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Effetti diretti dell’intervento pubblico sono quelli che si potrebbero prevedere se gli
individui non cambiassero il proprio comportamento in risposta a tale intervento (se
il governo statunitense decidesse di affrontare il problema dei non assicurati
fornendo assistenza sanitaria pubblica gratuita, il costo dell’intervento sarebbe di 125
miliardi di dollari l’anno, in quanto 50 milioni di persone non godono di assicurazione
sanitaria e il costo medio si aggira intorno a 2500 dollari);
Effetti indiretti dell’intervento pubblico sorgono solo quando gli individui cambiano
il loro comportamento in risposta a tale intervento (fornendo assistenza sanitaria
gratuita, lo Stato incentiva coloro che pagano a non rinnovare quell’assicurazione e
ad accedere al programma pubblico di assistenza sanitaria).
LE ENTRATE PUBBLICHE
Tasse: corrispettivi di alcuni servizi erogati dallo Stato che sono
specificatamente richiesti dai cittadini (principio del beneficio).
Es. tasse universitarie, tassa che si paga limitatamente a quando ci si
iscrive ad una università pubblica (servizio specifico da cui si trae un
vantaggio-beneficio). Molto spesso succede che il servizio richiesto
determina un beneficio privato, ma nella maggior parte dei casi a questo si
accompagna anche un beneficio sociale (beneficio dell’educazione
personale e beneficio sociale di una cittadinanza più colta). In ogni caso la
tassa coprirà soltanto una parte del costo del servizio offerto, riconoscendo
anche il beneficio dato della collettività;
Imposte: prelievi coattivi di denaro senza vincoli di destinazione (principio
della capacità contributiva).
In quanto ogni cittadino è chiamato a partecipare al finanziamento della
spesa pubblica in ragione della sua capacità contributiva (art.53). Idea che
lo Stato metta a nostra disposizione (indipendentemente dalla richiesta
individuale), chiamandoci a contribuire in base alle nostre disponibilità (es.
illuminazione nazionale, difesa pubblica…);
Contributi sociali: prelievi commisurati al reddito dei lavoratori dipendenti
e autonomi finalizzati al finanziamento delle prestazioni sociali (es.
pensioni).
Per evitare che vengano intraprese politiche fiscali non responsabili, che si
traducono in deficit pubblici elevati, i paesi possono decidere di darsi delle
regole fiscali.
L’importanza delle regole fiscali è ancora maggiore quando un paese fa parte
di un’unione monetaria, con politiche fiscali gestite a livello nazionale. Infatti, in
questo caso, il significativo eccesso di spese pubbliche sulle entrate all’interno
di un paese potrebbero danneggiare indirettamente anche gli altri paesi
membri.
Il Trattato di Maastricht del 1992 ha stabilito che il deficit pubblico ogni anno
non debba superare il 3 per cento del PIL e che il debito pubblico non debba
eccedere il 60 per cento del PIL.
Queste regole sono state successivamente riviste (2012 fiscal compact e nel
2013 il Two-Pack). In particolare, si è stabilito che i paesi debbano porsi
obbiettivi di medio termine più ambiziosi, vale a dire, nel caso dell’Italia, una
situazione caratterizzata da un saldo strutturale – cioè la differenza tra le spese
e le entrate pubbliche corretta per l’effetto del ciclo economico (e delle misure
una tantum) – vicino al pareggio.
In tal modo, in caso di recessione, l’effetto negativo del ciclo economico rende
ammissibile un deficit pubblico che comunque non deve superare il tetto del 3
per cento. Inoltre, nel tentativo di attribuire maggiore importanza anche alla
regola sul debito pubblico, si è stabilito che ogni anno il rapporto debito/PIL
deve essere ridotto di 1/20 dell’eccedenza rispetto al 60 per cento,
ammettendo però, anche in questo caso, una certa flessibilità rispetto a questa
velocità di riduzione giudicata soddisfacente.