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Welfare State e redistribuzione: il ruolo di universalismo e selettività

Author(s): Michele Raitano


Source: Meridiana, No. 59/60, DISUGUAGLIANZE (2007), pp. 215-256
Published by: Viella SRL
Stable URL: https://www.jstor.org/stable/23206487
Accessed: 05-04-2020 10:22 UTC

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DISUGUAGLIANZE

Welfare State e redistribuzione:


il ruolo di universalismo e selettività

di Michele Raitano

1. Introduzione

È indiscutibile che il Welfare State, con la sua azione redistributiv


contribuisce a determinare l'effettiva disuguaglianza. Ciò è amp
mente riconosciuto sul piano teorico ma mancano studi empirici ri
rosi sulla relazione che lega il sistema di welfare - e i suoi specifici e
menti costitutivi - ai risultati distributivi, in termini di riduzione
povertà e disuguaglianza.
Diverse sono le cause di questa mancanza. In primo luogo, almeno
fino al decennio scorso, non erano disponibili micro-dati sulla dist
buzione dei redditi fra individui e famiglie idonei per effettuare rob
ste analisi comparative a livello internazionale. In secondo luogo, vi
sono enormi difficoltà a costruire validi indicatori sia del grado di r
duzione delle disuguaglianze sia, e soprattutto, dei sistemi di welfare
In effetti, il Welfare State è un'istituzione molto complessa e multi-
mensionale, che include molteplici voci di spesa ed è costituito da un
pluralità di elementi che spesso interagiscono tra loro (ad esempio,
regola di calcolo delle prestazioni, lo spazio lasciato all'offerta privat
il tipo di imposte scelto per finanziare la spesa). Catturare questi d
versi elementi con semplici indicatori, utilizzabili per le verifiche em
piriche, non è cosa semplice.
Un carattere specifico del welfare di cui bisognerebbe tenere con
in questo tipo di analisi è quello relativo al suo grado di selettività o
universalismo. Basta considerare, al riguardo, che l'opportunità
o

<τ·
estendere i trasferimenti selettivi, con l'obiettivo di ottenere risulta
migliori sotto il profilo sia dell'efficienza sia dell'equità, è al centro d
m

dibattiti sulla riforma dei tradizionali modelli di welfare'.

1 Cfr. Ν. Gilbert, Transformation of the Welfare State: the Silent Surrender of Publ
Responsibility, Oxford U.P., Oxford 2002; J. Pontusson, Inequality and Prosperity: Soci
Europe vs. Liberal America, Cornell U.P., Ithaca 2005. The New Politics of the Welfare S

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Disuguaglianze

Il principale elemento di distinzione dei due modelli risiede nel fat


to che i beneficiari dei trasferimenti attivati dello stato sociale sono
tutti gli individui, sulla base di un diritto di cittadinanza ed indipen
dentemente dalle loro condizioni di bisogno, nel modello universali
stico e soltanto coloro che si trovano in una situazione di necessità, di
solito accertata attraverso un test del reddito o dei mezzi (means test),
nel modello selettivo.
L'universalismo, che molti considerano una caratteristica distintiva
del modello scandinavo/socialdemocratico2, è apprezzato, soprattutto,
per la sua capacità di promuovere la coesione sociale, evitando che
l'accesso ai trasferimenti del welfare si trasformi in causa di segmenta
zione della popolazione. D'altro canto, coloro che privilegiano la se
lettività - alla quale viene solitamente assegnato un ruolo rilevante nei
modelli anglosassoni/liberali - spesso lo fanno sulla base della convin
zione che essa realizzi la target efficiency, cioè accresca l'efficacia della
politiche redistributive, indirizzando le risorse principalmente o uni
camente verso i più bisognosi3.

te, a cura di P. Pierson, Oxford U.P., Oxford 2001; G. Esping-Andersen, Social Foundations
of Postindustrial Economies, Oxford U.P., Oxford 1999; Why We Need a New Welfare Sta
te, a cura di G. Esping-Andersen, Oxford U.P., Oxford 2002; New Risks, New Welfare: the
Transformation of the European Welfare State, a cura di P. Taylor-Gooby, Oxford U.P.,
Oxford 2004.
2 Cfr. B. Rothstein, Just Institutions Matter: the Moral and Political Logic of the Uni
versal Welfare State, Cambridge U.P., Cambridge 1998; N. Kildal, S. Kuhnle, The Principle
of Universalism: Tracing a Key Idea in the Scandinavian Welfare Model, mimeo, 2002; G.
Esping-Andersen, The Three Worlds of Welfare Capitalism, Polity Press, Cambridge 1990.
Quest'ultimo, com'è ampiamente noto, ha individuato tre diversi «regimi» di Welfare State:
il socialdemocratico (solitamente associato ai Paesi scandinavi), nel quale prevalgono schemi
universalistici con alti standard di prestazioni e rivolti alla generalità dei cittadini; il conser
vatore/corporativo (tipico dei Paesi dell'Europa continentale) nel quale prevalgono schemi
assicurativi collegati alla posizione occupazionale degli individui, più che al loro status di
cittadini; il liberale (anglosassone) nel quale predominano misure assistenziali means tested,
il ruolo delle assicurazioni sociali è circoscritto e si incentiva il ricorso a schemi di mercato.
Fra le altre numerose classificazioni dei «regimi» di Welfare State cfr. M. Ferrera, The
Southern Model of Welfare in Social Europe, in «Journal of European Social Policy», 6, 1,
1996, (che individua un quarto regime, il Mediterraneo, per i Paesi prima considerati corpo
rativi, come l'Italia, in cui è fondamentale il ruolo di fornitore informale di servizi sociali
svolto dalla famiglia) e W. Korpi, J. Palme, The Paradox of Redistribution and Strategies of
Equality: Welfare State Institutions, Inequality, and Poverty in the Western Countries, in
«American Sociological Review», 63, 3,1998.
3 La target efficiency, salvo diversa specificazione, viene valutata, in accordo con la pre
valente letteratura, in base dell'ammontare di risorse destinate ai più bisognosi (a parità di
spesa complessiva; ovvero alla quota di risorse messe a disposizione dei meno abbienti), in
dipendentemente dall'efficacia del trasferimento. Nel caso delle prestazioni in moneta un
trasferimento potrebbe rivelarsi inefficace se destinato dal beneficiario a consumi che non
incidano sulle condizioni di bisogno, ma quest'aspetto attiene in generale alla libertà di scel
ta individuale e all'efficacia di trasferimenti non specifici più che a difetti del means testing.
Nel caso di una prestazione in natura ammontare ed efficacia possono invece differire lad
dove il servizio offerto non migliora le condizioni dei beneficiari (ad esempio cure mediche

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Raitano, Welfare State e redistribuzione

Il confronto tra i due modelli solleva numerose e complesse que


stioni, che la teoria non è, al momento, in grado di risolvere. Anche
per questo sono particolarmente utili indagini empiriche che aiutino a
meglio valutare gli aspetti più controversi.
Nella seconda parte del presente lavoro (par. 5-9) confronteremo
universalismo e selettività sotto vari aspetti ed in particolare in rela
zione al loro presumibile impatto sulla redistribuzione. La nostra at
tenzione si focalizzerà sul principale vantaggio attribuito agli schemi
selettivi, cioè la loro capacità di assicurare una maggiore efficacia redi
stributiva dei trasferimenti del welfare. Tale presunto vantaggio verrà
valutato sotto il profilo sia teorico sia empirico, esaminando, a que
st'ultimo riguardo, i dati disponibili sulla relazione tra selettività del
welfare e redistibuzione dei redditi. Svolgendo questo esame potremo
anche acquisire elementi per stabilire se effettivamente si sia verificato
negli ultimi anni un crescente ricorso, nella generalità dei Paesi avan
zati, alle misure selettive, con conseguente arretramento di quella di
mensione universalistica che ha a lungo caratterizzato, soprattutto in
Europa, i sistemi di welfare.
Nella prima parte del lavoro descriveremo invece brevemente
l'andamento dei principali indicatori di disuguaglianza negli ultimi
venti anni nei Paesi occidentali, con particolare attenzione per la redi
stribuzione operata dal welfare (par. 2) e, successivamente, sottolinee
remo i problemi di individuazione di validi indicatori sia delle redi
stribuzione sia del welfare (par. 3-4).

2. Disuguaglianza e re distribuzione nei Paesi occidentali

La diffusione delle disuguaglianze di mercato e l'impatto della re


distribuzione possono essere valutate da diverse prospettive. In lette
ratura, per meglio evidenziare le molteplici determinanti delle disu
guaglianze, si analizzano solitamente in successione le distribuzioni
dei redditi da lavoro (i salari), dei redditi familiari di mercato e dei
redditi familiari disponibili4.

inutili o istruzione fornita a ragazzi con gravi difetti cognitivi); su questo punto cfr. P.H.
Schuck, R.J. Zeckhauser, Targeting in Social Programs: Avoiding Baa Bets, Removing Bad
Apples, Brookings Institution Press, Washington, D.C. 2006.
4 Cfr. L. Kenworthy, J. Pontusson, Rising Inequality and the Politics of Redistribution in
Affluent Countries, Perspectives on Politics, 3, 3, 2005; D. Bradley, E. Huber, S. Moller, F.
Nielsen, J.D. Stephens, Distribution and Redistribution in Postindustrial Democracies, in
«World Politics», 55, 2003; V. Mahler, D. Jesuit, State Redistribution in Comparative Perspec
tive: A Cross-National Analysis of the Developed Countries, LIS working paper n. 392,2004.

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L'unità di analisi per la distribuzione dei redditi da lavoro è l'indi


viduo (solitamente si considerano solo i dipendenti full-time), mentre
per i redditi di mercato e disponibili è la famiglia (i redditi familiari so
no poi «individualizzati» mediante scale di equivalenza). I redditi di
mercato risentono quindi della distribuzione dell'occupazione
all'interno della famiglia (ovvero del numero dei percettori); i redditi
disponibili sono invece ottenuti sottraendo a quelli familiari le impo
ste dirette ed aggiungendovi i trasferimenti monetari.
In questo paragrafo seguiremo l'analisi di Kenworthy e Pontusson5,
basata sui dataseis forniti dall'Ocse (per i salari) e dal Luxembourg In
come Study - (per i redditi familiari, di mercato e disponibili), per de
scrivere l'andamento delle disuguaglianze negli ultimi venti anni nei
Paesi sviluppati.
Per quanto concerne le disuguaglianze salariali (figura 1, dove la
distribuzione è valutata attraverso il rapporto fra il 90° e il 10° percen
tile)6, non si nota un trend generalizzato di crescita della sperequazio
ne (al contrario, in quattro Paesi si osserva una riduzione). In linea
con le attese, le disuguaglianze sono più elevate, e crescono maggior
mente, nei Paesi liberali anglosassoni, mentre i Paesi nordici, seguiti da
quelli continentali, sono caratterizzati dai valori più contenuti del rap
porto inter-decilico (ma in Svezia si osserva un significativo incremen
to di tale rapporto).
Dal momento che si riferiscono solo ai dipendenti a tempo pieno, i
dati salariali non colgono l'effetto di variabili quali la disoccupazione,
l'uscita dalle forze lavoro, la sotto-occupazione o il part-time, con con
seguenze paradossali: se, come probabile, i lavoratori a minor salario
sono più esposti al rischio di disoccupazione, la recessione, creando di
soccupazione tra i lavoratori meno pagati, provocherebbe una riduzio
ne della disuguaglianza, se i dati riguardassero solo i lavoratori occupa
ti. Occorre, pertanto, ampliare la prospettiva di analisi oltre i salari.
Osservando la distribuzione dei redditi familiari di mercato, il qua
dro cambia in modo molto significativo (figura 2, dove la disugua
glianza è misurata dal coefficiente di Gini)7: ovunque, con la sola ecce

5 Kenworthy, Pontusson, Rising Inequality cit.


' I dati delle figure 1-4 coprono, per ogni Paese, periodi temporali diversi; pertanto le
osservazioni meno recenti (non prima del 1979) e più recenti (non successive al 2000) si rife
riscono, rispettivamente, al primo e all'ultimo anno in cui le informazioni distributive sono
disponibili nei vari Paesi.
7 Per cogliere il ruolo dei trasferimenti fra individui (piuttosto che nelle diverse fasi della
vita dello stesso individuo; principalmente le pensioni che, almeno in parte, costituiscono un
salario differito) Kenworthy, Pontusson (Rising Inequality cit.) considerano unicamente i
nuclei con capofamiglia in età lavorativa (25-59 anni). Per una discussione dei difetti deri

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Figura2.CoeficntediGn eirdtfamilrdmecato;nuleiconapfmiglanetàlavorti; periodo 1979-20 0.

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zione dei Paesi Bassi, si è avuto un ampio incremento delle disugua


glianze di mercato. Inoltre, nell'ultima osservazione disponibile, i Pae
si nordici non risultano essere sempre i più egualitari e, diversamente
da quanto osservato per i salari, la crescita delle disuguaglianze non è
più pronunciata nei Paesi anglosassoni che in quelli nordici e conti
nentali. Al contrario, si nota un peggioramento non solo in Svezia, ma
anche in Norvegia e Finlandia, due Paesi caratterizzati dalla riduzione
della dispersione salariale.
Tale apparente anomalia dipende dalla diversa unità di riferimento:
il lavoratore dipendente per i salari, il nucleo familiare per i redditi di
mercato8. La maggior crescita della disuguaglianza di mercato può es
sere imputabile a un incremento della quota di famiglie con reddito di
mercato limitato o nullo, a causa della disoccupazione, dell'inattività o
della mutata composizione dei nuclei familiari (maggior numero di di
vorzi e di madri single e/o di studenti che vivono autonomamente). La
buona performance dei Paesi Bassi sembra dipendere dall'incremento
significativo del tasso di occupazione (dovuto soprattutto all'aumento
del lavoro femminile in attività part-time) che, pur ampliando la di
spersione salariale (figura 1), può aver contribuito a contrarre la disu
guaglianza dei redditi familiari accrescendo il numero di percettori di
redditi da lavoro soprattutto nei nuclei meno abbienti9.
I redditi disponibili (netti di imposte dirette e comprensivi di tra
sferimenti monetari)10 sono i più influenti sul benessere. Il relativo in
dice di Gini segnala una crescita generalizzata della disuguaglianza,
con l'eccezione dei Paesi Bassi (figura 3). Ciò nonostante emerge un
quadro ben diverso da quello descritto con riferimento ai redditi di
mercato: Stati Uniti e Regno Unito sono di gran lunga i Paesi dove il
Gini è cresciuto di più; inoltre, con riferimento alla disuguaglianza
misurata nell'ultima osservazione disponibile, la distinzione fra le ti
pologie di Paesi si amplia, e i Paesi nordici e anglosassoni si conferma

vanti da tale limitazione si vedano la discussione presentata nel paragrafo 3 e L. Scruggs, The
Redistributive Consequences of Welfare State Entitlements, mimeo, 2005.
8 Essa non sembra invece dipendere dall'utilizzo di differenti indici di disuguaglianza, il
rapporto inter-decilico per i salari, il Gini per i redditi di mercato; cfr. Kenworthy, Pontus
son Rising Inequality cit.
' Kenworthy e Pontusson, in Risine Inequality cit., valutando l'impatto dei tassi di oc
cupazione per spiegare l'andamento difforme di disuguaglianza salariale e di mercato, sotto
lineano l'esistenza di un'elevata correlazione positiva fra crescita dell'occupazione e riduzio
ne delle sperequazioni dei redditi di mercato.
10 Per le difficoltà di imputazione ai singoli dei relativi dati, solitamente vengono omesse
imposte indirette, deduzioni fiscali e, soprattutto, trasferimenti in natura. A tale proposito si
vedano il paragrafo 3 e I. Garfinkel, L. Rainwater, T. Smeeding, Welfare State Expenditures
and the Redistribution of Well-being: Children, Elders and Others in Comparative Perspec
tive, LIS working paper n. 387, 2005.

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Figura3.CoeficntediGn elrditofamliredsponible;ucioncapfmiglanetàlavorti; periodo 1979-20 0.

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Figura4.Redistrbuzone:difrenzasolutfraicoef intdGin erditfamlirdmecato edisponibl;nuclei oncapofamiglainetàlavortiva periodo 1979-20 0.

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no, rispettivamente, come i più e i meno egualitari, con i continentali


nel mezzo.
Kenworthy e Pontusson11 valutano la redistribuzione mediante la
differenza assoluta tra il Gini dei redditi di mercato e quello dei reddi
ti disponibili (ovvero, prima e dopo l'intervento pubblico; figura 4)12.
Così misurata la redistribuzione è stata massima nel Nord Europa ed
è risultata crescente in tutti i Paesi nel periodo 1979-2000, con
l'eccezione di Stati Uniti e Paesi Bassi. L'incremento delle disugua
glianze di mercato sembra, quindi, avere indotto un maggiore sforzo
redistributivo da parte dei Welfare State.
Va però ricordato che durante il periodo in esame in molti sistemi
di welfare i requisiti di accesso alle prestazioni sono stati resi più strin
genti13. Di conseguenza, non si può desumere, dai dati ora richiamati,
che tali sistemi siano divenuti più generosi. Come sottolineano
Kenworthy e Pontusson14, la crescita della redistribuzione può essere
avvenuta in due modi: a) cambiamenti di policy esplicitamente indiriz
zati a redistribuire reddito; b) un'automatica compensazione della cre
scita delle disuguaglianze di mercato, compatibile con una riduzione
della generosità dei trasferimenti e con la fissazione di requisiti di ac
cesso alle prestazioni più restrittivi. Negli scorsi due decenni molti
Paesi potrebbero aver seguito il secondo sentiero. Prima di discutere
questi aspetti - ed in particolare l'eventuale trasformazione di schemi
universali in selettivi - è utile esaminare le difficoltà che si incontrano a
valutare empiricamente sia l'intensità della redistribuzione (par. 3), sia
l'effettiva variazione delle caratteristiche dei sistemi di welfare (par. 4).

3. / limiti del «lato sinistro»

Come si è già detto, entrambi i lati della relazione tra redistribu


zione e Welfare State pongono problemi. Esaminiamo quelli relativi al
«lato sinistro». Le questioni sono le seguenti:
- come si misura la redistribuzione?
- qual'è la popolazione di riferimento?

" Kenworthy, Pontusson, Rising Inequality cit.


12 In letteratura non c'è accordo su quale differenza (percentuale o assoluta) fra Gini pre
e post sia più adatta per valutare l'intensità redistributiva dei diversi Paesi. Su tale tema si ve
dano il paragrafo 3; Kenworthy, Pontusson, Rising Inequality cit.; Scruggs, The Redistribu
tive Consequences cit.
13 Cfr. Gilbert, Transformation of the Welfare State cit.; Allan, Scruggs, Political Parti
sanship cit.; L. Scruggs, Welfare State Generosity across Space and Time, mimeo, 2005.
14 Kenworthy, Pontusson, Rising Inequality cit.

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- il concetto di reddito va ampliato per incorporare anche altre


componenti che influenzano il benessere?
- più in generale, qual è il vero impatto distributivo del Welfare
State quando si consideri anche la sua influenza indiretta sulle disu
guaglianze di mercato?15
Rispetto al primo problema, la redistribuzione usualmente è va
lutata, come si è detto, comparando il Gini dei redditi di mercato e
di quelli disponibili16. Il primo limite di questa misura sta nel fatto
che il coefficiente di Gini sopravvaluta i trasferimenti che avvengono
al centro della distribuzione (un trasferimento dal 52° al 48° percenti
le riduce la disuguaglianza più di quanto accadrebbe se al medesimo
trasferimento fossero interessati il 98° e il 2° percentile). Ma vi è an
che quesito più di fondo: è più appropriato, soprattutto in un'ottica
comparativa, usare la variazione assoluta o quella relativa del coeffi
ciente di Gini? Se si privilegia la variazione assoluta si assume, impli
citamente, che la disuguaglianza di mercato sia esogena, mentre sce
gliendo la variazione percentuale si attribuisce un peso maggiore al
punto di partenza (ovvero alla disuguaglianza di mercato), assumen
do implicitamente che il livello di disuguaglianza si mercato dipende
in qualche modo dalle caratteristiche del sistema di welfare (ad
esempio, attraverso i salari minimi, la legislazione di protezione
dell'occupazione o l'influenza sul livello di istruzione della popola
zione)17.
Alcuni studi18 usano invece direttamente la spesa sociale come
proxy della redistribuzione, assumendo implicitamente che l'intera

15 Cfr. A. Bergh, On the Counterfactual Problem of Welfare State Research: How Can
We Measure Redistribution?, in «European Sociological Review», 21, 4, 2005.
" Inoltre, al di là del rapporto inter-decilico che viene solitamente utilizzato come indi
catore della dispersione salariale, a nostra conoscenza nessuno studio comparativo sul lega
me fra redistribuzione e stato sociale fa uso di indici di disuguaglianza diversi dal Gini. Per
tanto manca un esame di quanto i risultati delle comparazioni internazionali siano robusti al
tipo di indice utilizzato.
" A proposito del dibattito su quale indicatore di intensità della redistribuzione utilizza
re cfr.: L. Kenworthy, More Targeting, Less Universalismi Social Policy in the Postindustrial
Age, mimeo, 2005; Kenworthy, Pontusson, Rising Inequality cit.; W. Korpi, J. Palme, New
Politics and Class Politics in the Context of Austerity and Globalization: Welfare State Re
gress in 18 Countries, 1975-95, in «American Political Science Review», 97, 3, 2003; Scruggs,
The Redistributive Consequences cit.; J.P. Allan, L. Scruggs, Welfare State Decommodifica
tion in Eighteen OECD Countries: A Replication and Revision, «Journal of European Social
Policy», 16,2006; Mahler, Jesuit, State Redistribution cit.
18 Cfr. R. Perotti, Growth, Income Distribution and Democracy: What the Data Say, in
«Journal of Economic Growth», 1, 1996; D. Cusack, T. Iversen, The Causes of Welfare Sta
te Expansion: Deindustrialization or Globalization, in «World Politics», 52, 2002; K.O.
Moene, M. Wallerstein, Targeting and Political Support for Welfare Spending, in «Econo
mics of Governance», 2,2001.

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spesa sociale sia diretta ad obiettivi redistributivi e correndo il rischio


di confondere cause ed effetti19.
In riferimento alla seconda domanda elencata, si discute, in partico
lare, se includere nell'analisi distributiva i nuclei con capofamiglia in
età non lavorativa (ovvero giovani e anziani). Per far risaltare princi
palmente i trasferimenti inter-individuali ed escludere l'effetto di tra
sferimenti di reddito intra-individuale (che avvengono tra le diverse fa
si della vita, come con le pensioni) la maggior parte degli studi si con
centra sui nuclei con capofamiglia nella classe d'età 25-5920. L'esclusio
ne dei nuclei «anziani» implica che le pensioni siano mero salario dif
ferito, ovvero che il sistema previdenziale si configuri come perfetta
mente neutrale in termini attuariali e non abbia effetti distributivi.
Questa scelta ha, però, molte controindicazioni. Come osserva
puntualmente Scruggs21, con l'invecchiamento della popolazione
l'elettore mediano diventa sempre più anziano ed è, quindi, parados
sale il tentativo di analizzare la formazione e gli effetti delle politiche
redistributive senza considerare un così ampio gruppo di elettori.
Inoltre, anche al di là degli schemi più propriamente assistenziali (qua
li le pensioni minime means tested), i sistemi previdenziali pubblici
non sono mai perfettamente neutrali dal punto di vista attuariale e im
plicano sempre una redistribuzione inter-personale.
D'altra parte, e contrariamente alle attese, la relazione fra genero
sità dello schema pensionistico pubblico e disuguaglianza di mercato
fra gli anziani è di segno negativo, a dimostrazione del fatto che è erra
to escludere gli anziani dalle analisi distributive sulla base di una pre
sunta correlazione positiva fra generosità e disuguaglianza (che agi
rebbe attraverso una riduzione dei redditi di mercato). Inoltre, negli
schemi a ripartizione, sottrarre dal reddito di mercato i contributi pre
videnziali per calcolare il reddito disponibile, senza poi analizzare gli
effetti di tali contributi (ovvero i trasferimenti correnti agli anziani)
appare in qualche modo paradossale. Non si dimentichi poi che, in
presenza di regole di pensionamento e tassi di attività fra gli anziani
fortemente differenziati fra Paesi, assumere che ogni individuo nella
fascia d'età 25-59 sia attivo può distorcere in misura significativa le
comparazioni internazionali.

" In aggiunta, in tali studi, la spesa è considerata al lordo delle imposte dirette che ven
gono pagate poi dai beneficiari sui trasferimenti ricevuti; in tal modo non si valuta, quindi,
Pimpatto distributivo del prelievo sulle prestazioni erogate dal welfare.
20 Cfr. Bradley, Huber, Moller, Nielsen, Stephens, Distribution and Redistribution cit.;
Kenworthy, Pontusson, Rising Inequality cit.
21 Scruggs, The Redistributive Consequences cit.

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Per quanto concerne la terza domanda, va osservato che solitamen


te ci si concentra sul reddito disponibile, ovvero sui redditi di mercato
al lordo dei trasferimenti monetari ed al netto delle imposte dirette.
Molti autori rilevano come, soprattutto per le analisi comparative, una
misura corretta del benessere individuale (e dell'impatto del Welfare
State sul benessere) dovrebbe includere altre componenti quali i tra
sferimenti in natura (sanità, istruzione), le imposte indirette e le tax
expenditures (l'inclusione di queste ultime, relative soprattutto alle
agevolazioni fiscali offerte a chi si iscrive a schemi pensionistici e sani
tari privati, consentirebbe di considerare gli effetti, generalmente re
gressivi, del finanziamento di tali schemi).
Imputare ai singoli individui tali componenti è tuttavia molto com
plesso. Garfinkel, Rainwater e Smeeding22 provano a effettuare tale
imputazione, calcolando il «reddito pieno», ovvero il reddito disponi
bile ridotto per le imposte indirette e accresciuto per i trasferimenti in
kind. I tre autori valutano i trasferimenti (sanità e istruzione) in base al
costo pubblico di erogazione dei servizi e assumono, inoltre, che tale
costo sia equamente ripartito, sotto forma di beneficio, fra i potenziali
fruitori. Le imposte indirette sono invece imputate ai singoli individui
in base a quanto emerge dagli studi microeconomici delle abitudini di
consumo degli individui appartenenti alle diverse classi di reddito.
Facendo uso del «reddito pieno» così calcolato, Garfinkel,
Rainwater, Smeeding23 mostrano come la graduatoria fra Paesi (di cui
alle figure 3 e 4) muti significativamente: in particolare gli Stati Uniti
cesserebbero di essere il Paese più diseguale e verrebbe meno anche la
possibilità di distinguere i tre «regimi» (di Paesi nordici, anglosassoni
e continentali). Allo stesso tempo - e questo sembra essere il principa
le risultato dello studio24 - le performances dei vari Paesi, si rivelano
molto sensibili alla specifica metodologia di imputazione monetaria
dei trasferimenti in natura. Se, ad esempio, per evitare di imputare co
me beneficio erogato agli individui un livello elevato di spesa naziona
le legato, ad esempio, a alti salari o elevate spese amministrative (e
questo è il caso della sanità statunitense) si suddividesse equamente tra
la popolazione globale la media della spesa sociale in trasferimenti in
kind fra tutti i Paesi, superando il riferimento alla media nazionale,
tornerebbe la vecchia graduatoria e gli Stati Uniti resterebbero il Paese
più diseguale.

11 Garfinkel, Rainwater, Smeeding, Welfare State Expenditures cit.


23 Ibid.
" Ibid.

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Disuguaglianze

In realtà, imputare i benefici in kind equi-distribuendo il dato di


spesa governativa non appare una strategia adatta per una pluralità di
ragioni: la spesa non sempre è un buon indicatore del valore dei trasfe
rimenti per i fruitori (soprattutto in presenza di ampie inefficienze e
costi amministrativi); i servizi in natura non hanno spesso lo stesso va
lore per ricchi e poveri e i livelli di consumo effettivi sono sovente le
gati al reddito (chi proviene da background più favorevoli tende ad
esempio a «consumare» più istruzione pubblica); inoltre, le differenze
di spesa fra Paesi non implicano necessariamente una diversa qualità
dei servizi offerti.
Infine, per rispondere alla quarta domanda, le analisi redistributive
sono distorte dal fatto che la stessa distribuzione dei redditi di merca
to dipende, attraverso molteplici canali, dalle caratteristiche del Welfa
re State. Pertanto, ogni studio che confronta le distribuzioni pre e post
intervento pubblico distorce inevitabilmente (sovra o sottostimando)
il calcolo del «puro» effetto redistributivo dello stato sociale, dal mo
mento che è ignota la distribuzione di mercato che si avrebbe in assen
za di Welfare State. Non si conosce infatti quale sarebbe la distribu
zione di mercato e quali sarebbero - e che effetti distributivi avrebbe
ro - offerta di lavoro, risparmio e investimento in capitale umano se
non ci fossero politiche sociali25.

4.1 limiti del «lato destro»

Come rilevato nel paragrafo introduttivo, la possibilità di effettua


re un'analisi formale della relazione fra redistribuzione e Welfare State
incontra limiti a causa della difficoltà di calcolare validi indicatori sin
tetici dello stato sociale. E questo il problema del «lato destro» di tale
relazione (o il cosiddetto problema di identificazione della variabile
dipendente)26.
Il Welfare State è un'istituzione molto complessa; misurarlo e sti
mare le sue variazioni appare estremamente arduo e ciò spiega la man
canza di un punto di vista condiviso27.

25 Per un'analisi dei diversi canali attraverso cui la spesa sociale può influenzare la disu
guaglianza di mercato, cfr. A. Bergh, The Universal Welfare State: Theory and the Case of
Sweden, in «Political Studies», 52, 2004.
26 Cfr. C. Green-Pedersen, The Dependent Variable Problem within the Study of Welfa
re State Retrenchment: Defining the Problem and Looking for Solutions, in «Journal of
Comparative Policy Analysis», 6, n. 1, 2004.
27 Cfr. Scruggs, Welfare State Generosity cit.; J.P. Allan, L. Scruggs, Welfare State De
commodification cit.

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Raitano, Welfare Stute e redistribuzione

Frequentemente si utilizza l'entità della spesa sociale (come quota


del Pil); ma tale indicatore presenta una lunga serie di difetti. Anche a
prescindere dal fatto che spesso esclude la spesa in istruzione, esso
non consente di identificare il ruolo delle diverse componenti del wel
fare (ad esempio, trasferimenti monetari o in natura, universali o selet
tivi, pensionistici o sanitari), che possono avere esiti distributivi molto
differenziati; inoltre, non coglie l'impatto della tassazione (diretta ed
indiretta) e delle tax expenditures e trascura gli schemi privati28.
D'altronde la spesa sociale è una proxy imprecisa dell'intensità
dell'intervento pubblico: ad esempio, una volta stabilite le condizioni
di eleggibilità, la sua dimensione dipende da un insieme di variabili (il
numero di beneficiari, il costo di produzione dei servizi) spesso deter
minate da fattori sottratti al controllo dell'operatore pubblico (si pensi
alla disoccupazione).
Per far fronte a tali difetti alcuni autori hanno proposto indicatori
compositi basati sui requisiti di eleggibilità dei cittadini ai diversi sche
mi (chi ha diritto, per quanto tempo e per quale ammontare ai vari tipi
di trasferimenti)29. La definizione di tali indicatori, anche se promet
tente, è molto complessa oltre che piuttosto arbitraria e incompleta30.
In particolare tali indicatori non sembrano robusti ai diversi metodi di
calcolo utilizzati; ad esempio, Allan e Scruggs31 hanno replicato
l'analisi su cui Esping Andersen32 ha fondato la sua teoria dei regimi
trovando risultati, almeno in parte, diversi.
In aggiunta gli indicatori di eleggibilità (entitlement) solitamente
non prendono in considerazione imposte, agevolazioni fiscali e trasfe
rimenti in natura; sono calcolati solo per uno o pochi individui rap
presentativi (e ciò limita fortemente la possibilità di valutare l'impatto
complessivo delle riforme di welfare)·, sono basati sulle norme vigenti
e non incorporano l'effetto di regole introdotte, ma non ancora in vi
gore (aspetto molto rilevante per le riforme pensionistiche, solitamen
te introdotte attraverso lunghi periodi di transizione).

2S Per una definizione di spesa sociale che includa anche tali componenti cfr. W. Adema,
Net Social Expenditure: 2"d Edition, in «OECD Labour Market and Social Policy Occasio
nal Papers», 52, 2001; W. Adema, M. Ladaique, Net Social Expenditure, 2005 Edition: More
Comprehensive Measures of Social Support, OECD Social, Employment and Migration
working papers n. 29, 2005.
29 Cfr. Korpi, J. Palme, New Politics and Class Politics cit.; Allan, Scruggs, Welfare State
Decommodification cit.
J° Per una descrizione dettagliata dei dataseis più esaurienti costruiti per identificare in
dicatori di entitlement cfr. Korpi, Palme, New Politics and Class Politics cit.; Allan, Scruggs,
Welfare State Decommodification cit.
" Ibid.
32 Esping-Andersen, The Three Worlds of Welfare Capitalism cit.

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Disuguaglianze

Alternativamente, e in modo indiretto, il Welfare State può essere


approssimativamente misurato - omettendo chiaramente l'influenza
sugli esiti di altre variabili rilevanti non controllate dal policy maker -
attraverso i risultati che si propone di raggiungere (ad esempio me
diante il tasso di disoccupazione, assumendo che un obiettivo pubbli
co sia la piena occupazione)33 o tramite indicatori distributivi34.
L'uso di differenti misure quantitative genera spesso conclusioni
contraddittorie sul trend dei sistemi nazionali negli scorsi decenni. In
particolare, non vi è consenso sul fatto che i sistemi di protezione so
ciale abbiano subito seri arretramenti (retrenchment), né, ove il pro
cesso abbia avuto luogo, sulle sue cause e sui principali attori35.
Gli studi basati sui dati di spesa tendono a rifiutare la tesi del re
trenchment'6, mentre quelli basati su indicatori di eleggibilità o sulle
performances macroeconomiche suggeriscono l'esistenza di un pro
cesso di significativa (anche se non drammatica) trasformazione e ri
duzione dei tradizionali sistemi di welfare37.
Al di là di questi complessi problemi metodologici - e prescinden
do da un'esatta quantificazione - un processo di restrizione dei requi
siti di eleggibilità e di riduzione della generosità dei trasferimenti sem
bra avere avuto luogo in molti schemi, in primis in quelli previdenzia
li. A determinarlo ha probabilmente contribuito il tentativo di fron
teggiare l'invecchiamento della popolazione, accrescere gli incentivi
all'offerta di lavoro e ridurre la spesa pubblica.

5. Universalismo e selettività: questioni definitorie

Nell'ambito della relazione tra redistribuzione e stato sociale, un po


sto certamente importante occupa il carattere selettivo o universalistico

33 Cfr. W. Korpi, Welfare State Regress in Western Europe: Politics, Institutions, Globa
lization, and Europeanization, SOFI working paper n. 5,2004.
34 Cfr. R. Clayton, J. Pontusson, Welfare State Retrenchment Revisited: Entitlement
Cuts, Public Sector Restructuring, and Inegalitarian Trends in Advanced Capitalist Societies,
in «World Politics», 51,1998.
55 Cfr. Pierson, The New Politics of the Welfare State cit.; Korpi, Palme, New Politics
and Class Politics cit.; Allan, Scruggs, Political Partisanship and Welfare State Reform cit.;
Bradley, Huber, Moller, Nielsen, Stephens, Distribution and Redistribution cit.; Β. Söder
sten, Globalization and the Welfare State, Palgrave MacMillan, New York 2004.
16 Cfr. P. Pierson, The New Politics of the Welfare State, in «World Politics», 48, 2,
1996; Pierson, The New Politics of the Welfare State cit.
37 Cfr. N. Gilbert, Transformation of the Welfare State: the Silent Surrender of Public
Responsibility, Oxford U.P., Oxford 2002; W. Korpi, J. Palme, New Politics and Class Poli
tics in the Context of Austerity and Globalization: Welfare State Regress in 18 Countries,
1975-95, in «American Political Science Review», 97, 3, 2003; Clayton, Pontusson, Welfare

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Raitano, Welfare State e redistribuzione

dei sistemi di welfare. È questo il tema sul quale ora ci concentriamo.


Il criterio più semplice per distinguere tra universalismo e seletti
vità consiste nel verificare se i trasferimenti (in natura o in moneta)
siano forniti all'intera popolazione, senza distinzione di necessità e/o
reddito. Questo criterio non è, però, del tutto soddisfacente, soprat
tutto a causa del fatto che l'articolata realtà dei sistemi di welfare non
può essere compresa limitandosi a contrapporre due schemi estremi: il
primo con redditi di cittadinanza pagati all'intera popolazione; il se
condo con prestazioni erogate come safety net a chi si trovi in condi
zioni di grave disagio.
In realtà, i due schemi possono essere realizzati secondo modalità
molto diverse e con gradi differenziati di inclusione o esclusione38. E,
dunque, necessario cercare di chiarire cosa si debba davvero intendere
per universalismo e selettività (targeting). Inoltre, soprattutto per va
lutare le implicazioni distributive, non basta considerare chi e perché
abbia diritto a ricevere una prestazione; altre dimensioni fondamenta
li39 dei sistemi di welfare - quali la formula di calcolo dei benefici {fiat
o earnings related)40 e la sua generosità; la preferenza per i trasferimen
ti in moneta o in natura; il metodo di finanziamento della spesa e la
sua progressività; l'estensione degli schemi privati - devono essere te
nute in conto.
In letteratura non vi è consenso sugli elementi distintivi del welfare
universalistico41. Alcuni si riferiscono unicamente a un trasferimento
concesso a tutti gli individui in base alla sola cittadinanza ed indipen
dentemente da qualunque altra condizione di accesso. Per compren
dere i limiti di questa concezione basta portarla agli estremi: le assicu
razioni sociali sarebbero sempre selettive, dato che il trasferimento è
condizionato al verificarsi degli eventi che le definiscono, quali la vec
chiaia, l'invalidità, la disoccupazione, la malattia.
State Retrenchment Revisited cit.; J.P. Allan, L. Scruggs, Political Partisanship and Welfare
State Reform in Advanced Industrial Societies, in «American Journal of Political Science»,
48,3,2004.
3! Lindbom e Rothste rilevano come nella realtà dei sistemi di welfare, relativamente alla
dimensione universalismo/selettività, non si configuri tanto una preferenza fra due alternati
ve discrete quanto una scelta fra un continuum di opzioni disponibili: A. Lindbom, B.
Rothstein, The Mysterious Survival of the Swedish Welfare State, mimeo, 2004.
39 A tale proposito Shaver rileva come il dilemma fra universalismo e selettività richiami
necessariamente un confronto multi-dimensionale, cfr. S. Shaver, Universality and Selecti
vity in Income Support: an Assessment of the Issue, LIS working paper n. 145,1996.
40 La distinzione fra benefici in somma fissa o legati al reddito (e alla contribuzione) pre
cedente richiama quella frequentemente utilizzata, soprattutto nella letteratura di politicai
economy, fra schemi alla Beveridge e alla Bismarck.
41 Per una rassegna delle varie definizioni di universalismo presenti in letteratura e delle
categorie prese a riferimento per identificare tale concetto cfr. Bergh, The Universal Welfa
re State cit.

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Disuguaglianze

Altri studiosi, propensi a escludere che sia rilevante soltanto la con


dizione di cittadinanza42, considerano universale un sistema in cui la
totalità della forza lavoro è coperta da uno schema pensionistico pub
blico e da assicurazioni contro i rischi di malattia e disoccupazione43.
Infine, vi sono ancora altri studiosi che, mancando di distinguere
tra eleggibilità ad uno schema e misura del beneficio, definiscono uni
versale solamente un sistema che eroghi prestazioni di eguale entità
(fiat) a tutti gli individui44.
Dal canto suo, la selettività può essere intesa come una qualsiasi re
strizione delle condizioni di eleggibilità (ad esempio l'età, lo status oc
cupazionale o, in termini più vincolanti, un requisito contributivo mi
nimo per avere diritto a una pensione, o criteri diagnostici per ricevere
assegni di malattia o invalidità, o comportamentali - ricerca attiva di
un lavoro - per accedere al sussidio di disoccupazione) o, in modo più
stringente, come un criterio che condiziona l'accesso alle prestazioni
ad una situazione economica di bisogno, provata attraverso il ricorso
ad un means test45.
In base a queste considerazioni, i sistemi di welfare potrebbero es
sere misurati attraverso uno spettro dipendente dal numero e dal tipo
di restrizioni imposte ai criteri di eleggibilità, ai cui estremi si situano
gli schemi con redditi di cittadinanza universali e quelli che prevedono
unicamente sussidi di ultima istanza46.

42 La cittadinanza è alla base dell'erogazione dei servizi nel modello socialdemocratico,


anche rispetto alle pensioni, mentre, nei modelli corporativi, soprattutto per quanto attiene
ai trasferimenti monetari, è determinante lo status occupazionale.
41 Su tali linee, i più diffusi indici di universalità sono calcolati mediante la quota di po
polazione in età lavorativa aderente allo sistema previdenziale pubblica e coperta da schemi
assicurativi; cfr. Esping-Andersen, The Three Worlds of Welfare Capitalism cit.; Scruggs,
Welfare State Generosity cit.
44 Cfr. A.K. Abe, Universalism and Targeting: an International Comparison Using the
LIS Database, LIS working paper n. 288, 2001.
45 Cfr. Gilbert, Targeting Social Benefits cit., che individua quattro modalità, non mu
tuamente esclusive, attraverso le quali definire una condizione ai bisogno che dia luogo a
targeting·. 1) una condizione (la malattia, l'essere madri single, il vivere in zone degradate)
che genera allocazioni di gruppo basate su criteri normativi di bisogno (rischi riconosciuti
tali dalla società); 2) una compensazione all'aver contribuito (in termini monetari o meno)
alla società (assicurazioni sociali, assegni ai veterani), attraverso un'allocazione di gruppo
basata su criteri normativi di ricompensa equa (sono tali anche i requisiti comportamentali,
tipici soprattutto degli schemi di protezione dalla disoccupazione); 3) un giudizio (alloca
zione) su casi individuali basata su criteri diagnostici (invalidità); 4) il means testing, alloca
zione individuale basata su criteri economici di bisogno.
46 In un'interpretazione molto stringente di utilizzo efficiente di un budget predefinito,
basata su un concetto di target efficiency che oltre all'ammontare di risorse destinate ai più
svantaggiati considera anche l'efficacia del loro utilizzo (soprattutto nel caso di trasferimenti
in natura), Schuck, Zeckhauser vincolano il diritto a ricevere una prestazione a due requisiti
aggiuntivi rispetto al verificarsi di una condizione di disagio (ad esempio, malattia, disoccu
pazione, povertà): i) alla probabilità di ricevere un'elevata utilità dal trasferimento, rifiutan

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Raitano, Welfare State e redistribuzione

La selettività attraverso la prova dei mezzi è quindi solo una forma


di restrizione dell'eleggibilità, anche se la più utilizzata laddove
l'obiettivo primario sia il contrasto della povertà. D'altronde, soprat
tutto nei Paesi in via di sviluppo, dove è difficile effettuare verifiche
sui redditi, l'accesso alle prestazioni è determinato da proxy delle con
dizioni di disagio individuale diverse dal reddito47.
In questi è, quindi, opportuno distinguere tra un modello di «am
pia selettività», nel quale, anziché individuare i soggetti più bisognosi,
si destinano le risorse alle categorie di spesa con maggiori ricadute so
ciali (l'istruzione primaria, le cure mediche di base), ed un modello di
«selettività ristretta», nel quale (ferma restando l'impossibilità di effet
tuare in modo corretto test dei mezzi) si vincola il trasferimento al
soddisfacimento di caratteristiche correlate con la povertà, ma più fa
cilmente osservabili del reddito (l'area geografica di residenza, la di
mensione del nucleo familiare) o, mediante il cosiddetto self-targeting,
si costruiscono schemi tali da incentivare unicamente i più bisognosi
ad accedervi (si incorpora un piccolo costo di partecipazione, ad
esempio liste di attesa, per disincentivare la partecipazione di chi trae
un minor beneficio dal trasferimento, o si offrono beni di qualità, an
che solo estetica, inferiore a quelli offerti sul mercato).
Nella nostra analisi, salvo ove esplicitamente segnalato, si intenderà
per universale uno schema in cui, prescindendo dalle formule di calco
lo applicate (in particolare dalla loro progressività), l'accesso alle pre
stazioni sia un diritto dell'intera popolazione di riferimento (l'intera
cittadinanza nel caso dei servizi o dell'erogazione di un basic income,
la forza lavoro nel caso degli schemi assicurativi), indipendentemente
dalle condizioni di bisogno economiche (identificate attraverso un test
dei mezzi o una variabile proxy del reddito/patrimonio); nel caso con
trario si parlerà di schema selettivo.

dolo quindi ai cosiddetti bad bets (ad esempio vietando l'accesso ai programmi di attivazio
ne ai disoccupati di lunga durata, che hanno poche probabilità di rientrare nell'occupazione,
o non fornendo cure mediche molto costose con limitata probabilità di successo agli anzia
ni); ii) all'assenza di comportamenti che potrebbero influenzare negativamente l'esito dei
trasferimenti forniti agli altri individui (l'accesso dovrebbe essere allora rifiutato alle cosid
dette bad apples·, ad esempio i bambini particolarmente irrequieti dovrebbero essere inseriti
in classi speciali qualora le loro difficoltà di apprendimento o i loro comportamenti dovesse
ro generare esternalità negative verso gli altri allievi), cfr. Schuck, Zeckhauser, Targeting in
Social Programs cit.
47 Cfr. D. Van de Walle, Targeting Revisited, in «The World Bank Research Observer»,
13, 2, 1998; T. Mkandawire, Targeting and Universalism in Poverty Reduction, UNRISD
working paper η. 23, 2005; A. Sen, The Political Economy of Targeting, in Public Spending
and the Poor: Theory and Evidence, a cura di D. Van de Walle e Κ. Nead, John Hopkins
U.P., Baltimora 1995, il quale, ribadisce come l'intervento selettivo andrebbe mirato su indi
catori di capabilities anziché del solo reddito.

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Inoltre si distinguerà sempre fra selettività (o means testing) e tar


get efficiency, sulla base della considerazione che la prima è necessaria
mente associata ad una restrizione all'accesso, mentre la seconda ri
guarda la quota delle risorse destinata agli individui più svantaggiati
(ovvero alla sua progressività), indipendentemente dal fatto che la par
tecipazione allo schema sia vincolata dalle condizioni di bisogno.
D'altro canto, per analizzare in modo approfondito gli effetti redi
stributivi e di contrasto della povertà degli schemi di welfare, è neces
sario valutare come la dimensione di partecipazione fin qui esaminata
si intersechi con le altre dimensioni fondamentali dello stato sociale
elencate in precedenza48.
Infatti, gli effetti redistributivi di uno schema universale che offra
una prestazione flat di importo elevato e sia finanziata con imposte
progressive, sono ben diversi da quelli che avrebbe uno schema indi
rizzato unicamente ai poveri che, però, prevedesse prestazioni di im
porto limitato e lasciasse ampio spazio agli schemi privati, solitamente
molto più regressivi49.
Prestazioni means tested con soglie molto elevate possono essere
invece «quasi universali» (in tal caso si avrebbe una selettività esclu
dente nella quale non sono unicamente i poveri a ottenere il beneficio,
ma i molto ricchi a non riceverlo). Allo stesso tempo, negli schemi
universali, le prestazioni earnings related possono rivelarsi più redi
stributive di quelle flat, soprattutto laddove queste ultime siano di en
tità limitata e diano ai più abbienti l'opportunità di aderire a schemi

41 Ai fini dell'analisi distributiva e della valutazione congiunta di aspetti di eleggibilità,


dimensione del beneficio e criteri di governance (pubblica o privata) dello stato sociale ap
paiono molto rilevanti i 5 modelli individuati da Korpi e Palme: il selettivo (sono offerte
unicamente prestazioni means tested poco generose), il volontario (la partecipazione agli
schemi privati è incentivata dallo stato mediante agevolazioni fiscali), il corporativo (seg
mentazione della popolazione fra diversi gruppi, in base alle caratteristiche occupazionali,
ma generalmente prestazioni earnings related adeguate), quello di «sicurezza di base» (basic
security), nel quale si offre unicamente um flat universale (definita in base a criteri di cittadi
nanza e/o contribuzione), mentre le prestazioni integrative sono fornite dal privato, e
l'«awolgente» (encompassing), nel quale flat universali generose (definite in base a criteri di
cittadinanza) sono associate a schemi pubblici universali earnings related (definiti in base a
categorie occupazionali) che lasciano poco spazio all'offerta privata, cfr. Korpi, Palme, The
Paradox of Redistribution cit.
49 Le agevolazioni fiscali legate alle componenti private del welfare e le strutture dei co
sti (spesso poco trasparenti e in somma fissa) di tali componenti tendono a favorire soprat
tutto le fasce più abbienti. In aggiunta le informazioni necessarie per effettuare scelte corret
te in ambito di protezione sociale (in primis in campo previdenziale e sanitario) nei mercati
privati sono generalmente correlate con il reddito individuale. Su tali aspetti, cfr. R. Artoni,
Redistribuzione e Welfare: Un confronto Europa - USA, in «Rivista delle Politiche Sociali»,
2,2004.

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Raitano, Welfare State e redistribuzione

privati integrativi50; o ancora, le regole di tassazione progressiva dei


trasferimenti monetari o l'introduzione di forme di compartecipazio
ne all'utilizzo dei servizi (tickets) legate al reddito possono favorire la
target efficiency (cioè, come si è detto, la quota di risorse pubbliche
destinata ai meno abbienti) pur all'interno di schemi universali51.

6. Universalismo e selettività: pregi e difetti

Ai sistemi universali, come si è detto, viene di norma riconosciuta la


capacità di favorire la solidarietà sociale52. Si sottolinea, infatti come, es
sendo fondati su principi di cittadinanza (o, comunque, di appartenen
za a gruppi molto ampi di popolazione), questi sistemi evitino gli effet
ti-stigma che potrebbero ricadere su chi riceve trasferimenti selettivi53.
Inoltre, come vedremo nel paragrafo successivo, se l'accesso ai ser
vizi non dipende dallo status socio-economico la partecipazione alle
attività della società potrebbe essere favorita così come il sostegno dei
cittadini alle politiche redistributive. Inoltre, gli schemi universali so
no caratterizzati da una complessità amministrativa e di gestione net
tamente inferiore, con effetti positivi sui costi di gestione; in particola
re non occorre definire complesse norme di accesso e accertarsi che
siano rispettate.
Ai sistemi universali viene di contro addebitata una minore pre
sunta target efficiency (cioè un impiego eccessivo di risorse per rag
giungere determinati obiettivi sociali): poiché le risorse sono trasferite

50 Cfr. Korpi, J. Palme, The Paradox of Redistribution cit. D'altronde sistemi assicurativi
earnings related possono rivelarsi redistributivi laddove la probabilità di accadimento degli
eventi (ad esempio la disoccupazione) è correlata negativamente col reddito; cfr.
Kenworthy, More Targeting cit.
51 A tale proposito, Reddin afferma che il sistema fiscale può rendere «universale
l'erogazione, ma selettivo il consumo», cfr. M. Reddin, Universality versus Selectivity, in
«Politicai Quarterly», 40, 1969. Skocpol rileva come la formula di calcolo adottata possa
creare «targeting dentro l'universalismo», cfr. T. Skocpol, Targeting within Universalism:
Politically Viable Policies to Combat Poverty in the United States, in The Urban Underclass,
a cura di C. Jencks e P.E. Peterson, Brookings Institution, Washington DC 1991.
52 Cfr. Gilbert, Transformation of the Welfare State cit., Rothstein, Just Institutions
Matter cit.; Kildal, Kuhnle The Principle of Universalism cit.
53 Un'opinione contraria è quella di Mackay, il quale afferma che in Nuova Zelanda pro
prio la presenza di numerosi schemi means tested rafforza il senso di solidarietà verso chi è
in condizioni di bisogno e, per tale via, incrementa la coesione sociale, cfr. R. Mackay, The
New Zealand Model: Targeting in an Income-Tested System, in Targeting Social Benefits:
International Perspectives & Trends, a cura di N. Gilbert, Transaction Publisher, New
Brunswick 2000. Si ricordi che lo stigma può essere definito come una perdita di utilità che
l'individuo subisce quando riceve una prestazione che lo identifica come appartenente ad un
gruppo sociale svantaggiato.

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Disuguaglianze

anche a chi non ha necessità impellenti, la complessiva spesa pubblica


risulta maggiore54. Alcuni ritengono anche le elevate aliquote di impo
ste necessarie per finanziare un sistema universale inducono distorsio
ni nei comportamenti (riguardanti soprattutto l'offerta di lavoro e la
formazione del risparmio) con conseguenze negative per l'efficienza55.
Ai supposti vantaggi degli schemi selettivi in termini di target effi
ciency, si contrappongono però numerosi altri limiti56. In primo luogo
il targeting, selezionando l'accesso in base a un determinato criterio, è
soggetto a due tipi di errori: la mancata concessione del trasferimento
a chi ne avrebbe diritto (in termini statistici, errore del I tipo) o,
all'opposto, la concessione del trasferimento a chi non ne avrebbe di
ritto (uno «spreco» o errore del 2 tipo)57.
Tali errori possono dipendere sia da regole amministrative che ren
dono complessa l'identificazione dei beneficiari (e aprono spazio ad
abusi e comportamenti arbitrari da parte delle stesse autorità che gesti
scono lo schema), sia da comportamenti opportunistici degli individui.
Manifestazioni tipiche di tali comportamenti sono, ad esempio, Γ un
der reporting del reddito negli schemi income tested, o le false dichiara
zioni di invalidità. D'altro canto, la necessità di monitorare attentamen
te le certificazioni individuali accresce i costi amministrativi, attenuan
do il vantaggio della selettività in termini di minor spesa complessiva.
Da lato della spesa, questi sistemi di welfare sarebbero caratterizza
ti da una sorta di «effetto bolla»58, cioè la possibilità che la restrizione
dei requisiti di eleggibilità ad uno schema universale spinga a parteci
pare a schemi means tested ad esso complementari, con l'effetto di ri
durre il risparmio di spesa che si intendeva realizzare agendo sull'eleg
gibilità. Ad esempio, rendere più stringenti i requisiti per accedere ai

54 Cfr. D.J. Besharov, Sodai Welfare's Twin Dilemmas: «Universalism vs. Targeting»
and «Support vs. Dependency», mimeo, 1998.
55 Sull'ipotesi di trade off fra welfare e crescita economica attraverso i disincentivi creati
dai meccanismi di imposizione cfr. E. Granaglia, F.R. Pizzuti, M. Raitano, S. Supino, Politi
che sociali e crescita economica: i rischi delle risposte semplici, in Rapporto sullo stato sociale.
Anno 2006, a cura di F.R. Pizzuti, Utet, Torino 2006.
s' Cfr. Targeting Social Benefits: International Perspectives & Trends, a cura di N. Gil
bert, Transaction Publisher, New Brunswick 2000; Van de Walle, Targeting Revisited cit.;
Mkandavire, Targeting and Universalism cit.; Sen, The Political Economy of Targeting cit.
57 La presenza delle due tipologie di errori è chiaramente ancora più estesa laddove, in
assenza di informazioni adeguate sui redditi individuali (come nel caso dei PVS), si costrui
scano schemi di selettività basati anziché sul means testing su proxy delle condizioni di disa
gio individuale (ad esempio l'area di residenza o il settore di attività); cfr. Van de Walle, Tar
geting Revisited cit.; Mkandavire, Targeting and Universalism cit., che, privilegiando gli
schemi universali, rileva come un targeting efficiente che minimizzi gli errori sia di fatto un
bene di lusso accessibile unicamente alle economie più avanzate.
58 Cfr. Gilbert, Targeting Social Benefits cit.

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Raitano, Welfare State e redistribuzione

sussidi di disoccupazione può incrementare la spesa in strumenti


means tested di ultima istanza; o ancora, ridurre le pensioni earnings
related può comportare un incremento della quota di spesa assisten
ziale rivolta agli anziani.
Gli schemi selettivi, inoltre, possono avere effetti perversi, che sono
piuttosto evidenti nel caso dei trasferimenti means tested: se un mag
gior reddito da lavoro impedisce di accedere alla prestazione sociale,
l'effetto può essere quello di ridurre la propria offerta di lavoro. In ter
mini più precisi, l'effetto congiunto dell'erogazione di trasferimenti fi
no a una determinata soglia di reddito e del pagamento delle imposte
una volta superata tale soglia può generare aliquote marginali effettive
elevatissime che rendono conveniente non accrescere il reddito guada
gnato sul mercato. In questi casi si parla di «trappole della povertà».
L'inefficiente copertura degli individui in condizioni di bisogno da
parte degli schemi selettivi può essere aggravata dal fenomeno del bas
so assorbimento - o take up - dei trasferimenti selettivi, per effetto del
quale la quota di beneficiari effettivi è significativamente inferiore ri
spetto agli aventi diritto (in alcuni Paesi fino al 20%).
Le cause del basso grado di take up sono molteplici59: la mancanza
di informazioni adeguate sui benefici ai quali si ha diritto (la presenza
di network e reti sociali fra i gruppi più svantaggiati, ad esempio gli
immigrati, potrebbe tuttavia favorire il diffondersi di tali informazio
ni); la presenza di costi di transazione (anche solo in termini di tempo,
per presentare le domande o accedere al servizio)60; il ruolo degli effet
ti stigma che possono scoraggiare gli individui dal richiedere trasferi
menti means tested61.

59 Cfr. W. Van Oorschot, Non-take-up of Social Security Benefits in Europe, in «Journal


of European Social Policy», 1, 1991; J. Currie, of Social Benefits, NBER working paper n.
10488,2004.
60 La possibilità di tassi di sconto iperbolici, segnalata dai più recenti contributi della
behavioural economics, può rendere ottimale dal punto di vista individuale non richiedere il
beneficio anche in presenza di limitati costi immediati di partecipazione; cfr. Currie, The
Take-Up cit.
" Titmuss afferma che «i trasferimenti means tested sono un attacco alla dignità umana»,
incrementato talvolta anche dall'arbitrarietà e dagli abusi spesso umilianti da parte di chi ge
stisce gli schemi selettivi, cfr. R.M. Titmuss, Commitment to Welfare, George Allen &
Unwin Ltd, London 1968. Moffitt mostra come, in presenza di costi di stigma, la mancata
richiesta di un trasferimento selettivo può massimizzare l'utilità individuale (la sua analisi si
può estendere con facilità a qualunque costo di transazione relativo all'ottenimento di bene
fici selettivi), cfr. R. Moffitt, An Economic Model of Welfare Stigma, in «American Econo
mic Review», 73, 5, 1983. Lo stigma è ovviamente massimo nei meccanismi di self targeting
nei quali, mediante meccanismi di auto-selezione basati su un esplicita perdita di utilità, si
cerca di indurre gli individui ad identificarsi come poveri; cfr. Mkandavire, Targeting and
Universalism cit. La letteratura è tuttavia discorde nella valutazione della gravità dell'effetto
stigma-, cfr. Currie, The Take-Up cit. e Gilbert, Targeting Sodai Benefits cit.

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Disuguaglianze

La scelta fra universalismo e selettività deve quindi necessariamen


te tener conto di tutti questi elementi e anche dell'avversione relativa
da parte della società ai due tipi di errori in cui può incorrere il sistema
selettivo, in particolare del rischio che individui in condizioni di biso
gno non siano raggiunti da trasferimenti targeted. D'altro canto la
stessa idea di maggior target efficiency associata alla selettività va veri
ficata considerando gli effetti dell'accesso più o meno universale agli
schemi di protezione sociale sugli equilibri politici.

7. La selettività e il paradosso della redistribuzione

Gli schemi selettivi appaiono a molti preferibili, in virtù della loro


presunta maggiore efficienza nel ridurre la disuguaglianza e, soprattut
to, la povertà62. Questo vantaggio deriverebbe dal fatto che, essendo de
stinati unicamente ai più bisognosi, i trasferimenti avrebbero una mag
giore capacità di conseguire gli obiettivi distributivi63. Implicita in que
sta tesi è l'assunzione che le politiche sociali siano un «gioco a somma
zero», nel quale le risorse destinate ai più abbienti sono necessariamen
te sottratte ai più svantaggiati, senza che il loro ammontare complessivo
vari. In particolare occorre ipotizzare che nel passaggio da un sistema
universalistico ad uno selettivo il totale di risorse disponibili a scopi re
distributivi non vari, mentre si modifica il numero dei beneficiari.
L'ipotesi di stanziamenti costanti e, soprattutto, indipendenti dalla
natura dei sistemi di welfare è stata fortemente criticata in letteratura64.

" Si ricordi a tale proposito che gli obiettivi di riduzione della disuguaglianza e di soste
gno contro la povertà, seppure strettamente correlati, e spesso implicitamente associati nella
gran parte delle analisi sugli effetti delle politiche sociali, hanno logiche ed implicazioni in
parte autonome e distinte.
" Cfr. J. Le Grand, The Strategy of Equality: Redistribution and the Social Services,
George Allen & Unwin Ltd, London 1982; T. Besley, Means Testing versus Universal Pro
visions in Poverty Alleviation Programmes, in «Economica», 57, 1994, il quale, comparando
gli «sprechi» degli schemi universali (ovvero la destinazione dei trasferimenti anche ai non

f>overi) con i lapiù


ettivi, dimostra elevati costi
superiorità amministrativi
del means testing. e l'eventuale presenza di stigma degli schemi se
M Cfr. J. Creedy, Comparing Tax and Transfer Systems: Poverty, Inequality and Target
Efficiency, in «Economica», 63, 1996; Korpi, Palme, The Paradox of Redistribution cit.;
Moene, Wallerstein, Targeting and Political Support for Welfare Spending cit., J.B. Gelbach,
L. Pritchett, Is More for the Poor Less for the Poor? The Politics of Means-Testing
Targeting, «Topics in Economics Analysis and Policy», 2, 2002; L. Pritchett, The Political
Economy of Targeted Safety Nets, «World Bank Social Protection Discussion Paper Series»,
n. 0501,2005, ¡1 quale evidenzia come i modelli che dimostrano l'ottimalità del targeting a fi
ni redistributivi non siano robusti a considerazioni di tipo politico su come vengano stabiliti
gli stanziamenti di bilancio. La selettività sarebbe quindi sempre ottimale unicamente laddo
ve, con un'ipotesi abbastanza implausibile, nei modelli non si inserisca una «funzione di rea
zione del bilancio pubblico».

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Raitano, Welfare State e redistnbuzione

In una democrazia l'ammontare di risorse disponibili per le politiche


sociali dipende dalle preferenze della maggioranza65, la cui composizio
ne può essere alterata significativamente dalla struttura dello stato so
ciale. In particolare non è privo di rilievo che le politiche sociali riguar
dino anche le classi medie ed alte66 o siano, invece, mirate unicamente ai
più poveri; nel primo caso potrebbe infatti costituirsi un'ampia maggio
ranza a favore dei trasferimenti del welfare, mentre nel secondo la più
ristretta base dei beneficiari delle prestazioni potrebbe ridurre il grado
di consenso e generare, quindi, stanziamenti molto più contenuti.
Proprio sulla base di considerazioni di questo tipo, è stato sostenu
to che l'enfasi sul means testing come strumento più efficiente di redi
stribuzione e riduzione della povertà debba essere, quanto meno, for
temente attenuata. Infatti, l'efficacia redistributiva delle politiche so
ciali dipende sia dalla target efficiency verso gli individui a reddito
basso (ovvero dalla quota delle risorse a loro destinata), sia dall'entità
complessiva del bilancio. Fra le due può esservi un trade off cosicché
il vantaggio sul piano redistributivo del sistema selettivo non appare
del tutto scontato67. In particolare, le risorse disponibili potrebbero es
sere maggiori in uno schema universalistico, e anche di ciò si dovrà te
nere conto nel confronto68.
Qualora la riduzione dell'entità dei trasferimenti fosse talmente
elevata da più che compensare l'eventuale maggiore efficienza di ogni
unità di reddito trasferita, si realizzerebbe il cosiddetto paradosso del

65 Per la logica del ragionamento qui seguito non è necessario fare assunzioni specifiche
sui meccanismi di funzionamento della democrazia (ad esempio sulla validità della teoria
dell'elettore mediano, o sul ruolo delle lobby o dei contrasti di classe).
" Pur senza inficiare il favore anche della classe media (soprattutto in caso di avversione
al rischio o di inefficienza degli schemi privati), le assicurazioni sociali universali possono
essere comunque redistributive quando contengono formule di calcolo progressive e/o
quando l'accadimento dei rischi da loro coperti (ad esempio, disoccupazione, malattia) è in
versamente proporzionale al tenore di vita individuale (da questo punto di vista, al di là della
regola di calcolo adottata, i sistemi previdenziali conterrebbero allora in sé elementi regressi
vi, dato che la mortalità è in media inferiore per i più abbienti e, quindi, la durata media
dell'erogazione delle prestazioni è maggiore).
67 La preferenza fra universalismo e targeting genererebbe poi, attraverso i meccanismi
di formazione del consenso politico, fenomeni di path dependency tali da spiegare le profon
de differenze fra i sistemi di welfare dei diversi Paesi; cfr. Rothstein Just Institutions Matter
cit., Lindbom, Rothstein, The Mysterious Survival cit.; Kildal, Kuhnle, The Principle of
Universalism cit.
" Cfr. Kenworthy, More Targeting, cit. e Mkandavire, Targeting and Universalism cit.,
che segnala come ulteriore paradosso che, soprattutto nei PVS (solitamente più arretrati dal
punto di vista amministrativo), una quota di risorse erroneamente erogate dai programmi
selettivi a chi non ne avrebbe diritto (errore del II tipo) può avvantaggiare i più bisognosi
perché incrementa il supporto politico della classe media e può, quindi, influenzare positiva
mente l'entità dello stanziamento complessivo.

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Disuguaglianze

la redistribuzione in base al quale «quanto più i trasferimenti sono mi


rati ai gruppi a basso reddito, tanto più difficile sarà raggiungere
l'obiettivo della riduzione della disuguaglianza»69.
Altri fattori potrebbero rendere più probabile il verificarsi del pa
radosso: il means testing, indebolendo la coesione sociale e segmen
tando i più poveri, anche per la presenza di stigma, potrebbe ridurre la
loro partecipazione al voto. Ciò, anche per il fatto che si sposterebbe
verso l'alto il reddito dell'elettore mediano, potrebbe ulteriormente ri
durre la dimensione degli stanziamenti destinati alle politiche sociali70.
In questo contesto va ricordato - pur con le cautele connesse
all'incertezza della direzione causale - che numerose indagini rilevano
come i cittadini siano più propensi alla redistribuzione nei Paesi con
sistemi di welfare universali71.
Secondo un ulteriore «paradosso»72, all'interno di uno schema uni
versale un trasferimento flat di entità uguale per tutti non è con cer
tezza più redistributivo di uno legato al reddito (o alla contribuzione)
precedente. Al di là della possibilità di introdurre elementi di progres
sività nelle prestazioni e nel finanziamento degli schemi earnings rela
ted., bisogna infatti guardare sia al diverso equilibrio politico che i due
meccanismi di calcolo dei benefici consentono di raggiungere - e,
quindi, nuovamente, all'entità dello stanziamento complessivo -, sia al
grado di iniquità che si genererebbe negli schemi integrativi privati
(notoriamente più regressivi) qualora una flat di entità limitata indu
cesse i più abbienti a rivolgersi a tali schemi.
Per completare la nostra analisi è però opportuno esaminare
l'evidenza empirica e chiedersi, in particolare, se effettivamente nei
Paesi occidentali si stia assistendo a un trend di crescita del targeting e
se esistano elementi sufficienti per validare o confutare l'ipotesi del
«paradosso della redistribuzione».

8. I sistemi di welfare tra selettività e universalismo:


un'analisi delle recenti tendenze

Per confrontare empiricamente universalismo e selettività, occorre,


in primo luogo, disporre di adeguate metriche di misurazione.
" Cfr. Korpi, Palme The Paradox of Redistribution cit.
Cfr. A.L. Campbell, Universalism, Targeting and Partiápation, mimeo, 2005.
" Cfr. S. Svallfors, Worlds of Welfare and Attitudes to Redistribution: a Comparison of
Eight Western Nations, in «European Sociological Review», 13, 1997. A tale proposito
Mkandavire ritiene che l'universalismo sia maggiormente coerente, dal punto di vista cultu
rale, con misure ispirate all'egualitarismo, cfr. Mkandavire, Targeting and Universalism cit.
72 Cfr. Korpi, Palme The Paradox of Redistribution cit.

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Raitano, Welfare State e redistribuzione

Il grado di universalismo può essere valutato sulla base di un indi


catore di entitlements basato sulla quota di forza lavoro coperta dal si
stema previdenziale pubblico ed assicurata contro i rischi di disoccu
pazione e malattia (si veda la figura 5)73. Questo indicatore conferma
sostanzialmente l'esistenza dei classici «regimi» di welfare: i Paesi nor
dici ed i Paesi Bassi hanno una copertura assicurativa praticamente
universale, seguono i Paesi continentali e, infine, quelli anglosassoni
non europei (in particolar modo Nuova Zelanda e Australia, dove
l'accesso alla quasi totalità degli schemi assicurativi non è a carattere
universale, ma legata al reddito; il valore limitato dell'indice statuni
tense è invece causato dall'assenza di un'assicurazione sanitaria uni
versale)74. Diversa è la situazione di Irlanda e Regno Unito, per la pre
senza di un sistema sanitario nazionale universale e di una quota flat
di pensione per tutti i residenti; tuttavia, a causa dell'importo limitato
di tale quota, quasi tutti i lavoratori non a basso salario partecipano a
schemi integrativi privati. Ciò conferma la necessità di considerare, ai
fini dell'analisi distributiva, non soltanto il grado di partecipazione,
ma anche l'entità del beneficio.
Tra il 1980 e il 2002 questo indice è rimasto generalmente stabile,
ma in alcuni casi si sono avuti incrementi nel grado di universalismo
(molto evidente quello dell'Irlanda, causato dall'entrata a regime del
sistema pensionistico universale). Ciò porta ad una prima parziale
confutazione della tesi dell'arretramento del Welfare State universali
stico, almeno in termini di inclusione della popolazione lavorativa.
Per misurare in modo alternativo il grado di universalismo, si può
fare riferimento alla quota means tested della spesa sociale (si vedano
la tabella 1 - nella quale, a fini comparativi compaiono anche il rap
porto spesa sociale/Pil e la quota di spesa sociale destinata ai trasferi
menti in natura - sia le figure 6a-6d)75.
Dalla serie temporale emerge, in primo luogo, che il peso attribuito
alla spesa sociale means tested è massimo nei Paesi anglosassoni e mi
nimo in quelli del Nord Europa (con l'eccezione della Finlandia).
Inoltre, tale tipo di spesa è sempre molto limitata, con l'eccezione

73 Per una definizione di tale indicatore cfr. Esping-Andersen, The Three Worlds of Wel
fare Capitalism cit., L. Scruggs, Welfare State Generosity cit. e J.P. Allan, L. Scruggs, The
Material Consequences of Welfare States: Benefit Generosity and Absolute Poverty in 16
OECD Countries, mimeo, 2006.
74 Negli Stati Uniti è previsto l'intervento sanitario pubblico unicamente per gli anziani,
nel programma Medicare, e gli indigenti, nello schema Medicaid.
75 Si ricordi che, come discusso nel quarto paragrafo, essendo molto complicato, sia dal
punto di vista concettuale che metodologico, misurare i sistemi di welfare e valutarne i cam
biamenti, l'utilizzo di ambedue gli indicatori presenta una lunga serie di controindicazioni.

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Disuguaglianze

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Raitano, Welfare State e redistribuzione

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Disuguaglianze

dell'Irlanda. Quindi, anche questo indicatore, sembra confermare


l'ipotesi di sostanziale stabilità del ruolo degli schemi selettivi76. Più
precisamente, tra il 1990 e il 2004 la spesa means tested non risulta in
marcata crescita in alcun Paese, diminuisce proprio laddove più eleva
ta è la spesa sociale (Finlandia, Svezia e Norvegia) e cala anche in Ir
landa, come faceva prevedere l'andamento dell'indicatore di universa
lismo. La selettività non cresce (si veda la tabella 1) anche facendo rife
rimento alla quota di spesa basata sul test di reddito per tipologia di
trasferimento (monetario o in natura, il cui peso relativo è invece ge
neralmente cresciuto nel quindicennio in esame) o distinguendo i Pae
si a seconda del «regime» di appartenenza solitamente loro attribuito
in letteratura (si vedano le figure 6a-6d)77. In contrasto con l'indicatore
di universalismo, la spesa means tested conferma la specificità di Irlan
da e Regno Unito, ove i dati sono ben superiori a quelli medi, soprat
tutto nel caso dell'Irlanda.
Ovviamente la quota di spesa means tested cresce, a parità di altre
condizioni, quando si restringono i requisiti di eleggibilità e la genero
sità dei benefici degli schemi universali. Le misure di contenimento
della spesa adottate negli anni novanta (in primis su sanità e pensioni),
avrebbero dovuto produrre un significativo aumento della spesa selet
tiva. Poiché questo non sembra essersi verificato è probabile che si sia
contestualmente avuta una riduzione delle soglie d'accesso o della stes
sa generosità degli schemi assistenziali (ad esempio, con il passaggio
dell'indicizzazione dai salari ai prezzi negli schemi di reddito minimo).
L'andamento della spesa per strumenti di safety nets, d'altronde,
può dipendere dallo stesso ciclo economico. Da questo punto di vista
il trend di lieve crescita osservato nella generalità dei Paesi europei ne
gli anni ottanta - e poi, come visto, sostanzialmente arrestatosi o in
vertitosi nel decennio successivo - potrebbe essere dipeso dal ciclo e
dall'intensa crescita dei livelli di povertà di mercato e dei tassi di di
soccupazione di lunga durata (generalmente, nella quasi totalità dei
Paesi, i sussidi di disoccupazione hanno durata limitata, dopodiché si
può accedere unicamente a specifici schemi means tested, che, però,
mancano in Italia)78.

76 Studi che osservano l'evoluzione della quota di spesa means tested nei Paesi Oese negli
anni ottanta rilevano invece un trend crescente, ma con tassi di incremento molto significati
vi solo in Australia, Nuova Zelanda e Stati Uniti; cfr. Gilbert, Targeting Social Benefits cit.
77 Cfr. Esping-Andersen, The Three "Worlds of Welfare Capitalism cit.; Ferrera, The
Southern Model of Welfare in Social Europe cit.
7S Da questo punto di vista alcuni autori considerano come un retrenchment degli stati
sociali europei (soprattutto di quelli continentali, maggiormente legati allo status occupazio

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Raitano, Welfare State e redistribuzione

Dai pochi studi che hanno analizzato l'impatto specifico degli sche
mi universali e means tested sui principali indicatori distributivi79, emer
gono alcuni risultati interessanti, seppur limitati alla sola riduzione della
povertà80. Ad esempio, il ruolo di gran lunga prioritario svolto dai tra
sferimenti universali nel consentire l'uscita dalla povertà sembra costi
tuire una conferma della probabile esistenza di un «paradosso della re
distribuzione»; inoltre, è di interesse il fatto che il grado di generosità
degli schemi means tested nei sistemi maggiormente universali è signifi
cativamente maggiore di quello dei safety nets nei sistemi più selettivi.
Esaminiamo ora, sulla base della limitata evidenza empirica dispo
nibile, l'andamento degli indicatori di target efficiency negli anni re
centi e la relazione che sussiste fra tale grandezza (che, come detto, an
che se ne viene fortemente influenzata, non è legata da un rapporto di
proporzionalità diretta col ruolo del means testing) e le principali va
riabili distributive.

9. Target efficiency e re distribuzione

Il grado di target efficiency dello stato sociale viene solitamente


calcolato mediante l'indice di concentrazione di Kawkani, che prende
in considerazione soltanto i destinatari delle risorse e non anche l'en

naie) il fatto che, essendo tarati su un modello di male breadwinner che implica di fatto la
piena occupazione maschile, questi non sono stati in grado di adattarsi prontamente alla cre
scita della disoccupazione e pertanto, seppur a parità di popolazione lavorativa assicurata
(come evidenziato dall'indicatore di universalità), a causa della riduzione dei tassi di occupa
zione hanno visto sensibilmente ridursi la quota di popolazione complessiva garantita da
schemi universali; cfr. Lindbom, Rothstein, The Mysterious Survival of the Swedish Welfare
State cit. e Clayton, Pontusson, Welfare State Retrenchment Revisited cit.
" Solo da pochi anni, tramite il database internazionale predisposto nell'ambito del pro
getto LIS (Luxembourg Income Study), si dispone di serie storiche di micro-dati che con
sentono di valutare, anche mediante comparazioni internazionali, l'impatto redistributivo
dell'intervento pubblico. Ciò nonostante, gli studi che hanno valutato esplicitamente gli ef
fetti su disuguaglianza e povertà dei trasferimenti means tested e/o del grado di target effi
ciency sono tuttora pochi e, talvolta, metodologicamente discutibili; cfr. Shaver, Universality
and Selectivity in Income Support cit.; Korpi, Palme, The Paradox of Redistribution cit.; C.
Behrendt, Effectiveness of Means-tested Transfers in Western Europe: Evidence from the
Luxembourg Income Study, LIS working paper n. 211, 1999; C. Behrendt, Holes in the Sa
fety Net? Social Security and the Alleviation of Poverty in a Comparative Perspective, LIS
working paper n. 259, 2000; Mahler, Jesuit, State Redistribution cit.; Κ. Nelson, Mechanisms
of Poverty Alleviation: Anti-poverty Effects on Non-means-tested Benefits in Five Welfare
States, in «Journal of European Social Policy», 14, 2004.
so Cfr. Nelson (ibid.) che analizza l'effetto differenziale degli schemi universali e selettivi
nell'uscita dalla povertà dopo l'intervento pubblico in cinque Paesi (Svezia, Germania, Re
gno Unito, Stati Uniti e Canada). Non sono invece presenti in letteratura studi metodologi
camente robusti che comparano l'impatto dei due tipi di trasferimenti sui principali indici di
disuguaglianza.

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Disuguaglianze

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Raitano, Welfare State e redistribuzione

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Disuguaglianze

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Raitano, Welfare State e redistribuzione

Figura6d.Quotamenste d elaspeasocile.Pasi nglosa ni.

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Disuguaglianze

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Raitano, Welfare State e redistribuzione

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Figura8.Trget ficeny redistrbuzione:mdie lperiod 197-20 .

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Disuguaglianze

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Raitano, Welfare State e redistribuzione

tità complessiva delle risorse stanziate81. Tale indice ha un intervallo di


variazione compreso fra (-1) e (+1) ed assume valore (-1) quando tutto
il trasferimento viene indirizzato all'individuo più povero, (0) quando
è distribuito in eguale misura, attraverso una prestazione flat, all'inte
ra popolazione, (+1) quando va interamente a vantaggio del più ricco.
Questo indicatore mette in evidenza un'ampia disomogeneità fra
Paesi, che non appare spiegabile in base alle usuali distinzioni in «regi
mi» (si veda la figura 7)82. Per unità di trasferimento, il Paese più pro
gressivo è l'Australia, seguita da Regno Unito e Norvegia; Svezia,
Svizzera e Paesi Bassi sembrano realizzare un sistema di trasferimenti
equi-ripartiti, mentre in Francia i più abbienti paiono addirittura rice
vere una quota di risorse maggioritaria. Il caso della Norvegia univer
salista è degno di nota, in quanto sembra confermare l'ipotesi di non
perfetta corrispondenza fra selettività e target efficiency.
L'indicatore in questione (si veda la tabella 2) sembra sostanzial
mente stabile nel tempo; fanno parziale eccezione Svezia e Regno
Unito, che hanno aumentato il grado di progressività, e Svizzera e Sta
ti Uniti, che lo hanno ridotto.
Il «paradosso della redistribuzione», sembra confermato dai dati,
dal momento che, seppur con un'ampia variabilità, la target efficiency
(calcolata mediante l'indice di Kakwani che assume valore negativo in
caso di maggiore progressività) appare negativamente correlata con
l'intensità della redistribuzione (valutata come variazione percentuale
dell'indice di Gini pre e post intervento pubblico di tasse e trasferi
menti; si veda la figura 8); da questo punto di vista i principali outliers
sono Svezia, Belgio e Finlandia, che hanno un grado di redistribuzio
ne ben maggiore di quello suggerito dalla retta di regressione, e Stati
Uniti e Svizzera, che, invece, lo hanno ben minore.
I dati mostrano una discreta correlazione negativa fra target effi
ciency e spesa pubblica per protezione sociale (si veda la figura 9) e,
d'altro canto, la dimensione del bilancio della protezione sociale è, in
modo quasi perfetto, correlata con l'intensità redistributiva (si veda la
figura 10). Pur senza la pretesa di stabilire rigorosi nessi di causalità,
una spiegazione plausibile di queste semplici correlazioni, sembra in
linea con il processo caratteristico del «paradosso della redistribuzio
ne», discusso nel paragrafo 7: il grado di universalismo sembra in

!l Cfr. Mahler, Jesuit, State Redistribution cit.


12 Mahler, Jesuit calcolano l'indice di concentrazione di Kakwani includendo nel calcolo
tutti i principali schemi di assicurazione sociale e di trasferimenti means tested (escludendo
di fatto solo le prestazioni in natura, la cui definizione di un equivalente monetario incontra
ostacoli metodologici quasi insormontabili) cfr. Mahler, Jesuit, State Redistribution cit.

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Disuguaglianze

(lid%)eijosauizejoda eDiqndesa

Figura9.Spesaocilen 203etarg eficnymedianlperiod197-20 .

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Raitano, Welfare State e redistribuzione

(|U9%βυοιζηρυ)euoiznquispay

Figura10.Spesa ociale redistrbuzione l20 (1).

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fluenzare la formazione politica del consenso e, per tale via, la defini


zione delle risorse complessivamente destinate alla protezione sociale.
I meccanismi alla base del paradosso della redistribuzione - fonda
mentale per orientarsi nel dilemma fra universalismo e selettività -
non sono quindi confutati dall'evidenza empirica finora disponibile.
Va però immediatamente aggiunto che manca anche la prova certa del
la loro presenza. La questione merita, dunque, ulteriori analisi. Intan
to, appare indiscutibile che la realtà è ben più complessa di quanto
spesso si assuma. In particolare, essa non si conforma alle semplifica
zioni su cui poggia la conclusione che il ricorso ad una maggiore selet
tività permetterebbe di raggiungere una combinazione migliore di ef
ficienza e di eguaglianza.

10. Conclusioni

La disuguaglianza è un processo complesso, nel quale il Welfare


State svolge un ruolo sicuramente molto importante. In questo lavoro
si è cercato di mostrare quanto complessi, e ancora solo parzialmente
conosciuti, siano i legami tra sistemi di welfare, redistribuzione e disu
guaglianza. Inizialmente, abbiamo illustrato le difficoltà con cui misu
rarsi per definire indicatori significativi sia della redistribuzione (il «la
to destro») sia del Welfare State (il «lato sinistro» della relazione). In
particolare, si è sottolineata l'importanza di poter disporre di un vali
do indicatore di «reddito pieno», inclusivo, cioè, dei trasferimenti in
natura effettuati dal welfare e di variabili fiscali aggiuntive rispetto alle
imposte dirette.
Successivamente, abbiamo affrontato la questione della rilevanza
del diverso grado di universalismo del welfare, mostrando i problemi
che si pongono a definire e misurare appropriatamente questa impor
tante variabile. I risultati emersi, ancorché non conclusivi, permetto
no, in primo luogo, di mostrare i deboli fondamenti teorici e la scarsa
corrispondenza ai fatti di opinioni piuttosto diffuse, come quella se
condo cui un Welfare State maggiormente selettivo risulterebbe
senz'altro più efficace, oltre che più efficiente, nel contrastare le disu
guaglianze e, soprattutto, le povertà. Essi forniscono anche una serie
di indicazioni da valorizzare nell'ulteriore ricerca che, in questo cam
po, appare indispensabile. In particolare, meritano attenzione le pro
babili reazioni all'introduzione di misure selettive che finiscono per
accrescere, anziché ridurre, la spesa sociale.

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