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Genere e identità:

la fotografia di Claude Cahun

Federica D’Amico, Caterina Martino*

Davanti all’obbiettivo, io sono contemporaneamente:


quello che io credo di essere,
quello che vorrei si creda io sia,
quello che il fotografo crede io sia,
e quello di cui egli si serve per far mostra della sua arte.
Roland BaRthes

Artista, lesbica, attivista politica ed ebrea. Claude Cahun era tutto quello
che non poteva essere in un’epoca in cui ancora l’arte vedeva il primato
maschile tra i suoi esponenti, la libertà sessuale era repressa dalla morale
sociale, l’attivismo politico era resistenza contro un regime totalitario e il
nazismo iniziava la sua politica antisemita. Vera e propria outsider, Cahun
è un’artista a tutto tondo – scrittrice, fotografa, attrice di teatro, critica
letteraria – che ha anticipato con i propri lavori una rappresentazione di
genere che si svilupperà solo nei decenni ’60 e ’70. La scelta di militare
politicamente nella sinistra e culturalmente nel Surrealismo come luoghi
in cui resisteva la libertà d’espressione non fu semplice. Basti pensare che,
seppur fosse una valida alternativa alla rigida e repressiva morale di quegli
anni, il Surrealismo mostrava comunque dei preconcetti.
Claude Cahun è lo pseudonimo di Lucy Renée Mathilde Schwob. Il co-

*
Lo studio e il lavoro di scrittura di Caterina Martino per il presente saggio sono pensati e
realizzati nell’ambito di una ricerca coinanziata con il sostegno della Commissione Europea,
Fondo Sociale Europeo e della Regione Calabria.

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gnome è un tentativo di riappropriarsi delle proprie origini: infatti, Cahun


oltre ad essere il cognome della nonna paterna è anche la versione francese
dell’ebreo Cohen. Il nome Claude, invece, dichiara l’appartenenza a un Terzo
Genere1 sessuale perché è un nome di valenza neutra usato in francese sia
al femminile che al maschile.
L’opera esaminata in queste pagine, Frontière humaine, è l’unico auto-
ritratto edito dell’artista, pubblicato nell’aprile 1930 sulla rivista surrealista
Bifur. La scelta ricade su di essa non solo perché fu l’unica fotograia che
l’artista offrì alla pubblicità ma soprattutto perché si tratta di un esempio
emblematico rispetto alla sua ricerca estetica. Già il titolo è esplicativo: il
dominio entro cui ci si muove è quello dell’identità umana e dei suoi conini
biologici e sociali. Scopo dell’arte, secondo la fotografa, è individuare i
limiti della natura umana per metterli a nudo, manipolarli e renderli mobili.
Così la categoria dell’antropico è decostruita e risemantizzata. La fotograia
destabilizza la percezione e l’interpretazione dell’osservatore non consen-
tendogli di individuare facilmente le “frontiere umane” che un autoritratto
classico avrebbe rappresentato chiaramente.
Frontière humaine è una versione distorta di una foto del 1928-29. Cahun
è ritratta in mezzo primo piano, la testa è piegata di lato e gli occhi osserva-
no fuori campo verso il basso, mentre nella maggior parte delle sue foto lo
sguardo è dritto nell’obiettivo, l’occhio esterno e giudicatore della macchina
fotograica. Questo particolare la rende un unicum tra sue le opere. La scelta
di non dirigere lo sguardo verso l’osservatore è voluta poiché la direzione
verso il basso non signiica più una sida interpretativa lanciata a chi guarda,
ma indica una constatazione dell’impossibilità di deinire i conini umani.
Lo sguardo non è più provocatorio ma intimo e autorilessivo.
Cahun indossa una maglia nera che lascia scoperte le spalle e appiattisce
il torace. Questo nero si associa all’oscurità dello sfondo creando un forte
contrasto con il biancore della pelle nuda. L’unica rotondità visibile è il
cranio rasato con una lieve ricrescita dei capelli. Nella particolarità della
testa e dei colori si può leggere un rimando al Nosferatu (1922) del contem-
poraneo Murnau e alla concezione antisemita dell’ebreo come vampiro2. La
datazione dell’autoritratto è di poco antecedente ai fatti della Shoah ma a
occhi attuali potrebbe ricordare anche le immagini degli ebrei viste duran-

1
Termine coniato da Havelock Ellis nel 1929 in La Femme dans la Société, vol. 1, tradotto
in francese da Cahun.
2
Cfr. L. Thynne, Indirect Action: Politics and the Subversion of Identity in Claude Cahun
and Marcel Moore’s Resistance to the Occupation of Jersey, in “Papers of Surrealism”, n. 8
(2010), p. 14.

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te l’Olocausto: Cahun compie un


inconsapevole e sorprendente salto
avanti nel tempo. A ben guardare,
però, l’immagine ricorda anche
il viso e l’espressione di Renée
Falconetti in alcune scene del ilm
La passione di Giovanna d’Arco
(1928), più contemporaneo di
Murnau e con protagonista una
donna che rimane coerente a se
stessa ino alla morte nonostante la
dura condanna che le si impone. Ci
sarebbe tra le due una comunanza
nell’aspetto e nella condizione di
blasfemia che la società riconosce
in loro.
L’uso della simbologia corporea
è ambiguo. Elementi propri di en-
trambe le sfere sessuali convivono
nella stessa immagine creando
enigmaticità. Il cranio calvo, in
particolare, è riconducibile ad en-
trambi i generi. Da ciò deriva un’ambiguità che solleva la questione della
distinzione tra sesso e gender. Inoltre, esso rimanda al cranio rasato di un
ebreo, da cui la possibile interpretazione politica dell’opera. Potrebbe ap-
partenere anche a un bambino o a un anziano dando luogo a un’ambiguità
temporale. Inine, non è escludibile il rimando all’immagine del paziente
psichiatrico, del resto Cahun visse ai tempi del Salpêtrière. Questo primo
elemento, con tutte le sue possibili letture di cui l’una non esclude l’altra,
sottolinea come le “frontiere umane” dificilmente trovino un asse culturale
o temporale attraverso cui deinirsi una volta per tutte3.
La particolare forma allungata del cranio, inoltre, fa sì che la igura sembri
avere tratti non umani. L’immagine appositamente distorta suscita una sen-
sazione inquietante ed evidenzia l’enorme vulnerabilità e fragilità che può
avere una testa a forma di uovo. Essa non è solo vista, ma può essere quasi
toccata4 (è questa la sensazione che si ha guardandola). La bidimensionalità

3
Cfr. K. Conley, Claude Cahun’s Iconic Heads: from ‘The Sadistic Judith’ to Human
Frontier, in “Papers of Surrealism”, n. 2 (2004), p. 6.
4
Cfr. ivi, pp. 6-7.

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dell’immagine è generata dall’appiattimento della igura sullo sfondo, mentre


tutta la sua tridimensionalità è concentrata sul collo e sulla testa5.
Questa alterazione della normale forma corporea è stata inserita con lo
scopo di fuorviare ulteriormente chi guarda la foto. Non solo disturbare la
rappresentazione dell’identità di genere, ma anche confonderne l’umanità:
una igura informe che pare galleggiare al centro della foto senza avere
alcun legame diretto o naturale con un corpo umano6. Non vi è il tentati-
vo di staccare la testa dal resto dal corpo, ma la testa è già corpo e il suo
galleggiare nel buio fa sentire il peso della initezza dell’esistenza umana7.
Questo autoritratto mette in crisi l’idea di Benjamin per cui il ritratto è ciò
che continua a conservare l’aura perché mantiene i tratti dell’umanità, vale a
dire la presenza del volto8. Si può dire con sicurezza che si tratti di un volto
umano? La distorsione della testa probabilmente mira anche a sottolineare
la capacità di questa parte del corpo nel superare i conini della ragione e
della realtà oltrepassando le imposizioni e le regole, e facendo riconoscere
se stessi meno familiari e più contingenti di quanto si possa pensare di es-
sere9. Protagonista della foto è un’identità mobile e abietta che scatena le
paure della società e sida chi guarda a riconoscerne i tratti convenzionali,
le etichette e gli stereotipi sociali che è abituato a vedere.
Frontière humaine dunque mette in crisi il concetto di identità su molte-
plici piani. Chi o cosa è allora il soggetto di questo autoritratto? E a quale
condizione possiamo deinirlo un autoritratto? Un’ulteriore possibile lettura
dell’opera, quella psicoanalitica, fornisce alcune risposte a tali interrogativi
oltre che chiarimenti rispetto alle scelte estetiche dell’artista ed alla sua
predilezione per l’autoritratto.
Il rapporto di Cahun con la psicoanalisi fu indiretto e non ricercato, a
differanza di molti artisti surrealisti che conobbero Freud, ne furono pazienti
o semplicemente ne assunsero le teorie come modello ispiratore. Fece la
sua prima esperienza con questo mondo quando la madre, Marie-Antoinette

5
Questo autoritratto «is a particularly good example of this phenomenon since its associa-
tion with portraiture identiies it as iconic and two-dimensional, while the form of the portrait
as a bust together with its particular three-dimensional quality of touchability retains the clear
imprint of indexicality», ivi, p. 7.
6
Cfr. ivi, p. 10.
7
Cfr. ivi, p. 16.
8
Cfr. W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, tr. it.,
Einaudi, Torino 2000, p. 28.
9
Cfr. K. Conley, Claude Cahun’s Iconic Heads: from ‘The Sadistic Judith’ to Human
Frontier, cit., pp. 16-17.

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Courbelaise, fu internata perché diagnosticata schizofrenica. È indubbio


però che l’artista conoscesse le teorie freudiane e che fosse inluenzata da
esse, seppur indirettamente.
L’ascendente della psicoanalisi sulla sua arte è riscontrabile, ad esempio,
nella concezione della macchina fotograica più volte espressa nei suoi
scritti. Essa è intesa come lo strumento capace portare in scena l’incon-
scio. L’obiettivo, infatti, offre allo sguardo dell’altro l’identità spogliata
degli attributi culturali, dunque porta in scena l’Inconscio a discapito del
Super-Io, à la Freud. Questa mise en abîme della psiche è possibile poiché
la macchina fotograica fa del soggetto fotografato anche il suo oggetto.
Essa realizza uno scavo psicologico a cavallo tra due domini, quello del
reale fotografato e quello della pratica fotograica, divenendo così anche
strumento dell’autorilessività. Cahun, infatti, usa la fotograia ed in parti-
colare l’autoritratto, per ritornare continuamente su se stessa costruendosi,
decostruendosi e reinventandosi.
L’immagine di sé che vuole restituire è a suo modo il risultato di un
processo di sublimazione rispetto ad un’identità vero similare, quella che
avrebbe voluto essere ma che per cause genetiche o culturali, le “frontiere
umane” di cui sopra, non può essere. Tale sublimazione deriva dall’idea-
lizzazione di un modello reale o di un’immagine di sé resa oggetto conti-
nuativamente e quasi ossessivamente della produzione artistica dell’artista.
L’immagine in questione, ricorrente in tutti gli autoritratti di Cahun, è quella
di un Terzo Genere sessuale ed identitario. Qui il corpo diventa veicolo di
nuovi signiicati e portatore di tracce dello scavo psicologico necessario per
restituire un’identità in cui maschile e femminile convivono.
La studiosa freudiana Janine Chasseguet-Smirgel, a proposito dei mecca-
nismi psichici che sottendono l’atto creativo, notò che alla base si riscontra
spesso un disturbo del processo di sublimazione derivante «[…] dal falli-
mento del tentativo di sintetizzare le diverse identiicazioni infantili in una
personalità unitaria e integrata […]»10. Si spiega così perché l’artista, tra
la scelta di rappresentarsi come donna o come uomo, in mancanza di una
sintesi adeguata per le “frontiere umane” scelse la terza via, quella non data
ma possibile solo attraverso la mobilità delle regole dell’estetica.
Un paragone ricorrente in numerosi scritti dell’artista, quello tra l’obiet-
tivo fotograico e lo specchio11, spiega molto bene perché prediligesse l’au-

10
.J. Chasseguet-Smirgel, Creatività e perversione, tr. it., Raffaello Cortina, Milano 1987,
p. 108.
11
È inevitabile un rimando a Lacan e al suo seminario del 1949 Lo stadio dello specchio
come formatore della funzione dell’Io.

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toritratto fotograico per compiere la propria ricerca estetica. Lo specchio


è il mezzo attraverso cui Narciso è Narciso, poiché attraverso la supericie
dello specchio d’acqua egli scorge la propria immagine, quella di cui si
innamora e che ne provocherà la morte. Lo specchio offre continuità allo
sguardo dal reale all’immaginario restituendo non un’immagine speculare
ma una nuova. L’obiettivo fotograico funziona allo stesso modo per Cahun.
Esso è specchio perché si comporta come un occhio ittizio prolungamen-
to di quello reale, ma è soprattutto il luogo attraverso cui l’oggetto dello
sguardo si tramuta in qualcos’altro. L’obiettivo opera una metamorfosi e una
distorsione poiché la fotograia documenta la realtà nel suo divenire altro
da sé12. Ciò dimostra quindi che è questa l’arte che più delle altre è in grado
di realizzare un acting-out dell’inconscio, poiché cattura ed immobilizza
qualcosa investendolo di nuovi signiicati.
Fotografarsi, quindi, è come rilettersi in uno specchio e riproporsi in
forma rovesciata perché è in questo modo che l’immagine viene impressa
attraverso l’uso dello strumento fotograico. Quale migliore veicolo, allora,
può essere adoperato per riconigurare e riscrivere l’identità di genere mo-
strando che quello che si sa non è sempre ciò che effettivamente è? Cahun,
in questa foto, si ribella e sovverte le precostituite convenzioni sociali
che impongono una rigidità delle identità sessuali. Mette in scena l’irrap-
presentabile con lo scopo di sminuire il potere di controllare e catalogare
attraverso lo sguardo13. La stessa omosessualità è per Cahun una categoria
di identità immobilizzante, mentre lei non intende essere catalogabile, «la
fotograia le fornisce l’alibi della trasformazione e al contempo la garanzia
della presenza»14. È un errore ridurre la igura di questa artista ai conini
della categoria omosessuale perché lei stessa riiuta le etichette, qualsiasi
esse siano; così come è un errore pensare che il suo essere lesbica non abbia
inluenzato la sua arte perché l’omosessualità è il signiicante privilegiato per
l’erosione della stabile identità15 e serve a rimarcare il concetto per cui non
esistono conini ben stabiliti. Per Cahun genere e identità sono distinti, l’uno
non determina l’altro, ma sconinano in uno spazio ambiguo e libero.
Questo spazio di possibilità in cui costruire l’identità è anche uno spazio
narrativo. Frontiére humaine, infatti, può essere considerato come un fram-

12
Cfr. C. Carpanini, Vedermi alla terza persona, Quinlan, Bologna 2007, p. 53.
13
Cfr. L. Thynne, Indirect Action: Politics and the Subversion of Identity in Claude Cahun
and Marcel Moore’s Resistance to the Occupation of Jersey, cit., p. 14.
14
F. Muzzarelli, Il corpo e l’azione. Donne e fotograia tra otto e novecento, Atlante,
Bologna 2007, p. 189.
15
Cfr. C.J. Dean, Claude Cahun’s Double, in “Yale French Studies”, n. 90 (1996), p. 74.

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Genere e identità: la fotografia di Claude Cahun

mento nella serie completa dei suoi autoritratti che insieme costituiscono
una vera e propria autobiograia per immagini, il racconto delle sue perso-
nali trasformazioni. Nelle sue fotograie Cahun reinventa continuamente
se stessa attraverso strategie performative: il travestimento, l’inversione
di signiicato, il paradosso, la metamorfosi, il trucco, il mascheramento, la
posa, citazioni mitologiche, teatrali e scenograiche.
Il travestitismo è funzionale al nomadismo identitario, leit motiv della sua
ricerca estetica, poiché «[…] cambiare sesso nelle arti plastiche contempo-
ranee diviene un altro modo di dire che l’uomo e la donna non esistono. Essi
sono un insieme di ruoli, di stereotipi»16. Le trasmutazioni corporee sono
segno di trasmutazioni identitarie. Esse creano un effetto ottico visionario
e la fotograia deve immortalare un evento o uno stato in cui si manifesta
un’identità, al contrario, metamorica17.
La riprova di ciò è il citazionismo di cui la fotografa si serve: vampira,
femme fatale, ginnasta, uomo, indossatrice, angelo, zingara, identità prese
in prestito da contesti disparati. Le molteplici identità si sovrappongono
e aderiscono sul corpo come maschere. Cahun si ritrae soprattutto in un
«androgino polimorismo»18 perché le piace divertirsi a confondere su
quell’ambiguità con cui il suo stesso aspetto mascolino le concede di
giocare. E quando sceglie invece di rappresentarsi in veste femminile
utilizza sempre modi esagerati ed eccessivi. Alcuni tratti della personalità
sono portati all’estremo e questa molteplice enfatizzazione si traduce nella
frammentarietà dell’identità. Allo stesso tempo l’uso delle maschere è un
modo per nascondere se stessa occultando la propria identità. Da un lato,
quindi, l’abito maschera il corpo, le sue forme e chiaramente tutto ciò che
ne indicherebbe il genere sessuale. Dall’altro esso consente al soggetto di
riguadagnare una libertà negata.
L’autoritratto è una forma di personiicazione19 con cui l’artista può darsi
in modo diretto a chi lo guarda, può aprire la propria identità e mettere in
scena il corpo. In Frontière humaine, il corpo è immobilizzato in una posa,

16
D. Watteau, Changer de sexe : les nouveaux jeux de l’art contemporaine, in “Savoirs et
clinique”, n. 2 (2003), p. 92.
17
Cfr. D. Knafo, Claude Cahun: The Third Sex, in “Studies in Gender and Sexuality”, n.
1 (2001), p. 45.
18
F. Naldi, I’ll be your mirror: travestimenti fotograici, cit., p. 25.
19
L’autoritratto fotograico è un processo dinamico di formazione del soggetto: «a screen
across and through which complex processes of identiication and projection take place in an
ongoing dynamic of subject formation or subjectiication», A. Jones, The “Eternal Return”: Self-
Portrait Photography as a Technology of Embodiment in “Signs”, Vol. 27, n. 4 (2002), p. 958.

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la macchina fotograica lo cattura e lo offre in uno speciico senso. La posa


congela il corpo, la macchina fotograica congela la posa: rimane la so-
spensione del movimento e la morte del soggetto (lo insegna Barthes). Lo
strumento fotograico dà luogo a una traccia isica di un momento reale pas-
sato e lo rende tangibile. Inoltre, la fotograia in quanto moderna tecnologia
mobile aderisce bene alla mobilità del soggetto che immortala. L’instabilità
dell’identità è rappresentata attraverso la sua reiterazione che non restituisce
la verità dell’identità, ma solo alcuni dei suoi aspetti20. Trasmutato in iden-
tità alterne e inserito in un contesto estraniante, il corpo realizza molteplici
trasformazioni e igure. Tuttavia è sempre, come in questo caso, un corpo
immaginario che permette di essere chiunque si voglia e di comunicarlo
con la fotograia che per Cahun «è servita come occasione d’esibizionismo
narcisista, di voyeurismo feticista, di travestimento identitario, di ricerca
e testimonianza della propria ambiguità sessuale, di frantumazione e rico-
struzione immaginiica del reale»21.
Due elementi distinti interagiscono e coesistono inevitabilmente. La foto-
graia ha una funzione mortifera e immobilizza il corpo, mentre l’autoritratto
è performativo e dà vita a ciò che viene rappresentato22. La fotograia, nella
sua indessicalità, si presenta come riproduzione, registrazione e testimo-
nianza di qualcosa che è realmente esistito (ancora Barthes). Ciò che però
essa documenta è un’immagine illusoria23, uno spazio simulato, artiiciale
e irreale. Il risultato è la cattura di un momento reale magistralmente e
artiiciosamente costruito per mostrarsi nella sua inzione e ulteriormente
manipolato a tale scopo24. L’associazione tra la funzione documentaria dello
strumento fotograico e la manipolazione disturbante della foto enfatizzano
la doppiezza e l’ambiguità del soggetto rappresentato. Nell’autoritratto il
raddoppiamento è determinato anche in un altro senso. Infatti, la distinzione
barthesiana tra sprectrum e operator25 viene meno: le due igure diventa-

20
Cfr., ivi, p. 950.
21
F. Muzzarelli, Il corpo e l’azione. Donne e fotograia tra otto e novecento, cit., p. 6.
22
Cfr A. Jones, The “Eternal Return”: Self-Portrait Photography as a Technology of
Embodiment, cit., p. 949.
23
Sono «opposti che interagiscono […] Se consideriamo l’immagine fotograica come una
traccia del reale, qualcosa che effettivamente è stato, possiamo allora affermare che il prodotto
cui rivolgiamo la nostra attenzione parte comunque da un’esperienza reale, nonostante quella
stessa immagine lasci trapelare il presupposto dell’illusione», F. Naldi, I’ll be your mirror:
travestimenti fotograici, Cooper Castelvecchi, Roma 2003, p. 10.
24
Il «mezzo fotografico […] realizza il luogo della finzione come prova tangibile
dell’accaduto», ivi, p. 23.
25
Cfr. R. Barthes, La camera chiara. Nota sulla fotograia, tr. it., Einaudi, Torino 2003.

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Genere e identità: la fotografia di Claude Cahun

no un tutt’uno perché l’autore della foto è contemporaneamente soggetto


realizzatore e oggetto catturato e rappresentato. Cahun è allo stesso tempo
artiicio e arteice.
Chi o cosa rappresenta quindi Frontièrs humaine? È l’immagine di un
corpo “violato” poiché accoglie i segni di entrambi i generi sessuali; è
l’immagine di un’identità polimorfe, continuamente costruita e ricostruita; è
tutto questo e tutto ciò che ancora il grande pubblico non conosce di questa
controversa artista del secolo scorso.

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