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KIERKEGAARD

1. La vita e le opere
Il senso del peccato ► Søren Aabye Kierkegaard nasce in Danimarca, a Copenaghen nel 1813.
Kierkegaard è educalo dal padre anziano - un agiato commerciante - in un’atmosfera di severa
religiosità che gli inculca un forte senso del peccato. Il filosofo arriva addirittura a supporre che
tutta la sua famiglia sia soggetta a una maledizione divina, per una imprecisata grave colpa
commessa in passato da suo padre. Infatti, la morte prematura della madre e di cinque dei suoi sette
fratelli lo convincono della possibilità che suo padre abbia attirato su di sé l’ira divina. Forse, la
colpa del padre è stata quella di aver maledetto Dio a undici anni per la sua iniziale povertà di
pastorello; o forse tale colpa è stata l’aver sedotto la domestica pochi mesi dopo la morte della sua
prima moglie. D’altra parte, egli ha sposato la ragazza compromessa, che sarà poi la madre di
Søren. La convinzione di essere maledetto è aggravata in Kierkegaard da un misterioso dolore fisico
che lo accompagna per tutta la vita e da lui definito «una spina nella carne», con un’espressione
tratta da san Paolo.

Regina Olsen ► Kierkegaard studia teologia presso l’università della sua città natale e nel 1841
diventa magister artium in filosofia con una tesi Sul concetto di ironia con riferimento costante a
Socrate. Nel 1840 si fidanza con una ragazza, Regina Olsen, ma dopo un anno - pur essendone
innamorato - rompe il fidanzamento. Forse Kierkegaard è attratto dalla vocazione religiosa o forse
non vuole ingannare la ragazza, avendo il timore ossessivo che la maledizione divina possa gravare
anche sulla famiglia che egli potrebbe formare insieme a lei. Regina Olsen si dice pronta a tutto pur
di sposarlo, ma Kierkegaard fa il possibile per apparirle disgustoso, in modo che ricada su di lui
tutta la colpa della rottura del fidanzamento, che peraltro gli procurerà un forte rimpianto per il resto
della sua vita. Quella con Regina è una delle esperienze più intense, ma anche più sofferte da lui
vissute.

Le ultime polemiche ►Kierkegaard conduce un’esistenza appartata, anche a causa del suo
temperamento scontroso e poco socievole. Gli unici fatti rilevanti della sua vita - oltre alla rottura
del fidanzamento con Regina Olsen - sono gli attacchi che gli vengono mossi dal giornale satirico
«Il corsaro» e la polemica contro l’opportunismo e il conformismo religioso che egli conduce,
nell’ultimo anno della sua vita, in una serie di articoli pubblicati nel periodico anticlericale «Il
momento».
Su «Il corsaro» Kierkegaard appare più volte ritratto in maligne caricature ed è aspramente preso in
giro. Il filosofo ne rimane amareggiato m modo profondo. Quanto alla sua protesta contro il
conformismo religioso, Kierkegaard accusa la Chiesa danese di essersi mondanizzata e di aver
tradito gli insegnamenti originari di Cristo. Il filosofo, logorato da questa polemica, muore nel
1855.

I tre cicli delle opere ► Le opere principali di Kierkegaard sono divise in tre grandi cicli e sono
state scritte con degli pseudonimi. Il cosiddetto ciclo estetico, o di Regina, comprende Aut-aut (in
danese Enten-Eller, 1843), Timore e tremore (1843) e Il concetto dell’angoscia (1844).
Il ciclo filosofico è costituito, invece, dalle Briciole di filosofia (1844) e dalla Postilla conclusiva
non scientifica (1846). Infine, il ciclo religioso comprende La malattia mortale (1849) e L’esercizio
del cristianesimo (1850). Utili per la comprensione del suo pensiero sono anche i Diari, pubblicati
postumi.
2. L’esistenza e il singolo
La religione ►La Danimarca, all’epoca di Kierkegaard, gravita nell’area di influenza culturale
della Germania, dove il filosofo si reca più volte per i propri studi, seguendo le lezioni di Schelling.
Tuttavia, il pensiero di Kierkegaard, come quello di Schopenhauer, si contrappone alla filosofia
idealistica - e in particolare hegeliana - in nome delle esigenze dell’uomo singolo1 , che prende
coscienza del suo essere precario e contingente di fronte a Dio, il quale viene di nuovo distinto
dall’umanità, in polemica con l'immanentismo sostenuto da Hegel. Con Kierkegaard la religione,
duramente criticata nel Settecento dagli illuministi, torna di nuovo in primo piano come dimensione
essenziale dell'uomo.

La fortuna del pensiero kierkegaardiano ► Il pensiero kierkegaardiano passa, però, del tutto
inosservato e ignorato nella seconda metà del XIX secolo. Ciò si verifica, molto probabilmente,
perché il filosofo vive in una zona che all’epoca risulta piuttosto periferica in Europa e inoltre
perché egli scrive in una lingua poco conosciuta (il danese). Non va poi dimenticato il fatto che il
movimento filosofico del positivismo, che domina la seconda metà dell’Ottocento, si caratterizza
per interessi culturali e umani molto distanti dalle problematiche religiose. Kierkegaard sarà
riscoperto nei primi anni del Novecento e verrà considerato l’iniziatore, o almeno il precursore,
dell’esistenzialismo.

Essenza ed esistenza In effetti, Kierkegaard, come gli esistenzialisti novecenteschi, intende



occuparsi dell’esistenza, cioè della vita concreta, e non dell’essenza, ossia dei concetti universali,
che sono invece esclusivo oggetto dell'indagine hegeliana. Hegel non si occupa del singolo uomo
esistente, ma dell’umanità, cioè dell'essenza dell’uomo; non si interessa del particolare, ma si
interessa dell’universale.
Proprio perché a Kierkegaard - al contrario di Hegel - interessa conoscere il significato
dell’esistenza, oggetto di indagine della sua filosofia è il singolo, cioè l’individuo nella sua
specifica concretezza.
Infatti, l’esistenza, come sostiene Aristotele, non compete alle essenze universali (per esempio, non
compete al concetto astratto di “umanità”), ma spetta solo all’individuo, e cioè a Pietro, a Paolo,
ecc. Per Aristotele, come per Kierkegaard, non esiste il concetto astratto dell’umanità (come invece
afferma l’idealista Platone), ma esistono solo i singoli uomini concreti.

Il singolo ► Che l’uomo reale sia un singolo non significa, però, secondo Kierkegaard, che ogni
individuo viva davvero come singolo, realizzando se stesso, senza lasciarsi condizionare. Spetta
dunque all’uomo attuare la sua singolarità, sforzandosi di non vivere come vive la folla o la massa,
ossia in modo spersonalizzato.
Kierkegaard è il primo filosofo a sottolineare il rischio della spersonalizzazione dell’individuo che
comincia a manifestarsi nella società industriale e che diverrà reale nella successiva società di
massa del Novecento. Nel pensatore danese troviamo la prima espressione del disorientamento di
fronte alla nascita del ceto medio. “Medio” è infatti sinonimo di “mediocre”, mentre la “massa” è
una moltitudine di persone che vive vite ed esperienze prodotte in serie. Anche la critica alla
spersonalizzazione diverrà, nel XX secolo, il Leitmotiv dell’esistenzialismo.

1 Per Kierkegaard il singolo rappresenta l’individuo nella sua specifica concretezza. È solo al singolo che compete
l’esistenza. Non esiste il concetto astratto dell’umanità, ma esistono i singoli uomini concreti. Mentre, secondo Hegel,
l’universale è più importante del particolare, cioè del singolo, per Kierkegaard il singolo sta invece più in alto
dell’universale.
KIERKEGAARD Il singolo
Kierkegaard nei suoi Diari (pubblicati postumi) afferma che la categoria fondamentale della filosofia è
quella del “singolo”, un concetto che è invece trascurato da Hegel (per cui l’universale sta al di sopra del
particolare). Il singolo è l’individuo concretamente esistente. Mentre nel mondo vegetale e animale è più
importante la specie dell’individuo, nel mondo umano l’individuo - a giudizio di Kierkegaard - è più
importante della specie alla quale appartiene. Infatti, l’uomo singolo non può essere sacrificato alla specie,
dato che ogni essere umano è una creatura forgiata a immagine e somiglianza di Dio.
Il singolo è la categoria attraverso la quale debbono passare, dal punto di vista religioso, il tempo, la storia,
l’umanità. E colui che non cedette e cadde alle Termopili non era così assicurato come lo sono io in questo
passo: “il singolo”. Egli doveva infatti impedire alle orde di attraversare quel passo: se fossero penetrati
avrebbe perduto. Il mio compito è, almeno a prima vista, molto più facile; mi espone molto meno al pericolo
di essere calpestato, poiché è quello di umile servitore che cerca, se possibile, di aiutare le folle ad
attraversare questo passo del “singolo” attraverso il quale però, si badi bene, nessuno in eterno penetra senza
diventare “il singolo”. Eppure se io dovessi domandare un epitaffio per la mia tomba, non chiederei che
“Quel singolo”, anche se ora questa categoria non è capita. Lo sarà in seguito. Con questa categoria “il
singolo”, quando qui tutto era sistema su sistema, io presi polemicamente di mira il sistema, ed ora di sistema
non si parla più. A questa categoria è legata assolutamente la mia possibile importanza storica. I miei scritti
saranno forse presto dimenticati, come quelli di molti altri. Ma se questa categoria era giusta, se questa
categoria era al suo posto, se io qui ho colpito nel segno, se ho capito bene che questo era il mio compito,
tutt’altro che allegro, comodo e incoraggiante: se mi sarà concesso questo, anche a prezzo di inenarrabili
sofferenze interiori, anche a prezzo di indicibili sacrifici esteriori: allora io rimango ed i miei scritti con me.
S. Kierkegaard, Diario

3. Gli stadi dell’esistenza


Possibilità e necessità ► Studiando l’esistenza dell’uomo singolo, Kierkegaard si rende conto che
ciò che contraddistingue l’individuo reale rispetto alla sua essenza è la possibilità. L’essenza è
regolata dalla necessità: per esempio, l’essenza dell’uomo, ossia il concetto astratto dell’umanità,
comprende necessariamente l’animalità e la razionalità, così come l’essenza di un triangolo
comprende necessariamente l’avere tre lati e tre angoli.
Invece, le caratteristiche del singolo esistente sono imprevedibili e non necessarie: potrebbero
esserci oppure no.
L’esistenza dell’uomo singolo è caratterizzata dalla possibilità perché gli individui si trovano
sempre di fronte a più opzioni alternative fra le quali sono totalmente liberi di decidere.
L’apertura verso il possibile costituisce per Kierkegaard - come per i futuri esistenzialisti - l’aspetto
fondamentale della nostra esistenza.

Gli stadi dell’esistenza Nella sua attività letteraria Kierkegaard si prefigge appunto il fine di

chiarire le alternative fondamentali che l’individuo trova davanti a sé, e tra le quali egli sceglie
liberamente.
In Aut-aut, Kierkegaard presenta l’alternativa fra due forme fondamentali di vita o stadi
dell’esistenza: quella estetica e quella etica. In Timore e tremore emerge la terza forma
fondamentale di vita: quella religiosa.
A proposito dei tre stadi dell’esistenza (estetico, etico e religioso), emergono altre differenze tra la
filosofia di Kierkegaard e quella di Hegel. Hegel afferma, come fondamentale legge della realtà e
del pensiero, la dialettica quantitativa2 che ammette, nella sintesi, la conciliazione degli opposti, la
quale tutto giustifica e accetta.

2 La dialettica quantitativa propria di Hegel, sintetizzabile nella formula et-et, ammette nella sintesi la conciliazione
degli opposti. La dialettica qualitativa di Kierkegaard, invece, sintetizzabile nella formula aut-aut, ammette solo la
contrapposizione di tesi e antitesi e non contempla la sintesi, cioè la conciliazione o armonia fra gli opposti.
Così, il filosofo di Stoccarda arriva a considerare anche il male (in quanto antitesi) come momento
necessario al bene (tesi) e quindi lo giustifica e lo accetta secondo la sua concezione teoretica di
stampo decisamente ottimistico.

La dialettica qualitativa Invece, per Kierkegaard, nella realtà e nella vita esistono delle

antitesi insuperabili, che si escludono reciprocamente, come, per esempio, quelle fra il bene e il
male, fra il peccato e la grazia o fra la condanna e la salvezza.
La dialettica quantitativa hegeliana si può riassumere nella formula et-et, mentre la dialettica
qualitativa kierkegaardiana è esprimibile nella formula aut-aut, che sta a indicare la scelta esclusiva
di uno degli opposti.
Anche fra i tre stadi dell’esistenza distinti da Kierkegaard sussiste una dialettica qualitativa che
non ammette sintesi, cioè conciliazione e armonia, ma solo un passaggio brusco da un opposto
all’altro.
Per esempio, tra la vita religiosa e le altre forme di esistenza (estetica ed etica) non c’è mediazione:
non è possibile essere cristiani “fino a un certo punto”. O lo si interamente o non lo si è affatto.
All’ottimismo di Hegel, Kierkegaard contrappone un pessimismo fondato sull’angoscia per le
innumerevoli contraddizioni o fratture della vita, e in particolare per il peccato.

4. La vita estetica
Le carte di A e le carte di B In Aut-aut un certo Victor Eremita (è lo pseudonimo con cui

Kierkegaard firma l’opera) dichiara di aver trovato per caso, in uno scomparto segreto di un
secrétaire, due pacchi di appunti, scritti da altri due personaggi chiamati, rispettivamente, A e B. Il
personaggio A resta anonimo e incarna il tipo estetico. Tra le sue carte c’è la trascrizione del diario
di un suo amico, Johannes, intitolato Diario del seduttore. Gli appunti di A contengono anche altri
scritti, fra i quali un commento al Don Giovanni (1787), l’opera lirica di Wolfgang Amadeus
Mozart, e un’analisi del poema drammatico Faust (1808) di Johann Wolfgang Goethe. B, invece,
è un magistrato, il giudice Wilhelm, e incarna il tipo etico.

Nerone ► Lo stadio estetico3 è quello in cui l’uomo non si lascia guidare dai valori morali, ma
dai valori estetici della bellezza e del piacere, ai quali subordina ogni altro ideale. Il caso limite
dell’esteta è per Kierkegaard Nerone, l’imperatore del I secolo d.C. che incendia Roma per
riprodurre l’incendio di Troia. Nerone è uno spettatore “estetico”, perché è spinto a disinteressarsi
della vita e della sofferenza dei suoi simili pur di godersi lo spettacolo della città che brucia.
La vita estetica è un modo di vivere che si caratterizza per il godimento immediato dell’esistenza,
per la costante ricerca del nuovo e per il rifiuto di qualsiasi scelta definitiva. In particolare,
l’atteggiamento tipico dell’esteta si manifesta nella maniera in cui egli si atteggia nei confronti del
sesso femminile. In questo specifico senso, la figura più caratteristica dello stadio estetico è quella
di Don Giovanni, l’emblema del seduttore.

Don Giovanni Don Giovanni è il leggendario cavaliere spagnolo prototipo del libertino,

immortalato nell’omonima opera lirica musicata da Mozart e scritta da Lorenzo da Ponte. Don
Giovanni passa da una donna all’altra non legandosi ad alcuna di esse, perché non vuole scegliere.
Non intende assumere alcun impegno o legame e vive nell’attimo, cercando unicamente il piacere.
Alcuni uomini cambiano donna, amando ognuna di loro, in tempi diversi, in modo esclusivo. Invece
Don Giovanni non ama nessuna in particolare: ama solo la sensualità. Non a caso questo

3 Il primo stadio è quello in cui l’uomo non si lascia guidare da principi e valori morali, ma ritiene fondamentali solo i
valori estetici della bellezza e del piacere a cui subordina tutti gli altri valori (anche quelli morali). Trova la sua
realizzazione già rappresentativa nella figura del “seduttore” (in particolare Don Giovanni).
personaggio è immortalato dalla musica, al più sensuale delle arti, perché si rivolge direttamente ai
sensi, senza passare attraverso la parola e il concetto.

Johannes ► Il protagonista del Diario di un seduttore, contenuto sempre nelle carte di A, è invece
Johannes, un seduttore riflesso, che non rappresenta una forza naturale come Don Giovanni ma
una forza intellettuale. Ciò che gli interessa non è tanto sedurre una particolare donna, quanto
compiacersi per la propria attività seduttiva attuata grazie alle doti del suo spirito. Tant’è vero che,
una volta realizzato il suo scopo, la persona che egli ha sedotto perde il suo interesse. A Johannes
rimane, di nuovo, l’autocompiacimento per l’abilità con la quale nesce a svincolarsi dalla sua
relazione.

La noia ► In realtà, lo stadio estetico conduce ben presto alla noia, cioè all’indifferenza nei
confronti di tutto, perché l’esteta, non impegnandosi mai, non vuole profondamente e sentitamente
nulla. In effetti, la noia è uno stato esistenziale che sorge quando una persona è affettivamente o
progettualmente demotivata. L’esteta non ha entusiasmi e non si interessa a nulla: proprio per
questo, prima o poi, si annoia. Inoltre l’esteta, se si ferma, cioè se smette di ricercare il piacere e
riflette lucidamente su se stesso, è assalito dalla disperazione.

La disperazione ►La disperazione dell’esteta non è la disperazione per una cosa che viene a
mancare, dato che egli non è legato a nulla. L’esteta è disperato per se stesso. Poiché egli non ha
accettato di fare delle scelte e non si è impegnato in un programma di vita, non si è costruito una
personalità. Il suo io è inconsistente e la sua esistenza risulta vuota e priva di senso. Chi vive
esteticamente - osserva Kierkegaard - è disperato, che lo sappia o no.

5. La vita etica
Il giudice Wilhelm ► Dalla disperazione l’uomo può cercare di uscire scegliendo liberamente un
diverso tipo di esistenza, la vita etica, descritta in Aut-aut nelle carte di B. Lo stadio etico4 è
esemplificato da un solo personaggio, il giudice Wilhelm, che incarna la figura del marito, cioè
dell’uomo che ha scelto una sola donna e che ha accettato i doveri del matrimonio. L’uomo etico
decide di vivere conformemente a ideali morali, cercando di assumersi delle responsabilità. Svolge
un ruolo all’interno delle istituzioni sociali e accetta gli obblighi che ne derivano.

Lo scacco Ma anche la vita etica può concludersi con un fallimento. Infatti, l’eticità è spesso

caratterizzata dal convenzionalismo e dal conformismo.
Se l’uomo che ha scelto la vita estetica è sempre assetato di novità e di originalità, l’uomo che
assume un atteggiamento etico, invece, può finire nella banalità di un’esistenza troppo metodica e
troppo preordinata in ogni suo evento. In tal caso, l’eticità si trasforma in semplice legalità, cioè in
una forma di asservimento a una norma esterna e nell’accettazione di una consuetudine
convenzionale che non riesce a esprimere l’interiore forza dello spirito umano. Così, anche un uomo
votato al dovere si può stancare di essere ligio e coscienzioso. In effetti, molte persone, raggiunta
l’età matura, manifestano una reazione di stanchezza e magari ricadono nella vita estetica.
Vi è certo un’altra forma di sviluppo della vita etica: essa consiste nel vivere la moralità non come
adesione esteriore alla norma, ma come ricerca della perfezione interiore. Tuttavia, secondo
Kierkegaard, anche questa strada conduce a uno scacco. Infatti, per quanto l’uomo si impegni allo

4 Per Kierkegaard lo stadio etico è esemplificato dal personaggio del giudice Wilhelm, che incarna la figura del marito,
cioè dell’uomo che sceglie una sola donna e così accetta i doveri del matrimonio. L’uomo etico decide di vivere
conformemente a ideali morali, cercando di assumersi delle responsabilità sociali e politiche.
scopo di raggiungere la perfezione morale, egli si rende conto che non vi riuscirà mai, a causa della
sua debolezza e del suo peccato.

Il pentimento L’unica via per riscattarsi dal peccato è il pentimento, cioè il riconoscimento

della propria miseria, della propria impotenza e l’abbandono fiducioso a Dio come possibile fonte
di salvezza. Dio, infatti, è in grado di cancellare i nostri peccati e di redimerci. Così il pentimento ci
prepara per il salto dallo stadio etico a quello religioso.

6. La vita religiosa
L'eroe religioso ► Lo stadio religioso5 è descritto da Kierkegaard in Timore e tremore. Anche fra
lo stadio etico e lo stadio religioso c’è un salto qualitativo, un aut-aut, come fra lo stadio estetico e
quello etico. Infatti, secondo Kierkegaard, nello stadio religioso l’uomo può ricevere da Dio un
comandamento contrario alle leggi dell’etica. L’emblema dello stadio religioso è il personaggio
biblico di Abramo, il padre dei credenti, primo patriarca del popolo ebraico. Abramo è l’eroe
religioso che riceve da Dio l’ordine di uccidere in sacrificio suo figlio Isacco, per mettere alla prova
la sua fede. Abramo è pronto a questo estremo sacrificio, andando contro tutte le regole dell’etica, e
proprio per questo viene salvato. Infatti, all’ultimo momento, interviene l’angelo del Signore e
ferma la sua mano che sta per immolare Isacco.

La sospensione teleologica dell’etica ► Nella sfera religiosa c’è dunque quella che Kierkegaard
chiama una sospensione teleologica dell’etica. L’azione di Abramo trasgredisce l’ordine etico per
conseguire un fine (in greco telos) più elevato rispetto a esso. La religione si presenta per
Kierkegaard come alternativa all’etica. Questa concezione va contro le tesi di Tommaso d’Aquino,
secondo il quale i dieci comandamenti appartengono a una legge naturale, da cui neppure Dio può
dispensarci. Ma Dio può fare un’eccezione alla legge che vieta di uccidere e così ha appunto fatto
quando ha ordinato ad Abramo di sacrificare Isacco.
Tuttavia, se un individuo sente un appello a violare la legge morale, come può sapere se ciò
costituisce una tentazione oppure se si tratta di un autentico comandamento di Dio? Nessuno può
dirlo, afferma Kierkegaard: Abramo deve prendere una decisione alla cieca, attraverso il salto nella
fede. La decisione, qualunque sia, comporta un rischio e determina uno stato d’angoscia per le
conseguenze che possono derivare dalla scelta.
Kierkegaard precisa anche che nella sfera religiosa l’etica è superata, ma non abolita. Infatti, Dio
ripristina anche per Abramo l’ordine di non uccidere. Tuttavia, tale ordine dev’essere rispettato non
per conformità a una legge razionale universale, ma per ubbidienza a un comandamento singolare
divino. E, nel rapporto con Dio, il caso di una prescrizione eccezionale e scandalosa resta comunque
sempre possibile.

Gli stadi dell’esistenza

STADI DELL’ESISTENZA PERSONAGGI EMBLEMATICI CARATTERISTICHE

Stadio estetico Il seduttore (Don Giovanni) Si lascia guidare solo dai valori estetici

Stadio etico Il marito (il giudice Wilhelm) Si lascia guidare dai valori etici

Stadio religioso L’eroe religioso (Abramo) Per ordine di Dio, può violare anche la
legge morale

5 Il terzo stadio è quello della fede, in cui si realizza un rapporto personale con Dio. Secondo Kierkegaard, solo così
l’individuo si realizza come singolo perché si pone al di sopra delle norme generali. Infatti, Dio può prescrivere all’eroe
religioso, incarnato da Abramo, un comandamento che vale solo per lui.
7. L’angoscia
L’esistenza come possibilità In Aut-aut e in Timore e tremore Kierkegaard personifica in

alcune figure, cioè in immagini, le tre forme fondamentali di vita tra le quali ogni uomo è chiamato
a scegliere e cioè la vita estetica, quella etica e quella religiosa. Per caratterizzare filosoficamente i
vari tipi di vita, Kierkegaard sente il bisogno di ricorrere a degli esempi come Don Giovanni, il
giudice Wilhelm e Abramo: egli desidera che il lettore osservi il mondo dal punto di vista dei vari
personaggi e possa così farsi un’idea personale e vivida riguardo ai diversi approcci nei confronti
dell’esistenza. Leggere queste opere di Kierkegaard è come leggere dei romanzi, poiché egli
racconta spesso delle storie per illustrare in modo immaginifico le proprie teorie filosofiche.
Nelle opere successive, quali Il concetto dell'angoscia (1844) e La malattia mortale (1849),
Kierkegaard fa uso di vere e proprie categorie filosofiche. Una di queste è la categoria
dell’esistenza, che è l’opposto dell’essenza hegeliana o concetto universale. L’esistenza, infatti,
come afferma l’etimologia latina della parola (da ex = “fuori” e sistere = “stare”), “sta fuori” dal
concetto.
Ciò che caratterizza l’esistenza è la possibilità ossia l’opposto di ciò che caratterizza l’essenza, cioè
la necessità. L’uomo vive di possibilità perché è libero e proiettato costantemente nel futuro (la
possibilità è appunto la dimensione del futuro). Kierkegaard mette, però, in luce gli aspetti negativi
e distruttivi di questa situazione che contraddistingue la nostra esistenza. Infatti, le possibilità
future soltanto per una pia illusione si prospettano come favorevoli, felici o vittoriose. In realtà, esse
nascondono sempre l’alternativa dell'insuccesso, dello scacco e della morte. Una possibilità
favorevole non ha maggiore sicurezza della possibilità più disastrosa e orribile.

L’angoscia ►L’angoscia6 è appunto il sentimento del possibile, cioè della minaccia che grava
sull’uomo. È il senso di ciò che può accadere e che può essere più terribile di ciò che è reale. In
Timore e tremore Kierkegaard distingue l’angoscia dalla paura. Mentre la paura si riferisce a
qualcosa di determinato e cessa quando cessa il pericolo, l’angoscia non si riferisce a nulla di
preciso e accompagna costantemente la nostra esistenza, in quanto quest’ultima è un divenire verso
l’ignoto.
Secondo Kierkegaard, l’angoscia per l’indeterminatezza del futuro è già presente in Adamo prima
che egli riceva da Dio il divieto di mangiare i frutti dell’albero del Bene e del Male. Quando Dio
gli impone questo divieto, Adamo acquista la coscienza delle possibilità che gli si aprono davanti e
cioè diviene consapevole di poter peccare, infrangendo il comandamento di Dio; quindi la sua
angoscia aumenta. Contemporaneamente, Adamo acquista la capacità di scegliere, e così diventa
libero e può riconoscersi come individuo.

8. La disperazione e la fede
La disperazione ► Secondo Kierkegaard, l’angoscia riguarda il rapporto dell’uomo con la realtà.
Invece la disperazione7, da lui descritta in La malattia mortale, riguarda il rapporto dell’uomo con
se stesso. La disperazione di cui parla Kierkegaard non è lo stato d'animo che una persona può
provare quando perde un bene da lei ritenuto irrinunciabile. A suo giudizio, la vera disperazione
consiste nell’impossibilità, per un individuo, di convivere in modo armonico con il proprio io.
Se l’angoscia è determinata dalla coscienza che tutto è possibile, la disperazione nasce
dall'impossibilità di essere se stesso, come di non essere se stesso. Infatti, se l’uomo decide di

6 L’angoscia è quello stato d’animo di ansia per cui noi ci sentiamo interiormente stretti da una forza ignota. Per
Kierkegaard essa riguarda i rapporti dell’uomo con il mondo. A differenza della paura, infatti, l’angoscia è il sentimento
del possibile che nasce nell’uomo di fronte alle possibilità indeterminate del futuro.
7 La disperazione riguarda il rapporto di ogni uomo con se stesso e nasce dunque dall’impossibilità di convivere in
modo armonico con il proprio io. Se l’uomo vuole essere se stesso, infatti, non raggiunge mai l’equilibrio perché non è
autosufficiente. Se, invece, desidera cambiarsi, urta ugualmente contro i propri limiti.
accettarsi per ciò che è, senza proporre di migliorarsi, si imbatte subito nei propri limiti, cioè si
trova insufficiente. Se invece decide di migliorarsi, scopre di non poter cambiare se stesso. Ne
consegue, in entrambi i casi, la disperazione che è definita malattia mortale non perché conduca
alla morte fisica, ma perché essa fa sperimentare la morte spirituale.

La fede e il peccato ► L’angoscia e la disperazione possono essere superate solo dalla fede, cioè
se l’uomo si rimette con la preghiera alla volontà di Dio. La fede, secondo Kierkegaard, libera
innanzitutto dall’angoscia: infatti, il credente non ha più l’angoscia del possibile perché sa che il
possibile è nelle mani di Dio e quindi si rassicura. Ma la fede libera anche dalla disperazione,
perché Dio, al quale tutto è possibile, può riscattare l’individuo dai propri limiti, può aiutarlo a
realizzarsi e può così liberarlo dalla disperazione riguardo a se stesso. L’opposto della fede è il
peccato, che consiste nell’illuderci della nostra autosufficienza, nel non riconoscere la nostra
dipendenza da Dio e nel pensare di poter fare a meno di Dio. Questa pretesa conduce alla
disperazione, perché l’uomo, secondo Kierkegaard, non può realizzarsi da solo, con le sue sole
forze.

L’irrazionalismo ► La fede, tuttavia, sempre a giudizio del filosofo danese, è assurdità e


scandalo. L’ingresso nella fede implica - come si è visto - un “salto” privo di ogni motivazione o
giustificazione razionale. Inoltre, il cristianesimo chiede ai fedeli di accettare un paradosso: di
credere che l’Infinito si sia fatto finito, che Dio si sia fatto uomo e sia morto in croce per gli uomini.
La fede crede nonostante tutto e assume tutti i rischi. Così, per esempio, ha fatto Abramo, il quale
ha creduto che potesse essergli restituita per miracolo la vita di suo figlio, alla quale egli rinunciava.
Il pensiero di Kierkegaard rappresenta, quindi, la rivincita della religione contro la filosofia, della
fides contro la ratio. Quello di Kierkegaard è un fideismo radicale, che accetta l’esistenza di Dio
come persona senza alcun puntello della ragione, poiché, secondo il filosofo danese, Dio non è
un’idea che si può dimostrare, ma un Essere in rapporto al quale si vive.
Dunque, al termine della sua analisi, Kierkegaard arriva alla conclusione che le caratteristiche
fondamentali dell’esistenza umana sono tre:
1) l’angoscia, che domina il rapporto fra l’uomo e il mondo;
2) la disperazione, che domina il rapporto dell’uomo con se stesso;
3) il paradosso, che domina il rapporto dell’uomo con Dio.

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