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Procedura Penale modulo 1

Diritto Processuale Penale - Modulo 1 (Università Commerciale Luigi Bocconi)

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DIRITTO PROCESSUALE PENALE MODULO 1

LEZIONE 1: 3 Febbraio
Introduzione → le fonti del diritto processuale penale.

Intro:
All’interno di un processo vi sono delle regole che devono seguire i “soggetti” come chiamati dal
codice di procedura penale, e ogni soggetto si può muovere a seconda della funzione che svolge, ci
sono dei tempi particolari e c’è un arbitro, il giudice che dovrebbe porsi al di sopra degli altri
soggetti, deve verificare che tutto sia regolare e deve decidere l’esito del processo, se vince lo stato
che porta avanti l’ipotesi che qualcuno ha condotto un crimine, o se vince dall’altra parte l’imputato
accusato di aver posto in essere una condotta penalmente rilevante. Il giudice, quindi, pronuncerà
una sentenza comminando all’imputato l’inflizione di una pena detentiva o pecuniaria.
Molto spesso le decisioni dei giudici sono diverse e contrastanti, ma la garanzia è che il giudice
deve sempre motivare la sua decisione, e attraverso la motivazione si può capire come il giudice ha
ragionato. Quindi è vero che il giudice decide ma poi deve esplicitare con una motivazione la sua
decisione. Questa continua possibilità di rimettere in discussione le decisioni a un certo punto si
ferma quando sono esauriti tutti i gradi di giudizio e allora a quel punto l’imputato non è più
imputato ma assume le vesti di condannato e quella è la verità finale del processo → verità
giudiziale che potrebbe non corrispondere con la verità storica.

Processo penale:
“Se per comprendere la giustizia penale bastasse conoscere gli articoli del c.p.c. essere stupidi non
sarebbe necessario, ma aiuterebbe molto”. (G. Giostra)
L’idea è che se noi riusciamo a capire il senso della regola, come i principi sono stati calati nel
codice, allora pur non ricordando bene l’articolo sarà capace di rispondere alla domanda “come si
può comportare il giudice”.
Ma qual è lo scopo ultimo del diritto penale?
Corte cost. n. 255/1992: «fine primario ed ineludibile del processo penale non può che rimanere
quello della ricerca delle verità»
Le risposte possono essere diverse, e il processo penale accerta se quel soggetto ha effettivamente
commesso quel tipo di condotta, sicuramente lo scopo è questo ma l’esito del processo cos’è?
Si tratta di verità oppure no? Il problema è proprio questo, il processo penale accerta ciò che è già
passato, ciò che non c’è più e per questo bisogna ricostruirlo all’interno del processo, con gli
strumenti forniti dal codice. Ecco quindi l’aspetto difficile, quello di dover ricostruire con
determinate regole qualcosa che non c’è più.
Ci sono diversi tipi di verità:
-anzitutto la verità scientifica anche se anche questa non è mai esatta, la verità scientifica muta e
quindi se muta vuol dire che non è una verità,
-allora forse c’è la verità storica, lo storico che ricostruisce come è andato un certo fatto attraverso i
reperti, le testimonianze, però sempre rispetto a quello che è passato,
-la nostra verità la chiameremo verità giudiziale perché siamo consapevoli che potrebbe essere
diversa dalla verità sostanziale, però questa verità giudiziale una volta conseguita proprio perché è
conforme alle regole che ci siamo dati la possiamo condividere o meno possiamo pensare che sia
vicina a quella sostanziale o meno però dal nostro punto di vista quella è la verità.
Quella che si persegue nel processo penale NON pretende di essere la verità sostanziale, ma essa è
più ridotta rispetto al contenuto ipotetico informativo della verità sostanziale, il giudice infatti si
esprime in termini probabilistici perché il fatto non c’è più, è già stato commesso. Infatti, ci si
esprime “al di la di oltre ogni ragionevole dubbio” pertanto un dubbio residuo può sempre esserci.
Inoltre, il giudice è sottoposto a limiti di tempo e di prova, che ad esempio lo storico non conosce,
ciò significa che non sempre l’accertamento giudiziale può essere commesso con tutti i mezzi
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disponibili. Ad esempio, nel nostro sistema processuale non si può utilizzare la macchina della
verità perché nel nostro ordinamento c’è una sorta di sensibilità dettata dalla carta costituzionale
che ci dice che quell’imputato è comunque presunto innocente fino a sentenza di condanna passata
in giudicato. Cioè l’imputato che affronta il processo viene ritenuto innocente e questo è il punto di
partenza: tutti i soggetti sottoposti a processo penale sono presunti innocenti, e quindi devono essere
trattati tali. Quando questa presunzione viene superata il discorso cambia.
Bisogna quindi stare attenti a pensare di poter utilizzare qualsiasi mezzo nei confronti di una
persona che è ritenuta innocente.

“Quella che si persegue nel processo penale non pretende di essere la verità. Essa è più ridotta,
quanto al contenuto informativo, di qualunque ipotetica verità sostanziale. Sia perché deve essere
suffragata da prove raccolte attraverso tecniche stabilite normativamente, sia perché il giudice si
esprime in termini probabilistici. Il giudice inoltre è sottoposto a limiti di tempo e di prova che lo
storico non conosce e l’accertamento giudiziale non sempre può essere condotto con tutti i mezzi
materialmente disponibili (L. Ferraioli)”

Limiti “valoriali” alla ricerca della verità:


«Un Paese civile non è disposto a perseguire la verità ad ogni costo: riconosce che a tale
obbiettivo, pur socialmente molto rilevante, si può rinunciare se ciò è necessario per assicurare
tutela ad alcuni diritti primari dell’individuo» (Giostra, 2020).
Ecco perché nel processo penale non possiamo utilizzare tutti gli strumenti perché dobbiamo
tutelare i diritti individuali della persona, quelli devono sempre essere rispettati perché questo
rispetto tutela noi nel momento in cui per errore veniamo accusati di aver commesso un determinato
fatto.
Che verità quindi possiamo trarre dal processo penale?
Quella che viene accertata è una verità che spesso potrebbe essere differente da quella sostanziale,
la seconda caratteristica è che nel processo penale si instaura anche un interesse civile al
risarcimento del danno, perché è vero che il soggetto responsabile deve eseguire una pena ma è
anche vero che poi ci sono delle vittime.
Differentemente dallo scienziato, il giudice si trova dinanzi a condotte umane individuali e
irripetibili, inidonee a poter riemergere dal passato attraverso l’esperimento scientifico; le regole
processuali tendono ad avvicinare il più possibile la ricostruzione fattuale operata nel processo alla
realtà, ossia alla verità. Più elementi riusciremo ad introdurre nel processo più il giudice riuscirà ad
avvicinarsi all’accertamento sostanziale, permettendo al giudice di pronunciare non qualcosa di
vero ma qualcosa di giusto, ciò che è conforme al processo penale.
Più la ricostruzione del fatto operata all’interno del processo è vicina alla realtà più la decisione del
giudice è giusta.
L’accertamento della verità non è quindi, in sé e per sé, il fine ultimo del processo, ma il
presupposto per permettere al giudice di pronunciare una decisione giusta e quindi vera perché
compatibile con i risultati fattuali accertati (prove) nel corso del processo e rispettosa delle regole
del processo.
Tra le tante verità possibili quella espressa dal processo costituisce la migliore verità che una
società è in grado di darsi nel rispetto dei diritti dei suoi consociati.

• Noi quindi non partiremo dal fatto, non è il fatto ad essere oggetto dell’accertamento giudiziario,
ma l’ipotesi (accusa) di una certa ricostruzione del fatto;
• una ipotesi che sarà formulata sulla base di indizi e dei ricordi che aiutano a ricostruire qualcosa
che non c’è più, indizi che ogni fatto lascia nel mondo circostante;
• sta alla investigazione penale rinvenire e raccogliere le tracce sia nel mondo fisico (una lettera,
un reperto biologico, un’impronta digitale sull’arma), sia nella memoria di un che può aver visto la

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persona accusata, o soggetto che conosceva la vittima (una percezione visiva del testimone, una
confidenza ricevuta, parole o grida sentite);
• Se questo materiale raccolto è sufficiente quell’ipotesi si concretizza attraverso la formulazione di
un’accusa (che chiameremo imputazione). Perciò sulla base degli elementi raccolti l’autorità
inquirente (Pubblico Ministero) potrà eventualmente formulare un’accusa;
• poi, nella fase del giudizio si cercherà di assemblare il puzzle dei ricordi e delle cose che
«parlano» di quel fatto per testare se l’accusa possa considerarsi fondata, al di là di ogni ragionevole
dubbio. Poi, quindi, questa accusa dovrà essere valutata all’interno di un giudizio, di un processo in
cui c’è un giudice. Perciò quando arriva un avviso di garanzia non si tratta neanche di un’accusa ma
di un’ipotesi, poi ci sono le indagini durante le quali si raccoglie del materiale. Quando l’accusa
deve essere poi valutata se fondata o meno ecco che lì subentra il giudice, e lì le regole sono
diverse. Prima abbiamo il PM che raccoglie nel segreto tutto questo materiale, da solo, senza
instaurare un contraddittorio, questo materiale dovrà poi essere messo a disposizione della difesa.
Se l’attività della difesa non è sufficiente allora si va a giudizio, questo vuol dire che si passa in
quella fase del processo penale che si chiama “giudizio” perché si svolge dinanzi al giudice. E qui
vige il principio della pubblicità per cui tutti possono assistere a quello che succede, perché il
pubblico controlla l’operato del giudice.
Perché prima dicevamo che per questa ricerca della verità non possiamo utilizzare tutti gli
strumenti? Per rispettare i diritti fondamentali della persona, ecco allora che il processo penale nel
tentativo di ricostruire una verità giudiziale sempre più vicina alla verità sostanziale incontra tutta
una serie di limiti che potrebbero anche impedire una ricostruzione del fatto che sia completa e che
potrebbero anche portare a una ricostruzione del fatto poi così non precisa.
Nel processo il giudice incontra necessariamente dei limiti che potrebbero impedire una completa
ricostruzione del fatto.
Ecco allora che il processo penale incontra dei limiti:
-garanzie difensive nei confronti dell’imputato, non sono rare le ipotesi non vere, le accuse
strumentali fatte per altre finalità;
-regole probatorie, se un giudice dovesse conoscere un dato, una testimonianza di una persona al di
fuori del processo, il giudice non può tenerne conto di quella versione perché può valutare soltanto
quelle realizzate all’interno del processo.
-tempi da rispettare, si dice che il “reato è andato in prescrizione” perché anche il tempo ha una sua
incidenza, l’imputato non può essere sempre sotto processo, solo il fatto di essere all’interno di un
processo è già una pena, questa pena non può durare in eterno quindi è necessario porre dei termini,
ecco che il processo penale deve tenere conto della tutela del presunto non colpevole, noi parleremo
di “presunzione di innocenza” ma in realtà sarebbe più corretto parlare di “presunzione di non
colpevolezza”.
Questa tutela del presunto non colpevole deve manifestarsi all’interno di tutto il processo e quando
queste regole difensive, queste garanzie di tutela della persona non sono rispettate allora ci si può
rivolgere ad un giudice superiore per cercare di imporre il rispetto di queste regole.

Il sistema delle fonti:


ogni edizione del codice ha prima del codice le fonti sovra ordinate, che insieme al codice
costituiscono le regole del processo penale, fonti di cui non si può prescindere. Quando noi
studiamo una regola cercheremo sempre di trovare la derivazione costituzionale, perché il codice è
l’implementazione di principi che noi troviamo nella costituzione, e infatti faremo riferimento ai
principi costituzionali.
Quindi le fonti conoscitive del diritto processuale penale sono:
-fonti legislative sovraordinate, come fonti sovra ordinate faremo riferimento alla costituzione, ma
anche alla convenzione europea dei diritti dell’uomo che ha i diritti fondamentali per un equo
processo
-fonti ordinare primarie e secondarie
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-fonti giurisprudenziali, in particolare della corte di cassazione che detta le linee guida di come deve
essere interpretata una determinata norma, il giudice deve si accertare il fatto ma poi deve vedere se
quel fatto è inseribile all’interno di una fattispecie penale di diritto sostanziale. Se per la fattispecie
di truffa sono necessari gli artifici e raggiri, il giudice come fa a sapere cosa sono gli artifici e
raggiri? Attraverso l’opera di interpretazione della corte di cassazione → funzione di nomofilachia.
È chiaro che la valutazione che il giudice farà sarà una valutazione di fatto, poi bisognerà vedere se
quel fatto integra quella fattispecie penale proposta nell’ipotesi di accusa, se è integrata (colpevole e
condannato) altrimenti se non è integrata non colpevole.
-fonti dottrinali

Fonti legislative sovra ordinate:


Costituzione:
• approvata dall’Assemblea costituente il 22 dicembre 1947, promulgata il 27 dicembre 1947 ed
entrata in vigore il 1° gennaio 1948
❖ riforme più significative:
➢ l. cost. 2 ottobre 2007 n. 1 (art. 27 ultimo comma Cost.) (abolizione pena di morte);
➢ l. cost. 29 ottobre 1993 n. 3 (art. 68 Cost.) (immunità parlamentare)
➢ l. 6 marzo 1992 n. 1 (art. 79 Cost.) (concessione amnistia e indulto)
➢ l. cost. 16 gennaio 1989 n. 1 (art. 96 Cost.) (reati ministeriali)
➢ l. cost. 23 novembre 1999 n. 2 (art. 111 Cost.) (giusto processo)
➢ l. cost. 18 ottobre 2001 n.3 (art. 117 Cost.) (recepimento CEDU)
Principi contenuti nella costituzione:
• principio di stretta legalità in materia processuale (art. 111 c. 1 Cost.)
• cultura della giurisdizione (art. 111 c.2 Cost., inciso iniziale)
• cultura della prova (art. 111 c.3 Cost.)
• garanzie oggettive di regolarità della giurisdizione/tutela dei diritti individuali
• diritti inviolabili: artt. 13, 14, 15, 24 c.2 Cost.
• art.2 Cost.: «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia
come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità»

Convenzione europea dei diritti dell’uomo:


• firmata il 4 novembre 1950 e ratificata in Italia con l. 4 agosto 1955 n. 848
• protocolli aggiuntivi
• situazioni giuridiche soggettive/canoni oggettivi di regolarità della giurisdizione
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea:
• firmata a Nizza nel 2000
• «giuridicizzata» dal Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007 e entrato in vigore
il 1° dicembre 2009. Dopo il trattato di Lisbona l’unione europea diventa competente a legiferare
anche nell’ambito di diritti fondamentali, ambito che prima era riservato agli stati.
Patto internazionale sui diritti civili e politici:
• adottato nell’ambito della Nazioni Unite il 19 dicembre 1966 e ratificato in Italia con l. 25 ottobre
1977 n. 881
• protocolli facoltativi

Trattato di Lisbona:
entrato il vigore il 1° dicembre 2009, ratificato in Italia con l. 2 agosto 2008 n. 130
• modifica il sistema della gerarchia delle fonti attraverso la sostituzione dell’art. 6 del
Trattato sull’Unione Europea
• riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione Europea del 7 dicembre 2000
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➢L’Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea del 7 dicembre 2000
➢ l’Unione «aderisce» alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo
➢ forme di cooperazione giudiziaria effettiva tra gli Stati dell’Unione Europea
➢ prevista come obbligatoria la pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione Europea
intorno a questioni pregiudiziali in materia di interpretazione dei trattati

Sentenze «gemelle» n. 348 e 349 del 2007:


spiegano al giudice nazionale come si deve comportare ad applicare il codice di procedura penale.
Norme internazionali pattizie ordinarie: «integrano quali norme interposte il parametro
costituzionale espresso dall’art. 117 Cost., nella parte in cui impone la conformazione della
legislazione interna ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali».
Il giudice italiano deve interpretare la legge nazionale in modo conforme alla norma internazionale
nel limite del testo della legge nazionale, ma non può disapplicare la legge nazionale.
Ciò spetta soltanto alla corte Costituzionale che eventualmente dichiara illegittima la legge
nazionale purché ovviamente la norma internazionale sia compatibile con la Costituzione italiana.
Se la norma internazionale è incompatibile con la costituzione, la corte costituzionale la “espunge
dall’ordinamento giuridico italiano” dichiarando illegittima la legge di esecuzione in parte qua.

Fonti ordinare primarie e secondarie:

Leggi di ordinamento giudiziario:


• r.d. 30 gennaio 1941 n. 12 recante l’«ordinamento giudiziario»
• l. 10 aprile 1951 n. 287 in tema di «riordinamento dei giudizi di assise»
• l. 13 aprile 1988 n. 117 in tema di «risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle
funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati»

Processo ordinario:
• codice di procedura penale (entrato in vigore il 24 ottobre 1989) con d.p.r. 22 settembre 1988 n.
447 e in forza della legge delega 16 febbraio 1987, n. 81
• norme di attuazione, norme transitorie e norme di coordinamento (artt. 207-240 d.lgs. 28 luglio
1988 n. 271)
• giudice di pace (d.lgs. 28 agosto 2000 n. 274)
• responsabilità amministrativa delle persone giuridiche (d.lgs. 8 giugno 2001, n 231)
• giustizia minorile (r.d.l. 20 luglio 1934, n.1404; d.p.r. 22 settembre 1988 n. 448)
• mandato d’arresto europeo (l. 22 aprile 2005, n. 69)
• legge sull’«ordinamento penitenziario» (l. 26 luglio 1975 n. 354) e relativo
regolamento (d.p.r. 30 giugno 2000, n. 230)
• leggi c.d. «svuota carceri» (l. 26 novembre 2010 n. 199 e l. 17 febbraio 2012 n. 9)

La riforma «Orlando»: l. 22 giugno 2017. n. 103


• esaminato e approvato in Commissione Giustizia Camera (gennaio 2015/settembre 2015)
• approvato dalla Camera (23 settembre 2015), assorbendo altri 10 DDL
• esaminato e approvato in Commissione Giustizia Senato (marzo
2016/marzo2017), nel testo unificato con altri 38 DDL
• il Senato approva con voto di fiducia (15 marzo 2017) il
«maxiemendamento» (C4368)
• la Camera approva con voto di fiducia (14 gennaio 2017): l. 22 giungo
2017, n. 103 (in vigore dal 4 agosto 2017)

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Le modifiche:
• estinzione del reato per condotte riparatorie (162-ter c.p.)
• inasprimento delle pene (416-ter, 6324-bis, 625, 628, 628 c.p.)
• prescrizione del reato (158, 159, 160, 161 c.p.)
• codice di procedura penale (soggetti, atti, misure cautelari, indagini
preliminari, procedimenti speciali, giudizio, impugnazioni) e norme di
attuazione c.p.p.
• procedimento applicativo misure di prevenzione (7 d.ls. 159/11)
le deleghe al Governo:
• procedibilità a querela e misure di sicurezza (art. 1 c. 16: 1 anno)
• casellario giudiziale (art. 1, c. 18)
• intercettazioni (art. 1 c. 84 lett. a, b, c, d, e: 3 mesi). La delega è stata
attuata con d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216
• impugnazioni (art. 1 c. 84 lett. F, g, h, i, l, m: 1 anno)
• ordinamento penitenziario (art. 1 c. 85: 1 anno)

Fonti giurisprudenziali:
Giurisprudenza
• decisioni dei giudici di merito vincolanti solo per le parti in senso stretto
• decisioni delle giurisdizioni superiori (Corte costituzionale e Corte di cassazione)
• decisioni della Corte Europea dei diritti dell’uomo (art. 46 CEDU)
• decisioni della Corte di giustizia sull’Unione Europea

Fonti dottrinali:
Dottrina
• da potere formale di consulenza legale a semplice flatus vocis

LEZIONE 2: 4 Febbraio
I principi fondamentali del processo penale.

Il codice di procedura penale è il risultato della implementazione dei principi che troviamo
all’interno della carta costituzionale.
Principio di eguaglianza di tutti di fronte alla legge → primo pilastro su cui si fonda l’idea stessa
del rendere giustizia. Questa è l’idea della giustizia che debba essere sempre applicata rispetto a
tutti i soggetti senza che la distinzione di questi soggetti possa influire sull’amministrazione della
giustizia. Ci sono poi alcuni soggetti che hanno determinate caratteristiche (membri del parlamento)
rispetto ai quali sono necessarie alcune garanzie che i normali cittadini non hanno, ma comunque il
processo quando inizia vede tutti i soggetti nella medesima posizione.
Principio di legalità processuale → Art. 111 comma 1 Cost.: «la giurisdizione si attua mediante il
giusto processo regolato dalle legge».
Cosa vuol dire?
• necessità che il processo sia regolato da disposizioni di legge e si svolga nel rispetto delle
prescrizioni normative, del codice.
• al pari delle fattispecie incriminatrici, la disciplina codicistica non è suscettibile di interpretazioni
in malam partem, ossia tese a limitare i diritti processuali dell’imputato, cioè l’interpretazione deve
essere sempre favor rei. Ciò che non è previsto dalla legge non è strumento che possiamo utilizzare
all’interno del nostro processo.
• Il principio di legalità non trova però preciso riscontro nella prassi: pratiche giurisprudenziali
devianti.

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Principio del contraddittorio e parità delle armi → il nostro sistema è scelto di introdurre le
prove attraverso questo metodo del contraddittorio tra le parti, l’idea è quella per cui il metodo
dialettico viene ritenuto quello migliore per l’accertamento della verità. Quindi l’accusa e la difesa,
le parti, cooperano per la formazione di una prova davanti al giudice, accusa e difesa devono poter
interloquire davanti al giudice in condizioni di parità, e il risultato di questo scontro produce una
prova il più genuina possibile. Parliamo ad esempio della prova regina del processo penale, la
testimonianza, la prova orale, il testimone che ha visto l’imputato sul luogo dell’omicidio, come si
forma questa prova? Attraverso le domande che le parti rivolgono al testimone, lo stesso
rispondendo alle domande sia dell’accusa che della difesa fornisce informazioni utili al giudice per
decidere.
Questo è il metodo del contraddittorio, cioè entrambe le parti cooperano attraverso le loro domande
per far uscire l’elemento che il giudice potrà utilizzare per la propria decisione, e quando fanno
questo le parti devono stare in una posizione di “parità delle armi”, cioè sia accusa che difesa hanno
gli stessi strumenti (a differenza poi del PM che ha strumenti diversi). Il nostro sistema ha adottato
questo metodo nel codice del 1998, mentre il codice del 1930 stabiliva che l’accusa poteva formare
la prova nel segreto e poi portare il risultato davanti al giudice; quindi, le parti formavano la prova
in maniera unilaterale. Metodo del contraddittorio verrà anche chiamato metodo dialettico di
formazione della prova, proprio perché la prova si forma attraverso il dialogo tra le parti.
Diritto di difesa:
-diritto di farsi assistere da un difensore di fiducia, lo stato assicura un difensore a chi viene
accusato (difensore d’ufficio), ma c’è anche la possibilità di scegliere un proprio difensore
(difensore di fiducia). La difesa tecnica attuata da un avvocato è obbligatoria, non è possibile
difendersi da soli ma deve sempre esserci l’ausilio di un difensore.
-diritto all’informazione tempestiva, è chiaro che nel momento in cui io vengo accusato devo capire
qual è l’accusa, devo capire quali sono le circostanze e la vicenda.
-diritto al silenzio, diritto molto discusso e contestato, per cui nel nostro sistema l’imputato ha il
diritto di non collaborare con l’autorità giudiziaria, si tratta dell’esercizio di un diritto e non una
scelta che si fa nel momento in cui non si ha la possibilità di difendersi, se il codice fornisce questo
diritto io che lo esercito lo posso esercitare per qualsiasi ragione. Il diritto al silenzio non deve
essere interpretato in senso negativo, non può l’esercizio del diritto costituire un elemento negativo
di sospetto
-diritto a non autoincriminarsi, come corollario al diritto a non collaborare con l’autorità giudiziaria,
-diritto al tempo e alle facilitazioni necessarie per preparare la difesa,
-diritto di presenziare alle udienze
-diritto alla prova, ci si difende introducendo elementi che dimostrano l’estraneità rispetto
all’accusa, questa è una possibilità perché nel nostro sistema l’onere della prova è in capo
all’accusa.
Presunzione di non colpevolezza (art. 27 c. 2 cost):
-l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Non ha senso affermare che
l’imputato è stato condannato in primo grado, si tratta sempre di un presunto non colpevole, il
condannato in primo grado potrebbe sempre essere assolto in primo grado. Un imputato condannato
a 30 anni per omicidio da un tribunale, o condannato all’ergastolo per strage non inizia ad eseguire
la sua condanna, è libero perché bisogna attendere gli altri gradi di giudizio.
-la mancata prova della colpevolezza dell’imputato è in carico al p.m.
-il dubbio giova all’accusato che deve essere prosciolto, se sussiste un ragionevole dubbio alla fine
del processo che comunque possa essere innocente il giudice dovrebbe assolvere.
-la colpevolezza dell’imputato deve essere provata secondo la formula «al di là di ogni ragionevole
dubbio» (beyond any reasonable doubt)
Obbligo di motivazione e impugnabilità dei provvedimenti del giudice:
-tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati

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-contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà è sempre ammesso il ricorso per
Cassazione per violazione di legge
• fondamento psicologico: stimolo alla responsabilità del giudice
• possibilità per le parti di conoscere le ragioni logico-giuridiche
della decisione
Obbligo di motivazione sia della sentenza sia di tutte le decisioni che il giudice prende prima di
arrivare alla sentenza il processo è una richiesta che le parti fanno al giudice. Il giudice deve sempre
rispondere con un atto e questi atti devono essere motivati.
Ecco, quindi, che molto speso questo obbligo di motivazione è sottovalutato ma è lo strumento di
garanzia più forte rispetto alla decisione del giudice, quando decide deve motivare e quella
motivazione può portare ad impugnare la decisione del giudice.

Nozione di diritto processuale penale:


Questi principi insieme alle regole del codice costituiscono le regole giuridiche che disciplinano le
attività e le forme mediante il quale organi stabiliti dalla legge determinano l’attuazione della
fattispecie penale sostanziale nelle singole vicende. Cioè sono delle regole che determinano la
possibilità per l’autorità di dare attuazione alla fattispecie penale sostanziale rispetto a una vicenda
specifica.
-Complesso di regole giuridiche che disciplinano le attività e le forme mediante le quali appositi
organi fissati e prestabiliti dalla legge provvedono all’attuazione della norma penale sostanziale nei
singoli casi concreti.
“Le regole processuali sono un guardrail metodologico entro cui devono svolgersi le attività di
ricerca, di acquisizione e di valutazione delle prove, sulla base delle quali il giudice è chiamato a
ricostruire un determinato accadimento del passato” (Giostra).
Nozione di processo penale:
quindi cerchiamo di capire cosa si intende per processo penale, una definizione non esiste nel
codice e neanche nella legge ma possiamo tentare di fornire una definizione.
Ce ne sono diverse ma la più plausibile è la seguente:
“Insieme di atti che il giudice, il pubblico ministero, la polizia giudiziaria ed altri soggetti pubblici e
privati compiono al fine di porre il giudice in condizione di applicare una norma di diritto penale
sostanziale in un caso concreto, vale a dire di verificare se taluno ha commesso un reato e, ove ciò
risulti, infliggere al responsabile la sanzione prevista dalla legge.”
Qui si individuano i soggetti del processo (giudice, PM, polizia giudiziaria, soggetti pubblici e
privati) che compiono questi atti al fine di porre il giudice nelle condizioni di verificare se qualcuno
ha commesso il reato, la legge attribuisce al giudice la possibilità di applicargli una sanzione, una
pena.
Ecco, quindi, che il rapporto tra il diritto penale processuale e sostanziale, il diritto penale
processuale serve ad applicare il diritto sostanziale, ha una funzione strumentale.
Cosa mi serve però sapere cosa è una truffa se poi non la si può applicare alla vicenda concreta? Se
poi non si può punire. Non serve a nulla altrimenti.
Il diritto processuale penale rappresenta lo strumento assolutamente indispensabile affinché si
accertino in concreto le astratte fattispecie descritte dal diritto penale sostanziale →
natura strumentale del diritto processuale penale.

Distinzione tra procedimento e processo:


Definito così il processo penale e capito a cosa serve il diritto processuale penale possiamo passare
ad un ulteriore distinzione tra procedimento e processo.
In realtà quando noi parliamo di processo parliamo di una fase particolare del procedimento,
quando si parla di processo si parla di tutto ciò che si svolge davanti ad un giudice. Tutto ciò che sta
prima e che sta dopo si chiama procedimento; quindi, noi potremmo parlare di procedimento anche
quando parliamo di processo perchè il primo ingloba il secondo.
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Come li distinguiamo? Spesso i due termini sono utilizzati erroneamente (a volte anche io parlo di
processo intendendo il procedimento) ma:
• Processo: fase particolare del procedimento (il procedimento ingloba il processo), tutto ciò
che si svolgere davanti a un giudice chiamato, attraverso il dialogo delle parti, a ricostruire la
vicenda, e quindi la possibilità o no di sussumere la fattispecie penale sostanziale con la condotta
dell’imputato; abbiamo le parti (pm e difesa) ma anche la presenza del giudice.
Altra caratteristica: è una fase pubblica (principio di pubblicità).
= fase del procedimento caratterizzata dalla presenza del giudice e dalla pubblicità
• Tutto ciò che sta prima e dopo si chiama procedimento.
Fase delle indagini preliminari (che è segreta): il giudice c’è solo su richiesta e gli atti sono coperti,
fino ad un certo punto, da segreto istruttorio e le attività del pm sono fatte a sorpresa senza previo
avviso del soggetto che subisce questa attività es. intercettazioni, perquisizioni
Fase dell’esecuzione della pena

Profili storici del processo penale:


Il sistema accusatorio è stato adottato da Vassalli che ha delle caratteristiche diverse dal sistema che
era stato adottato fino al 1988, quando era in vigore il sistema inquisitorio con il codice rocco che
era stato promulgato nel 1930 ed è durato fino al 1988.
Quindi nel 1988 si passa da un sistema inquisitorio ad un sistema accusatorio.
Ci sono altri sistemi ancora oggi che sono inquisitori, come il sistema francese.

Sistema inquisitorio (metà I sec. a.C.)


• Immedesimazione in un unico soggetto delle funzioni di accusatore e di giudice (dotato di
poteri di intervento ex officio nella raccolta delle prove): colui che giudicava era anche colui che
accusava; il giudice istruttore aveva anche la possibilità di ricercare le prove senza la cooperazione
delle parti;
• Imposizioni di vincoli e di limitazioni alla difesa;
• Segretezza del processo;
• Adozione della carcerazione preventiva (che adesso è una misura cautelare, risponde ad
esigenze diverse rispetto all’anticipazione dell’esecuzione probabile di una pena, riguarda esigenze
cautelari).
Sistema accusatorio (metà IV sec. a.C.)
• Accertamento dell’’illecito lasciato alla libera iniziativa delle parti contrapposte con
diversificazione tra colui che accusa e giudica; sono entrambi magistrati e fanno parte dell’organo
giudiziario ma hanno funzioni diverse: uno è parte, porta avanti la pubblica accusa (pm) l’altro è
solo soggetto processuale, al vertice del nostro triangolo (giudice);
• Esclusione di qualsiasi poteri di iniziativa nel giudice in ordine all’acquisizione delle prove;
• Pubblicità e oralità del processo: nel sistema inquisitorio si scriveva, ora si parla, il giudice
va convinto anche attraverso la retorica;
• Presunzione di innocenza dell’accusato sino alla condanna irrevocabile e suo conseguente
stato di libertà durante il processo

Codice di procedura penale 1988:


Il codice del 88 è stato adottato dall’art. 2 della legge delega 16,2,1987 n. 81.
Art. 2 della legge delega per il codice di procedura penale.
(L. 16,2,1987, n.81)
«Il codice di procedura penale deve attuare i principi della Costituzione e adeguarsi alle norme delle
convenzioni internazionali ratificate dall’Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale.
Esso inoltre deve attuare nel processo penale i caratteri del sistema accusatorio, secondo i principi e
i criteri direttivi che seguono...»

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Questa era la legge che dava al legislatore delegato la possibilità di adottare un c.p.c. che avesse le
caratteristiche del sistema accusatorio.
Linee guida della legge delega:
• netta differenziazione di ruolo tra pubblico ministero e giudice Emendamenti alla Costituzione
• eliminazione del segreto negli atti del giudice e nella formazione della prova
• accentuazione dei poteri delle parti e della parità tra queste
• valorizzazione del dibattimento e dell’oralità

Nel nostro sistema non solo ci sono delle forme ma si parla, se bisogna convincere il giudice che si
ha ragione bisogna farlo oralmente, attraverso la retorica, l’argomentazione, la capacità di
convincere l’interlocutore.
Questo non ci può portare a rispondere alla domanda il nostro sistema che caratteristiche ha?
Quelle tipiche del sistema accusatorio, in realtà se questa era l’intenzione quando lo studieremo la
risposta più corretta è che si tratta di un sistema che si ispira al sistema accusatorio ma che presenta
e continua a presentare comunque elementi tipici del sistema inquisitorio.
Tutto ciò che è intervenuto dopo ha ‘inquinato’ il sistema di stampo accusatorio introducendo
elementi tipici del sistema inquisitorio e questo perché il sistema inquisitorio è più veloce, più
semplice e con meno garanzie. Ecco perché allora questa spinta di introdurre in un sistema molto
garantistico elementi che invece rendono più efficace e più veloci determinati passaggi.
Quindi è vero che è di stampo accusatorio, quindi non accusatorio al 100%.

Come si svolge quindi il processo penale?


1) Tutto inizia dalla notizia di reato (art. 330), informazione che arriva all’autorità giudiziaria che
ci dice che si è svolto un fatto che ha caratteristiche di rilevanza penale. Questa notizia di reato può
arrivare all’autorità giudiziaria attraverso diverse strade:
-attraverso l’attività della polizia giudiziaria (art. 347) (reparti specifici della guardia di finanzia,
carabinieri, polizia di stato), questi soggetti con il controllo del territorio possono incappacare in
una notizia di reato e riportano questa informazione al PM,
-attraverso denuncia, il privato denuncia una vicenda che secondo lui ha rilevanza penale
-attraverso l’attività del PM.
2)Quando arriva una notizia di reato c’è il PM che compie le indagini preliminari, lo può fare da
solo o delegando la polizia giudiziaria.
E poi il PM può fare delle intercettazioni telefoniche, e il Pm quando compie queste indagini lo fa
per verificare se quell’ipotesi contenuta nella notizia di reato può essere sostenuta dagli elementi
che ha raccolto nel segreto durante le indagini e può formulare un’accusa. E allora esercita l’azione
penale, l’esercizio dell’azione penale ci fa passare dalla fase del procedimento alla fase del
processo, questo esercizio vuol dire che il PM ha elementi sufficienti per poter scomodare un
giudice.
3)Richiesta di rinvio a giudizio, chiedo al giudice di fissare un’udienza per poter valutare se si può
passare oltre. Ecco che parleremo di udienza preliminare nella quale un giudice valuta se il PM
durante le indagini ha raccolto elementi sufficienti per poter sostenere l’accusa in giudizio. Nella
fase preliminare conosceremo il giudice preliminare, un giudice monocratico che ha una specifica
finalità, non stiamo ancora parlando di responsabilità dell’imputato, qui il giudice deve valutare se
il PM ha elementi sufficienti per scomodare il giudice del giudizio. Quindi questo giudice
dell’udienza preliminare fa da “filtro”, se l’opinione del PM è scorretta si procede con una sentenza
di non luogo a procedere. Se invece gli elementi sono sufficienti passeremo davanti al giudice del
giudizio, e lì si instaura un dibattimento, un momento in cui si introducono e si formano le prove.
Quello del giudizio è il giudice che sarà chiamato a decidere se l’imputato è o meno responsabile.

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Questo schema sembrerebbe sul modello accusatorio, solo che poi sono intervenute alcune
modifiche introdotte da alcune sentenze della Corte costituzionale che a un certo punto hanno
coniato un principio mai visto in alcuno dei sistemi accusatori, il principio di non dispersione della
prova, la Corte introducendo questo principio ha introdotto alcuni elementi tipici del sistema
inquisitorio.
«colpito dalle sentenze della Corte costituzionale e dai decreti legge, il modello accusatorio del
codice vigente si è convertito in qualcosa che non si sa più – o non si sa ancora – come chiamare»
(Ferrua)
Nel nostro sistema accusatorio la prova si forma nel contraddittorio tra le parti, e le parti devono
contribuire alla formazione della prova. Poniamo che ci sia un testimone oculare che ha visto come
sono andati i fatti e questo soggetto è stato sentito durante le indagini preliminari dal PM, poniamo
che questo soggetto racconti delle cose fondamentali e il PM ha un verbale con queste informazioni
raccolte nel segreto. Però questa non è una prova perchè è acquisita unilateralmente, è
un’informazione che ha il PM, ma questo elemento è importante per il PM perchè può convincere il
giudice dell’udienza preliminare ma soprattutto perché quel soggetto ha raccontato cose
fondamentali e quando inizierà il giudizio potrà chiamare quel soggetto come testimone, per far
sentire al giudice la testimonianza nel contraddittorio. Poniamo che tra le indagini e il giudizio
questo soggetto muore, se la prova si forma nel contraddittorio tra le parti il giudice può conoscere
solo quello che si forma nel contraddittorio tra le parti ma questa prova non si è formata nel
contraddittorio e quindi questo è un problema.
La Corte costituzionale afferma che questa prova non può essere dispersa, il sistema così non
funziona, deve essere utilizzata in qualche modo dal giudice → si introduce il principio di non
dispersione della prova e quindi si ha un involuzione in senso inquisitorio.
Quindi in realtà vedremo che ci sono alcune prove rilevanti che si formano nel segreto, e non nel
contraddittorio tra le parti, ecco che ad un certo punto dato che la corte costituzionale continuava ad
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introdurre elementi sempre più inquisitori c’è la reazione del legislatore che nel 1999 con la riforma
dell’art. 111 cost attuata poi con legge del 2001 → riforma del giusto processo, con cui si tenta di
porre un argine all’introduzione di questi elementi inquisitori nel sistema accusatorio, questa
riforma ha tentato di riequilibrare il processo. Rimane la possibilità in casi specifici di introdurre
una prova anche non assunta nel contraddittorio tra le parti ma secondo regole ben precise.

I soggetti processuali.
Il libro I del codice è intitolato “i soggetti”, soggetti che hanno caratteristiche ben diverse e tutte
queste pedine, quelli che noi chiamiamo gli attori del processo fanno parte della grande famiglia dei
“soggetti”.
Ma chi sono? Titolari di situazioni soggettive nate con il processo e che ne costituiscono i termini di
riferimento. I soggetti sono lì soltanto perché c’è il processo o il procedimento.
Questi soggetti occupano una posizione e in quanto occupano una posizione sono soggetti.

Questa è la famiglia dei titolari delle situazioni giuridiche, e all’interno di questa famiglia è
possibile individuare le parti processuali che non sono tutti i soggetti ma alcuni di essi.
Parti processuali hanno la caratteristica di vantare il diritto ad una decisione giurisdizionale, sono
soggetti che vantano il diritto di poter chiedere qualcosa al giudice e avere una risposta; quindi,
sono soggetti che hanno il diritto di parlare, di avanzare pretese, richieste e di ottenere delle
risposte.
Una volta che abbiamo individuato quali sono le parti dovremmo distinguere tra:
• Parti necessarie: senza le quali il processo non può iniziare, sono il PM e l’imputato
(accusa e difesa).
• Parti eventuali: soggetti che possono, se decidono, diventare parte, cioè acquisire il potere
di effettuare richieste al giudice e ottenere risposte. Queste parti eventuali se non ci sono
comunque il processo prosegue. Sono la parte civile, il responsabile civile, e il civilmente
obbligato per la pena pecuniaria.
Ma chi è la persona offesa dal reato? La vittima, ma anche la famiglia, il danneggiato. La persona
offesa è il titolare del bene giuridico protetto dalla norma di diritto penale sostanziale violato dalla
condotta dell’imputato. Quindi può essere la vittima ma anche in un reato d’omicidio la vittima nel
processo non c’è; quindi, la persona offesa potrebbe essere anche il familiare. Cioè coloro che
hanno subito un danno. La persona offesa si deve costituire parte eventuale come parte civile.
L’offeso non è parte è soggetto ecco perché lo chiamiamo persona offesa, diventa parte solo se lo
vuole, se decide di esercitare l’azione civile.
Vi sono poi alcuni soggetti che si chiamano in maniera diversa a seconda della fase in cui ci
troviamo: es. nella fase delle indagini preliminari (procedimento) parleremo di polizia giudiziaria,
pm, difensore, offeso dal reato e parleremo di indagato e difensore. Quando si passa al processo con
l’esercizio dell’azione penale l’indagato diventa imputato (destinatario dell'accusa detta
imputazione).

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L’offeso dal reato, se decide di diventare parte del processo, nella fase successiva diventa parte
civile.
• Offeso dal reato--> parte civile
• Indagato--> imputato

Riassunto:

Vediamo quindi il primo soggetto → il giudice e le sue caratteristiche che gli derivano direttamente
dalla carta costituzionale.
Principi costituzionali in tema di giudice:

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Art. 102 co. 1: Noi parleremo del giudice penale ma ci sono tanti giudici, e quindi quando parliamo
di giurisdizione parliamo di attività giurisdizionale e quindi questo potere è destinato a magistrati
ordinari che sono regolamentati da una legge sull’ordinamento giudiziario.
Art. 25 c. 1: nessuno di noi può scegliere il giudice del proprio processo, ma il giudice deve essere
determinato PRIMA che il fatto sia commesso. Il giudice deve essere predeterminato
assolutamente, parleremo del “giudice naturale precostituito per legge”. Se io conosco le regole
relative alla competenza del giudice so già che se commetto quel fatto in quel luogo so già il
giudice.
Art. 101 c. 2: il giudice è una delle attività più libere che ci sia, il giudice non ha un suo superiore.
L’attività del giudice superiore non ha nessuna possibilità di incidere sull’attività del giudice
inferiore; quindi, il giudice è libero è soggetto solo alla legge. Anche all’interno del tribunale non
c’è un ordine gerarchico, questa gerarchia non influisce sull’attività.
Art. 111 c. 2: il giudice deve essere terzo e imparziale. Un giudice terzo già di per se è imparziale,
vedremo se questo terzo e imparziale è stato inserito per rimarcare ancora di più l’importanza
dell’indipendenza del giudice.

Quali sono le caratteristiche del giudice?


Sicuramente l’imparzialità, indipendenza e naturalità e pre-costituzione per legge.
Soggetto terzo, cui l’ordinamento affida il compito di ius dicere, che al termine del processo
perviene ad una conclusione che la collettività è disposta ad accettare come vera.
-Indipendenza: (art. 107, 108 cost), il potere giurisdizionale è sganciato dal potere esecutivo e
legislativo per il principio di separazione dei poteri.
-Imparzialità (artt. 101 c. 2, 11 cost)
-Naturalità e pre-costituzione per legge (art. 25 c. 1 cost)

Il giudice naturale precostituito per legge:


Art. 25. Cost. 1 comma:
“Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge.
Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto
commesso.
Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge.”

L’art. 25 co. 1 Cost. assicura alle parti di ogni processo la previa sicura conoscenza del giudice che
dovrà giudicarle o meglio l’obiettività nell’individuazione di tale giudice.
Se è chiaro cosa vuol dire pre-costituzione per legge, individuato tramite la legge, ma cosa si
intende per giudice naturale?
È il giudice più vicino al luogo dove è stato commesso il fatto questo perchè il giudice del luogo è
quello che si ritiene possa meglio interpretare la sensibilità di quel luogo e quindi possa meglio
decidere nella maniera più corretta.
-Quindi quando parliamo di naturalità parliamo di locus commissi delicti.
Cioè tendenzialmente il giudice precostituito per legge è il giudice del luogo dove è stato commesso
il reato, in realtà non è sempre così ma in linea tendenziale si. Questo non è semplice capirlo, ci
sono sempre una pluralità di contestazioni e quando ci sono tante contestazioni è difficile capire
come influiscono gli uni sugli altri.
-Precostituzione: istituzione del giudice operata dall’ordinamento processuale sulla base di criteri
generali fissati in anticipo, ante factum e non in occasione d’un fatto già verificatosi.
Questi criteri sono all’interno sia delle leggi sull’ordinamento giudiziario, ma anche all’interno del
codice.

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Art. 25 c. 1 cost:
Oggetto → Le norme che istituiscono gli organi giurisdizionali ne determinano la struttura, la
giurisdizione e la competenza, ed esaminano criteri di individuazione dei giudici persona fisica che
comporranno ciascun organo, nonché i criteri di individuazione dei singoli processi da attribuirsi a
ciascuna composizione dell’organo.
Disciplina →
• riserva di legge statale (art. 117 c.1 leg. g) assoluta nei confronti del potere esecutivo, relativa nei
confronti del CSM
• irretroattività di tali norme
• determinatezza di tali norme

Art, 25 c. 2 e 3 cost.
-La riserva di legge implica il principio di legalità (i pubblici poteri devono essere disciplinati da
norme giuridiche generali e astratte).
-Le norme devono rispondere ai principi di materialità del reato, determinatezza, tassatività (art. 1
c.p.; 14 preleggi), irretroattività (per le norme che stabiliscono pene, non misure di sicurezza) (art. 2
c.p.).
-Anche le norme processuali penali sono coperte dalla riserva di legge statale (artt. 25 c.1, 101 c.2,
108 c.1, 111 Cost.).
- tempus regit actum: L’irretroattività della norma più sfavorevole è ritenuta operante solo con
riferimento alla norma sostanziale (15/1982 e 89/1982 Cost.)
critica dottrina: devono essere irretroattive anche le norme processuali in tema di diritto di difesa e
libertà personale.

L’imparzialità:
Art. 101 cost.
“La giustizia è amministrata in nome del popolo.
I giudici sono soggetti soltanto alla legge.”
Questo articolo permette al giudice quando entra in udienza e deve pronunciare il dispositivo, e
questo è la risposta se l’imputato è o meno colpevole, il dispositivo viene pronunciato sempre “IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO”, proprio perché questa attività di ius dicere è amministrata in
nome di tutto il popolo.
Oltre alla pre-costituzione c’è l’imparzialità:
• Funzionale: tendenziale passività dell’organo giurisdizionale dal processo. (Cost. 108/1962,
124/1992) questo vuol dire che il soggetto come organo deve essere disinteressato rispetto
all’esito del processo, ma questo disinteresse deve essere non solo come organo
giurisdizionale ma anche giudice persona fisica. Il processo che si concluda con una
sentenza di condanna o di assoluzione deve essere indifferente per il giudice persona fisica o
organo giurisdizionale.
• Personale: incompatibilità del giudice persona fisica, che abbia pronunciato su una rei
giudicanda, a pronunciare nuovamente sulla stessa rei giudicanda.

L’indipendenza: (artt. 107,108 Cost)


Art. 107 Cost.
“I magistrati sono inamovibili. Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad
altre sedi o funzioni se non in seguito a decisione del Consiglio superiore della magistratura,
adottata o per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall'ordinamento giudiziario o con il loro
consenso.
Il Ministro della giustizia ha facoltà di promuovere l'azione disciplinare.
I magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni.

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Il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull'ordinamento
giudiziario.”
L’indipendenza può essere:
• Esterna (da organi non giurisdizionali): I giudici, soggetti soltanto alla legge, non sono
vincolati alle deduzioni delle parti nell’individuazione della norma di legge da applicare al
fatto accertato nel caso concreto: iura novit curia (Cost 60/1969, 128/1974, 18/1989). Il
giudice non è vincolato né dalle deduzioni dell’accusa né dalle deduzioni della difesa. Il Pm
potrebbe chiedere la condanna all’ergastolo, il giudice può comunque condannare ad una
pena diversa perché nel codice ci sono dei criteri di determinazione della pena che aiutano il
giudice a quantificare la condanna.
• Interna (da organi giurisdizionali sovraordinati): mira ad assicurare ad ogni organo
giurisdizionale la libertà nell’interpretazione della legge, nell’accertamento dei fatti e quindi
nell’applicazione della legge nei casi concreti (Cost. 225/2001, 125/2007, 11/1999,
501/2000, 241/1991). Il giudice è libero da discostarsi anche da precedenti decisioni di
organi giurisdizionali superiori, ad esempio cassazione. Il giudice è indipendente anche
rispetto a questo tipo di decisioni, sia nella interpretazione della legge, che
nell’accertamento dei fatti.
Art. 108 Cost.
“Le norme sull'ordinamento giudiziario e su ogni magistratura sono stabilite con legge.
La legge assicura l'indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, del pubblico ministero
presso di esse, e degli estranei che partecipano all'amministrazione della giustizia.”

LEZIONE 3: 10 febbraio
Segue… i soggetti.

Se i principi sono quelli visti nella lezione precedente, vediamo come sono ‘calati’ nel codice di
procedura penale.
Allora se il giudice deve essere terzo, imparziale e indipendente all’interno del codice ci sono una
serie di strumenti a difesa di questo presupposto. Cioè del fatto che il giudice deve avere queste
caratteristiche.
Logicamente questi strumenti di difesa di questo presupposto (indipendenza, terzietà, imparzialità)
sono capaci di intercettare quelle situazioni che rendono il giudice non terzo, non imparziale
rispetto a situazioni visibili di fatto. È chiaro che questi strumenti NON riusciranno mai a prevenire
il condizionamento del giudice a livello del subconscio, è naturale che la formazione e la storia del
giudice condizioni il suo modo di ragionare. Certo il giudice dovrebbe spogliarsi di questi fattori
che POTREBBERO condizionare la sua decisione e attenersi in maniera oggettiva all’applicazione
della legge, ma non è così semplice, non si tratta di una macchina.
Gli strumenti del codice non sono idonei a “bonificare” la mente del giudice da questi elementi
psicologici, sono però idonei a prevenire dei fattori visibili e misurabili del suo condizionamento.
Questi strumenti sono quelli previsti nel codice, che chiameremo incompatibilità, astensione,
ricusazione, rimessione.

Giurisdizione penale: l’istituzione del giudice penale.


Quando parliamo di giudice dobbiamo prima parlare di “giurisdizione”.
La giurisdizione penale è l’attività di ius dicere, e chi sono i soggetti chiamati a svolgere questo
ruolo?
La giurisdizione penale è esercitata dai giudici previsti dalle leggi di ordinamento giudiziario
(art. 1 c.p.p.)
Se nel nostro processo fosse chiamato a giudicare un giudice diverso da quello previsto
dall’ordinamento giudiziario saremmo di fronte ad un problema, che chiamiamo difetto.

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Questa è la situazione più macroscopica, chiamiamo ad esempio a giudicare una guardia forestale,
oppure chiamiamo a giudicare un processo penale un giudice amministrativo, che manca di
giurisdizione, questo difetto di giurisdizione è così importante che deve essere subito corretto e può
essere rilevato anche d’ufficio, in ogni stato e grado del procedimento (art. 20 c.p.p).
Questa è la frase che il codice ricollega ad una situazione talmente grave che può essere sempre
evidenziata e risolta.
Quando il codice parla di “in ogni stato e grado” vuol dire SEMPRE, senza alcun limite. Per
situazioni diverse il codice inserisce dei termini.
Un’altra locuzione che dobbiamo tenere in considerazione è quando il codice parla “anche
d’ufficio”. Le situazioni di devianza rispetto ad un modello processuale corretto di solito vengono
rilevate dalle parti, da chi ha interesse a farlo, e se la difesa rileva una situazione il giudice è
chiamato a correggerla, quando c’è scritto anche d’ufficio vuol dire che non è necessario che questa
situazione sia rilevata dalle parti, lo può fare il giudice in maniera autonoma senza che sia
necessaria l’azione delle parti. È logico perché la situazione del difetto di giurisdizione non solo
può essere eccepita sempre, ma può anche essere fatta in maniera autonoma dal giudice.

Ma cosa ci dicono queste leggi sull’ordinamento giudiziario? Quali sono i giudici che possono
esercitare la giurisdizione?
I giudici regolati dall’ordinamento giudiziario si distinguono in:
• Giudici onorari (art. 106 co. 2 cost): la giurisdizione può anche essere esercitata da questi
giudici, ad esempio pubblici ufficiali, avvocati con un certo grado di anzianità. NON sono
magistrati.
• Giudici togati: chiamati così perché quando svolgono la loro funzione vestono la toga.
I giudici togati si dividono in:
• Giudici monocratici: si tratta di un giudice composto da un’unica persona fisica.
• Giudici collegiali: si tratta di un giudice composto da più persone. Ad esempio, il tribunale è
un organo giurisdizionale formato da 3 giudici, ma anche la Corte d’Assise è un organo
giurisdizionale formato da 3 giudici togati e da 9 giudici popolari (cittadini).

Le leggi sull’ordinamento giudiziario ci dicono anche quali sono le condizioni di capacità del
giudice:
Condizioni affinché il giudice penale possa presentarsi come valido soggetto del processo, è
indispensabile che egli possegga taluni requisiti (condizioni di capacità):
• Le condizioni di capacità del giudice e il numero dei giudici necessario per costituire i collegi
sono stabilite dalle leggi di ordinamento giudiziario (art. 33 c.1). Che cosa succede se ci
accorgiamo che il giudice che abbiamo di fronte fa parte si della giurisdizione, ma non ha tutte
quelle condizioni di capacità previste dalle leggi sull’ordinamento giudiziario. Non siamo più di
fronte ad un difetto di giurisdizione ma di fronte ad una violazione di una norma, l’inosservanza di
una disposizione, ma come si risolve questa situazione di un giudice che non ha le condizioni di
capacità?
• È sempre prescritta a pena di nullità l’osservanza delle disposizioni concernenti le condizioni di
capacità del giudice e il numero dei giudici necessario per costituire i collegi, stabilito dalle leggi di
ordinamento giudiziario (art. 178 c.1 lett. a c.p.p.)
Ciò vuol dire che se non osservo questa disposizione la sanzione prevista è la nullità.

Requisiti di capacità del giudice:


requisiti di capacità del giudice necessari per poter esercitare legittimamente la funzione
giurisdizionale (art. 33 c.1), queste condizioni si possono spiegare sia con riferimento a qualsiasi
processo, sia con riferimento ad uno specifico processo, cioè sia in generale oppure nel caso
specifico.
Condizioni in astratto→ in ordine a qualsiasi processo:
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• attribuzione (successiva alla nomina) della qualifica (cittadinanza, età, titoli di studio, ecc..),
immissione nell’ufficio giudiziario e conferimento delle relative funzioni
• composizione dell’organo nel numero di persone conforme a quello prescritto dalla legge
(monocratico o collegiale)
Condizioni in concreto → in ordine a processi determinati:
• condizioni soggettive di indipendenza e imparzialità.
• La mancanza di tali requisiti (judex suspectus) crea situazioni di incompatibilità e, dunque, di
incapacità, cioè si tratta di quel giudice che non avendo le caratteristiche di indipendenza ecc
potrebbe essere in situazioni di incompatibilità e quindi di incapacità. Il giudice incompatibile è un
giudice privo delle condizioni di capacità.

Incompatibilità del giudice:


Ma queste situazioni che rendono il giudice privo delle condizioni di incapacità, e quindi un judex
suspectus variano a seconda delle situazioni.
Situazioni tassative di incompatibilità possono derivare da:
-atti compiuti dal giudice nello stesso processo (art. 34)
-talune qualità concernenti le persone chiamate alla funzione di giudice (art. 34 e artt. 18-19 ord.
giur.)
-posizione del giudice rispetto all’oggetto del processo o alle parti che agiscono nel processo (artt.
36, 37)
-condizioni ambientali createsi in occasione di un determinato processo
Quando ravvisiamo queste situazioni ci troviamo di fronte ad un judex suspectus, incompatibile
perché non imparziale e quindi bisogna risolvere questa situazione, poi vedremo lo strumento che il
codice dà alle parti.
Se ci dovessimo chiedere qual è la situazione che rende un giudice incompatibile?
Ad esempio, familiarità, un parente dell’imputato, che abbia interessi della causa.

Incompatibilità determinata da atti compiuti nel procedimento:


Ci sono giudici a seconda della fase nella quale ci troviamo, un giudice che già ha compiuto un atto
di un certo tipo in una determinata fase del processo potrebbe non essere imparziale. Ad esempio,
un giudice di una fase preliminare che ha attuato una misura cautelare, si tratta di un giudice che si
è già espresso su una situazione di colpevolezza, quello non può essere lo stesso giudice che poi
sarà chiamato a giudicare sulla base delle prove raccolte nel corso del giudizio e non sulla base
delle indagini.

Corte Cost. sent. n. 496/1990


“Il regime delle incompatibilità ricorre in tutti i casi nel quali si profila «l’esigenza di evitare che la
valutazione di merito del giudice possa essere (o possa ritenersi che sia) condizionata dalla
svolgimento di determinate attività nelle precedenti fasi del procedimento o della previa conoscenza
dei relativi atti processuali”

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Carnelutti
“Le regole relative all’incompatibilità trovano fondamento nella considerazione secondo la quale
«esigenza implicita nel concetto di giudice è che questi giudichi le parti, cioè un altro da sé e non
sé medesimo, e un giudizio intorno a sé medesimo... ricorre ogniqualvolta un giudice sia chiamato
a giudicare nuovamente intorno ad un’imputazione sulla quale abbia giudicata: egli non potrebbe,
infatti, giudicare ancora senza giudicare se la prima volta abbia o non abbia ben giudicato”
Incompatibilità da atti compiuti nel procedimento (art. 34):

Incompatibilità per ragioni di parentela (art. 35):

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Incompatibilità per posizione (artt. 36-37):

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Gli istituti di tutela della imparzialità e terzietà del giudice:


Quale potrebbe essere la soluzione se ci troviamo di fronte ad un giudice che non è imparziale e non
può giudicare? Si sostituisce il giudice con un altro giudice. Però è anche vero che per sostituirlo ci
sono due modi, il primo è “caro giudice ti sostituisco”, il secondo è “caro giudice sei in una
posizione di imparzialità?” “Forse no mi astengo”.
Cioè ci sono due strumenti: la possibilità del giudice di rilevarlo in maniera autonoma, oppure la
possibilità che siano le parti ad obbligare il giudice ad astenersi dal giudicare, ma la soluzione è
sempre la sostituzione.
Lo strumento delle parti si chiama ‘ricusazione’ del giudice, quindi astensione volontaria del
giudice e ricusazione sono gli strumenti volti a prevenire, neutralizzare quelle situazioni di
incompatibilità del giudice. Situazioni che sono tassative! Sono quelle situazioni prima viste in
relazione alla funzione, alla parentela, all’interesse, all’aver compiuto un atto prima che può aver
pregiudicato il pensiero del giudice. Questi strumenti sono con riferimento alla persona del giudice.
Se ci troviamo dinanzi ad un giudice persona fisica che è in una situazione di incompatibilità la
soluzione è la sostituzione del giudice, gli strumenti sono l’astensione e la ricusazione.

Poi vi sono degli strumenti che riguardano il giudice organo, non persona fisica!
Vi sono alcune situazioni di incompatibilità che riguardano anche l’organo, cioè qualsiasi giudice
del tribunale di Milano, indipendentemente dalla persona fisica, sarebbe incompatibile a giudicare
quella causa. E quindi qual è la soluzione? Qui non si possono sostituire tutti i giudici del tribunale
di Milano, bisogna trasferire il processo davanti ad un altro giudice inteso come organo.
Questa soluzione di trasferimento del processo riguarda solo l’incompatibilità del giudice come
organo e lo strumento si chiama rimessione del processo.
Esempio: Berlusconi era già stato giudicato tante volte dal tribunale di Milano, e chiede la
rimessione del processo davanti ad un altro giudice.

Rimedi per evitare un giudice parziale nel caso di giudice come persona fisica:
1) La imparzialità è messa in pericolo da situazioni di legame con le parti o con l’oggetto del
processo → Il giudice deve astenersi (36)
2) La impregiudicatezza è messa in pericolo da situazioni di incompatibilità (34, 35) → le
parti ricusano il giudice (37).
Sembra semplice ma in realtà per arrivare alla soluzione si devono svolgere una serie di atti.

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Procedimento di astensione (art. 36):


siamo nell’ambito di un procedimento penale, abbiamo una causa di incompatibilità o di un motivo
di astensione. Anzitutto l’art. 36 ci indica quando il giudice ha obbligo di astenersi, elencando una
serie di ipotesi. Ma cosa deve fare il giudice? Ce lo dice il 3 comma, la dichiarazione di astensione è
presentata al presidente della corte o del tribunale che decide con decreto senza formalità.
Chi decide quindi se la decisione del giudice è legittima o no è il presidente; quindi, c’è questa
dichiarazione di astensione che il presidente dovrà decidere di accoglierla o meno.
-Se non accoglie la dichiarazione il procedimento penale può proseguire;
-se invece viene accolta allora si ha la sostituzione del giudice con un altro magistrato dello stesso
ufficio. E il procedimento penale prosegue.
Il problema che qui si pone è: “che fine fanno gli atti compiuti da quel giudice che poi viene
sostituito?”
Il giudice potrebbe accorgersi di questa situazione di incompatibilità solo dopo aver compiuto
determinati atti. Con la dichiarazione di accoglimento il presidente dichiara quali sono gli atti che
conservano efficacia e quali invece devono essere ricompiuti dal nuovo giudice. Si tratta quindi di
una sorta di sub-procedimento che si instaura dentro il procedimento penale. Il procedimento penale
è caratterizzato da tutti questi ‘incidenti’ che debbono essere risolti.

Schema:

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Il procedimento di ricusazione (art. 37):


il procedimento varia perché in questo caso è la parte che evidenzia questa situazione, e il giudice
potrebbe comunque non astenersi e il procedimento fare il suo corso.
La finalità è sempre quella che c’è qualcuno che decide (corte d’appello o corte di cassazione) se il
giudice deve essere sostituito oppure no.

Rimedi per evitare un giudice parziale nel caso di giudice come organo:
le situazioni in base alle quali si può ritenere che il giudice come organo è incompatibile non sono
quelle viste finora ma sono tassativamente previste all’art. 45 e all’art. 11:
1) Gravi situazioni locali pregiudicano la libera determinazione delle persone che partecipano
al processo, o la sicurezza o l’incolumità pubblica; oppure determinano motivi di legittimo
sospetto (art. 45). Per il primo caso la ratio è quella di una situazione talmente grave da non

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poter permettere ai giudici di quel luogo di giudicare in maniera serena. Ad esempio, una
catastrofe, reati di terrorismo, anni 70 a Milano. Ma questa situazione deve caratterizzare un
determinato luogo o un crimine che abbia sconvolto una comunità!
Soltanto con riferimento a queste situazioni si attiva la procedura della rimessione:
Rimessione del processo ad altro giudice che con la medesima competenza per materia,
presso il capoluogo di altro distretto di corte d’appello secondo la «Tabella A» (art. 1 disp.
att.). Si tratta di un giudice di un luogo diverso che però è comunque precostituito, e questa
pre-costituzione la si trova nella tabella che riguarda la competenza dei giudici competenti a
giudicare reati.
2) Il magistrato è «imputato» o «persona offesa» (art. 11) → competenza obbligatoria
dell’altro giudice che con la medesima competenza per materia, presso il capoluogo di altro
distretto di corte d’appello secondo la «Tabella A»

La rimessione del processo (artt. 45-49):


Finalità:
•prevenire decisioni del giudice (organo) non imparziale (101 c.2 e 111 c.2 Cost.)
• ovvero evitare il pericolo per l’incolumità o la sicurezza pubblica o la limitazione della libertà dei
partecipanti al processo
• salvaguardando il principio di predeterminazione del giudice (art. 25 c.1 Cost.)

Soluzione:
• trasferimento del processo in una sede diversa da quella del giudice originariamente competente
per territorio

Procedimento:
chi sono i soggetti legittimati a poter avanzare la richiesta di rimessione?
-L’art. 45 ci dice il PM e l’imputato possono presentare richiesta di remissione. Il codice ci dice che
questo strumento può essere esercitato solo da due soggetti!
Ma chi è il soggetto competente a valutare questa richiesta? Dove deve essere depositata?
L’art. 45 dice che è la corte di cassazione. Quindi se nel procedimento era il presidente della corte o
del tribunale DI APPARTENENZA, qui è la corte di cassazione a Roma.
La richiesta è depositata nella cancelleria del giudice che procede e trasmessa alla Cassazione.
La richiesta è notificata alle parti entro 7 gg. a pena di inammissibilità, ma cosa vuol dire? Che se il
PM non notifica la richiesta alle altre parti la richiesta è inammissibile, quindi attenzione anche a
questo requisito.
-La richiesta viene trasmessa alla corte di cassazione che può fare una serie di attività:
-Valutazione di ammissibilità, ammissibile vuol dire fondata, che ha le caratteristiche per essere
ESAMINATA. Ad esempio, se la richiesta di rimessione viene fatta dalla parte civile la corte di
cassazione la valuterà inammissibile. Se il presidente della cassazione rileva una causa di
inammissibilità la rinvia alla sezione “filtro” la quale la dichiarerà inammissibile;
-Se invece NON rileva una causa di inammissibilità la assegna a una sezione della corte di
cassazione per essere esaminata nel merito e né da immediata comunicazione al giudice che
procede, bisogna comunicarlo al giudice perché quest’ultimo sta compiendo degli atti, nel
frattempo, e quindi quando si passa a valutarne la fondatezza il giudice deve essere avvisato e può
compiere atti urgenti, sono sospesi la prescrizione del reato e dei termini di prescrizione cautelare.
- Il giudice può sospendere il procedimento se la richiesta è fondata su elementi nuovi rispetto a
quelli di altra richiesta già rigettata e dichiarata inammisibile. Cioè se il giudice che procede (il
giudice del processo nel quale è stata avanzata questa richiesta di remissione), sospende il
procedimento non può pronunciare né il decreto che dispone il giudizio, nè la sentenza ma può
compiere solo atti urgenti.

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Questa sospensione può essere disposta anche dalla corte di cassazione se il giudice continua ad
andare avanti.
Poi ci sarà la decisione, bisogna vedere se è fondata o meno; quindi, nel caso in cui la richiesta di
remissione è accolta vuol dire che è fondata e allora la richiesta è messa ad altro giudice, se invece
viene respinta oppure può essere dichiarata inammissibile, allora la richiesta è respinta e la parte
che l’ha avanzata è condannata a pagare una somma, un’ammenda e il processo sospeso riinizia e
continua.
Nel caso in cui venga invece accolta e il processo dovesse essere trasferito, che fine fanno gli atti
compiuti nel frattempo dal tribunale di Milano se il processo è stato traferito a Brescia? L’art. 49
dice che il giudice designato deve procedere a rinnovare gli atti ripetibili se ne è richiesto da una
delle parti.
Il giudice designato deve rifare tutti gli atti che possono essere ripetuti solo se viene richiesto dalle
parti.
Esempio atto ripetibile: la testimonianza
Esempio atto irripetibile: testimone morta nel frattempo, esame di una macchia di sangue.

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( Gli articoli da 45 a 49 disciplinano la rimessione del processo cioè il suo spostamento da una
dall'altra in presenza di turbative ambientali che possono compromettere il suo regolare
svolgimento.
Si vuole in questo caso salvaguardare l'imparzialità di chi giudica e in particolare è messa in dubbio
l'imparzialità dell'organo giudicante nel suo complesso e non del magistrato in quanto persona
fisica. La rimessione del processo interferisce con il principio del giudice naturale garantito
dall'articolo 25 comma 1 cost. e da qui l'esigenza che vengano tassativamente disciplinati dal
legislatore le situazioni idonee a determinare lo spostamento del processo e che non vi siano
margini di nel meccanismo di assegnazione del giudice della nuova sede.

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l'articolo 45 nella sua originaria versione consentiva la translatio iudicii quando la sicurezza o
l'incolumità pubblica ovvero la libertà di determinazione delle persone partecipanti al processo
risultassero pregiudicate in conseguenza di gravi situazioni locali non altrimenti eliminabili. Il
ricorso a questo parametro oggettivo consentiva di rispettare il disposto dell'articolo 25.
In un secondo tempo tuttavia ha raccolto consensi la diversa tesi secondo cui nel formulare così
l'articolo 45 il legislatore avrebbe in realtà indebitamente escluso dai casi di rimessione l'ipotesi del
legittimo sospetto, pertanto con la legge del 7 novembre 2002 n 248 si sono ampliati i casi di
rimessione. Perciò venendo meno il carattere eccezionale dell'istituto non più ancorato a
presupposti tassativi emergono non poche perplessità circa la conformità del testo novellato
dell'articolo 45 al canone del giudice naturale precostituito per legge.
Dall'articolo 45 si ricava altresì che la rimessione può essere richiesta in ogni Stato e grado del
processo di merito dall'imputato, dal procuratore generale presso la Corte d'appello e dal pubblico
ministero presso il giudice precedente.
Ai sensi dell'articolo 46 invece la richiesta di rimessione deve essere a pena di inammissibilità
anzitutto sottoscritta da lui personalmente o da un suo procuratore speciale e poi depositate nella
cancelleria del giudice è notificata entro 7 giorni alle altre parti punto una volta depositate la
richiesta e la relativa documentazione sono immediatamente trasmesse alla Corte di Cassazione (art.
46 comma 3).
La legge numero 248 del 2002 e innovativa anche nella parte che concerne gli effetti della richiesta:
-prima che questo intervento legislativo la richiesta di rimessione non produceva di per sé alcun
effetto sospensivo, cioè nell'originaria formulazione dell'articolo 47 figurava il divieto per il judex
suspectus, di emettere sentenza fino alla conclusione del procedimento incidentale;
-quella nuova formulazione dell'articolo 47 è lo stesso giudice procedente che può disporre con
ordinanza la sospensione del processo fino a che non sia intervenuta l'ordinanza di inammissibilità o
di rigetto. Analogamente dopo essere stata investita della richiesta la Corte di Cassazione può
disporre la sospensione.
Bisogna aggiungere che nell'eventualità in cui l'iter del processo non sia stato interrotto è prevista la
sospensione obbligatoria rispetto alla quale deve esservi la necessaria comunicazione da parte della
Corte di Cassazione che non avendo il presidente della medesima Corte rilevata alcuna causa di
inammissibilità tale da giustificare l'investitura della sezione filtro, è avvenuta l'assegnazione della
richiesta ad una delle altre sezioni della Corte oppure alle sezioni unite (art. 48 3 comma).
In seguito a questa comunicazione il giudice procedente deve sospendere il processo prima dello
svolgimento delle conclusioni o della discussione e resta preclusa la pronuncia sia del decreto che
dispone il giudizio sia della sentenza, la sospensione dura fino a che non venga pronunciata
l'ordinanza della Corte che dichiari inammissibile o rigetti la richiesta.
Inoltre per limitare gli effetti nocivi della stasi del processo sono stati previsti correttivi: all'articolo
47 comma quattro si stabilisce che finché dura la sospensione restano sospesi i termini della
prescrizione e se la richiesta di rimessione proviene dall'imputato anche i termini di durata massima
della custodia cautelare. Tali termini riprendono il loro corso a partire dal giorno in cui la Corte
dichiara inammissibile o rigetta la richiesta di rimessione oppure dal giorno in cui il processo
perviene al medesimo stato in cui si trovava il momento in cui è intervenuta la sospensione.
Bisogna anche ricordarsi la possibilità di compiere gli atti urgenti ex articolo 47 comma 3.
La decisione della Corte di Cassazione assume la forma dell'ordinanza e la Corte procede in camera
di consiglio. L'ordinanza può assumere le forme di quella di inammissibilità, di rigetto o di
accoglimento. In quest'ultima ipotesi l'ordinanza consente l'indicazione del nuovo giudice che ha
immediatamente comunicata al giudice designato al giudice originariamente competente.
Quando invece l'ordinanza e di rigetto o di inammissibilità la Corte di Cassazione può condannare
l'imputato al pagamento di una somma a favore della cassa delle immense, la riforma Orlando ha
introdotto a questo proposito un paio di modifiche con l'obiettivo di disincentivare la presentazione
di richieste azzardate.

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Con riferimento poi alla conservazione degli atti del processo viene abbandonata la regola
originaria che affidava al giudice subentrante il compito di decidere se e in che misura gli atti
compiuti rimanessero inefficaci, grazie alla nuova formulazione dell'articolo 48 comma 5 vale ora
la regola secondo cui il giudice designato procede alla rinnovazione degli atti quando una qualsiasi
delle parti ne faccia richiesta. Con due sole eccezioni concernenti da un lato l'ipotesi che si tratti di
atti di cui è divenuta impossibile la ripetizione e dall'altro l'eventualità che si versa in una delle
situazioni rispettivamente contemplate dal comma uno del comma uno bis dell'articolo 190 bis.
Inoltre l'articolo 48 comma 5 chiarisce che le parti esercitano gli stessi diritti e facoltà.
Infine l'articolo 49 prevede l'ipotesi di una nuova richiesta di rimessione che consente l'interazione
sia nel caso in cui la richiesta sia diretta ad ottenere un'ulteriore spostamento del processo, sia nel
caso in cui essa mira ad ottenere per la prima volta il relativo provvedimento già negato.
L’ulteriore spostamento può essere richiesto quando nella serie designata si ripresenta una
situazione riconducibile al disposto dell'articolo 45 ovvero quando sono venute meno nella sede
originaria le ragioni che avevano introdotto a sollecitare l'intervento della Corte di Cassazione per
cui si creano le premesse per una revoca del provvedimento di rimessione.

La rimessione del processo: riforma orlando.

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Ratio della modifica → rafforzamento degli strumenti che disincentivano la presentazione di


richieste meramente dilatorie.
Criticità:
1) ampio potere discrezionale alla cassazione in relazione alla causa di inammissibilità
2) non viene colta l’occasione per correggere il congegno sanzionatorio dell’art. 47 c. 4
(sospensione dei termini di custodia e prescrizione anche in caso di accoglimento della
domanda)

La competenza → limiti della giurisdizione:


Quando parliamo di giurisdizione abbiamo già introdotto il concetto di competenza, abbiamo già
fatto l’esempio del processo dinanzi al giudice di Milano rispetto a quello di Brescia.
La competenza è il limite che circoscrive l’area della giurisdizione entro cui il giudice è tenuto a
procedere in ordine ad uno specifico caso. Il concetto di competenza come limite della giurisdizione
nasce dalla molteplicità degli organi che esercitano attività giurisdizionale, previsti
dall’ordinamento, e dalla conseguente esigenza di ripartire tra di essi la relativa potestà. Queste
regole ci dicono qual è il giudice della giurisdizione competente a giudicare quella specifica ricerca
giudiziaria, siccome questi giudici avrebbero la potestà di esercitare la giurisdizione queste regole
individuano quali tra tutti i giudici è quello di quel processo. Quindi la competenza serve a decidere
se quella determinata vicenda giudiziaria deve essere giudicata da un giudice piuttosto che da un
altro.
Competenza:
• Per stati e gradi → competenza funzionale: un giudice che abbia partecipato ad un
determinato grado e stato del processo non può intervenire negli ulteriori gradi o stati, per
evitare possibili preconcetti che turberebbero la serenità ed obiettività del giudizio.
Al primo grado abbiamo il giudice delle indagini preliminari (GIP) , il giudice per l’udienza
preliminare (GUP) o il giudice del giudizio.
Al secondo grado abbiamo la corte d’appello.
Al terzo grado la corte di cassazione.

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• Per materia:
• quantitativa (entità della pena, senza tenere conto della continuazione e delle circostanze,
eccetto quelle aggravanti che mutano la specie della pena e quelle ad effetto speciale: 4
c.p.p)
• qualitativa (reati specificamente indicati)
• residuale (per differenza tra uffici giudicanti)
• Per territorio
• Per connessione: (con effetti sulla competenza per materia e territorio)
• regole sulle «attribuzioni» (con riguardo alla materia e al territorio: sezioni distaccate) del
Tribunale in composizione monocratica o collegiale (d.lgs. 19
febbraio 1998, n. 51 sul giudice unico in primo grado)
Quest’attività di individuazione del giudice competente è commessa subito dal difensore, ma non è
un’individuazione semplice perché le regole sono diverse e la situazione è molto intricata.
Competenza per materia: art 5 c.p.p. come modificato dalla l. 6 aprile 2010, n. 52
Alla corte d’assise vengono distribuite alcune vicende giudiziarie in relazione alla tipologia di reato,
che può essere in relazione alla pena che ha quel delitto o in relazione alla fattispecie. Cioè la corte
d’assise è competente a giudicare:
1) competenza quantitativa: delitti punibili con l’ergastolo o la reclusione non inferiore a 24 anni
(art. 5, lett. a), con esclusioni. Senza sapere di che tipo di delitto, se per quella fattispecie è previsto
quel tipo di pena si sa che si è di fronte alla corte d’assise. Poi a prescindere dalla pena la corte
d’assise è competente a giudicare altri reati che seguono.
2) competenza qualitativa: omicidio del consenziente e altri (art. 5, lett. b); delitti dolosi dai quali è
derivata la morte, con esclusioni (lett. c.); fascismo, genocidio, delitti contro la personalità dello
Stato con pena non inferiore nel massimo a 10 anni (lett. d.); riduzione o mantenimento in schiavitù
o servitù, tratta di persone, acquisto e alienazione di schiavi, anche in forma di associazione nonché
delitti con finalità di terrorismo, con esclusione (lett. d. bis)
Competenza per materia: art. 15 l.24 novembre 1999 n. 468 e art. 4 d.lgs. 28 agosto 2000 n. 274
Al giudice di pace invece sono attribuiti i reati individuati secondo una competenza qualitativa: art.
4 d.lgs. n. 274/2000 (tra i molti: percosse, omissione di soccorso, ingiurie).
Competenza per materia: art. 6 c.p.p.
Dobbiamo distinguere qui se si tratta di un tribunale in forma collegiale o monocratica.
Tribunale collegiale:
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1) quantitativa: reati puniti anche nella ipotesi di tentativo con pena detentiva superiore a 10 anni
nel massimo, ma inferiore a 24 anni nel massimo, purché non siano di competenza della corte
d’assise (33-bis.2)
2) qualitativa: reati specificamente indicati (33- bis.1); es. associazione mafiosa; delitti contro la
P.A, reati societari
Tribunale monocratico:
1) residuale: reati non attribuiti al tribunale in composizione collegiale (art. 33-ter.1) e non di
competenza del giudice di pace (art. 6); e cioè reati puniti con pena detentiva fino a 10 anni nel
massimo
2) qualitativa: stupefacenti (33-ter.1)

LEZIONE 4: 11 febbraio
Segue… i soggetti.

Competenza per materia: giurisdizioni speciali.


-Reati commessi da persone minori degli anni diciotto (art. 3 d.p.r. n. 448 del 1998) la competenza
è attribuita al tribunale per i minorenni, a prescindere dalla fattispecie o al limite edittale di pena.
- art. 90 cost → reati di alto tradimento e di attentato alla Costituzione commessi dal Presidente
della Repubblica la competenza è della corte costituzionale.
- art. 103 c.3 cost → riguarda i militari in servizio alle armi o considerati tali che abbiano
commesso reati c.d. militari la competenza è del tribunale militare.

Ovviamente ogni volta che c’è una regola c’è anche una deroga → deroghe ai criteri generali per
competenza:
• Art. 23 c.p.p. → fenomeno di attrazione per competenza: allorché un giudice di competenza
superiore abbia giudicato erroneamente un reato che sarebbe stato di competenza inferiore e
l’incompetenza non sia stata rilevata o eccepita entro il termine prescritto, la competenza
resta presso il giudice che ha conosciuto, derogando alle regole normale, del reato per il
quale non avrebbe dovuto.
Qui il fenomeno è quello di “attrazione della competenza” , pensiamo ad un reato di
competenza del tribunale secondo la competenza per materia (es: omicidio colposo), ma se
per errore questo processo iniziasse davanti al giudice superiore del tribunale che è la Corte
d’Assise nell’ambito della competenza funzionale, e se le parti legittimate a far correggere
questa situazione, ad eccepire il difetto di competenza, non provvedono entro il termine
prescritto allora la competenza rimane radicata davanti al giudice superiore che ha
erroneamente conosciuto del reato che per le regole sulla competenza di materia avrebbero
portato l’attribuzione ad un giudice di grado inferiore, quindi il giudice superiore se non
viene eccepito il difetto di competenza entro il termine è legittimato a giudicare anche un
reato di competenza inferiore.
Nel caso della situazione contraria, cioè se chiamato a giudicare erroneamente un delitto di
strage fosse un tribunale, questo fenomeno di attrazione della competenza non funziona.

Competenza per territorio:


Regole generali (art. 8 c.p.p..)
La competenza per territorio ha un principio generale che deriva dalla costituzione, abbiamo parlato
di giudice naturale che è giudice del luogo dove è stato commesso il delitto → locus commissi
delicti (luogo di consumazione del reato).
L’art. 8 poi detta ulteriori specificazioni per aiutare a capire come individuare:
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- nel caso in cui dal reato sia derivata la morte di una o più persone → luogo in cui è avvenuta
l’azione o l’omissione;
- nel caso di reati permanenti (anche se ne è derivata la morte) → luogo in cui ha avuto inizio la
consumazione
- delitto tentato → luogo in cui è stato compiuto l’ultimo atto diretto a commettere il delitto

Regole suppletive:
L’art. 9 poi detta delle regole suppletive che entrano in azione nel momento in cui attraverso le
regole generali dell’art. 8 non si riesce ad individuare con certezza il giudice del luogo. Molto
spesso nella quotidianità un capo d’imputazione è molto complicato da leggere, ci possono essere
diversi elementi che le regole dell’art. 8 non sono in grado di risolvere da soli.
- se la competenza non si può determinare ex. art. 8 → ultimo luogo in cui è avvenuta una parte
dell’azione o dell’omissione
- se non è noto il luogo del caso precedente → giudice della residenza, dimora o domicilio
dell’imputato
- se non è noto neppure il luogo di residenza → giudice in cui ha sede l’ufficio del p.m. che ha
iscritto per primo la notizia ex art. 335 c.p.p.

Di solito il difensore quando analizza il capo d’imputazione, è descritta anche la condotta e questo
ci permette di identificare anche il luogo, ad esempio un omicidio commesso in un dato luogo.

Regole specifiche:
- reato commesso all’estero (art. 10 c.p.p.) → luogo di residenza, dimora, arresto o consegna
dell’imputato; ufficio del p.m.
- magistrato imputato, offeso o danneggiato dal reato (art. 11 c.p.p.); magistrato DNA (art. 11 bis
c.p.p.) → giudice del capoluogo del distretto di corte d’appello determinato dalla legge (art. 11
tabella a, già detto che ci dice nel caso di rimessione dove deve essere rimesso il processo), dove
non abbia esercitato

Deroghe ai criteri generali:


casi nei quali il processo, anziché esser devoluto al giudice che dovrebbe conoscerne secondo i
normali canoni viene affidato ad un giudice egualmente competente per materia, ma di diversa
competenza per territorio:
-procedimenti in cui siano coinvolti magistrati (art. 11 c.p.p.)
-ipotesi di rimessione del processo (art. 45 c.p.p.)
-reati commessi dai ministro e dal Presidente del consiglio dei Ministri nell’esercizio delle loro
funzioni (art. 11 l. Cost. 16 gennaio 1989, n.1)
-reati commessi a mezzo di rappresentazione cinematografica e teatrale (art. 14 l. 21 aprile 1962, n.
161)
-reati societari contestati a persona sottoposta a misure di prevenzione (art. 29 l. 13 settembre 1982
n. 646)
-reati previsti dal codice della navigazione consumati a bordo di navi e aeromobili non militari (art.
1240 c. nav.)
-reati in materia di obiezione di coscienza al servizio militare (art. 14 l. 8 luglio 1998, n. 230)
-reati in materia di imposte sul reddito e sul valore aggiunto (art. 18 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 4)
processi di criminalità organizzata (art. 328 c.1-bis e 1-quater c.p.p.)

La competenza per connessione:


la competenza per connessione detta delle regole volte ad individuare il giudice competente nel
caso di situazioni più complicate.
Casi di connessione tra procedimenti:
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o Ad esempio, possiamo trovarci di fronte ad un concorso di persone nel reato (art. 110 c.p.)
oppure in cooperazione tra di loro (art. 113 c.p.) → art. 12 lettera a ci dice quando c’è
connessione fra procedimenti quando il reato è commesso da più persone o nel caso di
concorso di cause indipendenti nella determinazione dell’evento.
o Si ha sempre connessione tra procedimenti secondo la lettera b dell’art. 12 se una persona è
imputato più reati → commessi con una sola azione od omissione (81.1 c.p.) (concorso
formale) e commessi con più azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno
criminoso (81.2 c.p.) (reato continuato).
o Si ha connessione secondo la lettera c dell’art. 12 se i reati sono stati commessi per eseguire
o occultare altri reati.

Il codice poi prevede anche i casi di collegamento tra procedimenti → art. 371
371, a → Procedimenti connessi ex art. 12 ma separati
371, b →
-Reati commessi in occasione di altri reati per conseguirne o assicurarne al colpevole o ad altri il
profitto, il prezzo, il prodotto o l’impunità
-Reati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre
-La prova di un reato o di una sua circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un’altra
circostanza
371, c → La prova di più reati deriva anche in parte dalla stessa fonte

Effetti della connessione:


La connessione e il collegamento tra procedimenti diversi hanno degli effetti anche sulla
competenza, in particolare:
-sulla competenza per materia: per i procedimenti connessi il giudice «superiore» è competente
anche a conoscere i reati di competenza del giudice «inferiore» (Corte ass. / Tribunale). Art. 15
Ad esempio, se viene contestato ad un soggetto un omicidio colposo e con la medesima condotta
oltre a omicidio viene contestato anche l’omicidio volontario, questa vicenda giudiziaria da chi sarà
giudicata? Se guardassi solo all’omicidio colposo bisognerebbe andare al tribunale, se guardo solo
all’omicidio volontario bisogna guardare alla corte d’assise. In questo caso l’art. 12 ci dice che
siamo di fronte a dei procedimenti connessi, l’art. 15 ci dice che è competente a giudicare la
vicenda giudiziaria che vede contestato sia l’omicidio colposo che l’omicidio volontario è la corte
d’assise.
-sulla competenza per territorio: la competenza per i procedimenti connessi appartiene (tra giudici
egualmente competenti per materia) al giudice competente per il reato più grave o per il primo reato
a parità di gravità (o del luogo in cui si è verificato l’evento; art. 12 lett. a). Art. 16
L’art. 16 c. 3 ci da dei criteri per determinare la maggiore o minore gravità del reato:
• delitto > contravvenzione
• pena edittale massima maggiore
• pena edittale minima maggiore (se massima uguale)
• se è prevista anche la pena pecuniaria oltre alla detentiva (se massima e minima uguale)

Riunione e separazione dei processi → trattazione congiunta:


Quando la costituzione parla di pre-costituzione vuol dire che i criteri sono già fissati, dobbiamo
parlare però anche di un’altra situazione perché a prescindere dalla competenza è possibile che
alcune vicende siano incardinate davanti a giudici diversi ugualmente competenti e quelle vicende
per qualche ragione potrebbero benissimo essere trattate in un unico processo davanti ad uno stesso
giudice perché hanno tra di loro qualcosa di comune, qualcosa che renderebbe più semplice una
trattazione congiunta. Il codice, quindi, prevede la possibilità di riunire procedimenti che sono
dinanzi a giudici diversi dinanzi ad uno stesso giudice, ma anche separare processi che sono davanti
ad uno stesso giudice ma che potrebbero essere definiti più velocemente dinanzi a giudici diversi.
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Il codice ha una chiara preferenza per la trattazione separata, il legislatore del 1988 ha privilegiato
l’esigenza di efficienza e snellezza della procedura, mostrando sfavore per la trattazione
cumulativa, perché se da un lato è vero che alcune vicende potrebbero benissimo essere gestite
davanti ad un unico giudice (es: una prova assunta in un procedimento potrebbe benissimo valere
anche per un altro procedimento, ad esempio nel caso di procedimenti connessi o collegati, ad un
concorso di più persone nel medesimo reato magari all’inizio viene individuata una persona ma poi
si scopre che oltre a quella persona ha concorso anche un’altra persona, è logico che sarebbe meglio
giudicare quella vicenda davanti ad un unico giudice, ecco quindi l’esigenza e la possibilità di
riunirli).
Pensiamo però alla separazione, nel caso di concorso di persone nel medesimo reato se il processo
parte dinanzi ad un unico giudice, se uno dei due imputati decide di scegliere un rito diverso
rispetto a quello ordinario (giudizio abbreviato, patteggiamento) e quindi la sua posizione deve
essere separata da quella dell’imputato principale.
Come si fa a riunire e come si fa a separare ce lo dice con riguardo alla riunione l’art. 17, per quanto
riguarda invece la separazione abbiamo l’art. 18.
Il codice prevede un favore alla separazione, perché la riunione di procedimenti dinanzi ad uno
stesso giudice se in linea di massima può essere considerata più efficiente, bisogna sempre tenere
conto che la nostra storia ha visto l’instaurazione di procedimenti che erano tutti davanti ad uno
stesso giudice ma molto complessi, con un numero di imputati che poi determina anche la
proliferazione delle parti private poi costituite parti civili. Questo insieme di elementi fa si che il
processo sia difficile da gestire e lo rende anche molto lungo. Ecco perché il codice del 1988 dopo
l’esperienza del maxiprocesso di mafia ha preferito una separazione che però è solamente una
preferenza, poi comunque vige sempre l’istituto della riunione.

Riunione di processi (art. 17):

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Separazione di processi (art. 18):

Difetto di giurisdizione:
cosa succede quando le regole sulla giurisdizione non sono seguite?
Il difetto di giurisdizione significa che siamo davanti ad un giudice che non ha la podestà di
giudicare, di solito questo difetto può essere:
-assoluto: qualsiasi organo della giurisdizione penale, comune o speciale, risulta carente della
potestà di giudicare
-relativo: il giudice comune procede in ordine ad un reato del quale dovrebbe conoscere un giudice
speciale o viceversa
È rilevabile, anche d’ufficio, in qualsiasi stato e grado del procedimento (art. 20 c.1), cioè SEMPRE
in ogni fase del processo!
Il difetto di giurisdizione ha delle conseguenze a seconda della fase nella quale viene rilevato ed
eccepito, la situazione del difetto di giurisdizione si risolve tenendo conto della fase quando questo
difetto viene rilevato/eccepito dalle parti o autonomamente dal giudice.
• Se il difetto viene rilevato nel corso delle indagini preliminari la conseguenza è che il
giudice (comune o speciale) pronuncia relativa ordinanza disponendo la restituzione degli
atti al ministero dal quale era stato investito. Il giudice quando decide lo fa attraverso degli
atti che possono essere sentenze o ordinanze, l’ordinanza in questo caso restituisce il
processo al PM che lo ha investito, perché è il PM che deve investire il giudice corretto,
quindi si tratta di una regressione del procedimento, il PM investe il giudice, è lui che
quando esercita l’azione penale chiama il giudice ed è il PM che individua qual è il giudice
competente perché l’esercizio dell’azione penale va esercitato davanti al giudice
competente.
• Se siamo dopo la chiusura delle indagini preliminari, il giudice si pronuncerà con sentenza
e:
- Se si trova di fronte ad un difetto relativo → ordina la trasmissione egli atti all’autorità
giudiziaria competente
- Se si trova di fronte ad un difetto assoluto → pronuncia sentenza di difetto di
giurisdizione (art. 20 c. 2)
• Effetti delle decisioni della corte di cassazione sulla giurisdizione (art. 25 c.p.p)

Difetto di competenza:
qui siamo di fronte ad un organo giudiziario che ha la podestà di giudicare ma il problema è che il
PM non ha correttamente applicato le regole sulla competenza e quindi siamo di fronte ad un
giudice incompetente.
-Se la norma violata è stata quella che ha determinato la competenza per territorio allora la
situazione è rilevabile fino alla chiusura dell’udienza preliminare e alla fase introduttiva del

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dibattimento. Quindi c’è sempre un termine entro il quale si deve eccepire o rilevare l’incompetenza
per territorio.
-Discorso diverso è se la regola che è stata violata riguarda la competenza per materia:
o in difetto → cioè è competente il giudice superiore, ad esempio il giudice corretto non è il
tribunale ma la corte d’assise. Questa situazione è rilevabile in ogni stato e grado del
processo, perché è una situazione grave! (art. 21.1)
o in eccesso → cioè è competente il giudice inferiore. Questa situazione è rilevabile fino alle
questioni preliminari in dibattimento (art. 23.2)

Ovviamente a seconda delle fasi nelle quali ci troviamo le conseguenze una volta rilevato in
maniera corretta questo difetto di competenza poi gli esiti saranno:

Che fine fanno gli atti compiuti da quel giudice prima che fosse dichiarato incompetente?
Gli artt. 26 e 27 ci dice cosa succede in caso di inosservanza sulle norme di competenza per quegli
atti effettuati precedentemente:
• le prove precedentemente acquisite non perdono efficacia (art. 26 c.1) e quando si instaurerà il
processo davanti al giudice competente quelle prove verranno conosciute anche dal giudice
competente.
• le dichiarazioni rese al giudice incompetente per materia, se ripetibili, sono utilizzabili solo
nell’udienza preliminare e per le contestazioni dibattimentali.
• le misure cautelari disposte dal giudice incompetente perdono efficacia
se entro 20 giorni della trasmissione degli atti, il giudice competente non le conferma (art. 27)
Questa è un eccezione a dei principi generali, cioè la misura cautelare disposta dal giudice non
perde efficacia ma conserva efficacia fino a 20 gg! Cioè se nei successivi 20 gg il giudice NON le
conferma queste vengono meno. La ratio è che la misura cautelare serve a preservare un’esigenza e
questa esigenza non viene meno quando il giudice non è più competente ecco quindi la necessità di
mantenerla almeno per 20 gg.

Conflitti di giurisdizione e competenza:


Cosa succede se in ordine ad un determinato fatto attribuito alla stessa persona sia giudice comune
che speciale si dichiarino soggetti capaci di giudicare quella vicenda?
-Giurisdizione: allorché appaia incerto se in ordine ad un determinato fatto attribuito alla stessa
persona debba giudicare un organo della giurisdizione comune ovvero un organo della giurisdizione
speciale
E con riferimento alla competenza cosa succede se due organi della giurisdizione comune si
dichiarano entrambi competenti per materia o per territorio? Questo per una diversa interpretazione
delle norme sulla competenza.

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-Competenza: competenza: quando quell’incertezza investe due organi appartenenti entrambi alla
giurisdizione comune e si configura in relazione alla loro competenza per materia (ad es., tribunale
o corte d’assise) o per territorio (ad es., tribunale di Palermo o tribunale di Messina), sia essa
determinata o originata da connessione.

Il conflitto è positivo se entrambi i giudici si dichiarano aventi la potestà o la competenza; il


conflitto è negativo se entrambi i giudici si dichiarano non aventi la potestà o la competenza per
giudicare quel fatto nei confronti della stessa persona.

I presupposti sono previsti dall’art. 28 → vi è conflitto quando:


1. la contemporaneità delle dichiarazioni con cui i due giudici manifestano la loro volontà, positiva
o negativa, di prendere cognizione del medesimo fatto attribuito alla stessa persona.
E’ necessario che questi due giudici ricusino di essere competenti con delle dichiarazioni
contemporanee, cioè nella stessa fase.
2. le dichiarazioni devono avere ad oggetto il medesimo fatto, inteso come accadimento storico
identificabile attraverso le componenti della condotta, dell’evento, del nesso di causalità,
indipendentemente dal suo nomen juris, attribuito alla stessa persona.
Vi è conflitto quando in ogni stato o grado del procedimento uno o più giudici ordinari, uno o più
giudici speciali, contemporaneamente prendono o ricusano di prendere (rifiutano di prendere)
cognizione del medesimo fatto attribuito alla stessa persona. Questo si applica anche nel caso di
competenza: per avere conflitto è necessario che questi due giudici si dichiarino competenti o
ricusino di essere competenti con delle dichiarazioni contemporanee (in momenti della stessa fase)
che hanno ad oggetto lo stesso fatto (accadimento storico definito come lo definiamo quando lo
vogliamo introdurre in una fattispecie penale sostanziale, indipendentemente dalla qualificazione
giuridica che abbiamo dato a quel fatto).

Come si risolve questo conflitto quando i due giudici nello stesso momento prendono o rifiutano di
prendere a sé la vicenda relativa ad uno stesso fatto nei confronti della stessa persona. Come si
risolve il conflitto?
Una via è individuata da Cordero (autore della procedura penale), che parla della composizione
spontanea ossia uno dei due molla.
Es. dinanzi alla dichiarazione competenza del giudice di Milano, il giudice di Brescia che riteneva
di essere competente dice che è competente Milano. E quindi non va avanti con il conflitto.
Altrimenti se entrambi il organi giudiziari ritengono di portare avanti questo conflitto la soluzione
la vediamo attraverso gli art 29-30-31-32 cpp. Il conflitto è rilevato dal giudice con ordinanza o
eccepito dal PM o dalle parti: il giudice dice che è competente e che è stata depositata la
dichiarazione di competenza anche di un altro giudice, è comunicato al giudice il conflitto )ossia io
giudice di Milano comunico al giudice di Brescia che anche io ritengo di essere competente in
ordine a quel fatto nei confronti di quella persona): questo conflitto è così grave da essere risolto
dalla corte di cassazione cioè gli atti vengono ad essa trasmessi, le ordinanze dei due giudici che
ritengono essere competenti vengono trasmessi alla cassazione, che decide chi è competente per
quella vicenda.

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I soggetti altri.

Il pubblico ministero:
questo soggetto processuale è, a differenza del giudice, una parte necessaria, senza la sua presenza
il processo NON può iniziare. Questa parte è molto particolare perchè il giudice è un magistrato ed
è super partes, la costituzione lo definisce terzo ed imparziale, vi è però una parte che anche lui
come il giudice è un magistrato ma a differenza del giudice è parte processuale cioè porta avanti
quella che nel nostro sistema è l’accusa.
È lui che chiede al giudice di valutare la rilevanza penale di quella condotta, la responsabilità o
meno del soggetto che ha posto in essere quella condotta e di pronunciare una sentenza.
Però si tratta di un magistrato!
Quali sono gli articoli della costituzione che parlano del PM?
Art. 101 c. 2 Cost. : il pubblico ministero è magistrato: gode dell’indipendenza esterna (101 c.2) e
delle garanzie del giudice; riflette la propria legittimazione dalla competenza del giudice.
Abbiamo appena parlato della competenza del giudice, quando abbiamo detto che il giudice
incompetente trasmette gli atti al PM perché la legittimazione è di fronte al giudice competente;
quindi, è il PM che individua qual è il giudice
Art. 104 c.1 Cost.: appartenenza alla magistratura «ordine autonomo ed indipendente da ogni altro
potere»
Art. 107 c.1 Cost. : inamovibilità. Solo il consiglio superiore della magistrature (auto governo dei
magistrati) può decidere eventuali trasferimenti per una serie di ragioni.
Art. 108 c.2 Cost. indipendenza del pubblico ministero presso i giudici delle giurisdizioni speciali
Art. 111 Cost. il pubblico ministero è parte nel processo
Art. 112 Cost.: il pubblico ministero è titolare dell’azione penale (obbligatoria).
L’azione penale il PM la esercita solo nel momento in cui ritiene che scomodare il giudice per gli
elementi raccolti sia necessario, e gli elementi siano sufficienti per potere essere valutati in un
giudizio alla presenza di un giudice. L’azione penale una volta esercitata è irretrattabile, cioè una
volta che l’ha esercitata il processo potrà concludersi solo con una sentenza del giudice. Una volta
esercitata il processo deve fare il suo corso, non può fermarsi se non attraverso un procedimento del
giudice.
L’art. 112 esprime che il PM ha obbligo di esercitare azione penale → principio di obbligatorietà
dell’azione penale. Di fronte ad un’azione di reato il PM non può decidere di non sottoporla al
giudice. In altri sistemi c’è il principio di discrezionalità dell’azione penale.
Nel nostro sistema qualsiasi notizia di reato suscettibile di rilevanza penale, se il PM ritiene che vi
siano strumenti necessari per portare questa notizia dinanzi ad un giudice, ha obbligo di esercitare
azione penale.
Funzioni:
-Abbiamo già detto che il PM è il dominus delle indagini preliminari. Il PM deve valutare se
quell’ipotesi di reato può assumere la consistenza di un’accusa, di un’imputazione perché solo
quando avrà questa consapevolezza potrà esercitare l’azione penale, e questo è possibile attraverso
gli elementi raccolti durante le indagini. Tutti questi elementi che il PM raccoglie unilateralmente
quindi senza che vi sia la presenza del difensore dell’imputato, tutti questi elementi possono
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convincere il PM che quell’ipotesi di reato potrebbe trasformarsi in un imputazione che gli permette
di esercitare l’azione penale e scomodare il giudice. Le indagini del PM sono segrete e a un certo
punto questo segreto viene meno soprattutto quando il PM ritiene di aver svolto tutte le indagini
necessarie e quindi avvisa la persona sottoposta ad indagini.
Le indagini sono prima segrete perché la ratio è che se noi sappiamo di essere sottoposti a
intercettazioni agiremo di conseguenza, è necessario che queste indagini siano svolte segretamente.
A un certo punto queste indagini si devono concludere e in quel momento cade il segreto istruttorio,
gli atti sono depositati alla segreteria del PM e le persone sottoposte alle indagini hanno diritto di
conoscere e fare copia di questi atti, è anche il dominus dell’iniziativa cautelare.
-il PM è unico organo che è titolare dell’azione penale:
• richiesta di rinvio a giudizio (o decreto di citazione a giudizio)
• richiesta di giudizio immediato, decreto penale di condanna, applicazione
della pena (ipotesi anomala: «imputazione consensuale»)
• giudizio direttissimo
-accusa in giudizio
-il PM è titolare anche dell’azione cautelare, chi può limitare la liberà personale prima che il
processo sia giunto a sentenza definitiva passata in giudicato? Il PM, attraverso la sua richiesta al
giudice. Il giudice sarà quello delle indagini preliminari (GIP) che interviene soltanto a richiesta.
L’iniziativa cautelare risponde ad esigenze diverse rispetto al fatto che il soggetto sarà prima o poi
giudicato colpevole, nel nostro sistema solo il PM può disporre azione cautelare e il giudice non
potrebbe farlo se non ci fosse richiesta del PM ecco perché è dominus anche dell’iniziativa
cautelare.

Ruolo:
Il PM è parte necessaria del processo, tenuta al dovere di completezza ed obiettività tipica della
posizione di organo pubblico che agisce per fini di giustizia.
Il PM è parte ma è particolare perché è anche una parte pubblica, è lo stato e quindi la sua funzione
di pubblico, di magistrato gli impone di compiere anche ogni attività necessaria sia per valutare se
esercitare o meno l’azione penale ma anche per svolgere ogni accertamento su fatti e circostanze a
favore della persona sottoposta alle indagini. Cioè il fatto di essere parte pubblica gli impone di
cercare anche elementi che possano convincerlo a non esercitare l’azione penale nei confronti di
quel soggetto, cioè il PM deve valutare se quell’accusa può diventare imputazione.
Quindi è una parte che sostiene l’accusa, ma essendo parte pubblica l’art. 358 gli impone la
possibilità di poter cambiare idea, il PM NON VINCE il processo!
Il PM DEVE con i suoi strumenti proporre al giudice una soluzione, che all’inizio se esercita
l’azione penale è sicuramente che l’imputato è responsabile, ma il processo a cosa serve se non a
verificare l’ipotesi accusatoria del PM?
L’art. 358 c.p.p. impone al pubblico ministero di compiere ogni attività necessaria per le
determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale, svolgendo al contempo «accertamenti su
fatti e su circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini».
Questo articolo viene sempre tralasciato ma è presente e quindi il PM può sicuramente farsi un’idea
su chi ha commesso quella condotta ma deve verificare se è così, e se nelle indagini trova una
circostanza a favore di quella persona non può nasconderla ma la deve inserire all’interno del
“FASCICOLO DELLE INDAGINI PRELIMINARI”, perché poi il PM dovrà decidere se in base a
quegli elementi esercitare l’zione penale o archiviare. L’archiviazione è la conseguenza della
valutazione che il PM fa a seguito delle indagini che ha effettuato sulla impossibilità di sostener
l’accusa in giudizio, cioè il PM è sicuro che portando davanti al giudice gli elementi raccolti questi
ultimi non saranno sufficienti per dimostrare l’imputabilità; oppure chiede archiviazione quando
ritiene che la notizia di reato sia infondata, è stata apposta una querela/denuncia il PM si rende
conto che quella denuncia è infondata.

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Art. 50 (azione penale):


“1 comma: Il pubblico ministero esercita l'azione penale quando non sussistono i presupposti per
la richiesta di archiviazione.”
• conferisce al pubblico ministero la titolarità dell’azione penale
• enuncia il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale (art. 112 Cost.)
Il codice per definire quali sono gli elementi per poter esercitare azione penale ci dice quando NON
vi sono i presupposti per non esercitarla/ poter chiedere archiviazione.
L’azione penale permette al PM di formulare un’imputazione, di portare la propria ipotesi
accusatoria, cristallizzarla in qualcosa che poi viene consegnato al giudice che deve rispondere,
valutare se l’imputazione può essere accolta o meno.
Questa notizia di reato come può arrivare al PM?
Attraverso la polizia che attraverso l’attività di controllo del territorio incappa in una notizia di
reato, oppure attraverso una denuncia/querela. È da quella notizia di reato che il PM elabora un
ipotesi e durante le indagini raccoglie elementi per vedere se quell’ipotesi si può concretizzare.
Ecco, quindi, che l’art. 50 ci descrive quando il PM esercita l’azione penale, dicendoci quindi
quando il PM non può scegliere altra strada (cioè la richiesta di archiviazione).
Quindi le due strade sono o l’azione penale o la richiesta di archiviazione.
Quando non sussistono i presupposti per la richiesta di archiviazione il PM è obbligato ad esercitare
l’azione penale.
Ha obbligo in che senso?
Il PM di fronte ad una notizia di reato che ritiene fondata non può non esercitare l’azione penale.
Nel nostro sistema a differenza di altri sistemi vige il principio di obbligatorietà dell’azione penale
ex art. 112, negli USA questo principio di obbligatorietà non c’è il public prosecutor ha
discrezionalità.
C’è una terza via che (non studieremo) è la via della cestinazione della notizia, cioè pensiamo se
uno di noi denunciasse il prof perché ha rubato il duomo di Milano. Di fronte a questa notizia non è
necessario fare alcuna indagine, notizie simili non vengono instaurate nelle strade della richiesta di
archiviazione o esercizio dell’azione penale, ma vengono iscritte ad un modello e dopo un po'
vengono cestinate. Non ogni notizia di reato, quindi, impone al PM di svolgere le indagini.
“2 comma: Quando non è necessaria la querela, la richiesta, l'istanza o l'autorizzazione a
procedere, l'azione penale è esercitata di ufficio.”
•principio dell’ufficialità dell’azione penale
D’ufficio quindi vuol dire spontaneamente, quindi il 2 comma ci dice che alcuni fatti di reato per
poter permettere al PM di esercitare l’azione penale necessitano del deposito di quelle che vengono
chiamate condizioni di procedibilità, la querela, la richiesta, l’istanza o l’autorizzazione a
procedere.
Cioè il nostro sistema ha previsto che per alcuni reati l’azione penale può essere esercitata solo se vi
è richiesta della vittima. Tutte le altre fattispecie che non prevedono il deposito della querela e della
denuncia possono essere portate avanti dal PM anche d’ufficio.
Nei reati di violenza sessuale è necessaria la querela della vittima, il PM può fare benissimo le
indagini, però senza il deposito di questa querela da parte della vittima il PM non può esercitare
l’azione penale. La ratio di questa regola è che per alcune fattispecie di reato particolarmente gravi
il cui accertamento può portare ad un ulteriore violenza nei confronti della vittima il legislatore ha
deciso di lasciare alla vittima la scelta di portare la vicenda in un processo oppure no.
“3 comma: L'esercizio dell'azione penale può essere sospeso o interrotto soltanto nei casi
espressamente previsti dalla legge.”
• principio dell’irretrattabilità dell’azione penale
Il 3 comma ci dice che l’azione penale è irretrattabile, una volta esercitata l’azione penale se il PM
si dovesse convincere che l’imputato non è colpevole allora può chiedere la soluzione ma deve
aspettare che il processo faccia il suo corso.

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Come si esercita azione penale?


L’art. 405 dice come il PM esercita l’azione penale, cioè “esercita azione penale formulando
l’imputazione”, cioè l’esercizio dell’azione penale è si l’espressione che il PM si è fatto sui risultati
delle indagini. Si esercita nel rito ordinario con la richiesta di rinvio a giudizio.
È l’imputazione che esprime la volontà del PM di andare a processo, di andare dinanzi ad un
giudice, formulando l’imputazione il PM ha ben chiaro qual è la condotta, qual è il fatto ecc.
Tutti questi elementi fanno parte dell’imputazione, cioè dell’accusa, di quello per cui l’imp0utato
deve rispondere, e la formulazione dell’imputazione è importante perchè dice alla difesa gli
elementi in base al quale può preparare attività difensiva; e poi è la domanda che il PM fa al
giudice, quando dice al giudice che deve valutare la responsabilità penale di quell’imputato rispetto
a quell’accusa.

L’organizzazione degli uffici del pubblico ministero (art. 51 c.p.p. e 70 e ss. ord. giud.):
Quando prima dicevamo che il PM trova la sua legittimazione dinanzi al giudice competente ci
riferivamo al fatto che ogni giudice ha il proprio ufficio del p.m.

Quando noi parliamo di PM parliamo sia di procuratore della repubblica presso il tribunale, sia il
sostituto procuratore della repubblica, sia il sostituto. C’è una sorta di gerarchia!
Sono tutti però componenti di un unico ufficio, dell’ufficio del PM, l’ufficio del PM è impersonale,
quando cambia la persona fisica del PM non succede quello che succede quando cambia la persona
del giudice.
Vi è un particolare ufficio del PM quando parliamo di:
delitti di associazione di tipo mafioso (art. 416 bis c.p.) e «collegati»,
• sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 c.p.),
• associazione finalizzata al traffico di stupefacenti (art. 74 d.p.r. 309/1990),
• associazione per delinquere finalizzata al contrabbando (291 quater l. 43/1973) con finalità di
terrorismo
In questi casi colui che sostiene l’accusa è il procuratore distrettuale presso la Direzione distrettuale
antimafia → (artt. 51 c.3 bis c.p.p. e 70 bis ord. giud.) e quindi verrà portata avanti dalla DIA, ma
c’è anche il cd. procuratore nazionale antimafia presso la Direzione nazionale antimafia
(artt. 76 bis e 76 ter ord. giud.)

Rapporti tra uffici del PM:

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LEZIONE 5: 17 febbraio.
Segue… soggetti altri.

Astensione (art. 52 c.p.p):


Il Pm è si un magistrato, gode delle garanzie del giudice, ma non è che questo principio porta a
ritenere che il PM debba essere trattato nel processo come giudice, il giudice ha una determinata
funzione diversa dal PM, è super partes, terzo imparziale e indipendente; il PM INVECE è parte,
essendo però parte pubblica l’art. 52 prevede la necessità che anche questa parte come il giudice
possa in determinate situazioni ritenere di non essere nella situazione per poter svolgere in maniera
serena la propria funzione di sostenere l’accusa in base agli elementi raccolti durante le indagini.
L’art. 52 parla di facoltà di astensione del p.m. per gravi ragioni di convenienza, quindi queste
gravi ragioni di convenienza sono un ‘contenitore’ capace di contenere situazioni eterogenee tra di
loro, e poi il PM non deve, NON HA OBBLIGO (come il giudice) ma può scegliere, e su questa
valutazione del PM decide il procuratore della Repubblica presso il tribunale o il procuratore
generale presso la corte d’appello (o sull’astensione di questi, il procuratore generale presso la corte
d’appello o di cassazione), se accolta, l’astensione comporta la sostituzione del PM. Naturalmente
questo riguarda situazioni con riferimento alla persona fisica, quando invece abbiamo parlato del
giudice c’era distinzione tra persona fisica e organo.

Sostituzione (art. 53 c.p.p.):


si tratta di situazioni nelle quali il PM può essere sostituito con altri soggetti, ma l’art. 53 ci dice che
il p.m. non è mai ricusabile (a differenza del giudice), cioè l’imputato non può affermare che il PM
è suo nemico come potrebbe fare con il giudice, però in quelle situazioni è il PM che dovrebbe
astenersi e chiedere di essere sostituito.
Se non si sostituisce è previsto che è sostituito dal capo dell’ufficio in caso di:
• astensione (se accolta)
• grave impedimento, rilevanti esigenze di servizio o situazione ex art. 36 lett. a,b,d,e) (in via
imperativa)
• altri casi («gravi ragioni di convenienza») (solo con il consenso del p.m.)
Quindi ciò che è certo è che NON è mai la parte che può chiedere di sostituirlo.

La polizia giudiziaria:
Il PM può svolgere le indagini direttamente, ma in realtà chi svolge le indagini è un altro soggetto
che non è parte ma è un soggetto che agisce esclusivamente come ausiliario del PM, quindi durante
le indagini, questo soggetto è la polizia giudiziaria che ha la propria giustificazione rispetto alla sua
presenza dall’art. 109 cost → “L'autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria.”

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→ dipendenza diretta (funzionale, non organizzativa) della polizia giudiziaria dall’Autorità


giudiziaria.
L’art. 109 parla di ‘autorità giudiziaria’, si può intendere anche il giudice perché lo stesso può
disporre in udienza della polizia giudiziaria.
La polizia giudiziaria non costituisce uno specifico riparto, ma sono carabinieri + guarda di finanza
+ polizia di stato che svolgono le funzioni di polizia giudiziaria e che sono alle dipendenze del PM.

Funzioni (art. 55 c.p.p.):


Gli ufficiali e gli agenti di p.g. svolgono:
• anche d’iniziativa:
• attività informativa: prendere notizia dei reati, la polizia può quindi reperire la notizia di reato che
poi trasmette al PM.
• attività investigativa: ricercare gli autori del reato, e quest’attività può essere un’attività propria di
ricerca oppure il più delle volte è un’attività delegata. La polizia giudiziaria svolge un’attività
investigativa in proprio fino a quando la notizia di reato non arriva a conoscenza del PM. Quando
gli arriva notizia ecco che l’attività della polizia giudiziaria rientra all’interno della delega del Pm,
cioè il Pm impartisce le direttive e il PM svolge le indagini indicate NELLA delega.
• attività preventiva: impedire che i reati vengano portati a conseguenze
ulteriori
• attività assicurativa: assicurare le fonti di prova, raccogliere quant’altro
possa servire per l’applicazione della legge penale
• ogni indagine e attività disposta o delegata dall’autorità giudiziaria
«assicurare, nell’ambito di una piena indipendenza dell’ordine giudiziario, la più sicura ed
autonomia disponibilità dei mezzi d’indagine» (C.Cost. 94/1963)

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Rapporti con l’autorità giudiziaria (artt. 56, 58, 59 c.p.p.):

La persona sottoposta alle indagini (indagato):


l’imputato c’è soltanto quando il PM ha già formulato un imputazione, ma noi già sappiamo che
questa imputazione viene formulata all’esito delle indagini, quando queste ultime si sono concluse.
La richiesta di rinvio a giudizio è l’atto che contiene la formulazione delle imputazioni, ma se ci
poniamo in una fase precedente allora abbiamo la persona sottoposta alle indagini.
La qualità di indagato si assume con la formale iscrizione del nome della persona nel registro delle
notizie di reato (355 c.p.p.), questa qualità si conserva durante le indagini sino al momento
dell’esercizio dell’azione penale (imputato) o dell’archiviazione. Se il PM esercita l’azione penale il
soggetto non sarà più un indagato ma un imputato perché è destinatario dell’imputazione, se invece
è richiesta l’archiviazione io non sarà più indagato ma un libero cittadino.
Si considera comunque assunta (anche a prescindere dal rispetto dell’obbligo di tempestiva
iscrizione dalla persona):
• nei cui confronti sono svolte indagini o raccolti indizi
• che rende dichiarazioni autoindizianti
• arrestata in flagranza (il fermo esige gravi indizi; le misure cautelari esigono gravi indizi e
iscrizione)

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Cosa succede se il PM iscrive la notizia di reato senza iscrivere il nome della persona?
Se il PM non iscrive il nome, quel soggetto non è indagato e non potrà usufruire di tutti quei diritti o
di tutte quelle garanzie che l’art. 61 estende all’indagato anche se non è imputato.
La posizione dell’indagato → sono estesi diritti e garanzie dell’imputato e (salvo eccezioni) ogni
altra disposizione relativa all’imputato (art. 61 c.p.p.)
C’è un diritto che l’indagato potrà esercitare solo quando sarà imputato, l’indagato non conosce il
capo d’imputazione ma potrà usufruire di tutti i diritti che comunque il codice riconosce
all’imputato.
Perché il soggetto potrebbe anche conoscere di essere sottoposto ad indagine?
Quando il PM notifica l’avviso di conclusione delle indagini comunica che sta per decidere se
esercitare l’azione penale oppure no. E il soggetto potrà scongiurare l’esercizio dell’azione penale
con alcuni elementi.
Però vi sono altri modi:
- Quando c’è una perquisizione ad opera del PM, in quel momento il soggetto sa di essere
sottoposto ad indagine.
- Informazione di garanzia

L’imputato (art. 60 c.p.p.):


Quando si acquista la qualità di imputato?
Quando c’è imputazione e cioè quando il PM effettua la richiesta di rinvio a giudizio. Ma fino a
quando si conserva la qualità di imputato? Si conserva in ogni stato e grado del processo (sino alla
sentenza di non luogo a procedere, sentenza di proscioglimento o condanna irrevocabile, decreto
penale esecutivo), quindi si mantiene fino al passaggio in giudicato della sentenza, e questo è
permesso per il principio di non colpevolezza.
Si riassume in casi di revoca della sentenza di non luogo a procedere o quando è disposta la
revisione del processo, perché è vero che il soggetto potrebbe essere stato condannato con sentenza
passata in giudicato ma il codice permette la correzione dell’errore giudiziario, con lo strumento
della revisione (strumento di impugnazione straordinaria) per poter revocare il giudicato.
Questa qualità di imputato si conserva fino a che la sentenza è definitiva, ma questa qualità viene
meno anche con la sentenza di non luogo a procedere, l’udienza preliminare è quella fase del
processo in cui un giudice è chiamato a valutare se quella richiesta è o meno sostenibile nel corso
del giudizio. È un’udienza filtro per evitare che a giudizio arrivino dei processi destinati comunque
a concludersi con una sentenza di proscioglimento anche per mancanza di elementi. Questa
sentenza di non luogo a procedere fa venir meno la qualità d’imputato.

Presupposti per l’assunzione della qualità di imputato:

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La capacità dell’imputato: Questa qualità non può essere raggiunta dai soggetti non imputabili
(presidente della repubblica che può essere sottoposto a processo soltanto a determinati reati
nell’esercizio delle sue funzioni).
Ognuno di noi ha la capacità processuale, ha la legittimazione, ma il soggetto deve essere in grado
di capire cosa gli sta succedendo; quindi, ci sono situazioni come l’infermità di mente che non
rendono il soggetto imputabile.
La capacità dell’imputato → riforma Orlando:

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Corte Cost. 45/2015 → Illegittimità costituzionale dell’art. 159 c. 1 c.p., per contrasto con l’art. 3
Cost., nella parte in cui, ove lo stato mentale dell’imputato sia tale da impedirne la cosciente
partecipazione al procedimento e questo venga sospeso, non esclude la sospensione della
prescrizione quando è accertato che tale stato è irreversibile.
Riforma Orlando:
• Incapacità reversibile: sospensione del processo (art. 71 c. 1 c.p.p.)
• Incapacità irreversibile: condizione di procedibilità (art. 72-bis c.p.p.)
• Incapacità venuta meno o erroneamente dichiarata: esercizio
dell’azione penale (art. 345 c.p.p.)

Registro delle notizie di reato:

Riassumendo: arriva la notizia di reato al pm (attraverso l’attività di controllo del territorio che fa la
polizia oppure attraverso le denunce, le querele o le istanze di parte che fanno le persone che si
ritengono offese da una condotta, oppure perché il pm viene a conoscenza diretta di questa notizia
di reato). Il fatto appreso può essere suscettibile di rilevanza penale, perché può integrare una
fattispecie di reato. Se il fatto costituisce reato il pm ne ordina la registrazione all’interno di un
registro (“modello”) di atti costituenti notizie di reato. È possibile che questo fatto non costituisca
reato e quindi il pm è obbligato a inserirlo all’interno di un registro (Modello 45) che contiene i fatti
che sono stati denunciati e appresi che da una prima valutazione non costituiscono notizia di reato.
Se la notizia è anonima, il pm la conserverà fino a un certo tempo, per poi cestinarla (se questa
notizia non costituisce reato). Vi è poi una terza possibilità che non è indicata nella slide di cui
abbiamo già parlato, ovvero quando il fatto è palesemente da non prendere in considerazione (es. il
prof che ruba il duomo di Milano). Se il fatto costituisce reato il pm ne ordina la registrazione e
compie le indagini per verificare se esercitare l’azione penale o se chiedere l’archiviazione. Queste
indagini possono essere anche compiute per verificare se quella notizia, che all’inizio non
costituisce fatto avente rilevanza penale, potrebbe acquisire rilevanza e quindi obbligare il pm a
modificare la registrazione in seguito alle indagini. Ovviamente poi il pm è libero di chiedere di
esercitare l’azione penale o se chiedere l’archiviazione.
Varie possibilità:

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C’è anche la possibilità che la notizia di reato sia accompagnata dalla individuazione del soggetto
che ha posto in essere la condotta. È possibile anche che il PM debba svolgere indagini per
individuare il potenziale autore di quella condotta che ha posto in essere quel fatto. Quindi avremo
un registro con le notizie di reato contro ignoti e un registro con le notizie di reato contro persone
note. Solo quando il nome viene iscritto nel registro delle notizie costituenti reato, ecco che ci sarà
l’indagato.

I diritti dell’imputato → la presunzione di non colpevolezza:


quanto è scritto nel nostro codice è l’esplicitazione della carta costituzionale.
Art. 27
“La responsabilità penale è personale.
L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.
Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla
rieducazione del condannato.
Non è ammessa la pena di morte [se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra]*.
* le parole tra parentesi quadrate sono state soppresse dall’art. 1 c.1 l.cost. 2 ottobre 2007, n.1

Al 2 comma si ha una presunzione di non colpevolezza, sino alla sentenza definitiva, cioè quando
passa in giudicato e non è più possibile esperire i mezzi d’impugnazione.
Al 3 comma si parla di pene, ma se si parla di pene non si parla più di imputato ma di condannato.
La pena deve tendere alla rieducazione del condannato, ed è su questo “tendere” che ci sono
problemi, perché gran parte delle pene sarebbero incostituzionali perché il nostro sistema carcerario
non è in grado di assicurare a tutti questo principio costituzionale, il nostro sistema non è in grado
di assicurare che quella pena possa portare alla rieducazione del condannato. Le statistiche ci
dicono che i soggetti recidivi hanno un numero molto importante, rispetto a chi in carcere non è mai
entrato, e questo ci porta a ritenere che questo principio non è assicurato nel nostro sistema.
Chi entra in carcere per una volta ha una probabilità importante di entrare una seconda volta, ciò
significa che la pena non è riuscita a portare il soggetto ad un percorso di rieducazione.
E poi le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso d’umanità, fino a poco tempo
fa nel nostro sistema non era previsto un reato chiamato tortura, e quindi questa disposizione non
aveva una propria corrispondente fattispecie penale.
A seguito della vicenda diaz durante il G8 a Genova è stato introdotto il reato di tortura, che punisce
colui che compie un trattamento inumano e degradante.

2 comma → presunzione di non colpevolezza:


l’imputato si presume e va trattato come innocente sino a che la sua colpevolezza non sia stata
accertata dal giudice con sentenza definitiva.
Qui si parla di trattamento, cioè colui che è all’interno del processo deve essere trattato come un
soggetto innocente cittadino normale, il discorso cambia quando la sua responsabilità penale è stata
poi provata con una sentenza passata in giudicato.
Questa presunzione di non colpevolezza fornisce all’operatore del diritto e in particolare al giudice
2 criteri.
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- Anzitutto da una regola di giudizio, cioè se l’imputato deve essere trattato come
innocente, vuol dire che la condanna deve superare questa presunzione quindi non vi
deve essere alcun ragionevole dubbio circa la colpevolezza. Questo vuol dire che nelle
situazioni di dubbio la presunzione NON può essere superata e quindi l’imputato non
può essere assolto. È assolto quindi se la prova necessaria per condannare manca, è
insufficiente o contraddittoria (Cost. 175/1070; 1/1980). È assolto anche se provati i
presupposti processuali, le condizioni di procedibilità, i presupposi e gli elementi del
reato, il dubbio riguardi la prova di una causa di giustificazione, di non punibilità o di
estinzione del reato (nel processo penale non può operare una regola di distribuzione tra
le parti del rischio della mancata prova, quale quella ex art. 2697 c.c.). Nel nostro
sistema è il PM che deve portare prove, non elementi, davanti al giudice, quando
parliamo di imputato vuol dire che l’azione penale è già stata esercitata e da quel
momento in poi il PM deve parlare con le prove! E vedremo che queste prove sono
qualcosa di molto diverso rispetto agli elementi di indagine raccolti durante le indagini
preliminari. Se il PM non riesce a introdurre prove sufficienti l’imputato deve essere
assolto.
- Ma da anche una regola di trattamento quando dive che l’imputato deve essere trattato
come soggetto innocente, e allora c’è un divieto di anticipazione della sanzione, e poi
vedremo i limiti alla possibilità di restrizione della libertà personale (art. 13).

Proprio l’8 novembre del 2021 l’Italia (con ritardo di 5 anni) ha deciso di dare esecuzione ad una
direttiva europea → Direttiva 2016/343/UE sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di
innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali.
Due direttrici perseguite:
1. meglio regolare i rapporti tra Procure e stampa (si vieta all’autorità di indicare
pubblicamente come colpevole l’imputato fino a sentenza definitiva; si impone alle Procure di
limitarsi ai comunicati o, «nei casi di particolare rilevanza pubblica dei fatti», alle conferenze
stampa; sarà sempre necessario chiarire la fase del procedimento e indicare il diritto dell’imputato a
non essere ritenuto colpevole; si introduce il divieto di assegnare alle indagini «denominazioni
lesive della presunzione di innocenza»);
2. disciplinare la redazione degli atti processuali (art. 115 bis c.p.p., che vieta, anche nei
provvedimenti diversi dalle sentenze, di indicare indagato o imputato colpevoli prima
dell’accertamento finale; il giudice, in sede di ordinanza cautelare dovrà limitare «i riferimenti alla
colpevolezza della persona [...] alle sole indicazioni necessarie a soddisfare i presupposti, i requisiti
e le altre condizioni richieste dalla legge per l’adozione del provvedimento»).
Perciò sono inserite alcune regole, per il PM e per i giudici, sulla redazione degli atti, perché ci si è
accorti che nella redazione degli atti processuali che intervengono all’interno di un processo, molto
spesso si rappresenta l’imputato come già colpevole. Si è tutti d’accordo sulla necessità di questa
regolamentazione ma c’è molta critica per il modo con cui porre rimedio al problema. Vi è molta
critica perché limitare ciò che la procura può dire alla stampa da una parte è contrario al principio di
pubblicità del processo, la stampa deve poter conoscere per poter rappresentare al cittadino.

Questa presunzione di innocenza ha ripercussioni su come devono essere considerate le


dichiarazioni eventualmente rese dalla persona, che può essere l’imputato o l’indagato o che
possono essere soggetti che, a seguito delle proprie dichiarazioni, possono assumere la qualità di
imputato ed indagato i soggetti nei cui confronti si dirige l’indagine. Le dichiarazioni che possono
rilasciare nel corso del procedimento, durante le indagini, durante una perquisizione, come devono
essere trattate?
La disciplina è quella dell’art. 62 e 65. Qui si tratta di cercare di verificare la responsabilità
dell’imputato sulla base di un sistema corretto/leale nei rapporti tra l’autorità, lo stato e la persona
sottoposta ad indagine. Se l’imputato è presunto non colpevole non può essere obbligato a
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collaborare, non può essere costretto a rilasciare delle dichiarazioni che potrebbero poi ritorcersi
contro, questa deve essere una sua libera scelta e quindi il soggetto deve poter sapere quali sono le
conseguenze se rilascerà determinate dichiarazioni. Quindi il contributo dichiarativo di una persona
sottoposta ad indagini deve essere una libera scelta perché nel nostro sistema vige il diritto al
silenzio, a non collaborare con l’autorità giudiziaria, con buona pace di chi sostiene che l’innocente
deve parlare, non è così perché le scelte difensive possono essere diverse.
Quindi se l’imputato può collaborare, può rilasciare delle dichiarazioni solo come frutto di una
libera scelta ecco che questa persona deve poter sapere che c’è un indagine nei suoi confronti.
Quindi quando una persona rilascia le dichiarazioni deve conoscere questi elementi, se non li
conosce queste dichiarazioni non potranno essere utilizzate come elementi perché non sono frutto di
una libera scelta.
Quando si è convocati come liberi cittadini, l’obbligo è di presentarsi e di rispondere alle domande
in maniera veritiera. Se non rispondiamo commettiamo un reato e se rispondiamo falsamente
commettiamo un altro reato: lo Stato ci obbliga a collaborare perché non siamo sottoposti ad
indagine.
Se invece siamo sottoposti ad indagine, il codice ci garantisce il diritto a non collaborare, diritto a
non rispondere o rispondere non con verità.

Garanzie per le dichiarazioni rese dall’imputato o dalla persona sottoposta a indagini:


Le dichiarazioni rese dall’imputato + le dichiarazioni rese dalla persona sottoposta ad indagini + le
dichiarazioni rese da soggetti che, a seguito di tali dichiarazioni, possono assumere le predette
qualità trovano la loro disciplina negli art. 62-65 c.p.p. → la cui finalità è:
- quella di assicurare nei rapporti con l’autorità procedente un livello di lealtà e di civiltà adeguato
ai canoni personalistici del modello accusatorio
- espungere dalle conoscenze utilizzabili nel processo penale quelle ottenute dall’imputato
attraverso qualsivoglia mezzo di coazione. Il contributo dichiarativo della persona accusata di un
reato deve essere offerto spontaneamente. Ciò può accadere solo:
- se tale persona sa di essere sottoposta a procedimento penale;
- è stata avvertita della sua facoltà di non rispondere alle domande che gli vengono rivolte;
- ha avuto conoscenza dell’addebito che gli viene mosso
Nessuna di queste condizioni risulta integrata quando una persona compare davanti all’autorità
giudiziaria o alla polizia per essere sentita come persona informata sui fatti assoggettata agli
obblighi testimoniali.
Divieto di testimonianza (art. 62 c.p.p.)
“Le dichiarazioni comunque rese nel corso del procedimento dall’imputato e dalla persona
sottoposta alle indagini non possono formare oggetto di testimonianza.”
L’art. 62 dice che le dichiarazioni dell’imputato non possono formare oggetto di testimonianza,
rilasciate nel corso del processo e del procedimento. Ad esempio, se il carabiniere viene in casa
nostra e noi diciamo qualcosa, siamo una persona sottoposta ad indagine, il carabiniere poi non
potrà essere chiamato a testimoniare sulle dichiarazioni rese davanti a lui.
Questo divieto riguarda le dichiarazioni sollecitate, quelle rese di propria iniziativa, o in occasione
di un atto del procedimento. Attenzione al fatto → rese NEL CORSO del procedimento, quindi in
esecuzione di atti, quindi durante la perquisizione, durante un’udienza, nel corso delle indagini ecc..

Cosa succede se in violazione di questo divieto viene chiamato a rendere questa testimonianza, e
oggetto della tessa sono delle dichiarazioni raccolte durante un atto del procedimento. La sanzione è
l’inutilizzabilità (ex art. 191 c.1), cioè è la sanzione che noi vedremo sempre in tema di violazioni
di divieti in tema di prove.
Tale divieto vale anche nei confronti di coloro a carico dei quali, per effetto delle dichiarazioni rese,
emergano indizi di reità (art. 63 c.1) e di coloro che, fin dall’inizio, dovevano essere sentiti in
qualità di imputato o di persona sottoposta alle indagini (art. 63 c.2). E’ talmente importante questo
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divieto che si estende anche a coloro che un attimo prima non avevano alcun elemento per poter
essere considerati indagati, ma che a seguito di quelle dichiarazioni diventano persone sottoposte ad
indagine, e anche a coloro che comunque fin dall’inizio dovevano essere sentiti come pe4rsone
sottoposte alle indagini e non lo erano perché il PM non ha provveduto all’iscrizione a registro del
nome dell’indagato o per errore, o perché non c’erano elementi, o perché ha fatto il furbo ”, cioè ti
sento come persona non sottoposta alle indagini in modo che tu debba rispondere secondo verità
quando ho già elementi che mi avrebbero obbligato di sentirti come persona indagata e quindi darti
la facoltà di non collaborare (di non rispondere)).

Tutela contro l’autoincriminazione (art. 63 c.p.p.):


l’art. 63 è un articolo che parla delle dichiarazioni auto-indizianti, e esplicita quello che vedremo
essere presente nella costituzione, cioè il principio per cui nessuno può essere obbligato a rilasciare
elementi a proprio carico → principio garantista del «nemo tenetur se detegere» (nessuno può essrre
costretto ad auto incriminarsi). Cioè c’è una tutela anticipata del diritto al silenzio → divieto di
utilizzazione delle dichiarazioni auto indizianti rese all’autorità giudiziaria o alla polizia
giudiziaria dalla persona non imputata o indiziata.
Profilatisi gli indizi, si determinano, in capo all’autorità procedente, tre obblighi distinti:
- L’autorità deve interrompere l’esame, come pena l’eventuale inutilizzabilità di
informazioni. La situazione tipica è quella per cui uno di noi viene chiamato a
rispondere in procura come persona informata sui fatti, e chi lo interroga si accorge che
quelle dichiarazioni contengono elementi a carico di quel soggetto. Questi elementi che
potrebbero comportare la diversa veste e l’assunzione della qualità di indagato
impongono di interrompere l’esame e quegli elementi sono inutilizzabili.
- L’autorità deve avvertire la persona che «potranno» essere svolte indagini nei suoi
confronti per effetto della mutata veste processuale.
- invitare la persona che ha rilasciato le dichiarazioni indizianti a nominare un difensore.

Vi è poi una distinzione tra queste dichiarazioni auto indizianti, abbiamo detto che non possono
essere utilizzate nel momento in cui sono rilasciate prima di aver interrotto l’esame, e prima di aver
avvertito la persona. Poi nel momento in cui ci sono stati quegli adempimenti, l’indagato può anche
decidere di collaborare (confessione) ma è una sua libera scelta.
- Le dichiarazioni auto indizianti rese all’autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria
dalla persona non imputata o indagata (art. 63 c.1 c.p.p.) impongono l’interruzione,
l’avvertimento che potranno essere svolte indagini e l’invito a nominare un difensore. E
allora quelle dichiarazioni non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese
(prima dell’interruzione), questo vuol dire che possono essere utilizzate nei confronti di
altri!
- Le dichiarazioni auto indizianti rese all’autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria
dalla persona che doveva essere sentita sin dall’inizio in qualità di imputato o
indagato (art. 63 c.2 c.p.p.) impongono l’interruzione, l’avvertimento che potranno
essere svolte indagini e l’invito a nominare un difensore. E allora le dichiarazioni non
possono essere utilizzate (neppure erga alios), cioè contro nessuno!

LEZIONE 6: 18 febbraio.
Segue… soggetti altri.

L’interrogatorio dell’imputato:
queste regole sono richiamate dal codice tute le volte in cui vi è un contatto tra imputato e autorità
giudiziaria. Questo contatto si ha attraverso l’interrogatorio durante le indagini, durante l’udienza
preliminare, e poi vedremo l’esame dell’imputato nel corso del giudizio. Cambiano i nomi di queste
attività perché cambia la finalità ma le regole sono sempre le stesse.
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Regole generali (art. 64 c.p.p.) → l’art. 64 individua delle modalità di comportamenti:


• l’indagato (anche se in stato di custodia cautelare) interviene libero (salvo le cautele; ad esempio:
pericolo di fuga, violenza, ...), cioè se non vi sono delle particolari esigenze interviene senza dei
mezzi di coazione (senza le manette). Perché il legislatore ha deciso di porre il soggetto in una
situazione più serena possibile.
• non possono essere usati (neppure con il consenso) metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà
di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e valutare i fatti, nel nostro sistema non
possono essere utilizzate tecniche che in altri sistemi sono lecite (es. macchina della verità). Il
principio è quello di assicurare il rapporto di lealtà tra lo stato (accusa) e il soggetto che deve
difendersi.
• dev’essere preceduto dall’avvertimento.

Interrogatorio nel merito (art. 65 c.p.p.):


Quando l’imputato decide di collaborare con l’autorità giudiziaria ciò significa che affronta
l’interrogatorio. Cioè nel momento in cui il PM chiama la persona a rendere interrogatorio
l’imputato deve presentarsi ma può avvalersi della facoltà di non rispondere. Ma se invece collabora
deve essere messo nelle condizioni di poter avere cognizione di quello che gli viene contestato,
ecco allora che l’art. 65 afferma che il PM quando interroga deve:
• contestazione (chiara e precisa) del fatto attribuito, deve spiegare il PM perché è lì e cosa gli viene
contestato prima di fare domande,
• indicazione degli elementi di prova esistenti contro l’interrogato,
• indicazione e delle fonti di prova, se non reca pregiudizio alle indagini,
• invito alla persona di esporre quanto ritiene utile per la sua difesa,
• le pone direttamente domande, cioè dopo che il PM ha reso noto di che cosa si tratta la domanda
di solito consiste nel chiedere “rispetto a questa vicenda ha qualcosa da dire?” questo è l’invito ad
esporre quanto si ritiene utile per la difesa e poi solo dopo si passa alle domanda sempre ricordando
che la persona a queste domande può decidere di non rispondere, che questo è l’esercizio di un
diritto
• se la persona rifiuta di rispondere alle domande ne è fatta menzione nel verbale. Questo può essere
letto in vario modo: come constatazione di quello che è successo, oppure come elemento “a carico”,
ma l’idea che l’esercizio di un diritto possa essere considerato come un elemento di sospetto può
lasciare perplesso. Ma molto spesso l’esercizio del diritto al silenzio è perché in quel momento si ha
difficoltà a rispondere in maniera precisa alle domande.
Caratteristiche:
Questo interrogatorio con queste regole si trova in diversi momenti del processo, a seconda delle
fasi nelle quali si colloca e a seconda del soggetto che conduce interrogatorio ha funzioni diverse.
L’interrogatorio dell’indagato durante le indagini preliminari e dell’imputato nell’udienza
preliminare:
• è da ritenersi mezzo di difesa (da distinguere e non confondere dall’esame dell’imputato in
dibattimento, dove è mezzo di prova). Mezzo di difesa perché io che sono l’imputato racconto la
mia versione, quindi ecco la finalità difensiva di questo interrogatorio. Molto spesso è un mezzo di
difesa proprio perché è l’imputato che chiede di essere sottoposto ad interrogatorio.
• Può essere svolto:
• dal giudice, dove l’imputato dovrà convincerlo a pronunciare una sentenza di non luogo a
procedere.
• dal pubblico ministero (solo dopo quello del giudice, se la persona è sottoposta a custodia
cautelare)
• dalla polizia giudiziaria (su delega del pubblico ministero)

Durante le indagini ci sono dei casi in cui l’interrogatorio è doveroso, cioè il PM deve invitare la
persona a rendere interrogatorio, se non procede con questo invito vi sono alcune sanzioni.
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Casi:
- al termine delle indagini (se richiesto ex art. 415 bis c.p.p.), con l’avviso di conclusione
delle indagini viene comunicato all’indagato che se lo richiede il PM è obbligato ad
interrogarlo,
- quando il p.m. chiede la misura cautelare ex art. 289, comma 2 c.p.p., in questo caso
l’interrogatorio è condotto dal giudice che ha disposto la misura cautelare,
- quando il giudice proroga la custodia cautelare per esigenze probatorie

L’interrogatorio può essere il mezzo attraverso il quale l’imputato chiede di difendersi (mezzo di
difesa), oppure è il PM che chiede all’indagato che ha bisogno di interrogarlo (carattere
investigativo) finalizzato alle determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale (art. 326
c.p.p.), quindi per verificare alcune circostanze e alcune situazioni. Quindi è finalizzato a fornire
elementi al Pm per decidere se esercitare azione penale o chiedere archiviazione, cioè la finalità
delle indagini è quella dir accogliere più elementi possibili.
L’interrogatorio condotto dal giudice invece ha carattere prevalentemente difensivo e di garanzia.

A questo interrogatorio che siano condotti dal giudice, dal PM, che siano nel corso delle indagini
preliminari, che abbiano carattere investigativo o finalità difensiva → ci DEVE SEMPRE ESSERE
IL DIFENSORE, cioè il difensore deve essere previamente avvertito. Durante le indagini ci sono
alcune attività che il PM compie a sorpresa, e alcune che il PM può compiere a sorpresa ma deve
comunque avvertire il difensore prima, vi sono poi attività che se compiute a sorpresa consentono
poi la possibilità della presenza del difensore.
•recap → Difesa tecnica:
- diritto del difensore di essere, anche in tempi brevi (art. 364 c.5), avvisato del compimento
dell’atto. Ad esempio, nel caso di perquisizione non viene avvertito il difensore, prima di iniziare la
persona può o nominare un difensore o avvertire il difensore già nominato, ma la perquisizione
comunque si svolge anche se il difensore non dovesse arrivare.
-casi in cui la presenza del difensore è condizione di validità (artt. 294 c.4, 391, 421, 422 c.p.p.).
Quindi in questo caso il difensore deve essere previamente avvertito, avvisato che quel giorno si
procederà ad interrogatorio. La presenza del difensore è condizione di validità, se il difensore è
stato avvertito e non si è presentato a quel punto si nomina un difensore d’ufficio, con questo si ha
comunque la presenza della difesa. Durante l’interrogatorio il difensore può consigliare il proprio
assistito a quale domande rispondere, il difensore sa che certe risposte o risposte formulate in un
certo modo potrebbero creare problemi, e poi il difensore al termine dell’interrogatorio può fare
anche lui delle domande.
• difesa personale:
• partecipazione libera e cosciente del soggetto sottoposto a interrogatorio
• luogo di svolgimento: art. 123 disp. att.

Funzione:
Il mezzo è assimilabile ad altre occasioni di «contatto» con l’autorità (sommarie informazioni,
informazioni dall’imputato in procedimento connesso o collegato, presentazione spontanea al
pubblico ministero con contestazione).

Gli avvertimenti (art. 64 3 comma):


Anche nell’interrogatorio abbiamo gli avvertimenti all’art. 64 c.p.p.. Questi sono avvertimenti
previsti dal comma 3 e che devono essere dati subito dopo che l’autorità giudiziaria ha esplicitato il
fatto attribuito, gli elementi di prova e le fonti se non arrecano danno all’indagine.
A questo punto si deve procedere ad avvertire l’indagato:

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o Avvertimento che le dichiarazioni rese possono essere utilizzate nei confronti


dell’interrogato (lettera a) → In caso di omissione dell’avvertimento le dichiarazioni sono
inutilizzabili.
o Avvertimento che l’interrogato ha la facoltà di non rispondere (salvo che sulla sua identità
personale) (lettera b) → In caso di omissione dell’avvertimento le dichiarazioni sono
inutilizzabili.
o Avvertimento che se l’interrogato renderà dichiarazioni su fatti che concernono la
responsabilità di altri assumerà su tali fatti l’ufficio di testimone (salve le incompatibilità ex
art. 197 e le garanzie ex art. 197 bis c.p.p.) (lettera c) → In caso di omissione
dell'avvertimento le dichiarazioni erga alios non sono utilizzabili nei confronti degli altri e la
persona non può testimoniare. Questo testimone è particolare!

Se si viene chiamato come testimone è necessario presentarsi, poiché si è chiamati a rispondere


altrimenti si commette reato di testimonianza reticente, e si è chiamati a riportare il vero altrimenti
si può essere chiamati a rispondere del reato di falsa testimonianza. L’indagato ha invece la facoltà
di non rispondere, ma non esiste una fattispecie penale che punisce le dichiarazioni mendaci
rilasciate dall’imputato. Se si risponde con dichiarazioni false esse sono valutate come elementi a
carico, quindi come prova che l’imputato volesse nascondere qualcosa. Questo ha portato alcuni a
sostenere in dottrina che la possibilità di non collaborare potesse implicare la possibilità di non
fornire informazioni veritiere.

Il difensore:
il difensore ha un ruolo particolare ma fondamentale, nel senso che nel nostro sistema non ci si può
difendere senza la difesa tecnica. Se l’imputato non ha la capacità economica di avere un avvocato
di fiducia perché tutte le attività non possono essere svolte se non attraverso la attività tecnica del
difensore.
Il difensore non difende il reato, cioè non può introdurre prove che egli sa essere false, altrimenti
commette una violazione del codice deontologico forense.
Il difensore rappresenta gli interessi di una parte in un processo dialettico, deve fare gli
interessi del suo assistito; quindi, può svolgere investigazioni per accertare elementi di prova a
favore del proprio assistito (art. 327 bis). Il difensore però non è una parte pubblica come il PM (il
PM all’art. 358 ha obbligo di ricercare anche elementi a favore), l’unico obbligo che ha il difensore
è quello di non occultare elementi a carico del proprio assistito.
Il difensore non ha l’obbligo di accertare la verità contro il cliente, non ha l’obbligo di
presentare al giudice tutte le informazioni raccolte, ma non può nasconderli e distruggerli altrimenti
commette reato. Ad un certo punto a questo difensore gli vengono anche forniti alcuni strumenti per
effettuare quelle che vengono chiamate le investigazioni difensive, da questo punto di vista quello
della possibilità di accertare degli elementi di prova a favore del proprio assistito con attività di
indagine non è paragonabile al PM, il PM essendo un pubb.ico ufficiale ha poteri di autorità che il
difensore non ha. Quindi sul piano delle indagini quest’idea di parità tra accusa e difesa esiste
soltanto nel momento in cui andiamo davanti al giudice nel corso del giudizio.

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Rapporti del cliente con il difensore:

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Colloqui con il difensore → riforma orlando:


• d.lgs. 184/2016 → Si è data attuazione alla direttiva 2013/48/UE relativa al diritto di
avvalersi di un difensore nel procedimento penale e nel procedimento di esecuzione del
MAE, al diritto di informare un terzo al momento della privazione della libertà personale e
al diritto delle persone private della libertà personale di comunicare con terzi e con le
autorità consolari
• Direttiva 2013/48/UE, art. 3 → 2. Gli indagati e gli imputati si avvalgono di un difensore
senza indebito ritardo. In ogni caso, gli indagati e gli imputati si avvalgono di un difensore a
partire dal primo tra i momenti seguenti:
a) prima che essi siano interrogati dalla polizia o da un’altra autorità di contrasto o
giudiziaria;
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b) quando le autorità inquirenti o altre autorità competenti procedono ad atti investigativi o


altri atti di raccolta delle prove conformemente al paragrafo 3 lett. c;
c) senza indebito ritardo dopo la privazione della libertà personale;
d) qualora siano stati chiamati a comparire dinanzi a un giudice competente in materia
penale, a tempo debito prima che compaiano dinanzi a tale giudice.

Dichiarazione ed elezione di domicilio → riforma orlando:

Quello che bisogna evidenziare rispetto al rapporto tra difensore e proprio assistito è una cosa in
particolare, cioè il difensore quando sa che il proprio assistito ha commesso un fatto come fa a
difenderlo?
La risposta è difficile perché dipende molto dalle situazioni, l’avvocato deve analizzare come il
giudice gli elementi e verificare che c’è quel ragionevole dubbio e che quindi non si possa arrivare
ad una condanna.
Quindi quello che il difensore può fare è quello di limitare le conseguenze negative e assicurarsi
comunque che sia un processo equo, il difensore deve pretendere il rispetto delle regole. Quindi
l’attività del difensore è tecnica, capire cosa ha in mano il PM e decidere come comportarsi.
L’interessi dell’assistito è quello di avere un processo corretto e regolare e a fare questo il difensore
è aiutato dal giudice, il difensore solleva eccezioni per richiamare l’attenzione del giudice.
Il secondo interesse dell’assistito è quello di limitare al massimo i danni.

La parte civile:
( Tra le parti eventuali va collocata la parte civile, il cui intervento è finalizzato ad ottenere le
restituzioni o il risarcimento del danno ricollegabili al reato oggetto di accertamento in sede penale
(art 185 c.p.).

Anche se non è stata operata dal legislatore delegante la scelta radicale di una totale autonomia tra
processo penale il processo civile avente ad oggetto le obbligazioni scaturenti è reato bisogna
riconoscere che la normativa concernente la parte civile rifletta un'impostazione indifferenziata da
quella risultante dal codice del 1930.

Secondo la precedente regolamentazione gli elementi caratterizzanti erano:


1. Pregiudizialità necessaria del processo penale rispetto al processo civile di danno (il
processo civile rimane sospeso fino alla formazione del giudicato penale, art 24 c.p.p.)
2. Le preclusioni e vincoli che la pronuncia irrevocabile del giudice penale esercitava nei
confronti dell'azione civile delle paratoie proposte in sede propria.
Inoltre, erano riconosciuti scarsi poteri all’offeso in quanto tale sollecitando l’inserimento della
pretesa restitutoria o risarcitoria all’interno del processo penale.
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Secondo il nuovo contesto processuale in linea con un processo ispirato alla massima
semplificazione non vi è più la sollecitazione precedente e sono riconosciuti maggior poteri in capo
all’offeso, si è infatti predisposta una normativa per la parte civile che risalta il suo ruolo
istituzionale di soggetto proteso verso il soddisfacimento delle sue pretese di carattere civilistico ( e
non di accusatore privato).

Per quanto riguarda la legitimatio ad causam, l’art 74 c.p.p. stabilisce che la tesi civile può essere
esercitata dal soggetto, anche un ente collettivo e pur se sprovvisto di personalità giuridica, che
mira alle restituzioni o al risarcimento del danno (patrimoniale o non patrimoniale ) cagionato dal
reato, o dai suoi successori universali. Il danneggiato, che può essere diverso dall’offeso ovvero dal
titolare del bene giuridico tutelato dalla norma penale, può costituirsi anche per mezzo di un
procuratore speciale ma difetta di legittimazione il sostituto eventualmente nominato dal difensore
del danneggiato salvo che tale facoltà sia stata espressamente contemplata nella procura oppure che
la costituzione di parte civile in udienza avvenga in presenza del danneggiato.

Una volta costituitosi, a meno di un’eventuale esclusione o di un esodo volontario, il danneggiato in


ossequio al principio della cosiddetta immanenza della costituzione di parte civile, partecipa al
processo in tutti i suoi gradi (art 76 c.p.p.).

Qualora sia carente la capacità processuale del danneggiato, costui deve essere rappresentato (ad es
minore non emancipato), assistito (minore emancipato e inabilitato), o autorizzato ( interdetto) nelle
forme prescritte per l'esercizio dell'azione civile delle azioni civili.
L’art 77 c.p.p prevede due diversi correttivi per l'ipotesi in cui risulti impedito l'inserimento e
l'azione civile all'interno del processo penale:
a. Nomina di un curatore speciale, necessaria quando manchi la persona a cui spetterebbe la
rappresentanza o l'assistenza e ricorrano ragioni d'urgenza oppure quando sussista un
conflitto di interessi tra l'incapace e il suo legale rappresentante;
b. Pubblico ministero, solo se vi è un presupposto di assoluta urgenza e finché non subentri il
legale rappresentante o il curatore speciale per il minore o l’infermo mentale.

La parte civile può stare in giudizio solo con il ministero di un difensore munito di procura speciale
(art 100 comma I c.p.p) e ai fini di una regolare costituzione devono essere rispettate le formalità
stabilite dall'articolo 78 c.p.p:
1. Procura (di cui si è detto sopra)
2. Dichiarazione contente, a pena di ammissibilità, gli elementi indicati nell’art 78 comma I
lett a-e che va depositata nella cancelleria del giudice procedente e notificata al pm e
all’imputato (rispetto ai quali avrà effetto dal giorno dell’avvenuta notificazione) oppure
presentanta in udienza.

L’art 79 c.p.p stabilisce i termini in cui di regola deve collocarsi la costituzione della parte civile:
- Termine iniziale, la costituzione deve avvenire ‘per l'udienza preliminare’, non soltanto
nell'ambito di tale udienza ma anche precedentemente purché sia già stata esercitata dal
pubblico ministero l'azione penale;
- Termine finale, è previsto a pena di decadenza, e coincide con l'effettuazione da parte del
giudice dibattimentale di primo grado degli accertamenti relativi alla costituzione delle
parti di quell'articolo 484 c.p.p. Bisogna precisare che anche se la mancata costituzione è
addebitabile al caso fortuito o alla forza maggiore non è consentito invocare la restituzione
nel termine, E che la costituzione extremis, dopo la scadenza del termine perentorio stabilito
all'articolo 468 c.p.p, non permette alla parte civile di avvalersi delle facoltà di presentare le
liste dei testimoni periti o consulenti tecnici.
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La costituzione di parte civile e non implica in ogni caso una stabile permanenza della medesima
nel processo penale poiché è possibile sia la sua esclusione sia il suo spontaneo recesso:
- Esclusione → L'esclusione può essere la conseguenza di una richiesta motivata proveniente
dal pm, dall'imputato e dal responsabile civile, il giudice procedente è tenuto a pronunciarsi
senza ritardo con un'ordinanza inoppugnabile; tuttavia, l'eventuale esclusione della parte
civile disposta in sede di udienza preliminare non è di ostacolo rispetto ad una sua
successiva costituzione entro il termine finale previsto all'articolo 79 primo comma c.p.p.
La relativa richiesta di esclusione è sottoposta a dei termini perentori che variano a seconda
della fase processuale in cui è avvenuta la costituzione di parte civile: se la parte civile si è
costituita per l'udienza eliminare la richiesta di esclusione va effettuata, in forma scritta fuori
dall'udienza oppure oralmente in sede di udienza preliminare o di o dibattimentale, prima
che siano terminati gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti; se la parte civile si è
costituita nella fase degli atti preliminari al dibattimento o nel corso degli atti introduttivi del
medesimo la richiesta di esclusione deve essere avanzata in sede di trattazione delle
questioni preliminari. L’esclusione, infine, può anche essere disposta ex officio dal giudice.
Le ordinanze con cui la parte civile viene ammessa o esclusa dal processo penale sono di
carattere meramente processuale, e l’esclusione e priva di riflessi sull'esercizio dell'azione
civile in sede propria.
- Spontaneo recesso → la revoca può essere espressa, può aver luogo in ogni Stato e grado
del procedimento e riguardare anche soltanto uno degli imputati, e avviene con apposita
dichiarazione resa personalmente o per mezzo di un procuratore speciale; o tacita, presunta,
deve essere tassativamente prevista dall'articolo 82 comma II c.p.p che menziona la mancata
presentazione in sede di discussione dibattimentale delle conclusioni riservate dell'articolo
523 comma I c.p.p al difensore della parte civile e il promovimento dell'azione di danno e
davanti al giudice civile.)

Noi chiamiamo la parte civile “PARTE”, e questo significa che si tratta sia di un soggetto che di
una parte, ma non di una parte necessaria, perché questa persona in realtà (secondo il prof) non
dovrebbe essere presente all’interno del processo penale ma dovrebbe rivolgersi nella sede propria
cioè al giudice civile, eppure il codice prevede la possibilità per il soggetto danneggiato (colui che
ha subito o che pretende di aver subito un danno dalla condotta dell’imputato) di scegliere se
esercitare la propria pretesa dinanzi al giudice civile o davanti al giudice penale.
Si tratta di un soggetto al quale il reato ha recato danno (patrimoniale o non patrimoniale) ovvero i
suoi successori universali possono esercitare nel processo penale «l’azione civile per le restituzioni
e per il risarcimento di cui all’art. 185 c.p.» (art. 74 c.p.p.).
Il titolare del bene giuridico è la persona offesa, che è un soggetto che non è parte ma può decidere
di diventare parte esercitando l’azione civile nel processo penale; ma ci sono anche soggetti
(persona fisica o persona giuridica) anche diversi dal titolare del bene giuridico protetto dalla norma
penale (persona offesa) ma che comunque hanno subito un danno come diretta conseguenza della
condotta dell’imputato, questi soggetti che non sono persone offese ma soggetti danneggiati
possono diventare parte costituendosi parte civile.

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*il responsabile civile è colui che deve rispondere insieme all’imputato del risarcimento del danno.

La parte civile esiste nel momento in cui sussistono due presupposti (secondo la dottrina e la
giurisprudenza prevalenti):
- aver subito un danno diretto ed immediato dall’azione od omissione del soggetto
attivo del reato. La parte civile dovrà necessariamente provare che quel danno è
conseguenza DIRETTA E IMMEDIATA dell’azione dell’imputato, cioè che non sono
intervenute delle cause/situazioni che hanno spezzato questo collegamento diretto tra la
condotta dell’imputato e il danno nei suoi confronti.
- dev’essere rimasta lesa una situazione personale classificabile come diritto soggettivo,
con esclusione di situazioni di mero interesse o di interesse legittimo
Quali sono le scelte che può fare il danneggiato (anche la persona offesa)?
- azione civile davanti al giudice civile (75.2 e 3) → il danneggiato non è vincolato dal
giudicato penale di assoluzione. Il processo civile prosegue ed il giudice può condannare
il convenuto (l’imputato) al risarcimento del danno in favore del danneggiato.
- azione civile davanti al giudice penale (75.1):
*condanna; capo penale e capo civile; risarcimento del danno → Efficacia limitata di giudicato
(651)
*assoluzione → La sentenza penale irrevocabile di assoluzione con formula completamente
liberatoria ha effetto vincolante sul danneggiato che è stato messo in grado di partecipare al
processo (652)
- nessuna azione civile tempestiva:
* condanna → Efficacia limitata di giudicato (651)
* assoluzione → La sentenza di assoluzione con formula completamente liberatoria ha effetto
vincolante sul danneggiato che è stato messo in grado di partecipare al processo (652)

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Rapporti tra azione civile e azione penale (art. 75 c.p.p):

(I rapporti tra azione civile da reato e azione penale


Il codice del 1930 tendeva a favorire la trattazione congiunta dell’azione penale e di quella civile
davanti al giudice penale; ad oggi si ha un’impostazione antitetica, a favore dell’autonomia dei
rispettivi giudizi, come emerge dai commi 2 e 3 dell’art 75 c.p.p.
Art 75 c.p.p
1. L'azione civile proposta davanti al giudice civile può essere trasferita nel processo penale fino a
quando in sede civile non sia stata pronunciata sentenza di merito anche non passata in giudicato
[c.p.c. 324]. L'esercizio di tale facoltà comporta rinuncia agli atti del giudizio [c.p.c. 306]; il
giudice penale provvede anche sulle spese del procedimento civile(1).
- Il comma I disciplina la trasferibilità nel processo penale dell’azione che il danneggiato del reato
ha già proposto davanti al giudice civile, il cambiamento di sede processuale comporta l’estinzione
del giudizio civile per rinuncia agli atti e la devoluzione al giudice penale della decisione sulle
spese relative al processo civile interrotto.
Tale trasferimento è subordinato a due condizioni:
a. lo stadio di progressione del giudizio a quo
b. lo stadio di progressione del giudizio ad quem
per cui l’attore è vincolato alla sua scelta iniziale dopo la pronuncia in sede civile di una sentenza di
merito, anche non definitiva, e dal termine finale stabilito dall’art 79 comma I c.p.p
2. L'azione civile prosegue in sede civile [625 c.p.p.] se non è trasferita nel processo penale o è
stata iniziata [c.p.c. 163] quando non è più ammessa la costituzione di parte civile.
-L’azione di danno esercitata in sede naturale procede in assoluta autonomia rispetto al processo
penale. Questo comma deve essere coordinato con gli artt 651,efficacia della sentenza penale di
condanna nel giudizio civile o amministrativo di danno, e 652, efficacia della sentenza penale di
assoluzione del giudizio civile o amministrativo. Infatti nell’ipotesi in cui il processo penale i
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concluda con una sentenza irrevocabile di condanna, il danneggiato può sfruttare nel giudizio civile
l’efficacia di giudicata ad essa riconosciuto dall’art 651 comma I; mentre grazie alla clausola di
salvezza inserita nella parte finale dell’art 652 comma I ( sempre che il danneggiato si sia costituito
o sia stato posto in condizione di costituirsi parte civile) è esclusa l’efficacia del giudicato della
sentenza assolutoria.
3. Se l'azione è proposta in sede civile nei confronti dell'imputato dopo la costituzione di parte
civile nel processo penale [82 c.p.p.] o dopo la sentenza [525-548 c.p.p.] penale di primo grado, il
processo civile è sospeso fino alla pronuncia della sentenza penale non più soggetta a
impugnazione, salve le eccezioni previste dalla legge.
- In via d’eccezione questo comma dispone che il processo civile rimanga sospeso in attesa del
giudicato penale, destinato ad esercitare la sua efficacia anche ai sensi dell’art 652 comma I, se
l’azione è proposta dopo la sentenza penale di primo grado o dopo la precedente costituzione di
parte civile nel processo penale. Tuttavia poiché ciò potrebbe costituire un pregiudizio ingiustificato
per il danneggiato il cui esodo dal processo penale non è frutto di una sua scelta, allora l’art 75
comma III fa salve alcune eccezioni in cui il processo civile prosegue senza interruzione, come nel
caso in cui il processo penale sia sospeso per incapacità dell’imputato (art 71). )

Costituzione della parte civile (art. 76 c.p.p):


L’azione civile è esercitata nel processo penale mediante atto di costituzione:
dichiarazione (art. 78 c.p.p.) depositata e notificata alle altre parti o presentata in udienza, per
l’udienza preliminare, e – a pena di decadenza – entro il termine di accertamento ex art. 484 c.p.p.
(questioni preliminari)
La costituzione di parte civile è revocabile, cioè se l’imputato e la parte civile si mettono d’accordo
per un risarcimento del danno A PRESCINDERE dall’accertamento della responsabilità, con
dichiarazione espressa dalla parte.
La costituzione di parte civile è revocata (art. 82 c.p.p.):
• se la parte non presenta le conclusioni
• se promuove l’azione civile davanti al giudice civile
La parte civile può anche essere esclusa dal giudice una volta ammessa.
Esclusione della parte civile:
La parte civile può essere esclusa dal giudice, tramite ordinanza:
• su richiesta motivata di parte (p.m., imputato, responsabile civile): art. 80 c.p.p.
• d’ufficio per difetto dei requisiti: art. 81 c.p.p.
L’esclusione dalla sede penale non pregiudica il diritto di chi si ritenga danneggiato dal reato ad
instaurare un autonomo procedimento in sede civile (art. 81 c.2 c.p.p.)

Il responsabile civile: (parte non necessaria)


È il soggetto (persona fisica o giuridica) tenuto a norma delle leggi civili a rispondere per il fatto
dell’imputato (obbligato in solido), cioè questo soggetto è chiamato dalla parte civile per rispondere
insieme all’imputato in solido nel caso in cui l’imputato venga condannato oltre alla pena anche al

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risarcimento del danno. Quindi vi sono delle situazioni nelle quali oltre all’imputato chiamato in
soldi a risarcire il danno è anche un altro soggetto:
• sorvegliante dell’incapace (art. 2047 c.c.)
• genitore, tutore e precettore (art. 2048 c.c.)
• padrone e committente (art. 2049 c.c.)
• proprietario di edificio (art. 2053 c.c.)
• proprietario di autoveicolo (art. 2054 c.c.)
• l’armatore di navi o l’esercente di aeromobili (art. 274 e 879 cod. nav.)
• può essere l’imputato, per il fatto del coimputato

Il responsabile civile può costituirsi perché:


- è citato su richiesta della parte civile (o del p.m. ex art. 77 c.p.p.) con ordinanza del giudice (art.
83 c.p.p.), è la parte civile che chiede al giudice di citare come parte anche il responsabile civile. Al
responsabile civile arriva un avviso di citazione per costituirsi responsabile civile.
- può costituirsi, o meno, a seguito di citazione, in ogni stato e grado del processo, con
dichiarazione (art. 84 c.p.p.), la scelta di costituzione è una scelta che fa per diventare parte e poi
poter difendersi nel processo. Ecco, quindi, che molto spesso il responsabile civile comunque si
costituisce, se citato, oppure decide di costituirsi anche se non è stato citato, proprio perchè in
questo modo potrà introdurre nel processo elementi che possano escludere la sua responsabilità in
solido. Il responsabile civile potrebbe aiutare l’imputato a evitare di essere condannato, se
l’imputato non viene condannato per il fatto non ci sarà neanche la condanna nei confronti del
responsabile civile; oppure un’altra linea difensiva è quella per cui al di la del fatto commesso
dall’imputato dimostrare che NON c’è quel rapporto di dipendenza tra responsabile civile e
imputato.

La persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria → l’obbligato per la pena pecuniaria:

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È il soggetto (persona fisica o giuridica) tenuto per legge all’obbligazione civile pecuniaria pari
all’importo della multa o dell’ammenda inflitta al condannato, caso di insolvibilità, cioè se
l’imputato è insolvibile le leggi civili prevedono che ci sia un soggetto subentri:
• persona rivestita di autorità o incaricata di direzione o vigilanza (art. 196 c.p.)
• ente del quale il condannato è rappresentante o amministratore

Partecipazione al processo
Secondo le regole valide per il responsabile civile può:
• essere citato (non intervenire volontariamente) dal p.m. o dall’imputato per l’udienza preliminare
o il dibattimento
• costituirsi per l’udienza preliminare o il dibattimento
La disciplina relativa alle forme e ai termini «della citazione e modellata sulle disposizioni dettate
con riferimento al responsabile civile» (art. 89 c.2 c.p.p.)

L’offeso dal reato:


L’offeso dal reato potrebbe anche essere un soggetto che decide di non essere parte del processo,
l’offeso dal reato però è anche danneggiato ma potrebbe costituirsi come parte civile.
L’offeso dal reato può quindi decidere ad esempio di esercitare l’azione civile davanti al giudice
civile, però essendo titolare del bene giuridico protetto è comunque parte processuale, è comunque
all’interno del processo. Ma se decide di non essere parte perché decide di non costituirsi parte
civile, se rimane solo soggetto non ha quei poteri che può esercitare solo la parte, quindi non può
parlare, non può agire nel processo, è presente solo perché vuole capire come sta andando il
processo anche se il codice gli riconosce alcune facoltà sempre tramite il PM. Quindi l’offeso da
reato NON è parte del processo (il titolare dell’azione penale è il pubblico ministero) e svolge un
ruolo di sollecitazione e controllo della parte pubblica, esercitando diritti e facoltà attribuiti dall’art.
90 c.p.p.. l’art. 90 dice quali sono i diritti e la facoltà della persona offesa dal reato, quindi la
persona offesa dal reato può presentare delle memorie, cioè la sua voce la può far ascoltare al
giudice non esercitando delle attività nel processo, ma attraverso il deposito di memorie,
sollecitando il PM di introdurre nel processo degli elementi di prova quindi i suoi diritti li può
esercitare o tramite il PM oppure veicolando la propria voce con il deposito di memorie scritte che
il giudice è tenuto a conoscere, e quindi a valutare, ma non essendo parte NON può richiedere prove
ecc…
L’offeso dal reato ha un interesse a stare nel processo, anzitutto è una presenza per il giudice
importante, non solo per finalità di giustizia ma anche per un interesse privato (offeso del reato) a
che il processo si concluda con l’accertamento della verità.
L’offeso dal reato prende parte al processo ma poi è anche sentito dal PM; quindi, può introdurre la
propria visuale sottoponendosi alle domande del PM, della difesa ma poi anche del giudice.
E poi l’offeso dal reato potrebbe attendere l’esito del processo, attendere la condanna dell’imputato
però questa sentenza di condanna potrà essere un elemento importante da portare davanti al giudice
civile e chiedere il risarcimento del danno.
Il giudice civile rispetto alla situazione della parte civile dovrà fare un passaggio ulteriore, cioè
verificare che ci sia stato veramente un danno e poi quantificarlo.
La persona offesa dal reato è il titolare (soggetto individuale o collettivo, privato o pubblico)
dell’interesse protetto dalla norma penale:
• se minore, interdetto o inabilitato: facoltà e diritti esercitati da genitore, tutore o curatore
• se deceduta in conseguenza del reato: prossimi congiunti
• se persona giuridica o ente: legale rappresentante

Informazione della persona offesa → riforma Orlando:

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Riforma Orlando:
• diritto di ricevere informazioni sullo stato del procedimento già prevista (art. 90-bis lett. b)
• oggi posticipato (6 mesi dalla presentazione di denuncia o querela) e subordinato alla mancanza di
pregiudizio per il segreto investigativo
• resta irrisolto il problema della tempestiva conoscenza dell’accusa da
parte dell’accusato (art. 111 c. 3 Cost.)

Il danneggiato:
Il danneggiato NON è solo la persona offesa, possono anche essere altri soggetti. (la persona offesa
è sicuramente danneggiata!).
Chi subisce le conseguenze patrimoniali negative della condotta illecita (titolare dell’interesse alla
riparazione civile ex delicto):
• legittimato alla costituzione di parte civile nel processo penale

Gli enti rappresentativi:


Enti ed associazioni (art. 91 c.p.p.) senza scopo di lucro, con finalità (riconosciute in forza di legge
anteriore al fatto) di tutela degli interessi lesi dal reato:

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• possono intervenire, con il consenso della persona offesa (art. 92 c.p.p.) ed esercitare diritti e
facoltà della persona offesa (salvo alcune differenze).
Di solito questi enti rappresentativi di interessi tendono a costituirsi parte civile, alcune volte
vengono ammesse ma il più delle volte no perché lo statuto di queste associazioni deve aver ben
chiara la finalità che è stata violata dalla condotta dell’imputato.

LEZIONE 7: 24 febbraio.
Atti.

Iniziamo oggi il libro del codice relativo agli atti, il II libro del codice affronta gli atti che possiamo
definire come gli strumenti che i soggetti hanno per potersi muovere dentro il processo. Quando
parliamo di atti parliamo soprattutto di strumenti in mano al giudice, le richieste al giudice di
processo penale dove vige il principio di oralità vengono effettuate alle parti oralmente nel corso
dell’udienza, molto spesso sono precedute o seguite da atti scritti. Nel processo penale a differenza
del processo civile vige il “principio dell’oralità”. Poi è ovvio che nei processi complessi l’oralità
è spesso accompagnata anche da degli scritti, ma questi non possono sostituire completamente le
richieste orali. Il giudice quando risponde alle domande delle parti risponde sia oralmente sia
attraverso gli atti/provvedimenti.
Fatto giuridico: Accadimento (fenomeno naturale o comportamento) produttivo di effetti giuridici.
Si tratta di qualunque situazione che all’interno del processo possa comportare delle conseguenze
noi la chiameremo fatto giuridico, può essere un comportamento ma anche un fenomeno naturale
(la morte del reo ha delle conseguenze) che abbia delle conseguenze giuridiche.
Atto giuridico: Species del fatto giuridico, caratterizzato dalla rilevanza giuridica della
consapevolezza e volontà del soggetto che lo pone in essere (capace) rispetto alle conseguenze che
questo atto può far scaturire nel processo. Quindi ciò che caratterizza l’atto è proprio l’elemento
soggettivo (consapevolezza e volontà). Ecco che è importante che le parti conoscano le
conseguenze di questi atti perché ogni movimento ha delle conseguenze e può comportare delle
reazioni da parte degli altri soggetti e quindi anche del giudice.

Atto giuridico del processo penale:


• dal punto di vista soggettivo: atto posto in essere da un soggetto del procedimento
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• dal punto di vista oggettivo: atto (dichiarazione, operazione) realizzato nel conteso del
procedimento penale, fornito di attitudine a produrre effetti giuridici di rilevanza processuale
penale. Questo atto per avere delle conseguenze sul piano processuale deve essere conforme al
modello legale, cioè se io pongo in essere un atto con la consapevolezza e volontà di farlo ma lo
pongo in essere senza l’osservanza delle regole e quindi delle caratteristiche che questo atto deve
avere, e queste caratteristiche sono nel II libro, questo atto non essendo conforme al modello legale
non avrà delle conseguenze giuridiche o meglio non avrà quelle conseguenze che il soggetto che lo
pone in essere vorrebbe conseguire → l’invalidità degli atti.

Forma/caratteristiche atti:
• lingua italiana (o della minoranza linguistica riconosciuta): art. 109 c.p.p.
• sottoscrizione e data: artt. 110 e 111 c.p.p.
• modalità di documentazione: art. 134 c.p.p.
• traduzione con interprete, quando è provata la non conoscenza della lingua italiana: art. 143 e ss.
c.p.p.

Questi requisiti di forma poi ci portano a caratterizzare gli atti a seconda anche della fase nelle quali
si trovano. Tutto ciò che è posto in essere nelle indagini preliminari deve essere documentato
perché il dominus delle indagini preliminari è il PM, ecco che il PM se compie delle attività poi
deve darne conto all’interno di un verbale → modalità di documentazione e rappresentazione delle
attività che vengono svolte. A seconda poi dell’attività che si viene a compiere e a seconda
dell’importanza anche dell’attività si introducono più o meno garanzie. E’ logico che il verbale in
forma integrale pone una garanzia maggiore rispetto al verbale in forma riassuntiva.

Poi vi sono anche termini processuali:


il codice individua anche la distinzione che alcuni atti possono essere compiuti SEMPRE, alcuni atti
possano essere compiuti in determinati FASI/entro un determinato termine, alcuni atti non possono
essere compiuti PRIMA CHE UN DET. TERMINE SI ESAURISCA.
Il codice distingue tra:
- termini dilatori: implicano che un atto non possa compiersi o produrre effetti prima che
il termine sia decorso (art. 429 c.3).
- termini acceleratori: stabiliscono un limite cronologico ai fini del compimento di un
atto o del mantenimento della sua efficacia. Che hanno la finalità di scandire le attività
all’interno del processo e tra questi termini acceleratori distinguiamo:
➢ ordinatori: l’inosservanza è priva di conseguenze sul piano processuale, e il termine
viene dato per dare una certa scansione delle attività che devono essere poste nel
processo.

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➢ perentori: l’inosservanza comporta la perdita del potere di compiere l’atto


(decadenza) ovvero l’inefficacia dell’atto egualmente compiuto (inammissibilità).
Quando il termine è perentorio il codice ci dice ‘ a pena di inammissibilità/nullità
dell’atto’, ecco che l’operatore capisce che si trova di fronte ad un termine
acceleratorio perentorio. Questi termini perentori sono espressamente previsti dal
legislatore (principio di tassatività).
Quindi le caratteristiche degli atti sono requisiti di forma + requisiti di tempo.
Quando parliamo di atti parliamo di atti a disposizione del giudice → provvedimenti del giudice:
• sentenza:
La sentenza è composta da un dispositivo cioè la risposta alla domanda del PM, e in particolare la
risposta consiste nella lettura del dispositivo durante l’udienza e il dispositivo dice se l’imputato è o
non è colpevole, e il dispositivo ci dice anche quale pena l’imputato dovrà scontare. Al termine del
giudizio, quando le parti hanno discusso davanti al giudice, il tribunale dichiara chiuse le
discussioni è ‘si ritira in camera di consiglio’, la camera di consiglio è una stanza che ogni aula di
tribunale ha dove il giudice entra e non esce fino a quando non ha il dispositivo della sentenza. Ci
sono processi complicati dove questa camera di consiglio dura diversi giorni e per diversi giorni i
giudici non possono uscire da quella stanza. Il giudice esce dalla camera di consiglio e poi
pronuncia il dispositivo.
La sentenza definisce la causa, chiudendo uno stato o un grado del procedimento:
• è pronunciata nel nome del popolo italiano
• deve essere sempre motivata a pena di nullità (art. 111 cost), la motivazione è l’altra parte che
compone la sentenza assieme al dispositivo. E la motivazione è molto importante, una sentenza
senza la motivazione non produce effetti giuridici perché non è conforme al modello legale, è
importante perché ci spiega le ragioni per le quali il tribunale ha deciso così, e attraverso la lettura
della motivazione l’imputato può valutare l’opportunità di rivolgersi ad un giudice superiore per
chiedere la riforma della sentenza (giudizio di impugnazione).
• è impugnabile per cassazione (eccetto cassazione su giurisdizione per competenza): art. 111 Cost.
La nostra carta costituzionale parla di impugnazioni solo quando al 7 comma dell’art. 111 ci dice
che ogni provvedimento del giudice è impugnabile per cassazione. Questo vuol dire che se ci fosse
una riforma volta a impedire la possibilità di impugnare in cassazione, questa dovrebbe essere
costituzionale; il nostro legislatore ordinario insieme al ricorso per cassazione ha inserito anche la
possibilità di impugnare davanti alla corte d’appello, ma se si dovesse eliminare l’appello dal nostro
sistema d’impugnazione lo si potrebbe fare con legge ordinaria non necessiterebbe di una modifica
della carta costituzionale.
La sentenza è si l’atto conclusivo del processo però bisogna fare attenzione perché vedremo che nel
corso del processo è possibile che il giudice emetta sentenza anche su altre questioni (sempre
conclusive in un certo senso) ma non finalizzate a dichiarare o meno la responsabilità dell’imputato.
Ad esempio, sulle questioni di competenza il giudice provvede con sentenza, quando siamo danti al
giudice incompetente, il giudice pronuncia sentenza di incompetenza rinviando gli atti al PM presso
il giudice competente, è un atto conclusivo perché il giudice si spoglia.
• ordinanza: si tratta di una risposta che il giudice fa alle questioni che vengono sollevate nel corso
del processo davanti a lui. L’ordinanza governa l’andamento del processo (questioni incidentali),
l’ordinanza risolve quell’incidente sollevato dalla parte e poi si va avanti, o lo definisce
(inammissibilità nell’impugnazione):
• è normalmente revocabile, vuol dire che il giudice quando pronuncia ordinanza potrebbe anche
cambiare idea e revocare quell’ordinanza togliendogli effetti giuridici. Quando le parti chiedono ad
esempio ammissione delle prove quindi il PM o il difensore chiedono che vengano citati alcuni
testimoni il giudice deve rispondere con ordinanza e con ordinanza ammette la citazione dei
testimoni, ammette i documenti richiesti, ammette le prove richieste dalle parti. Poi mentre queste
prove si formano davanti a lui il giudice può convincersi che alcuni testimoni sono ammessi.

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• deve essere sempre motivata, a pena di nullità, e normalmente è messa a seguito di contraddittorio
tra le parti cioè nel momento in cui le parti hanno detto la loro su una questione il giudice per
decidere sulla questione si pronuncerà con ordinanza.
• è normalmente emessa a seguito di contradditorio tra le parti, con la procedura ex art. 127 c.p.p.
(procedimento camerale)
• decreto (può essere emesso anche dal pubblico ministero). Il decreto definisce aspetti del
procedimento di carattere generalmente amministrativo (fissazione udienza, disposizione giudizio).
Quindi si tratta di un provvedimento che serve al giudice per compiere degli atti che hanno la
conseguenza di natura amministrativa, quando il giudice fissa l’udienza lo fa con decreto.
• è normalmente revocabile
• deve essere motivata a pena di nullità solo su espressa previsione normativa (di solito non è
motivato)
• è emesso normalmente de plano, cioè SENZA il contraddittorio delle parti.

Contenuto decisorio della sentenza:


Torniamo ora sulla sentenza, quando parliamo di sentenza parliamo di contenuto decisorio della
sentenza e il codice divide tra sentenze di condanna e sentenze di assoluzione.
Questo provvedimento acquista autorità di cosa giudicata una volta che è divenuto irrevocabile, una
volta che sono stati esperiti i termini d’impugnazione, oppure una volta che siano spirati i termini
per proporre impugnazione senza che l’impugnazione sia stata depositata. Ad esempio, quando il
tribunale pronuncia la sentenza a seconda di quando vengono pubblicate le motivazioni le parti
hanno 15 gg dal deposito delle motivazioni per proporre impugnazione, se propongono
impugnazione dopo questi 15 gg l’impugnazione è inammissibile, quindi quel termine è
acceleratorio perentorio.
La sentenza non può essere revocata ma può essere impugnata, quando non può più essere
impugnata diventa irrevocabile e acquista autorità di cosa giudicata. Solo in quel momento
l’imputato diventa condannato nel caso di condanna, o nel caso di assoluzione torna ad essere un
normale cittadino.
Le sentenze di assoluzione in realtà sono una categoria della più ampia famiglia delle sentenze di
proscioglimento:

Quindi le sentenze di assoluzione in realtà sono una categoria della più ampia famiglia delle
sentenze di proscioglimento; quindi, attenzione perché quando leggiamo sui giornali che
“l’imputato è stato prosciolto” dopo questa slide dobbiamo chiederci ma è stato assolto? Oppure c’è
stata una sentenza di non doversi procedere? O una sentenza di non luogo a procedere?
La sentenza di assoluzione è quella che viene emessa all’esito del processo e una volta irrevocabile
acquista autorità di cosa giudicata, ma tra le sentenze di proscioglimento abbiamo anche la sentenza

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che viene emessa all’esito dell’udienza preliminare, come alternativa al decreto che dispone
giudizio.
A noi serve sapere che tra le sentenze di proscioglimento vi sono diverse tipologie di sentenze. Solo
una si chiama di assoluzione; quella all’esito dell’udienza preliminare la chiameremo di non luogo a
procedere che ha determinate caratteristiche diverse da quelle della sentenza di assoluzione. È una
sentenza che non ci dice nulla sulla responsabilità o meno dell’imputato, ci dice che non ci sono
elementi per sostenere l’accusa in giudizio, ci dice che il pubblico ministero durante le indagini non
ha raccolto elementi sufficienti per poter portare quell’accusa davanti ad un giudice di merito.
Sentenza di non doversi procedere è la sentenza di proscioglimento emessa nel momento in cui ci si
accorge che l’azione non doveva essere iniziata perché per iniziare quell’azione era necessaria, ad
esempio, l’esistenza delle condizioni di procedibilità (la querela, la denuncia su istanza di parte).
Abbiamo detto che vi sono alcune fattispecie penali per cui si può procedere all’esercizio
dell’azione penale soltanto se la persona offesa esprime la volontà di procedere a livello giudiziario
depositando una querela, depositando una denuncia. Se non lo fa e il pubblico ministero non se ne
accorge, ecco che il giudice deve pronunciare una sentenza di non doversi procedere perché
l’azione non doveva essere iniziata perché quella fattispecie penale era perseguibile soltanto dietro
deposito di una querela e quella querela non c’è. Oltre alle sentenze di condanna e alle sentenze di
proscioglimento abbiamo sentenze di annullamento e sentenza sulla giurisdizione e sulla
competenza. Sentenza di annullamento quando parleremo del ricorso davanti alla Suprema Corte di
Cassazione, vedremo che la Suprema Corte di Cassazione ha il potere di emettere una sentenza di
annullamento con rinvio o senza rinvio.

Il procedimento in camera di consiglio (art. 127 c.p.p):


Molto spesso nel codice si trova la formula “il giudice decide sulla questione in camera di
consiglio”, si fa riferimento qui non al luogo fisico camera di consiglio ma si fa riferimento ad un
modulo di decisione più semplificato rispetto a quello ordinario. Viene applicato tutte le volte in cui
il giudice può decidere in maniera veloce, non rispettando tutte le garanzie che per altre decisioni è
necessario rispettare. E queste garanzie sono la necessità della presenza delle parti di un
contraddittorio orale. Si tratta di un procedimento di decisione più snello, più veloce.
Ratio:
• esigenze di economia legislativa: modello generale e semplificato
• valevole in tutti i casi in cui il ricorso al rito «camerale» è ritenuto sufficiente a garantire le
posizioni delle parti:
• contradditorio cartolare: solo eventuale, con termini ridotti, e possibilità di deposito memorie
Casi:
Il modello è richiamato, in modo esplicito o con il riferimento al «procedimento in camera di
consiglio», in molte occasioni, quali:
• conflitto di competenza, ricusazione, rimessione, correzione di errori materiali, riesame, appello e
ricorso per cassazione delle misure cautelari, proroga dei termini delle indagini, archiviazione,
revoca della sentenza di non luogo a procedere, appello sulla sola pena, restituzione in termini.

Procedimento in camera di consiglio:

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(Il procedimento in camera di consiglio, art 127 c.p.p.

L’art 127 c.p.p costituisce un modello valido per tutti i procedimenti in camera di consiglio (cd rito
camerale) adempiendo alla duplice funzione di economia normativa e contradditorio tra le parte, più
in generale diritto di difesa dei sogg interessati (anche se men o intensamente di quanto avviene
nell’udienza dibattimentale).
Si possono distinguere casi, riferibili soprattutto a procedimenti incidentali, in cui il rinvio alle
forme dell’art 127 c.p.p è integrale da altri nei quali la norma speciale introduce adattamenti anche
molto sensibili. Il senso della deviazione si capisce guardando al MODO DI REALIZZAZIONE
DEL CONTRADDITTORIO:
a. Modello forte: si ha una garanzia più forte nei procedimenti in cui è imposta la
partecipazione necessaria del difensore della persona indagata, imputata o interessata e del pubblico
ministero, come l’udienza per l’incidente probatorio (art 401). La sola indefettibile presenza del
difensore è imposta per l’udienza di convalida dell’arresto in flagranza e del fermo di indiziato di
delitto
b. Modello debole: si ha un contraddittorio assicurato ad un livello inferiore al modello dell’art
127 c.p.p. poiché assume una forma meramente cartolare, come nel procedimento con cui il giudice
autorizza la proroga del termie delle indagini preliminari.
Vi è la questione se l’elenco dei procedimenti in camera di consiglio sia tassativo o meno, certo è
che tale procedimento non deve essere sempre adottato allorché il giudice assume una deliberazione
in camera di consigli. L’art 127 c.p.p. evidenzia due categorie contrapponendo al procedimento in
camera di consiglio l’adozione di un provvedimento anche senza formalità di procedura (comma
IX) in ordine all’inammissibilità dell’atto introduttivo del procedimento.
Nei procedimenti davanti ad organi collegiali, la relazione orale è svolta da uno dei componenti,
previa designazione del presidente, in funzione della natura dialettica del procedimento, art 45 disp
att.
Anche nei procedimenti in camera di consiglio la violazione del principio di immutabilità del
giudice nel corso della trattazione o nella deliberazione è causa di nullità assoluta perché investe la
capacità del giudice.
Tramite il deposito, i provvedimenti emessi a seguito di procedimento in camera di consiglio o de
plano entrano a far parte dell’ordinamento. Se il provvedimento è suscettibile di impugnazione,
l’avviso di deposito deve essere comunicato al pm e a tutti i titolari dell’impugnazione.
Art 127 c.p.p:
1.Quando si deve procedere in camera di consiglio il giudice o il presidente del collegio fissa la
data dell'udienza e ne fa dare avviso alle parti, alle altre persone interessate e ai difensori. L'avviso
è comunicato o notificato [148 ss.] almeno dieci giorni prima della data predetta. Se l'imputato è
privo di difensore, l'avviso è dato a quello di ufficio.

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- l’espressa comminatoria di nullità per la mancata notificazione dell’avviso opera, secondo il


regime delle nullità relative, a favore della presona offesa dal reato dovde non opera vl’art 178 lett
c.
2. Fino a cinque giorni prima dell'udienza possono essere presentate memorie [121, 123] in
cancelleria.
3. Il pubblico ministero, gli altri destinatari dell'avviso nonché i difensori sono sentiti se
compaiono. Se l'interessato è detenuto o internato in luogo posto fuori della circoscrizione del
giudice e ne fa richiesta [123], deve essere sentito prima del giorno dell'udienza dal magistrato di
sorveglianza del luogo.
- Il pm e gli altri destinatari e i difensori devono essere sentiti a pena di nullità se compaiono, da ciò
si ricava che non è prescritta la partecipazione necessaria di pm e difensore eccettuati i casi
sopracitati.
4. L'udienza è rinviata se sussiste un legittimo impedimento dell'imputato [485] o del condannato
che ha chiesto di essere sentito personalmente e che non sia detenuto o internato in luogo diverso
da quello in cui ha sede il giudice.
5. Le disposizioni dei commi 1, 3 e 4 sono previste a pena di nullità [178](1).
6. L'udienza si svolge senza la presenza del pubblico(2).
- Il procedimenti si svolge nel contesto temporale e spaziale dell’udienza, espressione non più
riservata alla sola fase dibattimentale anche se non è presente il pubblico.
7. Il giudice provvede con ordinanza comunicata o notificata senza ritardo ai soggetti indicati nel
comma 1, che possono proporre ricorso per cassazione [606].
8. Il ricorso non sospende l'esecuzione dell'ordinanza, a meno che il giudice che l'ha emessa
disponga diversamente con decreto motivato [588].
9. L'inammissibilità dell'atto introduttivo del procedimento è dichiarata dal giudice con ordinanza,
anche senza formalità di procedura, salvo che sia altrimenti stabilito. Si applicano le disposizioni
dei commi 7 e 8(3).
10. Il verbale di udienza è redatto soltanto in forma riassuntiva a norma dell'articolo 140 comma 2.
-Dopo l’intervento della corte cost con la sentenza n 529 del 1990, il verbale può essere redatto non
solo in forma riassuntiva ma anche in forma integrale ai senso dell’art 134 comma II.)

L’immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità: Art. 129


Obbligo della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità (art. 129)
“1. In ogni stato e grado del processo, il giudice, il quale riconosce che il fatto non sussiste o che
l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come
reato ovvero che il reato è estinto o che manca una condizione di procedibilità, lo dichiara di
ufficio con sentenza.
2. Quando ricorre una causa di estinzione del reato ma dagli atti risulta evidente che il fatto non
sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto
dalla legge come reato, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere
con la formula prescritta.”
Alcune volte si può trovare anche il rinvio all’art. 129 che consente al giudice di interrompere il
processo tutte le volte che gli elementi che sono a sua disposizione gli fanno ritenere inutile andare
avanti, è inutile procedere oltre perché quello che può succedere oltre non può modificare quello
che già è emerso in quel momento. Se ad un certo punto il giudice si accorge che si sta procedendo
per una fattispecie per cui era prevista la procedibilità su istanza di parte (querela) e lì non c’è
querela, allora che senso ha andare oltre? Oppure ad esempio se emerge una causa di non punibilità
il giudice lo deve dichiarare con sentenza. Questa procedura si applica anche nel caso di estinzione
del reato. Ad esempio, se ci si rende conto che il fatto risulta già prescritto, allora che senso ha
andare oltre?
Attenzione perché il 2 comma impone (favor rei) al giudice un ulteriore verifica, cioè deve
verificare anche che gli elementi emersi fimo ad allora dimostrano che nel merito l’imputato deve
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essere assolto. È favor rei perché una sentenza di assoluzione nel merito è una sentenza più
favorevole rispetto ad una sentenza di proscioglimento per estinzione del reato. Quindi il
proscioglimento per estinzione del reato impone al giudice di verificare l’assenza di elementi per
poter assolvere nel merito l’imputato.
Ratio: esigenze di economia processuale e favor rei→ appena matura la possibilità di chiudere il
processo il giudice deve provvedere.

Ambito di applicabilità:
• indagini preliminari: disciplina assorbita da quella dell’archiviazione (contra: interesse al
procedimento). Cosa succede se il PM si rende conto che è arrivato tardi e il reato si estinto per
prescrizione? In quella fase si avrà un procedimento di archiviazione cioè il PM al termine delle
indagini preliminari quando deve decidere se esercitare azione penale o chiedere archiviazione nel
momento in cui dovesse accorgersi che sta procedendo per un reato già prescritto allora deve
chiedere archiviazione.
• udienza preliminare: negli stessi casi il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere
• atti preliminari al dibattimento: vale la disciplina specifica dell’art. 469 c.p.p.
• dibattimento: applicazione dell’art. 129 c.p.p. quando emerge l’inconsistenza delle prove
a carico, anche prima del termine dell’istruzione
• impugnazione: applicazione in deroga al principio devolutivo (pronuncia ex officio)
• riti speciali: applicazione (patteggiamento, decreto penale, immediato)

All’inizio abbiamo detto che l’atto deve essere conforme al modello legale e se non è conforme non
produce le conseguenze che il soggetto si propone nel momento in cui decide di compiere
quell’atto. Abbiamo visto che gli atti devono avere requisiti di forma e di tempo.
Tutto ciò che riguarda la NON conformità dell’atto al modello legale lo si trova nel II libro del
codice, poi i libri successivi fanno rinvio alle norme previste da questo libro.
La disciplina della nullità si trova per tutti gli atti in generale descritta dal II libro.
- Se l’atto è conforme al modello legale → l’atto è perfetto, cioè è valido e ha delle
conseguenze giuridiche e può essere utilizzato nella decisione.
- Se l’atto non è conforme al modello legale → non produce conseguenze giuridiche solo
nei casi tassativi di invalidità. Quindi non necessariamente un atto non conforme al
modello legale è improduttivo di conseguenze giuridiche, sicuramente non è un atto
perfetto però se questa non conformità non rientra all’interno di casi tassativi previsti
dalla legge ci troveremo di fronte ad un atto irregolare ma capace comunque di produrre
le conseguenze giuridiche e di essere utilizzato ai fini della decisione.
Non produce conseguenze giuridiche solo quando questa non conformità rientra nei casi
tassativi previsti dalla legge e qui ci troveremo di fronte ad un atto invalido e alle
conseguenti sanzioni (decadenza, inammissibilità, nullità, inutilizzabilità).

A questo punto dobbiamo parlare di invalidità:


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- Codificate: nullità, inammissibilità, decadenza, inutilizzabilità che rientra nei casi


tassativi che rientrano nella legge.
- Non codificate: di creazione dottrina e giurisprudenziale (inesistenza giuridica e
abnormità). Quando non si riusciva a farle rientrare ne nelle cause codificate ne a farle
rientrare nelle cause che producono una mera irregolarità dell’atto.
Le invalidità non codificate → ad esempio: L’inesistenza
L’inesistenza colpisce l’atto in cui manchino anche i requisiti minimi essenziali che consentano di
ricondurlo al modello legale, anche al solo fine di valutarne la difformità.
Tra gli esempi di atti inesistenti individuali si possono ricordare:
• la sentenza emessa a non iudice
• la sentenza esorbitante dalla giurisdizione penale
• i provvedimenti emessi nei confronti di persona inesistente, defunta,
penalmente incapace perché esente della giurisdizione o totalmente immune
L’inesistenza comporta l’inefficacia e l’irrilevanza dell’atto, si comunica agli atti successivi, è
insanabile e rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, anche dopo l’apparente passaggio in
giudicato della sentenza mediante incidente di esecuzione
E se quell’atto non esiste allora anche tutti quegli atti successivi che dipendono da quell’atto sono
inesistenti.

Art. 177 Tassatività della nullità:


1. L'inosservanza delle disposizioni stabilite per gli atti del procedimento è causa di nullità soltanto
nei casi previsti dalla legge.
L’atto non conforme al modello legale è invalido solo nei casi tassativi previsti dalla legge e questo
ce lo dice l’art. 177.
Questo principio di tassatività ha le conseguenze di divieto di analogia, una volta verificata la
mancata corrispondenza dell’atto al modello legale nei casi tassativi previsti dalla legge non è
necessario verificare se quell’atto ha causato un pregiudizio o meno, è un atto nullo punto e basta.
-Divieto di analogia: non è consentito individuare per via interpretativa cause di nullità
diverse da quelle espressamente contemplate dalla legge; tale divieto impedisce di
ampliare le cause di nullità, ma anche di restringerle.
-L'offesa dell'interesse tutelato è inclusa nell'imperfezione: constatata la mancata corrispondenza
dell'atto alla fattispecie legale, ogni indagine sulla sussistenza o no di un effettivo pregiudizio
dovrebbe ritenersi preclusa.
-Le norma di diritto civile non si applicano agli atti del processo penale: i vizi di volontà
dell'autore dell'atto non ne inficiano la validità: così, ad esempio, un provvedimento del
giudice viziato da violenza o minaccia resta processualmente valido.

Quali sono le disposizioni che se non sono osservate producono cause di nullità?
Le si trovano descritte tutte all’interno del II libro dall’art. 177 in poi. (art. 178, 179, 180, 181
STUDIALI A MEMORIA!)
Le nullità di ordine generale (art. 178 c.p.p.)
È sempre prescritta a pena di nullità l’osservanza delle disposizioni concernenti il giudice (lett. a).
Non tutte le norme ma solo quelle con riferimento a:
• le condizioni di capacità del giudice ovvero quelle sulla regolare investitura, potere
giurisdizionale, particolare qualifica richiesta dalle norme ordinamentali. L’atto compiuto da quel
giudice è nullo. L’art. 178 lettera a ci dice però che con riferimento alle condizioni di capacità del
giudice non rilevano le disposizioni relative a:
• destinazione del giudice a uffici giudiziari e sezioni; formazione dei collegi (non al numero:
supplenze e applicazioni); assegnazione dei processi a sez., collegi e giudici operata dal dirigente
dell’ufficio o dal presidente di sezione (art. 33 c.p.p.)
• casi di incompatibilità del giudice (art. 34 e 35 c.p.p.)
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• attribuzione degli affari al tribunale collegiale o monocratico (art. 33 c.2 c.p.p.)


Tra le regole la cui inosservanza comportano la nullità dei provvedimenti vi rientrano quelle sul
numero necessario per costituire i collegi ma non rilevano le disposizioni relative all’attribuzione
degli affari al tribunale collegiale o monocratico art. 33 c. 2 c.p.p.)

E’ sempre prescritta a pena di nullità l’osservanza delle disposizioni concernenti il pubblico


ministero (lett. b)
Non tutte le disposizioni comportano nullità ma solo quelle relative all’iniziativa del pubblico
ministero nell’esercizio dell’azione penale e che concernono la partecipazione del pubblico
ministero al procedimento.
Tutte le volte che troviamo delle norme che regolano l’esercizio dell’azione penale da parte del PM
queste norme se non osservate producono atti invalidi.
Nel caso dell’iniziativa del pubblico ministero nell'esercizio dell'azione penale (ad
esempio, l'atto di promovimento dell'azione penale manca o è invalido; le modifiche
dell'imputazione per reato concorrente o fatto nuovo – in udienza preliminare o nell'istruzione
dibattimentale - non precedute da una formale contestazione da parte del p.m.). Poniamo il caso che
il PM durante il dibattimento debba modificare l’imputazione perché emerge qualcosa di nuovo gli
art. 117,118, 119 ci dicono come il PM deve fare per modificare l’imputazione e l’inosservanza di
queste disposizioni produce la nullità. e così anche nel caso in cui un atto venga compiuto in
assenza del PM e quell’atto debba essere compiuto alla presenza del PM, anche quell’atto è nullo
perché non è conforme al modello legale.

E’ sempre prescritta a pena di nullità l’osservanza delle disposizioni concernenti le parti private
(lett. c)
Anche qui nella lettera c è sempre prescritta a pena di nullità l’osservanza di disposizioni relative
all’intervento, l’assistenza e la rappresentanza dell’imputato e l’intervento, l’assistenza e la
rappresentanza delle altre parti private nonché la citazione in giudizio della persona offesa e del
querelante.
Cosa si intende con la formula “intervento”?
Allude a situazioni in cui si realizza il diritto di autodifesa, norme che regolano la partecipazione
personale al procedimento mediante la presenza fisica dell’imputato. Tutte quelle norme relative
alla regolamentazione del diritto al silenzio dell’imputato, oppure le norme relative alle
dichiarazioni spontanee dell’imputato.
Cosa si intende per “assistenza”? Norme che regolano l’attività del difensore dell’imputato, quindi
la mancata assistenza del difensore genera una nullità nei casi in cui quell’atto può essere compiuto
solo alla presenza del difensore. Abbiamo già detto che l’interrogatorio non può svolgersi senza la
presenza del difensore, interrogatorio che quindi diventa atto nullo e non è stata osservata la
disposizione relativa alla rappresentanza dell’imputato.

Se queste sono le nullità poi l’art. 179, 180, 181 individuano le caratteristiche che hanno queste
nullità perché non tutte possono essere rilevate/eccepite/sanate eventualmente nello stesso modo.
A seconda della disposizione il legislatore ha previsto un regime specifico in relazione a chi può
eccepire quella inosservanza, quando lo si può fare e la conseguenza di questa nullità.
Il codice prevede due famiglie importanti: le nullità generali e le nullità speciali.

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Quindi l’art. 179 ci dice che le nullità generali che sono quelle che abbiamo descritto fino a questo
momento (previste dall’art. 178). Le nullità generali a seconda delle disposizioni che vengono
osservate seguono il regime delle nullità assolute, intermedie o relative.
Quindi prima bisogna verificare se ci troviamo dinanzi a nullità di carattere generale e lo facciamo
leggendo l’art. 178. Però per individuare il regime (chi, quando, e se quella nullità può essere o
meno sanata) dobbiamo vedere l’art. 179, l’art. 179 attraverso il rinvio all’art. 178 ci dice quali
nullità generali seguono il regime delle nullità assolute.
Lo stesso ci dice l’art. 180, cioè va a prendere quali nullità di ordine generali seguono invece il
regime intermedio.
Le nullità che non rientrano in quelle generali, quindi che sostanzialmente non troviamo all’interno
dell’art. 178 si chiamano nullità speciali.
Le nullità speciali a differenza delle nullità generali sono espressamente contemplate dalle legge (ad
es., la nullità conseguente al mancato avviso ai prossimi congiunti dell'imputato circa la facoltà di
astenersi dal testimoniare ex art. 199 c. 2, la nullità del provvedimento di archiviazione di cui all'art.
410 bis, la nullità della richiesta di rinvio a giudizio ai sensi dell'art. 416, o, ancora, la nullità ex
art. 109 co. 3, che presidia 'inosservanza di alcune regole in materia di lingua degli
atti).
Le nullità speciali possono però sempre rientrare nelle nullità generali e, di conseguenza assumono
il regime intermedio o assoluto come indicato. Inoltre, vi sono nullità speciali che sono definite
assolute da specifiche posizioni di legge (179.2; es. 525.2). Di qui la conseguenza: ogni nullità
relativa è necessariamente speciale, risultando espressamente comminata ex lege, ma non ogni
nullità speciale è necessariamente relativa, perché potrebbe essere appunto riconducibile, seconda
dei casi, nell'alveo delle nullità assolute o in quello delle nullità intermedie.

Quali sono i regimi a seconda che ci troviamo di fronte ad una nullità assoluta/relativa o
intermedia?
Le nullità assolute sono le più importanti perché non hanno un termine e possono essere eccepite
in ogni stato e grado del procedimento (art. 179 1 comma). L’inosservanza è talmente grave che
non esiste un termine per poterla eccepire.
Differentemente da quelle assolute se vengono eccepite dopo la sentenza di primo grado sono
sanate, perché le nullità intermedie devono essere eccepire prima della deliberazione della
sentenza di primo grado.
Nel caso delle nullità relativa invece se il giudice si accorge che non è stata sollevata questa
eccezione non può far nulla, è necessario che sollevi la parte e prime che si superi l’udienza
preliminare e negli atti iniziali di dibattimento, se lo si fa dopo la nullità non può essere dichiarata.

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Chi può eccepire questa nullità?

Ultimo la possibilità a seconda del regime assoluto, intermedio o relativo che queste nullità possono
essere in qualche modo sanate. Cioè quell’atto è invalido e non produce effetti, però attraverso
qualche ulteriore atto, magari gli si puo conferire possibilità di produrre effetti. Quando
l’inosservanza riguarda disposizioni che seguono il regime assoluto non c’è alcuna sanatoria
generale, e quindi l’unica sanatoria delle nullità assolute è il passaggio in giudicato della sentenza.
Quando la sentenza passa in giudicato sana anche tutte le altre nullità che si sono verificate nel
corso del procedimento perche il giudicato non puo piu essere messo in discussione. Per quanto
riguarda le relative e le intermedie esse possono essere sanate ma:
- 183.1 a) la parte interessata ha rinunciato ad eccepire la nullità o ha accettato gli effetti
dell’atto
- 183.1 b) la parte si è avvalsa della facoltà al cui esercizio l’atto nullo è subordinato. Tipico
esempio è la mancata citazione dell’imputato in udienza che è causa di nullità. se però l’imputato si
presenta sostanzialmente con un proprio comportamento si è avvalso di tale facoltà.

L’atto dichiarato nullo produce la nullità di tutti gli atti successivi dipendenti da quello dichiarato
nullo sul piano logico e giuridico.
INTEGRARE TEORIA DEI FRUTTI DELL’ALBERO VELENATO: l’atto dichiarato nullo
produce la nullità degli atti successivi che esistono solo perché c’era quell’atto.
Esempio: richiesta di rinvio a giudizio non può essere fatta se prima non è stato notificato l’avviso
di conclusione delle indagini ex rt. 415 bis. Se PM effettua la richiesta di rinvio senza prima
notificare l’avviso di conclusione, la richiesta è nulla e anche l’avviso.

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LEZIONE 8: 25 febbraio.
Segue… Atti.

La rinnovazione degli atti nulli:


Ma cosa succede quindi quando le parti oppure il giudice rilevano una nullità degli atti? Chi deve
verificare la fondatezza della richiesta avanzata dalla parte circa la non conformità dell’atto al
modello legale è il giudice che deve dichiarare la nullità dell’atto e a seconda dei casi può dichiarare
la nullità dell’atto oppure in altri casi dopo aver dichiarato la nullità dell’atto deve disporre la
rinnovazione dell’atto che consiste nella riproduzione dell’atto conforme al modello legale in modo
che possa avere come conseguenza gli effetti giuridici che quell’atto si proponeva.
L’art. 185 2 comma dice che il giudice deve disporre la rinnovazione se è possibile e necessaria,
cioè deve riprodurre l’atto in modo conforme al modello legale. In questo caso la rinnovazione
dell’atto è la riproduzione dell’atto con le caratteristiche che deve avere per produrre effetti
giuridici. In questo caso anche l’atto successivo è colpito da una nullità dello stesso tipo di quella
originaria, quando il giudice dispone la nullità se quell’atto è propulsivo si parla di regressione del
procedimento (art. 185.3), salvo che non sia altrimenti stabilito. Cosa significa regressione? Cioè
che quell’atto regredisce fino a quando quell’atto è stato compiuto con la nullità di tutti gli atti
precedenti.
Poniamo che siamo all’interno del giudizio dove viene eccepita la nullità del decreto di citazione
per omessa notifica, ad esempio, a quel punto il procedimento riparte nel momento in cui doveva
essere disposto il decreto di citazione; quindi, regredisce nella fase in cui quell’atto dichiarato nullo
è stato compiuto.
Se la nullità concerne invece le prove quindi atti di formazione delle prove non si ha mai la
regressione del procedimento (art. 185.4), ma ci si limita a disporre nuovamente la formazione di
quella prova dinanzi al giudice.

Criteri per individuare il regime delle nullità:


il codice non ci dice tute le volte se quell’inosservanza di quella disposizione è sanzionata con la
nullità, ma solo nel caso delle nullità speciali. E quindi dobbiamo verificare se rientrano nei casi di
tassatività dell’art. 177 c.p.c. e quindi se rientra quell’inosservanza della disposizione in uno dei
casi previsti dall’art. 178.
-Quindi la prima domanda da farsi quando vogliamo verificare se siamo di fronte ad una nullità è:
rientra nella nullità generale?
Siamo di fronte ad un’inosservanza dell’art. 178 lett. a oppure lett. b oppure lett. c, una volta risolta
questa domanda, se l’esito è positivo dobbiamo verificare se si tratta di una nullità a regime assoluto
o intermedio.
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Se la risposta è no allora ci sono solo due vie: o è speciale o è relativa.


Se è speciale dobbiamo verificare se rientra nell’assoluta o nella relativa; le nullità speciali sono
definite assolute da specifiche disposizioni di legge, quindi le nullità che non rientrano in quelle di
ordine generale e sono speciali: possono essere o relative o assolute.
L’unica nullità speciale assoluta prevista dal nostro codice la ritroviamo nel 2 comma dell’art. 125
che parla della ‘deliberazione della sentenza’ cioè quali giudici vi devono partecipare. Al 2 comma
è disposto che alla deliberazione concorrono a pena di nullità assoluta (nullità speciale perché è
prevista in modo specifico dalla legge che ci dice anche quale regime cioè nullità assoluta).

L’inutilizzabilità è un’altra sanzione, in questo caso ci troviamo sempre e solo di fronte


all’inosservanza di una disposizione concernente le prove (libro III). Quindi quando la prova si
forma in maniera diversa rispetto al modello legale; quindi, quando non è osservata la disposizione
relativa alla costituzione di una prova la sanzione non è la nullità ma l’inutilizzabilità. Bisogna
quindi dire che quella prova è inutilizzabile, cioè siccome quella prova si è formata in maniera
difforme rispetto al modello legale il giudice non potrà utilizzarla.
Per esempio, interrogatorio dell’imputato, autorità giudiziaria deve dare una serie di avvertimenti
prima che imputato risponda, e se non fornisce questi avvertimenti le dichiarazioni sono
inutilizzabili.

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L’inutilizzabilità può essere assoluta o relativa, lo abbiamo già visto quando abbiamo parlato
dell’inutilizzabilità delle dichiarazioni del solo dichiarante.
L’inutilizzabilità assoluta vuol dire che quella prova non potrà essere usata nei confronti di nessuno;
quella relativa invece vuol dire che il codice prevede una limitazione di utilizzabilità di quella prova
solo nei confronti di alcuni.
Ad esempio, nell’interrogatorio se la persona sottoposta ad indagine viene sentita come persona
informata sui fatti però doveva essere sentita come persona sottoposta ad indagini, in quel caso le
informazioni sono inutilizzabili erga alios. In altre situazioni l’inutilizzabilità è solo nei confronti di
colui che ha dichiarato quelle informazioni.

Vediamo come questi atti come sono composti [esempi di atti nelle slide].
Primo atto: richiesta di rinvio a giudizio, al termine delle indagini preliminari pm deve verificare
tutti elementi raccolti durante perquisizioni, sequestri, intercettazioni ecc, per verificare se può
formulare l’imputazione oppure se elementi raccolti sono insufficienti per procedere in giudizio,
dovendo procedere con la richiesta di archiviazione. Richiesta inviata al giudice che deve fissare
l’udienza preliminare in cui si discuterà necessità di accogliere o meno richiesta di rinvio a giudizio.
Richiesta di rinvio a giudizio è atto fondamentale del pm, da quel momento non si parla più di
indagato ma ci troviamo di fronte ad imputato. Non si parla più di procedimento ma di processo,
fase più limitata del procedimento, da quel momento in poi non si torna indietro, prima di terminare
processo bisogna aspettare la sentenza. Pm può cambiare idea nel corso del processo, elementi
raccolti durante le indagini lo hanno convinto ad esercitare l’azione penale, va a processo, di fronte
alle prove si convince che magari le cose potevano andare diversamente, ed allora può chiedere
proscioglimento, assoluzione, ma comunque deve arrivare fino alla fine. Irretrattabilità dell’azione
penale, una volta esercitata si può concludere solo con sentenza di condanna o assoluzione.
Nella richiesta di rinvio a giudizio si trova per la prima volta la formulazione dell’imputazione,
l’imputato deve sapere di che cosa lo si accusa, con determinate modalità, solo così può preparare la
sua difesa. L’imputazione dovrà contenere tutti gli elementi minimi e necessari per permettere a
difesa di preparare la sua strategia (giorno, ora, modalità, motivo, e devo indicare in base a quali
elementi ritengo quell’accusa fondata).
Intestazione dell’atto Procura della Repubblica presso il tribunale di Milano, richiesta di rinvio a
giudizio inviata al giudice per l'udienza preliminare presso il tribunale di Milano.
Indicazione degli imputati, “visti gli atti del procedimento penale indicato in epigrafe”, si fa
riferimento alla R.G.N.R., questo è numero del procedimento, registro generale delle notizie di
reato.
Indicazione degli imputati e dei loro difensori. Formulazione dell’imputazione, non solo indicati i
reati per cui questi soggetti sono imputati ma anche le modalità di luogo, di tempo, della condotta.
L’imputazione termina sempre con luogo e data di consumazione del reato.
Poi abbiamo anche le persone offese, so quel reato che tipo di danno potrebbe aver creato, chi è
titolare del bene giuridico protetto dalla norma, in questo caso la banca, soldi utilizzati provenivano
da banca. Abbiamo anche evidenziazione delle fonti di prova (denuncia, indagini della GdF,
intercettazioni e rogatorie). Tutto ciò è la formulazione dell’imputazione.
Si è disposta notificazione dell’avviso previsto dall’art 415 bis. Pm una volta che ha svolto le
indagini se non decide di effettuare richiesta di archiviazione in maniera autonoma deve notificare
un avviso all’imputato avvisandolo che sono state svolte indagini nei suoi confronti, sono state
depositate presso la segreteria del pm, ed il difensore può farne copia. Avviso di conclusione delle
indagini permette ad indagato di compiere in extremis una serie di attività per evitare che pm chieda
rinvio in giudizio, ma chieda invece archiviazione. Se pm non convinto, eserciterà l’azione penale
con l’atto che stiamo vedendo.

Secondo atto. Questo è il decreto che dispone il giudizio, risposta a quella richiesta indirizzata al
giudice per l’udienza preliminare, a seguito di quest’atto si svolge, viene fissata l’udienza
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preliminare. Udienza preliminare compiuta per verificare se richiesta di rinvio a giudizio può essere
accolta, perché pm durante le indagini ha assunto elementi sufficienti per poter sostenere accusa in
giudizio, se invece richiesta secondo il g.i.p. non dev’essere accolta, allora sentenza di non luogo a
procedere.
Documento che stiamo analizzando è quello a seguito della valutazione del giudice per le indagini
preliminari che ritiene che richiesta di rinvio a giudizio debba essere accolta, decreto che dispone il
giudizio. Vi è riproposizione dell’imputazione, non vi è più la persona offesa, ora abbiamo la parte
civile (stessa della richiesta di rinvio a giudizio che si è costituita parte, esercitando azione civile
nell’udienza preliminare). Decreto non è motivato, decreti sono motivati solo se espressamente
previsti dalla legge, se previsto dalla legge “con decreto motivato”.

Terzo documento. Ordinanza, questa risolve quelle questioni, incidenti che sono sollevati dalle
parti nel corso del processo, questioni di incompetenza, in relazione alla nullità degli atti, relativi ad
eccepire qualche irregolarità. Tutte queste questioni, che sono tante, devono essere risolte per
andare oltre nel corso del processo.
Ordinanza sempre motivata, impugnabile con sentenza, può essere sempre impugnata davanti alla
corte di Cassazione.
Nel documento giudice ha incamerato tutte questioni sollevate dalle parti e poi le ha decise insieme.
Ad esempio, prima questione, difesa ha sollevato nullità dell’atto di citazione, sostanzialmente
lamentava che decreto di citazione, che è sorta di richiesta di rinvio a giudizio, non conteneva
formulazione dell’imputazione in maniera corretta, non permetteva di capire esattamente cosa
contestato all’imputato. Giudice risolve questione motivandola.
Se avesse accolto questa richiesta di nullità vi sarebbe stata regressione del procedimento, fino alla
fase in cui compiuto atto che con ordinanza è stato dichiarato nullo. Ordinanza è provvedimento
con cui risolve questioni e dispone il procedersi oltre.

Quarto documento, sentenza, altro provvedimento del giudice. Questa è conclusiva del giudizio.
C’è sempre intestazione, sentenza emessa in nome del popolo italiano. Sentenza e motivazioni,
ossia contiene sia il dispositivo nella prima parte. Che motivazioni pubblicate 45 giorni dopo lettura
del dispositivo in udienza.

Le prove:
quali sono queste armi a disposizione delle parti e che devono essere poi le sole che il giudice
utilizzerà? Sono appunto le prove. Noi studiamo il codice del 1988 firmato da Vassalli, che diceva
che ‘l’imputato ha diritto di difendersi provando’. Questa è una cosa molto vera anche se noi
abbiamo detto che l’onere dell’accusa è in capo al PM, se il PM non riesce a provare la presunzione
di non colpevolezza obbliga il giudice ad assolvere. Quindi più volte abbiamo detto che l’imputato
potrebbe rimanere spettatore del PM incapace di portare prove sufficienti per la condanna, oppure
l’imputato può comunque difendersi contrastando le prove che ha portato il PM, dando una lettura
diversa rispetto a quella prospettata dall’accusa.
Spesso è rischioso difendersi puntando tutto sull’incapacità del PM, è meglio difendersi formulando
prove che possano convincere il giudice del contrario dell’accusa.
Come per gli atti anche per le prove il codice prevede un libro ad hoc che è il libro III, quello che
troviamo in questo libro non è esaustivo perché questo libro deve essere integrato con altre
previsioni e in particolare alcune previsioni che noi troveremo quando studieremo il libro settimo
che è dedicato al giudizio.
Il libro III del codice di procedura penale, che individua un vero e proprio sottosistema normativo
dedicato alle prove penali, è a sua volta scomponibile in tre parti, rispettivamente dedicate a:
-Disposizioni generali (titolo I) (questa è una classica domanda!!!)
-Mezzi di prova (titolo II)
-Mezzi di ricerca della prova (titolo III)
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Queste disposizioni generali riguardano tutte le prove in generale e ci dicono qual è l’oggetto della
prova e questo già ci fa capire che non ogni aspetto della vicenda processuale può essere oggetto di
prova. Vedremo che ci sono prove che trovano la loro esatta disciplina nel codice e solo per questo
fatto quelle prove possono essere utilizzate dal giudice. Poi parleremo di prove che non trovano la
loro disciplina nel codice e allora devono essere prima valutate come idonee per poi poter utilizzarle
nel processo.

Noi iniziamo dalle disposizioni generali (titolo I – Artt. 187-193) attinenti alla
• definizione dell’oggetto di prova
• problema dei rapporti tra prove tipiche ed atipiche
• disciplina dei diritti delle parti e degli eventuali poteri del giudice nell’iniziativa probatoria
• determinazione dei vincoli legislativi circa l’ammissibilità, l’utilizzabilità e la valutazione delle
diverse prove.
Principi-guida da osservarsi in materia probatoria, destinati a trovare applicazione ogni qual volta,
nel corso del processo, si ponga un problema di prova di fatti rilevanti ai fini della decisione.

Mezzi di prova (titolo II – Artt. 194-243):


Strumenti idonei a fornire al giudice elementi conoscitivi direttamente utilizzabili ai fini della
decisione (testimonianza, esame delle parti, confronto, ricognizione, esperimento giudiziale, perizia,
prova documentale).
Parliamo del mezzo di prova più importante → la testimonianza e proviamo ad utilizzare la
definizione sopracitata. Il testimone quindi rispondendo alle domande rilascia una dichiarazione che
riguarda la vicenda processuale (il fatto) quindi quella dichiarazione costituisce un elemento per il
giudice conoscitivo che il giudice può utilizzare direttamente per la propria decisione.

Mezzi di ricerca della prova (titolo III – Artt. 244-271)


Strumenti funzionalmente diretti a permettere l’acquisizione di cose, tracce, notizie o dichiarazioni
idonei ad assumere rilevanza probatoria (ispezioni, perquisizioni, sequestri, intercettazioni
telefoniche). Non integrano di per sé una fonte del convincimento giudiziale.
Qui questi strumenti si differenziano dagli altri perché non forniscono direttamente un elemento
utilizzabile dal giudice per la propria decisione ma sono utilizzabili per permettere eventualmente di
trovare elementi che il giudice può comunque utilizzare.
Ad esempio, nel caso dell’intercettazione telefonica di per se non fornisce al giudice un elemento
che può essere direttamente utilizzato ma potrebbe fornire al giudice un elemento che permette si
l’acquisizione di qualcosa che poi può essere utilizzato dal giudice. Se facciamo una perquisizione
questa deve essere in grado di fornire elementi che magari attraverso valutazioni siano utili al
giudice. Quindi la differenza principale tra i due mezzi è che il mezzo di prova fornisce qualcosa
che il giudice può utilizzare qualcosa direttamente.

Ambito di applicabilità delle disposizioni del libro III:


Queste disposizioni si riferiscono anche a strumenti che il PM utilizza durante le indagini
preliminari, pensiamo ad esempio ai mezzi di ricerca della prova (intercettazioni ecc…). quindi
queste disposizioni devono essere osservate sia durante le indagini preliminari, sia durante l’udienza
preliminare e poi nel corso del giudizio. E sono rivolte sia al PM e alla polizia giudiziaria ma anche
al giudice.

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L’oggetto della prova:


Art. 187 c.p.p.:
“1. Sono oggetto di prova i fatti che si riferiscono all'imputazione, alla punibilità e alla
determinazione della pena o della misura di sicurezza.
2. Sono altresì oggetto di prova i fatti dai quali dipende l'applicazione di norme processuali.
3. Se vi è costituzione di parte civile, sono inoltre oggetto di prova i fatti inerenti alla
responsabilità civile derivante dal reato.”
(imparalo a memoria!)
Quindi oggetto di prova sono solo i fatti che riguardano queste 3 aree:
1) area delle questioni poste dall’esercizio dell’azione penale, quindi i fatti che si riferiscono
all’imputazione, alla punibilità (ad es. cause di giustificazione, di non punibilità e di
estinzione del reato) e alla determinazione della pena o della misura di sicurezza. Quindi
tutti quei fatti che servono ad introdurre elementi a carico o a discarico rispetto a quella
condotta. Inoltre, fatti inerenti alla punibilità, cioè se alla difesa interesse convincere il
giudice che il reato si è estinto per prescrizione bisogna allegare delle prove, bisogna
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introdurre degli elementi che provino quello che la parte sta avanzando dinanzi al giudice. E
poi fatti inerenti la determinazione della pena, per vedere se la pena è congrua o eccessiva,
la sussistenza di circostanze attenuanti deve essere verificata con delle prove.
2) area delle questioni poste dall’esercizio dell’azione civile, fatti inerenti alla responsabilità
civile derivante dal reato (ad. es. esistenza del danno patrimoniale e non patrimoniale
cagionato dal reato). Questa è soltanto eventuale, solo se vi è costituzione di parte civile
allora potranno essere oggetto della prova fatti che riguardano la responsabilità civile
derivante da reato cioè se il soggetto ha prodotto un danno con la sua condotta e che tipo di
offesa al bene giuridico ha arrecato e questo lo si fa attraverso i documenti e le
testimonianze ecc…
3) area delle questioni dalla quali dipende l’applicazione di norme processuali, ad es. in
materia di declaratoria di nullità o di controllo sui presupposti di regolarità delle
notificazioni. Se io difesa eccepisco la nullità di un atto devo introdurre prove che
dimostrino che quell’atto non è conforme al modello legale.
Se non rientrano in queste 3 aree dell’art. 187 tutte le prove introdotte non saranno ammesse dal
giudice, perché parleremo di una fase di ammissione quindi il giudice valuterà a prescindere dalla
fondatezza o meno di quelle prove, all’inizio il giudice verificherà se astrattamente l’oggetto di
quelle prove rientra nell’art. 187.

Distinzioni in ordine all’oggetto della prova:


a seconda che si riferiscano, o non si riferiscano, immediatamente al thema probandum (espressione
che utilizziamo quando vogliamo riferirci all’art. 187) principale:
- prove dirette o rappresentative: aventi per oggetto direttamente il fatto da provare.
- prove indirette o critiche: NON hanno direttamente ad oggetto il fatto da provare bensì
un altro fatto, dal quale il giudice può risalire al primo solo attraverso un’operazione
mentale di tipo induttivo, fondata sulle regole della logica o su massime di esperienza. Il
primo fatto è quello direttamente riconducibile all’imputazione.
→ prove indiziarie: indizi cui si riferisce la regola di valutazione ex art. 192 c.2 diverso da
indizi ex artt. 273 c.1 e 292 c.2 ovvero ex art. 267 c.1
(L’oggetto della prova:
Con l’art 187 c.p.p il legislatore definisce l’oggetto della prova onde evitare che l’attività probatoria
possa arbitrariamente orientarsi verso qualunque obiettivo di ricostruzione della verità storica e
quindi circoscrivendone la destinazione verso temi coessenziali all’oggetto stesso del procedimento.
In sostanza, si definisce l’oggetto della prova facendo riferimento al tema della decisone e si è
fissato il requisito della pertinenza come criterio-guida per lo sviluppo dell’attività probatoria e la
definizione dei suoi confini.
Inoltre, quando vi è la costituzione della parte civile il tema probatorio è destinato ad allargarsi
anche alle questioni relative all’esercizio dell’azione civile in sede penale.
Infine, vi è la nuova estensione dell’oggetto di prova anche ai cd. fatti processuali, fatti dai quali
dipende l’applicazione di norme processuali.
In relazione alla disciplina dell’oggetto di prova vanno ricordate due distinzioni, simili ma non
coincidenti:
- Prove dirette vs prove indirette si fa leva sull’eventualità che la circostanza oggetto della
prova si riferisca direttamente o indirettamente al tema da provare
- Prove storiche vs prove critiche si fa leva sul processo logico seguito dal giudice per
ritenere raggiunto il risultato probatorio su quel tema
Prove dirette vs prove indirette:
-le prime hanno per oggetto il fatto da provare, nelle sue diverse articolazioni
-le seconde hanno per oggetto un altro fatto dal quale il giudice potrà risalire al thema probandum
principale solo attraverso un’operazione mentale di tipo induttivo, fondata sulle regole della logica
o su massime di esperienza si parla anche di PROVE INDIZIARIE in modo da sottolinearne la
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struttura tipicamente inferenziale cui si riferisce la regola di valutazione dell’art 192 comma II. Tali
prove indiziarie/indizi non vanno confuse con gli indizi richiesti quale presupposto, cioè indizi con
riguardo ad elementi conoscitivi di varia natura, di per se’ idonei a concretare soltanto una situa di
fumus commisi delicti, nel senso che non hanno una capacità probatoria piena ma sono
potenzialmente suscettibili di svilupparsi in vere e proprie prove.
Prove storiche vs prove critiche:
-le prime descrivono o riproducono direttamente il fatto davanti al giudice
-le seconde richiedono l’intervento di inferenza dello stesso giudice sulla base di un itinerario
logico-critico.
Solitamente si collegano le prove dirette con quelle storiche e le prove indirette con quelle critiche,
tuttavia è possibile, ad esempio, che una prova storica, in quanto dichiarazione, abbia ad oggetto un
fatto diverso rispetto a quello da provare.
Valutazione della prova e regole di convincimento del giudice
Art 192 c.p.p fa riferimento al principio del libero convincimento del giudice con esclusivo
riferimento al momento della valutazione e non anche ai momenti anteriori, ciò all’ammissibilità e
all’acquisizione delle prove.
Tuttavia, anche il momento valutativo ha dei limiti:
1. l’obbligo di motivazione dei provvedimenti, questo oltre che un limite intrinseco costituisce
anche la premessa logica imprescindibile per l’esercizio del successivo controllo sulle linee di
formazione del procedimento -> il giudice dovrà in concreto ricostruire il percorso logico-
conoscitivo che lo abbia condotto ad apprezzare in un certo modo le prove disponibili e a trarne
determinate conclusioni
2. limiti normativi:
a- su un piano generale, si esclude che possano essere utilizzati elementi di natura solo
indiziaria a meno che gli indizi non possano qualificarsi come ‘gravi, precisi e concordanti’
b- con riferimento alla peculiare situa dei coimputati in um medesimo reato, ovvero degli
imputati in un procedimento connesso a norma dell’art 12, sistabilisce che le dichiarazioni
provenienti da una di tali persone non possano esser valutate ex se ma debbano esserlo unitamente
agli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità. Lo stesso vale per i reati collegati e
per le dichiarazioni rese dall’imputato che abbia assunto l’ufficio di testimone per effetto dell’art
197-bis ultimo coma.
3. Limite di non poter considerare la dichiarazione di chi per libera scelta si è sottratto
all’esame da parte dell’imputato o del suo difensore.)

Il ragionamento inferenziale → percorso che il giudice deve fare:

Il tipico esempio è la testimonianza di prova diretta che per essere ammessa deve avere ad oggetto
soltanto fatti inerenti all’imputazione. Qui il giudice dovrà solo verificare se il testimone è
attendibile, e quello che è dichiarato dal testimone potrà essere utilizzato direttamente dal giudice.
Bisogna capire se il testimone è disinteressato, se era nella posizione corretta quando ha visto
l’imputato commettere ad esempio omicidio, queste sono le verifiche che il giudice fa per verificare
se il testimone è attendibile.
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Se invece la prof è indiretta allora il giudice dovrà effettuare un passaggio in più per ritenere che
quel fatto è stato provato. Cioè dovrà applicare ‘la massima d’esperienza o legge scientifica’ che gli
permette di risalire al fatto da provare.
La classica prova indiziaria è per esempio il fatto che sia stato trovato il DNA dell’imputato sul
luogo dell’omicidio, e questo non ci dice direttamente che l’imputato ha commesso omicidio, ma ci
dice che l’imputato era nei pressi del luogo di omicidio e qui bisogna applicare una massima
d’esperienza o legge scientifica per poter ritenere provato il fatto d’omicidio.
C’è quindi bisogno di un percorso logico!
Massima di esperienza: elaborazione ed applicazione:

Mentre invece una distinzione che si trova nel codice è tra prova tipica e prova atipica.
La prova tipica trova la sua disciplina all’interno del codice e c’è la valutazione, l’idoneità ad
accertare i fatti di quella prova è già stata valutata dal legislatore che ha inserito la disciplina.
Quindi l’idoneità ad accertare fatti è stata valutata dal legislatore in astratto ed è utilizzabile e
valutabile (546 lett. e).
Se si utilizza cioè la disciplina descritta dal legislatore allora quella prova è idonea.
La prova atipica non trova disciplina nel codice e quindi per verificare l’idoneità ad accertare i fatti
è necessaria una valutazione del giudice, cioè che il giudice deve fare quando si trova dinanzi ad
una prova già disciplinata dalla legge. L’art. 189 ci dice che nel processo è possibile utilizzare
prove che non trovano la loro disciplina nel codice ma il giudice può assumerla se essa risulta
idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti (i fatti dell’art. 187) e non pregiudica la libertà morale
della persona.
Art. 189 c.p.p. → Prove non disciplinate dalla legge
“1. Quando è richiesta una prova non disciplinata dalla legge, il giudice può assumerla se essa
risulta idonea ad assicurare l'accertamento dei fatti e non pregiudica la libertà morale della
persona.
Il giudice provvede all'ammissione, sentite le parti sulle modalità di assunzione della prova.”
Ovviamente la prova atipica per essere ammessa deve rispettare l’art. 189 ma non deve essere
vietata anche dalla legge quindi la prova tipica se vietata dalla legge non può comunque essere
introdotta.
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Inoltre c’è una distinzione ulteriore tra prova tipica in senso proprio e in senso improprio.

L’art. 189 tra le condizioni riferisce anche che quella prova non deve pregiudicare la libertà morale
della persona e fa riferimento all’art. 188 che ci dice:
Art. 188 c.p.p. → Libertà morale della persona nell'assunzione della prova
“1. Non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona interessata, metodi o
tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare
e di valutare i fatti.”
Questo è il principio della libera autodeterminazione della persona e la violazione di questa norma
comporta l’inutilizzabilità della prova. Ad esempio, se per ottenere la testimonianza di quella
persona abbiamo utilizzato il siero della verità che lo costringe a rispondere allora quelle
dichiarazioni non sono utilizzabili. Questo principio di libertà di determinazione della persona lo
troviamo non solo nell’art. 188 ma anche nell’art. 64 2 comma (interrogatorio).

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Gli indizi:
la parola ‘indizi’ utilizzata nel codice si riferisce anche a qualcos’altro che nulla ha a che fare con la
prova. Quando l’indizio ha a che fare con la prova la regola che il codice pone al giudice per
valutare questi indizi è quella prevista al 2 comma dell’art. 192 → regola di valutazione.
Abbiamo detto che il giudice è libero nella valutazione delle prove, ma poi deve motivarlo!
Rispetto ad alcuni temi poi il codice contiene delle regole di valutazione e una di queste riguarda gli
indizi.
L’art. 192 c.2, stabilendo che «l’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che
questi siano gravi, precisi e concordanti», usa il termine «indizi» nel significato di fatto secondario
nell’ambito della prova indiretta o indiziaria. Il giudice può ritenere quel fatto provato in base solo
ad una pluralità di INDIZI. Questi indizi devono essere gravi, precisi e concordanti.

Ma la parola indizi si riferisce anche a qualcos’altro che con le prove non c’entra nulla.
Cioè la parola indizi noi la troviamo anche come presupposti per ottenere l’autorizzazione
all’attività di intercettazione telefonica o come presupposti per l’applicazione di una misura
cautelare.
L’art. 267 c.1, stabilisce che il giudice per le indagini preliminari autorizza l’intercettazione di
comunicazioni solo in presenza di gravi indizi che un reato è stato commesso, sia pure da una
persona non individuata.
Gli artt. 273 c.1, 292 c.2 lett. c e 384 c.1 stabiliscono che la misura cautelare personale ed il fermo
sono disposti in presenza di «gravi indizi di colpevolezza» a carico di una persona.
La parola «indizi» in questi casi designa gli elementi conoscitivi di varia natura, di per sé idonei a
concretare soltanto una situazione di fumus commissi delicti: non necessariamente dotati di
efficacia probatoria, tenuto conto anche delle fasi del procedimento in cui vengono valutati.

LEZIONE 9: 3 marzo.
Segue.. le prove.

Diritto alla prova e procedimento probatorio (art. 190 c.p.p.):


Il codice del 1988 adottando il modello di stampo accusatorio, e passando dal sistema inquisitorio a
accusatorio ha inserito anche all’interno della nostra carta costituzionale un principio che era già
presente ma non esplicitato in questi termini cioè la possibilità di difendersi provando, ecco quindi
che esamineremo il diritto alla prova. Il giudice valuterà la responsabilità penale dell’imputato in
base alle prove che si sono formate nel contraddittorio tra le parti, ecco che le prove che vengono
introdotte nel processo sono fondamentali perché costituiscono gli elementi che il giudice può
tenere in considerazione, il resto rimane fuori. Il giudice deve avere la capacità di concentrarsi
SOLO sulle prove che si sono formate correttamente.
L’art. 190 disciplina le modalità con le quali le prove vengono introdotte nel processo, quando
parliamo di diritto alla prova ci collochiamo nella fase detta ‘ di dibattimento’, ‘di giudizio’, una
volta che il dibattimento è di fronte al giudice che terminerò il processo con una decisione che
dichiarerà o meno la responsabilità penale dell’imputato.
Quindi alla domanda: come vengono introdotte le prove nel giudizio? Una parte della risposta si
trova nell’art. 190.
“Art. 190 c.p.p. Diritto alla prova
1. Le prove sono ammesse a richiesta di parte. Il giudice provvede senza ritardo con ordinanza
escludendo le prove vietate dalla legge e quelle che manifestamente sono superflue o irrilevanti.
2. La legge stabilisce i casi in cui le prove sono ammesse di ufficio.
3. [...]”
Quindi la regola generale è che tutte le parti (soggetti processuali che sono parti) effettuano la
richiesta e il giudice provvede senza ritardo con ordinanza a verificare se quella prova può essere
formata nel contraddittorio tra le parti, e quindi prima di formarla bisogna ammetterla.
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Quindi il diritto di richiedere l’ammissione delle prove è un onere di iniziativa, se la parte vuole
introdurre le prove ha l’onere di richiederlo, e una volta che è stato esercitato ha diritto di ottenere
una risposta del giudice.
Il 190 ci dice anche che quando la parte ottiene l’ammissione di una prova l’altra parte ha diritto ad
ottenere la prova contraria. Ad esempio, se io sono il PM e chiedo l’ammissione di alcuni testimoni
allora l’imputato ha diritto a chiedere l’introduzione di altri testimoni sulla medesima circostanza
che diranno qualcosa di diverso e opposto; e così a parti inverse.

Soltanto nei casi previsti dalla legge è prevista la possibilità per il giudice di introdurre delle prove
in assenza della soddisfazione dell’onere formale della parte.
Poi la prova ammessa deve essere ‘assunta/acquisita’, allora poi quindi la prova dovrà essere
formata. Il termine assunzione/acquisizione e formazione sono sinonimi, si parla sempre della
necessità che quella prova ammessa sia formata nel contraddittorio tra le parti davanti al giudice.

C’è anche poi un onere sostanziale → la prova una volta che è stata ammessa e acquisita deve avere
la capacità di convincere il giudice, se la prova è richiesta dal PM l’onere sarà soddisfatto nel
momento in cui quella prova è riuscita a superare ogni ragionevole dubbio circa la responsabilità
dell’imputato e viceversa.

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Diritto alla prova e criteri di ammissione:

Processo di ammissione prova:


1) richiesta
2) a cui il giudice deve rispondere con ordinanza, e il giudice potrà decidere di NON
ammettere la prova, cioè deve valutare se ammettere o no la prova. Ma quali criteri
utilizzerà il giudice?
- Ce lo dice sempre l’art. 190, per cui il giudice dovrà escludere anzitutto le prove vietate
dalla legge che non possono essere introdotte nel processo → es: nel nostro sistema vige
il principio di autodeterminazione per cui qualsiasi prova che preveda tecniche di
limitare questa libertà di autodeterminazione è esclusa (macchina della verità).
- Il giudice dovrà anche escludere le prove superflue o irrilevanti; quindi, giudizio di
superfluità per cui la prova non è utile, anche se assunta non è più utile perché il giudizio
di superfluità viene espresso dal giudice quando sono già state ammesse prove simili
sulla medesima circostanza → es: chiedo ammissione di 100 testimoni su stessa
circostanza. Il giudizio di irrilevanza è invece l’impossibilità di ricondurre quella prova
nell’ambito dell’art. 187, delle circostanza che possono essere oggetto di prova.

(Quando dovremmo parlare del procedimento probatorio/di introduzione della prova nel processo la
risposta dovrà iniziare parlando del diritto alla prova, di quali sono le fasi che devono essere
compiute per poter introdurre una prova nel processo.
Come si forma la prova della testimonianza? Si formerà attraverso le domande delle parti, l’esame
testimoniale che vuol dire attraverso le domande. Chi ha chiesto la citazione di quel soggetto
partirà, poi successivamente una volta che chi ha chiesto l’introduzione della prova avrà esaurito di
interrogare quel soggetto le altre parti faranno quelle domande → cross examination, cioè la
possibilità di entrambe le parti.

Deroga:
C’è poi anche una disciplina eccezionale, l’art. 190 bis detta dei criteri speciali che derogano alla
disciplina ordinaria di ammissione delle prove, cioè dei criteri diversi che il giudice deve seguire
quando deve decidere se ammettere o no la prova.
“Art. 190-bis c.p.p.
Requisiti della prova in casi particolari
1. Nei procedimenti per taluno dei delitti indicati nell’articolo 51, comma 3-bis, quando è richiesto
l’esame di un testimone o di una delle persone indicate nell’articolo 210 e queste hanno già reso
dichiarazioni in sede di incidente probatorio ovvero dichiarazioni i cui verbali sono stati acquisiti a
norma dell’articolo 238, l’esame è ammesso solo se riguarda fatti o circostanze diversi da quelli

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oggetto delle precedenti dichiarazioni ovvero se il giudice lo ritiene assolutamente necessario sulla
base di specifiche esigenze.”
Bisogna ricordare che esiste questa disciplina eccezionale che deroga rispetto ai criteri diversi della
prova, e questa disciplina è una deroga alla disciplina ordinaria di ammissione della prova e
riguarda non tutti i procedimenti ma si applica:
-a quei procedimenti che riguardano i delitti di criminalità organizzata o di terrorismo ex art.51 c.3-
bis, non riguarda tutte le prove ma solo la prova testimoniale.
-Questa disciplina si applica anche nel caso in cui ci sia l’esame di un testimone minore di anni
sedici nei processi per i gravi delitti ivi indicati.
L’esigenza è quella di evitare ‘l’usura del testimone’, oppure ‘l’esposizione a rischi o disagi
personali’.
Ad esempio, nei processi di stampo mafioso la testimonianza più importante è del collaboratore di
giustizia che è testimone su diversi e svariati eventi, rispetto a questi eventi i procedimenti sono
diversi quindi per evitare che questo testimone passi la sua vita a rendere la testimonianza in tutti
questi procedimenti, se ha già deposto in un procedimento su circostanza che servono anche ad un
altro procedimento, la sua testimonianza nell’altro può essere ammessa soltanto se riguarda
circostanze diverse rispetto a quelle su cui ha già deposto oppure se il giudice lo ritiene
assolutamente necessario. Questi collaboratori di giustizia quando testimoniano rischiano molto
ecco perché si applica la disciplina derogatoria.
Nel secondo caso invece la ratio è diversa e l’esigenza è quella di evitare che un testimone
minorenne e fragile che abbia già deposto nell’ambito di un procedimento riguardante degli abusi
nei suoi confronti possa essere richiamato a testimoniare sulle stesse circostanze in un altro
procedimento.
La cosa importante in questi casi, quindi, è non farlo tornare in udienza e non sottoporlo
nuovamente a domande.

Diritto alla prova: deroghe al principio dispositivo:


una deroga l’art. 190 lo pone anche con riferimento al principio dispositivo in tema di prove. Per
principio dispositivo intendiamo che la prova deve essere richiesta dalla parte per poter essere
ammessa, questa è la regola generale, ma c’è una deroga.
- regola generale (art. 190 c.1, prima parte): riserva alle parti dell’iniziativa in tema di
assunzione della prova
- deroga (art. 190 c.2): riconoscimento, solo in via residuale e nei casi tassativamente
indicati, del potere di intervento d’ufficio del giudice
Quali sono questi casi i cui la legge determina questa deroga? Quali sono i casi in cui la legge
prevede che il giudice possa ammettere la prova d’ufficio in assenza di una richiesta della parte.
I casi sono sparsi nel codice e si modulano in maniera diversa a seconda delle fasi in cui ci troviamo
→ poteri istruttori/poteri probatori d’ufficio del giudice:

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Nel primo caso durante le indagini il giudice può non essere d’accordo con la richiesta di
archiviazione del PM, e il giudice non accoglie perciò la richiesta del PM e gli ordina di svolgere le
indagini. Perciò il 409 4 e 5 comma permettono al giudice di entrare in un campo che dovrebbe
essere di esclusiva pertinenza delle parti, questi elementi sono inquisitori e inquinano l’idea del
processo che dovrebbe essere di stampo accusatorio.
Nella fase dell’udienza preliminare il giudice può ammettere d’ufficio delle prove solo se ritiene
che siano necessarie e decisive ai fini dei pronunciare a non luogo a procedere.
Nella fase del dibattimento l’art. più importante è invece l’art. 507 per cui terminata l’assunzione
delle prove l’art. 507 permette al giudice di chiedere l’assunzione di nuovi mezzi di prova sia in
senso contrario sia in senso favorevole.
Qual è il problema di questo aspetto?
E’ strano che il giudice che dovrebbe essere terzo e imparziale si introduca nelle prove portate dalle
parti, lui dovrebbe decidere in base alle prove introdotte invece questo potere gli da della possibilità
di introdurre elementi che le parti non avevano richiesto e che gli fanno superare quel dubbio che
aveva. Se potesse acquisirle solo favor rei non ci sarebbe nulla di male, il problema è quando il
giudice introducendo una prova cerca di colmare il deficit del PM perché l’onere della prova è a
carico proprio del PM.
Questo principio è stato introdotto perché c’è comunque l’esigenza di avere più elementi possibili
per poter decidere, se c’è questa presunzione di non colpevolezza e se quest’ultima impone a una
sola parte di superarla (cioè il PM) e se all’interno della costituzione dobbiamo dire che il giudice
deve essere spettatore è chiaro che questo principio introduce elementi di tensione.
E poi se si da la possibilità al giudice di introdurre elementi o prove volte a permettergli meglio la
sua decisione fino a che punto ci si ferma? Quando il giudice riterrà sufficiente il quadro
probatorio? Il quadro probatorio dovrebbe essere quello introdotto dalle parti.

Il procedimento probatorio → l’istruzione dibattimentale:

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1) Ricerca parti elementi di prova, non si parla di prova ma di elementi di prova!


2) Richiesta delle parti e questo è l’esercizio del diritto di prova
3) Il giudice dovrà ammetterle:
- Se saranno contrarie alla legge o superflue o irrilevanti → con ordinanza non le ammette
- Se rispondono ai requisiti e non sono superflue → con ordinanza le ammette
4) Fase dell’acquisizione e dell’assunzione, quindi della formazione in contraddittorio, qui i
principi sono quelli di oralità perché nel processo penale la prova regina è la prova orale
(non vuol dire che non possano essere introdotti dei documenti ma l’introduzione è anche
orale, il documento deve essere spiegato), immediatezza perchè la prova si deve formare in
quel momento davanti al giudice attraverso la partecipazione delle parti (contraddittorio), e
questa partecipazione riguarda qualsiasi prova a prescindere che sia una richiesta del PM o
dell’imputato.
5) A questo punto la prova deve essere valutata dal giudice secondo il suo libero
convincimento → sentenza.

Questa eccezione porta a introdurre nel processo delle prove senza passare dalla fase della richiesta
e dalla fase dall’acquisizione ma derivano direttamente alla valutazione perché sono state introdotte
dal giudice.

Ci sono poi alcune prove che vengono introdotte nel procedimento anche se si sono formate non nel
contraddittorio delle parti, nel nostro sistema il 5 comma dell’art. 111 della cost prevede la
possibilità che all’interno del processo siano introdotte delle prove che sono formate al di fuori del

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contraddittorio e non davanti al giudice, questo è possibile perché questo articolo ci dice che la
legge determina i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio.
I casi sono quelli previsti dall’art. 111 5 comma e uno di questi è il consenso delle parti, che si
mettono d’accordo per acquisire una prova formata al di fuori del contraddittorio.

Inutilizzabilità della prova:


Se non si dovessero seguire tutti questi passaggi, se quello richiesto non sarà conforme al modello
legale ci troveremo di fronte a prove inutilizzabili. Se la prova si è formata e il processo non è stato
rispettato allora quella prova si è formata e non può essere cancellata ma la si può dichiarare
inutilizzabile!
Art. 191 c.p.p. → Prove illegittimamente acquisite
“1. Le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate.
2. L'inutilizzabilità è rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del procedimento.
2-bis. Le dichiarazioni o le informazioni ottenute mediante il delitto di tortura non sono comunque
utilizzabili, salvo che contro le persone accusate di tale delitto e al solo fine di provarne la
responsabilità penale.”
-I comma: norma generale di previsione della sanzione
-II comma: norma generale di riferimento per il regime normativo del vizio della inutilizzabilità
-comma II-bis: aggiunto dall'art. 2, co. 1, l. 14 luglio 2017, n. 110, congiuntamente all’introduzione
dei reati di tortura (art. 613 bis c.p.) e di istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura (art.
613 ter c.p.)

Quindi si tratta di un vizio che colpisce le prove illegittime, perché acquisite contra legem; cioè
nell’inosservanza di un divieto concernente il momento della loro ammissione o acquisizione.
La sanzione processuale predisposta in via generale nel caso di violazioni dei divieti probatori
risultanti ex lege (prove invalide)
• assoluta e indisponibile (S.U. 21/6/2000 Tammaro e S.U. 5/3/1997 Glicora)
• insanabile: rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento (pure nell’ambito del
giudizio in cassazione come motivo di ricorso ex 606 c.1 lett. c), si parla del regime di rilevabilità
tipico delle nullità assolute che abbiamo detto sono insanabili.
• l’atto probatorio affetto dal vizio non può essere rinnovato
• l’inutilizzabilità non comporta la regressione del procedimento: quando la prova viene dichiarata
inutilizzabile questo non comporta la regressione del procedimento come invece ad essere
dichiarato nullo è un atto, se la prova è inutilizzabile il procedimento non regredisce alla fase di
formazione di quella prova.

Guardiamo ora l’ultima fase del procedimento probatorio → fase della valutazione. Il codice detta
alcuni criteri che il giudice deve seguire per valutare la prova, così come il codice ha indicato criteri
per ammetterla. Ovviamente sono criteri a disposizione unicamente del giudice, e questa fase vede
il giudice da solo all’interno della camera di consiglio in cui deve valutare tutte le prove che sono
emerse nel corso del dibattimento.
Partiamo da un presupposto che riguarda un principio generale → principio del libero
convincimento del giudice, il giudice è libero di valutare la prova come crede. Questo principio
vige SOLO nel momento di valutazione della prova, non anche nei momenti anteriori del
procedimento probatorio. Nella valutazione della prova, nel verificare che peso dare a quella prova
richiesta dal PM o dall’imputato il giudice è libero, questa libertà riguarda soltanto le prove
legittimamente ammesse e acquisite e quindi le prove utilizzabili, è logico perché il giudice può
valutare soltanto quelle prove. Il giudice è libero di decidere come crede anche con riferimento alle
eccezioni che sono sollevate dalle parti nel corso di tutto il processo ma deve ricordarsi che tutti i
provvedimenti devono essere motivati; quindi, è libero ma deve sapere che deve dare conto dei
risultati acquisiti e dei criteri adottati come dice l’art. 192, cioè ci deve spiegare perché ha ritenuto
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attendibile quella testimonianza, deve spiegare come mai ha ritenuto di dare rilevanza alla prova
della difesa rispetto ad una stessa prova portata dal PM, come mai ha ritenuto convincente quel
documento che è stato prodotto come prova nel corso del processo, quindi sia dei risultati ma anche
dei criteri adottati, quindi è libero ma è soggetto all’obbligo di motivazione che è un obbligo ben
strutturato, deve motivare dando conto dei risultati acquisiti e dei criteri adottati.
Art. 192 c.p.p. Valutazione della prova
“1. Il giudice valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri
adottati.”
Questo sopra detto è il principio generale, ovviamente questo obbligo motivazionale permette poi
l’impugnazione. Ma se questa è la regola poi ci sono alcuni limiti al libero convincimento del
giudice. Questi limiti sono impliciti e espliciti:
1) limite razionale derivante dall’obbligo di motivazione (limite implicito),
2) limite di tipo normativo, l’art. 192 ne individua 2 e questi limiti verranno chiamati “regole di
giudizio”, cioè con riferimento a determinate prove il giudice non è libero ma deve valutarle
secondo quanto prevede il codice:
“2. L’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e
concordanti.”
Gli indizi non possono essere valutati liberamente, il giudice non può desumere un fatto da un
indizio, lo può fare solo se si trova di fronte ad una pluralità di indizi che sono gravi/precisi e
concordanti.
Cosa si intende per gravità? Forsa dimostrativa dell’indizio, cioè il rapporto che deve essere molto
vicino tra indizio e fatto da provare.
Cosa si intende per precisione? Possibilità che quell’indizio può essere oggetto soltanto a quel tipo
di lettura.
Cosa significa concordanza? Quell’indizio non deve essere contraddetto da altri indizi.
Il secondo criterio normativo è del 3 comma:
“3. Le dichiarazioni rese dal coimputato del medesimo reato o da persona imputata in un
procedimento connesso a norma dell’articolo 12 sono valutate unitamente agli altri elementi di
prova che ne confermano l’attendibilità.”
In questo caso le dichiarazioni del computato che sia nel medesimo procedimento o in uno connesso
sono presunte ‘inattendibili’, e questa presunzione di inattendibilità può essere superata solo se oltre
a quelle dichiarazioni vi sono anche altri elementi che vi portano a ritenere quelle dichiarazioni
attendibili, questi elementi di riscontro possono essere sia estrinsechi che intrinsechi, che
quell’imputato era attendibile e che quelle cose sono confermate anche da altri elementi diversi
dalle sue dichiarazioni.
4. La disposizione del comma 3 si applica anche alle dichiarazioni rese da persona imputata di un
reato collegato a quello per cui si procede nel caso previsto dall’articolo 371 comma 2 lettera b).”

Se non ci troviamo di fronte a indizi o a dichiarazioni rese da computati allora il giudice è libero di
valutare la prova dando conto dei criteri adottati e dei risultati ottenuti! Insieme a questi due limiti
normativi al libero convinci cimento del giudice il codice prevede anche un altro limite nell’art. 526
c.1 bis (ex art. 111 c.4 Cost.).
Questo articolo ci dice che “la colpevolezza dell’imputato non può essere provate sulla base di
dichiarazioni rese da chi per libera scelta si sia sempre volontariamente sottratto all’esame da parte
dell’imputato o del suo difensore.” È una disposizione che è stata inserita con la riforma del giusto
processo che ha recepito le garanzie dell’equo processo dell’art. 6 della CEDU, questo art. 6
enuncia un principio semplice → “se tu mi accusi io devo poterti guardare fisso negli occhi e proti
delle domande”, nessuno può essere condannato sulla base di dichiarazioni rese da chi non gli ha
mai potuto fare delle domande. Il giudice non può ritenere provata la colpevolezza sulla base di
dichiarazioni per cui l’imputato non ha mai potuto fare delle domande.

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LEZIONE 10: 4 marzo.


Segue.. le prove.

Oggi iniziamo il titolo II del III libro del codice che è dedicato alle prove.
Quali sono quindi le prove tipiche che trovano la loro disciplina nel codice e che a differenza delle
prove atipiche il legislatore ha ritenuto strumento idonei a dimostrare il fatto oggetto di prova.
Rientriamo sempre nell’art. 187 che ci dice cosa può essere oggetto di prova, tutto ciò che fuoriesce
non può essere dimostrato attraverso le prove che sono disciplinate nel titolo II e nel titolo III.
Distinzione:
• mezzi di prova (artt. 194-243): Strumenti idonei a fornire al giudice elementi conoscitivi
direttamente utilizzabili ai fini della decisione (testimonianza, esame delle parti, confronto,
ricognizione, esperimento giudiziale, perizia, prova documentale) → diretti ad assicurare la
formazione della prova in sede processuale.
• mezzi di ricerca della prova (artt. 244-271): Strumenti funzionalmente diretti a permettere
l’acquisizione di cose, tracce, notizie o dichiarazioni idonei ad assumere rilevanza
probatoria (ispezioni, perquisizioni, sequestri, intercettazioni telefoniche). Non integrano di
per sé una fonte del convincimento giudiziale → diretti a propiziare l’acquisizione al
processo (per lo più atti a sorpresa) di elementi probatori in vario modo precostituiti. Si
tratta di elementi che non integrano di per se la fonte del convincimento giudiziale ma
possono essere utilizzati eventualmente dal giudice, pensiamo a un ispezione dove potrebbe
rinvenirsi qualcosa che il giudice ritiene utile per il proprio convincimento. Di per se
l’ispezione però non fornisce un elemento conoscitivo.
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La testimonianza: art. 194


All’inizio quando abbiamo parlato del processo abbiamo detto che la prova regina del processo è la
testimonianza (la prova orale), si tratta del primo mezzo di prova che prevede il codice al titolo II e
è la prova regina perché è la prova più utilizzata nel processo.

Capacità alla testimonianza:


• ogni persona ha la capacità di testimoniare (art. 196 c.1 c.p.p.), tuttavia il giudice dispone un
eventuale accertamento (anche d’ufficio) per verificare l’idoneità fisica o mentale a rendere
testimonianza, però in generale questa capacità è riconosciuta a tutti, quindi, sia a maggiori di 18
anni che anche a soggetti minorenni.
Il discorso della capacità non riguarda poi la possibilità di apprestare delle cautele nel caso in cui si
esamina un minore di anni 16, il codice è attento a preservare esigenze di tutela di persone fragili
come può essere un minore, quindi in questo caso ci sono delle regole diverse, ma questo è un
discorso di tecnica esaminatoria non riguarda la capacità che è riconosciuta a tutti i soggetti.

Oggetto della testimonianza:


qui bisogna tenere presente l’art. 187, anche la testimonianza può avere per oggetto unicamente fatti
determinati cioè quelli che rientrano nell’art. 187 (oggetto di prova), si tratta di una prova
dichiarativa vertente su fatti determinati che costituiscono oggetto di prova (eventualmente estesa a
circostanze necessarie per valutare la credibilità del teste): art. 194 c.p.p.
Quindi alla domanda quale può essere l’oggetto della testimonianza? Non si può rispondere solo
fatti determinati, ma fatti determinati che costituiscono oggetto di prova.

Limiti della testimonianza


Vi è divieto di deporre su:
• moralità dell’imputato, voci correnti, apprezzamenti personali, sensazioni, in quanto questi non
sono fatti determinati e quindi un eventuale testimone chiamato a rendere la propria deposizione in
ordine a quel tipo di circostanze non dovrebbe essere ammesso dal giudice. Il giudice quando valuta
la richiesta della parte di ammettere la testimonianza deve anche valutare se la testimonianza è su
circostanze che rientrano nell’oggetto della prove e quindi nell’imputazione.
• dichiarazioni rese dall’imputato (indagato) nel procedimento (art. 62 c.p.p.), ricordiamo quello
che abbiamo studiato quando abbiamo visto la disciplina delle dichiarazioni del soggetto sottoposto
ad indagine, in questo caso si ha il divieto con riferimento a queste dichiarazioni rese dall’imputato
in maniera non conforme ai canali tradizionali che il codice prevede per l’imputato che rilascia
dichiarazioni.
• per la polizia giudiziaria, riguardo alle dichiarazioni verbalizzate delle «persone informate» (art.
195 c.5 c.p.p.), questo vuol dire che io sono il PM e delego la polizia giudiziaria ad assumere delle
sommarie informazioni delle persone che ritengo possono avere elementi utili per ricostruire la
vicenda, il contenuto di quelle sommarie informazioni non può essere oggetto di testimonianza da
parte di chi le ha raccolte. Non può chiamare il PM la polizia giudiziaria perché riferisca sulle
dichiarazioni rilasciate, ma deve chiamare la parte che le ha rilasciate e porgli le stesse domande.

Obblighi di testimonianza:
abbiamo già detto che ognuno di noi potrebbe essere citato a rendere testimonianza, la persona
riceve un avviso di citazione dove a seconda di chi vi ha citato il tribunale dispone la citazione per il
giorno tot alle ore tot e all’aula tot, per rendere la vostra deposizione. Non si sa chi cita e neanche
chi è l’imputato, ma si sa solo il giorno in cui bisogna testimoniare.
A questo punto ci sono un po’ di opzioni:

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- potrebbe esserci un giustificato motivo per non rendere testimonianza, ad esempio


motivo di salute oppure un operazione importante, il testimone se non giustifica la sua
assenza ed è difficile giustificarlo perché il giudice deve ritenere che quella
giustificazione di quel fatto sia integrabile.
- Al di la di quelle cose specifiche sopracitate comunque bisogna presentarsi, se non ci si
presenta si è passibili di sanzione oppure il testimone che non si presenta poteva essere
obbligato a presentarsi.
1) quindi il primo dovere del testimone è presentarsi, il testimone all’inizio è tenuto a stare
fuori dall’aula e poi si entra e bisogna leggere una dichiarazione di impegno a rispondere
secondo verità non si tratta di un giuramento!!! Ma si legge una dichiarazione con la quale
ci si impegna a rispondere a tutte le domande secondo verità. Perché se non si risponde o si
risponde il falso si commette un reato → art. 372 c.p..
Inoltre durante le indagini preliminari è possibile che si sia stati sentiti come persone
informati sui fatti o dal PM o dalla polizia giudiziaria, le dichiarazioni sono state
verbalizzate nel SIT (verbale di sommarie informazioni testimoniali), vengono depositate in
cancelleria e quindi in questo caso il testimone sarà a conoscenza del perché è stato
chiamato a testimoniare.
• il secondo obbligo è quello per cui l’obbligo di deporre non si estende alle risposte
autoincriminanti (diritto al silenzio sul fatto proprio), cioè quelle domande le cui risposte
potrebbero contenere elementi a proprio carico, quindi anche per il testimone c’è il diritto al
silenzio per un fatto proprio.

Doveri processuali:
o l’art. 198 parla degli obblighi del testimone, al 2 comma c’è poi una prima eccezione: c’è
scritto che il testimone non è obbligato a deporre sui fatti dai quali può derivare sua
responsabilità penale, in questo caso non si commette reato!

o Ci sono poi altre eccezioni al fatto che il testimone è obbligato a rispondere e a rispondere
secondo verità → art. 199, quando il testimone chiamato a deporre sia un prossimo
congiunto dell’imputato (moglie/figlio chiamato a testimoniare nei confronti dell’imputato).
Il legislatore si è reso conto che imporre qui l’obbligo di rispondere e di rispondere secondo
verità poteva creare un problema rispetto alla naturale tendenza o esigenza da parte del
prossimo congiunto di non porre il proprio parente in una situazione di difficoltà, è quello
che viene chiamato il ‘segreto familiare’, cioè il codice prevede e tutela la possibilità di non
creare tensione tra obbligo di giustizia e il diritto a preservare dei rapporti familiare e quindi
il legislatore ha deciso di lasciare al testimone la decisione di deporre o meno. E quando il
codice prevede questa possibilità parla di “facoltà”; quindi, si ha la facoltà di astenersi alla
testimonianza. Il codice prevede questa facoltà quando questo delicato equilibrio non sia già
stato risolto all’origine, pensiamo al testimone persona offesa che ha denunciato il proprio
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parente, la moglie che ha denunciato il marito per maltrattamenti, in questo caso non si ha la
necessità di preservare questo equilibrio. Nel momento in cui la persona offesa ha già
presentato una denuncia e da quella è scaturito il procedimento penale ha già scelto quali dei
due settori privilegiare quindi questa facoltà di astenersi dal deporre non vige nel momento
in cui il testimone ha presentato denuncia/querela o istanza perché offesi dal reato. Siccome
è una facoltà se poi dovesse deicdere di rendere testimonianza poi c’è l’obbligo di
rispondere secondo verità altrimenti si avranno le conseguenze che ha il testimone normale
che non rispetta l’obbligo di rispndere secondo verità.

(La disciplina della testimonianza dei prossimi congiunti dell'imputato, imperniata sul
riconoscimento della facoltà di astensione e sul diritto al relativo avviso, appena di nullità, articolo
199 -salvo che abbiano presentato denuncia, querela o istanza, ovvero essi, o un loro prossimo
congiunto, siano offesi dal reato- le deroghe all'obbligo della disposizione sono riconducibili alla
sfera dei segreti cui la legge attribuisce rilevanza in sede di acquisizione probatoria.)

Il giudice deve dare avviso della facoltà di astenersi chiedendo loro se intendono avvalersi o meno
→ tutto questo a pena di nullità!!
Quando parliamo di irregolarità, di non conformità la sanzione tipica è quella della inutilizzabilità,
ma allora come mai qui si parla a pena di nullità?
Il prof non sa perchè il codice parla di nullità.
Poniamo che questo avviso non venga dato dal giudice, se il giudice si scorda e il prossimo
congiunto non viene avvisato che vi è questa facoltà ovviamente deve rispondere e deve farlo
secondo verità ma cosa succede a quel punto?
La deposizione è nulla, dobbiamo dire nulla perché è previsto a pena di nullità, ma anche se
sappiamo che ai fini pratici si tratta di inutilizzabilità. Naturalmente se il testimone non dovesse
deporre non sarebbe punibile nel caso di mancato avviso!
L’art. 199 poi nel 3 e 4 comma esplicita questa facoltà di astensione e intende cosa si intende per
prossimo congiunto, quindi si applica anche all’imputato legato a vincolo di adozione, al coniuge
che convive, al coniuge separato e anche al divorziato. Ovviamente questa facoltà di non deporre è
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limitata a fatti appresi durante la convivenza, mentre erano legati da un rapporto di matrimonio o di
unione civile, quindi poniamo che il testimone chiamato era prossimo congiunto dell’imputato e
non lo è più, se la domanda riguarda fatti succeduti mentre c’era questa convivenza e mentre erano
sposati allora il testimone ha la facoltà di astenersi dal deporre, se invece riguarda fatti successivi
allora questa facoltà viene meno.
o Altra eccezione → la disciplina dei segreti che è prevista dagli artt. 200, 201, e 202, il
codice prevede la possibilità di derogare all’obbligo del testimone di rispondere secondo
verità nel caso in cui il testimone sia un professionista per cui vige il segreto professionale o
un pubblico ufficiale per fatti appresi durante il pubblico servizio (segreto di ufficio), oppure
il segreto di stato. A questi soggetti viene riconosciuto o l’obbligo o il divieto di deporre, su
fatti appresi nell’esercizio delle loro funzioni.

- Il segreto professionale: professionista comune (es. funzionario di banca) → Ha il


dovere di rispondere secondo verità nel processo penale (art. 198 c.p.p.): tale dovere è
giusta causa di rivelazione (art. 622 c.p.)
- Il segreto professionale (art. 200 c.p.p): professionista qualificato ex art. 200 c.p.p.
(ministro del culto, avvocato, medico, altro professionista che per legge può eccepire il
segreto nel processo penale): ha la facoltà di astenersi dal deporre (art. 200 c.p.p.);
oppure se ha l’obbligo di riferire all’autorità giudiziaria (es. medico che ha assistito la
persona offesa, art. 365 c.p.) ha il dovere di rispondere (art. 200 c.p.p.);
- Il segreto d’ufficio (art. 201 c.p.p): pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio
(artt. 357 e 358 c.p.) → hanno l’obbligo di astenersi dal deporre (art. 326 c.p.), ma hanno
l’obbligo di denuncia di reati procedibili d’ufficio dei quali vengono a conoscenza
nell’esercizio o a causa delle proprie funzioni (artt. 361 e 362 c.p.)
C’è poi una testimonianza particolare che è l’art. 195 (CLASSICA DOMANDA D’ESAME!):
testimonianza indiretta (de relato): il testimone non ha percepito personalmente il fatto ma lo ha
conosciuto attraverso la narrazione di un’altra persona. Ad esempio, il mio amico Mario mi ha detto
che ad uccidere la vittima è stato l’imputato, io non ho visto quello ma mi è stato riferito!
Siamo di fronte ad una prova critica e NON ad una prova rappresentativa.

Questo tipo di testimonianza è ammessa però è sottoposta ad una disciplina particolare, perché
stiamo chiamando un testimone che in realtà testimone non è.
Quindi il testimone non ha percepito personalmente il fatto ma lo ha conosciuto attraverso la
narrazione di un’altra persona che chiameremo → il testimone diretto o fonte primaria.
Quindi nella testimonianza indiretta abbiamo il testimone diretto/fonte e il testimone indiretto.
La disciplina che si trova all’art. 195 è volta a presidiare questo tipo di narrazione/deposizione e
inserire strumenti per verificare se questo testimone indiretto fornisce un informazione vera , un
informazione che può essere considerata attendibile, non perché il testimone non abbia motivo di
non dire la verità ma perché il fatto gli è stato recepito. La deposizione non può essere ‘ho saputo’,
ma bisogna indicare il testimone fonte, perché se il testimone fonte non è individuato allora la
testimonianza questa volta si non è utilizzabile, se il testimone fonte è individuato allora la
testimonianza sarà utilizzabile ma verrà chiamato anche il testimone fonte.

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Ma allora le informazioni come possono essere ottenute? Citando i possibili testimoni, cioè citando
la persona offesa che ha proposto la querela/denuncia.
La testimonianza indiretta è invece utilizzabile nei casi che non rientrano in quelli codificati:

(Segreto professionale art 200 cpp


1. Non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio
ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l'obbligo di riferirne all'autorità
giudiziaria:
a) i ministri di confessioni religiose, i cui statuti non contrastino con l'ordinamento giuridico
italiano;
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b) gli avvocati, gli investigatori privati autorizzati, i consulenti tecnici e i notai(1);


c) i medici e i chirurghi, i farmacisti, le ostetriche e ogni altro esercente una professione sanitaria;
d) gli esercenti altri uffici o professioni ai quali la legge riconosce la facoltà di astenersi dal
deporre determinata dal segreto professionale. → sarebbe eccessivo ricollegare la facoltà in
questione in ogni ipotesi i cui le leggi professionali sanciscono genericamente l’obbligo del segreto.
2. Il giudice, se ha motivo di dubitare che la dichiarazione resa da tali persone per esimersi dal
deporre sia infondata, provvede agli accertamenti necessari. Se risulta infondata, ordina che il
testimone deponga.
3. Le disposizioni previste dai commi 1 e 2 si applicano ai giornalisti professionisti iscritti nell'albo
professionale, relativamente ai nomi delle persone dalle quali i medesimi hanno avuto notizie di
carattere fiduciario nell'esercizio della loro professione. Tuttavia se le notizie sono indispensabili
ai fini della prova del reato per cui si procede e la loro veridicità può essere accertata solo
attraverso l'identificazione della fonte della notizia, il giudice ordina al giornalista di indicare la
fonte delle sue informazioni.

Un limite al segreto d'ufficio si ha quando i soggetti elencati nell'articolo 200 hanno l'obbligo di
riferire all'autorità giudiziaria e le notizie conosciute ‘per ragione del proprio ministero, ufficio o
professione’, si pensi ad esempio l'obbligo di referto sancito dall'articolo 334 cpp con riferimento
all'articolo 365 dcp, omissione di referto.
Fermo restando il potere del giudice di ordinare che il testimone deponga tutte le volte in cui sia
convinto dell'infondatezza della dichiarazione di segretezza opposta dal medesimo per esimersi dal
deporre, un regime particolare è previsto nei confronti dei giornalisti professionisti iscritti all'albo,
esclusi i pubblicisti, relativamente ai nomi delle persone che abbiano loro fornito notizie in via
fiduciaria. Ad essi vieni estesa la normativa dettata per il segreto professionale ma al giudice è
sempre riservato il potere di obbligarli a rivelare l'identità della persona quando ritiene sia
indispensabile per la prova del reato.

Segreto d‘ufficio art 201 cpp


Un'analoga disciplina è dettata per i pubblici ufficiali, i pubblici impiegati e gli incaricati di un
pubblico servizio con la variante che ad essi compete non tanto la facoltà quanto l'obbligo di
astenersi dal deporre su fatti conosciuti per ragioni del loro ufficio che devono rimanere segreti.
Sono fatti salvi tuttavia i casi in cui tali soggetti hanno l'obbligo di riferirne all'autorità giudiziaria,
sicché si deve ritenere che in simili eventualità la prevalenza riconosciuta a quest'ultimo obbligo,
funzionale alle esigenze della giustizia, ripristini sul loro capo gli ordinari doveri testimoniali.
Un aspetto peculiare della disciplina del segreto d'ufficio è rappresentato dalla prerogativa
riconosciuta agli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziari, a cui vengono accomunati gli
appartenenti ai servizi di sicurezza, di non rivelare i nomi dei propri informatori confidenziali senza
alcuna possibilità per il giudice di obbligarli a fornire le relative indicazioni articolo 203 cpp
comma I.

Segreto di stato art 202 cpp


Fermo restando l'obbligo di tali soggetti di astenersi dal deporre su fatti coperti dal segreto di Stato,
l'autorità giudiziaria ha l'obbligo di rivolgersi al presidente del Consiglio dei ministri al fine di
chiedere conferma della sua esistenza di quel segreto.
a. Qualora il presidente del Consiglio dei ministri neghi l'assistenza di un tale segreto o comunque
non ne dia conferma entro 30 giorni dalla notificazione della corrispondente richiesta, il
processo potrà proseguire.
b. Qualora entro 30 giorni la relativa conferma venga fornita all'autorità giudiziaria sarà vietata
l'acquisizione e l'utilizzazione anche indiretta delle notizie coperte dal segreto:

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- se il giudice reputi essenziale la conoscenza delle notizie così inibite alla sua sfera cognitiva
potrà soltanto dichiarare con sentenza ‘non doversi procedere per l'esistenza del segreto di
Stato’
- al di fuori di una simile eventualità , il processo potrà proseguire non essendo in ogni caso
precluso all'autorità giudiziaria di procedere in base a elementi autonomi indipendenti dagli
atti dei documenti e dalle cose coperte dal segreto di Stato.
Fra l’altro, a seguito della conferma della sussistenza del segreto di Stato da parte del presidente del
consiglio può essere sollevata ad opera dell'autorità giudiziaria un conflitto di attribuzioni di fronte
alla Corte costituzionale, alla quale in nessun caso il segreto di Stato sarà punibile. Qualora il
conflitto venga risolto nel senso dell'insussistenza del segreto si stabilisce che il presidente del
consiglio non possa più opporlo ‘con riferimento al medesimo oggetto’, sicchè il procedimento
proseguirà senza ulteriori intoppi; qualora invece il conflitto venga risolto in senso della sussistenza
del predetto segreto, si stabilisce che l'autorità giudiziaria non possa ‘nè acquisire né utilizzare
direttamente indirettamente’ gli atti e i documenti rispetto ai quali il medesimo segreto sia stato
opposto.

L'articolo 204 stabilisce che non possono venire opposti né il segreto d'ufficio né il segreto di Stato
su fatti, notizie e documenti concernenti reati diretti all’ eversione dell'ordinamento
costituzionale, nonché i delitti previsti dagli articoli 285 cp, 416 bis cp, 416 ter cp e 422 cp
riservando in caso di opposizioni al giudice il compito di definire la natura del reato.
1. testimonianza indiretta art 195 cpp
Da un lato, viene sancita l'inutilizzabilità della deposizione di chi non possa o non voglia indicare la
persona o la fonte da cui abbia preso la notizia al centro dell'esame testimoniale, art 195 comma 7.
Di qui deriva il tradizionale corollario rappresentato dal divieto di acquisizione e di impiego delle
notizie provenienti dagli informatori confidenziali dei quali gli organi di polizia e dei servizi
sicurezza non abbiano rivelato i nomi, essendo espressamente facoltizzati a tacerli anche di fronte al
giudice, art 203. Il tutto in applicazione del principio che vieta la testimonianza di provenienza
anonima.
Dall'altro lato, quando il testimone riferisca a fatti o circostanze la cui conoscenza dichiari di aver
appreso da persone diverse, quest'ultime non solo possono essere chiamate a deporre d'ufficio dal
giudice ma debbono comunque esserlo su richiesta di parti a pena di inutilizzabilità delle
dichiarazioni de relato, art 195 commi I e III, laddove tale richiesta venga disattesa, salvo che
l'esame il testimone direttamente a conoscenza dei fatti risulti impossibile. Per converso qualora
nessuna richiesta sia stata avanzata, al fine di ottenere l'esame del testimone ‘fonte’, le dichiarazioni
rese dal testimone indiretto saranno utilizzabili potendosi interpretare la mancanza di una tale
richiesta come una sorta di tacito consenso delle parti all'utilizzabilità del contenuto della
disposizione resa al testimone ‘per sentito dire’.
In questo quadro il quarto comma dell'articolo 195 aveva stabilito il divieto, nei confronti di
ufficiali e agenti di polizia giudiziaria virgola di deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite
da testimoni configurando così una deroga piuttosto rigida rispetto all'ordinaria disciplina della
testimonianza indiretta motivata dall'esigenza di garantire il principio di oralità della prova
privilegiando, quale mezzo di acquisizione di tali dichiarazioni, l'esame testimoniale dei loro autori,
il luogo di quello degli ufficiali ed agenti quelle stesse siano state rilasciate.
All'esigenza di assicurare sempre l'operatività di un controllo sulla fonte delle disposizioni di
seconda mano, oh ubbidisce anche la regola di esclusione della testimonianza di soggetti che
facciano riferimento a fatti conosciuti da persone titolari di un segreto professionale, di un segreto
di ufficio, del segreto di Stato, sempre che le medesime persone non abbiano deposto sugli stessi
fatti, non li abbiano altrimenti divulgati manifestando con ciò una scelta incompatibile con il
mantenimento del vincolo di segretezza. )

LEZIONE 11: 9 marzo.


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Segue.. le prove.

Esame dell’imputato nel proprio processo (artt. 208 e 209):


Affrontiamo ora un altro argomento che trova la sua disciplina nel codice quindi si tratta di una
prova tipica, basterò quindi seguire la disciplina del legislatore per poter ritenere eventualmente
provato il fatto oggetto della dichiarazione.
Dobbiamo anzitutto ricordare la differenza tra testimone e imputato. Gli obblighi del testimone
sono gli obblighi di presentarsi, di rispondere alle domande secondo verità, perché quest’ultimo è
un soggetto terzo che non ha una necessità difensiva, ma il testimone è un soggetto che ha delle
informazioni utili per la ricostruzione della vicenda. Se invece passiamo dalla figura del testimone,
alla figura dell’imputato la posizione cambia, si tratta del soggetto rispetto al quale è esercitata
azione penale quindi sono riconosciute tutte una serie di garanzie.
Come l’imputato può apportare il suo bagaglio conoscitivo nel processo? attraverso l’esame.
Proprio perché gli interessi sono diversi all’imputato si riconosce una disciplina diversa dal
testimone, prima di tutto l’imputato rende l’esame soltanto se vi consente l’imputato, quindi, non ha
l’obbligo di presentarsi; può chiedere o consentire l’esame e inoltre ha il diritto al silenzio; ma se
rifiuta di rispondere ne è fatta menzione nel verbale (art. 209 c.2 c.p.p.).
L’esame dell’imputato non è l’unica modalità con cui l’imputato può dire la sua versione al giudice
ma esistono anche le dichiarazioni spontanee → possibilità per l’imputato di poter rilasciare delle
dichiarazioni in qualunque momento del processo, si tratta però delle dichiarazioni che l’imputato
rilascia, e non sono risposte a un esame e contro esame ma sono soltanto dichiarazioni che hanno un
peso diverso dall’esame, il peso di queste dichiarazioni non è ampio ma questo non vuol dire che il
giudice non possa trarne elementi x la decisione ma di solito le dichiarazioni hanno una minima
valenza probatoria.
Se raffrontiamo l’esame dell’imputato con l’esame del testimone capiamo le differenze:
- imputato non ha obbligo di presentarsi, si tratta di una scelta dell’imputato, senza
l’imputato si procede comunque perché ci sarà il suo difensore → si procede “in assenza
dell’imputato”, l’imputato però poi potrà comparire in ogni momento,
- l’imputato ha diritto al silenzio, a non sottoporsi l’esame in totalità o a decidere a quali
domande rispondere, e non ha obbligo di rispondere secondo verità. In dottrina si è portato
avanti ‘il diritto alla menzogna’, sulla base del fatto che se il testimone dichiara il falso
compie reato, se l’imputato dichiara falso non compie reato. C’è questo riferimento se
rifiuta di rispondere” ne viene fatta menzione nel verbale”, e di questa menzione è difficile
trovarne il significato, cioè è possibile trarne degli elementi a carico dall’esercizio di un
diritto?

Esame di persona imputata in un procedimento connesso (art. 210):


Oltre all’imputato nel proprio processo, il codice poi considera altre due figure:
▪ l’imputato in un procedimento connesso (co imputato nel medesimo reato o imputato ex art.
12 c.1 lett. a (concorso nel reato o cooperazione fra di loro o se piu persone con condotte
indipendenti hanno determinato l’evento). E’ possibile che vi siano procedimenti distinti
con riferimento a imputati che hanno concorso tra di loro alla commissione del medesimo
fatto.
▪ Oppure abbiamo le ipotesi di connessione ex art. 12 c.1 lett. C (per eseguire o per
occultarne gli altri) o ex art. 371 c.2 lett. b che non ha reso dichiarazioni sul fatto altrui (art.
210 c.6 c.p.p.).
Questi NON possono essere considerati testimoni perché è vero che non sono imputati nel
medesimo procedimento, ma è anche vero che la posizione dell’imputato in quel procedimento
potrebbe avere delle influenze anche sulla responsabilità dell’imputato del procedimento connesso
perché magari si parla di concorso. Ecco perché quindi il codice individua una disciplina particolare
quando sono sentiti attraverso l’esame nel procedimento a carico dell’imputato principale.
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Ad esempio, tizio ha ammazzato caio, sempronio vuole aiutare tizio e nasconde il corpo di caio.
Quindi per tizio c’è il procedimento per omicidio, per sempronio c’è un procedimento per
occultamento di cadavere, si tratta di due procedimenti distinti, ma sono connessi ai sensi dell’art.
12 lettera c. Quando sempronio viene sentito nel procedimento a carico di tizio Sempronio potrebbe
avere interesse a non dire la verità, e se fosse obbligato sicuramente rilascerebbe dichiarazioni auto
incriminanti, per queste figure quindi il codice prevede:
-l’obbligo di presentarsi (art. 210 c.2 c.p.p.) (a differenza dell’imputato)
-sono assistiti dal difensore di fiducia o d’ufficio (art. 210 c.3 e art. 197 bis c.3 c.p.p.) (a differenza
del testimone)
-le loro dichiarazioni sono valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano
l’attendibilità (art. 192 c.3-4 e art. 197 bis c.6 c.p.p.)
- l’imputato ex art. 12 lettera a è avvisato che ha la facoltà di non rispondere (art. 210 c.4 c.p.p.);
invece l’imputato ex art. 12 c.1 lett. c o ex art. 371 c.2 lett. b che non ha reso dichiarazioni sul fatto
altrui è avvisato (art. 64 c.3 lett. c) che se renderà dichiarazioni su fatti altrui sarà testimone su tali
fatti, salvo le incompatibilità ex art. 197 c.p.p.).
Ratio → se fossero quindi obbligati a dire la verità verrebbe meno il diritto di autoincriminazione.

La testimonianza assistita (art. 197 bis):


questi imputati in un procedimento connesso sono quelli che l’art. 197 bis chiama ‘testimoni
assistiti’, perché sono dei testimoni che necessitano della presenza del difensore a differenza del
testimone normale che il difensore NON lo ha.
La disciplina dei testimoni assistiti:
• Art. 197 bis c.1 c.p.p.: Imputati in situazioni descritte dall’art. 197 lett. a e b dopo la
sentenza irrevocabile di proscioglimento, condanna o patteggiamento.
-non possono essere obbligati a deporre sui fatti per i quali sono stati condannati, se hanno negato la
propria responsabilità o non hanno reso alcuna dichiarazione,
-assistenza del difensore
-inutilizzabilità delle dichiarazioni autoincriminanti
-valutazione delle dichiarazioni unitamente agli altri elementi di prova (art. 192 c.3)
• Art. 197 bis c.2 c.p.p.: Imputati in un procedimento connesso ex art. 12 c.1 lett. c. o di un
reato collegato ex art. 371 c.2 lett b. e avvertiti ex art. 64 c.3 lett. c e dichiaranti sulla
responsabilità altrui.
-non possono essere obbligati a deporre sui fatti che concernono la propria responsabilità
-assistenza del difensore
-inutilizzabilità delle dichiarazioni autoincriminanti
-valutazione delle dichiarazioni unitamente agli altri elementi di prova (art. 192 c.3)

Che differenza c’è tra questi e gli imputati connessi? La differenza è che sono imputati nei quali è
già intervenuta una sentenza di condanna, quindi la loro posizione è già stata definita e non
rischierebbero di incorrere più in qualche tipo di responsabilità però è chiaro che questi soggetti
comunque non hanno la posizione del testimone puro e potrebbero avere qualche interesse.
Quando è intervenuta una sentenza irrevocabile verranno sentiti come testimoni assistiti, a
prescindere da qualunque tipo di sentenza, la ratio è che la loro posizione è già stata definita e non
incorrono in alcuni rischio ma potrebbero avere un interesse ed ecco il perché hanno un difensore e
le loro dichiarazioni sono gravate da una presunzione di inattendibilità e quindi per essere valutate
devono essere valutate come altri elementi di prova che dimostrano l’attendibilità di quelle
dichiarazioni.

Quando parliamo dell’esame delle parti/imputati, bisogna tenere conto che il codice all’art. 208
parla di esame delle parti, ciò vuol dire che anche la persona offesa/responsabile civile possono
essere sottoposti ad esame. E come si svolge questo esame?
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Si svolge secondo le regole delineate negli artt. 208 e 209 c.p.c., la regola è semplice:
l’esame è la sottoposizione del soggetto/imputato/parti alle domande di chi ha richiesto l’esame, se
è il PM sarà il PM che inizierà a effettuare delle domande e l’imputato vediamo come risponde.
Una volta esaurite le domande proposte dalla parte che ha chiesto l’esame, allora sarà il turno delle
altre parti. Quindi “esame in via diretta” (parte che ha chiesto l’esame) + “controesame”
(domande parte che NON ha chiesto l’esame).
Es: Poniamo che in un processo il PM chiede l’esame dell’imputato e inizia l’istruttoria
dibattimentale dopo che sono stati sentiti i testimoni si ha l’esame dell’imputato, il giudice chiede
se l’imputato si sottopone ad esame (consenso) in questo caso si sottopone e quindi il PM inizia a
fargli delle domande, dove l’imputato può decidere di rispondere a tutte o rifiutarsi di rispondere ad
alcune di esse. Quando termina l’esame da parte del PM a questo punto la parola passa alle altre
parti, nell’ordine: parte civile, resp. Civile, difensore imputato.
Ci sono poi delle regole su che tipo di domande devono essere proposte, quali domande sono
vietate.

Altro mezzo di prova è il confronto (artt. 211 e 212 c.p.p.):


Prova dichiarativa finalizzata a risolvere il contrasto tra dichiarazioni precedentemente rese nel
procedimento e formalizzate da soggetti diversi (testimoni, parti, imputato)
Poniamo che nel processo siano stati sentiti + imputati o + testimoni, il confronto può essere chiesto
quando questi soggetti hanno risposto in maniera diversa alle domande. Ecco la necessità di sentirli
insieme! La necessità di un confronto tra due soggetti che già hanno rilasciato delle dichiarazioni,
ma che contengono elementi divergenti è l’idea è quella di porli a confronto.
Ecco che il confronto si rivolge a persone già esaminate/interrogate quando vi è disaccordo tra esse
su fatti e circostanze importanti (art. 211 → presupposti del confronto)
Modalità → Conduzione del mezzo da parte del giudice:
• richiamo delle precedenti dichiarazioni
• richiesta di conferma o modifica alle parti
• invito alle contestazioni reciproche
C’è necessità di metterli a confronto perché i testimoni quando rilasciano le loro dichiarazioni le
rilasciano senza la presenza degli altri testimoni in aula, quindi i due testimoni non conoscono le
rispettive versioni e quindi facendoli partecipi delle rispettive versioni possono modificare o
continuare a confermare la loro idea.
Viene utilizzato spesso nel confronto tra consulente tecnico, che è il soggetto al quale il PM o
difensore affida la risoluzione di un quesito di natura tecnica (come si è svolto un
meccanismo/macchinario).

Altro mezzo di prova: Le ricognizioni (artt. 213-2137 c.p.p):


Oggetto: Prova finalizzata al riconoscimento di persone (artt. 213 e 214), cose (art. 215), voci,
suono o altro (art. 216)
Qui bisogna distinguere la ricognizione di persone, dalla ricognizione di cose. In cosa consiste?
La ricognizione è la possibilità di chiedere a chi deve eseguire questo riconoscimento se individua
nella ricognizione delle persone quella persona che ha visto sul luogo del fatto, se la riconosce tra
piu persone con caratteristiche simili e si chiede alla persona di indicare se riconosce tra quel
gruppo di persone quella che ha visto, e lo stesso per quanto riguarda la ricognizione di cose.
Modalità
Massima cautela volta ad assicurare la genuinità e l’affidabilità del risultato probatorio, ovvero del
riconoscimento:
• invito a fornire la descrizione preventiva
• dichiarazione circa l’eventuale precedente riconoscimento (anche fotografico) nel procedimento
• pluralità di persone o oggetti somiglianti da riconoscere
• eventuale protezione della persona chiamata alla ricognizione
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• verbalizzazione a pena di nullità delle risposte e delle modalità di svolgimento del mezzo
Spesso la ricognizione però viene superata perché si chiede al testimone di indicare se l’imputato è
il soggetto che ha visto.

Altro mezzo di prova è la perizia (artt. 220-232 c.p.p.):


quando il giudice ha necessità di acquisire dati o valutazioni che possono essere acquisite solo da
soggetti che hanno competenze tecniche, può utilizzare la perizia.
Oggetto:
Indagine o acquisizione di dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche,
scientifiche, artistiche:
• individuazione dell’antecedente ignoto di un fatto noto, attraverso l’impiego di leggi scientifiche
Si tratta di un mezzo di prova molto frequente perché il giudice NON può conoscere qualunque
disciplina che può essere utile per capire come si è svolto e perché un determinato fatto.
Qual è stata la causa che ha prodotto quell’inquinamento ambientale?
Qual è la modalità che è stata eseguita per fare …?
E’ necessario affidarlo ad una persona che ha le competenze necessarie per poter rispondere!
Quindi la perizia è la possibilità di affidare ad un soggetto terzo, dotato delle competenze
scientifiche necessarie un determinato quesito e oltre a quello fornirgli tutta la documentazione
necessaria per poter rispondere alla domanda. Spesso la perizia è accompagnata ad una relazione
peritale che il perito svolge per rispondere al quesito. Però formalmente il sapere del perito viene
acquisito attraverso l’esame del perito, quindi sempre attraverso la formulazione di domande.
E’ chiaro che se il quesito è particolarmente tecnico oltre alle risposte che il perito da durante
l’esame ci sarà spesso una relazione/consulenza che risponde al quesito con lo scritto. Però la prova
è l’esame del perito.
L’oggetto della perizia non può essere su qualunque argomento→ limiti della perizia:
• divieto di perizia criminologia sull’imputato (art. 220 c.2), cioè chiedere a qualuno di valutare la
capacità a delinquere dell’imputato
• divieto di ordine coattivo (art. 224 c.2) di misure che incidano sulla libertà personale (prelievi
corporali coattivi) questo ce lo dicono delle sentenze → C. Cost. 238/1996
Quando il giudice affida a un soggetto terzo la risoluzione di un quesito il codice lascia la
possibilità alle parti di nominare i consulenti di parte. Ma perché c’è questa necessità? Perché sono i
consulenti che hanno specifiche competenze a poter interagire con il perito durante i ‘lavori
peritali’, cioè il perito mentre fa le proprie indagini per poter risolvere quel quesito ha la possibilità
di interloquire con i consulenti delle parti per tenere in considerazione alcune osservazioni. Quindi
il codice prevede il contraddittorio: superata la concezione positivistica della scienza (infallibile,
completa e illimitata), che giustificava l’assunzione unilaterale della prova scientifica («prova del
giudice»), il codice prevede il contraddittorio sia nella fase delle operazioni peritali (partecipazione
dei consulenti tecnici) sia nella fase di formazione della prova (esame del perito)

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Altro mezzo di prova è l’esperimento giudiziale (artt. 218-219 c.p.p.):


quando occorre fare l’accertamento delle modalità di accadimento di un fatto attraverso la sua
«replica» sperimentale.
Ad esempio, nel processo a carico di stasi c’era l’imputato che diceva di aver sceso le scale dove ha
trovato la sua fidanzata in una pozza di sangue poi è risalito dalle scale ed è uscito dalla casa.
Questa modalità è stata ricostruita davanti al tribunale per verificare se quanto raccontato
dall’imputato potesse essere compatibile con le macchie di sangue poi trovate sulle scale. Questo
esperimento giudiziale come si è svolto? Il tribunale si è recato nella casa della vittima e con l’uso
di sostanze per sostituire il sangue era stata allestita la scena del delitto.
Anche qui la disciplina che si trova nell’art. 219 è per cercare di scadenzare tutto quello che è
necessario fare per rendere piu attendibile possibile questo tipo di esperimento.
Modalità→ Mezzo di prova diretto dal giudice che, con ordinanza:
• fissa le modalità di svolgimento (oggetto, tempo, luogo contenuti)
• designa eventualmente un esperto
• dispone la rilevazione fotografica o audiovisiva e la verbalizzazione dell’esperimento

Ultimo mezzo di prova è La prova documentale (artt. 234-243 c.p.p.):


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la particolarità del documento è quello di capire cosa si intende per prova documentale. Teniamo
conto che quando parliamo di documento parliamo di qualcosa che si è formato prima e al di fuori
del processo; quindi, il documento può essere la riproduzione di un fatto reso conoscibile mediante
parole immagini o suoni.
Il documento:
1. fatto rappresentato, una persona o una cosa; anche una dichiarazione (C. Cost. 142/1992)
2. rappresentazione: è la riproduzione di un fatto reso conoscibile mediante parole, immagini, suoni
3. incorporamento: è l’operazione mediante la quale la rappresentazione è fissata su di una base
materiale
4. base materiale: è l’oggetto fisico sul quale è incorporata la rappresentazione
Tutte queste caratteristiche intendono o un foglio, o una fotografia o qualunque oggetto che possa
rappresentare qualche cosa con la caratteristica che deve essere prodotta fuori dal processo.

Distinzione tra documento e documentazione:

Il codice prevede una disciplina particolare xc i documenti nei quali NON è possibile identificare
l’autore → documento anonimo:
1) Documento anonimo in quella parte di rappresentazione che non consiste in dichiarazioni
(es: filmati di luogo). In questo caso è anonimo in quanto non si sa chi è l’autore del filmato,
in questo caso il codice prevede la possibilità di utilizzarlo pur essendo anonimo. La cosa
importante perché sia utilizzabile è che il fatto non sia composto da dichiarazioni.
2) Il documento è anonimo in quella parte di rappresentazione che consiste in dichiarazioni
anonime (es. voce narrante che accompagna un filmato). Regola: la rappresentazione del
fatto NON è utilizzabile (le denunce anonime vengono cestinate). Vi sono poi alcune
eccezioni: La rappresentazione del fatto è utilizzabile:
• se il documento anonimo proviene comunque dall’imputato, e cioè è presentato dall’imputato
• se il documento anonimo è corpo del reato; ù
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E’ utilizzabile nel processo contro l’autore del reato (es.: contro l’autore della calunnia anonima)
Se non rientriamo in queste eccezioni il documento che contiene delle dichiarazioni di cui si ignora
l’autore non è utilizzabile.

Vi sono anche dei divieti all’acquisizione delle prove documentali → Non possono essere acquisiti
né utilizzati
• documenti contenenti informazioni sulle voci correnti nel pubblico o sulla moralità delle
parti (art. 234 c.3 )
• documenti contenenti dichiarazioni anonime (art. 240 c.1)
• documenti relativi a intercettazioni e a spionaggio illegali (da segretare e distruggere, previa
udienza: art. 240 c.2-6)
se dovessero essere introdotte sono sanzionate con l’inutilizzabilità!

L’uso dibattimentale degli atti di altri procedimenti penali (art. 238 c.p.p.):
Aspetto diverso della prova documentale sono i verbali di atti compiuti in un atto procedimento, è
stata inserita nella prova documentale perché si discute che possa essere inserito nel processo un
documento particolare che contiene atti compiuti in quel procedimento che possono essere utili e
utilizzabili anche nel procedimento per cui si procede.
La disciplina è nell’art. 238, questo documento contiene prove che si sono acquisite in altri
procedimenti, quindi quello che si acquisisce nel procedimento a quem sono verbali di prove
acquisiti nel procedimento a quo.
L’art. 238 prevede la possibilità che nel nostro procedimento a quem possano essere acquisiti
verbali di prove che si sono formati in un procedimento diverso. La ratio è che è inutile riprodurre
la prova in quel procedimento, ma è piu economico acquisire nuovamente quel verbale.
Non tutte le prove acquisite nel procedimento a quo possono essere acquisite nel procedimento a
quem ma solo se si tratta di prove assunte nell’incidente probatorio o nel dibattimento dell’altro
procedimento.
-Qui c’è una distinzione:

C’è questa particolarità perché stiamo pensando di poter utilizzare una prova che si è formata in un
altro procedimento e per poter essere utilizzata il difensore deve essere stato presente! Perché solo
così avrebbe potuto fare domande e partecipare alla formazione della prova e quindi è inutile
riprodurla nel nostro procedimento.
Se invece si tratta di dichiarazioni rese nelle indagini o nell’u.p. proprio perché non sono state
assunte con le garanzie queste sono utilizzabili solo se vi consente.
Vi è poi un’altra possibilità:
-Verbali di atti compiuti nel procedimento a quo nel momento in cui non sono più ripetibili nel
procedimento ad quem per cause originarie o sopravvenute, se imprevedibili → ecco che gli atti

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sono utilizzabili nel procedimento ad quem (art. 238 c.3 c.p.p.) senza quella distinzione sopra vista!
Perché comunque il testimone non può più essere sentito.

LEZIONE 12: 10 marzo.


Segue.. i mezzi di ricerca della prova.

Mezzi di prova:
• Strumenti idonei a fornire al giudice elementi conoscitivi direttamente utilizzabili ai fini
della decisione (testimonianza, esame delle parti, confronto, ricognizione, esperimento
giudiziale, perizia, prova documentale).
• diretti ad assicurare la formazione della prova in sede processuale
Mezzi di ricerca della prova:
• Strumenti funzionalmente diretti a permettere l’acquisizione di cose, tracce, notizie o
dichiarazioni idonei ad assumere rilevanza probatoria (ispezioni, perquisizioni, sequestri,
intercettazioni telefoniche). Non integrano di per sé una fonte del convincimento giudiziale
• diretti a propiziare l’acquisizione al processo (per lo più atti a sorpresa) di elementi
probatori in vario modo precostituiti.
Ad esempio, nel caso di perquisizione si vuole trovare elementi che si sono formati in quel
momento e che possono essere utili per il processo e quindi per individuare la responsabilità penale
o meno quindi questi mezzi non integrano una fonte del convincimento del giudice come potrebbe
essere la testimonianza o la perizia, ma sono strumenti volti ad assicurare nel processo elementi utili
per il convincimento del giudice.
Quando parliamo di ispezioni e perquisizioni bisogna far riferimento a 2 principi costituzionali:
1) art. 13: libertà personale inviolabile
2) art. 14: libertà del domicilio e la segretezza di quello che avviene nel domicilio
sono due articoli importanti perché ispezioni e perquisizioni sono particolarmente invasivi, e quindi
violano la libertà intesa in senso ampio. Ad esempio, nel caso di intercettazione telefonica si entra
nell’intimità e si registrano le informazioni in questo modo, la corrispondenza.
Perciò bisogna iniziare a trattare l’art. 13 e l’art. 14.
Si tratta di due principi costituzionali importanti:
→ l’art. 13.
1 comma) che la libertà personale è inviolabile, quindi è un bene così importante che non può
essere soggetto a limitazioni.
2 comma) non è ammessa alcuna forma di detenzione/ispezione/perquisizione personale ne
qualsiasi altra restrizione della libertà personale se non con un atto motivato dall’autorità giudiziaria
e nei casi e nei modi previsti dalla legge. Quindi questo principio in realtà va collocato all’interno di
due condizioni, cioè la libertà personale è violabile se non c’è un provvedimento motivato
dell’autorità giudiziari (Pm e giudice) + non è sufficiente che ci sia questo provvedimento ma si
deve collocare nei modi e nei casi previsti dalla legge (principio di tassatività e legalità), e solo se si
rientra in questi casi il PM o giudice possono entrare nel nostro domicilio, perquisire la casa.
3 comma) In casi eccezionali dice il 3 comma di necessità e urgenza (quando la costituzione si
esprime così significa che deve essere motivato che si rientra in questi casi che non sono
discrezionali ma indicati dalla legge) la libertà personale può essere limitata anche dall’autorità di
pubblica sicurezza con provvedimenti provvisori che devono essere comunicati entro 48h
all’autorità giudiziaria e quest’ultima deve verificare se la pubblica sicurezza rientrava nei casi
eccezionali previsti dalla legge, se vi si rientra l’autorità giudiziaria emetterà entro 48 ore un
provvedimento non più con quella efficacia provvisoria che è solo tipica dell’autorità di pubblica
sicurezza →es: polizia che ci arresta.
4 comma) È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di
libertà.

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5 comma) La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva.


→ Art. 14:
1 comma) Il domicilio è inviolabile.
2 comma) Non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi e modi
stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale.
3 comma) Gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità e di incolumità pubblica o a fini
economici e fiscali sono regolati da leggi speciali.
Quindi si ha un rinvio alla modalità previste dalla libertà personale e un richiamo al principio di
tassatività e legalità anche in questo caso.

Poi per quanto riguarda la disciplina delle ispezioni e perquisizioni è molto semplice:

L’ispezione è un atto a sorpresa e come tutti il difensore ha diritto di assistere ma non di essere
avvisato quindi il difensore partecipa se una volta iniziata l’ispezione è prontamente reperibile
questo vuol dire che l’ispezione può comunque essere eseguita anche se il soggetto non ha
nominato un difensore. A differenza degli atti ‘garantiti’, che sono quegli atti che non possono
essere eseguiti se non alla presenza del difensore. Nell’interrogatorio il difensore ha diritto di
assistere e di essere previamente avvisato, quindi non solo presenza necessaria ma anche previo
avvertimento, a differenza degli atti a sorpresa dove il difensore ha diritto di assistere ma non di
essere preventivamente avvisato! La ratio è di avere una finalità di trovare/verificare se nella
casa/corpo della persona ci sono tracce o effetti materiali del reato.
Possiamo poi anche inserire le perquisizioni che sono strumenti dirette a ricercare delle cose
specifiche:

Nella perquisizione è prevista anche l’iniziativa dell’autorità giudiziaria e la disciplina è quella che
abbiamo visto nell’art. 13 cost, perché in casi di necessità e urgenza opera la polizia giudiziaria che
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nelle 48h deve comunicare i fini della convalida e anche in questo caso abbiamo il diritto di
assistenza del difensore senza avviso.
La perquisizione è molto invasiva, spesso avviene alle 7 di mattina.

Tipi di sequestro:
Entrambi questi mezzi di ricerca della prova sono volti ad accertare se nel luogo o sulla persona vi
sono tracce materiali del reato, una volta trovate cosa si può fare di queste cose?
Di questo corpo del reato poi cosa succede?
Succede che il codice prevede la possibilità di creare un vincolo di indisponibilità su quella cosa ma
come si fa?
Attraverso quel vincolo il soggetto non può disporne perché al cosa viene “sequestrata”, allora il
codice prevede il sequestro probatorio, che è un mezzo di ricerca della prova e che è volto a porre
questo vincolo di indisponibilità sul corpo del reato e le cose pertinenti al reato (art. 253 c.p.p).
Cosa si intende per corpo del reato? Lo dice il 2 comma dell’art. 253, le cose cioè sulle quali o
mediante le quali il reato è stato commesso, nonché le cose che costituiscono il prodotto, profitto o
prezzo.
Il sequestro probatorio è il sequestro mezzo di ricerca della prova, queste cose vengono sequestrate
perchè sono utili dal punto di vista probatorio, ecco perché la disciplina la si trova nel libro III del
codice. Anche qui l’autorità giudiziaria dispone con decreto motivato, e il sequestro può essere
effettuato solo sul corpo del reato e le cose pertinenti al reato necessarie per l’accertamento dei fatti
rientranti nel capo di imputazione, oggetto di prova sono solo quelli che rientrano nell’art. 187
quindi queste cose pertinenti al reato devono essere necessarie per l’accertamento di QUEI fatti e
non dei fatti in generale!
Ma ci sono anche altre due tipologie di sequestro che rispondono a finalità completamente diverse
rispetto al sequestro probatorio, trovano infatti una disciplina nel libro delle misure cautelari.

L’ultimo mezzo di ricerca della prova sono le intercettazioni telefoniche:


anzitutto non riguardano soltanto conversazioni telefoniche quindi cominciamo a parlare di
intercettazioni di comunicazione, perché in realtà ciò che è disciplinato dal codice è la possibilità di
captare le comunicazioni. Che poi questa possa avvenire tramite telefono o possa essere una
conversazione detta in aula o fuori poco importa l’importante è che sia la comunicazione.
-Quindi anzitutto questa comunicazione deve, per essere definita intercettazione, captata attraverso
uno strumento → apprensione effettuata mediante strumenti tecnici di percezione
(strumentazione). Quindi non possono essere intercettazioni le comunicazioni che acquisiamo
ascoltando con l’udito.
-E poi l’altra caratteristica è che la comunicazione aveva la finalità di rimanere segreta, cioè si va a
captare il contenuto di una conversazione o di una comunicazione segreta in corso tra due o più
persone (segretezza). Quindi se captiamo la conversazione di due persone anche con una

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strumentazione che stanno urlando in una stanza, o nel parco quella NON rientra
nell’intercettazione perché mancherebbe la segretezza.
-Poi c’è la terzietà cioè chi capta con uno strumento una conversazione che doveva rimanere segreta
non deve essere uno dei due interlocutori → quando l'apprensione è operata da parte di un soggetto
che è estraneo al colloquio e che nasconde la sua presenza (terzietà e clandestinità). Ad esempio,
non è intercettazione se il soggetto che registra non è terzo, bensì e l’interlocutore o è comunque
una persona ammessa ad assistere al colloquio
Quindi quando parliamo di questa disciplina anzitutto bisogna verificare se ci troviamo di fronte a
questa situazione che è caratterizzata dalla strumentazione + segretezza + terzietà.
→ Se ha queste caratteristiche rientriamo nella disciplina prevista dagli artt. 266 ss.
→ Se invece si tratta di una conversazione registrata da un soggetto non terzo la disciplina è quella
del documento prevista all’art. 234, infatti il documento contiene una conversazione all’interno di
un contenitore.

Ma proprio perché rientriamo in mezzo di ricerca della prova che sono molto invasivi i riferimenti
sono sempre al principio della inviolabilità della libertà personale, anche la segretezza delle
comunicazioni fa parte della nostra libertà e quindi c’è una disciplina specifica.
Le intercettazioni sono utilizzate spesso nelle indagini, ecco che quindi l’intercettazione entra nelle
nostre vite e capta le nostre conversazioni in maniera molto grossolana perché non seleziona ciò che
è rilevante e no ma registra e quindi è molto invasiva.
Con la riforma orlando è stato introdotto quello che viene chiamato il ‘captatore informatico’, un
virus che si riceve attraverso un messaggio/mail che permette al virus di entrare nel cellulare e ha la
possibilità di fare tutto, attivare il microfono e intercettare, attivare la telecamera e registrare quello
che si sta facendo, azionare la geo localizzazione e entrare nei file/messaggi. Questo è un mezzo
ancora più invasivo che quindi ha una sua disciplina specifica; infatti, si applica solo per
determinati reati gravi.

Le intercettazioni: natura
L’art. 267 fa riferimento a specifici limiti di ammissibilità, quindi ci sono dei presupposti (267.1):
1) si procede in relazione alle fattispecie previste dall'art. 266 al momento della richiesta,
all’art. 266 si ha una lista dei delitti in presenza dei quali è possibile per il PM chiedere al
giudice l’autorizzazione a procedere con questo mezzo di ricerca della prova e questa
autorizzazione potrà essere rilasciata solo se ci sono i presupposti: che si proceda contro i
reati dell’art. 266 (es: reati di ingiuria, minaccia, reati di stupefacenti, reati di violenza
sessuale) ma non è sufficiente che l’indagine abbia come fattispecie quelle rientranti nell’art.
266 ma è necessaria anche:
2) sussistenza di gravi indizi di reato, sappiamo già cosa significa indizi e gravi, ma dobbiamo
capire cosa si intende per reato. Vuol dire che vi sono elementi concordanti, non prove, di
una certa gravità e non suscettibili di letture diverse in grado di dimostrare che è stato
commesso probabilmente un reato a prescindere dal soggetto che lo ha commesso. Quindi i
gravi indizi fanno riferimento ad un reato; quando parleremo invece di misure cautelari
allora i gravi indizi avranno come riferimento il soggetto, cioè che quel soggetto abbia
commesso un fatto suscettibile di rilevanza penale.
3) Siccome poi l’intercettazione è così invasiva bisogna che l'intercettazione risulta
assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini, cosa vuol dire? Vuol
dire che il PM che richiede al giudice l’autorizzazione a intercettare delle utenze telefoniche
deve portare elementi volti a dimostrare che non sono sufficienti gli altri strumenti di ricerca
della prova che il codice da a disposizione, cioè con l’intercettazione si va a carpire qualcosa
che non può essere appreso se non attraverso QUESTO mezzo di ricerca della prova. Il
codice qui dice ‘assolutamente indispensabile’ quindi questo onere di motivazione per il PM
è molto pesante. Nella prassi in realtà l’intercettazione viene sempre autorizzata.
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Ma perché è logico che vi debbano essere gravi indizi di reato? Perchè spesso viene utilizzata per
cercare il soggetto che deve essere iscritto nel registro degli indagati.

Qual è il procedimento applicativo ordinario di un intercettazione telefonica? (domanda d’esame)


1) E’ sempre il Pm che può chiedere al giudice per le indagini preliminari di disporre
l'intercettazione (art 267.1), questa richiesta è un atto che deve contenere i presupposti
indicati prima perché il giudice deve essere convinto che siamo di fronte a quei presupposti
altrimenti non potrebbe autorizzare.
2) Se il giudice è convinto della presenza di questi presupposti emette decreto motivato (art.
267.1), questo provvedimento dell’autorità giudiziaria è un’autorizzazione motivata e la
forma è quella del decreto. Questo decreto motivato deve dare conto di aver valutati gli
elementi inseriti nella richiesta del PM, verificare se siamo all’interno dell’art. 266 come
fattispecie di reato, verificare se gli elementi sono gravi indizi di reato e se non sono
sufficienti gli altri strumenti di indagine.
3) A questo punto il PM emette decreto motivato con il quale dispone in concreto
l'esecuzione delle operazioni di ascolto e delega un ufficiale di polizia giudiziaria; il decreto
è inserito nel registro riservato (art. 267.3). E’ necessario questo decreto perché con questo il
PM deve indicare quali sono le utenze che devono essere intercettate, qual è il periodo di
intercettazione. Per poter intercettare è necessario utilizzare soltanto determinati strumenti,
impianti che di solito sono previsti all’interno di ogni procura della repubblica, c’è una
stanza dove ci sono tutti questi impianti Se gli impianti installati nella procura risultano
insufficienti o inidonei e sussistono eccezionali ragioni di urgenza il pubblico ministero con
decreto motivato dispone il compimento delle operazioni mediante altri impianti (art.
268.3).

Procedimento applicativo urgente (267.2):


in questo caso a procedere non è la polizia ma è il PM che procede IN ASSENZA di una formale
autorizzazione del giudice, ma siamo comunque dentro il dettato costituzionale che parla di
‘autorità giudiziaria’ in cui rientra anche il PM. Quindi nei casi di urgenza:
1) il pubblico ministero dispone l'intercettazione con decreto motivato che deve essere comunicato
al giudice immediatamente e comunque non oltre le ventiquattro ore.
2) il giudice entro le quarantotto ore successive convalida con decreto motivato il decreto del
pubblico ministero.
Ma cosa succede quando il giudice NON dovesse convalidare il decreto motivato del PM?
Le intercettazioni captate in presenza di un provvedimento non convalidato dal giudice NON
potranno essere utilizzate.

Ma cosa succede una volta che queste comunicazioni sono state registrate e ascoltate dalla polizia
giudiziaria o dal PM? Questa disciplina è stata riformata nel 2017 dalla riforma orlando, e questa
riforma risponde ad una particolare esigenza → tutelare comunque il segreto di queste
comunicazioni. Bisogna quindi creare dei presidi volti a limitare la possibilità che intercettazioni
che non riguardano il procedimento possano essere conosciute!
L’intercettazione non riesce a selezionare soltanto la conversazione che potrebbe essere utile dal
punto di vista probatorio, insieme a quella ce ne sono altre che non hanno alcuna attinenza e quindi
non possono essere oggetto di prova e quindi che finne fanno? Devono essere distrutte. Quindi si
prevedono una serie di scansioni per evitare che queste conversazioni possano uscire dal segreto
delle indagini e quelle che nulla hanno a che fare con le indagini.
Il PM quindi deve fare una selezione tra conversazioni rilevanti e quelle che nulla hanno a che fare
con l’imputazione e che devono essere distrutte.
Il codice prevede quindi che si instauri un contraddittorio per capire se quelle conversazioni ritenute
rilevanti dal PM sono veramente rilevanti.
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Una volta che si è stabilito quali comunicazioni potranno essere acquisite, la prova non saranno le
bobine, ma la prova sarà invece acquisibile attraverso le forme e le garanzie della perizia.

Le intercettazioni: utilizzazione in altri procedimenti (art. 270) legge 28 febbraio 2020, n. 7


Un ultima annotazione sulle intercettazioni è l’art. 270 che risponde alla domanda:
ma le comunicazioni intercettate all’interno di un indagine di un determinato procedimento una
volta che sono state captate se utili possono essere utilizzate in un altro procedimento dove non c’è
stato questo processo di autorizzazione?
“I risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei
quali sono stati disposti, salvo che risultino rilevanti e indispensabili per l’accertamento dei delitti
per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza e dei reati di cui all’art. 266 comma 1 (270, c.1)”
Quindi è possibile utilizzare i risultati in un altro procedimento se si riesce a dimostrare che sono
rilevanti e indispensabili e se si procede per delitti per cui è previsto l’arresto obbligatorio in
flagranza e sono quelli elencati dall’art. 380. L’art. 380 fa una lista di delitti per i quali la polizia
giudiziaria può arrestare il soggetto se colto in flagranza di reato e se si tratta di reati per cui sarebbe
stato possibile chiedere l’intercettazione telefonica perché rientranti nell’art. 266 1 comma.

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LEZIONE 13: 28 Marzo.


Misure cautelari.

Oggi iniziamo a parlare del libro IV, quindi ci stiamo avvicinando alla “parte dinamica” del codice.
Quando parliamo del libro IV e quindi delle misure cautelari, parliamo di strumenti a disposizione
soltanto dell’autoritá giudiziaria e quindi sul piano dell’iniziativa dobbiamo ricordare che questi
strumenti che limitano la libertà personale (vedi art. 13 Cost.), devono essere disciplinati in modo
molto rigido e in modo da poter utilizzare questi strumenti solo in ipotesi eccezionali, nei casi e nei
modi previsti dalla legge. Vige il principio di tassatività.
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Il Libro IV si divide in due titoli: il primo é relativo alle c.d. “misure cautelari personali” che
creano un vincolo sulla nostra libertá, il titolo secondo invece distingue “misure cautelari reali”
che creano un vincolo di indisponibilità sulla cosa di cui disponiamo, in modo da impedire che
possiamo disporne.
Misure precautelari: sono qualcosa di antecedente e non trovano collocazione in questo libro
perché rispondono a necessitá diverse → arresto in flagranza e al fermo (libro V) e
accompagnamento coattivo (libro V).

Le misure personali si distinguono poi in misure coercitive e a loro volta si distinguono in misure
obbligatorie e custodiali. Noi parleremo soprattutto delle personali coercitive custodiali.
Le obbligatorie sono sicuramente meno inflittive, come ad esempio “il divieto di espatrio”, “obbligo
di presentarsi alla polizia”, “divieto ed obbligo di dimora”, “divieto di avvicinamento ai luoghi
frequentati dalla persona offesa”.
Poi altre misure personali sono quelle interdittive tipo “sospensione dall’esercizio della potestá
genitoriale”, “divieto temporaneo di esercitare determinate attivitá” --> non le studieremo nel
dettaglio.

Le misure cautelari limitano la libertá personali, e dunque dobbiamo chiaramente riferirci all’art. 13
Cost:
comma 2: Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né
qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'Autoritá giudiziaria
e nei soli casi e modi previsti dalla legge.
Principio di tassatività, di legalità, riserva di giurisdizione, la possibilitá in casi di urgenza e
necessitá (indicati tassativamente dalla legge) che la libertá venga ristretta da autoritá di pubblica
sicurezza (polizia, che ci porta in caserma) con comunicazione entro 48 all’autoritá giudiziaria e
convalida entro altre 48 ore. Vi sará perdita di efficacia immediata del provvedimento di restrizione
della libertá se non vi fosse convalida da parte dell’autoritá giudiziaria.

La motivazione del provvedimento deve dare conto del fatto che rientriamo nei casi e nei modi
previsti dalla legge. Art. 13 Cost. non é il solo articolo della costituzione che ha rilevanza in questo
ambito, nella slide sopra vediamo altri articoli importanti.
(per i primi due articoli prof ha ripetuto quello che c’é scritto nella slide).

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Art. 68 --> serve un’autorizzazione a procedere per l’arresto di queste persone.


Art. 111 é l’unico articolo della costituzione che parla di impugnazione e dice che é SEMPRE
previsto ricorso x cassazione contro i provvedimenti in materia di libertá personale.
Il codice ha dunque dato attuazione a legalità, tassatività, giurisdizionalitá, e sistema dei controlli
(possibilitá di impugnare il provvedimento davanti alla cassazione). Ora vediamo come é stata
effettuata questa attuazione.

Tassatività (casi e modi previsti dalla legge): art. 272 cpp. Questa disposizione ci dice che le
libertá della persona possono essere limitate con misure cautelari SOLTANTO A NORMA DELLE
DISPOSIZIONI del presente titolo.
Art. 279 cpp ci dice poi qual é il giudice competente: Sull'applicazione e sulla revoca delle misure
nonché sulle modifiche delle loro modalità esecutive, provvede il giudice che procede. Prima
dell'esercizio dell'azione penale provvede il giudice per le indagini preliminari.
La norma fa una scelta molto semplice: il giudice competente é quello “che procede” e quindi per
individuare il giudice dobbiamo capire la fase in cui ci troviamo: cioè prima dell’esercizio
dell’azione penale, é il gip.

Il codice dice poi quali sono i presupposti per l’applicazione di una misura cautelare --> art. 273
cpp “condizioni generali di applicabilità”:

Art. 273 é da imparare a memoria, anche dal punto di vista della esposizione.
Comma 1: nessuno puó essere sottoposto a misura cautelare se a suo carico non esistono gravi
indizi di colpevolezza. Ricorda distinzione con gravi indizi di reità: che un reato sia stato commesso.
Di colpevolezza significa non solo che sia stato commesso un reato ma che sia anche possibile
ricollegarlo a un determinato soggetto.
Comma 1-bis: nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza si applicano art. 192 comi 3 e 4,
art. 195 comma 7, 203 e 271 comma 1. Sono regole di valutazioni previste all’interno del codice,
che in teoria sono previste per le prove, ma il comma 1-bis ci dice che possiamo utilizzarle anche
per valutare la sussistenza o meno di gravi indizi di colpevolezza.

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Comma 2: non puó essere applicata una misura cautelare se risulta che il fatto é stato compiuto in
presenza di una causa di giustificazione o di non punibilità (273 c.2), oppure se sussiste una causa
di estinzione del reato o della pena che si ritiene possa essere irrogata, oppure ancora se il giudice
ritiene che possa essere concessa la sospensione condizionale della pena.
Attenzione: questo NON ci deve far pensare che la misura cautelare é, comunque, una forma
anticipata di esecuzione della pena. É anche vero peró che il soggetto che é stato in carcere con
misura cautelare, sconterà dalla pena i giorni giá svolti.

Oltre all’art. 273 cpp, dobbiamo poi tenere presente anche l’art. 280 e 287 cpp. Il primo ci dice che
non per tutti i reati per cui si procede é possibile applicare la misura cautelare. Le misure previste
nel titolo IV possono essere applicate solo quando si procede per alcuni delitti, cioè quelli per cui é
stabilita la pena dell’ergastolo o pena avente massimo edittale superiore a 3 anni.
Per la custodia cautelare poi é stabilito limite piú alto: reclusione non inferiore a 5 anni e delitto di
finanziamento illecito dei partiti.

L’applicazione delle misure di cautelari deve inoltre SEMPRE rispondere ad una di queste finalitá,
queste “esigenze cautelari” ex. art. 274 cpp (DA SAPERE A MEMORIA):
1. pericolo di inquinamento della prova (lett. A):
2. pericolo di fuga (lett. B):
3. pericolo che l’imputato commetta determinati delitti (lett. C):
Vediamole piú nel dettaglio…

1.Le misure cautelari sono disposte:


a) quando sussistono specifiche ed inderogabili esigenze attinenti alle indagini relative ai fatti per i
quali si procede, in relazione a situazioni di concreto ed attuale pericolo per l'acquisizione o la
genuinità della prova, fondate su circostanze di fatto espressamente indicate nel provvedimento a
pena di nullità rilevabile anche d’ufficio. Le situazioni di concreto ed attuale pericolo non possono
essere individuate nel rifiuto della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato di rendere
dichiarazioni ne` nella mancata ammissione degli addebiti.
Il PM é in grado di dimostrare la probabilità che se lasciato libero, l’imputato potrebbe inquinare le
prove. Ad esempio, io PM sto indagando e sto cercando l’arma del delitto, se l’imputato resta a
piede libero, sussiste il rischio che questo possa nascondere l’arma. O se in un procedimento per
bancarotta fraudolenta lascio l’imprenditore libero di continuare a lavorare, corro il rischio che
questo possa modificare o far sparire qualche documento…quindi potrei chiedere la misura
cautelare. MA: non é troppo generico cosí? Non c’é sempre questo pericolo allora? L’esigenza
cautelare é l’inquinamento delle prove ma sussiste solo quando “sussistono SPECIFICHE E
INDEROGABILI ESIGENZE attinenti alle indagini relative a QUEI fatti per i quali si procede, in
relazione a situazioni di CONCRETO E ATTUALE PERICOLO, per l’acquisizione o la genuinità
della prova.
Ma NB: le situazioni di concreto e attuale pericolo non possono essere individuate nel rifiuto da
parte dell’dell’indagato o imputato a rendere dichiarazioni, né nella mancata ammissione degli
addebiti --> diritto al silenzio!!! Quindi:
• sussistenza di «specifiche ed inderogabili» esigenze attinenti alle indagini
• fondate su «circostanze di fatto espressamente indicate nel provvedimento a pena di nullità
rilevabile anche d’ufficio» [C. 9.11.93, Iannaccone]
• preciso intento di escludere qualunque possibilità di impiego delle misure cautelari allo scopo di
assicurare il «compimento di atti determinati», per i quali non si possa prescindere dalla presenza
dell’imputato
• il pericolo non può essere desunto dal silenzio dell’indagato.

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b) quando l'imputato si è dato alla fuga o sussiste concreto pericolo che egli si dia alla fuga,
sempre che il giudice ritenga che possa essere irrogata una pena superiore a due anni di
reclusione;
Fuga intesa come magari andare in un paese in cui non é prevista estradizione x quel delitto…
Concreto = segnali oggettivi, reali, che il soggetto si stia organizzando per andarsene, per rendersi
irreperibile.
Attuale = il pericolo di fuga deve essere supportato anche da elementi che il soggetto abbia la
possibilitá di darsi alla fuga (contatti, soldi, ecc…).

c) quando, per specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità della persona
sottoposta alle indagini o dell'imputato, desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi
precedenti penali, sussiste il concreto pericolo che questi commetta gravi delitti con uso di armi o
di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l'ordine costituzionale ovvero delitti di
criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede. Se il pericolo riguarda la
commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia
cautelare sono disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione
non inferiore nel massimo a quattro anni.
Cosa si intende quindi per pericolo di reiterazione del reato della stessa specie per cui si procede?
Prevenzione della commissione di delitti…
• gravi (armi, violenza personali, eversivi dell’ordine costituzionale,
criminalità organizzata)
• della stessa specie di quelli per cui si procede (reclusione
superiore a quattro anni)
Concreta e attuale prognosi di commissione [C. VI 15.2.91, Crippa] non desumibile solo dalla
gravità dell’addebito o dalla struttura del reato, fondata su:
• specifiche modalità e circostanze del fatto contestato [C. VI 30.10.98, Mocci]
• personalità dell’imputato (indagato) desunta da atti diversi da quello contestato [C. VI 7.5.96,
Paglia]
• struttura del reato: il reato permanente o continuato non giustifica di per sé il pericolo

Le «situazioni di concreto ed attuale pericolo» non possono essere individuate nel rifiuto della
persona sottoposta alle indagini o dell’imputato di rendere dichiarazioni né nella mancata
ammissione degli addebiti.
Illegittimità in qualsiasi provvedimento di adozione, o di mantenimento, delle misure cautelari che
risulti esclusivamente finalizzato a conseguire la confessione dell’imputato.

NB: tutte queste esigenze cautelari non devono concorrere tutte insieme…é sufficiente che ce ne sia
una.
Domanda d’esame: mi parli dei presupposti --> risposta sia il 273, sia il 274.

Ma queste misure cautelari, siccome sono tanti, come si applicano? Cioè come faccio a preferire
una piuttosto che un’altra? Risposta nel 275 cpp, norma che si rivolge al giudice, che dovrà infatti
in ultima istanza decidere quale sia, tra tutte le misure, la piú idonea. Nei suoi commi, l’articolo
parla di principio di adeguatezza, bisogna cioè scegliere la misura + adeguata per QUELLA
specifica esigenza cautelare. POI rispetto del principio di proporzionalitá: una misura
proporzionata, a livello afflittivo, alla gravità del reato. E poi, infine il principio di gradualità: cioè
le misure cautelari coercitive sono disposte secondo un regime di gradualità per quanto riguarda il
carattere afflittivo. Secondo quest’ultimo principio, la custodia in carcere é la extrema ratio!!!
Perché altrimenti va scelta la misura meno afflittiva, adeguata a quella esigenza e proporzionata
rispetto alla gravità del reato. Esempio: se vi é solo il pericolo di fuga, allora perché non applicare
solo il divieto di espatrio? Oppure l’obbligo di firma (quello di recarsi tutte le sere dai carabinieri e
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dire “io ci sono”? queste sono le misure piú adeguate e graduali, non avrebbe senso sbattere in
carcere il soggetto, in presenza di questa esigenza cautelare. Altro modo sono gli arresti domiciliari:
la persona non puó usare né cell, né internet, né la tele, e non puó stare con nessuno.
La custodia cautelare viene molto spesso usata anche quando altre misure potrebbero ben essere
applicate, perché costa meno, é piú semplice…la persona é introdotta in carcere e lì sta. Se
pensiamo agli arresti domiciliari, questi sono complicati: chi controlla se in quella casa entrano altri
soggetti? O che l’imputato non esca di casa? O che il soggetto non telefoni? Ci deve essere un
(costoso) sistema di sorveglianza…

Ci sono delitti in cui giá il legislatore ritiene che la misura perfetta sia la custodia cautelare…sono
delle presunzioni che possono essere superate dalla prova contraria, ma altrimenti il legislatore giá
valuta come adeguata solo questa misura cautelare:
2.1. Per i delitti di mafia e assimilati, la presunzione di adeguatezza è ASSOLUTA, nel senso che
non può essere superata neppure se è provato che le esigenze cautelari risultano attenuate: non è
mai applicabile l'arresto domiciliare o una misura cautelare non custodiale. C. Cost n. 265 del
2010: in base a regole di esperienza ampiamente condivise, è corretto ritenere che in relazione alla
forza intimidatrice della mafia risulti adeguata soltanto la custodia in carcere.
2.2. Per altri delitti gravi, la Corte Cost. con varie sentenze ha sancito che non è ammissibile una
presunzione assoluta. La presunzione di adeguatezza è RELATIVA: può essere superata se è
provato che le esigenze cautelari risultano attenuate. In tal caso, è applicabile l'arresto domiciliare
o una misura cautelare non custodiale.

Art. 277 cpp: 1. Le modalità di esecuzione delle misure devono salvaguardare i diritti della persona
ad esse sottoposta, il cui esercizio non sia incompatibile con le esigenze cautelari del caso concreto.
É un canone di “civiltà” giuridica…l’idea é quella per cui la restrizione della libertá deve poter il
piú possibile comunque salvaguardare tutti gli altri diritti che non siano quelli della libertà.
É riferibile anche ai detenuti:
• concreta applicazione del principio sancito dall’art. 1 comma 3 ord. penit.
• deve raccordarsi con l’art. 285 comma 2 c.p.p. stando alla quale la persona sottoposta a custodia
carceraria «non può subire limitazioni della libertà» prima del trasferimento in istituto, se non «per
il tempo e con le modalità strettamente necessarie alla sua traduzione».

Art. 278 cpp:

LEZIONE 14: 1 aprile.


Segue.. Misure cautelari.

Il procedimento applicativo della misura cautelare personale:

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titolare dell’azione cautelare è soltanto il PM, quindi il giudice se non in casi eccezionali non
potrebbe applicare una misura cautelare ex officio.
Quindi dobbiamo aggiungere che il PM è titolare non solo dell’azione penale ma anche dell’azione
cautelare, è uno strumento a disposizione solo dell’autorità giudiziaria ed è uno strumento molto
potente e che non è a disposizione del difensore sempre per la caratteristica pubblicistica del PM,
che vero è parte ma è una parte pubblica.
Quando il PM può chiederlo?
Durante le indagini, una volta che le indagini si sono concluse non c’è più l’esigenza che il soggetto
scappi, sicuramente può succedere anche nel corso del giudizio e non è preclusa la possibilità al PM
di chiedere l’applicazione della misura durante il giudizio. Ecco allora che il giudice competente è il
giudice che procede, e con questa locuzione si individua il giudice della fase nella quale la richiesta
viene effettuata, quindi il GIP ma anche il giudice del dibattimento. E l’articolo che individua la
competenza del giudice sancisce che è competente il giudice per le indagini preliminari (art. 279).
Quindi una volta individuato il giudice vediamo i passaggi che il PM deve compiere:
Il pubblico ministero chiede al giudice una misura cautelare e questa richiesta deve contenere tutto
ciò che è necessario x dimostrare la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura e
quindi deve presentare:
a) gli elementi a carico (sui quali la misura si fonda),
b) gli elementi a favore (tutti, anche le eventuali «deduzioni e memorie difensive già depositate»,
abbiamo detto che la difesa partecipa quando il PM deve compiere un atto di indagine garantito, ma
la misura cautelare potrebbe arrivare anche senza aver mai coinvolto la partecipazione della persona
indagata e quindi la persona potrebbe non sapere di essere indagata e potrebbe essere il primo atto,
se invece il PM ha dovuto sentirla, o ha dovuto interrogare la persona allora tra gli elementi a favore
il PM deve inserire anche le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate).
Tutti questi elementi che vengono allegati alla richiesta di applicazione della misura sono volti a
dimostrare la sussistenza dei presupposti, allora poi il giudice deve decidere se sussistono o no le
condizioni generali di applicabilità in base agli elementi che sono stati trasposti dal PM. Il giudice
decide in segreto, non si ha il contraddittorio, quando parliamo di misure cautelari parliamo di
contraddittorio differito, è spostato ad un momento successivo all’applicazione della misura. Il
giudice decide con ‘l’ordinanza di applicazione della misura’, un’ordinanza motivata con la
quale può applicare o non applicare la misura perché non ritiene la sussistenza dei presupposti.
Di solito le ordinanze possono essere o no motivate, in questo caso è motivata, tutte le volte che un
provvedimento prevede la motivazione noi pensiamo che è impugnabile.
Il PM nella sua richiesta chiede una specifica misura cautelare, l’art. 275 detta dei criteri a
disposizione del giudice x valutare qual è la misura cautelare di applicare nel caso specifico sempre
nello spirito che la misura cautelare custodiale (in carcere) è l’extrema ratio, e può essere applicata
solo quando le altre misure sono ritenute non necessarie.
Il limite è che il giudice NON può adottare una misura più grave di quella indicata dal PM nella sua
richiesta → ad esempio se il PM ritiene adeguato e proporzionato gli arresti domiciliari, il giudice
non potrà applicare la custodia cautelare in carcere, ma potrà applicare tutte le misure al di sotto
degli arresti domiciliari perché altrimenti mancherebbe la domanda del PM, e noi abbiamo detto che
il giudice non può applicarle ex officio.

La richiesta cautelare:
• azione riservata al p.m. e necessaria (291 c. 1) altrimenti sarà affetta da nullità intermedia se
decisione ex officio
• potere di selezione degli elementi fondativi, con obbligo di presentazione al giudice (291 c. 1):
• degli elementi a carico selezionati
• di tutti gli elementi a favore
• delle eventuali deduzioni e memorie difensive presentate

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• una iniziativa ex officio del giudice è prevista dall’art. 299 c.3 soltanto in materia di revoca o di
sostituzione di misure già applicate (oltre, naturalmente, all’ipotesi prevista dall’art. 275 c.2 ter),
quindi ci sono due ipotesi. La prima dell’art. 299 3 comma c’è una misura cautelare che è già stata
applicata su richiesta del PM, il giudice si accorge che l’esigenza cautelare si è attenuata e quindi
potrebbe o revocarla o sostituirla con una meno grave; la seconda ipotesi dell’art. 275 c. 2 ter la
possibilità di applicare una misura cautelare nel caso in cui la persona già sottoposta a misura
cautelare violi le prescrizioni che il giudice impartisce, ad esempio il giudice applica gli arresti
domiciliari e prescrive una serie di limitazioni (nella casa possono entrarci solo persone che
convivono), se la persona dovesse violare queste prescrizioni in quel caso il giudice può applicare la
custodia cautelare.

Passaggi successivi:
- Il GIP decide in segreto con ordinanza dispone la misura cautelare richiesta (o altra meno grave)
con ampia motivazione (292),
- Il PM ordina l’esecuzione: non può interrogare l’indagato in custodia prima che vi proceda il
giudice (294.6), è il PM che ha il compito di eseguire la misura cautelare decisa dal GIP,
- La polizia esegue la misura: è avvisato il difensore che sono stati depositati gli atti presentati al
giudice (293.3), la richiesta e l’ordinanza,
quindi solo a questo punto la persona agli arresti domiciliari ha copia dell’ordinanza di applicazione
della misura cautelare e questa ordinanza è motivata e con questa la persona sa che c’è un indagine
nei suoi confronti se non lo sapeva prima, qual è il reato e quali sono gli elementi a carico
(selezionati), gli elementi a favore e quindi ha un bagaglio conoscitivo che gli permette a questo
punto di poter dire la sua rispetto alla sussistenza di questi presupposti.
- Il GIP interroga l’indagato (interrogatorio di garanzia), P.M. e difensore sono preavvisati; il
difensore ha l’obbligo di essere presente (294.4), questo è un momento fondamentale del
procedimento applicativo della misura cautelare perché è il primo momento durante il quale alla
difesa è concessa la possibilità di fornire la propria versione, cioè l’interrogatorio viene condotto e
instaurato davanti al giudice che aveva applicato la misura, a seguito di questo interrogatorio il
giudice potrebbe o decidere di mantenere la misura perché le risposte non hanno modificato la sua
valutazione di quando ha applicato la misura, oppure revocare o sostituire la misura con una meno
grave o revocarla nel caso in cui non vi siano i presupposti,
- Il GIP valuta se permangono le condizioni e le esigenze (294.3),

Il giudice per arrivare a decidere se mantenere la misura oppure revocarla o sostituirla deve porsi al
momento di applicazione della misura, deve capire se in quel momento c’era l’esigenza cautelare
oppure no e questo interrogatorio di garanzia (art. 294) è talmente importante che deve essere
necessariamente svolto o immediatamente dopo l’inizio dell’esecuzione della misura o non oltre 5
gg dall’inizio dell’esecuzione, se non viene rispettato questo termine c’è un ipotesi di perdita di
efficacia di diritto della misura, il soggetto deve essere liberato. In realtà la rubrica dell’art. 294
viene chiamato interrogatorio della persona sottoposta a misura personale, viene chiamato dalla
dottrina interrogatorio di garanzia per esaltare meglio le finalità dell’interrogatorio che è quello di
rendere nota la versione della difesa, non è un interrogatorio investigativo (del PM), non è un
interrogatorio dal quale si cerca di capire come sono andate le cose ma è un interrogatorio a
disposizione della difesa e il giudice deve solo valutare anche in base agli elementi rappresentati
dalla difesa se al momento di applicazione della misura sussistevano o meno i presupposti.
(esame → perché il giudice che ha applicato la misura il giorno dopo deve rivalutare i presupposti?
La risposta è quella per cui quando li ha valutati aveva soltanto gli elementi raccolti dal PM, ora
insieme a questi elementi ha anche quelli portati dalla difesa
Esame → quali regole si seguono per l’interrogatorio?

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Le norme sono gli artt. 64 e 65 e l’art. 141 bis che è la necessità di registrazione fonica delle
risposte e dell’interrogatorio + partecipazione obbligatoria del difensore + potrebbe non partecipare
il PM perché è un interrogatorio di garanzia e le domande le fa il giudice)
Questo è il primo contatto tra giudice e la persona!

Casi di revoca e sostituzione delle misure cautelari personali:


Poniamo che l’interrogatorio ci sia stato, e che sussistevano i presupposti, la misura viene eseguita
in parte ed ecco che il codice prevede delle ipotesi nelle quali è possibile far venir meno questo
vincolo che limita la libertà personale una volta che non c’è più l’esigenza.

Queste possibilità di modificare la misura hanno un loro procedimento:

Vi sono poi delle cause di estinzione di diritto delle misure cautelari personali:
situazioni in presenza delle quali SENZA che vi sia una richiesta la misura cautelare viene meno:

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- La misura, disposta dal giudice dichiaratosi incompetente, non è confermata dal giudice
competente entro 20 giorni: perde efficacia (27)
- È stata pronunciata una sentenza non irrevocabile (300)
- È omesso l'interrogatorio di garanzia: la misura perde efficacia, ma può essere nuovamente
disposta dopo l'interrogatorio (302)
- Sono stati superati i termini massimi di durata della misura (303; per un caso particolare
attinente al pericolo di inquinamento della prova v. art. 301): è logico che la misura
cautelare proprio perché si sta limitando la libertà personale nel momento in cui c’è ancora
un processo che deve accertare se siamo colpevoli o no e la nostra libertà personale viene
limitata in virtù di indizi, elementi raccolti unilateralmente durante le indagini e
un’esigenza quindi il codice prevede che quest’esigenza non può esserci sempre, quindi
sono fissati ei termini e se si superano causa di perdita di efficacia di diritto della misura.

pag. 128

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Questi termini sono stati costruiti così:


termini di durata massima, la misura cautelare non può durare più di 2 anni, 4, 6 e questi termini di
durata complessiva sono diversi a seconda dei limiti edittali delle pene per il reato per cui si
procede. Poi ci sono dei termini di fase, a seconda che siamo in indagine preliminare, appello o
cassazione, la sommatoria non può essere maggiore dei termini massimi.

Quali sono i principi costituzionali che ci permettono di impugnare un provvedimento con cui si
restringe la libertà personale?

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Il nostro legislatore oltre al ricorso per cassazione, obbligatorio secondo la costituzione, ha fornito
anche strumenti di impugnazioni ulteriori --> riesame e appello.
Qui si tratta di affidare ad un altro giudice la verifica della correttezza dell’operato del giudice che
ha operato l’applicazione della misura ponendosi nel momento di applicazione della misura, si deve
mettere nella posizione in cui il giudice era per verificare se quel giudice ha correttamente
verificato, quindi si tratta di porsi in quel momento di applicazione della misura e li fare le proprie
valutazioni.

Queste impugnazioni ‘de libertate’ hanno delle caratteristiche che NON ritroveremo quando
parleremo delle impugnazioni in generale, hanno delle caratteristiche peculiari:
1) Questi strumenti una volta proposti non hanno effetto sospensivo dell’esecuzione della
misura, cosa che invece vedremo è caratteristica peculiare degli strumenti di impugnazione
classici.
2) Perché oltre al ricorso per cassazione all’interno del nostro codice troviamo anche altri 2
strumenti? perchè la corte di cassazione può esaminare solo questioni di merito e non di
diritto.
3) Vi è un’altra peculiarità per cui i mezzi di impugnazione che pois piegheremo li
spiegheremo come strumenti che ci consentono di andare davanti ad un giudice superiore,
quando invece parliamo di riesame e di appello nelle misure cautelari, nelle impugnazioni
de libertate parliamo di un giudice di pari grado rispetto a quello che ha applicato la misura.

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Dove si pongono gli strumenti di impugnazione?

Se propone riesame o appello chi decide è il ‘tribunale della liberta’, che è una sezione del tribunale
che si occupa solo di questo, il tribunale delle libertà decide e contro questo provvedimento si può
proporre ricorso per cassazione.
Ma l’indagato potrebbe anche decidere di non proporre impugnazioni nel merito, ma contro
l’ordinanza di chi applica la misura direttamente ricorso per cassazione, questo nel caso in cui
stiamo trattando di un’ordinanza che dispone la misura, qui parlavamo di ordinanza che dispone la
misura; ma con riferimento all’ordinanza che respinge la misura chi ha interesse è il PM e a
disposizione del PM abbiamo l’appello e cioè il riesame è a disposizione SOLO dell’indagato e solo
contro provvedimenti che all’inizio applicano la misura.

Il riesame (309 c.p.p.):


Caratteristiche:
• è la disposizione solo della persona nei confronti della quale è applicata la misura,
• è un mezzo totalmente devolutivo (motivi solo eventuali), quando parliamo di impugnazioni
dobbiamo capire se lo strumento di impugnazione che grado di devoluzione ha rispetto al giudice
nuovo al quale ci rivolgiamo, devoluzione vuol dire che cosa del primo giudizio viene devoluto al
nuovo giudice. Vedremo poi che ci sono strumenti che sono parzialmente devolutivi, il riesame
invece è totalmente devolutivo e quindi il riesame potrebbe anche essere privo dei motivi, quando
parliamo di atti di impugnazioni parleremo sempre di atti nei quali i motivi, cioè le ragioni per le
quali io impugno il provvedimento limitano il perimetro di conoscenza che ha l’altro giudice, in
questo caso il giudice è libero di decidere anche per motivi diversi da quelli che ho indicato.
Quando parliamo di devoluzione parliamo di ciò che il giudice dell’impugnazione conosce, quindi
qual è il perimetro di conoscenza che devolviamo al giudice dell’impugnazione, che cosa può
conoscere il giudice dell’impugnazione? In questo caso il tribunale del riesame può conoscere tutto
di quello che ha valutato il GIP che ha applicato la misura. I motivi di appello costituiscono il
perimetro di conoscenza della corte di appello, in questo caso è totalmente devolutivo.
• tempi procedimentali vincolati (decadenza della misura), ha dei tempi molto stretti che devono
essere osservati a pena di perdita di efficacia della misura, bisogna ricordare che stiamo limitando la
libertà di una persona che non è ancora stata dichiarata colpevole
• ampi poteri decisori del tribunale (annullamento, revoca, riforma, conferma). Questo mezzo di
impugnazione permette di decidere in base a qualsiasi motivo, cioè anche a motivi diversi rispetto a
quelli che magari la difesa ha evidenziato nel proprio atto di impugnazione. Ha poteri decisori non
vincolati dai motivi che spesso l’atto di impugnazione consiste in una semplice richiesta di riesame
senza le motivazioni, tanto il tribunale può decidere in base a qualunque ragione che ritenga idonea,
questo però non vuol dire che la difesa non può individuare le ragioni ma lo può fare sia nell’atto di
impugnazione, sia nell’udienza fissata per la discussione.
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• legittimazione → titolarità del diritto al riesame soltanto all’imputato/difensore, non il PM!!


• organo decidente → tribunale «in composizione collegiale» del capoluogo del distretto di corte
d’appello in cui ha sede l’ufficio del giudice che abbia emesso l’ordinanza impugnata. Ad esempio,
a Milano c’è tribunale e corte d’appello e ci rivolgiamo al tribunale nel caso in cui il GIP sia il GIP
di Milano, se la misura cautelare è del GIP di lodi in quel caso il distretto di corte d’appello è
Milano e quindi la richiesta di riesame deve essere effettuata al tribunale delle libertà di Milano.
Ovviamente si tratterà di un giudice diverso per chiedere di verificare il corretto operato del suo
collega che ha ritenuto di applicare una misura cautelare perchè ricorrevano i presupposti ed
esigenze cautelari. Questo giudice di pari grado è però un giudice diverso.
Oggetto:
• ordinanze che abbiano disposto una misura coercitiva, salvo che si tratti di ordinanze emesse
dietro appello proposto dal p.m. ai sensi del successivo art. 310
• fanno eccezione le ordinanze recanti misure coercitive adottate nell’ambito del procedimento di
estradizione ovvero nell’ambito del procedimento di esecuzione di un mandato di arresto europeo
(ricorso per cassazione per violazione di legge ex art. 719)
• ordinanza che sostituisce in peius (da interdittiva a coercitiva) o ripristina la misura coercitiva
Procedimento: (viene sempre chiesto all’esame!)

Il procedimento di riesame è un procedimento che ha delle decadenze molto importanti perché se


non si rispettano questi termini individuati dall’art. 309 la misura decade, c’è la caducazione della
misura e viene meno la misura che restringe la libertà personale.
-Entro 10 gg dall’esecuzione o notificazione del provvedimento l’imputato può proporre richiesta di
riesame dell’ordinanza che dispone la misura coercitiva. Il riesame viene proposto al tribunale delle
libertà o del riesame che è il giudice del capoluogo in cui ha sede la Corte di appello del giudice che
ha emesso il provvedimento.
-A questo punto abbiamo depositato la nostra richiesta entro 10 gg, il tribunale delle libertà deve
avvisare l’autorità procedente (GIP che ha emesso ordinanza di applicazione della misura)
richiedendogli di trasmettere gli atti in base ai quali la misura è stata applicata. Quindi il GIP deve
trasmettere tutti gli atti ma anche gli elementi sopravvenuti a favore entro il giorno successivo o non
oltre 5 gg.
-Una volta ricevuti gli atti il tribunale del riesame deve fissare udienza e decidere in camera di
consiglio (art. 127) con la partecipazione delle parti se ritengono di partecipare entro 5 giorni che
decorrono dalla ricezione degli atti.
-Entro 10 gg da quando ha ricevuto gli atti il tribunale del riesame deve celebrare l’udienza e
decidere, se non rispetta questo termine → caducazione misura.
Qui siamo ancora durante le indagini preliminari e non c’è nemmeno l’esercizio dell’azione penale
ecco perché è necessaria una decisione in tempi brevi, perché si sta sacrificando la libertà di un
soggetto che potrebbe essere innocente, in realtà qualcosa c’è cioè ci sono i gravi indizi di

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colpevolezza che però non sono prove ma sono indizi che si fondano su qualcosa di unilaterale,
qualcosa che potrebbe modificare/cambiare nel corso del giudizio.

L’art. 309 al comma 9 ci dice quali sono le decisioni che può prendere il tribunale del riesame:
1) Inammissibilità → il tribunale del riesame non entra neanche nel merito, ad esempio quando
utilizziamo il riesame x un provvedimento che non può essere impugnato con il riesame,
oppure non nel rispetto dei termini. La decisione di inammissibilità tiene ferma la misura
cautelare.
2) Confermare la misura → anche per ragioni diverse rispetto a quelle inserite nell’ordinanza
che applica la misura cautelare.
3) Annullare la misura → si tratta di un annullamento perché il tribunale del riesame si deve
porre per decidere nella posizione in cui vi era il GIP al momento in cui ha applicato la
misura, cioè il GIP quando ha applicato la misura non poteva applicarla perché in quel
momento non vi erano i gravi indizi di colpevolezza o esigenze cautelari. E questo lo si può
spiegare sulla base delle dichiarazioni del soggetto sottoposto a misura (interrogatorio di
garanzia), oppure sulla base di una diversa lettura degli atti del PM.
4) Riforma in melius → il tribunale potrebbe ritenere che la misura applicata dal GIP sia una
misura non corrispondente a quei criteri visti nell’art. 275 di proporzionalità/adeguatezza
anche rispetto alle esigenze. Il tribunale del riesame non potrebbe applicare una misura +
grave perché mancherebbe la domanda del PM e titolare dell’azione cautelare è soltanto il
PM!! Quindi NON si può riformare in peius.

LEZIONE 15: 7 Aprile.


Segue.. Misure cautelari.

L’appello (art. 310 c.p.p):


• legittimazione: la titolarità viene riconosciuta all’imputato, al suo difensore e al P.M. (x il PM
questa è l’unica possibilità di impugnazione nel merito, essendogli precluso lo strumento del
riesame).
• oggetto: tutte le ordinanze in materia di misure cautelari personali (sia coercitive, sia interdittive),
diverse da quelle assoggettabili a riesame. Quindi bisogna andare ad individuare quali sono
impugnabili con il riesame, e per esclusione x tutte le altre è possibile proporre appello, quindi o le
ordinanze che NON applicano la misura cautelare, o le ordinanze che applicano una misura
cautelare diversa da quella richiesta dal PM, oppure le ordinanze che sono state oggetto di
impugnazione di un ordinanza che non aveva applicato la misura.
• caratteristiche: mezzo di impugnazione ad effetto devolutivo (cognizione vincolata al petitum:
motivi obbligatori), a differenza del riesame l’appello devolve al giudice superiore soltanto quello
che nell’atto di impugnazione è stato individuato nei motivi. Quindi i motivi limitano il grado di
conoscenza. Esempio: se io impugno l’ordinanza e il motivo riguarda soltanto le esigenze cautelari,
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vuol dire che la corte d’appello non può decidere perché non sussistono i gravi indizi di
colpevolezza perché è un aspetto che non ho devoluto alla corte d’appello.
• assenza di termini a pena di decadenza della misura, anche nell’art. 310 ci sono dei termini che
però non sono sanzionati con la caducazione della misura, non vuol dire che non ci sono i termini,
ma si tratta di termini ordinatori e non perentori.
• poteri decisori tipici del giudice di appello (conferma riforma; eccezionalmente:
annullamento)
Procedimento:
• presentazione dell'appello nella cancelleria giudice ad quem, id. riesame)
• avviso all'autorità procedente e trasmissione atti
• deposito atti fino al giorno dell'udienza
• camera di consiglio (127)
• termini (senza decadenze):
• 1 g per la trasmissione degli atti
• 20 gg per la decisione
Decisioni:
• inammissibilità, conferma o riforma dell'ordinanza appellata; oppure nei casi tassativamente
indicati abbiamo l’annullamento
Teniamo conto che quando parliamo di mezzi di impugnazione contro provvedimenti che limitano
la libertà personale stiamo parlando di mezzi di impugnazione che NON hanno effetto sospensivo!
Cioè se propongo riesame, appello o ricorso x cassazione la misura cautelare continua ad essere
efficace e non ha effetto sospensivo.
Recap:

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Il ricorso per cassazione (311 c.p.p.):


• oggetto → le ordinanze emesse dal tribunale a seguito del riesame ex art. 309, ovvero a seguito di
appello ex art. 310.
• ricorso per saltum → questa possibilità è prevista x imputato e difensore, contro i provvedimenti
che dispongono la misura coercitiva. Questo non preclude la possibilità di ricorrere per cassazione
direttamente senza proporre lo strumento di impugnazione nel merito, questo se le mie ragioni sono
soltanto di diritto e non di merito allora è possibile che la scelta sia di proporre subito ricorso x
cassazione.
• legittimazione → l’art. 311 c.1 riconosce la relativa titolarità all’imputato, al suo difensore e al
p.m. presso il tribunale
Natura del mezzo:
• azione di annullamento, per violazione di legge. Cioè può soltanto annullare la misura perché non
c’erano i presupposti, se non decide di annullare conferma!
• cognizione vincolata al petitum (motivi obbligatori, integrabili in udienza)
Procedimento
• presentazione entro 10 gg dall'esecuzione, comunicazione/notifica
• avviso all'autorità procedente e trasmissione atti
• deposito atti fino al giorno dell'udienza
• decisione in camera di consiglio (127)
• termini (senza decadenze) decisione entro 30 giorni dalla ricezione degli atti
Non essendoci delle decadenze questi termini di solito sono molto + lunghi, con critiche anche da
parte della dottrina perché stiamo parlando di un soggetto a cui abbiamo limitato la libertà personale
ma che comunque nei cui confronti potrebbe non essere esercitata azione penale.

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Possibili scelte che possono succedere:

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Le misure cautelari reali:


sono strumenti che pongono un vincolo di indisponibilità sulla cosa, nel senso che noi che siamo
proprietari di quella cosa dopo la misura cautelare non possiamo più esercitare i diritti.
parliamo di due sequestri:
1) Sequestro conservativo: finalità di reintegrazione patrimoniale a tutela degli interessi
patrimoniali connessi al reato, cioè c’è necessità di porre un vincolo su quei beni in modo
che non possano essere dispersi e quando il soggetto dovesse essere condannato potrebbe
essere condannato anche a risarcire il danno.
2) Sequestro preventivo: finalità special-preventiva, volta ad evitare la prosecuzione del
reato, per reiterare il reato.

Sequestro conservativo (art. 316 c.p.p):


• oggetto: beni mobili e immobili, crediti dell'imputato, nei limiti in cui la legge consente il
pignoramento
• condizioni/presupposti: quando vi è fondata ragione che manchino o si disperdano le garanzie per
pagamento della pena pecuniaria, delle spese del procedimento e ogni altra somma dovuta all'erario,
ovvero delle obbligazioni civili derivanti dal reato, quindi chi chiede il sequestro conservativo deve
documentare come mai se non creassimo quel vincolo è possibile che non ci sarà più la disponibilità
per far fronte a dei pagamenti.
Questo sequestro conservativo non può essere esperito sempre ma l’art. 316 individua un momento
particolare → solo dopo l’esercizio dell’azione penale (art. 405) dove il il p.m. e la parte civile
chiedono al giudice il sequestro conservativo (316, 1 e 2).
A quale giudice? Il giudice che procede e che si ha dopo l’esercizio dell’azione penale, può essere
sia il GIP che il GUP o il giudice del dibattimento, non può essere il giudice che chiamiamo prima
dell’esercizio dell’azione penale.
Il giudice decide in segreto e può:
- Rigettare la richiesta
- Disporre il sequestro con ordinanza e l'ufficiale giudiziario esegue il sequestro (317.3)
Poi nel momento in cui il GIP ha accolto la richiesta di sequestro l’imputato o il responsabile civile
può avere interesse a che quel bene rimanga libero e quindi potrà chiedere una sostituzione con il
pagamento di una somma → cauzione idonea.
Contro questa ordinanza l’art. 318 dice che chiunque vi abbia interesse (anche il soggetto terzo) può
proporre richiesta di riesame al tribunale del capoluogo di provincia (318; 324)

Il sequestro preventivo (art. 321):


Condizioni (316):
• pericolo che la disponibilità possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato o agevolare la
commissione di altri reati
• pericolosità intrinseca della cosa (confiscabilità). Di solito vengono sottoposti a sequeswtro
preventivo anche quei beni che poi saranno confiscati nel caso di condanna, ad esempio nel caso
dell’utilizzo della pistola.
Oggetto:
• cose pertinenti al reato
• cose e beni di cui è consentita la confisca (cose che servirono a
commettere il reato o che ne costituiscono il prodotto o il profitto; beni di valore equivalente a
quelli confiscabili)
A differenza del sequestro conservativo, quello preventivo può essere chiesto in ogni fase del
procedimento. Chi può chiederlo? L’art. 321 ci dice che la richiesta è del PM.
Il giudice competente a pronunciarsi nel merito decide in segreto (no contraddittorio):
- Rigetta la richiesta
- Dispone il sequestro con decreto motivato
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- emette ordinanza di convalida (art.321. Comma 3-ter) e dispone il decreto di sequestro,


questo nel caso in cui il sequestro conservativo sia stato disposto per via di urgenza.
Nei casi di urgenza è possibile che il vincolo venga disposto o dal PM che nelle 48 h deve chiedere
la convalida al giudice e se il giudice non convalida il sequestro viene meno, o dalla polizia
giudiziaria che deve trasmettere al PM entro le 48h e il PM deve chiedere la convalida al giudice
entro le 48h. Cioè deve esserci sempre un giudice che valuta se effettivamente il Pm o la polizia
giudiziaria potevano operare per ragioni di urgenza.

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Le indagini preliminari e udienza preliminare.


Ora iniziamo la parte dinamica del codice e ora siamo in grado di capire come si svolge un processo
penale. Iniziamo il libro V che affronta la disciplina delle indagini preliminari e udienza
preliminare, noi partiremo dalle indagini. Il nostro modello di stampo accusatorio prevede una
distinzione netta tra ciò che riguarda le indagini preliminari e ciò che riguarda il giudizio. La netta
distinzione tra queste 2 fasi ci porta a parlare di uno schema bifasico: binomio ricerca-
giustificazione.
Ad una fase preparatoria tendenzialmente segreta, nel corso della quale un magistrato inquirente
(PM) svolge indagini finalizzate ad un primo sondaggio di fondatezza e di plausibilità dell’ipotesi
d’accusa, fa seguito, nell’eventualità in cui tale verifica dia esito positivo, una fase pubblica (il
dibattimento) che si svolge nel contraddittorio delle parti al cospetto di un giudice terzo, nel corso
della quale si procede all’acquisizione delle prove e viene emessa la sentenza di condanna o di
proscioglimento dell’imputato.
La caratteristica tipica di questa fase preparatoria è la segretezza nel corso della quale il PM deve
acquisire elementi in grado di poter orientare le sue scelte future, questi elementi sono raccolti nel
segreto e sono raccolti dal PM o dalla polizia giudiziaria delegata.
La fase pubblica invece inizierà dopo l’esercizio dell’azione penale, dopo che il PM ha deciso che è
possibile sostenere l’accusa in giudizio, li si ha una posizione di parità delle parti che non si trova
invece in questa fase segreta e preparatoria perché in quella fase il PM ha poteri diversi rispetto al
difensore.
Ecco allora che questa separazione sia di fasi che di funzioni sono gli elementi che caratterizzano il
passaggio tra il codice del 1930 a stampo inquisitorio dove le due funzioni tra accusa e colui che
giudicava erano ricoperti dalla stessa persona a un codice di stampo accusatorio.
Quando poi il PM arriverà nel corso del giudizio dovrà ricominciare da capo perché dovra
riutilizzare strumenti diversi e questa netta differenziazione in queste due fasi nel corso del tempo è
via via sempre più sfumata, cioè parleremo di alcune sentenze della corte costituzionale che sono
intervenute nel 1992 che hanno cominciato a introdurre nel sistema la possibilità che elementi
raccolti in segreto dal PM durante le indagini potessero trasmigrare anche all’interno del giudizio
del processo quindi la corte costituzionale operano questo sistema di erosione della netta
separazione originaria tra ciò che raccolgo nelle indagini e ciò che porto davanti al giudice.
La corte introduce un principio di non dispersione delle prove, questo impedisce in determinate
situazioni la necessità di sacrificare comunque un elemento di conoscenza che potrebbe essere utile
al giudice. Il problema è che questo principio è stato creato dalla Corte costituzionale attraverso un
interpretazione generale della funzione del processo, cioè il processo inteso come accertamento
della verità e quindi elementi x accertare questa verità non possono essere sacrificati in nome di
altri principi.
Dopo il 1992 abbiamo quindi un altro intervento legislativo → riforma del giusto processo del 1999
con la legge ordinaria 63 del 2001 che introduce nella nostra costituzione i principi dell’art. 6 della
CEDU, questa riforma è una reazione del legislatore alla Corte costituzionale per cercare di
riportare il principio ‘ciò che il giudice conosce è solo quello che si forma davanti a lui nel
contraddittorio’.
Questa riforma introduce anche delle eccezioni, cioè vi sono alcune situazioni che obiettivamente
proprio perché non dipendono da nessuno devono permettere la possibilità di introdurre elementi
raccolti unilateralmente nel corso del giudizio. L’art. 111 dice al 4 comma che la legge regola i casi
nei quali la prova non si forma nel contraddittorio, e i casi sono quelli di consenso dell’imputato,
cioè l’imputato consente a che un elemento raccolto nel segreto unilateralmente dal PM possa
entrare nel giudizio e valere come prova anche se non si è formato nel contraddittorio, l’altro caso è
quello di impossibilità sopravvenuta di ripetizione dell’atto, l’altro caso è quello di provata condotta
illecita quando si è provato che vi è stata minaccia al testimone di cambiare versione.

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L’obiettivo della fase delle indagini preliminari è quello di cercare elementi che possono convincere
il PM se esercitare azione penale o chiedere archiviazione, perché le indagini preliminari si
concludono in questo momento.
Il Pm quando svolge le indagini deve certo porsi l’obiettivo per cui devo capire se esercitare azione
penale o chiedere archiviazione ma dopo la sentenza n. 88 del 1991 il PM deve tenere in mente
anche un’altra finalità, cioè le indagini devono essere il più possibile complete → completezza delle
indagini questo perché non solo devono anche raccogliere elementi a favore dell’indagato perché il
PM è una parte pubblica e perché l’art. 358 richiede anche al PM di raccogliere elementi a favore
dell’imputato, ma anche perché è possibile che questi elementi raccolti possano costituire gli unici
elementi in base ai quali il giudice potrà decidere se condannare o assolvere, parleremo del giudizio
abbreviato che si fonderà non sulle prove formate nel contraddittorio ma sulla base degli elementi
raccolti dal PM durante le indagini.
Le indagini devono essere TEMPESTIVE, abbiamo quindi dei termini di durata, e parleremo della
possibilità che questi termini possono essere prorogati, ma non per sempre. Ad un certo punto, le
indagini si concludono: il termine obbliga il PM a concludere le indagini. Questo non vuol dire che
il PM dovrà subito dopo decidere se esercitare l’azione penale, ma qualunque elemento che
raccoglierà dopo questo termine non potrà essere utilizzato. L’assenza di un termine entro il quale il
PM deve decidere se esercitare l’aziona penale o procedere all’archiviazione, determina nella
prassi che di fatto le indagini criminali possono durare anni. Il PM investiga entro un certo
termine, ma poi non ha un termine per decidere se esercitare o meno l’azione penale. La riforma
Cartabbia si propone di introdurre oltre al termine delle indagini preliminari, anche un termine entro
il quale il PM deve dirci cosa ha deciso. Questo per evitare che la persona sottoposta alle indagini
rimanga in questo stato all’infinito.
SEGRETEZZA: sia interna che esterna. Tutti gli atti compiuti dal PM durante le indagini sono
coperti da segreto e non possono essere pubblicati o divulgati fino a quando il segreto istruttorio
viene meno, al termine delle indagini. Succede che emergano delle notizie nei giornali e telegiornali
anche se non dovrebbero. Eventuali violazioni non vengono quasi mai perseguite perché è molto
difficile capire chi ha violato questo segreto.

LEZIONE 16: 8 Aprile.


Segue.. Le indagini preliminari e udienza preliminare.

Durante le indagini preliminari il PM è tenuto a verificare la fondatezza della notizia di reato che
come sappiamo può arrivare alla conoscenza del PM o tramite la presentazione di una denuncia di
una querela, oppure tramite l’attività di monitoraggio che la polizia fa sul territorio nel caso in cui
dovesse incontrare una situazione che potrebbe integrare una notizia di reato. Questa notizia di reato
è lo spunto che permette al PM di effettuare le proprie indagini.
I soggetti delle indagini preliminari:
Il pubblico ministero
• dirige le indagini e compie ogni attività necessaria ai fini delle indagini, direttamente, ovvero
delegando il compimento di atti alla p.g. o al p.m. presso altro tribunale.
• dirige le indagini anche a favore dell'indagato, con dovere di "correttezza e di indifferenza al
risultato" [COST. 88/1991, 111/1993, 241/1994]
La polizia giudiziaria
• prende notizia dei reati;
• impedisce che vengano portati a conseguenze ulteriori;
• ricerca gli autori;
• compie gli atti necessari per assicurare le fonti di prova;
• raccoglie quant'altro possa servire per l'applicazione della legge penale (55)

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La polizia giudiziaria non è un reparto, ma sono più reparti della guarda di finanza, carabinieri e
polizia di stato a disposizione di procura della repubblica. Si chiama polizia giudiziaria perché
svolgono funzioni di ausilio al PM.

Il G.I.P.
Saltuariamente c’è anche la figura del giudice, non si tratta di una presenza fissa come nel corso del
giudizio, qui c’è un giudice che appare e scompare a seconda delle richieste del PM. Il giudice
interviene ‘a richiesta’, ad esempio la richiesta di una misura cautelare, oppure l’interrogatorio di
garanzia o la richiesta di un sequestro. Tutto ciò che necessita dell’autorizzazione del giudice,
quindi questo GIP interviene in queste fasi. Se il PM durante le indagini non ha necessità di
effettuare questo tipo di attività, il giudice potrebbe non comparire mai.
• funzioni giurisdizionali di garanzia, di controllo e di decisione (328):
• incidente probatorio e mezzi di ricerca della prova;
• misure cautelari;
• sequestro preventivo;
• convalida arresto e fermo;
• applicazione provvisoria misure di sicurezza durata delle indagini; archiviazione
Persona sottoposta ad indagini (art. 61) o indagato
• soggetto indicato nella notizia criminis come autore di una condotta criminosa e nei confronti
della quale pubblico ministero e polizia giudiziaria effettuano gli accertamenti necessari per le
determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale.
✓ la qualifica si acquista formalmente con l’iscrizione della notizia di reato nominativa
nell’apposito registro delle notizie di reato, notizie di reato che per un momento potrebbero anche
rimanere senza il nome della persona indagata, quindi all’inizio la notizia di reato è iscritta nel
modello contro ignoti e l’attività del PM sarà un’attività volta anche a verificare se quel reato c’è
stato e poi a individuare le persone e i nomi, una volta fatto ciò è poi possibile iscrivere il loro nome
nel registro degli indagati.
✓ si perde nel momento in cui diviene definitivo il provvedimento di archiviazione o nel momento
in cui, esercitata l’azione penale da parte del p.m., l’indagato assume la qualità di imputato.
Persona offesa dal reato
• soggetto titolare del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice che si assume violata con
la condotta della persona sottoposta alle indagini. Questo soggetto ha un ruolo importante
soprattutto all’inizio perché probabilmente è colui che deposita denuncia/querela, poi potrebbe
conoscere qualcosa della vicenda e quindi è portatrice di elementi di conoscenza.
La persona offesa poi può nel corso delle indagini anche svolgere un ruolo propulsivo dell’attività
del PM, cioè può chiedere al p.m. incidente probatorio (394)
Poi può costituirsi anche come parte civile oppure mettersi d’accordo con una soluzione transattiva
della vicenda x quei reati che sono procedibili a querela facendo venir meno la possibilità che il
processo prosegua con la remissione della querela.
✓ ottenere informazioni contenuto del registro (335 c.3)
✓ ricevere informazione garanzia (369)
✓ nominare difensore (101 c.1)
✓ presentare memorie ed elementi prova (90 c. 1)
✓ opposizione richiesta di archiviazione (410)
✓ chiedere al Procuratore generale avocazione indagini (413 c. 1)
Il difensore
Nel momento in cui la persona sottoposta ad indagini ha notizia che vi è un indagine nei suoi
confronti potrebbe svolgere determinate attività per cercare di indirizzare le indagini del Pm verso
un’archiviazione. Questa è una fase coperta da segreto istruttorio ma abbiamo anche detto che
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l’indagato può venirne a conoscenza ad esempio durante una perquisizione. E’ possibile che la
persona sottoposta ad indagini ne venga a conoscenza soltanto alla conclusione delle indagini
perché il PM non ha voluto fare attività che necessitano la partecipazione della persona sottoposta
ad indagini.
• partecipa a determinati atti di indagine, ricerca della prova, prova;
• presenta memorie e richieste;
• svolge investigazioni difensive

La notizia di reato:
Le indagini preliminari prendono formalmente l’avvio con l’iscrizione della notizia di reato da parte
del pubblico ministero in un apposito registro custodito presso il suo ufficio.
Il codice non offre alcuna definizione di «notizia di reato»: qualunque rappresentazione non
manifestamente inverosimile di un accadimento storico, attribuito o meno a soggetti determinati,
dalla quale emerga la possibile violazione di una disposizione incriminatrice penale.
Ci sono notizie di reato che sono inverosimili (es: duomo di Milano).
La notizia di reato può venire a conoscenza del PM anche attraverso una denuncia, quindi non solo
attraverso l’attività di monitoraggio della polizia che controlla il territorio.
Il nostro codice prevede come REGOLA generale la denuncia facoltativa:
«ogni persona che ha notizia di un reato perseguibile d’ufficio può farne denuncia» (333 c. 1, prima
parte), noi cittadini non siamo obbligati a denunciare un fatto di rilevanza penale, ma poi c’è un
eccezione questa regola che prevede la denuncia facoltativa cioè vi sono alcuni casi determinati
dalla legge in cui la denuncia è obbligatoria (art. 333 c. 1 seconda parte)

1)Quando qui parliamo di denuncia non è soltanto la rappresentazione di qualcosa che ha leso un
MIO bene, ma anche un fatto storico che riguarda altre persone.
Per le altre due ipotesi (2 e 3) vige una disciplina diversa, c’è un obbligo di fare denuncia x
pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio se vengono a conoscenza del reato nell’esercizio
delle sue funzioni.

Le condizioni di procedibilità: art. 112 Cost.


Il tutto ha come cardine costituzionale l’art. 112 cost: inserisce nel nostro sistema il principio che in
altri sistemi diversi non esiste, dove invece vige il principio di discrezionalità dell’azione penale.
Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale.
Parliamo quindi del principio di obbligatorietà di azione penale (esame!!!!).
Molti dicono che questo principio è causa della lunghezza dei nostri procedimenti perché se il PM è
obbligato di fronte a una notizia di reato che ritiene fondata ad esercitare l’azione penale, l’attività
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giudiziaria rischia di intasarsi. Nei sistemi americani è la politica o l’organo esecutivo che individua
quali sono le priorità, i reati che devono essere perseguiti prima di altri.
Quindi molti dicono che il principio è nella carta ma siccome il sistema non reggerebbe poi alla fine
il PM sceglie quali notizie di reato perseguire prima di altre nella consapevolezza che quando
arriveranno le altre potrebbe non perseguirle, è una critica.
Nell’imporre questo obbligo e nella consapevolezza che nella prassi questo obbligo poi non può
sempre essere rispettato, l’articolo continua a dirci che nel nostro sistema il potere giudiziario è
slegato dal potere esecutivo. Quindi in realtà questo principio garantisce l’assoluta indipendenza del
potere giudiziario rispetto al potere esecutivo. Se non ci fosse questo obbligo è il governo che
direbbe quali sono le priorità, e per ogni cambio di governo cambiano priorità.
Questo articolo 112 non esclude la possibilità che per determinate fattispecie il legislatore abbia
previsto ‘condizioni di procedibilità’ perciò in taluni casi il p.m. è obbligato a esercitare l’azione
penale – e il giudice, se l’azione viene esercitata, è autorizzato a pronunciarsi sul merito
dell’imputazione – soltanto al realizzarsi di una condizione detta condizione di procedibilità.
Si tratta di una dichiarazione di volontà: atti o fatti destinati a manifestare la volontà del soggetto
titolato (persona offesa, organo pubblico) che sia perseguito il reato.
Per alcune fattispecie penali l’azione penale può essere esercitata soltanto se c’è la presentazione di
una condizione di procedibilità, questo vuol dire che il PM può comunque effettuare le proprie
indagini.
C’è compatibilità costituzionale con l’art. 112? Cioè il fatto di poter subordinare il fatto
dell’esercizio dell’azione penale alla presentazione di una dichiarazione di volontà della parte è
compatibile con l’art. 112?
La previsione della condizione di procedibilità non contrasta con il principio di cui all'art. 112 Cost.
(azione penale pubblica, obbligatoria, retta dal principio di legalità)

4. Autorizzazione a procedere
Quella che conosciamo meglio è la querela, ognuno può presentare una denuncia oppure una
querela, conosciamo anche qualcosa sulla autorizzazione a procedere (che compete che riguarda i
rappresentanti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica per quindi reati da loro
commessi). Queste sono le condizioni di procedibilità tipiche, per esempio l'istanza della persona
offesa e soltanto per i reati commessi all'estero, la querela della persona offesa per quanto riguarda
appunto le fattispecie procedibili a querela. Alcune fattispecie sono sia procedibili a querela che
d'ufficio, quindi, il pubblico ministero potrebbe esercitare l'azione penale anche senza la
presentazione di una querela, altri invece sono solo procedibili a querela. Vi sono anche delle
condizioni di procedibilità speciali, che noi non studieremo, ma io ve li ho indicate e sono
l'opposizione al segreto di Stato e la richiesta di procedimento per quanto riguarda la legge
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fallimentare e i reati diciamo di bancarotta. Vi ho indicato alcuni esempi di questi reati che sono
procedibili a querela e ci sono alcuni che sono procedibili a querela e la ratio è che l'offesa è lieve o
è arrecata a interessi che sono disponibili (le percosse, le minacce, la violazione di domicilio,
l'appropriazione indebita, il furto non aggravato). Altre, invece, sono derivati sono giustificate dalla
esigenza di evitare dell'offeso un danno ulteriore derivante dalla pubblicità del procedimento
(ingiuria, diffamazione e violenza sessuale). Altre, invece, sono giustificate per decongestionare la
giustizia penale, per esempio le lesioni personali colpose anche gravissime sono perseguibili
soltanto su querela. Non vi sono soltanto quelli che io chiamo reati bagatellari (cioè di scarso rilievo
sociale e che riguardano interessi che sono disponibili), ma ci sono anche reati molto gravi e la ratio
è proprio quello di evitare che il soggetto oltre al danno che ha subito il trauma che ha subito
subiscono un ulteriore trauma derivante dal fatto che la propria situazione la propria vicenda se
entra in un processo necessariamente diventa pubblico.

Registri notizie di reato:


Abbiamo una notizia di reato che arriva a conoscenza del pubblico ministero o dietro presentazione
di querela oppure l'attività di monitoraggio della polizia; quindi, questa notizia costituisce una
notizia di reato; quindi, potenzialmente può integrare gli elementi di una fattispecie penale prevista
dal codice penale. Il pubblico ministero deve iscrivere la notizia all'interno di questi famosi registri,
ricordatevi che l'iscrizione in questa notizia all'interno dei registi determina all'inizio delle indagini.
La notizia di reato potrebbe essere accompagnata dal soggetto che potrebbe essere chiamato a
rispondere, quindi, potrebbe essere a carico di soggetto noto, ecco allora che viene iscritta in quello
che noi avvocati chiamiamo modello 21 (il modello 21 indica un registro delle notizie costituenti
reato contro persone note) oppure potrebbe essere contro ignoti, allora l'iscrizione a modello 44.
Il caso in cui invece il fatto non costituisce reato, cioè quello che viene rappresentato non già di per
sé non implica una fattispecie penale, il modello è il modello 45. (non pretendo che vi ricordiate i
numeri dei modelli, però capire che vi sono registri diversi a seconda)
Naturalmente, è possibile passare da un modello all'altro perché nel caso in cui il soggetto all'inizio
sia ignoto e il pubblico ministero ad effetto delle indagini individua il potenziale soggetto sul quale
indagare, la notizia di reato sarà spostata sull'altro modello.
Tenete conto che anche le indagini hanno un loro termine, vedete che se voi prendete l'articolo 407,
parliamo del termine perché l'iscrizione della notizia di reato determina il momento dal quale
decorre questo termine per compiere le indagini.
Le indagini dal momento in cui viene iscritta la notizia di reato decorrono sei mesi, entro sei mesi in
pubblico ministero dovrebbe chiudere le indagini e il pubblico ministero chiude le indagini
notificando quello che viene chiamato avviso di conclusione delle indagini, previsto dall'articolo
415 bis, alla persona sottoposta a indagini.

L'avviso di conclusione delle indagini è ancora prima dell'esercizio dell'azione penale, quindi,
stiamo ancora parlando della fase delle indagini, che non possono durare più di sei mesi, se non in
casi eccezionali. Questi casi eccezionali in realtà nella prassi sono ordinari, cioè la possibilità che il
pubblico ministero non riesca a compiere le indagini entro sei mesi dall'iscrizione della notizia di
reato nel registro dei noti e possa presentare una richiesta di proroga al giudice. Qua potrebbe essere
la prima volta che il giudice interviene in questa fase indagine, cioè quando il pubblico ministero
chiede al GIP la proroga delle indagini. La proroga può essere concessa dal GIP per sei mesi ed
eventuali successive proroghe entro il termine finale di 18 mesi. Se il GIP non concede questa
proroga, allora, il pubblico ministero deve decidere se esercitare l'azione penale o effettuare
richiesta di archiviazione. Di solito questa proroga delle indagini viene concessa, ma la riforma
Cartabia modificherà questa situazione, però fino a quando non è approvata siamo ancora nei
decreti delegati e la situazione è questa cioè la proroga il pubblico ministero di solito la chiede
motivandola: ‘’le indagini sono particolarmente complesse’’ o ‘’il numero degli indagati è
numeroso’’, e di solito il GIP accoglie quella richiesta (il termine finale delle indagini non può
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durare più di 18 mesi, tranne per alcuni procedimenti previsti dall'articolo 407 secondo comma
relativi a criminalità organizzata: 2 anni).
Il termine di decorrenza delle indagini decorre dal momento in cui la notizia di reato viene iscritta a
modello 21, e il modello 21 impone individuazione del soggetto indagato, quindi, molto spesso si
scrive la notizia di reato contro ignoti a modello 44, pur sapendo il soggetto indagato, in modo da
svolgere delle indagini che non vengono conteggiate nel termine e poi si passa a modello 21 si
scrive il nome e cominciano a decorrere i termini. Al termine delle indagini o se il GIP rifiuta la
richiesta di proroga, il pubblico ministero non può più fare delle indagini e se le svolgi i risultati di
quelle indagini non saranno utilizzabili, però non c'è un termine entro il quale il pubblico ministero
obbligato a dirci se chiede l'archiviazione o rinvio a giudizio. Questo è un problema, pensate ai
requisiti per svolgere determinate funzioni, il fatto di essere sottoposti a indagine il fatto che ci sia
un'indagine nei nostri confronti può creare dei danni al soggetto: gli preclude tutta una serie di
attività, di svolgere determinati ruoli e dopo il pubblico ministero chiede l'archiviazione (la riforma
Cartabia dovrebbe porre un termine entro il quale il pubblico ministero è obbligato a esercitare
l'azione penale o a dirci se chiedere l'archiviazione.
La notizia può essere anonima (ex articolo 333 cpp e 108 delle disposizioni di attuazione) quando
una notizia che arriva alla attenzione della procura del Repubblica e non si sa il mittente (buste
anonime), tendenzialmente questa notizia viene iscritta a modello 46 ed è distrutta dopo 5 anni.
Questa notizia di reato, se anonima, viene iscritto in questo modello e poi distrutta, ma questo non
vuol dire che quanto scritto in quella denuncia anonima non possa permettere il pubblico ministero
di svolgere delle indagini, però quello sarà uno spunto investigativo e verificare se effettivamente
quella notizia è fondata oppure no, ma non costituirà una condizione di procedibilità.
Ho indicato nella slide 40 questa novità chi è stata introdotta dalla riforma Orlando del 2017, è stato
introdotto il nuovo format 3-bis dell'articolo 407, questo comma ha tentato di risolvere quel
problema che vi dicevo prima, cioè quando scadono i termini il pubblico ministero rimane in un
limbo senza decidere se esercitare l'azione penale o se chiedere l'archiviazione e questo crea un
problema. La riforma Orlando del 2017 ha introdotto il comma 3-bis dell'articolo 407
sostanzialmente dice che il pubblico ministero è tenuto a esercitare l'azione penale o richiedere
l'archiviazione entro tre mesi dalla scadenza del termine massimo di durata delle indagini, e
comunque dalla scadenza dei termini previsti dall'articolo 415 bis (cioè l'avviso di conclusione delle
indagini), e per i reati gravi questo termine di tre mesi diventa 15 mesi.
Se questo termine passa e pubblico ministero ancora non esercita l'azione penale chiede
l'archiviazione che cosa succede? Viene data l'unica sanzione prevista e viene data comunicazione
alla procura generale presso la Corte d'appello che potrebbe avocare a sé le indagini e decidere lui
se esercitare l'azione penale o se chiedere l'archiviazione. Questo potere di avocazione è previsto,
ma molto spesso non viene non viene esercitato.

Termini di durata massima delle indagini preliminari:


• La durata delle indagini (anche se prorogata) non può essere superiore a diciotto mesi (407.1); non
può essere superiore a due anni nei casi previsti dall'art. 407 co. 2.
• La legge n. 103 del 2017 (riforma orlando) ha introdotto il nuovo c. 3-bis all’art. 407 che ha
tentato di risolvere il problema di quando scadono i termini e poi il Pm rimane in un limbo senza
decidere se esercitare l’azione penale o se chiedere archiviazione.
La riforma orlando del 2017 introducendo il nuovo c. 3-bis all’art. 407 dice che:
• in ogni caso il p.m. è tenuto a esercitare l’azione penale o a richiedere l’archiviazione entro il
termine di tre mesi dalla scadenza del termine massimo di durata delle indagini preliminari o
comunque alla scadenza dei termini indicati dall’art. 415-bis, cioè avviso di conclusione delle
indagini,
• nel caso dell’art. 407 c. 2 lett. b (investigazioni complesse per la molteplicità dei fatti ovvero per il
numero degli indagati o persone offese), su richiesta del p.m., il PG può prorogarlo, con decreto
motivato, per non più di tre mesi
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• il termine base di tre mesi diventa di quindici mesi per i gravi reati elencati nell’art. 407 c. 2 lett. a
nn. 1, 3 e 4.
• ove il p.m. non assuma le proprie determinazioni entro detti termini, è tenuto a darne immediata
comunicazione al PG presso la Corte d’appello, che eserciterà il suo potere di avocazione
obbligatoria (412.1)

Arresto in flagranza e fermo:


nel libro V ci sono le misure pre-cautelari (379, 385 e 386-391): arresto in flagranza di reato e
fermo di indiziato delitto. Questa non è una misura CAUTELARE!!
art. 13 c. 2 Cost.:
✓consente all’autorità di pubblica sicurezza di adottare misure provvisoriamente limitative della
libertà personale dell’individuo solo in «casi eccezionali di necessità e urgenza indicati
tassativamente dalla legge»;
✓ impone che tali misure vengano successivamente convalidate dall’autorità giudiziaria

Le misure precautelari, arresto in flagranza o il fermo di indiziato delitto.


La polizia che ci arresta e ci porta in caserma, ecco questa non è una misura cautelare perché le
misure cautelari le abbiamo studiate e sono possibili per determinate fattispecie, condizioni di
procedibilità, esigenze cautelari, richiesta al giudice. Qui stiamo parlando di uno strumento che il
codice chiama precautelare che è disciplinato all'interno del libro del libro e che consente
all'autorità di pubblica sicurezza di adottare delle misure provvisorie limitative della nostra libertà
soltanto in casi di necessità e di urgenza, indicati tassativamente dalla legge. Restiamo comunque
nel secondo comma dell'articolo 13, quando si prevede la possibilità che sia l'autorità di pubblica
sicurezza e non l'autorità giudiziaria a limitare la nostra libertà personale per ipotesi di necessità ed
urgenza misure che comunque devono essere convalidate poi dall'autorità giudiziaria.
Quando parliamo di arresto in flagranza o di fermo di indiziato delitto sono misure precautelari che
sono compatibili con il secondo comma dell'articolo 13, perché rientrano proprio in questa
situazione.
Vediamo la prima: l'arresto obbligatorio in flagranza. I titolari sono gli ufficiali ed agenti di polizia
giudiziaria, i presupposti sono che l'arrestato deve essere in stato di fragranza di reato, e lo stato di
flagranza di reato lo prevede l'articolo 382, sostanzialmente il soggetto che è scoperto nel momento
di commettere il reato o in un momento immediatamente successivo alla commissione del reato (la
ratio è che non ci siano dubbi che il soggetto abbia posto in essere la condotta).
Il reato deve essere compreso nei reati per i quali l'arresto è consentito, quindi nel nostro sistema
non per ogni reato è possibile che la polizia ci arresti, quindi già questo credo che sia una
informazione utile per voi, sappiate che se vi arrestano dovete verificare che il vostro il reato che
avete commesso è nella lista perché altrimenti non potrebbero arrestarvi. La lista prevista per i reati
in cui l'arresto è obbligatorio e quella prevista dall'articolo 380 (‘’gli ufficiali in agenti polizia
giudiziaria procedono all'arresto di chiunque colto in flagranza di delitto non colposo consumato
tentato per la quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo della reclusione non inferiore nel
minimo a 5 anni e nel massimo a 20 anni’’). Quindi tutte le fattispecie che hanno questi limiti
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edittali obbligano gli ufficiali agenti polizia giudiziaria di procedere all'arresto se vi trovano in stato
di flagranza di reato. Oltre a questi reati, con questi limiti edittali, abbiamo anche un elenco che l'ho
trovate nel secondo comma dell'articolo 380 (elenco di reati che a cui non corrispondono questi
limiti edittali, ma che obbligano la polizia giudiziaria ha arrestarvi se chi sono queste condizioni).
Vi sono poi alcuni reati in cui invece l'arresto è facoltativo, cioè la polizia giudiziaria non è
obbligata ma ha facoltà di arrestare, i presupposti sono sempre gli stessi, ma l'elenco cambia: non è
più quello dell'articolo 380 ma è quello dell'articolo 381. L'articolo 381 dice che in presenza di
questi reati (ad esempio violenza o minaccia a un pubblico ufficiale) c'è facoltà di arrestare. Anche
qua abbiamo l'indicazione di un minimo e un massimo edittale: reclusione superiore nel massimo a
tre anni ovvero un delitto colposo per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non
inferiore nel massimo a 5 anni; e poi abbiamo il solito elenco.
Il fermo di indiziato delitto
Oltre agli ufficiali e l'agente di polizia giudiziaria è titolare anche il pubblico ministero (prima che il
pubblico ministero abbia assunto le indagini quindi la delega e quindi la polizia giudiziaria agisce
per delega). I presupposti sono diversi, perché non si parla più di stato di flagranza di reato, quindi
anche fuori dai casi di flagranza e quando sussistono specifici elementi che anche in relazione
all'impossibilità di identificare l'indiziato fanno ritenere fondato il pericolo di fuga.
Il pubblico ministero dispone il fermo della persona gravemente indiziata di un delitto per la quale
la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a due anni o
superiore nel massimo a sei anni, ovvero per un delitto concernente le armi o altri gravi esplosivi.
Fondato pericolo vuol dire che quel pericolo non deve essere solo potenziale, ma deve essere
diciamo dimostrato da elementi fattuali. Il pericolo di fuga non per tutti i reati ma quelli previsti
dall'articolo 384.

Arresto obbligatorio in fragranza:

Fermo indiziato di delitto:

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Qui il presupposto è il pericolo di fuga, nel momento in cui vi è il fondato pericolo dimostrato da
elementi fattuali, e non si tratta di tutti i reati ma quelli previsti dall’art. 384.

LEZIONE 17: 14 Aprile.


Lezione di Giostra.
La condicio sine qua non del processo:
Senza un giudice imparziale non vi può essere processo → come viene garantita l’imparzialità?
Istituti dell’astensione, della ricusazione… ma come ognuno di noi il giudice è portatore di
un’educazione, di memorie, di sentimenti e di traumi… e quindi ha questo compito del giudicare, il
giudice si avvicina con la sua individuale e irripetibile umanità: può essere disinteressato all’esito,
ma non indifferente.
Sta prendendo piega, infatti, la giustizia predittiva (in America ad esempio) → attraverso un
computer viene fatta la valutazione.

Il giudice può avere delle ideologie? E se sì, può manifestarle? Può iscriversi ad un partito? Un
conto avere idee politiche, un conto è militare in una formazione politica → cosa che non sarebbe
compatibile con il ruolo che deve assumere il giudice → articolo 28 costituzione: diritto di
manifestare le proprie idee, ma divieto di iscriversi ad un partito.

Il magistrato che, mettendosi fuori ruolo, assume un ruolo politico, anche in senso lato? Un ufficio
pubblico di natura politica: quando ha il potere di decidere come governare una società—> può
tornare poi ad amministrare giustizia? Fino ad oggi sì, ma adesso l’orientamento si sposta verso il
no.

Non solo l’imparzialità sostanziale, ma anche l’apparenza di imparzialità deve esservi: garanzia di
sostanza, ma anche di apparenza—> anche l’apparenza è alla base della fiducia di cui deve godere
un organo giurisdizionale.

Un magistrato si iscrive ad una lista civica per diventare sindaco—> il progetto è governare
onestamente, il giudice torna poi a fare il magistrato a Catania, dopo essere sindaco a Trento—>
non è opacizzata l’apparenza di imparzialità e non c’è problema di imparzialità sostanziali—> ma
anche qui in realtà si pone ugualmente un problema: politica e giurisdizione devono avere istituti e
regolamenti diversi (l’agire politico si orienta a certi obiettivi, a certi conseguenze e cerca i mezzi
più idonei—> Neumann).

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Il magistrato deve rispondere esclusivamente alla legge→ 101 della costituzione → non deve
decidere sulla base delle conseguenze politiche!!!!! E non deve rispondere alla politica.

Il magistrato che trona rischia di aver assorbito finalità e mezzi : un rischio che l’ordinamento
democratico non deve far correre.

Seconda questione
la nullità è predicabile (?) ex ante, la inutilizzabilità è un predicato di relazione, è il rapporto tra un
atto e l’utilizzo a fini decisori. Ma a cosa servono? Ci dicono che ci si è discostati, il regime di
trattamento deve essere adeguato al giudizio di ?? del pregiudizio ??? tanto maggiore deve essere la
sanatoria.

La tassatività sta a dirci che è il parlamento a decidere cosa deve essere valido e non il giudice.
Viene fatta una scelta perché indubbiamente quando è il giudice a decidere, il sistema è più
flessibile e meno economicamente oneroso, tuttavia senza questo metodo, resterebbero senza
rimedio questioni processuali che ??

L’inutilizzabilità è la capacità del legislatore di rinunciare ad alcune prove che potrebbero essere
utili ma che offendono valori plusvalenti rispetto alla verità stessa o perché hanno un’alta fallacia
dimostrativa es. anonimo, voci correnti. E’ accettabile la testimonianza de relato di colui che sa che
il teste diretto già morto? Sarebbe meglio cautelarsi. Il nostro ordinamento rifiuta l’utilizzo di
strumenti che offendono la dignità dell’uomo, art. 188 dice che sia pure con il consenso
dell’interessato non è possibile fare ricorso a strumenti che impediscono alla persona di dare
risposta consapevole. L’umiliazione dell’uomo vs l’insicurezza del risultato. Se consentissimo che
gli imputati a loro richiesta potessero essere sottoposti a questa macchina, non ci sarà una
presunzione di colpevolezza verso tutti quelli che non lo richiederanno?
A certe condizioni tuttavia, è necessario ammettere strumenti come le intercettazioni es. nei casi di
omicidio.

Se il giudice non ammette quell’intercettazione, è inutilizzabile, ma era l’unica prova che tizio era
un pedofilo. Istintivamente diremmo, se questa è l’unica prova, mettiamo fuori un pedofilo solo per
una regola? Messa così non ci sarebbero dubbi.

Terza questione
La sanzione dell’inutilizzabilità non è sempre assoluta, ma talvolta solamente relativa. Ad esempio,
in alcuni casi (reati più gravi) l’intercettazione telefonica è consentita, sebbene viola la segretezza
della corrispondenza. C’è un bilanciamento: a certe condizioni questo strumento, molto invasivo
della libertà personale, è ammesso.
È possibile che sia colpita con la sanzione della inutilizzabilità (per esempio per mancata
autorizzazione del giudice) un’intercettazione che risulta essere l’unica prova che consente di
provare la colpevolezza dell’imputato di un grave reato, quale ad esempio l’omicidio. Possiamo
permetterci di lasciare a piede libero un potenziale omicida per la semplice violazione di una
“regola procedurale”?
Sul punto è necessario notare come sul “piatto della bilancia” non via sia solo la violazione di una
norma e l’assoluzione di un colpevole, quanto piuttosto l’assoluzione di un colpevole e un degrado
civile per il futuro irreversibile, dal momento che, “fissando un precedente”, si consentirà anche per
il futuro di violare quella norma prevista dall’ordinamento (in questo caso la necessaria
autorizzazione all’intercettazione). La scelta di non violare una norma processuale per condannare
un “certo colpevole” è una “scelta di civiltà”.

Spunti in merito al Libro III


pag. 149

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Quando consentire le intercettazioni? Per i reati più gravi, basta come risposta? In realtà no, perché
ci sono situazioni in cui l’intercettazione è vietata nella forma più assoluta. Si pensi al divieto di
intercettazione di un confessionale o di uno studio legale. Se l’obiettivo unico fosse l’accertamento
della verità, sicuramente consentire le intercettazioni delle conversazioni tra l’avvocato e il suo
cliente consentirebbe sicuramente di raggiungere questo obiettivo. Verrebbe però meno il diritto di
difesa.
L’ordinamento a volte fa dei bilanciamenti senz’altro discutibili. Uno di questi è addirittura in
Costituzione à l’articolo 68 Cost. stabilisce che un magistrato inquirente per poter intercettare un
parlamentare deve chiedere l’autorizzazione alla sua camera di apparenza. Si tratta di un
controsenso: prima di fare un atto segreto, è necessario mandare un preavviso. Avrebbe sicuramente
più senso consentire l’intercettazione e lasciare che l’utilizzabilità della stessa sia poi stabilita, in un
momento successivo, dalla camera di appartenenza.
Un altro problema delle intercettazioni è legato al fatto che molto spesso solo una piccola parte di
quanto intercettato attiene effettivamente alle indagini, mentre larga parte delle dichiarazioni
dell’intercettato riguardano la sua sfera più intima e personale. L’intercettazione è come una rete a
strascico che finisce con “il prendere tutto”, senza poter fare selezione di cosa si effettivamente
rilevante e di cosa non lo sia. Come cercare di creare un equilibrio? Ovviamente non si può
decidere ex ante quando “ascoltare e quando non farlo” (senza correre il rischio di perdere
informazioni importanti), ma senz’altro è possibile una qualche riforma in merito.
Sistema di segretezza degli atti à durante le indagini preliminari gli atti sono segreti fino a che la
difesa non li può conoscere. Da quel momento gli stessi sono pubblicabili, seppur con alcune
limitazioni. Si noti come talvolta vengano fatte delle “interpretazioni” dei verbali di queste
intercettazioni, con il rischio di dare flessioni diverse alle parole dell’intercettato.

Segue.. le indagini preliminari e udienza preliminare:


Nella scorsa lezione avevamo commentato anche alcuni atti che abbiamo preso da un processo che
si è realmente svolto, per verificare proprio concretamente quello che avevamo detto sull’arresto e
sul procedimento di convalida del dell'arresto e del fermo.

Torniamo ancora a parlare delle indagini preliminari. Stiamo affrontando la parte che abbiamo
definito dinamica del codice e qualcosa sulle indagini lo abbiamo già detto parlando degli attori e
dei soggetti, in particolar modo del pubblico ministero e della polizia giudiziaria. Se vi ricordate
quando abbiamo parlato di questi due soggetti, abbiamo delineato quali sono le attività del pubblico
ministero, come la polizia giudiziaria interagisce con il pubblico ministero.
Ecco, adesso caliamo quello che abbiamo detto, all'interno della fase tipica nella quale questi due
soggetti svolgono le loro le loro funzioni e le loro attività. E abbiamo detto che il pubblico
ministero è il titolare delle indagini preliminari che sono segrete. Abbiamo poi aggiunto che il
pubblico ministero, nello svolgere le proprie indagini, spesso si fa aiutare dalla polizia giudiziaria.

Le attività di investigazione del pubblico ministero possano svolgersi personalmente dal pubblico
ministero: lo sancisce il primo comma dell'articolo 370. C’è anche la possibilità che il pubblico
ministero possa delegare determinate e specifiche attività di indagine alla sua polizia giudiziaria.
Quindi la polizia giudiziaria sostanzialmente può, nel momento in cui viene delegata dal pubblico
ministero, svolgere un’attività secondo le direttive impartite dal pubblico ministero all’interno della
delega. Questo vuol dire che la polizia giudiziaria svolge attività autonoma prima che l'indagine sia
incardinata presso un pubblico ministero, e nel momento in cui l'indagine è incardinata presso quel
sostituto procuratore della Repubblica, invece, l’attività della polizia giudiziaria deve
esclusivamente rientrare nell'ambito della delega che il pubblico ministero ha rilasciato alla polizia
giudiziaria. Il Pubblico ministero, per esempio, potrà delegare la polizia giudiziaria a fare dei
pedinamenti oppure ad assumere delle informazioni, oppure a recarsi sul luogo del delitto per
effettuare alcuni accertamenti.
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Durante le indagini, quindi, l'attività successiva alle direttive impartite dal pubblico ministero, da
parte della polizia giudiziaria, generalmente è guidata all'interno delle direttive. Questo non vuol
dire che la polizia giudiziaria non possa svolgere qualcosa al di fuori, però, nel momento in cui è
incardinato il pubblico ministero, generalmente la polizia giudiziaria svolge l'attività ad essa
delegata,
Naturalmente, un’attività poi della polizia giudiziaria, una volta che c'è la delega, potrebbe essere
anche integrativa: attività che non rientrano in maniera specifica nella delega, ma sono conseguenze
di attività compiute all’interno della delega.

Che cosa poi può svolgere il pubblico ministero e la polizia giudiziaria lo abbiamo già detto quando
abbiamo parlato dei soggetti. È interessante verificare come, a seconda che una determinata attività
sia svolta dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero, durante le indagini, assuma all'interno
del codice una denominazione differente e così vedremo assumerà una denominazione differente
quando poi studieremo la fase del dibattimento. In queste slide, 56, 57, 58, 59, 60, ho raffrontato
come la medesima attività che sia svolta dalla polizia giudiziaria, che assume all'interno del codice
una determinata denominazione, poi la stessa attività svolta dal pubblico ministero viene
individuata attraverso un'altra denominazione. E poi vedremo questa attività poi come sarà
chiamata in dibattimento. Per esempio, per quanto riguarda le sommarie informazioni dell'indagato,
quando il pubblico ministero delega la polizia giudiziaria a ascoltare, ad assumere delle
informazioni da parte di soggetti che possono avere delle notizie utili per l'accertamento del fatto,
ecco che il codice parla di sommarie informazioni prese dal soggetto sottoposto ad indagine. Se
invece il pubblico ministero deve assumere queste informazioni, ecco l'atto sarà l'interrogatorio
della persona sottoposta alle indagini, dell'indagato. Abbiamo visto poi come mezzo di prova, che
quando arriveremo in dibattimento, non si parlerà più di soggetto sottoposto alle indagini, si parlerà
di imputato e quindi di parte e quindi la medesima attività acquisterà la denominazione di esame
delle parti.
Naturalmente anche il valore probatorio dei risultati di queste attività è diverso, perché? Perché,
come abbiamo più volte, durante le indagini, sia il pubblico ministero che la polizia giudiziaria
assumono degli elementi che non sono prove, ma sono elementi utili per verificare se è possibile
sostenere l'accusa in giudizio, se è possibile andare davanti a un giudice. E così è per quanto
riguarda le sommarie informazioni dell'indagato o all'interrogatorio dell'indagato.

Altro discorso riguarda invece l'esame delle parti che, costituendo un mezzo di prova, il risultato di
questa attività sarà un elemento prova direttamente utilizzabile dal giudice ai fini della decisione.
Ecco, quindi, queste slide servono soltanto a farvi vedere come il codice utilizza una
denominazione diversa di queste attività, a seconda che siano compiute dalla polizia giudiziaria, dal
pubblico ministero e poi come verranno chiamate con un valore probatorio completamente diverso
all'interno del dibattimento.

Una delle attività che è possibile svolgere da parte del pubblico ministero e della polizia giudiziaria
sono gli accertamenti tecnici. Ecco, affrontiamo ora questo argomento, ossia la possibilità del
pubblico ministero durante le indagini di effettuare quello che il codice (all'articolo 359) chiama
accertamento tecnico.
Che cosa si intende per accertamento tecnico? Per accertamenti tecnici si intende qualcosa che
necessita di un tecnico, appunto. Stiamo parlando di rilievi segnaletici, rilievi descrittivi, fotografici
ogni altra operazione tecnica per cui sono necessarie delle specifiche competenze. Vi ricordate
quando abbiamo parlato del consulente tecnico e della perizia in tema di prove? Ecco lì, il
riferimento era il giudice e abbiamo detto il giudice quando necessita di una verifica che
presuppone la conoscenza di determinate competenze si può affidare a Il proprio perito, quindi a un
esperto di quella materia al quale affida la risposta a un determinato quesito. Durante le indagini
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questa esigenza di effettuare delle attività che necessitano di una competenza specifica in una
determinata materia può avvenire anche dal pubblico ministero.
E nelle attività del pubblico ministero, le attività di accertamenti tecnici disposti appunto durante le
indagini le troviamo all'articolo 359 e all'articolo 360: il codice fa una distinzione rispetto alla
disciplina se questo accertamento tecnico è ripetibile oppure irripetibile. Che cosa si intende per
accertamento tecnico ripetibile? E che cosa si intende per accertamento tecnico irripetibile? Si
guarda al primo comma del 360 e si riferisce a persone, cose o luoghi il cui stato è soggetto a
modificazione (esempio dell'autopsia). Quindi possiamo dire che la differenza fra ripetibile in
ripetibile è se quell'accertamento, una volta svolto, compromette lo stato dei luoghi o della cosa e
quindi non può essere più ripetuto una seconda volta. Allora saremo di fronte ad un accertamento
irripetibile. Se invece quel tipo di analisi, quel tipo di verifica non è capace di modificare lo stato
dei luoghi, lo stato della cosa, e di compromettere diciamo la materia, allora quell'accertamento
potrà essere ripetuto senza il rischio di ottenere un risultato diverso a seguito delle conseguenze
portate dal primo accertamento tecnico.
Un conto è se il pubblico ministero intende svolgere qualcosa che poi non potrebbe più essere
ripetuto, e quando dico, ripetuto, si intende ripetuto evidentemente in una fase, magari anche più
successiva rispetto a quella delle indagini; una cosa è quando invece l'accertamento può essere
ripetuto senza il rischio di aver contaminato il luogo o la cosa. È evidente che un'autopsia è un
accertamento tecnico irripetibile: una volta che apro il cadavere e tolgo magari degli organi, quel
corpo non è più lo stesso; quindi, non si può ripetere una seconda volta. È evidente che nel
momento in cui vado ad analizzare una traccia ematica, una goccia di sangue trovata sul pavimento,
nel momento in cui la prelevo quella traccia, non ci sarà più, oppure potrebbe essere contaminata
dai dalle sostanze che utilizzo per analizzarla. Anche questo è un accertamento tecnico irripetibile.
Se vado a fare delle fotografie su un luogo, senza alterare quel luogo, è ovvio che quello è un
accertamento tecnico, ma che potrebbe essere ripetuto più volte e anche in momenti diversi.

Qual è, diciamo l'elemento caratterizzante di una possibile disciplina? perché il codice si pone
questa distinzione? Il presupposto, abbiamo detto, di un accertamento ripetibile è che può essere
ripetuto e di un accertamento irripetibile che non può essere più ripetuto. Quindi, di fronte a un
accertamento tecnico ripetibile, che cosa sarà necessario, oltre alla presenza del pubblico ministero.
Per quanto riguarda gli atti che abbiamo studiato, quindi accertamento tecnico non ripetibile può
rientrare nella categoria degli atti investigativi per cui è prevista un'assistenza difensiva con diritto
di preavviso. Sì, quindi il presupposto è proprio della disciplina e della differenza fra le due
discipline. Proprio questo, cioè il pubblico ministero, prima di procedere a questo accertamento
deve verificare se è ripetibile o irripetibile, perché nel secondo caso, irripetibile, dovrebbe farlo con
la presenza del difensore della persona sottoposta alle indagini. Perché? Perché quell’ accertamento,
una volta svolto, non può più essere ripetuto alla presenza del difensore dell'imputato e quindi
sostanzialmente in una situazione di contraddittorio. Se invece l'accertamento è ripetibile, allora
ovviamente il codice non prevede la necessità di avvisare il difensore della persona sottoposta ad
indagine che assista questo accertamento. Perché? Perché comunque il pubblico ministero potrebbe
benissimo farlo in segreto e nel momento in cui dovesse dovessero sorgere dei dubbi su come è
stato effettuato, allora lo si può ripetere in presenza del difensore della persona sottoposta ad
indagini. La distinzione di disciplina è prevista con riferimento alla necessità o meno di avvertire il
difensore dell'indagato e la possibilità dell'indagato nel caso di accertamento tecnico irripetibile, di
opporsi a questo tipo di accertamento.

Cosa vuol dire opporsi? Vuol dire che il codice dà la possibilità di fronte a un pubblico ministero
che vuole effettuare un accertamento tecnico, durante le indagini, irripetibile, di promuovere
incidente probatorio. È la facoltà prevista dal quarto comma dell'articolo 360. Subito dopo questo
argomento, studieremo che cosa si intende per incidente probatorio. in estrema sintesi è la necessità
che quell’accertamento venga effettuato non solo alla presenza del difensore della persona
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sottoposta alle indagini, ma addirittura davanti ad un giudice, sostanzialmente come se


quell'accertamento, quella verifica, quell'analisi si svolgesse nel corso del dibattimento. Perché,
come sapete benissimo, soltanto nel corso del dibattimento noi abbiamo la presenza delle parti di
fronte ad un giudice e quello che il quarto comma dell'articolo 360 dice, nel momento in cui la
persona sottoposta alle indagini formuli riserva di promuovere incidente probatorio, il pubblico
ministero dispone che non si proceda agli accertamenti, salvo che questi, se differiti, non possano
più essere utilmente compiuti.

Abbiamo quindi una ulteriore distinzione nell'ambito della disciplina dell'accertamento tecnico
irripetibile, cioè, non solo quell’accertamento tecnico, se svolto, non può più essere ripetuto, ma
quella certamente tecnico, se non lo svolgiamo in questo istante, in questo momento, corriamo il
rischio di non poterlo più effettuare. L'esempio è l'analisi della traccia ematica, no? Se facciamo
passare giorni per avvisare il giudice che fissi udienza per promuovere questa analisi nel
contraddittorio davanti alla sua presenza, capite bene che quella traccia ematica potrebbe poi non
essere più analizzabile. Potrebbe dissolversi e quindi non solo quell’accertamento tecnico è
irripetibile, ma è addirittura non differibile. Allora il codice prevede che di fronte alla riserva della
persona sottoposta alle indagini di promuovere incidente probatorio a fronte della necessità del
pubblico ministero di effettuare un accertamento tecnico irripetibile, bisogna distinguere se l'Atto, è
differibile, allora il pubblico ministero non può procedere all'accertamento tecnico, ma deve
attendere che si fissi l'incidente probatorio per poterlo poi porre in essere. Se invece l'atto non è
differibile, allora il pubblico ministero lo può compiere naturalmente alla presenza del difensore e
l'atto sarà utilizzabile anche in dibattimento. Ovviamente se il difensore non fa riserva di
promuovere incidente probatorio, l'accertamento tecnico si svolge sempre nel contraddittorio, ma
non alla presenza del giudice. E a quel punto una volta arrivati al dibattimento, quell'atto potrà
essere utilizzato in come prova e quindi come elemento direttamente utilizzabile dal giudice.

Quindi attenzione a questa disciplina prevista per l'accertamento tecnico non ripetibile individuata
nel quarto comma dell'articolo 360. Ecco, naturalmente, se invece l'atto è differibile, allora a quel
punto il pubblico ministero deve disporre che l'accertamento non sia compiuto. Perché? Perché il
difensore ha promosso di fare incidente probatorio, si è riservato di promuovere incidente
probatorio. Prima della legge Orlando 103 del 2017, il problema che si poneva è che poi alla fine il
difensore dell'imputato, magari non effettuava concretamente la richiesta di incidente probatorio.
Questo bloccava la possibilità per il pubblico ministero di effettuare l'accertamento nel caso in cui
l’atto fosse differibile. Poi però il difensore non promuoveva formalmente richiesta di incidente
probatorio. Ecco allora la ragione dell'introduzione del comma quattro bis nell'articolo: secondo il
comma 4 bis, appunto, se il difensore dell'imputato poi non promuove incidente probatorio entro 10
giorni, ecco che questa richiesta di promuovere incidente probatorio perde efficacia e nel momento
in cui perde efficacia si consente al pubblico ministero di procedere agli accertamenti tecnici (non
ripetibili sempre naturalmente) dando avviso al difensore dell'indagato, quindi sempre nel
contraddittorio, ma senza la presenza del giudice.

Ecco, questo è un tema, quello dell'incidente probatorio svolto durante le indagini preliminari che io
vi inviterei a evidenziare bene perché? È un classico tema, diciamo di classica domanda dell'esame,
prima di tutto, che cosa si intende per incidente probatorio? L'incidente probatorio è un istituto, un
istituto che è previsto durante le indagini. Quindi è un istituto che si colloca all'interno delle
indagini o all'interno dell'udienza preliminare ed è un istituto che, disciplinato dall'articolo 392,
permette durante le indagini di porre in essere una situazione simile a quella che ci troveremo di
fronte, quando e se naturalmente, vi sarà la richiesta di giudizio e il decreto che dispone il giudizio
e quindi la fissazione del dibattimento.
Cioè, durante le indagini preliminari, è possibile in determinate situazioni, anticipare, riprodurre, la
situazione che ci troviamo durante il dibattimento e riprodurre durante le indagini la situazione che
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ci troviamo in dibattimento vuole dire svolgere una determinata attività nel contraddittorio delle
parti davanti ad un giudice. Il risultato di questa attività, che si svolge durante l'incidente probatorio,
proprio perché è svolto come se fosse svolta nel corso del dibattimento, quindi nel contraddittorio
delle parti in presenza del giudice, ci darà un dato. Un elemento che potrà essere utilizzato dal
giudice del dibattimento per la sua decisione; quindi, è una fase di anticipazione del dibattimento
che si colloca all'interno delle indagini preliminari. Riproduce le garanzie del dibattimento e
fornisce un elemento che di solito durante le indagini non c'è, cioè una prova.

Quell’elemento, anche se si è ricavato durante le indagini, proprio per le modalità con le quali è
stato ricavato, permette poi nel momento in cui si dovesse andare davanti a un giudice, nel corso del
dibattimento, di utilizzarlo direttamente come prova. Quell'elemento acquisito durante l'incidente
probatorio nel corso delle indagini poi costituirà una prova direttamente utilizzabile dal giudice.

Ecco, naturalmente non tutte le attività possono essere svolte con questo istituto, altrimenti non
avrebbe non avrebbero senso le indagini, anzi non avrebbe senso il dibattimento. Tutto ciò che si è
svolto durante le indagini, dove si svolge con incidente probatorio. Possono essere svolte attraverso
questo istituto alcune attività, se ci si trova in situazioni particolari.

La prima situazione che deve essere presa in considerazione è l’impossibilità di attendere il


dibattimento per acquisire quella prova: cioè quella prova, se dovessimo acquisirla attendendo il
dibattimento, potrebbe non essere più acquisibile, potremmo correre il rischio che quella prova non
si possa più formare nel corso del dibattimento. Ecco allora la necessità di acquisirla durante le
indagini, sia pur con le garanzie che troveremo nel corso del dibattimento. Quindi abbiamo
situazioni nelle quali risulta indispensabile o comunque semplicemente molto utile, anticipare
l'attività di acquisizione probatoria alla fase delle indagini preliminari o alla fase dell'udienza
preliminare.

Poi vedremo, ci sono anche situazioni in presenza delle quali il codice permette di utilizzare
quest'istituto, sganciate dalla necesssità di non attendere il dibattimento, ma rispondono a esigenze
diverse. Iniziamo con la prima, cioè siamo di fronte a una situazione nella quale abbiamo elementi
per poter ritenere che se dovessimo attendere Il dibattimento quella prova non potrebbe più essere
acquisita. Ecco allora che in questi casi, l'articolo 392 permette al pubblico ministero e alla persona
sottoposta alle indagini, come abbiamo visto nel caso degli accertamenti tecnici irripetibili, di
promuovere incidente probatorio. Quindi, nel corso delle indagini, il pubblico ministero e la
persona sottoposta alle indagini, gli unici due soggetti che sono presenti all'interno delle indagini
possono chiedere al giudice che procede che instauri l'Iter probatorio.

Ecco quali sono le prove che possono essere acquisite perché non rinviabili al dibattimento
L'articolo 392 contiene un elenco tassativo previsto dal primo comma.
Vi ho indicato le prove che possono essere assunte nel corso dell'incidente probatorio. Nella slide
64 ho indicato le prove che possono essere assunte nel momento in cui si può dimostrare che non è
possibile attendere il dibattimento, perché altrimenti queste prove rischiano di non poter più essere
acquisite.
Nella slide invece, 65 ho individuato altre prove che non necessitano di dimostrare questa
indispensabilità, questa impossibilità di attendere l'instaurazione del dibattimento. Il codice ha
voluto inserirle comunque nell'elenco per altre ragioni diverse.

Facciamo un esempio, vedete nella slide 65 viene indicata la possibilità di procedere con incidente
probatorio all'esame testimoniale della persona offesa minorenne oppure della persona maggiorenne
in relazione ai delitti di violenza sessuale o assimilati. Potete capire che qua la ratio non è quella per
cui se attendiamo il dibattimento, non è possibile più esaminare il minore o il maggiorenne in
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relazione ai delitti. Con il delitto di violenza sessuale la ratio diversa, cioè evitare quella che viene
chiamata l'usura del testimone per la fragilità. Il. testimone che andiamo a esaminare, lo
esaminiamo una sola volta, lo esaminiamo nella vicinanza del fatto. Lo esaminiamo con le garanzie
previste per l'incidente probatorio e quindi previste per il dibattimento e a quel punto non è più
necessario ri-sottoporre all'agonia, diciamo far testimoniare il minore o la persona maggiorenne in
relazione a questi delitti, però, vi è, come potete vedere nella slide 65, anche la possibilità di
effettuare l'esame dell'indagato sulla responsabilità altrui, che il codice ha voluto inserire per ragioni
diciamo diverse rispetto a quella che abbiamo individuato per l'esame testimoniale del minorenne.
Oppure la perizia di lunga durata, cioè quando la perizia, se disposta in dibattimento, potrebbe
comportare la sospensione del dibattimento per 60 giorni. Ecco allora a quel punto è forse più utile
acquisirla durante le indagini preliminari, con le forme dell'incidente probatorio, per evitare poi una
sospensione del dibattimento così lunga nel momento in cui la dovessimo assumere in quella fase.

Ecco, quindi, alla domanda: quali sono le prove che possono essere assunte con incidente
probatorio? La vostra risposta deve fare riferimento necessariamente a quanto previsto dall'articolo
392 perché è un elenco tassativo, distinguendo quelle prove che possono essere assunte perché non
rinviabili al dibattimento, e invece quelle prove che possono essere assunte con incidente probatorio
per ragioni diverse. Quindi attenzione perché l'elenco è un elenco tassativo, quindi vuol dire che per
tutte le prove che non sono inserite all'interno di questo elenco, il pubblico ministero e la persona
sottoposta alle indagini non potranno chiedere al giudice che procede di acquisirle mediante
incidente probatorio. Ecco, abbiamo già individuato qual è il giudice che destinatario di questa
richiesta e che sarà il giudice che poi, nel caso in cui accolga questa richiesta dovrà assumere la
prova nel contraddittorio delle parti.

Ecco io nella slide 66 ho proprio indicato la procedura che l'articolo 392 delinea nel momento in cui
l'indagato o il pubblico ministero effettuano la richiesta incidente probatorio.
Abbiamo detto all'inizio che l'incidente probatorio può essere anche disposto durante l'udienza
preliminare a seguito di una sentenza della Corte costituzionale che ha esteso questa possibilità non
solo nelle indagini ma anche nell’udienza preliminare. Ovviamente, in questo secondo caso, la
richiesta sarà effettuata al giudice dell'udienza preliminare.

Come si svolge poi l'incidente probatorio? L’ Incidente probatorio si svolge durante un'udienza che
non è pubblica e con le forme di assunzione della prova nel corso del dibattimento e quindi nel
contraddittorio delle parti, davanti a un giudice. Poniamo che durante l'incidente probatorio venga
disposto all'esame del minore. L'esame del minore o l'esame della vittima di violenza sessuale.
Come si svolgerà? Diciamo come si acquisirà questa prova? È comunque un interrogatorio, ma più
che un interrogatorio, è attraverso l'esame testimoniale. Quindi sostanzialmente il pubblico
ministero effettuerà delle domande al testimone minorenne e la difesa dell'imputato effettuerà delle
domande al testimone e il giudice potrebbe concludere l'esame facendo anche lui delle domande.

Vedremo proprio come si assumono queste prove e i tratti caratterizzanti sono nel contraddittorio
delle parti; quindi, le parti contribuiscono alla formazione della prova. Come faccio a contribuire
alla formazione di una testimonianza? Facendo le domande, il pubblico ministero le sue e il
difensore dell'imputato le proprie e il giudice magari conclude l’esame. Se siamo di fronte a un
testimone minorenne allora il codice prevede la cautela e quindi che queste domande le faccia il
giudice, ma se fossimo di fronte ad una situazione diciamo, meno peculiare (cioè il
testimone/persona offesa, magari vittima di violenza sessuale) allora a quel punto il contraddittorio
sarà attraverso le domande del pubblico ministero e le domande della difesa, con la possibilità del
giudice di effettuare ovviamente delle domande.

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Voi capite bene che però questa prova si forma con le garanzie previste per il dibattimento, ma
ovviamente davanti ad un giudice diverso rispetto a quello che poi troveremo nel dibattimento.
Abbiamo detto che l'incidente probatorio è disposto o dal giudice per le indagini preliminari o dal
giudice dell'udienza preliminare che necessariamente non saranno poi i giudici che acquisiranno le
prove nel corso del dibattimento. Quindi l’unica differenza fra una prova acquisita attraverso
l’incidente probatorio e una prova acquisita nel corso del dibattimento è il giudice: abbiamo sia
nell'una che nell'altra situazione la presenza del giudice, ma la prova assunta nel corso di un
incidente probatorio è una prova assunta davanti ad un giudice diverso rispetto a quello che dovrà
emettere la decisione sulla responsabilità o meno dell'imputato, in pratica viene meno il principio di
immediatezza (che ci dice che la prova deve essere acquisita nel contraddittorio, ma davanti allo
stesso giudice che poi prenderà la decisione). Quindi è una situazione ovviamente particolare,
quella dell’incidente probatorio, che ha le stesse garanzie del dibattimento, ma con la differenza che
si assume davanti a un giudice diverso rispetto a quello che prenderà la propria decisione. Quindi le
prove che sono assunte con incidente probatorio saranno direttamente utilizzabili in dibattimento.
Vedremo che al termine delle indagini preliminari parleremo del fascicolo del pubblico ministero e
vedremo che al termine dell'udienza preliminare sarà formato un fascicolo chiamato fascicolo per il
dibattimento dove sono inseriti tutti quegli elementi e solo quegli elementi che possono essere
conosciuti dal giudice del dibattimento. Vedremo che in questo particolare fascicolo del per il
dibattimento verrà inserita anche la prova assunta durante l'incidente probatorio, mentre nel
fascicolo del pubblico ministero saranno inseriti tutti i risultati delle indagini del pubblico ministero
e questo fascicolo sarà conosciuto soltanto dal pubblico ministero e poi dal difensore dell'imputato.
Il giudice non può conoscere nulla di quello che è inserito all'interno del fascicolo delle indagini
(quindi del pubblico ministero) conoscerà soltanto quello che è contenuto nel fascicolo per il
dibattimento e. I risultati delle prove che saranno assunte nel corso del dibattimento. Quindi
abbiamo anticipato anche il tema della formazione del dei due fascicoli.

LEZIONE 18: 15 Aprile.


Segue.. Le indagini preliminari e udienza preliminare.

La prova acquisita in incidente probatorio viene acquisita davanti ad un giudice (come nel corso del
dibattimento), ma davanti ad un giudice diverso da quello che poi prenderà la decisione.
Quindi la prova acquisita con questo istituto ha le stesse garanzie di quella acquisita nel
dibattimento perché si svolge e si forma nel contraddittorio, ma viene meno il principio di
immediatezza, cioè la necessità che la prova si formi davanti allo stesso giudice che sarà chiamato a
utilizzare quella prova. Nel corso dell’incidente probatorio il risultato probatorio confluirà in un
fascicolo che si formerà al termine dell’udienza preliminare (nel caso in cui il giudice dell’udienza
preliminare proclami il decreto che dispone il giudizio), e il giudice del dibattimento a quel punto
conoscerà quella prova che si è formata nel contraddittorio davanti ad un giudice diverso e quindi
non nel segreto.
Quindi gli elementi di prova acquisiti nel corso dell’incidente probatorio confluiranno in un
fascicolo per il dibattimento che andrà a disposizione del giudice del dibattimento che conoscerà
quel risultato di prova.

Queste prove acquisite nel corso dell’incidente probatorio hanno un loro particolare regime di
utilizzabilità (art. 403).
Nel corso delle indagini preliminari è possibile che siano stati individuati soggetti sottoposti ad
indagine, poniamo che il Pm effettua la richiesta al gip il quale decide di accogliere questa richiesta
perché la prova rientra nell’art. 392, e fissa l’udienza dell’incidente probatorio per acquisire la
prova (es: testimonianza minorenne), a questo punto anche la difesa deve poter partecipare e deve
poter effettuare le proprie domande.
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Il risultato di quella testimonianza verrà inserita in futuro nel fascicolo per il dibattimento, e il
giudice la potrà utilizzare come prova a carico o a discarico nei confronti di tizio che nel frattempo
non saranno più indagati ma imputati.
Poniamo però che dopo l’incidente probatorio le indagini continuino, e nello svolgere le indagini il
Pm individui anche un altro soggetto che viene iscritto nel registro degli indagati.
Quando l’indagine si conclude il PM esercita l’azione nei confronti di tutti i soggetti, e il
dibattimento si instaurerà nei confronti di tutti, ma la prova acquisita nel corso dell’incidente
probatorio non abbia coinvolto il difensore del terzo soggetto individuato successivamente, e allora
quella prova potrà essere utilizzata anche nei confronti del terzo soggetto?
La risposta generale dovrebbe essere no.
- NON utilizzabili contro l'indagato i cui difensori NON hanno partecipato all'incidente (403.1).
- Utilizzabili contro gli indagati i cui difensori hanno partecipato all'incidente.
- allora se successivamente emergono indizi di reità contro una persona (A): occorre ripetere
l'incidente:
1) Se è ripetibile ma non è stato ripetuto (cioè il PM non chiede di ripeterla): inutilizzabili contro A
(403.1-bis)
2) Se non è ripetibile (Ad esempio il testimone è morto): utilizzabili contro A (403.1-bis)
Ad esempio, se il testimone è con una grave malattia terminale è necessario acquisire la sua
testimonianza in incidente probatorio, se il PM non la acquisisce con incidente probatorio rischia di
perderla. Quindi se si vuole usare la prova anche nei confronti di ‘A’ bisogna ripeterla.

Comma 1 bis → la possibilità di utilizzare la prova non ripetibile nei confronti dell’imputato che
non ha partecipato all’incidente probatorio è possibile nel momento in cui l’imputato non era stato
individuato all’interno dell’indagine perché in quel momento non vi erano elementi, quegli elementi
sono stati ricavati solo successivamente.
Quindi se la ripetizione dell’atto è divenuta impossibile, se sono emersi indizi a carico di A
successivamente alla morte del testimone (la prova è divenuta irripetibile) allora è possibile
utilizzare la prova assunta in incidente probatorio anche nei confronti di A il cui difensore non ha
partecipato all’incidente probatorio.
Ratio della norma: in linea di massima per poter utilizzare quell’elemento probatorio è necessario
che il difensore abbia partecipato, se non è più possibile bisogna individuare se all’epoca il PM
possedeva indizi sufficienti per poter includere anche A tra gli indagati, perché se quegli indizi sono
emersi successivamente il PM non poteva fare altro che formare la prova all’interno degli unici
soggetti che erano presenti in quel momento.
Questo istituto viene utilizzato quando c’è bisogno di cristallizzare in quel momento il risultato
della prova, perché qualora si attendesse il procedimento non sarebbe più possibile.

Diritto di difesa e documentazione:


Abbiamo distinto tra attività per le quali il PM è obbligato ad avvisare il difensore, e attività rispetto
alle quali invece il difensore non ha diritto di assistere e quindi il PM non le può svolgere in
maniera autonoma.

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Poniamo un accento sull’avviso al difensore, o comunque l’avviso alla persona che poi viene
sottoposta a questo tipo di attività. Con riferimento alla persona, per cui noi non sappiamo di essere
soggetti sottoposti ad indagine in quanto si compone esclusivamente di pedinamenti, di
intercettazioni telefoniche o aziendali, attività per cui il soggetto non può essere avvisato (ad
eccezione dei parlamentari), ma il PM durante le indagini potrebbe effettuare una perquisizione e a
quel punto cosa deve fare il PM?
Parliamo della ‘informazione di garanzia’ (art. 369 c.p.p):
l’informazione di garanzia è nata con l’idea di tutelare meglio il soggetto sottoposto ad indagini.
Prima arriva quest’informazione prima il soggetto può avviare la sua attività difensiva.
Quindi bisogna far attenzione a interpretare bene quest’informazione di garanzia perché la lettura
che è sempre stata data è che fosse un atto drastico per cui la vita di un soggetto potrebbe essere
conclusa, ma così non è cioè si tratta di un atto molto anticipato.

Insieme all’informazione di garanzia abbiamo anche un ulteriore elemento a difesa dell’indagato


che è l’informazione sul diritto di difesa (art. 369 bis), documento che rappresenta che c’è un

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indagine ma io PM ti spiego anche quali sono i tuoi diritti.

Ovviamente una volta che siamo persone sottoposte ad indagini e ne siamo a conoscenza perché
vengono notificati questi avvisi, a quel punto cosa si fa? Ci arriva un informazione di garanzia che
ci dice che c’è un indagine, quali sono le norme di legge violate e data e luogo del fatto, cosa si fa
appena si riceve questa comunicazione?
Si va da un difensore che ci può spiegare cosa il PM sta facendo, che sta svolgendo un indagine per
violazione di quale articolo, di quale reato ecc.
Ma il difensore non conosce nulla di più, non può ancora fare copia degli atti delle indagini in
quanto queste ultime sono ancora segrete. Il difensore deve attendere che il proprio assistito riceva
l’avviso di conclusione delle indagini, solo in quel momento il difensore potrà andare nella
segreteria del PM, fare copia del fascicolo, convocare l’assistito e capire cosa è stato raccolto dal
PM. Ma nella fase antecedente non lo può fare perché c’è il segreto istruttorio e quindi le uniche
nozioni che ha il difensore sono la norma di legge, data e luogo del fatto e ciò che l’assistito gli può
raccontare.
Il codice a questo punto da la possibilità al difensore di poter svolgere anche lui delle indagini →
investigazione difensiva (art. 327 bis comma 1), nel codice del 1988 non era prevista questa
possibilità del difensore di svolgere delle indagini a favore del proprio assistito. Indagini che
dovrebbero portare a ricavare degli elementi a favore da poter poi depositare presso il Pm, presso il
giudice per dimostrare che in realtà l’assistito è estraneo alla vicenda.
Questa possibilità per il difensore è entrata in vigore con la legge 7 dicembre 2000 n. 397, il codice
del 1988 non lo prevedeva ma prevedeva (e continua a prevedere) che il PM deve trovare anche
elementi a favore della persona sottoposta ad indagini, in quanto il Pm è parte pubblica e il codice
gli impone di effettuare anche indagini a favore della persona e quando individua degli elementi
non può non evidenziarli. Questo aspetto è sottolineato in più momenti nel codice!
Il potere che il codice riserva al difensore è molto distante dal potere del PM, in quanto il primo è
un organo privato che ha interesse a tutelare semplicemente l’assistito, se il difensore trova un
elemento a carico dell’assistito il codice impone soltanto di non occultarlo ma non si è obbligati a
produrlo.
Ratio dell’introduzione di queste investigazioni difensive: un risultato importante ma che poi che
nella prassi si usa poco.
Art. 327 bis comma 1: “Fin dal momento dell’incarico professionale, risultante da atto scritto, il
difensore ha facoltà di svolgere investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova a
favore del proprio assistito, nelle forme e per le finalità stabilite nel titolo VI-bis del presente libro.”
È necessario che il difensore sia stato nominato e a quel punto il difensore può svolgere delle
investigazioni per ricercare e individuare elementi di prova a favore del proprio assistito.
La finalità è quella di ricercare/individuare elementi di prova a favore del proprio assistito.
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Quali sono gli elementi che il difensore ha a disposizione?


• L’assunzione di informazioni (art. 391 bis c.p.p):
Queste dichiarazioni possono essere assunte tramite diverse modalità:
1) colloquio informale,
2) assunzione d’informazioni documentate, cioè come se fosse un verbale di sommarie
informazioni,
3) ricezione di una dichiarazione scritta
Queste modalità poi potrebbero anche essere svolte secondo determinate fasi.
Il difensore dà vari avvertimenti e può svolgere un colloquio informale, non documentato, all'esito
del quale:
-ritiene di ricevere dichiarazioni
-ritiene di non procedere oltre
A questo punto si può passare alla fase successiva, dove l’art. 391 bis dice che così come abbiamo
studiato gli avvertimenti dell’art. 64 dell’interrogatorio, sulla falsariga di questi avvertimenti l’art.
391 bis dice al difensore che se vuole procedere poi a formalizzare attraverso un intervista o
attraverso una dichiarazione scritta allora ci devono essere prima degli avvertimenti.
Lettera a) avvertimento della qualità e dello scopo del colloquio
Lettera b) se intendo conferire, o ricevere dichiarazioni indicando formalità e modalità di
documentazione
Lettera c) avvertire se sei persona sottoposta ad indagine
Lettera d) avvertire che non c’è obbligo a rispondere
Di fronte a tutti questi avvertimenti il 90% delle persone non risponderebbe.

Proviamo a verificare cosa succede se l’intervistato rifiuta di rendere dichiarazioni.

• Investigazioni difensive attuabili direttamente:

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• Investigazioni attuabili su richiesta del difensore:


questi sono gli atti che potrebbero essere compiuti esclusivamente dalla parte pubblica, il PM non è
obbligato nel senso che la richiesta automaticamente non obbliga il PM ma il PM può assecondare
la richiesta del difensore se ritiene che quell’elemento sia importante per la sua indagine lo
acquisirà.

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Arriviamo ora alla fase cruciale delle indagini preliminari, perché il PM è tenuto a raccogliere
questi elementi? Non raccoglie prove ma raccoglie elementi che il giudice del dibattimento non può
conoscere e non conosce perché li ha raccolti unilateralmente e così anche il difensore però la
finalità è quella di decidere se esercitare l’azione penale o se chiedere l’archiviazione e se ha
elementi sufficienti a sostenere l’accusa in giudizio eserciterà l’azione penale.
Quindi tutto ciò studiato fino ad ora permette al PM di valutare se quella notizia di reato è stata
corroborata dai risultati di tutte le attività che ha svolto perché sa che ad un certo punto le indagini
preliminari devono terminare e quando terminano deve decidere se esercitare azione penale o
chiedere archiviazione. Quindi il Pm al termine delle indagini preliminari è posto ad un bivio:
- Chiede archiviazione + giudice che valuterà se accoglierla
- Chiede rinvio a giudizio esercitando l’azione penale
L’art. 112 della nostra costituzione stabilisce che il PM ha obbligo di esercitare azione penale, non
c’è discrezionalità!
Poi nel corso del dibattimento il PM potrebbe anche cambiare idea di fronte alle prove formatasi
anche con il contributo delle altre parti.
Ma quando è che il PM esercita l’azione penale?
La risposta che ci da il codice è quella per cui il PM esercita l’azione penale quando NON deve
chiedere l’archiviazione:

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Allora dobbiamo vedere quali sono gli elementi che devono portare il PM a chiedere l’archiviazione
per capire quando deve esercitare azione penale.
Quali sono le disposizioni che ci dicono quando il Pm deve chiedere l’archiviazione?

La disposizione qui più importante è quella nelle disposizioni di attuazione del codice. Questa
disposizione ci dice sia quando il PM chiede l’archiviazione, e come risvolto anche quando il PM
deve esercitare azione penale (idoneità degli elementi raccolti a sostenere l’accusa in giudizio).
Questi elementi poi potrebbero cambiare, se il PM poi sente delle persone che nel corso del
dibattimento cambiano versione, ma quando li ha raccolti il PM erano idonei a sostenere l’accusa in
giudizio.
Altra disposizione è l’art. 408 del codice, ma quando la notizia di reato è infondata? Ex art. 125
disp. att. quando il PM ha raccolto elementi che non sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio.
Si aggiungono poi gli artt. 411 e 415 per cui anche quando risulta che manca una condizione di
procedibilità o il reato è estinto o il fatto non è previsto come reato o l’autore è rimasto come ignoto
in tutti questi casi si ha richiesta di archiviazione.
Poi il PM ha il dovere di completezza delle indagini, cioè le indagini devono essere complete
perché nel caso in cui l’indagato dovesse scegliere un rito abbreviato il quale permette di essere
giudicati non sulla base di quello che emerge nel contraddittorio ma sulla base degli elementi
raccolti durante le indagini.
Se siamo in queste condizioni qui l’alternativa è fra chiedere archiviazione o chiedere rinvio a
giudizio.
Vediamo quando e quali sono i passaggi per la richiesta di archiviazione:
richiesta che viene effettuata al GIP, in quanto non siamo ancora nell’udienza preliminare che c’è
soltanto con l’esercizio dell’azione penale e la richiesta del PM deve essere motivata dimostrando al
giudice che la notizia di reato è infondata e quindi chiedendogli di emettere un decreto di
archiviazione che chiude l’indagine e permette alla persona sottoposta alle indagini di uscire
dall’indagine.
Il giudice come può valutare questa richiesta?
- Il giudice può emettere decreto di archiviazione, la notizia è infondata e il giudice ha la
stessa opinione del PM e dispone l’archiviazione.
- L’altra possibilità è quella in cui il giudice indica al PM che non ha effettuato tutte le
indagini che doveva fare; quindi, indica quali sono le ulteriori indagini che deve fare e fissa
un termine per il compimento delle stesse. A quel punto il PM compie le indagini e può
chiedere il rinvio a giudizio, oppure insistere nella richiesta di archiviazione.
- Il giudice ritiene che la notizia di reato sia fondata sulla base degli stessi elementi che il PM
gli ha presentato. Allora il giudice ordina l’imputazione, cioè che entro 10 gg il PM formuli
l’imputazione e entro 2 gg dalla formulazione dell’imputazione il giudice fissa con decreto
l’udienza preliminare. Si tratta di un ipotesi anomala perché l’unico titolare dell’azione
penale è il PM! Ecco quindi che il giudice si appropria di una funzione del PM →
imputazione coatta, cioè attraverso l’ordine del giudice. E allora a quel punto il PM è
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obbligato ad esercitare azione penale e in questo caso la posizione del PM non è semplice
perché arriverà a dibattimento con un’accusa che poco prima riteneva infondata.

Nel caso di notizia di reato scaturita da una denuncia il denunciante se chiede nella propria
denuncia di essere informato nel caso in cui il Pm effettui richiesta di archiviazione perché ha
interesse, allora il PM ha obbligo ad avvisare anche la persona offesa. Quindi ci sono due atti qui:
richiesta di archiviazione al GIP + comunicazione alla persona offesa.
La persona offesa a questo punto può opporsi → atto di opposizione alla richiesta di archiviazione
(art. 410), con il quale la persona offesa chiede la prosecuzione delle indagini preliminari.
Il giudice è obbligato a quel punto a fissare udienza per discutere!
-Se il giudice quando riceve l’opposizione della persona offesa deve valutare l’ammissibilità di
questo atto di opposizione, in quanto la persona offesa deve indicare l’oggetto delle indicazioni
suppletive e i relativi elementi di prova.
L’udienza poi si svolge in camera di consiglio e la decisione del giudice è quella di un ordinanza di
archiviazione o un ordinanza di prosecuzione delle indagini, oppure imputazione coatta a seguito
delle motivazioni scritte nell’atto di opposizione.
-Se l’atto di opposizione è dichiarato inammissibile, o la persona offesa non si oppone il giudice
non fissa udienza ma il giudice potrebbe anche ritenere di non accogliere la richiesta di
archiviazione e allora fissa udienza. Quindi la partecipazione della persona offesa vi è sia nel
momento in cui si oppone, sia nel momento in cui il giudice ritiene di non accogliere la richiesta ma
di chiedere al Pm di effettuare nuove indagini.

Procedimento contro ignoti:


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Decreto e ordinanza di archiviazione:


il decreto di archiviazione viene emesso quando il giudice accoglie la richiesta, l’ordinanza invece è
quando il giudice accoglie la richiesta ma c’è stata prima una richiesta di effettuare nuove indagini
o c’è stata opposizione della persona offesa e allora il provvedimento muta.
La legge 103 del 2017 (riforma orlando) ha inserito alcune cause di nullità sia del decreto che
dell’ordinanza di archiviazione:

Avviso di conclusione delle indagini (art. 415 bis):


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prima della scadenza del termine per le indagini il PM ha la necessità di far entrare nelle indagini la
difesa attraverso l’avviso di conclusione delle indagini, cioè c’è ancora un momento che è quello a
seguito della notifica dell’avviso che permette al PM ancora di attendere e capire se esercitare
azione penale o chiedere archiviazione. Se c’è questo avviso vuol dire che sulla base degli elementi
raccolti unilateralmente dal Pm eserciterebbe azione penale, ma questo avviso permette al difensore
di fare una serie di attività che potrebbero convincere ancora il PM a chiedere archiviazione.

LEZIONE 19: 28 aprile


Avviso di conclusione delle indagini (art. 415 bis):
Prima della scadenza del termine per le indagini il PM ha la necessità di far entrare nelle indagini la
difesa attraverso l’avviso di conclusione delle indagini, cioè c’è ancora un momento che è quello a
seguito della notifica dell’avviso che permette al PM ancora di attendere e capire se esercitare
azione penale o chiedere archiviazione. Se c’è questo avviso vuol dire che sulla base degli elementi
raccolti unilateralmente dal Pm eserciterebbe azione penale, ma questo avviso permette al difensore
di fare una serie di attività che potrebbero convincere ancora il PM a chiedere archiviazione.
Esempio: quando PM ritiene di dover interrogare la persona sottoposta a indagine --> avviso viene
notificato e rende palese alla persona che c’é un’indagine nei suoi confronti, con invito a nominare
difensore. Momento classico in cui difesa assume ruolo importante, é quando l’indagine é conclusa.
Qui il PM ha dovere di disclosure rispetto a tutto ció che é stato svolto durante le indagini. Il dovere
lo adempie quando deve avvisare indagato e difensore che indagini si sono concluse, tramite avviso
di conclusione delle indagini ex art. 415bis cpp.
Anzitutto avverte che c’é un’indagini nei nostri confronti, che sono state svolte attivitá, che i
risultati delle indagini senza nessun potere di selezionarle, sono a disposizione completa
dell’indagato e del suo difensore tramite deposito nella cancelleria del PM. Il difensore puó estrarre
copia di questi risultati. Ecco che si crea finalmente una situazione di parità tra accusa e difesa.
Verrà indicata una sommaria informazione sui fatti e sull’accusa --> hai violato art. 630 cp Truffa e
ti dico sulla base di cosa affermo ció. Sappiamo che con la notifica dell’avviso di conclusione, il
PM ha intrapreso la strada dell’esercizio dell’azione penale. Se i risultati delle indagini invece
l’avessero convinto il PM di non poter avanzare l’accusa, avrebbe svolto richiesta di archiviazione.
Con questo avviso art. 415bis io PM dico a te difesa che ho concluso indagini, che gli atti sono a tua
disposizione, e puoi produrre documenti o memorie, depositare i risultati delle TUE investigazioni
difensive.

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A seguito della notifica di avviso ex 415bis: commi 3 e 4 del 415bis…


3. L'avviso contiene altresì l'avvertimento che l'indagato ha facoltà, entro il termine di venti
giorni, di presentare memorie, produrre documenti, depositare documentazione relativa ad
investigazioni del difensore, chiedere al pubblico ministero il compimento di atti di indagine,
nonché di presentarsi per rilasciare dichiarazioni ovvero chiedere di essere sottoposto ad
interrogatorio. Se l'indagato chiede di essere sottoposto ad interrogatorio il pubblico ministero
deve procedervi.
4. Quando il pubblico ministero, a seguito delle richieste dell'indagato, dispone nuove indagini,
queste devono essere compiute entro trenta giorni dalla presentazione della richiesta(5). Il
termine può essere prorogato dal giudice per le indagini preliminari, su richiesta del pubblico
ministero, per una sola volta e per non più di sessanta giorni.
Dagli avvertimenti contenuti nell’avviso, capiamo cosa potrebbe succedere dopo l’avviso. Se
dunque dopo nuove indagini del PM, il PM viene convinto che in realtá non c’é motivo di portare
avanti l’accusa, allora fará naturalmente richiesta di rinvio a giudizio. Altrimenti, conferma la sua
idea e procede con la richiesta di rinvio a giudizio. Una volta scelta questa via, peró, il PM sa di non
poter piú “tornare indietro”, il tutto si chiude con sentenza del giudice. Se invece le cose dovessero
cambiare post richiesta di archiviazione? C’é modo di tornare indietro --> non spiegato dal prof
come.
La richiesta di rinvio a giudizio deve essere valutata da altro giudice con fissazione dell’udienza
preliminare: con il rinvio a giudizio il PM contestualmente chiede al giudice di fissare la data
dell’udienza preliminare nell’ambito della quale nel contraddittorio, PM e difesa cercano di
convincere il giudice delle rispettive richieste e tesi. Rispettivamente andare in giudizio tramite il
“decreto che dispone il giudizio” e fissare la data di inizio del dibattimento. Oppure blocco
dell’accusa con adozione di una sentenza di non luogo a procedere.
Con la richiesta di rinvio a giudizio e richiesta di fissazione dell’u.p. passiamo dalla fase del
procedimento alla fase del processo. Quando parliamo di processo parliamo della fase
immediatamente successiva alla richiesta di rinvio a giudizio.

Ora percorriamo la strada della richiesta di rinvio a giudizio: da percorrere se il PM non ritiene
sussistenti i presupposti per la richiesta di archiviazione (condizioni in artt. 125 ss. Disp. Att.)
Si ha dunque inizio del processo penale. Non siamo piú dinanzi al giudice per le indagini
preliminari, ma dinanzi al giudice dell’udienza preliminare --> sono giudici di pari grado, ma
diversi. Perché cambia? Perché il GIP sarebbe incompatibile siccome ha giá svolto attivitá prima, é
“influenzato”.

Richiesta di rinvio a giudizio: contenuti e presupposti artt. 416-417 cpp:

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La formulazione
dell’imputazione é
qualcosa di nuovo, prima
non c’era nell’avviso di
conclusione delle
indagini!

Art. 416 cpp: 1. La richiesta di rinvio a giudizio è depositata dal pubblico ministero nella
cancelleria del giudice. La richiesta di rinvio a giudizio è nulla se non è preceduta dall'avviso
previsto dall'articolo 415 bis, nonché dall'invito a presentarsi per rendere l'interrogatorio ai sensi
dell'articolo 375, comma 3, qualora la persona sottoposta alle indagini abbia chiesto di essere
sottoposta ad interrogatorio entro il termine di cui all'articolo 415 bis, comma 3.
2. Con la richiesta è trasmesso il fascicolo contenente la notizia di reato, la documentazione
relativa alle indagini espletate e i verbali degli atti compiuti davanti al giudice per le indagini
preliminari [294, 401]. Il corpo del reato e le cose pertinenti al reato sono allegati al fascicolo,
qualora non debbano essere custoditi altrove.

Il fascicolo dobbiamo chiamarlo “fascicolo d’indagine” e sulla base di questo il gup deciderà se
emettere il decreto che dispone il giudizio o pronunciare una sentenza di non luogo a procedere, e
contiene anche le attivitá investigative difensive della difesa.
Vi sono peró altre forme per ESERCITARE L’AZIONE PENALE: alla domanda “come si esercita
azione penale”, la risposta completa deve comprendere sia gli artt. 416-417, sia il contenuto dell’art.
405 cpp.
Art. 405 esercizio di azione penale in riti speciali: “Il pubblico ministero, quando non deve
richiedere l’archiviazione, esercita l’azione penale, formulando l’imputazione, nei casi previsti nei
titoli II, III, IV, e V del libro VI ovvero con richiesta di rinvio a giudizio”.

Riti speciali:
• Patteggiamento: consenso del p.m. che contiene l’imputazione.
• Giudizio direttissimo: emissione dell’atto di citazione
• Giudizio immediato: la richiesta di giudizio immediato in cui deve trovare posto la formulazione
dell’imputazione
• Procedimento per decreto: richiesta di emissione del decreto penale
(li approfondiremo piú avanti).
Per ora dobbiamo sapere che l’esercizio dell’azione penale si ha anche con queste formule. Il
patteggiamento, di solito, é l’imputato che chiede al PM di patteggiare. Ma l’imputato che chiede
non puó chiedere esercizio dell’azione penale, e allora vedremo che l’esercizio si ha quando il PM
presta il CONSENSO al patteggiamento, e quel consenso contiene anche la formulazione
dell’esercizio dell’azione penale. C’é sempre una predominanza del PM, é lui dominus dell’azione
penale!!!
Perché nella lista non appare il giudizio abbreviato? Perché questo puó essere richiesto solo
dall’imputato. Quindi qua il PM eserciterà l’azione penale con lo stesso atto con cui la esercita nel
rito ordinario.

Allora vediamo questa udienza preliminare: le finalitá.

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• verifica dell'idoneità degli elementi di indagine a sostenere l'accusa in giudizio: funzione di filtro
alle imputazioni “azzardate”. Per esempio, il gup verifica che gli elementi non sono sufficienti
comunque a sostenere l’accusa, a superare quel “oltre ogni ragionevole dubbio”. É, dunque,
un’udienza filtro congegnata per bloccare quelle azioni che non avrebbero avuto margini di
successo.
• verifica della completezza delle indagini svolte (I. 479/99: eventuale integrazione delle indagini o
probatoria: artt. 421-bis e 422 c.p.p.): funzione di attuazione del diritto alla prova (sulla necessità
del processo). Il PM ha l’obbligo di fare delle indagini che siano complete, il piú possibile, non
perché i risultati delle indagini poi saranno versati nel dibattimento, ma devono essere complete
perché é possibile che l’imputato possa chiedere di essere giudicato non sulla base di prove
formatesi nel corso del dibattimento, ma sulla base degli esiti delle indagini preliminari (ipotesi di
riti speciali, lo vedremo).

Per prendere questa decisione, il gup deve ricevere tutti gli atti compiuto dal PM e quelli depositati
a seguito dell’investigazione difensiva. Infatti, con la richiesta di rinvio a giudizio, ricordiamo al
gup viene trasmesso il fascicolo. Quindi, durante l’udienza preliminare:

Se giudice puó disporre


assunzione di prove, sembra che ancora una volta il nostro sistema si stia inquinando con elementi
inquisitori. Il giudice dovrebbe essere equidistante, imparziale, esterno alle prove.
Ricordiamo anche nell’incidente probatorio --> anche qua c’era una prova che si formava davanti al
giudice (gip) nel contraddittorio tra le parti, ma é una prova che puó essere richiesta dal giudice
perché ritenuta decisiva e solo per emettere sentenza di n.l.p favorevole all’indagato.
Infatti, anche nel caso attuale, il gup puó chiedere l’assunzione di prove SOLO per emettere una
sentenza favor rei, di n.l.p.
Esiti dell’udienza preliminare possono essere, dunque, solo due:
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- Decreto che dispone il giudizio, perché ci sono abbastanza elementi x portare avanti
l’accusa. GUP fissa la data di inizio del dibattimento dinanzi ad altro giudice.
- Sentenza di non luogo a procedere: il processo finisce in questo momento. Questa é una
sentenza di RITO!!! Le sentenze di merito si esprimono sulla base di prove, e invece questa
non si esprime sulla base di prove dunque é di rito. Si esprime sulla base di elementi
raccolti del segreto. Questa sentenza, a differenza di quelle di merito, NON PASSA IN
GIUDICATO! Quindi questa sentenza non acquista l’autoritá di cosa giudicata, non diventa
mai irrevocabile, e quindi potrebbe essere revocata!!! Il codice disciplina casi tassativi in
cui é possibile revocare la sentenza di non luogo a procedere, nell’art. 434 cpp: “Se dopo
la pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere sopravvengono o si scoprono nuove
fonti di prova(1) che, da sole o unitamente a quelle già acquisite, possono determinare il
rinvio a giudizio(2), il giudice per le indagini preliminari, su richiesta del pubblico
ministero, dispone la revoca della sentenza di non luogo a procedere”.
Altra possibilitá all’Art. 414 cpp: PM chiede al giudice di revocare la sentenza perché ritiene che
sulla base di nuovi elementi il giudice possa cambiare idea.
Impugnabilità della sentenza di nlp: introdotta dalla riforma Orlando 2017. Dettagli da
guardare autonomamente, il prof ha solo detto che puó essere impugnata appunto. Con
l’impugnazione si chiede ad altro giudice di chiedere correttezza o meno dell’operato del giudice
che ha emesso la sentenza. La revoca, invece, prevede qualcosa di nuovo che se valutato avrebbe
fatto comunque cambiare idea al giudice.

Cosa succede se invece si ha il decreto che dispone il giudizio? il GUP ritiene si possa procedere al
dibattimento, che ne valga la pena, e quindi deve preparare subito dopo aver emesso il decreto, il
fascicolo che dovrà inviare a questo giudice del dibattimento, che nulla conosce di tutto quello che é
stato fatto fino ad ora. É detto fascicolo del dibattimento. Il gup deve quindi selezionare gli unici
atti che il giudice del dibattimento conoscerà, e si riempirà man mano che si formeranno le prove
nel corso del dibattimento.
Il GUP quali atti inserisce? Potranno essere inseriti alcuni atti che sono indicati tassativamente
dall’art. 431 cpp: hanno la caratteristica comune di essere verbali di atti NON RIPETIBILI, che
non potrebbero formarsi comunque nel corso del dibattimento (es. corpo del reato, cose pertinenti al
reato…) e tutti gli atti sui quali c’é consenso di entrambe le parti (PM e parti).

Fascicolo del pubblico ministero:


è depositato presso la segreteria del P.M. (433).
Ha un contenuto residuale rispetto all'altro fascicolo. Nel fascicolo del P.M. è inserita la attività
integrativa di indagine (430) svolta dal P.M. e dal difensore, quando sulla base di tale
documentazione il giudice ha accolto una richiesta di parte (433.3).
Fascicolo per il dibattimento (431):
presso la cancelleria del giudice competente per il dibattimento. Contenuto tassativo:
• prove raccolte nell'incidente probatorio;
• atti formati come non ripetibili all'origine, compiuti dal P.M.,
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dalla polizia giudiziaria e dal difensore nella investigazione


privata (art. 391-decies commi 2, 3,4);
• acquisizione concordata (artt. 431, comma 2 e 493, comma 3).

LEZIONE 20: 29 Aprile.


Il giudizio.

Il libro VI disciplina i procedimenti speciali, ma noi oggi ci occuperemo del libro VII relativo al
giudizio. Dopo il decreto che dispone il giudizio con la formazione del fascicolo per il dibattimento
lo stesso giudice che emette il decreto che dispone il giudizio fissa la data del dibattimento di solito
davanti al tribunale.
Il decreto che dispone un giudizio non è motivato perché è un decreto!
C’è il decreto che contiene l’imputazione formulata nella richiesta di rinvio a giudizio, c’è
l’indicazione del tribunale davanti al quale sarà fissata udienza e quindi ci prepariamo ad affrontare
il vero e proprio dibattimento, il giudizio.
Stiamo parlando di un’accusa, di un imputazione, di qualcosa che è cristallizzato nella richiesta di
rinvio a giudizio ed è il faro che il tribunale deve seguire, cioè è quella l’accusa/la domanda, poi in
realtà quell’accusa potrebbe anche essere modificata ma tendenzialmente è l’accusa rispetto alla
quale il tribunale dovrà valutare le prove richieste dalle parti, cioè il tribunale dovrà valutare se
quell’accusa è fondata sulla base di quelle prove e il tribunale lo potrà fare esclusivamente in base a
quello che emerge dall’istruttoria dibattimentale (attività di formazione della prova).
Questa fase che ora studiamo in realtà si compone di 2 momenti:
1) Formazione della prova davanti al giudice alla quale formazione contribuiscono attivamente
le parti (esame e contro esame se parliamo della testimonianza),
2) Il giudice dichiara chiuso il dibattimento e poi si rinchiude in camera di consiglio per
verificare se sulla base di quelle prove è possibile emettere una sentenza di condanna o di
assoluzione.

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Inoltre, in udienza preliminare potrebbero innestarsi due riti speciali:


1) Giudizio abbreviato
2) Patteggiamento
Due riti che sono modalità diverse di definizione del processo rispetto al rito ordinario, oppure
prima dell’udienza preliminare durante le indagini preliminari si potrebbe percorrere la strada del
giudizio direttissimo o del giudizio immediato richiesto dal PM, anche queste forme alternative.
Ed entrambi questi riti speciali hanno come caratteristica di omettere alcune fasi del procedimento
ordinario (ad esempio nel caso del giudizio direttissimo o immediato chiesto dal PM si salta la fase
dell’udienza preliminare).
I riti speciali sono diverse definizione della posizione processuale dell’imputato che divergono dal
modello ordinario perché omettono alcune fasi tipiche.

I principi del dibattimento/giudizio:


siamo davanti ad un altro giudice, quindi è il terzo giudice che incontriamo (prima GIP durante le
indagini preliminari che interviene su richiesta del PM per intercettazione telefonica, misura
cautelare, proroga dei termini delle indagini preliminari, poi GUP durante l’udienza preliminare con
richiesta di rinvio a giudizio).
Il giudizio del giudizio a seconda della contestazione che è stata formulata dal PM sarà o un
tribunale (composto da 3 giudici) oppure giudice monocratico.
Le regole che si applicano sono le stesse, divergono in qualche aspetto che però noi non studieremo.
- Il PM e giudice entrambi sono magistrati ma hanno caratteristiche e funzioni
completamente diverse, questa è infatti la fase dove le parti sono in una posizione di parità
rispetto al giudice, è in questa fase che abbiamo la “parità delle parti/delle armi”: Il PM
ha un potere maggiore, ha dei poteri di autorità essendo una parte pubblica, ma adesso
siamo in una posizione di completa parità. La parità delle parti era prevista all’art. 2 n. 3
legge delega, cioè «partecipazione dell’accusa e della difesa su basi di parità in ogni stato e
grado del procedimento». Principio oggi espressamente costituzionalizzato con riferimento
a qualunque tipo di processo (art. 111 c.2 Cost.)
- Fase pubblica per eccellenza, il pubblico agisce come controllore dell’attività della
magistratura, se il magistrato sa di essere controllato lavora meglio, e una delle forme di
controllo è sicuramente l’opinione pubblica.
- Principio di oralità, nel processo penale a differenza del processo amministrativo/civile si
parla, questo non vuol dire che non si possano acquisire documenti o esaminare gli atti. La
prova regina è la testimonianza, prova orale per eccellenza. Art. 2 n. 2 legge delega
- Principio di immediatezza, la prova si forma davanti al giudice che è chiamato poi a
decidere. C’è un immediatezza tra la formazione della prova e l’utilizzazione della prova ai
fini del decidere, questo principio comporta che colui che sarà chiamato a valutare la
responsabilità è colui che ha assistito alla formazione della prova. Questo principio viene
meno nell’incidente probatorio, ad esempio, perché siamo davanti ad un giudice diverso
rispetto a quello che sarà chiamato a valutare quel risultato di prova.
- Principio di concentrazione, nel modello accusatorio tutto dovrebbe essere concentrato in
poco tempo proprio perché la prova si deve formare davanti al giudice che è chiamato a
decidere e quindi quest’attività di formazione della prova dovrebbe essere concentrata, il
giudice dovrebbe essere nelle condizioni di ricordare in maniera precisa i risultati di questa
prova. In realtà questo principio è più sulla carta, perché i dibattimenti durano molto.

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Nel modello accusatorio altre due caratteristiche sono:


1) distinzione delle funzioni del giudice da quelle dell’organo di accusa → solo in questo
modo può essere assicurato l’equidistanza delle parti
2) netta distinzione tra la fase delle indagini preliminari e la fase del dibattimento
(caratteristica del nostro sistema e non di tutti i modelli accusatori). Il giudice del
dibattimento conosce le prove tramite la fonte, ascoltando la fonte ad esempio tramite la
testimonianza.

Lo sviluppo del giudizio di primo grado:


Delineate queste caratteristiche, ora vediamo come si compone questa fase che ha delle sue sottofasi
che la caratterizzano. Ora possiamo fare la distinzione tra giudizio e dibattimento, individuando il
dibattimento come una fase del giudizio, parleremo di istruttoria dibattimentale dove la prova si
forma davanti al giudice.
È necessario mettere le carte in regola prima di iniziare la fase dove si formerà la prova; quindi, c’è
questa fase di preparazione che chiameremo “atti preliminari al dibattimento” (indicazioni di
prova, atti urgenti, controllo costituzione, questioni preliminari, verifica regolare costituzione delle
parti, in questa fase si può costituire la parte civile, si può citare il responsabile civile o lo stesso si
può costituire autonomamente, si possono sollevare le questioni di competenza).
Poi c’è la fase del dibattimento (richieste probatorie, ammissione e formazione della prova;
discussione),
e infine la deliberazione e atti successivi (valutazione della prova (deliberazione), pubblicazione
della sentenza).
Negli atti preliminari al dibattimento siamo già all’interno del giudizio, all’interno delle udienze che
vengono fissate, ad esempio in una prima si verifica la regolare costituzione delle parti, in una
seconda si fa la richiesta probatoria, nelle successive si formeranno le prove ascoltando i testimoni,
e poi nelle finali si hanno le discussioni della pubblica accusa e difesa dove le parti fanno le loro
richieste di condanna e di assoluzione e poi il giudice si ritira in camera di consiglio e emette la
decisione.
Quindi in queste fasi siamo sempre in udienza, però c’è un aspetto che deve essere preparato
PRIMA che si arrivi alla prima udienza fissata del giudizio, questo è disciplinato dall’art. 468 → 7
giorni prima la data fissata della prima udienza è necessario entro 7 gg prima depositare la lista
delle prove orali che nel corso del dibattimento poi chiederanno di ammettere e di formare davanti
al giudice. (*domanda d’esame ‘la lista testimoniale’)
Lista testimoniale: Qui si ha la necessità di arrivare al dibattimento in una condizione di parità tra
accusa e difesa e in una condizione di rapporto corretto, e quindi si richiede di formare una lista
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testimoniale per permettere alle parti di formare una propria strategia sapendo già che le parti
chiederanno l’esame di quel testimone.
Le parti già cioè sanno che entro 7 gg da quella data devono depositare la lista dei testimoni, periti e
consulenti tecnici e persone imputati in un procedimento connesso o collegato di cui chiederanno
l’ammissione per l’esame.
Perché c’è questa necessità di effettuare una disclosure anticipata su le prove (almeno orali) che le
parti chiederanno al giudice di ammettere. Questa disclosure anticipata è giustificata dal fatto che vi
deve essere un rapporto di lealtà anche tra la pubblica accusa e la difesa, e questo permette di
verificare quali sono i testimoni e preparare la propria lista anche in base alla lista dell’altra parte.
Quindi non solo indicazione dei nomi ma anche delle circostanze, sulle quali poi il PM e la difesa
faranno le domande durante l’esame testimoniale, lo stesso per quanto riguarda i periti, consulenti
tecnici, o gli imputati in un procedimento connesso o collegato i computati ex art. 210.
Inoltre, la parte comunque ex art. 495 ha sempre diritto all’ammissione delle prove indicate a
discarico sui fatti costituenti oggetto delle prove a carico, lo stesso diritto è ottenuto dal PM.
Tornando alla lista testimoniale l'art. 468 impone alle parti la discovery dei mezzi di prova e dei
fatti che si intendono provare, per assicurare il leale confronto tra le parti:
• impedendo l’introduzione di prove a sorpresa
• mettendo ciascuna parte in condizione di interloquire e contro-dedurre sulle richieste dell'altra
parte, a garanzia dell'effettivo esercizio del contraddittorio
Ambito oggettivo e soggettivo → l'obbligo (a pena di inammissibilità):
• ha ad oggetto l'esame di testimoni, periti, consulenti tecnici, persone ex art. 210 (I. 479/1999) e
l'introduzione di verbali di altri procedimenti
(I. 356/1992) (non l'esame delle parti ex art. 208)
• impone anche l'indicazione delle circostanze (non la capitolazione dettagliata della prova, come
nel processo civile)
• è riferito alle "parti": p.m., imputato, parte civile (non persona offesa)
Se la parte NON deposita questa lista entro 7 gg o non indicano in maniera precisa i nomi dei
testimoni e le circostanze il giudice tendenzialmente non ammetterà richiesta di testimoni non
ammessi in questa lista → quindi a pena di inammissibilità.
Questo adempimento non si svolge in udienza ma deve essere necessariamente portato avanti da
tutte le parti che intendono inserire testimoni ecc.

Prima udienza dibattimentale:


qui nelle prime udienze si affrontano gli ‘atti preliminari al dibattimento’, bisogna mettere tutte le
carte in regola. Bisogna verificare:
• controllo regolare costituzione delle parti
• questioni preliminari
• competenza (e composizione tribunale), nullità 181, c. 2 e 3 c.p.p., citazione parte civile,
responsabile civile, civilmente obbligato, enti rappresentativi (non riproponibili).
• fascicolo, riunione o separazione (riproponibili se sorgono dopo)
Queste questioni devono essere risolte, e se non si risolvono ora non si possono più riproporre
perché bisogna intenderle precluse, stiamo parlando delle questioni preliminari previste dall’art.
491, debbono essere proposte subito dopo il compimento «per la prima volta» delle formalità
previste dall’art. 484, altrimenti sono precluse (art. 491 c.1).
Questa fase è una delle fasi che contribuiscono maggiormente a dilatare i tempi del processo,
perché ad esempio la persona offesa non ha ricevuto la notifica e bisogna rifarla, quindi si fissa una
prossima udienza, e alla prima si verifica che la persona offesa non è stata trovata ecc..
Tutte queste questioni se non sono sollevate ora e risolte ora poi sono precluse, quindi
sostanzialmente sono sanate.
Queste questioni sono:
competenza per territorio o per connessione
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• incompetenza per materia, se per eccesso, ex art. 23 c.2


• nullità relative degli atti delle fasi anteriori non ancora sanate, oppure eccepite nell’udienza
preliminare e non dichiarate dal giudice
• costituzione e intervento delle parti private
• inosservanza delle disposizioni sulla composizione monocratica o collegiale del tribunale
Si affronterà sia la riunione o separazione dei giudizi ma anche il contenuto del fascicolo del
dibattimento, anche durante l’udienza preliminare le parti interloquiscono con il GUP ma è
possibile rimettere in discussione il contenuto di quel fascicolo anche in questa fase, ad esempio il
fascicolo non contiene alcuni atti dell’incidente probatorio e allora si chiede il recepimento e lo si
può fare anche in questa fase.
Ma queste questioni come si affrontano?
Qualche indicazione ce la da il comma 3 dell’art. 391: sono discusse dal Pm o da un difensore per
ogni parte privata, deve essere contenuta nei limiti di tempo necessari, non sono ammesse repliche.
Sulle questioni preliminari il giudice decide con ordinanza.
Es. noi abbiamo una questione preliminare: la difesa solleva questione di incompetenza per materia.
La difesa chiede la parola al giudice prima di iniziare il dibattimento. Come fa a sollevarla? Illustra
la questione spiegando le ragioni per le quali ritiene che il tribunale sia incompetente. Il giudice,
poi, passa la parola al PM. Il PM dice la sua versione in merito alla questione sollevata. Se ci sono
le altre parti private, poi, si dà la parola al difensore della parte civile o delle altre parti private. Il
giudice, poi, decide con ordinanza. Quindi sia che la decisione del giudice sia immediata o meno
viene decisa sempre con ordinanza che il giudice legge in udienza.
Tutte queste decisioni possono essere impugnate con la sentenza.

Udienza dibattimentale:
Compiute le attività indicate negli art. 184 (regolare costituzione delle parti) e dell’art. 491, l’art.
492 ci dice che il presidente (giudice) dichiara aperto il dibattimento → dichiarazione di apertura
del dibattimento e quindi tutte le questioni preliminari non sollevate prima non possono più essere
riproposte.
Inizia a questo punto la fase di formazione della prova, e questa fase si potrà concludere SOLO con
sentenza.
Dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento, c’è la lettura dell’imputazione e poi ci sono le
richieste istruttorie cioè davanti al giudice le parti indicano i fatti da provare e chiedono le prove.
Quindi prima ci sarà il PM, parla sempre prima l’accusa e la difesa ha sempre l’ultima parola.
Il PM indicherà quali sono le prove che chiede, tra queste richieste di prova ci sarà anche
l’ammissione delle prove orali indicate nella lista depositata regolarmente entro 7 gg prima dalla
data fissata per questa udienza; quindi, il PM farà riferimento a questa lista chiedendo l’ammissione
delle persone indicate in questa lista, poi il PM procederà a chiedere l’ammissione anche di altre
prove.
C’è anche la possibilità di chiedere l’ammissione di testimoni non indicati nella lista se si giustifica
che non si conoscevano prima.
Quindi la norma di riferimento è l’art. 493 → richiesta di prova.
Su queste richieste il giudice provvede con ordinanza → ordinanza di ammissione delle prove,
cioè il giudice dovrà valutare se accogliere o meno queste richieste, la richiesta non rende
automatica l’ammissione delle prove ma il giudice dovrà fare una valutazione per ammettere o
escludere queste prove (art. 187 ricorda!).
Il giudice potrà escludere la prova perché non è pertinente, oppure non è rilevante.
Quindi c’è una fase di ammissione rispetto alle richieste delle parti, e poi le prove ammesse
vengono formate → istruzione dibattimentale.
Nell’istruttoria dibattimentale si forma la prova prima richiesta se è stata ammessa con ordinanza
dal giudice.

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LEZIONE 21: 5 Maggio.


Segue.. il giudizio.

Ci eravamo fermati alla dichiarazione di apertura del dibattimento fase in cui il pm e le parti
private devono introdurre all’interno del dibattimento, gli elementi (cioe le prove) in base alle quali
il giudice sarà chiamato a rispondere circa la responsabilità o meno dell’imputato con riferimento
all’accusa contenuta prima nella richiesta a rinvio a giudizio e poi nel decreto.
In questa fase c’è la necessità per le parti di introdurre le prove nel dibattimento perché nel nostro
ordinamento vige il principio dispositivo in materia di prova, cioè il giudice valuta solo le prove
portate dalle parti.
Ci sono delle eccezioni, il giudice può ammettere una prova che non è stata richiesta dalle parti in
alcune fasi in particolare: durante l’udienza preliminare ai sensi dell’art 421 cpp ai fini di emettere
una sentenza di primo luogo a procedere.
La regola generale però è che il giudice valuti solo le prove portate dalle parti.
Le prove orali sostanzialmente le hanno già anticipate e sono già conosciute (lista testimoniale ex
art 468 cpp depositata 7 gg prima dalla prima udienza dibattimentale per evitare le cd prove a
sorpresa).
Sicuramente le parti chiederanno l’assunzione delle prove orali indicate nella lista, questa è una
prima attività chiedendo l’ammissione come prova delle prove orali ed eventualmente l’ammissione
di prove contrarie rispetto l’altra parte.
Possono chiedere anche l’ammissione di prove orali non citate nella lista se e solo se il testimone
non indicato nella lista non era conosciuto. È un onere delle parti dimostrare ciò.
Altre tipologie di prove sono l’acquisizione dei documenti e l’esame delle parti.
Se il pm intende chiedere l’esame dell’imputato deve effettuare questa richiesta in questa fase.
Alle richieste dovrà provvedere il giudice, cioè il giudice dovrà provvedere in ordine
all’ammissione di queste prove richieste.
Non è automatico che alla richiesta segua l’ammissione della prova, naturalmente le parti fanno la
richiesta di ammissione e il giudice deve valutare le prove indicate dalle parti.
Il giudice procederà con ordinanza per valutare se hanno una loro attinenza, una loro rilevanza
rispetto al capo di imputazione naturalmente (ex art 187 cpp “…oggetto della prova sono i fatti
che si riferiscono all’imputazione”).
Il giudice effettuerà un giudizio di rilevanza rispetto il capo di imputazione, cioè se quella prova è
potenzialmente capace di provare uno dei fatti inerenti all’imputazione e poi deve verificare la
legittimità della prova, cioè la prova deve legale.
Infine, la prova non deve essere superflua (cd criterio della superfluità): le prove potrebbero essere
superflue quando sono state già ammesse delle prove che provino lo stesso fatto.
In sintesi, i requisiti per l’ordinanza di ammissione della prova sono 3:
1. Rilevante
2. Non contraria alla legge
3. Non superflua

La rinuncia alla prova:


una volta che la prova è stata ammessa poi diventa “patrimonio comune delle parti” → poi quella
prova si formerà nel contributo di tutte le parti a prescindere di chi l’ha richiesta.
Una volta che le prove sono ammesse per poter rinunciare alla loro formazione è necessario il
consenso di tutte le parti, e il giudice a quel punto potrà pronunciare un ordinanza di revoca della
prova precedentemente ammessa.
Ma perché le parti potrebbe richiedere la rinuncia alla prova?
Quando le parti si rendono conto che su quella circostanza si sono già formate delle prove
sufficienti per dimostrare la sussistenza di quel fatto (x snellire la procedura);

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quando il testimone non si presenta e l’udienza viene rinviata per ottenere la presenza di un
testimone che però essendo irreperibile le parti revocano la sua testimonianza.

In questo modo abbiamo delineato 2 step dell’istruttoria dibattimentale/dinamica probatoria.


Come si forma la prova? Prima deve esserci una richiesta e poi la richiesta deve essere ammessa dal
giudice.
Quando parliamo di ‘istruzione dibattimentale’ noi partiamo dal momento iniziale che è quello per
cui vi è l’onere delle parti di effettuare la richiesta, il dovere del giudice di valutarla, e di ammettere
le prove pertinenti + rilevanti + non vietate dalla legge + non superflue ed escludere tutte le altri.
Poniamo che il PM abbia chiesto l’esame dei testimoni di cui alla lista 468, poi il PM chiede
l’esame dell’imputato e poi l’acquisizione dei documenti.
Poi i difensori delle parti private effettuano le loro richieste.
A questo punto, le prove devono formarsi.
Dinamica probatoria → il dibattimento, abbandonata la funzione di mera sede di "rivalutazione",
dominata da giudice, delle prove formatesi precedentemente, assume il ruolo essenziale di
opportunità dialettica delle parti nella formazione della prova (istruzione dibattimentale), che si
confrontano davanti ad un giudice non condizionato da pregresse conoscenze.

Modalità di formazione della prova:


• escussione di testimoni, periti, consulenti tecnici e parti;
• acquisizione materiale di cose o documenti, una volta acquisito il giudice potrà utilizzare questo
documento ed estrapolare le parti di maggiore interesse;
• lettura di atti probatori assunti nella fase precedente, questa modalità è un eccezione alla regola
generale. Cioè la possibilità di acquisire una prova che non si è formata nel contraddittorio e quindi
prova non è, ma che diventa prova attraverso la lettura che spesso nella prassi viene anche sostituita
dall’indicazione.
Esempio: il PM ha indicato nella sua lista testimoniale ex art. 458 Mario Rossi come testimone
perché durante le indagini lo ha sentito come persona informata sui fatti, ma come fa a introdurre
ciò che Mario Rossi ha dichiarato nel corso del dibattimento?
Modalità ordinaria → lista testimoniale
Altra modalità → Mario Rossi è morto prima del dibattimento, e allora non è possibile ottenere la
testimonianza di quel soggetto, un sistema accusatorio puro non acquisirebbe quell’elemento, ma
nel nostro sistema si prevede la possibilità x sopravvenuta impossibilità di natura oggettiva di
ripetizione dell’atto di acquisire quelle informazioni acquisite tramite dibattimento attraverso la
lettura di atti svolti durante le indagini.
Se il PM si fosse reso conto delle condizioni di salute di Mario Rossi → incidente probatorio.
La sopravvenuta impossibilità di ripetizione dell’atto allora deve essere sopravvenuta ma anche
imprevedibile, qualora sia prevedibile la lettura NON può essere effettuata.

Sequenza dell’assunzione delle prove:


Tutte le prove a carico prima di quelle a discarico (496 c. 1), per consentire alla difesa il "diritto di
ascolto": 1) prove richieste da p.m.,2) parte civile,3) altre parti private, 4)imputato → la difesa
dell’imputato ha SEMPRE l’ultima parola.
La ratio di questa sequenza probatoria è di permettere alla difesa di formare le prove da lei richiesta
dopo aver ascoltato tutte le altre prove.
Esempio: poniamo che il PM deve esaminare Mario Rossi indicato nella lista testimoniale, siccome
Mario Rossi è un testimone d’accusa inizierà il PM a porgli le domande, poi la possibilità di porre
le domande viene lasciata anche alle altre parti e da ultimo l’imputato.
Se invece Mario Bianchi è richiesto dall’imputato, siccome è un testimone indicato dalla difesa sarà
la parte che ha richiesto quella testimonianza a iniziare a fare le domande, poi c’è la possibilità per
le altre parti di concludere l’esame testimoniale.
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Tutte le parti contribuiscono alla formazione della prova secondo questa sequenza probatoria, che ci
indica sia quali prove devono essere formate prima, ma anche chi deve cominciare a esaminare quel
testimone → parte che ha richiesto quella prova.
In tutto questo il giudice è un mero spettatore, al termine dell’esame e del controesame, il giudice
potrà fare delle domande. Durante le domande delle parti il giudice deve valutare la correttezza
dell’esame e del contro esame, quindi potrà non ammettere alcune domande, potrà ricordare al
testimone i suoi obblighi, dovrà sorvegliare alla ‘corretta formazione di quella prova testimoniale’.

Escussione diretta:
La filosofia che connota il modello accusatorio (concezione argomentativa della prova, come
strumento di persuasione del giudice nella scelta tra le opposte ricostruzioni del
fatto) impone una precisa scelta di metodo:
• escludere il monopolio del giudice nell'assunzione della prova, che compromette l'imparzialità
• riservandogli il potere di integrare le lacune della dialettica processuale, indicando temi nuovi o
rivolgendo domande, dopo le parti (506 c.p.p.)
• affidare alle parti la gestione diretta del mezzo di prova

Il nostro codice effettua qualche deroga → solo in casi eccezionali l'esame è condotto direttamente
dal giudice:
• teste minore (498 c. 4): esame condotto dal presidente su domande e contestazioni delle parti;
eventuale ausilio di familiare o di esperto; eventuale ordinanza che dispone l'esame "ordinario.
• teste infermo di mente: illegittimità costituzionale dell'art. 498 nella parte in cui non consente al
giudice, sentite le parti, di condurre direttamente l'esame.
In questi casi è il giudice che pone le domande sottoposte a lui dalle parti nei confronti del
testimone vulnerabile.

I momenti dell’esame incrociato:


L’esame del testimone, perito, consulente tecnico, imputato e co imputato si svolge in questo modo:
- Esame → domande che sono poste dalla parte richiedente la prova:
• su fatti specifici (499 c. 1) e determinati (194 c. 3)
• sulle circostanze indicate nelle liste, l giudice dovrà sorvegliare che l’esame sia condotto
con regolarità.
• con divieto di domande nocive e suggestive (499 c. 2 e 3); anche per la parte con interesse
comune al richiedente.
- Controesame → condotto dalla parte avversa (eventuale, senza preventiva richiesta), allo
scopo di contestare la ricostruzione effettuata o chiarire il contenuto delle risposte, per
cercare di dimostrare che quel testimone NON è credibile o ricorda male, quindi effettuare
domande volte a dimostrare che quel testimone non può essere valutato come credibile,
domande volte a farlo cadere in contraddizione.
• con divieto di domande nocive (non di domande suggestive: 499 c. 2 e 3)
- Riesame → ultime domande che effettuerà alla fine la parte che ha chiesto l’esame di quel
testimone. Questo riesame non può essere un nuovo esame, ma deve contenersi e limitarsi
ai temi di prova già indicati precedentemente, per chiarire il contenuto della precedente
deposizione, nei limiti del tema di prova e degli argomenti proposti in precedenza, e senza
possibilità di ulteriore controesame, se si volevano porre ulteriori domande bisognava farlo
prima, quindi l’esame costituisce il perimetro!
Una volta terminato il riesame il giudice potrebbe fare lui delle domande di chiarimento, o
specificazione, e a quel punto il testimone viene congedato e a questo punto si passa all’esame degli
altri testimoni ecc..

I divieti:
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1) Domande nocive: (vietate sia in esame sia in controesame)


Domande che "possono nuocere alla sincerità delle risposte" (499 c. 2), vietate nell'esame e nel
controesame:
• domande che inducono il teste a mentire, o comunque a dire una cosa diversa da quella che
direbbe spontaneamente, domande intimidatrici e subornanti (sottintendenti rispettivamente
minacce o lusinghe)
• domande ambigue o equivoche, che tendono a provocare un errore inconsapevole (o una risposta
il cui senso possa essere travisato)
Esempio: quando il PM (ma anche la difesa) inizia la domanda dicendo ‘in base agli accertamenti
fatti a noi risulta che… , lei cosa dice?”, domanda che tende a portare il testimone nella direzione
che vogliamo nel momento in cui risponde a questa domanda.
2) Domande suggestive:
Domande che, presupponendo cose non ancora dette, "tendono a suggerire le risposte" (499 c. 3) o
comunque a provocare la risposta voluta, vietate solo nell'esame diretto della parte richiedente (e di
quella che ha interesse comune):
• domande implicative (che danno per ammesso il fatto non riferito dal teste)
• domande precedute da un presupposto non dimostrato
• domande "trabocchetto": che presuppongono un fatto che l'esaminante sa essere falso
(ammissibili, nel controesame, solo se ci si riferisce a fatti dei quali il teste ha conoscenza
personale)
Esempio: ma questi 5 lei li conosce? È una domanda suggestiva perché ti sto dicendo che sono 5,
mentre prima tu mi avevi detto che avevi visto solo ‘dei ragazzi’, suggerisce quindi un elemento
non ancora emerso.

Esempio
Mario Rossi, sentito per sommarie informazioni, è chiamato a testimoniare dal PM contro Victor
che è imputato.
Esame--> "Perché era lì?" è una domanda suggestiva.
Dov'era? Con chi? Che cosa ricorda di quello che è successo? Conosce qualcuno dei soggetti
coinvolti? Quante persone partecipavano, ma solo perché prima ha detto di aver visto dei ragazzi
che litigavano.
Controesame--> in che rapporti è con l'imputato/altri corrissanti? Dove si collocava? Quante
persone c'erano? C'era visibilità? Aveva il sole contro, pioveva, porta gli occhiale?
Tipica domanda suggestiva: questi 5 li ha visti in faccia? Nessuno ti ha detto che sono 5, ma la
risposta dà un elemento che non era ancora emerso dalla testimonianza.

Es. domanda nociva: "a noi risulta che…"--> è una domanda che tende a dire al testimone quale
direzione vogliamo prenda.

Poniamo che il testimone risponda in maniera diversa da come era stato verbalizzato
precedentemente. Esempio: dice che il semaforo era rosso invece che verde.
A questo punto c’è l’Art. 500: contestazioni nell'esame testimoniale:
Possibilità di contestare al testimone, di fargli notare che durante le indagini (sommarie
informazioni) aveva detto una cosa diversa rispetto alla risposta attuale. Il codice permette di
introdurre un informazione contenuta nel fascicolo di indagine e renderla nota al giudice ma in
realtà attraverso la lettura della parte di risposta che diverge rispetto a quella data nel corso del
dibattimento. Si chiede al testimone di spiegare come mai ha cambiato la risposta, di giustificare
questa divergenza.
-“1. Fermi i divieti di lettura e di allegazione, le parti, per contestare in tutto o in parte il contenuto
della deposizione, possono servirsi delle dichiarazioni precedentemente rese dal testimone e

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contenute nel fascicolo del pubblico ministero. Tale facoltà può essere esercitata solo se sui fatti o
sulle circostanze da contestare il testimone abbia già deposto.”

-Ratio: prevista dal 2 comma:


“2. Le dichiarazioni lette per la contestazione possono essere valutate ai fini della credibilità del
teste.”
La possibilità di leggere la risposta divergente NON per introdurre come prova il fatto che il
semaforo fosse verde, ma per introdurre come prova il fatto che il testimone NON è credibile.
Il testimone una volta letta la contestazione ribadisce quello che ha dichiarato nel dibattimento, il
giudice cosa può utilizzare per la sentenza? Il giudice potrebbe non ritenere credibile il testimone e
allora non c’è la prova del colore del semaforo, ma la contestazione può essere valutata solo ai fini
della credibilità del testimone. Il giudice sicuramente nella sentenza non può scrivere che era verde
(nelle indagini), può scrivere che era rosso (come nell’udienza, perché lo ha convinto) o che non è
stata raggiunta la prova.
Ciò che non si forma nel contraddittorio tra le parti ma nel segreto del PM NON può essere valutato
come prova → art. 111 cost → principio del contraddittorio nella formazione della prova.
Il 2 comma dell’art. 500 è li perché l’art. 111 ci dice che è prova solo quello che si forma nel
contraddittorio, e quindi che il semaforo fosse verde siccome non si è formato nel contraddittorio
può essere usato solo per la valutazione della credibilità.

Ma l’art. 111 5 comma ci dice anche che la legge regola in casi nei quali la prova non ha luogo nel
contraddittorio:
1) Consenso dell’imputato
2) Accertata impossibilità di natura oggettiva di ripetizione dell’atto
3) Provata condotta illecita → ad esempio perché il teste è stato minacciato.
Questa condotta illecita permette che la contestazione (verde) possa essere utilizzata dal giudice
come prova:
4 comma: “4. Quando, anche per le circostanze emerse nel dibattimento, vi sono elementi concreti
per ritenere che il testimone è stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o
di altra utilità, affinché non deponga ovvero deponga il falso, le dichiarazioni contenute nel
fascicolo del pubblico ministero precedentemente rese dal testimone sono acquisite al fascicolo del
dibattimento (=il giudice le può utilizzare come prova) e quelle previste dal comma 3 possono
essere utilizzate.”
5 comma: “Sull'acquisizione di cui al comma 4 il giudice decide senza ritardo, svolgendo gli
accertamenti che ritiene necessari, su richiesta della parte, che può fornire gli elementi concreti
per ritenere che il testimone è stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o
di altra utilità.”

L’art. 111 ci dice anche che la prova si forma al di fuori del contraddittorio per consenso, l’art. 500
7 comma ci dice che questa precedente dichiarazione può essere utilizzata come prova anche
quando c’è il consenso delle parti.
“7. Fuori dai casi di cui al comma 4, su accordo delle parti le dichiarazioni contenute nel fascicolo
del pubblico ministero precedentemente rese dal testimone sono acquisite al fascicolo del
dibattimento.”

Deroga alla regola generale prevista dal 2 comma:


“3. Se il teste rifiuta di sottoporsi all'esame o al controesame di una delle parti, nei confronti di
questa non possono essere utilizzate, senza il suo consenso, le dichiarazioni rese ad altra parte,
salve restando le sanzioni penali eventualmente applicabili al dichiarante.”
Vuol dire che le precedenti risposte possono essere utilizzate solo se l’imputato vi consente.
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Altra possibilità di deroga prevista dal 6 comma:


“6. A richiesta di parte, le dichiarazioni assunte dal giudice a norma dell'articolo 422 sono
acquisite al fascicolo del dibattimento e sono valutate ai fini della prova nei confronti delle parti
che hanno partecipato alla loro assunzione, se sono state utilizzate per le contestazioni previste dal
presente articolo. Fuori dal caso previsto dal periodo precedente, si applicano le disposizioni di cui
ai commi 2, 4 e 5.”

Recap:
Inutilizzabilità probatoria del precedente → esclusione probatoria
• il precedente difforme non può costituire prova dei fatti affermati, ma solo elemento critico da
valutare "ai fini delia credibilità del teste" (500 c. 2)
• l'atto contenente le dichiarazioni non può essere acquisito e le dichiarazioni non possono essere
valutate (se non nei casi espressamente previsti)

• il "precedente difforme", è mezzo che serve al contraddittorio, ma non è formato in contraddittorio


(raccolto unilateralmente dalla parte)
• il suo autonomo impiego a fini probatori:
• realizzerebbe il contraddittorio in senso debole, "sulla" prova (contraddittorio posticipato che ha
ad oggetto la valutazione di un elemento già costituito e cristallizzato nei verbali di indagine)
• non il contraddittorio "per" la prova (contraddittorio che ha ad oggetto, e si svolge durante, la
formazione della prova)

La stessa situazione si applica quando invece del testimone a dichiarare è l’imputato. Poniamo che
l’imputato sia stato interrogato in sede di indagini preliminari, e quindi c’è il verbale. A differenza
del testimone l’imputato non legge dichiarazione di impegno, in più l’esame si effettua solo se
l’imputato consente e non commette alcun reato non testimoniando, in più a differenza del
testimone l’imputato può mentire e non rispondere alle domande.
Ma se risponde in maniera difforme dal verbale il PM può contestare → art. 513.

Vedi SLIDE 37 E 38

Terza modalità di formazione della prova → la lettura degli atti (art. 511 c.p.p):
la prova NON si forma fisicamente, concretamente, nel contraddittorio delle parti, non c’è l’esame e
il contro esame ma attraverso la semplice lettura dell’atto.
L’art. 511 individua quali sono le letture consentite:
gli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento, anche d'ufficio, sono letti (o indicati, salva
richiesta di lettura: comma 5):
• i verbali di dichiarazioni: solo dopo l'esame del dichiarante (a meno che l'esame non abbia luogo)
(comma 2)
• la relazione peritale: solo dopo l'esame del perito (comma 3)
Vi sono alcuni atti di cui è vietata la lettura → i divieti (514 c.p.p.)
è vietata (salvo deroghe) la lettura degli atti contenuti nel fascicolo del p.m.:
• verbali di dichiarazioni rese dall'imputato, dalle persone ex 210 c.p.p. e dai testimoni alla p.g., al
p.m. o al giudice nel corso delle indagini preliminari o nell'udienza preliminare (comma 1)
• verbali e altri atti di documentazione delle attività compiute dalla p.g. (comma 2)
Ci sono delle deroghe al divieto di lettura:
1) art. 514, c. 1 → dichiarazioni rese nell'udienza preliminare con le forme ex artt. 498 e 499
alla presenza di imputato e difensore
2) art. 511 bis → anche d'ufficio, verbali di prove di altri procedimenti (238 c.p.p.)

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3) art. 512 → a richiesta di parte, per sopravvenuta impossibilità di ripetizione (fatti o


circostanze imprevedibili), gli atti di p.g., p.m., difensori o giudice nell'udienza preliminare.
Esempio: testimone che muore, non era prevedibile che morisse altrimenti doveva essere
esaminato con l’incidente probatorio, la testimonianza di quel testimone non può essere
ripetuta e quindi si permette la lettura del verbale che viene inserito nel fascicolo del
dibattimento, e il giudice potrà utilizzare le risposte date da Mario rossi in questo verbale
come prova dei fatti in esso affermati. Questo articolo è possibile perché a livello
costituzionale c’è l’ipotesi del 5 comma dell’art. 111 per cui la prova si può formare al di
fuori del contraddittorio anche per accertata impossibilità sopravvenuta di ripetizione
dell’atto.
Questo art. 512 ha subito delle censure dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo:
per essere in regola con i principi dell’equo processo l’art. 512 va interpretato nel senso che, ferma
restando la legittimità della lettura del verbale della dichiarazione divenuta irripetibile, la sua
valutazione deve essere posta in relazione con altri elementi probatori acquisiti in dibattimento, i
quali siano in grado di corroborarla. Cioè la lettura deve essere convenzionalmente conforme alla
convenzione dei diritti dell’uomo perché questo art. 512 permette di acquisire come prova una
dichiarazione resa da un testimone che l’imputato non ha mai potuto esaminare. La corte di
Strasburgo ha chiarito che questo articolo permette la possibilità che il giudice possa condannare un
imputato solo sulla base di dichiarazioni rese da un testimone che l’imputato non ha mai potuto
interrogare e questo viola l’art. 6 CEDU → l’accusato ha sempre diritto di porre domande al
testimone che lo accusa, se questo diritto è violato ci si trova in violazione dei diritti fondamentali
dell’uomo.
Giurisprudenza di legittimità:
la giurisprudenza della legittimità ha cercato un interpretazione conforme alla CEDU.
L’atto irripetibile può essere acquisito come prova, ma quella prova non può fondare una sentenza
di condanna, ma la prova necessita di riscontri acquisiti nel contraddittorio delle parti, quella prova
deve essere corroborata da altri elementi che confermano la veridicità di quelle dichiarazioni.
La cassazione introduce una regola di valutazione della prova che nel 5112 non è contenuta, ci
ricorda la regola del 192 3 comma → le dichiarazioni rese dal coimputato sono valutate unitamente
ad altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità.
4) art. 512 bis → a richiesta di parte, dichiarazioni di persona residente all'estero, citata, non
comparsa (esame assolutamente impossibile). Esempio: questo succede con riferimento a
dichiarazioni rilasciate da soggetti migrati che poi tornano nel loro paese e non si possono
più citare.
5) art. 513 → a richiesta di parte, dichiarazioni rese a p.m., p.g., g.i.p. o nell'udienza
preliminare (se incidente probatorio: 511 c.p.p.):
• dall'imputato contumace, assente o che rifiuta di sottoporsi all'esame; dichiarazioni erga
alios utilizzabili solo con il consenso del destinatario (salvo 500 c. 4)
• da persona ex 210 c. 1 c.p.p. della quale è impossibile (per fatti o circostanze imprevedibili
al momento delle dichiarazioni) ottenere la presenza (o altra forma di esame); se presente,
ma si avvale della facoltà di non rispondere: lettura solo con l'accordo delle parti

Finora quando abbiamo parlato di formazione della prova abbiamo sempre parlato di prova orale
perché nel nostro processo la prova regina è la prova orale, ma poi ci sono altre modalità:
acquisizione di documenti, che il giudice valuta liberamente → libero convincimento del giudice,
poi altro esempio è la perizia, dove il perito risponde al quesito e poi si presenta in dibattimento e la
prova della perizia sarà le risposte che il perito da alle domande del PM e alle domande della difesa.
A questo punto tutte le prove richieste dalle parti e ammesse dal giudice si sono formate, e queste
prove saranno contenute nel fascicolo del dibattimento.

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C’è ancora un passaggio → art. 507 possibilità che il giudice si intrometta nelle prove e inserisca
una prova non indicata dalle parti, nell’u.p. lo può fare soltanto favor rei, quando ritiene utile quella
prova per pronunciare sentenza a procedere.
Art. 507:
“1. Terminata l'acquisizione delle prove, il giudice, se risulta assolutamente necessario, può
disporre anche di ufficio l'assunzione di nuovi mezzi di prove.
1-bis. Il giudice può disporre a norma del comma 1 anche l'assunzione di mezzi di prova relativi
agli atti acquisiti al fascicolo per il dibattimento a norma degli articoli 431, comma 2, e 493, comma
3.”
Questo passaggio necessario impone al giudice cautela nell’uso di questo potere ma soprattutto la
necessità di motivare nella sentenza perché ritiene necessario assumere quella prova, se non lo
motiva o lo motiva in maniera non soddisfacente questo è un motivo di appello.
È un potere eccezionale → Il giudice può disporre l'assunzione della prova (507 c. 1):
• solo quando l'assoluta necessità di integrazione è emersa dall'istruttoria dibattimentale effettuata
(temi di prova incompleti)
• non può supplire all'inerzia, agli errori o ai ritardi delle parti, perché ciò comprometterebbe la sua
terzietà e indebolirebbe la presunzione di non colpevolezza
La corte di cassazione a SU ha indicato questo potere anche come suppletivo, cioè capace di
colmare le lacune delle parti → [SSUU 6.12.92 Martin].
• il giudice deve ovviare all'inerzia ed agli errori delle parti, per garantire la funzione
cognitiva del processo (il giudice non è un arbitro passivo di una controversia)
• il fine della ricerca della verità e l'indisponibilità del processo (irretrattabilità dell'azione
penale) giustificano la più ampia espansione del potere di iniziativa probatoria del giudice, che non
è eccezionale ma suppletivo; il potere dispositivo delle parti non esiste [COST. 111/1993].

Questo potere si pone soltanto una volta terminata l’acquisizione delle prove.

A questo punto tutti gli elementi sono raggiunti e il giudice può andare in camera di consiglio,
prima di emettere la sentenza il giudice deve ascoltare le parti che riassumono i risultati
dell’istruttoria dibattimentale. Il PM potrebbe chiedere una sentenza di condanna, gli elementi
acquisiti non sono più sufficienti a sostenere l’accusa in giudizio come detto in u.p. ma provano la
colpevolezza dell’imputato e quindi l’imputato deve essere condannato ad anni 6 + condanna al
risarcimento del danno. La difesa invece può stabilire che gli elementi non sono sufficienti e quindi
chiede l’assoluzione. Poi si può fare anche una richiesta subordinata per quanto riguarda il
contenimento della pena, nell’eventualità in cui il giudice dovesse ritenere le prove sufficienti per
una dichiarazione di colpevolezza potrebbe contenere i limiti, ad esempio la difesa potrebbe chiarire
che l’imputato ritiene necessarie delle attenuanti.
A questo punto il giudice entra in camera di consiglio e non uscirà fino a quando non avrà pronto il
dispositivo. Il giudice per capire se condannare o assolvere deve avere assolutamente come faro
l’art. 521 → principio di correlazione tra accusa e sentenza:
indispensabilità che vi sia correlazione tra imputazione contestata e ciò che il giudice pronuncia
nella sentenza → principio fondamentale! Il giudice deve rispondere a quella domanda contenuta
nel capo d’imputazione formulato dal PM nella richiesta di rinvio a giudizio e contenuta nel decreto
che dispone il giudizio, anche se durante il dibattimento fossero emersi elementi che dimostrino che
in realtà quel reato non c’è stato, ma ce ne è stato un altro, cioè l’imputato è colpevole ma di un
altro reato.
Se NON c’è correlazione tra capo d’imputazione e sentenza → art. 522: causa di nullità (dichiarata
dalla corte d’appello).
Questo principio di correlazione proprio perché così importante ha degli strumenti che permettono
al PM (titolare dell’azione penale) di modificare l’imputazione, nel corso del dibattimento è
consentito al p.m. di modificare e integrare l’accusa enunciata, ex art. 429, nel decreto che dispone
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il giudizio. La possibilità di modificare è per evitare che il giudice arrivi alla fine e sia obbligato ad
assolvere. Questi strumenti vengono chiamati nel codice “nuove contestazioni” (DIVERSE
DALLE CONTESTAZIONI NELL’ESAME DEL TESTIMONE!!), che permettono di correggere
la situazione.
Durante il dibattimento potrebbe risultare che il fatto è diverso, oppure potrebbe emergere un fatto
nuovo che si aggiunge, oppure potrebbe emergere che il fatto è lo stesso (non diverso).

LEZIONE 22: 6 Maggio.


Segue.. il giudizio.

Le situazioni che possono emergere nel corso del dibattimento possono portare a verificare che il
fatto contestato nell’imputazione, rispetto a quello che sta emergendo nel dibattimento grazie alle
prove, sia diverso, o addirittura sia nuovo rispetto a quello contenuto nell’imputazione. Qui il PM
deve utilizzare gli strumenti degli artt. 516,517,518 perché la finalità è permettere al giudice di
rispettare il principio di correlazione.
1. Prima situazione: durante il dibattimento vengono sentiti i testimoni, e il PM si rende conto
di dover modificare il fatto che è descritto nell’imputazione perché quello che sta
emergendo è un “fatto diverso” (art. 516) → condotta ed evento sono identici, ma diverse
modalità di luogo e tempo, elemento soggettivo, nesso causale; quindi, bisogna correggere
queste altre componenti del fatto. Il PM a questo punto può effettuare una ‘nuova
contestazione’ → modificare l’imputazione e contestare all’imputato presente questa
modifica. Per esempio, si va a correggere contestando questa nuova modalità di tempo o di
luogo in udienza, appena è emerso quell’elemento che ha convinto il PM a correggere
l’imputazione. Questo si può fare se l’imputato è presente, se l’imputato dovesse essere
assente allora questa correzione gli deve essere notificata con un atto. La cosa importante è
che l’imputato conosca questa modifica dell’imputazione. Questa modifica seppur minimale
comporta una riorganizzazione della difesa, che si è difesa rispetto a un determinato fatto
commesso in un determinato tempo e luogo. Adesso tempo e luogo cambiano e quindi alla
difesa bisogna dare la possibilità di difendersi in ordine a questa nuova contestazione. L’art.
516 dà la possibilità di chiedere un termine per poter rivedere la propria difesa e allora l’art.
519, che disciplina i diritti delle parti a seguito delle nuove contestazioni, permette di avere
un termine per poter riorganizzarsi, e la possibilità di presentare nuove prove. Se questa
modifica rispetto al luogo dovesse comportare anche una modifica della competenza per
materia, naturalmente in difetto (nel senso che il nuovo giudice dovrebbe essere superiore
rispetto a quello di fronte), allora si ha la restituzione agli atti al PM presso il giudice
competente. Da quel momento il processo prosegue.

2. Seconda situazione: può accadere che nel corso del dibattimento emerga il concorso
formale, continuazione o circostanza aggravante (art. 517) → qualora, nel corso
dell’istruzione dibattimentale, emerga un reato connesso, ovvero una circostanza aggravante
e non ve ne sia menzione nel decreto che dispone il giudizio, anche in questo caso il PM
procede come detto prima, cioè si ha la contestazione suppletiva all'imputato presente (se
contumace o assente: notifica). Anche in questo caso si ha la prosecuzione giudizio, con
termine a difesa e nuove prove (519 c.p.p): possibilità per l'imputato di chiedere
l'applicazione della pena ex 444 c.p.p. [COST 265/1994] e l'oblazione [COST 530/1995]. E
anche in questo caso se questa modifica rispetto al luogo dovesse comportare anche una
modifica della competenza per materia (in difetto → nel senso che il nuovo giudice
dovrebbe essere superiore rispetto a quello di fronte) allora si ha la restituzione agli atti al
PM presso il giudice competente.

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3. Terza situazione: nel corso del dibattimento muta proprio la condotta o l’evento → fatto
nuovo (art. 518) → mutano condotta od evento, con "sostituzione", non integrazione o
modifica, dell'imputazione. Qui non si tratta di ridefinire la strategia difensiva ma di
reimpostare completamente la difesa, in questo caso la contestazione quindi il nuovo capo
d’imputazione può essere effettuato dal PM in udienza con il consenso dell’imputato, quindi
contestazione se autorizzazione del giudice e consenso imputato.
Esito:
• contestazione: prosecuzione giudizio (salvo incompetenza)
• non contestazione: nuovo procedimento
Questo fatto nuovo potrebbe o sostituirsi completamente a quello contenuto nel decreto che
dispone il giudizio, oppure aggiungersi. Se il giudice autorizza e l’imputato presta il consenso
allora il giudizio prosegue.

L’art. 521, quando sancisce il principio di correlazione tra l’imputazione e sentenza, dice anche
che il giudice è libero di dare al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata
dall’imputazione, purché il reato non ecceda la sua competenza o debba essere portato di fronte al
tribunale in forma collegiale, invece che monocratica. Il fatto magari è quello rispetto alla quale la
difesa si sta difendendo, ma il giudice ritiene che quel fatto con quelle caratteristiche integra una
fattispecie diversa rispetto a quella indicata nel capo d’imputazione dal PM. L’art. 521 dà al giudice
la possibilità di cambiare nella sentenza la definizione giuridica del fatto, se tutto il resto non
cambia. La difesa, comunque, si è difesa con riferimento a tutti gli elementi tipici della fattispecie.

Il giudice ritiene che, in realtà, non bisognerebbe parlare di rapina, ma di furto. Gli elementi della
rapina contengono tutti gli elementi del furto, più la violenza. Se ci è difesi contro tutti gli elementi
della rapina, allora ci si è difesi anche rispetto a tutti gli elementi del furto.

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Nella sentenza, il giudice può dare al fatto storico contestato una definizione giuridica diversa nei
limiti della propria competenza (art. 521.1) → la cosa importante è che il difensore si sia difeso su
tutti gli elementi tipici.

Il giudice, se rileva che il fatto storico accertato è differente da quella descritto nell'imputazione o
che sono stati violati i limiti della nuova contestazione in dibattimento, dispone con ordinanza la
trasmissione degli atti al pubblico ministero perché proceda con le forme ordinarie (artt. 521.2 e 3)

A questo punto, dopo la discussione delle parti, il giudice entra in camera di consiglio e non può
uscire fino a che non ha il dispositivo. Può uscire soltanto quando è pronto a leggere il dispositivo
della sentenza. All’inizio avrà soltanto il dispositivo. L’art. 525 ci dice che la sentenza è deliberata
subito dopo la chiusura del dibattimento → principio di immediatezza della deliberazione (525
c.p.p.). Ecco perché non può uscire fino a che non ha preso una decisione.
Ratio: non far passare troppo tempo tra momento in cui si sono formate le prove e la decisione del
giudice. Se passa troppo tempo, non ha più contatto concreto con quello che è successo nel
processo.
Inoltre, alla deliberazione concorrono, a pena di nullità assoluta, gli stessi giudici che hanno
partecipato al dibattimento, perché sono quelli che hanno assistito alla formazione della prova.
In camera di consiglio cosa fa il giudice?
Ai sensi dell’art. 526 il giudice dovrà valutare soltanto le prove legittimamente acquisite nel
dibattimento. Il giudice non può utilizzare ai fini della deliberazione prove diverse da quelle
legittimamente acquisite nel corso del dibattimento. Questa regola è uno dei limiti al principio del
libero convincimento del giudice. Il giudice non può farsi influenzare da fatti non acquisiti o
acquisiti illegittimamente nel corso del processo.

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Il giudice è libero di valutare le prove, ma l’art. 526 pone un limite → solo le prove legittimamente
acquisite nel corso del dibattimento.

Il giudice esce dalla camera di consiglio e le formule della sentenza di proscioglimento sono varie:

1)

2)

Poi abbiamo le sentenze di condanna che affermano la responsabilità dell’imputato per il reato a lui
ascritto, la commisurazione della pena secondo i criteri dettati dal codice penale, si verificano anche
le circostanze. Nel caso di costituzione di parte civile, anche la condanna al risarcimento del danno.
Di solito, è una condanna ad una provvisionale, immediatamente esecutiva, nei limiti di quanto
accertato nel procedimento penale, con rinvio al giudice civile per l’esatta quantificazione del
danno.
È difficile che il giudice penale abbia gli strumenti per quantificare il danno che ha subito la parte
civile, e quindi rimanda al giudice civile. La parte civile non deve provare di avere subito un danno,
ma deve solo fornire gli elementi per quantificarlo.

I PROCEDIMENTI SPECIALI

Procedimento ordinario:

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Oltre a questo modello ordinario, il nostro codice prevede anche i ‘procedimenti speciali’ al libro
sesto, che non sono dei procedimenti completamente diversi, ma omettono alcune fasi e hanno delle
caratteristiche diverse omettendo queste fasi. I procedimenti speciali sono nati perché il processo
ordinario è un processo che, per come è organizzato, è destinato ad essere molto complesso. Ad
esempio, pensiamo solo alla citazione del testimone, che magari non si presenta e non si sa dove
sia. Anche le indagini preliminari possono durare moltissimo. Il processo ordinario è stato
concepito come l’eccezione.
Vi era la concezione che molti procedimenti sarebbero poi stati affrontati attraverso questi riti
speciali, cioè l’idea del legislatore era di incentivare più possibile i procedimenti speciali, per
confinare il procedimento ordinario in situazioni meno frequenti.
La realtà è tutto il contrario, il procedimento ordinario è quello che gli imputati scelgono quasi
sempre e i procedimenti speciali vengono scelti di meno.
Ecco allora che i procedimenti ordinari durano molto, motivo per il quale l’Italia è stata condannata
dalla CEDU per violazione di ragionevole durata del processo. Ecco quindi tutte le polemiche
riguardo al fatto che molti reati si prescrivono. Ecco che la prescrizione è sempre un fallimento del
sistema, soprattutto per la vittima. I procedimenti speciali erano nati con questa idea.

Le deroghe al procedimento ordinario

*studieremo quelli in rosso, questi giudizi hanno come caratteristica quella di derogare all’udienza
preliminare, cioè dalle indagini si va direttamente al dibattimento, sempre in un’ottica di
concentrazione dei tempi (togliendo una fase).
Alcuni di questi giudizi sono ex autoritate (dal PM) e alcuni sono richiesti dall’imputato. in
quest’ultimo caso, a questa richiesta viene concesso un premio, cioè sconto di pena in caso di
condanna. Questa caratteristica riguarda tutti i procedimenti negoziali, tranne il giudizio immediato
su richiesta dell’imputato.

Poi c’è il giudizio direttissimo consensuale che deroga sia alle indagini che all’udienza preliminare,
poi il giudizio abbreviato e l’applicazione della pena richiesta (cd. patteggiamento) che derogano al
dibattimento.
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Il patteggiamento: (art. 444-448)

Questo rito permette la definizione anticipata del processo (rispetto al dibattimento, salvo
eccezioni), sulla base di un accordo tra imputato e p.m. sulla pena da applicare, con applicazione di
una serie di benefici premi.
Questo accordo è volto a proporre al giudice un progetto di sentenza senza andare a dibattimento.
L’accordo negoziale è volto a proporre al giudice che procede una pena concordata (durante le i.p.,
durante l’u.p., non durante il dibattimento perché la deroga è li) e quindi il giudice applica la pena
concordata tra le parti e quella che emette è una sentenza che applica quella pena.

Accertamento «guidato»:
Questa possibilità è permessa dalla costituzione perché il giudice non è vincolato da questo accordo,
cioè, se il giudice ritiene che questo accordo è corretto, allora applica con sentenza quella pena. Se
non è d’accordo perché non ritiene corretta la quantificazione della pena allora non accetta
l’accordo.
Il giudice applica una pena sulla base di un accertamento "guidato" dalla volontà negoziale delle
parti (adesione/rigetto):
• 101 c. 2 Cost: il giudice esercita comunque una funzione giurisdizionale autonoma, non vincolato
dall'accordo, che verifica anche nel merito [congruità della pena: COST 313/1991], previa
valutazione negativa sulla punibilità
• 27 c. 2 Cost.: l'accordo determina un "abbassamento" della soglia cognitiva (accertamento
incompleto della colpevolezza), ritenuto compatibile con la presunzione costituzionale che non fissa
il quantum di prove necessario per condannare.

Questa sentenza che verrà pronunciata è particolare perché è una sentenza che non si basa sulle
prove che non si sono formate, tutt’al più il giudice avrà a disposizione il fascicolo d’indagini del
PM. Quindi, l’accertamento compiuto riguarda l’assenza di elementi per poter ritenere l’imputato
non colpevole. L’art. 445, 1° comma ci dice che questa sentenza è equiparata ad una pronuncia di
condanna, ciò vuol dire che NON è una pronuncia di condanna, altrimenti non ci sarebbe stata
necessità di affermare questo, ed è equiparata ad una sentenza di condanna perché applica una pena.
Il giudice accerta soltanto se tra gli elementi a sua disposizione non vi sia un elemento che dimostri
senza accertamenti ulteriori che l’imputato debba essere assolto.
Se questo elemento non c’è verifica che l’accordo sia congruo e a quel punto pronuncia sentenza.
Quindi non presuppone l'ammissione della responsabilità, né il suo pieno accertamento, è un
accertamento negativo di non evidente sussistenza di condizioni per il proscioglimento, ecco perché
è equiparata ad una sentenza di condanna.
Il pattegiamento comporta una serie di benefici previsti dagli artt. 444-445.

Patteggiamento tradizionale:
Limiti di applicazione:
• Questo rito può essere scelto dall’imputato non per tutti i delitti, ma solo per quelli che prevedono
una pena detentiva fino a 2 anni, sola o congiunta a pena pecuniaria, al netto della riduzione fino a
un terzo (444.1). Questo perché il patteggiamento è un accordo tra le parti e come accordo il PM e
l’imputato possono accordarsi per una pena diminuita fino a 1/3. Ad esempio, contestato reato di
rapina. Imputato e PM si mettono d’accordo. L’imputato sa di poter arrivare a scontare fino ad 1/3
rispetto alla pena che il PM ritiene congrua. Non ci si accorda per 1/3 secco, ma si deve mediare.
• Il patteggiamento tradizionale si applica a tutti i reati (444.1)

Patteggiamento allargato:
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Limiti di applicazione
• vi è poi un patteggiamento allargato che riguarda anche reati con una pena detentiva superiore a 2
anni e fino a 5 anni sola o congiunta a pena pecuniaria, al netto della riduzione fino a un terzo
(444.1)
• Il patteggiamento allargato non si applica (444.1- bis):
1. ai delitti di criminalità mafiosa e terrorismo (art.51.3-bis e3-quater) e assimilati (es. pedo
pornografia).
2. ai delinquenti abituali, professionali, per tendenza, o in caso di recidiva reiterata (99.4 c.p.)

Benefici sono gli stessi per entrambi:


• La richiesta può essere subordinata alla concessione della sospensione condizionale (444.3).
• La sentenza non comporta condanna al pagamento delle spese del procedimento (445.1).
• La sentenza non comporta applicazione di pene accessorie e misure di sicurezza, salvo confisca
(445.1).
• Il reato è estinto se l'imputato non commette reati della stessa indole nel termine di 5 anni, se
patteggiamento per delitto, o di 2 anni se patteggiamento per contravvenzione (445.2).

→ Il patteggiamento non fa stato nei giudizi civili e amministrativi, ma solo nei giudizi disciplinari

Disciplina → Normativa comune: tradizionale e allargato

• Il PM o l'imputato presentano la richiesta di applicazione della pena fino alla formulazione delle
conclusioni nell'udienza preliminare (446.1). Il PM e l’imputato si accordano su un ‘progetto di
sentenza’, se poi questo progetto può essere portato avanti allora si pronuncerà sentenza. La
richiesta di applicazione della pena può essere formulata fino alle conclusioni dell’udienza
preliminare. Durante il dibattimento non è possibile patteggiare.
• L'altra parte entro il medesimo termine consente (444.2).
• Il giudice valuta la richiesta e può rigettarla, prosciogliere ex 129 o accoglierla.
• II giudice può disporre la confisca facoltativa e obbligatoria (445.1).
• Se vi è costituzione di parte civile il giudice non decide sulla domanda ma
l'imputato è condannato alle spese sostenute dalla parte civile (444.2).
• Non si fa menzione della sentenza nel certificato del casellario giudiziale richiesto dal privato
(24.1.e,25.1.e T.U.C.G. 2002 n.313).

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*valutazione del giudice → il giudice NON è vincolato, quindi, o accetta, o lo rigetta, ma non può
modificare quell’accordo! Per pronunciare questa sentenza il giudice deve aver valutato che non ci
sia alcun elemento capace di dimostrare che il soggetto possa essere prosciolto. Si verifica dagli atti
del PM che fino a quel momento sono a disposizione.
Il codice prevede anche la possibilità che, una volta rigettato l’accordo da parte del giudice perché
non lo ritiene congruo, il procedimento prosegue in rito ordinario, ma una volta arrivati a
dibattimento questo accordo può essere riproposto davanti al giudice del dibattimento. Attenzione,
non si tratta di un nuovo accordo, perché si può patteggiare fino all’udienza preliminare.

Effetti:
• Salve diverse disposizioni, la sentenza è «equiparata ad una pronuncia di condanna» (445.1-bis).
• La sentenza non ha efficacia nei giudizi civili o amministrativi (anche se pronunciata dopo la
chiusura del dibattimento).
• Ha efficacia di giudicato nei giudizi disciplinari (445.1 e 653).
• È ammessa la revisione della sentenza di applicazione della pena su richiesta (629).
• In caso di dissenso, il p.m. può proporre appello; negli altri casi la sentenza è inappellabile (448.2)

pag. 192

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La riforma orlando (legge 103/2017) ha introdotto comma 2-bis all’art. 448 anche la possibilità di
proporre ricorso per Cassazione contro la sentenza soltanto per:
• motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, nel caso in cui si dimostri che
l’imputato non fosse a conoscenza dell’accordo effettuato dal proprio difensore (che deve avere
procura speciale per fare questa richiesta proprio perché è un atto personalissimo per cui non è
sufficiente un mandato)
• motivi attinenti al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, caso in cui l’accordo è per
una pena e il giudice applichi una pena diversa
• erronea qualificazione giuridica del fatto
• illegalità della pena o della misura di sicurezza

Nel caso in cui il giudice accogliesse quell’accordo, ne l’imputato ne PM potrebbero fare appello,
quindi è prevista la possibilità del ricorso per Cassazione.

Ratio della modifica:


• necessaria riduzione del carico di lavoro che grava sulla corte di legittimità
• stroncare l’uso meramente dilatorio del ricorso per cassazione avverso le sentenze
di patteggiamento, destinato non già a censurare vizi del provvedimento quanto piuttosto a
posticipare il passaggio in giudicato della sentenza
• appare discutibile la decisione di escludere dal novero dei motivi esperibili quello attinente al
vizio di motivazione, in tale modo impedendo il controllo sulla corretta applicazione dell’art. 129
c.p.p.

*domande esame → caratteristiche rito speciale rispetto al rito ordinario, presupposti per accedere a
questo rito

Il giudizio abbreviato (artt. 438-443 c.p.p.)


Rito negoziale e premiale.
Il giudizio abbreviato è su richiesta dell’imputato e non è necessario l’accordo del PM, quindi non è
consensuale ma negoziale. Anche in questo caso c’è uno sconto di pena, ma di 1/3 secco!
È un giudizio che omette la fase dibattimentale, e si svolge nell’udienza preliminare, che modifica
la propria finalità ed essenza. Non è più un’udienza volta a verificare se ci sono sufficienti elementi
per sostenere l’accusa in giudizio, ma diventa un’udienza nel quale il giudice è chiamato a valutare
o meno la responsabilità dell’imputato. L’imputato qui rinuncia a molte garanzie, come la
formazione della prova in contraddittorio, ammette di essere giudicato sulla base di elementi
raccolti unilateralmente in segreto dal PM, rinuncia a far valere qualsiasi tipo di eccezione di nullità
in relazione agli atti raccolti durante le indagini. L’incentivo è quello per cui, in caso di condanna,
c’è una riduzione importante. Ma allora così sceglierebbe il giudizio abbreviato chi sa che verrà
condannato? In realtà non è sempre così, c’è anche questa possibilità, ma c’è anche la possibilità
che l’imputato ritenga che sulla base di quegli elementi non verrà mai condannato. Ci sono giudizi
abbreviati che si concludono con sentenze di assoluzione.

Caratteristiche:
• definizione del processo nell'udienza preliminare su richiesta dell'imputato, con applicazione
necessaria del beneficio premiale, in caso di condanna
• decisione emessa dal giudice dell'udienza preliminare, che utilizza come prova tutti gli atti di
indagine, in deroga al principio del contraddittorio nella formazione della prova, oltre alle prove
eventualmente ammesse.

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Le modifiche al modello originario:


→nel modello negoziale originario, decisione allo "stato degli atti" a consenso necessario e non
motivato del p.m.: dissenso necessariamente motivato del p.m., applicabilità ex post degli effetti
premiali, in caso di dissenso ingiustificato [COST 81/1991 e 23/1992]
→modifiche all'istituto (I. 479/1999) e (dd.ll. 82 e 341/2000):
• scelta esclusiva dell'imputato
Vi sono due moduli per poter accedere al giudizio abbreviato:
• modulo ordinario (rinuncia al contraddittorio: 111 c. 5 Cost.)
• modulo condizionato (all'ammissione delle prove richieste, e con diritto alla
controprova del p.m. sull'attività integrativa). Io imputato chiedo di essere giudicato
con giudizio abbreviato condizionato all’assunzione di determinate prova che io vado
ad indicare, cioè la condizione è che si assumano un tot di prove indicate nel
contraddittorio delle parti.

Se siamo di fronte ad una richiesta semplice (non condizionata) il giudice dell’u.p. per ammettere
il giudizio abbreviato dovrà verificare solo il rispetto del termine di fase, cioè prima delle
conclusioni delle parti in udienza preliminare → art. 438, 4° comma.
Se invece la richiesta è condizionata (o complessa), il giudice per poter procedere con il giudizio
abbreviato deve effettuare una valutazione sulle prove richieste dall’imputato (rilevanza, pertinenza,
e non superfluità, escludendo le prove vietate dalla legge + la richiesta deve essere compatibile con
la brevità del rito → deve essere compatibile con l’economia processuale di questo giudizio).
Se io richiedo un giudizio abbreviato condizionato all’assunzione di 100 testimoni, non si tratta di
un giudizio abbreviato!! Il giudice potrebbe NON accogliere la richiesta.
Se invece il giudice accoglie la richiesta, il p.m. può chiedere l’ammissione di prove contrarie (art.
438, comma 5).

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LEZIONE 22: 12 Maggio.


Segue… I procedimenti speciali.

Il giudizio abbreviato: legge n. 103/2017


Modifica introdotta dalla riforma Orlando che permette la possibilità di cumulare la richiesta
semplice con la richiesta complessa, in modo che se la seconda non dovesse essere accettata dal
giudice allora rimarrebbe in auge la richiesta semplice e il giudice procederà con giudizio
abbreviato senza ammettere le prove richgieste dall’imputato nella richiesta complessa.

nell'udienza preliminare fino a che non siano state formulate l'imputato (o il difensore munito di
procura speciale) può chiedere il giudizio abbreviato conclusioni (438.2) → con il nuovo c. 5-bis
viene codificata la prassi che consentiva il cumulo di una richiesta complessa e di una richiesta
semplice, la quale ultima diventava operativa qualora la prima non fosse stata accolta: vi si prevede,
infatti, che con la richiesta presentata ai sensi del 5° c. (richiesta complessa) può essere proposta,
subordinatamente al suo rigetto, la richiesta di cui al 1° comma (richiesta semplice) oppure di
applicazione della pena ex 444.

Una volta che il giudice ha richiesto il giudizio abbreviato è possibile per il giudice assumere anche
d’ufficio elementi necessari ai fini della decisione. Quindi anche qui il giudizio è ‘allo stato degli
atti’, ma c’è sempre questa possibilità ex art. 441 del giudice che se ritiene di non poter decidere
‘allo stato degli atti’, allora può assumere d’ufficio la prova necessaria.
Quindi nel giudizio abbreviato le attività di integrazione probatoria:
1) Quella condizionata dall’attività dell’imputato e la possibilità del PM di chiedere prova
contraria
2) Quella effettuata dal giudice ex art. 4441 co. 5 in richiesta semplice.

Il PM durante le indagini deve svolgere attività complete perché se poi l’imputato chiede il giudizio
abbreviato il materiale probatorio usato è quello li, sempre prevista la possibilità di assumere x
ufficio prove.

Come si conclude il giudizio abbreviato?


l’udienza si sostanzia della discussione delle parti private, il giudice si ritira in camera di consiglio,
apre il fascicolo delle indagini e valuta se ci sono elementi sufficienti per emettere sentenza di
condanna/proscioglimento.
Ma che interesse ha l’imputato a rinunciare alla fase del dibattimento dove può portare elementi di
prova, dove gli elementi raccolti dal PM potrebbero modificarsi positivamente?
La formazione della prova nel contraddittorio è posta a garanzia dell’imputato, perciò perché dovrei
scegliere giudizio abbreviato?
-L’interesse dell’imputato potrebbe essere a ricevere il beneficio premiale, l’imputato sa che in caso
di condanna si ha la diminuzione secca di 1/3 rispetto a quelo che avrebbe dato il giudice dopo
dibattimento;
inoltre se l’imputato rischia l’ergastolo si passa a 25 anni;
se il reato prevede una pena edittale dell’ergastolo con isolamento diurno si passa all’ergastolo
senza isolamento → beneficio in caso di condanna!
Però è anche vero che questo creava dei problemi, perciò la legge 19 aprile 2019 ha reso
inapplicabile il giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo.
Questo per venire incontro a quella sensibilità che riteneva troppo conveniente èer l’imputato
passare dall’ergastolo a tot anni, ma rimane la diminuente secca di 1/3 nel caso di sentenza di
condanna!

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-Altro interesse: il PM potrebbe non aver svolto le indagini in maniera completa, la difesa ha
valutato cosa ha in mano il PM, cioè non elementi sufficienti per una condanna; perciò, la scelta
dell’imputato potrebbe essere quella di chiedere il giudizio abbreviato semplice (perché non
permette al PM di ottenere prova contraria) obbligando il giudice di valutare solo quegli elementi.
-Altro interesse: l’interesse potrebbe essere quello di arrivare ad una decisione qualunque essa sia
nel più breve tempo possibile, perché il processo quando pende è già una pena per l’imputato,
perché costa, crea pregiudizio, potrebbero venire meno requisiti di onorabilità nel caso di particolari
ruoli.

Limitazioni all’impugnabilità delle sentenze emesse a seguito di giudizio abbreviato.

Giudizio immediato (artt. 453-458):


ha ancor più la caratteristica di velocizzare i tempi e andare dalle indagini direttamente a
dibattimento. In questo caso la fase omessa è quella di udienza preliminare.
Giudizio immediato richiesto dal p.m.:
Il giudizio immediato del libro VI può essere richiesto solo dal PM, è un giudizio ex autoritate, e
dato che può essere effettuato solo dal PM non è un rito premiale quindi in caso di condanna non ci
sarà alcuno sconto di pena!
Qui la fase omessa non è di garanzia, ma è la fase dell’udienza preliminare, qui la caratteristica è la
contrazione delle indagini e saltare la fase di u.p., per cui si va direttamente a giudizio a cui si
applicheranno le regole del giudizio ordinario.
*domanda d’esame → presupposti del giudizio immediato, questo giudizio si instaura se vi sono i
presupposti previsti dal codice:
- entro un termine: con richiesta del PM al GIP entro 90 gg. dall'iscrizione della notizia di reato (o
180 gg. dall'esecuzione della misura della custodia cautelare: c.d. g. immediato "custodiale" ex d.l.
92/2008;
- è necessario che il PM abbia raccolto una prova/elemento d’indagine che renda evidente la
responsabilità dell’imputato → la prova appare evidente (codice);
- l'indagato è stato interrogato sui fatti dai quali emerge l'evidenza della prova, l’indagato rende
interrogatorio soltanto se consente quindi il codice prevede sufficiente l’invito a presentarsi;
- o è stato invitato a presentarsi (con indicazione dei fatti) e non è comparso (salvo impedimento o
irreperibilità), se questo interrogatorio quindi non c’è stato comunque i requisiti sono presenti;
- purché, se c’è connessione con altri reati, la separazione non pregiudichi gravemente le indagini:
se è indispensabile la riunione la riunione prevale il rito ordinario.
Questi requisiti non sono necessari quando il giudizio immediato viene richiesto entro 180 gg
dall’esecuzione di una misura cautelare, perché il codice ha ritenuto sufficiente la valutazione del
giudice della cautela che ha svolto quando ha accettato la misura cautelare.

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Il GIP decide in segreto sulla richiesta del PM, quindi è il giudice se valuta se ci sono tutti i
presupposti per andare direttamente a dibattimento.
Il giudice potrebbe disporre il giudizio immediato e quindi la fase successiva → dibattimento.
Quando parliamo di un giudizio ex autoritate (imposto dall’autorità) il codice prevede sempre la
facoltà per l’indagato di chiedere la modifica del rito, in questo caso l’imputato può chiedere il
giudizio abbreviato o il patteggiamento (ora si può parlare di imputato perché la richiesta di
giudizio immediato è esercizio dell’azione penale!).

Il giudizio immediato richiesto dall’imputato (419.5):


Fuori dal libro dedicato ai riti speciali l’art. 419 co. 5 prevede che il giudizio immediato possa
essere richiesto dall’imputato → unico requisito: 3 gg prima la data fissata per l’u.p..
Qual è l’interesse dell’imputato a rinunciare all’udienza preliminare che si potrebbe idealmente
concludere con una sentenza di non luogo a procedere?
Per ottenere un provvedimento definitivo perché la sentenza di non luogo a procedere è una
sentenza di rito, che quindi può essere comunque revocata e non può passare in giudicato.
Oltre a questo interesse, la prassi ci porta a dire un altro interesse: gli elementi in mano al PM
porterebbe comunque un rinvio a giudizio!

Il giudizio immediato su impulso d’ufficio (464.1):


A seguito di opposizione dell'imputato a decreto penale di condanna, salvo altri riti: 464 c.1° cpp
Quando l’imputato fa opposizione a che la sua posizione sia definita con ‘procedimento per
decreto’, si instaura il giudizio immediato, cioè si va direttamente a dibattimento.

Giudizio direttissimo (artt. 449-452 c.p.p.):


tutti questi hanno la caratteristica di evitare il procedimento in rito ordinario, perché il giudizio
ordinario è complesso.
Definizione del processo con celebrazione immediata del dibattimento (senza udienza preliminare e
con forte contrazione delle indagini), in ragione della particolare evidenza della prova, anche qui è
su impulso del PM ma si instaura soltanto in casi particolari e a differenza del giudizio immediato
comporta qualche semplificazione anche del dibattimento che si instaurerà una volta accolta
l’instaurazione del giudizio direttissimo.
Casi:
• arresto in flagranza convalidato (se non convalidato: consenso di imputato e p.m.)
• confessione dell'imputato nell'interrogatorio
• purché, in caso di connessione con altri reati, la separazione non pregiudichi gravemente le
indagini: se è indispensabile la riunione prevale il rito ordinario
Il codice prevede questa possibilità ‘si va per direttissima’, sono quei processi che riguardano reati
di ‘semplice prova.

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Si procede con giudizio direttissimo portando fisicamente l’imputato davanti al giudice (di solito
monocratico).

In questo modo tutte quelle regole del rito ordinario (atti preliminari al dibattimento) non ci sono
più ma i testimoni possono essere citati oralmente o possono essere presentati dalle parti
direttamente (451), quindi non è necessaria nemmeno una citazione.
Anche in questo caso proprio perché si parla di un procedimento imposto il codice prevede la
facoltà dell’imputato di chiedere il giudizio abbreviato o il patteggiamento.
I giudizi per direttissima di solito riguardano reati caratterizzati da una semplificazione della prova
→ es: spaccio, rapina, furto.

Il procedimento per decreto: (artt. 459-464)


I riti studiati fin ora possono essere instaurati per qualsiasi tipologia di reati (nel patteggiamento c’è
un limite edittale, nel rito abbreviato dopo la riforma del 2019 non può essere richiesto per reati
puniti con l’ergastolo), il procedimento per decreto riguarda invece soltanto:
• reati perseguibili d'ufficio o a querela (presentata senza opposizione del querelante al rito) per i
quali il p.m. ritiene possa essere applicata solo la pena pecuniaria (anche in sostituzione di
detentiva),
• esclusi i casi in cui risulta la necessità di misura di sicurezza personale.
Caratteristiche:
qui in realtà il giudizio non c’è, ma il PM per queste tipologie di reati ritiene di poter definire la
posizione dell’indagato senza udienza preliminare e senza dibattimento.
Processo a contraddittorio eventuale e differito (procedimento "monitorio"), ad impulso
autoritativo:
• decreto di condanna senza udienza preliminare e dibattimento, pronunciata dal GIP su richiesta
del PM (entro il termine di sei mesi dall'iscrizione della notizia di reato), con applicazione di
benefici premiali (disincentivo all'opposizione)
• accertamento analogo a quello del patteggiamento (accertamento negativo della punibilità ex 129
c.p.p.)
• il giudizio è attivabile ad impulso del condannato (opposizione)
Tutto questo deve essere controbilanciato da un premio, e quindi c’è uno sconto della pena
diminuita fino alla metà rispetto al minimo edittale.

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Il giudice deve valutare questi atti e potrà rispondere in 3 modi:


1) Ci sono tutti i presupposti → emette decreto penale di condanna alla pena richiesta dal PM,
2) Se invece ci sono elementi che consentono di ritenere ‘un accertamento negativo della
punibilità’ allora emette una sentenza di proscioglimento a norma dell’art. 129
3) Respinge la richiesta

Benefici connessi al rito (esclusi in caso di opposizione):


• riduzione della pena sino alla metà del minimo (con possibile sospensione condizionale),
• esonero dalle spese di procedimento,
• non citazione della condanna sul certificato a richiesta del casellario,
• estinzione del reato (5 o 2 anni, per delitti o contravvenzioni).

Opposizione al decreto penale di condanna:


C’è la possibilità di opporsi per l’imputato entro 15 gg a pena di inammissibilità, questa
opposizione è una sorta di ‘impugnazione’, con caratteristiche particolari.
Se l’opposizione viene accolta perché effettuata nel termine, il giudice revoca il decreto penale di
condanna e se l’imputato non ha indicato alcuna preferenza in ordine al rito si instaura il giudizio
immediato → giudizio immediato d’ufficio.
Nell’opposizione è possibile chiedere anche o il patteggiamento o il giudizio abbreviato.
Natura di mezzo di impugnazione (dell'imputato o del civ. obbl. per la p. pec.):
• davanti allo stesso giudice (tribunale: stesso g. organo, non persona: 34 c.p.p.), non vincolato dal
divieto di reformatio in peius, cioè il divieto per il giudice di secondo grado (nel caso di
impugnazione soltanto dell’imputato) di modificare in senso peggiorativo il provvedimento
impugnato;
• effetto sospensivo esteso anche ai non opponenti
• effetto estensivo limitato per i coimputati dello stesso reato (proscioglimento perché il fatto non
sussiste o non è previsto come reato, causa di giustificazione)
• no effetto devolutivo: il processo prosegue avanti al giudice di primo grado

Post pausa: Le impugnazioni.

Sia che l’imputato sia stato condannato o prosciolto a seguito di dibattimento, o riti speciali,
bisogna parlare della possibilità di poter rimettere in discussione la sentenza del giudice di 1 grado
→ libro 9 dedicato ai mezzi di impugnazione. Strumento capace di correggere eventuali errori
commessi dal giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato.
Con i mezzi di impugnazione (anche detti ‘gravame’) si va davanti ad un giudice superiore, diverso,
per rivedere l’operato del giudice inferiore che riteniamo abbia commesso degli errori.
Impugnazioni di due tipi:
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- Ordinarie: contro un provvedimento non ancora divenuto irrevocabile, devono essere


proposte entro un termine perentorio decorrente dall’emanazione o meglio dalla
conoscibilità del provvedimento, hanno ad oggetto un provvedimento che ancora può essere
messo in discussione o perché non sono stati esperiti tutti i mezzi di impugnazione possibili
oppure non è ancora spirato il termine che il codice prevede per ogni mezzo
d’impugnazione.
- Straordinarie:(noi non le studieremo!) Questi mezzi rispondono all’esigenza per cui anche
se in un certo momento non si può mettere in discussione la verità giudiziale, dato che chi
decide è umano, se sbaglia e assolve è un problema, ma se sbaglia e condanna è un
problema ancora più grave. Le impugnazioni straordinarie si usano quindi per rimettere in
discussione il giudicato favor rei, queste impugnazioni sono quindi contro provvedimenti
divenuti irrevocabili e la loro proposizione può anche non essere sottoposta a un termine.
Es: se torna il testimone da honolulu e prova che il soggetto era con il testimone a honolulu
e quindi non poteva aver commesso quel reato allora l’impugnazione straordinaria può
risolvere quel problema; se invece parliamo di un soggetto assolto e il testimone dice che
invece l’imputato ha commesso quel reato il sistema non permette la possibilità di riaprire
quel giudicato.

Il nostro sistema di impugnazioni prevede il sistema di 2 grado (giudizio di appello), il ricorso per
cassazione (2,3 grado) e una volta esperiti questi mezzi ordinari → giudicato, nei confronti del
giudicato è possibile esperire soltanto i mezzi straordinari di impugnazione.
Art. 111 co. 7: la nostra costituzione prevede nella carta costituzionale soltanto un mezzo di
impugnazione → ricorso x cassazione per violazione di legge.
Se il legislatore volesse abolire il ricorso per cassazione → modifica della costituzione.

Il quadro costituzionale:
- Art. 27 c.2 → sentenza di condanna "definitiva"
• presuppone che la stessa sia (o possa essere) stata sottoposta a impugnazione,
• esige che l'impugnazione (della sentenza di condanna) abbia effetto sospensivo, nel momento in
cui l’imputato propone impugnazione AUTOMATICAMENTE si ha effetto sospensivo
dell’esecuzione, l’imputato eseguirà la pena soltanto quando avrà una sentenza definitiva,
• non impone il doppio grado di giurisdizione di merito (1 grado e appello), è necessario soltanto un
mezzo di impugnazione in diritto, il ricorso per cassazione è previsto in costituzione, l’appello è un
impugnazione nel merito, il ricorso per cassazione è un ricorso per violazioni di diritto.
- Art. 24 c.2
anche il principio della inviolabilità della difesa in ogni stato e grado non presuppone
necessariamente il doppio grado di giurisdizione di merito [COST 41/1965; 316/2002] (che
troverebbe invece assicurazione ex art. 14 c. 5 Patto intern. dir. civ. e poi.)
- Art. 111 c.2
il principio di "parità delle armi" esige che alle parti siano dati analoghi strumenti di controllo
delle decisioni sfavorevoli [COST 26/2007]
- Art. 111 c.7
ricorso in cassazione per violazione di legge sempre ammesso contro le sentenze e i provvedimenti
sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali
- Art. 112
l'obbligatorietà dell'azione penale per il p.m. non comporta l’obbligo di impugnare, la corte cost
nella sentenza 280/1995 ha chiarito che questo non obbliga il PM a portare avanti l’esercizio di
azione penale anche nel giudizio di 2 grado, cioè non è obbligato a proporre impugnazione.

pag. 200

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Il libro 9 inizia con un articolo importante che detta delle regole generali appliabili a prescindere dal
mezzo d’impugnazione. *domanda d’esame → disciplina generale mezzi d’impugnazione →
risposta art. 568.
Art. 568. Regole generali.
1. La legge stabilisce i casi nei quali i provvedimenti del giudice sono soggetti a impugnazione e
determina il mezzo con cui possono essere impugnati.
2 Sono sempre soggetti a ricorso per cassazione, quando non sono altrimenti impugnabili, i
provvedimenti con i quali il giudice decide sulla libertà personale e le sentenze, salvo quelle sulla
competenza che possono dare luogo a un conflitto di giurisdizione o di competenza a norma
dell'articolo 28.
3. Il diritto di impugnazione spetta soltanto a colui al quale la legge espressamente lo conferisce. Se
la legge non distingue tra le diverse parti, tale diritto spetta a ciascuna di esse.
4. Per proporre impugnazione è necessario avervi interesse.
5. L'impugnazione è ammissibile indipendentemente dalla qualificazione a essa data dalla parte che
l'ha proposta. Se l'impugnazione è proposta a un giudice incompetente, questi trasmette gli atti a
giudice competente.

1)Principio di tassatività:
Questo articolo ci dice che i mezzi d’impugnazione sono tassativi.
- divieto di analogia
- la legge stabilisce i casi nei quali i provvedimenti del giudice sono soggetti ad impugnazione
- la legge determina il mezzo con cui i provvedimenti del giudice possono essere impugnati
Quindi la conseguenza è che se il mezzo di impugnazione, non è consentito espressamente dalla
legge ad una determinata parte nei confronti di un determinato provvedimento del giudice sarà
dichiarato inammissibile, questa è sempre la valutazione preliminare che il giudice effettua.

2) legittimazione ad impugnare (art. 568 c. 3)


Questi sono i soggetti che possono proporre impugnazione dinanzi ai vari giudici.

3) 4 comma art. 568 → se non c’è interesse a proporre impugnazione e l’abbiamo proposta la
nostra impugnazione è inammissibile. Es di soggetto che non ha interesse: soggetto che è stato
assolto e che non può ottenere una formula migliore non ha interesse.
Se l’imputato è stato condannato alla pena richiesta dal pm → il pm non ha interesse.
Quindi l’interesse è correlato alla possibilità teorica di ottenere una formula migliore rispetto a
quella ottenuta con il provvedimento impugnato.

4) la legge prevede anche dei requisiti di forma → art. 581, se questi non sono rispettati la
sanzione sarà di inammissibilità.

pag. 201

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“1. L'impugnazione si propone con atto scritto nel quale sono indicati il provvedimento impugnato,
la data del medesimo, il giudice che lo ha emesso, con l’enunciazione specifica, a pena di
inammissibilità:
a) dei capi o dei punti della decisione ai quali si riferisce l'impugnazione;
b) delle prove delle quali si deduce l’inesistenza, l’omessa assunzione o l’omessa o erronea
valutazione;
c) delle richieste, anche istruttorie
d) dei motivi con l'indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni
richiesta.”
*Aspetto particolare lettera a → cosa si intende per ‘capo’ e cosa si intende per ‘punto’?
Capo della sentenza: si intende quella parte di pronuncia idonea ad avere il contenuto di una
sentenza e, quindi, riferibile ad un singolo imputato e a una singola imputazione.
In una sentenza vi sono tanti capi quante sono le imputazione contestate all’imputato oppure tanti
capi quanti sono gli imputati. Es: se Mario rossi è stato condannato x rapina, sequestro, avremo 2
capi di imputazione e quindi 2 capi della sentenza. Se Mario rossi è stato condannato per furto
insieme ad altri 3 co imputati, ogni parte della sentenza riferita a ogni singolo imputato si chiamerà
capo della sentenza.
Punti della sentenza: parti della pronuncia relative alle singole questioni risolte per giungere alla
decisione
Esempio: quando il giudice ha accertato il fatto, titolo di reato, quando il giudice ha scritto in ordine
all’elemento psicologico, quando il giudice ha escluso le scriminanti o le circostanze, ecc...
Quando devo impugnare devo indicare QUALI CAPI E QUALI PUNTI della sentenza voglio
mettere in discussione.
L’impugnazione della sentenza devolve al giudice superiore la cognizione, la conoscenza non di
tutta la sentenza, ma soltanto dei capi e dei punti impugnati.
Secondo passaggio: i capi e i punti non impugnati passano in giudicato.
Es: se io impugno solo il capo relativo alla commisurazione della pena, il giudice di appello potrà
riformare la sentenza soltanto applicando una pena + mite.
Tutto il resto passa in giudicato →effetto devolutivo: cosa devolvo al giudice?
Altro effetto è l’effetto sospensivo, l’esecuzione della pena è sospesa fi no a quando c’è il passaggio
in giudicato.
Altro effetto è l’effetto estensivo, l’impugnazione in che modo può avere effetti positivi anche a co
imputati che non hanno impugnato?

Effetto sospensivo: l’impugnazione sospende l’esecuzione del provvedimento impugnato (art.588)


• eccezione (588 c.2): le impugnazioni contro i provvedimenti in materia di libertà personale
(misure cautelari) non hanno in alcun caso effetto sospensivo, ratio: se io applico una misura
cautelare nei confronti del soggetto perché c’è pericolo di fuga, se il soggetto propone
impugnazione non va messo in libertà perché il pericolo permane,
• eccezione: cessazione della custodia cautelare nel caso di sentenza di non doversi procedere o di
assoluzione pronunciata nei confronti di imputato assoggettato a custodia cautelare ancorché tale
sentenza venga impugnata dal p.m.
• eccezione: provvisoria esecuzione delle disposizioni civili o della condanna al pagamento della
provvisionale ancorché tali disposizioni della sentenza siano state impugnate

Effetto devolutivo: il mezzo d’impugnazione cosa permette di conoscere al giudice superiore?


in conseguenza dell’impugnazione la cognizione del processo è devoluta a un giudice di grado
superiore.
- Mezzi di impugnazione devolutivi:
• il riesame devolve al giudice dello stesso grado OGNI questione, e questo permette alla
difesa di non indicare i motivi perchè tanto il giudice può decidere come vuole,
pag. 202

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• appello
• ricorso per cassazione
Questi due invece sono devolutivi parzialmente limitati ai punti e ai capi della sentenza ma
anche ai motivi, ragioni di diritto e elementi di fatto che sorreggono la richiesta.
- Mezzi di impugnazione non devolutivi:
• opposizione a decreto penale
• revoca sentenza di non luogo a procedere, ecc...

Effetto estensivo: la possibilità che gli effetti/benefici conseguiti tramite l’impugnazione possano
essere estesi anche a soggetti che non hanno impugnato il provvedimento e per i quali la sentenza
può passare in giudicato. Questo effetto estensivo (solo in favor rei) è stato pensato per evitare
contraddizioni tra giudicati contrastanti. Es: concorso di persone per stesso reato, un imputato non
ha impugnato, co imputato ha proposto appello e la corte d’appello dice che il fatto non sussiste. In
questi casi l’impugnazione proposta da uno degli imputati giova anche agli altri imputati non
impugnanti purché l’impugnazione/i motivi non riguardano esclusivamente l’imputato.

Tutto questo discorso delle disposizioni generali in tema di impugnazione porta


all’inammissibilità, perché se non sono osservate le regole generali in tema di impugnazione (art.
568) allora in ogni stato e grado del procedimento il giudice può dichiarare con ordinanza
inammissibile de plano e senza formalità ex art. 127 l’impugnazione.
Se l’impugnazione viene dichiarata inammissibile la sentenza passa in giudicato, come se
l’impugnazione non sia stata proposta.
Se invece l’impugnazione è ammissibile allora bisognerà verificare anche se è fondata.
Casi di inammissibilità:
• è proposta da chi non è legittimato o non ha interesse
• il provvedimento non è impugnabile
• non sono osservate le disposizioni su: forma del mezzo (scritta, con enunciazione di capi, punti,
richieste, motivi: 581); presentazione
(582), spedizione (583); termini (585)
• vi è rinuncia al mezzo → un soggetto propone impugnazione e una volta proposta con atto scritto
poi dichiari di rinunciarvi.

L’appello.
•Mezzo di impugnazione nel merito, la corte d’appello quindi ha la possibilità di discutere oltre che
di diritto anche del fatto, sostanzialmente il giudice d’appello è un giudice del merito al pari del
giudice di 1 grado.
• mezzo di impugnazione ordinario mediante il quale le parti che vi abbiano interesse e ritengono
viziata, per motivi di fatto o di diritto, la decisione del giudice di primo grado, chiedono, con
riferimento a uno o più capi e punti del procedimento, una decisione del giudice di secondo grado.
• struttura ibrida perché, pur riconnettendosi al modello del gravame, si caratterizza in senso
parzialmente devolutivo e attribuisce, infatti, alla cognizione del giudice di secondo grado solo i
punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti, capi e punti rispetto ai motivi, cioè si
possono conoscere quei capi e quei punti per riformarli per i motivi indicati nel capo
d’impugnazione.
• strumento di controllo della decisione impugnata

pag. 203

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Legittimati all’appello:

Limitazioni all’appello che prescindono dalla nozione di interesse → riforma del d.lgs 11/2018 che
introduce queste possibilità:
l’imputato e il PM non possono proporre appello contro le sentenze di proscioglimento pronunciate
nel predibattimento (art. 469), queste sentenze sono quelle che sono emesse negli atti preliminari al
dibattimento se risulta che l’azione penale non doveva essere iniziata.
Di regola l’imputato può proporre appello contro le sentenze di proscioglimento emesse al termine
del dibattimento, salvo che si tratti di sentenze di assoluzione perché il fatto non sussiste o perché
l’imputato non lo ha commesso.
L’imputato di regola può proporre appello contro le sentenze di condanna (593.1), salvo le seguenti
eccezioni → L’imputato NON può proporre appello contro:
1. sentenze di condanna con le quali è stata applicata la sola pena dell'ammenda
(593.3);
2. sentenza di patteggiamento (448.2);
3. sola misura di sicurezza personale, senza impugnazione di un altro capo della
sentenza agli effetti penali: sull'appello contro la sola misura di sicurezza giudica il tribunale di
sorveglianza (579, 680)
Il PM può proporre appello contro le sentenze di proscioglimento (C. cost. n. 26 del 2007),
può proporre appello contro le sentenze di condanna (593.1), solo quando modificano il titolo del
reato o escludono la sussistenza di una circostanza aggravata ad effetto speciale o stabiliscono una
pena di specie diversa.

LEZIONE 23: 13 maggio.

Art. 597: Cognizione del giudice d’appello – (esplicita che) l’appello è un mezzo di impugnazione
parzialmente devolutivo, ossia ci dice quali sono i temi che vengono devoluti al giudice superiore,
quali sono gli aspetti della sentenza di primo grado che il giudice superiore può conoscere. La
cornice di quanto conosce il giudice dell’appello (rispetto al giudizio di primo grado) è costituita da:
capi e punti della sentenza impugnati rispetto ai motivi per i quali si propone l’appello. Il giudizio
di appello non è un secondo giudizio, ma è un giudizio di controllo e verifica che il giudice
d’appello fa nei confronti del giudice di primo grado. L’appello ha la finalità di verificare se il
giudice di primo grado ha operato in maniera corretta e quindi se alla fine è necessario modificare la
sentenza oppure confermarla. Il giudice d’appello conosce esclusivamente le parti della decisione
con riferimento a capi e punti impugnati, cui si riferiscono i motivi, ossia le ragioni per le quali si
propone appello (per quale ragione io ritengo che il giudice di primo grado abbia commesso errore).
Principio dispositivo: è la impossibilità di sottoporre a indagine altri punti del provvedimento
impugnato che non sono stati indicati nell’atto di impugnazione. Quello è il perimetro. Giudice
superiore nulla può conoscere dei capi e dei punti che non sono stati impugnati nel precedente
processo.
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Art 597:
1. L'appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai
punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti.
2. Quando appellante è il pubblico ministero:
a) se l'appello riguarda una sentenza di condanna, il giudice può, entro i limiti della
competenza del giudice di primo grado, dare al fatto una definizione giuridica più grave, mutare la
specie o aumentare la quantità della pena, revocare benefici, applicare, quando occorre, misure di
sicurezza e adottare ogni altro provvedimento imposto o consentito dalla legge;
b) se l'appello riguarda una sentenza di proscioglimento, il giudice può pronunciare condanna ed
emettere i provvedimenti indicati nella lett. a) ovvero prosciogliere per una causa diversa da quella
enunciata nella sentenza appellata;
c) se conferma la sentenza di primo grado, il giudice può applicare, modificare o escludere, nei casi
determinati dalla legge, le pene accessorie e le misure di sicurezza.
3. Quando appellante è il solo imputato, il giudice non può irrogare una pena più grave
per specie o quantità, applicare una misura di sicurezza nuova o più grave, prosciogliere l'imputato
per una causa meno favorevole di quella enunciata nella sentenza appellata né revocare benefici,
salva la facoltà, entro i limiti indicati nel comma 1, di dare al fatto una definizione giuridica più
grave, purché non venga superata la competenza del giudice di primo grado.
4. In ogni caso se è accolto l'appello dell'imputato relativo a circostanze o a reati concorrenti, anche
se unificati per la continuazione, la pena complessiva irrogata è corrispondentemente diminuita.
5. Con la sentenza possono essere applicate anche di ufficio la sospensione condizionale della pena,
la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale e una o più circostanze
attenuanti; può essere altresì effettuato, quando occorre, il giudizio di comparazione a norma
dell’art. 69 del codice penale.

Determinazione dei poteri di cognizione

Eccezioni al principio generale del tantum devolutum quantum appellatum: questioni che possono
essere rilevate dal giudice d’appello anche se non sono state indicate nell’arco di impugnazione.
Eccezioni al principio per cui il giudice d’appello conosce quanto e solo è stato impugnato.
Questioni rilevabili d'ufficio in ogni stato e grado dei processo:
• difetto di giurisdizione (20 c.1)
• incompetenza per materia in difetto (21 c. 1)
• declaratoria di determinate cause di non punibilità (129)
• nullità assolute (179)
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• inutilizzabilità (191 c.2)


• divieto di secondo giudizio, ne bis in idem (649 c.2)
Le questioni anche se non indicate nell’atto d’appello possono essere conosciute dal giudice, che
può prendere decisioni anche d’ufficio con riferimento a questioni attinenti alla pena.
Decisione d'ufficio su:
• applicazione della sospensione condizionale della pena
• non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale
• applicazione di una o più circostanze attenuanti
• comparazione delle circostanze
Giudizio di equivalenza tra le circostanze attenuanti e aggravanti: vuol dire che se giudice ha errato
a esprimersi su queste tematiche, anche se non sono state indicate nell’atto di impugnazione, il
giudice d’appello può rilevarle e decidere su queste.

Altro principio fondamentale nell’appello è il divieto di reformatio in peius.


Se ad impugnare la sentenza è solamente l’imputato, la Corte d’Appello potrebbe solo o confermare
la sentenza di primo grado, oppure riformarla in senso migliorativo.
Principio che garantisce all’imputato di non poter avere un risultato peggiore rispetto a quello avuto
nel giudizio di primo grado. Giudice d’appello non può riformare in senso peggiorativo la sentenza.
Principio valido solo quando ad appellare è il solo imputato, se ad appellare fosse anche il PM il
divieto verrebbe meno.
Se il giudice di primo grado ha pronunciato una sentenza che non soddisfa le esigenze né della
procura ne dell’imputato, entrambi propongono impugnazione, a questo punto il giudizio permetterà
di conoscere le ragioni di entrambi e i poteri del giudice di appello saranno come quelli del giudice
di primo grado: potrebbe confermare la sentenza se ritiene che il giudice di primo grado abbia
operato correttamente, potrebbe modificarla in senso migliorativo dando ragione alla imputazione
dell’imputato oppure potrebbe modificarla in senso peggiorativo accogliendo l’appello del PM.

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Rimane sempre la libertà del giudice d’appello di dare una definizione giuridica diversa, anche più
grave purchè non venga superata la competenza del giudice di primo grado a prescindere da chi
abbia proposto appello.

Articolo 595 cpp: disciplina l’appello incidentale, che ha subito una serie di modifiche nel corso
del tempo, noi studieremo la versione riformata D.L.vo n. 11 del 2018
Era presente nel codice Rocco, poi è stato censurato dalla Corte costituzionale nel 1971, in seguito è
stato reinserito all’interno del codice Vassalli e poi nuovamente riformulato da una pronuncia della
Corte costituzionale del 1995 per poi giungere alla formulazione del 2018.
L’appello incidentale originariamente poteva essere proposto dalla parte nel momento in cui
conosceva che l’altra parte aveva proposto appello.
Dava la possibilità all’imputato che non aveva proposto impugnazione di proporre appello entro 15
giorni dalla notifica dell’appello proposto dal PM, e così anche a parti inverse.
Questo per consentire al giudice di secondo grado di poter poi valutare due versioni, quella fornita
dal PM nell’appello principale e quella proposta dall’imputato che entro 15 giorni dalla notifica
dell’appello del PM ha la possibilità di proporla anche lui.
In seguito a modifiche nel tempo, è stato permesso solo al PM di proporre questo appello
incidentale, che però creava problemi. Il problema era che: l’imputato propone appello incidentale e
sa che il giudice di secondo grado è vincolato dal divieto di riformatio in peius. L’appello
incidentale del PM faceva venir meno il divieto di riformatio in peius.
Le ragioni che hanno prodotto la riformulazione del 2018 sono abbastanza intuitive.
• previsto solo per l’imputato
• dipende da principale (sugli stessi punti), viene meno in caso di rinuncia/inammissibilità
dell'appello principale.
A seguito della riforma: Il solo imputato ha la possibilità di proporre appello incidentale.
Imputato ha interesse nel proporre appello incidentale perché ha la necessità di far valere motivi
diversi da quelli proposti dal PM.
Appello incidentale si chiama in questo modo perché può essere limitato solo ai punti investiti dai
motivi d’appello principale. PM propone appello principale, imputato propone appello incidentale
ed ecco che il suo appello incidentale dovrà essere ancorato ai punti dell’appello principale
cercando di contrastarli e indicando motivi diversi.
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Appello che si inserisce nell’appello principale e ne subisce le sorti, se appello principale dovesse
essere dichiarato inammissibile per qualsiasi ragione ecco che sarebbe dichiarato inammissibile
anche l’appello incidentale perché è stato proposto soltanto perché c’era la presenza dell’appello
principale.
Le situazioni che si possono venire a creare sono diverse:
- PM propone appello e imputato no: si instaura il giudizio di primo grado e si discuterà l’appello
proposto dal PM
- PM e imputato contemporaneamente propongono appello: a questo punto il giudice d’appello non
è vincolato dal divieto di riformatio in peius
- propone appello solo l’imputato: il giudice è vincolato dal divieto di riformatio in peius
- propone appello il PM: l’imputato che non lo voleva proporre, vede che il PM ha proposto appello
principale e decide di proporre appello incidentale, che sarà con riferimento agli stessi punti
impugnati dal PM nell’appello principale ma per motivi diversi.

La riforma Orlando ha introdotto anche un istituto presente nel codice Rocco e che non era stato
inserito nel codice Vassalli: il “Concordato su motivi d’appello”.
Si consente alle parti (pm e imputato) di concludere un accordo sull’accoglimento dei motivi
d’appello da sottoporre al giudice il quale deciderà in camera di Consiglio. Se l’accordo comporta
una rideterminazione della pena, anche questa dovrà essere concordata tra le parti e sottoposta al
giudice. Non scrivetelo, però è come se fosse un patteggiamento in appello: sostanzialmente, invece
di affrontare il giudizio di appello, le parti si accordano nel proporre al giudice di appello di evitare
di fare il giudizio, e il giudice accoglie motivi su cui c’è consenso tra le parti e se l’accoglimento
comporta anche una rideterminazione della pena in senso migliorativo per l’imputato, applicherà
quella pena. È una sorta di patteggiamento sulla possibilità di rinunciare in tutto o in parte ai motivi
di appello.
Restano esclusi nell’ambito di applicazione dell’istituto del concordato i procedimenti:
• per i delitti di cui all’art. 51.3-bis e 3-quater
• reati sessuali anche nei confronti dei minori
• delitti commessi da chi sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per decadenza

Il procedimento

La decisione sull’accoglimento dei motivi viene presa dal giudice d’appello in camera di Consiglio.
Se il giudice accoglie il concordato, il giudizio di appello si svolgerà solo sui motivi che sono
rimasti, se l’accordo riguarda tutti i motivi il giudice allora rideterminerà solo la pena.

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Questo istituto non può essere applicato per alcuni delitti di criminalità organizzata, reati sessuali
anche nei confronti di minori e delitti commessi da chi è stato dichiarato delinquente abituale,
professionale o per decadenza.
Appello si deposita presso il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado, a questo punto quel
giudice deve avvisare che è stato proposto appello, avvisa le parti e il giudice d’appello e l’atto di
impugnazione insieme alla sentenza e agli atti devoluti al giudice di secondo grado, il quale dovrà
verificare la ammissibilità o meno dell’appello.

Giudizio d’appello fa una verifica sugli atti compiuti nel giudizio di primo grado e devoluti al
giudice di secondo grado; formazione delle prove davanti al giudice d’appello è soltanto
eccezionale perché giudizio d’appello è una verifica sull’operato e non è un secondo giudizio.
Vi è la possibilità di rinnovare l’istruttoria dibattimentale in appello, art. 603 c.p.p. -> Possibilità
eccezionale che davanti alla corte d’appello possano formarsi delle prove.
Art. 603 cpp dice che in alcune situazioni la rinnovazione del dibattimento e la formazione di
alcune prove può essere disposta su richiesta di parte o d’ufficio. Su richiesta di parte il giudice
d’appello è obbligato a disporre la rinnovazione solo quando si tratta di prove nuove, ossia
sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado e che quindi il giudice di primo grado non
poteva conoscere e perciò non si sono formate in primo grado. Es. Imputato chiede appello
chiedendo la rinnovazione della istruttoria dibattimentale nel senso di sentire anche il testimone che
proviene da Honolulu.
Il giudice in questo senso è obbligato a disporre l’audizione del testimone.
La rinnovazione è facoltativa se si tratta di prove che sono già state acquisite nel corso del giudizio
di primo grado, oppure prove che erano già note alle parti e che non le hanno richieste.
La seconda eccezione è la possibilità di rinnovare l’istruttoria dibattimentale ex officio, co. 4 e 5 art.
604 cpp, che prevede la possibilità da parte del giudice d’appello di dichiarare la nullità della
sentenza quando vi sono cause di nullità (che sono tassative – principio di tassatività). Corte
d’appello non può dichiarare una nullità diversa rispetto a quella prevista dal 604 cpp.

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La rinnovazione dell’atto che comporta magari anche assunzione della prova è prevista come una
causa d’ufficio di rinnovazione della istruttoria dibattimentale.
Ultima situazione che prevede la rinnovazione d’ufficio è prevista dal co. 3 bis dell’art 603 cpp che
è stata inserita a seguito di sollecitazioni arrivate dalla CORTE di Strasburgo al nostro paese: la
corte ritiene che se il giudice di primo grado ha disposto l’assoluzione e PM fa appello, la corte
d’appello non può riformare la sentenza di proscioglimento senza un rinnovo dell’istruttoria
dibattimentale.
Se giudice di primo grado, che è l’unico che ha sentito i testimoni e ha partecipato alla formazione
della prova ha disposto l’assoluzione, coma fa il giudice di secondo grado che legge soltanto le
carte e non ha visto i testimoni a ribaltare una sentenza di proscioglimento in una sentenza di
condanna?
→ Il co. 3 bis dice che il giudice d’appello qualora ritenga di riformare la sentenza ribaltandola da
assoluzione a condanna a seguito dell’appello proposto dal PM, sulla base di diversa valutazione
della prova dichiarativa ritenuta decisiva dal giudice di primo grado deve disporre la rinnovazione
dell’istruzione dibattimentale.
Se la corte d’appello ritiene di dover modificare la sentenza da assoluzione a condanna, accogliendo
l’appello del PM che fa leva su diversa valutazione di una o più testimonianze, non si può basare
solo sulla lettura di trascrizioni di testimonianze rilasciate nel corso del giudizio di primo grado, ma
deve disporre la rinnovazione, quindi la citazione dei testimoni per permettere la formazione della
prova nel contraddittorio delle parti.

Norma che consente la rinnovazione solo quando a proporre appello è il PM, inoltre non convince
molto che il testimone risentito davanti alla corte d’appello possa aggiungere qualcosa di diverso e
più significativo rispetto a quanto dichiarato nel giudizio di primo grado. Il testimone citato dinanzi
alla corte d’appello si limiterà a rafforzare ciò che ha detto davanti al giudice di primo grado.
Corte d’appello può confermare la sentenza di primo grado, oppure riformare la sentenza in senso
migliorativo o peggiorativo la sentenza accogliendo l’appello, e in alcuni casi tassativamente
previsti dall’art. 604 cpp può disporre l’annullamento.

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Questioni di nullità: se accolte possono comportare annullamento della sentenza impugnata e


regressione del procedimento al momento in cui è stato compiuto l’atto caratterizzato da nullità,
oppure nelle forme più gravi l’annullamento della sentenza è la trasmissione degli atti al PM perché
proceda dall’inizio.

Le cause di nullità nel giudizio di appello sono tassative. La corte d'appello non può dichiarare una
nullità diversa rispetto a quella proposta dall'art. 640. La rinnovazione che comporta l'assunzione di
una prova è prevista come una causa d'ufficio di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale.

L'ultima situazione che prevede la rinnovazione d'ufficio deriva ed è stata disciplinata a seguito
delle sollecitazioni che nel corso del tempo sono arrivate nel nostro ordinamento dalla Corte EDU,
che ritiene che se il giudice di primo grado ha disposto l'assoluzione e il PM fa appello, la Corte
d'appello non può riformare la sentenza di proscioglimento senza rinnovare l'istruttoria
dibattimentale.

La rinnovazione ex officio introdotta dalla l. 103/2017


Il comma 3-bis dice che il giudice di appello, qualora ritenga di riformare nel senso
dell'affermazione di responsabilità dell'imputato la sentenza di proscioglimento di primo grado, cioè
di ribaltare la sentenza di assoluzione a condanna, a seguito dell'appello proposto dal PM, sulla base
di una diversa valutazione della prova dichiarativa ritenuta decisiva dal giudice di primo grado,
deve disporre la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, mediante l'esame dei soggetti che
hanno reso quelle relative dichiarazioni.
Se la corte d'appello ritiene di dover modificare la sentenza di assoluzione a condanna accogliendo
l'appello del PM che fa leva su una diversa valutazione di uno o più testimonianze, non ci si può
basare soltanto sulla lettura delle trascrizioni delle testimonianze rilasciate nel corso del giudizio di
primo grado, ma bisogna disporre la rinnovazione e quindi la citazione di quei testimoni per
permettere la formazione della prova nel contraddittorio delle parti.

La norma consente la rinnovazione soltanto quando a proporre appello è il PM.


C'è chi non è convinto che la Corte EDU dica quello che si sostiene che dica.
Non si è convinti che il testimone risentito davanti alla corte d'appello possa aggiungere qualcosa di
diverso o più significativo rispetto a quanto ha già dichiarato nel giudizio di primo grado. La prassi
considera che questi testimoni non ricordano poco o niente e devono sempre contestare le sommarie
informazioni. Si limitano quindi sostanzialmente a confermare quanto avevano dichiarato nel corso
delle sommarie informazioni.
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Il testimone, quando è citato davanti alla Corte di appello si limiterà a rinforzare quello che ha
dichiarato nel giudizio di primo grado.

La decisione
La corte d'appello può:
a. confermare la sentenza di primo grado
b. riformare la sentenza accogliendo l'appello – in senso peggiorativo o in senso migliorativo
a seconda dell'appello che viene accolto e sempre tenendo presente il principio di divieto di
riformatio in peius se l'appello è proposto soltanto dall'imputato
c. disporre l'annullamento: soltanto nei casi tassativi previsti dall'art. 604 c.p.p.

Le questioni di nullità possono comportare, se accolte:


a. l'annullamento della sentenza e la regressione del procedimento nel momento in cui è stata
compiuto l'atto caratterizzato da nullità
b. l'annullamento della sentenza e la trasmissione degli atti al PM perché proceda dall'inizio
Teniamo conto che c'è sempre la possibilità di dare una definizione giuridica diversa rispetto a
quella proposta dal PM nella richiesta di rinvio a giudizio e accolta dal giudice di primo grado nella
propria sentenza. abbiamo il divieto di riformatio in peius soltanto nel caso di appello proposto dal
solo PM.
Abbiamo comunque sempre un obbligo di motivazione. Anche quando la corte d'appello dovesse
confermare la sentenza di primo grado senza modificare nulla rispetto all'affermazione della
responsabilità o meno dell'imputato e nel caso di condanna rispetto alla determinazione della pena,
vige sempre l'obbligo di motivazione. Questo perché la motivazione è quello che poi permette di
impugnare e rivolgersi alla Corte di cassazione. Generalmente si impugna la sentenza, ma in realtà
si impugna la motivazione della sentenza.

IL RICORSO PER CASSAZIONE


Si tratta di un giudizio molto diverso rispetto ai due giudizi di merito studiati fin ora. Sia nel
giudizio di primo grado che in quello di secondo grado si è sempre discusso sia di fatto che di
diritto. I testimoni che sono stati sentiti e le prove che si sono formate erano volte a ricostruire la
vicenda. Si è discusso anche di diritto per cercare di enucleare il fatto all'interno degli elementi
integrativi la fattispecie di diritto penale sostanziale.
Quando ci rivolgiamo alla suprema Corte, ci rivolgiamo ad una Corte chiamata a valutare soltanto
la corretta applicazione della legge.

La funzione nomofilattica
La Corte di cassazione non è soltanto l'ultimo giudice prima del passaggio in giudicato della
sentenza, ma è anche il giudice che ci dice come deve essere interpretata la legge → funzione
nomofilattica della Corte di cassazione.
Le sentenze della Corte di cassazione vengono utilizzate anche per convincere il giudice di primo e
di secondo grado di un'interpretazione o un'altra di una determinata disposizione di legge,
soprattutto quando la Corte di cassazione decide nella composizione delle Sezioni Unite, la
composizione più autorevole. Si esprime a Sezioni Unite soltanto per dirimere dei contrasti
giurisprudenziali tra diverse Sezioni (nel nostro sistema non vige il principio del precedente).

La Corte di cassazione è formata da diverse sezioni. C’è poi la composizione più autorevole: le
Sezioni Unite, composizione che viene chiamata a risolvere dei contrasti di interpretazione tra
diverse sezioni della Corte di cassazione.

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La Corte di cassazione può annullare parzialmente o totalmente oppure rigettare il ricorso: è una
azione di annullamento nei limiti dei motivi di diritto, e a differenza della corte d'appello i motivi
sono tassativi! Vengono chiamati casi di ricorso per cassazione, disciplinati all'art. 606 c.p.p.
Nel giudizio di appello, il PM e il difensore possono proporre l'impugnazione per motivi diversi.
Davanti alla Corte di cassazione, invece, si può proporre impugnazione soltanto per i motivi
tassativamente previsti dalla legge. Questi motivi comportano:
a. il rigetto del ricorso
b. se accolto il ricorso, l'annullamento con rinvio o senza rinvio della sentenza impugnata

Tassatività: art. 606 c.p.p.


Se proponiamo ricorso per cassazione per un motivo diverso da quelli previsti dall’art. 606, il
ricorso sarà dichiarato inammissibile.
- Art. 606, lett. a: Il giudice di primo grado di appello ha esercitato un potere che non gli spettava.
- Art. 606, lett. b: error in iudicando: violazione di una legge penale incriminatrice oppure
violazione di una norma extra-penale
- Art. 606, lett. c: error in procedendo: il giudice di merito di primo o secondo grado ha violato
una norma del codice di procedura penale che non comporta una mera irregolarità
- Art. 606, lett. d: mancata assunzione di una prova decisiva quando la parte ha fatto richiesta
anche nel corso dell'istruttoria dibattimentale, limitatamente ai casi previsti dagli artt. 495
comma 2. Ricordiamoci che l'ammissione di una prova permette all'altra parte di chiedere
l'ammissione di una prova contraria.
- Art. 606, lett. e: marcata contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione quando il
vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato, ovvero da atti del processo specificamente
indicati nei motivi di gravame. Si intende la motivazione del giudice di primo grado o della
corte d'appello è caratterizzata da contraddittorietà. Gli argomenti sono contradditori tra di loro,
sono illogici.
- La contraddittorietà emerge dal provvedimento, oppure questa contraddittorietà/illogicità
emerge da un atto che è stato compiuto nel corso di un giudizio di merito.

Cognizione della Corte di cassazione


La cognizione della Corte di cassazione è limitata ai motivi proposti. Non si fa riferimento ai capi e
ai punti, ma si fa riferimento soltanto ai motivi perché i casi sono tassativi. La Corte di cassazione
indicherà per quel caso, indicato dal ricorso, in ragione dei motivi indicati.

Il procedimento
Se il ricorso è manifestamente infondato o proposto per motivi diversi da quelli tassativamente
indicati, la corte dichiara l'inammissibilità del ricorso e la sentenza passa in giudicato.
A differenza di quanto detto riguardo alla corte di appello, l'inammissibilità si può dichiarare anche
quando ictu oculi il ricorso è infondato. Non c'è bisogno di un approfondimento ulteriore perché i
giudici sono già in grado di dichiararlo infondato.

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La dichiarazione di inammissibilità viene pronunciata in camera di consiglio senza la necessaria


partecipazione delle parti, come nella corte di appello.

Il procedimento
Se invece il ricorso è ammissibile, il giudizio davanti alla Corte di cassazione si svolgerà attraverso
tre passaggi:
1. Il giudice relatore riassume per gli altri giudici i motivi del ricorso
2. Procura generale presso la Corte di cassazione che svolgerà la propria discussione
3. Discussione delle parti che hanno proposto ricorso, illustrano le parti più importanti dei
motivi per cui è stato presentato ricorso per cassazione

La Corte di cassazione potrebbe rigettare il ricorso. Il ricorso non era manifestamente infondato
(altrimenti avrebbe dichiarato l'inammissibilità), ha ascoltato le parti, ha analizzato i motivi e ha
deciso di rigettare il ricorso perché è infondato. La sentenza passa in giudicato.

Se accoglie il ricorso, vuol dire che ritiene fondato il ricorso proposto secondo i casi indicati e per i
motivi. A seconda del motivo e a seconda dei casi la Corte di cassazione può decidere:
a. L'annullamento parziale della sentenza senza rinvio
b. L'annullamento parziale della sentenza senza rinvio

Annullamento senza rinvio (art. 620 c.p.p.)


Il processo finisce lì. La sentenza di condanna per la quale è proposto ricorso per cassazione è nulla.
La causa era talmente grave oppure l'elemento era talmente evidente che non è necessario rinviare
ad un altro giudice per rinviare ad una nuova valutazione. Il motivo deve essere accolto e
l'accoglimento del motivo comporta, ad esempio, che il fatto non è previsto dalla legge come reato
(art. 620, comma 1 lett. a).
I casi previsti dall'art. 620 c.p.p. sono tassativi.

Annullamento con rinvio (art. 623 c.p.p.)


La Corte di cassazione accoglie ricorso e rinvia la sentenza davanti al giudice in cui si è consumata
la violazione lamentata davanti alla Corte di cassazione dicendo a quel giudice: rivaluta tenendo
conto di questo principio di diritto che ho formulato. In questi casi il giudice del rinvio che potrebbe
essere o il giudice di appello o il giudice di primo grado ha gli stessi poteri del giudice del
provvedimento impugnato, può disporre anche l'eventuale rinnovazione dell'istruttoria
dibattimentale nel caso fosse il giudice di appello il giudice del rinvio, ma ha un'unica limitazione:
l'obbligo di uniformarsi alla decisione della cassazione per le questioni decise. La Corte di
cassazione dice: il giudice del rinvio deve ricelebrare il processo tenendo in considerazione le

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questioni di diritto che la Corte di cassazione ha deciso e che non possono più essere messi in
discussione.

L'annullamento con rinvio è dovuto al fatto che la Corte di cassazione non può decidere nel merito.
L'azione della Corte di cassazione è un'azione di annullamento. L'unica cosa che può fare nel
momento in cui si accorge che quella sentenza non può essere annullata senza rinvio ma deve essere
riformulata, può rinviare al giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato e dirgli di
valutare nel merito uniformandosi ai principi di diritto che la Corte di cassazione ha deciso nella sua
sentenza.

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