ex art. 90 quater: non
rileva la tipologia di reato dal momento che si opera una selezione solamente soggettiva
172
PRIMA PROTEZIONE: ESAME FILTRATO
A prescindere dal tipo di reato, di regola l’esame del minorenne è condotto dal presidente dell’organo collegiale, al
quale le parti possono chiedere di porre domande o di fare contestazioni al minorenne. Nell’esame il presidente può
avvalersi dell’ausilio di un familiare del minore o di un esperto di psicologia infantile che indichi in che modo
preferibilmente dovrebbero essere poste le domande
Viene esteso anche agli adulti infermi di mente
SECONDA PROTEZIONE: ESAME REGISTRATO
L’art. 498, c. 4-bis, prevede una seconda protezione sia per il dibattimento che pe l’incidente probatorio
La prova può essere assunta anche in un luogo diverso dal tribunale e con modalità speciali; per le dichiarazioni
testimoniali è obbligatoria la documentazione integrale con mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva.
Mentre nel dibattimento la protezione scatta:
- «ove fra le persone interessate all’assunzione di una prova vi siano minorenni»
- A richiesta di parte quando tra le persone interessate vi siano maggiorenni in condizione di particolare
vulnerabilità desunta anche dal tipo di reato per cui si procede
Nell’incidente probatorio è limitata ai procedimenti di violenza alla persona
TERZA PROTEZIONE: IL VETRO SPECCHIO CON IMPIANTO CITIFONICO
L’art. 498, c. 4-ter, prevede una terza protezione consistente nel “vetro-specchio”; l’esame del minorenne vittima del
reato o del maggiorenne infermo di mente vittima del reato deve essere effettuato, su richiesta sua o del suo
difensore, mediante l’uso di un vetro specchio unitamente ad un impianto citofonico.
Si richiede che il procedimento in cui viene applicata riguardi delitti di violenza alla persona nel senso più ristretto
Espressamente è previsto solamente per il dibattimento ma si ritiene possa essere esteso anche all’incidente
probatorio
9. Le dichiarazioni rese prima del dibattimento e la loro utilizzabilità
B. L’ART. 111 COST. ED IL PRINCIPIO DEL CONTRADDITTORIO
Il 7 gennaio 2000 è entrato n vigore il nuovo testo dell’art. 111 Cost., che ha affermato il principio del contraddittorio
nella formazione della prova (c. 4) → consacra il contraddittorio come metodo di conoscenza, dal momento che una
prova attendibile si ottiene in modo dialettico (facendo quindi implicito riferimento all’esame incrociato)
La novità è che questo principio viene bilanciato con altre esigenze ritenute prevalenti in determinati casi che quindi
si presentano come eccezioni al principio stesso
ECCEZIONI: sono poste dal c. 5 tre eccezioni, la prova è utilizzabile anche se si è formata fuori del contraddittorio
- Per consenso dell’imputato: 2 distinti ambiti applicativi
o RITI SEMPLIFICATI: omettono il dibattimento; in tali contesti l’imputato rinuncia al
contraddittorio in via anticipata (nel giudizio abbreviato e nel patteggiamento) o in via
successiva (nel procedimento per decreto), di modo che il giudice utilizza le prove raccolte in
modo unilaterale nel corso delle indagini. Il consenso dell’imputato ha la sola funzione di
rendere utilizzabili dichiarazioni raccolte in modo unilaterale (non consiste in un potere
dispositivo assoluto sulla prova)
Nel rito abbreviato, il giudice deve valutare la necessità di una integrazione probatoria da
disporre anche d’ufficio
IL CONSENSO AD ACQUISIRE AL DIBATTIMENTO PROVE FORMATE FUORI DAL
CONTRADDITTORIO: poiché la norma costituzionale non fa distinzione, sembra che il
consenso del solo imputato valga a rendere utilizzabile qualsiasi atto di indagine anche se si
tratta di elementi favorevoli che sono stati raccolti dalla difesa. Ma in relazione a questi
ultimi, il reale controinteressato è il pubblico ministero; pertanto è la pubblica accusa che
dovrebbe consentire. Si può affermare che l’uso di atti raccolti in modo unilaterale può
essere ammesso soltanto se vi consentono quelle parti che non hanno partecipato
all’acquisizione dell’elemento di prova e che potrebbero subire un pregiudizio dalla
utilizzabilità dello stesso.
- Per accertata impossibilità di natura oggettiva:

173
IMPOSSIBILITA’ OGGETTIVA: Il termine «oggettiva» allude a quelle cause indipendenti dalla volontà di
taluno, assimilabili a situazioni di forza maggiore → l’ambito applicativo della disposizione è limitato alle
situazioni di non ripetibilità originaria o sopravvenuta:
o Ipotesi “classiche” di cose soggette a modificazioni non evitabili (es. macchia di sangue
esposta alla pioggia),
o Morte o grave infermità del dichiarante, e non quelle di semplice deterioramento delle sue
facoltà psichiche.
Occorre che in natura non sia più possibile assumere in contraddittorio quell’elemento di prova.
L’impossibilità deve essere oggetto di discussione e prova tra le parti, si richiede quindi un apposito
provvedimento incidentale del giudice → il contraddittorio viene quindi recuperato nel dibattito
sull’esistenza in concreto del requisito di impossibilità oggettiva e nella valutazione dell’attendibilità
dell’elemento di prova che si ricava dalla precedente dichiarazione
- Per effetto di provata condotta illecita: comportamenti contrari al diritto finalizzati ad indurre il
dichiarante a sottrarsi al contraddittorio
Quando il metodo del contraddittorio è inquinato, il processo deve fare ricorso al metodo alternativo
che consiste nell’utilizzabilità delle precedenti dichiarazioni.
C. IL PRINCIPIO GENERALE DELL’INUTILIZZABILITA’ DELLE PRECEDENTI DICHIARAZIONI
L’art. 526, c. 1 stabilisce che il giudice non può utilizzare ai fini della deliberazione prove diverse da quelle
legittimamente acquisite nel dibattimento. L’art. 514 stabilisce la regola generale in base alla quale non costituisce
“legittima acquisizione” la lettura dei verbali delle dichiarazioni rese fuori del dibattimento, salvo i casi
espressamente menzionati. Dall’esame simultaneo delle due disposizioni si desume un principio generale: le prove
dichiarative precostituite (e cioè raccolte fuori del dibattimento) sono inutilizzabili, salvo i casi nei quali
espressamente la legge ne consenta l’acquisizione.
Le norme che consentono l’utilizzabilità delle precedenti dichiarazioni hanno natura eccezionale, quindi non sono
estensibili per analogia
LE DICHIARAZIONI DI COLUI CHE SI È SEMPRE VOLONTARIAMENTE SOTTRATTO AL CONTRADDITTORIO: il c. 1-bis,
introdotto nell’art. 526 dalla legge n. 63 del 2001, vieta di utilizzare come prova della colpevolezza le dichiarazioni
rese da chi per libera scelta si è sempre volontariamente sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo
difensore. La colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi per libera
scelta si è sempre sottratto al contraddittorio.
D. LA CONSULTAZIONE DI DOCUMENTI IN AIUTO ALLA MEMORIA
Ai sensi dell’art. 499, c. 5, «il testimone può essere autorizzato dal presidente a consultare, in aiuto della memoria,
documenti da lui redatti». La consultazione di documenti può essere chiesta da colui che è interrogato, sia
quest’ultimo un testimone o una parte → si tratta di un diritto che può essere esercitato su autorizzazione del
presidente in presenza di precisi requisiti:
- L’oggetto che può essere consultato deve essere un documento redatto dal dichiarante, come ad
esempio foto o registrazioni. Anche gli ufficiali o gli agenti di polizia giudiziaria possono consultare, in
aiuto alla memoria verbali da loro redatti.
- Il documento può essere consultato “in aiuto della memoria”, quindi il documento deve essere stato
predisposto quando la memoria del teste era fresca, non specificatamente in vista dell’esame
Il dichiarante può consultare il documento ma nel senso che dopo averlo visionato comunque deve
rispondere alle domande senza leggerlo
- Il documento deve essere reso conoscibile alle controparti, le quali hanno il diritto di utilizzarlo ai fini del
controesame. Il documento può essere già contenuto in uno dei fascicoli; ma può anche essere
nell’esclusiva disponibilità del testimone o di una parte. Non è necessario che il documento abbia i
requisiti per essere ammesso come prova né che le parti ne chiedano l’ammissione come tale; in questo
momento serve soltanto come “aiuto” alla memoria.
E. LA CONTESTAZIONE PROBATORIA
La seconda modalità di utilizzazione delle precedenti dichiarazioni è la contestazione: a colui che depone (sia egli
testimone o parte) viene contestato di aver reso una differente dichiarazione in un momento anteriore al

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dibattimento. Essa deve essere contenuta nel fascicolo del pubblico ministero, quindi consiste in un atto delle
indagini o dell’udienza preliminari e investigazioni difensive
LE FINALITA’: duplice
- Intende mettere in dubbio la credibilità del soggetto che in dibattimento cambia la versione dei fatti;
- Vuole permettere allo stesso soggetto di rettificare la dichiarazione resa in dibattimento o, comunque, di
dare una spiegazione della diversa versione.
REQUISITI:
- LE PRECEDENTI DICHIARAZIONI: il primo requisito consiste nel fatto che si tratti di precedenti
dichiarazioni contenute nel fascicolo del pubblico ministero. Altri atti contenuti nel fascicolo del pubblico
ministero, ma non consistenti in dichiarazioni, possono solo essere utilizzati per porre domande al
dichiarante, ma non sono oggetto di “contestazione probatoria”.
- RESE DALLA PERSONA ESAMINATA: in secondo luogo è necessario che le precedenti dichiarazioni siano
state rese dalla stessa persona che in dibattimento sta cambiando versione (quelle di un terzo sarebbero
comprese nella contestazione di qualsiasi altra risultanza)
- LA PERSONA ESAMINATA HA GIA’ DEPOSTO: il terzo requisito richiede che la contestazione avvenga
soltanto se sui fatti o sulle circostanze da contestare il testimone o la parte abbia già deposto in
dibattimento (artt. 500, c. 1, e 503, c. 3). Scopo della norma è quello di evitare che sia suggerita una
risposta al soggetto che depone.
LA LETTURA - CONTESTAZIONE: la modalità di effettuazione della contestazione consiste nel “leggere” la
dichiarazione rilasciata prima del dibattimento (art. 500, c. 2) o e nel “chiedere conto” al deponente dei motivi della
diversità.
Può accadere che:
- Il teste rettifichi la deposizione dibattimentale in modo che non vi sia più difformità con la precedente
dichiarazione: la contestazione è quindi solamente lo spunto per la dichiarazione resa oralmente nel
contraddittorio tra le parti che è pienamente utilizzabile
- Il teste nel dibattimento mantiene la diversa versione dei fatti fornendo giustificazioni più o meno
plausibili: dal momento che la difformità permane, rimane il problema di stabilire se quanto detto in
precedenza sia utilizzabile ai fini della decisione
Si distingue tra i vari tipi di DICHIARANTI:
- LE PRECEDENTI DICHIARAZIONI DEL TESTIMONE: l’art. 500, c. 2 stabilisce che «le dichiarazioni lette per la
contestazione possono essere valutate ai fini della credibilità del teste»; la regola generale è che la
precedente dichiarazione sia utilizzabile dal giudice soltanto per valutare la credibilità del soggetto che in
dibattimento ha reso una differente versione o è rimasto silenzioso; viceversa, la precedente
dichiarazione non può costituire prova del fatto narrato.
Il giudice nella motivazione non può basarsi sulla precedente dichiarazione
La contestazione serve al massimo per togliere valore alla dichiarazione dibattimentale ma non è utile
per formare la prova dell’esistenza del fatto narrato nella precedente dichiarazione
Il giudice però può anche ritenere attendibile ciò che il teste ha detto in udienza, perché egli decide in
base al libero convincimento. Tuttavia, egli deve essere in grado di motivare sul perché ritiene
comunque attendibile la dichiarazione resa in dibattimento nonostante essa sia difforme da quanto
affermato nel corso delle indagini.
ECCEZIONE: LA PROVA DEL FATTO NARRATO
Una volta operata la contestazione, vi sono alcune eccezioni, in presenza delle quali le precedenti
dichiarazioni sono utilizzabili come prova del fatto narrato, anche se ex principio del libero
convincimento la valutazione sull’attendibilità rimane al giudice
o LA MINACCIA SUL DICHIARANTE: La prima eccezione è consentita quando si accerti che il
teste è stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro affinché non
deponga o deponga il falso (art. 500, c. 4). In tal caso «le dichiarazioni contenute nel fascicolo
del pubblico ministero precedentemente rese dal testimone sono acquisite al fascicolo del
dibattimento» e possono costituire prova del fatto narrato. Si tratta di una applicazione
dell’art. 111, c. 5 Cost., che consente una eccezione al principio del contraddittorio
175
o LE DICHIARAZIONI RESE NELL’UDIENZA PRELIMINARE: in secondo luogo, le dichiarazioni rese
in udienza preliminare e lette per le contestazioni dibattimentali sono utilizzabili come prova
del fatto soltanto nei confronti delle parti che hanno partecipato alla loro assunzione (art.
500, c. 6); contro le altre parti sono utilizzabili come prova della credibilità o, in caso di
accertata intimidazione o offerta di denaro, come prova del fatto.
o L’ACCORDO DELLE PARTI: vi è infine una terza eccezione, in base alla quale le dichiarazioni
contenute nel fascicolo del pubblico ministero sono utilizzabili se vi è accordo delle parti (art.
500, c. 7)
Si ritiene possano concordare sia l’acquisizione dell’intero atto sia anche e a maggior ragione
quella della singola dichiarazione contestata
- IL TESTIMONE CHE RIFIUTA L’ESAME DI UNA DELLE DUE PARTI: ai sensi dell’art. 500, c. 3, se il testimone
(o altro dichiarante) «rifiuta di sottoporsi all’esame o al controesame di una delle parti, nei confronti di
questa non possono essere utilizzate, senza il suo consenso, le dichiarazioni rese ad altra parte», salve
restando le sanzioni penali applicabili al dichiarante reticente. Le dichiarazioni in oggetto sono quelle che
il teste ha reso nel dibattimento, o in momenti precedenti, alle parti diverse da quella “rifiutata”. La ratio
consiste nella tutela del diritto alla prova di quella parte che non ha potuto partecipare all’esame
incrociato, per cui non può subire un pregiudizio da quella prova, alla cui formazione è rimasta estranea;
il legislatore ha così assicurato a tutte le parti la stessa tutela che la norma costituzionale sulla
inutilizzabilità (art. 111, c. 4, secondo periodo Cost.) riconosce espressamente soltanto all’imputato
F. LA CONTESTAZIONE DI QUALSIASI RISULTANZA
Le prove precedentemente acquisite, raccolte sia nel dibattimento, sia in momenti anteriori, possono costituire
oggetto di un differente tipo di contestazione. Possano essere contestati anche gli atti e i documenti che sono
collocati nel fascicolo del pubblico ministero, sia pure al solo fine di demolire la credibilità del soggetto dichiarante.
Così, ad un teste possono essere contestate le precedenti dichiarazioni di un altro teste. Inoltre, si è sostenuto che
possa essere contestato al testimone (od altro dichiarante) un documento. Ad esempio, se il testimone in
dibattimento nega di aver mai conosciuto una determinata persona, l’interrogante può contestare la circostanza
mostrando al testimone una fotografia (o altro documento) che li ritrae mentre si stringono la mano; ciò al fine di far
emergere una imprecisione o una falsità. Non è necessario che il documento sia stato ammesso all’inizio del
dibattimento; in quella sede esso non era “rilevante”, poiché non si sapeva ancora come il testimone (o altro
dichiarante) avrebbe risposto alle domande.
Tale prova può essere contestata al dichiarante perché l’esame può estendersi alle circostanze il cui accertamento è
necessario valutarne la credibilità ex art. 194, II
La contestazione di atti o documenti differenti dalle precedenti dichiarazioni rese dalla persona esaminata impone a
questa di fornire precisazioni o ammettere di aver errato. In base all’art. 192, c. 1, il giudice «valuta la prova dando
conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati»; il giudice deve enunciare le ragioni per le quali
«ritiene non attendibili le prove contrarie».
La corte costituzionale ha ritenuto ammissibile la contestazione sia della notizia di reato che di qualsiasi altra
risultanza al limitato scopo di valutare la credibilità del dichiarante
G. LA LETTURA DEGLI ATTI
La contestazione delle precedenti dichiarazioni presuppone che sia in corso l’esame del dichiarante che le ha rese; la
lettura, invece, viene disposta, di regola, quando tale esame non ha avuto luogo.
L’aspetto:
- Comune sta nel fatto che entrambi gli istituti, dal punto di vista materiale, consistono nella lettura di un
verbale;
- Differenza sta nel fatto che, ai fini della “contestazione” di quello che afferma un dichiarante, la lettura
ha per oggetto soltanto quella parte del verbale che serve per far rilevare la difformità; viceversa,
l’istituto della “lettura” può concernere l’intero verbale o una parte di esso (artt. 511, c. 1, 512).
LA LETTURA DI ATTI DEL FASCICOLO PER IL DIBATTIMENTO: (art. 511) la lettura è la modalità residuale di
utilizzazione delle dichiarazioni rese in momenti precedenti al dibattimento; la lettura deroga al principio di
immediatezza, che impone al giudice di decidere in base alle prove assunte nel corso del dibattimento. Gli atti
contenuti nel fascicolo per il dibattimento sono consultabili dal giudice; per essere utilizzabili ai fini della decisione,
176
essi devono essere “letti” ai sensi dell’art. 511. Se l’esame del dichiarante non ha luogo, si procede alla lettura
dell’atto; se invece esso ha luogo, i verbali contenuti nel fascicolo per il dibattimento possono essere letti soltanto
«dopo l’esame della persona che le ha rese» (art. 511, c. 2).
La lettura può avvenire sia a richiesta di parte che anche d’ufficio a opera del giudice
La lettura comunque non è l’unica modalità di acquisizione degli atti contenuti in un fascicolo del dibattimento dal
momento che ex art. 511, V il giudice anche d’ufficio può indicare specificatamente gli atti utilizzabili ai fini della
decisione (viene proprio ribadito dal codice che l’indicazione degli atti equivale alla loro lettura)
LA LETTURA DI ATTI CONTENUTI NEL FASCICOLO DEL PM: il codice distingue a seconda del dichiarante
- TESTIMONI ED IMPUTATO CONNESSO/COLLEGATO: le precedenti dichiarazioni rese dai testimoni alla
polizia giudiziaria, al pubblico ministero, al difensore nella fase delle indagini o al giudice nell’udienza
preliminare possono essere lette soltanto se sono diventate non ripetibili per fatti o circostanze non
prevedibili nel momento in cui sono state assunte (art. 512). Ove la non ripetibilità fosse stata
prevedibile, le parti avrebbero dovuto chiedere l’incidente probatorio.
- IMPUTATO: le precedenti dichiarazioni rese dall’imputato al pubblico ministero, alla polizia delegata, o al
giudice nel corso delle indagini o dell’udienza preliminare, hanno un particolare regime di lettura, che
tiene conto del fatto che l’imputato medesimo ha il diritto di non sottoporsi all’esame. Le dichiarazioni
precedentemente rese possono essere lette a richiesta di parte se l’imputato è contumace o assente
ovvero rifiuta di sottoporsi all’esame; esse, tuttavia, sono utilizzabili soltanto contro l’imputato che abbia
tenuto il comportamento indicato ma non lo sono nei confronti di un altro coimputato salvo che
quest’ultimo vi consenta o che sussista un’ipotesi di intimidazione o offerta di denaro del dichiarante.
10. Principio dispositivo e poteri di iniziativa probatoria esercitabili dal giudice
A. INIZIATIVA DEL GIUDUCE E SEPARAZIONE DELLE FUNZIONI
Premesso che la regola del sistema accusatorio è l’ammissione delle prove su richiesta di parte (c.d. principio
dispositivo: art. 190, c. 1), ne consegue che un’eventuale ammissione delle prove d’ufficio ad opera del giudice
penale deve essere rispettosa del principio di separazione delle funzioni: al giudice spetta di decidere se
ammettere le prove, mentre alle parti la ricerca e l’introduzione di questi strumenti, altrimenti non si avrebbe il
controllo ad opera di un soggetto imparziale
L’iniziativa probatoria svolta dal giudice d’ufficio è configurata come residuale: strumento che tende ad accertare la
verità, finalità per attuare la quale è stato posto il contraddittorio tra le parti.
La separazione delle funzioni impone un bilanciamento che limiti il potere di iniziativa d’ufficio del giudice:
- L’iniziativa deve essere svolta dal giudice, di regola, dopo che le prove siano state acquisite in
contraddittorio, e non prima che si svolgano i “casi” dell’accusa e della difesa.
- L’iniziativa del giudice deve essere limitata ad assumere quelle prove che risultano assolutamente
necessarie per l’accertamento del fatto di reato, e cioè prove decisive sia nel senso della reità, sia nel
senso dell’innocenza
Quando una delle parti rimane inerte, allora il giudice deve svolgere un potere di supplenza per garantire
comunque la funzione cognitiva del processo penale.
Il giudice non può formulare un’ipotesi autonoma rispetto a quella individuata dal pubblico ministero
nell’imputazione, al massimo dopo che le parti hanno esercitato i propri poteri fino alla massima estensione il
giudice ha solamente il potere di iniziativa per supplire alla inerzia di una delle parti
L’iniziativa probatoria del giudice deve rispettare due regole:
- Il carattere “successivo” e “non esaustivo” dei poteri stessi: in base alla prima regola, l’iniziativa spetta
alle parti, e il giudice può svolgere la sua attività di supplenza soltanto dopo che esse hanno avuto la
possibilità di esercitare i loro poteri;
- Una volta che i poteri siano stati esercitati dal giudice, le parti possono riprendere l’iniziativa probatoria.
L’INDICAZIONE DEI TEMI DI PROVA NUOVI O PIU’ AMPI: il presidente dell’organo giudicante anche su richiesta di un
altro componente del collegio può indicare alle parti temi di prova nuovi e più ampi utili per la completezza
dell’esame (art. 506, I) → potere di suggerimento esercitabile ai risultati delle prove assunte nel dibattimento ad
iniziativa delle parti o a seguito delle letture (dopo quindi che si sono svolti i casi di accusa e difesa)
Il presidente può solamente sollecitare le parti ad ampliare il tema di prova oltre i limiti liste testimoniali e delle
richieste introduttive rimanendo comunque all’interno dell’imputazione formulata dal pm → a seguito della
177
sollecitazione, l’iniziativa probatoria spetta alle parti che possono cogliere o meno il suggerimento, dal momento che
spetta a loro scegliere quale è il mezzo di prova per cui richiedere l’ammissione
B. INIZIATIVA PROBATORIA DEL GIUDICE IN DIBATTIMENTO
In base all’art. 507, «terminata l’acquisizione delle prove, il giudice, se risulta assolutamente necessario, può disporre
anche d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova».
La questione deve essere esaminata sotto 2 distinti profili:
- L’INIZIATIVA DEL GIUDICE DOPO CHE SONO STATE ACQUISITE LE PROVE SU RICHIESTA DI PARTE:
Il potere di iniziativa probatoria è esercitato dal giudice dopo che si sono conclusi i “casi” dell’accusa e della difesa. Il
requisito dell’«assoluta necessità» può dirsi integrato quando l’assunzione della prova appaia decisivo → deriva da
una incertezza dovuta ad una istruzione dibattimentale non esauriente a causa di temi di prova non sufficientemente
sondati
L’ammissione d’ufficio dei nuovi mezzi di prova in base all’art. 507 può conseguire sia ad un’iniziativa autonoma del
giudice, sia ad una richiesta di parte affinché il giudice provveda in tal senso.
Il potere giudiziale prescinde dai limiti costituiti dalle liste testimoniali e dalle richieste introduttive, il parametro è
costituito dalla assoluta necessità delle prove da assumere ai fini dell’accertamento del fatto → anche in presenza di
una richiesta di parte il giudice ammette la prova solamente se strettamente necessaria
LE MODALITA’ ACQUISITIVE DELLE NUOVE PROVE: il giudice dispone l’assunzione delle nuove prove, che siano state
richieste dalle parti, seguendo l’ordine dei casi (art. 151, c. 1, disp. att.).
- Se si tratta di una prova dichiarativa, l’esame diretto deve essere condotto dalla parte che ha chiesto al
giudice l’ammissione della prova, mentre il controesame è svolto successivamente dalle parti che hanno
un interesse contrario
- Se le prove sono state ammesse d’ufficio e si tratta dell’esame di una persona, il presidente vi provvede
direttamente stabilendo all’esito la parte che deve condurre l’esame diretto → spetta alle parti che lo
vogliano proseguire l’escussione delle forme e nell’ordine dell’esame incrociato
IL POTERE DEL GIUDICE A SEGUITO DELL’ACQUISIZIONE CONCORDATA DI ATTI DI INDAGINE: ai sensi dell’art. 507, c.
1-bis, introdotto dalla l.479/99 il giudice può disporre «l’assunzione dei mezzi di prova relativi agli atti acquisiti al
fascicolo per il dibattimento» su accordo delle parti, in caso di assoluta necessità. Se le parti possono rinunciare al
loro diritto alla prova, inteso come diritto all’escussione dibattimentale della medesima, ciò non può comportare una
definitiva deroga al principio del contraddittorio come metodo di accertamento dei fatti; l’ordinamento conferisce
eccezionali poteri officiosi al giudice.
- L’INIZIATIVA DEL GIUDICE QUANDO NON SI È SVOLTA L’ISTRUZIONE A RICHIESTA DI PARTE
Le Sezioni unite della Corte di Cassazione e la Corte costituzionale hanno accolto l’interpretazione estensiva dell’art.
507, che prevedeva il «potere del giudice di disporre l’assunzione di mezzi di prova» senza porre ulteriori limiti. Le
Sezioni unite hanno rilevato che:
- Ciò che diventa inammissibile non è la prova, bensì la richiesta come atto di parte del pubblico ministero;
viceversa, nessuna inammissibilità è prevista per il potere esercitabile d’ufficio dal giudice
- Si è affermato che l’inciso «acquisizione delle prove» non costituisce il presupposto per l’esercizio del
potere del giudice, ma indica il punto dell’istruzione dibattimentale in cui può avvenire l’ammissione di
nuove prove → il diritto alla prova ha un carattere primario rispetto ai poteri ufficiosi del giudice ma
comunque non ne è presupposto
La cassazione ha escluso che il potere giudiziale di acquisizione della prova possa essere impiegato per
vagliare ipotesi ricostruttive formulate autonomamente dal giudice che deve limitarsi a disporre d’ufficio
l’assunzione di prove il cui valore dimostrativo si ponga con evidenza in base agli atti
- Infine, la sentenza ha sottolineato che, ove il giudice ammetta d’ufficio una prova, resta comunque salvo
il diritto delle parti all’ammissione della prova contraria (art. 495, c. 2), in quanto tale diritto è garantito
dall’ordinamento anche nei confronti del potere d’iniziativa esercitabile dal giudice.
Il potere integrativo del giudice non nuoce alla difesa e non mina il principio di parità delle parti perché:
- È conferito sia con riferimento alle lacune dell’accusa che alle inerzie della difesa
- Si inserisce in un sistema di obbligatorietà dell’azione penale, che impone una verifica dell’esercizio dei
poteri di iniziativa del pm quindi anche delle sue carenze ed omissioni

178
Il giudice quando decide sull’ammissione ex art. 507 si trova in una prospettiva diversa da quella della parte, dal
momento che la prova è ammessa quando essa sulla base di un giudizio prognostico appaia indispensabile a
permettere una decisione → il fatto che poi torni a beneficio della parte istante è solamente una delle possibili
conseguenze dell’escussione
C. IL PRINCIPIO DISPOSITIVO ATTENUATO
Sulla base dell’orientamento giurisprudenziale e delle Sezioni unite della Cassazione, è possibile ritenere che il codice
accoglie in materia probatoria un principio dispositivo “attenuato”. Tale principio consente la libera esplicazione del
diritto alla prova spettante alle parti, ma non preclude i poteri di iniziativa probatoria d’ufficio; se mai, limita il
potere discrezionale del giudice nel respingere le richieste di ammissione di prove, formulate dalle parti
La necessità di accogliere, nel processo penale, un principio dispositivo attenuato, si ricava dall’oggetto stesso sul
quale il processo va ad incidere e cioè la libertà personale. Poiché si tratta di un diritto fondamentale inviolabile e
indisponibile (art. 13 Cost.) non è possibile che l’esito accertativo del processo sia interamente rimesso al potere
dispositivo delle parti → il giudice non può applicare direttamente la regola del ragionevole dubbio, ma deve
intervenire esercitando se possibile i propri poteri officiosi
D. LA RINUNCIA ALLA PROVA ED IL PRINCIPIO DI ACQUISIZIONE
Al principio dispositivo si connette alla rinuncia dell’assunzione di una prova: una parte, ottenuta l’ammissione di un
mezzo di prova, rinunci alla sua assunzione
Ex art. 495, IV BIS nel corso dell’istruzione dibattimentale ciascuna delle parti può rinunciare con il consenso
dell’altra parte all’assunzione delle prove ammesse a sua richiesta, tuttavia la rinuncia è efficace solamente se l’altra
parte consente
Il giudice non ha alcun potere di fronte alla volontà delle parti, anche se il giudice può disporre d’ufficio l’assunzione
della prova anche se le parti vi abbiano rinunciato a patto che comunque la prova sia assolutamente necessaria
10. BIS. La partecipazione e l’esame a distanza
CONSIDERAZIONI PRELIMINARI: 2 istituti previsti dal codice che permettono di superare l’unità di luogo in cui si deve
svolgere il dibattimento
Anche se comunque non potranno mai equivalere alla presenza fisica nell’udienza, garantiscono l’esercizio dei diritti
fondamentali difensivi e permettono di valutare comunque l’attendibilità delle prove
- PARTECIPAZIONE AL DIBATTIMENTO A DISTANZA: l’art. 146-bis disp. art. prevede una singolare forma di
partecipazione dell’imputato al dibattimento. L’imputato rimane nel luogo di detenzione e partecipa
all’udienza attraverso un collegamento a distanza, che presuppone l’installazione di due terminali, uno
nell’aula e l’altro nella postazione remota, e di un sistema di comunicazione che permette di ricevere e
trasmettere i segnali audiovisivi provenienti da entrambi i terminali
Inizialmente introdotta solamente per imputati e collaboratori di giustizia che richiedevano una grande
scorta data la gravità dei reati per cui a vario titolo erano presenti a processo, con la riforma orlando la
sua operatività è stata estesa anche se la normativa è carente dei principi di proporzionalità e
ragionevolezza
Aspetti toccati dall’ampliamento:
o Le ipotesi che prima richiedevano una decisione motivata del giudice adesso sono diventate
automatiche: il giudice deve comunicare a parti, difensori ed autorità competenti che si
procederà in questo modo
o Nelle ipotesi ex lege il giudice ha il potere di disporre con decreto motivato, anche su istanza
di parte, la presenza fisica delle udienze qualora lo ritenga necessario
o Opera anche per le udienze in camera di consiglio, per il rito abbreviato e per il
procedimento di prevenzione
o Quando viene lasciata la decisione al giudice, la legge prevede criteri molto vaghi con
possibile lesione del principio di proporzionalità
GARANZIE DIFENSIVE: il collegamento televisivo deve assicurare la contestuale, reciproca ed effettiva
visibilità delle persone presenti in entrambi i luoghi e la possibilità di udire quanto vi viene detto
o La contestualità esclude ogni sorta di differimento temporale nel collegamento;
o La reciprocità garantisce il coinvolgimento nel collegamento di tutte le persone presenti nei
due luoghi;
179
o L’effettività mira ad escludere qualsiasi incertezza o difficoltà che possa incidere sulla
capacità di percezione da parte di ciascun fruitore del collegamento stesso.
Il difensore o un suo sostituto può essere presente nel luogo in cui si trova l’imputato → qualora il
difensore sceglie di rimanere in udienza, ha la possibilità di interloquire con il suo assistito attraverso
mezzi idonei
Per attestare l’identità dell’imputato e consentirgli di esercitare i diritti che gli spettano, il giudice
designa un ausiliario che deve essere presente nel luogo in cui si trova l’imputato medesimo
- ESAME A DISTANZA: L’art. 147-bis disp. att. prevede che mediante collegamento televisivo si può
svolgere a distanza l’esame di un testimone o di una parte; l’istituto è volto a tutelare la vita del
“collaboratore di Giustizia” e degli operatori sotto copertura.
Disponibili questi strumenti, il giudice (o, nei casi d’urgenza, il presidente del tribunale o della corte
d’assise) sentite le parti, può disporre anche d’ufficio che l’esame si svolga a distanza. L’esame è
effettuato mediante un collegamento audiovisivo che assicuri la contestuale visibilità delle persone
presenti nel luogo dove la persona sottoposta ad esame si trova. È prevista la presenza di un ausiliario
nominato dal giudice o dal presidente in loco perché attesti le generalità del soggetto e curi che la
procedura si svolga secondo le regole e rispettando tutte le garanzie del caso → alla fine deve anche
redigere verbale delle operazioni svolte
GARANZIE DIFENSIVE: se si deve compiere l’esame di un imputato (non di un testimone), devono essere
assicurate le medesime garanzie difensive previste per la partecipazione a distanza
o Occorre l’effettiva e reciproca visibilità;
o Il difensore (o un suo sostituto) deve poter essere presente accanto all’assistito;
o L’imputato deve potersi consultare riservatamente col difensore presente in aula; infine,
l’ausiliario del giudice non può essere sostituito da un ufficiale di polizia giudiziaria.
11. Le nuove contestazioni. La correlazione tra imputazione e sentenza
Il dibattimento ha per oggetto l’addebito che è stato contestato all’imputato con il decreto che dispone il giudizio.
Nel corso dell’istruzione dibattimentale il pubblico ministero può modificare l’imputazione originaria entro
determinati limiti e con modalità che devono garantire il diritto di difesa dell’imputato → questa possibilità è
coerente con la funzione svolta dal dibattimento, che è la sede in cui vengono assunte le prove e quindi può dare
luogo ad esiti nuovi e diversi rispetto a quelli ipotizzati dal pm
Nel corso dell’istruzione dibattimentale le prove assunte possono indurre il pubblico ministero a modificare
l’imputazione sotto vari profili attinenti al diritto o al fatto.
A. LE MODIFICHE ATTINENTI AL FATTO STORICO: IL FATTO DIVERSO
Il fatto storico può risultare «diverso» da quello contestato, nel senso che risultano modificate le modalità del fatto
di reato: il nucleo essenziale dell’accusa originaria non appare modificato sotto il profilo sostanziale, mutano
solamente alcuni aspetti relativi alle modalità di svolgimento
L’imputato in caso di contestazione di fatto diverso ha i seguenti diritti:
- Ottenere che il dibattimento venga sospeso, per un tempo non inferiore a 20 giorni in caso di processo
presso il tribunale collegiale o la corte d’assise
- Chiedere l’ammissione di nuove prove
- Chiedere il giudizio abbreviato, il patteggiamento o l’oblazione relativamente al fatto diverso contestato
in dibattimento
B. LA CONTESTAZIONE SUPPLETIVA
Dalle prove raccolte nell’istruzione dibattimentale può risultare a carico dell’imputato l’esistenza di una circostanza
aggravante o il compimento di un reato connesso (concorso formale o reato continuato). In tali ipotesi, il pubblico
ministero contesta all’imputato il reato concorrente, purché la cognizione non appartenga alla competenza di un
giudice “superiore” (e cioè della corte d’assise).
Si creano dei problemi dal momento che l’imputato deve aver chiara l’accusa mossa nei suoi confronti per adeguare
le proprie scelte processuali, quindi in presenza di una contestazione suppletiva, l’imputato ha diritto:
- Ad ottenere l’ammissione di nuove prove,
- Chiedere per il reato contestato il rito abbreviato,
- Chiedere per il reato contestato l’oblazione se la pena edittale lo ammette,
180
- Chiedere il patteggiamento.
NUOVE CONTESTAZIONI ALL’IMPUTATO ASSENTE: quando intende contestare il fatto diverso, il reato concorrente o
la circostanza aggravante all’imputato assente, il pubblico ministero chiede al presidente che la contestazione sia
inserita nel verbale del dibattimento e che questo sia notificato per estratto all’imputato; in tal caso il presidente
sospende il dibattimento e fissa una nuova udienza per la prosecuzione.
C. IL FATTO NUOVO
Modifica che richiede il consenso dell’imputato ed una valutazione del presidente: nel corso del dibattimento può
risultare a carico dell’imputato un fatto nuovo non enunciato nel decreto che dispone il giudizio e per il quale si
debba procedere d’ufficio → fatto nuovo come ulteriore fatto storico che si affianca all’imputazione
precedentemente contestata
Il fatto nuovo può essere contestato solamente in presenza delle condizioni:
- Reato procedibile d’ufficio
- L’imputato deve essere presente e acconsentire alla contestazione
- Il presidente deve accertare che da tale contestazione non derivi un pregiudizio per la speditezza del
procedimento
Altrimenti il pm procede nelle forme ordinarie svolgendo le indagini e esercitando l’azione penale
D. L’INIZIATIVA DI MODIFICA DEL FATTO STORICO
Il codice attribuisce il potere di modificare il fatto storico di cui all’imputazione solo al pubblico ministero; il giudice
può operare un controllo successivo nel momento in cui delibera la sentenza. Il giudice dispone con ordinanza la
trasmissione degli atti al pubblico ministero perché proceda nelle forme ordinarie (art. 521, c. 3):
- In tutte le ipotesi in cui la contestazione sia avvenuta fuori dei casi consentiti,
- Quando il giudice accerta che il fatto storico è diverso da quello descritto nel decreto che dispone il
giudizio o nella contestazione effettuata dal pubblico ministero in dibattimento.
Gli atti sono trasmessi al pubblico ministero, che procede nelle forme ordinarie (art. 521, c. 2).
E. LE MODIFICHE ATTINENTI ALLA DEFINIZIONE GIURIDICA
Il giudice al momento della deliberazione della sentenza può rilevare che il fatto storico, accertato nel corso del
dibattimento, è identico a quello contestato, ma che il titolo del reato risulta diverso da quello contenuto
nell’imputazione. In tal caso il giudice nella sentenza dà al fatto la diversa definizione giuridica, purché:
- Il reato non ecceda la sua competenza,
- Né risulti attribuito alla cognizione del tribunale in composizione collegiale anziché monocratica.
Ad esempio, se è stato contestato un falso in scrittura privata (art. 485 c.p.), il giudice può condannare per uso di
atto falso (art. 489 c.p.); ma se è stata contestata la corruzione (art. 319 c.p.), il giudice non può condannare per il
più grave reato di concussione (art. 317 c.p.) poiché ciò comporta la presenza di elementi diversi ed aggiuntivi
(l’abuso della qualità o dei poteri e l’induzione).
F. INVALIDITA’
L’inosservanza delle disposizioni a tutela della correlazione tra accusa e sentenza è prevista come nullità dall’art.
522, c. 1; a parere della giurisprudenza, si tratta di una nullità intermedia poiché si è violato il principio del
contraddittorio. La sentenza è nulla soltanto nella parte relativa al fatto nuovo, al reato concorrente o alla
circostanza aggravante (art. 522, c. 2).
12. Discussione finale
La discussione finale ha inizio quando è terminata l’istruzione probatoria e permette al pubblico ministero e ai
difensori delle parti private di formulare le proprie conclusioni (art. 523). In tal modo, le valutazioni delle parti in
ordine ai risultati probatori ottenuti in dibattimento possono portare un contributo utile alla decisione, che viene
successivamente presa dal giudice.
L’ORDINE DEGLI INTERVENTI: la discussione finale è diretta dal presidente dell’organo giudicante, che ha il potere di
impedire ogni divagazione, ripetizione e interruzione (art. 523, c. 3). L’ordine degli interventi è disciplinato dal codice
in modo che l’accusa pubblica e privata precedano la difesa dell’imputato, attuando così il principio dell’onere della
prova. Inoltre, le conclusioni del pubblico ministero sono formulate prima di quelle della parte civile, quasi a
sottolineare la posizione di accessorietà della stessa, che vede il suo intervento tendenzialmente limitato al tema del
risarcimento del danno derivante dal reato. Le conclusioni del difensore del responsabile civile e della persona
civilmente obbligata per la pena pecuniaria precedono quelle del difensore dell’imputato.
181
Le conclusioni sono formulate oralmente, tuttavia è posto a carico della parte civile l’onere di presentare le
conclusioni scritte, che devono comprendere, quando sia richiesto il risarcimento dei danni, anche la determinazione
del loro ammontare; in caso di inadempimento, la costituzione di parte civile si intende revocata ex lege (art. 82, c.
2).
LE REPLICHE: il pubblico ministero e i difensori delle parti private possono replicare; ma la replica è ammessa una
sola volta e deve essere contenuta nei limiti strettamente necessari per la confutazione degli argomenti avversari. Di
regola, la discussione non può essere interrotta per l’assunzione di nuove prove, se non in caso di assoluta necessità.
Tuttavia, se questa si verifica, il giudice provvede sia su richiesta di parte, sia d’ufficio (art. 523, c. 6). Se la prova
richiesta da una parte è decisiva, il giudice è obbligato ad ammetterla; un eventuale diniego può essere sottoposto a
controllo mediante l’impugnazione della sentenza. In ogni caso, l’imputato e il suo difensore devono avere, a pena di
nullità, la parola per ultimi, se la chiedono (art. 523, c. 5). Una volta che sia stata esaurita la discussione finale, il
presidente dichiara chiuso il dibattimento e l’organo giudicante si ritira in camera di consiglio per deliberare la
sentenza.
SEZIONE IV (Gli atti successivi al dibattimento. La sentenza)
13. Considerazioni generali
Il codice, disciplinando sia l’aspetto procedimentale che quello strutturale della decisione, ne sottolinea la necessità
di razionalità mettendo dei limiti alle modalità con cui il libero convincimento del giudice si manifesta
La sottofase degli atti successivi al dibattimento
- Inizia quando l’organo giudicante si ritira per deliberare in segreto in camera di consiglio
- Finisce quando la sentenza viene depositata in cancelleria
TEMPI E MODI DELLA DELIBERAZIONE: ai sensi dell’art. 525, c. 2, «alla deliberazione concorrono, a pena di nullità
assoluta, gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento».
- Le modalità della deliberazione si riassumono nel principio di immediatezza, secondo cui deve esservi
identità tra il giudice che ha assistito all’assunzione della prova e quello che decide;
- Sotto il profilo dei tempi, il codice pone la regola della concentrazione:
o La sentenza è deliberata «subito dopo la chiusura del dibattimento» (art. 525, c. 1)
o La deliberazione non può essere sospesa «se non in caso di assoluta impossibilità» (art. 525,
c. 3).
Si vuole quindi che chi lo decide lo faccia sulla base di percezioni recenti
La deliberazione si svolge in segreto (quindi solamente tra giudici) in camera di consiglio e chi vi partecipa è
obbligato a mantenere il segreto sulla deliberazione
Colui che eventualmente trasgredisca compie delitto di rivelazione del segreto d’ufficio, che viene posto a tutela
della libertà morale della singola persona che fa parte dell’organo giudicante (principio di imparzialità, il giudice deve
decidere senza condizionamenti né speranze di vantaggi)
IL DISPOSITIVO DELLA SENTENZA: conclusa la deliberazione, il presidente dell’organo giudicante redige poi il
dispositivo e lo sottoscrive (art. 544, c. 1) → vi viene riassunto il comando nel quale si traduce la decisione e che
quindi in sintesi può essere di proscioglimento o di condanna
- Se il giudice ha deciso il proscioglimento, deve riassumere i motivi in una formula tipica; se ha deciso di
condannare, il capo penale del dispositivo contiene l’indicazione della pena che viene applicata al
colpevole;
- Se vi è stata costituzione di parte civile, il capo civile del dispositivo contiene la decisione sul risarcimento
del danno.
PUBBLICAZIONE E DEPOSITO DELLA SENTENZA: sottoscritto il dispositivo, l’organo giudicante rientra, poi, nell’aula di
udienza ed il presidente (o altro giudice) lo legge (art. 545, c. 1).
- Nei casi eccezionali nei quali la motivazione sia stata redatta insieme al dispositivo, essa viene letta o
viene esposta in modo riassuntivo → la lettura equivale quindi alla notificazione per le parti che sono o
devono considerarsi presenti in udienza
- Di regola la motivazione non può essere redatta immediatamente dal momento che se il caso è giunto
fino al dibattimento, è complesso: il giudice indica nel dispositivo un termine più lungo di quello
ordinario che è di 15 giorni.
14. I requisiti della sentenza. La motivazione
182
A. IL CONTENUTO FORMALE DELLA SENTENZA
La decisione del giudice si manifesta nella sentenza
Con la riforma orlando viene imposto al giudice un modello legale e razionale della motivazione, che passa
attraverso dei passaggi necessitati che vogliono rendere esplicito e conoscibile il percorso logico seguito dal giudice
rendendolo anche maggiormente comprensibile anche ai fini di una eventuale impugnazione
Ai sensi dell’art. 546, essa ha il seguente contenuto:
- L’intestazione “in nome del popolo italiano” e l’indicazione dell’autorità che l’ha pronunciata
- Le generalità dell’imputato e altre indicazioni utili ad identificarlo (ad esempio il soprannome) oltre che
le generalità delle altre parti private;
- L’imputazione;
- L’indicazione delle conclusioni delle parti;
- La concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata, con l’indicazione di:
o Risultati acquisiti
o Criteri di valutazione della prova usati
o Enunciazione delle ragioni per cui il giudice non ritiene attendibili le prove contrarie con
riguardo a:
• Accertamento dei fatti e delle circostanze che si riferiscono all’imputazione e alla
loro qualificazione giuridica
• Punibilità e determinazione della pena
• Responsabilità civile derivante da reato
• Accertamento dei fatti dai quali dipende l’applicazione di norme processuali
- Il dispositivo con l’indicazione degli articoli di legge applicati;
- La data e la sottoscrizione del giudice.
B. IL CONTENUTO SOSTANZIALE DELLA SENTENZA
Nella motivazione il giudice mette a confronto il fatto storico ricostruito mediante le prove con il fatto storico
ricostruito mediante l’interpretazione delle norme
Si distingue all’interno della sentenza:
- Capi: singola imputazione
- Punto: tematica di fatto o di diritto che deve essere trattata e risolta per giungere alla decisione in
merito ad una o più imputazioni
Valutazione delle prove: coronamento per le parti dell’onere sostanziale che esplica attraverso il loro potere di
argomentare, per il giudice è un vero e proprio dovere → egli valuta la prova e nella motivazione dà conto di:
- Risultati acquisiti
- Criteri adottati
- Motivi del suo convincimento indicando le prove poste a base della sua decisione
- Le ragioni della non attendibilità delle prove contrarie
C. LA MOTIVAZIONE QUALE DOVERE COSTITUZIONALE
Ex art. 111, VI, tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati → obblighi costituzionali quindi tipici che
si ricollegano a comportamento con funzione decisoria in modo da rendere conoscibile i provvedimenti stessi alle
parti e da renderli controllabili ad opera dei giudici dell’impugnazione o anche dell’opinione pubblica
La motivazione è quindi una componente strutturale necessaria → per rendere appunto effettivo quest’obbligo e
prevenire decisioni arbitrarie, si richiede che sia indicato:
- Il contenuto della disposizione testimoniale
- Il parere del perito
- L’esito della perquisizione
La controllabilità del discorso giustificativo scaturisce appunto dal rapporto tra elementi di prova e fatti accertati
D. LA VALUTAZIONE DELLE PROVE
Attività:
- Legale: si esercita su prove legittimamente acquisite → solamente ciò che è validamente acquisito deve
essere valutato a fini decisori

183
- Razionale: obbligo di motivare e giustificare la decisione secondo criteri di ragionevolezza rispettando 3
ordini di regole
o Logica
o Scienza
o Esperienza
Devono essere messi in correlazione con lo standard probatorio dell’oltre ogni ragionevole dubbio: nella motivazione
il giudice deve spiegare perché le prove d’accusa, valutate anche alla luce degli elementi addotti dalla difesa,
- Sono tali da eliminare ogni ragionevole dubbio sulla reità dell’imputato
- Lasciano residuare una ricostruzione alternativa dei fatti rispetto a quella adottata dall’accusa
E. I RISULTATI ACQUISITI
Devono essere indicati dal giudice, si riferiscono ad una operazione mentale applicata agli elementi di prova
precedentemente raccolti → in ogni caso è necessaria l’attività del giudice volta ad accertare l’attendibilità della
dichiarazione e la credibilità della fonte, quindi il giudice è tenuto a dare conto delle operazioni compiute e dei
risultati raggiunti
F. I CRITERI ADOTTATI
Devono descrivere il percorso argomentativo della decisione del giudice
Si richiede l’esposizione delle massime di esperienza e delle regole scientifiche utilizzate nella valutazione degli
elementi di prova considerati sia singolarmente che in rapporto tra loro
Il giudice, vagliando le opposte ragioni sceglie quella ricostruzione della vicenda che sia capace di dare una
spiegazione ragionevole a tutti gli elementi raccolti
Il ragionamento del giudice deve avere il carattere della accettabilità razionale: l’obbligo di motivazione appare
connaturato a questa caratteristica dal momento che il giudice deve dare conto delle scelte operate e solamente
attraverso la motivazione è possibile un controllo sul ragionamento del giudice → motivare quindi come esporre le
ragioni di un convincimento, di un giudizio ed esporre le ragioni è giustificare la scelta compiuta in modo da renderla
comprensibile e condivisibile da parte di coloro che si troveranno a leggere la motivazione
G. IL CARATTERE DIALOGICO DELLA MOTIVAZIONE
Il giudice nel dare conto delle ragioni che motivano il suo convincimento deve anche dare conto delle prove che
contrastino con tale convincimento e del perché però non le ha ritenute determinanti (perché ha escluso ipotesi
alternative di ricostruzione del fatto e non ha ritenuto attendibili le prove contrarie addotte insomma)
La struttura della motivazione così delineata dalla legge ha una struttura dialogica: deve dare conto del conflitto
delle prove e delle ipotesi (nel caso in cui desse conto solamente delle circostanze favorevoli perderebbe questa sua
caratteristica)
H. I CAPI E I PUNTI DELLA DECISIONE
PUNTI nella motivazione:
- Accertamento dei fatti e delle circostanze che si riferiscono all’imputazione e alla loro qualificazione
giuridica
- Punibilità e determinazione della pena
- Responsabilità civile derivante da reato
- Accertamento dei fatti dai quali dipende l’applicazione delle norme processuali
15. La sentenza di non doversi procedere
All’interno della generale categoria delle sentenze di proscioglimento, il codice pone una fondamentale distinzione
tra sentenza di non doversi procedere (artt. 529 e 531) e sentenza di assoluzione (art. 530).
- Solo le sentenze di assoluzione possono contenere un vero e proprio “accertamento”, che il giudice ha
operato mediante le prove, per cui esse sono idonee a fondare l’efficacia del giudicato nei processi civili
e amministrativi.
- Le sentenze di non doversi procedere non contengono, invece, un accertamento del fatto storico, ma si
limitano a statuire su aspetti processuali che impediscono tale accertamento, per cui sono definite come
pronunce “meramente processuali”.
LE FORMULE TERMINATIVE: quando il giudice pronuncia una sentenza sia di non doversi procedere, sia di
assoluzione, egli deve precisarne la causa, e cioè la cosiddetta formula terminativa che costituisce una sorta di
riassunto della motivazione della decisione. Le formule terminative sono previste dalla legge negli artt. 529-531; esse
184
favoriscono una maggiore intelligibilità del contenuto e della motivazione della decisione → ex codice il giudice ha
l’obbligo di precisarle nel dispositivo perché alcune di esse sono idonee a determinare gli effetti del giudicato
A. SENTENZA DI NON DOVERSI PROCEDERE PERCHE’ L’AZIONE PENLE NON DOVEVA ESSERE INIZIATA O NON
DEVE ESSERE PROSEGUITA
La sentenza ha questa formula terminativa quando manca la condizione di procedibilità prevista dalla legge per
quella determinata fattispecie incriminatrice (art. 529). Può difettare la querela, l’istanza, la richiesta,
l’autorizzazione a procedere
B. SENTENZA DI NON DOVERSI PROCEDERE PER ESTINZIONE DEL REATO (art. 531)
Il codice penale prevede varie cause di estinzione del reato:
- Morte del reo prima della condanna (art. 150 c.p.);
- Amnistia (art. 151 c.p.);
- Remissione di querela (art. 152 c.p.);
- Prescrizione del reato (art. 157 c.p.);
- Oblazione nelle contravvenzioni (artt. 162 e 62-bis c.p.);
- Sospensione condizionale della pena (art. 163 c.p.);
- Perdono giudiziale per i minorenni (art. 169 c.p.).
Il riconoscimento delle predette cause estintive non impedisce al giudice civile di accertare la sussistenza del fatto. In
tal caso si produrranno gli effetti civili (l’obbligo del risarcimento del danno, art. 185 c.p.). Se nel corso del processo
penale si manifesta una causa di estinzione del reato, il giudice deve dichiararla immediatamente ed il processo non
può proseguire. In tal modo al giudice è impedito di pronunciare un “accertamento” della esistenza del reato e della
responsabilità dell’imputato.
Il giudice pronuncia sentenza di non doversi procedere:
- Quando vi è la prova dell’esistenza della causa estintiva
- Quando vi è dubbio sulla esistenza della medesima → in dubio pro reo
16. La sentenza di assoluzione
Con la sentenza di assoluzione il giudice compie un accertamento sull’esistenza o meno del fatto storico addebitato
all’imputato a titolo di illecito punito con sanzione penale. Il codice impone al giudice di utilizzare una delle formule
tassative previste dall’art. 530; esso segue una vera e propria gerarchia, perché inizia con quelle più favorevoli
all’imputato e termina con le formule meno favorevoli usando come criterio il pregiudizio morale che può derivare
all’imputato qualora si ammettesse che ha compiuto un determinato fatto anche se non è penalmente illecito o
punibile
Qualora sia possibile pronunciare più formule, il giudice deve scegliere quella più ampiamente liberatoria
A. ASSOLUZIONE PERCHE’ IL FATTO NON SUSSISTE
Tale formula deve essere adottata quando il fatto storico ricostruito mediante le prove non rientra nella fattispecie
incriminatrice dal punto di vista degli elementi oggettivi, non essendoci gli elementi di fatto integranti la condotta,
l’evento o il rapporto di causalità.
B. ASSOLUZIONE PERCHE’ L’IMPUTATO NON HA COMMESSO IL FATTO
La formula è utilizzata quando il fatto, addebitato all’imputato, sussiste dal punto di vista del solo elemento
oggettivo ma il reato non è stato commesso dall’imputato, bensì da un’altra persona.
C. ASSOLUZIONE PERCHE’ IL FATTO NON COSTITUISCE REATO
Il fatto addebitato nell’imputazione è stato commesso dall’imputato e sussiste nei suoi elementi oggettivi, previsti
dalla fattispecie incriminatrice e tuttavia il fatto non è un illecito penale
- Può mancare lo specifico elemento soggettivo che è richiesto dalla norma incriminatrice
- Vi sono sia l’elemento soggettivo che quello oggettivo ma il fatto è stato commesso in presenza di una
causa di giustificazione
D. ASSOLUZIONE PERCHE’ IL FATTO NON È PREVISTO DALLA LEGGE COME REATO
Il fatto storico indicato nell’imputazione non rientra in alcuna fattispecie incriminatrice né sotto il profilo oggettivo,
né sotto quello soggettivo → assoluzione in punto di diritto, in iure, dal momento che il fatto è stato attribuito
all’imputato per un errore di valutazione giuridica del pm
Stessa formula usata anche quando la legge depenalizza determinati reati trasformandoli in illeciti amministrativi

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E. ASSOLUZIONE PERCHE’ IL REATO È STATO COMMESSO DA UNA PERSONA NON IMPUTABILE O NON PUNIBILE
PER UN’ALTRA RAGIONE
La formula è utilizzata quando il giudice accerta che il fatto è stato commesso ed è penalmente illecito, ma
l’imputato non è punibile in concreto. Infatti, egli può essere:
- Non imputabile (perché minore di quattordici anni o totalmente infermo di mente);
- Può essere coperto da una causa di non punibilità (dovuta, ad esempio, al rapporto di parentela);
- Può essere penalmente immune (ad esempio, gli agenti diplomatici).
Questa formula è la più sfavorevole, in quanto,
- Il giudice riconosce che l’imputato ha commesso un fatto penalmente illecito, anche se lo dichiara esente
da pena;
- Se il giudice accerta che l’autore del reato è non imputabile, ma pericoloso socialmente, deve applicargli
la misura di sicurezza prevista dalla legge (ad esempio, nel caso di infermo totale di mente, l’ospedale
psichiatrico giudiziario).
LA CAUSA DI NON PUNIBILITA’ DELLA PARTICOLARE TENUITA’ DEL FATTO: quando l’offesa è particolarmente tenue
ed il comportamento non è abituale, il giudice assolve l’imputato perché il fatto non è punibile → dal momento che
lo stato rinuncia ad applicare la pena, al danneggiato non rimane che rivolgersi al giudice civile per ottenere la
condanna del responsabile al risarcimento del danno
LA MANCANZA, INSUFFICIENZA O CONTRADDITORIETA’ DELLA PROVA DI REITA’: le formule assolutorie di cui sopra
devono essere applicate dal giudice sia quando manca la prova della reità dell’imputato, sia quando tale prova è
insufficiente o contraddittoria, cioè quando persiste un ragionevole dubbio sulla reità dell’imputato (l’assoluzione
richiede quindi la non certezza della reità) → conseguenza della struttura e dello scopo del processo penale che
vuole accertare se i fati si sono svolti come l’accusa li ha ricostruiti
LE DISPOSIZIONI EVENTUALI DELLA SENTENZA DI PROSCIOGLIMENTO: con la sentenza di proscioglimento, sia di non
doversi procedere che di assoluzione, il giudice è tenuto ad emettere ulteriori provvedimenti se previsti
espressamente ex lege
17. La sentenza penale di condanna
Il giudice pronuncia sentenza di condanna quando ritiene che l’imputato sia colpevole del reato contestatogli al di là
di ogni ragionevole dubbio → applicazione della presunzione di innocenza dell’imputato e dell’onere della prova in
capo al pm
Lo standard probatorio richiesto è della elevata probabilità logica: occorre che quindi le risultanze probatorie
eliminino ogni ragionevole dubbio in merito alla fondatezza della ricostruzione dell’accusa
I punti essenziali della sentenza di condanna sono:
- Accertamento della sussistenza del fatto storico
- Qualificazione del fatto storico come illecito penale
- Affermazione che l’imputato lo ha commesso
- Determinazione della pena e delle conseguenze penali
Punti eventuali:
- Civili: pronuncia sulla domanda di risarcimento del danno formulata dalla parte civile nelle sue
conclusioni
- Penali:
- Applicazione pene accessorie, misure di sicurezza e sospensione condizionale
- Non menzione della condanna nel casellario giudiziale
- Dichiarazione di falsità di documenti e atti
- Varie ed eventuali previste ex leggi speciali
LE STATUIZIONI SULLE QUESTIONI CIVILI: quando pronuncia sentenza di condanna e vi è stata costituzione di parte
civile, il giudice è tenuto a decidere sulla domanda relativa alle restituzioni ed al risarcimento del danno. Tale
pronuncia è possibile soltanto all’interno della sentenza penale di condanna, con un autonomo “capo” sulle
questioni civili. Il giudice deve valutare se il danneggiato era legittimato a costituirsi parte civile e se ha subito un
danno derivante direttamente dal reato.
LA LIQUIDAZIONE DEL DANNO DA REATO: se la parte civile ha subito un danno, il giudice condanna l’imputato a
risarcirlo. Il giudice dovrebbe liquidarlo per intero, quindi quantificare la somma dovuta a titolo di risarcimento
186
LA CONDANNA GENERICA: nella prassi giudiziaria raramente avviene la liquidazione del quantum; quando le prove
acquisite non consentono la liquidazione del danno, il giudice «pronuncia condanna generica e rimette le parti
davanti al giudice civile» (art. 539 c. 1) dal momento le prove sulla quantificazione del danno richiedono tempo e
perizie che nel processo penale non ci sono
LA PROVVISIONALE IMMEDIATAMENTE ESECUTIVA: in previsione di una simile eventualità il difensore della parte
civile, nelle conclusioni che presenta al termine del dibattimento, chiede che il giudice penale conceda una
provvisionale, e cioè liquidi una determinata somma «nei limiti del danno per cui si ritiene già raggiunta la
prova» (art. 539, c. 2); in caso di accoglimento, la condanna al pagamento della provvisionale è immediatamente
esecutiva (art. 540, c. 2).
CONDANNA PROVVISIONALE IN FAVORE DEGLI ORFANI DI CRIMINI DOMESTICI: quando si procede per
- Omicidio del coniuge, anche legalmente separato o divorziato
- Omicidio dell’altra parte dell’unione civile anche se la stessa è cessata
- Omicidio della persona che è legata da relazione affettiva e stabile convivenza
Il giudice deve accertare se:
- Vi siano figli
- Se nel caso siano:
o Minorenni
o Maggiorenni non economicamente autosufficienti
- Se si sono costituiti come parte civile
Provvede quindi anche d’ufficio all’assegnazione di una provvisionale in loro favore

187
PARTE QUARTA
(I procedimenti penali differenziati e speciali)
CAPITOLO 1 (I procedimenti speciali)
1. Sistema accusatorio e procedimento semplificati
Accanto al procedimento penale ordinario che si svolge presso il tribunale collegiale e la corte d’assise, vi sono due
fondamentali “tipi” di modelli processuali.
PROCEDIMENTI:
- DIFFERENZIATI:
Riti che hanno la stessa struttura del rito ordinario, ma si caratterizzano rispetto al modello base per alcune
particolarità che attengono al giudice, o al tipo di responsabilità da accertare. Sono “procedimenti differenziati” i
seguenti:
- Quello presso il tribunale monocratico,
- Quello presso il giudice di pace,
- Quello presso il tribunale per i minorenni
- Quello che accerta la responsabilità amministrativa dell’ente.
Essi si pongono come strutture parallele rispetto al procedimento presso il tribunale collegiale, in quanto presentano
una struttura completa (dalle indagini preliminari alle impugnazioni).
- SPECIALI:
Riti che si limitano ad omettere una delle fasi processuali, e cioè l’udienza preliminare o il dibattimento o entrambe.
Sono “procedimenti speciali”:
- Il giudizio abbreviato,
- Il patteggiamento
- La sospensione del procedimento con messa alla prova (che omettono il dibattimento);
- Il giudizio immediato ed il procedimento direttissimo (che omettono l’udienza preliminare);
- Il procedimento per decreto (omette entrambe le fasi).
Tra il modello base e questi è configurabile un rapporto tra genere e specie
Le garanzie che prevede un sistema accusatorio comportano una maggiore complessità delle forme quindi un
allungamento dei tempi del processo soprattutto nel caso del dibattimento dove le prove dichiarative devono essere
assunte con l’esame incrociato
SISTEMA ACCUSATORIO E PROCEDIMENTI SEMPLIFICATI: per l’affermazione di un processo penale garantista, la
celebrazione del dibattimento deve essere limitata ai pochi casi nei quali vi sia un serio contrasto tra accusa e difesa,
mentre la maggior parte dei processi si deve svolgere con riti semplificati. Poiché in tali procedimenti l’imputato
gode di minori garanzie, si deve offrire un qualche incentivo perché l’imputato accetti un affievolimento del diritto di
difesa: i vantaggi consistono prevalentemente in una diminuzione della pena che dovrebbe essere scontata in caso di
Condanna
L’indispensabilità degli strumenti deflattivi del dibattimento è sancita anche a livello costituzionale, ex art. 111, V
stabilisce che il contraddittorio nella formazione della prova può essere derogato con il consenso dell’imputato (si
riferisce a patteggiamento, rito abbreviato e decreto penale di condanna)
LA SPECIALITA’ DEI PROCEDIMENTI ALTERNATIVI A QUELLO ORDINARIO: 2 gruppi di procedimenti speciali
- Quelli che si limitano ad eliminare l’udienza preliminare per pervenire in modo più veloce al
dibattimento. Tali procedimenti, che di regola prescindono dal consenso dell’imputato sono:
o Il giudizio direttissimo
o Il giudizio immediato.
Su richiesta del pm l’eliminazione dell’udienza preliminare avviene in modo imperativo, in base ad un
provvedimento emesso senza il consenso dell’imputato
La semplificazione deve tuttavia rispettare il principio di ragionevole durata del procedimento penale e
assicurare un adeguato contemperamento con il diritto di difesa dell’imputato
- Riti che omettono il dibattimento. In questi casi la semplificazione opera solo con il consenso
dell’imputato, poiché il diritto al dibattimento è un aspetto centrale del diritto di difesa. Essi sono:
188
o Il giudizio abbreviato: si può applicare a tutti i reati, anche quelli che siano puniti con
l’ergastolo
Su richiesta delle parti, può anche essere la tappa finale della trasformazione di giudizio
immediato, direttissimo e procedimento per decreto
o Il c.d. patteggiamento
o La sospensione del procedimento con messa alla prova
o Il procedimento per decreto, nel quale la mancata opposizione configura un implicito
consenso.
In questi riti il giudice compie le sue valutazioni utilizzando gli atti raccolti in modo unilaterale dalle parti.
2. Il giudizio abbreviato
A. CONSIDERAZIONI GENERALI
Il giudizio abbreviato è quel procedimento speciale che consente al giudice, su richiesta dell’imputato, di pronunciare
già al momento dell’udienza preliminare quella decisione di merito (condanna o proscioglimento) che di regola è
emanata alla fine del dibattimento; ai fini della decisione il giudice utilizza gli atti contenuti nel fascicolo delle
indagini.
La rinuncia al pieno contraddittorio nella formazione della prova e ai diritti che gli spettano in dibattimento è
incentivata dalla riduzione della pena che ne segue
L’udienza preliminare quindi muta di ruolo e diventa luogo in cui si deve decidere sulla responsabilità dell’imputato
B. IL GIUDIZIO ABBREVIATO SU RICHIESTA NON CONDIZIONATA. LA DECISIONE
Il presupposto per l’instaurazione del giudizio abbreviato è la richiesta dell’imputato; tale richiesta può essere
semplice oppure condizionata alla concessione di un’integrazione probatoria. Il termine finale per la presentazione
della stessa è la formulazione delle conclusioni nell’udienza preliminare → in seguito alla richiesta il giudice dispone
il giudizio abbreviato con ordinanza se la richiesta proviene da chi è legittimato
Di regola il giudizio si svolge in camera di consiglio; tuttavia è possibile procedere in pubblica udienza se tutti gli
imputati ne fanno richiesta → viene privilegiato il diritto alla riservatezza dell’imputato che è contrario all’udienza
pubblica
Si applicano le disposizioni previste per l’udienza preliminare, fatta eccezione per:
- Integrazione probatoria disposta dal giudice
- Modifica dell’imputazione (art. 423) → non viene quindi permessa la modifica a meno che il giudice
provveda all’integrazione probatoria
Al termine del procedimento il giudice valuta discrezionalmente la possibilità di decidere allo stato degli atti; in caso
positivo, il giudice pronuncia sentenza di proscioglimento o condanna
L’INTEGRAZIONE PROBATORIA DISPOSTA DAL GIUDICE D’UFFICIO: il giudice, qualora ritenga di non poter decidere
allo stato degli atti, assume su richiesta di parte o d’ufficio «gli elementi necessari ai fini della decisione» (art. 441, c.
5)
All’assunzione delle prove si deve procedere con le forme stabilite in relazione allo svolgimento eccezionale
dell’udienza preliminare: l’audizione delle persone è condotta, di regola, dal giudice, al quale il pubblico ministero e i
difensori possono chiedere di porre determinate domande. Quando il giudice dispone l’integrazione probatoria, il
pubblico ministero potrà modificare l’imputazione ed effettuare nuove contestazioni in udienza con le regole
previste per l’udienza preliminare.
LA DECISIONE A CONCLUSIONE DEL GIUDIZIO ABBREVIATO: terminata la discussione, il giudice redige la sentenza
sulla base delle norme previste per il dibattimento
Per la deliberazione, il giudice usa:
- Gli atti contenuti nel fascicolo delle indagini preliminari
- La documentazione delle indagini fatte dopo la richiesta di rinvio a giudizio
- Le prove assunte nell’udienza
Ex riforma orlando la richiesta di giudizio abbreviato proposta nell’udienza preliminare determina:
- Sanatoria delle nullità salvo quelle assolute
- Non rilevabilità delle inutilizzabilità, salvo quelle che derivano dalla violazione di un divieto probatorio

189
La richiesta di giudizio abbreviato preclude ogni questione sulla competenza per territorio del giudice quindi
l’imputato per chiedere lo sconto di pena deve rinunciare a sindacare la competenza per territorio dell’organo
giudicante
La decisione del giudice può essere di:
- Proscioglimento: stesse forme che valgono per il dibattimento
- Condanna: la pena che il giudice decide tenuto conto di tutte le circostanze viene diminuita di
o 1/3 se si procede per un delitto
o ½ se si tratta di contravvenzione
La sentenza viene notificata all’imputato che non sia comparso
C. IL GIUDIZIO ABBREVIATO SU RICHIESTA CONDIZIONATA
L’imputato può subordinare la richiesta ad una integrazione probatoria necessaria ai fini della decisione (art. 438, c.
5), con l’indicazione delle prove di cui chiede l’ammissione. In tal caso il giudice, «tenuto conto degli atti già acquisiti
ed utilizzabili», dispone il giudizio abbreviato se l’integrazione probatoria richiesta dall’imputato risulta:
- Necessaria ai fini della decisione;
- Compatibile con le finalità di economia processuale proprie del rito in questione
ACCOGLIMENTO DELLA RICHIESTA CONDIZIONATA: se il giudice accoglie la richiesta, si fa luogo a giudizio abbreviato
con assunzione di tutte quelle prove che sono state indicate dall’imputato; il pubblico ministero «può chiedere
l’ammissione di prova contraria».
RIGETTO DELLA RICHIESTA CONDIZIONATA: quando il giudice rigetta la richiesta condizionata di giudizio abbreviato
- Ex riforma orlando, l’imputato ha il potere di proporre subordinatamente al rigetto della richiesta
condizionata, una istanza non condizionata: se viene rigettata anche questa, il giudice deve disporre il
rito abbreviato semplice
- Ex riforma orlando, l’imputato può chiedere subordinatamente al rigetto della richiesta condizionata, il
patteggiamento: in caso di rigetto della richiesta condizionata il giudice verifica l’adesione del pm
- Se l’imputato aveva proposto solamente la richiesta di rito abbreviato condizionata e gli viene rigettata,
può reiterare la richiesta senza modifiche prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo
grado: il giudice del dibattimento deve quindi prendere visione degli atti contenuti nel fascicolo del pm e
verificare se effettivamente l’integrazione probatoria richiesta era necessaria
Si richiede che il rigetto della richiesta condizionata di giudizio abbreviato se illegittimo o ingiustificato
riguardo alla necessità della prova ai fini della decisione, deve pregiudicare definitivamente l’aspettativa
di una riduzione della pena dal momento che il diniego del rito comporta effetti in tema di
individuazione della pena
o Esito positivo: il giudice instaura il giudizio abbreviato nella fase introduttiva del
dibattimento
o Esito negativo ma al termine del dibattimento accerta che esistevano i presupposti per
accoglierla egli deve applicare la riduzione della pena
D. VICENDE DEL GIUDIZIO ABBREVIATO A SEGUITO DI NUOVE CONTESTAZIONI
Sia nel giudizio abbreviato su richiesta condizionata, sia in quello su richiesta non condizionata è possibile che, a
seguito dell’integrazione probatoria, emerga la necessità di modificare l’imputazione. Ove il pubblico ministero
contesti un fatto “diverso”, un reato connesso o una circostanza aggravante, l’imputato ha la possibilità di attivarsi e
di chiedere che «il procedimento prosegua nelle forme ordinarie» (art. 441-bis).
L’imputato può chiedere che il procedimento prosegua nelle forme ordinarie quando il pm contesta:
- Un fatto diverso
- Un reato connesso
- Una circostanza aggravante
Il giudice, su istanza dell’imputato o del suo difensore, assegna a questo scopo un termine max di 10 giorni la cui
durata comunque è determinata discrezionalmente dal giudice
LA RICHIESTA DI PROCEDERSI CON IL RITO ORDINARIO: se l’imputato chiede che si prosegua con giudizio ordinario, il
giudice revoca l’ordinanza con la quale ha disposto il giudizio abbreviato e fissa l’udienza preliminare o la
prosecuzione della stessa; poi non è più possibile chiedere il giudizio abbreviato.

190
Le prove assunte nel giudizio abbreviato hanno la stessa efficacia di quelle acquisite nel corso dello svolgimento
eccezionale dell’udienza preliminare
IL PROSEGUIMENTO NELLE FORME DEL RITO ABBREVIATO: se l’imputato non ha chiesto lo svolgimento del rito
ordinario, il procedimento prosegue nelle forme del giudizio abbreviato; a garanzia della difesa, ai sensi dell’art. 441-
bis, c. 5, l’imputato può chiedere l’ammissione di ulteriori prove in relazione alla nuova contestazione. Non operano i
limiti di ammissione stabiliti per la richiesta condizionata:
- Le prove siano «necessarie ai fini della decisione»
- «compatibili con le finalità di economia processuale» proprie del rito semplificato
Il pm ha il diritto alla prova contraria riguardo alle prove ammesse su richiesta dell’imputato
È comunque fatta salva la possibilità per il giudice di ammettere d’ufficio ulteriori prove che consideri necessarie ai
fini della decisione alla luce delle nuove risultanze
CONSIDERAZIONI GENERALI SUL GIUDIZIO ABBREVIATO: nei processi in cui il materiale probatorio consiste in atti
irripetibili ed indagini scientifiche compiute nell’ambito del sopralluogo o in un momento successivo, allora la
rinuncia al contraddittorio nella formazione della prova è minima dal momento che comunque le indagini irripetibili
sarebbero utilizzabili in dibattimento
Il giudice che ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti ha comunque il potere dovere di assumere
anche d’ufficio gli elementi necessari ai fini della decisione
E. ASPETTI DEL GIUDIZIO ABBREVIATO: LA PARTE CIVILE; LE IMPUGNAZIONI; LE INVESTIGAZIONI DIFENSIVE
I. LA PARTE CIVILE: a differenza di quanto avviene nel patteggiamento, la parte civile non è completamente
estromessa né al momento della decisione sull’adozione del rito abbreviato, né al momento delle conclusioni e della
decisione, anche se allo stato della attuale normativa non gode di alcun diritto alla prova. Una volta che il giudice
abbia accolto la richiesta di giudizio abbreviato, la parte civile deve decidere immediatamente se accettare o meno
tale rito con conseguenze sulla propria posizione
- ACCETTA IL GIUDIZIO: sia espressamente che implicitamente, non può esercitare l’azione risarcitoria nel
processo civile perché è sospeso fino alla sentenza penale irrevocabile → scatterà nei suoi confronti
l’ordinaria efficacia del giudicato di condanna o assoluzione
Al termine del rito abbreviato, viene emessa una sentenza di condanna che contiene il capo civile sul
risarcimento dei danni: su richiesta della parte civile può essere pronunciata la condanna provvisionale
immediatamente esecutiva
- NON ACCETTA: il danneggiato può esercitare immediatamente l’azione risarcitoria davanti al giudice
civile e il relativo processo non è sospeso
II. I GIUDIZI ABBREVIATI TIPICI: l’imputato può chiedere il giudizio abbreviato non soltanto nell’udienza preliminare
ma anche quando vengono disposti quei riti speciali che eliminano l’udienza preliminare (giudizio direttissimo,
giudizio immediato, procedimento per decreto) → al momento della loro instaurazione, l’imputato può chiedere il
giudizio abbreviato
III. LE IMPUGNAZIONI NEL GIUDIZIO ABBREVIATO: valgono anche qui le disposizioni generali di impugnazione ed
appello, se non vengono logicamente derogate espressamente o implicitamente da norme del codice
Limiti all’appellabilità della sentenza pronunciata a seguito di giudizio abbreviato
LE SENTENZE INAPPELLABILI:
- Sentenze di condanna per cu è stata applicata la sola pena dell’ammenda come originaria e non
sostitutiva alla detenzione (può quindi essere appellabile la sentenza che applica l’ammenda il luogo
dell’arresto)
- Sentenze di proscioglimento relative a contravvenzioni punite in astratto con la sola pena dell’ammenda
o con pena alternativa ad essa
Quindi:
- IMPUTATO:
o Può appellare la sentenza di condanna pronunciata nel rito abbreviato
o Non può proporre appello contro le sentenze di proscioglimento, ma per quelle di
assoluzione per difetto di imputabilità da vizio totale di mente
- PM:

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o Può proporre appello contro le sentenze di proscioglimento pronunciate con qualsiasi
formula nel rito abbreviato
o Non può proporre appello contro la sentenza di condanna, può farlo solamente quando il
giudice ha modificato il titolo di reato
La decisione emessa del giudizio abbreviato è assimilabile a quella dibattimentale quindi anche ai fini delle
impugnazioni si applica la disciplina relativa a quella fase
IV. INVESTIGAZIONI DIFENSIVE: all’inizio dell’udienza preliminare i difensori possono chiedere l’ammissione di atti e
documenti, tra cui ci può essere anche la documentazione delle investigazioni difensive → dopo essere stata
ammessa dal giudice, diventa utilizzabile per la decisione sul rinvio a giudizio
Il pubblico ministero può avere la necessità di presentare prove contrarie, ma può ritenere che il quadro probatorio
per il rinvio a giudizio sia sufficiente e quindi di rinviare ulteriori eventuali indagini in un momento successivo
Se l’imputato chiede il giudizio abbreviato immediatamente dopo il deposito delle indagini difensive, il pm può
valutare il quadro probatorio non sufficiente per tale rito → il pm può chiedere un rinvio per compiere le indagini
Viene quindi anche espressamente disciplinato ex riforma orlando il diritto alla prova contraria in capo al pm: può
quindi valutare discrezionalmente se compiere ulteriori indagini limitatamente a quanto introdotto dalla difesa in un
termine di max 60 giorni in cui il giudice deve sospendere la decisione sull’ammissione del rito abbreviato fino alla
decorrenza del termine stesso
L’imputato di fronte a questa richiesta del pm può anche revocare la richiesta di giudizio abbreviato
3. L’applicazione della pena su richiesta delle parti
A. CONSIDERAZIONI GENERALI. LA DUPLICE CONFIGURAZIONE DEL RITO
Il giudice con sentenza applica quella pena che è stata precisata da una concorde “richiesta dall’imputato e dal
pubblico ministero; egli deve controllare la correttezza della qualificazione giuridica del fatto e la congruità della
pena richiesta. La decisione avviene allo stato degli atti, e cioè sulla base del fascicolo delle indagini e dell’eventuale
fascicolo del difensore (contenente la documentazione delle investigazioni difensive). La semplificazione consiste
nell’eliminare l’assunzione orale delle prove in dibattimento e nell’utilizzare i verbali degli atti di indagine ai fini della
decisione. Una volta pronunciata la sentenza, questa di regola non è appellabile (art. 448, c. 2) ma può essere
sottoposta a ricorso per cassazione.
Nel determinare la pena sulla quale si fonda l’accordo si deve applicare una diminuzione fino ad 1/3 che opera però
solamente dopo che è stato effettuato il computo delle circostanze → l’accordo può essere stipulato anche dal
difensore che sia però munito di procura speciale
LA DIFFERENZA TRA PATTEGGIAMENTO E GIUDIZIO ABBREVIATO:
- L’imputato nel momento in cui chiede il rito abbreviato non conosce né l’esito del processo nel senso del
proscioglimento o della condanna; né in quest’ultimo caso, l’entità della pena base che il giudice
sceglierà e sulla quale sarà operata la riduzione di un terzo; la scelta del rito abbreviato avviene “al
buio”;
- Nel patteggiamento, invece, l’imputato sa in anticipo quale è la quantità di pena che sarà applicata se il
giudice accoglierà l’accordo.
Il sacrificio del diritto alla prova è compensato dal fatto che con l’accordo con il pm l’imputato incide direttamente
sulla quantità e qualità della pena in modo da poter valutare se gli conviene abbandonare le garanzie del
dibattimento
Una pena mite e applicata subito ha comunque più efficacia a livello di prevenzione generale rispetto ad una più
grave, applicata dopo un lungo intervallo di tempo, sottoponibile ad appello ed incerta nell’an e nel quantum
L’INTRODUZIONE LEGISLATIVA DEL PATTEGGIAMENTO ALLARGATO: due distinti tipi di patteggiamento
- “tradizionale”: permette all’imputato e al pubblico ministero di accordarsi su di una sanzione sostitutiva
o pecuniaria o su di una pena detentiva che, al netto della riduzione fino a un terzo, non supera due anni
sola o congiunta a pena pecuniaria (art. 444, c. 1);
- “allargato”: consente all’imputato e al pubblico ministero di accordarsi su di una sanzione da due anni e
un giorno fino a cinque anni di pena detentiva (sempre al netto della riduzione fino a un terzo) sola o
congiunta a pena pecuniaria (art. 445, c. 1).
Hanno un nucleo comune per la disciplina procedimentale e gli effetti, mentre due discipline diverse e specifiche per
requisiti e benefici
192
B. IL PATTEGGIAMENTO TRADIZIONALE: ASPETTO PREPONDERANTE DEI BENEFICI
Il patteggiamento tradizionale si configura come un rito semplificato nel quale i benefici assumono un peso notevole,
tra i quali spicca la riduzione fino ad un terzo sulla pena da irrogarsi in concreto.
L’unico vero requisito è che pm ed imputato possono accordarsi max in 2 anni di pena detentiva da sola o congiunta
con la pena pecuniaria che comunque non ha limiti massimi
Le parti possono comunque chiedere una sanzione sostitutiva in luogo della pena detentiva già ridotta di 1/3
Non vi sono limiti né oggettivi né soggettivi
I BENEFICI:
- La parte (di regola l’imputato) può subordinare l’efficacia dell’accordo alla concessione della sospensione
condizionale ad opera del giudice (art. 444, c. 3).
Questi, se ritiene di non concedere il beneficio (ad esempio perché è infausta la prognosi che l’imputato
si astenga dal commettere altri reati), deve rigettare la richiesta di patteggiamento. Il giudice del
patteggiamento è, infatti, vincolato ad una scelta secca: può solo irrogare la pena di cui si chiede
l’applicazione oppure rigettare “in blocco” la relativa richiesta; non può apportare alcuna modifica
all’accordo a cui sono giunti imputato e pubblico ministero.
- La sentenza che applica la pena non comporta la condanna al pagamento delle spese del procedimento
penale; viceversa, l’imputato è tenuto al pagamento delle eventuali spese di mantenimento in custodia
cautelare e al pagamento delle spese c.d. di giustizia, ad esempio di conservazione dei beni sequestrati.
- La sentenza che applica la pena non comporta l’irrogazione di pene accessorie di matrice penalistica
- La sentenza che applica la pena non comporta l’applicazione di misure di sicurezza; consente, invece, di
applicare la confisca nelle ipotesi nelle quali ai sensi dell’art. 240 c.p. è obbligatoria (es. prezzo del reato
e quando la detenzione della cosa è illecito penale) o facoltativa (es. prodotto o profitto di reato o cosa
utilizzata per commettere il reato, novità)
- Il reato è estinto se l’imputato non commette un delitto o una contravvenzione della stessa indole entro
il termine di 5 anni in casi di patteggiamento per delitto o di 2 per contravvenzione → il comportamento
penalmente corretto estingue ogni effetto penale
C. IL PATTEGGIAMENTO ALLARGATO
Il patteggiamento “allargato” consente all’imputato e al pubblico ministero di accordarsi su di una sanzione che,
ridotta fino ad un terzo, vada da due anni e un giorno fino a un massimo cinque anni di pena detentiva in concreto,
al netto della riduzione fino a 1/3
La pena pecuniaria deve subire la stessa riduzione ma comunque non ha limiti per vedere applicato il
patteggiamento allargato né quando è sola né quando è in aggiunta a quella detentiva
Viene però ESCLUSO:
- CAUSE DI ESCLUSIONE OGGETTIVE: sotto un profilo oggettivo, sono escluse tre categorie di delitti:
o Quelli di associazione mafiosa e assimilati (art. 51, c. 3-bis),
o Quelli di terrorismo (art. 51, c. 3-quater)
o Delitti di violenza sessuale e assimilati.
- CAUSE DI ESCLUSIONE SOGGETTIVE: le cause di esclusione soggettive riguardano determinati tipi di
imputati, e cioè coloro che siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali, per tendenza ed i
recidivi reiterati.
I reati che possono diventare oggetto di patteggiamento sono quelli la cui pena ammonta, prima della riduzione, fino
a 7 anni e 6 mesi → dove le attenuanti quindi prevalgono sulle aggravanti, sono negoziabili i reati fino a 11 anni di
reclusione (comprendendovi così anche se in astratto il tentato omicidio, il peculato, la concussione e la rapina a
mano armata che comunque sono parecchio gravi)
L’ESCLUSIONE DEI BENEFICI: non può comportare i benefici della sua versione tradizionale dal momento che se la
pena patteggiata è compresa tra i 2 anni e 1 giorno ed i 5 anni, il beneficio sarà lo sconto fino ad 1/3 della pena da
irrogarsi in concreto
La disciplina procedimentale e gli effetti della sentenza sono comuni ai due istituti
D. LA DISCIPLINA COMUNE
Possono prendere l’iniziativa tendente all’accordo sia l’imputato, sia il difensore munito di procura speciale, sia il
pubblico ministero
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L’imputato può rinunciare a difendersi nei confronti degli elementi di prova raccolti nella fase delle indagini
preferendo un accordo con il pm sulla quantità della pena
Il pm può comunque sondare la disponibilità dell’imputato
Una richiesta proveniente da una sola delle parti nel corso delle indagini preliminari, obbliga il giudice a fissare un
termine perché la controparte esprima un eventuale consenso: prima della scadenza la richiesta non è revocabile
(art. 447, c. 3).
La sede naturale per l’esplicarsi dell’accordo è l’udienza preliminare, quando già l’imputato ha avuto modo di
conoscere l’intero fascicolo delle indagini e di ponderare la sua strategia difensiva. Il termine finale per la
presentazione della richiesta di patteggiamento (o per dare il consenso originariamente negato) è la “presentazione
delle conclusioni” nell’udienza preliminare.
La richiesta può comunque essere presentata anche al termine della nuova udienza fissata con l’ordinanza per
l’integrazione delle indagini
IL PROBLEMA DELL’AMMISSIONE DI REITA’: il codice non impone all’imputato di riconoscere la propria responsabilità
nel momento in cui chiede l’applicazione della pena o stipula l’accordo col pubblico ministero
La richiesta di patteggiamento da parte dell’imputato non equivale ad una ammissione di reità ed anche una
eventuale confessione sarebbe liberamente valutabile dal giudice. Il giudice può anche disporre la comparizione
dell’imputato per verificare la volontarietà della richiesta o del consenso.
IL RIGETTO DELLA RICHIESTA DI APPLICAZIONE DELLA PENA: il pubblico ministero ed il giudice hanno una
discrezionalità vincolata nel valutare la richiesta di patteggiamento proveniente dall’imputato, in quanto le loro
determinazioni sono sottoposte ad un successivo controllo. Il pubblico ministero può dissentire rispetto ad una
richiesta di accordo formulata dall’imputato, ma deve enunciarne le ragioni (art. 446, c. 6); queste possono
consistere, ad esempio, nella esiguità della pena proposta (tenuto conto della gravità del reato o della colpevolezza)
o nella non corretta qualificazione del fatto da parte del richiedente. Il diniego del pubblico ministero impedisce al
g.u.p. (giudice delle indagini preliminari) di decidere sulla richiesta unilaterale dell’imputato.
IL CONTROLLO OPERATO DAL GIUDICE: questi valuta la legittimità e la fondatezza dell’accordo delle parti sulla base
di tutti gli atti contenuti nel fascicolo delle indagini, e quindi anche sulla base della eventuale documentazione delle
investigazioni difensive. Deve valutare se sia «congrua la pena indicata», per cui il controllo da lui svolto è di
carattere sostanziale → dal momento che viene sancito ex costituzione, questa impedisce anche di lasciare alle parti
la quantificazione della pena
La pena applicata in questo caso non è quella giusta frutto di una valutazione esclusivamente penalistica ma deve
tenere anche conto dell’incentivo che viene offerto all’imputato per non esercitare il suo diritto a difendersi in
dibattimento
LE DECISIONI DEL GIUDICE: in presenza di una concorde richiesta dell’imputato e del pubblico ministero il giudice (di
regola dell’udienza preliminare) pronuncia una delle seguenti decisioni (art. 444, c. 2)
- Se ritiene corrette la qualificazione giuridica del fatto, l’applicazione e la comparazione delle circostanze
prospettate dalle parti nonché congrua la pena richiesta, il giudice con sentenza dispone l’applicazione
della pena ed enuncia nel dispositivo che vi è stata richiesta delle parti;
- In caso contrario, con ordinanza rigetta la richiesta e ordina di procedersi con il rito ordinario;
- Può ritenere che, sulla base degli atti, l’imputato deve essere prosciolto; pronuncia così d’ufficio
sentenza con una delle formule terminative, cioè «che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha
commesso o che il fatto non costituisce reato o che il reato è estinto o che manca una condizione di
procedibilità» → il giudice deve prosciogliere solamente se esiste una causa di non punibilità quindi se
viene provata l’innocenza
IL COMPORTAMENTO DELL’IMPUTATO: la richiesta di applicazione della pena, formulata dall’imputato e non accolta
dal pubblico ministero o dal giudice, non può essere utilizzata nella motivazione di una successiva sentenza come
“argomento” al fine di dimostrare la reità. Il comportamento dell’imputato è solo una rinuncia a difendersi e può
essere fondato sui più vari motivi, come quello di evitare i costi e la pubblicità del dibattimento.
Anche se si è perfezionato un patteggiamento tra accusa e difesa, il giudice può sempre valutare di prosciogliere
l’imputato
LA MANCATA TUTELA DELLA PARTE CIVILE: la parte civile è il soggetto maggiormente sacrificato dal patteggiamento;
ai sensi dell’art. 444, c. 2 il giudice, quando accoglie la concorde richiesta dell’imputato e del pubblico ministero, non
194
può decidere sulla richiesta di risarcimento del danno derivante dal reato; il danneggiato può proporre l’azione di
danno in sede civile senza che vi sia sospensione di tale processo; il giudice, quando accoglie la concorde richiesta di
applicazione della pena, deve condannare l’imputato a risarcire le spese processuali sostenute dalla parte civile,
salvo che ricorrano giusti motivi di compensazione totale o parziale.
LA NON MENZIONE NEL CERTIFICATO DEL CASELLARIO GIUDIZIALE RICHIESTO DALL’INTERESSATO: nel certificato
generale del casellario giudiziale richiesto dall’interessato non devono essere riportati i «provvedimenti previsti
dall’art. 445 del codice di procedura penale» → dal momento che il richiamo è generico, si applica alle due forme di
patteggiamento
E. NATURA ED EFFETTI DELLA SENTENZA DI PATTEGGIAMENTO
Per garantire la costituzionalità dell’istituto, bisogna trovare un punto in cui i poteri dispositivi delle parti e i doveri
accertativi del giudice si incontrano
LA EQUIPARAZIONE TRA LA SENTENZA CHE APPLICA LA PENA SU RICHIESTA E LA SENTENZA DI CONDANNA: il
disposto dell’art. 445, c. 1-bis, reca «salve diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di
condanna», dal punto di vista dei contenuti anche probatori si dispone che
- È emessa quando non deve esserlo la sentenza di proscioglimento
- Viene emessa sulla base degli atti
Dalla lettura dell’art. 445 si ricava che il codice del 1988 non ha voluto qualificare come condanna la sentenza di
patteggiamento. La ragione della scelta originaria è resa palese dalla Relazione al progetto preliminare del codice: la
decisione del giudice avrebbe dovuto prescindere, nelle intenzioni del legislatore, da «un positivo accertamento della
responsabilità penale».
Critiche per il mancato rispetto della presunzione di innocenza e del principio nulla poena sine iudicio
L’ACCERTAMENTO INCOMPLETO SU CONSENSO DELL’IMPUTATO: la sentenza che accoglie il patteggiamento
contiene un accertamento incompleto
Dal momento che ex art. 111, V cost viene posta una deroga al principio del contraddittorio nella formazione della
prova in presenza del consenso dell’imputato (anche se un minimo di accertamento viene richiesto comunque), ne
deriva che l’accertamento della responsabilità è una regola disponibile fino al punto da ammettere che il giudice può
limitarsi alla verifica essenzialmente negativa della non esistenza di una causa di non punibilità
Con l’accordo delle parti si verifica comunque una forma di dialettica che attenua l’onere della prova in capo al pm
La presunzione di innocenza rimane salva dal momento che l’imputato rinuncia solo alla regola dell’oltre ogni
ragionevole dubbio
Il giudice non può quindi rigettare la richiesta di patteggiamento né disporre l’acquisizione di nuove prove per
incompletezza delle indagini perché sono sufficienti:
- Un minimo di prove di reità
- La mancanza di una prova piena di innocenza
Attua anche le istanze di ragionevole durata
Quindi la differenza tra la sentenza di condanna e quella che accoglie il patteggiamento sta nel diverso grado di
approfondimento della cognizione del giudice che quando emette sentenza di applicazione della pena richiesta dalle
parti deve limitarsi a motivare sulla fondatezza degli elementi a carico che risultano dall’esito delle indagini e sulla
impossibilità di prosciogliere
F. IL DIRITTO DI DIFENDERSI NEGOZIANDO. LE IMPUGNAZIONI DELLA SENTENZA CHE ACCOGLIE O RIGETTA IL
PATTEGGIAMENTO
Due ipotesi:
- L’imputato può aver chiesto al pubblico ministero di patteggiare una determinata quantità di pena e
quest’ultimo può aver negato il proprio consenso
- L’accordo stipulato tra l’imputato e la pubblica accusa su di una determinata quantità di pena può essere
rigettato dal giudice per vari motivi
Nelle due ipotesi, il dissenso manifestato dal pubblico ministero o il rigetto della richiesta da parte del giudice
dell’udienza preliminare comportano l’obbligatorio proseguimento del rito ordinario
L’imputato può rinnovare la richiesta prima dell’apertura del dibattimento di primo grado presentando una richiesta
identica o differente rispetto alla precedente

195
IL CONSENSO DEL PM IN DIBATTIMENTO: se il pubblico ministero presente in udienza consente, il giudice del
dibattimento ha il potere di valutare la richiesta; «se la ritiene fondata, pronuncia immediatamente sentenza» (art.
448, c. 1)
- Consente il controllo sul precedente diniego o rigetto
- Semplificazione dal momento che non impone comunque il dibattimento per valutare se una richiesta è
fondata o meno
IL DISSENSO DEL PM IN DIBATTIMENTO: il pm, davanti ad una richiesta di pena rinnovata dall’imputato prima
dell’apertura del dibattimento, nega il proprio consenso
Il giudice del dibattimento non può accogliere immediatamente la richiesta formulata dall’imputato poiché
sacrificherebbe il diritto alla prova spettante alla pubblica accusa. Il potere del giudice di pronunciare sentenza
malgrado il dissenso del pubblico ministero può essere esercitato soltanto dopo la chiusura del dibattimento quando
il giudice stesso è in grado di valutare, alla luce delle prove raccolte, se le ragioni del dissenso del pubblico ministero
erano giustificate
IL PM DI REGOLA NON PUO’ APPELLARE LA SENTENZA CHE APPLICA LA PENA SU RICHIESTA DELLE PARTI: ai sensi
dell’art. 448 c. 2, quando il pubblico ministero non ha consentito al patteggiamento e il giudice ha applicato la pena
su richiesta dell’imputato, la pubblica accusa può proporre appello contro la sentenza; negli altri casi la sentenza è
inappellabile.
IL CONTROLLO DA PARTE DEL GIUDICE DELL’IMPUGNAZIONE: l’art. 448 c. 1 prevede che il giudice dell’impugnazione
può emettere sentenza di applicazione della pena se ed in quanto ritenga ingiustificato il precedente rigetto da parte
del giudice di primo grado. L’ordinanza di rigetto emessa dal giudice del dibattimento di primo grado può quindi
diventare oggetto di impugnazione da parte dell’imputato unitamente alla sentenza di condanna. Motivo del
gravame sarà la non ragionevolezza del diniego.
Norme quindi di attuazione della giustizia consensuale
Mentre in passato veniva accordato all’imputato solamente il diritto di difendersi provando, adesso viene esteso al
negoziando → l’accordo sulla quantità della pena con gli incentivi sostanziali che ne derivano è un diritto che deve
essere concesso sia a giudice che all’imputato e al pm
IL RICORSO PER CASSAZIONE: contro la sentenza ce applica il patteggiamento possono proporre ricorso sia pm che
l’imputato ma deve avere per oggetto
- Espressione della volontà dell’imputato
- Difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza
- Erronea qualificazione giuridica del fatto
- Illegalità della pena o della misura di sicurezza
4. Il giudizio immediato
CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE: Il giudizio immediato ha la caratteristica di eliminare l’udienza preliminare: dalle
indagini preliminari si giunge direttamente all’udienza dibattimentale. Sono due i procedimenti: il giudizio
immediato chiesto dal pubblico ministero (art. 453 c. 1) e quello chiesto dall’imputato (art. 453 c. 3).
A. IL GIUDIZIO IMMEDIATO CHIESTO DALL’IMPUTATO
L’imputato può disporre della garanzia dell’udienza preliminare rinunciando al controllo giurisdizionale sulla
necessità del rinvio a giudizio; egli può presentare richiesta soltanto dopo che il pubblico ministero ha formulato
l’imputazione ed il giudice ha fissato l’udienza preliminare. Pertanto, il difensore dell’imputato ha già avuto la
possibilità di prendere visione del fascicolo degli atti di indagine
La richiesta di giudizio immediato va presentata nella cancelleria del giudice almeno tre giorni prima della udienza
preliminare e deve essere notificata al pubblico ministero e alla persona offesa. Con la richiesta di giudizio
immediato l’imputato perde la possibilità di ottenere il rito abbreviato o il patteggiamento (art. 458, c. 3; art. 446, c.
1). Di fronte alla richiesta formulata dall’imputato, il giudice è obbligato a disporre il giudizio immediato (art. 419, c.
6). La scelta dell’imputato, di rinunciare alla garanzia dell’udienza preliminare, è libera ed insindacabile e può essere
determinata da varie ragioni
B. IL GIUDIZIO IMMEDIATO CHIESTO DAL PM
Il d.l. sulla sicurezza pubblica 92/2008:
- Ha reso obbligatoria per il pubblico ministero la richiesta di giudizio immediato nell’ipotesi di evidenza
della prova;
196
- Ha introdotto un nuovo caso di giudizio immediato: il pubblico ministero è tenuto a chiedere il rito
speciale qualora l’imputato si trovi in stato di custodia cautelare → accelera i tempi per evitare la
scarcerazione automatica per decorrenza dei termini di custodia cautelare
Nelle due ipotesi, comunque, il pubblico ministero è esentato dal dovere di chiedere il rito immediato quando «ciò
pregiudichi gravemente le indagini». Poiché la richiesta di giudizio immediato deve essere presentata entro un
termine inferiore rispetto a quello ordinario per le indagini, può esservi pregiudizio quando la completa ricostruzione
del fatto di reato richiede tempi più ampi di quelli che sono concessi dalla legge per instaurare il giudizio immediato.
Allo stesso modo, le indagini di criminalità organizzata potrebbero subire un pregiudizio quando il deposito degli atti
nei confronti di un indagato può compromettere la segretezza di altre inchieste relative a procedimenti collegati nei
confronti di altri indagati.
I. IPOTESI TRADIZIONALE: è caratterizzata dalla brevità delle indagini unita all’evidenza della prova di reità. Il
pubblico ministero deve chiedere al giudice per le indagini preliminari il rito immediato se concorrono i seguenti
presupposti (art. 453, c. 1)
- Che la prova appaia evidente, quindi devono già esistere elementi idonei a sostenere l’accusa in giudizio;
- Che la persona sottoposta alle indagini sia stata interrogata sui fatti dai quali emerge l’evidenza della
prova o comunque sia stata invitata a presentarsi per rendere interrogatorio e la stessa abbia omesso di
comparire, sempre che non sia stato addotto un legittimo impedimento e che non si tratti di persona
irreperibile;
- Che non siano decorsi più di novanta giorni dall’iscrizione della notizia di reato nel registro.
II. IL GIUDIZIO IMMEDIATO CUSTODIALE: il d.l. sulla sicurezza pubblica 92/2008 ha introdotto l’obbligo per il pubblico
ministero (quando non vi siano gravi pregiudizi per le indagini) di chiedere il giudizio immediato per quel reato per il
quale la custodia cautelare a carico di un indagato ha assunto un determinato grado di stabilità, dovuto alla
conferma del tribunale della libertà o alla mancata proposizione della richiesta di riesame. La situazione probatoria
sottostante è costituita dalla esistenza di gravi indizi di reità dell’indagato tali da giustificare l’applicazione della
misura custodiale (quantum di prova superiore a quello che nell’udienza preliminare determina il rinvio a giudizio) →
il legislatore ha considerato superfluo quel controllo sulla fondatezza dell’accusa che si svolge nell’udienza
preliminare perché assorbito nella valutazione sulla sussistenza dei gravi indizi.
I termini per la richiesta di giudizio immediato custodiale decorrono dall’esecuzione della misura → a seconda del
momento in cui viene applicata la custodia, è possibile che si svolgano anche indagini molto lunghe
Il pubblico ministero deve chiedere al giudice per le indagini preliminari il rito immediato se concorrono i seguenti
presupposti (art. 453, c. 1-bis):
- Che al momento della richiesta l’indagato sia in stato di custodia cautelare (e cioè, si trovi in carcere, in
arresto domiciliare o in ricovero in casa di cura) per il medesimo «reato» per il quale è chiesto il rito
immediato;
- Che il provvedimento custodiale, adottato nel relativo procedimento, abbia raggiunto un determinato
grado di stabilità, e cioè sia stato confermato dalla decisione in sede di riesame (art. 309) o siano decorsi
i «termini per la proposizione» di tale rimedio;
- Che non siano decorsi «centottanta giorni dall’esecuzione della misura»;
- Il permanere dei gravi indizi nel procedimento incidentale de libertate. Il codice precisa che il giudice
deve rigettare la richiesta di giudizio immediato «se l’ordinanza che dispone la custodia cautelare è stata
revocata o annullata per sopravvenuta insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza» → lo stato di
custodia deve quindi essere presente al momento della richiesta di giudizio immediato ma potrebbe non
esserlo quando il giudice decide sulla richiesta (è irrilevante quindi a tal fine che la custodia sia revocata
per sopravvenuta attenuazione o insussistenza delle esigenze cautelari)
LA RICHIESTA DEL PM: sulla richiesta di rito immediato, sia nell’ipotesi tradizionale, sia in quella custodiale, decide il
giudice per le indagini preliminari in segreto sulla sola base degli atti trasmessi dal pubblico ministero (art. 454, c. 2)
e senza sentire la difesa. Il codice non prevede, infatti, che il pubblico ministero debba aver previamente inviato
all’indagato l’avviso di conclusione delle indagini (art. 415-bis). Di conseguenza il g.i.p. sente esclusivamente la parte
pubblica e, sulla base di verbali di atti che possono essere conosciuti solo in parte dal difensore dell’imputato, decide
il rinvio a giudizio nella forma del rito immediato.

197
Il pubblico ministero può avere una remora a disporre il giudizio immediato quando vi sono procedimenti connessi e
per alcuni di essi manchino i presupposti che legittimano il rito speciale. È vero che egli può separare i procedimenti
e chiedere il giudizio immediato soltanto per quello (o per quelli) per i quali sussistono i presupposti; ma ciò può
pregiudicare gravemente le indagini. Se i procedimenti restano riuniti, per legge deve prevalere il rito ordinario.
IL CONTROLLO OPERATO DAL GIUDICE: il giudice per le indagini preliminari, dopo aver esaminato gli atti contenuti
nel fascicolo,
- Se non ritiene sussistenti i requisiti su indicati, rigetta la richiesta con decreto non motivato e restituisce
gli atti al pubblico ministero (art. 455, c. 1)
- Ove ritenga esistenti i presupposti, il giudice dispone con decreto il rito immediato (art. 455) e provvede
a formare il fascicolo per il dibattimento (art. 457). Il decreto, non motivato, «è comunicato al pubblico
ministero e notificato all’imputato e alla persona offesa almeno trenta giorni prima della data fissata per
il giudizio» (art. 456, c. 3); entro lo stesso termine al difensore dell’imputato è notificato avviso della data
fissata per il giudizio. Le parti e i difensori hanno facoltà di prendere visione ed estrarre copia del
fascicolo trasmesso dal pubblico ministero con la richiesta di giudizio immediato.
All’imputato è dato l’ulteriore avviso che egli può chiedere il giudizio abbreviato o l’applicazione della pena su
richiesta, per il rito semplificato il termine è di 15 giorni dall’ultima notificazione intervenuta tra quella concernente
il decreto comunicato all’imputato e quella concernente l’avviso al difensore
Spetta al giudice per le indagini preliminari decidere sulla domanda di patteggiamento presentata dall’imputato e
sulla eventuale richiesta di giudizio abbreviato subordinata ad un’integrazione probatoria. Se il giudice per le indagini
preliminari ha rigettato tale richiesta, l’imputato può rinnovarla prima della dichiarazione di apertura del
dibattimento (C. cost. 169/2003).
5. Il giudizio direttissimo
A. IL GIUDIZIO DIRETTISSIMO PREVISTO DAL CODICE
Il rito direttissimo presenta una forte somiglianza con il giudizio immediato chiesto dal pubblico ministero In
entrambi i casi l’iniziativa della pubblica accusa consente di passare rapidamente dalla fase delle indagini a quella del
dibattimento, omettendo l’udienza preliminare. La diversità tra i suddetti procedimenti attiene ai presupposti dal
momento che per il rito direttissimo sono chiesti l’arresto in flagranza o la confessione resa dall’indagato → se
ritenuti presenti dal pm, ci si deve pronunciare anche il giudice nel pieno del contraddittorio
IPOTESI:
- OBBLIGATORIE:
o Il pubblico ministero deve procedere con giudizio direttissimo (salvo che ciò pregiudichi
gravemente le indagini) quando l’indagato è stato arrestato in flagranza di reato e l’arresto è
stato convalidato dal giudice per le indagini preliminari (art. 449, c. 4); la giurisprudenza
richiede che all’arrestato sia stata applicata una misura cautelare custodiale, poiché in
questa ipotesi, il pubblico ministero instaura il rito direttissimo facendo condurre l’accusato
in udienza; e ciò deve avvenire entro trenta giorni dall’arresto.
o Il pubblico ministero deve procedere con giudizio direttissimo anche quando l’indagato
abbia reso confessione all’autorità giudiziaria nel corso di un interrogatorio (art. 449, c. 5).
L’imputato libero è citato a comparire ad una udienza entro il trentesimo giorno dalla
iscrizione nel registro delle notizie di reato;
- FACOLTATIVA: il pubblico ministero ha la facoltà di procedere con giudizio direttissimo con la modalità
della presentazione al giudice del dibattimento quando ritiene di chiedere a quest’ultimo la convalida
dell’arresto (art. 449, c. 1). In tal caso, l’arrestato in flagranza deve essere condotto direttamente
nell’aula dibattimentale non oltre il termine di quarantotto ore dall’inizio della limitazione della libertà
personale. La convalida dell’arresto è un presupposto del rito:
o Se l’arresto è convalidato, si procede a giudizio direttissimo;
o Se l’arresto non viene convalidato, il giudizio direttissimo non ha luogo e gli atti sono
restituiti al pubblico ministero
Il codice, peraltro, prevede una ulteriore possibilità che il rito direttissimo si instauri pur in mancanza
della convalida: ai sensi dell’art. 449 c. 2, si deve procedere con il predetto rito quando il pubblico

198
ministero e l’imputato vi consentono → l’esistenza di una base consensuale costituisce il presupposto
per la omissione della udienza preliminare.
Il pubblico ministero può avere una remora a disporre il giudizio direttissimo quando vi sono procedimenti connessi
e per alcuni di questi manchino i presupposti per il rito speciale; può separare i procedimenti e disporre il giudizio
direttissimo soltanto per quello (o per quelli) per i quali sussistono i presupposti, ma ciò può pregiudicare
gravemente le indagini. Se i procedimenti restano riuniti, per legge deve prevalere il rito ordinario.
L’INSTAURAZIONE DEL GIUDIZIO DIRETTISSIMO: all’instaurazione del rito provvede il pubblico ministero seguendo
forme diverse a seconda che
- L’imputato si trovi in stato di arresto o di custodia cautelare: fa condurre la persona in vinculis
direttamente in udienza, ove gli contesta oralmente l’imputazione (art. 451, c. 4)
- L’imputato è libero o comunque sottoposto a misure non custodiali: fa notificare all’imputato una
citazione a comparire, nella quale deve essere enunciato il fatto addebitato (art. 450, cc. 2 e 3)
In tutti i casi di giudizio direttissimo è il pubblico ministero a formare il fascicolo per il dibattimento, che viene
trasmesso alla cancelleria del giudice competente. Gli atti delle indagini restano depositati presso la segreteria
del pubblico ministero in modo da consentire al difensore di prenderne visione.
LO SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO DIRETTISSIMO: dal momento che non viene svolta la sottofase degli atti preliminari
al dibattimento, (art. 451, II ss)
- Non vi sono liste testimoniali
- La persona offesa e i testimoni possono essere citati anche oralmente da un ufficiale giudiziario o da un
agente di polizia giudiziaria
- Pm, imputato e parte civile possono presentare nel dibattimento testimoni senza citazione
Una volta che il presidente abbia controllato secondo le disposizioni ordinarie la regolare costituzione delle parti, si
possono svolgere le questioni preliminari
Fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento, l’imputato ha la facoltà di chiedere la sospensione del
procedimento con messa alla prova
Il presidente avverte l’imputato che:
- Ha la facoltà di chiedere il rito abbreviato o il patteggiamento
- Ha la facoltà di chiedere un termine per preparare la difesa non superiore a 10 giorni → se se ne avvale,
il dibattimento è sospeso fino all’udienza immediatamente successiva alla scadenza del termine
Una volta dichiarato aperto il dibattimento, questo prosegue secondo le cadenze ordinarie con la richiesta di
ammissione delle prove
B. IL GIUDIZIO DIRETTISSIMO IN SEGUITO ALL’ALLONTANAMENTO D’URGENZA DALLA CASA FAMILIARE
Con la legge 15 ottobre 2013, n. 119, di conversione del d.l. 14 agosto 2013, n. 93 in tema di «contrasto della
violenza di genere», il Parlamento ha introdotto un nuovo modulo di giudizio direttissimo nel caso in cui sia stato
disposto l’allontanamento urgente dalla casa familiare di un indagato sorpreso in flagranza di uno dei delitti contro la
persona (indicati nell’art. 282-bis, c. 6).
LA REGOLAMENTAZIONE: dopo aver disposto l’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare,
- Quando il pubblico ministero ritiene che il giudizio direttissimo non «pregiudichi gravemente» le indagini
in corso (art. 449, c. 5), la polizia giudiziaria provvede, su suo ordine, ad instaurare il rito direttissimo
perché si svolga la convalida della misura.
- Se la pubblica accusa ritiene che si debba lasciare uno spazio più ampio alle indagini, allora sceglie la
strada dell’allontanamento ad opera del giudice per le indagini preliminari (art. 449, c. 4).
LA CONVALIDA DELL’ALLONTANAMENTO D’URGENZA CON CONTESTUALE RITO DIRETTISSIMO: prescelta la
strada di procedere immediatamente con il dibattimento, la polizia giudiziaria su disposizione del pubblico ministero
cita l’indagato per a contestuale convalida della misura entro quarantotto ore dall’esecuzione dell’allontanamento;
in udienza il giudice:
- Può convalidare l’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare ed eventualmente applicare
l’allontanamento stesso come provvedimento cautelare, oppure altra misura su richiesta del pubblico
ministero; in caso di convalida di procede con il rito direttissimo
- Non convalida l’allontanamento d’urgenza:
o Se pm e indagato consentono al giudizio direttissimo, si procede così
199
o Se non consentono, gli atti sono restituiti al pm che procede in altro modo
LA CONVALIDA DELL’ALLONTAMENTO D’URGENZA SENZA CONTESTUALE RITO DIRETTISSIMO: quando il pubblico
ministero ritiene che il contestuale rito direttissimo pregiudichi gravemente le indagini, la polizia giudiziaria deve
provvedere comunque «entro il medesimo termine di quarantotto ore» alla citazione per l’udienza di convalida
indicata dal pubblico ministero: si tratta della comune udienza di convalida davanti al giudice per le indagini
preliminari (art. 391).
In tale udienza il giudice:
- Se non convalida l’allontanamento d’urgenza, gli atti sono restituiti al pubblico ministero, che procede in
altro modo;
- Se il giudice per le indagini preliminari convalida l’allontanamento d’urgenza, entro trenta giorni
l’indagato è citato a comparire per il giudizio direttissimo (art. 449, c. 4).
C. IL GIUDIZIO DIRETTISSIMO PREVISTO DA LEGGI SPECIALI
Alcune leggi, successive all’emanazione del codice, hanno introdotto nell’ordinamento figure particolari di giudizio
direttissimo obbligatorio, per le quali si prescinde dai presupposti di norma richiesti → reati:
- Armi ed esplosivi
- Commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive
- Ingresso illegale degli stranieri nel territorio dello stato
6. Il procedimento per decreto
Comporta l’eliminazione dell’udienza preliminare e di quella dibattimentale → si definisce “monitorio”: il pm chiede
al giudice l’applicazione della pena inaudita altera parte, l’imputato successivamente informato
- Se si oppone: ottiene l’attivazione delle garanzie che gli sarebbero spettate ex ante
- Se non si oppone: consenso postumo alla semplificazione procedimentale
Il pm presenta al gip una richiesta motivata di irrogare solamente la pena pecuniaria anche se inflitta in sostituzione
di quella difensiva → può chiedere l’applicazione di una pena diminuita sino alla metà rispetto al minimo edittale
Si richiedono 2 presupposti:
- La richiesta deve essere formulata entro 6 mesi dalla data in cui il nome dell’indagato è iscritto nel
registro delle notizie di reato
- Non deve essere necessario applicare una misura di sicurezza personale a causa della pericolosità
dell’autore del reato
Il giudice valuta se la pena è congrua:
- Sì: pronuncia con decreto la condanna alla pena richiesta dal pm → il giudice ha il potere di incidere sulla
quantità della pena pecuniaria in sostituzione di quella detentiva modificando quindi la proposta del pm
anche in ragione delle condizioni economiche dell’imputato
- No: se ritiene quindi che
o La richiesta del rito non sia legittima
o Non sia corretta la qualificazione giuridica del fatto
Il giudice restituisce gli atti al pm che procederà come deve
Il giudice però può anche prosciogliere l’imputato se ritiene che vi sia prova evidente dell’innocenza o
dell’improcedibilità
GLI INCENTIVI: Per “indurre” l’imputato ad accettare,
- Il pm può chiedere l’applicazione di una pena diminuita sino alla metà rispetto al minimo edittale;
- Il giudice può concedere la sospensione condizionale della pena;
- Il decreto penale esecutivo non ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo (art. 460 c. 5);
- Non possono essere applicate pene accessorie e può essere disposta soltanto la confisca obbligatoria;
- Il decreto non comporta condanna al pagamento delle spese del procedimento ed il reato è estinto se
«nel termine di cinque anni, quando il decreto concerne un delitto, ovvero di due anni, quando il decreto
concerne una contravvenzione, l’imputato non commette un delitto ovvero una contravvenzione della
stessa indole»;
- La condanna non deve essere menzionata nei certificati richiesti dai privati.
IL CONSENSO DELL’IMPUTATO: il decreto viene notificato all’imputato che

200
- Può presentare opposizione entro 15 giorni ed ottenere così lo svolgimento del dibattito con la garanzia
della formazione della prova in contraddittorio
- Non presentando opposizione, può accettare il rito → deroga al contraddittorio in presenza del
consenso dell’imputato
- Unitamente all’opposizione, chiede anche uno dei procedimenti speciali
IL CONTROLLO AD OPERA DEL GIUDICE: la richiesta può essere rigettata dal giudice
- Per insussistenza dei presupposti
- Perché la pena risulta eccessiva o inadeguata (Corte cost., sentenza 447/1990).
Quando accoglie la domanda, il giudice emette decreto di condanna, applicando la pena pecuniaria nella misura
proposta dal pubblico ministero
Copia del decreto viene comunicata al pm e viene notificata a:
- Condannato
- Difensore d’ufficio
- Difensore di fiducia eventualmente nominato
- Persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria
Se l’imputato è irreperibile e quindi non è possibile eseguire la notificazione, il giudice revoca il decreto di condanna
e restituisce gli atti al pm
L’OPPOSIZIONE: contro il decreto motivato, il condannato e la persona civilmente obbligata, anche tramite il
difensore, possono formulare un’opposizione; questa va presentata, a pena di inammissibilità, entro quindici giorni
dalla notificazione del decreto → effetto totalmente devolutivo
Se l’opposizione non è proposta o è dichiarata inammissibile, il giudice ordina l’esecuzione del decreto (art. 461, c.
5).
D’altra parte, proponendo l’opposizione il condannato corre il rischio di subire un trattamento sanzionatorio diverso
e più rigoroso, rispetto a quello stabilito nel decreto, e di perdere i benefici concessi (art. 464, c. 4) → non opera il
divieto di reformatio in pejus, che vale solamente per l’appello
Contestualmente l’imputato può chiedere:
- Giudizio abbreviato
- Patteggiamento
- Giudizio immediato
- Sospensione del procedimento con messa alla prova
- Oblazione: il gip decide sulla domanda stessa prima di provvedere alla richiesta degli altri procedimenti
speciali, quindi decide su questi
Se viene accolta la richiesta di uno dei procedimenti speciali, il decreto penale è revocato
In mancanza della specifica richiesta, l’imputato che ha presentato opposizione viene citato per il dibattimento
mediante giudizio immediato ed il decreto penale è revocato
Lo sbocco procedurale quindi dell’opposizione è ammesso solamente nell’ambito dei riti speciali
IRREVOCABILITA’ DEL DECRETO PENALE: il decreto penale notificato e non opposto diventa irrevocabile e ex
principio di tassatività non ricorribile per cassazione → è esecutivo
Ha l’efficacia del giudicato solamente a fini penali quindi ha la stessa efficacia preclusiva (ne bis in idem) ma non
costituisce accertamento a fini extra penali
7. Sospensione del procedimento con messa alla prova
A. LA DISCIPLINA DI DIRITTO SOSTANZIALE
NATURA E FINALITA’: con la legge n. 67 del 2014 il Parlamento ha introdotto nel codice la sospensione del
procedimento con messa alla prova con la finalità è stata quella sia di deflazionare il carico giudiziario, sia di
perseguire il reinserimento sociale “anticipato” degli imputati dei reati di minore gravità → profilo:
- Processuale: procedimento speciale
- Sostanziale: se vi è un esito positivo, l’istituto si configura come una causa di estinzione (degli effetti
penali) del reato
La peculiarità della messa alla prova nei confronti degli adulti è che essa comporta necessariamente la prestazione di
lavoro di pubblica utilità che nel nostro ordinamento è caratterizzato da una natura sanzionatoria (perciò non si può

201
assimilare a quello già sperimentato in relazione al procedimento minorile) → l’esecuzione del trattamento viene
rimessa alla spontaneità dell’imputato, quindi qualora non adempisse l0unica scelta è di riprendere il contraddittorio
L’AMBITO APPLICATIVO: l’imputato può chiedere la sospensione del processo con messa alla prova in tre casi (art.
168-bis, c. 1 c.p.):
- Per reati puniti con la sola pena pecuniaria;
- Per reati puniti con pena detentiva fino a quattro anni nel massimo, sola, congiunta o alternativa alla
pena pecuniaria;
- Per i reati per i quali è prevista la citazione diretta a giudizio nel rito monocratico.
Non osta all’applicazione l’eventuale presenza delle circostanze aggravanti
I CONTENUTI SANZIONATORI:
- La prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal
reato;
- Ove possibile, il risarcimento del danno;
- L’affidamento dell’imputato al servizio sociale, per lo svolgimento di un programma che può implicare,
tra l’altro, attività di volontariato di rilievo sociale, o l’osservanza di prescrizioni relative sia ai rapporti
con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, sia alla dimora, sia alla libertà di movimento, sia al
divieto di frequentare determinati locali;
- La prestazione di lavoro di pubblica utilità di durata non inferiore a dieci giorni anche non continuativi.
I LIMITI: la sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato può essere concessa una sola una volta
(art. 168-bis, c. 4 c.p.) e non si applica ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza (art. 168-bis, c. 5 c.p.).
D. LA DISCIPLINA DI DIRITTO PROCESSUALE
LA RICHIESTA DELL’IMPUTATO: può essere presentata sia oralmente che per iscritto fino a che
- Non siano formulate le conclusioni nello svolgimento ordinario o eccezionale dell’udienza preliminare
- Alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado nel giudizio direttissimo e nel
procedimento di citazione diretta a giudizio
Si tratta di tutti termini perentori stabiliti quindi a pena di inammissibilità
Atto personale:
- La volontà dell’interessato viene espressa in udienza o per mezzo di procuratore speciale,
- La sottoscrizione è autenticata nelle forme previste per la spedizione dell’atto di impugnazione proposto
dalle parti private: autentica del notaio, persona autorizzata o difensore stesso
IL PROGRAMMA DI TRATTAMENTO: alla richiesta è allegato un programma di trattamento, elaborato
d’intesa con l’ufficio di esecuzione penale esterna → se la previa elaborazione non è possibile, basta allegare
all’istanza presentata al giudice la semplice richiesta di elaborazione del programma già rivolta all’ufficio di
esecuzione penale esterna
LA REGOLAMENTAZIONE: il programma deve prevedere
- Le modalità di coinvolgimento dell’imputato, nonché del suo nucleo familiare e del suo ambiente di vita
nel processo di reinserimento sociale, ove ciò risulti necessario e possibile;
- Le prescrizioni comportamentali e gli altri impegni specifici che l’imputato assume anche al fine di elidere
o di attenuare le conseguenze del reato, considerando a tal fine il risarcimento del danno, le condotte
riparatorie e le restituzioni, nonché le prescrizioni attinenti al lavoro di pubblica utilità o all’attività di
volontariato di rilievo sociale;
- Le condotte volte a promuovere, ove possibile, la mediazione con la persona offesa.
La durata massima del trattamento coincide con la durata della sospensione
LA DECISIONE DEL GIUDICE: ex art. 464-quater, I il giudice decide sulla richiesta sentite le parti e la persona offesa,
che esprimono un parere non vincolante
Il giudice provvede con ordinanza:
- Nel corso della stessa udienza se l’istanza viene presentata nell’udienza preliminare
- In una apposita udienza in camera di consiglio della cui fissazione viene dato avviso alle parti e alla
persona offesa
La probation viene quindi subordinata ad una valutazione negativa sulla possibilità di emettere un proscioglimento
immediato
202
Il giudice, se ritiene opportuno verificare la volontarietà della richiesta, dispone la comparizione dell’imputato
LA CONCESSIONE DELLA PROVA: la sospensione del procedimento con messa alla prova è disposta quando il giudice,
in relazione alla commisurazione della pena, reputa
- Idoneo il programma presentato
- Che l’imputato si asterrà dal commettere nuovi reati
Viene valutato dal giudice anche se il domicilio indicato nel programma dall’imputato sia tale da assicurare esigenze
di tutela della persona offesa dal reato
I POTERI OFFICIOSI DEL GIUDICE: purché vi sia il consenso dell’imputato, il giudice può integrare o modificare il
programma di trattamento → l’ordinanza che dispone la sospensione del procedimento con messa alla prova deve
essere iscritta per estratto nel casellario giudiziale
LA POSIZIONE DEL DANNEGGIATO: quando è concessa la messa alla prova, il danneggiato può iniziare o proseguire il
processo civile davanti al giudice civile senza subire sospensioni
LA RINNOVAZIONE DELLA SENTENZA: in caso di rigetto, la richiesta può essere riproposta nel giudizio prima della
dichiarazione di apertura del dibattimento → per evitare che vengano aggirati i termini perentori stabiliti, deve
essere riproposta la medesima richiesta sulla quale potrà esercitare il controllo il giudice del dibattimento
Nell’ordinanza è essenziale l’indicazione del termine entro il quale le prescrizioni e gli obblighi relativi alle condotte
riparatorie o risarcitorie devono essere adempiuti → il termine può essere prorogato su istanza dell’imputato
solamente una volta e per gravi motivi
Termine autonomo ed indipendente rispetto a quello in cui deve essere svolta tutta la prova
LA MODIFICA DELLE PRESCRIZIONI: per gli adempimenti esecutivi, l’ordinanza viene immediatamente trasmessa
all’ufficio di esecuzione penale esterna che deve prendere in carico l’imputato
Durante la sospensione del procedimento con messa alla prova, il giudice sentiti imputato e pm può modificare con
ordinanza le prescrizioni rispettando il principio di congruità tra le nuove disposizioni e le finalità che si pone il
programma
LA DURATA DELLA SOSPENSIONE: il procedimento non può essere sospeso per un periodo
- Superiore a due anni quando si procede per reati per i quali è prevista una pena detentiva, sola,
congiunta o alternativa alla pena pecuniaria;
- Superiore a un anno quando si procede per reati per i quali è prevista la sola pena pecuniaria.
Tali termini decorrono dalla sottoscrizione del verbale di messa alla prova dell’imputato
Durante il periodo di sospensione del procedimento con messa alla prova, il corso della prescrizione del reato è
sospeso nei confronti del probando
LA RICHIESTA PRESENTATA NEL CORSO DELLE INDAGINI PRELIMINARI: la richiesta può altresì essere presentata nel
corso delle indagini preliminari dall’imputato con una procedura di interpello modellata su quella prevista per il
patteggiamento.
ESITO POSITIVO: decorso il periodo di sospensione del procedimento con messa alla prova, il giudice dichiara con
sentenza estinto il reato se, tenuto conto del comportamento dell’imputato e del rispetto delle prescrizioni stabilite,
ritiene che la prova abbia avuto esito positivo.
Non pregiudica comunque l’applicazione delle sanzioni amministrative accessorie
ESITO NEGATIVO: il giudice dispone con ordinanza che il processo riprenda il suo corso (art. 464-septies, c. 2) e la
richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova non può più essere riproposta (art. 464-novies).
REVOCA: ai sensi dell’art. 168-quater c.p., la sospensione del procedimento con messa alla prova è revocata in due
ipotesi
- Qualora l’imputato commetta una grave o reiterata trasgressione al programma di trattamento o alle
prescrizioni imposte, o rifiuti la prestazione del lavoro di pubblica utilità
- Qualora l’imputato commetta, durante il periodo di prova, un nuovo delitto non colposo o un reato della
stessa indole rispetto a quello per cui si procede.
Situazioni che quindi decretano il fallimento della messa alla prova rispetto agli scopi a cui l’istituto mira
La revoca è disposta dal giudice anche d’ufficio con ordinanza emessa all’esito di una udienza in camera di consiglio
che si celebra con il contraddittorio facoltativo.
La decisione del giudice è obbligatoria per la perentorietà del disposto normativo, m comporta sempre una
valutazione discrezionale del giudice riguardo alla valutazione dei presupposti
203
LO SCOMPUTO DEL PRESOFFERTO IN CASO DI REVOCA O ESITO NEGATIVO: qualora sia disposta la revoca, o
comunque la messa alla prova abbia un esito negativo, è comunque previsto un effetto favorevole nei confronti
dell’imputato. Infatti, se il procedimento riprende il suo corso e l’imputato è condannato, nel determinare la pena da
eseguire in concreto, il pubblico ministero deve defalcare un periodo corrispondente a quello della prova esperita. Ai
fini della detrazione, tre giorni di prova sono equiparati a un giorno di reclusione o di arresto, o a 250 euro di multa o
di ammenda (art. 657-bis).
Si ritiene che solamente il periodo di prova proficuamente trascorso prima che si sia verificata la causa di revoca
debba essere scomputato

204
CAPITOLO 2 (Il procedimento davanti al tribunale monocratico)
1. Considerazioni introduttive
Nell’ambito dei reati che appartengono alla cognizione del giudice monocratico il legislatore ha distinto due fasce di
gravità
- Nella prima fascia rientrano i seguenti reati (art. 550):
o Le contravvenzioni, purché non siano di competenza del giudice pace;
o I delitti puniti con la sola multa, purché non siano di competenza giudice di pace;
o I delitti puniti con pena detentiva fino a quattro anni nel massimo anche congiunta a multa, purché
non siano di competenza del giudice di pace;
o Altri reati puniti con pena superiore, indicati nominativamente nell’art. 550 c. 2 (ex: violenza o
resistenza a pubblico ufficiale, rissa aggravata tranne il caso di morte o lesioni gravissime dell’altro,
furto aggravato, ricettazione,…)
In relazione a questi reati viene predisposto un rito apposito senza udienza preliminare: il pm esercita
l’azione penale mediante decreto di citazione diretta a giudizio
- Nella seconda fascia, determinata in via residuale, rientrano tutti gli altri reati che appartengono alla
cognizione del tribunale in composizione monocratica, e cioè i delitti puniti, nel massimo, con pena
detentiva superiore a quattro anni e fino a dieci anni. Per tali delitti è predisposto un procedimento
eguale a quello collegiale, che prevede lo svolgimento dell’udienza preliminare. Ai sensi dell’art. 551,
quando vi è connessione tra reati rientranti nella prima fascia e reati rientranti nella seconda, si applica il
procedimento che prevede lo svolgimento dell’udienza preliminare per tutti.
2. Il procedimento monocratico con udienza preliminare
Sia il procedimento monocratico predisposto per i reati più gravi, sia quello predisposto per i reati meno gravi sono
modellati sul procedimento dinanzi al tribunale in composizione collegiale, che nel codice è concepito come il rito
ordinario
IL PROCEDIMENTO MONOCRATICO PER I REATI PIU’ GRAVI: comporta le maggiori deroghe rispetto al procedimento
ordinario
Poiché non viene dettata alcuna regolamentazione specifica, trova applicazione la disciplina comune relativa: alle
indagini preliminari e alla proroga dei relativi termini; all’incidente probatorio; all’archiviazione e all’esercizio
dell’azione penale; all’udienza preliminare.
IL DIBATTIMENTO: si svolge secondo le norme stabilite per il procedimento davanti al tribunale in composizione
collegiale, in quanto applicabili (art. 559, c. 1). Sono comunque previste alcune peculiarità:
- I dichiaranti sono sentiti con esame incrociato, ma, su concorde richiesta delle parti, l’esame può essere
«condotto direttamente dal giudice sulla base delle domande e contestazioni proposte dal pubblico
ministero e dai difensori» (art. 559, c. 3).
- Il verbale di udienza è redatto soltanto in forma riassuntiva «se le parti vi consentono e il giudice non
ritiene necessaria la redazione in forma integrale» (art. 559, c. 2).
3. Il procedimento monocratico con citazione diretta
CONSIDERAZIONI PRELIMINARI: si tratta di un procedimento che ha una disciplina identica a quella finora
tratteggiata in relazione al rito monocratico predisposto per i reati più gravi tranne per il fatto che nel rito con
citazione diretta non è previsto lo svolgimento dell’udienza preliminare. Il pubblico ministero esercita l’azione penale
con citazione diretta a giudizio e non è previsto alcun controllo del giudice sulla fondatezza della sua iniziativa. Il
pubblico ministero emette il decreto di citazione a giudizio (art. 552) e lo fa notificare all’imputato e alla persona
offesa almeno sessanta giorni prima della data fissata per l’udienza di comparizione.
LA FORMAZIONE DEL FASCICOLO PER IL DIBATTIMENTO: dopo la notificazione, il pubblico ministero forma il fascicolo
per il dibattimento e lo trasmette al giudice (del dibattimento) unitamente al decreto (art. 553, c. 1). All’imputato
non è riconosciuta la garanzia dell’udienza preliminare che consente un vaglio preventivo sulla idoneità degli
elementi raccolti nel corso delle indagini a sostenere l’accusa in giudizio. Inoltre, l’imputato è estromesso dalla
formazione del fascicolo per il dibattimento, che è formato unilateralmente dal pubblico ministero.
Prima di emettere il decreto di citazione a giudizio, il p.m., a pena di nullità, deve aver fatto notificare all’indagato
l’avviso di conclusione delle indagini preliminari nonché, ove l’indagato abbia chiesto di essere interrogato, l’invito a
presentarsi per rendere interrogatorio (art. 552, c. 2).
205
IL DIVIETO DI CITAZIONE A GIUDIZIO: il decreto di citazione a giudizio ha un contenuto più complesso rispetto a
quello del rito collegiale e del rito monocratico per i reati più gravi; deve contenere tre elementi ulteriori:
- L’avviso all’imputato che ha facoltà di nominare un difensore di fiducia e che, in mancanza, sarà assistito
dal difensore d’ufficio (art. 552, c. 1, lett. e);
- L’avviso all’imputato che prima della dichiarazione di apertura del dibattimento può chiedere il giudizio
abbreviato o il patteggiamento, o presentare domanda di oblazione (art. 552, c. 1, lett. f);
- L’avviso che il fascicolo delle indagini è depositato nella segreteria del p.m. e i loro difensori possono
prenderne visione ed estrarne copia (art. 552, c. 1, lett. g).
L’UDIENZA DI COMPARIZIONE: il legislatore del 1999 ha previsto un’apposita udienza, denominata udienza di
comparizione (art. 555). È una sorta di trait d’union tra la fase delle indagini preliminari e quella del giudizio.
L’udienza di comparizione ha almeno due funzioni:
- L’imputato può scegliere un rito alternativo;
- Se si va al dibattimento, le parti svolgono una serie di attività, che altrimenti troverebbero la loro sede
nell’udienza dibattimentale.
In ogni caso è previsto che le parti, a pena di inammissibilità, debbano depositare sette giorni prima della data fissata
per l’udienza, le liste «dei testimoni, periti o consulenti tecnici nonché delle persone indicate nell’art. 210 di cui
intendono chiedere l’esame» (art. 555, c. 1). Ove infatti non si instauri alcun rito speciale, l’udienza di comparizione
può sfociare nel dibattimento
LA DISCIPLINA DELL’UDIENZA DI COMPARIZIONE: terminata la discussione, le parti hanno la possibilità di richiedere
un rito speciale. Prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, l’imputato o il pubblico ministero possono
chiedere l’applicazione della pena su richiesta delle parti.
L’imputato può altresì chiedere:
- Il giudizio abbreviato
- Presentare domanda di oblazione
- Chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova
Inoltre, quando il reato è perseguibile a querela, il giudice deve procedere ad un tentativo obbligatorio di
conciliazione verificando se il querelante è disposto a rimettere la querela ed il querelato ad accettare la remissione
→ in caso negativo il giudice dichiara aperto il dibattimento: le parti «indicano i fatti che intendono provare e
chiedono l’ammissione delle prove» (art. 555, c. 4)
È altresì possibile l’acquisizione concordata al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico
ministero o raccolti nel corso delle investigazioni difensive. Il dibattimento si svolge con le forme del procedimento
monocratico per i reati più gravi.
LE FUNZIONI DEL PM: le funzioni del pubblico ministero, dinanzi al tribunale in composizione monocratica, sono
svolte dal procuratore della repubblica presso il tribunale. Questi può delegare lo svolgimento delle sue funzioni
nell’udienza dibattimentale a:
- Uditori giudiziari,
- Vice procuratori onorari addetti all’ufficio,
- Personale in quiescenza da non più di due anni che nei cinque anni precedenti abbia svolto le funzioni di
ufficiale di polizia giudiziaria,
- Laureati in giurisprudenza che frequentano il secondo anno della scuola biennale di specializzazione per
le professioni legali
Non si possono delegare funzioni di pm in relazione a reati diversi da quelli per cui si procede con citazione diretta a
giudizio → la delega delle funzioni è quindi possibile solamente nei procedimenti per reati meno gravi
4. I riti speciali del procedimento monocratico
Anche con riferimento ai riti semplificati la disciplina è quasi interamente modellata su quella prevista nell’ambito
del procedimento dinanzi al tribunale collegiale, oltre al rinvio ex art. 549 ci sono però anche norme speciali
A. IL GIUDIZIO ABBREVIATO E IL PATTEGGIAMENTO
- Nel rito monocratico con udienza preliminare vi è un generale rinvio alla disciplina ordinaria, in quanto
applicabile (art. 556, c. 1);

206
- Nel rito monocratico senza udienza preliminare, l’art. 556 c. 2 precisa che la richiesta di giudizio
abbreviato e quella di patteggiamento devono essere presentate nell’udienza di comparizione prima
della dichiarazione di apertura del dibattimento; competente a decidere è il tribunale monocratico.
B. IL PROCEDIMENTO PER DECRETO
Anche in relazione al procedimento in oggetto il codice effettua un rinvio alle disposizioni del libro sesto (art. 557, c.
3). Tuttavia, l’art. 557 precisa che con l’atto di opposizione l’imputato può presentare domanda di ablazione, ovvero
chiedere il giudizio abbreviato, il patteggiamento, o l’emissione del decreto di citazione a giudizio.
C. IL GIUDIZIO DIRETTISSIMO
Il rito direttissimo si svolge con modalità differenti rispetto a quelle previste per i reati di competenza della corte
d’assise e del tribunale collegiale. Il d.l. 22 dicembre 2011, n. 211, conv. in legge 17 febbraio 2012, n. 9, ha voluto
limitare il flusso degli arrestati in flagranza verso le case circondariali al fine di deflazionare le carceri. Infatti il
pubblico ministero, avvisato dalla polizia,
- Di regola dispone che l’indagato sia custodito in arresto domiciliare nel circondario del tribunale in cui
l’arresto è stato eseguito;
- In via eccezionale,
o L’arrestato è custodito presso strutture nella disponibilità della polizia giudiziaria, le c.d. camere di
sicurezza se
▪ Il luogo di privata dimora o altri luoghi di cura pubblici non sono adeguati
▪ Se l’arresto è dovuto a rapina o ad estorsione semplici o a furto in abitazione o con strappo
o In caso di mancanza o indisponibilità di queste, il pubblico ministero ordina con decreto motivato
che l’arrestato sia condotto nella casa circondariale.
PER INIZIATIVA DELLA POLIZIA GIUDIZIARIA: se il pubblico ministero non ordina alla polizia di mettere l’arrestato a
propria disposizione, questi entro quarantotto ore deve essere condotto davanti al giudice del dibattimento per la
convalida dell’arresto ed il contestuale giudizio, direttamente dagli ufficiali o agenti che hanno eseguito l’arresto o
che hanno avuto in consegna l’arrestato (artt. 558, c. 1 e 163 disp. att.). La formulazione dell’imputazione è
comunque riservata al pubblico ministero. Se il giudice non tiene udienza, la polizia giudiziaria è obbligata a fornirgli
immediata notizia dell’arresto in modo che egli possa fissare l’udienza entro quarantotto ore dalla avvenuta
limitazione della libertà personale (art. 558, c. 2).
I testimoni e la persona offesa sono citati anche oralmente ed il difensore sia d’ufficio che di fiducia deve essere
avvisato
In udienza,
- L’ufficiale o agente che presenta l’arrestato è autorizzato dal giudice ad una relazione orale che non ha
carattere di testimonianza,
- Successivamente viene anche sentito l’arrestato con le forme previste per l’interrogatorio
PER INIZIATIVA DEL PM: spetta alla pubblica accusa il potere di ordinare che l’arrestato sia posto a propria
disposizione (art. 386); in tal caso il pubblico ministero presenta direttamente in udienza l’imputato entro
quarantotto ore dall’arresto per la convalida ed il contestuale giudizio direttissimo (art. 558, c. 4).
SVOLGIMENTO DEL RITO DIRETTISSIMO: Se l’arresto non è convalidato, il giudice deve restituire gli atti al pubblico
ministero, salvo che questi e l’imputato consentano al giudizio direttissimo.
- In caso di mancata convalida il pubblico ministero potrà comunque esercitare l’azione penale nelle forme
ordinarie.
- Se l’arresto è convalidato, si deve svolgere il rito direttissimo. Subito dopo l’udienza di convalida,
l’imputato può chiedere il rito abbreviato o il patteggiamento; in tal caso «il giudizio si svolge davanti
allo stesso giudice del dibattimento» (art. 558, c. 8). Se l’imputato intende affrontare il dibattimento, può
chiedere un termine non superiore a cinque giorni per preparare la difesa (art. 558, c. 7).
Quando il pm richiede la messa a disposizione del soggetto arrestato, è possibile che il giudizio di convalida e quello
di responsabilità seguano due strade separate, dal momento che il pm potrebbe optare per la convalida dell’arresto
davanti al gip nel più ampio termine di 48 ore dalla richiesta della pubblica accusa per poi procedere con le forme
ordinarie o con un procedimento speciale (rimane comunque salva la normativa sull’arresto domiciliare o
sull’eventuale uso delle camere di sicurezza)
D. IL GIUDIZIO IMMEDIATO
207
Deve ritenersi applicabile il giudizio immediato nel procedimento monocratico con udienza preliminare in forza del
rinvio, contenuto nell’art. 549, alle disposizioni relative al tribunale in composizione collegiale «in quanto
applicabili».
Pertanto, nel giudizio immediato per procedimenti di competenza del tribunale monocratico per i quali è prevista
l’udienza preliminare, se il pubblico ministero decide di accedere al giudizio immediato, non deve essere inviato
l’avviso di conclusione delle indagini (art. 415-bis).

208
PARTE QUINTA
(Le impugnazioni)
CAPITOLO 1 (Principi generali sulle impugnazioni penali)
1. Impugnazioni ordinarie e straordinarie
Impugnazione è quel rimedio esperibile da una parte al fine di rimuovere un provvedimento giurisdizionale
svantaggioso, che si assume errato, mediante il controllo operato da un giudice differente da quello che ha emesso il
provvedimento medesimo.
- ORDINARIE: le impugnazioni ordinarie sono quelle che possono essere esperite prima che la sentenza
diventi irrevocabile. Sono impugnazioni ordinarie:
o L’appello: la cognizione del giudice di appello è la più completa, perché egli può riesaminare il caso
sotto il profilo della legittimità del merito nei limiti dei motivi addotti dalle parti appellanti; i motivi
sono tendenzialmente illimitati.
o Il ricorso per cassazione: in cassazione “accusata” è la sentenza impugnata; essa può essere fatta
oggetto di ricorso per vizi di legittimità e solo nei casi previsti dalla legge, i motivi sono tassativi
La corte di cassazione è giudice della sola legalità sostanziale e processuale, viene escluso il
sindacato sulla valutazione dei fatti → può solamente pronunciare l’annullamento della sentenza,
mentre per riformarla il compito spetta al giudice del rinvio dopo l’annullamento
Possono essere proposti entro un termine stabilito a pena di decadenza (art. 585, c. 5); decorso tale
termine senza sia stata presentata impugnazione, la sentenza diventa irrevocabile.
- STRAORDINARIE: le impugnazioni straordinarie sono quelle che hanno ad oggetto provvedimenti
divenuti irrevocabili. Sono impugnazioni straordinarie:
o La revisione (art. 629 ss.),
o Il ricorso per cassazione per errore materiale o di fatto (art. 625-bis)
o La rescissione del giudicato (art. 625-ter).
2. Le disposizioni generali sulle impugnazioni
Le disposizioni generali si applicano a tutte le impugnazioni. I principi generali che regolano le impugnazioni ordinarie
sono: il principio di tassatività; l’effetto sospensivo dell’impugnazione; l’effetto estensivo; l’effetto evolutivo.
- TASSATIVITA’: art. 568, c. 1, secondo cui è soltanto la legge che stabilisce «i casi nei quali i provvedimenti
del giudice sono soggetti ad impugnazione e determina il mezzo con cui possono essere impugnati»
Duplice effetto:
o La necessità che la legge preveda espressamente un provvedimento come impugnabile
o La medesima precisi il mezzo di impugnazione
In mancanza di ciò, il provvedimento non è impugnabile
Il principio di tassatività investe anche i soggetti che sono ammessi a proporre impugnazione
Sono sempre soggetti a ricorso per cassazione, quando non sono altrimenti impugnabili, i provvedimenti
con i quali il giudice decide sulla libertà personale e le sentenze; ciò in base all’art. 568 c. 2 che attua
l’art. 111 c. 7 Cost → le sentenze sono appellabili soltanto se tale mezzo è previsto espressamente dalla
legge.
Per le ordinanze che non decidono sulla libertà vale la regola della tassatività: non sono impugnabili se
non quando ciò è previsto per legge. Le ordinanze emesse negli atti preliminari al dibattimento e nel
dibattimento sono impugnabili soltanto unitamente alla sentenza (art. 586 c. 1).
LA CONSERVAZIONE DELL’IMPUGNAZIONE: ai sensi dell’art. 568 c. 5, «l’impugnazione è ammissibile
indipendentemente dalla qualificazione a essa data dalla parte che l’ha proposta. Se l’impugnazione è
proposta ad un giudice incompetente, questi trasmette gli atti al giudice competente».
- EFFETTO SOSPENSIVO: l’esecuzione della sentenza è sospesa fino all’esito dell’ultimo giudizio di
impugnazione concretamente esperito (art. 588 c. 1) → l’esecuzione della sentenza è, quindi, sempre
differita sia durante il decorso del termine per impugnare che durante lo svolgimento dell’impugnazione
sino al giudicato
È coerente con art. 650, I “le sentenze hanno forza esecutiva quando divenute irrevocabili”
209
- EFFETTO ESTENSIVO:
o In base all’art. 587, c. 1, nel caso di concorso di più persone nel reato, l’impugnazione proposta da
uno degli imputati giova anche agli altri purché non fondata su motivi esclusivamente personali.
o Nel caso di riunione di procedimenti per reati diversi (art. 587, c. 2), l’impugnazione proposta da un
imputato giova a tutti gli altri imputati soltanto se i motivi riguardano violazioni della legge
processuale e non sono esclusivamente personali.
L’effetto estensivo consiste nel consentire ad una parte, che non ha proposto l’impugnazione, di
partecipare al giudizio e di giovarsi degli effetti favorevoli derivanti da una impugnazione proposta da
altra parte, con la quale la prima abbia un interesse identico o collegato.
Motivi:
o Esclusivamente personali quelli che riguardano la qualità e le condizioni soggettive della persona che
li ha proposti (es. erronea dichiarazione di recidiva)
o Non esclusivamente personali quelli che riguardano questioni sostanziali o processuali di tipo
oggettivo, comuni al soggetto impugnante e agli altri coimputati
Si distingue in relazione a:
o IMPUGNAZIONE: permette alla parte non impugnante di partecipare al giudizio di impugnazione
promosso da altra parte con la quale abbia un interesse identico o collegato (art. 601, c. 1) → la
parte non impugnante può quindi sostenere di fronte al giudice l’accoglimento e l’estensione a suo
favore dei motivi non esclusivamente personal da altra parte proposti
o SENTENZA: il giudice dell’impugnazione, nell’accogliere un motivo non personale, dispone la
modifica o l’annullamento della sentenza impugnata anche nei confronti del coimputato che non ha
presentato impugnazione o che non ha partecipato al giudizio di impugnazione.
- EFFETTO DEVOLUTIVO DELL’IMPUGNAZIONE: CAPI E PUNTI DELLA SENTENZA.
Per devoluzione si intende il trasferimento della cognizione al giudice dell’impugnazione, ossia ad un
giudice funzionalmente diverso rispetto a quello che ha pronunciato il provvedimento impugnato
o INTERAMENTE DEVOLUTIVA: quando la legge attribuisce al giudice dell’impugnazione il potere di
conoscere tutta la materia decisa dal primo giudice (ad es. nel riesame della misura cautelare;
o LIMITATAMENTE DEVOLUTIVA: quando la legge consente al giudice dell’impugnazione di conoscere
soltanto quella parte della materia che è stata oggetto dei motivi proposti dalla parte impugnante.
I CAPI DELLA SENTENZA: nel processo penale la contestazione della o delle imputazioni avviene per “capi
di accusa”, riferiti al fatto storico, a sua volta posto in relazione con la fattispecie incriminatrice.
Normalmente i capi di accusa contestati sono numerati o accompagnati da lettere ed il giudice di primo
gradi si pronuncia in ordine a ciascuno di essi
Per “capo” deve intendersi la decisione emessa relativamente a uno dei reati attribuiti all’imputato
«tanto da poter costituire da solo, anche separatamente, il contenuto di una sentenza»
I PUNTI DELLA SENTENZA: sono le tematiche generali che devono necessariamente essere affrontate dal
giudice per decidere su ciascuna imputazione: l’accertamento del fatto storico, l’attribuzione di esso
all’imputato, la qualificazione giuridica, l’insussistenza delle cause di giustificazione, l’elemento oggettivo
e quello soggettivo, le circostanze e la loro comparazione, la determinazione della pena. Il punto è quindi
ogni statuizione della decisione che può essere considerata in modo autonomo e può comprendere una
o più questioni.
I MOTIVI DELL’IMPUGNAZIONE: i motivi che stanno alla base della richiesta di riforma o di annullamento,
si riferiscono ai capi ed ai punti della sentenza e precisano quale sia l’aspetto che viene criticato e
sottoposto al giudice dell’impugnazione. Ovviamente, una parte può impugnare uno o più capi della
sentenza e soltanto per le disposizioni penali o soltanto per quelle civili o per entrambe.
Ex riforma Orlando, le parti hanno ora un onere più pesante di motivazione in modo specifico le
doglianze nei confronti della sentenza → viene quindi introdotto un modello legale della motivazione in
fatto della sentenza che permette un più agevole controllo delle argomentazioni della decisione
Quindi:
o Nell’appello le parti devolvono un punto della sentenza

210
o Nel ricorso per cassazione le parti devolvono un motivo di doglianza tra quelli previsti
espressamente dalla legge
L’IMPUGNAZIONE PER I SOLI INTERESSI CIVILI: l’impugnazione che concerne soltanto i capi civili della
sentenza non sospende l’esecuzione delle disposizioni penali del provvedimento impugnato (art. 573 c.
2). In tal caso, i capi penali, non impugnati, diventano irrevocabili. L’impugnazione per i soli interessi civili
è proposta, trattata e decisa con le forme ordinarie del processo penale (art. 573, c. 1).
3. I soggetti legittimati ad impugnare
I soggetti legittimati ad impugnare sono unicamente le “parti”. L’impugnabilità, sotto il profilo soggettivo, si
compone di due aspetti:
- La legittimazione ad impugnare (e cioè la titolarità astratta del diritto di impugnazione, conferita dalla
legge)
- L’interesse ad impugnare.
II difetto di uno dei due aspetti è causa di inammissibilità dell’atto di impugnazione (art. 591 c. 1 lett. a).
INTERESSE AD IMPUGNARE: perché l’impugnazione sia ammissibile, è necessario che la parte abbia un interesse ad
impugnare (art. 568, c. 4: «per proporre impugnazione è necessario avervi interesse»).
Ciò accade quando l’impugnazione è diretta ad eliminare un provvedimento pregiudizievole per la parte impugnante
e a sostituirlo con un altro dal quale derivi un risultato vantaggioso per la medesima → il requisito viene soddisfatto
anche quando il provvedimento richiesto comporta una situazione pratica più vantaggiosa per la parte (non
solamente quindi un risultato teoricamente più corretto)
INTERESSE AD IMPUGNARE DELLA PUBBLICA ACCUSA: il principio trova una deroga apparente nella potestà di
impugnazione conferita al pubblico ministero, la cui funzione è quella di far osservare la legge
- Egli può quindi avere interesse a proporre ricorso per cassazione ove la legge non sia stata rispettata nel
giudizio di merito, anche se questo comporta un effetto favorevole per l’imputato
- Nel giudizio di merito dal momento che prevale la qualità di pubblica accusa (antagonista dell’imputato)
con la riforma orlando è stato posto divieto al pm di proporre appello con effetti favorevoli all’imputato
IMPUGNAZIONI DEL PM: quando il pm ha facoltà ex lege di impugnare, possono proporre impugnazione
- Il rappresentante del pm che ha presentato le conclusioni in quel procedimento (art. 570, II)
- Il capo dell’ufficio, quali che siano state le conclusioni del rappresentante del pm (art. 570, I)
IMPUGNAZIONI DEL PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE D’APPELLO: dal momento che viene consentito ex
lege al pm, il procuratore può appellare soltanto nei casi:
- Avocazione
- Quando abbia prestato acquiescenza al procedimento
Viene quindi eliminato l’appello cumulativo proposto da entrambi i rappresentanti della pubblica accusa di primo e
secondo grado
Impugnazione diversa dall’appello? Si può ancora l’appello cumulativo (il divieto vige quindi solamente per
l’appello)! Il procuratore generale può quindi procedere anche se il pm presso il giudice che ha emesso il
provvedimento:
- Lo abbia già impugnato
- Abbia fatto acquiescenza
NORME GENERALI: il pm presso il giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato può rinunciare
all’impugnazione da lui proposta fino all’apertura del dibattimento → all’apertura del dibattimento la dichiarazione
di rinuncia può essere effettuata prima dell’inizio della discussione dal pm presso il giudice dell’impugnazione anche
se la stessa è stata richiesta da un altro pm
Si può quindi proporre:
- Prima dell’apertura del dibattimento
- In dibattimento prima dell’inizio della discussione
IMPUGNAZIONI DELL’IMPUTATO: l’imputato può proporre impugnazione penale, personalmente o per mezzo di un
procuratore speciale nominato anche prima dell’emissione del provvedimento
IMPUGNAZIONE DEL DIFENSORE DELL’IMPUTATO: ex art. 571, III il difensore che abbia tale qualità al momento del
deposito del provvedimento ha il potere di proporre impugnazione in favore del cliente
- Quando l’imputato non ha proposto impugnazione
211
- Anche quando l’imputato l’ha fatto
Il difensore quindi esercita questo potere autonomamente rispetto all’assistito dal momento che comunque lui in
questa situazione è più lucido nel ragionare
IMPUGNAZIONE DELLA PARTE CIVILE: il codice riconosce alla parte civile un autonomo potere di impugnazione
limitatamente alla tutela dei propri interessi civili (art.576); occorre naturalmente che essa
- Abbia conservato tale posizione fino al termine del dibattimento
- Abbia presentato le proprie conclusioni scritte
Caratteristiche:
- È proposta, decisa e trattata con le forme del procedimento penale
- Non sospende l’esecuzione dei capi penali: i capi penali quindi se non impugnati dal pm passano in
giudicato limitatamente all’aspetto penalistico
La parte civile può impugnare:
- La sentenza di condanna limitatamente ai capi che riguardano l’azione civile
- La sentenza di proscioglimento pronunciata in giudizio anche quando il pm non ha presentato gravame
contro la medesima → la parte civile quindi ottiene con la sua impugnazione un accertamento del diritto
al risarcimento del danno
- La sentenza di proscioglimento quando questa condanna ai danni e alle spese
IMPUGNAZIONI DEL RESPONSABILE CIVILE: il responsabile civile può proporre impugnazione contro le disposizioni
della sentenza riguardanti la responsabilità dell’imputato e contro quelle relative alla condanna di questi e del
responsabile civile alle restituzioni, al risarcimento e alla rifusione delle spese processuali. Questa impugnazione è di
tipo “penalistico” ed è proposta col mezzo che la legge attribuisce all’imputato (art. 575 c. 1).
IMPUGNAZIONI DELLA PERSONA CIVILMENTE OBBLIGATA PER LA PENA PECUNIARIA: ex art. 575, II può proporre
impugnazione contro la sentenza che la condanni al pagamento della pena inflitta all’imputato nel caso di insolvenza
di questo
IMPUGNAZIONI DEL QUERELANTE: il querelante (art. 576 c. 2) può proporre impugnazione contro la sentenza di
proscioglimento che lo ha condannato al pagamento delle spese del procedimento anticipate dallo Stato nonché alle
spese e al risarcimento del danno in favore dell’imputato e del responsabile civile. Il mezzo di impugnazione è quello
previsto per la parte civile e l’impugnazione è limitata agli interessi civili.
4. Regole generali sulle impugnazioni
FORMA DELLA PRESENTAZIONE: l’impugnazione si propone con atto scritto, devono essere indicati a pena di
inammissibilità
- Provvedimento impugnato;
- Data del provvedimento;
- Giudice che lo ha emesso;
- I capi o i punti della decisione ai quali si riferisce l’impugnazione;
- Le prove delle quali si deduce l’inesistenza, l’omessa assunzione o erronea valutazione
- Le richieste anche istruttorie
- I motivi, con l’indicazione delle ragioni di diritto o degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta
Deve essere presentata personalmente o a mezzo di incaricato nella cancelleria del giudice a quo (art. 582, I)
L’imputato detenuto o internato può proporre impugnazione personale con dichiarazione ricevuta dal direttore
dell’istituto penitenziario, iscritta nell’apposito registro e comunicata alla cancelleria del giudice a quo
TERMINI PER IMPUGNARE: i termini per impugnare sono stabiliti a pena di decadenza (art. 585 c. 5) e variano in base
alle modalità con cui si è redatta la motivazione della sentenza → il termine è:
- 15 giorni per provvedimenti emessi in seguito a procedimento in camera di consiglio, decorre dalla
notifica dell’avviso di deposito dal provvedimento
- 15 giorni quando la motivazione è redatta insieme al dispositivo, decorre dalla lettura del provvedimento
in udienza per tutte le parti che sono effettivamente state o sono ritenute presenti in giudizio anche se
non presenti alla lettura
- 30 giorni quando la motivazione è depositata non oltre il quindicesimo giorno da quello della pronuncia,
decorre dalla scadenza del quindicesimo giorno menzionato

212
- 45 giorni quando la motivazione è depositata successivamente al quindicesimo giorno da quello della
pronuncia → il termine per il deposito deve essere indicato dal giudice nel dispositivo della sentenza e
non può essere oltre 90 giorni dalla pronuncia
Se il giudice deposita anticipatamente la motivazione, il termine per impugnare decorre sempre e
comunque dalla data indicata dal giudice per redigere la motivazione (non rileva la data dell’anticipato
deposito)
Quando la decorrenza è diversa per l’imputato e il difensore, opera per entrambi il regime che scade per ultimo
I MOTIVI NUOVI: è possibile presentare nuovi motivi di impugnazione fino a quindici giorni prima dell’udienza
davanti al giudice ad quem, nella cancelleria di questi, al quale, nel frattempo, la cancelleria del giudice a quo ha
trasmesso gli atti, (art. 585 c. 4)
Devono investire capi e punti della decisione che sono stati enunciati nell’originario atto di impugnazioni
IL GIUDICE COMPETENTE A CONOSCERE L’IMPUGNAZIONE:
- Il giudice competente per l’appello contro le sentenze del tribunale è la corte di appello;
- Per le sentenze dell’assise è la corte di assise d’appello, costituita all’interno della corte d’appello con
l’apporto di 6 giudici popolari e 2 magistrati di carriera;
- Per le sentenze del tribunale per i minorenni è la sezione per i minorenni costituita presso la corte di
appello, costituita da 3 magistrati di carriera e 2 esperti;
- Per le sentenze del giudice di pace è il tribunale in composizione monocratica.
LA RINUNCIA ALL’IMPUGNAZIONE: la rinuncia è un atto con il quale la parte, che ha proposto impugnazione, dichiara
di non volersene più avvalere (art. 589).
Presuppone comunque che l’impugnazione sia stata proposta e sia ammissibile
È causa di inammissibilità dell’impugnazione
L’INAMMISSIBILITA’ DELL’IMPUGNAZIONE: il provvedimento impugnato, l’atto di impugnazione e gli atti del
procedimento sono trasmessi senza ritardo al giudice competente a conoscere l’impugnazione (giudice ad quem).
Questi verifica preliminarmente tanto l’ammissibilità dell’impugnazione, quanto la regolarità delle notificazioni.
L’inammissibilità è una causa di invalidità che impedisce al giudice di esaminare nel merito la domanda presentata da
una parte.
L’impugnazione è inammissibile ex art. 591 c. 1:
- Quando è proposta da un soggetto non legittimato o che non vi ha interesse;
- Quando il provvedimento non è impugnabile;
- Quando non sono state osservate le disposizioni relative alla forma, alla presentazione, alla spedizione e
ai termini;
- Quando vi è stata rinuncia all’impugnazione.
LA MANCANZA DI SPECIFICITA’ DEI MOTIVI DI IMPUGNAZIONE: uno dei maggiori motivi di inammissibilità
dell’impugnazione, quando non sono stati esplicitamente enunciato o argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni
di fatto o di diritto sulle quali si fonda la sentenza impugnata
5. Riepilogo. La trasmissione degli atti dal giudice a quo al giudice ad quem
A cura della cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento, l’atto di impugnazione è comunicato al pm
presso il medesimo giudice e notificato alle parti private senza ritardo (art. 584)
Il giudice a quo ha l’obbligo di trasmettere al giudice dell’impugnazione una serie di dati utili per una migliore
organizzazione e definizione del giudizio → riguardano:
- Nominativi dei difensori, con indicazione della data di nomina
- Dichiarazioni o elezioni o determinazioni di domicilio, con le relative date
- Termini di prescrizione di ciascun reato, con
o Gli atti interruttivi
o Le cause di sospensione
o Dichiarazioni di rinuncia alla prescrizione
- Termini di decadenza delle misure cautelari in atto, con data di inizio ed eventuali periodi di sospensione
e proroga
Nel ricorso per cassazione, a cura della cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato deve
essere trasmessa alla corte copia degli atti del processo indicati dal ricorrente nei motivi di gravame
213
CAPITOLO 2 (L’appello)
1. Considerazioni preliminari
L’appello è un mezzo di impugnazione ordinario, mediante il quale le parti chiedono al giudice di secondo grado di
controllare una decisione di primo grado che ritengono viziata per motivi di fatto o di diritto.
Le caratteristiche dell’appello sono:
- L’appello è un gravame parzialmente devolutivo, nel senso che la cognizione del giudice di appello è
limitata dai motivi della impugnazione; ma il giudice di appello ha la medesima ampiezza di poteri
decisori che caratterizza il giudice di primo grado;
Gravame: impugnazione che mira al riesame della controversia in modo da giungere ad un nuovo giudizio in
sostituzione di quello contenuto nel provvedimento
- L’appello è un’impugnazione “a critica libera”: non vi sono limiti alle censure che le parti rivolgono alla
sentenza e che possono essere di fatto o di diritto e riferirsi ad errori sia in iudicando, sia in procedendo;
- L’appello è uno strumento di controllo e non un nuovo giudizio, perché non presuppone
necessariamente una nuova istruzione dibattimentale. Le risultanze probatorie del giudizio di primo
grado entrano nel patrimonio di conoscenza del giudice di appello; la rinnovazione del dibattimento per
assumere prove ha caratteri di eccezionalità (art. 603);
- Di regola il giudice di appello conferma o riforma (e cioè modifica) la decisione impugnata; i casi di
annullamento sono eccezionali. Al di fuori di tali casi, la decisione di appello dà luogo ad una nuova
sentenza che si sostituisce a quella impugnata e che, a sua volta, può essere oggetto di ricorso per
cassazione.
PROCEDIMENTO CARTOLARE: il processo d’appello è cartolare, può essere data lettura anche d’ufficio di atti del
giudizio di primo grado e del fascicolo del dibattimento nei limiti delle richieste e dei motivi degli appellanti, senza
che di regola siano assunte nuove prove → sacrificio per il principio di immediatezza, il giudice di appello non ha un
contatto diretto con le fonti di prova
Rappresenta una garanzia: viene deciso da un giudice diverso, di regola collegiale, che dispone di poteri d’ufficio →
può rilevare:
- Il difetto di giurisdizione
- L’incompetenza per materia
- Inutilizzabilità delle prove
- Nullità assolute e regime intermedio
- L’applicabilità del ne bis in idem
Inoltre, se i motivi d’appello riguardano la responsabilità dell’imputato, il giudice d’appello può prosciogliere, anche
al di fuori dei motivi di impugnazione,
- Se riconosce che il fatto non sussiste,
- Che l’imputato non lo ha commesso,
- Che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero
- Che il reato è estinto o che manca una condizione di procedibilità (art. 129).
GIUDICE COMPETENTE:
- Sull’appello proposto contro le sentenze pronunciate dal tribunale e dalla corte d’assise decidono,
rispettivamente, la corte di appello e la corte di assise di appello (art. 596 cc. 1 e 2).
- Sull’appello contro le sentenze pronunciate dal giudice dell’udienza preliminare in sede di giudizio
abbreviato decidono, rispettivamente, la corte di appello e la corte di assise di appello, a seconda che si
tratti di reato di competenza del tribunale o della corte di assise (art. 596 c. 3).
- Sull’appello proposto contro le sentenze pronunciate dal giudice di pace è competente il tribunale del
circondario in cui ha sede il giudice di pace che ha pronunciato la sentenza impugnata; il tribunale decide
in composizione monocratica (art. 39 c. 1 d.lgs. n. 274 dei 2000).
APPELLO:
- PRINCIPALE: qualora sia ammissibile (art. 591) determina il dovere del giudice di secondo grado di
riesaminare il fatto nei limiti dei punti ai quali si riferiscono i motivi proposti.
- INCIDENTALE: una volta che una parte abbia presentato appello principale, le altre parti che erano
legittimate ad appellare, ma non lo hanno fatto, hanno la possibilità di proporre l’appello incidentale
214
entro quindici giorni dalla comunicazione o dalla notificazione dell’appello principale (art. 595 c. 1). La
funzione dell’appello incidentale è quella di integrare il contraddittorio nel giudizio di appello,
consentendo all’appellante incidentale di sottoporre al giudice una tesi alternativa sullo stesso tema
oggetto di controllo a seguito dell’appello principale. Pertanto, l’appello incidentale si deve limitare ai
capi della decisione oggetto dell’appello principale e ai punti che hanno connessione essenziale con
quelli denunciati con l’appello principale.
LIMITI: la sorte dell’appello incidentale segue quella dell’appello principale, quindi ex art. 595 perde di
efficacia in casi di inammissibilità dell’appello principale o di rinuncia allo stesso
Il presupposto dell’appello incidentale è che:
o L’imputato sia legittimato all’appello
o L’imputato legittimato non l’abbia proposto
L’imputato quindi NON legittimato non può proporre appello incidentale ma solamente ricorso per
cassazione
LE MEMORIE PRESENTATE DALL’IMPUTATO CHE NON HA PROPOSTO IMPUGNAZIONE: quando
l’imputato non è legittimato a proporre impugnazione o non l’abbia presentata ma vuole comunque
rendere nota al giudice di appello o alla cassazione l’esistenza di atti probatori favorevoli o avanzare
richieste allo scopo di contrastare l’impugnazione proposte da altre parti → l’imputato entro 15 giorni
dalla notificazione dell’impugnazione proposta dalle altre parti può presentare al giudice mediante
deposito in cancelleria, memorie o richieste scritte
2. Legittimazione a proporre appello
LE SENTENZE INAPPELLABILI:
- Sentenze di condanna per le quali sia stata applicata la sola pena dell’ammenda come originaria e non
sostitutiva alla detenzione
- Sentenze di proscioglimento relative a contravvenzioni punite in astratto con la sola pena dell’ammenda
o con pena alternativa
A. APPELLO DELL’IMPUTATO
- Contro le sentenze di condanna purché la pena applicata in concreto non sia una ammenda
- Contro le sentenze di proscioglimento emesse al termine del dibattimento se si tratta di proscioglimento
non pieno → non può quindi appellare contro le sentenze di assoluzione con formula piena (il fatto non
sussiste o l’imputato non l’ha commesso)
B. APPELLO DEL PM
- Contro le sentenze di proscioglimento
- Contro le sentenze di condanna solo quando
o Modificano il titolo del reato
o Escludono la sussistenza di una circostanza aggravante di effetto speciale
o Stabiliscono una pena di specie diversa rispetto a quella di origine del reato
In ogni caso le sentenze del procedimento ordinario presso il tribunale e la corte d’assise quando non sono
sottoponibili ad appello sono comunque passibili di ricorso per cassazione
LE LIMITAZIONI ALL’APPELLABILITA’ DELLE SENTENZE CHE APPLICANO LA MISURA DI SICUREZZA: l’art. 579 impedisce
di impugnare separatamente l’applicazione di una misura di sicurezza quando la parte non propone una
impugnazione contro un altro capo penale della sentenza di condanna o di proscioglimento.
L’imputato è legittimato a presentare appello anche quando egli impugna una misura di sicurezza unitamente ad un
capo della sentenza di proscioglimento agli effetti della responsabilità penale
Quando viene impugnata la sola misura di sicurezza, sull’impugnazione decide il tribunale di sorveglianza
C. L’APPELLO DEL RESPONSABILE CIVILE E DELLA PERSONA CIVILMENTE OBBLIGATA PER LA PENA PECUNIARIA
La legge gli consente l’impugnazione con il mezzo che attribuisce anche all’imputato
D. L’APPELLO DELLA PARTE CIVILE
Può appellare la sentenza che conclude il procedimento di primo grado, sia essa di condanna o di proscioglimento, ai
soli effetti civili però
E. L’APPELLO DEL QUERELANTE
Contro la sentenza di condanna al pagamento:
215
- Delle spese del procedimento anticipate dallo stato
- Delle spese e del risarcimento del danno in favore dell’imputato e del responsabile civile
Stesso mezzo di impugnazione previsto per la parte civile quindi solamente agli interessi civili
F. LA CONVESIONE DEL RICORSO IN APPELLO
Una sentenza può contenere pronunce su più reati: ogni capo contiene una decisione su di una imputazione. Sulla
singola imputazione il giudice può pronunciare una condanna o un proscioglimento. Contro i singoli capi della
sentenza il codice può prevedere differenti tipi di impugnazioni
Ove ciò avvenga, la legge, per evitare giudizi contrastanti in sede di impugnazione in relazione al medesimo fatto di
reato e a reati connessi (art. 12), prevede l’istituto della conversione del ricorso per cassazione nell’appello. Ai sensi
dell’art. 580, «quando contro la stessa sentenza sono proposti mezzi di impugnazione diversi, nel caso in cui sussista
la connessione di cui all’art. 12, il ricorso per cassazione si converte nell’appello».
Rimedio preventivo quindi contro l’insorgere di giudicati contrastanti sul medesimo reato o reati connessi, si vuole
garantire l’unità della regiudicanda nel corso dei gradi del processo
3. La cognizione del giudice di appello
L’appello attribuisce la cognizione al giudice di secondo grado limitatamente ai punti della decisione ai quali si
riferiscono i motivi proposti → può essere definito gravame dal momento che in astratto è idoneo a devolvere al
giudice superiore l’intera causa
Oggetto del giudizio di appello è il punto della decisione al quale il motivo si riferisce, quindi una tematica che deve
essere trattata per decidere su un capo di imputazione → il giudice di appello, quindi, nell’accertamento della
correttezza dell’operato del giudice di primo grado in relazione al punto impugnato, non è obbligato a limitarsi alle
prospettazioni effettuate dall’appellante nella proposizione dei motivi
A. IL PM PROPONE APPELLO
Quando appellante è il pubblico ministero: (art. 597 c. 2):
- Se l’appello riguarda una sentenza di condanna, il giudice può, entro i limiti della competenza del giudice
di primo grado, dare al fatto una definizione giuridica più grave, mutare la specie o aumentare la
quantità della pena, revocare benefici, applicare, quando occorre, misure di sicurezza e adottare ogni
altro provvedimento imposto o consentito dalla legge;
- Se l’appello riguarda una sentenza di proscioglimento, il giudice può
o Pronunciare condanna ed emettere i provvedimenti indicati nel punto di cui sopra,
o Prosciogliere per una causa diversa da quella enunciata nella sentenza appellata;
- Se conferma la sentenza di primo grado, il giudice può applicare, modificare o escludere, nei casi
determinati dalla legge, le pene accessorie e le misure di sicurezza.
B. SOLTANTO L’IMPUTATO PROPONE APPELLO E NON IL PM: DIVIETO DI REFORMATIO IN PEJUS
- Se la sentenza impugnata è di condanna, il giudice di appello «non può irrogare una pena più grave per
specie o quantità, applicare una misura di sicurezza nuova o più grave»; tuttavia, entro i limiti dei motivi
di impugnazione, il giudice di appello può dare al fatto una definizione giuridica più grave, purché non
venga superata la competenza del giudice di primo grado
- Se la sentenza di primo grado è di proscioglimento, il giudice di appello non può «prosciogliere
l’imputato per una causa meno favorevole di quella enunciata nella sentenza appellata né revocare
benefici»
In caso di appello del solo imputato, sempre e comunque il giudice di secondo grado ha la potestà di ufficio (cioè,
anche se non richiesto dall’appello dell’imputato)
- Di applicare la sospensione condizionale della pena,
- La non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale e una o più circostanze
attenuanti
- Il giudizio di comparazione delle medesime
Dal momento che si tratta di un potere eccezionale non può essere interpretato estensivamente
Questo divieto non riguarda le disposizioni civili della condanna di primo grado
Se non vengono impugnati tutti i punti della sentenza, la cognizione del giudice di secondo grado può estendersi ai
punti legati a quelli impugnati da un vincolo di connessione essenziale di tipo logico

216
APPELLO SIA DEL PM CHE DELL’IMPUTATO: la cognizione del giudice di appello sarà più ampia ed egli avrà quindi il
potere di adottare provvedimenti sia in pejus che in mejus ma sempre nei limiti dei punti impugnati
C. LA PARTE CIVILE APPELLA E IL PM NO
Nel caso in cui, all’esito del giudizio di primo grado, sia pronunciata una sentenza di proscioglimento, può accadere
che la parte civile faccia appello avverso la decisione medesima mentre, al contrario, il pubblico ministero resti inerte
e non proponga appello; in questo caso, la sentenza di assoluzione non appellata dal pubblico ministero diventa
irrevocabile sotto il penale dal momento che l’impugnazione della parte civile ha effetti solamente relativamente alla
responsabilità civile (art. 573, c. 2)
Il giudice, chiamato a decidere sull’appello della parte civile, può affermare, in via incidentale, la responsabilità
penale dell’imputato. In tal caso, il giudicato si sdoppia e si avranno due differenti decisioni:
- Un giudicato di assoluzione ai fini penali
- Una sentenza di appello che afferma la responsabilità dell’imputato come presupposto di una condanna
al risarcimento che, se confermata in cassazione, è idonea a diventare giudicato ai fini civilistici
D. IL PM APPELLA E LA PARTE CIVILE NO
Il giudice d’appello, che condanni l’imputato prosciolto in primo grado, deve decidere sulla domanda per le
restituzioni e il risarcimento del danno anche se la parte civile non ha impugnato la pima decisione ad essa
sfavorevole
Secondo la Corte di cassazione, «il giudice di appello, che su gravame del solo pubblico ministero condanni l’imputato
assolto nel giudizio di primo grado, deve provvedere anche sulla domanda della parte civile che non
abbia impugnato la decisione assolutoria» → principio di immanenza della costituzione di parte civile che prevale
sulla separazione delle giurisdizioni
E. IL PM E LA PARTE CIVILE APPELLANO. L’EVENTUALE ESTINZIONE DEL REATO
Il giudice di secondo grado conosce sia la questione penalistica sia quella civilistica. Ai sensi dell’art. 578, da
momento che il codice vuole tutelare la parte civile da una eventuale dichiarazione di non doversi procedere per
estinzione del reato, quando nei confronti dell’imputato è stata pronunciata condanna al risarcimento dei danni
cagionati dal reato, il giudice di appello e la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto, decidono
sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili.
Pertanto, la parte civile, con la sua impugnazione, può ottenere la condanna dell’imputato al risarcimento del danno
in sede d’appello anche se, ai fini penali, la medesima corte dichiara di non doversi procedere per prescrizione del
reato.
4. Lo svolgimento del giudizio in appello. L’udienza pubblica
IL PREDIBATTIMENTO IN APPELLO: gli atti preliminari al dibattimento sono destinati a far conoscere al procuratore
generale, al presidente ed al consigliere relatore nonché al difensore il fascicolo processuale, la sentenza e
l’appello o gli appelli ed a preparare il contraddittorio dibattimentale
L’art. 601 prescrive che il presidente della sezione della corte ordini senza ritardo la citazione dell’imputato
appellante nonché dell’imputato non appellante se vi è impugnazione del pubblico ministero
- Se è possibile l’effetto estensivo dell’impugnazione a favore dell’imputato non appellante
- Se l’appello è proposto per i soli interessi civili
Il presidente deve:
- Fissare l’udienza dibattimentale
- Formare il turno giudicante
- Assegnare il caso ad un relatore
Il termine per comparire è di min 20 giorni, viene ordinata in ogni caso la citazione del responsabile e della parte
civile
Se l’imputato è detenuto anche per altra causa il presidente deve disporne la traduzione per l’udienza, facendo
scrivere alla direzione del carcere
UDIENZA PUBBLICA: ex art. 598, in grado di appello si osservano in quanto applicabili le disposizioni relative al
giudizio di primo grado
Primo atto: relazione della causa svolta dal presidente o da un suo delegato, può essere data lettura anche d’ufficio
di atti del giudizio di primo grado e del fascicolo per il dibattimento (art. 602)

217
ISTRUZIONE PROBATORIA IN APPELLO: l’assunzione delle prove deve essere prevista dal codice espressamente dal
momento che viene configurata come eccezionale → l’assunzione viene lasciata al potere largamente discrezionale
del giudice che comunque si avvale della lettura degli atti del fascicolo del dibattimento
La rinnovazione dell’istruzione può essere disposta sia su richiesta di parte che anche da giudice d’ufficio e le ipotesi
eccezionali previste dal giudice comportano una attenuazione più o meno pesante della discrezionalità del giudice
(in tensione con il diritto alla prova comunque sancito dalla costituzione per le parti)
LA RINNOVAZIONE DELL’ISTRUZIONE SU RICHIESTA DI PARTE: deve essere richiesta espressamente quindi dalla parte
- Nell’atto di appello
- Nei nuovi motivi
- Oltre i termini se la parte viene a conoscenza dell’elemento di prova solamente in un momento
successivo
PROVE GIA’ ACQUISITE: quando la richiesta ha per oggetto l’assunzione di prove già acquisite nel dibattimento di
primo grado o di nuove prove, il giudice di appello ha il potere discrezionale di disporre la rinnovazione
dell’istruzione quando ritenga di non essere in grado di decidere allo stato degli atti (art. 603, I)
LE PROVE SOPRAVVENUTE O SCOPERTE: se «le nuove prove sono sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo
grado», allora «il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale con ordinanza, sentite le parti» (art.
603 c. 2).
La rinnovazione deve quindi essere disposta dal giudice di appello secondo i parametri di pertinenza e non manifesta
irrilevanza che valgono anche per l’ammissione dei mezzi di prova nel giudizio di primo grado
LA RINNOVAZIONE D’UFFICIO: la rinnovazione può essere disposta anche d’ufficio dal giudice, quando la ritiene
assolutamente necessaria per l’accertamento del fatto (art. 603 c. 3) → disponibilità attenuata del processo penale
italiano
LA RINNOVAZIONE DELL’ISTRUZIONE OVE IL PM ABBIA APPELLATO AL PROSCIOGLIMENTO: quando il pm appella una
sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice deve disporre la
rinnovazione dell’istruzione dibattimentale → dopo una pronuncia di assoluzione, la presunzione di innocenza
dell’imputato può essere superata solamente attivando lo strumento del contraddittorio
LA DISCUSSIONE IN APPELLO: di norma pubblica, parlano nell’ordine
- Procuratore generale
- Difensore della parte civile
- Difensore della persona obbligata per la pena pecuniaria
- Difensore dell’imputato
Il presidente dichiara quindi conclusa la discussione e si ritira in camera di consiglio → la deliberazione avviene sotto
il controllo del presidente che redige e sottoscrive il dispositivo
Quando il collegio rientra in aula il presidente da lettura del dispositivo rendendolo quindi pubblico
5. Udienza in camera di consiglio
Quando l’udienza si svolge in camera di consiglio, non si ritiene necessaria la presenza di pm, difensore ed imputato
→ si richiede solamente quando:
- L’imputato: abbia manifestato la volontà di comparire
- Pm e difensori: quando si procede ad acquisizioni probatorie ex art. 603
Quindi ha luogo:
- Appello contro sentenze emesse con rito abbreviato
- Quando l’appello ha esclusivamente per oggetto la specie o la misura della pena o l’applicabilità delle
attenuanti generiche, di sanzioni sostitutive, della sospensione condizionale della pena, della non
menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale (art. 599 c. 1);
- Quando oggetto dell’appello sono i provvedimenti in ordine all’esecuzione delle condanne civili (art.
600), e cioè se la parte civile ripropone la richiesta di provvisoria esecuzione della condanna (art. 600 c.
1) o se l’imputato chiede la revoca o la sospensione della stessa (art. 600 c. 2); ed inoltre se viene chiesta
la sospensione dell’esecuzione della provvisionale (art. 600 c. 3).
IL CONCORDATO IN APPELLO: il concordato in appello stato abrogato dal d.l.92/2008 per rendere più severi i
trattamenti sanzionatori, ma è stato ripristinato dalla riforma orlando

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Ex art. 599-bis, la corte d’appello provvede in camera di consiglio quando le parti ne fanno richiesta dichiarando di
concordare sull’accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello con eventuale rinuncia agli altri eventuali
motivi
Se i motivi dei quali viene richiesto l’accoglimento comportano una nuova determinazione della pena pm, imputato e
persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria indicano al giudice anche la pena che hanno tra loro concordato
Il giudice:
- Accoglie il toto il concordato senza poterlo modificare → si riducono i tempi di appello dal momento che
un eventuale ricorso in cassazione sarebbe dichiarato inammissibile
- Se ritiene allo stato degli atti di non poterlo accettare, ordina la citazione a comparire al dibattimento di
appello → la richiesta e la rinuncia ai motivi non hanno effetto se il giudice decide in modo difforme
rispetto all’accordo
PROVVEDIMENTI IN ORDINE ALL’ESECUZIONE DELLE CONDANNE CIVILI: ex art. 600, I se il giudice di primo grado
- Ha omesso di provvedere alla richiesta di provvisoria esecuzione del capo civile contenente la pronuncia
riparatoria
- Ha rigettato la stessa
la parte civile può riproporre la richiesta mediante appello sostenendola con giustificati motivi e il giudice di secondo
grado provvede con ordinanza in camera di consiglio
Devono essere citati:
- Procuratore civile
- Imputato e difensore
- Responsabile civile e difensore
Questo provvedimento può comunque essere emesso prima della discussione dell’appello principale
INIBITORIA CIVILE: il responsabile civile e l’imputato possono chiedere la revoca o la sospensione della provvisoria
esecuzione quando ricorrono gravi motivi
Il giudice di appello pronuncia sentenza con la quale conferma o riforma la sentenza appellata (l’annullamento è
solamente eccezionale) → le pronunce del giudice di appello sull’azione civile sono immediatamente esecutive
Copia della sentenza di appello con gli atti del procedimento viene trasmessa senza ritardo a cura della cancelleria al
giudice di primo grado quando sia
- È competente per l’esecuzione
- Non è stato proposto ricorso per cassazione
LA REGOLA DEL DIVIETO DI REGRESSO AL PRIMO GRADO: il giudice di appello esclude le circostanze aggravanti ed
effettua, se occorre, un nuovo giudizio in cui ridetermina la pena
- Quando sono state ritenute equivalenti o prevalenti circostanze attenuanti
- Quando sono state applicate circostanze aggravanti diverse da quelle ad efficacia o ad effetto speciale
ECCEZIONE: REGRESSO AL PRIMO GRADO,
- Quando il giudice di secondo grado dichiara la nullità della sentenza per difetto di contestazione nei casi
ex art. 522, disponendo la trasmissione degli atti al giudice di primo grado → si richiede:
o In alternativa, in primo grado:
▪ Condanna per fatto diverso
▪ Applicazione di una aggravante per cui la legge stabilisce la pena di specie diversa
▪ Applicazione di una circostanza aggravante ad effetto speciale
o Non devono essere ritenute prevalenti o equivalenti le circostanze attenuanti
- Quando il giudice di appello accerta una nullità assoluta o intermedia che non sia stata sanata, da cui sia
derivata la nullità del provvedimento che dispone il giudizio o la sentenza di primo grado → una volta
dichiarata la nullità con sentenza, vengono rinviato gli atti al giudice che procedeva nel momento in cui
la stessa si sia verificata
L’ANNULLAMENTO CON REGRESSIONE IN CASO DI ERRATA RICHIARAZIONE DI ASSENZA: nei casi in cui si sia
proceduto in assenza dell’imputato (art. 420-bis, c. 2), se vi è la prova che si sarebbe dovuto con dichiarazione di
legittimo impedimento dell’imputato o sospensione della sentenza il giudice deve dichiarare la nullità della sentenza
e disporre il rinvio degli atti al giudice di primo grado

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Il giudice di appello deve annullare la sentenza e disporre la restituzione degli atti al giudice di primo grado quando
l’imputato provi che l’assenza è stata causata da una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del
processo → nel nuovo procedimento di primo grado, l’imputato può chiedere rito abbreviato o patteggiamento
6. La sentenza del giudice di appello
Il giudice di appello ha a disposizione le stesse prove del giudice di primo grado:
- Conferma la sentenza: il giudice di primo grado non ha commesso errori
- Riforma la sentenza: il giudice di appello sebbene sulla base degli stessi elementi ha ragionato
diversamente sul piano sia probatorio che giuridico (modificando quindi la qualificazione giuridica del
reato)
L’appello rientra quindi nei gravami attraverso i quali si realizza il doppio grado di giurisdizione, mediante il quale si
può:
- Denunciare un nuovo vizio sulla sentenza
- Provocare un nuovo giudizio sul rapporto sostanziale sulla base eventualmente di nuove proposte
Se l’impugnazione viene accolta, la nuova sentenza ha carattere sostitutivo rispetto a quella impugnata

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