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Microeconomia sintesi (Krugman – R. Wells)

Microeconomia (Università degli Studi Gabriele d'Annunzio - Chieti e Pescara)

Studocu non è sponsorizzato o supportato da nessuna università o ateneo.


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SINTESI MICROECONOMIA
LIBRO più INTEGRAZIONE DEGLI APPUNTI PRESI

LIBRO – Microeconomia (P.Krugman – R.Wells)

Università G.D’Annunzio - Pescara

DEA- corso di laurea L-18: Economia & Management.

a.a 2017-2018 (secondo semestre)

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ECONOMIA DI MERCATO E SISTEMA DEI PREZZI

Il MERCATO è il punto di incontro tra compratore e venditore cioè tra domanda e offerta di beni e servizi.

P.I.L = Prodotto Interno Lordo -> sta ad indicare il reddito prodotto dall’economia di un dato Paese.

LIBERO MERCATO -> regole chiare e accessibili a tutti.

CAPITOLO 1 – PRINCIPI FONDAMENTALI.

Tutte le attività economiche comportano delle scelte che sono una necessità dato che le risorse sono
scarse. In tali scelte però gli individui sono limitati dalla disponibilità di tempo e denaro ma anche dalla
disponibilità di risorse naturali e umane. In molti casi, non si tratta di scegliere se fare qualcosa, ma quanto
dedicarsi a una data attività. Tali scelte quantitative comportano un TRADE-OFF al margine, lo studio di
queste decisioni al margine è noto come ANALISI MARGINALISTA. In un’economia di mercato la spesa di un
individuo è il reddito di un altro. Di conseguenza i cambiamenti dei comportamenti di spesa si ripercuotono
in tutto il sistema economico. A volte la spesa complessiva non è in linea con la capacità dell’economia di
produrre beni e servizi. Abbiamo una situazione di recessione quando la spesa è troppo bassa mentre ci
troviamo in una situazione di inflazione quando la spesa è troppo elevata. Gli individui sfruttano ogni
opportunità per migliorare la condizione, infatti essi reagiscono agli incentivi. Dal momento che tendono
agli incentivi il sistema economico tende all’EQUILIBRIO. I mercati solitamente sono efficienti, se falliscono
l’intervento pubblico (della mano pubblica) può aiutare a migliorare il benessere sociale.

Per capire il funzionamento di un sistema economico, non basta comprendere le dinamiche delle scelte
individuali. Nei sistemi economici moderni, le decisioni sono influenzate dalle decisioni di altre persone. Le
scelte individuali sono determinate da dei principi fondamentali che sono:
-Principio 1: LE SCELTE SONO NECESSARIE PERCHÉ LE RISORSE SONO SCARSE;
Tale principio sta ad indicare che è risorsa tutto ciò che può essere utilizzato per produrre
qualcos’altro. Una risorsa è scarsa se la quantità disponibile non è sufficiente a soddisfare tutti gli
usi ad essa destinati.
-Principio 2: IL VERO COSTO DI QUALCOSA È IL SUO COSTO-OPPORTUNITÀ;
Si enuncia che il vero costo di un bene è il suo costo-opportunità, ciò tutto ciò a cui si rinunci per
ottenere un determinato bene.
-Principio 3: UNA DECISIONE QUANTITATIVA È UNA DECISIONE AL MARGINE;
Si enuncia che le decisioni comportano un TRADE-OFF, cioè la compartizione tra costi e benefici di
una data attività. Una scelta tra svolgere un po’ più o un po’ meno una data attività è una scelta al
margine. Lo studio di tali decisioni al margine è detta ANALISI MARGINALISTA che ha un ruolo di
rilevante importanza nell’economia.
-Principio 4: IN GENERE GLI INDIVIDUI RISPONDONO AGLI INCENTIVI, SFRUTTANDO LE OPPORTUNITÀ PER
MIGLIORARE IL PROPRIO BENESSERE;
Tale principio di sfruttare gli incentivi per migliorare il proprio benessere è alla base di tutte le
previsioni formulate dagli economisti. In generale le dinamiche più interessanti di un sistema
economico non sono il semplice risultato di scelte individuali, ma il modo in cui le scelte di diversi
individui interagiscono.
-Principio 5: LO SCAMBIO APPORTA BENEFICI;
In un’economia di mercato gli individui si dedicano allo scambio: offrono ad altri individui beni e
servizi per ricevere in cambio beni e servizi diversi. Tutti gli individui possono godere dei benefici
dello scambio, ottenendo più beni e servizi di quanti ne otterrebbero in condizioni di auto

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sufficienza. L’aumento della produzione è dovuto alla SPECIALIZZAZIONE quando ognuno si dedica
all’attività che gli è più congeniale.
-Principio 6: I MERCATI TENDONO ALL’EQUILIBRIO;
Una situazione economica si trova in una situazione di equilibrio quando nessuno può migliorare la
propria condizione comportandosi diversamente. I mercati raggiungono l’equilibrio attraverso le
variazioni dei prezzi che aumentano o diminuiscono fino ad ottenere una situazione che non può
essere più migliorata.
-Principio 7: PER REALIZZARE GLI OBIETTIVI DELLA SOCIETÀ, LE RISORSE DEVONO ESSERE UTILIZZATE NEL
MODO PIÙ EFFICIENTE POSSIBILI;
Esiste un trade-off tra efficienza ed equità.
Un sistema economico è efficiente se sfrutta tutte le opportunità per migliorare il benessere di
alcune persone, senza danneggiarne altre. Equità invece significa che ciascuno ottiene ciò che gli
spetta.
-Principio 8: I MERCATI, DI SOLITO, SONO EFFICIENTI;
A seguito della definizione di efficienza giungiamo a quest’altro principio che esplicita che ci
troviamo in un mercato inefficiente quando il perseguimento di un interesse individuale porta al
peggioramento del benessere sociale [es.il fallimento].
-Principio 9: SE I MERCATI NON SONO EFFICIENTI, L’INTERVENTO PUBBLICO PUÒ MIGLIORARE IL
BENESSERE DELLA SOCIETÀ;
Nel caso in cui ci troviamo di fronte ad un mercato inefficiente, i governi e le politiche pubbliche
opportunamente formulate possono condurre verso uno stato di efficienza , modificando l’impiego
che il sistema economico fa delle risorse disponibili.
-Principio 10: LA SPESA DI UN INDIVIDUO È IL REDDITO DI UN ALTRO;
Ciò significa che in un economia di mercato dato che gli individui guadagnano vendendo beni e
servizi ad altri individui, il cambiamento del comportamento/gusti di spese di un individuo si
ripercuotono in tutto il sistema economico attraverso una serie di reazioni a catena. A seguito di
queste ripercussioni il mercato si può trovare di conseguenza in una situazione di recessione o
inflazione.
-Principio 11: LA SPESA COMPLESSIVA A VOLTE NON È IN LINEA CON LA CAPACITÀ PRODUTTIVA
DELL’ECONOMIA.
Nel caso in cui la spesa complessiva di troppo elevata e l’economia si trova in uno stato di
INFLAZIONE, cioè un aumento dei prezzi. Tale situazione si genera quando la quantità richiesta dai
consumatori è maggiore della quantità offerta dalle imprese.
-Principio 12: LE POLITICHE PUBBLICHE POSSONO MODIFICARE IL LIVELLO DELLA SPESA;
I governi possono decidere di variare le entrate o le uscite di denaro attraverso l’imposizione di
fiscale, andando ad influire sul reddito degli individui e delle imprese.

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CAPITOLO 2 – I MODELLI ECONOMICI: TRADE-OFF E SCAMBIO.

Un modello economico è la rappresentazione semplificata di una situazione reale; è un insieme di rapporti


causa-effetto che spiegano un dato fenomeno.
Nel semplificare la realtà rappresentandola mediante un modello si ricorre all’ipotesi a parità delle altre
condizioni, implica che tutti gli altri fattori rilevanti rimangano invariati.
I principali modelli economici sono:
-FRONTIERA DELLE POSSIBILIÀ DI PRODUZIONE.
Lo scopo di questo modello è quello di migliorare la comprensione dei trade-off, che caratterizzano
un sistema economico, che produce solo due beni, mostrando la quantità massima di un bene che
può essere prodotta, data la quantità prodotta dell’altro bene .
Esempio:

Costo-opportunità:

30/40 => 3/4

40/30 => 4/3

Un sistema economico è efficiente se non ci sono opportunità sprecate: cioè quando non è possibile
migliorare il benessere di un soggetto senza peggiorare quello di un altro.
Il COSTO-OPPORTUNITÀ è il vero costo di un bene, che non è solo l’ammontare di denaro necessario per
acquistarlo ma anche tutto ciò a cui si deve rinunciare per ottenerlo.

Quantità del bene a cui rinuncio


COSTO-OPPORTUNITÀ =
Bene di cui sto espandendo la produzione

Esempio:

Occorre rinunciare a 5 unità.

Costo opportunità => 30/40 ->3/4

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-VANTAGGIO COMPARATO E LO SCAMBIO.


Illustra il principio dei benefici reciproci dello scambio tra individui e tra Paesi. Un Paese ha un vantaggio
comparato nella produzione di un bene o di un servizio se il costo-opportunità è inferiore a quello di altri
Paesi. Nella misura in cui i soggetti economici hanno costi-opportunità diversi, ciascuno ha un vantaggio
comparato in qualcosa e uno svantaggio in un'altra. Lo scambio, assume la forma del baratto quando gli
individui scambiano direttamente beni e servizi che possiedono per quelli che desiderano ottenere.

-LE TRANSAZIONI: IL DIAGRAMMA DI FLUSSO.


Esso rappresenta due flussi circolari di direzione opposta che
comprendono tutte le transazioni che hanno luogo in un
sistema economico. Affinché tutto funzioni, bisogna
effettuare tutto secondo uno specifico ciclo [famiglie ->
imprese -> mercati].
Le famiglie offrono la loro forza lavoro alle imprese che
daranno loro in cambio denaro. Le imprese invece offrono al
mercato beni e servizi in cambio di denaro, in questo modo le
imprese ottengono delle entrate monetarie che utilizzeranno
per ripagare i lavoratori e per acquistare beni e servizi
necessari nella produzione.

In molti casi la ricerca economica ricade nell’ambito dell’analisi positiva, che si prefigge di descrivere il
funzionamento del mondo,spesso formulando delle previsioni che possono giungere a conclusioni giuste o
sbagliate. Invece, l’analisi normativa, prescrive come dovrebbe funzionare il mondo, spesso ci sono solo
giudizi di valore.

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APPENDICE CAPITOLO 2 – I GRAFICI IN ECONOMIA.

Una variabile è una grandezza che può assumere più di un valore. I grafici usati in economia si basano su
uno spazio cartesiano, nel quale si misurano i valori di due variabili, in modo da vedere la relazione che
esiste tra loro. Fra due variabili esiste una relazione causale se il valore assunto dall’una influenza o
determina il valore dell’altra. In una relazione causale la variabile determinante è detta dipendente mentre
la variabile determinate è detta dipendente.

In un grafico una curva è una linea che rappresenta una relazione fra due variabili, se la curva è una retta
vuol dire che tra le sue variabili esiste una relazione lineare invece se è una curva vuol dire che la relazione
non è lineare. Due variabili sono caratterizzate da una relazione diretta quando all’aumentare del valore di
una aumenta anche il valore dell’altra (fig.a). Due variabili invece, sono caratterizzate da una relazione
inversa se all’aumentare del valore di una l’altra diminuisce (fig.b).

La PENDENZA di una curva è la misura del suo grado di inclinazione. Ci serve a capire cosa succede se
cambiano le variabili inoltre ci dice a quanto rinunciare per aumentare una determinata quantità.
La pendenza è il rapporto incrementale tra base e altezza.
𝑉𝑎𝑟𝑖𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑖 𝑦 ∆𝑦
= => 𝑃𝐸𝑁𝐷𝐸𝑁𝑍𝐴
𝑉𝑎𝑟𝑖𝑎𝑖𝑧𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑖 𝑥 ∆𝑥
Pendenza positiva => al crescere di una
variabile cresce anche l’altra;
progressivamente cresce e progressivamente
decresce
Pendenza negativa => all’aumentare di x, y
diminuisce.
Se una curva è orizzontale, il valore della
variabile y è costante; quindi, in ogni punto
della curva la sua variazione è zero. Se
invece, una curva è verticale, il valore della
variabile x è costante, quindi in ogni punto
della curva la sua variazione è zero. Quindi la
pendenza di una curva verticale è infinita.
Una curva ha pendenza positiva crescente se
la pendenza, pur restando sempre positiva
aumenta progressivamente; una curva ha

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invece pendenza positiva decrescente se la pendenza, pur restando positiva, diminuisce progressivamente.
Abbiamo diversi modi per calcolare la pendenza lungo una curva non lineare:
-METODO DELL’ARCO. Occorre tracciare una linea retta tra i due estremi dell’arco: la sua pendenza è pari
alla pendenza media del segmento di curva compreso tra i due estremi.
-METODO DEL PUNTO. Calcola la pendenza di una curva in un punto specifico, in questo caso si traccia una
retta che tocca la curva e tale retta viene detta TANGENTE.
La condizione di tangenza è che la linea retta tocchi la
curva in uno e un solo punto.

La tangente viene calcolata con la derivata


prima, tale derivata si annulla quando ha un
massimo punto o un punto di minimo. Quando
la pendenza va da positiva a negativa è un
punto di massimo, mentre, quando va da
negativa a positiva è un punto di minimo.

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CAPITOLO 3 – DOMANDA E OFFERTA.

Il mercato è formato da produttori e consumatori che si scambiano beni e servizi in cambio di denaro.

Un MERCATO CONCORRENZIALE è un mercato caratterizzato da una molteplicità di venditori e compratori


dello stesso bene, nessuno dei quali è in grado di influenzare il prezzo al quale il bene viene venduto, infatti
sono denominati tutti PRICE TAKERS. Tale mercato è ben descritto nel modello di domanda e offerta.
Inoltre, in un mercato concorrenziale il prezzo è determinato dall’incontro tra domanda e offerta.

N.B=> I PRICE TAKERS subiscono il prezzo deciso dal mercato.

-> LA DOMANDA
Una scheda di DOMANDA è una tabella che indica la quantità di un bene o servizio che gli individui sono
disposti ad acquistare per ogni livello di prezzo. La CURVA DI DOMANDA è la rappresentazione grafica della
scheda di domanda; che descrive la quantità domandata e il prezzo. Secondo la legge della domanda,
quanto maggiore è il prezzo di un bene, tanto minore sarà la quantità domandata dai consumatori di quel
bene.
Lo SPOSTAMENTO della curva di domanda
corrisponde alla variazione della quantità
domandata per ogni livello di prezzo; è
rappresentata dal dislocamento della curva
originaria in una nuova posizione. La curva di
domanda può traslare a seguito del cambiamento di
qualcosa di esogeno, non registrato sul grafico come
ad esempio i gusti e la volontà dei consumatori.
Abbiamo due tipi di traslazioni della curva: nel primo
caso la curva di domanda trasla verso destra cioè
verso l’esterno, quando c’è un aumento della quantità domandata; mentre nel secondo caso la curva trasla
verso sinistra, cioè verso l’origine degli assi, nel caso in cui c’è una diminuzione della quantità domandata di
beni o servizi.
Le cause che provocano lo spostamento della curva sono:
-LA VARIAIZONE DEL PREZZO DEI BENI E SERVIZI CORRELATI;
Sono definiti beni correlati quei bei che tra loro possono essere sostituti o complementari. Sono
definiti beni sostituiti quei beni per cui l’aumento del prezzo di uno provoca l’aumento della
quantità domandata dell’altro (es. se il prezzo della coca-cola aumenta la sua domanda diminuisce,
di conseguenza la domanda della pepsi aumenta). Invece, sono definiti beni complementari quei
beni che i consumatori acquistano insieme; l’aumento del prezzo di uno fa diminuire la quantità
domandata del bene stesso e del bene ad esso complementare (es. se il prezzo del caffè aumenta la
sua domanda diminuisce e di conseguenza diminuisce anche la domanda dello zucchero).
-LE VARIAZIONI DEL REDDITO;
All’aumento del reddito gli individui sono disposti ad acquistare una quantità maggiore di beni e
servizi, per ogni dato prezzo. In questo caso distinguiamo due tipi di beni: i beni normali che
all’aumentare del reddito la domanda del bene in questione aumenta, i beni inferiori invece sono
quei beni che all’aumento del reddito la loro quantità domandata diminuisce (es. aumenta il
reddito i consumatori compreranno maggiori quantità di camice in cotone in tal caso la domanda di
camice sintetiche diminuisce).
-I CAMBIAMENTI DELLE PREFERENZE;
-I CAMBIAMENTI DELLE ASPETTATIVE;

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LE VARIAIZONI DEL NUMERO DI CONSUMATORI.


Diversi dalle traslazioni della curva sono i movimenti lungo la curva di domanda che corrispondono alle
variazioni della quantità domandata di un bene generata dalla variazione del suo prezzo .
Una CURVA DI DOMANDA INDIVIDUALE illustra la relazione tra quantità domandata e prezzo per il singolo
consumatore. La CURVA DI DOMANDA DI MERCATO illustra la relazione tra la quantità domandata
complessivamente da tutti i consumatori ed è data dalla somma orizzontale delle varie curve individuali.

N.B=> la CURVA di DOMANDA ha pendenza NEGATIVA.

-> L’OFFERTA

La quantità offerta è l’effettiva quantità che gli individui (imprese), sono disposti a vendere a un dato livello
di prezzo ai consumatori di determinati beni o servizi. La scheda di offerta indica la quantità di ogni bene
e/o servizio che gli individui sono disposti a vendere a ogni dato livello di prezzo. Una curva di offerta
descrive graficamente la relazione tra quantità offerta e prezzo. Secondo la legge dell’offerta quanto più
elevato è il prezzo tanto maggiore è la quantità di beni e servizi offerti dai produttori ai consumatori.
Anch’essa subisce gli spostamenti che sono variazioni delle
quantità offerte ai diversi livelli di prezzo; è rappresentato
graficamente della traslazione della curva di offerta originaria
verso una nuova curva. Quando la curva di offerta trasla verso
destra si parla di un aumento dell’offerta; quando invece la
curva trasla verso sinistra si parla di una diminuzione
dell’offerta. Le cause principali dello spostamento della curva
di offerta sono:
-LE VARIAZIONI DEI PREZZI DEI FATTORI DI PRODUZIONE;
I fattori di produzione sono quei beni e servizi utilizzati per produrre altri beni e servizi; un aumento
o una diminuzione del prezzo di tali fattori provoca un aumento o una diminuzione da parte dei
venditori della quantità offerta.
-LE VARIAZIONI DEI PREZZI DI BENI O SERVIZI CORRELATI;
Se un impresa produce e vende più prodotti la quantità di ciascun bene che è disposta a offrire per
ogni livello di prezzo dipende anche dagli altri beni che produce.
-I CAMBIAMENTI DELLA TECNOLOGIA;
I miglioramenti tecnologici permettono ai produttori di ridurre i costi di produzione, in tal caso la
quantità offerta aumenta.
-I CAMBIAMENTI DELLE ASPETTATIVE;
-LE VARIAZIONI DEL NUMERO DEI PRODUTTORI.
Diversi dalle traslazioni della curva sono i movimenti lungo la curva di offerta che corrispondono alle
variazioni della quantità offerta di un bene a seguito dalla variazione del suo prezzo .
Una CURVA DI OFFERTA INDIVIDUALE illustra la relazione tra quantità domandata e prezzo per il singolo
produttore. La CURVA DI OFFERTA DI MERCATO illustra la relazione tra la quantità offerta
complessivamente da tutti i produttori ed è data dalla somma orizzontale delle varie curve individuali.

N.B=> la CURVA di OFFERTA ha pendenza POSITIVA.

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-> L’EQUILIBRIO DI MERCATO

Un mercato concorrenziale è in equilibrio quando il prezzo


raggiunge il livello in corrispondenza del quale la quantità
domandata e la quantità offerta del bene sono uguali. Tale
prezzo è detto PREZZO DI EQUILIBRIO e la quantità acquistata
e venduta a quel prezzo è detta QUANTITÀ DI EQUILIBRIO. In
corrispondenza di quel prezzo e di quella quantità nessun
venditore può migliorare la sua situazione offrendo una
maggiore o minore quantità a un maggior o minor prezzo e
nessun acquirente può accrescere il proprio benessere
offrendosi di acquistare una quantità maggiore o minore del
bene. Graficamente le due curve vengono rappresentate sullo stesso piano cartesiano.
I mercati quando funzionano in modo concorrenziale hanno delle forza al loro interno che le spingono a
raggiungere una situazione di equilibrio.
Si registra un’ECCEDENZA di un bene quando la quantità
offerta è maggiore della quantità domandata, ovvero quando il
prezzo di mercato è superiore al prezzo di equilibrio. Tale
situazione è detta anche SURPLUS DELL’OFFERTA, cioè quando
le imprese producono più beni di quanto il mercato richiede.
Quando ci troviamo di fronte a tali situazioni le imprese
diminuiscono i prezzi per aumentare le vendite. Se il prezzo è
superiore a quello di equilibrio ci sarà una forza che lo farà
diminuire.

Si registra, invece, una PENURIA di un bene quando la


quantità offerta è minore della quantità domandata, ovvero
quando il prezzo di mercato è inferiore a quello di equilibrio.
Tale situazione viene denominata anche SURPLUS DI
DOMANDA, che a sua volta genera una spinta al rialzo del
prezzo.

In ogni caso il mercato converge verso una situazione di equilibrio.


Un aumento della domanda provoca un incremento sia del prezzo sia della quantità di equilibrio; una
diminuzione della domanda provoca una riduzione sia del prezzo sia della quantità di equilibrio.
Un aumento dell’offerta provoca una diminuzione del prezzo di equilibrio e un aumento della quantità di
equilibrio; una diminuzione dell’offerta provoca un aumento del prezzo di equilibrio e una diminuzione
della quantità di equilibrio.
Le curve di domanda e offerta possono spostarsi anche simultaneamente. Se le curve si spostano in
direzioni opposte possiamo prevedere l’effetto sul prezzo ma non sulla quantità; se si spostano nella stessa
direzione, possiamo prevedere l’effetto sulla quantità ma non sul prezzo.

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CAPITOLO 4 – IL SURPLUS DEL CONSUMATORE E DEL PRODUTTORE.

Definiamo DISPONIBILITÀ A PAGARE il prezzo massimo che un potenziale consumatore è disposto a pagare
per un determinato bene, detto anche PREZZO DI RISERVA. Il SURPLUS INDIVIDUALE del CONSUMATORE è
il beneficio netto che il singolo compratore trae dall’acquisto del bene, ed è pari alla differenza fra la sua
disponibilità a pagare e il prezzo pagato. Il surplus totale del consumatore è la somma del surplus
individuale del consumatore e di tutti i compratori del bene.
Il surplus totale del consumatore derivante dall’acquisto di un bene a
un dato prezzo è pari all’area compresa tra la curva di domanda e la
semiretta orizzontale corrispondente a quel livello di prezzo. La
diminuzione del prezzo fa aumentare il surplus del consumatore in due
modi: accrescendo il surplus di chi avrebbe acquistato il bene anche al
prezzo originario, ma lo può acquistare a un prezzo inferiore;
inducendo nuovi consumatori ad acquistare il bene al prezzo più
basso. Un aumento del prezzo, invece, riduce il surplus del
consumatore in maniera simmetrica.
Il consumatore marginale è colui il cui prezzo di riserva è uguale al costo bel bene. Il consumatore
intermarginale invece, è colui che ha un prezzo di riserva maggiore del prezzo del bene.
Il COSTO DEL VENDITORE è il prezzo minimo a cui un potenziale venditore è disposto a vendere; tale
concetto di costo è associato all’esborso di denaro finalizzato alla produzione di un bene. Il costo del
venditore include oltre alle spese monetarie anche eventuali costi opportunità
Il SURPLUS INDIVIDUALE del PRODUTTORE è il beneficio netto che il
singolo venditore trae della vendita del bene ed è pari alla differenza fra
il suo costo e il prezzo incassato.
Il surplus totale del produttore in un mercato è la somma del surplus
individuale del produttore di tutti i venditori del bene. Il surplus totale
del produttore derivante dalla vendita di un bene a un dato prezzo è pari
all’area compresa tra la curva di offerta e una semiretta orizzontale
corrispondente a quel livello. L’area del surplus del produttore
rappresenta il guadagno che i produttori ricevono dalla vendita di quel bene. L’aumento del prezzo di un
bene accresce il surplus del produttore in due modi: incrementando il surplus di chi avrebbe venduto ad un
prezzo originario, e che può vendere a un prezzo superiore; inducendo nuovi produttori a vendere il bene a,
prezzo più elevato. Una diminuzione del prezzo riduce il surplus del produttore in maniera simmetrica.
Riducendo il benessere di un individuo aumento il benessere di un altro individuo. Modificando
l’allocazione del benessere si va a peggiorare la situazione. Il mercato fornisce quanto necessario per la
distribuzione.
Il surplus totale misura il beneficio che la società trae dagli scambi in un mercato.
I mercati di solito sono efficienti. Possiamo dimostrarlo verificando cosa accade se, a partire da una
posizione di equilibrio, si riallocano il consumo con le vendite, o si varia la quantità scambiata del bene.
Qualsiasi risultato diverso dall’equilibrio di mercato riduce il surplus totale. Ciò significa che l’equilibrio di
mercato è efficiente.
Un’economia composta da mercati efficienti è a propria volta efficiente, anche se di fatto impossibile nella
realtà. I pilastri dell’efficienza sono i diritti di proprietà e l’azione dei prezzi quali segnali economici. In
alcune condizioni può verificarsi un fallimento del mercato.

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CAPITOLO 5 – CONTROLLO DEI PREZZI E DELLA QUALITÀ: INTERFERIRE CON I MERCATI.

Per ragioni politiche i governi intervengono sui mercati per regolare i prezzi imponendo dei limiti ai prezzi.
Si possono avere due tipi di forme:
-il LIVELLO MASSIMO DI PREZZO (limite superiore): è il prezzo massimo che i venditori possono praticare;
-il LIVELLO MINIMO DI PREZZO (limite inferiore): è il prezzo minimo che i compratori devono pagare.
Nel caso in cui i governi impongono un limite massimo di prezzo, i venditori hanno un minor incentivo a
offrire beni e servizi, di conseguenza la quantità offerta rispetto alla situazione di libero mercato è di meno.
Al tempo stesso però i consumatori hanno maggior incentivo ad acquistare ad un livello di prezzo minore
rispetto alla situazione di libero mercato, di conseguenza la quantità domandata aumenta, si crea cosi una
penuria di beni e servizi. Se invece il livello massimo di prezzo imposto è superiore al prezzo di equilibrio,
non si avrà alcun effetto.
Ogni penuria causata dal controllo dei prezzi, può essere gravemente dannosa perché crea inefficienza.
L’equilibrio di mercato porta alla vendita e all’acquisto della quantità
giusta, cioè quella quantità che massimizza la somma del surplus del
consumatore e del surplus del produttore. La PERDITA SECCA è la
perdita di surplus totale che si genera ogni qualvolta un’azione o una
politica riduce la quantità scambiata al di sotto del livello di equilibrio
di un mercato efficiente.

Oltre alla perdita secca abbiamo un altro tipo di inefficienza; un livello


massimo di prezzo spesso genera inefficienza sotto forma di un’ALLOCAZIONE INEFFICIENTE ai
consumatori: alcuni individui che hanno una necessita impellente del bene sono disposti a pagare un prezzo
più elevato, non riescono a procurarselo; altri pur avendo una minore necessità e un’inferiore disponibilità
a pagare riescono ad ottenerlo.
Un'altra forma di inefficienza causata da un livello massimo di prezzo è lo SPRECO DI RISORSE: gli individui
sono costretti a impiegare tempo, denaro ed energie a causa della situazione di penuria provocata dal
provvedimento. Abbiamo poi un'altra forma di inefficienza provocata da un livello massimo di prezzo ed è
la QUANTITÀ INEFFICIENTEMENTE SCADENTE del bene: i venditori offrono beni di qualità scadente anche se
i compratori sarebbero disposti a pagare di più per beni di qualità superiore.
Un ultima conseguenza negativa dei limiti massimi di prezzo è il MERCATO NERO; un mercato nel quale si
scambiano illegalmente beni e servizi, o perché lo scambio è proibito, o perché il prezzo applicato è
maggiore del livello massimo imposto per legge.
Un livello minimo di prezzo fissa il prezzo minimo di mercato a un livello superiore a quello di equilibrio,
arrecando beneficio a chi riesce comunque a vendere il bene, ma creando una situazione di eccedenza
persistente: il prezzo è mantenuto artificialmente al di sopra del livello di equilibrio, quindi la quantità
domandata è minore di quella di equilibrio, e la quantità offerta maggiore. Anche in questo caso emergono
alcuni problemi: PERDITA SECCA dovuta a quantità inefficientemente bassa, ALLOCAZIONE INEFFICIENTE
delle vendite tra i venditori, SPERECO DI RISORSE e QUALITÀ INEFFICIENTEMENTE ELEVATA. Inoltre, un
livello minimo di prezzo incoraggia le attività illegali e il mercato nero. Il salario minimo è il livello minimo
legale imposto al salario, che è il prezzo di mercato del lavoro ed è il livello minimo di prezzo maggiormente
conosciuto.
Un CONTROLLO DELLA QUANTITÀ, stabilisce la massima quantità di un bene che può essere scambiata sul
mercato. La quantità totale che può essere scambiata legalmente è detta limite imposto dal

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CONTINGENTAMENTO. Inoltre sappiamo già che una licenza conferisce al titolare il diritto a vendere un
bene. Un controllo della quantità, o contingentamento, crea un differenziale fra il prezzo di domanda e il
prezzo di offerta, ciò vuol dire che il prezzo pagato dagli acquirenti è più elevato di quello incassato dai
venditori. La differenza invece fra il prezzo di domanda e il prezzo di offerta in corrispondenza del limite
imposto dal contingentamento è la rendita della quota: il guadagno che i titolari della licenza realizzano.
Tale rendita della quota corrisponde al prezzo di mercato della licenza.

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CAPITOLO 6 – L’ELASTICITÀ.

L’elasticità della domanda rispetto al prezzo: è la variazione percentuale della quantità domandata in
risposta ad una variazione percentuale del prezzo. Tale formula si esprime con: variazione della quantità
domandata (var. della quantità domandata / quantità iniziale) la variazione del prezzo (var. del prezzo /
prezzo iniziale). Un altro modo per calcolare l’elasticità è con il metodo del punto medio con tale modo si
vanno a calcolare le variazioni di una variabile in rapporto alla media del suo valore iniziale e finale.
𝑣𝑎𝑙𝑜𝑟𝑒 𝑖𝑛𝑖𝑧𝑖𝑎𝑙𝑒 + 𝑣𝑎𝑙𝑜𝑟𝑒 𝑓𝑖𝑛𝑎𝑙𝑒
𝑉𝐴𝐿𝑂𝑅𝐸 𝑀𝐸𝐷𝐼𝑂 𝐷𝐼 𝑋 =
2
La domanda è perfettamente anelastica se la quantità domandata non è affatto reattiva a variazioni del
prezzo. Se la domanda è perfettamente anelastica la curva di domanda è una semiretta verticale, perché
per ogni possibile variazione di prezzo, è nulla, l’elasticità della domanda al prezzo in questo caso è zero.
La domanda,invece, è perfettamente elastica se qualsiasi aumento di prezzo riduce la quantità domandata
a zero. Se la domanda è perfettamente elastica, la curva di domanda è una retta orizzontale.
In conclusione si può affermare che: la domanda è elastica se il valore dell’elasticità della domanda al
prezzo è maggiore di 1 in tal caso l’effetto di quantità prevale sull’effetto di prezzo, una diminuzione del
prezzo causa un aumento dei ricavi; è anelastica invece se è minore di 1, l’effetto di prezzo prevale
sull’effetto della quantità, una diminuzione del prezzo causa una riduzione dei ricavi; e ha elasticità unitaria
se il suo valore è esattamente 1, i due effetti si compensano a vicenda, i ricavi non variano al variare del
prezzo.
La distinzione tra domanda elastica, anelastica e unitaria è importante perché aiuta a prevedere l’effetto di
una variazione del prezzo sul ricavo totale realizzato da chi vende il bene. Il RICAVO TOTALE è definito come
il valore totale derivante dalla vendita di un bene o servizio, e si calcola moltiplicando il prezzo del bene per
la quantità venduta.
RICAVO TOTALE => PREZZO x QUANTITÀ
Nella maggior parte delle curve di domanda, l’elasticità al prezzo varia al variare del punto della curva in cui
è calcolata.
I principali fattori che determinano l’elasticità della domanda sono:
-disponibilità di beni sostituti;
l’elasticità tende ad essere elevata se ci sono altri beni che i consumatori ritengono simili e che
sarebbero disposti a consumare al posto di quello il cui prezzo è aumentato.
-il fatto che il bene sia di prima necessità o di lusso;
l’elasticità tende ad essere bassa se il bene è necessario; tende invece, a essere elevata se il bene è
di lusso.
-la quota di reddito spesa nell’acquisto del bene;
l’elasticità tende ad essere bassa se la spesa per l’acquisto del bene non rappresenta una modesta
quota del reddito del consumatore. In tal caso una variazione significativa del prezzo non produce
alcun effetto.

-il tempo trascorso dalla variazione del prezzo del bene.


In genere l’elasticità della domanda al prezzo è tanto maggiore quanto più tempo i consumatori
hanno a disposizione per adeguarsi alla variazione del prezzo. Ciò significa che l’elasticità di lungo
periodo è maggiore di quella di breve periodo.

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L’elasticità incrociata della domanda rispetto al prezzo: è la variazione percentuale della quantità
domandata di un bene in risposta ad una variazione percentuale del prezzo di un altro bene. Si calcola
come il rapporto tra la variazione percentuale della quantità domandata di un bene e la variazione
percentuale del prezzo dell’altro.
𝐸𝑙𝑎𝑠𝑡𝑖𝑐𝑖𝑡à 𝑖𝑛𝑐𝑟𝑜𝑐𝑖𝑎𝑡𝑎 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑑𝑜𝑚𝑎𝑛𝑑𝑎 𝑎𝑙 𝑝𝑟𝑒𝑧𝑧𝑜 𝑑𝑖 𝑑𝑢𝑒 𝑏𝑒𝑛𝑒 =
𝑣𝑎𝑟𝑖𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 % 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑞𝑢𝑎𝑛𝑡𝑖𝑡à 𝑑𝑜𝑚𝑎𝑛𝑑𝑎𝑡𝑎 𝑑𝑒𝑙 𝑏𝑒𝑛𝑒 𝐴
𝑣𝑎𝑟𝑖𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 % 𝑑𝑒𝑙 𝑝𝑟𝑒𝑧𝑧𝑜 𝑑𝑒𝑙 𝑏𝑒𝑛𝑒 𝐵
L’elasticità della domanda rispetto al reddito: è la variazione percentuale della quantità domandata in
risposta ad una variazione percentuale del reddito dei consumatori. La domanda di un bene è elastica al
reddito se l’elasticità della domanda al reddito ha un valore maggiore di 1. La domanda di un bene invece, è
anelastica al reddito se l’elasticità della domanda al reddito è minore di 1.
𝑣𝑎𝑟𝑖𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 % 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑞𝑢𝑎𝑛𝑡𝑖𝑡à 𝑑𝑜𝑚𝑎𝑛𝑑𝑎𝑡𝑎
𝐸𝑙𝑎𝑠𝑡𝑖𝑐𝑖𝑡à 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑑𝑜𝑚𝑎𝑛𝑑𝑎 𝑎𝑙 𝑟𝑒𝑑𝑑𝑖𝑡𝑜 =
𝑣𝑎𝑟𝑖𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 % 𝑑𝑒𝑙 𝑟𝑒𝑑𝑑𝑖𝑡𝑜

Per misurare la reazione dei produttori alle variazioni del prezzo prendiamo in considerazione l’ ELASTICITÀ
DELL’OFFERTA AL PREZZO. È definita in modo simile della domanda al prezzo e viene calcolata:
𝑣𝑎𝑟𝑖𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 % 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑞𝑢𝑎𝑛𝑡𝑖𝑡à 𝑜𝑓𝑓𝑒𝑟𝑡𝑎
𝐸𝑙𝑎𝑠𝑡𝑖𝑐𝑖𝑡à 𝑑𝑒𝑙𝑙 ′ 𝑜𝑓𝑓𝑒𝑟𝑡𝑎 𝑎𝑙 𝑝𝑟𝑒𝑧𝑧𝑜 =
𝑣𝑎𝑟𝑖𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 % 𝑑𝑒𝑙 𝑝𝑟𝑒𝑧𝑧𝑜

Una curva di offerta è perfettamente anelastica se l’elasticità dell’offerta al prezzo è nulla, di modo che una
qualsiasi variazione del prezzo non ha alcun effetto sulla quantità offerta. Se l’offerta è invece
perfettamente anelastica, la curva di offerta è una semiretta verticale.
Una curva di offerta è perfettamente elastica se una diminuzione minuscola del prezzo provoca un
aumento in commisurabile della quantità offerta, per cui l’elasticità dell’offerta al prezzo è infinita. Se
l’offerta è perfettamente elastica, la curva di offerta è una semiretta orizzontale. L’elasticità dell’offerta al
prezzo dipende dalla disponibilità di fattori di produzione, dalla facilità con cui è possibile destinarli ad usi
alternativi e dal tempo intercorso dalla variazione del prezzo.

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L’ELASTICITÀ DELLA DOMANDA E DELL’OFFERTA:

DOMANDA ANELASTICA -> elasticità della domanda al prezzo minore di 1;

DOMANDA ELASTICA -> elasticità della domanda al prezzo maggiore di 1;

DOMANDA UNITARIA -> elasticità della domanda al prezzo uguale a 1;

BENI SOSTITUTI -> elasticità positiva;

BENI COMPLEMENTARIA -> elasticità negativa;

BENI NORMALI -> elasticità al reddito positiva;

BENI INFERIORI -> elasticità al reddito negativa;

ELASTICA AL REDDITO -> maggiore di 1;

ANELASTICA AL REDDITO -> minore di 1;

OFFERTA ANELASTICA -> elasticità nulla;

OFFERTA ELASTICA -> elasticità ∞.

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CAPITOLO 7 – LA TASSAZIONE.

L’ ACCISA è l’imposta che va a gravare sulle transazioni cioè su ciascuna unità venduta di un bene o di un
servizio. Anche se la maggior parte delle entrate tributarie provengono dalle entrate tributarie, le accise
sono molto comuni. Le accise producono degli effetti sul mercato: i produttori ad un prezzo maggiore
offrono una quantità maggiore di beni viceversa se ne offrono di meno. Se il governo aumenta l’accisa la
curva di offerta trasla verso l’alto; dato che all’aumentare dell’accisa i consumatori pagano lo stesso prezzo
ma i venditori del bene guadagnano di meno, di conseguenza la quantità offerta diminuisce. Se invece
l’accisa grava sui consumatori la curva di domanda trasla verso il basso.
Come il contingentamento, anche l’accisa genera inefficienza poiché va ad alterare gli incentivi e impedisce
il perfezionarsi di transazioni reciprocamente vantaggiose.
Secondo il principio generale dell’imposizione fiscale, che siano i venditori o i consumatori a versare
l’imposta, ciò non ha alcun effetto sul risultato di equilibrio.
La ripartizione dell’onere di un’accisa dipende dall’elasticità della domanda e dell’offerta.
Nel caso in cui abbiamo una domanda anelastica è un’offerta elastica l’accisa grava principalmente sui
consumatori. Possiamo inoltre affermare che secondo il principio generale se l’elasticità della domanda al
prezzo è bassa e quella dell’offerta è elevata, l’accisa graverà sui consumatori. Nel caso opposto invece,
cioè se abbiamo una domanda elastica ma un’offerta anelastica, l’accisa andrà a gravare principalmente sui
produttori. Possiamo affermare secondo il principio generale che anche in questo caso se abbiamo un
elasticità al prezzo elevata e un’elasticità dell’offerta al prezzo bassa, l’accisa graverà principalmente sui
produttori
Il beneficio di un'imposta è il gettito che genera per l'erario e che permette al governo di finanziare i servizi
che offre; questo beneficio ha un costo che di solito è superiore al beneficio, cioè gli importi versati da
produttori e consumatori.
L'aliquota fiscale è l'ammontare dell'imposta che i contribuenti sono tenuti a versare su ogni unità di ciò
che viene tassato; a volte è definita in €uro altre volte in percentuale.
Il gettito corrisponde all'area evidenziata, e viene calcolata:
Area= base x altezza => gettito.

Tra l'aliquota e il gettito c'è una relazione, in generale si può affermare che il raddoppio dell'aliquota non
comporta il raddoppio del gettito, perchè all'aumentare dell'imposta la quantità di bene scambiato
diminuisce. Inoltre si può affermare che se l'aliquota viene fissata ad un livello eccessivamente elevato da
scoraggiare il numero delle transazioni, il gettito diminuisce. L'inefficienza complessiva provocata da
un'imposta è la somma della perdita secca e dei costi amministrativi. Secondo una regola generale, a parità
delle altre condizioni, il sistema tributario deve essere configurato in modo tale da mimimizzare
l'inefficienza totale per la società.

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Un’accisa genera una perdita secca perche scoraggia alcune


transazioni reciprocamente vantaggiose: in particolare la perdita
secca è pari alla perdita di surplus del produttore dovuta alla
mancanza di transazoni. Pertanto, quanto maggiore è il numero di
transazioni che non si perfezionano a causa dell’imposta, tanto
maggiore è la perdita secca. Un’imposta su un bene la cui
domanda e/o offerta è elastica provoca una notevole riduzione
della quantità scambiata, di conseguenza, una perdita secca
relativamente pronunciata. Se invece ci troviamo in una situazione
in cui l’imposta su un bene è anelastica essa causa una modesta riduzione della quantità scambiata e,
dunque, una perdita secca relativamente contenuta. Se l’obiettivo è minimizzare la perdita secca
provocata dall’imposta bisogna tassare i beni e i servizi la cui domanda o offerta è anelastica. Se invece si
vuole ricorrere all’imposizione fiscale per ridurre le attività dannose allora tale provvedimento è maggiore
quanto più quell’attività ha una domanda elastica.
Quando parliamo di imposte facciamo riferimento a due principi di equità fiscale.
-Secondo il principio delle prestazioni e controprestazioni, l’onere di un’imposta dovrebbe essere
sostenuta dai benefici della spesa pubblica che quell’imposta va a finanziare. Tale principio si
coinuga con la teoria della spesa pubblica secondo la quale è necessario l’intervento dello Stato per
fornire beni e servizi che il mercato da se non offrirebbe.
-Secondo il principio della capacità contributiva, un’imposta deve gravare in misura
preponderante su chi è maggiormente in grado di pagarla.
-Abbiamo poi, un’imposta forfettaria che viene pagata da tutti i contribuenti in
ugual misura, a prescindere dalle azioni o dai comportamenti individuali. Esse sono
considerate meno eque dei tributi il cui ammontare è proporzionale al valore delle
transazioni
In un sistema fiscale ben configurato si ha sempre un trade-off fra equità ed efficienza: il sistema stesso può
essere reso più efficiente solo a discapito dell’equità, e viceversa.
Tutte le imposte sono costituite da due componenti:
-La BASE IMPONIBILE è la misura o il valore che determina l’ammontare dell’imposta che un
individuo deve pagare;
-la STRUTTURA FISCALE è il modo in cui l’imposta dipende dalla base imponibile e,
solitamente, è espressa in percentuale.
Abbiamo diversi tipi di imposte: sul reddito, sui ruoli paga, sulle vendite, sui profitti, sugli immobili e sul
partimonio. Inoltre, le imposte possono essere progressive e regresasive:
-un’imposta progressiva è versata in misura proporzionalmente maggiore dei contributi ad alto
reddito;
-un’imposta regressiva è versata in misura proporzionalmente maggiore dai contribuenti a
basso reddito.
Viene definita aliquota marginale la percentuale di imposta versata su ogni incremento di reddito.

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CAPITOLO 8 – IL COMMERCIO INTERNAZIONALE.

I beni e i servizi venduti all’estero costituiscono le ESPORTAZIONI, mentre i beni e servizi a acquistati
all’estero costituiscono le IMPORTAZIONI.
Il commercio internazionale non è solo il modo in cui i paesi interagiscono economicamente.
Gli economisti utilizzano il termine autarchia per descrivere una situazione in cui un paese non intrettiene
scambi commerciali con altri paesi.
Il commercio internazionale apporta benefici per entrambi i paese:
gli scambi internazionale, dunque, provocano un aumento della produzione mondiale di beni, tale
benieficio porta i paesi all’autosufficienza, cioè produrre autonomamente il paniere di beni che consumano.
A tal punto la produzione totale mondiale aumenta, rendendo possibile un più elevato standard di vita.
Il prezzo relativo è il prezzo di un bene in termini di un altro nei mercati intermazionali. Tale prezzo deve
soddisfare una particolare condizione in cui nessun paese deve pagare un prezzo superiore al proprio costo-
opportunità di produrre quel bene in regime di autarchia. Una volta soddisfatta tale condizione il prezzo
relativo effettivo è determinato nei mercati interazionali dalla domanda e dall’offerta.
I benefici del commercio internazionale non dipendono dal vantaggio assoluto, bensì dal vantaggio
comparato, infatti esso è alla base del commercio internaizonale. Il vantaggio comparato deriva da tre fonti
principali che sono:
-la differenza di clima;
-la differenza nelle dotazioni di fattori, a causa di elementi geografici e storici, le
combinazioni di fattori disponibili differiscono da un paese all’altro. La relazione tra
vantaggio comparato e disponibilità dei fattori è illustrata nel modello Heckscher-Ohlin,
secondo il quale un paese tende ad avere un vantaggio comparato rispetto a quei beni la
cui produzione richiede un uso intensivo dei fattori abbondantemente disponibili nel paese.
I due concetti fondamentali di questo modello sono:
-l’abbondanza dei fattori cioè la disponibilità complessiva di un fattore rispetto ad altri;
-l’intensità fattoriale si riferisce al fatto che le imprese impiegano i fattori di produzione in
rapporti differenti a seconda del bene prodotto.
-la differenza nelle tecnologie.
La curva di domanda interna di un bene mostra la relazione tra la quantità domandata dagli abitanti di un
paese stesso e il prezzo de bene.
La curva di offerta interna di un bene, invece, mostra la relazione tra la quantità offerta dai produttori di un
paese e il prezzo del bene.
Il prezzo mondiale è il prezzo al quale il bene può essere acquistato o venuduto all’estero.
In una situazione di autarchia l’equilibrio di tale mercato sarebbe determinato dall’intersezione delle due
curve e il surplus del consumatore e del produttore sono pari.
a seguito dell’apertura di un mercato alle importazioni si registra un incremento netto del surplus totale.
Gli esportatori a causa del prezzo internazionale più elevato, possono acquistare nel mercato interno e
rivenderli in quello internazionale, realizzndo un profitto, di conseguenza il prezzo interno aumenta fino a
raggiungere il prezzo mondiale, la quantità dei consumatori iinterni diminuisce. Come le importazioni, le
esportazioni provocano un aumento del surplus totale del paese esportatore.
Il commercio internazionale tende a stimolare la domanda dei fattori relativamente abbondanti e a ridurre
quella dei fattori scarsi; di conseguenza, i prezzi dei fattori abbondanti tendono ad aumentare mentre quelli
die fattori scarsi a diminuire.
La maggior parte degli economisti è a favore dell’economia di libero scambio ma il governo non mira a
ridurre o incrementare i livelli di importazioni ed esportazioni che si realizzerebbero per effetto
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dell’interazione domanda-offerta. Nella realtà molti governi praticano la protezione commerciale. Le due
forme più comuni di protezionismo sono:
-i dazi cioè imposte sulle importazioni; innalzano il prezzo interno al di sopra del prezzo mondiale,
danneggiando i consumatori, apportando un beneficio ai produttori e generando entrate per lo
Stato; di conseguenza il surplus totale diminuisce.
-il contingentamento delle importazioni; è un limite legale sulle quantità di un bene che è
possibile importare: ha lo stesso effetto del dazio, l’unica differenza è che il ricavo non va al
governo ma ai possessori delle licenze di importazione.
Tale protezionismo riflette l’influenza politica dei produttori interni che competono con le importazioni
dall’estero. Il protezionismo, inoltre ha natura prettamente politica.
I trattati commerciali internazioniali sono accordi mediante i quali i paesi si impegnano a ridurre le proprie
misure protezionistiche in cambio della promessa che gli altri paesi faranno altrettanto.

PREZZO DI AUTARCHIA:

PREZZO CON DAZIO:

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CAPITOLO 9 – IL PROCESSO DECISIONALE DEGLI INDIVIDUI E DELLE IMPRESE.

Il consumatore sceglie in base a quanto spende e al beneficio che ne ricava; il produttore invece, scegli per
decidere quanto produrre prefigurando dei ricavi in relazione ai costi. Il vantaggio del consumatore si
chiama UTILITÀ; esso infatti in relazione ad un bene ha una funzione di utilità. Questa funzione è sempre
concava (positiva decrescente), tende cioè ad azzerarsi man mano che aumenta la quantità del bene
consumata.
In microeconomia si fa un’ipotesi, più aumenta il consumo del bene più aumenta l’utilità. L’utilità totale è la
somma delle utilità marginali, mentre l’utilità marginale è quella che considera un’utilità in più. [quindi
acquistando un’unità in più il vantaggio marginale è legato a quell’unità in più.]
Per esaminare la relazione fra i costi-opportunità e gli esborsi monetari, gli economisti ricorrono ai concetti
di costo esplicito e costo implicito.
Un COSTO ESPLICITO è un costo che comporta un esborso monetario.
Un COSTO IMPLICITO invece è quel costo che non richiede un esborso monetario, ma è
commisurato al valore monetario del beneficio a cui si deve rinunciare.
I profitti contabili sono la differenza tra beneifici (ricavi) e costi espliciti; mentre i profitti economici sono il
risultato della differenz tra benefici, costi espliciti e costi impliciti.
In genere quando parliamo di profitto, gli economisti fanno riferimento al profitto economico e non al
profitto contabile.
Il capitale è il valore totale dell’attività di un individuo o di un’impresa. Il capitale di un individuo è dato dal
saldo liquido del C.C. bancario, dal suo portafoglio e dal valore delle sue proprietà. Nel caso delle impree,
invece, il capitale comprende anche i beni mobili materiali (attrezzature e macchinari) e i beni
immagazzinati (beni non ancora venduti).
L’Homo economicus è razionale ed ottimizzante: sceglie ciò che gli dà il massimo beneficio; cioè il massimo
profitto economico cioè una scelta intrapresa secondo il principio della scelta tra attività alternativa,
principio seconod il quale, nello scegliere fra due attività bisogna prediligere quella che offre un profitto
economico positivo. Tale scelta intrapresa si basa su valori marginali.
Molte decisioni economiche comportano una scelta fra alternative, ma molte altre hanno natura
quantitativa. Tutte le decisioni quantitative sono decisioni al margine. A tal proposito facciamo riferimento
attraverso l’analisi marginalista, che mette a confronto il costo e il beneficio marginale.

Mentre il costo marginale è il costo aggiunto necessario per produrre un


unità in più di un bene o servizio [il costo totale è la somma dei costi
marginali];
La curva dei costi marginali ddescrive graficamente la relazione tra il costo
di produzione e la quantità gia prodotta.
In genere la curva di costo marginale è crescente, cioè cresce al crescere della quantità prodotta.
Il beneficio marginale è il beneficio aggiuntivo ottenuto mediante la
produzione o il consumo di un’unità in più di tale bene o servizio.
La curva di beneficio marginale descrive graficamente la relazione tra il
beneficio generato dalla produzione o consumo e la quantità già
prodotta.
Mentre la curva di beneficio marginale è decrescente, cioè diminuisce al crescere della quantità prodotta o
della quantità consumata.
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Secondo l’analisi marginalista, la quantità ottimale è quella che massimizza i profitti o l’utilità totale, ed è
quella in corrispondenza della quale il beneficio marginale è superioere o uguale al costo marginale. Un
procedimento da adottare per trovare la quantità ottima nel caso in cui il processo decisionale riguardi un
numero limitato di quantità possibili.
Continuare ad incrementare la quantità fino al punto in cui il beneficio marginale di una unità addizionale è
maggiore o uguale al relativo costo marginale, fermandosi prima che il beneficio marginale diventi miniore
del costo marginale.
Quando una decisone quantitativa concerne una quantità relativamente grande la regola è:
la quantità ottimale, cioè quella che massimizza il profitto, è la quanittà più elevata in corrispondenza della
quale il beneficio marginale è uguale al costo marginale. Tale regola generale prende il nome di principio
dell’analisi marginalista per la massimizzazione del profitto; che può essere applicato a tutte le decisioni
quantitative nelle quali l’obiettivo è quello di massimizzare il profitto totale di un’attività.
Altri elementi che influenzano o meno la scelta sono i costi sommersi cioè quei costi che sono gia stati
sostenuti e che non possono essere recuperati. Nelle decisioni economiche riguardanti scelte future tali
costi indrebbero ignorati.

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CAPITOLO 10 – IL CONSUMATORE RAZIONALE.

Il consumatore razionale confronta il suo beneficio marginale con il suo costo marginale e con la sua
funzione di utilià. Il beneficio è identificato dalla soddisfazione che a sua volta viene identificata dalla
funzione di utilità.
L’utilità del consumatore è una misura del beneficio, o della soddisfazione, che un consumatore ottiene dal
possesso o dal consumo di un bene o servizio.
Il paniere di consumo, invece, è l’insieme di tutti i beni e servizi che il consumatore acquista.
La funzione di utitlità associa ad ogni paniere di consumo un livello di utilità. In linea generale indica l’utilità
totale che un individuo trae dal proprio paniere di consumo. Distinguiamo l’utilità totale dall’utilità
marginale. L’utilità marginale di un bene o servizio è la variaizone dell’utilità totale prodotta dal consumo di
una unità addizionaledi quel bene o servizio. La curva di utitlità marginale mostra come l’utilità marginale
dipende dalla quantità consumata di beni o servizi.
Secondo il principio dell’utilità marginale decrescente; l’utilità generata da una unità addizionale di un bene
o servizio diminuisce progressivamente all’aumentare della quantità totale in possesso del consumatore.
Ovvero l’utilità generatà da una unità addizionale di un bene
è sempre minore di quella generata dall’unità precedente.

Il vincolo di bilancio impone che il costo del paniere di consumo di un individuo non sia superiore al suo
reddito totale. Esso è un limite posto alla possibilità di consumo di un individuo; la redditività totale è il
limite massimo. Ovvero il costo del paniere di consumo che acquista non può essere superiore al suo
reddito totale.
Le possibilità di consumo sono l’insieme dei panieri di beni che può
acquistare, dato il suo reddito ed i prezzi dei beni. È rappresentato
dall’area sottostante la retta di bilancio, e quast’ultima mostra i panieri di
consumo che un consumatore può acquistare se spende tutto il suo
reddito.
La scelta del paniere di consumo ottimo cioè il paniere che ottimizza il
trade-off, è quello che massimizza l’utilità del consumatore dato il suo
vincolo di bilancio.
L’utilità marginale per €uro speso nell’acquisto di un bene o un servizio è l’utilità addizionale che deriva
dalla spesa di un €uro in più per quel bene o servizio. Il consumatore massimizza la sua utilità, dato il suo
vincolo di bilancio, quando l’utilità per €uro speso in ciascuno dei beni o servizi che acquista è la stessa.
L’utilità marginale per €uro speso su ciascun bene, diminuisce all’aumentare del consumo di quel bene a
causa del prinicipio dell’utilità marginale decrescente.
𝑈′𝑐 𝑈′𝑝
=
𝑃𝑐 𝑃𝑝

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Come gia detto in precedenza la curva di domanda individuale, esprime la relazione tra il consumo
individuale di un bene e il suo prezz, ha di solito pendenza negativa. Di conseguenza la curva di domanda di
mercato ha ugualmente pendenza negativa, e si ottiene dalla somma orizzontale delle curve di domanda
individuali di tutti i consumatori. Un altro modo per interpretare la pendenza negativa della curva di
domanda è concentrarsi sul costo-opportunità.
L’effetto della variazione del prezzo sulla quantità è una caratteristica onnipresente detta, EFFETTO DI
SOSTITUZIONE, è una conseguenza della variazione del prezzo di un bene e la variaizone della quantità
consumata del bene dovuta alla sostituzione, da parte del consumatore in quanto quel determinato bene e
divenuto più costoso rispetto ad altri.
L’EFFETTO DI REDDITO, è anch’esso la conseguenza della variaizone del prezzo di un bene e la variazione
della quantità del bene stesso, dovuta a un cambiamento del potere d’acquisto, complessivo del
consumatore causato dalla variaizone del prezzo del bene.
Tale effetto non ha rilevanza sul consumo individuale, pertanto la pendenza negativa della curva di
domanda è dovuta esclusivamente all’effetto di sostituzione.
Un bene di GIFFEN è un ipotetico bene inferiore, su cui l’effetto di sostituzione e l’effetto di reddito
agiscono in senso opposto: l’effetto di sostituzione tende a causare una diminuzione della quantità
domandata mentre, l’effetto di reddito tende a produrre un aumento della quantità domandata.

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CAPITOLO 11 – DIETRO LA CURVA DI OFFERTA: FATTORI DI PRODUZIONE E COSTI.

La funzione di produzione, esprime la relazione fra la quantità di fattori di produzione impiegati e la


quantità di prodotto da essi ottenuta. Tali fattori possono essere distinti in:
-fattori di produzione fissi, cioè fattori la cui quantità in un determinato periodo di tempo (breve
periodo) è data e non può essere modificata.
-fattori di produzione variabili, cioè fattori la cui quantità può essere modificata in
qualunque momento.
N.B. nel lungo periodo tutti i fattori sono variabili.
N.B. Nel breve periodo invece almeno un fattore è fisso.
La curva di prodotto totale descrive il modo in cui la quantità prodotta dipende dalla quantità del fattore di
produzione variabile, per ogni data quantità del fattore di produzione fisso.
Il prodotto marginale di un fattore di produzione è la quantità aggiuntiva che si ottiene utilizzando una
unità addizionale di quel fattore di produzione.
𝑃𝑅𝑂𝐷𝑂𝑇𝑇𝑂 𝑀𝐴𝑅𝐺𝐼𝑁𝐴𝐿𝐸 𝐷𝐼 𝑈𝑁 𝐹𝐴𝑇𝑇𝑂𝑅𝐸 𝐷𝐼 𝑃𝑅𝑂𝐷𝑈𝑍𝐼𝑂𝑁𝐸
𝑣𝑎𝑟𝑖𝑎𝑖𝑧𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑞𝑢𝑎𝑛𝑡𝑖𝑡à 𝑝𝑟𝑜𝑑𝑜𝑡𝑡𝑎 ∆𝑄
= 𝑜𝑝𝑝𝑢𝑟𝑒 => 𝑃′ 𝐿 =
𝑣𝑎𝑟𝑖𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑞𝑢𝑎𝑛𝑡𝑖𝑡à 𝑑𝑒𝑙 𝑙𝑎𝑣𝑜𝑟𝑜 ∆𝐿
La pendenza di una curva si misura dividendo la distanza
verticale tra due punti sulla curva per la distanza orizzontale
tra gli stessi.

Secondo la legge dei rendimenti decrescenti di un fattore di produzione; aumentando la quantità impiegata
di un solo fattore, tenendo costante la quantità impiegata degli altri fattori, il prodotto marginale del
fattore diminuisce. All’aumentare della quantità di un fattore fisso utilizzata, aumenta la produttività del
fattore variabile.
La curva di prodotto totale e la curva di prodotto
marginale dipendono dal livello del fattore di
produzione fisso; all’aumentare della quantità di un
fattore fisso utilizzato, aumenta la quantità di un
fattore variabile.

Il costo totale (CT) di una data quantità prodotta è uguale alla somma dei costi fissi (CF) e dei costi variabili
(CV), che si devono sostenere per produrre quella determinata quantità.
COSTO TOTALE = COSTO FISSO + COSTO VARIABILE (=> CT= CF+CV).
Il costo marginale generato da una unità addizionale di prodotto è dato da:
∆𝐶𝑇 𝑣𝑎𝑟𝑖𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑒𝑙 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑜 𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒
𝐶′ = =>
∆𝑄 𝑣𝑎𝑟𝑖𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑞𝑢𝑎𝑛𝑡𝑖𝑡à 𝑝𝑟𝑜𝑑𝑜𝑡𝑡𝑎

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La curva di costo totale descrive graficamente la relazione fra il costo totale e la quantità prodotta, essa ha
pendenza positiva: data la presenza dei costi variabili, quanto più la produzione aumenta, tanto maggiore è
il costo. A tal proposito la curva di costo medio totale (CMT) è convessa.
-Decrescente in corrispondenza di bassi livelli di produzione.
Effetto ripartizione: quanto maggiore è la quantità prodotta, tanto maggiore è la quantità su cui si
ripartisce il costo fisso, di conseguenza tanto maggiore è il costo medio fisso (CMF).
-Crescente in corrispondenza di livelli elevati di produzione.
Effetto dei rendimenti decrescenti: quanto maggiore è la quantità prodotta, tanto maggiore
è il fattore di produzione variabile necessario a produrre un’unità addizionale e tanto
maggiore è il costo medio variabile (CMV).
All’aumentare della quantità prodotta il prodotto marginale del fattore di produzione variabile diminuisce,
di conseguenza per produrre un’unità addizionale di prodotto bisogna utilizzare quantità crescenti del
fattore (= costo marginale crescente ).

𝐶𝑇
𝐶𝑀𝑇 = = 𝐶𝑀𝐹 + 𝐶𝑀𝑉
𝑄
𝐶𝐹
𝐶𝑀𝐹 = => 𝑒𝑓𝑓𝑒𝑡𝑡𝑜 𝑟𝑖𝑝𝑎𝑒𝑟𝑡𝑖𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒
𝑄
𝐶𝑉
𝐶𝑀𝑉 = => 𝑒𝑓𝑓𝑒𝑡𝑡𝑜 𝑑𝑒𝑖 𝑟𝑒𝑛𝑑𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑑𝑒𝑐𝑟𝑒𝑠𝑐𝑒𝑛𝑡𝑖
𝑄

Il COSTO MARGINALE è la variazione di costo generata dalla produzione di un’unità addizionale di un bene
o servizio.
𝑣𝑎𝑟𝑖𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑒𝑙 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑜 𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒 ∆𝐶𝑇
𝐶𝑂𝑆𝑇𝑂 𝑀𝐴𝑅𝐺𝐼𝑁𝐴𝐿𝐸 = = 𝐶′ =
𝑣𝑎𝑟𝑖𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑞𝑢𝑎𝑛𝑡𝑖𝑡à 𝑑𝑖 𝑙𝑎𝑣𝑜𝑟𝑜 ∆𝑄

Tale costo corrisponde alla pendenza della curva di costo totale. La curva di costo medio marginale incontra
il punto medio di costo nel punto minimo.
La pendenza negativa della curva nel tratto iniziale è dovuta all’espansione iniziale a partire da livelli molto
bassi che apportano benefici in termini di specializzazione e divisione del lavoro. Abbiamo rendimenti
crescenti superato un certo limite (MIN C’).
Se il costo marginale è maggiore del costo medio totale, il costo
medio è crescente.
Se il costo marginale è minore del costo medio totale, quest’ultimo
è decrescente.

Il COSTO MEDIO TOTALE è pari al costo totale diviso la quantità complessivamente prodotta che
corrisponde al costo per unità di prodotto.
𝑐𝑜𝑠𝑡𝑜 𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒 𝐶𝑇
𝐶𝑀𝑇 = =>
𝑞𝑢𝑎𝑛𝑡𝑖𝑡à 𝑝𝑟𝑜𝑑𝑜𝑡𝑡𝑎 𝑄
Esso è importante perche indica al produttore quanto costa in media produrre un’unità di prodotto. La
curva di costo medio totale ha la caratteristica di essere convessa, dovuta al modo in cui il costo medio
totale prima diminuisce e poi aumenta all’aumentare della quantità prodotta.
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Il costo medio totale ha dei suoi elementi che sono:


costo fisso
-Costo medio fisso (CMF) , esso diminuisce all’aumentare della quantità prodotta.
quantità prodotta
costo variabile
-Costo medio variabile (CMV) , è una funzione crescente della quantità prodotta.
quantità prodotta
Un aumento della quantità prodotta ha due effetti sul costo medio totale:
1)effetto di ripartizione quanto maggiore è la quantità prodotta, tanto maggiore sarà la quantità su cui
ripartire il costo fisso, tale effetto è molto pronunciato a bassi livelli di produzione;
2)effetto dei rendimenti decrescenti quanto maggiore è la quantità prodotta, tanto maggiore è il fattore di
produzione variabile necessario a produrre unità addizionali e tanto maggiore è il costo medio variabile.
In conclusione possiamo affermare che l’effetto di ripartizione prevale sull’effetto dei rendimenti
decrescenti e la curva di costo medio totale ha pendenza negativa.
Il COSTO MEDIO TOTAL MINIMO ha forma convessa e raggiunge il livello minimo nel punto più basso della
curva. La quantità che corrisponde al costo medio totale minimo è detta produzione in minor costo; in tale
punto di minimo la curva di costo marginale interseca quella di costo medio totale.
Si possono affermare tre principi:
-in corrispondenza del minor costo, il costo medio totale è uguale al costo marginale;
-per quantità inferiori alla produzione di minor costo, il costo marginale è minore del costo medio totale ed
esso è decrescente;
-per quantità invece superiori il costo marginale è maggiore del costo medio totale ed esso è crescente.
Spesso in corrispondenza di bassi livelli di produzione si hanno rendimenti crescenti dei fattori, grazie ai
benefici offerti dalla specializzazione e dalla divisione del lavoro, ciò rende la curva di costo marginale
convessa inizialmente decrescente e successivamente crescente.
Nel lungo periodo, il costo fisso diventa variabile il cui valore può essere determinato dall’impresa. Per ogni
livello di produzione esiste un livello di costo fisso che minimizza il costo medio totale.
La curva di costo medio totale nel lungo periodo descrive la relazione fra la quantità prodotta e il costo
medio totale quando il costo fisso è stato scelto in modo da minimizzare il costo medio totale per ogni dato
livello di produzione.
Si hanno rendimenti di scala crescenti (economie di scala ),
se il costo medio totale di lungo periodo diminuisce
all’aumentare della quantità prodotta.
Si hanno invece rendimenti di scala decrescenti
(diseconomie di scala), se il costo medio totale di lungo
periodo aumenta all’aumentare della quantità prodotta.
Si hanno, infine, rendimenti di scala costanti se il costo
medio totale di lungo periodo rimane costante
all’aumentare della quantità prodotta.

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CAPITOLO 12 – LA CONCORRENZA PERFETTA.

La concorrenza perfetta è un mercato senza barriere in cui nessun produttore e nessun compratore è
sufficientemente grande rispetto alle dimensioni del mercato, in termini di quote di mercato, da avere il
potere di influenzare il prezzo di equilibrio. In un mercato di concorrenza perfetta la curva di domanda è
una retta orizzontale.

In un mercato perfettamente concorrenziale tutti gli operatori di quel mercato (produttori e consumatori)
sono price-taker, il prezzo è stabilito dal mercato, nel punto di incontro tra domanda e offerta.
Un settore perfettamente concorrenziale ha 3 caratteristiche fondamentali:
1. Ci sono molti produttori, nessuno dei quali con una quota di mercato rilevante;
2. il prodotto è standardizzato: i beni sono percepiti dai consumatori come sostituti perfetti;
3. c’è libertà di entrata e di uscita dal settore (una caratteristica importante per l’efficienza
dell’industria): nuove imprese possono entrare facilmente nel settore e imprese già esistenti possono
uscire senza dover sostenere ulteriori costi, perche sono libere di fare fallimento.
nel grafico viene rappresentato che il costo marginale (C’), cresce
al crescere della produzione.
Beneficio marginale = costo marginale -> non è possibile
migliorare ancora di più il benessere perché gia ci troviamo in una
situazione di ottimo.

∆RT
Ricavo marginale => R′ = Q

Un produttore sceglie quanto produrre in base alla regola del prodotto ottimo: produrre la quantità tale
per cui il ricavo marginale è uguale al costo marginale. Per un’impresa price-takers il ricavo marginale è
uguale al prezzo, e la curva di ricavo marginale è una retta orizzontale con intercetta verticale in
corrispondenza del prezzo. Questa impresa determina la quantità da produrre in base alla regola del
prodotto ottimo di un’impresa price-taker: produrre la quantità tale per cui il prezzo è uguale al costo
marginale.
La decisione di un’impresa di continuare a produrre o uscire dal mercato deve basarsi sul profitto
economico.
L’incrocio tra la curva del costo marginale e la curva del costo
medio totale corrisponde al prezzo di pareggio (o al CMT
minimo):
 se P > CMT minimo l’impresa sta realizzando un
profitto positivo. Nel lungo periodo nuove imprese entrano
nel settore;
 se P = CMT minimo l’impresa sta realizzando un
profitto nullo. Nel lungo periodo non si verificano né entrate
né uscite dal settore;
 se P < CMT minimo l’impresa sta realizzando una perdita. Nel lungo periodo le imprese escono dal
settore.

Quanto il profitto è positivo, il profitto unitario è P – CMT; quanto il profitto è negativo la perdita unitaria è
CMT – P.
Le imprese sono costrette a chiudere quando i ricavi delle vendite non sono sufficientemente idonei a
coprire i costi, tale punto viene chiamato PUNTO DI CHIUSURA.
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Se le imprese escono dal mercato la curva di offerta si sposta verso l’alto, il prezzo sale fio a C’ che sarà poi
il nuovo equilibrio.
Nel breve periodo, il costo fisso è irrilevante ai fini delle decisioni
relative ad una potenziale sospensione dell’attività, dal momento che
non può essere modificato. Ciò che invece è rilevante è il costo medio
variabile. Dal momento che la curva di costo marginale è convessa, la
curva di CMV di breve periodo è anch’essa convessa: l’iniziale
diminuzione del C' fa diminuire anche il CMV, prima che l’aumento del
C' marginale lo spinga nuovamente verso l’alto. Il punto di intersezione
tra il costo marginale e il costo medio variabile è il prezzo di chiusura:
 se P > CMV minimo nel breve periodo l’impresa produce; se P <
CMT minimo, l’impresa copre tutti i costi variabili e parzialmente quelli fissi; se P > CMT minimo, l’impresa
copre sia i costi fissi che quelli variabili.
 se P = CMV minimo, per l’impresa è indifferente produrre o cessare la produzione nel breve
periodo, copre solo i costi variabili.
 se P < CMV minimo l’impresa cessa la produzione, dato che non copre nemmeno i costi variabili.

Da qui si genera la curva di offerta individuale di breve periodo, che mostra come la quantità ottima varia al
variare del prezzo di mercato, dato il livello di costo fisso.
Sommando tutte le curve delle varie imprese che appartengono a
un’industria otteniamo la curva di offerta dell’industria che definisce
prezzo e quantità di equilibrio.
La curva di offerta di settore, che esprime la relazione tra il prezzo e la
quantità prodotta di un settore industriale nel suo complesso, dipende
dal periodo di tempo considerato. La curva di offerta di settore di breve
periodo è la curva di offerta di settore quando il numero di imprese è
fisso; l’equilibrio di mercato di breve periodo è dato dall’intersezione della curva di offerta di breve periodo
e la curva di domanda.

Nel lungo periodo le imprese possono modificare i costi fissi: eliminandoli ed uscendo dal settore, o
acquisendone di nuovi ed entrando nel settore.
La curva di offerta di lungo periodo è l’offerta di settore quando si
considera un tempo sufficientemente lungo da consentire alle
imprese di entrare ed uscire dal settore. Nell’equilibrio di marcato
di lungo periodo, dato dall’intersezione tra la curva di offerta di
settore di lungo periodo e della domanda, nessun produttore ha
incentivo ad entrare o uscire dal settore, dato che i profitti sono
nulli. La curva di offerta è perfettamente elastica in quei settori
con costi costanti; tuttavia può assumere pendenza positiva se un
fattore della produzione è disponibile in quantità limitata, oppure può avere pendenza negativa quando i
costi sono decrescenti all’interno del settore. in ogni caso è sempre più elastica della curva di breve
periodo.
Nell’equilibrio di lungo periodo di un settore perfettamente concorrenziale la massimizzazione del profitto
porta tutte la imprese a produrre al medesimo costo marginale, che è uguale al prezzo di mercato. La
libertà di entrata e di uscita implica che ogni impresa realizza un profitto economico nullo, producendo la
quantità corrispondente al suo costo medio totale minimo. Il risultato è efficiente perché tutti i
consumatori con disponibilità a pagare maggiore o uguale al costo marginale ottengono il bene desiderato.

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“Partendo dalla situazione di partenza, c’è un aumento di domanda che implica un aumento del prezzo, che
diventa maggiore del prezzo di pareggio; ciò implica che i profitti aumentano e si crea un extra-profitto; di
conseguenza ciò implica che il numero delle imprese presenti nell’industria aumentano progressivamente;
ciò però implica che la curva di offerta diminuisce di conseguenza ciò fa sì che il prezzo diminuisce e torna ad
essere uguale al prezzo di pareggio, ciò implica un nuovo prezzo di equilibrio di conseguenza ciò implica che
il profitto torna nullo.”

(𝑃, 𝑄)∗ ; 𝐷 ↗ => 𝑃 ↑ > 𝑃∗ => 𝜋 > ∅ => ɳ ↑ = 𝑂 ↘= 𝑃 ↘ => 𝑃∗ => 𝜋 = ∅

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CAPITOLO 13 – IL MONOPOLIO.

Il monopolio è una contraddizione al pensiero liberale.


Un’impresa è monopolista se è l’unico produttore di un bene o di un servizio che non ha rivali di sostituti.
Quando un’impresa è monopolista, il settore in cui opera è un monopolio.
Nei sistemi economici più avanzati è difficile trovare monopoli puri, soprattutto a causa di ostacoli giuridici.
La differenza fondamentale tra un monopolio e un settore perfettamente concorrenziale è che un’impresa
in concorrenza perfetta interagisce con una curva di domanda orizzontale, mentre il monopolista fronteggia
una curva di domanda con pendenza negativa. Ciò dà al monopolista potere di mercato: la capacità di
alzare il prezzo e contrarre la quantità la produzione rispetto ad un’impresa perfettamente concorrenziale.
In un regime di monopolio i profitti non svaniscono: un monopolista continua a realizzare profitti positivi
anche nel lungo periodo.
Il monopolista è un PRICE-TAKERS perché ha potere di mercato.
Per essere duraturo, un monopolio deve essere protetto da barriere all’entrata, che impediscono alle altre
imprese di entrare nel settore;
Esistono 5 tipi diversi di barriere all’entrata:
1. controllo di risorse o di fattori della produzione scarsi: un monopolista che controlla una risorsa o
un fattore di produzione cruciale per un particolare settore può impedire ad altre imprese di
entrare nel suo mercato;
2. rendimenti di scala crescenti: in un settore caratterizzato da rendimenti di scala crescenti, le
imprese più grandi sono più redditizie e tendono ad escludere le imprese più piccole. Per questo
motivo le imprese già esistenti hanno un forte vantaggio di costo e questa dà origine al monopolio
naturale, in cui appunto il monopolista produce una data quantità a un costo medio totale inferiore
rispetto a due o più imprese più piccole. La curva dei CMT del monopolista è decrescente per tutti i
livelli di produzione, in corrispondenza dei quali il prezzo è maggiore o uguale del costo medio
totale;
3. superiorità tecnologica: un’impresa che riesce a mantenere un vantaggio tecnologico sui potenziali
concorrenti può creare e rafforzare la posizione di monopolio. Questa, però, è una barriera
all’entrata solo di breve periodo, in quanto nel tempo i concorrenti investono nel miglioramento
della propria tecnologia per raggiungere o superare quella del leader;
4. le esternalità di rete: essa è una condizione che si presenta quando il valore di un bene o servizio
per un individuo è tanto maggiore quanto più è elevato il numero di persone che consumano quel
bene o sevizio. Quando sono presenti, l’impresa con la quantità più elevata di consumatori ha un
vantaggio che può trasformarsi in monopolio, in quanto queste imprese possono praticare prezzi
elevati ed incrementare i propri profitti;
5. barriere di natura giuridica: esse sono costituite da brevetti, che conferiscono all’inventore un
monopolio temporaneo sull’utilizzo e sulla vendita della sua invenzione, e dal copyright, che
conferisce al creatore di un’opera letteraria o artistica, il diritto esclusivo di trarre profitto dalla sua
opera. Essi hanno durata limitata nel tempo.

Il monopolista è l’unico fornitore del bene che produce, di conseguenza la sua curva di domanda coincide
con la curva di domanda del mercato, che ha pendenza negativa; data questa pendenza esiste un “divario”
tra prezzo e ricavo marginale. L’aumento di produzione da parte di un monopolista ha due effetti opposti:

 un effetto di quantità, per cui la vendita di un’unità addizionale accresce il ricavo totale;
 un effetto di prezzo, per cui la vendita di un’unità addizionale comporta la riduzione del prezzo di
tutte le unità vendute e, di conseguenza, il ricavo totale diminuisce.

A causa dell’effetto di prezzo, il ricavo marginale del monopolista è sempre inferiore al prezzo di mercato, e
la curva di ricavo marginale giace sempre al di sotto della curva di domanda.

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Al livello di produzione che massimizza il profitto di monopolio, il costo


marginale è uguale al ricavo marginale, che è minore del prezzo di
mercato. Al livello di produzione che massimizza i profitti in
concorrenza perfetta, il costo marginale è uguale al prezzo di mercato.
Dunque, rispetto ai mercati perfettamente concorrenziali, il
monopolista produce meno, fa pagare prezzi più elevati e realizza
profitti sia nel breve che nel lungo periodo.
 Qm < Qc
 Pm > Pc
 Profitto positivo
 MONOPOLIO: P > R' = C'
 CONC. PERFETTA: P = C'

Applicando un prezzo superiore al costo marginale, il monopolista crea una perdita secca, causata dal fatto
che alcune transazioni reciprocamente vantaggiose non avvengono: la riduzione del surplus del
consumatore è maggiore del profitto del monopolista. I monopoli sono dunque causa di fallimento sei
mercati e dovrebbero essere fermati sul nascere o smantellati, attraverso provvedimenti governativi noti
come politica antitrust.

I monopoli naturali possono comunque essere causa di perdita secca; per limitare questa perdita, i governi
attuano dei provvedimenti:

 la proprietà pubblica, attraverso cui il bene è fornito dallo Stato, o da un’impresa statale;
 la regolamentazione dei prezzi, attraverso cui si pone un limite al prezzo che il monopolista può
praticare.

La regolamentazione dei monopoli naturali può aumentare il surplus del consumatore.

Non tutti i monopolisti sono monopolisti mono prezzo; alcuni di essi spesso praticano forme di
discriminazione dei prezzi, usando varie tecniche per differenziare i consumatori sulla base ella loro
sensibilità al prezzo, applicando prezzi più elevati a coloro che hanno una domanda più anelastica. Un
monopolista che riesce ad applicare una discriminazione dei rezzi perfetta applica a ciascun consumatore
un prezzo pari alla sua disponibilità a pagare, appropriandosi di tutto il surplus del mercato. Sebbene la
discriminazione dei prezzi no crei inefficienza, è praticamente impossibile da attuare.

𝜋 = 𝑅𝑇 − 𝐶𝑇 = 𝑃𝑀 𝑄𝑀 − 𝐶𝑀𝑇𝑀 𝑄𝑀 = (𝑃𝑀 − 𝐶𝑀𝑇𝑀 )𝑄𝑀 .

In caso di monopolio si produce di meno ad un prezzo maggiore. Tale


sistema produttivo permette di dare profitti al monopolista stesso e di
appropriarsi della maggiore quantità possibile di surplus. I profitti delle
imprese fanno parte del benessere sociale ciò che si perde al netto del
profitto delle imprese è rappresentata dalla PERDITA SECCA, per ridurla
si tende a regolare i monopoli.

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Il produttore monopolista inoltre, discrimina i consumatori


apportando diversi prezzi a consumatori diversi. Il profitto
applicando tale discriminazione aumenta.
Più il monopolista discrimina i prezzi e i consumatori,
maggiori saranno i suoi profitti.
Nel caso della discriminazione perfetta si torna a produrre
una quantità perfetta e si ha un maggior benessere sociale,
che sarà tutto profitto del produttore.

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CAPITOLO 14 – L’OLIGOPOLIO.

L’oligopolio è un settore nel quale operano poche imprese, che si fanno concorrenza tra loro e godono di
potere di mercato: è una situazione di concorrenza imperfetta. La principale fonte di un oligopolio è
l’esistenza di rendimenti da scala crescenti, che conferiscono ai produttori di maggiori dimensioni un
vantaggio su quelli più piccoli. Questo effetto, quando è molto marcato porta alla creazione di un
monopolio, quando lo è meno, porta alla concorrenza fra un numero ridotto di imprese.
Un caso particolare di oligopolio, è il duopolio, in cui sono presenti solo due venditori. Con due sole imprese
nel mercato, ciascuna di esse si rende conto che la decisione di espandere la produzione non fa altro che
spingere al ribasso il prezzo di mercato. Ciascuna sa di poter realizzare un profitto maggiore limitando la
produzione dei concorrenti.
Una possibilità che le imprese pratichino la collusione, accordandosi per mantenere alti i profitti, attraverso
il cartello, un accordo esplicito che stabilisce la quantità che ciascuna impresa può produrre, ma ciascuna
impresa avrebbe un incentivo ad infrangere l’accordo e produrre una quantità maggiore di quella
concordata. Questo è un comportamento non cooperativo, in quanto le imprese ignorano gli effetti delle
proprie azioni sul profitto delle imprese concorrenti. La collusione è sicuramente più redditizia del
comportamento non cooperativo, per cui se è consentito, le imprese hanno un incentivo a colludere; un
modo di praticare la collusione è formalizzare l’accordo. Dunque, le decisioni di un’impresa hanno
un’influenza significativa sui profitti dell’altra impresa, e viceversa, quindi le due imprese si trovano in una
situazione di interdipendenza. La disciplina che studia il comportamento in situazioni di interdipendenza è
detta teoria dei giochi. La teoria dei giochi si occupa di tutte quelle situazioni in cui il risultato per un
giocatore, ovvero il suo pay-off, non dipende solo dalle proprie decisioni, ma anche da quelle di altri
partecipanti; per l’oligopolista il pay-off è semplicemente il suo profitto. L’interdipendenza tra i due
giocatori è rappresentata dalla matrice dei pay-off. A seconda della struttura dei pay-off, un giocatore può
avere una strategia dominante, ovvero un’azione che è sempre preferibile alle altre, indipendentemente
dalle scelte dell’altro giocatore. I duo-polisti si confrontano con interazioni descritte da un particolare gioco,
detto dilemma del prigioniero: se ciascuno dei due agisce indipendentemente e nel proprio interesse,
massimizzando dunque il proprio pay-off, senza tener conto dei risultati sul pay-off dell’altro, l’equilibrio di
Nash (o equilibrio non cooperativo) che ne deriva, risulta dannoso per entrambi. Tuttavia, le imprese che
prevedono di partecipare ripetutamente allo stesso gioco, adottano un comportamento strategico,
cercano, cioè, di influenzare le azioni future della controparte. Un particolare tipo di strategia che si rivela
efficace in queste situazioni è la strategia “occhio per occhio”, che consiste nell’adottare inizialmente un
comportamento cooperativo, per poi comportarsi esattamente come ha fatto l’avversario nel periodo
precedente, e porta spesso ad una collusione tacita, come se le imprese hanno stipulato un accordo che
limiti la produzione di entrambe, così da accresce i profitti. Al fine di limitare la possibilità che gli oligopolisti
colludano e si comportino come un monopolista, la maggior parte dei governi persegue una politica
antitrust, un insieme di provvedimenti per limitare la collusione. Sebbene la collusione tacita si alquanto
diffusa, essa è resa difficile da una molteplicità di fattori: un numero elevato di imprese, prodotti e strategie
di prezzo complessi, interessi divergenti e il potere negoziale degli acquirenti. Quando la collusione tacita
viene meno, le imprese cominciano a competere sul prezzo, dando vita ad una vera e propria guerra dei
prezzi. Per evitare guerre di prezzi, gli oligopolisti attuano varie strategie: la differenziazione del prodotto,
in cui ogni impresa cerca di convincere i compratori che i prodotti sono diversi, o con la leadership di costo,
in cui un’impresa fissa i prezzi per tutto il settore, o ancora con la concorrenza su fattori diversi dal prezzo,
dove le imprese hanno un accordo informale di non competere sui prezzi, e ricorrono alla pubblicità o ad
altri mezzi per incrementare le vendite.

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CAPITOLO 15 – LA CONCORRENZA MONOPOLISTICA E DIFFERENZIAZIONE DEL PRODOTTO.

La concorrenza monopolistica è una struttura di mercato in cui coesistono numerose imprese in


concorrenza fra loro, ciascuna delle quali vende un prodotto differenziato e in cui, nel lungo periodo, esiste
libertà di entrata e di uscita dal settore. In un settore in concorrenza monopolistica ogni produttore è in
grado di determinare il prezzo del proprio prodotto differenziato, per cui ogni produttore gode di un certo
potere di mercato, seppure limitato; questa capacità di alzare il prezzo dipende dall’intensità della
concorrenza esercitata da atri produttori, esistenti e potenziali, che producono beni simili, ma non identici,
considerati dai consumatori validi sostituiti.
La differenziazione del prodotto assume 4 forme distinte:
 in base allo stile o al tipo: i prodotti dei diversi sono sostituti imperfetti, ogni prodotto ha la propria
nicchia di mercato;
 in base all’ubicazione: i clienti spesso scelgono il venditore più vicino;
 in base alla qualità: ogni consumatore sceglie quale bene consumare in base alla qualità che sceglie,
che è determinata dalla sua disponibilità a pagare;
 Disponibilità a pagare del consumatore.
Il produttore in concorrenza monopolistica si confronta
con una curva di domanda con pendenza negativa,
proprio perché offre un prodotto distinto, e ciò gli
conferisce un certo potere di mercato, di conseguenza la
curva d ricavo marginale è anch’essa inclinata
negativamente.
Per massimizzare il profitto, l’impresa in concorrenza
monopolistica pone il ricavo marginale uguale costo
marginale.
Nel breve periodo i profitti positivi attirano l’entrata di nuove imprese. Questo riduce la quantità venduta
da ogni singolo produttore per ogni dato livello di prezzo, causando lo spostamento della curva di domanda
residuale verso sinistra. Le perdite di breve periodo, invece, inducono alcune imprese ad uscire dal settore,
di conseguenza la curva di domanda residuale delle imprese restanti si sposta verso destra, perché deve
produrre quantità maggiori.
Nel lungo periodo un settore in concorrenza
monopolistica perviene ad un equilibrio con profitti
nulli: alla quantità che massimizza il profitto, la curva di
ciascuna domanda esistente è tangente alla rispettiva
curva di costo medio totale. Le imprese del settore
realizzano profitti nulli e non vi è né entrata né uscita.

Nel lungo periodo si arriva ad una situazione di equilibrio, in cui le


imprese incassano ciò che serve a coprire i costi.

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Confrontando concorrenza perfetta e concorrenza monopolistica si evincono alcune differenze: in primo


luogo in concorrenza perfetta il prezzo è uguale al costo marginale, mentre un concorrenza monopolistica il
prezzo è superiore al costo marginale, quindi la vendita di un’unità addizionale accresce il ricavo in misura
maggiore del costo; in secondo luogo in concorrenza perfetta l’impresa produce la quantità ottima
collocandosi sul punto di minimo del costo medio totale (prezzo di pareggio), mentre in concorrenza
monopolistica la quantità ottima si trova sulla parte con pendenza negativa della curva dei costi medi totali,
per cui si produce una quantità inferiore rispetto a quella che minimizza il costo medio totale; questo da
luogo ad un problema di capacità in eccesso, ovvero la quantità non è sufficiente a minimizzare il costo
medio totale.
La concorrenza perfetta produce una perdita secca, in quanto alcune transazioni reciprocamente
vantaggiose non avvengono a causa del prezzo superiore al costo marginale, per cui da questo punto di
vista è meno efficiente rispetto alla concorrenza monopolistica, ma questa perdita è compensata da un
maggior benessere per i consumatori, in quanto hanno la possibilità di scegliere tra prodotti differenziati.
Un’impresa in concorrenza monopolistica trae sempre vantaggio dall’incrementare le vendite al prezzo
corrente; per tanto investe in pubblicità per accrescere la domanda del proprio prodotto e acquisire potere
di mercato. La pubblicità e i marchi commerciali, che rappresentano un nome, spesso associato ad un
simbolo grafico, di proprietà di una particolare impresa, che connota e distingue i suoi prodotti rispetto a
quelli di altre imprese, forniscono informazioni utili ai consumatori svolgono un’importante funzione
economica, ma costituiscono uno spreco di risorse quando il loro unico scopo è creare potere di mercato.
In conclusione si può affermare che il mercato di concorrenza monopolistica è diversamente inefficiente.

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CAPITOLO 16 – LE ESTERNALITÀ.

Ci sono esternalità quando le azioni di un individuo o di un’impresa genera effetti esterni su altri individui o
altre imprese. Un costo esterno è un costo che un individuo o un’impresa impone a terzi, a fronte del quale
non è previsto alcun risarcimento. Un beneficio esterno è un beneficio che gli individui o le imprese
conferiscono ad altri senza ricevere un compenso; essi sono rispettivamente esternalità negative ed
esternalità positive.
Esempio tipico di esternalità negativa è l’inquinamento che, pur essendo un fenomeno negativo, è l’effetto
collaterale di attività che ci forniscono beni e servizi di grande utilità.
Per comprendere quale sia la quantità ottima di inquinamento per una società si guardano le grandezze al
margine, vale a dire costo marginale sociale dell’inquinamento, ovvero il costo addizionale per la società
derivante da un’unità aggiuntiva di inquinamento, e beneficio marginale sociale dell’inquinamento, cioè il
beneficio addizionale per la società derivante da un’unità addizionale di inquinamento.
La quantità socialmente ottima di inquinamento, cioè la
quantità di inquinamento che la società sceglierebbe se
potesse tener conto di tutti i suoi costi e benefici. La curva di
costo marginale ha pendenza positiva, è via via crescente man
mano che la quantità di inquinamento aumenta; la curva di
beneficio marginale ha pendenza negativa, è via via
decrescente, man mano che la quantità di inquinamento
aumenta, il suo benefici marginale è progressivamente
decrescente.
Dunque, l’inquinamento comporta sia costi che benefici, ma senza un intervento pubblico, il mercato
lasciato libero di agire, produrrebbe una quantità di inquinamento stabilita solo da coloro che ne godono il
beneficio. Secondo il teorema di Coase, gli individui possono trovare un modo di internalizzare le
esternalità, tenendo conto di costi e benefici esterni, rendendo superfluo l’intervento pubblico, nella
misura in cui i costi di transizione, cioè i costi di concludere un accordo, sono sufficientemente contenuti.
Alcuni costi di transizione possono essere i costi di comunicazione tra le parti, i costi di stipula di un accordo
o i costi dei ritardi nella negoziazione. Tuttavia, in molti casi i costi di transizione sono troppi elevati per
consentire di giungere ad un accordo.
Spesso i governi risolvono il dell’inquinamento introducendo standard ambientali, cioè norme a tutela
dell’ambiente che regolano le azioni di produttori o di consumatori, un metodo inefficiente, secondo gli
economisti, per realizzare questo obiettivo, in quanto sono molto rigidi e non permettono di ridurre
l’inquinamento al costo più basso possibile.
Un modo di risolvere direttamente il problema dell’inquinamento è far pagare a chi inquina una imposta
sulle emissioni, che dipende dalla quantità di inquinamento prodotta da un’impresa; contrariamente agli
standard ambientali, un’imposta sulle emissioni è un modo efficiente di di ridurre l’inquinamento, in
quanto minimizza i costi e garantisce che il beneficio marginale dell’inquinamento sia il medesimo per tutte
le imprese inquinanti.
In genere, le imposte studiate per ridurre i costi esterni sono
dette imposte pigouviane. Anche le imposte sulle emissioni,
però, possono causare delle problematiche: poste ad un livello
troppo basso il miglioramento delle condizioni ambientali è
insufficiente, poste ad un livello troppo alto i tagli alle emissioni
eccedono il livello efficiente. Per questo vengono introdotti i
permessi di emissione negoziabili, ovvero licenze liberamente
scambiate nel mercato che autorizzano a emettere quantità limitate di sostanze inquinanti. Tali permessi

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essendo negoziabili, permettono di concludere transazioni reciprocamente vantaggiose, in quanto le


imprese che riescono a ridurre più facilmente le emissioni possono vendere parte dei propri permessi a
quelle che incontrano maggiori difficoltà. Questi metodi forniscono un incentivo per lo sviluppo e
l’adozione di tecnologie a basso impatto ambientale.
I benefici esterni sono invece esternalità positive. Lasciato a se stesso il mercato produrrebbe una quantità
insufficiente di un bene che conferisce benefici esterni agli altri. La società ha però tutto da guadagnare
dall’adozione di politiche tese ad espandere l’offerta di questo bene. Per indurre l’economia a produrre la
quantità socialmente ottima è possibile ricorrere a un sussidio pigouviano, un pagamento finalizzato a
incoraggiare le attività che generano benefici esterni.
Nei sistemi economici moderni, la più importante fonte di benefici esterni è la creazione del sapere. Nei
settori ad alta tecnologia le innovazioni di un’impresa sono rapidamente imitate e perfezionate dai
concorrenti. Questo processo di rapida diffusione dell’innovazione tra individui e imprese è detto spillover
tecnologico, nelle economie moderne la maggiore fonte di spillover tecnologici sono le università e gli
istituti di ricerca.
Le comunicazioni, i trasporti e i beni ad alta tecnologia sono frequentemente soggetti ad esternalità di rete,
che si manifestano se il valore di un bene per un singolo consumatore dipende dal numero di altri
consumatori che utilizzano quel bene. Questi beni sono soggetti a feedback positivo: se un gran numero di
persone acquista quel bene, aumenta la probabilità che altre persone lo acquistino a loro volta. Di
conseguenza, successo e fallimento si autoalimentano: il bene con la più vasta rete di utenti finisce per
dominare il mercato. I mercati caratterizzati da esternalità di rete tendono ad essere monopoli; inoltre
pongono particolari problemi alle autorità anti trust perché diventa difficile distinguere tra la naturale
evoluzione di una rete e le azioni illegali intraprese dai produttori per creare un monopolio.

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CAPITOLO 17 – BENI PUBBLICI E RISORSE COMUNI.

I diversi beni possono essere classificati in beni:


 esclusivi, se chi lo produce può impedire a chi non paga di consumarlo;
 non esclusivi, se chi lo produce non può impedire a chi non paga d consumarlo;
 rivali nel consumo, se la stessa unità del bene non può essere consumata da più di una persona
contemporaneamente;
 non rivali nel consumo, se una stessa unità del bene può essere consumata da più persone
contemporaneamente.
Incrociando queste quattro caratteristiche si ottengono quattro categorie di beni:
 beni privati, esclusi e rivali nel consumo (es.: frumento);
 beni pubblici, non esclusivi e non rivali nel consumo (es.: difesa pubblica);
 beni comuni, non esclusivi ma rivali nel consumo (es.: acqua pulita);
 beni artificialmente scarsi, esclusi ma non rivali nel consumo (es.: software).

Il mercato non può fornire beni e servizi che non siano privati, cioè esclusivi e rivali nel consumo.
I beni non esclusivi soffrono del problema del free-rider: molti individui non sono disposti a pagare per la
fruizione di un bene non esclusivo e preferiscono piuttosto consumare sulle spalle di chi paga, e questo
comporta un livello di produzione inefficientemente basso. I beni non rivali nel consumo dovrebbero essere
forniti gratuitamente, quindi un prezzo positivo genera livelli di consumo inefficientemente bassi.
I beni privati sono esclusivi: un produttore può far pagare per il loro consumo e ha dunque un incentivo a
produrli; sono anche rivali nel consumo, ed è dunque efficiente che il consumatore paghi un prezzo
positivo, pari al costo marginale di produzione.
Se una o entrambe queste caratteristiche vengono meno, un’economia di mercato non è in grado di
garantire livelli efficienti di produzione e di consumo del bene.
Un bene pubblico è non esclusivo e non rivale nel consumo, come ad esempio la difesa nazionale o la
ricerca scientifica. Essendo non esclusivi, i beni pubblici sono soggetti al problema del free-rider, quindi
nessuna impresa privata è disposta a produrli. Ed essendo non rivali nel consumo, sarebbe inefficiente far
pagare agli individui un prezzo per la loro fruizione; quindi generalmente dovrebbero essere forniti dallo
Stato. Il beneficio marginale sociale di un bene pubblico è pari alla somma dei benefici marginali individuali
dei singoli consumatori. La quantità efficiente di un bene pubblico è quella per cui il beneficio sociale
marginale è uguale al costo di produzione marginale. Come un’esternalità positiva, il beneficio marginale
sociale è maggiore del beneficio marginale di qualsiasi individuo, quindi nessuno è disposto a fornire
preventivamente la quantità efficiente di quel bene.

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Le pubbliche amministrazioni responsabili cercano di stimare i benefici e i costi sociali della fornitura di un
bene pubblico con un processo detto analisi dei costi-benefici. È un’analisi abbastanza complessa, in quanto
gli individui tendono a sovrastimare il valore che attribuiscono al bene in questione.
Una risorsa comune è rivale nel consumo, ma non esclusiva: non è possibile impedire ad un individuo di
consumare il bene, ma il fatto che il consumo riduce la quantità del bene disponibile per gli altri
consumatori. Le risorse comuni sono soggette ad un uso eccessivo: gli individui non si curano del fatto che il
loro utilizzo della risorsa comune riduce la quantità che ne rimane per gli altri. Le risorse comuni pongono
un problema simile a quello delle esternalità negative: il costo marginale sociale dell’uso di una risorsa è
sempre maggiore del costo marginale dell’individuo che la utilizza. Le imposte pigouviane, la creazione di
un sistema di licenze negoziabili l’assegnazione dei diritti di proprietà sono possibili soluzioni al problema
dell’uso eccessivo delle risorse comuni.
I beni artificialmente scarsi sono esclusivi, ma non rivali nel consumo. Il costo marginale di lasciare che un
individuo addizionale consumi un bene con queste caratteristiche è nullo, quindi il prezzo efficiente è
anch’esso nullo. Un prezzo positivo serve a coprire il costo sostenuto dal produttore, ma porta a un livello
di consumo inefficientemente basso. Il problema posto dai beni artificialmente scarsi è simile a quello del
monopolio naturale.

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CAPITOLO 18 – L’ECONOMIA DELLO STATO SOCIALE.

Da un lato abbiamo la visione liberale che si preoccupa delle disuguaglianze in cui c’è giustizia sociale nel
momento che tutti i cittadini sono nelle stesse condizioni.
Dall’altro lato abbiamo la visione tradizionale degli stati occidentali, in cui lo stato nasce come organo più
forte, come stato sociale, che si prende cura dei componenti o dei membri a cui vengono assegnati dei
diritti.
Il contratto sociale lega i soggetti membri dello stato sociale ed è una sorta di assicurazione.
Il RAWLS, serve per decidere in che misura i ricchi sono disposti a rinunciare ad una parte della loro
ricchezza per dare ai poveri un destino migliore.
Nel contratto sociale l’individuo ragiona con un velo di ignoranza senza sapere se è ricco oppure se è
povero. Il contratto è come l’assicurazione, viene stipulato senza sapere se sarà commesso un danno o
meno.
Fino a 20 anni fa c’era una distribuzione di ricchezza a forma di cipolla, dove in alto c’era un gran ceto
medio e pochi poveri in fondo. Oggi c’è una società a forma di clessidra a causa di una proletarizzazione del
ceto medio; con un aumento dei ricchi e un conseguente aumento dei poveri che guadagnano un salario al
di sotto del salario medio minimo stabilito.
Gli obiettivi dello stato sociale sono:
1.ridurre le disuguaglianze di reddito;
2.ridurre l’insicurezza sociale;
3.ridurre la povertà e fornire maggiore assistenza sanitaria.
La povertà viene misurata attraverso:
-una soglia di povertà, cioè un livello minimo di reddito per i bisogni essenziali;
-il tasso di povertà, che va a definire quanta popolazione vive in povertà;
-il reddito medio e mediano;
-la disuguaglianza misurata attraverso l’utilizzo dell’indice di GINI che va a definire la media del reddito.

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CAPITOLO 19 – I MERCATI DEI FATTORI E LA DISTRIBUZIONE DEL REDDITO.

Distribuzione, interessi, profitti e rendite dipendono dal funzionamento dei mercati dei fattori di
produzione.
Un fattore di produzione è qualsiasi risorsa usata dall’impresa per produrre beni e servizi consumati dalle
famiglie. I fattori di produzione sono acquistati e venduti nei mercati dei fattori, e i prezzi in questi mercati
sono detti prezzi dei fattori.
I fattori della produzione sono fondamentalmente 4:
1. terra, che è una risorsa naturale;
2. lavoro, ovvero l’attività dell’uomo;
3. capitale fisico, vale a dire tutte le risorse produttive come edifici, utensili, macchinari;
4. capitale umano, cioè il miglioramento della qualità del lavoro reso possibile dall’istruzione e dalle
conoscenze, e incarnato dalla forza lavoro.
I mercati dei fattori funzionano in modo simile a quelli dei mercati dei beni, ma hanno due importanti
caratteristiche:
1.la domanda dei fattori deriva dalle decisioni ottimali delle imprese;
2.i prezzi dei fattori della produzione determinano i redditi delle persone, cioè la distribuzione del reddito
tra i possessori dei fattori.
I mercati e i prezzi dei fattori svolgono una funzione fondamentale in uno dei più importanti processi che
costituiscono il sistema economico: l’allocazione delle risorse tra i produttori. I mercati dei fattori sono
simili ai mercati dei beni, che allocano beni e servizi tra i consumatori. Due caratteristiche
contraddistinguono i mercati dei fattori: innanzitutto la domanda in un mercato dei fattori è una domanda
derivata, deriva cioè dalle decisioni di produzione dell’impresa; in secondo luogo, i mercati dei fattori sono
la principale fonte di reddito per la maggior parte delle persone.
I prezzi dei fattori determinano la distribuzione del reddito tra i fattori, cioè il modo in cui il reddito del
sistema economico è ripartito tra lavoro, terra e capitale.
Tutte le decisioni economiche comportano il confronto tra costi e benefici marginali. Gran parte dei mercati
dei fattori sono perfettamente concorrenziali: per tutti i compratori e venditori di un dato fattore di
produzione il prezzo è dato. In un mercato del lavoro concorrenziale definire il costo marginale di un
lavoratore per un datore di lavoro è abbastanza facile: il costo marginale è il salario di quel lavoratore. Il
numero ottimo di lavoratori è il numero di lavoratori necessari a produrre la quantità ottima. Il beneficio
marginale è il valore del prodotto addizionale generato dall’impiego di una unità aggiuntiva di lavoro, detta
valore del prodotto marginale del lavoro, o VP'L.
𝑉𝑎𝑙𝑜𝑟𝑒 𝑑𝑒𝑙 𝑝𝑟𝑜𝑑𝑜𝑡𝑡𝑜 𝑚𝑎𝑟𝑔𝑖𝑛𝑎𝑙𝑒 𝑑𝑒𝑙 𝑙𝑎𝑣𝑜𝑟𝑜 = 𝑉𝑃′𝐿 = 𝑃 ∗ 𝑃′𝐿
Il valore del prodotto addizionale è generato dall’impiego di una unità aggiuntiva del fattore = prezzo
unitario del prodotto * prodotto marginale del lavoro.
Conviene assumere un lavoratore in più solo se il valore del prodotto aggiuntivo è maggiore del costo del
lavoratore.
𝑉𝑃′𝐿 > 𝑊
La decisione di assumere lavoratori è una decisione fondata su un’analisi marginalista, in cui il beneficio
marginale per il produttore di assumere un lavoratore in più (VP'L), deve essere confrontata con il relativo
costo marginale (W). La scelta ottima è quella per cui il beneficio marginale è esattamente uguale al costo
marginale.
𝑉𝑃′𝐿 = 𝑊
al livello di occupazione che massimizza il profitto.
Un produttore può sempre accrescere il proprio profitto impiegando un’unità addizionale di un fattore di
produzione, se il valore del prodotto marginale di quell’unità è maggiore del prezzo del fattore.
Un produttore può sempre incrementare il proprio profitto impiegando un’unità in meno di un fattore di
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produzione, se il valore del prodotto marginale di quell’unità è inferiore al prezzo del fattore.
L’impresa massimizza il profitto scegliendo un livello di prezzo tale per cui il valore del prodotto marginale
dell’ultimo lavoratore assunto è uguale al salario. La curva del valore del prodotto marginale di qualsiasi
fattore di produzione è la curva di domanda di quel fattore del singolo produttore.
È importante distinguere movimenti lungo la curva, da movimenti della curva stessa, che possono essere
causati da:
1. variazioni dei prezzi dei beni: un aumento del prezzo comporta uno spostamento verso l’alto della
curva del valore del prodotto marginale e quindi il livello di occupazione che massimizza il profitto
aumenta, viceversa una diminuzione del prezzo porta ad uno spostamento verso il basso della
curva, e il livello ottimo diminuisce;
2. variazione dell’offerta di altri fattori;
3. progresso tecnologico, che generalmente dovrebbe accrescere la domanda dei fattori.

Quando un mercato del lavoro concorrenziale è in equilibrio, il salario di


equilibrio è uguale al valore di equilibrio del prodotto marginale del lavoro,
ovvero il valore addizionale prodotto dall’ultima unità di lavoro impiegata
nel mercato del lavoro nel suo complesso. Lo stesso principio si applica ad
altri fattori di produzione: il saggio di locazione della terra o del capitale,
ovvero il costo, implicito o esplicito, di impiegare un’unità di terra o di
capitale in un dato periodo di tempo, è uguale al valore di equilibrio del
rispettivo prodotto marginale. In generale, un’unità di terra o di capitale
viene utilizzata fino al punto in cui il valore del suo prodotto marginale è uguale al suo saggio di locazione
per il periodo considerato.
Sommando le curve di domanda individuale di terra di tutti i produttori otteniamo la curva di domanda di
terra del mercato. A causa dei rendimenti di scala decrescenti, la curva di domanda di terra ha pendenza
negativa, come la curva di domanda di lavoro. La curva di offerta di terra è anelastica, perché trovare nuove
fonti di offerta di terra da destinare alla produzione è in generale difficile e costoso. Il saggio di locazione di
equilibrio della terra e la quantità di equilibrio della terra impiegata nella produzione, sono individuati
dall’intersezione delle due curve. La curva di offerta di captale è relativamente elastica, perché l’offerta di
capitale è relativamente reattiva al prezzo. Il saggio di locazione di equilibrio del capitale e la quantità di
equilibrio del capitale impiegata nella produzione sono individuati dall’intersezione delle due curve.
Secondo la teoria della distribuzione del reddito in base alla produttività marginale, ogni fattore è
remunerato nella misura del suo valore di equilibrio del prodotto marginale.
Le ampie disparità salaria sollevano dubbi circa la validità della distribuzione del reddito in base alla
produttività marginale. Molte disparità possono essere spiegate alla luce dei differenziali compensatori,
ovvero quelle differenze salariali dovute al grado di gradevolezza e di pericolosità delle diverse mansioni, e
da differenze di talento, esperienza lavorative e capitale umano tra i lavoratori. Anche le interferenze con il
mercato possono contribuire a creare disparità, come i sindacati, organizzazioni di lavoratori il cui scopo è
incrementare i salari e migliorare le condizioni dei propri membri attraverso la contrattazione collettiva con
i datori di lavoro.
Il modello del salario di efficienza mostra come le disparità salariali possano nascere dal tentativo di datori
di lavoro di accrescere il rendimento dei lavoratori. I mercati liberi da interferenze tendono a ridurre la
discriminazione, che rimane però una fonte importante di disparita salariali. La discriminazione
generalmente persiste a causa di problemi dei mercati del lavo o della sua istituzionalizzazione politica.
L’offerta di lavoro è il risultato di decisioni in merito all’allocazione nel tempo, ovvero a quante ore dedicare
per ciascuna attività, in cui ogni lavoratore si misura con un trade-off tra lavoro e svago, vale a dire tutte
quelle ore che ogni singolo individuo ha a disposizione per qualsiasi attività diversa da quella finalizzata al

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guadagno di reddito da spendere per acquistare beni sul mercato. Un aumento del salario orario tende a
incrementare le ore di lavoro attraverso l’effetto di sostituzione, e a ridurle attraverso l’effetto di reddito.
Se il risultato netto di un aumento del salario è un incremento del numero di ore lavorate, la curva di
offerta di lavoro individuale ha pendenza positiva; se il risultato è invece una diminuzione del numero di
ore lavorate, la curva di offerta di lavoro individuale, contrariamente alla curva di offerta di beni e servizi,
ha pendenza negativa.

La curva di offerta di lavoro di mercato è la somma orizzontale


delle curve di offerta di lavoro individuali di tutti i lavoratori in
quel mercato. Quattro sono i fattori che possono determinarne
uno spostamento:
 i cambiamenti delle preferenze e delle convenzioni sociali;
 i cambiamenti demografici;
 i cambiamenti delle opportunità;
 i cambiamenti della ricchezza.

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CAPITOLO 20– INCERTEZZA RISCHIO E INFORMAZIONI PRIVATE.

Una variabile aleatoria è una variabile con un valore futuro incerto. Il valore atteso di una variabile aleatoria
è la media ponderata di tutti i possibili valori che la variabile può assumere, calcolata utilizzano come fattori
di ponderazione le probabilità associate a ciascun valore. Per ottenere la formula generale del valore atteso
di una variabile aleatoria, immaginiamo che ci sia un certo numero di possibili eventi futuri. A ogni evento è
associato un diverso valore della variabile aleatoria, cioè il valore che la variabile assume al verificarsi di
quell’evento. Nessuno sa con esattezza quale evento si verificherà, ma è possibile assegnare a ciascun
evento un a probabilità. Supponiamo che P1 sia la probabilità dell’evento 1, p2 quella dell’evento 2 e così
via, mentre i valori assunti dalla variabile aleatoria al verificarsi di ciascun evento sono, rispettivamente s1,
s2, e così via. Supponiamo infine che vi siano N eventi possibili. Quindi, il valore atteso della variabile
aleatoria è:

Valore atteso di una variabile aleatoria:


VA= (P1*S1) + (P2*S2) + … + (Pn*Sn)

La maggior parte degli individui preferisce, a parità delle altre condizioni, ridurre il rischio, cioè l’incertezza
legata agli eventi futuri. Se tale incertezza riguarda un esito di natura monetaria, si parla di rischio
finanziario.

In effetti, la maggior parte degli individui è disposta a pagare anche un prezzo considerevole per ridurre
quel rischio; ecco perché esistono le compagnie di assicurazioni. Questo atteggiamento è noto come
avversione al rischio.

L’utilità attesa di un individuo, ovvero il valore atteso della sua utilità totale data l’incertezza sugli esiti
futuri, è minore di quanto sarebbe se egli non fosse esposto ad alcun rischio. La funzione di utilità ha
pendenza positiva, perché all’aumentare del reddito l’utilità totale aumenta. La curva diventa
progressivamente meno ripida via via che ci si sposta verso destra, a causa dell’utilità marginale
decrescente.

Per analizzare gli effetti del rischio sull’utilità individuale, l’analisi economica parte dall’ipotesi che, se
esposto al rischio, un individuo massimizza la propria utilità attesa. Un individuo avverso al rischio sceglie di
ridurre il rischio quando tale riduzione lascia inalterato il valore atteso del suo reddito o dalla sua ricchezza.
È questa una caratteristica di una polizza assicurativa equa, il cui premio, ovvero il pagamento reso
all’assicurazione affinché questa provveda al rimborso per il verificarsi di determinati eventi, è uguale al
valore atteso del risarcimento.

Utilità attesa = (probabilità dell’evento S * utilità tot. associata all’evento S) + (probabilità dell’evento M +
utilità tot. associata all’evento M)

Una persona è indifferente al rischio se è completamente insensibile al rischio e perciò non è disposta a
pagare un premio per evitarlo.

L’avversione al rischio scaturisce dall’utilità marginale decrescente: un euro addizionale di reddito genera
un’utilità marginale maggiore quando il è basso, che quando il reddito è elevato. Una polizza assicurativa
equa accresce l’utilità di una persona avversa al rischio, perché trasferisce un euro dagli eventi ad alto
reddito (dive è valutato meno) ad eventi a basso reddito (dove è valutato di più).

Differenze nelle preferenze e nel reddito o nella ricchezza si traducono in diversi livelli di avversione al
rischio; a seconda dell’entità del premio, un individuo avverso al rischio potrebbe essere disposto ad

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acquistare anche una polizza non equa, il cui premio è maggiore del valore atteso del risarcimento. Quanto
maggiore è il grado di avversione al rischio, tanto maggiore è il premio che si è disposti a pagare.

Lo scambio del rischio può generare dei benefici: gli individui che desiderano ridurre il rischio a cui sono
esposti possono pagare altri, meno sensibili a quel rischio, affinché se ne accollino una parta. i fondi che
l’assicuratore mette a rischio quando fornisce la copertura assicurativa sono detti capitale a rischio. Questo
genera un’allocazione efficiente del rischio, nella quale ad accollarsi il rischio sono coloro più disposti a
sopportarlo.

Il rischio può essere ridotto attraverso la diversificazione, ovvero investendo in molte attività diverse, in
modo che le perdite siano eventi indipendenti, cioè che non presentano alcuna correlazione fra loro, e il
verificarsi di uno non ha alcuna influenza sul verificarsi dell’altro. Per calcolare la probabilità che si
verifichino due eventi indipendenti esiste una regola molto semplice: moltiplicare la probabilità del
verificarsi del primo per quella del secondo. Il mercato azionario, dove si scambiano le azioni, ovvero titoli
rappresentativi della proprietà di una quota della società, offre un modo per diversificare, in quanto
investendo azioni in diverse società, la probabilità di perdere tutto l’investimento è bassa. Le compagnie di
assicurazioni possono praticare il pooling: essa è una forma estrema di diversificazione, con la quale un
individuo può eliminare completamente il rischio, acquistando una piccola quota del rischio di molti eventi
indipendenti. Questo genera un profitto con un grado di rischio molto contenuto. Quando però gli eventi
sono positivamente correlati, non tutto il rischio può essere eliminato attraverso la diversificazione.

Le informazioni private, ovvero informazioni note per alcuni individui e ignote per altri, possono creare
inefficienze nell’allocazione del rischio. Un problema è la selezione avversa, che si presenta quando un
individuo dispone di informazioni migliori su un bene rispetto ad un altro. La presenza di informazioni
private induce gli acquirenti a supporre che il bene offerto abbia difetti nascosti. Questo porta ad un
abbassamento del prezzo e alla conseguente esclusione dal mercato di tutti i beni che non sono difettosi. La
selezione avversa dà luogo al “problema del bidone” nel mercato delle automobili usate, dove i venditori di
auto di alta qualità escono dal mercato. La selezione avversa può essere eliminata in vari modi: operando
degli screening degli individui, cioè l’utilizzo delle informazioni disponibili per fare inferenze sulle
informazioni private, producendo dei segnali per rivelare le proprie informazioni private e costruendo una
reputazione, per rassicurare gli individui.

Un problema strettamente collegato è il rischio morale: un individuo dispone sul proprio comportamento di
informazioni migliori rispetto ad altri. Questo porta a una distorsione degli incentivi dovuta al fatto che
sono altri a sopportare il costo di un’eventuale negligenza. Il rischio morale limita l’abilità dei mercati di
allocare il rischio in maniera efficiente. Le compagnie di assicurazioni cercano di limitare il rischio morale
imponendo delle franchigie, clausole in base alle quali il risarcimento del danno subito avviene solo per
l’ammontare eccedente una certa soglia.

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