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Riassunto Diritto commerciale - Volume II

Diritto commerciale (Università degli Studi di Perugia)

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DIRITTO COMMERCIALE VOL 2 – DIRITTO DELLE SOCIETA’

CAPITOLO PRIMO – LE SOCIETA’

Il sistema legislativo

Le SOCIETA’ sono organizzazioni di mezzi e persone create dall’autonomia privata per l’esercizio in comune
di un’attività produttiva: sono le strutture tipiche, anche se non esclusive, previste dall’ordinamento per
l’esercizio in forma associata dell’attività d’impresa (impresa collettiva).

Quando diventa difficili perseguire uno scopo singolarmente, infatti, gli individui tendono ad associarsi pur
di realizzarlo e le società rappresentano proprio questa forma di aggregazione, la più utilizzata nei vari
ordinamenti da parte d’imprese di medio-grande dimensione.

Il legislatore italiano mette disposizione ben otto modelli societari tra cui scegliere: la società semplice, la
società in nome collettivo, la società in accomandita semplice, la società per azioni, la società a
responsabilità limitata, quella in accomandita per azioni, la società cooperativa e la mutua assicuratrice. A
queste vanno aggiunte, grazie all’intervento del legislatore comunitario, la società europea e la società
cooperativa europea. I vari modelli societari, inoltre, possono essere distinti in due categorie, proprio in
forza di alcuni elementi organizzativi comuni: da un lato le società DI PERSONE (società semplice, Snc e sas)
e dall’altro le società DI CAPITALI (spa, srl e sapa).

Se tutte queste distinzioni sono utili ai consociati per scegliere quale modello si avvicina maggiormente alle
proprie esigenze, è altrettanto vero che la definizione di società, o meglio di contratto di società, contenuta
nell’art.2247 c.c., è unica: “Con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per
l'esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili”. Tale nozione serve a fissare
quelli che sono gli elementi MINIMI che un ente associativo deve presentare affinché possa essere definito
come SOCIETA’ e assoggettato alla relativa disciplina.

A. LA NOZIONE DI SOCIETA’

Il contratto di società

“Con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l'esercizio in comune di
un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili”.

E’ da qui, dalla nozione di CONTRATTO di società contenuta nell’art.2247 c.c., che dobbiamo partire per
comprendere questi particolari enti che, quantomeno in linea generale, possiamo definire come “associativi
a base contrattuale”. In linea generale, e non sempre, perché il d.lgs.88/1993 e il d.lgs.6/2003,
rispettivamente per le srl e per le spa, hanno introdotto la possibilità di costituzione tramite atto unilaterale
proveniente dall’unico socio (società a responsabilità limitata e per azioni unipersonali). In tutti gli altri casi,
invece, occorre sempre l’accordo tra le parti per costituire o regolare tra loro un rapporto giuridico avente
contenuto patrimoniale, ossia un contratto.

Siamo dinanzi, per essere precisi, a un contratto ASSOCIATIVO o CON COMUNIONE DI SCOPO: manca, nel
contratto di società, la reciprocità delle prestazioni (il sinallagma), in quanto le prestazioni dei soci possono
essere di diverso tipo e valore e l’avvenimento che soddisfa l’interesse delle parti è lo stesso, consistendo
nell’acquisto della partecipazione sociale e nella partecipazione ai risultati dell’attività comune, mentre nei
contratti di scambio le prestazioni sono destinate a scambiarsi tra le parti e a soddisfarsi reciprocamente
dovendo pertanto avere un valore equivalente.

Il contratto di società ha, inoltre, una struttura potenzialmente plurilaterale e aperta, motivo per cui il
numero dei soci, oltre ad essere illimitato, può anche variare nel corso del tempo.

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Osserviamo altresì come gli effetti del contratto non si esauriscano con la stipulazione dello stesso: anzi, le
parti dettano proprio l’organizzazione di una futura attività, per cui occorrerà non solo porre in essere tale
attività comune ma anche creare un apparato organizzativo volto alla produzione di atti giuridici nuovi e
aventi rilievo sia interno che esterno.

Nei contratti associativi, e pertanto anche nel contratto di società, possiamo anche notare come nullità,
annullabilità, risoluzione per inadempimento o per impossibilità sopravvenuta inerenti al vincolo di una sola
parte NON comportino in alcun modo la medesima conseguenza per l’intero contratto, salvo che la
partecipazione in questione non risulti essenziale. Si applicano, infine, anche le tutte norme del codice in
materia di contratti in generale, ovviamente laddove compatibili e sempre che non vi sia alcuna disciplina
specifica.

I conferimenti

Sono tre gli elementi necessari, in forza dell’art.2247 c.c., che caratterizzano una qualsiasi società,
distinguendola da altri fenomeni associativi:

 I conferimenti;
 L’esercizio in comune di un’attività economica, definito come SCOPO-MEZZO;
 La divisione degli utili, definita come SCOPO-FINE.

Partiamo dai CONFERIMENTI: essi sono prestazioni cui le parti si obbligano e costituiscono i contributi alla
formazione del patrimonio iniziale della società. Grazie ai conferimenti la società viene dotata di un capitale
di rischio con cui poter iniziare a operare sul mercato.

Tutti i soci devono effettuare il conferimento, destinando stabilmente una parte della propria ricchezza
personale all’attività comune, al fine di conseguire la partecipazione sociale, sebbene diverso possa essere
l’ammontare e il valore dei vari conferimenti: è proprio effettuando il conferimento che il socio assume in
capo a sé il rischio d’impresa, ossia il rischio non solo di non avere alcun ritorno economico ma addirittura di
perdere quanto investito/conferito.

Il dettato codicistico individua i conferimenti nei “beni e servizi” necessari per l’esercizio in comune
dell’attività economica: può trattarsi di denaro, di beni in natura trasferiti in proprietà o concessi in
godimento alla società, di prestazioni di manuali o intellettuali, praticamente può trattarsi di ogni entità
suscettibile di valutazione economica ritenuta necessaria, dalle parti, per lo svolgimento dell’attività
d’impresa, ovviamente fatta salva l’applicazione della disciplina dettata per le singole società (esempio: nelle
società per azioni non possono formare oggetto di conferimento le prestazioni d’opere o di servizi).

Segue: Patrimonio sociale e capitale sociale

Importante, a questo punto, è fissare due concetti chiave collegati ai conferimenti: quello di “patrimonio
sociale” e quello di “capitale sociale”.

Il patrimonio sociale è il complesso di rapporti giuridici attivi e passivi che fanno capo alla società. Si tratta,
almeno inizialmente, dei beni provenienti dai conferimenti dei soci ma è necessario specificare che esso, col
tempo, varia in base alle vicende economiche della società, generando attività o passività che si possono
evincere dal bilancio d’esercizio annuale. Per patrimonio netto si intende la differenza tra attività e passività.
Il patrimonio sociale, o meglio l’attivo patrimoniale, costituisce garanzia generica principale o esclusiva dei
creditori della società: garanzia esclusiva se vi è autonomia patrimoniale perfetta, ossia per le obbligazioni
sociali risponde solo e solamente la società con il proprio patrimonio; garanzia principale se la società non
gode di autonomia patrimoniale perfetta e, pertanto, i soci rispondono anch’essi, direttamente con il
proprio patrimonio, delle obbligazioni sociali.

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Diversa, invece, è la nozione di “capitale sociale nominale”: si tratta di un’entità numerica, del “valore in
denaro” dei conferimenti quale risulta dalla valutazione, di carattere economico, presente nell’atto
costitutivo della società. A differenza del patrimonio sociale, il capitale sociale nominale non varia nel corso
della vita della società se non nell’ipotesi in cui vi sia una modifica dell’atto costitutivo che ne decida un
aumento, prevedendo nuovi conferimenti, o la riduzione, per perdite subite.

Il capitale sociale nominale ha una duplice funzione, una vincolistica e un’organizzativa. Ha una funzione
vincolistica in quanto, indicando l’ammontare dei conferimenti, determina il valore delle attività che i soci
non possono distrarre dall’attività d’impresa e che non possono liberamente ripartirsi per tutta la durata
della società. I soci possono provvedere alla sola ripartizione del patrimonio netto che SUPERA l’ammontare
del capitale sociale e questo anche nell’ipotesi in cui la società non abbia alcun debito (esempio: capitale
sociale nominale di 100, determinato dal valore economico dei conferimenti…tutto ciò che va oltre il 100
può essere ripartito, il resto NO). Quindi il capitale sociale rappresenta la quota ideale/frazione del
patrimonio netto assoggettata a un vincolo di stabile destinazione all’attività sociale (c.d. capitale reale):
infatti, quasi a sottolinearne la funzione vincolistica, la cifra del capitale sociale nominale viene iscritta, in
bilancio, fra le passività della società, insieme ai debiti a carico della società stessa, proprio perché
intoccabile e non divisibile.

Abbiamo detto, però, che il capitale sociale assolve anche una funzione organizzativa e lo fa, se vogliamo
essere precisi, sotto due punti di vista differenti, l’uno valevole per tutti i tipi di società, l’altro solo per le
società di capitali.

Il capitale sociale nominale, infatti, serve da termine di riferimento per accertare, all’interno del bilancio
d’esercizio, tanto gli utili quanto le perdite: abbiamo detto che esso va iscritto tra le passività e quindi va a
sommarsi ai debiti ed è per tal motivo che gli utili, distribuibili tra i soci, saranno costituiti dall’attivo
ECCEDENTE la somma tra debiti e capitale sociale (Esempio: capitale sociale di 100, debiti/passività di 300,
bilancio delle attività di 600…a 600, che è l’attivo, va sottratto un valore di 400, ossia capitale + debiti…600 –
400 = 200…è questo l’utile di bilancio divisibile tra i soci). Allo stesso modo potranno essere determinate le
perdite: bilancio delle attività pari a 600, capitale sociale nominale pari a 100, valore delle passività pari a
700…600 – (100 + 700) = - 200…la società è in perdita di 200.

Sotto un diverso profilo, però, il capitale sociale nominale ha una funzione organizzativa differente, valevole
per le società di capitali: serve come “base di misurazione” di alcune fondamentali situazioni soggettive dei
soci, tanto di carattere amministrativo (diritto di voto) quanto di carattere patrimoniale (diritto agli utili e
alla quota di liquidazione), tutti diritti che spettano al socio proporzionalmente al capitale sociale
sottoscritto.

L’esercizio in comune di attività economica

Il secondo elemento fondamentale delle società è l’ESERCIZIO IN COMUNE DI UN’ATTIVITA’ ECONOMICA,


definito dalla dottrina come scopo-mezzo sociale, proprio perché necessario e strumentale al
raggiungimento dello scopo-fine inerente la divisione degli utili.

La specifica attività svolta dalla società deve essere precisata all’interno dell’atto costitutivo, in quanto
rappresenta l’OGGETTO sociale, e può essere modificata durante la vita della società solo tramite una
modifica dello stesso.

In tutte le società, inoltre, l’oggetto sociale deve consistere in un’attività produttiva svolta con metodo
economico, che come possiamo facilmente dedurre si configura come attività d’impresa.

Essenziale, però, è che si tratti di attività svolta IN COMUNE, il che sotto il profilo oggettivo (ossia valevole
per tutte le società senza distinzioni) significa che l’attività deve mirare a un RISULTATO UNITARIO (per
questo si avranno due imprese e non una società se due soggetti acquistano un camion in comune per poi
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sfruttarlo per il trasporto merci a turno, in quanto conseguiranno due risultati diversi) ed essere imputabile
e riconducibile al gruppo unitariamente considerato (motivo per cui l’associazione in partecipazione di cui
all’art.2549 c.c. non si configura come società, dato che tutta l’attività è imputabile all’associante, che resta
l’unico imprenditore e di cui viene speso il nome nel traffico giuridico).

Società e impresa. Le società occasionali

Tutti i caratteri richiesti dall’art.2082 c.c. in merito all’imprenditore vengono rispettati, nella stragrande
maggioranza dei casi, all’interno delle società: viene posta in essere un’attività produttiva, portata avanti
con metodo economico, posta in essere con professionalità e organizzazione e finalizzata allo scambio o alla
produzione di beni e servizi.

Ciò nonostante l’art.2247 del codice non prevede obbligatoriamente che si debba trattare di un’attività
svolta “professionalmente”, ossia in via abituale, in quanto le società possono, sebbene in rari casi, svolgere
attività produttiva OCCASIONALE: in breve possiamo affermare che può esistere una SOCIETA’ SENZA
IMPRESA, cui non si applica in alcun modo la disciplina dettata per gli imprenditori e pertanto neanche
quella inerente il fallimento e le altre procedura concorsuali.

Sono due i fenomeni di società senza impresa possibili nel nostro ordinamento: le SOCIETA’ OCCASIONALI e
quelle TRA PROFESSIONISTI.

Partiamo dalle società occasionali e chiariamo subito che non si ha “né società né impresa” nel momento in
cui un affare si concretizza nel compimento di un solo atto economico o di più atti senza che vi sia un
coordinamento degli stessi: se due soggetti vendono assieme una collezione di libri non siamo in presenza
né di una società, né di attività di impresa. Al contrario, si ha “sia società sia impresa” se due soggetti
pongono in essere un singolo affare complesso, come la realizzazione di un immobile: in questo caso, infatti,
siamo dinanzi ad un’attività produttiva e alla creazione di un apparato organizzativo tale da escludere il
carattere occasionale e non coordinato dei singoli atti. Abbiamo già detto, infatti, che “professionalità” e
“unicità dell’affare” non sono tra loro incompatibili, motivo per cui l’esercizio in comune in questo caso dà
vita alla società, ma siamo sicuramente anche in presenza di un’impresa.

In entrambe le ipotesi menzionate, dunque, NON siamo dinanzi ad una società occasionale, la quale può
esistere SOLO nel momento in cui viene posto in essere l’ESERCIZIO IN COMUNE DI ATTIVITA’ ECONOMICA
OGGETTIVAMENTE NON DURATURA, la quale prevede pochi atti coordinati ma non la presenza di un
apparato produttivo stabile: pensiamo all’acquisto in pianta di una partita di agrumi con conseguente
raccolta e vendita. Notiamo, comunque, come le società occasionali, nella pratica, siano difficilmente
configurabili, potendosi molto spesso confondere con società in cui non difetta affatto l’attività di impresa.

Segue: Le società tra professionisti

Nella trattazione dei requisiti dell’impresa abbiamo già avuto modo di specificare come le professioni
intellettuali non si configurino come attività imprenditoriale per libera opzione del legislatore: il
professionista intellettuale, infatti, esercita professionalmente un’attività economica organizzata volta alla
produzione di un servizio (intellettuale), motivo per cui dovrebbe definirsi imprenditore; il legislatore
italiano, contrariamente a quanto previsto in altri Paesi e dalla stessa disciplina comunitaria, lo pone su un
piano diverso e nega l’assoggettamento alla normativa in materia di impresa.

Ecco perché una società fra professionisti intellettuali può definirsi una società SENZA impresa: vi è
l’esercizio in comune di attività economica, ma in alcun modo può essere qualificata come attività
imprenditoriale. Tuttavia, il dibattito sulla possibile esistenza delle società fra professionisti ha coinvolto
tutta la dottrina e gran parte della giurisprudenza, chiamando in causa più volte il legislatore per la
risoluzione della questione: gli articoli 2229 e successivi, dedicati alle professioni intellettuali, prevedono il
carattere strettamente “personale” dell’attività del professionista e il coordinamento di sostituti e ausiliari
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qualora egli ne abbia, il che porterebbe a escludere la possibilità di dar vita a una società con altri
professionisti; la l.1815/1939 disciplinante gli studi di assistenza e consulenza, inoltre, ha sempre previsto la
possibilità dei professionisti di associarsi in studi tecnici, legali, commerciali, contabili, amministrativi o
tributari, ma anche l’impossibilità di dar vita a diverse “forme di esercizio associato”, pertanto escludendo
direttamente la creazione di società fra professionisti. Ciò ha comportato, per lungo tempo, il proliferare di
pronunce inerenti la nullità di tali società per violazione di norme imperative e la nullità di tutti i contratti
d’opera posti in essere, con l’impossibilità dei professionisti di ricevere compensi.

Solo nel 1997 arriva il primo timido intervento del legislatore, il quale abroga l’art.2 della legge 1815,
eliminando quantomeno una norma imperativa volta a evitare palesemente la formazione di società tra
professionisti; lo stesso intervento, tuttavia, affida al Ministro della giustizia il compito di regolare, con
proprio decreto, i requisiti per l’esercizio in forma societaria delle attività previste dalla stessa legge 1815,
decreto che non arriva per notevoli contrasti con il Consiglio di Stato e in seno alla dottrina.

Nel 2001 il nostro legislatore disciplina le società fra avvocati (prossimo paragrafo) e nel 2006 le società tra
professionisti per la prestazione di servizi interdisciplinari, ma manca ancora un intervento generale, che
non sia settoriale (gli avvocati) o particolare per l’oggetto sociale (servizi interdisciplinari).

Occorre distinguere, inoltre, le società fra professionisti da quelli che sono altri fenomeni associativi che
nulla hanno a che vedere con le prime:

 INCARICO CONGIUNTO: l’assunzione congiunta di un incarico da parte di più professionisti non ha nulla a
che vedere con l’esercizio in comune di attività economica tra gli stessi, perché nel primo caso i
professionisti si impegnano personalmente a eseguire una prestazione, ponendo in essere distinte attività
professionali e non un’unica attività in comune, percependo tra l’altro due compensi magari differenti;
 SOCIETA’ DI MEZZI: differente dall’ipotesi di società tra professionisti è anche il caso delle società di mezzi,
società di “produzione di servizi” e non di attività intellettuali, create da due o più professionisti per
condividere mezzi strumentali alle singole attività svolte, ma che non contemplano in alcun modo una
gestione unica dell’aspetto professionale (pensiamo all’acquisto di macchinari da parte di tre dentisti,
strumentali all’esercizio delle tre distinte attività). In questa ipotesi vi è attività d’impresa commerciale, ma
non società tra professionisti;
 SOCIETA’ DI SERVIZI IMPRENDITORIALI: si tratta di società di servizi composte da un numero elevato di
professionisti intellettuali, che offrono però un PRODOTTO COMPLESSO sul mercato, di cui le prestazioni
intellettuali sono solo una parte, avendo carattere “strumentale e servente” rispetto al servizio unitario
offerto dalla società. Possiamo pensare alle “società di engineering”, in cui le progettazioni di ingegneria
sono solo una parte del servizio offerto, il quale si estende al reperimento dei fondi e alla vendita degli
impianti (consulting e commercial engineering); pensiamo inoltre alle società di elaborazione elettronica dei
dati contabili, le quali si occupano della “tenuta” della contabilità, attività che nulla ha a che vedere con la
“consulenza contabile” di commercialisti e ragionieri; portiamo, ancora, l’esempio delle società di revisione
contabile, che hanno la funzione di controllare la regolare tenuta della contabilità e di certificare i bilanci
delle società per azioni, e che non esauriscono di certo il loro compito nell’esercizio di una professione
intellettuale, che ha carattere strumentale rispetto all’unitaria prestazione di revisione legale dei conti.

Veniamo ora alle società fra professionisti intellettuali: si tratta di società che, diversamente dai fenomeni
associativi appena analizzati, hanno come oggetto unico ed esclusivo l’esercizio in comune di un’attività
professionale: è la società ad assumere gli incarichi e a obbligarsi all’esecuzione delle prestazioni
intellettuali, sebbene agendo attraverso i soci, obbligati a loro volta a eseguire la prestazione verso la
società. Proprio in forza di ciò la dottrina era solita attuare una distinzione tra professioni intellettuali
PROTETTE, per cui occorreva l’iscrizione in appositi albi, e professioni NON PROTETTE, il cui esercizio non era
subordinato ad alcuna iscrizione. Continuando su questo filo logico, gran parte della dottrina affermava la
possibilità per gli esercenti professioni non protette di costituire società fra professionisti (per esempio una
società di agenti pubblicitari o di esperti in ricerche di mercato) e, dall’altro lato, l’impossibilità degli altri
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professionisti, proprio perché la legge 1815 del 1939 era solo a essi riservata e solo agli stessi poteva
applicarsi la disciplina del contratto d’opera intellettuale, contenente il principio della personalità della
prestazione. Questa tesi poteva benissimo essere accettata ma con qualche precisazione: se gli esercenti
professioni non protette non risultano vincolati alla disciplina codicistica delle professioni intellettuali,
sfuggendo pertanto alla necessità dell’esecuzione “personale” della prestazione, allora significa che per gli
stessi è venuto meno uno dei caratteri essenziali del “professionista intellettuale” e pertanto essi NON
SONO configurabili come tali a tutti gli effetti. Diventano, nel momento in cui decidono di costituire una
società, semplici produttori di servizi e, come tali, la loro società è sicuramente da qualificare come
imprenditore commerciale: siamo dunque in presenza di una società ma vi è anche attività di impresa.

Passiamo alle professioni protette: la giurisprudenza, più che la dottrina, hanno sempre negato la possibilità
di costituire società fra professionisti, per i motivi già elencati (prestazione personale, assoggettamento alle
legge 1815): la creazione di un ente impersonale cui vengono imputati tutti i rapporti giuridici dà luogo
automaticamente alla “spersonalizzazione” delle prestazioni professionali, impedendo che le stesse siano
riferibili direttamente ai soci professionisti , i quali possono sfuggire a qualsiasi forma di responsabilità
personale e diretta nei confronti dei terzi, data la stipulazione del contratto d’opera con la società e non con
i singoli soci.

Tuttavia, dopo la comparsa delle società fra avvocati nel 2001 e la disciplina delle società interdisciplinari,
necessariamente società di persone, nel 2006, con la L.183/2011 è arrivata finalmente la svolta tanto
desiderata: è stato abrogata completamente la L.1815/1939 ed è stato espressamente consentita la
COSTITUZIONE DI SOCIETA’ PER L’ESERCIZIO DI ATTIVITA’ PROFESSIONIALI REGOLAMENTATE.

Pertanto, oggi è possibile costituire i vecchi “studi professionali” ma è altresì lecito esercitare in comune
professioni protette, optando tra l’altro per qualsiasi modello societario (non più la sola società di persone
come previsto nel 2006 per le società di servizi interdisciplinari). A tali società, tra l’altro, possono
partecipare anche “soci non professionisti”, per fornire prestazioni tecniche o per finalità di investimento: in
tal modo è stato reso possibile l’ingresso, anche maggioritario, di soci capitalisti.

La legge, tuttavia, fissa i requisiti di tali società:

 PRINCIPIO DI ESLCUSIVITA’ DELL’OGGETTO SOCIALE: l’esercizio di attività professionale da parte dei soci,
anche di più attività professionali, deve essere l’oggetto ESCLUSIVO di tali società;
 PRINCIPIO DI ESCLUSIVITA’ DELLA PARTECIPAZIONE: il socio di una società tra professionisti non può essere
al contempo socio di altra società similare;
 Denominazione indicante la dicitura “società fra professionisti”;
 Osservanza del codice deontologico del rispettivo ordine (avvocati, commercialisti ecc.), sia da parte della
società che dei singoli soci;
 PRINCIPIO DI INDIVIDUAZIONE DEL PROFESSIONISTA INCARICATO DELLA PRESTAZIONE: l’utente ha diritto di
chiedere che la prestazione sia eseguita da un determinato socio, altrimenti viene designato un socio, la cui
scelta viene comunicata per iscritto al cliente. Designando un soggetto lo si rende DIRETTAMENTE
responsabile, in solido con la società, per l’inadempimento della prestazione professionale, regola che si
estende alle società tra avvocati, a quelle di servizi professionali interdisciplinari, alle società di revisione e a
quelle di engineering, tutte distintamente disciplinate.

Ora spetta al Ministro della giustizia, tramite l’emanazione della normativa secondaria di dettaglio tramite
regolamento, completare finalmente la disciplina della nuova figura di società tra professionisti.

Segue: La società tra avvocati

Il primo esempio di società senza impresa a essere stato disciplinato nel nostro ordinamento e con cui si è
avviato il processo legislativo che ha portato alla legittimazione giuridica delle società tra professionisti è

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sicuramente rappresentato dalla SOCIETA’ TRA AVVOCATI, la cui normativa è contenuta all’interno del
d.lgs.96/2001, emanato in attuazione della direttiva comunitaria 98/5.

La società tra avvocati, per circa un decennio e unitamente alle società di servizi professionali
interdisciplinari, ha rappresentato l’unico modello di società tra professionisti possibilmente attuabile nel
nostro ordinamento.

Partiamo col dire che oggetto sociale esclusivo è l’esercizio in comune dell’attività di rappresentanza,
assistenza, difesa in giudizio e consulenza legale e che la società può acquistare beni e diritti strumentali
all’esercizio della professione. Essa soggiace alle norme del codice in materia di società in nome collettivo,
salvo quanto appositamente previsto dal d.lgs.96.

Tutti i soci devono possedere il titolo di avvocato e non possono far parte di altre società; in caso di
sospensione dall’albo l’esclusione dalla società è facoltativa, mentre diviene obbligatoria (esclusione di
diritto) nell’ipotesi di radiazione o cancellazione. La ragione sociale, oltre a prevedere l’indicazione s.t.p.
(società tra professionisti), deve altresì comprendere titolo e nome di tutti i soci, o quantomeno di alcuni di
essi con l’aggiunta della locuzione “e altri”.

La costituzione della società tra avvocati segue l’iter previsto per le Snc, ma l’iscrizione avviene in apposita
sezione del registro delle imprese e dell’albo degli avvocati, e la prima ha solo funzione di pubblicità notizia.
Se per le cause di invalidità della società tra avvocati sono in vigore le norme previste dalla disciplina
generale dei contratti, per quanto concerne gli “effetti” dell’annullamento o della nullità la normativa si
avvicina più che altre alle regole dettate per le società per azioni: nullità e annullamento non pregiudicano
gli atti compiuti, resta ferma la responsabilità dei soci per gli atti anteriori, le sentenze (di nullità e
annullamento) nominano i liquidatori per giungere all’estinzione della società solo dopo aver soddisfatto
tutti i creditori e l’invalidità non può essere pronunciata se ne è stata rimossa la causa tramite modifica
dell’atto costitutivo.

La società tra avvocati, non esercitando attività di impresa, non è soggetta a fallimento ma vi è comunque
“personalità della prestazione” e “diretta responsabilità del professionista nei confronti del cliente”, che può
scegliere il proprio difensore o vi provvederà la società comunicandogli per iscritto il prescelto prima
dell’inizio dell’esecuzione del mandato: se per le obbligazioni sociali NON derivanti dall’attività professionale
si applica la disciplina delle Snc, per quanto riguarda la responsabilità professionale i soci incaricati sono
personalmente e illimitatamente responsabili per l’attività svolta in esecuzione del mandato, solidalmente
con la società stessa, mentre saranno responsabili TUTTI i soci in caso di omessa comunicazione
dell’avvocato incaricato.

Lo scopo-fine delle società

L’ultimo elemento caratterizzante le società che ritroviamo all’interno dell’art.2247 c.c. è la “divisione degli
utili”, definita come scopo-fine, ossia come risultato da raggiungere. Questo, però, non è l’unico fine che le
società possono perseguire: accanto allo scopo di lucro OGGETTIVO, inerente il conseguimento degli utili, e
al lucro SOGGETTIVO, riguardante la divisione degli stessi tra i soci, come avviene all’interno delle società di
persone e capitali, ritroviamo anche lo scopo MUTUALISTICO, proprio delle società cooperative, consistente
nel procurare ai soci “quel particolare vantaggio patrimoniale diretto consistente in un risparmio di spesa o
in una maggiore remunerazione del lavoro prestato, in servizi o in occasioni di lavoro, a condizioni più
vantaggiose rispetto al mercato”, vantaggio che si produce direttamente nella sfera individuale dei singoli
soci. Accanto a scopo lucrativo e scopo mutualistico, infine, tutte le società, eccetto quella semplice,
possono perseguire anche uno scopo consortile, consistente (lo ricordiamo) in quel particolare vantaggio
patrimoniale che è la “sopportazione di minori costi o la realizzazione di maggiori guadagni nelle rispettive
imprese consorziate”.

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Quindi, in conclusione, abbiamo tre grandi categorie di società in forza dello scopo perseguito: le società
lucrative, quelle mutualistiche e le società consortili, tutti enti associativi che operano con metodo
economico e per il raggiungimento di un risultato economico a favore esclusivo dei soci (autodestinazione
dei benefici patrimoniali).

Segue: Società ed associazioni. L’impresa sociale

Arrivati a questo punto della nostra trattazione possiamo finalmente soffermarci sulla differenza tra società
ed associazioni: mentre le prime, come abbiamo visto, devono porre in essere un’attività produttiva
condotta con metodo lucrativo o quanto meno economico, per le seconde il legislatore non individua
l’attività da svolgere; allo stesso tempo le società hanno come scopo l’autodestinazione dei benefici
patrimoniali, mentre le associazioni mirano proprio all’eterodestinazione degli stessi, avendo uno scopo
ideale. Va da sé che la mancanza di metodo economico nello svolgimento dell’attività produttiva o la
devoluzione degli utili a scopi di beneficienza o altruistici, anche in presenza di attività produttiva attuata
con metodo economico, rende comunque IMPOSSIBILE poter parlare di società.

Tuttavia, capita molto spesso all’interno del nostro ordinamento di incontrare associazioni camuffate da
società: queste ultime devono avere sempre scopo lucrativo ma è anche vero che l’esistenza dello stesso va
valutata solo in sede di costituzione della società, il che comporta l’adozione per iscritto di tale scopo,
perseguendone nella pratica uno totalmente diverso. Tutto ciò serve a quei gruppi che esercitano attività di
impresa con scopo ideale per avvalersi dei consistenti vantaggi operativi delle società di capitali.

La legislazione speciale, inoltre, contempla diversi casi in cui figurano società SENZA scopo di lucro:
pensiamo alle società a prevalente partecipazione pubblica, che soprattutto in passato dovevano perseguire
scopi esclusivamente pubblici e incompatibili con la causa lucrativa o alle società di gestione dei mercati
regolamentati di strumenti finanziari o all’IMPRESA SOCIALE di cui al d.lgs.155/2006, esercente in via stabile
e principale un’attività d’impresa finalizzata allo scambio o alla produzione di beni e servizi di utilità sociale
individuati dallo stesso decreto, a cui viene fatto espresso divieto di divisione degli utili, pur poter optare per
qualsiasi modello societario presente nel nostro ordinamento.

Questa ricca casistica particolare, accompagnata dall’esigenza pratica dei gruppi con fini ideali o altruistici di
utilizzare i modelli societari, ha portato parte della dottrina a ritenere che col tempo fosse venuta meno la
necessità dello scopo lucrativo come elemento caratterizzante le società, potendo perseguire le stesse
qualsiasi scopo lecito, sia lucrativo che economico e ideale. In realtà, i casi presi in considerazione dalla
legislazione speciale sono da ritenersi “eccezionali”, proprio perché contenuti all’interno di leggi
appositamente dedicate a determinati fenomeni: le società restano strutture associative fruibili per il
perseguimento di uno scopo di lucro o quantomeno economico, sicuramente non ideale.

Società e comunione

Il legislatore codicistico, dopo aver fornito la definizione di contratto di società all’interno dell’art.2247 c.c.,
all’art.2248 dispone: “La comunione costituita o mantenuta al solo scopo del godimento di una o più cose è
regolata dalle norme del titolo VII del libro III”, ossia dalle norme in materia di comunione. Ciò significa che il
regime patrimoniale e le relative norme delle società si possono applicare SOLO quando i beni vengono
destinati allo svolgimento di un’attività d’impresa e non nel momento in cui vengono sfruttati per il
godimento, diretto o indiretto, dei comproprietari.

L’art.2248 c.c. ci porta a riflettere sulle differenze esistenti tra società e comunione: mentre la società è un
contratto avente ad oggetto l’esercizio in comune di un’attività economica, la comunione è una “situazione
giuridica” che sorge, secondo l’art.1100 c.c., quando la proprietà o altro diritto reale spettano in comune a
più persone, avente dunque ad oggetto il solo “godimento”. Tuttavia, se nelle società è scontato che venga
posta in essere una determinata attività produttiva, è necessario osservare come anche nella comunione sia
presente un’attività avente contenuto patrimoniale, attuata tramite un’organizzazione di gruppo
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(assemblea-amministratore). Quindi l’organizzazione di gruppo e l’attività sono presenti tanto nelle società
quanto nella comunione ma è il rapporto BENI-ATTIVITA’ ad essere totalmente diverso: nelle società i beni
costituenti il patrimonio sono strumentali all’esercizio dell’attività economica, utile a sua volta per
raggiungere lo scopo-fine sociale; nella comunione, al contrario, è l’attività ad essere strumentale ai beni,
essendo necessaria per la conservazione e il miglior godimento individuale degli stessi da parte dei
comproprietari.

I beni sociali, dunque, sono oggetto di uno “stabile vincolo di destinazione” allo svolgimento dell’attività
della società, un vincolo che opera tanto nei rapporti interni quanto in quelli esterni, dato che il singolo
socio non può liberamente servirsene se non per lo svolgimento dell’attività d’impresa, così come non può
provocare lo scioglimento della società; allo stesso tempo i creditori del socio non possono aggredire,
quantomeno direttamente, il patrimonio sociale, su cui devono rifarsi coloro che vantano un credito nei
confronti della società.

Nella comunione, invece, non esiste alcun vincolo di destinazione dei beni, il che comporta che ciascun
contitolare possa liberamente servirsene, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri di
farne uso, così come tale assenza determina sia la possibilità, per ciascun comproprietario, di chiedere ed
ottenere in qualsiasi momento lo scioglimento della comunione, sia la libertà dei creditori personali di
aggredire la cosa comune per soddisfare il proprio credito.

L’art.2248 c.c., in definitiva, deve essere inteso come un divieto di costituire “SOCIETA’ DI MERO
GODIMENTO”, il cui unico scopo sia quello di godere, direttamente o indirettamente, dei beni dei soci. Tali
sono, per esempio, le società immobiliari di comodo, istituite perché l’intestazione societaria di cespiti
immobiliari consente di godere per le relative rendite di un regime tributario più favorevole, quello dei
redditi di impresa, ma che non svolgono in realtà alcuna attività di questo genere, limitandosi a far godere
gli stessi soci (godimento diretto) degli immobili facenti parte del patrimonio sociale o a cederli in locazione
(godimento indiretto).

Nonostante quanto abbiamo appena detto, occorre precisare (come già fatto nella dispensa del
Campobasso volume 1) che non vi è alcuna incompatibilità tra attività produttiva e godimento dei beni;
fondamentale, però, è che accanto all’attività di godimento, magari indiretta perché estrinsecatasi nel
concedere in locazione immobili, vi sia anche l’attività produttiva di nuovi beni o servizi: pensiamo
all’edificio adibito dai proprietari ad albergo, il che comporta l’offerta di ulteriori servizi oltre alle camere.

Segue: Società e comunione di impresa

Abbiamo analizzato nel dettaglio le differenze che esistono tra società e comunione, ma alcune domande
sorgono spontanee: che succede quando oggetto della comunione diviene un bene produttivo, come un
fondo rustico, o peggio ancora un complesso di beni produttivi, come un’azienda commerciale, ossia beni il
cui semplice GODIMENTO comporta in ogni caso ATTIVITA’ PRODUTTIVA? Tra i comproprietari si instaura la
semplice comunione o automaticamente un rapporto societario?

A tali domande non può essere fornita una risposta univoca, essendo necessario analizzare le singole
situazioni. Se due soggetti divengono proprietari di un complesso aziendale (il libro fa l’esempio della sala
cinematografica), essi hanno dinanzi diverse opportunità: possono concederlo in affitto a terzi ed in tal caso
resta applicabile il regime della comunione, in quanto l’attività di impresa viene svolta dal terzo; possono
goderne alternativamente ed in tal caso non si avrà alcuna società, bensì l’esercizio alternato di imprese
individuali; oppure possono decidere di gestire il complesso aziendale in comune, dando luogo ad una
società di fatto assoggettata alle norme della società in nome collettivo irregolare.

A questo punto, però, qualche lettore attento potrebbe sottolineare la necessità, a norma dell’art.2247 c.c.,
di un accordo tra le parti in merito ai conferimenti, non rinvenibile nel semplice utilizzo in comune del
complesso aziendale o del bene produttivo da parte dei comproprietari: ci troveremmo dinanzi, in sostanza,
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all’esercizio di un’impresa collettiva con applicazione del regime patrimoniale della comunione. In mancanza
di un accordo riguardante il conferimento in società dei beni caduti in comunione si dovrebbe parlare di
“comunione di impresa” ma così non è: il contratto di società e l’attuazione dei conferimenti, in questo caso
specifico, esistono anche se ad essi si è provveduto “PER FATTI CONCLUDENTI”, in quanto è sufficiente
prendere in considerazione i comportamenti dei comproprietari perché si possa parlare di attività
economica in comune e di società, pertanto applicandosi il regime patrimoniale delle stesse e non quello
della comunione, con conseguente mancanza di autonomia patrimoniale.

Segue: L’impresa coniugale

Unico esempio di comunione di impresa o, se vogliamo, di impresa collettiva senza autonomia patrimoniale,
è stato previsto dal legislatore all’interno della riforma del diritto di famiglia del 1975: l’art.177 lettera “d”
del codice, infatti, prevede la cosiddetta AZIENDA o IMPRESA CONIUGALE, dato che “formano oggetto della
comunione legale fra coniugi anche le aziende gestite da entrambi e costituite dopo il matrimonio”. I coniugi
sono liberi di dar vita ad una società per l’esercizio dell’impresa, ma allo stesso tempo possono far in modo
che venga applicata la disciplina della comunione familiare, il che comporta che i creditori d’impresa
possano rifarsi sull’azienda, ma senza prelazione alcuna, così come possono aggredire il patrimonio
personale di ogni coniuge, nella misura massima della “metà del credito”, in via sussidiaria in caso di
insufficienza dei beni della comunione per il soddisfacimento del credito. I creditori personali del singolo
coniuge, d’altro canto, possono rifarsi anche sui beni aziendali direttamente, ovviamente sino al valore della
quota del coniuge debitore e purché i beni appartenenti solo allo stesso siano insufficienti. In breve
possiamo affermare che nell’ipotesi specifica appena analizzata non si forma alcun patrimonio autonomo e
si applica un regime patrimoniale non accostabile né a quello dell’ordinaria comunione, né a quello delle
società di fatto.

B. I TIPI DI SOCIETA’

Nozione. Classificazioni

Abbiamo già anticipato che il concetto di società prevede l’esercizio in comune di un’attività economica,
ossia posto in essere da una pluralità di soggetti aventi tutti il medesimo interesse. Tuttavia, nonostante la
condivisione del fine, questi soggetti convivono all’interno dello stesso gruppo, che finisce naturalmente per
rapportarsi con i terzi tramite la propria attività: è per questi motivi che il legislatore ha dovuto prevedere
una serie di norme volte a disciplinare tanto l’organizzazione interna quanto i rapporti fra società e terzi.
All’interno di una qualsivoglia società occorre definire le regole di formazione della volontà del gruppo, sia
per ciò che concerne l’amministrazione dell’impresa comune, sia per quanto riguarda le possibili
modificazioni dell’atto costitutivo. Altrettanto importante è stabilire chi debba godere del potere di
rappresentanza della società, vincolando la stessa tramite l’assunzione di obbligazioni.

Tutti questi aspetti variano in base al modello societario scelto dal gruppo e diviene necessario, quantomeno
in linea generale, introdurre delle classificazioni in base a criteri discretivi diversi.

La prima distinzione di cui parliamo prende in considerazione lo scopo perseguito dalle società: ritroviamo
da una parte le società lucrative e dall’altra quelle mutualistiche, ossia le sole cooperative e mutue
assicuratrici.

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La seconda distinzione si basa sulla natura dell’attività esercitabile: da un lato abbiamo la società semplice,
utilizzabile esclusivamente per l’esercizio di attività NON commerciale e per cui solo di recente è stata
prevista la pubblicità mediante iscrizione nel registro delle imprese con funzione di pubblicità legale quando
viene esercitata attività agricola e con funzione di pubblicità notizia nell’ipotesi di società fra professionisti, e
dall’altro tutti gli altri modelli societari, che possono esercitare qualsivoglia attività, commerciale e non, e
per cui l’iscrizione nel registro delle imprese ha sempre avuto la funzione di pubblicità legale.

Una terza differenziazione riguarda la personalità giuridica, presente nelle società di capitali e cooperative,
assente al contrario nelle società di persone. Tale distinzione è forse quella di maggior rilievo all’interno del
nostro ordinamento, perché al di là delle singole norme dettate per ciascun modello societario, vi sono
comunque delle regole comuni all’una e all’altra categoria. Le società di capitali sono persone giuridiche in
cui è presente un’organizzazione di tipo CORPORATIVO, ossia basata sulla necessaria presenza di una
pluralità di organi che per legge possiedono specifiche funzioni e competenze ed in cui il funzionamento
degli organi sociali si basa sul PRINCIPIO MAGGIORITARIO. Il punto senza dubbio più rilevante, però, risiede
nel fatto che il singolo socio, all’interno delle società di capitale, non possiede alcun potere diretto di
amministrazione e controllo, in quanto si limita a concorrere col proprio voto alla nomina dei componenti
degli organi che svolgono tali funzioni: il peso del singolo voto è proporzionato alla quota di capitale sociale
sottoscritto, il che significa adottare un criterio CAPITALISTICO, che da maggior rilievo ai mezzi apportati e
non alle persone dei soci. Si suole dire, infatti, che le società di capitali vengono così definite per la maggiore
rilevanza di quel particolare elemento che è il capitale rispetto al qui secondario elemento delle persone.
Nelle società di persone, invece, difetta un’organizzazione di tipo corporativo e ad ogni socio a
responsabilità illimitata è riconosciuto il potere di amministrare la società, mentre per le modifiche dell’atto
costitutivo occorre l’unanimità. Qui, al contrario di quanto visto prima, elemento preponderante sono le
persone rispetto al capitale, in quanto il singolo socio a responsabilità illimitata ha di per sé potere di
amministrazione e di rappresentanza per il solo fatto di esporsi alla responsabilità personale per le
obbligazioni sociali, indipendentemente quindi dall’ammontare del capitale conferito. L’accento, in questo
caso, cade sulle persone e non sull’elemento capitale.

Ultimo criterio discretivo che analizziamo è quello basato sul regime di responsabilità per le obbligazioni
sociali e a tal proposito distinguiamo tre gruppi di società: quelle in cui per le obbligazioni sociali rispondono
sia la società con il proprio patrimonio sia i soci, che sono tutti personalmente ed illimitatamente
responsabili, pensiamo alle Snc e alla società semplice; le società in cui delle obbligazioni sociali rispondono
la società con il proprio patrimonio ed i soli soci a responsabilità illimitata, mentre vi sono altri soci a
responsabilità limitata e pensiamo alle società in accomandita semplice e per azioni; e le società nelle quali
per le obbligazioni sociali risponde SOLO la società con il proprio patrimonio e pensiamo alle srl, alle spa e
alle cooperative.

Personalità giuridica e autonomia patrimoniale della società

Al fine di eliminare i dubbi sul possesso o meno della personalità sollevati dal codice di commercio del 1882,
che definiva le Snc, le società in accomandita e le società anonime come enti collettivi distinti dai soci, il
legislatore del ’42 ha deciso di attribuire tale personalità alle società di capitali e di negarla alle società di
persone, riconoscendo tuttavia anche a queste ultime autonomia patrimoniale.

Attenzione a non confondere i concetti di autonomia patrimoniale e di personalità giuridica: si tratta di due
diverse tecniche legislative previste per garantire la diffusione e lo sviluppo delle imprese societarie
all’interno del nostro ordinamento, tutelando adeguatamente sia i soci che i creditori sociali.

Le società di capitali, per il solo fatto di essere persone giuridiche, non sono solo autonomi centri di
imputazione formalmente distinti dai soci che ne fanno parte, ma divengono anche proprietarie dei beni
oggetto ad esse conferiti, quindi titolari di un proprio patrimonio, aggredibile soltanto dai creditori sociali,
che però non potranno rifarsi sui patrimoni personali dei soci. I creditori dei soci, d’altro canto, non
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potranno in alcun modo attaccare il patrimonio sociale, in quanto lo stesso è formato da cespiti destinati
stabilmente all’attività sociale e divenuti di un altro soggetto, la società. Le società di capitali, pertanto, oltre
ad essere persone giuridiche godono anche di autonomia patrimoniale PERFETTA. Anche nelle società di
capitali, sia chiaro, sussistono responsabilità personali, anche se sussidiarie, come quella dell’unico azionista
di spa o dell’unico quotista di srl, sebbene solo in taluni casi (tranquilli, ci sarà modo di descriverli
ampiamente più avanti), o quella dei soci accomandatari dell’accomandita per azioni.

Segue: La soggettività delle società di persone

Alle società di persone, differentemente da quanto abbiamo appena visto per le società di capitali, il
legislatore ha negato la personalità giuridica, sebbene alle stesse sia stata riconosciuta autonomia
patrimoniale. Questo significa che anche per quanto riguarda le società di persone i creditori personali dei
soci non possono aggredire il patrimonio sociale, sebbene possano far valere i propri diritti sulla quota
spettante al debitore e ottenere, in caso di società semplice o di proroga delle altre società di persone, la
liquidazione della quota nell’ipotesi di insufficienza degli altri beni. Allo stesso tempo i creditori sociali non
possono aggredire DIRETTAMENTE il patrimonio dei soci illimitatamente responsabili, i quali godono del
“beneficio di escussione”, dovendo prima essere escusso infruttuosamente il patrimonio sociale: questo
significa che la loro responsabilità è solo sussidiaria, sebbene esista.

La mancanza di personalità giuridica delle società di persone, tuttavia, non comporta una netta distinzione
tra società e soci, come invece crede una parte della dottrina, la quale sostiene che tali società non abbiano
un proprio patrimonio, trattandosi di una comproprietà speciale tra i soci e che le obbligazioni sociali siano
obbligazioni dei soci, responsabili per debito proprio e non contratto dalla società, in quanto imprenditori
sono gli stessi. Tutto ciò, lo ripetiamo, non corrisponde a realtà: il fatto che le società di persone non godano
di personalità giuridica non significa che esse non siano soggetti di diritto e autonomi centri di imputazione,
veri e propri imprenditori responsabili per le loro obbligazioni, sebbene vi sia una responsabilità a titolo di
garanzia di tutti o di alcuni soci. Esse possono addirittura essere classificate come “soggetti collettivi non
personificati”, una sorta di “tertium genus” a metà strada tra persone fisiche e giuridiche.

Tipi di società e autonomia privata

Durante il procedimento di costituzione di una società è necessario che i futuri soci effettuino la scelta
inerente il TIPO di società, optando per uno dei modelli previsti dal legislatore: se l’attività è commerciale
potranno scegliere un modello qualsiasi, mentre se NON è commerciale potranno scegliere tutti i tipi tranne
la società semplice. Le leggi speciali possono prevedere, inoltre, delle limitazioni inerenti particolari attività,
come quella bancaria o assicurativa, riservate a determinati tipi di società.

Tuttavia, sebbene la scelta del tipo sia importante, essa non appare necessaria per la validità della società
stessa: nel caso di attività NON commerciale è l’art.2249 comma 2 del codice a prevedere l’applicazione
della disciplina della società semplice, mentre qualora si tratti di attività commerciale si può dedurre
agevolmente e per esclusione (manca una norma a riguardo) che vada applicata la disciplina della società in
nome collettivo, in quanto per tutti gli altri tipi servirebbero ulteriori specificazioni contrattuali. Quelli della
società semplice e della società in nome collettivo, in sostanza, possono ritenersi come REGIMI RESIDUALI DI
DISCIPLINA dell’attività societaria, rispettivamente per ciò che concerne attività NON commerciali e attività
commerciali.

Ovviamente le parti, all’interno del contratto di società, possono discostarsi dalla disciplina fissata dal
legislatore tramite l’apposizione di CLAUSOLE ATIPICHE, rimanendo però sempre nei margini di autonomia
concessi dal legislatore, ossia rispettando l’inderogabilità di talune norme (come quelle che prevedono la
soppressione di organi societari nelle spa): l’invalidità di tali clausole comporta la sola nullità parziale a
norma dell’art.1419 c.c. e non la nullità dell’intero contratto sociale, con conseguenziale applicazione della
disciplina legale.

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Se l’autonomia delle parti può dar vita a regole (clausole) atipiche, altrettanto non può essere fatto per
quanto riguarda i tipi di società, dovendo le parti scegliere tra uno dei modelli impostati dal legislatore e non
essendo possibile, in deroga all’autonomia contrattuale di cui all’art.1322 c.c., creare “società atipiche”, il
che comporta la nullità delle stesse.

Diverse dalle clausole atipiche, inoltre, sono i PATTI PARASOCIALI, veri e propri accordi estranei all’atto
costitutivo, stipulati tra i soci e aventi ad oggetto comportamenti futuri in sede di votazione (sindacati di
voto), impossibilità di alienare le proprie quote a terzi (sindacati di blocco) o apporti in denaro. Tali patti
hanno efficacia meramente obbligatoria, in quanto vincolano solo i soci attuali e quelli futuri NON
automaticamente, ma previa espressa adesione, diversamente dalle clausole contrattuali ad efficacia reale,
che vincolano tutti i soci presenti e futuri; l’invalidità degli stessi non comporta nullità del contratto di
società e la loro violazione comporta il solo risarcimento del danno nei rapporti interni tra coloro che vi
hanno aderito ma in alcun modo determina l’invalidità degli atti posti in essere.

Contratto di società e organizzazione

Abbiamo precisato già inizialmente che con il contratto di società le parti dettano l’organizzazione di una
futura attività economica: dall’atto di autonomia privata che fa nascere la società (società-contratto) si passa
ad un’organizzazione di persone e mezzi (società-organizzazione) che allo stesso contratto deve dare
attuazione, producendo atti giuridici per l’esercizio dell’attività comune.

Con la stipulazione del contratto di società il singolo contraente diviene SOCIO e diventa titolare di una serie
di situazioni giuridiche attive e passive, sia di natura AMMINISTRATIVA, aventi ad oggetto la partecipazione
all’attività comune, sia di natura PATRIMONIALE, inerenti la partecipazione ai risultati dell’attività stessa
durante la vita ed in fase di scioglimento della società.

Ovviamente le situazioni soggettive in questione variano a seconda del tipo societario scelto, ma in tutte le
società permane la distinzione tra interesse individuale e interessi di gruppo: il primo deve sempre essere
sacrificato a favore del secondo, sebbene solo strumentalmente al raggiungimento del risultato finale, che
va ovviamente a favore dei singoli stessi. Il sacrificio di uno o più soci, dunque, non può MAI agevolare altri
soci: al di là del tipo societario scelto, infatti, il contratto di società deve sempre rispettare il principio di
esecuzione secondo “correttezza e buona fede” e quello inerente la “parità di trattamento tra soci”.

CAPITOLO SECONDO – LA SOCIETA’ SEMPLICE. LA SOCIETA’ IN NOME COLLETTIVO

Le società di persone

La categoria delle società di PERSONE è composta da tre tipi societari: la società SEMPLICE, la cui disciplina è
contenuta negli artt.2251-2290 c.c., che può esercitare solo attività NON commerciale e funge da regime
residuale per tutte le società che esercitano questo tipo di attività, qualora non sia stata effettuata alcuna
scelta in merito al “tipo”; la società IN NOME COLLETTIVO (Snc), la cui disciplina è contenuta negli artt.2291-
2312 c.c., che può esercitare sia attività commerciale che attività diversa e si contraddistingue per il fatto
che TUTTI i soci sono solidalmente ed illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali (non è
ammesso patto contrario). Rappresenta, inoltre, il regime residuale per tutte le società che esercitano
attività commerciale, mentre deve essere scelta appositamente in caso di attività agricola (la mancanza della
scelta produce l’applicazione della disciplina della società semplice). Ultima società facente parte della
categoria è la società IN ACCOMANDITA SEMPLICE, la cui disciplina è contenuta negli artt.2313-2324 c.c., la
quale si contraddistingue per la presenza di soci illimitatamente e solidamente responsabili, definiti come
ACCOMANDATARI, e soci responsabili limitatamente alla quota conferita, noti come ACCOMANDANTI.

Un ruolo di rilievo è rivestito dalla società semplice, la quale funge da PROTOTIPO NORMATIVO delle società
di persone, dato che le sue norme si applicano anche alle Snc e alle sas, le cui discipline fanno spesso
riferimento. Ciò nonostante la società semplice non ha conosciuto un gran successo nella realtà societaria
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italiana, sia per l’impossibilità di esercitare attività commerciale, il che ne restringe l’utilizzo alla sola attività
agricola, sia per la sempre più frequente scelta degli agricoltori che ricade sulle società di capitali o
cooperative. Il nostro legislatore ha anche provato ad ampliare la categoria delle attività esercitabili dalla
società semplice, dando la possibilità alle società di revisione e a quelle fra professionisti di adottare tale
tipo societario, ma l’intervento non ha sortito alcun effetto.

A. LA COSTITUZIONE DELLA SOCIETA’

L’atto costitutivo. Forma e contenuto

Il contratto di società semplice, in forza di quanto previsto dall’art.2251 c.c., “non è soggetto a forme
speciali, salve quelle richieste dalla natura dei beni conferiti”, il che significa che può essere concluso anche
verbalmente o risultare da fatti concludenti (società DI FATTO), dato che l’eventuale silenzio inerentemente
ad aspetti essenziali della società è comunque colmato da norme suppletive. Se il trasferimento della
proprietà o la concessione del semplice godimento a titolo di conferimento prevedono la forma scritta,
allora anche il contratto di società dovrà prevederla; tuttavia, qualora essa manchi, invalido è solo il
conferimento e non la società, almeno che lo stesso non fosse essenziale per l’esecuzione del contratto
sociale.

Per quanto concerne l’iscrizione nel registro delle imprese, invece, il codice del ’42 non prevedeva
l’assoggettamento delle società semplici. La l.580/1993 di riforma del registro ha però introdotto la
necessità d’iscrizione della società semplice con la funzione di pubblicità notizia in una sezione speciale del
registro, poi estesa ad iscrizione con funzione di pubblicità legale, e quindi con efficacia dichiarativa secondo
l’art.2193 c.c., da parte del d.lgs.228/2001 per quanto riguarda le sole società semplici esercenti attività
agricola (in realtà anche per le società di revisione contabile), mentre per le società semplici esercenti
attività non agricola (ed ovviamente non commerciale perché preclusa), categoria che in sostanza
comprende solo le società tra professionisti, resta in vigore il regime di mera pubblicità notizia introdotto
nel ’93.

Il contratto di società in nome collettivo, invece, deve rispettare determinati requisiti di forma e di
contenuto, rispettivamente previsti dagli artt.2295 e 2296 del codice, anche se SOLO AI FINI
DELL’ISCRIZIONE DELLA SOCIETA’ NEL REGISTRO DELLE IMPRESE: anche per le società in nome collettivo,
dunque, l’iscrizione NON è condizione di esistenza (come avviene invece per le società di capitali), ma
differentemente da quanto detto per le società semplici è comunque CONDIZIONE DI REGOLARITA’, in
quanto in assenza di iscrizione, così come nel caso in cui non sia stato redatto l’atto costitutivo, la Snc si
configura come IRREGOLARE, con la conseguente applicazione della disciplina della società semplice per ciò
che concerne i rapporti tra società e terzi, sicuramente meno favorevole per i soci.

Se invece la Snc vuole operare come REGOLARE deve ottenere l’iscrizione nel registro delle imprese,
possibile solo se l’atto costitutivo viene redatto per “atto pubblico o scrittura privata autenticata” e se
contiene, laddove la mancanza non sia supplita dalla legge:

1. Il cognome e il nome, il nome del padre, il domicilio, la cittadinanza dei soci;


2. La ragione sociale;
3. I soci che hanno l'amministrazione e la rappresentanza della società;
4. La sede della società e le eventuali sedi secondarie;
5. L'oggetto sociale;
6. I conferimenti di ciascun socio, il valore ad essi attribuito e il modo di valutazione;
7. Le prestazioni a cui sono obbligati i soci di opera;
8. Le norme secondo le quali gli utili devono essere ripartiti e la quota di ciascun socio negli utili e nelle
perdite;
9. La durata della società.

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Società di fatto. Società occulta

Abbiamo già anticipato che per costituire una società di persone non è necessario l’atto scritto, in quanto in
mancanza dello stesso si configura ugualmente una SOCIETA’ DI FATTO, a cui si da vita tramite una serie di
“fatti concludenti”. In tal caso vanno applicate le norme della società semplice se l’attività esercitata non è
commerciale, mentre in caso contrario va applicata la disciplina della collettiva irregolare.

Quindi una società di fatto esercente attività commerciale è, al pari di tutti gli imprenditori commerciali,
esposta al fallimento, che determina tra l’altro il fallimento di tutti i soci, sia di quelli PALESI, sia di quelli
OCCULTI, soggetti la cui esistenza e appartenenza alla società viene scoperta e provata, anche solo tramite
presunzioni rivelatrici, solo in un secondo momento. Per tali individui la qualità di socio non è stata
“esteriorizzata”, concretizzandosi solo nei rapporti interni e senza conoscenza dei terzi: l’art.147 comma 4
della legge fallimentare ne prevede ugualmente il fallimento.

Diversa è l’ipotesi di SOCIETA’ OCCULTA: in questo caso a non essere esteriorizzata è l’esistenza stessa della
società, per il conto della quale opera un imprenditore individuale, che però non ne spende il nome nel
traffico giuridico. Il soggetto agisce in nome proprio e per conto della società occulta, come mandatario
senza rappresentanza, e a lui soltanto è imputabile l’attività di impresa secondo il criterio formale della
spendita del nome (è stato trattato anche nella dispensa del volume 1). Si tratta pertanto di un’ipotesi
differente da quella del socio occulto di società palese, in quanto in tal caso la società esiste e ad essa
vengono imputati tutti gli atti posti in essere; ciò nonostante, l’art.147 comma 5 della legge fallimentare
estende il fallimento dell’imprenditore individuale anche a tutti gli altri soci illimitatamente responsabili
della società occulta, qualora se ne scopra l’esistenza.

Gli indici rivelatori dell’esistenza di un socio occulto di società palese o di una società occulta, utili per
ottenere il fallimento di altri soggetti oltre a quelli già falliti, riguardano la partecipazione indiretta di tali
soggetti alla vita dell’impresa, manifestatasi tramite il compimento di atti di gestione, lo svolgimento di
trattative con terzi, il prelievo di somme dell’impresa e così via.

Segue: La società apparente

Abbiamo appena detto che l’esistenza di una società alle spalle di un imprenditore individuale, definita
come occulta, deve essere provata, al pari della partecipazione del socio occulto alla società palese. Se
tuttavia il giudice del tribunale fallimentare è fermamente convinto dell’esistenza di una società, proprio in
forza di comportamenti di terzi nei confronti dell’imprenditore individuale fallito, ma non la può provare
oggettivamente, allora solleva la questione della SOCIETA’ APPARENTE: si tratta di una creatura
giurisprudenziale, di una società che esiste all’esterno, per terzi, ma non esiste tra i soci. Mentre la società
occulta si cela ai terzi ed esiste nei rapporti interni, qui avviene esattamente il contrario quando “duo o più
persone operano in modo da ingenerare nei terzi la ragionevole convinzione che essi agiscano come soci e
l’incolpevole affidamento circa l’effettiva esistenza della società”.

I tribunali, dunque, provvedono a dichiarare il fallimento della società apparente, senza che sia possibile da
parte dei soci apparenti eccepire che la società non esiste: che non esiste per loro, infatti, è lo stesso giudice
a dirlo; il problema è che questa società esiste per i terzi.

La dottrina, in realtà, non è molto d’accordo circa l’estensione del fallimento ad altri soggetti facenti parte di
questa società apparente: la convinzione che una società esista potrebbe al massimo essere sorta in coloro
che hanno avuto a che fare con altri soggetti oltre all’imprenditore individuale, convincendosi di tale
esistenza, ma non in TUTTI i creditori, che magari non hanno neanche avuto modo di trattare con diverse
persone.

Ciò nonostante i tribunali continuano ad attuare il principio di apparenza e a decretare il fallimento delle
presunte società, il tutto solo in forza di una “non provata” convinzione.
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La partecipazione degli incapaci

Per poter prendere parte ad una società di persone all’interno del nostro ordinamento occorre possedere la
capacità d’agire, tenendo presente che tale partecipazione è da considerarsi come atto eccedente
l’ordinaria amministrazione.

La partecipazione degli incapaci ad una Snc, inoltre, viene equiparata dallo stesso legislatore all’esercizio di
impresa commerciale, motivo per cui si applicano tutte le norme a riguardo.

Il minore, l’interdetto e l’inabilitato non possono partecipare ex novo ad una Snc, ma solo conservarne la
partecipazione con l’autorizzazione del tribunale, qualora essa provenga da donazione o successione. In
caso di inabilitazione o interdizione sopravvenuta il tribunale può autorizzare la continuazione della
partecipazione se non interviene la decisione di esclusione dell’incapace da parte degli altri soci.

Il minore emancipato, invece, può sia partecipare alla costituzione, sia aderire ad una Snc, sempre se
autorizzato dal tribunale.

Il beneficiario dell’amministrazione di sostegno, infine, può contribuire a costituire una Snc o aderirvi, anche
senza autorizzazione, sempre che il giudice tutelare non abbia diversamente disposto nominando
l’amministratore o successivamente.

Tutto ciò è previsto, richiamando gli appositi articoli, all’interno dell’art.2294 c.c. e vale solo per le società in
nome collettivo, anche qualora esse esercitino attività non commerciale, ma in alcun modo tale norma può
essere applicata per ciò che concerne la società semplice.

Partecipazione di società in società di persone

Un dibattito che in passato ha notevolmente contrapposto dottrina e giurisprudenza è quello riguardante le


partecipazioni di società di capitali e di società di persone in altre società di persone.

Oggi, invece, il punto è pacifico, anche grazie all’intervento del legislatore.

Partiamo dalle società di capitali, le quali possono liberamente far parte di società di persone, sebbene
l’assunzione di partecipazioni comportanti responsabilità illimitata debba essere deliberata dall’assemblea,
rendendo impossibile la partecipazione a società di fatto, ossia tramite comportamenti concludenti. Inoltre
gli amministratori devono fornire informazioni inerenti la partecipazione all’interno della nota integrativa al
bilancio, così come è previsto che venga redatto il bilancio della Snc o della sas secondo le norme dettate
per le spa qualora tutti i soci illimitatamente responsabili siano società di capitali.

Le società di persone, inoltre, possono essere socio a responsabilità illimitata o limitata di altre società di
persone, in quanto alcuna teoria, in dottrina o in giurisprudenza, ha potuto escludere tale possibilità.

L’invalidità della società

Il codice civile non detta alcuna norma inerente l’invalidità del contratto di una società di persone, il che
significa che valgono le norme dettate in materia di nullità e annullabilità dei contratti, rispettivamente
contemplate dall’art.1418 c.c. (contrarietà a norme imperative, illiceità della causa o dei motivi qualora
determinanti per il consenso delle parti, mancanza di uno dei requisiti dell’oggetto o di uno degli elementi
necessari del contratto) e dagli art.1425 ss. (incapacità delle parti e vizi del consenso).

Dall’invalidità del contratto di società di persone, tra l’altro, va tenuta distinta l’invalidità della singola
partecipazione sociale, che non travolge la società almeno che tale partecipazione non sia essenziale per il
conseguimento dell’oggetto sociale.

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In merito all’invalidità della società di persone è utile distinguere, come per tutte le società, l’ipotesi in cui
l’attività non sia ancora iniziata, in tal caso applicando le norme in materia generale dei contratti, e l’ipotesi
in cui l’attività sia stata già avviata, cercando di comprendere quali siano gli effetti degli atti posti in essere
da una società nulla. Per quanto concerne le società di capitali il problema non sussiste, essendo prevista
un’apposita soluzione dall’art.2332 c.c., non applicabile per analogia alle società di persone in quanto norma
eccezionale motivata dai particolari aspetti delle società di capitali, primo fra tutti il possesso della
personalità giuridica e l’effetto costitutivo dell’iscrizione nel registro delle imprese. Tuttavia, questo è ciò
che pensa una parte della dottrina, mentre la maggioranza degli studiosi (Campobasso compreso) e la
giurisprudenza sono per l’applicazione dell’articolo 2332 anche alle società di persone, in forza
dell’autonomo rilievo giuridico dell’attività effettivamente svolta, sia dalle società di capitali che di persone,
senza soffermarsi sulla personalità giuridica.

L’applicazione dell’art.2332 c.c. alle società di persone comporta l’operatività della sentenza di nullità come
causa di scioglimento, con conseguente validità degli atti precedentemente posti in essere, la mancata
liberazione dei soci dall’obbligo dei conferimenti, l’apertura del procedimento di liquidazione che porta
all’estinzione solo dopo aver soddisfatto i creditori e la possibilità di sanatoria della nullità, tramite
deliberazione unanime dei soci per le modificazioni dell’atto costitutivo volte ad eliminare la causa di nullità.

B. L’ORDINAMENTO PATRIMONIALE

I conferimenti

Già il contratto di società, nella definizione generale di cui all’art.2247 c.c., prevede la necessità per i soci di
effettuare il conferimento. Il principio viene ribadito, proprio con riferimento alle società di persone,
dall’art.2253 comma 1 c.c., il quale dispone che “il socio è obbligato a eseguire i conferimenti determinati
nel contratto sociale”.

Se il contratto nulla prevede in merito ai conferimenti, l’art.2253 comma 2 del codice prevede che i “soci
siano ugualmente obbligati a conferire, in parti uguali tra loro, quanto necessario per il conseguimento
dell’oggetto sociale” e laddove vi sia un disaccordo in merito a “ciò che è necessario”, va preso in
considerazione il fine della società al tempo della stipulazione. L’art.2342 comma 1 c.c., inoltre, prevede che
nel silenzio contrattuale i conferimenti devono essere eseguiti in denaro.

Nelle società di persone, differentemente da ciò che avviene nelle spa, non vi è limite all’entità dei
conferimenti, potendo essere gli stessi costituiti da “qualsiasi entità suscettibile di valutazione economica ed
utile, direttamente o indirettamente, al conseguimento dell’oggetto sociale”, praticamente da qualsivoglia
prestazione di dare, fare o non fare.

Non può costituire oggetto di conferimento la semplice responsabilità personale ed illimitata per le
obbligazioni sociali, in quanto la stessa è una diretta conseguenza dell’acquisto della qualità di soci, che
deriva a sua volta dall’esecuzione del conferimento.

La disciplina dei conferimenti

Una particolare disciplina è prevista, dallo stesso legislatore codicistico, in merito a determinati tipi di
conferimenti.

Nell’ipotesi di conferimento di BENI IN PROPRIETA’ si applicano le norme sulla vendita e pertanto il socio
conferente deve garantire la cosa contro l’evizione, ossia contro l’avanzamento di pretese in giudizio sulla
proprietà della cosa, e contro i vizi della stessa. Il rischio di perimento della cosa prima che ne sia stata
trasferita la proprietà, inoltre, grava sul conferente: ricordiamo che la proprietà può dirsi trasferita nel
momento della stipulazione del contratto, in forza del principio consensualistico, per le sole cose
determinate, mentre per le cose individuate solo nel genere occorre la specificazione. Se la cosa perisce

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quando il soggetto ha già assunto l’obbligo di conferimento, divenendo pertanto socio, ma prima di
trasferirne la proprietà, allora egli può (ma non deve obbligatoriamente) essere escluso dalla società.

Nel caso di conferimento di BENI IN GODIMENTO, il conferente resta proprietario della cosa e al termine
della società ha diritto a riceverla nello stato in cui si trova, salvo il diritto al risarcimento nel caso in cui la
stessa sia perita o sia stata deteriorata per causa imputabile alla società. Ricordiamo che in questa ipotesi la
società non diviene proprietario del bene e pertanto non può disporne, ma solo goderne.

Se, invece, vengono conferiti dei crediti, il socio risponde dell’insolvenza del debitore nei limiti del valore
assegnato al conferimento, pagando anche spese e interessi dovuti, altrimenti può essere escluso dalla
società.

Segue: Il socio d’opera

Può definirsi SOCIO D’OPERA o d’INDUSTRIA colui che a titolo di conferimento esercita la propria attività
manuale o intellettuale a favore della società di persone della quale fa parte, in cambio ovviamente della
partecipazione ai guadagni. Egli non figura né come lavoratore subordinato, né come collaboratore esterno
della società, ma come vero e proprio socio, il cui rischio d’impresa è rappresentato dalla possibilità che egli
lavori invano, così come il socio che conferito denaro rischia di perderlo. Sul socio d’opera grava anche il
rischio di impossibilità della prestazione per causa a lui non imputabile, che può essere motivo di esclusione
dalla società.

Una particolarità è rappresentata dall’ipotesi di liquidazione della società: mentre i soci di capitale, ossia
coloro che hanno conferito denaro o beni in proprietà, hanno diritto a ricevere in prededuzione il rimborso
del valore nominale del conferimento, la stessa cosa non spetta ai soci d’opera, che partecipano alla
ripartizione dell’attivo, insieme agli altri soci e in ragione della loro parte nei guadagni, solo dopo tali
rimborsi. Se in una società, per esempio, figurano un socio d’opera e due soci di capitale che hanno
conferito beni o denaro per un valore di 300 ciascuno e dall’attivo di liquidazione risulta 700, solo 100 sarà il
residuo da dividere in 3 parti (700 di attivo – 600 da rimborsare agli altri due soci = 100 di residuo). Il socio
d’opera, infatti, non ha stanziato alcunché di economico e quindi non può avere diritto al rimborso del
valore nominale di qualcosa che non ha conferito; si potrebbe obiettare che egli ha conferito una
prestazione intellettuale o manuale con un valore economico, ma la liquidazione della società lo scioglie dal
vincolo di prestare la propria opera. Inoltre non può ricadere sugli altri soci il rimborso del valore dei servizi
prestati dal socio d’opera, dato che è grazie ai loro beni o crediti che si dovrebbe pagare il socio d’opera
qualora gli si volesse riconoscere un rimborso in prededuzione, che invece non ha ragione di esistere.

Patrimonio sociale e capitale sociale

Noi sappiamo che i conferimenti dei soci non fanno altro, all’interno di qualsiasi società, che costituire il
patrimonio iniziale, sarebbe meglio l’attivo patrimoniale iniziale, con il quale la società può iniziare ad
operare sul mercato. Con i conferimenti, infatti, la società diviene a tutti gli effetti titolare dei beni e dei
diritti oggetto degli stessi, potendone godere e disporre come meglio crede per l’esercizio dell’attività
economica, agendo sotto la guida degli amministratori e dell’organo assembleare. Ciò nonostante i soci non
possono in alcun modo godere delle cose appartenenti al patrimonio sociale, almeno che tale divieto non
sia eliminato con il consenso di tutti i soci.

Abbiamo già avuto modo di soffermarci sulla differenza tra patrimonio sociale (complesso di rapporti attivi e
passivi facenti capo alla società) e capitale sociale (valore in denaro dei conferimenti), illustrando di
quest’ultimo anche la funzione vincolistica (individuazione della frazione di attivo patrimoniale non
ripartibile tra i soci) e organizzativa (determinazione dell’utile o della perdita di esercizio). Nonostante
l’importanza preminente del concetto di capitale sociale, nella disciplina della società semplice non vi è
alcun norma a riguardo, né alcuna che preveda che il patrimonio netto, frutto della differenza tra attività e
passività, presenti un’eccedenza almeno pari al capitale sociale, ossia al valore originariamente attribuito ai
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conferimenti. Addirittura non è richiesta, per le società semplici, neanche la valutazione dei conferimenti,
molto probabilmente perché esse non possono esercitare attività commerciali e non sono tenute a scritture
contabili e redazione del bilancio.

Per quanto riguarda le società in nome collettivo, invece, l’atto costitutivo deve indicare i vari conferimenti,
il valore attribuito a ciascuno di essi e il modo di valutazione (art.2295 n.6), al fine di determinare il capitale
sociale, anche se la valutazione dei conferimenti diversi dal denaro è rimessa alle parti e non segue alcun
criterio (diversamente da ciò che avviene nelle spa). Tra l’altro solo i CONFERIMENTI DI CAPITALE sono
soggetti a valutazione e imputati a capitale, ossia quelli per cui sussiste il diritto al rimborso allo scioglimento
della società, mentre per i CONFERIMENTI DI PATRIMONIO, come le prestazioni d’opera e il godimento dei
beni, non è prevista alcuna valutazione.

L’art.2303 comma 1 c.c. vieta poi la distribuzione di UTILI FITTIZI, ossia quelli non realmente conseguiti: si
tratta di somme che non corrispondono ad un’eccedenza del patrimonio netto rispetto al capitale sociale
nominale. Il comma 2 del medesimo articolo, inoltre, prevede che in caso di “perdita del capitale sociale”
non vi può essere ripartizioni di utili sino a quando il capitale non viene reintegrato, tramite nuovi
conferimenti, o ridotto in misura corrispondente, dando luogo ad una RIDUZIONE NOMINALE, che però è
facoltativa nelle Snc, dato che gli eventuali utili degli esercizi successivi possono andare a coprire le perdite
invece di essere distribuiti.

L’art.2306 c.c., invece, prevede che si possa procedere ad una RIDUZIONE REALE del capitale sociale, tramite
rimborso ai soci dei conferimenti eseguiti o liberandoli da quelli promessi, solo dopo una deliberazione
apposita che rispetti le medesime regole previste per la modifica dell’atto costitutivo e solo trascorsi tre
mesi dall’iscrizione nel registro delle imprese, salvo che nessun creditore faccia opposizione, perché in tal
caso sarà il tribunale a decidere, il quale può comunque consentire la riduzione se la società presta idonee
garanzie.

La partecipazione dei soci agli utili e alle perdite

Tutti i soci devono partecipare agli utili e alle perdite delle società di persone, sebbene sia liberamente
determinabile la misura in cui ciascuno deve parteciparvi, che non è detto sia proporzionale ai conferimenti.

L’art.2265 c.c. fissa, per le società di persone e per tutte le società lucrative, il DIVIETO DI PATTO LEONINO, il
quale consiste nell’escludere uno o più soci dalla partecipazione a utili o perdite: tale patto è NULLO, al pari
di criteri di ripartizione convenzionali, ossia stabiliti nel contratto, mirati al raggiungimento del medesimo
risultato. Nulli sono anche i patti parasociali volti allo stesso scopo, sebbene in tal caso occorra la “mancanza
di una giustificazione causale”, affinché si possa configurare appunto un negozio (il patto) in frode alla legge
(che violi il divieto di patto leonino), perché in caso contrario l’accordo resta valido (pensiamo ad un socio
che rinuncia agli utili, girandoli ad un altro socio, per sanare un proprio debito nei confronti dello stesso). In
ogni caso “nullo” è soltanto il patto leonino, non il contratto di società o la singola partecipazione, il che
comporta l’applicazione di criteri legali di ripartizione di utili e perdite identici a quelli previsti nell’ipotesi in
cui l’atto costitutivo nulla disponga al riguardo: l’art.2263 c.c. prevede infatti che nel silenzio del contratto, le
parti spettanti ai soci in utili e perdite siano PROPORZIONALI AI CONFERIMENTI, mentre se neppure il valore
di questi ultimi è indicato, le PARTI SI PRESUMONO UGUALI. Qualora sia stata indicata solo la parte di
ciascuno nei guadagni (o solo nelle perdite), si presume che nella stessa misura quel socio debba
partecipare alle perdite (o ai guadagni).

La parte spettante al socio d’opera, qualora non risulti da contratto, viene determinata dal giudice secondo
equità (art.2263 comma 2 c.c.).

Nelle società semplici il diritto del socio al percepimento degli utili nasce con l’approvazione del rendiconto,
predisposto dagli amministratori alla fine di ogni anno, mentre nelle società in nome collettivo, dato
l’obbligo di tenuta delle scritture contabili, occorre redigere il bilancio d’esercizio secondo i criteri stabiliti
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per le società per azioni (oltre al bilancio consolidato nell’ipotesi in cui tutti i soci siano società di capitali) e
solo dopo l’approvazione all’unanimità nasce il diritto di ogni socio a percepire gli utili: è l’art.2262 c.c. a
prevedere l’insorgenza di tale diritto dopo l’approvazione di rendiconto e bilancio. Diversamente da ciò che
vedremo per le società di capitali, dunque, la maggioranza dei soci non può deliberare l’autofinanziamento
della società, ossia la NON distribuzione totale o parziale degli utili con reinvestimento nella stessa società,
in quanto per fare ciò è necessaria l’unanimità: l’interesse del singolo PREVALE su quello del gruppo.

Per quanto concerne le perdite, che ricordiamo essere “minusvalenze del patrimonio netto rispetto al
capitale sociale, esse incidono direttamente sul valore di ciascuna partecipazione, riducendone
proporzionalmente il valore, il che comporta il rimborso di una somma inferiore al valore originario del
conferimento in sede di liquidazione della società. Le perdite, pertanto, possono ricadere sui soci
illimitatamente responsabili SOLO in sede di liquidazione, in quanto prima di quel momento esse hanno un
rilievo sostanzialmente INDIRETO, impedendo la distribuzione di utili successivi fino al reintegro del capitale
o alla riduzione dello stesso.

La responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali

Nella società semplice, a norma dell’art.2267 c.c., delle obbligazioni sociali risponde la società con il proprio
patrimonio, il quale rappresenta la garanzia PRIMARIA ma NON esclusiva dei creditori, dato che assieme alla
società rispondono anche “personalmente e solidalmente i soci che hanno agito in nome e per conto della
società e, salvo patto contrario, gli altri soci”.

Questo significa che i soci che hanno agito direttamente rispondono SEMPRE in via sussidiaria delle
obbligazioni sociali, ossia dopo che il patrimonio della società sia risultato insufficiente, mentre gli altri soci
possono, con patto sociale portato a conoscenza di terzi con mezzi idonei, essere esclusi da tale
responsabilità. Limitazione o esclusione della solidarietà, tuttavia, non sono opponibili ai terzi che non ne
hanno avuto conoscenza. La responsabilità solidale e personale di tutti i soci, dunque, si configura nella
società semplice come principio derogabile.

Tale principio, invece, appare inderogabile nel caso delle società in nome collettivo. L’art.2291 c.c. infatti
dispone: “Nella società in nome collettivo tutti i soci rispondono solidalmente e illimitatamente per le
obbligazioni sociali. Il patto contrario non ha effetto nei confronti dei terzi”. Tuttavia, anche qui la
responsabilità dei soci sarà sussidiaria, in quanto garanzia primaria resta quella offerta dal patrimonio
sociale.

In entrambe le società, invece, i nuovi soci sono chiamati a rispondere anche per le obbligazioni sociali
antecedenti all’acquisto della qualità di socio, così come l’ex socio, divenuto tale per esclusione, recesso o
morte, resta responsabile per le obbligazioni anteriori allo scioglimento del proprio legame sociale (in caso
di morte, ovviamente, restano obbligati i suoi eredi). Addirittura il socio uscente rimane responsabile anche
per le obbligazioni successive allo scioglimento nell’ipotesi in cui i terzi abbiano ignorato senza colpa tale
circostanza, continuando a ritenerlo socio, sempre che si tratti di società semplice o collettiva irregolare; nel
caso di società in nome collettivo regolari, infatti, l’opponibilità ai terzi dello scioglimento del rapporto
sociale resta soggetta al regime di pubblicità legale delle modificazioni dell’atto costitutivo, motivo per cui la
vicenda deve essere iscritta nel registro delle imprese e da quel momento non è ammessa ignoranza da
parte di terzi. Si ritiene che tale regime valga, oggi diversamente che in passato, anche per le società
semplici esercenti attività agricola, le quali sono soggette dal 2001 all’iscrizione nel registro con efficacia di
pubblicità legale. Dall’iscrizione dello scioglimento, inoltre, decorre anche il termine annuale entro cui l’ex
socio può essere dichiarato fallito in seguito al fallimento della società.

Responsabilità della società e responsabilità dei soci

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Come abbiamo avuto modo di precisare più volte in questo capitolo, i soci illimitatamente responsabili di
una società semplice e di una società collettiva rispondono delle obbligazioni sociali SOLO in via sussidiaria:
essi godono, infatti, del PREVENTIVO BENEFICIO DI ESCUSSIONE, in forza del quale i creditori sociali devono
rifarsi prima sul patrimonio della società e solo dopo, qualora lo stesso sia del tutto o parzialmente
insufficiente, agire nei confronti dei soci.

Il beneficio di escussione, tuttavia, opera diversamente a seconda che si tratti di società semplice e collettiva
irregolare oppure di società in nome collettivo regolare: per le prime sappiamo che non vi l’obbligo di tenuta
delle scritture contabili, motivo per cui i creditori non possono conoscere la reale consistenza del patrimonio
sociale ed ecco perché sarà il socio interpellato dai creditori a dover indicare i beni della società sui quali
potersi soddisfare; nelle società in nome collettivo regolari, invece, i creditori devono aver escusso
infruttuosamente il patrimonio sociale per poter agire nei confronti dei soci, il che comporta non solo la
richiesta di pagamento o l’ottenimento di una sentenza di condanna, ma anche l’esperimento dell’azione
esecutiva, almeno che essa non sia “oggettivamente inutile”, magari perché già intentata da altro creditore
senza che da quel momento il patrimonio sia variato. In poche parole, il beneficio d’escussione opera “in via
d’eccezione” per le società semplici e collettive irregolari e “automaticamente” nell’ipotesi di società
collettive regolari.

Qualora ricorrano le condizioni per poter agire contro i soci, inoltre, i creditori possono rivolgersi a ciascuno
di essi chiedendo il pagamento INTEGRALE delle somme dovute, dato che si tratta di obbligazione solidale. Il
socio, una volta sanato il debito sociale, dovrà agire in REGRESSO nei confronti della società per l’intero
debito e, in caso d’insufficienza del patrimonio, agire nei confronti dei soci, che saranno tenuti al pagamento
in baso alla loro partecipazione alle perdite.

Una nota importante: molto spesso i creditori sociali più forti, come le banche, sono soliti farsi rilasciare
GARANZIE PERSONALI dai soci, come avalli o fideiussioni, proprio per aggirare il beneficio di preventiva
escussione e poter agire direttamente, in caso di insoddisfazione del proprio credito da parte della società,
nei confronti del socio garante. La dottrina aveva ipotizzato un ampliamento illegittimo del potere di
aggressione del debitore, ma le teorie a tal proposito non reggono e la validità di tali garanzie è fuori
discussione.

I creditori personali del socio

Per quanto concerne i creditori personali dei soci, essi non possono in alcun modo aggredire direttamente il
patrimonio sociale, né tantomeno compensare eventuali debiti verso la società con i crediti vantati nei
confronti dei singoli soggetti che ne fanno parte.

Ciò nonostante, il creditore particolare del socio può far valere i propri diritti sugli utili spettanti al proprio
debitore e può compiere atti conservativi sulla quota allo stesso spettante in caso di liquidazione, come ad
esempio un sequestro. Nelle società semplici e collettive irregolari, inoltre, il creditore può chiedere anche
la liquidazione della quota del suo debitore, in qualsiasi momento, qualora riesca a provare che gli altri beni
del socio sono insufficienti a soddisfarlo: in tal caso il socio viene escluso DI DIRITTO dalla società ed entro
tre mesi dalla domanda il creditore riceve una somma di denaro corrispondente al valore della quota del
socio escluso, almeno che non venga deliberato lo scioglimento della società ed in tal caso il creditore dovrà
attendere la liquidazione della stessa.

Per quanto riguarda le società in nome collettivo regolari, invece, il creditore particolare del socio NON può
chiedere la liquidazione della quota FINCHE’ DURA LA SOCIETA’, tenendo presente quella che è la scadenza
prevista nell’atto costitutivo. Anche in caso di proroga, infatti, il creditore ha diritto ad ottenere la
liquidazione della quota: se la proroga è espressa e viene iscritta nel registro delle imprese, il creditore deve
opporsi giudizialmente entro tre mesi dall’iscrizione della delibera, ottenendo la liquidazione della quota
entro tre mesi dalla sentenza di accoglimento dell’opposizione; se la proroga è tacita, ossia nell’ipotesi in cui

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l’attività di impresa continui con il consenso di tutti i soci per fatti concludenti, si applica la disciplina della
società semplice, con possibilità del creditore di chiedere la liquidazione della quota del suo debitore in
qualsiasi momento dimostrando l’insufficienza del restante patrimonio.

C. L’ATTIVITA’ SOCIALE

Modello legale e modelli statutari

Nelle società di persone il legislatore ha voluto lasciare, per quanto concerne il funzionamento e
l’organizzazione della società stessa, ampio spazio all’autonomia privata, prevedendo soltanto che ogni
socio illimitatamente responsabile sia investito del potere di amministrazione e di rappresentanza e che,
tuttavia, sia necessario il consenso di tutti i soci per le modificazioni del contratto sociale.

Occorre però analizzare entro quali limiti i soci siano liberi di modellare a loro piacimento la struttura
organizzativa sociale e quali siano, soprattutto, le regole da osservare per la formazione della volontà del
gruppo.

L’amministrazione della società

Partiamo col dire che per “amministrazione” della società si intende il potere di gestione della stessa,
inerente la possibilità di porre in essere tutti gli atti rientranti nell’oggetto sociale e necessari per esercitare
l’attività di impresa.

Il modello legale di gestione delle società di persone, nel silenzio dell’atto costitutivo, è quello
dell’AMMINISTRAZIONE DISGIUNTIVA DI TUTTI I SOCI ILLIMITATAMENTE RESPONSABILI: l’art.2257 c.c.,
infatti, prevede che sia qualificabile come amministratore ogni socio a responsabilità illimitata (quindi tutti i
soci nella collettiva), sebbene l’atto costitutivo possa prevedere una differenziazione tra soci amministratori
e soci NON amministratori; sempre il medesimo articolo prevede che “ciascun socio amministratore possa
porre in essere DA SOLO tutte le operazioni che rientrano nell’oggetto sociale, senza dover chiedere il
consenso o dover informare gli altri soci amministratori”, sebbene agli stessi spetti comunque il DIRITTO DI
OPPOSIZIONE, esercitabile PRIMA che l’atto sia compiuto e che da luogo alla paralisi del potere decisorio,
con successiva risoluzione del conflitto da parte della “maggioranza per quote di interesse dei soci”, ossia in
base alla partecipazione agli utili e non per teste oppure da parte di un terzo arbitratore, la cui decisione è
reclamabile dinanzi ad un apposito collegio o, in mancanza, impugnabile per mala fede (scusate il periodo
lungo, ma rende l’idea ed è estremamente sintetico).

Se da un lato l’amministrazione disgiuntiva offre il vantaggio di rapidità delle decisioni, sotto un diverso
profilo espone la società a dei pericoli, permettendo al singolo amministratore di agire indisturbato e
vincolare la società col proprio operato. E’ per questo motivo che l’art.2258 c.c. disciplina
l’AMMINISTRAZIONE CONGIUNTIVA, con la quale le decisioni devono essere prese a maggioranza o
all’unanimità da tutti gli amministratori: tale modello di gestione deve essere ESPRESSAMENTE previsto
dall’atto costitutivo (o tramite modificazione dello stesso), così come espressa deve essere la possibilità
degli amministratori di decidere a maggioranza, altrimenti è sempre valida la regola dell’unanimità. Può
essere contemplato anche un modello che richieda la maggioranza in determinati casi e l’unanimità in altri,
così come può essere previsto addirittura un modello decisionale a metà strada tra l’amministrazione
disgiuntiva e quella congiuntiva.

L’art.2258 comma 3, in ogni caso, preveda la possibilità per ogni amministratore, in caso di amministrazione
congiunta, di poter agire individualmente se vi è URGENZA di evitare un danno alla società.

Amministrazione e rappresentanza

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Gli amministratori delle società di persone sono per legge investiti del potere di RAPPRESENTANZA, anche
detto “potere di firma”, ossia del potere di agire in nome e per conto della società, esternandone la volontà
e facendo in modo che la stessa acquisti diritti e assuma obbligazioni. Se il potere gestorio riguarda l’attività
amministrativa interna, ossia inerente la fase decisoria degli atti sociali, il potere di rappresentanza ha a che
vedere con l’attività amministrativa esterna, ossia col momento in cui le decisioni vengono attuate tramite
operazioni con terzi.

Della rappresentanza della società semplice e della società in nome collettivo si occupano rispettivamente
l’art.2266 e l’art.2298 del codice, i quali contemplano il cosiddetto “modello legale di rappresentanza” che
prevede che l’esercizio e l’ampiezza di tale potere sia equivalente a quanto l’atto costitutivo, o il suo
silenzio, dispongono per il potere gestorio: se viene adottato il modello di amministrazione disgiuntiva,
allora anche la rappresentanza sarà tale (FIRMA DISGIUNTA), mentre se è stato scelto il modello congiuntivo
la rappresentanza spetterà a tutti gli amministratori assieme (FIRMA CONGIUNTA).

Chiariamo anche che il modello legale non fa differenza tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione,
così come riguarda tanto la rappresentanza sostanziale quanto quella processuale attiva e passiva.

L’atto costitutivo, tuttavia, può prevedere che potere di gestione e potere di rappresentanza seguano una
diversa regolamentazione: può essere contemplata la DISSOCIAZIONE SOGGETTIVA tra i due poteri,
disponendo che solo alcuni amministratori possano rappresentare la società, così come può essere prevista
la firma congiunta per taluni atti e quella congiunta per altri. In ogni caso sono ammesse, come si può
facilmente capire, LIMITAZIONI CONVENZIONALI al potere di rappresentanza, che cioè lo limitino rispetto a
quanto previsto dal modello legale: nasce in tal caso il problema dell’opponibilità a terzi di tali limiti,
facilmente risolvibile nelle società collettive regolari o in quelle semplici esercenti attività agricola grazie allo
strumento della pubblicità legale, in quanto una qualsivoglia limitazione diviene opponibile con la semplice
iscrizione nel registro delle imprese, salva la possibilità di dimostrarne ugualmente la conoscenza da parte di
terzi in caso di mancata iscrizione. Il problema si pone in maniera più consistente nell’ipotesi di collettiva
irregolare, in quanto viene tutelato l’affidamento di terzi sulla corrispondenza tra situazione di fatto e
modello legale, presumendo che ogni socio che agisce abbia la rappresentanza: in questo caso la
conoscenza dei limiti al potere di rappresentanza da parte dei terzi deve essere “provata”.

Nelle società semplice non soggette a registrazione, invece, occorre distinguere tra limitazioni originarie al
potere di rappresentanza, contemplate nell’atto costitutivo e per cui sempre opponibili ai terzi, e limitazioni
successive o estinzione del potere, per cui occorre la prova che essi effettivamente le conoscessero.

I soci amministratori

Abbiamo visto come nelle società di persone, in linea generale, ogni socio sia investito del potere di
amministrazione. Abbiamo anche sottolineato, tuttavia, che tale regola ha carattere dispositivo, dato che
l’atto costitutivo può prevedere la “nomina diretta” o tramite “atto separato” dei soci amministratori,
sottraendo tale ruolo agli altri soci.

Se la nomina avviene direttamente all’interno dell’atto costitutivo, la revoca degli amministratori potrà
essere decisa SOLO all’unanimità, attraverso una modifica dell’atto stesso, e SOLO in presenza di una “giusta
causa”, altrimenti l’amministratore potrà adire l’autorità giudiziaria ed ottenere il reintegro nella carica. Se
l’amministratore viene nominato con atto separato, invece, è revocabile anche se non sussiste giusta causa,
seguendo le norme sul mandato. A chiedere la revoca della facoltà di amministrare, se sussiste giusta causa,
può essere in ogni caso ciascun socio, anche non amministratore.

Chiariamo da subito che la qualità di amministratore non ha nulla a che vedere con il fatto che il soggetto sia
anche socio: si tratta di due rapporti distinti e separati, che danno vita all’acquisto di diritti e doveri diversi.
Per quanto riguarda gli obblighi e i diritti degli amministratori, la legge prevede che essi siano regolati dalle
norme sul mandato, anche se il rapporto di amministrazione NON è un rapporto di mandato, in quanto
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conferisce poteri ben più ampi rispetto a quelli del mandatario, che incontra i limiti degli atti di ordinaria
amministrazione, o all’institore, che non può alienare o ipotecare beni immobili sociali, anche se
l’amministratore rimane sempre un gradino al di sotto dell’imprenditore, data l’impossibilità di modificare
l’attività sociale. L’amministratore può svolgere tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale e ha il dovere
di tenere le scritture contabili, redigere il bilancio di esercizio e provvedere agli adempimenti pubblicitari. E’
inoltre responsabile, solidalmente con gli altri amministratori, verso la società, con conseguente obbligo di
risarcire i danni, qualora non riesca a dimostrare di essere esente da colpa: legittimati ad agire sono tutti
coloro che hanno la rappresentanza legale della società. Gli amministratori, inoltre, sono responsabili anche
verso i singoli soci se hanno procurato agli stessi danni in via diretta e immediata. In caso di fallimento della
società gli amministratori vanno incontro a determinate sanzioni penali.

Per il rapporto di amministrazione vige la “presunzione di onerosità”, per cui a coloro che amministrano
dovrebbe spettare un compenso, almeno che essi non figurino come soci d’opera il cui compenso è la
partecipazione agli utili e il cui conferimento è rappresentato dal loro compito, oppure nell’ipotesi in cui
tutti i soci siano amministratori o ancora nel caso in cui dell’attività svolta si è tenuto conto nell’atto
costitutivo riconoscendo una partecipazione agli utili più elevata.

I soci non amministratori

I soci NON amministratori delle società di persone, benché non possano gestire in alcun modo la società di
cui fanno parte, hanno ampi poteri di INFORMAZIONE e CONTROLLO, potendo avere notizie dello
svolgimento degli affari sociali dai soci amministratori, potendo consultare il rendiconto delle operazioni già
compiute o quello annuale e potendo prendere visione di tutte le scritture contabili. Inoltre, sebbene come
singoli i soci amministratori non possano intromettersi nell’attività decisionale di chi ha il potere gestorio,
essi lo possono fare come gruppo, quantomeno nell’ipotesi di amministratore unico nominato con atto
separato: se gli altri soci possono revocare la nomina anche senza giusta causa, è logico pensare che essi
possano anche pretendere dei comportamenti positivi dallo stesso soggetto.

Il problema dell’amministratore estraneo

Nelle società in accomandita semplice, terza tipologia di società di persone che analizzeremo nel prossimo
capitolo, non è possibile per i soci nominare un AMMINISTRATORE ESTERNO. Lo stesso si può dire per la
società semplice, in quanto ciò potrebbe essere un espediente per eludere il principio della responsabilità
personale ed illimitata dei soci. Non si può dire altrettanto, tuttavia, nell’ipotesi della società in nome
collettivo: in tal caso, infatti, tutti i soci sono comunque illimitatamente responsabili, indipendentemente da
chi ha agito e dal fatto che egli sia amministratore interno o esterno.

Quindi nelle società collettive i soci possono nominare anche un terzo quale amministratore della società,
ma chiariamo da subito che essi non perdono il potere di direzione: il terzo altro non è che un mandatario
generale con più ampi poteri, che deve sempre rispettare le direttive dei soci e la cui nomina può essere
revocata ad nutum (ad libitum, liberamente) anche se designato nell’atto costitutivo.

Il divieto di concorrenza

La legge impone ai soci delle sole Snc, ma non a quelli delle società semplici, all’interno dell’art.2301 c.c. lo
specifico divieto di porre in essere, per conto proprio o altrui (quindi anche come amministratore) attività
concorrente con quella della società e di partecipare come soci ILLIMITATAMENTE responsabili ad altra
società concorrente. Il divieto non ha carattere assoluto e può essere rimosso dagli altri soci. Tra l’altro vige
soltanto se il socio pone in essere attività concorrente, il che vuol dire che egli può tranquillamente svolgere
attività d’impresa, anche con medesimo oggetto sociale se le circostanze escludono l’esistenza di un
rapporto concorrenziale, così come è libero di acquistare la qualità di socio LIMITATAMENTE responsabile di
altra società.

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La violazione del divieto è motivo di esclusione del socio.

Le modificazioni dell’atto costitutivo

L’art.2252 c.c. dispone che “il contratto sociale può essere modificato soltanto con il consenso di tutti i soci,
se non è convenuto diversamente”, il che vale tanto per la società semplice quanto per quella collettiva. Se
non vi è una diversa pattuizione al riguardo, l’atto costitutivo può essere modificato solo all’unanimità,
salvaguardando l’interesse di ogni socio affinché le basi sociali rimangano immutate per tutta la vita della
società.

Anche per il trasferimento tra vivi e mortis causa della partecipazione sociale, in forza del rapporto fiduciario
(intuitu personae) che intercorre tra i soci, è necessaria l’approvazione di tutti gli altri soci, che può essere
comunque data preventivamente stabilendo la libera trasferibilità tra vivi o agli eredi delle quote già
all’interno dell’atto costitutivo.

Nelle società collettive regolari e, di recente, anche all’interno delle società semplici esercenti attività
agricola le modificazioni dell’atto costitutivo sono soggette a pubblicità legale e divengono opponibili a terzi
solo con l’iscrizione nel registro delle imprese, almeno che non si dimostri che i terzi conoscevano la
situazione. La modificazione è valida anche senza iscrizione, è solo l’opponibilità a non essere garantita.

Nelle società collettive irregolari, invece, le modificazioni dell’atto costitutivo devono essere portate a
conoscenza dei terzi con mezzi idonei e non sono opponibili a chi le ha ignorate senza colpa.

L’art.2252 c.c., tuttavia, prevede che possano essere gli stessi soci, all’interno dell’atto costitutivo, a
prevedere che per una modifica dello stesso non sia necessaria l’unanimità ma l’accordo della sola
maggioranza: i poteri modificativi del 50% + 1 dei soci, in questo caso, incontrano comunque dei limiti
dettati dai principi generali di buona fede nell’esecuzione del contratto e di rispetto della parità di
trattamento fra i soci, con l’impossibilità, giusto per fare un esempio, di porre solo a carico di alcuni soci
l’obbligo di nuovi conferimenti.

Metodo collegiale e principio maggioritario

In alcuni casi, lungo tutta la nostra trattazione, ci siamo imbattuti in norme che prevedevano la necessità di
adottare una decisione all’unanimità da parte dei soci, come nel caso di modifica dell’atto costitutivo, in
norme che richiedevano una decisione della maggioranza “per quote di interesse” dei soci, come nell’ipotesi
di conflitti tra amministratori in regime di amministrazione disgiunta, e ancora in norme che prevedevano la
decisione a maggioranza “per teste”, come per l’esclusione di un socio.

Abbiamo incontrato, però, anche tutta una serie di casi in cui il legislatore non precisa se la decisione dei
soci debba essere unanime o avvenire a maggioranza ed occorre pertanto stabilire se la regola all’interno
delle società di persone sia la maggioranza o l’unanimità, per capire quale di conseguenza debba ritenersi
l’eccezione da specificare volta per volta, ad opera del legislatore o delle parti.

In realtà, all’interno delle società di persone, non esiste una regola a cui si contrappone un’eccezione, bensì
esistono due regole distinte e separate con un autonomo campo di applicazione: il principio del consenso
unanime va rispettato in tutti i casi in cui la decisione tocca le “basi organizzative” della società (pensiamo
alla revoca della nomina del socio amministratore nominato nell’atto costitutivo o al cambiamento del
metodo di amministrazione), salvo per ciò che concerne la deroga introdotta nel 2003 per le operazioni di
fusione, scissione e trasformazioni in società di capitale, per cui occorre solo la maggioranza; il principio
maggioritario per quote di interesse, invece, trova applicazione quando si tratta di decisioni inerenti la
gestione dell’impresa, anche se l’atto costitutivo non dice nulla a riguardo (pensiamo alla nomina e alla
revoca degli amministratori per atto separato o all’approvazione del bilancio).

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Un altro punto importante su cui il legislatore tace riguarda la modalità con la quale la volontà del gruppo si
deve formare: va osservato il metodo collegiale (o assembleare), con conseguente convocazione dei soci,
riunione, discussione e votazione, oppure è sufficiente raccogliere il consenso di tutti e, in caso di decisione
a maggioranza, il consenso del 50% + 1 dei soci senza neanche informare gli altri che comunque sarebbero
in minoranza e pertanto ininfluenti?

Secondo una parte della dottrina il metodo assembleare, nelle società di persone, sarebbe pressoché inutile,
essendo necessarie soluzioni più celeri e data l’assenza di personalità giuridica. Secondo altri studiosi,
invece, il metodo assembleare sarebbe previsto nel nostro ordinamento anche in ipotesi di gruppi senza
personalità giuridica (associazioni non riconosciute, comunione ecc.) e sarebbe l’unico a consentire di
raggiungere una decisione ponderata, risultando pertanto necessario quantomeno per le decisioni di
maggior rilievo a maggioranza.

Secondo l’autore Campobasso la seconda tesi è più condivisibile, sebbene il mancato rispetto del metodo
assembleare comporti SOLO effetti obbligatori ed interni, senza pregiudicare i terzi, altrimenti si pone il
problema di quale regime d’invalidità applicare (quello delle associazioni? Della comunione? ecc.) in caso di
inosservanza del metodo in questione.

D. SCIOGLIMENTO DEL SINGOLO RAPPORTO SOCIALE

Scioglimento del singolo rapporto e scioglimento della società

Si ha SCIOGLIMENTO DEL SINGOLO RAPPORTO sociale in caso di morte, recesso o esclusione del socio. Il
principio osservato in materia è quello della CONSERVAZIONE della società, secondo cui lo scioglimento del
singolo rapporto non determina lo scioglimento della società, almeno che la specifica partecipazione non
fosse essenziale, valutazione che spetta ai soci rimasti, i quali devono definire i rapporti con il socio uscente
o con gli eredi del socio defunto, liquidando la quota. Sono i soci a decidere se continuare o porre fine alla
società.

Anche nell’ipotesi in cui rimanga un solo socio, ossia qualora venga meno del tutto la pluralità essenziale
affinché si possa parlare di società, non si ha scioglimento immediato: il socio rimasto ha sei mesi di tempo
per decidere se ricostituire la pluralità oppure porre fine alla società.

La morte del socio

La morte del socio è causa di scioglimento del singolo rapporto sociale e comporta l’obbligo per gli altri soci,
in forza dell’art.2284 c.c., di liquidare il valore della quota del socio defunto ai suoi eredi nel termine di 6
mesi.

Lo stesso art.2284, tuttavia, prevede che i soci superstiti possano optare, alternativamente alla liquidazione
della quota, per lo SCIOGLIMENTO ANTICIPATO DELLA SOCIETA’, ed in tal caso gli eredi dovranno attendere
la conclusione delle operazioni di liquidazione della società per partecipare con i soci superstiti alla divisione
dell’attivo residuo dopo l’estinzione dei debiti sociali, o per la CONTINUAZIONE DELLA SOCIETA’ CON GLI
EREDI del socio defunto, ma in questa ipotesi diventa necessario il consenso di TUTTI i soci (decisione
unanime) e il consenso, anche per fatto concludenti, degli eredi, il che comporta che essi diventino soci per
atto fra vivi e non iure successionis, con conseguente divisione della quota sociale in base alla divisione di
quella ereditaria. Scioglimento anticipato e continuazione devono essere decisi entro il solito termine di sei
mesi e nulla possono fare gli eredi per abbreviare i tempi.

L’art.2284 c.c. da anche la possibilità alle parti di prevedere delle CLAUSOLE all’interno del contratto sociale
che prevedano già anticipatamente il comportamento da adottare in caso di morte del socio: distinguiamo a
tal proposito la clausola di CONSOLIDAZIONE, che stabilisce l’acquisizione della quota vacante da parte degli
altri soci con conseguente liquidazione del valore della stessa ai soci, e le clausole di CONTINUAZIONE con gli

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eredi, le quali prevedono il trasferimento della quota mortis causa. Tra le stesse clausole di continuazione
troviamo:

 La clausola di CONTINUAZIONE FACOLTATIVA, che vincola solo i soci superstiti, lasciando liberi gli eredi di
aderire alla società o richiedere la liquidazione della quota;
 La clausola di CONTINUAZIONE OBBLIGATORIA, che prevede l’obbligo degli eredi di entrare in società
prestando il proprio “consenso” per l’acquisto della qualità di socio, con conseguente risarcimento del
danno se non prestano il consenso;
 La clausola di SUCCESSIONE, con cui gli eredi divengono automaticamente soci per effetto dell’accettazione
dell’eredità, senza che sia necessario il loro ulteriore consenso.

La validità delle ultime due clausole è in dubbio tanto in dottrina quanto in giurisprudenza.

Il recesso

Il RECESSO non è altro che la manifestazione di volontà con cui una parte contrattuale, in questo caso un
socio, produce unilateralmente lo scioglimento del rapporto giuridico di origine, nella fattispecie del
rapporto sociale. E’ disciplinato dall’art.2285 del codice.

Distinguiamo, a tal proposito, il recesso AD NUTUM, ossia quello non legato ad alcun giusta causa, che
permette al socio di sciogliere LIBERAMENTE il rapporto in caso di società a TEMPO INDETERMINATO o
CONTRATTA PER TUTTA LA VITA o PROROGATA TACITAMENTE in caso di Snc, sebbene debba dare un
preavviso di almeno tre mesi agli altri soci e il recesso diventi produttivo solo dopo il decorso di tale
termine.

Se la società è a TEMPO DETERMINATO, il recesso è ammesso solo in presenza di una GIUSTA CAUSA; la
volontà di recedere va comunque comunicata agli altri soci ma il recesso ha effetto immediato. Anche in
caso di società a tempo indeterminato è ammesso il recesso per giusta causa con effetto immediato.

Il contratto sociale o qualsivoglia accordo tra i soci non può escludere il diritto di recesso, sebbene possano
essere previste altre ipotesi di recesso stabilite per legge.

L’esclusione

Ultima causa di scioglimento parziale del contratto sociale è costituita dall’ESCLUSIONE del socio. A tal
riguardo dobbiamo anzitutto fare una distinzione tra le cause di esclusione FACOLTATIVA, previste
dall’art.2286 c.c. ed in cui spetta ai soci decidere, e le cause di esclusione di DIRITTO, previste dall’art.2288
c.c. ed in cui vi è esclusione ex lege.

L’art.2288 c.c. stabilisce che venga escluso di diritto “il socio dichiarato fallito”, con operatività
dell’esclusione dal giorno della dichiarazione di fallimento e possibile solo nel caso in cui non si tratti di
fallimento conseguente a quello della società, e “il socio il cui creditore particolare abbia ottenuto la
liquidazione della quota”, ed in tal caso l’esclusione opera dal giorno dell’avvenuta liquidazione.

L’art.2286 c.c., invece, prevede i casi in cui i soci possano deliberare l’esclusione, tra cui rientrano l’ipotesi di
GRAVI INADEMPIENZE degli obblighi di legge o contrattuali, ivi compreso il comportamento ostruzionistico e
tutti quelli che possono recare nocumento al gruppo, il caso di INTERDIZIONE, INABILITAZIONE E
INTERDIZIONE TEMPORANEA DAI PUBBLICI UFFICI e l’ultima ipotesi di SOPRAVVENUTA IMPOSSIBILITA’ DI
ESECUZIONE DEL CONFERIMENTO NON IMPUTABILE AGLI AMMINISTRATORI. A deliberare l’esclusione è la
MAGGIORANZA PER TESTE dei soci e la deliberazione deve essere motivata, oltre che comunicata al socio
escluso ed operativa decorsi 30 giorni dalla comunicazione. In questo periodo di tempo il socio può fare
opposizione al tribunale: se ottiene l’accoglimento viene reintegrato nella società con effetto retroattivo; se
invece non ottiene la sospensiva cessa di far parte della società. Nell’ipotesi di società comporta da due

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elementi, l’esclusione di un socio viene decisa direttamente dal tribunale su domanda dell’altro, divenendo
operativa con passaggio in giudicato della sentenza.

Il contratto sociale, oltre a poter prevedere altre cause di esclusione del socio, può contemplare anche,
tramite una CLAUSOLA COMPROMISSORIA, che le questioni relative all’esclusione siano deferite alla
decisioni di arbitri.

La liquidazione della quota

In qualsiasi caso di scioglimento del singolo rapporto sociale, il socio uscente o gli eredi di quello defunto
hanno diritto alla LIQUIDAZIONE DEL “VALORE” DELLA QUOTA entro 6 mesi dal giorno dello scioglimento o
entro 3 mesi nell’ipotesi di richiesta del creditore particolare: notiamo che si parla di “valore” della quota, il
che implica che non spettino i beni conferiti, anche qualora siano ancora presente nel patrimonio sociale. Il
valore in questione, tuttavia, deve tener conto dell’intera situazione patrimoniale della società e quindi
anche delle operazioni in corso e dell’avviamento dell’azienda sociale, nonché di utili e perdite, potendo
essere anche negativo (in tal caso al socio uscente o agli eredi non spetta alcunché).

Socio uscente ed eredi, come abbiamo già detto, rimangono responsabili personalmente verso i terzi per le
obbligazioni sorte prima dello scioglimento.

E. SCIOGLIMENTO DELLA SOCIETA’

Le cause di scioglimento

La società semplice, ma tale disciplina si applica anche alle Snc, si scioglie in forza dell’art.2272 c.c. per:

 Decorso del termine fissato dal contratto sociale, almeno che non vi sia proroga tacita (per comportamenti
concludenti) o espressa da parte dei soci;
 Conseguimento dell'oggetto sociale o per la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo, ma nella seconda
ipotesi deve trattarsi di impossibilità assoluta e definitiva di continuare l’attività sociale;
 Volontà di tutti i soci, salva la possibilità per l’atto costitutivo di prevedere che lo scioglimento possa essere
deciso anche dalla maggioranza degli stessi;
 Mancanza sopravvenuta della pluralità dei soci, se nel termine di sei mesi questa non è ricostituita;
 Altre cause previste dal contratto sociale.

Per le sole società in nome collettivo sono cause di scioglimento anche il FALLIMENTO e il provvedimento
con cui viene disposta la LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA.

Tutte le cause operano automaticamente ed ogni socio può chiederne l’accertamento in giudizio, sebbene lo
scioglimento operi dal momento in cui la causa si è verificata.

La società in stato di liquidazione

Il verificarsi di una delle suddette cause di scioglimento determina il passaggio dalla fase di “gestione attiva”
a quella di “liquidazione” della società, il che nelle società collettive comporta la comunicazione di tale
situazione negli atti e nella corrispondenza.

Tuttavia, non si ha estinzione immediata della società, in quanto occorre prima soddisfare i creditori sociale
e provvedere all’eventuale distribuzione del residuo attivo (eventuale perché non è detto che residui
alcunché).

Durante il periodo in cui la società verte in stato di liquidazione i poteri degli amministratori sono di gran
lunga limitati, dovendo gli stessi attenersi ai soli “affari urgenti”, sebbene atti NON urgenti possano essere
ratificati o autorizzati dagli altri soci. Allo stesso tempo i liquidatori, che subentrano agli amministratori,

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NON possono intraprendere nuove operazioni se non nel caso in cui siano autorizzati dai soci, altrimenti ne
risponderanno personalmente e illimitatamente.

Durante lo stato di liquidazione i creditori sociali devono attendere la normale scadenza per ottenere i
pagamenti, mentre i creditori dei singoli soci non possono più ottenere la liquidazione della quota, dovendo
attendere il termine del procedimento per potersi rifare sulla quota liquidata ai singoli.

Resta salva la facoltà dei soci, all’UNANIMITA’, di revocare lo stato di liquidazione, con ritorno della società
alla normale attività di gestione.

Il procedimento di liquidazione

Se da un lato il procedimento di liquidazione risulta sempre necessario nel momento in cui si verifica una
delle cause già citate, dall’altro è lo stesso legislatore a sancire la libertà delle parti di definire, nell’atto
costitutivo o al momento dello scioglimento, le modalità con cui lo stesso si deve svolgere. Quindi viene
data piena libertà per ciò che concerne la disciplina convenzionale del procedimento di liquidazione.

La disciplina del procedimento LEGALE di liquidazione è invece contenuta negli artt.2275-2283 c.c. per la
società semplice e negli artt.2309-2312 c.c. per quanto riguarda la società collettiva.

Il procedimento in questione inizia con la nomina all’unanimità (salvo diversa previsione dell’atto
costitutivo) dei liquidatori, che in caso di disaccordo vengono nominati dal tribunale. La revoca può avvenire
per giusta causa, sempre ad opera dei soci all’unanimità o attraverso decisione giudiziaria. Nella Snc e di
recente anche nella società semplice è prevista la necessità di iscrivere nel registro delle imprese nomina e
revoca dei liquidatori, mentre per la società irregolare tali vicende devono essere portate a conoscenza dei
terzi con mezzi idonei e non sono opponibili a coloro che senza colpa le hanno ignorate.

I liquidatori devono accettare la nomina e possono anche essere terzi NON soci. Essi prendono il posto degli
amministratori, DAI QUALI ricevono beni, documenti sociali e conto della gestione per il periodo successivo
all’ultimo rendiconto, e INSIEME AI QUALI redigono l’INVENTARIO o anche detto BILANCIO DI APERTURA
DELLA LIQUIDAZIONE, da cui risulta lo stato attivo e passivo del patrimonio e attraverso il quale si esaurisce
il compito degli amministratori, dato che viene fissato il momento oltre il quale gli stessi non sono più
responsabili.

Compito dei liquidatori è quello di regolare tutti i rapporti collegati all’attività sociale ed è per tal motivo che
essi hanno il potere di compiere tutti gli atti necessari affinché venga ultimata la liquidazione. Anzitutto per
procedere al pagamento dei creditori sociali essi possono chiedere ai soci il versamento dei conferimenti
ancora dovuti, sempre se i “fondi disponibili” non sono sufficienti, così come possono richiedere le somme
ulteriormente necessarie rispettando la partecipazione di ciascun socio alle perdite.

I liquidatori, come già anticipato, NON possono intraprendere “nuove operazioni”, per tali intendendosi
manovre che non sono in rapporto di mezzo a fine rispetto all’attività di liquidazione, altrimenti si
espongono ne rispondono personalmente e solidalmente nei confronti dei terzi, mentre il vincolo non sorge
per la società, salvo in caso di mancata conoscenza senza colpa dello stato di liquidazione per le sole società
irregolari.

Un altro divieto che sorge in capo ai liquidatori è quello inerente l’impossibilità di ripartire tra i soci i beni
sociali prima che tutti i creditori siano soddisfatti, il che espone i liquidatori stessi a responsabilità civile e
penale.

La prima cosa da fare, dunque, è estinguere i debiti sociali, anche alienando in massa i beni aziendali. Dopo
tale fase e soddisfatti tutti i creditori, si passa alla restituzione dei beni concessi in godimenti, nello stato in
cui si trovano, salvo i casi di perimento o deterioramento dovuti agli amministratori per cui è prevista la

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possibilità di agire contro gli stessi, oltre che di ottenere il risarcimento del danno da parte del patrimonio
sociale. Una volta restituiti i beni in godimento va ripartito tra i soci l’eventuale attivo patrimoniale residuo,
provvedendo anzitutto al rimborso del valore nominale dei conferimenti e ripartendo l’eccedenza, qualora
esista, in proporzione alla partecipazione dei soci nei guadagni. Per la società semplice non è prevista alcun
procedimento particolare di chiusura della liquidazione, mentre nella Snc è d’obbligo per i liquidatori
provvedere alla stesura del BILANCIO FINALE DI LIQUIDAZIONE, in cui viene esposto il conto economico
(entrate e uscite) e la situazione patrimoniale finale (denaro in cassa ed eventuali beni in natura), e del
PIANO DI RIPARTO, inerente la proposta di divisione dell’attivo residuo tra i soci. Bilancio sottoscritto dai
liquidatori e piano di riparto vanno comunicati tramite raccomandata e si intendono approvati se non vi è
impugnazione nel termine di 2 mesi dalla comunicazione; in caso di impugnazione del bilancio e del piano,
invece, i liquidatori possono chiedere l’esame separato delle questioni riguardanti l’uno e l’altro documento,
visto che il secondo (il piano di riparto) non comporta alcuna responsabilità per l’operato svolto, tanto che
l’approvazione del solo bilancio LIBERA definitivamente i liquidatori dinanzi ai soci.

L’estinzione della società

Al procedimento di liquidazione segue l’ESTINZIONE della società, non essendo necessario che i liquidatori
ripartiscano l’attivo residuo dei soci, come invece avviene nelle società di capitali.

Nelle società collettive irregolari la chiusura del procedimento di liquidazione coincide con l’estinzione,
sempre che si sia provveduto a soddisfare realmente tutti i creditori, altrimenti la società risulterà ancora
esistente.

Nelle società collettive regolari e nelle società semplici, invece, i liquidatori devono chiedere la
CANCELLAZIONE della società dal registro delle imprese, perché è solo con la stessa che la società può dirsi
estinta, e ciò nonostante possano esserci creditori sociali insoddisfatti. I liquidatori provvedono anche a
depositare presso terzi indicati dalla maggioranza dei soci scritture contabili e documenti non spettanti agli
ex soci e che devono essere conservati per dieci anni.

La cancellazione può essere anche disposta d’ufficio quando l’ufficio del registro delle imprese ravvisi:

 Mancanza di attività per tre anni consecutivi;


 Mancanza del codice fiscale;
 Irreperibilità presso la sede legale;
 Mancata ricostituzione della pluralità dei soci nel termine di sei mesi;
 Decorrenza del termine di durata senza proroga espresso o tacita.

La cancellazione è dunque condicio sine qua non l’estinzione non avviene. Dopo tale atto formale, invece, la
società non esiste più e gli eventuali creditori insoddisfatti potranno agire, a norma dell’art.2312 c.c., nei
confronti dei singoli soci, illimitatamente e personalmente responsabili, o anche dei liquidatori se possono
dimostrare che gli stessi abbiano violato il divieto di ripartizione dei beni sociali prima del soddisfacimento
di tutti i creditori.

Segue: Il fallimento della società estinta

Prima che il d.lgs.5/2006 rivedesse l’art.10 della legge fallimentare, le società si ritenevano ancora in vita ed
esposte al fallimento sino al pagamento dell’ultimo debito sociale, noto o ignoto non importava. A causa
dell’art.147 l.fall., inoltre, i soci potevano essere dichiarati falliti anche dopo molti anni, essendo costretti a
pagare i creditori sociali rimasti insoddisfatti: l’art.10 l.fall., infatti, esonerava l’imprenditore commerciale
dal fallimento trascorso un anno dalla CESSAZIONE dell’attività, essendo pertanto possibile dimostrare una
continuazione della stessa. Oggi, invece, l’art.10 prevede che società e imprenditori individuali possano
essere dichiarati falliti entro un anno dalla CANCELLAZIONE dal registro delle imprese, se l’insolvenza si è
manifestata anteriormente alla cancellazione o entro l’anno successiva (comma 1). Se la cancellazione
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avviene d’ufficio o nel caso di imprenditore individuale, tuttavia, è fatta salva la possibilità del creditore o
anche del pubblico ministero di dimostrare il momento dell’effettiva cessazione da cui deve decorrere il
termine. Il nuovo testo dell’art.14 comma 2 l.fall., inoltre, prevede che il fallimento della società non
produce automaticamente il fallimento del socio se è passato un anno dallo scioglimento del rapporto
sociale o dalla cessazione della responsabilità illimitata, purché siano osservate le formalità pubblicitarie: ciò
significa che per le società irregolari il termine annuale non decorrerà mai, rimanendo le stesse esposte
sempre al fallimento, anche dopo anni dalla cessazione dell’attività, mentre per le società regolari si
prenderà in considerazione il termine della cancellazione dal registro delle imprese. Ovviamente se l’attività
continua oltre il termine della cancellazione, resta la possibilità per creditori e pubblico ministero di provare
la continuazione fraudolenta dell’attività (applicandosi, per analogia, la disciplina prevista nell’ipotesi di
cancellazione d’ufficio della società).

CAPITOLO TERZO – LA SOCIETA’ IN ACCOMANDITA SEMPLICE

Nozione e caratteri distintivi

La SOCIETA’ IN ACCOMANDITA SEMPLICE è una società di persone, la cui disciplina è modellata su quella
della società in nome collettivo, da cui tuttavia si differenzia per la presenza di due categorie di soci: i SOCI
ACCOMANDATARI, che rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali, ed i SOCI
ACCOMANDANTI, che rispondono delle obbligazioni sociali limitatamente alla quota conferita, essendo
obbligati semplicemente ad eseguire i conferimenti e su cui i creditori sociali non hanno azione diretta,
neanche nei limite del conferimento stesso.

Gli accomandanti, il cui rischio di impresa è limitato, sono esclusi però dalla direzione della società, in
quanto l’amministrazione è riservata agli accomandatari.

Grazie alla società in accomandita semplice, quindi, è possibile riunire in un’unica compagine sociale sia
soggetti che voglio guidare la società nell’esercizio di attività commerciale, esponendosi alla responsabilità
limitata, sia soggetti senza alcun potere di gestione ma che voglio ugualmente divenire soci, limitando la
propria responsabilità ma finanziando l’attività sociale, al fine di partecipare ai risultati economici. Gli
accomandanti, ovviamente, non sono esposti al fallimento personale, motivo che espone tale modello
societario alla possibilità di abuso truffaldino: si potrebbe, per esempio, adoperare un accomandatario “di
paglia”, permettendo agli accomandanti di fruire dei vantaggi della società di persone inerentemente alla
gestione diretta cumulati con i vantaggi delle società di capitali, per ciò che concerne la responsabilità
limitata. Ecco perché il legislatore ha dovuto da un lato evitare l’uso anomalo di tale modello, ponendo
determinati divieti e aspre sanzioni in caso di violazione a carico degli accomandanti, ma nello stesso tempo
non escludere del tutto gli accomandanti stessi, assicurando loro determinati poteri.

La costituzione della società. La ragione sociale

Abbiamo avuto modo di precisare in apertura del capitolo che la disciplina della società in accomandita
semplice ricalca a grandi linee, seppur con le dovute modificazioni, quella della società in nome collettivo:
per la costituzione della società, la partecipazione di incapaci in qualità di accomandatari, i conferimenti e la
partecipazione di altre società come soci si applica esattamente la disciplina a suo tempo esaminata per le
Snc.

Anche l’atto costitutivo della sas, al pari di quello delle società collettive, è soggetto ad iscrizione nel registro
delle imprese e la mancata registrazione comporta l’irregolarità della società, con l’applicazione della
disciplina che vedremo in chiusura di capitolo.

Una particolarità della sas risiede nella formazione della ragione sociale di cui all’art.2314 c.c.: la stessa deve
contenere il nome di ALMENO un socio accomandatario e l’indicazione del tipo di società (sas), mentre non
può essere inserito in alcun modo il nome del socio accomandante. La violazione di tale divieto,
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ingenerando nei terzi confusione e inducendoli (o potendo indurli) a credere che si tratti di socio
accomandatario, comporta che l’accomandante, dinanzi a terzi, ma NON nei rapporti interni, risulti come
socio a responsabilità ILLIMITATA. Questo significa che, pur non acquistando alcun diritto di partecipare
all’amministrazione sociale, egli risponde delle obbligazioni della società non solo nei confronti dei creditori
indotti in errore, ma anche verso quelli che conoscevano la sua qualità di accomandante. Ovviamente
l’inserimento del nome nella ragione sociale deve essere stato autorizzato o quantomeno sopportato
(tolleranza) dal socio.

I soci accomandanti e l’amministrazione della società

Secondo il già citato rinvio di cui all’art.2315 c.c. alla società in accomandita semplice si applicano, laddove
compatibili, le norme in materia di società in nome collettivo.

In tema di amministrazione, però, le cose cambiano: l’art.2318 c.c. prevede che i SOLI soci accomandatari
abbiano gli stessi diritti ed obblighi dei soci della collettiva (comma 1) e che l’amministrazione della società
possa essere affidata SOLO agli stessi (comma 2), escludendo di fatto i soci accomandanti.

A questi ultimi, quindi, è imposto il cosiddetto DIVIETO DI IMMISTIONE NELLA GESTIONE, il che comporta
l’esclusione dall’amministrazione della società, sebbene entro certi limiti sia comunque garantito un loro
contributo, anche se poco considerevole: per la nomina e la revoca degli amministratori con “atto separato”
occorre il consenso di tutti gli accomandatari ma ANCHE il consenso di tanti accomandanti che
rappresentino la maggioranza del capitale dagli stessi sottoscritto; per la revoca dell’amministratore
nominato nell’atto costitutivo occorre il consenso di tutti i soci, siano essi accomandanti o accomandatari; la
revoca per giusta causa degli amministratori, indipendentemente dal fatto che siano stati nominati nell’atto
costitutivo o in atto separato, può essere chiesta giudizialmente anche da un socio accomandante.

Il divieto di ingerenza nell’amministrazione è in parte temperato anche dalla possibilità degli accomandanti
di “trattare o concludere affari in nome della società”, seppure in forza di una procura speciale per singolo
affare e restando assoggettati alla volontà degli amministratori, oppure dalla possibilità degli accomandanti
di “prestare la propria opera manuale o intellettuale”, sebbene sotto la direzione degli amministratori, o
ancora dalla “necessità di un’autorizzazione o di un parere degli accomandanti su determinate operazioni”,
qualora ciò sia contemplato nell’atto costitutivo.

Gli accomandanti, inoltre, hanno diritto a ricevere comunicazione del bilancio e del conto dei profitti e delle
perdite, di controllarne l’esattezza e di consultare libri contabili e altri documenti della società. Se hanno
riscosso utili fittizi, in deroga a quanto previsto dall’art.2303 ed in forza dei limiti nell’amministrazione della
società, gli accomandanti possono anche trattenerli, sebbene occorra che siano in buona fede e che gli utili
risultino da bilancio regolarmente approvato.

Gli accomandanti non possono muoversi al di là dei confini appena esaminati, altrimenti scattano le sanzioni
previste per la violazione del divieto di immistione.

Segue: Il divieto di immistione

Il divieto di immistione nella gestione sociale e le sanzioni per la violazione dello stesso sono contenute
all’interno dell’art.2320 comma 1 del codice: “I soci accomandanti non possono compiere atti di
amministrazione, né trattare o concludere affari in nome della società, se non in forza di procura speciale
per singoli affari. Il socio accomandante che contravviene a tale divieto assume responsabilità illimitata e
solidale verso i terzi per tutte le obbligazioni sociali e può essere escluso a norma dell'articolo 2286”.

Quindi, non solo l’accomandante non ha potere decisionale autonomo, non potendo decidere da solo alcun
atto, ma non può neanche partecipare alle decisioni degli amministratori o condizionarne l’operato, tanto
che pareri e autorizzazioni possono essere previsti dall’atto costitutivo solo per atti specifici, mai a carattere

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generale. Gli accomandanti possono al massimo cooperare con gli amministratori, agendo sempre sotto le
direttive di questi. Tutto ciò per quanto concerne l’attività INTERNA.

Per quanto riguarda l’attività ESTERNA, invece, l’accomandante può essere dotato del potere di
rappresentanza della società, in forza di una “procura speciale per singoli affari”: il potere di direzione, in tal
caso, rimane agli accomandatari, mentre devono essere specificati gli affari per cui l’accomandante può
trattare e che può concludere. Non può mai agire, invece, come procuratore generale o institore.

Se l’accomandante viola il divieto di immistione, come già anticipato, perde il beneficio della responsabilità
limitata, rimanendo esposto illimitatamente e solidalmente con gli accomandatari per TUTTE le obbligazioni
sociali, oltre che al fallimento. Egli, tuttavia, non diventa in alcun modo un socio accomandatario. Per
quanto concerne le specifiche obbligazioni nate proprio dall’atto di immistione dell’accomandante, invece,
trovano applicazione i principi generali della rappresentanza, motivo per cui la società resta vincolata SOLO
se vi era regolare procura o se l’operato dell’agente viene ratificato successivamente dagli amministratori,
altrimenti responsabile è solo l’accomandante che ha operato al pari di un rappresentante senza poteri,
senza possibilità di rivalsa verso la società o gli accomandatari.

Ultima sanzione per l’accomandante che ha violato il divieto è l’esclusione dalla società, impossibile però se
l’atto che ha violato il divieto di immistione viene ratificato o autorizzato dagli amministratori.

Il trasferimento della partecipazione sociale

Per il trasferimento della quota degli accomandatari tramite atto tra vivi è necessario il consenso di TUTTI i
soci, accomandanti e altri accomandatari. Per il trasferimento mortis causa della stessa, invece, è necessario
il consenso anche degli eredi.

Nel caso degli accomandanti, invece, è libero il trasferimento mortis causa, per cui non occorre consenso da
parte dei superstiti, mentre se avviene tramite atto tra vivi, è necessario il consenso di tanti soci che
rappresentino la maggioranza del capitale sociale.

Il tutto se l’atto costitutivo non prevede diversamente (disciplina derogabile).

Lo scioglimento della società

Il punto che più di tutti caratterizza la società in accomandita semplice è sicuramente rappresentato dalle
due categorie di soci, gli accomandanti e gli accomandatari. E’ ovvio che la sas si sciolga, oltre che per le
altre cause già viste per le società collettive, anche se “entro il termine di sei mesi non viene ripristinata la
categoria di soci venuta meno”, qualora siano rimasti solo accomandanti o solo accomandatari.

Se durante tale periodo ci sono solo accomandatari, allora l’attività continua normalmente, anche se la
duplice categoria deve essere ugualmente ripristinata. Se, invece, ci sono solo accomandanti, essi devono
nominare un AMMINISTRATORE PROVVISORIO, la cui gestione si deve limitare all’ordinaria
amministrazione, in quanto andando oltre egli inizia a rispondere illimitatamente per le obbligazioni sociali.

Una volta trascorsi i sei mesi, se la duplicità non è stata ristabilita e nello stesso tempo non è stato avviato il
procedimento di liquidazione, la sas si trasforma in una collettiva irregolare, con l’applicazione della relativa
disciplina di minor favore.

Per la liquidazione e l’estinzione valgono le stesse norme già esaminate per le Snc regolari, con l’unica
differenza che una volta intervenuta la cancellazione dal registro delle imprese, i creditori insoddisfatti
possono rifarsi sugli accomandanti SOLO nel limite di quanto dagli stessi ricevuto a titolo di quota di
liquidazione, perché essi godevano del beneficio della responsabilità limitata.

La società in accomandita irregolare


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Se l’atto costitutivo della società in accomandita semplice non viene iscritto nel registro delle imprese, la
società non è invalida ma opera come IRREGOLARE, con conseguente applicazione di una diversa disciplina.
Permane la differenza tra accomandanti e accomandatari, con conseguente limitazione della responsabilità
dei primi, ma il divieto di immistione degli accomandanti assume carattere assoluto, dato che
l’accomandante non può agire in nome della società neanche in forza di una procura speciale.

Per il resto si applica la disciplina della collettiva irregolare: i creditori sociali possono agire direttamente nei
confronti dei soci illimitatamente responsabili (accomandatari) e incombe su questi ultimi l’onere di
chiedere la preventiva escussione del patrimonio sociale, indicando i beni sui quali rifarsi. Viene meno,
dunque, l’operatività automatica del beneficio di escussione operante nella collettiva e nell’accomandita
regolari. I creditori particolari dei soci, inoltre, possono sempre chiedere la liquidazione della quota del loro
debitore, provando l’insufficienza degli altri beni personali del socio, diversamente da ciò che avviene
nell’accomandita regolare durante la durata del contratto. Opera, infine, la presunzione secondo cui il socio
che agisce, anche se accomandante, abbia la rappresentanza della società anche in giudizio.

CAPITOLO QUARTO – LA SOCIETA’ PER AZIONI

Nozione e caratteri essenziali

Noi sappiamo che tra le società di capitali rientrano la società per azioni, la società in accomandita per azioni
e la società a responsabilità limitata.

La società per azioni, dunque, è una società di capitali in cui “per le obbligazioni sociali risponde soltanto la
società con il suo patrimonio”, in forza dell’art.2325 comma 1 del codice civile, ed in cui “la partecipazione
sociale è rappresentata da azioni”, in forza dell’art.2346 comma 1 del codice civile. Dunque la società per
azioni si distingue, tra le società di capitali, sia dalla società in accomandita per azioni dove, benché le quote
siano rappresentate da azioni, vi è una particolare categoria di soci, accomandatari, responsabili
solidalmente ed illimitatamente con la società per le obbligazioni della stessa, sia dalla società a
responsabilità limitata, dove vi è autonomia patrimoniale perfetta ma le quote dei soci non possono essere
rappresentate da azioni né possono costituire oggetto di offerta al pubblico.

La società per azioni è il tipo di società di capitali maggiormente diffuso, in particolar modo tra le imprese di
medio-grandi dimensioni, a capitale sia privato sia pubblico e la disciplina della stessa ha subito notevoli
cambiamenti dal 1942 ad oggi. Analizziamone i caratteri essenziali.

Anzitutto la società per azioni gode di personalità giuridica, essendo autonomo centro di imputazione,
soggetto di diritto formalmente distinto dalle persone dei soci e godendo di autonomia patrimoniale
perfetta: solo la società può essere qualificata come imprenditore ed è sempre quest’ultima ad essere
soggetta alla disciplina propria dell’attività d’impresa.

I soci, godendo la società per azioni di autonomia patrimoniale perfetta, sono tenuti solo ad eseguire i
conferimenti promessi e sono essi, quindi, a decidere quale parte del proprio patrimonio personale
intendono esporre al rischio d’impresa (regola estesa, con la riforma del diritto societario del 2003, anche
alle ipotesi, salvo talune eccezioni, in cui tutte le azioni appartengano ad una sola persona). L’autonomia
patrimoniale perfetta, dunque, fa si che i creditori della società possano rifarsi SOLO ed ESCLUSIVAMENTE
sul patrimonio della stessa, anche se il legislatore, quasi a fare da contraltare a questa previsione, ha dettato
una disciplina a tutela dei creditori inerente l’effettività e l’integrità del capitale sociale, oltre che
l’informazione contabile periodica sulla situazione patrimoniale e sui risultati economici della società.

A fare da contrappeso alla responsabilità limitata dei soci, inoltre, vi è l’organizzazione di tipo corporativo
propria della società per azioni, basata sulla compresenza di tre organi: l’assemblea, l’organo di gestione e
l’organo di controllo. Il singolo socio non ha poteri di amministrazione e di controllo: egli si limita, col
proprio voto proporzionato alla quota di capitale sottoscritto ed al numero di azioni possedute, alla
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designazione dei membri dell’organo amministrativo e di quello di controllo. Tali membri, dunque, sono del
tutto distinti dalle persone dei soci e rispondono, tanto in sede civile quanto in sede penale, dei danni
arrecati alla società in seguito a violazione dei propri doveri. L’assemblea dei soci, inoltre, decide a
maggioranza: si tratta di una “maggioranza per capitale”, in quanto il peso del singolo socio è determinato
dal numero di azioni possedute e dal capitale sociale sottoscritto. Sono coloro che detengono la
maggioranza di capitale e che, pertanto, rischiano maggiormente a prendere le decisioni di maggior rilievo.
Il disinteresse degli stessi, però, può essere sanato dall’intervento di soci che detengono anche una frazione
minima del capitale sociale, almeno per ciò che riguarda il funzionamento essenziale della società (nomina e
revoca degli amministratori e dei sindaci, approvazione del bilancio d’esercizio), in quanto l’assemblea
ordinaria dei soci, in seconda convocazione, delibera “qualunque sia la parte di capitale sociale
rappresentata dai soci partecipanti”, come previsto dall’art.2369, comma 3° del codice.

L’ultimo carattere essenziale della società per azioni è sicuramente determinato dal fatto che le quote di
partecipazione dei soci sono rappresentate da “partecipazioni-tipo omogenee e standardizzate”, ossia azioni
di uguale valore e che conferiscono uguali diritti (art.2348 comma 1 c.c.). La divisione del capitale sociale in
parti/azioni segue un criterio astratto-matematico, in forza del quale NON si tiene conto del numero dei
soci, ma solo di un’unità di misura liberamente predeterminata che rappresenta il valore delle azioni
(esempio: 1000 è il capitale, diviso magari in 100 azioni del valore di 10). Ecco, quindi, un’importante
differenza tra società per azioni e società a responsabilità limitata, laddove in quest’ultima la divisione del
capitale sociale è operata in funzione del numero dei soci, i quali diventano titolari di una sola quota di
partecipazione, che varia in base al capitale sottoscritto (capitale sottoscritto per un valore di 100, unica
quota pari a 100).

La divisione del capitale secondo il criterio astratto matematico in partecipazioni-tipo standardizzate ed


omogenee, le azioni appunto, fa si che le stesse siano facilmente e liberamente trasferibili, in particolar
modo quando sono quotate su un mercato regolamentato come quello della borsa valori, in cui si forma un
prezzo ufficiale di ogni azione, reso possibile dall’omogeneità e dalla fungibilità dei titoli.

Società per azioni e tipologia della realtà

Ora possiamo finalmente capire perché le grandi imprese si organizzano in società per azioni: la
responsabilità limitata dei soci e la possibilità di una pronta mobilitazione dell’investimento, grazie alla
suddivisione in azioni, favoriscono la raccolta di grandi capitali di rischio di cui necessita l’impresa stessa. In
tal modo si vengono a creare due categorie di azionisti: coloro animati dallo spirito imprenditoriale e che,
pertanto, intendono partecipare attivamente alla vita della società, gli azionisti imprenditori, e coloro che
intendono investire il proprio denaro per farlo fruttare, per ottenerne semplicemente un ritorno economico
dato l’investimento dei propri risparmi, gli azionisti risparmiatori. Inoltre, come abbiamo detto, nel modello
della società per azioni i piccoli azionisti possono agire, e quindi avere un comportamento attivo, per evitare
che la variazione continua di interessi dei grandi investitori mortifichi la vita della società.

Tuttavia non sono solo le grandi imprese ad optare per la creazione di una società per azioni. Molto
frequenti, nell’intero sistema economico, sono le società per azioni “a ristretta base azionaria”, composte da
un numero non elevato di soci e costituite per gestire imprese di modeste dimensioni, a volte addirittura per
gestire attività a carattere familiare, senza la presenza di un appello al pubblico risparmio per la raccolta di
capitale. I problemi che si pongono in questi casi riguardano, per lo più, la tutela dei soci di minoranza e dei
creditori: è ovvio che chi si espone maggiormente al rischio, investendo di più, abbia anche più potere di
decisione, manifestato all’interno dell’assemblea e nella scelta degli amministratori, espressione degli
azionisti di maggioranza. Questa situazione dovrebbe portare ad una gestione maggiormente oculata della
società: proprio perché un soggetto ha investito di più, e quindi rischia di più, dovrebbe avere maggior
interesse affinché tutto vada per il verso giusto. Tuttavia il quadro cambia radicalmente nel momento in cui
la società fa appello al pubblico risparmio: in questo caso, infatti, vi sono una moltitudine di investitori con
partecipazioni microscopiche, ma che costituiscono comunque la maggioranza del capitale, ed il loro
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disinteresse (sono soggetti che investono al solo fine di ottenere un guadagno e non per partecipare
attivamente all’attività d’impresa) potrebbe favorire il dominio della società da parte di “gruppi minoritari di
controllo”, detentori del dieci o del venti per cento del capitale sociale, ma attivi nel prendere le decisioni di
maggior impatto. Sono questi soci a nominare gli amministratori ed i sindaci, rispettivamente per la gestione
ed il controllo della/sulla società, ed essi potrebbero dar luogo ad operazioni truffaldine o a gestioni
spericolate: notiamo, infatti, che chi si trova a decidere è chi, comunque, rischia meno e, decidendo
direttamente o indirettamente delle sorti della società, potrà sempre defilarsi in tempo, alienando le proprie
azioni e lasciando i piccoli risparmiatori/azionisti, così come i creditori, in un mare di guai.

Il codice del 1942, però, non prevedeva una disciplina di tutela per questi casi: ci si affidava sempre al
principio maggioritario, non funzionante per il disinteresse dei piccoli investitori, al potere di
controllo/vigilanza dei sindaci, che non vigilavano in quanti legati ai gruppi di controllo ed all’autotutela
degli azionisti, che non potevano o non sapevano tutelarsi. La situazione, oggi, è cambiata, non solo perché
è mutata la disciplina a riguardo, ma anche per la comparsa di una nuova figura di investitori, gli organismi
di investimento collettivo: si tratta di operatori specializzati, veri e propri investitori istituzionali, i quali
raccolgono risparmio fra il pubblico e lo investono in partecipazioni di minoranza in società quotate secondo
il criterio della diversificazione del rischio (pensiamo ai fondi comuni di investimento o ai fondi pensione). In
tali casi, quindi, alla massa di azionisti investitori si affiancano soggetti dotati di specifiche competenze, che
sanno come agire sul mercato e sanno (o dovrebbero sapere???mah) tutelarsi svolgendo un ruolo attivo
nelle assemblee e nei confronti degli amministratori (in sostanza, il risparmiatore investe nel fondo che si
preoccupa di investire e di tutelare l’investimento, cosicché il “piccolo” non si trova mai ad avere a che fare
con un mondo che non conosce, in quanto è sostituito in tutto e per tutto da operatori competenti).

Un altro fenomeno che ci interessa analizzare è quello dei gruppi di società: è sempre più frequente che una
pluralità di società per azioni, tutte formalmente autonome ed indipendenti come sottolinea l’autore
Campobasso, facciano capo ad una società capogruppo, di cui condividono il fine ultimo e che esercita sulle
singole un potere di controllo, esercitato molto spesso nell’interesse comune col sacrificio degli interessi
individuali. In tal caso occorre tutelare i soggetti che hanno investito nelle singole società, i quali potrebbero
subire, insieme con i creditori, un vero e proprio danno determinato dall’influenza della società madre sulle
piccole che ad essa fanno capo. Il codice del ’42, anche in questa ipotesi, rimaneva in silenzio ma la modifica
della disciplina nel corso degli anni ha reso possibili delle forme di tutela a riguardo.

L’evoluzione della disciplina

Passiamo ad analizzare, sebbene per ora solo in linea generale per poi scendere nel dettaglio in seguito, le
modifiche intervenute, dal ’42 ad oggi, in materia di società per azioni. Anzitutto tali modifiche si sono rese
necessarie per due principali motivi: da un lato per sanare tutte le lacune del codice, dall’altro per attuare
tutte le normative in materia emanate dall’Unione Europea per l’armonizzazione delle singole legislazioni a
riguardo dei vari Paesi UE.

Anzitutto è stata prevista una disciplina particolare per la costituzione di tali società: se un tempo era
sufficiente, come capitale sociale minimo previsto dal codice, un milione di lire, somma resa ovviamente
ridicola ed irrisoria a causa dell’inflazione monetaria, nel 1977 tale capitale venne innalzato a 200 milioni di
lire per poi passare, nel 2004, a 120.000 euro.

Il primo intervento incisivo si è avuto con la L.216/1974, la riforma del mercato mobiliare, la quale ha preso
in considerazione il fatto che nelle società con azioni quotate in mercati regolamentati il dominio
minoritario, ossia la presenza di investitori con partecipazioni microscopiche che unite costituiscono la
maggioranza, è un fenomeno irreversibile ed ha introdotto strumenti di tutela della massa inerte e
disorganizzata degli azionisti risparmiatori (certificazione del bilancio da parte di una società di revisione
autonoma ed indipendente, creazione della Consob come organo pubblico di controllo, possibilità di

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emettere una particolare categoria di azioni, quelle “di risparmio” prive del diritto di voto e privilegiate sotto
il profilo patrimoniale) , trascurando però di stimolare la partecipazione “attiva” di tutti i soci.

Col passare del tempo, poi, sono stati introdotti nuovi intermediari (società di intermediazione mobiliare) e
nuovi organismi di investimento collettivo, prevedendo anche specifiche regole di comportamento per
l’offerta al pubblico di valori mobiliari.

Nel ’98, grazie al d.lgs.58 del 24 febbraio, è arrivato il Testo unico delle disposizioni in materia di
intermediazione finanziaria, al fine di fornire un’organica disciplina delle società quotate, il quale ha previsto
una serie di interventi volti a stimolare l’afflusso del risparmio gestito dagli investitori istituzionali per ridurre
lo strapotere dei gruppi minoritari di controllo. Sono stati rivisti tutti gli istituti propri delle società quotate
ed è stata rafforzata l’informazione societaria, oltre che gli strumenti di tutela delle minoranze già previsti
dal codice.

Nel 2003 si è avuta, invece, la riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative
(d.lgs.6/2003), mentre nel 2005 è arrivata la legge sulla tutela del risparmio (l.262/2005).

Società per azioni e modelli societari

La riforma della disciplina delle società introdotta con il D.lgs.6/2003 ha attuato una vera e propria
differenziazione tra vari modelli facenti tutti parte del tipo “società per azioni”. Tale normativa prevede,
infatti, che vi siano:

 Regole valide per TUTTE le società per azioni;


 Regole valide per le sole “società chiuse”, ossia quelle che NON fanno ricorso al mercato del capitale di
rischio;
 Disposizioni applicabili alle sole “società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio”, categoria nella
quale rientrano sia le “società NON quotate con azionariato diffuso tra il pubblico”, sia le “società quotate”;
 Norme applicabili alle SOLE “società quotate”.

Il modello delle società che “fanno ricorso al mercato del capitale di rischio” è stato introdotto al fine di
agevolare e rendere più graduale, per le società non quotate, il passaggio alla disciplina degli emittenti
quotati. Potremmo definirla, quindi, come una categoria intermedia: ad una società, dapprima non quotata,
che decide di procedere verso l’ammissione alla negoziazione in un mercato regolamentato vanno applicate,
talune volte, le norme dettate per le società quotate, altrettanto spesso le regole delle società non quotate
ed altre volte ancora si applica una disciplina autonomia a metà strada. I requisiti fissati dalla Consob per far
parte delle “società non quotate con azioni diffuse tra il pubblico”, tuttavia, hanno reso vano lo sforzo
legislativo: il numero delle stesse è inferiore al centinaio, il che ci fa capire che l’obiettivo di rendere
graduale il passaggio di cui parlavamo sopra non è stato raggiunto.

Inoltre sono stati introdotti degli statuti speciali per alcuni modelli di società, come quelle operanti in settori
di particolare interesse sociale ed economico (pensiamo alle banche o alle assicurazioni), a cui la forma della
società per azioni è imposta ma che, tuttavia, vanno incontro a normative speciali in deroga alla disciplina
generale.

Per meglio disciplinare, infine, i gruppi di società si è deciso di introdurre specifici obblighi per le società
facenti parte del gruppo e la responsabilità per abuso del potere di direzione da parte della capogruppo,
sebbene sia stata mantenuta la distinzione formale tra le singole realtà societarie.

A)LA COSTITUZIONE

Il procedimento

Per la costituzione della società per azioni occorre:


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 La stipulazione dell’atto costitutivo per atto pubblico;


 L’iscrizione dell’atto costitutivo nel registro delle imprese, al fine di acquisire la personalità giuridica secondo
l’art.2331 comma 1 del codice.

A partire dal 2000 (scelta poi confermata dalla riforma del 2003) è stata eliminata la fase intermedia di
“omologazione” dell’atto costitutivo da parte dell’autorità giudiziaria, la quale si occupava di verificare
l’esistenza dei requisiti di legge per provvedere all’iscrizione nel registro delle imprese, compiti che oggi
sono affidati al notaio. L’omologazione può essere, comunque, richiesta FACOLTATIVAMENTE per le
modifiche dell’atto costitutivo.

La stipulazione dell’atto costitutivo

La stipulazione dell’atto costitutivo può essere “simultanea” oppure avvenire per “pubblica sottoscrizione”:
quest’ultimo è un procedimento abbastanza macchinoso, utilizzato raramente a dire la verità, mentre il
primo è quello maggiormente adoperato.

Nella costituzione simultanea la stipulazione dell’atto costitutivo da parte dei soci fondatori avviene
CONTESTUALMENTE alla sottoscrizione del capitale sociale iniziale.

Nella costituzione per pubblica sottoscrizione, la cui disciplina è contenuta negli artt.2333 al 2336 del codice,
la stipulazione dell’atto costitutivo è solo finale ed eventuale, dal momento che l’intero procedimento si
articola in 4 fasi: predisposizione del programma, adesione al programma tramite sottoscrizione delle azioni,
convocazione dell’assemblea costituente e stipulazione dell’atto costitutivo.

A predisporre il programma sono i soggetti che hanno assunto l’iniziativa circa la formazione della società,
definiti come “promotori”: essi predispongono il programma della società, indicante l’oggetto della stessa, il
capitale necessario, le principali disposizioni dell’atto costitutivo, la partecipazione agli utili degli stessi
promotori ed il termine entro il quale deve essere stipulato l’atto costitutivo. Dopo di ché il programma
viene depositato, con le firme autentica dei promotori, presso un notaio, prima di essere DIFFUSO tra il
pubblico, seguendo tra l’altro le modalità previste per l’offerta al pubblico di prodotti finanziari (occorre, in
sostanza, pubblicare un “prospetto informativo” redatto secondo modalità che vedremo nel libro III).

Alla prima fase segue l’adesione al programma e la sottoscrizione delle azioni (del capitale sociale), la quale
deve risultare da atto pubblico o scrittura privata autenticata, da parte dei cosiddetti “sottoscrittori”, i quali,
entro il termine di 30 giorni, devono versare il 25% dei conferimenti in denaro presso una banca indicata dai
promotori o dal programma: qualora non adempiano a tale obbligo, i promotori hanno la facoltà di agire
giudizialmente o di liberarli definitivamente dall’obbligo assunto, in tal caso provvedendo alla collocazione
delle azioni rimaste non sottoscritte.

Una volta effettuato il versamento del 25% dei conferimenti, si passa alla terza fase, ossia alla convocazione
dell’assemblea costituente mediante raccomandata A/R inviata 10 giorni prima della riunione, la quale è
chiamata a verificare l’esistenza delle condizioni richieste per la costituzione della società, a deliberare sul
contenuto di statuto e atto costitutivo, integrando le disposizioni già presenti nel programma, a deliberare
sulla riserva di partecipazione agli utili dei promotori, ed a nominare gli amministratori ed i sindaci della
società costituenda. L’assemblea è validamente costituita se vi prendono parte ALMENO LA META’ dei
sottoscrittori, ai quali spetta un solo voto, indipendentemente dal capitale sottoscritto. Le deliberazioni sono
valide se vota favorevolmente la MAGGIORANZA dei presenti, anche se per modificare le condizioni del
programma occorre l’unanimità, non dei presenti, ma di TUTTI i sottoscrittori.

L’ultima fase della costituzione per pubblica sottoscrizione prevede la stipulazione dell’atto costitutivo, a cui
provvedono i sottoscrittori presenti in assemblea.

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Con la stipula dell’atto costitutivo si esauriscono i compiti dei promotori, i quali non è detto che divengano
soci della società della cui formazione hanno assunto l’iniziativa. Essi, tuttavia, possono riservarsi una
partecipazione agli utili della società, sebbene nel limite del 10% degli utili netti risultanti dal bilancio e per
un periodo di tempo massimo di 5 anni, ma non possono stipulare ulteriori benefici a proprio vantaggio
(art.2340 c.c.). La stessa regola per i soci fondatori (art.2341 c.c.), tanto nel caso di costituzioni per pubblica
sottoscrizione, quanto nell’ipotesi di costituzione simultanea, ai quali tuttavia possono spettare ulteriori
benefici di diverso genere .

I promotori, dunque, possono anche non essere soci ma rimangono SOLIDALMENTE RESPONSABILI verso
terzi per le obbligazioni assunte per la costituzione della società, che ricadranno sulla società stessa SOLO
qualora essa venga costituita e SOLO se tali obbligazioni sono state realmente necessarie per la costituzione,
oltre che approvate dall’assemblea (art.2338 c.c.). Quindi è sui promotori che grava il rischio di INSUCCESSO
dell’operazione di formazione della società.

I promotori, infine, sono responsabili verso la società stessa e verso terzi (art.2339 c.c.):

 Per l’integrale sottoscrizione del capitale sociale e per i versamenti richiesti per la costituzione della società;
 Per l’esistenza dei conferimenti in natura in conformità della relazione giurata di stima;
 Per la veridicità delle comunicazioni da essi fatte al pubblico per la costituzione della società.

L’atto costitutivo: forma e contenuto

Per l’atto costitutivo sono previsti dei requisiti di forma e di contenuto. Per quanto concerne la forma è
richiesto, sotto pena di nullità, che l’atto costitutivo sia redatto tramite atto pubblico: può trattarsi di un
contratto o, a partire dalla riforma del 2003, di un atto unilaterale, data la possibilità di costituire una
società per azioni da parte di un unico socio fondatore.

Per quanto concerne il contenuto dell’atto costitutivo è l’art.2328 a prevederne i requisiti, ossia cosa deve
indicare:

 Cognome e nome dei soci o denominazione (nel caso di società), data e luogo di nascita o Stato di
costituzione, sede o domicilio e cittadinanza dei soci e dei promotori, numero delle azioni assegnate a
ciascun socio;
 Denominazione e comune dove si trova la sede della società, con indicazione di eventuali sedi secondarie:
la scelta della denominazione è del tutto libera, benché debba prevedere l’indicazione “società per azioni” e
non possa essere simile o identica ad altra società concorrente. La “sede sociale” è il luogo dove risiedono
l’organo amministrativo e gli uffici direttivi: deve essere individuato anche l’ufficio del registro delle imprese
presso il quale effettuare l’iscrizione della società; sono sedi secondarie quelle che godono di un
rappresentanza stabile;
 Oggetto sociale: si tratta del tipo di attività economica che la società intende svolgere. Possono essere
indicate anche più attività, tra cui spicca una ritenuta come principale. Non si può trattare, in alcun modo, di
un’indicazione eccessivamente generica (esempio: qualsiasi attività commerciale);
 Ammontare del capitale sottoscritto e versato;
 Numero e valore nominale delle azioni, modalità di emissione e circolazione delle stesse;
 Valore attribuito a crediti e beni conferiti in natura, ammesso che esistano;
 Norme inerenti la ripartizione degli utili, indicazione necessaria SOLO in caso di modifica della disciplina
prevista dalla legge;
 Benefici eventualmente accordati a promotori e soci fondatori, nei limiti già descritti;
 Sistema di amministrazione adottato, numero degli amministratori e loro poteri, con l’indicazione di quali
amministratori hanno potere di rappresentanza della società;
 Numero dei componenti del collegio sindacale;
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 Nomina dei primi amministratori e sindaci (oppure dei componenti del consiglio di sorveglianza), così come
dell’eventuale soggetto che deve esercitare il controllo contabile;
 Importo globale delle spese per la costituzione della società;
 Durata della società, la quale può essere anche a tempo indeterminato: nel caso in cui le azioni non siano
quotate presso mercati regolamentati è permesso il recesso dei soci dopo un determinato periodo di
tempo, con preavviso di almeno 180 giorni, che può essere portato sino ad un anno.

Il difetto di uno di questi elementi, laddove abbiamo specificato che siano essenziali, legittima il rifiuto del
notaio alla stipulazione dell’atto costitutivo. Oltre ai requisiti previsti dalla legge, può essere contemplato
anche un contenuto più ampio ed articolato di quello minimo: è per tale motivo che si preferisce optare per
la stesura di due documenti separati, l’atto costitutivo, nel quale viene manifestata la volontà di dar vita alla
società, e lo statuto, nel quale è contenuta l’intera disciplina legale e convenzionale, il quale deve essere
redatto sempre per atto pubblico a pena di nullità, dato che viene considerato come PARTE INTEGRANTE
dell’atto costitutivo, come un tutt’uno con lo stesso.

Le condizioni per la costituzione

L’art.2327 c.c. prevede che la società per azioni debba avere un CAPITALE MINIMO di € 120.000
(precedentemente dovevano essere 100.000), salvo il caso in cui leggi speciali non prevedano capitali
minimi diversi per determinate società, come quelle bancarie e finanziarie o quelle di intermediazione
mobiliare. Non è necessaria, invece, la congruità del capitale sociale rispetto al fine perseguito dalla società
per azioni, sia perché manca una norma a riguardo, sia perché la dottrina maggioritaria è concorde
nell’affermare che l’impresa possa conseguire ottimi risultati anche in assenza di un capitale iniziale
consistente, data la possibilità di ricorrere a prestiti degli stessi soci o all’appello al pubblico risparmio
mediante l’emissione di obbligazioni, al fine di finanziare la propria attività d’impresa (la dottrina
minoritaria, invece, prevede che sia necessario un capitale congruo al fine…l’autore Campobasso fa parte
della dottrina maggioritaria). Il notaio, dunque, non può compiere alcun controllo inerente la proporzione
tra capitale della società ed oggetto sociale.

L’art.2329, poi, prevede che per procedere alla costituzione della società per azioni occorra:

 La sottoscrizione per intero del capitale sociale;


 Il rispetto delle disposizioni inerenti i conferimenti, in particolar modo quella riguardante il versamento di
almeno il 25% dei conferimenti in denaro o, nel caso di atto unilaterale, dell’intero ammontare;
 La sussistenza delle autorizzazioni governative e delle altre condizioni previste da leggi speciali per società
che hanno un particolare oggetto sociale.

Tali requisiti devono esistere al momento della stipulazione dell’atto costitutivo ed in mancanza il notaio
non può provvedere alla stessa, in quanto andrebbe incontro ad una violazione della legge notarile. E’ lo
stesso notaio, poi, che deve provvedere, ENTRO 20 giorni dalla stipulazione dell’atto costitutivo, a richiedere
l’iscrizione nel registro delle imprese; tuttavia, qualora occorra, dopo la stipulazione dell’atto costitutivo, il
rilascio di un’autorizzazione per esercitare una determinata attività, come quella bancaria, i 20 giorni
decorrono dal momento in cui il notaio ha ricevuto tale provvedimento autorizzativo. Se l’iscrizione ha
avuto luogo in mancanza dell’autorizzazione, l’autorità competente al rilascio della stessa può chiedere la
cancellazione della società dal registro delle imprese ed il tribunale, sentita la società, può accogliere
l’istanza e in tal caso si producono gli effetti della nullità della società per azioni.

Gli effetti della stipulazione dell’atto costitutivo

La stipulazione dell’atto costitutivo, tuttavia, non è idonea, da sola, a costituire la società per azioni, essendo
necessaria l’iscrizione nel registro delle imprese, anche se da vita ad una serie di effetti immediati e
preliminari.

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Anzitutto i contraenti sono vincolati a costituire la società e non possono ritirare il proprio consenso, se non
nel caso in cui non si possa addivenire alla costituzione della società per fatti a loro non imputabili. Le
somme date in conferimento rimangono vincolate alla costituzione della società e vengono consegnate agli
amministratori SOLO qualora questi possano provare l’avvenuta iscrizione nel registro delle imprese. I
sottoscrittori hanno diritto a ricevere indietro le somme in questione SOLO se la società non viene iscritta
nel registro delle imprese dopo 90 giorni dalla stipulazione dell’atto costitutivo o dal rilascio delle
autorizzazioni successive di cui abbiamo parlato prima. Infatti è dopo 90 giorni che l’atto costitutivo perde la
propria efficacia (art.2331 comma 4).

Abbiamo già accennato al fatto che il notaio, entro 20 giorni dalla stipulazione dell’atto costitutivo, deve
provvedere a depositarlo presso l’ufficio del registro delle imprese competente territorialmente, allegandovi
tutti i documenti comprovanti l’osservanza dei requisiti di legge per dar luogo all’iscrizione. Se non provvede
il notaio a tale deposito, se ne occupano gli amministratori, altrimenti può provvedervi ogni socio a spese
della società.

Il controllo notarile

In passato, dopo il deposito dell’atto costitutivo, si apriva il giudizio di omologazione da parte del tribunale,
eliminato a partire dal 2000 e la cui eliminazione è stata confermata dalla riforma del 2003, mantenendo il
solo giudizio di omologazione come facoltativo nei casi di modifica dell’atto costitutivo.

Il tribunale era chiamato a svolgere un controllo di “legalità” sostanziale (quindi non di merito e non solo
formale), ossia un controllo inerente la conformità alla legge della società costituenda.

Oggi tale compito spetta al notaio: egli, già in base alla legge notarile, non può ricevere “atti contrari alla
legge o manifestamente contrari al buon costume e all’ordine pubblico”, così come non può chiedere
l’iscrizione nel registro delle imprese di una società quando difettino i requisiti previsti dalla legge.

Anche il notaio, dunque, svolge un controllo di legalità sostanziale inerente la conformità alla legge della
costituenda società: il notaio non deve accertare se l’atto sia valido o meno, ma se la società è o meno
conforme alla legge, andando anche oltre la regolarità formale dell’atto costitutivo e la verifica della
mancanza di cause di nullità di cui all’art.2332 del codice.

Iscrizione nel registro delle imprese

Siamo arrivati, dunque, al punto in cui il notaio, verificate le condizioni di legge, provvede alla stesura
dell’atto costitutivo e al deposito dello stesso e degli allegati presso l’ufficio del registro delle imprese, per
ottenere l’iscrizione della società nel medesimo registro. L’ufficio in questione, diversamente dal notaio,
esegue un mero CONTROLLO DI REGOLARITA’ FORMALE DELLA DOCUMENTAZIONE.

E’ con l’iscrizione nel registro delle imprese che la società per azioni può dirsi COSTITUITA, che essa prende
vita, acquistando la personalità giuridica.

Le operazioni compiute prima dell’iscrizione

Può capitare che tra la stipulazione dell’atto costitutivo e l’iscrizione nel registro delle imprese, così come
precedentemente alla stipulazione dell’atto costitutivo, vengano poste in essere delle operazioni in nome
della società costituenda, di una società, dunque, che ANCORA NON ESISTE.

L’art.2331 comma 2 c.c. prevede, a tal proposito, che per le “operazioni compiute in nome della società
prima dell’iscrizione siano ILLIMITATAMENTE E SOLIDALMENTE responsabili verso terzi colo che hanno
agito”, per esempio i promotori nel caso di costituzione per pubblica sottoscrizione. Sono, altresì,
responsabili anche i soci fondatori, o il socio unico fondatore, che hanno autorizzato il compimento delle
operazioni.
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Prima dell’iscrizione della società nel registro delle imprese, inoltre, è VIETATA l’emissione delle azioni, così
come l’offerta al pubblico delle stesse, se non nel caso di costituzione per pubblica sottoscrizione, al fine di
evitare operazioni di speculazione nei confronti dei risparmiatori, che si potrebbe verificare emettendo e
facendo circolare titoli azionari senza che la società esista (art.2331 comma 5 c.c.).

Anche nel caso in cui la società si costituisca senza problemi, occorre distinguere tra obbligazioni assunte
prima della costituzione e necessarie per la stessa, a cui la società è automaticamente vincolata, in presenza
di un atto costitutivo incline a tali previsioni, e obbligazioni non necessarie per la costituzione compiute dai
futuri amministratori, in quanto in quest’ultimo caso è l’organo competente della società che deve decidere
se accollarsi o meno tali obbligazioni, il che, comunque, NON fa venir meno la responsabilità solidale di chi
ha agito.

Se il procedimento di costituzione non giunge a compimento, l’art.2338 comma 3 prevede che i promotori
non abbiano alcuna rivalsa nei confronti dei sottoscrittori delle azioni per le spese sostenute per la
costituzione. Tale norma, tuttavia, ha solo carattere eccezionale: i promotori hanno azione di rivalsa verso i
sottoscrittori se hanno agito su specifico incarico di questi ultimi, così come gli amministratori individuati
nell’atto costitutivo, dovendo compiere gli atti necessari per la costituzione della società e dovendo
sostenere le relative spese, possono rifarsi sui sottoscrittori (agli amministratori non si applica il comma 3).

La dottrina aveva ipotizzato che per gli atti compiuti prima dell’iscrizione nel registro delle imprese, in caso
di interruzione definitiva del procedimento costitutivo, dovesse rispondere una specie di società irregolare o
di società per azioni in formazione, solidalmente con chi aveva agito, così come si era ipotizzata l’esistenza
di una società collettiva irregolare tra i soci stessi della futura società per azioni: in realtà, entrambe le tesi,
oltre a non essere sostenute da alcuna previsione legislativa, non trovano neanche l’appoggio della dottrina
maggioritaria o di quella più recente, in quanto gli atti precedenti alla costituzione definitiva della società
per azioni sono da considerarsi come “semplici atti degli agenti”, tra cui al massimo si instaura una società di
fatto perché questi hanno esercitato attività d’impresa. Quest’idea è confermata dal fatto che la società per
azioni, una volta validamente costituita, deve accollarsi volontariamente determinate spese, potendole
lasciare, se ritenute non necessarie, alla sola responsabilità di chi ha agito.

La nullità della società per azioni

L’intero procedimento costitutivo della società, così come lo stesso atto costitutivo, possono essere viziati e
presentare determinate anomalie: l’ordinamento, però, reagisce in due modi diversi a seconda che si tratti
di un’anomalia antecedente o successiva all’iscrizione nel registro delle imprese. Abbiamo detto, infatti, che
con l’iscrizione la società prende vita, esiste e può iniziare ad operare all’interno del traffico giuridico,
mentre prima dell’iscrizione siamo in presenza di un semplice “contratto di società”, un atto di autonomia
vincolante SOLO tra le parti che lo hanno stipulato.

E’ per tal motivo che tutti i vizi precedenti all’iscrizione nel registro delle imprese sono quelli riguardanti la
“nullità generale dei contratti” di cui all’art.1418 del codice (mancanza di uno dei requisiti del contratto,
illiceità della causa ecc.).

La situazione cambia quando la società è stata del tutto costituita tramite l’iscrizione nel registro delle
imprese: non si tratta più di ritenere nullo un semplice contratto, ma occorre intervenire su una società-
organizzazione che si è già costituita e che, pertanto, è entrata in contatto con terzi ponendo in essere la
propria attività. Occorre, dunque, applicare una differente disciplina legislativa, inerente la nullità-
scioglimento della società, definendo però l’attività già svolta: è di ciò che si occupa l’art.2332 in tema di
“nullità della società per azioni iscritta”, articolo rivisto dal d.p.r.1127/1969 e dalla riforma del 2003, che ha
ridotto da otto a tre le cause di nullità.

La società per azioni, a norma dell’art.2332 c.c., può essere dichiarata nulla solo nei casi tassativamente
elencati da tale articolo, ossia nelle ipotesi di:
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 Difetto della forma di atto pubblico nella stipulazione dell’atto costitutivo;


 Illiceità dell’oggetto sociale (attenzione, non l’impossibilità dell’oggetto, che al massimo può dar luogo allo
scioglimento);
 Mancanza nell’atto costitutivo e nello statuto della denominazione della società, dell’indicazione dei
conferimenti o dell’ammontare del capitale sociale o dell’oggetto sociale.

Prima della riforma del 2003 erano cause di nullità anche: la mancanza dell’atto costitutivo; l’incapacità di
tutti i soci fondatori; la mancanza di più fondatori; il mancato versamento iniziale dei conferimenti in
denaro; la mancanza di omologazione del tribunale.

Per ciò che concerne gli effetti della nullità dobbiamo chiarire che, mentre la nullità del contratto di società,
antecedente all’iscrizione nel registro delle imprese, ha efficacia retroattiva e travolge tutti gli effetti
prodotti da tale contratto, “la dichiarazione di nullità della società per azioni non pregiudica gli effetti degli
atti compiuti in nome della società dopo l’iscrizione nel registro”: si tratta di tutti gli atti compiuti, sia verso i
soci, sia verso terzi, tanto in caso di buona fede degli uni e degli altri, quanto nell’ipotesi di conoscenza della
causa di nullità. I soci, poi, non sono liberati dall’obbligo dei conferimenti, né possono ripetere i
conferimenti già eseguiti, almeno fino a quando non siano soddisfatti i creditori della società.

Quindi la dichiarazione di nullità della società iscritta NON RIGUARDA l’attività eventualmente svolta,
operando come una causa di scioglimento della società, quindi solo per il futuro, e si differenzia dallo
scioglimento di una società valida SOLO per il fatto che i liquidatori vengono nominati dal tribunale nella
sentenza che dichiara la nullità, il cui dispositivo viene iscritto nel registro delle imprese. Infine, mentre la
nullità di un qualsivoglia contratto risulta insanabile, quella della società è sanabile ad opera dei soci,
addirittura in caso di illiceità dell’oggetto sociale: notiamo, quindi, come l’obiettivo sia quello di preservare
l’esistenza della società stessa (l’atto costitutivo rivisto andrà iscritto nel registro delle imprese PRIMA della
che avvenga l’iscrizione della sentenza che dichiara la nullità).

L’azione di nullità rimane, comunque, imprescrittibile e la nullità può essere fatta valere da chiunque vi
abbia interesse, così come può essere rilevata d’ufficio dal giudice.

Diversa è l’ipotesi della nullità della singola partecipazione del socio, che tra l’altro non travolge l’intera
società, ma può essere al massimo causa di scioglimento per l’impossibilità di conseguimento dell’oggetto
sociale. Tra l’altro la dichiarazione d’invalidità della singola partecipazione non ha effetto retroattivo e
quindi la causa di nullità si ritrova ad operare come una causa di recesso secondo la legge del socio.

B) LA SOCIETA’ PER AZIONI UNIPERSONALE. I PATRIMONI DESTINATI

La società per azioni unipersonale (art.2362 c.c.)

Il codice del ’42 vietava da un lato la costituzione di società per azioni da parte di un singolo soggetto e
dall’altro sanciva, tra le cause di nullità di cui all’art.2332, la nullità della società nell’ipotesi di mancanza di
una pluralità di soci fondatori. Identica disciplina era prevista per le società a responsabilità limitata.

La dodicesima direttiva CEE di armonizzazione del diritto societario, attuata in Italia nel 1993, attribuiva ai
singoli Stati la possibilità di autorizzare la nascita di società per azioni ed a responsabilità limitata
unipersonali, ma il nostro legislatore non si avvalse completamente di tale facoltà, disciplinando solo le s.r.l.
unipersonali all’interno del D.lgs.88/1993. La riforma del 2003, invece, ha consentito la costituzione di
società per azioni con atto unilaterale (quindi in assenza di un contratto tra più parti) di un unico socio
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fondatore, prevedendo in tal caso anche per le S.p.A. unipersonali l’autonomia patrimoniale perfetta, ossia
la regola secondo cui delle obbligazioni sociali risponde solo la società con il proprio patrimonio.

Si tratta, dunque, di imprese formalmente societarie, ma sostanzialmente individuali ed è per tal motivo che
è prevista una disciplina di maggior tutela per i terzi che entrano in contatto con queste realtà societarie: il
socio unico fondatore risponde, per le SOLE obbligazioni antecedenti all’iscrizione nel registro delle imprese
(art.2331 comma 2 c.c.), SOLIDALMENTE ED ILLIMITATAMENTE con chi ha agito; il principio di limitazione
della responsabilità, dunque, opera solo dopo l’iscrizione nel registro. Inoltre, al momento della costituzione
della società, così come in caso di aumento del capitale sociale, il socio unico deve provvedere a versare
integralmente, quando vi è la sottoscrizione, i conferimenti in denaro: viene meno, in sostanza, la necessità
di versare solo il 25% dei conferimenti; allo stesso modo, qualora originariamente vi fossero più soci ma in
un secondo momento né rimasto solo uno, questo ha l’obbligo di effettuare i versamenti ancora dovuti
entro 90 giorni.

Se tale disciplina non viene rispettata il socio continua a rispondere solidalmente con il patrimonio sociale
delle obbligazioni della società, quindi anche con il proprio patrimonio personale.

La società unipersonale, tra l’altro, ha l’obbligo di indicare, negli atti e nella corrispondenza (non nella
denominazione), l’esistenza di un unico socio, al fine di informare i terzi di questa circostanza.

Gli amministratori devono depositare presso il registro delle imprese, entro 30 giorni dall’iscrizione della
vicenda inerente la presenza di un unico socio o il fatto che ne sia rimasto uno solo, una dichiarazione
indicante i dati anagrafici del singolo socio, proprio per garantire ulteriormente la pubblicità verso terzi.
Anche in questo caso, se la dichiarazione non viene depositata (a farlo può essere anche il socio stesso in
caso di inerzia degli amministratori) non può operare il beneficio di responsabilità limitata.

Se vi sono contratti tra la società ed il socio unico, esse sono opponibili ai creditori della società SOLO nel
caso in cui risultino dal libro delle adunanze e dalle deliberazioni del consiglio di amministrazione, o
quantomeno da un atto scritto avente data certa anteriore al pignoramento, proprio perché nelle società
unipersonali è più facile la confusione del patrimonio sociale con quello del socio (art.2362 comma 5).

Anche per le società per azioni unipersonali vige la regola dell’autonomia patrimoniale perfetta, inizialmente
assicurata alle sole s.r.l. unipersonali: per le obbligazioni sociali risponde la società con il proprio patrimonio
ed il socio limitatamente ai conferimenti, salvo due eccezioni, in cui lo stesso è chiamato a rispondere
ILLIMITATAMENTE (art.2325 comma 2 c.c.):

 Caso in cui non sia stata osservata la disciplina dell’integrale liberazione dei conferimenti (versamento del
100% degli stessi);
 Caso in cui non sia stata attuata la pubblicità inerente la presenza di un unico socio.

In entrambe le ipotesi, comunque, la responsabilità illimitata del socio ha carattere sussidiario, ossia può
essere fatta valere dai creditori sociali SOLO in caso di insolvenza della società stessa, quindi solo dopo la
totale escussione del patrimonio sociale. Tale responsabilità illimitata viene meno per le obbligazioni sociali
sorte dopo l’esecuzione dei conferimenti o della pubblicità. La disciplina del 1993, modificata dalla riforma
del 2003, prevedeva altre due casi di perdita del beneficio della responsabilità limitata, inerenti l’ipotesi di
socio unico che fosse persona giuridica e quella di socio unico persona fisica che fosse socio unico di altre
società di capitali.

Attenzione: ricordiamo che l’art.2362 del codice e la disciplina delle SPA unipersonali si applica nella sola
ipotesi di appartenenza formale e non solo sostanziale di TUTTE le azioni ad un unico soggetto. Questo
significa che in caso di dominio QUASI TOTALITARIO (esempio: il socio unico possiede il 98% delle azioni) o di
controllo TOTALITARIO INDIRETTO non si applica la disciplina delle SPA unipersonali almeno che non si
dimostri che l’unico fine era quello di sottrarsi proprio a tale disciplina, ossia si dimostri la frode alla legge.
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I patrimoni destinati

Al fine di evitare il moltiplicarsi di società per azioni solo sotto il punto di vista formale, tutte gestite dai
medesimi soggetti e con oggetto sociale simile o addirittura identico, il legislatore con la riforma del 2003 ha
introdotto la possibilità per le società per azioni di dar vita a “patrimoni separati”: si tratta di una parte del
patrimonio netto della società, destinato e vincolato ad uno scopo specifico, patrimonio che risponde solo
delle obbligazioni relative a determinate operazioni economiche poste in essere per il raggiungimento di
quel fine e non è aggredibile da parte dei creditori della società che sono divenuti tali per altre operazioni
economiche diverse, quelli preesistenti in sostanza. Pensiamo alle ipotesi in cui la società intenda distribuire
i propri prodotti in un nuovo mercato o intenda aprire un nuovo ramo di azienda o voglia produrre una
diversa linea dello stesso prodotto già commercializzato: in tutti questi casi la società crea un patrimonio
separato, dedicato a quella apposita operazione.

Dobbiamo fare una distinzione tra “patrimoni destinati operativi”, destinati in via esclusiva ad uno specifico
affare, entro i limiti del 10% del proprio patrimonio netto e purché non si tratti di affari attinenti ad attività
riservate in base a leggi speciali, e “finanziamenti destinati”, veri e propri contratti con terzi di
finanziamento di uno specifico affare, i cui proventi sono vincolati in tutto o in parte al rimborso del
finanziamento stesso.

Ovviamente in entrambe le circostanze occorre tutelare tanto i creditori sociali preesistenti quanto quelli
che possono contare solo sui patrimoni separati.

Patrimoni destinati c.d. operativi (artt.2447 bis al 2447 nonies)

E’ l’organo amministrativo, a maggioranza assoluta dei suoi componenti, a deliberare la costituzione di un


patrimonio separato, indicando nella stessa delibera costitutiva:

 l’affare al quale è destinato il patrimonio, il quale può consistere anche nell’esercizio di un’attività
d’impresa;
 i beni ed i rapporti giuridici compresi nel patrimonio separato, rispettando il limite del 10% del patrimonio
netto e garantendo un patrimonio separato congruo alla realizzazione dell’affare, il che viene attestato
tramite un “piano economico finanziario” da allegare alla delibera, contente le modalità d’impiego del
patrimonio destinato, nonché le garanzie concesse da terzi;
 l’incremento del patrimonio destinato tramite “l’apporto di terzi”, apporto che può essere assicurato anche
dall’emissione di specifici strumenti finanziari di partecipazione all’affare, con indicazione dei diritti garantiti
a chi acquista tali strumenti (se si tratta di titoli offerti ad investitori non professionali e diffusi tra il pubblico
in maniera rilevante, va nominata, se non è già presente, una società di revisione contabile che si occupi
della revisione dei conti dell’affare…per strumenti diffusi tra il pubblico in maniera rilevante si intendono
quelli emessi da società con patrimonio “netto” non inferiore a 5 milioni di euro e attribuiti ad un numero di
possessori superiore a 200);
 le regole di rendicontazione dello specifico affare.

La delibera va verbalizzata da un notaio ed è soggetta ad iscrizione nel registro delle imprese: solo decorsi
60 giorni dall’iscrizione la separazione patrimoniale diventa effettiva ed in questo periodo di tempo i
creditori sociali preesistenti possono fare opposizione al tribunale, che può disporre che vengano prestate
idonee garanzie a tali creditori (garanzie inerenti, in sostanza, il fatto che la società potrà pagare i propri
debiti già esistenti).

Decorso il termine di 60 giorni, i creditori sociali preesistenti non possono più far valere alcun diritto sul
patrimonio destinato né sui frutti da esso derivanti, salvo che per la parte spettante alla società. Da un altro
punto di vista dobbiamo specificare che la società risponde con il solo patrimonio destinato delle
obbligazioni nascenti dallo specifico affare: i creditori, in tal caso, non si potranno rifare sul patrimonio
generale della società.
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Affinché operi la separazione patrimoniale, tuttavia, per ogni atto posto in essere va specificato il vincolo di
destinazione all’affare, altrimenti la società risponde con il patrimonio generale.

Per ogni patrimonio separato vanno tenuti appositi libri e scritture contabili, così come all’interno del
bilancio vanno indicati i beni ed i rapporti inerenti ciascun patrimonio, con separato rendiconto in allegato al
bilancio. Se la società ha emesso strumenti finanziari di partecipazione all’affare, deve obbligatoriamente
tenere un libro indicante le caratteristiche di tali strumenti, i possessori ed i vincoli ad essi relativi, così come
allo stesso tempo è previsto che si formi un’assemblea speciale con un “rappresentante comune”, al fine di
tutelare i possessori degli strumenti finanziari. E’ l’assemblea speciale, infatti, a deliberare le modificazioni
dei diritti attribuiti dagli strumenti, nonché a decidere sulle controversie con la società ed a nominare il
rappresentante comune, il quale controlla il regolare andamento dell’affare e può essere sottoposto, dalla
stessa assemblea, ad azione di responsabilità. Azioni individuali sono consentite anche ai singoli possessori
degli strumenti finanziari, salvo che tali azioni non siano incompatibili con le deliberazioni dell’assemblea di
categoria.

Una volta che l’affare è concluso o che è sfumato in quanto impossibile, gli amministratori redigono un
“rendiconto finale”, da depositare presso l’ufficio del registro delle imprese: se risultano ancora esserci dei
creditori insoddisfatti, essi possono chiedere, mediante raccomandata da inviare alla società entro 90 giorni
dal deposito, la liquidazione del patrimonio destinato, anche se non è prevista alcuna procedura
concorsuale nel caso in cui lo stesso sia insolvente, in quanto la liquidazione avviene osservando le norme
delle società di capitali inerenti la liquidazione volontaria, in cui non vi è il rispetto della par condicio
creditorum. Se nessun creditore particolare, tra l’altro, chiede la liquidazione del patrimonio separato, esso
confluisce nel patrimonio generale, fatta salva la possibilità per gli stessi creditori di rifarsi sullo stesso nel
limite del patrimonio separato.

I finanziamenti destinati (art.2447 decies c.c.)

La seconda modalità di costituzione di un patrimonio separato è quella di cui parla l’art.2447-decies del
codice, inerente il contratto di finanziamento di uno specifico affare con previsione che al rimborso totale o
parziale del finanziamento siano destinati, in via esclusiva, tutti o parte dei proventi dell'affare stesso.

Il contratto deve precisare gli elementi essenziali dell’operazione, ossia lo specifico oggetto, le modalità ed i
tempi di realizzazione, i costi ed i ricavi previsti, i beni strumentali necessari per la realizzazione ed il relativo
piano finanziario, indicando la parte coperta dal finanziamento e quella a carico della società.

In questa ipotesi alla società viene concesso un finanziamento, da rimborsare con i proventi dell’affare nel
tempo massimo stabilito dal contratto, decorso il quale nulla è più dovuto al finanziatore. La società può
anche garantire il rimborso, ma solo per una parte del finanziamento, mentre per la restante parte il
finanziatore rimane esposto al rischio dell’affare.

Dal contratto può risultare anche il potere del finanziatore di esercitare dei controlli sull’esecuzione
dell’operazione, così come è raccomandabile, per il finanziatore stesso, che la società presti delle garanzie
inerenti l’esecuzione del contratto e la concreta, nonché tempestiva, realizzazione dell’operazione.

Ma in questa operazione dov’è che si forma il patrimonio separato?

E’ semplice, il patrimonio separato è formato dai PROVENTI dell’affare e dai relativi frutti. Copia del
contratto, tra l’altro, va iscritta nel registro delle imprese ed i proventi dell’affare vanno tenuti distinti
rispetto al patrimonio generale, tramite un sistema di contabilizzazione ed incasso idoneo ad assicurare
questa distinzione.

A partire dalla pubblicità del finanziamento destinato, i beni oggetto di separazione patrimoniale, al pari di
quelli strumentali all’operazione, non sono più aggredibili dai creditori preesistenti della società, che

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possono, per i secondi, esercitare solo azioni conservative. Allo stesso modo il finanziatore non può agire sul
patrimonio generale della società, salva l’ipotesi di garanzia di rimborso parziale da parte della società,
altrimenti non avrebbe senso definire questa operazione come finanziamento separato, configurandosi
come un semplice finanziamento.

Se sopravviene il fallimento della società, il finanziatore può partecipare al fallimento per le somme non
riscosse, almeno che il curatore non opti per continuare nella realizzazione dell’operazione, assumendone i
relativi oneri.

C) CONFERIMENTI

Conferimenti e capitale sociale

Sappiamo benissimo che i conferimenti non rappresentano altro che i contributi dei soci alla formazione del
patrimonio iniziale della società, la cui funzione essenziale è quella di assicurare alla stessa un capitale di
rischio iniziale per lo svolgimento dell’attività d’impresa (funzione produttiva dei conferimenti).

I conferimenti, dunque, formano il patrimonio iniziale della società ed il loro valore esprime la cifra del
capitale sociale nominale, ossia quello di cui i soci non possono disporre durante la vita della società
(funzione vincolistica) e che funge da riferimento per i diritti dei vari azionisti (funzione organizzativa).

Per quanto riguarda le società per azioni è prevista un’apposita disciplina, assente nelle società di persone,
in materia di conferimenti, al fine di garantire che gli stessi, laddove promessi dai soci, vengano
“effettivamente acquisiti” dalla società e con lo scopo di assicurare che il valore assegnato dai soci ai
conferimenti sia veritiero.

Di regola, quindi, a ciascun socio dovrebbe spettare un numero di azioni proporzionale alla quota di capitale
sociale sottoscritta, per un valore non superiore al suo conferimento: tuttavia, tale principio è derogabile, in
quanto ciò che interessa è che il valore dei conferimenti rispecchi l’ammontare globale del capitale sociale,
essendo possibile una ripartizione delle azioni non proporzionale al conferimento di ciascuno (anche se non
è possibile assegnare azioni a chi non ha effettuato conferimenti).

Gli scopi perseguiti dalla disciplina dei conferimenti rimangono, come già anticipato, due: effettiva
acquisizione dei conferimenti stessi ed effettività del loro valore. Ovviamente tali problemi si pongono in
maniera diversa per i conferimenti in denaro, laddove il problema dell’effettività del valore non esiste, e per
i conferimenti di altra natura: per tal motivo sono previste della apposite discipline.

I conferimenti in denaro

Nella società per azioni, in forza del primo comma dell’art.2342 c.c., i conferimenti devono essere effettuati
in denaro, se non è diversamente previsto dall’atto costitutivo. Tra l’altro, per evitare che l’attivo
patrimoniale della società sia inizialmente composto da SOLI crediti verso i soci, gli stessi hanno l’obbligo di
versare, in fase di costituzione della società, il 25% dell’ammontare globale dei conferimenti presso una
banca (il 100% del conferimento se si tratta di società unipersonale).

Una volta costituita la società, gli amministratori hanno il diritto NON SOLO di prelevare quel 25% già
versato, ma di chiedere, in qualsiasi momento, il residuo dei conferimenti ai vari soci, i versamenti ancora

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dovuti. Solo in tal caso, infatti, le azioni possono considerarsi INTERAMENTE LIBERATE, in quanto è stato
versato l’intero ammontare dei conferimenti.

Tuttavia, anche le azioni non interamente liberate sono trasferibili, sebbene debbano essere “nominative”
ed il titolo azionario debba indicare i versamenti ancora dovuti: in caso di trasferimento delle azioni, infatti,
l’obbligo di versamento dei conferimenti si trasferisce all’acquirente, al socio attuale, anche se l’alienante
rimane responsabile in solido con l’avente causa, in via sussidiaria e limitatamente ad un periodo di tempo
di 3 anni dall’iscrizione del trasferimento nel libro dei soci. Chi trasferisce azioni non liberate, dunque, funge
da garante a termine dell’attuale azionista.

Se il socio non esegue il pagamento delle quote dovute, versando quindi in uno stato di mora, egli non può
esercitare il diritto di voto e contro lo stesso, invece della semplice azione giudiziaria volta ad ottenere
l’adempimento, può essere promossa una più celere vendita coattiva delle azioni appartenenti al socio
moroso. Decorsi 15 giorni dalla pubblicazione della diffida in Gazzetta Ufficiale, gli amministratori possono
offrire tali azioni agli altri soci ed in mancanza di offerte collocarle in vendita presso banche ed intermediari
abilitati. Se nessuno le acquista, gli stessi amministratori, ancora alternativamente alla normale azione
giudiziaria, possono dichiarare decaduto il socio, trattenendo i conferimenti già versati, salvo poi chiedere il
risarcimento dei danni. Da questo momento, le azioni confluiscono nel patrimonio della società, che può
rimetterle in vendita entro l’esercizio in cui è stata pronunciata la decadenza, ma se non riesce a collocarle
deve procedere all’annullamento delle stesse, riducendo per l’ammontare corrispondente il capitale
sociale, non essendo possibile creare una discrepanza tra lo stesso e le ripartizione in azioni (il tutto è
contemplato nell’art.2344 del codice civile).

I conferimenti diversi dal denaro, invece, devono essere liberati integralmente al momento della
sottoscrizione, anche se possono verificarsi ugualmente casi di mancata attuazione: si dibatte, in tal caso,
sulla possibilità di utilizzare la procedura accelerata di esclusione del socio inadempiente, di cui abbiamo
parlato.

I conferimenti diversi dal denaro

Abbiamo detto che due sono le esigenze principali in merito ai conferimenti: quella di garantirne l’effettiva
acquisizione da parte della società e quella di assicurarne l’effettività del valore. E queste due esigenze si
avvertono maggiormente per quanto riguarda i conferimenti diversi dal denaro.

Anzitutto, differentemente da ciò che avviene per le società di persone, nelle società per azioni NON ogni
entità economica può essere conferita alla società: l’art.2342 c.c. prevede, infatti, che “non possano formare
oggetto di conferimento le prestazioni di opera o di servizi”. Sarebbe difficile fornire una valutazione
oggettiva delle stesse e garantirne l’apporto reale al capitale sociale; tali prestazioni, al massimo, possono
essere “accessorie”, distinte dai conferimenti, fungere da apporti non imputabili a capitale e dar luogo
all’emissione di strumenti finanziari diversi dalle azioni.

Per quanto riguarda, invece, i beni in natura ed i crediti dei singoli soci, essi possono formare oggetto di
conferimenti SOLO se vengono integralmente liberati al momento della sottoscrizione: ciò vuol dire che la
società ne deve acquistare la titolarità e la piena disponibilità al momento della propria costituzione e non in
seguito. Ecco perché le cose generiche, future o altrui non possono essere conferite, in quanto il consenso
del conferente, che per esempio ne entrerà in possesso solo in futuro, non è sufficiente per far acquisire il
bene alla società.

E’ ammissibile, diversamente, il conferimento di diritti di godimento, in quanto in tal caso la società, col
consenso del conferente, acquista l’effettiva disponibilità del bene ed è in grado di trarne tutte le utilità e ciò
è sufficiente affinché le azioni vengano integralmente liberate al momento della sottoscrizione.

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Anche le prestazioni di dare suscettibili di valutazione economica oggettiva ed immediata possono


considerarsi come conferimenti validi ed efficaci: se, per esempio, un socio ha un diritto di brevetto per
un’invenzione industriale può benissimo decidere di girarlo alla società a titolo di conferimento, in quanto si
tratta di valori immateriali, iscrivibili in bilancio ed imputabili a capitale. Allo stesso modo può essere
conferita un’azienda che abbia tali elementi.

La valutazione

Al fine di assicurare una valutazione oggettiva e veritiera ai conferimenti diversi dal denaro, in natura o di
credito, e per evitare che ad essi venga assegnato un valore nominale superiore a quello reale, è previsto un
apposito procedimento di valutazione, diviso in più fasi, all’interno dell’art.2343, parzialmente modificato
dalla riforma del 2003, che vale tanto per i conferimenti effettuati in sede di costituzione della società,
quanto per quelli fatti in sede di aumento del capitale sociale.

La prima fase di questo procedimento consiste nella presentazione, da parte di chi effettua il conferimento
in natura o di credito, di una relazione giurata di stima di un esperto designato dal tribunale del luogo in cui
ha sede la società: all’interno di tale relazione l’esperto deve attestare il valore del conferimento come pari
a quello attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale; la stessa relazione va allegata all’atto
costitutivo e rimane depositata presso l’ufficio del registro delle imprese. Tuttavia, la mancanza della stessa
non comporta né la nullità della società, non essendo motivo di nullità a norma dell’art.2332 c.c., né la
nullità del conferimento, anche se è necessario in tal caso il controllo successivo sul valore.

Il valore assegnato al conferimento all’interno della stima ha, però, SOLO carattere provvisorio, in quanto
entro 180 giorni dalla costituzione della società gli amministratori (un tempo anche i sindaci) possono
controllare il valore e procedere alla revisione della stima. Nel frattempo le azioni rimangono depositate
presso la sede della società e sono INALIENABILI.

La seconda fase, dunque, è quella di revisione della stima: se il valore dei beni o dei crediti risulta inferiore di
oltre 1/5 rispetto a quello per cui avvenne il conferimento, la società deve ridurre proporzionalmente il
capitale sociale e annullare le azioni scoperte. In realtà, però, tale revisione va comunicata al socio, il quale
ha dinanzi a se diverse alternative:

 Impugnare la revisione della stima, fatta dagli amministratori, dinanzi all’autorità giudiziaria;
 Versare la differenza in denaro, evitando in tal modo di veder ridotta la propria partecipazione sociale e
lasciando il numero delle proprie azioni inalterato;
 Recedere dalla società, ottenendo la liquidazione del valore attuale delle proprie azioni: si da luogo, ove
possibile, alla restituzione del bene conferito, oppure ad una parte dello stesso con eventuale conguaglio in
denaro;
 Rimanere inerte dinanzi alla revisione di stima, in tal modo dando luogo alla deliberazione dell’assemblea
straordinaria che riduce il capitale e annulla le azioni rimaste scoperte.

L’atto costitutivo può anche prevedere che le azioni residue siano ripartite tra i soci, che ovviamente devono
dar luogo alla copertura del conferimento corrispondente, in quanto ricordiamo che il valore complessivo
dei conferimenti non può MAI essere inferiore all’ammontare del capitale sociale.

La rigidità del procedimento di valutazione è attenuata dal fatto che la stima del perito nominato dal
tribunale non risulta necessaria (art.2343 ter c.c.):

 Per titoli quotati nel mercato dei capitali (valori mobiliari, azioni ed obbligazioni) e per strumenti quotati nel
mercato monetario (titoli di debito pubblico, certificati di deposito ecc.), purché il valore del conferimento,
sovrapprezzo incluso, non superi il prezzo medio ponderato al quale tali strumenti sono stati negoziati negli
ultimi 6 mesi;

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 Per conferimenti in natura, quando il valore attribuito ai beni in natura o crediti è pari o inferiore al FAIR
VALUE iscritto nel bilancio dell’esercizio precedente quello nel quale è stato effettuato il conferimento a
condizione che il bilancio, approvato da non oltre 1 anno e mezzo, sia sottoposto a revisione legale e la
relazione del revisore non esprima rilievi in ordine alla valutazione dei beni oggetto del conferimento;
 Per beni e crediti, quando vi sia una valutazione di stima fatta da un professionista, indipendente e dal
conferente e dalla società, ma non designato dal tribunale.

Tuttavia, gli amministratori possono richiedere una nuova valutazione se ritengono inattendibile il valore dei
conferimenti, nel caso di modificazione del valore degli strumenti finanziari alla data effettiva del
conferimento rispetto al prezzo medio di quotazione dei sei mesi precedenti, o nel caso di stima operata da
esperto non indipendente, o nell’ipotesi alterazione del valore equo di beni o crediti conferiti dopo la data di
riferimento del bilancio della società soggetta a revisione legale dei conti (art.2343 quater c.c.).

Si tratta di accertamenti che gli amministratori devono effettuare entro 30 giorni dall’iscrizione della società:
nel caso in cui vi sia contestazione del valore del conferimento, si da luogo alla procedura in più fasi di cui
abbiamo già parlato, con conseguente valutazione da parte dell’esperto nominato dal tribunale, altrimenti
nel medesimo termine si provvede all’iscrizione nel registro delle imprese di una dichiarazione nella quale i
conferimenti vengono ritenuti esenti da procedimento di stima o stimati correttamente. Fino all’iscrizione di
tale dichiarazione le azioni sono INALIENABILI e restano depositate presso la sede della società.

Gli acquisti potenzialmente pericolosi

In passato l’obbligo di stima dei conferimenti in natura veniva aggirato tramite un semplice espediente: il
soggetto figurava, all’interno dell’atto costitutivo, come un socio obbligato a conferire denaro ed una volta
costituita la società egli alienava un bene alla società stessa, estinguendo il proprio debito (quello inerente il
conferimento in denaro) tramite una compensazione. Ovviamente tale operazione di compensazione non
risultava di per sé illecita, né tanto meno la compensazione poteva essere assoggettata a stima; tuttavia,
l’operazione complessiva si configurava come illecita ma non punibile proprio per la difficoltà di dimostrare
l’intento fraudolento.

L’art.2343-bis c.c., introdotto dal d.p.r.30/1986, ha attenuato il ricorso a questa operazione, prevedendo
che l’acquisto di beni o crediti dai promotori (anche se non soci), dai fondatori (anche se non più soci), dai
soci attuali o dagli amministratori debba essere AUTORIZZATO dall’assemblea ordinaria, nel caso in cui il
corrispettivo della vendita risulti pari o superiore al decimo del capitale sociale e per i SOLI primi due anni
di attività della società, a partire dal momento dell’iscrizione nel registro delle imprese.

Oltre alla delibera di autorizzazione all’acquisto, la quale è soggetta a pubblicità legale, occorre che
l’alienante presenti all’assemblea una relazione giurata di un esperto designato dal tribunale, contenente la
descrizione dei beni o crediti, il valore di ciascuno di essi e l’attestazione che tale valore non è inferiore al
corrispettivo, praticamente una relazione di stima. Nel caso di violazione di questa disciplina, l’acquisto resta
valido, ma amministratori ed alienante sono solidalmente responsabili per danni causati alla società, ai soci
ed a terzi.

Sono esentati da tale disciplina gli acquisti nei mercati regolamentati o sotto il controllo dell’autorità
giudiziaria o di quelle amministrativa, data la certezza del prezzo d’acquisto. Sono esentati anche gli acquisti
effettuati a CONDIZIONI NORMALI nell’ambito di operazioni CORRENTI della società, quindi non per
operazioni straordinarie. Spetta agli amministratori decidere quali operazioni debbano ritenersi correnti e
quali straordinarie, quali condizioni siano normali e quali anormali, proprio al fine di attivare la procedura di
controllo di cui abbiamo parlato.

Le prestazioni accessorie (art.2345 c.c.)

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L’atto costitutivo può contemplare al suo interno degli obblighi per i soci inerenti una serie di prestazioni
accessorie, non consistenti nella dazione di denaro, determinandone anche contenuto, durata, modalità e
compenso: stiamo parlando di prestazioni lavorative o professionali o di obblighi inerenti la fornitura
periodica di servizi, materie prime o merci.

In questo caso notevole importanza riveste la persona del socio: la sua affidabilità e la sua diligenza sono
determinanti per le prestazioni ed è per tal motivo che le AZIONI CON PRESTAZIONI ACCESSORIE devono
essere nominative, oltre che trasferibili SOLO con l’approvazione degli amministratori, in quanto viene
trasferito anche il relativo obbligo, magari ad un soggetto non affidabile e non ritenuto idoneo da chi
amministra la società.

Gli obblighi inerenti le prestazioni accessorie, tra l’altro, possono essere modificati SOLO col consenso di
tutti i soci e le prestazioni in oggetto costituiscono adempimento di obbligazioni sociali e non, come molti
ritengono, di un rapporto contrattuale diverso e distinto da quello sociale: è per tal motivo che la disciplina
dei contratti d’opera o di lavoro subordinato, al pari della disciplina della somministrazione e dell’appalto,
trovano applicazione SOLO laddove compatibili. In caso di inadempimento, ad esempio, verranno attivate le
sanzioni previste dall’art.2344 c.c., inerenti la sospensione del voto e la vendita coattiva delle azioni, e non le
sanzioni di diritto comune dello specifico contratto.

CAPITOLO QUINTO – LE AZIONI

Nozione e caratteri

Le azioni sono le quote di partecipazione dei soci nella società per azioni: si tratta di quote di partecipazione
omogenee e standardizzate, liberamente trasferibili e, almeno di regola, rappresentate da documenti, i titoli
azionari, che circolano secondo la disciplina dei titoli di credito.

Il capitale sottoscritto nelle S.p.A. viene diviso, infatti, in un numero PREDETERMINATO di parti di identico
ammontare (criterio astratto-matematico), ciascuna delle quali costituisce un’AZIONE ed attribuisce
IDENTICI DIRITTI nella società e verso la società. L’azione, dunque, rappresenta l’unità minima di
partecipazione al capitale sociale e l’unità di misura dei diritti sociali. E’ perciò INDIVISIBILE, tanto che se più
soggetti diventano titolari della medesima azione, essi devono necessariamente nominare un
rappresentante comune per l’esercizio dei diritti spettanti (art.2347 comma 1 c.c.).

Tuttavia, in relazione all’ammontare del capitale sottoscritto, ciascun socio diventa titolare NON di un’unica
quota di partecipazione, ma di tante quote per quante sono le azioni sottoscritte, distinte ed autonome
rispetto alle altre possedute dallo stesso soggetto.

I caratteri essenziali delle azioni, quindi, sono i seguenti:


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 Circolazione in forma cartolare;


 Libertà di trasferimento;
 Uguaglianza di valore e di diritti;
 Indivisibilità.

Possiamo considerare le azioni sotto tre profili diversi: sotto il profilo di “parti del capitale sociale”, sotto
quello del “complesso unitario di diritti in cui si sintetizza la partecipazione sociale” e come “titoli circolanti”.

N.B. ho riprodotto, in gran parte, il testo dell’autore Campobasso, in quanto le definizioni contenute in
questo paragrafo sono troppo importanti per essere sintetizzate.

A)AZIONI E CAPITALE SOCIALE

Il valore delle azioni

L’art.2348 comma 1 del codice recita: “Le azioni devono essere di uguale valore e conferiscono ai loro
possessori uguali diritti”, ossia devono rappresentare un’identica frazione del capitale sociale nominale.

Dobbiamo prendere in considerazione quattro definizioni diverse di “valore”: valore nominale delle azioni,
valore di emissione, valore reale (o anche detto valore di bilancio) e valore di mercato.

Si definisce valore NOMINALE delle azioni la parte di capitale sociale che ciascuna di esse rappresenta,
espressa in cifra monetaria: se il capitale sociale è di 1 milione di euro, esso può essere diviso in centomila
azioni da 10 euro, dove “10 euro” è il valore nominale. Le azioni, in realtà, possono essere emesse CON
valore nominale o SENZA indicazione del valore nominale, ma non possono essere emesse,
contemporaneamente, azioni di entrambi i tipi (art.2346 comma 2 c.c.).

Per le azioni CON valore nominale lo statuto deve prevedere non solo il capitale sottoscritto, ma anche il
valore nominale di ciascuna azione ed il loro numero complessivo. Il valore nominale (come abbiamo visto
per il capitale sociale nominale) è INSENSIBILE alle variazioni di patrimonio sociale, in quanto rimane
invariato nel tempo e può essere modificato solo rivedendo l’atto costitutivo e prevedendo un maggior
frazionamento (se prima era 100.000 azioni adesso saranno, per fare un esempio, 200.000) o il
raggruppamento di più azioni (da 100.000 a 50.000).

Nelle azioni SENZA valore nominale, invece, lo statuto deve prevedere solo il capitale sottoscritto ed il
numero di azioni emesse (esempio: capitale sociale di 1 milione di euro diviso in 100.000 azioni, senza
indicare il valore in cifra monetaria): in questa ipotesi il diritto di voto ed il diritto agli utili del socio, ossia la
sua partecipazione al capitale sociale, sono espressi in percentuale (esempio: il socio detiene il 2% del
capitale sociale); tuttavia, anche le azioni senza valore nominale esprimono la FRAZIONE di capitale sociale
da ciascuna rappresentato, in quanto è sempre possibile dividere l’ammontare del capitale per il numero di
azioni, sebbene in tal caso non si parli di indicazioni in cifra monetaria. La legge, a tal proposito, prevede che
i titoli azionari debbano indicare il numero complessivo delle azioni emesse e l’ammontare del capitale
(art.2354 comma 3 numero 3), il che comporta la sostituzione di TUTTI i titoli in caso di aumento o riduzione
del capitale.

Tanto per le azioni con valore nominale quanto per quelle senza valore nominale, vige la regola secondo cui
non è MAI possibile che il valore complessivo dei conferimenti sia inferiore all’ammontare globale del
capitale sociale (art.2346 comma 5). Qui è necessario introdurre il concetto di valore di EMISSIONE di
un’azione, ossia il “prezzo che l’azionista deve pagare alla società per poterla sottoscrivere”: un’azione può
essere emessa ALLA PARI, se viene pagata per quella che è la parte di capitale sociale che rappresenta ed in
tal caso valore di emissione e valore nominale coincidono; oppure può essere emessa in sovrapprezzo, ossia
per somma superiore al valore nominale (è addirittura obbligatoria l’emissione in sovrapprezzo quando si
vuole escludere o limitare il diritto d’opzione degli azionisti sulle azioni di nuova emissione e il valore reale

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sia superiore a quello nominale). Non è possibile, invece, emettere le azioni per somma INFERIORE al loro
valore nominale, ossia facendole pagare meno di quanto valgono, applicando un valore di emissione più
basso del valore nominale, in quanto in tal caso si creerebbe una discrepanza tra capitale sociale e valore dei
conferimenti.

Si definisce valore REALE delle azioni il valore che si ottiene dividendo il patrimonio netto della società per il
numero di azioni: è un valore, quindi, variabile a seconda delle vicende economico-patrimoniali, dato che
quanto più aumenta/diminuisce il patrimonio tanto più sale/scende il valore reale delle azioni (sono
direttamente proporzionali). Il valore reale delle azioni può essere accertato contabilmente tramite il
bilancio d’esercizio (ecco perché viene definito anche come valore DI BILANCIO).

Si definisce valore DI MERCATO delle azioni quello risultante, giornalmente, dai listini ufficiali nel momento
in cui le azioni sono ammesse alla quotazione in un mercato regolamentato (borsa valori): il valore di
mercato indica il prezzo di scambio delle azioni in un determinato giorno e non coincide con il valore reale,
ossia quello riferito al patrimonio, in quanto il primo tiene conto delle prospettive economiche future e di
altre variabili, motivo per cui l’andamento delle quotazioni esprime il valore EFFETTIVO delle azioni. E’ di
questo valore, infatti, che il legislatore tiene conto in vari casi (emissione di azioni senza diritto di opzione e
recesso dell’azionista).

L’indivisibilità delle azioni

Essendo le azioni, come abbiamo detto, l’unità minima di partecipazione, esse sono INDIVISIBILI (art.2347
cod.civ.). E’ proprio per tal motivo che il legislatore prevede, in caso di comproprietà indivisa tra più soggetti
delle medesime azioni, che essi provvedano a nomina un rappresentante unico, non potendo esercitare
alcun diritto sociale singolarmente. Qualora non provvedano, le dichiarazioni fatte dalla società a uno dei
comproprietari sono efficaci nei confronti di tutti, anche perché essi rispondono solidalmente verso la
società delle obbligazioni proveniente dalle azioni, oltre che per il versamento dei conferimenti.

Frazionamento e raggruppamento di azioni

Tanto nell’ipotesi di azioni con valore nominale, quanto in quella di azioni senza valore nominale, una
delibera di modifica dell’atto costitutivo può decidere per il FRAZIONAMENTO o per il RAGGRUPPAMENTO
delle azioni esistenti.

Con il frazionamento delle azioni viene RIDOTTO l’originario valore nominale delle stesse: per un capitale
sociale di 1000 euro (esempio assurdo, giusto per farvi capire, ricordate che le S.p.A. non possono avere
capitali inferiori a 120.000 euro), se prima si avevano 100 azioni del valore nominale di 10 euro, adesso si
hanno 200 azioni del valore di 5 euro.

Con il raggruppamento delle azioni viene AUMENTATO l’originario valore nominale delle stesse: per un
capitale sociale di 1000 euro (esempio assurdo, giusto per farvi capire, ricordate che le S.p.A. non possono
avere capitali inferiori a 120.000 euro), se prima si avevano 100 azioni del valore nominale di 10 euro,
adesso si hanno 50 azioni del valore di 20 euro. Lo stesso ragionamento vale per le azioni senza valore
nominale, senza però l’indicazione delle cifre monetarie (degli euro dei nostri esempi per intenderci).

Il raggruppamento di azioni è molto più frequente rispetto al frazionamento, ma può dar luogo a problemi
inerenti i singoli azionisti, in quanto potrebbe non consentire la piena conversione delle azioni possedute,
formando così dei RESTI, o addirittura potrebbe non consentire di avere in cambio una nuova azione,
facendo perdere addirittura la qualità di socio. Tuttavia la delibera da cui deriva una situazione del genere
non è SEMPRE invalida: lo diviene nel momento in cui mira proprio a pregiudicare la situazione di singoli
azionisti, ossia in caso di abuso ai danni della minoranza, ma non risulta invalida nel momento in cui si rende
necessario il raggruppamento con resti per non ostacolare una determinata operazione, come una fusione.

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B) LA PARTECIPAZIONE AZIONARIA

L’uguaglianza dei diritti

Ogni singola azione, rappresentando una partecipazione sociale, attribuisce al suo titolare un complesso di
diritti e poteri di natura amministrativa (esempio: diritto di voto nelle assemblee), patrimoniale (esempio:
diritto agli utili) e di natura amministrativo-patrimoniale (esempio: diritto di recesso).

L’espressione del rapporto di partecipazione sociale tramite azioni comporta l’UGUAGLIANZA DEI DIRITTI e
l’AUTONOMIA DELLE AZIONI.

Abbiamo già detto che l’art.2348 comma 1 del codice prevede che le azioni debbano essere di uguale valore
e debbano conferire ai loro possessori uguali diritti. L’uguaglianza dei diritti, però, è solo RELATIVA e
OGGETTIVA, non assoluta e soggettiva: la possibilità di creare “categorie di azioni fornite di diritti diversi”,
infatti, testimonia la relatività dell’uguaglianza, che va rispettata nell’ambito di ciascuna categoria (infatti
esistono azioni ordinarie e azioni speciali, anche dette di categoria); uguali diritti, poi, sono assicurati al
titolare di ogni azione, ma occorre tener conto del NUMERO di azioni possedute da ogni socio, il che da
luogo ad un maggior potere derivante dall’esercizio di maggiori diritti, testimonianza del fatto che
l’uguaglianza sia oggettiva e non soggettiva.

Esistono, infatti, tre categorie di diritti esercitabili dal socio:

 Diritti indipendenti dal numero di azioni possedute: chi possiede un’azione, in tal caso, ha una posizione
identica a chi ne possiede 1000, in quanto diritto indipendente dal numero di azioni, come avviene per il
diritto di intervento in assemblea o di denuncia al collegio sindacale o di esame dei libri sociali;
 Diritti spettanti a chi possiede una determinata percentuale del capitale sociale: stiamo parlando del
diritto di chiedere la convocazione o il rinvio dell’assemblea, del diritto di denuncia al tribunale o di
impugnazione delle deliberazioni assembleari invalide. Tutti diritti definiti come “diritti della MINORANZA”,
in quanto esercitabili da chi detiene anche solo una parte del capitale sociale, anche solo, per esempio, il
10% dello stesso, CONTRO la maggioranza, contro chi detiene la maggior parte delle azioni. Si tratta di diritti
garantiti per permettere una maggiore partecipazione/vigilanza dei soci minoritari alla vita della società e
nei confronti della maggioranza, motivo ispiratore della riforma delle società quotate del ’98 (esempio: chi
detiene una sola azione non può ottenere la convocazione dell’assemblea; se la richiesta, invece, viene
avanzata da tanti soci che detengono il 10% del capitale sociale, allora gli amministratori sono obbligati a
convocare l’assemblea);
 Diritti spettanti ad ogni azionista in proporzione al numero di azioni possedute: stiamo parlando del diritto
di voto, del diritto agli utili ed alla quota di liquidazione, di quello alla liquidazione della quota in caso di
recesso, del diritto di opzione o di quello di assegnazione gratuita di azioni. Tutti diritti spettanti anche ad un
solo socio ma in forza del numero di azioni di cui egli è titolare.

E’ proprio nell’ultima categoria di diritti che riscontriamo la DISUGUAGLIANZA SOGGETTIVA degli azionisti:
chiunque ha un’azione può esercitare il diritto di voto, dice l’autore Campobasso, ma chi ha 1000 azioni
esercita 1000 voti ed ha maggior potere, giustamente e legittimamente perché ha investito, e quindi
rischiato, di più rispetto agli altri ed ha il potere di imporre la propria volontà, sempre all’interno di margini
legali (principio capitalistico).

Tuttavia, nelle ipotesi in cui entri in gioco un INTERESSE PUBBLICO di particolare rilevanza, è possibile una
deroga al principio capitalistico secondo cui chi più ha rischiato deve avere più potere, in quanto vengono
riconosciuti allo Stato o ad altri enti pubblici dei poteri societari SVINCOLATI dal numero di azioni possedute
o dal fatto, addirittura, di possedere azioni in quella società.

Lo stesso codice civile, per le società che non fanno appello al mercato del capitale di rischio, prevede che
l’atto costitutivo riservi allo Stato o agli enti pubblici la nomina di un numero di amministratori e sindaci
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proporzionale alla partecipazione al capitale da essi detenuta. Nelle società che fanno appello al mercato,
addirittura, allo Stato e agli altri enti pubblici possono essere riconosciuti dei poteri speciali, rappresentati
da azioni speciali. Per non parlare delle società di “interesse nazionale”, come la Rai, disciplinate in leggi
speciali in cui viene riconosciuto allo Stato un potere enorme in merito al diritto di voto, alla trasferibilità
delle azioni, alla nomina degli amministratori e dei dirigenti ecc.

Unità ed autonomia delle partecipazioni azionarie

Abbiamo già accennato al fatto che le azioni debbano considerarsi come AUTONOME: l’autonomia è data
dal fatto che chi sottoscrive o acquista più azioni NON è titolare di una singola partecipazione MA di una
pluralità di partecipazioni azionarie. Questo vuol dire che il socio può disporre in modo autonomo e
separato delle singole azioni, vendendone o concedendone in usufrutto o pegno solo una parte. Anche
all’interno della società stessa, il titolare di più azioni può comportarsi in una maniera per alcune azioni ed in
modo opposto per altre, in riferimento al diritto di voto: può votare, per esempio, personalmente per
alcune e tramite un rappresentante per altre; allo stesso modo è ammesso il cosiddetto “voto divergente”, il
quale comporta che il titolare possa opporsi ad una deliberazione dell’assemblea per un certo numero di
azioni e votare a favore in riferimento ad altre azioni, il che pur sembrando un comportamento
contraddittorio, si giustifica nell’ipotesi di rappresentante di più azionisti che vogliono manifestare un voto
differente.

Un esercizio unitario del diritto, invece, è inevitabile nell’ipotesi di diritti che spettano all’azionista
indipendentemente dal numero di azioni possedute o dalla percentuale del capitale sociale posseduto,
come il diritto di intervento nell’assemblea, non esercitabile per una sola parte delle azioni.

Tuttavia, il legislatore, pur disponendo l’autonomia delle singole azioni, molto spesso prende in
considerazione la totalità delle azioni possedute da un soggetto, la complessiva partecipazione, sia in
riferimento a determinati diritti (dipendenti dal numero di azioni di cui il titolare è in possesso), sia
nell’imposizione di obblighi e divieti (come l’obbligo per l’azionista unico di versare la totalità dei
conferimenti).

Infine, dobbiamo specificare che un pacchetto azionario, soprattutto se di maggioranza, ha sul mercato un
valore superiore alla somma dei valori delle singole azioni, appunto perché attribuisce maggiori poteri e
diritti, un maggior controllo sulla società ed è per tal motivo che va considerato nel suo complesso. Il
legislatore, poi, pone una serie di obblighi e responsabilità in capo a chi vende o acquista un pacchetto
azionario di controllo.

Le categorie speciali di azioni

Sono due le tipologie di azioni che possiamo prendere in considerazione: le azioni ORDINARIE, che
attribuiscono diritti previsti e disciplinati dalla legge, e le CATEGORIE SPECIALI di azioni, che attribuiscono
diritti “diversi” da quelli tipici. Le azioni speciali possono essere create all’interno dello statuto o tramite una
modifica successiva dello stesso.

La presenza di categorie speciali di azioni, ovviamente, da luogo alla contemporanea presenza di azionisti
con interessi parzialmente diversi: se esistono categorie diverse di azioni all’interno della stessa società,
infatti, le deliberazioni dell’assemblea GENERALE di tutti gli azionisti, laddove pregiudichino i diritti di una
determinata categoria, devono essere approvate anche dall’assemblea speciale di quella determinata
categoria interessata. Questo significa che, da un lato l’assemblea speciale di categoria ha competenza SOLO
nei casi in cui la deliberazione dell’assemblea generale possa comportare un pregiudizio, che tra l’altro deve
essere diretto e non solo di fatto, e dall’altro che l’approvazione dell’assemblea di categoria costituisce
“condizione legale di efficacia” della deliberazione dell’assemblea generale, che nel caso contrario è
improduttiva di qualsiasi effetto. Agli azionisti speciali dissenzienti spetterà il diritto di recesso se vengono
modificati diritto di voto o partecipazione.
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Gli azionisti di categoria, dunque, sono tutelati nel loro complesso e non singolarmente: si tratta di un diritto
di gruppo, tutelato con decisioni prese a maggioranza dagli stessi titolari di azioni speciali. Se le azioni
speciali sono quotate si applica la disciplina dell’organizzazione degli azionisti di risparmio, che prevede la
nomina di un rappresentante di tutti gli azionisti speciali e quorum assembleari meno elevati; se, invece, le
azioni speciali NON sono quotate, si applica la disciplina delle assemblee straordinarie.

Segue: il contenuto della partecipazione azionaria

La società, fatta eccezione per alcune categorie di azioni speciali previste dal legislatore che analizzeremo a
breve, gode di ampia autonomia nella determinazione della partecipazione azionaria, seppure con
l’esistenza di determinati limiti imposti dalla legge.

Dopo la riforma del 2003, molto limiti sono venuti meno, sebbene sia rimasto il divieto di emettere “azioni a
voto plurimo”, ossia azioni che attribuiscano più di un voto (art.2351 comma 4 c.c.).

Oggi tutte le società, per esempio, possono emettere azioni senza diritto di voto, mentre in passato ciò era
consentito alle sole società quotate, così come tutte le società possono creazione azioni, anche non
privilegiate, “con diritto di voto limitato a particolari argomenti” (ad esempio all’approvazione del bilancio),
azioni “con diritto di voto subordinato al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative”
(esempio: azioni senza voto che diventano con voto se la società non consegue utili per un certo periodo).
Sono sparite, invece, le azioni privilegiate a voto limitato alle sole assemblee straordinarie.

Tuttavia è la stessa legge a prevedere che le azioni SENZA VOTO, quelle a VOTO LIMITATO e le azioni a VOTO
CONDIZIONATO non possano superare complessivamente la metà del capitale sociale, onde evitare la
concentrazione di troppo potere nelle mani degli azionisti a voto PIENO (art.2351 comma 2 c.c.).

Alle società non quotate (art.2351 comma 3 c.c.), che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, è
consentito prevedere che, in base alle azioni possedute da uno stesso soggetto, “il diritto di voto sia limitato
ad una misura massima” (esempio: ad ogni azione corrisponde un voto fino al 10% del capitale posseduto
dallo stesso socio, oltre tale limite non spetta alcun voto), oppure l’introduzione del “voto scalare”(esempio:
fino al 10% del capitale posseduto spetta un voto per ogni azione, dal 10 al 20% un voto ogni due azioni, dal
20% al 30% un voto ogni tre azioni e così via).

Il voto, tra l’altro, per le società non quotate non può più essere escluso o limitato SOLO se le relative azioni
sono assistite da privilegi patrimoniali, mentre permane la possibilità di emettere azioni privilegiate anche
senza limitazione dei diritti amministrativi.

Ma cosa sono le azioni privilegiate?

Le azioni privilegiate sono azioni che attribuiscono ai titolari un diritto di preferenza nella distribuzione degli
utili o nel rimborso del capitale al momento dello scioglimento della società: in sostanza, esse attribuiscono
dei privilegi, liberamente determinabili dalla società stessa, con l’unico limite del divieto di patto leonino di
cui all’art.2265 c.c. (patto con il quale uno o più soci sono esclusi dagli utili o dalle perdite).

E’ consentita, infine, l’emissione di “azioni postergate nelle perdite”, ossia azioni che in sede di liquidazione
della società vengono rimborsate PRIMA delle azioni ordinarie e colpite da eventuali perdite in via
subordinata e di “azioni correlate”, ossia azioni il cui rendimento è legato ai risultati ottenuti dall’impresa in
un determinato settore e per cui lo statuto deve specificare i criteri per l’individuazione di costi e ricavi del
settore, le modalità di rendicontazione, i diritti attribuiti e le modalità di conversione in azioni di altra
categoria. Ai possessori di azioni correlate, tra l’altro, potranno essere corrisposti dividendi SOLO se l’attività
complessiva della società NON registra perdite.

Le azioni di risparmio

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All’interno dell’ampio panorama di azionisti di società per azioni, vi sono alcuni di essi interessati al solo
aspetto patrimoniale e alla redditività dei titoli azionari, senza alcun interesse per i diritti amministrativi:
questi soggetti possono raggiungere il loro scopo tramite la sottoscrizione di AZIONI DI RISPARMIO,
introdotte dalla L.216/1974, la cui disciplina è stata modificata col passare del tempo.

Le azioni di risparmio, insieme alle azioni a voto limitato della disciplina previgente, appartengono alle
categorie speciali di azioni disciplinate dal legislatore e si tratta di titoli azionari in cui la differenza tra
azionisti imprenditori e azionisti risparmiatori è del tutto evidente: queste azioni, infatti, sono PRIVE del
diritto di voto e devono essere NECESSARIAMENTE dotate di privilegi di natura patrimoniale, a differenza di
quelle senza voto. Inoltre le azioni di risparmio possono essere emesse AL PORTATORE, il che garantisce
l’anonimato dei titolari, e SOLO da società le cui azioni ordinarie sono quotate in mercati regolamentati
italiani o di altri Paesi UE.

Le azioni di risparmio, insieme con le altre categorie speciali di azioni a voto limitato, non possono superare
la metà del capitale sociale complessivo.

L’azionista di risparmio, dunque, non avendo diritto di voto nelle assemblee ordinarie e straordinarie, non
viene computato per i relativi quorum deliberativi e costitutivi, né tanto meno possiede diritto di intervento
nelle assemblee o diritto di impugnazione delle delibere invalide, sebbene conservi la possibilità di chiedere
il risarcimento del danno causato da tali delibere, in quanto è pur sempre un socio.

Dalla disciplina del 1974, rigida riguardo al contenuto ed alla misura minima dei privilegi riconosciuti alle
azioni di risparmio, si è passati nel 1998 ad una disciplina molto più flessibile, che, pur stabilendo che tali
azioni sono privilegiate sotto il profilo patrimoniale, pone comunque nelle mani dell’atto costitutivo la
determinazione di contenuto, condizioni, limiti, modalità e termini del privilegio e del suo esercizio.

Resta salvo il diritto di opzione, ossia il diritto di ricevere per i possessori di azioni di risparmio, in caso di
aumento del capitale sociale a pagamento, altre azioni di risparmio della medesima categoria o, comunque,
azioni di risparmio di altra categoria, azioni privilegiate o azioni ordinarie.

A tutela degli azionisti di risparmio è prevista un’organizzazione di GRUPPO, consistente nell’ASSEMBLEA


SPECIALE, la quale delibera sulla nomina/revoca del rappresentante comune, sull’azione di responsabilità
nei suoi confronti, sulla transazione delle controversie con la società, sulla costituzione di un fondo comune
necessario per tutelare i propri interessi e sull’approvazione delle delibere dell’assemblea generale che
pregiudicano i diritti della categoria, ed il RAPPRESENTANTE COMUNE, il quale deve curare l’interesse degli
azionisti di risparmio e dare attuazione alle delibere della relativa assemblea, nonché assistere alle
assemblee generali della società e impugnarle se pregiudizievoli per la categoria, diversamente dai singoli
azionisti di risparmio che non possono farlo. Può avere accesso anche al libro dei soci e a quello delle
adunanze e deve essere informato sulle operazioni societarie che possono influenzare l’andamento delle
quotazioni delle azioni di risparmio. L’atto costitutivo può contemplare ulteriori poteri di assemblea speciale
e rappresentante comune.

Le azioni a favore dei prestatori di lavoro

L’art.2349 del codice contempla la possibilità di garantire una partecipazione dei lavoratori alla gestione e ai
risultati della società, attraverso l’acquisto della qualità di soci o l’assegnazione di strumenti finanziari
partecipativi.

Le azioni a favore dei prestatori di lavoro sono azioni speciali tipiche che permettono ai dipendenti della
società o di società controllate, laddove lo statuto lo preveda, l’acquisto della qualità di soci attraverso
l’ASSEGNAZIONE GRATUITA di azioni, possibile SOLO in presenza di utili regolarmente accertati, i quali
vengono imputati a capitale (quindi il capitale sociale cresce) tramite una delibera dell’assemblea
STRAORDINARIA e per l’importo corrispondente vengono emesse nuove azioni “speciali” assegnate ai singoli
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dipendenti (gratuitamente), la cui forma, il modo di trasferimento e i diritti spettanti saranno stabiliti dalla
società. Si tratta di un’operazione a carattere eccezionale, in quanto l’assegnazione gratuita di azioni ai
prestatori di lavoro è possibile SOLO in presenza di un sacrificio del diritto degli azionisti all’assegnazione di
azioni gratuite emesse dalla società.

Può trattarsi, altresì, dell’acquisto di AZIONI A PAGAMENTO DI NUOVA EMISSIONE da parte dei prestatori di
lavoro della società, di società controllanti o controllate, i quali versano un prezzo predeterminato:
l’operazione è possibile SOLO tramite l’esclusione o la limitazione del diritto di opzione degli azionisti sulle
azioni di nuova emissione. In tal caso occorre una delibera dell’assemblea straordinaria se le azioni riservate
ai dipendenti non superano 1/4 delle azioni di nuova emissione o, nelle sole società quotate, l’aumento non
ecceda l’1% del capitale. La delibera, superati tali limiti, deve essere approvata da oltre la META’ del capitale
sociale in ogni convocazione. La società può anche spingersi oltre, prestando GARANZIE o concedendo
PRESTITI a favore dei dipendenti per consentire agli stessi l’acquisto o la sottoscrizione delle proprie azioni:
garanzie prestate e prestiti concessi non possono andare oltre i “limiti degli utili distribuibili regolarmente
accertati e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio approvato”.

La società, sempre con delibera dell’assemblea straordinaria, può assegnare ai propri dipendenti o a quelli
di società controllate degli STRUMENTI FINANZIARI PARTECIPATIVI diversi dalle azioni, forniti di diritti
patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso il voto nell'assemblea generale degli azionisti. In tal
caso possono essere previste norme particolari riguardo alle condizioni di esercizio dei diritti attribuiti, alla
possibilità di trasferimento ed alle eventuali cause di decadenza o riscatto (art.2349 comma 2).

Nelle società ad azionariato diffuso, inoltre, possono essere contemplati dei piani di compensi basati su
strumenti finanziari, i quali prevedono che amministratori e dirigenti siano retribuiti, in tutto o in parte,
tramite azioni (stock grant) o tramite l’attribuzione del diritto di acquisto a prezzo predeterminato di azioni
di futura emissione (stock options), con il rispetto, però, di alcuni obblighi di trasparenza a carico di società
quotate o con strumenti finanziari diffusi tra il pubblico: occorre l’approvazione del piano da parte
dell’assemblea ORDINARIA ed i contenuti dello stesso vengono illustrati in una relazione messa a
disposizione del pubblico almeno 15 giorni prima dell’assemblea, contenente informazioni precisate dalla
Consob.

Le azioni di godimento

Le azioni di godimento costituiscono una categoria di azioni speciali “tipiche”, disciplinate all’interno
dell’art.2353 del codice. La loro emissione è volta a garantire la parità di trattamento degli azionisti nel
momento in cui si verifica un evento particolare, quello della riduzione reale del capitale sociale: in tale
ipotesi, un numero di azioni proporzionale alla quota di capitale da ridurre viene sorteggiato ed annullato ed
ai titolari di tali azioni viene rimborsato il solo valore nominale; dato che il valore nominale potrebbe essere
inferiore, specie in futuro, al valore reale delle azioni, a tali soggetti vengono assegnate delle azioni speciali,
appunto le “azioni di godimento”. Si tratta di azioni “postergate” per quanto concerne i diritti patrimoniali,
in quanto al momento della ripartizione degli utili i titolari di azioni di godimento possono prendervi parte
solo dopo l’assegnazione alle altre azioni di un dividendo pari all’interesse legale sul valore nominale; allo
stesso modo, in caso di ripartizione dello stato attivo di liquidazione, i titolari di azioni di godimento possono
partecipare allo stesso SOLO dopo il rimborso agli altri soci del valore nominale delle loro azioni (che i
titolari delle azioni di godimento hanno già ottenuto in passato).

Le azioni di godimento, salva diversa disposizione dello statuto, non attribuiscono diritto di voto, e di
conseguenza nemmeno diritto di intervento in assemblea e di impugnazione delle delibere invalide. Tuttavia
tali azionisti conservano il diritto di opzione.

Azioni e strumenti finanziari partecipativi

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A partire dalla riforma del 2003, al fine di consentire l’acquisizione di apporti patrimoniali che non possono
formare oggetto di conferimento e che perciò non sono imputabili al capitale sociale, come nel caso di
prestazioni di opera o di servizi o come alternativa alle azioni a favore dei prestatori di lavoro, è possibile per
la società emettere STRUMENTI FINANZIARI PARTECIPATIVI, del tutto distinti rispetto alle azioni ordinarie o
alle categorie speciali di azioni.

Chi possiede tali strumenti finanziari partecipativi NON è un azionista e possiede solo diritti patrimoniali o
anche amministrativi, con esclusione del diritto di voto nell’assemblea generale, salva la possibilità di votare
su argomenti specifici. I titolari di tali strumenti possono nominare un componente indipendente del
consiglio di amministrazione o di quello di sorveglianza oppure un sindaco. Data l’applicazione, agli
strumenti finanziari partecipativi che riconoscono al titolare il diritto al rimborso del capitale, delle
medesime norme dettate per le obbligazioni, anche in questo caso vi devono essere un’assemblea dei
titolari di tali strumenti ed un rappresentante comune. Viene lasciata ampia autonomia allo statuto per
quanto riguarda modalità e condizioni di emissione, diritti che gli strumenti conferiscono e restante
disciplina.

C) LA CIRCOLAZIONE DELLE AZIONI

I titoli azionari

I titoli azionari, anche detti certificati azionari, sono documenti che rappresentano le quote di
partecipazione nelle società per azioni NON QUOTATE o comunque NON DIFFUSE TRA IL PUBBLICO IN
MANIERA RILEVANTE, trasferibili secondo la disciplina dei titoli di credito.

Lo statuto della società non quotata può prevedere la possibilità di NON emettere titoli azionari, rendendo
trasferibili le azioni tramite la SOLA cessione del contratto: in tal caso il trasferimento produce effetti nei
confronti della società dal momento dell’iscrizione della cessione del libro dei soci (art.2346 comma 1 II
parte c.c.).

I certificati azionari devono indicare (art.2354 comma 3):

 Denominazione e sede della società;


 Data di stesura dell’atto costitutivo e data della sua iscrizione nel registro delle imprese, nonché l’ufficio
dove è avvenuta l’iscrizione;
 Valore nominale del titolo o, in caso di azioni prive di valore nominale, il numero delle azioni e l’ammontare
del capitale sociale (lo abbiamo già detto in precedenza);
 Versamenti parziali dei conferimenti per le azioni non liberate integralmente;
 Diritti ed obblighi derivanti dal titolo;
 Eventuali limitazioni alla circolazione.

I titoli vanno firmati da un amministratore, anche tramite riproduzione meccanica, sebbene autenticata.

I certificati azionari possono essere DEFINITIVI, con validità duratura nel tempo, o PROVVISORI, valevoli in
attesa del rilascio di quelli definitivi o per determinate operazioni.

Gli stessi titoli azionari possono essere SEMPLICI, nel momento in cui rappresentano un’azione, o MULTIPLI,
se ne rappresentano più di una: nel caso di quelli multipli può essere chiesto il frazionamento, mentre nel
caso di quelli semplici è possibile il raggruppamento di titoli di taglio minore in titoli multipli.

Ai titoli azionari è collegato un “foglio cedole”: le CEDOLE sono dei tagliandi numerati progressivamente e
contrassegnati dal nome della società e consentono di esercitare i diritti collegati al titolo senza l’esibizione
dello stesso, semplicemente distaccando e consegnando alla società il tagliando. Le cedole sono autonomi
titoli di credito, al portatore, che possono circolare autonomamente.

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Azioni e titoli di credito

Le azioni, nonostante le opinioni non concordi in dottrina e giurisprudenza, sono da considerarsi dei veri e
propri TITOLI DI CREDITO CAUSALI, in quanto emessi in base ad un determinato rapporto causale e,
pertanto, soggetti alla disciplina generale dei titoli di credito.

I titoli azionari svolgono una duplice funzione: la FUNZIONE DI TRASFERIMENTO, in forza del principio di
AUTONOMIA IN SEDE DI CIRCOLAZIONE di cui all’art.1994 c.c., in quanto chi acquista in buona fede il
possesso del certificato azionario non è soggetto a rivendicazione, neanche qualora lo abbia acquistato da
altro soggetto che lo ha rubato al reale proprietario, e la FUNZIONE DI LEGITTIMAZIONE (art.1992 c.c.), in
forza della quale il possessore, nei rapporti interni con la società, non è tenuto a provare la proprietà del
titolo e la qualità di socio, dato che possiede il certificato azionario.

I titoli azionari, però, non attribuiscono al possessore un diritto LETTERALE, ossia determinato SOLO sulla
base di quanto è scritto nel documento, in quanto si può benissimo far riferimento a fonti regolamentari
soggette a pubblicità legale e accessibili all’acquirente del titolo, e non solo all’atto costitutivo e alle delibere
assembleari per provare la titolarità del diritto: si parla, in tal caso, di LETTERALITA’ INCOMPLETA O PER
RELATIONEM.

Se, però, per i titoli di credito vale la regola dell’ASTRATTEZZA DEL DIRITTO CARTOLARE O AUTONOMIA IN
SEDE DI EMISSIONE, in forza della quale al terzo portatore del titolo NON sono opponibili le eccezioni
personali fondate sul rapporto causale che ha dato luogo all’emissione, per i titoli azionari le cose vanno
diversamente, in quanto la tutela dell’acquirente delle azioni CEDE dinanzi alla salvaguardia dell’integrità del
capitale sociale. In base a quanto abbiamo appena detto, possiamo capire come la “società possa opporre
“erga omnes” eventuali vizi del procedimento di creazione delle azioni” e come “possa opporre al terzo
acquirente l’intervenuto annullamento del titolo azionario NON RISULTANTE DAL DOCUMENTO”; la società,
inoltre, può chiedere al terzo acquirente di integrare i conferimenti ancora dovuti, anche se dal titolo non
risulta che si tratti di azioni non del tutto liberate, così come può opporre le limitazioni alla circolazione del
titolo non risultanti dallo stesso. Al possessore del certificato azionario, però, NON si possono opporre
eccezioni basate sui rapporti personali col dante causa (ossia colui che ha venduto/ceduto il titolo), almeno
che non entri in gioco l’esigenza di tutelare l’integrità del capitale. E’ per tutti questi motivi che le azioni
sono ritenute titoli di credito causali.

Azioni nominative e azioni al portatore

Le azioni, in base all’art.2354 comma 1 del codice, possono essere NOMINATIVE, ossia recare il nome del
titolare, o AL PORTATORE, mantenendo l’anonimato, A SCELTA DELL’AZIONISTA. Sebbene sia lo stesso
codice a prevedere tale disciplina, il r.d.1148/1941 pone tutt’oggi l’obbligo di “nominatività” dei titoli
azionari, venuto meno per le sole azioni di risparmio, a partire dal 1974, e per le SICAV (società
d’investimento a capitale variabile), nella sola ipotesi, però, in cui siano state interamente liberate.
Analizziamo, ora, la disciplina inerente la circolazione delle azioni.

La legge di circolazione delle azioni

Partiamo dalla circolazione delle azioni nominative, le quali devono indicare il nome del titolare, persona
fisica o giuridica, che deve risultare tanto dal titolo stesso quanto dal libro dei soci: si tratta della doppia
intestazione, il cui mutamento è necessario in caso di trasferimento, pertanto rendendo imprescindibile la
cooperazione della società emittente. Il trasferimento delle azioni nominative avviene attraverso due
procedure diverse: il TRANSFERT e la GIRATA.

Il transfert prevede il contestuale cambiamento delle due intestazioni, tramite la doppia annotazione a cura
della società: può essere richiesto dall’ALIENANTE, ed in tal caso quest’ultimo è tenuto ad esibire il titolo e a
provare la propria identità, nonché la capacità d’agire/di disporre attraverso la certificazione di un notaio;
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oppure può essere richiesto dall’ACQUIRENTE, il quale deve esibire il titolo e dimostrare il suo diritto,
mostrando l’atto con firma autenticata o l’atto pubblico di acquisto. Una volta svolte le suddette verifiche, la
società provvede ad annotare il nome del nuovo azionista sul titolo e nel libro dei soci e da quel momento il
titolare è legittimato all’esercizio dei diritti sociali: la necessità di intervento e di accertamento della società
ad ogni trasferimento rende tale procedura troppo complessa, ed è per tal motivo che è maggiormente
diffusa la circolazione tramite “girata”.

Il trasferimento per girata prevede che l’annotazione sul titolo e nel libro dei soci avvengano in due
momenti diversi, ad opera di soggetti differenti: dell’annotazione nel libro dei soci se ne occupa la società,
mentre è il proprietario del titolo (girante) ad effettuare la girata, sottoscrivendola e specificando la data del
trasferimento, il nome del giratario (ossia dell’acquirente) e facendola firmare anche da quest’ultimo
qualora si tratti di azione non liberata. La girata, poi, deve essere autenticata da un notaio, da un agente di
cambio, da una banca autorizzata o da una Sim, a garanzia dell’identità e della capacità di entrambi i
soggetti interessati.

La sola girata, però, non dovrebbe abilitare all’esercizio dei diritti sociali, essendo necessaria l’annotazione
nel registro dell’emittente: in realtà, la recente riforma del 2003 ha previsto che il giratario sia legittimato ad
esercitare tutti i diritti sociali, in quanto l’iscrizione nel libro dei soci non ha efficacia “legittimante”, ma
semplicemente “informativa”, potendo avvenire anche in un secondo momento solo per l’aggiornamento
del registro.

Ricordiamo che il trasferimento tramite girata era l’UNICO modo possibile per la circolazione documentale
delle azioni QUOTATE, prima della loro dematerializzazione.

Diverse sono le AZIONI AL PORTATORE, le quali circolano mediante la semplice consegna, in quanto NON
intestate ad alcuna persona: si tratta di TITOLI A LEGITTIMAZIONE REALE, dato che è sufficiente il semplice
possesso del titolo per poter esercitare tutti i diritti sociali.

Segue: le azioni dematerializzate

Abbiamo visto come la circolazione delle azioni si fondi, in definitiva, sul trasferimento dei titoli, per cui è
prevista una diversa disciplina in caso di nominatività degli stessi o meno. Il rischio di smarrimento o furto
dello stesso, nonché le procedure complesse di duplice annotazione per i titoli nominativi, hanno spinto alla
semplificazione e alla maggior sicurezza del mercato tramite la previsione che le azioni debbano circolare
attraverso semplici REGISTRAZIONI CONTABILI, del tutto svincolate dal trasferimento materiale del
documento, il che avviene tramite la “GESTIONE ACCENTRATA DI STRUMENTI FINANZIARI”.

Tale sistema, voluto dagli operatori di borsa nel 1978 e poi disciplinato dal legislatore, è gestito da apposite
società per azioni a statuto speciale (società di gestione accentrata), che operano sotto la vigilanza della
Consob e della Banca d’Italia, anche se al momento l’unico sistema operante nel nostro Paese è quello
gestito dalla Monte Titoli S.p.A. (furono gli operatori di borsa a fondarla nel ’78). Ad ammettere alla gestione
accentrata le “categorie di soggetti” e gli “strumenti finanziari” sono la Banca d’Italia e la Consob con
proprio regolamento ed è prevista una differenziazione del sistema a seconda che si tratti di titoli
DEMATERIALIZZATI o NON DEMATERIALIZZATI.

Anzitutto, in forza del D.lgs.213/1998, i “titoli negoziati in mercati regolamentati e quelli NON negoziati, ma
diffusi fra il pubblico in misura rilevante” sono soggetti a DEMATERIALIZZAZIONE OBBLIGATORIA, mentre
per titoli diversi la dematerializzazione può essere contemplata nello statuto (dematerializzazione
volontaria).

Per le azioni ancora oggi rappresentate da titoli documentali, invece, sopravvive la disciplina degli artt.85-89
Tuf, introdotta dalla legge 289/1986.

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Quindi, in sostanza, abbiamo due sistemi di gestione accentrata: dematerializzata e non dematerializzata.

L’adesione al sistema di gestione accentrata non dematerializzata è facoltativa, rimessa alla scelta
dell’azionista. Il sistema di “gestione accentrata non dematerializzata” si basa sul deposito dei titoli azionari
documentali presso una società di gestione (Monte S.p.A.), ma non direttamente, bensì attraverso un
contratto di “deposito di titoli in amministrazione”, con il quale i titoli vengono depositati dall’azionista
presso un “intermediario”, il quale a sua volta deve provvedere a sub-depositarli presso la società di
gestione: quindi il tutto avviene tramite gli intermediari. Dal momento del deposito, la circolazione dei titoli
depositati avviene tramite semplici scritture contabili, di fatto equiparando il trasferimento materiale del
titolo all’accredito contabile. L’esercizio dei diritti sociali, ovviamente, compete sempre al titolare del titolo:
nel caso di diritti amministrativi, la legittimazione ad esercitarli è attribuita in forza di apposite certificazioni,
rilasciate dagli intermediari e contenenti i diritti esercitabili; per la partecipazione all’assemblea, invece, è
sufficiente una comunicazione alla società da parte dell’intermediario. Quindi, per la gestione accentrata di
strumenti finanziari rappresentati da titoli si parla di “dematerializzazione della circolazione”, in quanto è il
SOLO trasferimento ad avvenire tramite scritture contabili, mentre non si ha la “dematerializzazione totale”,
dato che i titoli documentali esistono e sono depositati presso la società di gestione, a cui l’azionista può
chiedere, in qualsiasi momento, la restituzione.

A partire dal D.lgs.213/1998, invece, la dematerializzazione totale si è avuta per le azioni negoziate nei
mercati regolamentati italiani o diffuse tra il pubblico in modo rilevante, le quali non possono essere più
rappresentate da titoli (la dematerializzazione è obbligatoria) , mentre per quelle non quotate e non diffuse
in modo rilevante è l’emittente ad optare o meno per la dematerializzazione (volontaria).

In questo caso è la società emittente a rivolgersi alla società di gestione, comunicando l’ammontare totale
dell’emissione, il frazionamento e gli intermediari ai quali accreditare le azioni emesse: la società provvede
ad aprire un conto per ogni emittente, suddiviso in sottoconti per ciascuna emissione, ed un conto per ogni
intermediario. L’intermediario, a sua volta, registra in conti distinti per ogni titolare le azioni di pertinenza
degli stessi. I trasferimenti di azioni avvengono SOLO tramite gli intermediari abilitati, su richiesta dei titolari
delle azioni, con comunicazione alla società di gestione che provvede alla registrazione del movimento.
Colui che ottiene la registrazione, in base a titolo idoneo e in buona fede, è TITOLARE dell’azione e può
esercitare i diritti amministrativi sulla base di una certificazione rilasciata dall’intermediario, a cui può tra
l’altro conferire mandato per l’esercizio degli stessi. La partecipazione all’assemblea è sempre assicurata
tramite comunicazione dell’intermediario alla società e l’esercizio dei diritti patrimoniali spetta
all’intermediario stesso. Sulla base di comunicazioni e certificazioni, la società emittente provvede
all’aggiornamento del libro dei soci.

I vincoli sulle azioni (art.2352 c.c.)

Le azioni possono formare oggetto di vincoli quali l’usufrutto e il pegno, così come di misure cautelari ed
esecutive quali il sequestro giudiziario, quello conservativo ed il pignoramento.

Per le azioni nominative, ovviamente, la costituzione in usufrutto o in pegno ha effetto verso terzi e verso la
società SOLO con l’annotazione del vincolo tanto sul titolo quanto nel libro dei soci. La costituzione in pegno
può avvenire anche consegnando il titolo, tramite la “girata in garanzia”, anche se è sempre necessaria
l’annotazione nel libro dei soci per la produzione degli effetti. Anche per ciò che concerne pignoramenti e
sequestri occorre l’annotazione sul titolo.

Per le azioni gravate da vincoli immesse nel sistema di gestione accentrata e per i vincoli reali o giudiziari
sulle azioni già immesse nel sistema, nonché per quelle dematerializzate è dettata un’apposita disciplina
sostitutiva dell’annotazione sul titolo.

Per quanto riguarda i diritti sociali relativi ad azioni gravate da vincoli, la riforma del 2003 ha innanzitutto
previsto che il “diritto di voto” competa al creditore pignoratizio o all’usufruttuario o al custode in caso di
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sequestro di azioni: tale diritto dev’essere esercitato senza ledere gli interessi del socio, consultandolo in
caso di delibere di rilevante importanza, altrimenti si va incontro al risarcimento del danno. Gli altri diritti
amministrativi spettano disgiuntamente al socio e all’usufruttuario/creditore pignoratizio, mentre in caso di
sequestro competono tutti al custode.

Il diritto di opzione, invece, spetta SOLO al socio, così come le nuove azioni sottoscritte vengono considerate
“LIBERE DA VINCOLI”, appartenendo allo stesso e non direttamente all’usufruttuario o al creditore
pignoratizio. Se il socio, però, non provvede entro 3 giorni dalla scadenza al versamento delle somme
necessarie per l’esercizio di tale diritto, esso viene alienato agli altri soci o comunque tramite una banca o
altro intermediario ed il ricavato della vendita è soggetto comunque all’usufrutto o al pegno, diversamente
dalle nuove azioni sottoscritte a cui non si estendono tali vincoli.

Gli utili distribuiti dalla società, infine, spettano al titolare del diritto frazionario ed alle azioni di nuova
emissione per aumento (gratuito) del capitale si estendono i vincoli di usufrutto, pegno e sequestro.

Nel caso in cui il socio debba ancora versare somme per azioni non liberate, qualora gravi un pegno sulle
stesse, è il suddetto socio a dover provvedere al versamento o all’alternativa alienazione delle azioni, sul cui
ricavato si trasferisce il pegno. Nell’ipotesi di usufrutto, invece, è l’usufruttuario a provvedere al
versamento, il quale ha diritto alla restituzione della somma al termine del suo diritto/dell’usufrutto.

I limiti alla circolazione delle azioni

In tema di circolazione delle azioni vige la regola generale secondo cui “le azioni sono liberamente
trasferibili”. La libera trasferibilità, però, incontra limiti o esclusioni tanto LEGALI, ossia stabilite dal
legislatore, quanto CONVENZIONALI, laddove pattuite dai soci.

Tra i limiti legali ritroviamo:

 L’impossibilità di alienare le azioni prima del controllo di valutazione nel caso di azioni liberate con
conferimenti diversi dal denaro;
 L’impossibilità di alienare le azioni con prestazioni accessorie e le azioni di società fiduciarie e di revisione
SENZA il consenso del consiglio di amministrazione;
 Limiti riguardanti partecipazioni di controllo o rilevanti.

Tra i limiti convenzionali, invece, dobbiamo attuare una distinzione tra quelli stabiliti dall’atto costitutivo,
definiti come LIMITI STATUTARI, e quelli non contenuti nello stesso atto, chiamati PATTI PARASOCIALI.

I limiti scaturenti da patti parasociali vengono definiti “sindacati di blocco”, in quanto evitano che un
soggetto non gradito ai soci entri a far parte della compagine sociale: in caso di violazione di tale patto,
avendo esso effetto solo tra i soci contraenti, la vendita di azioni è del tutto valida, salvo il risarcimento
dovuto dal socio inottemperante.

Diversamente dai patti parasociali, i limiti statutari, ossia quelli contemplati nell’atto costitutivo, godono di
efficacia reale, in quanto opponibili a terzi e validi per i futuri soci. Può trattarsi di clausole statutarie che
ESCLUDONO del tutto la circolazione delle azioni, per un massimo di 5 anni, o di clausole che la limitano, per
cui è lasciata ampia libertà ai soci nella formulazione delle stesse all’interno dell’atto costitutivo, sebbene le
più importanti siano le clausole di prelazione, quelle di gradimento e quelle di riscatto.

La clausola di prelazione impone al socio, che intende alienare le proprie azioni, l’obbligo di offrirle
preventivamente agli altri soci, preferendoli così a terzi a parità di condizioni. Tale clausola può addirittura
contemplare i criteri per determinare il prezzo di acquisto o la possibilità di rivolgersi ad un arbitratore in
caso di disaccordo (prelazione impropria). L’azionista che intende vendere le proprie azioni, di conseguenza,
deve formulare una proposta d’acquisto indirizzata ai soci beneficiari ed in caso di inottemperanza a tale

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obbligo, avendo le clausole statutarie efficacia reale, il trasferimento a terzi è inefficace, dando luogo al
legittimo rifiuto della società di iscrivere il terzo nel libro dei soci ed al diritto di riscatto delle relative azioni.

Le clausole di gradimento possono essere di due tipi: clausole con le quali vengono richiesti, all’acquirente
di azioni, determinati requisiti e clausole che subordinano il trasferimento al “placet”, ossia
all’approvazione, da parte di un organo sociale. Le clausole di gradimento del secondo tipo, definite come di
“mero gradimento”, sono state molto criticate in passato, sino a che il legislatore non ha deciso per la loro
inefficacia nel 1985 e per l’assoggettamento a determinate condizioni nel 2003. L’attuale disciplina
legislativa, infatti, prevede che tali clausole possano essere contemplate nell’atto costitutivo SOLO
nell’ipotesi in cui sia possibile, in caso di rifiuto del placet da parte dell’organo sociale, il recesso
dell’alienante o l’acquisto a carico della società o degli altri soci.

Le clausole di riscatto, infine, permettono alla società o agli altri soci, nel momento in cui si verificano
determinati eventi quali la morte dell’azionista o la mancata esecuzione delle sue prestazioni accessorie, di
riscattare le azioni, pagando un valore di rimborso incline alle disposizioni in tema di recesso dell’azionista.

Diversamente dal passato, quando era prevista l’unanimità per l’introduzione o la rimozione delle clausole
limitative, oggi è necessaria una delibera dell’assemblea straordinaria, fatto salvo il diritto di recesso dei soci
non d’accordo con tale scelta (dissenzienti).

D) LE OPERAZIONI DELLA SOCIETA’ SULLE PROPRIE AZIONI

La sottoscrizione

Le operazioni delle società sulle proprie azioni, ossia le operazioni di sottoscrizione e acquisto di azioni
proprie possono comportare una serie di problemi e rischi inerenti l’integrità del capitale sociale, rendendo
possibile l’elusione dell’obbligo di eseguire i conferimenti, rischi per l’organizzazione societaria, data la
massa di diritti di voto in mano agli amministratori e pericoli per il mercato dei titoli, essendo possibili
manovre speculative volte ad alterare le quotazioni delle azioni.

E’ per questi motivi che il legislatore ha sempre guardato con sfavore a tali operazioni, modificando la
disciplina più volte, da ultimo con la riforma del 2003.

La società, anzitutto, in forza dell’art.2357 quater del codice NON PUO’ sottoscrivere le proprie azioni, né in
sede di costituzione, né tanto meno nel caso di aumento del capitale sociale; non si può dar luogo né ad una
sottoscrizione diretta, compiuta in nome della società, né ad una sottoscrizione indiretta, compiuta da terzi
in nome proprio ma per conto della società. In tutte queste ipotesi, infatti, la società si ritroverebbe ad
essere creditrice di se stessa, creando un incremento del capitale sociale nominale senza un aumento del
capitale reale, originando incertezze sulla consistenza del patrimonio sociale (capitale sociale = patrimonio
netto).

Qualora un’operazione di auto-sottoscrizione venga ugualmente posta in essere, essa è comunque valida: le
azioni si intendono sottoscritte da chi ha violato il divieto, quindi in caso di sottoscrizione diretta dai
promotori o dai soci fondatori, se avvenuta in sede di costituzione della società, o dagli amministratori, se
avvenuta in sede di aumento del capitale sociale, salva la possibilità di dimostrare di essere esenti da colpa,
mentre in caso di sottoscrizione indiretta le azioni si considerano sottoscritte dal terzo che ha agito, senza
alcuna possibilità di rivalsa sulla società. Tutti questi soggetti, quindi, sono tenuti a versare i conferimenti,
essendo titolari di azioni ancora non liberate. Tra l’altro, nel caso di sottoscrizione da parte di terzi, i
promotori/soci fondatori o gli amministratori, pur non essendo titolari delle azioni, sono comunque, qualora
non dimostrino l’esenzione da colpa, solidalmente responsabili con i terzi per il debito di conferimento, in
quanto ritenuti complici nella violazione del divieto (MA socio resta solo il terzo).

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La SOLA PARZIALE deroga alla regola generale d’impossibilità di sottoscrizione delle proprie azioni da parte
della società si ha nel momento in cui viene esercitato il diritto di opzione sulle azioni proprie detenute dalla
società (DEROGA INTRODOTTA DALLA RIFORMA DEL 2003 MA ELIMINATA NEL 2010).

L’acquisto di azioni proprie

Anche attraverso l’acquisto di azioni proprie da parte della società, come nel caso di sottoscrizione delle
stesse, si corrono dei pericoli inerenti, soprattutto, la riduzione del capitale reale con mancata variazione del
capitale sociale nominale, situazione che si determina nel momento in cui la società utilizza somme
eccedenti gli utili per l’acquisto.

Tuttavia, l’acquisto di azioni proprie, qualora siano quotate in borsa, può essere utile al fine di stabilizzare le
quotazioni ed evitare manovre speculative, così come può tornare utile come forma di investimento delle
eccedenze disponibili.

L’acquisto di azioni proprie, quindi, non è vietato in modo assoluto, se non nel caso delle SICAV, ma è
sottoposto a determinate condizioni fissate dall’art.2357 c.c., modificato di recente nel 2008 e nel 2009.

Ecco le condizioni per tali acquisti:

 Le azioni proprie devono essere acquistate con somme NON ECCEDENTI gli utili distribuibili e le riserve
disponibili, così come risultanti dal bilancio, in quanto in caso di somme eccedenti tali utili e riserve si
avrebbe riduzione del capitale reale, toccando il patrimonio netto corrispondente al capitale sociale e alla
riserva legale violando il vincolo di indisponibilità dello stesso;
 Le azioni acquistate devono essere interamente liberate, per evitare che la società diventi creditrice di se
stessa per i conferimenti ancora dovuti;
 Occorre, per l’acquisto, l’autorizzazione dell’assemblea ordinaria, fatta salva la discrezionalità degli
amministratori (l’acquisto, infatti, è pur sempre un atto di gestione, motivo per cui gli amministratori, anche
dopo l’autorizzazione assembleare, potranno desistere dall’acquisto, in quanto la valutazione ultima spetta
a loro). L’assemblea, tuttavia, è chiamata a fissare:
o Numero di azioni acquistabili;
o Durata non superiore a 18 mesi per la quale vale l’autorizzazione;
o Corrispettivo minimo e massimo.
 Le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio non possono acquistare azioni con valore
nominale eccedente la quinta parte del capitale sociale, tenendo conto anche delle azioni possedute da
società controllate (freno alla possibilità che le società incidano sul mercato dei propri titoli);
 Le sole società con azioni quotate in borsa, infine, possono acquistare azioni proprie secondo le modalità
stabilite dalla Consob, al fine di trattare in maniera eguale gli azionisti (parità di trattamento).

Ma a quali sanzioni vanno incontro le società che, nell’acquisto di azioni proprie, non rispettano tali
condizioni?

Anzitutto, gli acquisti restano validi, sebbene gli amministratori vadano incontro a sanzioni penali. Tali
azioni, però, vanno alienate entro un anno dal loro acquisto, altrimenti devono essere annullate,
procedendo alla riduzione del capitale sociale, ad opera dell’assemblea o da parte del tribunale, dietro
richiesta di amministratori e sindaci.

Alla medesima disciplina, poi, sono soggetti gli acquisti effettuati tramite società fiduciarie o per interposta
persona: la società, per eludere le condizioni citate, non deve avvalersi di terzi.

Sono previste, tuttavia, delle deroghe alle condizioni poste dalla legge per l’acquisto di azioni proprie, dei
“CASI SPECIALI” (art.2357 BIS c.c.):

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 Se l’acquisto di azioni proprie avviene, dopo una delibera assembleare, al fine di dar luogo alla riduzione del
capitale sociale, ossia acquistandole e poi annullandole, va rispettato la sola condizione inerente le modalità
di acquisto per le società quotate, mentre le altre condizioni non valgono.
 Se le azioni speciali vengono acquistate per rimborsare un socio recedente, laddove sia stato impossibile
vendere le azioni ad altri soci o a terzi, va rispettata la sola condizione inerente l’impiego di utili e riserve
disponibili.
 In caso di azioni acquistate a titolo gratuito, comunque interamente liberate, così come in caso di acquisto
di azioni proprie per effetto di fusione, scissione o successione universale, così come nell’ipotesi di acquisto
per esecuzione forzata al fine di soddisfare un credito della società, le condizioni di cui abbiamo parlato
NON si applicano, salvo quella inerente il limite della quinta parte del capitale sociale (che vale, però, per
tutte le S.p.A. e non solo per quelle quotate), ed il termine per l’alienazione passa da un anno a 3 anni.

I diritti sociali derivanti da azioni proprie si ritengono “sterilizzati”: i diritti amministrativi sono sospesi,
sebbene tali azioni siano computate nel capitale ai fini del quorum costitutivo e deliberativo dell’assemblea
(onde evitare che si rafforzi la posizione del gruppo di comando abbassando il quorum). Il D.lgs.224/2010 ha
previsto che, per le società che NON fanno appello al mercato del capitale di rischio, le azione proprie siano
SEMPRE computate ai fini sia del quorum costitutivo che di quello deliberativo, mentre per lo società che
FANNO appello al mercato del capitale di rischio le azioni proprie debbano essere computate ai SOLI fini del
quorum costitutivo. Il diritto agli utili spetta alle altre azioni proporzionalmente, al pari del diritto di opzione,
sebbene la riforma del 2003 abbia previsto la possibilità, dell’assemblea, di autorizzare l’esercizio di tale
diritto per l’acquisto di azioni proprie, liberandole subito ed interamente ed impiegando utili e riserve
disponibili, possibilità poi venuta meno nel 2010.

Gli amministratori non possono disporre delle azioni se non autorizzati dall’assemblea alla rivendita,
autorizzazione che può essere contestuale a quella inerente l’acquisto, dando luogo ad operazioni di
“compera e vendita” (trading di azioni proprie) da parte degli amministratori.

Altre operazioni (art.2358 c.c.)

Tra le ALTRE operazioni sulle proprie azioni rientrano:

 L’assistenza finanziaria per l’acquisto o la sottoscrizione di azioni proprie: in tal caso, a finanziare l’acquisto
di azioni della società, tramite prestiti o altre forme di garanzia, da parte di terzi o di soci è la stessa società
(è la società che mette i soldi o fa da garante per ottenere tale denaro), quindi è come se la società stessa
acquistando azioni proprie. SOLO l’assemblea straordinaria può autorizzare una tale operazione, decidendo
in base alla relazione presentata dagli amministratori, inerente la necessità di porre in essere un’operazione
del genere: il verbale dell’assemblea, qualora autorizzi tale movimento, va pubblicato entro 30 giorni nel
registro delle imprese. Tuttavia, vanno sempre utilizzati utili e riserve disponibili per tale operazione, senza
toccare il capitale sociale. La società può anche finanziare l’acquisto di azioni proprie che già possiede,
fungendo da venditore e finanziatore (garante), sempre vendendo ad un GIUSTO PREZZO, ricavato per le
azioni non quotate dai criteri di valutazione delle azioni in caso di recesso e per le azioni quotate dal prezzo
medio ponderato di quotazione nei 6 mesi precedenti.
 L’accettazione di azioni proprie in garanzia: essa è del tutto vietata, in maniera assoluta, in quanto la società
si troverebbe ad erogare finanziamenti ai soci ricevendo, in caso di inadempimento degli stessi, le proprie
azioni.

In entrambi i casi, la violazione della disciplina legislativa comporta la nullità delle operazioni, salvo il caso di
mancanza della delibera assembleare, in quanto in tale ipotesi l’operazione è solo inefficace ma non nulla,
potendo intervenire la deliberazione in un secondo momento.

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Tali divieti subiscono una deroga nel momento in cui l’assistenza finanziaria e l’accettazione di azioni in
garanzia sono effettuate per favorire l’acquisto di azioni da parte di dipendenti della società o di società
controllate o controllanti, purché il tutto avvenga nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili.

CAPITOLO SESTO – LE PARTECIPAZIONI RILEVANTI

L’informazione sulle partecipazioni rilevanti

Partiamo col dire che per “partecipazioni rilevanti” si intendono tutte quelle partecipazioni di azionisti in
grado, in forza dell’effettiva consistenza del proprio pacchetto azionario, di cui dispongono direttamente o
indirettamente, di influenzare le scelte della società di cui fanno parte. Occorre, però, individuare tali
azionisti, in quanto la semplice iscrizione nel libro dei soci, la quale avviene soltanto nell’ipotesi di esercizio
dei diritti sociali, così come la nominatività dei titoli, non identificano il reale possessore delle azioni, ma il
loro intestatario formale.

E’ per questo motivo, proprio al fine di garantire una maggiore trasparenza, specie nelle società quotate ed
in quelle che operano in settori di particolare rilievo economico e sociale, che a partire dalla L.216/1974 il
nostro legislatore ha introdotto una disciplina volta a far chiarezza sui possessi azionari RILEVANTI.

L’art.120 del Tuf prevede, anzitutto, che “le persone fisiche/giuridiche e gli enti che partecipano, tanto
direttamente quanto indirettamente, in una società con azioni quotate in mercati regolamentati italiani o
dell’UE in misura superiore al 2% del capitale”, così come “le società quotate che partecipano in altre
società NON quotate o a responsabilità limitata anche estere, in misura superiore al 10% del capitale”
hanno l’obbligo di darne COMUNICAZIONE alla società partecipata ed alla Consob.

Anche le VARIAZIONI delle partecipazioni rilevanti devono essere comunicate, secondo la disciplina dettata
dalla Consob. Qualora si tratti di variazioni di partecipazioni IN società quotate, si applica il sistema delle
SOGLIE FISSE: va data comunicazione alla Consob ed alla società partecipata nel momento in cui si supera la
soglia del 5% e per i successivi multipli di 5 fino al 50% e poi, ancora, al raggiungimento del 66,6, 75, 90 e
95%, nonché quando la partecipazione scende sotto tali percentuali o, addirittura, sotto il 2%. L’obbligo di
comunicazione riguarda anche i titolari di strumenti finanziari partecipativi emessi da società quotate,
qualora tali soggetti abbiano, da soli, il diritto di nominare un componente dell’organo di amministrazione o
controllo o quando la loro partecipazione supera o scende al di sotto della soglia del 10, 25, 50 e 75 per
cento degli strumenti di una determinata categoria.

Nel momento in cui una società quotata possiede delle partecipazioni in società non quotate, le
comunicazioni alla Consob, di carattere periodico, devono riguardare solo e solamente le partecipazioni
superiori al 10% alla chiusura del primo semestre di esercizio o alla chiusura dell’esercizio sociale, mentre le
comunicazioni alla società partecipata devono riguardare solo l’acquisto o la riduzione della partecipazione
al di sopra o al di sotto della soglia del 10%.

Ma qual è lo scopo dell’obbligo di comunicazione?

Lo abbiamo già detto, lo scopo è quello di rendere note le REALI posizioni di potere in assemblea ed infatti si
tiene conto, nel calcolo delle percentuali che abbiamo citato, solo del capitale rappresentato da quote o
azioni che, direttamente o indirettamente, attribuiscono il DIRITTO DI VOTO: non si tiene conto, dunque,
della azioni di risparmio, così come, al contrario, si prendono in considerazione le azioni in riferimento alle
quali il soggetto dichiarante, pur non essendone titolare, detiene il diritto di voto. Vanno computate anche
le partecipazioni potenziali, ossia quelle già emesse e che possono formare oggetto di acquisto, per esempio
in base al diritto d’opzione.

E’ la Consob, ovviamente, a stabilire termini, modalità e contenuto delle comunicazioni, in mancanza delle
quali, oltre ad andare incontro a sanzioni pecuniarie, comminate tanto in caso di partecipazioni in società

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quotate quanto nell’ipotesi di partecipazione in società non quotate, il socio di una società quotata perde
anche il diritto di voto, che rimane sospeso, ovviamente SOLO per le partecipazioni eccedenti il 2% (quelle
per cui è prevista la comunicazione). La società può consentire ugualmente a quest’ultimo di votare, ma
qualora il suo voto risulti determinante per raggiungere la maggioranza, la deliberazione diventa
impugnabile anche da parte della Consob, nel termine di 180 giorni dalla stessa o dall’iscrizione nel registro
delle imprese, in forza del fatto che in casi del genere entra in gioco l’interesse pubblico e generale alla
trasparenza dei possessi azionari rilevanti (oltre ad essere ANNULLABILE su impugnazione dei soggetti di cui
all’art.2377 c.c.).

E’ esonerato dall’obbligo di comunicazione il Ministero dell’economia per le partecipazioni detenute tramite


società controllate, in quanto i relativi obblighi gravano sulle stesse; allo stesso modo l’obbligo non sussiste
per specifiche operazioni in cui acquisto e cessione di partecipazioni rilevanti hanno solo fini speculativi,
finanziari o per il corretto funzionamento dei mercati regolamentati. L’esenzione inoltre può essere
concessa anche dalla Consob, su richiesta di società italiane con azioni quotate in mercati regolamentati di
altri Paesi UE, qualora si applichi già la disciplina di tali Stati.

Una disciplina simile a quella inerente l’obbligo di comunicazione dettata per le società quotate vale anche
per le società NON quotate che operano in settori di particolare interesse economico e sociale: le società
bancarie, quelle d’intermediazione mobiliare (SIM), le società di gestione del risparmio (SGR) e quelle di
investimento a capitale variabile (SICAV), nonché le società di assicurazione. In questi casi la comunicazione,
oltre che alle società partecipate, va inoltrata anche alla Banca d’Italia, alla Consob e all’Isvap (Istituto per la
vigilanza sulle assicurazioni private), tutti organi che possono impugnare le deliberazioni assembleari nei casi
in cui il voto dell’obbligato sia stato determinante per il raggiungimento della maggioranza.

Per le società NON quotate e che non operano nei settori di particolare interesse economico e sociale è
previsto l’obbligo di rendere pubblico annualmente, entro 30 giorni dall’approvazione del bilancio e
mediante iscrizione nel registro delle imprese, l’elenco di tutti i soci e di coloro che, indirettamente,
possiedono delle partecipazioni, con il relativo numero di azioni possedute e le annotazioni nel libro dei soci
effettuate a partire dall’approvazione del bilancio precedente.

L’acquisto di partecipazioni rilevanti in società quotate

Per l’acquisto di partecipazioni di controllo in società quotate vanno rispettate determinate regole fissate a
partire dalla L.149/1992 ed oggi contenute negli articoli dal 101-bis al 112 del Tuf.

Precedentemente al 1992, invece, la situazione era totalmente diversa e c’era una minor trasparenza per
operazioni di questo tipo: chi intendeva acquistare partecipazioni di controllo poteva benissimo accordarsi
col gruppo di comando di una società, senza passare dalla borsa, pagando le azioni ad un prezzo maggiore
rispetto a quello di mercato; in caso di opposizione da parte del gruppo di comando, non disposto a cedere
le proprie azioni ma privo della maggioranza delle stesse, si potevano avere due ipotesi differenti:

 La cosiddetta “scalata ostile”, tramite la quale l’interessato acquistava in borsa un numero elevato di azioni
della società bersaglio nel tempo, celandosi dietro all’anonimato fino al raggiungimento dell’obiettivo;
 Un’uscita immediata allo scoperto tramite l’assalto alla società “bersaglio”: l’interessato lanciava un’OPA
(Offerta di Pubblico Acquisto) delle azioni di tutti i soci, il che poteva dar luogo ad un’opa concorrente da
parte del gruppo di comando, all’acquisto di azioni proprie sul mercato, all’aumento del capitale sociale, il
tutto volto a scoraggiare il soggetto e a rimanere al comando. Si proseguiva, in tal caso, in una vera e propria
battaglia, il più delle volte “senza esclusione di colpi” e più o meno vantaggiosa per gli azionisti investitori,
ma comunque alla luce del sole, sotto gli occhi di tutti.

La situazione è cambiata del tutto con l’emanazione della L.149/1992, la quale da un lato ha voluto porre in
essere una vera e propria TUTELA DELLA MINORANZA, garantendo la massima trasparenza nel passaggio di
proprietà di partecipazioni di controllo in società quotate e permettendo a tutti gli azionisti di partecipare al
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premio di maggioranza che l’operazione può comportare, mentre da un altro punto di vista ha dovuto
assicurare la cosiddetta “CONTENDIBILITA’ DEL CONTROLLO”, ossia la possibilità di chi, sentendosi capace di
incrementare il valore di una società in maggior misura rispetto all’attuale gruppo di comando, intenda
prendere il controllo della società stessa, senza incontrare ostacoli insormontabili, dato che la migliore
gestione delle società per azioni quotate è interesse di tutti, non solo dei soci, ma dell’intera economia, in
quanto non permette ai gruppi già al comando una gestione poco efficace con conseguente deprezzamento
delle azioni.

E’ per tal motivo che la legge 149 ha previsto che l’UNICA procedura per l’acquisto di partecipazioni di
controllo in società quotate sia quella dell’offerta pubblica di acquisto (OPA), resa in determinati casi
addirittura OBBLIGATORIA, la quale deve comunque svolgersi nel rispetto di determinate regole inderogabili
fissate dalla legge, a tutela tanto del mercato di borsa quanto dei destinatari dell’offerta.

Partiamo, anzitutto, dai casi in cui l’opa è obbligatoria per legge: inizialmente erano cinque (tre preventivi e
due successivi), mentre dopo il 1998 diventarono solo due (opa successiva e opa residuale), per poi
rimanerne uno solo dopo l’attuazione della XIII direttiva CE, ossia quello dell’OPA SUCCESSIVA TOTALITARIA
di cui all’art.106 Tuf.

Deve lanciare l’opa successiva totalitaria chiunque detenga, grazie all’acquisto A TITOLO ONEROSO di azioni,
direttamente o indirettamente, una partecipazione superiore al 30% dei titoli che attribuiscono diritto di
voto nelle assemblee ordinarie e straordinarie riguardanti la nomina o la revoca degli amministratori o del
consiglio di sorveglianza: in sostanza, si tratta di un numero di titoli (il 30%) il cui possesso permette di
influenzare la gestione della società. Non contano, dunque, le azioni “che non sono titoli”, come quelle di
risparmio, prive di diritto di voto. L’offerta pubblica di acquisto va fatta entro 20 giorni dal superamento
della soglia del 30% e riguarda la totalità dei titoli quotati ancora disponibili in circolazione, quelli residui,
anche quelli appartenenti a categorie rispetto alle quali non era stato compiuto alcun acquisto. L’offerente
deve pagare, tra l’altro, un PREZZO MINIMO pari al prezzo più elevato pagato nei dodici mesi anteriori
all’opa per l’acquisto di titoli della medesima categoria, mentre se non ha acquistato titoli del genere il
prezzo minimo è quello medio ponderato di mercato degli ultimi 12 mesi. La Consob ha il potere di alzare o
abbassare il prezzo minimo in particolari circostanze previste dalla legge.

Il corrispettivo dell’opa può essere costituito, in tutto o in parte, anche da titoli (offerte pubbliche di scambio
o miste). Se l’acquisto di azioni non supera il 30% dei titoli non è obbligatoria alcuna offerta pubblica di
acquisto per i titoli rimanenti e la partecipazione può essere acquistata liberamente tanto sul mercato
quanto a trattativa privata. Tuttavia, l’obbligo sussiste anche nel caso in cui il 30% sia detenuto da soggetti
che agiscono IN CONCERTO tra loro, per tali intendendosi quelli che cooperano sulla base di un accordo al
fine di ottenere o mantenere il controllo della società emittente, o coloro legati da rapporti individuati dalla
legge, come nel caso di un “patto parasociale” (sindacati di voto, di blocco ecc.), o di un soggetto, il suo
controllante e le società da esso controllate, o nell’ipotesi di società sottoposte a comune controllo, o di una
società ed i suoi amministratori, direttori generali e componenti del consiglio di gestione. Anche qui la
Consob può prevedere dei casi in cui l’azione concertata è presunta, invertendo l’onere della prova, o in cui
è del tutto esclusa salvo prova contraria. Tutti questi soggetti sono comunque obbligati in solido a lanciare
l’opa totalitaria.

Vi sono delle ipotesi, poi, in cui è la Consob (art.106 comma 3 TUF) a definire se l’obbligo di lanciare l’opa
totalitaria sussista o meno, come nel caso di acquisto INDIRETTO (definizione di acquisto indiretto all’art.45
regolamento emittenti) di una partecipazione superiore al 30% in una società quotata, indiretto perché è
stata acquistata una partecipazione di controllo in un’altra società capogruppo NON quotata o una
partecipazione di controllo superiore al 30% in una capogruppo quotata, il cui patrimonio è costituito
PREVALENTEMENTE da titoli emessi da quella quotata bersaglio (opa a cascata, in quanto l’opa va lanciata
sulla capogruppo e sulle controllate); o come nel caso di “opa da consolidamento”, la quale si verifica nel
momento in cui un soggetto detiene già più del 30% dei titoli ma senza detenere la maggioranza dei voti
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nell’assemblea ordinaria, ossia senza avere il “controllo di diritto” e in questo caso l’obbligo scatta se il
soggetto acquista in 1 anno un ulteriore 5% del capitale rappresentato da azioni con diritto di voto.

Se un soggetto non vuole sostenere il peso, comunque consistente, di un’opa totalitaria, può optare per
un’OPA VOLONTARIA PREVENTIVA (art.107 TUF) volta ad acquisire una partecipazione superiore al 30%, la
quale può essere TOTALE o PARZIALE. L’opa preventiva totale riguarda tutti i titoli della società bersaglio e
non incontra alcuna condizione, tant’è che l’offerente può liberamente fissare il prezzo di acquisto. L’unico
limite, semmai, è costituito dal fatto che qualora l’offerta preveda un corrispettivo in titoli, l’offerente è
tenuto a proporre in scambio titoli quotati o pagamento in contanti.

Diversa è l’ipotesi di “opa preventiva parziale”, la quale deve avere ad oggetto almeno il 60% dei titoli di
ciascuna categoria. L’esenzione dall’opa successiva totalitaria, in questo caso, può essere autorizzato dalla
Consob SE: 1)offerente e persone che agiscono in concerto con lo stesso non abbiano acquistato, nell’anno
precedente, partecipazioni nella società bersaglio in misura superiore all’1%; 2)vi è l’APPROVAZIONE
dell’offerta da parte degli azionisti di minoranza INDIPENDENTI della società bersaglio osservando la
PROCEDURA DI WHITEWASH, ossia escludendo dalla decisione le partecipazioni dell’offerente, delle persone
che agiscono in concerto con lui e del socio di maggioranza (anche relativa se la sua partecipazione supera il
10%). L’offerente è comunque tenuto a lanciare l’opa successiva totalitaria se nell’anno successivo alla
chiusura dell’opa preventiva acquisti altre partecipazioni in misura superiore all’1%, violando di fatto il
“principio di parità di trattamento degli azionisti” o se l’assemblea deliberi una fusione o una scissione.

E’ esonerato dall’obbligo di opa successiva totalitaria chiunque detenga il 30% dei titoli in seguito ad
un’offerta pubblica di acquisto o di scambio totalitaria o parziale. Le altre ESENZIONI vengono disciplinate
dalla Consob nei casi comunque previsti dalla legge in cui il superamento del 30% non comporta l’obbligo di
offerta successiva, perchè non ne ricorrono i presupposti o perché risultano neutri ai fini della tutela degli
azionisti di minoranza, ossia nelle ipotesi di: 1)acquisti a titolo gratuito o per successione ereditaria;
2)presenza di soci che, anche congiuntamente, già detengono il controllo di diritto della società;
3)operazioni dirette al salvataggio di imprese in crisi; 4)trasferimenti di partecipazioni tra società dello
stesso gruppo che si risolvono in semplici operazioni di riassetto azionario (le società devono essere legate
da un rapporto di controllo di diritto e non solo di fatto); 5)cause indipendenti dalla volontà dell’acquirente
(ipotesi dell’esercizio del diritto di opzione); 6)operazioni di carattere temporaneo (esenzione concessa solo
se la soglia del 30% non viene superata per più del 3% e l’acquirente si impegna ad alienare l’eccedenza
entro 1 anno e a non esercitare i relativi diritti di voto); 7)fusioni e scissioni, se tali operazioni sono state
approvate dall’assemblea della società che dovrebbe essere bersaglio dell’opa con il metodo del whitewash.

Vi sono poi due casi di cui all’art.108 TUF di OBBLIGO DI ACQUISTO RESIDUALE (inerente l’acquisto dei titoli
ancora in circolazione), per cui l’opa (la vecchia opa residuale) non è più necessaria:

 L’offerente che, a seguito di offerta pubblica totalitaria, viene a detenere una partecipazione pari almeno al
95% del capitale rappresentato da titoli (azioni con diritto di voto) della società bersaglio, E’ OBBLIGATO ad
acquistare i restanti titoli da chiunque ne faccia richiesta, in modo tale che i soci di minoranza possano
cedere le proprie azioni data la maggioranza schiacciante dell’altro socio (conseguita con l’opa);
 Il soggetto che viene a detenere, con opa o in altro modo, una partecipazione superiore al 90% del capitale
rappresentato da titoli quotati della società bersaglio HA l’OBBLIGO di acquistare i restanti titoli quotati,
almeno che non ripristini, entro 90 giorni, un flottante (azioni diffuse tra il pubblico) sufficiente ad assicurare
il regolare andamento delle negoziazioni.

L’obbligo di acquisto residuale, in sostanza, permette agli azionisti di minoranza l’uscita dalla società ad un
prezzo equo, dato che la stessa è ormai in pugno ad un gruppo di controllo, il che fa si che l’andamento delle
negoziazioni risulti pregiudicato dalla mancanza di un adeguato FLOTTANTE, ossia di azioni diffuse tra il
pubblico: gli azioni di minoranza, in pratica, possiedono azioni che non hanno quasi alcun valore, perché
nessuno le acquisterebbe sapendo di doversi confrontare con un gruppo di controllo così schiacciante.
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Il corrispettivo per l’acquisto residuale viene indicato dalla Consob ed occorre precisare che devono essere i
soci di minoranza a decidere di vendere i propri titoli, o meglio, a far valere il diritto di cederli, tranne che
nel caso in cui, a seguito di opa totalitaria preventiva o successiva, l’offerente abbia acquisito più del 95%
del capitale rappresentato da titoli ed abbia dichiarato, nel documento di offerta, di volersi avvalere dello
“squeeze-out”, ossia del diritto di ACQUISTO COATTIVO delle azioni residue, da esercitare entro tre mesi
dalla scadenza del termine per l’accettazione dell’opa, magari non accettata dalla minoranza per ostacolare
il nuovo gruppo di comando.

Se l’obbligo di opa successiva totalitaria o l’obbligo di acquisto residuale non vengono rispettati, i soggetti
obbligati non possono esercitare il diritto di voto per l’INTERA partecipazione, o se lo fanno la delibera è
impugnabile, anche dalla Consob nel termine di 180 giorni, qualora il voto sia stato essenziale per il
raggiungimento della maggioranza; inoltre, i titoli eccedenti le percentuali che fanno scattare gli obblighi di
cui sopra devono essere alienati entro 12 mesi, almeno che la Consob non imponga la promozione di
un’offerta totalitaria al prezzo da essa stabilito, prendendo in considerazione anche il prezzo di mercato di
tali titoli. Vendita o promozione dell’offerta fanno venir meno la sospensione del voto. Sono previste, in ogni
caso, delle sanzioni pecuniarie.

Segue: le offerte pubbliche di acquisto e di scambio

Abbiamo già anticipato che la legge detta anche la disciplina inerente lo svolgimento delle offerte pubbliche
di acquisto e di scambio, tanto volontarie quanto obbligatorie, riguardanti le azioni quotate ma anche quelle
non quotate, sebbene l’opa sia esclusivamente utilizzata per le prime. L’obiettivo di tale disciplina è quello di
garantire la massima trasparenza delle operazioni e la parità di trattamento dei destinatari, fissando
anzitutto i comportamenti consentiti e quelli vietati, sia dell’offerente sia della società bersaglio.

Partiamo col dire che l’offerta pubblica di acquisto, che prevede un corrispettivo in denaro, e quella di
scambio, che prevede un corrispettivo costituito da altri strumenti finanziari, si configurano come
PROPOSTE IRREVOCABILI rivolte a tutti i titolari di prodotti finanziari che ne formano oggetto, a parità di
condizioni verso tutti (ogni clausola contraria è NULLA). L’offerta (d’acquisto o di scambio) può essere
sottoposta a condizioni, purché non dipendenti dalla mera volontà dell’offerente, e l’offerta può essere
aumentata o modificata durante la pendenza dell’operazione, estendendosi l’aumento anche a coloro che
hanno già aderito, sebbene non possa MAI essere ridotto il quantitativo richiesto.

Per quanto riguarda gli strumenti finanziari quotati la durata dell’offerta viene concordata con la società di
gestione del mercato, tra un minimo di 15 giorni ed un massimo di 25 giorni dall’apertura del mercato.

La Consob controlla tutte le operazioni, potendo dichiarare decadute o sospese le offerte in caso di
violazione della legge o qualora non sia possibile, in presenza di fatti nuovi, pervenire ad un fondato giudizio
sull’offerta da parte dei destinatari.

L’offerta pubblica si articola in tre fasi: nella prima di esse l’offerente deve dare COMUNICAZIONE delle
proprie intenzioni tanto alla Consob quanto al mercato e alla società bersaglio, rispettando modalità e
contenuti fissati dalla Consob stessa (indicando, in sostanza, gli elementi essenziali dell’offerta). Del
comunicato viene data notizia, ad opera dei rispettivi amministratori, ai rappresentanti dei lavoratori
dell’offerente (se si tratta di società) e della società bersaglio. L’OPA si considera promossa mediante
presentazione del “documento di offerta” alla Consob e la stessa Autorità può richiedere, entro 15 giorni,
l’integrazione del documento o la prestazione di garanzie. Decorso il termine il documento si ritiene
approvato e può essere reso pubblico. Nell’ipotesi di offerte pubbliche volontarie, il documento va
presentato entro 20 giorni dalla comunicazione, altrimenti è irricevibile e l’offerente non può più fare
offerte per i 12 mesi successivi. Anche la società bersaglio è obbligata a diffondere un comunicato
contenente la valutazione dell’offerta da parte degli amministratori, trasmettendolo preventivamente alla

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Consob che può chiederne l’integrazione. Il comunicato può essere allegato al documento di offerta in caso
di “opa amichevole”.

La seconda fase riguarda le adesioni all’offerta, le quali sono irrevocabili e vengono raccolte direttamente
dall’offerente, o da un intermediario indicato nel documento di offerta o dai depositari dei titoli, in ogni caso
tramite la sottoscrizione di un’apposita scheda. Per quanto riguarda il comportamento dell’offerente è
semplicemente previsto che lo stesso, qualora acquisti altri titoli a prezzo superiore rispetto a quello
contemplato nel documento di offerta, abbia l’obbligo di adeguare l’offerta stessa al prezzo più elevato
pagato. Per quanto riguarda la società bersaglio ed il suo gruppo di comando, invece, è mutata nel tempo la
disciplina inerente le “tecniche di difesa” nei confronti di “un’opa ostile”: si tratta di aumenti del capitale
sociale a pagamento o gratuiti, trasformazione della società, fusione, scissione, acquisto di azioni proprie,
vendita di rami d’azienda o dell’intera azienda ecc., tutte azioni volte ad ostacolare l’iniziativa dell’offerente.
Il legislatore è tornato soventemente sulla possibilità, o meno, di porre in essere tali tecniche difensive ed
occorre descrivere la disciplina attuale: sino al 1°luglio 2010 le società potevano porre in essere tali azioni di
contrasto, almeno che lo statuto non prevedesse diversamente contemplando la clausola di opt-in, di
ingresso nella società. Dopo il 1°luglio, invece, l’attuazione di misure difensive può avvenire solo PREVIA
AUTORIZZAZIONE DELL’ASSEMBLEA (PASSIVITY RULE), almeno che lo statuto non preveda già la clausola di
opt-out, ossia di contrasto nei confronti di un’opa ostile. Nell’ipotesi di “passivity rule” gli amministratori
della società bersaglio non possono attuare misure difensive dal momento della comunicazione dell’offerta
alla Consob, almeno che non venga convocata un’assemblea ordinaria o straordinaria volta a permettere
determinate operazioni; in caso contrario, qualora vengano poste in essere senza un’autorizzazione
assembleare, permane la responsabilità di chi ha agito (MA l’operazione non è nulla).

Una differenza rilevante è quella tra le tecniche difensive SUCCESSIVE e quelle PREVENTIVE rispetto
all’offerta: tra le prime spicca l’OPA CONCORRENTE (possibile SENZA autorizzazione assembleare), lanciata
cioè da eventuali alleati della società bersaglio, che può dar luogo legittimamente alla revoca dell’adesione
all’opa originaria, oltre che al rialzo da parte dell’offerente, creando così una vera e propria lotta di offerte, a
cui non può essere posto alcun limite nel numero.

Per quanto concerne le tecniche di difesa preventiva, invece, l’attuale disciplina ha neutralizzato molte
tecniche che un tempo potevano essere utilizzate per ostacolare il successo di un’opa ostile: gli azionisti che
intendono aderire ad un’opa totalitaria o parziale avente ad oggetto almeno il 60% delle azioni ordinarie,
infatti, oggi possono liberamente recedere, senza preavviso, da sindacati di voto e/o di blocco stipulati, al
fine di favorire l’opa; cadono inoltre i limiti agli “incroci azionari fra società quotate”, essendo pertanto
impossibile adoperare come tecnica di difesa preventiva l’acquisto di una partecipazione rilevante nella
società offerente che intende dar luogo all’opa ostile. Se lo statuto NON prevede altro, operano solo queste
agevolazioni volte a facilitare il successo dell’opa ostile. Se invece lo statuto prevede la “ REGOLA DI
NEUTRALIZZAZIONE” delle misure di difesa preventive, di cui all’art.104-bis del Tuf:

 DURANTE l’opa non hanno effetto nei confronti dell’offerente eventuali limitazioni statutarie al
trasferimento dei titoli (clausole di prelazione o gradimento) e nelle assemblee chiamate a decidere sulle
azioni di contrasto all’opa non operano limitazioni al diritto di voto contemplate nello statuto o da patti
parasociali. La regola di neutralizzazione, tuttavia, non si applica alle cooperative.
 DOPO l’opa, tra l’altro, la stessa regola di neutralizzazione paralizza alcune clausole statutarie o patti
parasociali volti ad impedire che l’offerente vittorioso possa dominare/controllare del tutto la società: se
egli, infatti, ha acquisito almeno il 75% del capitale con diritto di voto, le limitazioni al diritto di voto previste
nello statuto o da patti parasociali, così come qualsiasi diritto speciale in materia di nomina o revoca degli
amministratori o dei componenti del consiglio di gestione o di sorveglianza previsto nello statuto, NON
OPERANO in alcun modo nella prima assemblea successiva all’opa convocata per modificare lo statuto o per
revocare gli amministratori precedenti (effetti di neutralizzazione SUCCESSIVA). Alcuna tutela per l’offerente
vittorioso è prevista al di sotto della soglia del 75% e la neutralizzazione dei limiti al diritto di voto non opera

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per le azioni dotate di privilegi di natura patrimoniale, come quelle di risparmio, oltre al fatto che restano
validi i poteri dello Stato nelle società privatizzate.

La passivity rule, che prevede la necessità di autorizzazione di atti di difesa da parte dell’assemblea, e la
regola di neutralizzazione sono soggette alla CLAUSOLA DI RECIPROCITA’, ossia non operano quando l’opa è
promossa da chi a sua volta non è soggetto a tali disposizioni: in tale ipotesi, quindi, occorre attuare misure
difensive preventive, tramite l’approvazione dell’assemblea, nei 18 mesi anteriori alla comunicazione
dell’offerta, proprio per scongiurare eventuali offerte pubbliche di acquisto lanciate in condizioni di non
reciprocità. Va da sé che la delibera deve essere rinnovata periodicamente per produrre i propri effetti, oltre
al fatto che deve essere comunicata al mercato, per una corretta valutazione di un potenziale offerente.

La terza fase dell’offerta pubblica è quella di CHIUSURA: ovviamente l’offerente, all’interno del documento
di offerta, può precisare il quantitativo minimo di adesioni da raggiungere affinché l’offerta divenga
irrevocabile, salvo il caso dell’opa totalitaria obbligatoria. Se si ha un numero di adesioni all’offerta
superiore al quantitativo richiesto, è sempre il documento di offerta a dover prevedere i criteri di riparto.
L’offerente, prima del pagamento, pubblica un documento inerenti i risultati dell’offerta.

Limiti all’assunzione di partecipazioni rilevanti

In linea generale, sempre nel rispetto degli obblighi che abbiamo descritto poc’anzi, l’acquisto di
partecipazioni rilevanti IN società per azioni o DA PARTE di società per azioni è del tutto LIBERO. Tuttavia,
anche qui incontriamo due tipi di limitazioni: quelle inerenti l’assunzione di partecipazioni di controllo o
rilevanti, da chiunque detenute, “in società che operano in particolari settori” e quelle riguardanti
l’assunzione di partecipazioni “da parte di società di capitali”, così come previsti dalla disciplina delle
partecipazioni incrociate e dall’art.2361 del codice.

Per quanto riguarda le limitazioni del primo tipo, esse riguardano per lo più società bancarie e assicurative.
L’acquisizione di titoli o quote di banche deve essere autorizzata dalla Banca d’Italia nel caso di
partecipazione superiore al 10% del capitale con diritto di voto o, comunque, nel caso di influenza notevole
o controllo della banca stessa. Anche i successivi incrementi di partecipazione devono essere autorizzati se
superano i limiti del 20,30 e 50% dei diritti di voto o del capitale sociale (vale anche per le assicurazioni). E’
venuto meno, tuttavia, il “principio di separatezza fra banca ed industria” che impediva, a chi svolgeva
attività d’impresa in settori diversi da quello bancario e finanziario, di possedere partecipazioni di controllo
in banche. La violazione delle disposizioni inerenti l’autorizzazione della Banca d’Italia comporta sanzioni
penali, sospensione del diritto di voto relativamente alle azioni per cui manca l’autorizzazione, la possibilità
di impugnare, anche da parte della Banca d’Italia entro il termine di 180 giorni, le decisioni assembleari in
cui la partecipazione non autorizzata è risultata determinante per il raggiungimento della maggioranza e,
infine, l’alienazione delle quote/azioni entro un certo termine, la cui mancata osservanza provoca la vendita
tramite l’intervento del tribunale.

L’acquisizione di azioni che comporti una partecipazione superiore al 10% del capitale con diritto di voto o,
comunque, il controllo della società, nel caso delle assicurazioni, deve essere autorizzata dall’ISVAP, così
come i successivi incrementi di partecipazione. Valgono le stesse sanzioni previste per le banche in caso di
violazione della disciplina legislativa.

Fra i limiti all’assunzione di partecipazioni rilevanti rientrano anche le CLAUSOLE STATUTARIE, le quali
fissano limiti massimi ai possessi azionari dei singoli soci, per evitare che si formi un numero ristretto di
azionisti di controllo. Tale previsione è espressamente prevista dal legislatore per le società controllate dallo
Stato (limite del 5% del capitale), operanti nei settori dei servizi di pubblica utilità, bancario ed assicurativo,
destinate alla privatizzazione mediante diffusione dell’intero pacchetto azionario fra il pubblico degli
investitori (public company), mentre negli altri casi è la prassi societaria a contemplarla. Il superamento dei
limiti comporta il divieto di esercitare il diritto di voto. La clausola statutaria è immodificabile per un periodo

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di tre anni, ma viene meno in caso di opa totalitaria o avente ad oggetto almeno il 75% delle azioni
ordinarie.

Segue: Le partecipazioni modificative dell’oggetto sociale. Le partecipazioni a responsabilità illimitata

All’inizio del precedente paragrafo abbiamo detto che vi sono due tipi di limitazioni all’acquisizione di
partecipazioni rilevanti, descrivendone il primo. La seconda tipologia di limitazioni riguarda, invece,
l’assunzione di partecipazioni “da parte di società di capitali”: l’art.2361 comma 1 cod.civ. prevede, a tal
proposito, che l’assunzione di queste partecipazioni in altre società, benché possa essere consentita dallo
statuto, è comunque VIETATA “se per la misura e per l'oggetto della partecipazione ne risulta
sostanzialmente modificato l'oggetto sociale determinato dallo statuto”. Ciò significa che se dalle
partecipazioni acquisite scaturisce una modifica dell’oggetto sociale da parte degli amministratori,
l’assunzione risulta invalida, in quanto la modifica non segue ad una deliberazione dell’assemblea
straordinaria, come invece previsto dalla legge.

Si parla, in tal caso, di DIVIETO DI ASSUNZIONE DI PARTECIPAZIONI MODIFICATIVE DELL’OGGETTO


SOCIALE, il quale, tuttavia, non risulta operante nei confronti delle società HOLDINGS (o capogruppo), ossia
quelle la cui attività consiste proprio nell’assunzione di partecipazioni in altre imprese, in via esclusiva o
quantomeno principale. Si tratta di società finanziarie che si prefiggono lo scopo di dirigere/controllare
l’attività delle società partecipate: a questo proposito dobbiamo distinguere l’holding PURA, che svolge
semplicemente attività di controllo e direzione, dall’holding MISTA, la quale svolge anche una propria
attività produttiva. In ogni caso non si applica il divieto di cui all’art.2361 c.c.

Il divieto, invece, grava sulle “società operative”, quelle che svolgono un’attività propria in un determinato
settore produttivo, le quali possono comunque acquisire partecipazioni in altre imprese, tuttavia senza
modificare sostanzialmente il proprio oggetto: in sostanza possono avere solo partecipazioni di minoranza e
NON di controllo in società che operano nello stesso settore, trasformandosi in holding mista (anche se la
dottrina non è del tutto convinta di tale impossibilità). L’art.2361, però, NON limita i poteri dell’assemblea
straordinaria, la quale può benissimo decidere di autorizzare l’assunzione di partecipazioni rilevanti,
contestualmente deliberando la modifica dell’oggetto sociale. Occorre, invece, una delibera dell’assemblea
ordinaria nell’ipotesi di cui al comma 2 del suddetto articolo, ossia quando l’assunzione di partecipazioni in
altre imprese determina la responsabilità ILLIMITATA per le obbligazioni della partecipata (esempio:
sottoscrizione di quote di una s.n.c.). La violazione dell’articolo 2361 del codice espone gli amministratori
all’azione di responsabilità, oltre a risultare inefficace l’atto di assunzione non autorizzato.

Segue: Le partecipazioni reciproche

Un altro limite all’assunzione di partecipazioni rilevanti da parte di società in altre imprese è costituito dalla
disciplina delle partecipazioni RECIPROCHE: le stesse si configurano nel momento in cui una società A
sottoscrive il capitale di una società B e viceversa, dando luogo ai medesimi rischi che abbiamo esaminato
nell’ipotesi di sottoscrizione di azioni proprie. Il capitale sociale nominale di entrambe le società, infatti,
aumenta (data la sottoscrizione di partecipazioni di entrambe), senza che i rispettivi capitali reali vengano
incrementati, attribuendo semplicemente, ad ognuna delle due società, un pacchetto di voti da gestire
nell’altra.

A tal proposito l’art.2360 c.c. dispone “È vietato alle società di costituire o di aumentare il capitale mediante
sottoscrizione reciproca di azioni, anche per tramite di società fiduciaria o per interposta persona”. Si tratta
di un divieto assoluto, che non sopporta eccezioni e che comporta la nullità di entrambe le sottoscrizioni
(sempre che si provi la frode alla legge nel caso di interposta persona), sebbene non vieti l’assunzione di
partecipazioni tramite una società controllata, che non può essere parificata ad un’interposta persona o ad
una società fiduciaria, così come non preclude la sottoscrizione NON reciproca di azioni, la quale si attua nel
momento in cui la società controllata sottoscrive le azioni della controllante, il cui controllo si basa su

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“vincoli contrattuali” e non su una partecipazione di controllo, in tal modo eludendo il divieto di
sottoscrizione di azioni proprie.

E’ proprio per colpire queste fattispecie escluse dall’art.2360 che il D.lgs.315/1994 ha introdotto l’articolo
2359-quinquies, il quale dispone: “La società controllata non può sottoscrivere azioni o quote della società
controllante”, né direttamente, né tramite terzi. La violazione del divieto NON comporta la nullità della
sottoscrizione, bensì l’imputazione ex lege delle azioni ai soggetti che hanno agito, amministratori non
esenti da colpa o terzi. Nel caso di sottoscrizione dei terzi, gli amministratori NON esenti da colpa
rispondono solidalmente della liberazione delle azioni.

Un caso particolare è quello dell’acquisto reciproco di azioni, che da luogo ugualmente a delle partecipazioni
incrociate: in questa ipotesi, infatti, non si ha sottoscrizione reciproca, ma acquisto di azioni già in
circolazione, il che da luogo NON ad un aumento del capitale sociale nominale senza aumento del capitale
reale, come avviene nel caso di sottoscrizione reciproca, BENSI’ rimangono inalterati i capitali sociali
nominali RIDUCENDO i capitali reali, fino a svuotare del tutto entrambi i patrimoni (fenomeno del carta
contro carta, ossia azioni vuote), specie se vengono utilizzati importi eccedenti gli utili distribuibili, il che
comporta un “rimborso indiretto” dei conferimenti degli azionisti delle due società (la società A rimborsa i
soci della società B e viceversa), con effetti identici all’acquisto di azioni proprie.

Quindi anche in questo caso dovrebbero essere contemplati limiti qualitativi (somme utilizzabili) e
quantitativi (ammontare massimo) come per l’acquisto di azioni proprie, sebbene ciò sia avvenuto, tra
l’altro parzialmente, solo a partire dal 1994, dando attuazione ad una direttiva europea. L’attuale disciplina
prevede che:

 L’acquisto reciproco di azioni è possibile SENZA ALCUN LIMITE quando non vi è rapporto di controllo tra le
due società e nessuna delle due è quotata in borsa;
 L’acquisto reciproco incontra dei limiti quantitativi (ammontare massimo delle azioni acquistabili) e
qualitativi (somme utilizzabili per l’acquisto), in base a quanto stabilito dagli articoli 2359-bis ss. e del tutto
identici a quelli stabiliti per l’acquisto di azioni proprie, nel caso in cui l’incrocio venga realizzato tra
“controllante e controllate”: l’acquisto da parte di una società controllata di azioni o quote della
controllante, anche tramite terzi, viene considerato ex lege come effettuato dalla controllante stesso,
risultando come acquisto di azioni proprie, il che da luogo ai limiti che abbiamo già descritto per questa
fattispecie:
o impiego di somme NON eccedenti gli utili distribuibili e le riserve disponibili;
o acquisto SOLO di azioni liberate interamente;
o autorizzazione all’acquisto da parte dell’assemblea ordinaria della controllata;
o valore nominale delle azioni acquistate NON superiore al 20% del capitale della controllante, se essa fa
ricorso al mercato del capitale di rischio;
o divieto di esercizio del diritto di voto delle controllate nelle assemblee della controllante.

In violazione di tali limiti le azioni devono essere alienate entro un anno dall’acquisto oppure si deve
procedere al loro annullamento da parte della controllante, riducendo il capitale sociale della stessa e
rimborsando alla controllata il valore delle azioni annullate. In caso di inerzia dell’assemblea della
controllante a ciò provvede d’ufficio il tribunale, su richiesta degli amministratori o dei sindaci. Anche in
questo caso, tuttavia, sono validi gli esoneri previsti per l’acquisto di azioni proprie, rispettando comunque il
limite del 20% del capitale ed essendo impossibile l’esonero in caso di acquisto per riduzione del capitale
sociale, non configurabile per le azioni di altra società.

 L’acquisto reciproco incontra dei limiti quantitativi (ma non qualitativi), in forza dell’art.121 Tuf, nel caso in
cui, benché non esista un rapporto di controllo tra le società interessate, una delle due abbia azioni quotate:
se sono quotate entrambe, l’incrocio non può superare il 2% del capitale con diritto di voto (se la società A
ha più del 2% delle azioni con diritto di voto nella società B, quest’ultima non può avere più del 2% nella
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prima); se è quotata una sola delle due società, la società quotata non può avere più del 10% del capitale
della società non quotata, mentre quest’ultima non può superare il tetto del 2%. I tetti del 2% possono
essere elevati al 5% sulla base di due deliberazioni assembleari ordinarie in tal senso (delle due società). Se i
limiti indicati vengono oltrepassati da entrambe le società, la società che ha superato il limite
SUCCESSIVAMENTE non può esercitare diritto di voto per le azioni in eccedenza rispetto alla percentuale
consentita e deve alienare l’eccedenza entro 12 mesi, altrimenti la sospensione del diritto di voto si estende
all’intera partecipazione, ossia anche alla parte legittimamente posseduta. Le delibere adottate in caso di
inosservanza del divieto col voto determinante di tali azioni sono, come sempre, impugnabili, anche dalla
Consob.

La medesima disciplina si applica anche nell’ipotesi di “incroci triangolari”, ossia tra 3 società, sebbene in tal
caso si abbia solo sospensione del diritto di voto e non obbligo di alienazione.

CAPITOLO SETTIMO – I GRUPPI DI SOCIETA’

Il fenomeno di gruppo. I problemi

Secondo quanto abbiamo appena detto, quindi, le società per azioni sono LIBERE di sottoscrivere o
acquistare azioni o quote di altre società di capitale, sebbene nel rispetto di determinati limiti. E’ questo lo
strumento di gran lunga più importante con il quale si realizzano i gruppi di società.

Per GRUPPO DI SOCIETA’ si intende un’aggregazione di più imprese societarie formalmente autonome ed
indipendenti, ma assoggettate tutte alla direzione unitaria di una SOCIETA’ CAPOGRUPPO/MADRE, che
direttamente o indirettamente le controlla, esercitando sulle stesse un’influenza dominante al fine di
perseguire uno scopo unitario, il cosiddetto INTERESSE DI GRUPPO. Siamo difronte ad un’unica impresa
sotto il profilo economico cui corrispondono più imprese sotto il profilo giuridico.

I gruppi di società sono molto diffusi, in quanto è tramite gli stessi che operano le imprese di grande e
grandissima dimensione, a carattere nazionale e multinazionale.

Si possono avere GRUPPI A CATENA, in cui ogni società ne controlla un’altra (la società A controlla la società
B che controlla la società C e così via), e GRUPPI STELLARI/A RAGGIERA, in cui la società madre controlla
contemporaneamente tutte le altre.

Il fenomeno dei gruppi di società è favorito dai vari legislatori nazionali, così come dal diritto comunitario e
da quello internazionale, ma tanto a livello interno quanto esterno può dar luogo ad una serie di problemi
che toccano non solo la disciplina delle società, ma anche quella tributaria o quella inerente la concorrenza,
in quanto il perseguimento di un fine unitario tramite la cooperazione di diverse realtà giuridiche è
difficilmente controllabile ed accertabile, specie nelle ipotesi in cui abusi ed illeciti vengano realizzati tramite
società di gruppo collocate in ordinamenti che non garantiscono la trasparenza societaria (fenomeno delle
società off-shore).

Occorre, dunque, una disciplina legislativa volta ad evitare che i legami esistenti all’interno di un gruppo
alterino l’integrità patrimoniale delle singole società ed il corretto funzionamento degli organi decisionali,
così come è necessario impedire che nel perseguimento dell’interesse di gruppo, la società madre prenda
decisioni, vincolanti per le società figlie, che abbiano conseguenze positive per l’aggregazione in generale,
ma negative per la singola società e, di conseguenza, per i suoi soci e per i suoi creditori. Inoltre, i
collegamenti di gruppo devono avvenire alla luce del sole, per cui occorre un’adeguata informazione sugli
stessi e sui rapporti commerciali e finanziari tra le varie società, oltre che sui risultati economici del gruppo.

Ignorato totalmente dal codice del ’42, il fenomeno di gruppo manca ancora oggi di una disciplina organica
ad esso dedicata, sebbene non manchino norme che disciplinano il controllo societario ed i singoli rapporti

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fra società controllanti e controllate, nonché norme relative “all’attività di direzione e coordinamento di
società” (riforma del 2003).

Società controllate e direzione unitaria

E’ arrivato (eh finalmente) il momento di fornire una definizione di società controllata.

La nozione è contenuta tanto all’interno dell’art.2359 c.c., quanto nell’art.93 Tuf, il quale si rifà al primo.

Prima di prendere in considerazione l’articolo del codice, però, forniamo una nostra definizione (utile in
sede di esame): per SOCIETA’ CONTROLLATA si intende una società che, direttamente o indirettamente, si
trova sotto l’INFLUENZA DOMINANTE di un’altra società (detta CONTROLLANTE) in grado di indirizzarne
l’attività.

L’art.2359 c.c. prevede tre casi in cui si ha “controllo” di società:

 E’ controllata la società in cui la controllante dispone della “maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea
ordinaria”, ossia di più della metà delle azioni con diritto di voto in tali assemblee, di fatto potendo
esercitare un’influenza dominante nominandone gli amministratori (CONTROLLO DI DIRITTO);
 E’ società controllata quella in cui la controllante dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza
dominante nell’assemblea ordinaria, sebbene si tratti di partecipazione al capitale “minoritaria”, anche se in
grado di determinare le deliberazioni (CONTROLLO DI FATTO);
 E’ società controllata quella che, in forza di PARTICOLARI VINCOLI CONTRATTUALI, risulta sotto l’influenza
dominante dell’altra parte contrattuale, della società controllante. Esempio: la società A fornisce materie
prime prodotte in esclusiva alla società B, di fatto potendo assoggettare quest’ultima alle proprie decisioni
(CONTROLLO CONTRATTUALE).

E’ escluso, in quanto in contrasto con la disciplina del conflitto di interessi che vieta a soci ed amministratori
di agire contro gli interessi della propria società, che possa essere stipulato un contratto di “dominazione”
che attribuisce specificatamente ad una società il controllo su un’altra (questa ipotesi è diversa da quella del
terzo punto: lì sono dei vincoli contrattuali a rendere, di fatto, la società soggetta alle decisioni della
controllante; qui, invece, vi è un apposito contratto che ha per oggetto il “controllo”). Tale contratto è
ammesso solo quando consentito esplicitamente dalla legge.

Ai fini del controllo azionario (di diritto o di fatto) si computano anche i voti spettanti a “società controllate,
fiduciarie e a persona interposta”, potendo verificarsi l’ipotesi di CONTROLLO INDIRETTO (la società A
controlla la società B che controlla la società C: di fatto la società A controlla la società C). Anche la somma
di partecipazioni dirette ed indirette della controllante da luogo ad un controllo azionario: se la società A
controlla 6 società diverse, ognuna delle quali detiene il 10% dei voti della società B, la somma di tali voti
esercitabili può farci concludere che A controlla B.

Anche l’esistenza di sindacati di voto può dar luogo ad una situazione di controllo, anche se la qualità di
controllante spetta al singolo azionista con influenza dominante all’interno del sindacato.

Diverse dalle società controllate sono le società COLLEGATE, ossia quelle sulle quali un’altra società esercita
un’INFLUENZA NOTEVOLE MA NON DOMINANTE, presunta nel momento in cui può essere esercitato
almeno 1/5 dei voti (o 1/10 se la società collegata è quotata) in sede di assemblea ordinaria.

La disciplina dei gruppi

Il solo rapporto di controllo societario, in realtà, non è sufficiente per affermare che si è in presenza di un
gruppo di società, ma da comunque luogo alla cosiddetta PRESUNZIONE DI DIREZIONE UNITARIA, ossia fa
presumere l’ESERCIZIO DELL’ATTIVITA’ DI DIREZIONE E DI COORDINAMENTO DI SOCIETA’, assoggettando
le società o gli enti che esercitano tale attività alle norme introdotte dalla riforma del 2003. Si presume, ma
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è ammessa prova contraria, che la società o l’ente tenuto alla redazione del bilancio consolidato svolga
un’attività di direzione e coordinamento di altre società.

Al fenomeno di gruppo, dunque, si applicano tanto le norme che regolano i rapporti tra controllante e
controllate, anteriore al 2003, quanto le disposizioni inerenti società o enti che esercitano attività di
direzione e coordinamento, introdotte dalla riforma.

Anche chi esercita tale attività sulla base di un contratto con le società medesime o di clausole dei loro
statuti è assoggettato alle nuove norme: ciò avviene nei GRUPPI PARITETICI (anche detti orizzontali), ossia
nei gruppi in cui la direzione unitaria (concertata) di più imprese non si fonda su un rapporto di controllo,
bensì su un accordo contrattuale (consorzio) con cui più società seguono una direzione unitaria stabilita da
“ciascuna di esse su un piano di parità”.

E’ previsto che in un’apposita sezione del registro delle imprese vengano iscritte, con effetto di pubblicità
notizia, tutte le società o enti che esercitano attività di direzione e coordinamento, oltre che le società
soggette a tali attività: gli amministratori che non ottemperano a tale obbligo rispondono personalmente dei
danni a soci e terzi per la mancata conoscenza dei fatti. Le società soggette a direzione e coordinamento
devono indicare la soggezione negli atti e nella corrispondenza.

Se vi è situazione di controllo, inoltre, scattano dei divieti e dei limiti a carico delle società controllate: è
previsto il limite di acquisto di azioni del 20% del capitale della controllante se quest’ultima fa appello al
mercato del capitale di rischio da parte delle controllate ed esse non possono esercitare il diritto di voto
nelle assemblee della suddetta. Sono previsti, inoltre, altri divieti: anzitutto, nelle assemblee della società
controllante, i soci non possono essere rappresentati da società controllate, dai loro amministratori o
membri dell’organo di controllo o dipendenti; inoltre, non possono essere eletti sindaci nella controllante
coloro legati alle società controllate da un rapporto di lavoro dipendente o continuativo di consulenza o di
prestazione d’opera, o da altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettano l’indipendenza.

Specifici obblighi di informazione contabile sono previsti dalla legge in sede di redazione del bilancio
d’esercizio per la società controllante e per quelle controllate, volti ad evidenziare i rapporti di
partecipazione, i risultati economici e gli effetti della direzione e del coordinamento. Copia integrale del
bilancio delle controllate resta depositato presso la controllante, insieme al suo bilancio, durante i 15 giorni
precedenti alla convocazione dell’assemblea per la relativa approvazione. Importantissimo è anche il
cosiddetto BILANCIO CONSOLIDATO DI GRUPPO, dal quale si può evincere la situazione patrimoniale,
finanziaria ed economica del gruppo considerato unitariamente, eliminando le operazioni intercorse tra le
società del gruppo.

Se la società controllante è una società quotata è prevista la “revisione contabile obbligatoria” la cui
disciplina si estende anche alle società non quotate ma controllate da una società quotata. Gli
amministratori devono altresì riferire all’organo di controllo INTERNO le operazioni di rilievo compiute dalle
controllate.

Differentemente dalla disciplina dell’informazione contabile di gruppo appena esaminata, in relazione alla
quale sono stati fatti notevoli passi avanti, nulla è stato fatto per quanto concerne i “gruppi multinazionali
con ramificazioni in Stati che non garantiscono la trasparenza societaria”. Di un discreto e sempre crescente
numero di gruppi di società, infatti, fanno parte società aventi sede legale in ordinamenti giuridici che
prevedono scarsi controlli e pochi adempimenti contabili (le cosiddette società off-shore), oltre ad un più
favorevole trattamento fiscale nei confronti delle imprese (si tratta di quelli che vengono definiti come
“paradisi fiscali”). Le società off-shore, tra l’altro, sono state responsabili, proprio in Italia, di spericolate
speculazioni, facendo forti investimenti in strumenti finanziari derivati, e di operazioni vietate ed illecite
(fondi occulti, evasione fiscale). Inoltre, la presenza di società off-shore all’interno di un gruppo rende vano
lo sforzo, di cui abbiamo parlato, inerente l’adeguata informazione contabile: se tale società, per esempio, è

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controllata da un’altra società italiana, a nulla serve la revisione dei bilanci della controllante sulla base di
dati relativi alla controllata che nessuno verifica.

La nuova disciplina, per combattere questo fenomeno, ha previsto dei controlli più rigidi e degli obblighi
informativi ulteriori in sede di bilancio sulle società italiane quotate o con strumenti finanziari diffusi tra il
pubblico che si rapportano alle società off-shore in qualità di controllante, controllata o società collegata,
aventi sedi in Paesi individuati dal Ministro della Giustizia, in concerto con quello dell’Economia, che non
garantiscono la trasparenza societaria (art.165 ter e ss. TUF, vedili e studiali).

Inoltre, alla Consob sono stati attribuiti maggiori poteri d’indagine nei confronti delle società italiane che
intrattengono tali rapporti e nei confronti delle società estere, previo consenso delle autorità straniere.
Tutte queste innovazioni, però, sono rimaste solo sulla carta, data la mancata individuazione dei nostri
ministri di tali Stati, sede delle società off-shore, e della mancata emanazione della disciplina secondaria da
parte della Consob, anche perché, sottolinea l’autore Campobasso, molto probabilmente in tali liste
sarebbero finiti anche Stati Uniti d’America ed Italia (gli uni per aver abbandonato il sistema del capitale
sociale come tutela dei creditori, l’Italia perché prevede un capitale sociale minimo per le S.p.A. troppo
basso, inadeguato a garantire i terzi creditori).

Segue: La tutela dei soci e dei creditori delle società controllate

Abbiamo già accennato al fatto che il fenomeno di gruppo possa comportare degli svantaggi anche per gli
azionisti esterni delle società controllate e per i creditori delle stesse in tutte quelle ipotesi in cui ABUSI della
controllante inducano le controllate al compimento di atti vantaggiosi per il gruppo unitariamente
considerato, ma pregiudizievoli per il proprio patrimonio.

Ecco perché resta fermo, nel nostro ordinamento, il principio della “DISTINTA SOGGETTIVITA’” e della
“FORMALE INDIPENDENZA GIURIDICA” delle società del gruppo, secondo cui le controllate restano
comunque autonomo centro di imputazione ed autonomi soggetti di diritto, in quanto NON si da vita,
creando il gruppo, ad un’attività d’impresa giuridicamente unitaria ed imputabile alla capogruppo o
congiuntamente a questa e alle società figlie.

Questi principi, tuttavia, producono tanti vantaggi quanti svantaggi: se da un lato la capogruppo NON risulta
responsabile per le obbligazioni assunte dalle controllate nell’attuazione della politica di gruppo, anche
quando la controllante è socio unico delle controllate, dal momento che conserva il beneficio della
responsabilità limitata se adempie gli obblighi pubblicitari e quelli inerenti i conferimenti (SVANTAGGIO),
dall’altro lato la società madre NON può imporre alle società figlie il compimento di atti in contrasto con gli
interessi delle stesse separatamente considerate (VANTAGGIO), in quanto valgono le norme sul conflitto di
interessi dei soci e degli amministratori e quelle che sanciscono la responsabilità diretta di questi ultimi per i
danni arrecati al patrimonio sociale, anche se tali norme non sono sempre azionabili dai soci di minoranza e
dai creditori, ed anche se ciò espone gli amministratori delle società figlie (espressione della capogruppo),
talune volte ingiustificatamente, al pericolo di sanzioni civili e penali quando si deve deliberare su operazioni
infragruppo.

E’ per tale motivo, ossia per contemperare gli interessi di soci e creditori delle società controllate e quelli
dell’intero gruppo, che la riforma del 2003 ha previsto degli strumenti volti ad evitare che l’azione di gruppo
rechi danno alle singole società. Anzitutto la riforma ha introdotto l’obbligo, per le società soggette ad
attività di direzione e coordinamento, di motivare adeguatamente le decisioni di amministratori o
assemblea ispirate da un interesse di gruppo, indicando ragioni e interessi la cui valutazione ha inciso sulla
decisione (art.2497-ter).

Sotto il profilo economico è stato previsto che i RIMBORSI dei finanziamenti concessi alle società controllate
dalla capogruppo vengano postergati rispetto al soddisfacimento degli altri creditori, al fine di evitare che un
eccessivo indebitamento danneggi questi ultimi.
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Infine, le società e gli enti che esercitano attività di direzione e coordinamento, qualora agiscano
nell’interesse proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle
società soggette a tale attività, sono tenuti ad indennizzare DIRETTAMENTE i soci delle società figlie per il
pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale e i creditori delle stesse per la
lesione cagionata all’integrità del patrimonio sociale (art.2497 comma 1, quindi vi è responsabilità diretta
della capogruppo) . Non vi è responsabilità quando il danno risulta mancante alla luce del risultato
complessivo dell'attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente eliminato anche a seguito di
operazioni a ciò dirette (si tiene conto, pertanto, dei VANTAGGI COMPENSATIVI che derivano
dall’appartenenza al gruppo). Risponde in solido chi abbia comunque preso parte al fatto lesivo
(amministratori e dirigenti della capogruppo) e, nei limiti del vantaggio conseguito, chi ne abbia
consapevolmente tratto beneficio (per esempio le altre società del gruppo). Il socio ed il creditore sociale
possono agire contro la società o l'ente che esercita l'attività di direzione e coordinamento solo se NON
sono stati soddisfatti dalla società soggetta alla attività di direzione e coordinamento. Nel caso di fallimento,
liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria della società danneggiata, l'azione
spettante ai creditori (ma NON quella dei soci) è esercitata dal curatore o dal commissario liquidatore o dal
commissario straordinario (art.2497 comma 4). Chiariamo che l’azione di soci e creditori della società figlia
danneggiata è azione DIRETTA e non surrogatoria di quella che eventualmente spetta alla società stessa,
motivo per cui il risarcimento spetta direttamente ai primi e non alla seconda.

La riforma del 2003, infine, ha previsto il diritto di recesso dei soci delle società soggette ad attività di
direzione e coordinamento qualora sopraggiungano eventi riguardanti la capogruppo che determinino un
mutamento delle originarie condizioni di rischio dell’investimento nelle controllate: il diritto di recesso
spetta ai soci di una controllata NON quotata al momento dell’ingresso o dell’uscita dal gruppo SE da tale
evento possa derivare un’alterazione delle condizioni di rischio dell’investimento e non sia stata promossa
alcuna OPA che consenta al socio di alienare la propria partecipazione; spetta altresì il diritto di recesso
quando la capogruppo deliberi una trasformazione che comporti il mutamento del suo scopo sociale (per
esempio si trasformi da società in associazione) o un cambiamento dell’oggetto sociale, tale da alterare
significativamente le condizioni economiche e patrimoniali della società controllata; è infine riconosciuto il
diritto di recesso quando il socio in questione abbia esercitato l’azione di responsabilità di cui
all’art.2497c.c., ottenendo una sentenza di condanna esecutiva (in questa ipotesi il diritto di recesso può
essere esercitato SOLO per l’intera partecipazione).

Il gruppo insolvente

Ma che succede se una delle società figlie diventa insolvente o entra in crisi proprio in forza della politica
unitaria di gruppo? Ad oggi manca un’apposita disciplina legislativa per il gruppo insolvente, così come
nessuna norma specifica è dettata per l’ipotesi di “fallimento” di una società figlia, sebbene un trattamento
unitario del gruppo insolvente o in crisi è previsto per “l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese
insolventi”, la “liquidazione coatta amministrativa delle società fiduciarie e di revisione” e la “crisi dei gruppi
bancari”.

Se un’impresa del gruppo viene dichiarata insolvente e sottoposta ad amministrazione straordinaria


(procedura madre), alla “medesima procedura” vengono contemporaneamente assoggettate tutte le
imprese del gruppo in stato di insolvenza, quand’anche non ricorrano i requisiti per l’ammissione
all’amministrazione straordinaria e purché presentino “concrete prospettive di recupero dell’equilibrio
economico” o quantomeno risulti opportuna le “gestione unitaria dell’insolvenza nell’ambito del gruppo”. E
ciò avviene anche qualora sia già stato dichiarato il fallimento delle stesse, il quale viene convertito in
amministrazione straordinaria, sempre che non sia già esaurita la liquidazione dell’attivo (la conversione
avviene su istanza di chiunque vi abbia interesse o anche d’ufficio ad opera del tribunale che ha dichiarato il
fallimento). Si tratta, in sostanza, del PRINCIPIO DI UNIFORMITA’ DELLE PROCEDURE, il quale abbraccia
anche i gruppi con all’interno società fiduciarie o di revisione, nonché i gruppi bancari, anche se in

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quest’ultimo caso occorre che sia la capogruppo ad essere sottoposta a liquidazione coatta o
amministrazione straordinaria per estendere tali procedure alle altre società, perché se la crisi riguarda una
di queste (e non la capogruppo) le altre imprese rimangono assoggettate alla procedure previste dalle
norme di legge ad esse applicabili.

L’uniformità delle procedure, tuttavia, NON comporta un accertamento unitario dello stato di insolvenza,
che rimane distinto per ciascuna società, prendendo in considerazione la situazione patrimoniale delle
stesse. Non vi è, inoltre, confusione dei patrimoni e resta ferma l’autonomia patrimoniale, rispondendo le
singole società delle proprie obbligazioni, compresa la capogruppo che non risponde in solido delle
obbligazioni delle società figlie. L’uniformità comporta soltanto identità degli organi e della gestione delle
imprese insolventi: gli organi della procedura madre sono preposti anche alla procedura aperta a carico
delle altre imprese del gruppo; il commissario straordinario predispone uno specifico e distinto programma
di cessione o ristrutturazione per ciascuna impresa nell’ipotesi in cui esistano concrete prospettive di
recupero dell’equilibrio economico, mentre è necessario un programma integrativo di quello approvato
all’interno della procedura madre se mancano le prospettive in questione e l’ammissione alla procedura sia
stata determinata SOLO dall’opportunità di gestire unitariamente l’insolvenza del gruppo (SOLO in questo
caso la successiva conversione in fallimento della procedura madre determinata l’automatica conversione
anche delle altre procedure di amministrazione straordinaria).

Al fine di assicurare la reintegrazione del patrimonio delle società figlie ed a consentire il ristoro dei danni
subiti dalle stesse per effetto della politica unitaria di gruppo sono stati previsti alcune norme specifiche:

 Revocatoria fallimentare aggravata: si allungano i termini per l’esercizio delle azioni revocatorie fallimentari
per gli atti posti in essere con altre imprese del gruppo, anche non insolventi. Il termine di 1 anno anteriore
alla dichiarazione dello stato di insolvenza diventa di 5 anni e quello di 6 mesi diventa di 3 anni;
 Denunzia al tribunale: il commissario giudiziale, quello straordinario ed il curatore di un’impresa dichiarata
insolvente (tutti organi delle procedure concorsuali che vedremo nel libro terzo) possono proporre la
denunzia al tribunale per gravi irregolarità nei confronti di amministratori e sindaci di altre società del
gruppo, diventando (i primi), in caso di accertamento delle irregolarità denunciate, amministratori giudiziari
della società in questione;
 Responsabilità di gruppo: in caso di direzione unitaria del gruppo, gli amministratori della controllante che
hanno abusato di tale direzione rispondono IN SOLIDO con gli amministratori delle società insolventi dei
danni da questi causati alla società stessa in forza dell’attuazione delle direttive di gruppo (regola
dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi). Tale responsabilità va a sommarsi a
quella della controllante per abusi nell’attività di direzione e coordinamento, lesivi dei creditori e dei soci
delle controllate di cui all’art.2497 c.c.

Le lettere di patronage

Se non viene accertato un abuso di attività di direzione e coordinamento da parte della società controllante,
essa non può essere chiamata a rispondere dei debiti delle società controllate, lasciando di fatto i creditori
delle stesse privi di tutela, almeno che la società madre non abbia rilasciato loro delle specifiche garanzie
reali o personali.

Tra esse vanno ricomprese le “LETTERE DI PATRONAGE”, ossia quelle dichiarazioni della capogruppo, di
solito rilasciate a banche per favorire il finanziamento delle controllate, sostitutive delle tradizionali garanzie
personali (fideiussione e firme cambiarie). Tali documenti si distinguono in lettere DEBOLI, quando
contengono semplici dichiarazioni inerenti la solvibilità della controllata o la partecipazione della
controllante nella stessa, e lettere FORTI, quando includono l’impegno della società madre a fornire alla
controllata mezzi finanziari per onorare le proprie obbligazioni. Le lettere forti, pur non costituendo delle
vere e proprie obbligazioni fideiussorie, fungono da fonte di responsabilità in caso di inadempimento,
configurandosi come promesse del fatto del terzo (art.1381 c.c.) o garanzie personali atipiche. Le lettere
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forti, inoltre, risulteranno invalide, per l’estensione analogica alle stesse dell’art.1938 c.c. dettato in materia
di fideiussione, qualora non venga precisato l’import massimo garantito.

CAPITOLO OTTAVO – L’ASSEMBLEA

Gli organi della S.p.A.

All’interno delle società per azioni è necessaria la presenza di tre distinti organi, a ciascuno dei quali la legge
attribuisce determinati poteri e competenze:

 L’ASSEMBLEA DEI SOCI: organo con funzioni deliberative sulle decisioni di maggior rilievo della vita sociale,
ma non inerenti la gestione dell’impresa;
 L’ORGANO AMMINISTRATIVO: si occupa della gestione dell’impresa sociale e gode di ampi poteri
decisionali, oltre ad avere la “rappresentanza legale” della società ed il compito di attuare le delibere
assembleari sotto la propria responsabilità;
 L’ORGANO DI CONTROLLO INTERNO: vigila sull’amministrazione della società.

Il codice civile del ’42 prevedeva un solo sistema per l’amministrazione ed il controllo basato sulla presenza
di due organi di nomina assembleare:

 L’organo amministrativo, composto da un amministratore unico o da un consiglio di amministrazione;


 Il collegio sindacale, con funzioni di controllo del rispetto della legge e dello statuto ed inizialmente anche di
controllo contabile (con la l.183/2011 il legislatore aveva introdotto, all’interno dell’ultimo comma
dell’art.2397 c.c., la possibilità per lo statuto di sostituire il collegio sindacale con un SINDACO UNICO, scelta
confermata con il D.L. 5/2012 ma ELIMINATA dalla legge di conversione 35/2012).

Con la riforma del 1998 inerente le società quotate e l’estensione di tale disciplina, nel 2003, a tutte le
società per azioni, è stato previsto l’affidamento del controllo contabile ad un organo ESTERNO alla società:
il REVISORE CONTABILE o SOCIETA’ DI REVISIONE. Il SISTEMA TRADIZIONALE di amministrazione e di
controllo, dunque, prevede due organi interni, ossia gli amministratori ed il collegio sindacale ed un organo
esterno, il revisore o società di revisione.

La riforma del 2003 ha introdotto, accanto a quello tradizionale, altri due sistemi:

 Il sistema DUALISTICO, in cui controllo e amministrazione sono esercitati da un CONSIGLIO DI


SORVEGLIANZA e da un CONSIGLIO DI GESTIONE, il primo nominato dall’assemblea e a cui spettano alcuni
compiti che nel sistema tradizionale sono affidati all’assemblea stessa (come l’approvazione del bilancio) ed
il secondo nominato dal consiglio di sorveglianza;
 Il sistema MONISTICO, in cui amministrazione e controllo sono esercitati rispettivamente dal CONSIGLIO DI
AMMINISTRAZIONE, di nomina assembleare, e da un COMITATO PER IL CONTROLLO SULLA GESTIONE, che
sorge all’interno del consiglio di amministrazione: in tal caso, dunque, abbiamo un organo dentro l’altro
(ecco perché il sistema viene definito monistico).

Anche per le società che adottano questi due nuovi sistemi è previsto, comunque, il controllo contabile
esterno.

I componenti degli organi di amministrazione e di controllo, in ogni caso, sono responsabili sia civilmente
che penalmente della “legalità dell’attività sociale”, nonché del rispetto da parte dell’assemblea delle norme
di legge poste a salvaguardia del patrimonio sociale, unica garanzia dei creditori.

Tutti gli organi che abbiamo citato, in ognuno dei sistemi, sono necessari e le loro funzioni risultano in larga
parte inderogabili, non modificabili neanche dall’autonomia statutaria o dall’assemblea, sebbene sia
possibile attribuire alcuni compiti dell’assemblea agli amministratori.

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Per quanto riguarda la struttura dell’organo amministrativo è riconosciuta ampio spazio all’autonomia
privata: in tutti i sistemi, per fare un esempio, è possibile che l’organo amministrativo deleghi gran parte dei
suoi compiti ad un “comitato esecutivo” o a degli “amministratori delegati”.

Analizziamo, in questo capitolo, uno degli organi necessari: l’ASSEMBLEA.

Nozione e distinzioni

L’assemblea è l’organo collegiale composto da tutti i soci, la cui funzione è quella di formare una volontà
unica della società nelle materie ad essa riservate dalla legge e dallo statuto. Decide secondo il principio
MAGGIORITARIO, secondo la volontà espressa dai soci che rappresentano aliquote del capitale sociale
(maggioranza di capitale), e le decisioni assembleari valgono come decisioni della società, sebbene debbano
essere rispettate le norme di legge che regolano il procedimento di deliberazione.

L’assemblea può essere ORDINARIA o STRAORDINARIA: anzitutto chiariamo che non si tratta di due
assemblee diverse, ma della stessa assemblea riunita per deliberare su argomenti diversi. Dopo la riforma
del 2003 le competenze dell’assemblea ordinaria variano in base al sistema di amministrazione e controllo
adottato.

Nelle società che adottano il sistema “tradizionale” o quello “monistico” l’assemblea in sede ordinaria
(art.2364 c.c.):

 Approva il bilancio;
 Nomina e revoca amministratori, sindaci, presidente del collegio sindacale e soggetto al quale è demandato
il controllo contabile;
 Determina il compenso di amministratori e sindaci nel silenzio dello statuto;
 Delibera sulla responsabilità di amministratori e sindaci, oltre che su altri oggetti di propria competenza
secondo la legge e sulle autorizzazioni, previste dallo statuto, per alcuni atti degli amministratori;
 Approva il regolamento dei lavori assembleari;
 Delibera su tutte le materie che NON sono di competenza dell’assemblea straordinaria.

Nelle società che adottano il sistema “dualistico” l’assemblea ordinaria:

 Nomina e revoca i componenti del consiglio di sorveglianza, determinandone il compenso e deliberando


anche sull’esercizio dell’azione di responsabilità nei loro confronti;
 Nomina il revisore legale dei conti;
 Decide sulla distribuzione degli utili in base al bilancio.

Come possiamo notare l’assemblea ordinaria, nel sistema dualistico, NON approva il bilancio, compito che
spetta al consiglio di sorveglianza, e perde la competenza per la nomina e la revoca degli amministratori,
creando di fatto un distacco tra azionisti ed organo gestorio della società.

L’assemblea straordinaria, invece, è competente a deliberare (art.2365 c.c.):

 Sulle modifiche dello statuto;


 Sulla nomina, sulla sostituzione e sui poteri dei liquidatori;
 Su ogni altra materia espressamente attribuita dalla legge alla sua competenza;
 Sulla fusione tra controllante e controllata nei casi previsti dagli articoli 2505 e 2505-bis (società
interamente posseduta e società posseduta al 90%), sull'istituzione o soppressione di sedi secondarie,
sull’indicazione di quali tra gli amministratori hanno la rappresentanza della società, sulla riduzione del
capitale in caso di recesso del socio, sugli adeguamenti dello statuto a disposizioni normative, sul
trasferimento della sede sociale nel territorio nazionale, TUTTE MATERIE, però, la cui competenza può

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essere attribuita, dallo STATUTO, agli amministratori, al consiglio di sorveglianza o al consiglio di gestione (a
seconda dei sistemi).

Sono previsti quorum costitutivi e deliberativi diversi a seconda che si tratti di assemblea ordinaria o
straordinaria. Inoltre, è sempre prevista una “seconda convocazione” con quorum inferiori (art.2369 c.c.)e
lo statuto può contemplare anche successive convocazioni in caso di mancata partecipazione di tutti i soci
alla seconda, il tutto al fine di evitare una paralisi del potere decisorio assembleare dovuta all’assenteismo
dei soci.

L’assemblea è UNICA e GENERALE se la società ha emesso solo azioni ordinarie, mentre in presenza di
diverse categorie di azioni o di strumenti finanziari che conferiscono diritti amministrativi, accanto a quella
generale troviamo le assemblee SPECIALI DI CATEGORIA, alle quali si applicano le norme per l’assemblea
straordinaria, laddove le azioni speciali non siano quotate, e le norme dell’assemblea degli azionisti di
risparmio, qualora le azioni speciali siano quotate.

Il procedimento assembleare

La convocazione dell’assemblea, in linea generale, viene decisa dall’organo amministrativo o dal consiglio di
gestione, qualora lo ritengano opportuno ed obbligatoriamente in tutti i casi previsti dalla legge.

L’assemblea, poi, va convocata almeno una volta all’anno per consentire l’approvazione del bilancio, entro i
termini statutari o comunque entro 120 giorni dalla chiusura dell’esercizio, elevabili a massimo 180 dallo
statuto per le società tenute alla redazione del bilancio consolidato o in caso di particolari esigenze
(art.2364 comma 2). L’assemblea va convocata senza ritardo, tra l’altro, quando a richiedere la
convocazione siano tanti soci rappresentanti almeno il 10% del capitale sociale (il 5% nelle società che fanno
appello al mercato del capitale di rischio): se gli amministratori oppure in loro vece i sindaci, o i rispettivi
organi nel caso di sistemi diversi da quello tradizionale, non provvedono alla convocazione, a ciò può
supplire un decreto del tribunale, sentendo preventivamente gli organi suddetti e solo in caso di rifiuto
ingiustificato, onde evitare abusi della minoranza (art.2367 c.c.). Nella domanda dei soci devono essere
indicati gli argomenti da trattare.

Nelle sole società che fanno appello al mercato del capitale di rischio, i soci rappresentanti almeno 1/40 del
capitale possono chiedere l’integrazione dell’ordine del giorno dell’assemblea, con domanda scritta entro 10
giorni dalla pubblicazione dell’avviso di convocazione. Né la “convocazione, né l’integrazione dell’odg sono
ammesse per gli argomenti sui quali l’assemblea è chiamata a deliberare SOLO su proposta degli
amministratori o sulla base di una relazione degli stessi (come nel caso dell’approvazione del bilancio).

E’ il collegio sindacale a convocare l’assemblea:

 Nell’ipotesi di mancata convocazione da parte degli amministratori in caso di convocazione obbligatoria;


 Nel caso in cui vengano meno gli amministratori o l’amministratore unico;
 Nell’ipotesi in cui vengano ravvisati, dallo stesso collegio, fatti di rilevante gravità da risolvere quanto prima
(convocazione previa comunicazione al presidente del consiglio di amministrazione).

Nelle società quotate anche SOLO due membri del collegio sindacale possono provvedere alla convocazione.
Così come può essere prevista la convocazione da parte dell’amministratore giudiziario o del tribunale di cui
all’art.2409 c.c. (vedere pagina 92).

L’assemblea è convocata nel “comune dove ha sede la società”, salvo diversa previsione dello statuto.

Nelle società chiuse (che non fanno appello al mcr) la convocazione assembleare avviene mediante avviso
da pubblicare nella GU, almeno 15 giorni prima del giorno dell’adunanza, sostituibile tramite pubblicazione
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in un quotidiano indicato dallo statuto (art.2366 c.c.). Lo stesso statuto può contemplare la convocazione
mediante avviso comunicato ai soci almeno 8 giorni prima dell’adunanza con mezzi che garantiscano la
prova dell’avvenuto ricevimento (email, raccomandata a.r., fax).

Nelle società che fanno appello al mercato del capitale di rischio, l’avviso di convocazione deve essere
pubblicato almeno 30 giorni prima dell’adunanza sul sito internet della società, osservando anche altre
forme di pubblicità stabilite dalla Consob per la diffusione di informazioni regolamentate. Termini diversi
sono previsti dalla legge per particolari delibere. Le stesse forme sono previste per la pubblicazione
dell’integrazione dell’odg su richiesta della minoranza, la quale deve avvenire almeno 15 giorni prima
dell’adunanza.

L’AVVISO DI CONVOCAZIONE deve indicare il giorno, l’ora e il luogo della convocazione, nonché l’ordine del
giorno (materie da trattare) e le ulteriori indicazioni fissate dall’art.125 bis comm4 del TUF. L’avviso può
contemplare anche la data della seconda convocazione, che deve avvenire entro 30 giorni dalla prima, in
mancanza della quale occorrerà un secondo avviso con lo stesso odg da pubblicare 8 giorni prima
dell’adunanza (10 se la società fa appello al mcr). L’ordine del giorno fissa gli argomenti da trattare e su cui
si può deliberare all’interno dell’assemblea, fungendo da limite alla deliberazione su argomenti diversi. E’
normale, tuttavia, che possano essere adottate anche delibere “strettamente consequenziali ed accessorie”
rispetto a quelle all’ordine del giorno (esempio: se all’ordine del giorno è prevista la revoca degli
amministratori, ovviamente si può deliberare anche sulla nomina dei nuovi).

Particolare è il caso dell’ASSEMBLEA TOTALITARIA: in questa ipotesi non vi è alcuna convocazione, ma


l’assemblea si ritiene regolarmente costituita data la presenza di TUTTI i soci con diritto di intervento,
rappresentanti l’intero capitale sociale, e la partecipazione della MAGGIORANZA dei componenti degli
organi amministrativi e di controllo, nonché del rappresentante comune degli azionisti di risparmio e degli
obbligazionisti (agli assenti va data tempestiva comunicazione delle deliberazioni assunte). Tuttavia, quella
dell’assemblea totalitaria è una competenza che potremmo definire “instabile e incerta, in quanto qualora
un singolo socio si opponga, all’interno dell’assemblea totalitaria, alla discussione di un argomento del quale
non si ritiene adeguatamente informato, non si può deliberare su quel punto.

Costituzione dell’assemblea. Validità delle deliberazioni

Per QUORUM COSTITUTIVO si intende la parte del capitale sociale che deve essere necessariamente
rappresentata nell’assemblea affinché la stessa sia validamente costituita.
Per QUORUM DELIBERATIVO si intende la parte del capitale sociale che si deve esprimere a favore di una
determinata deliberazione/decisione affinché questa sia approvata.

Nel computo del quorum “costitutivo” non si tiene conto delle azioni ISTITUZIONALMENTE PRIVE del diritto
di voto (es. azioni di risparmio, azioni a voto limitato o di godimento senza voto), mentre vanno conteggiate
quelle per cui il voto è OCCASIONALMENTE SOSPESO (azioni di soci in conflitto di interessi, azioni di società
controllate, quelle del socio moroso, quelle per cui è stata omessa la comunicazione di cui all’art.120 TUF
ecc.), che però non vengono computate ai fini del quorum deliberativo (quindi la maggioranza necessaria
per l’approvazione si riduce). Per le azioni “proprie” vedi pag. 37. Anche le azioni di chi si ASTIENE dal voto
volontariamente vengono computate per il quorum deliberativo (salvo il caso di conflitto di interessi).

Sono previsti quorum DIVERSI per l’assemblea ordinaria e per quella straordinaria.
L'assemblea ORDINARIA in PRIMA convocazione è regolarmente costituita con la presenza di almeno la
META’ del capitale sociale e delibera a maggioranza ASSOLUTA delle azioni che hanno preso parte alla
votazione, conteggiando anche gli astenuti come voto contrario. In SECONDA convocazione non è previsto
un quorum costitutivo e l'assemblea delibera a maggioranza ASSOLUTA delle azioni dei votanti (art.2369
comma 3 I parte c.c.).

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Riguardo all’assemblea STRAORDINARIA, invece, la disciplina varia a seconda che la società faccia ricorso o
meno al mercato del capitale di rischio.

Società che NON fanno appello al mcr: in prima convocazione non è previsto esplicitamente un quorum
costitutivo. Tuttavia l'assemblea delibera con il voto favorevole di tanti soci che rappresentano PIU’ DELLA
META’ del capitale sociale (non solo del capitale intervenuto in assemblea) ed è quindi necessario che gli
azionisti intervenuti rappresentino almeno tale quota (quorum costitutivo indiretto: metà del capitale
sociale). In seconda convocazione, l'assemblea è regolarmente costituita con la partecipazione di OLTRE 1/3
del capitale sociale e delibera con il voto favorevole dei 2/3 del capitale RAPPRESENTATO in assemblea (per
determinate materie, come la modifica dell’oggetto sociale, lo scioglimento anticipato, la trasformazione, la
revoca dello stato di liquidazione e l’emissione di azioni senza diritto di voto, il voto favorevole deve
superare 1/3 del capitale sociale, NON di quello rappresentato, ma dell’intero capitale).

Società che fanno ricorso al mcr: in prima convocazione occorre la presenza di ALMENO LA META’ del
capitale sociale, mentre in seconda convocazione occorre OLTRE 1/3 del capitale sociale (quorum
costitutivi). L'assemblea straordinaria DELIBERA con maggioranza di ALMENO i 2/3 del capitale
RAPPRESENTATO, SIA IN PRIMA CHE IN SECONDA CONVOCAZIONE. Sono venute meno le maggioranze
rafforzate previste, prima del 1998, per le delibere di particolare importanza, con l’eccezione dell’esclusione
del diritto di opzione, per cui occorre più della metà del capitale sociale (non solo di quello rappresentato) in
ogni convocazione.

L’autonomia statutaria può prevedere SOLO maggioranze più elevate per l’assemblea ordinaria di prima
convocazione e per l’assemblea straordinaria, mentre per l’assemblea ordinaria di seconda convocazione lo
statuto può prevedere delle maggioranze più elevate MA non per le delibere essenziali inerenti
l’approvazione del bilancio e la nomina delle cariche sociali (al fine di evitare la paralisi del potere
decisionale sul funzionamento essenziale della società).

Neanche lo statuto, però, può prevedere il consenso unanime dei soci o maggioranze tanto elevate da
equivalere all’unanimità, che rischierebbero di paralizzare la vita della società. Lo statuto, infine, può
prevedere ulteriori convocazioni oltre la seconda (terza, quarta ecc.), tanto dell’assemblea ordinaria quanto
di quella straordinaria, alle quali si applicano le disposizioni previste per la seconda convocazione. Per le
convocazioni oltre la seconda dell’assemblea STRAORDINARIA delle società che fanno ricorso al mcr il
quorum costitutivo si riduce ad almeno 1/5 del capitale sociale, fermo restando il quorum deliberativo di
almeno i 2/3 del capitale RAPPRESENTATO in assemblea.

Nelle SOLE società che fanno appella al mercato del capitale di rischio, inoltre, il D.lgs.27/2010 ha previsto
che lo STATUTO possa sostituire le “diverse convocazioni con quorum progressivamente ridotti” con
un’UNICA CONVOCAZIONE alla quale applicare direttamente le maggioranze più basse, ossia quelle richieste
per l’assemblea ordinaria di seconda convocazione e per quella straordinaria nelle convocazioni successive
alla seconda. Cosicché, nelle società con forte ASSENTEISMO dei soci si evitano le prime convocazioni
deserte, risparmiando tempo per l’approvazione delle delibere, oltre che costi (CONVOCAZIONE UNICA di
cui all’art.2369 comma 1 c.c.).

La legge può prevedere deroghe alla disciplina generale nell’interesse delle società (per le SICAV, per
esempio, sono stati eliminati i quorum costitutivi dell’assemblea ordinaria di prima convocazione e di quella
straordinaria di seconda convocazione). Riproduco, qui sotto, le tabelle presenti sul testo, MOLTO UTILi ai
fini dell’esame

QUORUM ASSEMBLEARI (artt.2368-2369)

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STRAORDINARIA

ORDINARIA Società chiuse Società che


fanno appello
al mercato

PRIMA Costitutivo: 50% del Costitutivo: / Cost.: 50% del


CONVOCAZION capitale capitale
E Deliberativo:
Deliberativo: 50% + 1 50% + 1 del Deliberativo:
del capitale capitale. 2/3 del
rappresentato in capitale
assemblea. * rappresentato
Innalzabile in assemblea. *
Innalzabile.
Innalzabile

SECONDA Costitutivo: / Costitutivo: 1/3 + 1 del capitale.


CONVOCAZION
E Deliberativo: 50% + 1 Deliberativo: 2/3 del capitale
del capitale rappresentato in assemblea. *
rappresentato in Innalzabile
assemblea. *
Quorum speciali:
Innalzabile, tranne che - Oltre 1/3 del capitale (solo x società
per l’approvazione del chiuse): modifica oggetto sociale,
bilancio e per la trasformazione, scioglimento anticipato,
nomina/revoca delle proroga, revoca liquidazione,
cariche sociali. trasferimento sede all’estero, emissione
di azioni a voto limitato;
- Oltre la metà del capitale: esclusione del
diritto di opzione nei casi di cui
all’art.2441;
- 2/3 capitale: introduzione/soppressione
clausola compromissoria;
- Trasformazione eterogenea (2/3 aventi
diritto + consenso soci che acquistano
responsabilità illimitata).

CONVOCAZIONI Si applicano le regole Si applicano le Costitutivo:


SUCCESSIVE della seconda regole della 20% del
(FACOLTATIVE) convocazione. seconda capitale.
convocazione. Deliberativo:
2/3 del
capitale
rappresentato
in assemblea.
*

Innalzabile

* Non si tiene conto delle azioni a voto sospeso e dei soci astenuti per conflitto d’interessi.

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Opzione per l’assemblea a convocazione unica (art.2369 comma 1) SOLO per le società che fanno ricorso
al mercato del capitale di rischio

ORDINARIA STRAORDINARIA

CONVOCAZION Costitutivo: / Costitutivo: 20% del capitale.


E UNICA
Deliberativo: 50% + 1 del capitale Deliberativo: 2/3 del capitale
rappresentato in assemblea. * rappresentato in assemblea. *

Innalzabile, tranne che per Innalzabile.


l’approvazione del bilancio e le
nomina/revoca delle cariche Quorum speciali: IDENTICI al
sociali. sistema a pluralità di
convocazioni

* Non si tiene conto delle azioni a voto sospeso e del capitale rappresentato da chi si è astenuto per
conflitto di interessi.

Svolgimento dell’assemblea. Verbalizzazione

L’assemblea è presieduta dalla persona indicata nello statuto o, nel silenzio dello stesso, eletta con il voto
della maggioranza dei presenti (si tratta di una maggioranza “per teste” e non per capitale). E’ assistito da
un segretario designato nello stesso modo, il quale non è necessario quando il verbale è redatto da un
notaio (art.2371 c.c.).

Il presidente dirige i lavori dell’assemblea, facendo in modo che si svolgano in modo ordinato e nel rispetto
del regolamento approvato dalla stessa adunanza o previsto statutariamente, verifica la legittimazione ad
intervenire dei soci presenti e la loro identità, dichiara aperta e chiusa la seduta, pone in discussione gli
argomenti all’ordine del giorno, mette in votazione le proposte e ne proclama i risultati, occupandosi anche
di impedire la partecipazione alla riunione di soggetti non legittimati o di escludere dalle votazioni chi non
ha diritto di voto, tutte vicende di cui occorre dar conto nel verbale. Questi sono tutti POTERI PROPRI del
presidente, attribuiti allo stesso dalla legge o dallo statuto. Accanto ad essi, però, vi sono i cosiddetti POTERI
DERIVATI, non regolati dalla legge e rimessi alla discrezionalità dell’assemblea: stiamo parlando delle scelte
inerenti il sistema di votazione, lo scioglimento della riunione e la sua sospensione, tutte ipotesi in cui il
presidente funge da interprete della volontà assembleare e pertanto ogni intervenuto può sollecitare un suo
intervento in materia.

Anche il dibattito in assemblea è gestito dal presidente, che può prevedere un tetto temporale massimo per
ogni intervento o togliere la parola ai soci che si dilungano eccessivamente, proprio al fine di garantire il
corretto svolgimento della riunione e la possibilità di addivenire ad una decisione.

Al presidente può essere richiesto, e da egli deve essere concesso, il “rinvio” dell’adunanza di non oltre 5
giorni, da parte di tanti soci rappresentanti 1/3 del capitale sociale presente in assemblea, al fine di
consentire agli stessi di informarsi sugli argomenti posti in discussione, diritto che può essere esercitato una
sola volta per lo stesso oggetto. In realtà, gli azionisti possono anche porre domande sull’ordine del giorno,
prima e durante l’assemblea, ma gli amministratori non sono tenuti a fornire informazioni ulteriori rispetto a
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quelle dovute per legge, se non nei limiti di quanto “necessario” per consentire agli azionisti l’esercizio
“consapevole” del voto. Tuttavia, col tempo si sono moltiplicate le norme volte ad assicurare l’informazione
pre-assembleare in occasione di delibere di particolare rilievo (pensiamo all’approvazione del bilancio),
imponendo agli amministratori di depositare presso la sede sociale specifici documenti informativi, che nelle
società che fanno ricorso al mcr devono addirittura essere pubblicati sul sito internet della società.
Nell’ipotesi di convocazione o integrazione dell’odg su richiesta della minoranza la relazione è predisposta
dagli stessi soci.

La scelta dei sistemi di votazione è LIBERA, sebbene non sia concepibile il voto segreto, in quanto non
sarebbe possibile individuare i soci in conflitto di interessi e quelli dissenzienti ai fini dell’impugnazione della
delibera e del recesso.

La delibera deve essere accompagnata dal VERBALE, redatto dal segretario o dal notaio (è necessario che sia
redatto da quest’ultimo per le assemblee straordinarie), il quale viene trascritto nel libro delle adunanze e
delle deliberazioni assembleari, tenuto dagli amministratori. Non c’è bisogno che il verbale venga redatto
contestualmente all’assemblea, ma occorre comunque la stesura senza ritardo. Esso deve indicare la data
dell’adunanza, le materie affrontate, l’identificazione dei soci partecipanti ed il capitale rappresentato, il
risultato delle votazioni e l’identificazione di soci favorevoli, astenuti o dissenzienti.

Il diritto di intervento. Il diritto di voto

Il diritto di INTERVENTO in assemblea compete a tutti coloro ai quali “spetta il diritto di voto”, ossia azionisti
con diritto di voto e soggetti legittimati alla votazione pur non essendo soci, come i titolari di diritti frazionari
(usufruttuario e creditore pignoratizio). Anche i soci con voto “sospeso”, essendo computati per i quorum
costitutivi, possono prendere parte all’assemblea, diversamente dagli azionisti senza diritto di voto (es.
azionisti di risparmio), eccezion fatta per il socio che ha dato le proprie azioni in usufrutto o pegno.
All’assemblea prendono parte anche i membri degli organi di amministrazione e controllo e ai
rappresentanti degli azionisti di risparmio, degli obbligazionisti e dei titolari di strumenti finanziari di
partecipazione ad uno specifico affare.

L’accertamento del diritto di intervento in assemblea, a partire dal d.lgs.27/2010, avviene diversamente a
seconda che si tratti di società NON quotate o società le cui azioni sono negoziate in mercati di strumenti
finanziari: nelle prime la titolarità del diritto di voto (e quindi d’intervento) deve sussistere nel giorno stesso
dell’adunanza e va dimostrata esibendo all’ingresso il certificato azionario o, nell’ipotesi di azioni
dematerializzate o inserite in un sistema di gestione accentrata, tramite una comunicazione alla società
dell’intermediario. Lo statuto può contemplare misure volte ad impedire l’alienazione delle azioni in
prossimità dell’assemblea, al fine di evitare cambi di maggioranza a sorpresa o manovre speculative,
prevedendo il deposito dei titoli presso la società entro un certo termine e vietando contestualmente il ritiro
degli stessi prima dell’adunanza oppure, per le azioni dematerializzate o in gestione accentrata, prevedendo
che le stesse non siano cedute fino alla chiusura dell’assemblea una volta registrato il soggetto a cui spetta il
diritto di voto entro un certo termine, non superiore a 2 giorni feriali nelle società con azioni diffuse tra il
pubblico in misura rilevante (che fanno quindi ricorso al mercato del capitale di rischio).

Nelle società quotate, invece, accanto alle esigenze di organizzazione per tempo delle operazioni
assembleari e di prevenzione di manovre speculative, nasce anche l’interesse degli investitori a continuare
ad operare sulle azioni, motivo per cui il diritto di intervento spetta, immodificabilmente, a chi NEL SETTIMO
GIORNO FERIALE PRECEDENTE L’ADUNANZA IN PRIMA O UNICA CONVOCAZIONE risulti, nei conti degli
intermediari che provvedono a darne comunicazione alla società, titolare del diritto di voto (SISTEMA DELLA
DATA DI REGISTRAZIONE). Anche dopo tale data le azioni sono ALIENABILI, ma legittimato al voto resta
l’alienante e NON in qualità di rappresentante dell’acquirente, bensì sulla base della precedente
legittimazione, mentre chi ha acquistato le azioni risulta come ASSENTE all’assemblea e pertanto legittimato
al diritto di recesso o all’impugnazione della delibera.
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Lo statuto può prevedere l’intervento in assemblea tramite mezzi di telecomunicazione, così come il voto
per corrispondenza (il socio si considera intervenuto in assemblea), le cui modalità di esercizio sono dettate
dallo statuto oppure dalla Consob per le società che fanno ricorso al mcr, anche se permangono, in dottrina,
delle perplessità inerenti questa modalità.

Segue: La rappresentanza in assemblea

Gli azionisti possono partecipare alle assemblee direttamente o tramite un rappresentante: a tal proposito è
prevista una disciplina legislativa valida per tutte le società per azioni di cui all’art.2372 c.c., con l’aggiunta di
ulteriori limiti per le società non quotate, ed una disciplina alternativa alla prima per le sole società quotate
contemplata nel Tuf.

Partiamo col dire che i soggetti con diritto di voto (azionisti o altri legittimati) possono farsi rappresentare
nell’assemblea. Nelle società che NON fanno ricorso al mcr, tuttavia, lo statuto può limitare o escludere tale
facoltà (prevedendo ad esempio una clausola che riservi SOLO ad altri soci la rappresentanza, limite che
opera anche quando al NON socio è stata conferita procura generale). La delega va conferita per iscritto,
anche se non NON deve obbligatoriamente risultare da scrittura privata autenticata, e la società deve
conservare i relativi documenti. NON può essere rilasciata col nome IN BIANCO del rappresentante, il quale
a sua volta può farsi sostituire SOLO se la delega lo prevede (nelle società non quotate va indicato anche il
nome del sostituto). Società ed enti possono delegare SOLO dipendenti o collaboratori. La delega è sempre
revocabile.

ULTERIORI limitazioni sono previste per le SOLE società NON quotate: anzitutto vi sono dei DIVIETI
SOGGETTIVI, dal momento che la rappresentanza non può essere conferita a soggetti che, direttamente o
indirettamente, sono sotto l’influenza del gruppo di comando, ossia membri degli organi di gestione e
controllo, dipendenti della società, società controllate o soggetti espressione di queste ultime
(amministratori, dipendenti, membri dell’organo di controllo), così come società di revisione, mentre
diversamente che in passato oggi la rappresentanza può essere conferita alle banche. Sono previsti, altresì,
dei LIMITI NUMERICI ALLA RAPPRESENTANZA nelle società NON quotate: in quelle che NON fanno ricorso al
mcr un singolo soggetto NON può rappresentare più di 20 soci, mentre in quelle che vi fanno ricorso il limite
dei soci “rappresentabili” da un’unica persona cresce in funzione del valore del capitale sociale (non più di
50 se il capitale sociale è inferiore a 5 milioni di euro, non più di 100 se il capitale sociale è inferiore a 25
milioni di euro e non più di 200 se il capitale supera i 25 milioni).

La riforma del 2003 ha previsto che per le società che fanno ricorso al mcr la delega possa riguardare SOLO
la singola assemblea, anche nelle convocazioni successive alla prima, ma la norma non si applica nei casi in
cui sia stata conferita una procura generale o ad un proprio dipendente da parte di società ed enti.

Diversa è la disciplina per ciò che concerne le società quotate, introdotta nel ’98 e modificata dal
d.lgs.27/2010: anzitutto la delega può essere conferita anche per via elettronica, secondo modalità indicate
dallo statuto in conformità con un regolamento del Ministro della giustizia; se lo statuto non prevede
diversamente, la società deve per ciascuna assemblea designare un RAPPRESENTANTE ISTITUZIONALE a cui
gli azionisti possono conferire senza spese una delega su tutte o alcune proposte all’odg, con ISTRUZIONI
SPECIFICHE DI VOTO, da conferire entro il SECONDO giorno di mercato antecedente alla data fissata per la
prima o unica convocazione dell’adunanza e irrevocabile dopo tale momento: il rappresentante potrà
discostarsi dalle istruzioni del delegante laddove lo richiedano circostanze sopraggiunte di rilievo e non
comunicabili all’azionista; sono venuti meno, infine, i limiti quantitativi al cumulo delle deleghe da parte
dello stesso rappresentante, così come i limiti soggettivi. Tanto il rappresentante designato dal socio,
quanto quello indicato dalla società, devono tuttavia comunicare PER ISCRITTO al socio le circostanze da cui
deriva una condizione di “conflitto di interessi”, in quanto in tal caso la procura indicherà specifiche
istruzioni di voto per ogni delibera: tale obbligo riguarda soprattutto soggetti da considerarsi in ogni caso in
conflitto di interessi, quali i membri degli organi amministrativi e di controllo, nonché i dipendenti della
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società e il soggetto incaricato del controllo, società controllanti, controllate o collegate o soggetti a loro
legati dai suddetti rapporti. In sostanza, ai divieti soggettivi di rappresentanza si sostituisce nelle società
quotate il principio di TRASPARENZA delle situazioni di conflitto di interessi, affinché vi sia un conferimento
CONSAPEVOLE della delega.

Nelle società quotate, inoltre, sono espressamente disciplinati due istituti: quello della “sollecitazione” e
quello della “raccolta delle deleghe”.

La SOLLECITAZIONE è la richiesta di conferimento di deleghe di voto rivolta da uno o più soggetti, definiti
come PROMOTORI, a più di 200 azionisti (soci con diritto di voto) su specifiche proposte di voto o
accompagnata da raccomandazioni, dichiarazioni o altre indicazioni idonee a influenzarne il voto. Può avere
ad oggetto anche solo alcuni argomenti all’odg (quindi essere parziale). La sollecitazione va effettuata
mediante la diffusione di un PROSPETTO e di un MODULO DI DELEGA, il cui contenuto è fissato dalla Consob
(un avviso contenente i dati essenziali della sollecitazione, oltre che il prospetto e il modulo, vanno
trasmessi dai promotori alla società emittente, che lo pubblica sul proprio sito internet, alla Consob, che può
chiederne l’integrazione, nonché alla società di gestione del mercato). La delega può essere conferita SOLO
per singole assemblee già convocate e non può essere rilasciata in bianco, dovendo indicare nome del
delegato, istruzioni di voto, data e sottoscrizione del delegante. La delega può avere ad oggetto anche
specifiche proposte di voto o materie all’odg, indicate nel modulo: è il promotore a decidere SE accettare o
meno deleghe non conformi alle proprie proposte, comunicandolo nel prospetto (se è la stessa società ad
avere dato luogo alla sollecitazione, essa dovrà accettare ANCHE deleghe difformi dalla proposta). Le azioni
per cui è stata conferita delega parziali vengono computate per i quorum costitutivi MA NON per quelli
deliberativi in riferimento ad argomenti per cui non è stata data indicazione del voto. Il voto viene esercitato
dal promotore o da suo sostituto indicato nel modulo di delega. La violazione della suddetta disciplina
espone a sanzioni pecuniarie ed incide sulla validità della delibera.

La RACCOLTA DI DELEGHE, invece, è la richiesta di conferimento di deleghe di voto effettuata da associazioni


di azionisti nei confronti dei propri associati, la quale non costituisce “sollecitazione”, nemmeno nell’ipotesi
in cui sia accompagnata da dichiarazioni o raccomandazioni idonee ad influenzare il voto (questo non
significa che l’associazione non possa farsi promotrice di sollecitazioni nei confronti di soggetti NON
associati, ma in tal caso soggiacerà alle norme che abbiamo già descritto e gli associati non rientreranno nel
computo dei 200 soggetti a cui la sollecitazione deve essere rivolta). Le associazioni fra azionisti possono
essere LIBERAMENTE costituite tramite scrittura privata autenticata, ma per l’esonero dalla disciplina della
sollecitazione occorre che le stesse siano composte da almeno 50 PERSONE FISICHE, ognuna delle quali deve
essere titolare (o quanto meno avere il diritto di voto) di un quantitativo di azioni non superiore allo 0,1%
del capitale sociale.

Limiti all’esercizio del voto. Il conflitto di interessi

Esercitando il diritto di voto, il singolo socio non fa altro che concorrere alla formazione della volontà sociale
proporzionalmente al numero di azioni possedute, ma è sempre la maggioranza, al di là dei quorum
richiesti, a prendere le decisioni.

Ovviamente, però, il socio è tenuto a votare nell’interesse della società e le deliberazioni assembleari sono
annullabili SOLO nell’ipotesi in cui la maggioranza sia ispirata da interessi extra-sociali, con danno, anche
solo potenziale, per la società stessa.

L’interesse sociale, dunque, funge da LIMITE alla libertà d’espressione del voto, anche se la maggioranza
non è tenuta a conformare le proprie decisioni ad un interesse sociale astrattamente predeterminato, sia
che si concepisca l’interesse sociale come interesse comune dei soci all’esercizio di un’attività economica a
scopo di lucro, come prevede la TEORIA CONTRATTUALE, sia che si concepisca l’interesse sociale come

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interesse dell’impresa come tale, superiore e diverso dall’interesse dei soci, come prevede la TEORIA
ISTITUZIONALE.

E ciò è riscontrabile nella disciplina del conflitto di interessi, di cui all’art.2373 del codice: si ha CONFLITTO DI
INTERESSI nel momento in cui il socio, per conto proprio o di terzi, persegue un interesse personale
contrastante con quello della società (esempio: la delibera riguarda l’acquisto di un’immobile appartenente
al socio). Se in passato era prevista l’impossibilità di votare, oggi il socio può liberamente decidere se
esprimere il proprio voto oppure astenersi, in quanto la delibera risulta ANNULLABILE nella sola ipotesi in
cui “il voto del soggetto sia stato determinante” (prova di resistenza) e “la delibera possa recare un danno
alla società” (danno potenziale); in tutti gli altri casi la delibera è del tutto valida ed inattaccabile, motivo per
cui possiamo affermare che “nulla impedisce al socio di perseguire con la delibera un proprio interesse
personale, purché non in contrasto con quello sociale”.

Il comma 2 dell’art.2373 c.c. prevede, poi, due ipotesi tipiche ma non esclusive di conflitto di interessi da
parte di amministratori e soci componenti del consiglio di gestione, ai quali è fatto espresso divieto,
rispettivamente, di votare nelle deliberazioni inerenti le azioni di responsabilità nei propri confronti (x gli
amministratori) e di votare nelle deliberazioni inerenti la nomina, la revoca o la responsabilità dei consiglieri
di sorveglianza.

Possiamo riscontrare, però, delle ipotesi in cui una decisione viene presa dalla maggioranza dei soci non al
fine di trarne un beneficio arrecando un danno alla società, ma arrecando un danno agli altri soci di
minoranza: la decisione, per esempio, prevede l’aumento del capitale sociale al solo fine di ridurre la quota
di partecipazione dei soci minoritari che non possono sottoscriverne l’aumento, oppure riguarda lo
scioglimento anticipato della società per costituirne un’altra senza un determinato socio. Tutte azioni,
quindi, poste in essere per allontanare uno o più soci in particolare. In tal caso, in alcun modo può essere
invocato l’articolo 2373, in quanto la società al massimo può ricevere un beneficio da determinate azioni del
genere (come nell’esempio dell’aumento di capitale), ma MAI un danno.

Giurisprudenza e dottrina, in tutti modi, hanno voluto tutelare i soci di minoranza, prevedendo che in tal
caso si configuri un ABUSO DEL DIRITTO DI VOTO A DANNO DEI SOCI MINORITARI, anche se è necessario, da
parte di chi l’ha subito, dimostrare che la delibera abbia avuto il solo scopo di ledere, arbitrariamente e
fraudolentemente, i diritti dei soci diversi da quelli di maggioranza, il che non è semplice.

In altri casi, infine, si può avere anche un ABUSO DELLA MINORANZA, la quale può fare ostruzionismo, per
esempio, nel dibattito assembleare o abusare del diritto di convocazione, paralizzando di fatto la vita della
società: in tale ipotesi è previsto il risarcimento dei danni da parte dei soci minoritari, sia nei confronti della
società, sia nei confronti dei partecipanti agli organismi di investimento collettivo qualora si tratti di azionisti
investitori istituzionali, che devono agire nel solo interesse dei primi, oltre al fatto che vi può essere
annullamento del voto contrario della minoranza nel caso in cui sia stato determinante per bloccare la
maggioranza.

I sindacati di voto

I SINDACATI DI VOTO sono patti parasociali, veri e propri accordi, in forza dei quali più soggetti decidono di
concordare preventivamente il modo in cui votare all’interno dell’assemblea.

Può trattarsi di sindacati di voto OCCASIONALI o PERMANENTI, ed in questo secondo caso possono essere A
TEMPO DETERMINATO O INDETERMINATO, nonché TOTALI, qualora riguardino tutte le delibere
assembleari, o PARZIALI, nell’ipotesi in cui riguardino solo determinate votazioni (esempio: nomina degli
amministratori).

Il modo in cui votare può essere stabilito all’UNANIMITA’ o a MAGGIORANZA ed il sindacato di voto può
configurarsi come una vera e propria associazione non riconosciuta, con un proprio apparato organizzativo.
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Sono gli stessi soci sindacati o un loro comune rappresentante (direttore del sindacato), al quale hanno
rilasciato le proprie deleghe, ad esprimere i voti in assemblea, ovviamente preventivamente concordati.

Tali sindacati, però, hanno aspetti positivi, permettendo al gruppo di comando di dare stabilità alle scelte
inerenti la società ed al gruppo minoritario di difendersi adeguatamente, ed aspetti negativi, potendo
causare la cristallizzazione del gruppo di controllo, il quale senza disporre della maggioranza del capitale,
può comunque determinare la maggioranza richiesta, ai fini del voto, nelle assemblee, eludendo in un certo
senso il principio maggioritario, in quanto la decisione viene presa prima delle assemblee stesse, che rimane
solo formalmente rispettato.

Tuttavia, essendo un patto tra soci, il sindacato di voto ha effetto solo tra gli stessi, non essendo rilevante
per la società che un socio si sia discostato dall’indirizzo di voto concordato preventivamente. Al contrario il
sindacato di voto produce effetti negativi per la società nel momento in cui vi è conflitto di interessi tra uno
o più soci e la società: in tal caso dei voti sindacati occorre tener conto quando occorre valutare, a norma
dell’art.2373 c.c., la “prova di resistenza”, ossia quanto il voto sindacato sia stato determinante nella
delibera comportante un danno potenziale alla società.

Si è discusso molto, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, sulla liceità e sulla validità dei sindacati di
voto: l’autore Campobasso, in realtà, sottolinea come la libertà di votare in un determinato modo sia
propria del soggetto, il quale può addirittura “vendere” un proprio voto in cambio di un beneficio
economico, in quanto ciò non tocca in alcun modo il funzionamento delle maggioranze previste dalla legge
al fine di assumere le delibere. Ciò che conta, continua l’autore, è la “trasparenza delle situazioni di potere”
che i sindacati concorrono a determinare ed è proprio in questa prospettiva che il legislatore delle riforme
del 1998 e del 2003 si è mosso, regolando la durata dei sindacati di voto e assicurandone la pubblicità.

I patti parasociali, anzitutto, non devono rispettare alcuna forma specifica. Qualora siano a tempo
determinato, però, non possono avere durata superiore a 5 anni (3 per le società quotate), sebbene
rimangano rinnovabili alla scadenza (qualsiasi termine superiore, in ogni caso, viene riportato a 5 o a 3 anni).
I patti a tempo indeterminato possono essere stipulati, ma è previsto il recesso con un preavviso di 180
giorni. E’ contemplato anche il recesso senza preavviso, anche in caso di patti a tempo determinato,
sebbene SOLO nell’ipotesi in cui gli azionisti intendano aderire ad un’opa totalitaria o ad un’offerta
preventiva parziale (il recesso ha luogo solo se si perfeziona il trasferimento delle azioni). I limiti di durata
non si applicano ai “patti strumentali ad accordi di collaborazione nella produzione e nello scambio di beni
o servizi e relativi a società non quotate interamente possedute dai partecipanti all’accordo”, proprio per
favorire accordi consortili di lunga durata.

Per quanto riguarda, invece, la pubblicità di tali accordi, occorre sottolineare che essa vale solo per le
società con azionariato diffuso tra il pubblico, con una diversa disciplina a seconda che la società sia quotata
o meno.

Se si tratta di società NON quotate che fanno appello al mercato del capitale di rischio, i patti parasociali
devono essere comunicati alla società e dichiarati in apertura di ogni assemblea, oltre che trascritti nel
verbale di assemblea, poi depositato presso l’ufficio del registro delle imprese. L’omessa dichiarazione
(occhio, non la comunicazione alla società) rende impugnabile la delibera e sospende il diritto di voto per le
azioni a cui il patto si riferisce.

Se si tratta, invece, di società quotate (o loro controllanti) i sindacati di voto e gli altri patti parasociali
devono essere comunicati, entro 5 giorni dalla stipulazione, alla Consob ed alla società quotata, pubblicati
per estratto sulla stampa quotidiana e depositati presso il registro delle imprese del luogo dove ha sede la
società, mentre non occorre la dichiarazione in apertura di assemblea: in caso di violazione di tali norme i
patti sono NULLI, si va incontro a sanzioni pecuniarie ed i soci aderenti sono liberi di votare come credono.
Per le sole società quotate, escluse le controllanti non quotate, si ha anche sospensione del diritto di voto

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relativo alle azioni sindacate e la delibera è impugnabile, anche dalla Consob, se adottata con voto
determinante di tali azioni.

Non è prevista alcuna forma di pubblicità per le società chiuse, ossia quelle che non fanno appello al
mercato del capitale di rischio.

Le deliberazioni assembleari invalide

In forza del dettato legislativo del codice del ’42 le delibere assembleari potevano essere NULLE o
ANNULLABILI: la nullità, però, veniva vista come sanzione eccezionale, da applicare nella sola ipotesi di
delibera avente oggetto impossibile o illecito; nel caso di vizi procedurali si aveva la semplice annullabilità
della delibera, da impugnare entro 3 mesi altrimenti non più contestabile. Se questo era il detto del codice,
però, la giurisprudenza, al fine di tutelare la posizione dei soci di minoranza, il più delle volte assenteisti e
disinteressati, aveva dato luogo ad una terza categoria di invalidità, quella delle delibere INESISTENTI, che si
configuravano nel caso in cui il vizio di procedimento fosse stato tanto grave da non poter parlare di
delibera invalida, ma di NON DELIBERA, ossia inesistente del tutto per mancanza dei requisiti minimi.
Tuttavia, ad un sistema di certezza del diritto si era sostituito un sistema giurisprudenziale di incertezza,
volto a valutare caso per caso se si trattasse di una delibera nulla, annullabile o inesistente.

La riforma del 2003 ha eliminato la terza categoria di cui abbiamo parlato, riconducendo le varie fattispecie
all’interno della nullità o dell’annullabilità.

Partiamo dall’annullabilità, che è sempre la REGOLA in tema di deliberazioni non conformi alla legge o allo
statuto, mentre la nullità è prevista in soli tre casi tassativi previsti dall’art.2379 c.c.

Rientrano nella categoria delle delibere annullabili, un tempo considerate inesistenti, quelle in cui vi è stata
partecipazione di persone non legittimate (azionisti senza voto), MA solo laddove tale partecipazione abbia
determinato l’irregolarità della costituzione dell’assemblea (prova di resistenza); quelle in cui siano stati
conteggiati erroneamente voti invalidi, determinanti per il raggiungimento della maggioranza; e le delibere il
cui verbale risulti incompleto o inesatto, quanto impediscono l’accertamento di effetti e contenuto delle
delibere stesse.

L’impugnativa può essere proposta SOLO da soggetti individuati dalla legge: soci assenti, dissenzienti o
astenuti, amministratori, consiglio di sorveglianza e collegio sindacale, rappresentante comune degli
azionisti di risparmio ed in alcuni casi anche la Consob, la Banca d’Italia e l’ISVAP. Non compete, invece, tale
legittimazione ai soci che hanno votato a favore della delibera, a quelli titolari di azioni senza voto o ai terzi
creditori sociali. Non ogni socio con diritto di voto, tra l’altro, ha diritto ad impugnare la delibera: per le
società che fanno appello al mercato del capitale di rischio, possono impugnare la delibera SOLO gli azionisti
rappresentanti l’UNO PER MILLE del capitale sociale, mentre nelle società che non fanno appello al mercato
del capitale di rischio occorre la rappresentanza del 5% del capitale, sempre che lo statuto non preveda
riduzioni od esclusione di tale requisito.

Ai soci non legittimati all’impugnativa compete il risarcimento del danno per delibere non conformi alla
legge o all’atto costitutivo, sebbene essi debbano provare l’ammontare del danno, oltre che il nesso di
causalità.

L’impugnativa o l’azione di risarcimento vanno proposte entro 90 giorni dalla deliberazione o dalla sua
eventuale iscrizione nel registro delle imprese, termine allungato a 180 giorni per Consob, Banca d’Italia e
ISVAP.

L’azione di annullamento va esperita dinanzi al tribunale del luogo in cui ha sede la società e non è più
necessario, diversamente che in passato, il deposito di almeno un’azione, mentre è fondamentale che
l’impugnante dimostri il possesso delle azioni al tempo dell’impugnazione e che lo mantenga durante il

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processo, altrimenti può aver luogo solo il risarcimento e non l’annullamento. Per evitare azioni volte a
danneggiare la società, il tribunale può prevedere che l’impugnante presti idonea garanzia per l’eventuale
risarcimento, così come è previsto che solo il tribunale possa prevedere la sospensione della delibera, non
sospesa dalla sola proposizione della domanda. Per evitare contrasti tra giudicati, le impugnative inerenti la
medesima delibera vanno istruite congiuntamente e decise con unica sentenza. Sono fatti salvi i diritti di
terzi acquistati in buona fede ed anche quelli acquistati in mala fede, qualora sia intervenuta una nuova
delibera volta a sanare i vizi della prima, la quale ha effetto sanante retroattivo, sicché il giudizio procede
solo inerentemente alle spese giudiziali.

Segue: Le deliberazioni nulle

Sempre al fine di esorcizzare la categoria delle delibere inesistenti, è stata ampliata la categoria delle
delibere nulle ed è stata ridisegnata la disciplina della nullità, alleggerendola e sempre privilegiando la
sopravvivenza delle delibere.

La nullità si ha nei soli tre casi contemplati dall’art.2379 del codice:

 Delibera con OGGETTO o CONTENUTO IMPOSSIBILE o ILLECITO, ossia contrario a norme imperative,
all’ordine pubblico ed al buon costume. Si ha nullità anche quando la delibera ha oggetto lecito (per
esempio approvazione del bilancio) ma contenuto illecito (esempio bilancio falso). Inoltre si ha nullità solo
se la delibera è contraria a “norme imperative che tutelano un interesse generale o lo stesso rapporto
esistente all’interno della società, o il patrimonio della stessa”, mentre la nullità non si produce, nonostante
la delibera sia illecita, qualora vengano violate norme imperative dettate a tutela del singolo socio o di
gruppi di soci”;
 MANCATA CONVOCAZIONE DELL’ASSEMBLEA: la convocazione, però, non è mancante e non produce
nullità della delibera nell’ipotesi di irregolarità dell’avviso che consente comunque di conoscere la data ed il
luogo dell’assemblea; allo stesso tempo non può esercitare l’azione di nullità che, anche in un secondo
momento, ha dato il proprio assenso alla svolgimento dell’assemblea nonostante la mancata convocazione;
 MANCANZA DEL VERBALE: il verbale non è “mancante” se contiene la data e l’oggetto della deliberazione,
oltre alla sottoscrizione del presidente dell’assemblea o del presidente del consiglio di amministrazione o
del consiglio di sorveglianza e del segretario/notaio incaricato della stesura. La nullità, nel caso di mancanza
del verbale, è sanata con effetto retroattivo se viene steso un verbale precedentemente alla successiva
assemblea.

La nullità delle delibere può essere fatta valere da “chiunque vi abbia interesse” e può essere rilevata
d’ufficio dal giudice. La delibera nulla è inefficace se non successivamente sanata per sostituzione con altra
delibera o decorrenza del termine di impugnazione: la delibera nulla, infatti, è impugnabile nel termine di 3
anni dall’iscrizione nel registro delle imprese o dall’iscrizione nel registro delle adunanze, differentemente
dall’azione di nullità dei contratti che è imprescrittibile, il che vale, in tema di delibere nulle, SOLO per quelle
che modificano l’oggetto sociale prevedendo attività illecite o impossibili.

La nullità della delibera non può essere dichiarata se essa viene sostituita da un’altra delibera conforme alla
legge; sono fatti, tra l’altro, salvi i diritti di terzi acquistati in buona fede.

Per le delibere aventi ad oggetto l’aumento o la riduzione del capitale sociale, così come per quelle inerenti
l’emissione di obbligazioni, il termine di decadenza è di 180 giorni (anche in caso di nullità per illiceità
dell’oggetto), mentre in caso di mancata convocazione di assemblee riguardanti il medesimo oggetto, il
termine è di 90 giorni dall’approvazione del bilancio.

Per le società che fanno appello al mercato del capitale di rischio, la delibera non può essere impugnata e
dichiarata nulla se è stata iscritta nel registro delle imprese l’attestazione riguardante l’aumento del capitale
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parzialmente eseguito. L’esecuzione parziale preclude la pronuncia di nullità anche delle deliberazioni
inerenti riduzione del capitale ed emissione di obbligazioni. Resta solo il diritto al risarcimento del danno
spettante a soci e terzi.

CAPITOLO NONO – AMMINISTRAZIONE

I sistemi di amministrazione e controllo

Grazie alla riforma del 2003, oggi sono previsti 3 diversi sistemi di amministrazione e controllo:

 Il sistema TRADIZIONALE, il quale prevede due organi di nomina assembleare, ossia l’organo
amministrativo (amministratore unico o consiglio di amministrazione) ed il collegio sindacale, con funzioni
di controllo del rispetto della legge e dello statuto da parte dell’amministrazione, ed un tempo anche di
controllo contabile.
 Il sistema DUALISTICO, in cui amministrazione e controllo sono esercitati da un CONSIGLIO DI
SORVEGLIANZA, nominato dall’assemblea e a cui spettano alcuni compiti che nel sistema tradizionale sono
affidati all’assemblea stessa (esempio: approvazione del bilancio), e da un CONSIGLIO DI GESTIONE,
nominato da quello di sorveglianza;
 Il sistema MONISTICO, in cui amministrazione e controllo sono esercitati rispettivamente dal CONSIGLIO DI
AMMINISTRAZIONE, di nomina assembleare, e da un COMITATO PER IL CONTROLLO SULLA GESTIONE, che
sorge all’interno del consiglio di amministrazione ed è composto da soggetti dotati di particolari requisiti di
indipendenza e professionalità: in tal caso, dunque, abbiamo un organo dentro l’altro (ecco perché il
sistema viene definito monistico).

In tutti e tre i sistemi è previsto un organo ESTERNO di controllo contabile, il REVISORE o SOCIETA’ DI
REVISIONE. Il sistema tradizionale viene adottato nel silenzio dello statuto, mentre gli altri due devono
essere previsti al momento della costituzione della società o con una modifica statutaria, avendo effetto, in
quest’ultima ipotesi, dalla data in cui viene convocata l’assemblea per l’approvazione del bilancio relativo
all’esercizio successivo.

Struttura e funzione dell’organo amministrativo

Nel sistema tradizionale, la società non quotata può avere tanto un AMMINISTRATORE UNICO, quanto
essere gestita da una pluralità di amministratori, costituenti il CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE, mentre
per le società quotate è necessaria, obbligatoriamente, la pluralità degli amministratori. Il numero dei
componenti del consiglio di amministrazione è liberamente determinabile dallo statuto, il quale può
prevedere anche le figure del COMITATO ESECUTIVO e degli AMMINISTRATORI DELEGATI.

Gli amministratori, in generale, sono coloro che si occupano IN VIA ESCLUSIVA della gestione della società e
sono chiamati a compiere tutte le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale.

Gli amministratori hanno:

 Il POTERE GESTORIO, in quanto deliberano su tutti gli argomenti inerenti la gestione della società che non
siano riservati dalla legge all’assemblea;
 Il POTERE DI RAPPRESENTANZA, dato che sono chiamati a manifestare all’esterno le decisioni prese dalla
società, ponendo in essere gli atti idonei a rappresentare tale volontà.

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Essi, inoltre, si occupano:

 Di convocare e fissare l’ordine del giorno dell’assemblea, dando attuazione alle delibere della stessa ed
impugnando quelle contrarie alla legge e all’atto costitutivo;
 Della tenuta dei libri e delle scritture contabili, oltre che di redigere annualmente il progetto di bilancio da
sottoporre all’approvazione dell’assemblea. Provvedono anche agli adempimenti pubblicitari;
 Di prevenire gli atti pregiudizievoli per la società e di rimuoverne/attenuarne le conseguenze.

Gli amministratori godono, dunque, di ampi poteri, riconosciuti agli stessi da norme di legge, inderogabili da
parte dell’assemblea o dello statuto. Godono di autonomia nei confronti degli altri organi, anche perché
sono chiamati a collaborare con essi, ma nello stesso tempo a vigilare sugli stessi. Sono civilmente e
penalmente responsabili per il loro operato, specialmente sotto il profilo civilistico nei confronti dei creditori
sociali, qualora vengano violate (da loro stessi o dalla società in generale) norme inerenti la salvaguardia
dell’integrità del patrimonio sociale.

Il rapporto di amministrazione non può essere configurato come un rapporto di mandato generale, data
l’autonomia ed i poteri previsti, oltre al fatto che essi sono attribuiti da norme inderogabili; tuttavia, non è
possibile neanche parificare gli amministratori agli imprenditori, perché essi gestiscono comunque
un’impresa altrui, oltre al fatto che vengono nominati e revocati dall’assemblea.

Il rapporto assemblea-amministratori

L’art.2364 n.5 del codice prevede che l’assemblea sia chiamata a decidere “…sulle autorizzazioni
eventualmente richieste dallo statuto per il compimento di atti degli amministratori, ferma in ogni caso la
responsabilità di questi per gli atti compiuti”. Allo stesso tempo l’art.2380-bis prevede che “La gestione
dell'impresa spetta ESCLUSIVAMENTE agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per
l'attuazione dell'oggetto sociale”.

Entrambe le norme, dunque, riconoscono a due organi diversi un potere gestorio: mentre nel caso
dell’assemblea, però, si tratta di una competenza DELIMITATA e SPECIFICA, riguardante in poche parole i soli
atti previsti dalla legge (come l’approvazione del bilancio o la nomina/revoca degli amministratori), nel caso
degli amministratori si tratta di una competenza GENERALE, ossia inerente tutti gli atti necessari non
riservati all’assemblea e utili per il conseguimento dell’oggetto sociale.

Il potere degli amministratori, di conseguenza, si configura come un potere PROPRIO e non derivato, tant’è
che essi non hanno bisogno in alcun modo di rivolgersi all’assemblea per svolgere il proprio compito,
neanche in caso di operazioni pericolose, né tanto meno l’assemblea può essere chiamata a rispondere, a
differenza degli amministratori, civilmente o penalmente dei danni arrecati al patrimonio sociale.

La competenza degli amministratori incontra solo il limite di quella assembleare nei casi previsti dalla legge,
ossia per le operazioni comportanti una sostanziale modifica della società stessa, del suo oggetto sociale.

La disciplina è inderogabile anche da parte dello statuto, il quale può al massimo prevedere l’autorizzazione,
da parte dell’assemblea, degli atti di gestione degli amministratori, su proposta degli stessi e senza a loro
sostituirsi, in quanto l’organo assembleare non può MAI avere competenza generale ed esclusiva su tali atti.
Tra l’altro l’autorizzazione non esonera gli amministratori dalle loro responsabilità, di fatto essendo possibile
per gli stessi non dare attuazione ad atti di gestione che li esporrebbero a tale responsabilità.

Nomina. Cessazione della carica

I primi amministratori sono nominati all’interno dell’atto costitutivo, mentre successivamente competente
alla nomina è l’assemblea ordinaria.

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Un componente indipendente del consiglio di amministrazione può essere nominato da coloro che
posseggono strumenti finanziari partecipativi. Allo stesso modo, nelle società che non fanno ricorso al
mercato del capitale di rischio, lo statuto può riservare ad enti pubblici o allo Stato la nomina di uno o più
amministratori o sindaci, in forza della partecipazione nel capitale sociale. Nelle società che fanno ricorso al
mercato del capitale di rischio, invece, allo Stato o agli enti pubblici può essere addirittura riservata
l’assegnazione di strumenti finanziari partecipativi, che comporta la nomina di un amministratore
indipendente e di un componente dell’organo di controllo. In queste due ipotesi gli amministratori sono
soggetti alla disciplina già esposta, sebbene possano essere revocati solo dagli enti pubblici che li hanno
nominati.

Le clausole statutarie non possono MAI prevedere che la nomina degli amministratori sia sottratta alla
competenza assembleare, così come non possono consentire un innalzamento dei quorum deliberativi
previsti per la nomina di tali cariche, mentre possono prevederne una riduzione.

Vi sono poi dei sistemi di votazione (voto di lista, voto scalare, voto limitato ecc.) ideati al fine di consentire
ai gruppi di minoranza una rappresentanza nel consiglio di amministrazione: nelle società quotate è
OBBLIGATORIO che la compagine minoritaria sia rappresentata da un proprio amministratore e a tal fine il
legislatore ha previsto l’adozione del VOTO DI LISTA, il quale prevede che vengano presentate delle liste di
candidati e che ogni socio possa votare per una sola lista; in conseguenza a ciò vengono nominati
amministratori (facenti parte del consiglio) coloro votati maggiormente in ciascuna lista. Per poter
presentare delle liste occorre una partecipazione minima al capitale sociale, la quale però non deve
superare il limite di UN QUARANTESIMO del capitale o la diversa misura fissata dalla Consob. Almeno un
componente del consiglio di amministrazione deve essere espressione della lista di minoranza che abbia
ottenuto il maggior numero di voti.

Il numero degli amministratori è fissato dallo statuto, il quale si può limitare a fissare numero massimo e
minimo, lasciando all’assemblea l’indicazione del numero preciso. Gli amministratori possono essere soci o
non soci, MA pur sempre persone fisiche, dotate dei requisiti di ONORABILITA’ fissati per i sindaci con
regolamento del Ministro per la giustizia. Almeno un componente del consiglio di amministrazione (due, se
il consiglio ha più di 7 membri) deve essere un AMMINISTRATORE INDIPENDENTE, chiamato a vigilare anche
sugli amministratori delegati, il quale deve essere in possesso dei requisiti di INDIPENDENZA fissati per i
sindaci e di ulteriori requisiti previsti dallo statuto. Specifici requisiti sono previsti per gli amministratori di
società assicurative e bancarie.

Sono cause di INELEGGIBILITA’ alla carica di amministratore:

 L’interdizione;
 L’inabilitazione;
 Il fallimento;
 La condanna ad una pena che comporta l’interdizione, seppur temporanea, dai pubblici uffici.

Tra le cause di INCOMPATIBILITA’ con la carica di amministratore troviamo, invece, l’esercizio di un’attività
lavorativa come quella di impiegato civile dello Stato o di avvocato, così come la titolarità di cariche di
Governo o di membro del Parlamento: in questi casi, però, la delibera di nomina non è invalida, in quanto il
soggetto è chiamato a scegliere.

La DURATA della loro carica non può superare i 3 esercizi, sebbene sia rinnovabile.

Cessano dall’ufficio prima della scadenza del termine:

 Gli amministratori il cui incarico è stato REVOCATO dall’assemblea, i quali hanno diritto al risarcimento del
danno se non vi è giusta causa;
 Gli amministratori che presentano le proprie dimissioni, i quali vengono meno quindi per RINUNCIA;
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 Gli amministratori che decadono dall’ufficio (DECADENZA), se sopravviene una causa di ineleggibilità o se si
perdono i requisiti di indipendenza (nel caso di amministratori indipendenti di società quotate);
 Gli amministratori deceduti (MORTE).

Il legislatore si preoccupa, poi, di evitare la paralisi dell’attività dell’organo amministrativo nel caso in cui si
verifichi una delle cause di cessazione dall’ufficio sopra esposte.

Anzitutto è prevista la cosiddetta PROROGATIO: gli amministratori il cui ufficio cessa per scadenza del
termine vengono sostituiti SOLO DOPO l’accettazione della nomina da parte dei nuovi amministratori.

In caso di “rinuncia” all’ufficio, l’amministratore deve darne comunicazione al consiglio di amministrazione


ed al presidente del collegio sindacale: tale rinuncia ha effetto IMMEDIATO se rimangono in carica la
maggioranza degli amministratori, mentre si ha prorogatio nel caso contrario.

Nei casi in cui la cessazione dell’ufficio dipenda da morte dell’amministratore e decadenza dall’ufficio stesso,
vanno prese in considerazione tre ipotesi:

 Se rimane in carica la maggioranza degli amministratori di nomina assembleare, allora si da luogo alla
cosiddetta COOPTAZIONE, ossia sono i superstiti a nominare i sostituti, con delibera consiliare approvata dal
collegio sindacale, i quali restano in carica sino alla successiva assemblea;
 Se viene a mancare più della metà degli amministratori di nomina assembleare, i superstiti devono
convocare l’assemblea affinché provveda alla nomina di nuovi amministratori, in carica sino alla scadenza
del termine previsto per quelli già nominati (i superstiti);
 Se vengono meno TUTTI gli amministratori o l’amministratore unico, il collegio sindacale convoca con
urgenza l’assemblea per ricostituire l’organo amministrativo, svolgendo nel frattempo la “gestione
ordinaria”.

Tuttavia la disciplina è derogabile da parte dello statuto, specie in merito alla regola di cooptazione, già di
per sé eccezione al principio di competenza assembleare alla nomina degli amministratori. Lo statuto può
prevedere anche la clausola SIMUL STABUNT SIMUL CADENT (come insieme staranno insieme cadranno),
prevedendo la cessazione di tutti gli amministratori e la ricostituzione dell’intero organo amministrativo
nell’ipotesi di cessazione anche di un solo amministratore.

Gli amministratori appena nominati provvedono all’iscrizione della loro nomina nel registro delle imprese,
entro 30 giorni dalla nomina stessa. Il collegio sindacale, invece, si occupa di provvedere all’iscrizione della
cessazione per qualsiasi causa nello stesso termine.

Compenso. Divieti

Gli amministratori, per lo svolgimento della propria attività, hanno diritto ad un compenso (art.2389 c.c.),
determinato dall’assemblea ordinaria o direttamente dallo statuto (nel sistema dualistico dal consiglio di
sorveglianza). Tale compenso può consistere, in tutto o in parte, in una partecipazione agli utili della società
o nel diritto di sottoscrivere azioni di futura emissione a prezzo predeterminato (stock options), anche se in
questa ipotesi è necessario che l’assemblea straordinaria abbia deliberato l’esclusione del diritto di opzione
degli azionisti. Nelle società quotate ed in quelle non quotate MA con strumenti finanziari diffusi tra il
pubblico va rispettata, inoltre, la disciplina inerente i “piani di compensi basati su strumenti finanziari”,
esposta a pagina 29 di questa dispensa.

Anche il compenso dei membri del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo è stabilito
dall’assemblea, all’atto della nomina, o direttamente dall’atto costitutivo. Per gli amministratori con
particolari cariche (come gli amministratori delegati), invece, il compenso è stabilito dal consiglio di
amministrazione (NO dall’assemblea), sentito il parere del collegio sindacale e si tratta di remunerazione
ulteriore rispetto a quella prevista perché il soggetto fa parte del consiglio di amministrazione.

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Se il compenso non è stato determinato, provvede l’autorità giudiziaria su ricorso dell’amministratore.

In capo agli amministratori, inoltre, gravano determinati divieti:

 Non possono assumere la qualità di soci a responsabilità illimitata in società concorrenti;


 Non possono esercitare attività concorrente per conto proprio o altrui;
 Non possono essere amministratori o direttori generali in società concorrenti, se non previsto dall’atto
costitutivo o autorizzati dall’assemblea.

In questi tre casi gli amministratori vanno incontro alla revoca dell’ufficio per giusta causa, dovendo anche il
risarcimento dei danni, laddove arrecati.

Le società quotate devono indicare, nella relazione sulla gestione allegata al bilancio, le partecipazioni
detenute dagli amministratori, anche in società controllate, nonché quelle detenute dai coniugi e dai figli
minori.

Gli amministratori, infine, non possono acquistare, vendere e compiere altre operazioni su strumenti
finanziari della società, sfruttando informazioni tratte dalla propria posizione privilegiata, altrimenti vanno
incontro a sanzioni penali.

Il consiglio di amministrazione

La società per azioni NON quotata può avere, come abbiamo già detto, un amministratore unico o una
pluralità di amministratori. Tale pluralità, invece, è necessarie per le società quotate.

Quando vi è una pluralità di amministratori, essi costituiscono il CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE, retto da


un presidente nominato dai suoi membri o dall’assemblea.

In presenza di tale consiglio va sottolineato come vi siano funzioni che vanno esercitate COLLEGIALMENTE,
quali l’attività deliberativa inerente la gestione della società, così come altre attività proprie degli
amministratori (convocazione assemblea, redazione bilancio ecc.); funzioni che vanno esercitate
INDIVIDUALMENTE dai singoli amministratori designati nell’atto costitutivo o dall’assemblea, come la
funzione di RAPPRESENTANZA, esercitata disgiuntamente o congiuntamente in presenza di più
amministratori, ma non collegialmente. Individualmente va poi esercitata l’azione di vigilanza, in quanto
ogni amministratore è chiamato a rispondere personalmente dei danni derivanti dall’omessa vigilanza: egli
può controllare le scritture sociali, compiere atti di ispezione, chiedere notizie circa la gestione agli
amministratori delegati, sebbene nel caso in cui riscontri delle anomali deve chiedere la convocazione del
consiglio, in quanto l’adozione di provvedimento è competenza collegiale, in quanto attività deliberativa.

Anzitutto a convocare ed organizzare i lavori del consiglio di amministrazione, oltre che ad informare gli
amministratori della convocazione, è il presidente dello stesso. Può considerarsi validamente costituito il
consiglio a cui prendono parte la MAGGIORANZA degli amministratori in carica e può considerarsi
validamente approvata la deliberazione consiliare con voto favorevole della MAGGIORANZA ASSOLUTA DEI
PRESENTI (voto per teste). Lo statuto può prevedere quorum diversi.

Il verbale consiliare viene inserito nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di
amministrazione, ma va redatto nella forma dell’atto pubblico qualora si deliberi su materia di competenza
assembleare.

Gli amministratori assenti o dissenzienti ed il collegio sindacale possono, entro 90 giorni dalla data di una
determinata deliberazione, impugnare la stessa qualora contraria alla legge o allo statuto (art.2388 comma
4 c.c.): si tratta, in tal caso, di delibera ANNULLABILE, non essendo contemplati casi di nullità delle delibere
del consiglio di amministrazione. I soci non possono proporre impugnativa, se non viene DIRETTAMENTE

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leso un proprio diritto soggettivo. L’annullamento di una delibera non pregiudica i diritti acquisiti in buona
fede da terzi.

L’art.2391 tratta il caso di conflitto di interessi degli amministratori. Se l’amministratore ha, in una
determinata operazione, un INTERESSE, anche non confliggente con quello della società, è tenuto a
comunicarlo agli altri amministratori ed al collegio sindacale, precisandone “natura, termini, origine e
portata”; inoltre, qualora sia un amministratore delegato, benché possa votare nel consiglio, deve
comunque astenersi dall’operazione, di cui si occupano in tal caso il consiglio stesso o il comitato esecutivo,
ma comunque occorre sempre la motivazione delle ragioni e della convenienza di porre ugualmente in
essere l’operazione, precisata da parte del consiglio di amministrazione. Se tale delibera del consiglio possa
comportare un “danno potenziale” alla società, essa è impugnabile, nel termine di 90 giorni, dal collegio
sindacale, dagli amministratori dissenzienti e assenti e anche da quelli favorevoli in caso di omissioni di
informazioni da parte dell’amministratore interessato, NON SOLO se il voto dello stesso è risultato
determinante (prova di resistenza), MA ANCHE nelle ipotesi di violazione degli obblighi di trasparenza,
astensione e motivazione. Anche nel caso di amministratore unico, egli è tenuto all’obbligo di informazione
e di motivazione delle operazioni nei confronti del collegio sindacale e della prima assemblea utile, in
quanto i contratti conclusi in conflitto di interessi dallo stesso sono annullabili su richiesta della società.

L’amministratore risponde dei danni derivanti dalla sua azione o dall’omissione delle proprie azioni: in
particolare risponde anche dei danni alla società derivanti dall’utilizzo, a vantaggio proprio o di terzi, di dati,
notizie ed opportunità di affari conosciuti proprio in forza del fatto che il soggetto si trova in una posizione
privilegiata.

Maggiori cautele sono previste nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, in relazione
alle operazioni con “PARTI CORRELATE”, ossia con soggetti indicati dalla Consob, con cui c’è maggior rischio
di conflitto di interessi: è necessario, in tal caso, che il consiglio adotti regole per una maggiore trasparenza e
correttezza delle decisioni, regole che vanno rese note nella relazione sulla gestione e su cui deve vigilare
l’organo di controllo, per poi riferire all’assemblea.

Comitato esecutivo. Amministratori delegati

Il consiglio di amministrazione, sulla base dell’atto costitutivo o di una decisione dell’assemblea ordinaria,
può decidere di dar luogo ad una propria articolazione interna, delegando le proprie attribuzioni ad un
comitato esecutivo o ad uno o più amministratori delegati.

Il COMITATO ESECUTIVO è un organo collegiale, alle cui riunioni prendono parte i sindaci e le cui delibere
sono contenute all’interno di un apposito registro delle adunanze e delle deliberazioni, tenuto dallo stesso
comitato.

Gli AMMINISTRATORI DELEGATI, invece, sono organi “unipersonali” che esercitano disgiuntamente o
congiuntamente le funzioni ad essi attribuite, assumendo il più delle volte anche la rappresentanza della
società.

Comitato esecutivo e amministratori delegati possono anche coesistere e la loro creazione, benché
contemplata statutariamente o dall’assemblea, avviene ad opera del consiglio di amministrazione, che
stabilisce i compiti, i limiti e le modalità di esercizio della delega.

Ovviamente la presenza di tali organi non sottrae competenza al consiglio di amministrazione, che può in un
qualsivoglia momento avocare a se operazioni rientranti nella delega, restando in posizione sovraordinata
rispetto agli stessi, imponendo direttive e potendo revocare la delega stessa.

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Vi sono, però, dei compiti che il consiglio di amministrazione NON PUO’ delegare: redazione del bilancio,
facoltà di aumento del capitale sociale e adempimenti in caso di riduzione dello stesso per perdite,
redazione del progetto di fusione o scissione.

Gli organi delegati, poi, hanno degli specifici DOVERI, oltre a quelli contemplabili dal consiglio in sede di
nomina: curare l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società; riferire periodicamente,
almeno ogni 6 mesi, al consiglio ed al collegio sindacale l’andamento della gestione. Nel contempo, però, gli
altri amministratori possono vigilare su tali operazioni, richiedendo agli organi delegati di fornire
informazioni al consiglio relative alla gestione. Lo stesso consiglio di amministrazione (e quindi gli
amministratori senza delega), tra l’altro, ha il compito di:

 Valutare l’adeguatezza dell’assetto societario, frutto del lavoro degli organi delegati;
 Esaminare piani strategici, industriali e finanziari elaborati;
 Valutare in linea generale la gestione.

La rappresentanza della società

Abbiamo già detto che gli amministratori, oltre al potere di gestione della società, possiedono il potere di
RAPPRESENTANZA.

Non tutti gli amministratori, in presenza di un consiglio di amministrazione, hanno tale potere, in quanto
devono essere lo statuto o la deliberazione di nomina a precisare quali soggetti possano rappresentare la
società. Occorre poi la pubblicità legale della nomina, la quale, in presenza di più amministratori con
rappresentanza, deve precisare se si tratti di ipotesi di FIRMA CONGIUNTA, laddove la rappresentanza
spetta congiuntamente agli amministratori individuati, o FIRMA DISGIUNTA, nel caso contrario.

Solitamente la rappresentanza spetta al presidente del consiglio di amministrazione e agli amministratori


delegati.

I soggetti scelti hanno un potere di rappresentanza GENERALE, non circoscritto ai soli atti rientranti
nell’oggetto sociale, oltre ad avere rappresentanza processuale attiva e passiva della società.

Facciamo, però, una precisazione importanza: potere di gestione e potere di rappresentanza sono due cose
completamente diverse, in quanto il primo riguarda l’attività INTERNA della società, la fase decisoria delle
operazioni sociali, ed è svolto collegialmente dal consiglio di amministrazione, mentre il secondo ha ad
oggetto l’attività ESTERNA, ossia l’azione nei confronti dei terzi in nome della società, svolto
disgiuntamente/congiuntamente da uno o più amministratori: in caso di amministratore unico o di
amministratore delegato con rappresentanza, tale scissione tra i due poteri non sussiste.

La società può anche scegliere di avvalersi di rappresentanti negoziali diversi dagli amministratori, quali
direttori generali, che fanno pur sempre parte dell’organizzazione interna, o procuratori generali esterni,
nominati dagli amministratori stessi o dall’assemblea.

In ogni caso, viene tutelato moltissimo l’affidamento di terzi riguardo agli atti posti in essere da chi gode del
potere di rappresentanza: è, infatti, INOPPONIBILE A TERZI di buona fede la mancanza di potere
rappresentativo dovuta ad “invalidità” dell’atto di nomina. Se quest’ultimo è stato iscritto nel registro delle
imprese, le cause di nullità e annullabilità non possono riguardare i terzi, almeno che non si provi la
conoscenza da parte degli stessi delle cause in questione; allo stesso modo anche la VIOLAZIONE dei limiti
ai poteri di rappresentanza da parte degli amministratori è inopponibile a terzi, anche se tali limiti sono
stati pubblicizzati, almeno che non si provi che l’amministratore abbia agito per danneggiare la società (ad
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esempio in caso di accordo fraudolento tra l’amministratore ed il terzo), mentre non è sufficiente la
malafede del terzo.

Sebbene prevista dalla disciplina comunitaria, all’interno del nostro ordinamento non è mai stata inserita la
disposizione inerente l’impossibilità della società di opporre a terzi di buona fede l’estraneità all’oggetto
sociale degli atti compiuti dagli amministratori in nome della società, definiti come ATTI ULTRA VIRES: in
poche parole, se l’amministratore compie un atto che non rientra nell’attività di impresa, la società resta
comunque vincolata verso terzi, almeno che non riesca a provare che gli stessi abbiano agito volutamente a
danno della società; si tratta, infatti, di LIMITI STATUTARI che non devono interessare a terzi.

Al contrario, invece, qualora vi siano dei LIMITI LEGALI del potere di rappresentanza, gli atti posti in essere
in violazione di tali limiti dagli amministratori sono opponibili a terzi (pensiamo agli atti stipulati
dall’amministratore in conflitto di interessi): in questi casi l’atto è annullabile su richiesta della società,
sempre che si possa dimostrare almeno la riconoscibilità del conflitto, con l’ordinaria diligenza e perizia, da
parte del terzo. La medesima disciplina dell’opponibilità vale nelle ipotesi in cui occorra una delibera
assembleare per autorizzare l’atto dell’amministratore, mentre non vige nei casi in cui sia necessaria una
delibera del consiglio di amministrazione, in quanto l’atto compiuto in mancanza della stessa resta del tutto
valido, trattandosi ancora una volta di limite statutario e non legale.

La responsabilità degli amministratori verso la società

Gli amministratori, per gli atti compiuti così come per quelli omessi, sono CIVILMENTE responsabili:

 Verso la società;
 Verso i creditori sociali;
 Verso i singoli soci o terzi.

Partiamo dalla responsabilità verso la società (artt.2392 e 2393 del codice).

Quella degli amministratori è un’OBBLIGAZIONE DI MEZZI (obbligazione che prevede condotte la cui
corretta e diligente esecuzione non è detto produca il risultato desiderato) e non un’obbligazione di
risultato. Per tale motivo gli amministratori sono RESPONSABILI solo nel momento in cui non adempiono i
doveri ad essi imposti dalla legge o dallo statuto con la DILIGENZA RICHIESTA DALLA NATURA
DELL’INCARICO O DALLE LORO SPECIFICHE COMPETENZE, mentre non sono responsabili per i risultati
negativi della gestione non imputabili alla diligenza generale o professionale: in sede di accertamento della
responsabilità, infatti, il giudice non entra nel merito delle scelte dell’amministratore inerenti l’opportunità
e la convenienza di un affare, ma si limita a verificare l’osservanza di obblighi di condotta.

Ovviamente se ci sono più amministratori essi rispondono SOLIDALMENTE dell’intero danno, almeno che
non si tratti di funzioni specificamente attribuite ad uno o più amministratori.

Anche in presenza di funzioni delegate, tuttavia, sebbene il codice non preveda più il “dovere generale di
vigilanza” (l’art.2381 comma 3 prevede per gli amministratori senza delega soltanto SPECIFICI OBBLIGHI che
abbiamo già visto: valutare l’adeguatezza dell’assetto societario, frutto del lavoro degli organi delegati;
esaminare piani strategici, industriali e finanziari elaborati; valutare in linea generale la gestione), è
comunque imposto a tutti gli amministratori di AGIRE IN MODO INFORMATO (comma 6 art.2381) e di
adempiere i propri obblighi con la diligenza del buon professionista (art.2392 comma 1), il che comporta il
dovere di sollecitare informazioni e chiarimenti da parte degli organi delegati e di verificare le informazioni
fornite. Ciò significa che NON SEMPRE la presenza di funzioni delegate esonera gli altri amministratori da
responsabilità solidale. Essi, tra l’altro, sono sicuramente responsabili nel momento in cui erano a
conoscenza di atti pregiudizievoli degli organi delegati e non hanno fatto nulla per impedirli. In sostanza,
tutti gli amministratori devono impedire o limitare, per quanto è possibile, l’attività dannosa degli organi

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delegati, altrimenti sono chiamati a rispondere di CULPA IN VIGILANDO, avendo però diritto di regresso nei
confronti dei primi.

Gli amministratori, tuttavia, sono ESONERATI da responsabilità nel momento in manca l’elemento della
COLPA: se essi hanno dissentito da una determinata decisione, dissenso che risulta dal libro delle adunanze
e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione, o se del proprio dissenso hanno dato comunicazione
immediata per iscritto al presidente del collegio sindacale, essi non hanno alcuna colpa e non sono
responsabili.

SOLO l’assemblea ordinaria ed il collegio sindacale a maggioranza dei 2/3 possono deliberare l’esercizio
dell’azione di responsabilità contro gli amministratori: in caso di delibera assembleare l’ufficio
dell’amministratore cessa in quel momento se la decisione inerente l’azione di responsabilità viene presa da
tanti soci rappresentanti almeno 1/5 del capitale, altrimenti occorre una nuova convocazione per la revoca.
Possiamo notare, però, come vi sia in tal caso una tutela minima dei soci minoritari: la maggioranza in
assemblea è tenuta dal gruppo di comando, che ha nominato gli amministratori, al pari della maggioranza
nel collegio sindacale, di nomina assembleare e per tale motivo la decisione di agire in giudizio contro gli
amministratori può essere presa solo se è venuto meno il rapporto fiduciario tra gruppo di comando e
amministratori, mentre la minoranza rimane impotente a riguardo, anche nelle ipotesi di società quotate
dove i sindaci devono essere eletti in parte anche dal gruppo di minoranza, in numero però insufficiente a
promuovere l’azione.

Le cose cambiano soltanto in caso di fallimento, dissesto, liquidazione coatta amministrativa ed


amministrazione straordinaria (procedure concorsuali), in quanto in tal caso legittimati ad agire sono il
curatore fallimentare, il commissario liquidatore o quello straordinario.

Tuttavia una minima tutela per le minoranze esiste anche per le società in bonis (in utile): se la società
RINUNZIA all’esercizio dell’azione di responsabilità o giunge ad una TRANSAZIONE con gli amministratori,
occorre una delibera dell’assemblea in cui NON ci deve essere il voto contrario di una minoranza
rappresentante 1/5 del capitale sociale (1/20 per le società che fanno appello al mercato del capitale di
rischio), altrimenti rinunzia e transazione non hanno effetto.

Le riforme del 1998 (valida solo per le società quotate) e del 2003 (che ha esteso tale disciplina a tutte le
S.p.A.) hanno previsto una più energica tutela della minoranza: i soci che rappresentano almeno il 20% del
capitale sociale (1/40 per le società che fanno appello al mercato del capitale di rischio) possono decidere di
esperire l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori, tramite uno o più rappresentanti
comuni, volta però NON al risarcimento del danno, ma al reintegro del patrimonio sociale: la società,
tuttavia, viene comunque chiamata in giudizio e, se la domanda viene accolta, è tenuta a rimborsare agli
attori le spese di giudizio non a carico degli amministratori.

L’azione sociale di responsabilità, in ogni caso, può essere esercitata entro 5 anni dalla cessazione della
carica dell’amministratore.

Ricordiamo che la responsabilità degli amministratori viene configurata come una responsabilità da
INADEMPIMENTO DI PREESISTENTI OBBLIGAZIONI (contrattuale) e non da illecito extra-contrattuale,
pertanto gravando sull’attore (la società) solo l’onere della prova inerente l’esistenza del danno imputabile
all’inadempimento degli amministratori e NON la colpa degli stessi, mentre dimostrare l’inesistenza della
colpa o del nesso di causalità tra inadempimento e danno compete agli amministratori.

Segue: La responsabilità verso i creditori sociali

Gli amministratori, in forza dell’art.2394 c.c., sono responsabili anche nei confronti dei creditori sociali SOLO
per l’inosservanza degli obblighi inerenti la conservazione dell’integrità del patrimonio sociale e l’azione
può essere esperita dai creditori SOLO nell’ipotesi in cui il patrimonio sia divenuto insufficiente al
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soddisfacimento dei propri crediti (quindi può capitare che gli amministratori siano responsabili verso la
società ma non verso i creditori).

Legittimati ad agire sono i singoli creditori sociali, sebbene la legittimazione spetti SOLO al curatore
fallimentare, al commissario liquidatore o a quello straordinario in caso di fallimento, liquidazione coatta
amministrativa ed amministrazione straordinaria.

Anche in questo caso, come abbiamo visto prima, si tratta di “inadempimento degli obblighi posti dalla legge
a carico degli amministratori” (conservazione integrità patrimonio sociale) e pertanto NON possiamo parlare
di illecito extracontrattuale: dolo e colpa non devono essere dimostrati.

Tuttavia, il danno subito dai creditori riguarda anche un danno alla società, motivo per cui i creditori
rimangono insoddisfatti nel momento in cui l’azione risarcitoria sia già stata esperita dalla società, o vi sia
stata “transazione”, con consequenziale reintegro del patrimonio sociale, anche se la transazione può
essere impugnata tramite azione revocatoria. In caso di “rinunzia”, invece, i creditori possono esperire la
propria azione, data che il patrimonio non è stato reintegrato.

L’azione dei creditori si prescrive in 5 anni, i quali decorrono dal giorno in cui viene riscontrata l’insufficienza
del patrimonio o dal giorno in cui i creditori potevano averne conoscenza tramite l’ordinaria diligenza.

La domanda in dottrina, però, è la seguente: quella dei creditori è un’azione DIRETTA ed AUTONOMA? o si
tratta di un’azione SURROGATORIA a norma dell’art.2900?

La risposta a questa domanda delinea due situazioni diverse: nel caso di azione diretta ed autonoma, infatti,
gli amministratori non possono opporre ai creditori le eccezioni opponibili alla società ed i creditori ricevono
direttamente il risarcimento fino alla concorrenza del proprio credito; nel caso di azione surrogatoria,
invece, tutte le eccezioni opponibili alla società possono essere opposte ai creditori ed il risarcimento spetta
alla società, in quanto il patrimonio viene incrementato dando luogo ad un beneficio solamente indiretto
per i creditori.

La tesi maggiormente condivisa è quella dell’azione diretta ed autonoma e ne consegue che i creditori non
siano obbligati a citare in giudizio anche la società, così come la sospensione della prescrizione dell’azione
sociale, finché gli amministratori restano in carica, non opera per l’azione dei creditori sociali.

Segue: La responsabilità verso singoli soci o terzi

Gli amministratori, al di là delle fattispecie esaminate nei due precedenti paragrafi, sono responsabili anche
nei confronti dei soci o dei terzi (anche non creditori), in forza dell’art.2395 c.c., per “i danni causati
DIRETTAMENTE al patrimonio degli stessi” tramite un “atto illecito doloso o colposo”.

Quindi, anzitutto vi deve essere il compimento di un atto illecito ed occorrono il dolo o quanto meno la
colpa; in secundis i danni al patrimonio del terzo o del socio devono essere “diretti”, ossia non causati di
riflesso dal danno subito dal patrimonio sociale, in quanto in tal caso è esperibile la sola azione sociale di
responsabilità o quella dei creditori, di cui abbiamo già parlato.

Nell’ipotesi dell’art.2395, tra l’altro, si tratta di responsabilità EXTRACONTRATTUALE, ed il socio o il terzo


che hanno subito il danno frutto della condotta illecita dell’amministratore devono dimostrare non solo il
nesso di causalità tra illecito e danno subito, ma anche il dolo o la colpa dell’amministratore.

L’azione può essere promossa entro 5 anni dal compimento dell’atto che ha pregiudicato il socio o il terzo.

I direttori generali

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Gli amministratori, nella gestione della società, possono avvalersi di una serie di soggetti inseriti nella stessa
organizzazione imprenditoriale, tra cui spicca la figura del DIRETTORE GENERALE.

Essi possono essere nominati dall’assemblea o dal consiglio di amministrazione, sempre in previsione dello
statuto. Ai direttori generali si applicano le norme in materia di responsabilità degli amministratori, oltre a
numero norme in ambito penale e fallimentare.

Si tratta, in sostanza, di dirigenti di altissimo livello (top management), subordinati agli amministratori, al
vertice della gerarchia dei lavoratori subordinati dell’impresa, i quali sono chiamati a dare attuazione a
direttive generali provenienti dalla stessa amministrazione. Possono avere anche il potere di rappresentanza
della società.

Sono, poi, previste delle FUNZIONI SPECIFICHE dei direttori generali: essi attestano, congiuntamente al
dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili, la veridicità e la correttezza dei documenti
contabili allegati al bilancio, all’interno delle società aventi relazioni di gruppo o collegate a società off-
shore.

Rispondono anch’essi dei danni causati, nel loro operato, alla società, ai creditori sociali ed ai soci o terzi,
motivo per cui possono astenersi dall’osservanza di una direttiva ricevuta da parte degli amministratori e
contraria alla legge o allo statuto.

Intrattengono, è doveroso ricordarlo, un rapporto di lavoro con la società.

Gli amministratori di fatto

Gli AMMINISTRATORI DI FATTO sono soggetti che, in difetto di una nomina assembleare, provvedono
comunque alla gestione della società, impartendo direttive agli amministratori ufficiali, facendo delle scelte
operative, trattando con terzi. Si tratta, ovviamente, dell’azionista o degli azionisti di comando, in quanto
solo essi possono avere un così ampio potere.

Essi sono equiparati, sotto il profilo penale, agli amministratori regolarmente nominati.

Sotto il profilo civilistico, invece, la situazione cambia e non è del tutto chiara: nelle società a responsabilità
limitata, quando amministratore di fatto è un socio che pone in essere un comportamento doloso, lo stesso
è chiamato rispondere solidalmente con gli amministratori ufficiali per i danni arrecati alla società (art.2476
comma 7 cod.civ.).

La gran parte della dottrina ritiene che tale previsione debba estendersi agli amministratori di fatto delle
società per azioni, in quanto assimilati ai direttori generali come posizione o in forza dell’applicazione della
disciplina delle gestione di affari altrui, tutto ciò al fine di evitare abusi da parte di questa tipologia di
amministratori.

L’autore Campobasso, invece, esclude che gli amministratori di fatto possano ritenersi civilmente
responsabili in assenza di un’investitura formale dell’assemblea, essendo sufficiente la disciplina
dell’art.2497 c.c. inerente la responsabilità per abuso di attività di direzione e coordinamento, estendibile
per gli abusi più macroscopici anche ai soci di comando.

CAPITOLO DECIMO – COLLEGIO SINDACALE. CONTROLLO CONTABILE

A)IL COLLEGIO SINDACALE

Premessa

Nel sistema tradizionale il COLLEGIO SINDACALE è l’organo di controllo incaricato di vigilare


sull’amministrazione della società.
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La disciplina originaria del codice civile era del tutto unitaria, in quanto valevole per tutte le società per
azioni, ed attribuiva al collegio sindacale un numero ampio di poteri, tra cui quello di controllo contabile,
svuotando, però, gli stessi di significato, prevedendo un procedimento di nomina identico a quello degli
amministratori, scarsi requisiti di professionalità ed indipendenza, composizione semirigida dell’organo.

Le norme a riguardo, tuttavia, sono mutate col passare del tempo, rendendo l’organo maggiormente
indipendente, formato da soggetti portatori di una determinata professionalità, e sottraendo (prima solo
parzialmente, poi definitivamente) il potere di controllo contabile, affidato oggi (dapprima per le sole
società quotate, poi per tutte le società per azioni) ad un revisore o ad una società di revisione.

La disciplina a riguardo, comunque, non è più unitaria, date le differenze normative per le società quotate e
non quotate.

Composizione. Nomina. Cessazione

Per quanto riguarda la COMPOSIZIONE del collegio sindacale, partiamo col dire che nelle società NON
quotate è prevista una struttura semirigida di tale organo, in quanto esso può essere formato da 3 o da 5
membri, soci o non soci, più 2 supplenti, il che costituisce un primo limite allo svolgimento delle funzioni del
collegio. Tale ostacolo, invece, è stato rimosso a partire dalla riforma del 1998 per le società quotate: il
numero minimo rimane sempre di 3 sindaci e 2 supplenti, ma l’atto costitutivo può determinare
liberamente il numero di sindaci, ottenendo in tal modo un maggior controllo.

I primi sindaci vengono comunque nominati nell’atto costitutivo e successivamente dall’assemblea


ordinaria. La nomina di alcuni sindaci spetta allo Stato o agli enti pubblici nel caso in cui essi posseggano
delle partecipazioni nella società, così come la nomina di un solo sindaco spetta ai possessori di strumenti
finanziari partecipativi.

Notiamo, dunque, un altro limite del collegio sindacale: a nominare i “controllori”, ossia i sindaci, sono gli
stessi soggetti (l’assemblea) che hanno nominato i “controllati” (gli amministratori), ossia è il gruppo di
comando in sede assembleare a decidere. La riforma del 1998, però, ha previsto un cambiamento per le sole
società quotate, introducendo l’obbligo di nomina di un sindaco da parte dei soci di minoranza, attraverso il
sistema del voto di lista, le cui modalità vengono dettate dalla Consob e non solo dallo statuto.

Tutti i sindaci, differentemente dal passato, devono essere in possesso di requisiti di professionalità e la
legge consente che, all’interno del collegio, le qualità professionali siano diverse tra loro (composizione
diversificata del collegio). Nelle società NON quotate, dopo la riforma del 2003, almeno 1 sindaco effettivo
ed 1 supplente devono essere scelti fra gli iscritti al “registro dei revisori contabili”, istituito presso il
Ministero della Giustizia a partire dal 1995 ed oggi tenuto dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti.
In tale registro possono iscriversi sia PERSONE FISICHE in possesso di requisiti di professionalità ed
onorabilità, che abbiano superato apposito esame di ammissione, sia SOCIETA’ DI PERSONE o DI CAPITALI,
che abbiano come oggetto esclusivo la revisione o l’organizzazione contabile di imprese. Gli altri sindaci,
invece, devono essere professori universitari di ruolo in materie giuridiche o economiche, o soggetti iscritti
all’albo degli avvocati, dei commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali o dei consulenti del lavoro.

La disciplina muta nelle società quotate, in quanto i requisiti di professionalità sono indicati con
regolamento del Ministero della Giustizia, il quale prevede che 1 sindaco su 3 e 2 sindaci se il numero totale
è superiore a 3 devono essere scelti tra gli iscritti nel registro dei revisori contabili (più 1 sindaco supplente)
che abbiano esercitato, per un periodo di almeno 3 anni, attività di controllo legale dei conti. Gli altri sindaci
possono essere scelti in base a requisiti di professionalità giuridico-aziendale e devono possedere,
obbligatoriamente ed a pena di decadenza, requisiti di onorabilità.

Sono cause di ineleggibilità dei sindaci:

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 L’interdizione;
 L’inabilitazione;
 Il fallimento;
 La condanna ad una pena che comporta l’interdizione, seppur temporanea, dai pubblici uffici.

Sono incompatibili con l’ufficio di sindaci:

 Il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado di amministratori della società o di società del gruppo;
 Coloro legati alla società o a società del gruppo da rapporti di lavoro dipendente o di consulenza
continuativa e coordinata o di prestazione d’opera retribuita o da altri rapporti incidenti sull’indipendenza
(per le società quotate tali rapporti non devono intercorrere neanche con gli amministratori della società o
di società del gruppo e non è necessario che i rapporti siano continuativi).

Lo statuto può prevedere altre cause di ineleggibilità o incompatibilità.

All’interno di tutte le società per azioni, al fine di assicurare che il sindaco abbia sufficiente tempo da
dedicare al proprio compito di controllo, devono essere previsti dei LIMITI AL CUMULO DI INCARICHI: prima
dell’accettazione dell’incarico, il sindaco nominato deve comunicare all’assemblea gli incarichi di
amministrazione o di controllo in altre società. Per le società quotate e con azioni diffuse tra il pubblico, tra
l’altro, sono previsti dalla Consob dei limiti massimi di cumulo di incarichi per i sindaci, i quali devono
comunicare il numero esatto alla Consob stessa, la quale può decidere per la decadenza del sindaco.

I sindaci restano in carica per 3 esercizi e sono rieleggibili e per quelli “scaduti” si ha prorogatio. Tutti i
sindaci devono percepire un compenso per il loro operato, che rimane invariato sino alla cessazione della
carica, stabilito dallo statuto o dall’assemblea di nomina.

Sono cause di cessazione dall’ufficio di sindaco, prima della scadenza del termine:

 La morte;
 La decadenza dall’ufficio, la quale si concretizza in seguito al sopraggiungimento di cause di ineleggibilità o
di sospensione/cancellazione dal registro dei revisori e nel caso in cui il sindaco non assista alla riunione del
consiglio di amministrazione, del comitato esecutivo o del collegio sindacale per due volte all’interno dello
stesso esercizio;
 La rinuncia;
 La revoca, solo in presenza di giusta causa e la cui delibera deve essere approvata dal tribunale (sino a quel
momento rimane improduttiva).

In caso di morte, decadenza e rinuncia di un sindaco, subentrano i supplenti, almeno sino alla successiva
assemblea che nomina altri sindaci per integrare il collegio, in carica sino alla scadenza dei sindaci superstiti.

Nomina e cessazione dall’ufficio dei sindaci vanno iscritte, dagli amministratori, entro 30 giorni nel registro
delle imprese.

Il controllo sull’amministrazione

La funzione di CONTROLLO del collegio sindacale è sicuramente la più importante funzione svolta dallo
stesso, anche non esclusiva.

Il collegio sindacale è chiamato a vigilare sull’amministrazione della società, su tutta l’attività sociale,
affinché essa venga svolta nel rispetto della legge e dello statuto, nonché dei principi di corretta
amministrazione. L’art.2403 comma 1 prevede che il collegio vigili “sull’adeguatezza dell’assetto
organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento”.

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Anzitutto il controllo del collegio sindacale riguarda gli amministratori, ossia coloro chiamati alla gestione
esclusiva della società, ma riguarda anche l’attività dell’assemblea. Quello dei sindaci si configura come un
POTERE-DOVERE, in quanto hanno il diritto, ma anche l’obbligo di intervenire in molteplici casi.

Il collegio sindacale può intervenire alle riunioni assembleari, a quelle del consiglio di amministrazione, così
come del comitato esecutivo, impugnandone in ogni caso le delibere. Il collegio ha anche il potere di
“convocare” l’assemblea, previa comunicazione al presidente del consiglio di amministrazione, qualora
ravvisi, nella propria attività di controllo, fatti censurabili di notevole gravità su cui occorre intervenire:
addirittura questo potere, nelle società quotate, può essere esercitato da 2 membri appena del collegio. Un
solo membro, poi, può individualmente convocare il consiglio di amministrazione o il comitato esecutivo,
garantendo così al sindaco eletto dalla minoranza un potere superiore.

In capo ai sindaci, inoltre, gravano dei poteri-doveri di iniziativa, in sostituzione dell’assemblea e/o degli
amministratori, al fine di assicurare il rispetto della legalità dell’attività sociale: i sindaci devono convocare
l’assemblea ed eseguire le pubblicazioni previste dalla legge in caso di omissione degli amministratori; oltre
a ciò devono chiedere al tribunale la riduzione del capitale sociale, laddove gli altri due organi rimangano
inerti.

Il controllo dei sindaci sull’operato degli amministratori non può in alcun modo inerire alla convenienza e
all’opportunità delle scelte operative (compito degli amministratori), ma DEVE riguardare il rispetto
sostanziale dei principi di corretta amministrazione: pur essendo un controllo globale e sintetico, può
trasformarsi all’occorrenza in un controllo analitico.

Gli amministratori, poi, sono tenuti a comunicare al collegio sindacale informazioni inerenti l’attività svolta e
le operazioni compiute di maggior rilievo economico, nonché quelle a rischio di conflitto di interessi (nelle
società quotate lo devono fare trimestralmente). Il collegio sindacale può scambiare informazioni con i
corrispondenti organi delle società controllate, al fine di avere una visione globale dell’attività della propria
società, così come può comunicare con le società di revisione, che hanno il potere di controllo contabile.
Inoltre deve comunicare alla Consob, per le sole società quotate, le irregolarità riscontrate nella propria
attività di controllo. I sindaci possono anche provvedere ad atti di ispezione, nonché chiedere documenti e
notizie sull’andamento delle operazioni sociali o di specifici affari.

Infine al collegio sindacale è riconosciuto il potere di esperire l’azione sociale di responsabilità contro gli
amministratori, nonché quello di sollecitare il controllo giudiziario sulla gestione nel caso di sospetto di
irregolarità da parte di chi amministra la società.

E’ la Consob, invece, per quanto concerne le sole società quotate ad attivare il controllo giudiziario nei
confronti del collegio sindacale, in caso di irregolarità nell’adempimento dei doveri dei sindaci.

Segue: Il controllo contabile. Altre funzioni

Oggi il collegio sindacale non svolge più, differentemente dal passato, il controllo contabile sulla società,
affidato ad un revisore contabile o ad una società di revisione.

In realtà questo non è sempre vero: nelle società non quotate e che non fanno appello al mercato del
capitale di rischio, il controllo contabile può essere svolto anche dal collegio sindacale, sebbene debba
essere composto completamente da revisori contabili iscritti nell’apposito registro. Nelle società NON
quotate, tra l’altro, il collegio sindacale conserva il diritto di veto, dovendo fornire il proprio consenso, per
l’iscrizione all’attivo di alcune voci di bilancio (costi di impianto e di ampliamento, costi di ricerca e di
sviluppo ecc.). Ha anche il potere di fare proposte all’assemblea in ordine al bilancio ed alla sua
approvazione.

Nelle società quotate, invece, esso si limita al controllo del sistema amministrativo.

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Tra le altre funzioni del collegio rientra quella di consulenza, dovendo esprimere il proprio parere sulla
remunerazione degli amministratori con particolari cariche, in sede di consiglio di amministrazione, sulla
nomina e sulla revoca della società di revisione contabile (nelle sole società quotate) e sulla congruità dei
prezzi di emissione delle azioni in caso di esclusione o limitazione del diritto di opzione (nelle sole società
NON quotate). Altra funzione è quella di “amministrazione attiva”, esercitata dai sindaci nelle sole ipotesi in
cui vengano meno tutti gli amministratori, tra l’altro solo per quanto concerne l’ordinaria amministrazione e
con l’obbligo di convocare urgentemente l’assemblea.

Il funzionamento del collegio sindacale

Il collegio sindacale ha un proprio presidente, nominato dall’assemblea e scelto, ma questo solo nelle
società quotate, tra i sindaci eletti dalla minoranza, sostituito in caso di morte, rinunzia e decadenza dal
sindaco più anziano, sino alla successiva assemblea.

Il collegio si riunisce ogni 90 giorni, anche con collegamenti telematici qualora previsto dallo statuto. E’
regolarmente costituito se vi prendono parte la maggioranza dei sindaci e delibera a maggioranza assoluta
dei presenti. Ogni riunione ha un proprio verbale, sottoscritto da tutti gli intervenuti, e trascritto nel libro
delle adunanze e delle deliberazioni del collegio. I motivi di dissenso di un sindaco possono essere iscritti a
verbale.

Si tratta, dunque, di un organo collegiale, sebbene non manchino poteri esercitabili individualmente, come
abbiamo visto.

I sindaci possono avvalersi di “collaboratori”, purché non rientrino nella categoria degli ineleggibili; la
società può rifiutare agli stessi ausiliari di aver accesso a informazioni riservate. Nelle società quotate,
collegio sindacale e sindaci possono avvalersi anche dei dipendenti della società come collaboratori.

I soci possono denunciare fatti censurabili al collegio, il quale può anche non tenerne conto, limitandosi a
trattare l’argomento nella relazione annuale all’assemblea, salvo nell’ipotesi in cui la denuncia provenga da
soci rappresentanti il 5% del capitale (il 2% nelle società che fanno appello al mercato del capitale di rischio),
in quanto in quest’ultima ipotesi il collegio deve “indagare senza ritardo sui fatti denunziati presentare
conclusione e proposte all’assemblea”, convocandola urgentemente nei casi di rilevante gravità.

La responsabilità dei sindaci

Anche ai sindaci è richiesta l’osservanza dei doveri di diligenza e professionalità nello svolgimento delle
proprie funzioni. I sindaci sono responsabili, anche penalmente, della verità delle loro attestazioni e sono
tenuti al segreto sui fatti/documenti della società.

Hanno responsabilità esclusiva, solidalmente tra loro, in caso di mancato o negligente adempimento dei loro
doveri, mentre hanno responsabilità concorrente, in solido con gli amministratori, per i fatti e le omissioni di
questi ultimi che il collegio sindacale avrebbe potuto evitare. I sindaci, però, rispondono della sola culpa in
vigilando. Rispondono, tra l’altro, sia nei confronti della società che dei creditori sociali.

B) IL CONTROLLO CONTABILE

Il sistema

Il controllo sull’amministrazione e quello contabile veniva, un tempo, esercitati entrambi dal collegio
sindacale, quindi da un organo interno alla stessa società. A partire dal 1974, però, venne introdotta la
revisione contabile obbligatoria per le SOLE società quotate. A tale disciplina, con la riforma del 2003, si è
affiancata quella del controllo contabile, applicabile a tutte le società per azioni.
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Quindi, da una parte abbiamo la REVISIONE CONTABILE e dall’altra il CONTROLLO CONTABILE.

Il controllo contabile viene esercitato sulle società NON quotate:

 Per le società che NON fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, da un revisore dei conti persona fisica
oppure da una società di revisione iscritta nel registro dei revisori contabili, secondo le norme del codice
civile. Tali società, tuttavia, possono affidare al collegio sindacale (lo abbiamo già detto) il controllo
contabile, sebbene l’organo debba essere formato completamente da revisori contabili;
 Per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio DIVERSE dalle società quotate, da una
società di revisione contabile iscritta nel registro dei revisori contabili (escluse le persone fisiche), con
assoggettamento, sebbene solo in parte, alla disciplina della revisione contabile delle società quotate ed alla
vigilanza della Consob.

La revisione contabile, invece, è disciplinata dal Tuf e viene esercitata sulle società con azioni quotate, o
comunque su tutte le società di un gruppo (controllate o controllanti) di cui faccia parte una società quotata,
da parte di una società di revisione iscritta nell’albo speciale tenuto dalla Consob (non in quello tenuto dal
Consiglio nazionale dei dottori commercialisti).

Il controllo contabile e la revisione contabile differiscono tra loro per il conferimento e la revoca
dell’incarico: esaminiamole separatamente.

Il controllo contabile

Il soggetto che esercita il controllo contabile, nelle società non quotate, viene nominato per la prima volta
nell’atto costitutivo e successivamente dall’assemblea, sentito il collegio sindacale e determinando il
corrispettivo spettante al revisore persona fisica o alla società di revisione.

Incompatibile con l’incarico di revisore, comportante decadenza in caso di conferimento dell’incarico, è


l’ufficio di sindaco della società revisionata o di altra del gruppo. Non possono assumere tale incarico coloro
che si trovano nelle condizioni di ineleggibilità ed incompatibilità previste per i sindaci.

L’incarico ha durata di tre esercizi ed è rinnovabile senza limiti.

Si ha revoca SOLO per giusta causa ed in forza di una delibera assembleare, adottata una volta sentito il
collegio sindacale, la quale deve essere approvata con decreto del tribunale.

La revisione contabile obbligatoria

SOLO le società di revisione contabile iscritte nell’albo speciale tenuto dalla Consob possono svolgere
l’attività di revisione contabile obbligatoria: si tratta di società di persone o di capitali il cui oggetto sociale è
limitato all’organizzazione e revisione capitale di aziende (fanno solo quello in sostanza). Soci ed
amministratori di queste società devono essere in possesso di requisiti di professionalità, nonché di
onorabilità per i soli amministratori.

L’iscrizione nell’albo speciale avviene, dopo l’accertamento dell’idoneità tecnica e dei requisiti di legge, ad
opera della Consob, la quale provvede, almeno ogni tre anni, a dei controlli di qualità su tali società di
revisione.

Se vengono accertate dalla Consob delle gravi irregolarità nello svolgimento dell’attività di revisione,
l’Autorità può irrogare sanzioni pecuniarie, vietare l’assunzione di nuovi incarichi per un periodo massimo di
tre anni, intimare alla società di non avvalersi del responsabile delle irregolarità, oppure, nei casi più gravi,
provvedere alla cancellazione dall’albo speciale, di fatto rendendo impossibile per la società di revisione
operare in futuro come tale.

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Per garantire un’informazione di bilancio più completa ed attendibile, dunque, la revisione contabile viene
affidata a società specializzate, che possono fornire il massimo contributo sotto il profilo tecnico, oltre al
fatto che è maggiore la vigilanza della Consob. Tutto ciò, però, non ha impedito scandali finanziari di
notevole rilievo, che sarebbero stati impediti se le società di revisione avessero fatto il loro dovere.

Per tal motivo la legge sulla tutela del risparmio, L.262/2005, ha rivisto la disciplina a riguardo, attribuendo
maggiori poteri alla Consob e prevedendo una maggiore indipendenza delle società di revisione.

Anzitutto è la società obbligata alla revisione a scegliere la società di revisione con delibera assembleare
ordinaria in occasione dell’approvazione del bilancio, su proposta dell’organo di controllo, trasmettendo la
deliberazione alla Consob e stabilendo il compenso spettante alla società di revisione, il quale deve essere
indipendente dall’esito della revisione e non dipendere da servizi aggiuntivi. In mancanza di tale delibera è
la Consob a conferire, d’ufficio, l’incarico, stabilendo anche il compenso.

L’incarico, inoltre, non può essere conferito a società di revisione in presenza di situazioni di incompatibilità
dettate con regolamento della Consob e fissate dal Tuf: nel caso in cui la causa di incompatibilità (interessi
finanziari, rapporti d’affari con la società che ha conferito l’incarico ecc.) sopraggiunga in un secondo
momento, la società di revisione deve attivarsi per rimuoverla e darne comunicazione alla Consob.

Le società di revisione fanno parte, il più delle volte, di una “rete” di rapporti giuridici di varia natura
(relazione di gruppo, contratti di collaborazione ecc.) con altre società, professionisti autonomi e studi legali,
che permettono loro di fornire SERVIZI AGGIUNTIVI diversi dall’attività di controllo contabile, cosiddetti
SERVIZI NON-AUDIT, circostanza che in passato ha pregiudicato il ruolo svolto dalle società di revisione,
determinando la mancanza di indipendenza e di interesse nella revisione stessa. E’ per tal motivo che la
legge sulla tutela del risparmio proibisce alle società di revisione, ai propri dipendenti, soci ed
amministratori di fornire la stragrande maggioranza di servizi non-audit, eliminando il problema alla radice.

Un altro problema che in passato ha impedito alle società di revisione di svolgere la propria attività
rispettando i requisiti di autonomia e professionalità è quello inerente l’ ECCESSIVA FAMILIARITA’ tra
controllante e controllata, frutto del passaggio di dipendenti dall’una all’altra società o dell’eccessiva durata
dei rapporti.

A tal fine è stato previsto che, se non sono trascorsi almeno tre anni dalla cessazione dei rapporti, chi ha
ricoperto incarichi o fatto parte della società revisionata non possa ricoprire incarichi nella società di
revisione e viceversa. Allo stesso modo l’incarico di revisione può avere durata massima di 9 esercizi e non è
rinnovabile, almeno che non siano trascorsi tre anni dalla cessazione dell’incarico precedente. Per quanto
riguarda le persone fisiche, facenti parte delle società di revisione, esse possono occuparsi della revisione
della società per un massimo di 6 esercizi, per poi riprendere solo dopo tre anni.

Prima della scadenza dell’incarico, comunque, l’assemblea ordinaria della società revisionata può revocare
l’incarico, sostituendola con un’altra, per giusta causa, trasmettendo la revoca alla Consob, la quale può
vietarne l’esecuzione entro 20 giorni per difetto di giusta causa. Solo trascorsi i venti giorni la revoca
produce i propri effetti. Anche la Consob stessa può decidere per la revoca d’ufficio dell’incarico, in caso di
gravi irregolarità o di incompatibilità. Ad ogni modo, le delibere di conferimento e di revoca della società di
revisione devono essere depositate presso il registro delle imprese.

Funzioni e responsabilità del revisore dei conti

Ma in cosa consiste l’attività di controllo?

Essa è regolata dal codice civile e dal Tuf e prevede che funzione principale, ma non esclusiva, del revisore
sia quella di controllare la regolare tenuta della contabilità e di esprimere un giudizio sul bilancio di
esercizio e su quello consolidato.

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“Controllare la regolare tenuta della contabilità” significa verificare, all’interno di un esercizio, che vi sia
traccia nelle scritture contabili di tutti i fatti di gestione e che il bilancio di esercizio e quello consolidato
siano inclini alle risultane delle scritture contabili, oltre che alle norme che li disciplinano.

Svolta l’attività di revisione, la società incaricata è chiamata ad “esprimere un giudizio sul bilancio”: può
trattarsi di un giudizio SENZA RILIEVI, in caso di bilancio conforme alle norme che ne disciplinano la
redazione, di un giudizio CON RILIEVI, di un giudizio NEGATIVO o di una DICHIARAZIONE DI IMPOSSIBILITA’
DI ESPRIMERE IL GIUDIZIO. I motivi della decisione sono espressi, dal revisore, all’interno della propria
relazione, almeno che non si tratti di giudizio senza rilievi. Nel caso di giudizio negativo o di impossibilità di
esprimere un giudizio, qualora si tratti di società quotate o con strumenti diffusi tra il pubblico, è prevista
l’immediata comunicazione alla Consob.

Il giudizio espresso, tuttavia, non influisce sul potere assembleare di approvare o meno il bilancio, sebbene
nelle società quotate il giudizio positivo, anche con rilievi, influisce sulla disciplina dell’impugnativa della
delibera di approvazione del bilancio.

Il soggetto incaricato del controllo contabile ha diritto di ottenere, ai fini della propria valutazione, tutte le
informazioni utili ed i documento da parte della società revisionata, interagendo tra l’altro con il collegio
sindacale. Può provvedere a ispezioni e controlli presso le sedi sociali e, qualora si tratti della società
incaricata della revisione di una capogruppo, essendo quest’ultima responsabile del bilancio consolidato di
gruppo, essa può chiedere informazioni e documenti anche alle società di revisione che attuano il controllo
contabile nei confronti delle società figlie. Qualsiasi irregolarità o fatto censurabile riscontrato per quanto
riguarda le società quotate o che fanno appello al mercato del capitale di rischio, vanno comunicati alla
Consob. L’intera attività, comunque, viene annotata in un apposito libro tenuto presso la sede della società
di revisione o in altro luogo indicato dallo statuto.

Anche alla società di revisione è richiesta l’osservanza dei doveri di diligenza e professionalità nello
svolgimento delle proprie funzioni, dato che risulta responsabile, anche penalmente, della verità delle
proprie attestazioni ed è tenuta al segreto sui fatti/documenti della società stessa.

Trova applicazione la disciplina dell’azione di responsabilità dettata per i sindaci e nel caso di società di
revisione, solidalmente con la società rispondono anche i soggetti incaricati del controllo ed il responsabile
della revisione, il quale sottoscrive le relazioni.

CAPITOLO UNDICESIMO – SISTEMI ALTERNATIVI DI AMMINISTRAZIONE E CONTROLLO

Il sistema dualistico

Alternativamente al sistema tradizionale di amministrazione e di controllo, descritto nei capitoli precedenti


in ogni sua parte, le società, tanto in sede di costituzione quanto con la modifica dello statuto, possono oggi
optare per il SISTEMA DUALISTICO di ispirazione tedesca, contemplabile nel nostro ordinamento a partire
dalla riforma del 2003.

Esso prevede, accanto all’assemblea ed all’organo indispensabile di controllo esterno (revisore contabile o
società di revisione) il CONSIGLIO DI GESTIONE ed il CONSIGLIO DI SORVEGLIANZA.

Il consiglio di gestione possiamo dire che corrisponde all’organo amministrativo del sistema tradizionale, in
quanto si occupa, appunto, di gestire la società.

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Al consiglio di sorveglianza, invece, oltre alle funzioni di controllo proprie del collegio sindacale, sono
attribuite alcune funzioni di indirizzo spettanti, nel sistema tradizionale, all’assemblea: il consiglio, infatti,
nomina e revoca i componenti del consiglio di gestione (gli amministratori) ed approva il bilancio d’esercizio;
oltre a ciò lo statuto può prevedere l’attribuzione di ulteriori funzioni dell’assemblea ordinaria e
straordinaria al consiglio di sorveglianza o allo stesso consiglio di gestione, quali l’approvazione delle
operazioni strategiche e dei piani industriali/finanziari predisposti dal consiglio di gestione, la soppressione
delle sedi secondarie ed il trasferimento di quella principale, la riduzione del capitale in caso di recesso ecc.

All’assemblea, dunque, rimane solo il compito di nominare e revocare i componenti del consiglio di
sorveglianza, determinandone il compenso, oltre che il compito di deliberare circa l’esercizio dell’azione di
responsabilità nei loro confronti, nonché di nominare il revisore e decidere sulla distribuzione degli utili.

Notiamo, quindi, come nel sistema dualistico venga realizzato un più accentuato distacco tra azionisti ed
organo gestorio, con l’attribuzione ad un organo professionale, il consiglio di sorveglianza, dei compiti che
spettano all’assemblea nel sistema tradizionale, allontanando di fatto i soci dalla gestione.

Il consiglio di sorveglianza

I componenti del consiglio di sorveglianza possono essere soci o non soci ed il loro numero, non inferiore a
tre, è fissato dallo statuto, almeno per ciò che concerne il limite massimo.

E’ l’atto costitutivo a contenere la nomina dei primi componenti, poi nominati successivamente
dall’assemblea che, nell’ambito delle previsioni statutario, ne determina anche il numero. Statuto e legge
possono riservare la nomina di uno o più consiglieri allo Stato o ad enti pubblici con partecipazioni nel
capitale sociale, così come è previsto che un consigliere debba essere nominato dai possessori di strumenti
finanziari partecipativi. Almeno un componente, poi, deve essere eletto dalla minoranza col sistema delle
liste di voto, in base ai regolamenti Consob.

I consiglieri di sorveglianza devono essere in possesso di requisiti di indipendenza, professionalità ed


onorabilità, più o meno rigoroso in base all’apertura al mercato della specifica società.

Nel caso di società che non fanno appello al mercato del capitale di rischio almeno un componente del
consiglio di sorveglianza deve essere iscritto nel registro dei revisori contabili. Non possono essere eletti i
componenti del consiglio di gestione, nonché coloro legati alla società o a società controllanti/controllate da
un rapporto di lavoro subordinato o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d’opera
retribuita che ne compromettano l’indipendenza. Per le cause di ineleggibilità e di decadenza va rispettato
l’art.2382 del codice, riguardante gli amministratori e già adattato ai sindaci nel sistema tradizionale.

Valgono, inoltre, per i consiglieri delle società quotate e di quelle con strumenti finanziari diffusi tra il
pubblico i limiti di cumulo di incarichi dettati per i sindaci e che abbiamo già esaminato (pagina 81 della
dispensa). I consiglieri delle società quotate devono, a pena di decadenza, essere in possesso dei requisiti di
onorabilità e professionalità dettati con decreto del Ministro della Giustizia. Per le società quotate vale
anche la regola di ineleggibilità del coniuge, dei parenti e degli affini entro il quarto grado degli
amministratori (membri del consiglio di gestione).

E’ lo statuto, o in mancanza l’assemblea, a prevedere un compenso per i consiglieri, in variabile in corso di


carica. La durata dell’incarico è comunque di tre esercizi ed è possibile la rielezione (si ha prorogatio della
carica).

A differenza dei sindaci ed al pari degli amministratori del sistema tradizionale, i consiglieri di sorveglianza
sono liberamente revocabili anche in assenza di giusta causa, salvo il risarcimento, sebbene sia necessaria
una delibera assembleare con il voto favorevole di almeno 1/5 del capitale sociale.

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L’assemblea sostituisce i consiglieri che, per qualsivoglia ragione, vengano a mancare durante l’esercizio
(non è prevista cooptazione se non contemplata nello statuto).

Nomina e cessazione dall’ufficio vanno iscritte, a cura degli amministratori, nel registro delle imprese entro
30 giorni.

Segue: Competenze e funzionamento del consiglio di sorveglianza

Il consiglio di sorveglianza esercita il controllo sull’amministrazione da parte del consiglio di gestione.

I medesimi diritti e poteri di informazione spettanti al collegio sindacale nel sistema tradizionale, spettano
anche al consiglio di sorveglianza nel sistema dualistico, nei confronti del consiglio di gestione, del revisore
esterno e degli organi delle società controllate.

I membri del consiglio di sorveglianza, però, hanno l’obbligo di assistere SOLO alle assemblee, mentre
possono ma non sono obbligati a prendere parte ai consigli di gestione (nelle società quotate tale obbligo
esiste, deve esserci almeno un consigliere di sorveglianza).

Il consiglio di sorveglianza ha anche il potere di “convocare” l’assemblea, previa comunicazione al


presidente del consiglio di gestione, qualora ravvisi, nella propria attività di controllo, fatti censurabili di
notevole gravità su cui occorre intervenire. Il consiglio riferisce per iscritto almeno una volta all'anno
all'assemblea sull'attività di vigilanza svolta, sulle omissioni e sui fatti censurabili rilevati. Lo stesso consiglio,
poi, deve convocare l’assemblea ed eseguire le pubblicazioni previste dalla legge in caso di omissione degli
amministratori; oltre a ciò deve chiedere al tribunale la riduzione del capitale sociale, laddove gli altri due
organi rimangano inerti. Inoltre deve comunicare alla Consob, per le sole società quotate, le irregolarità
riscontrate nella propria attività di controllo. Sempre per le società quotate, inoltre, il potere di convocare
l’organo amministrativo e di avvalersi di dipendenti della società come collaboratori, che nel sistema
tradizionale spetta a ciascun sindaco, e quello di convocare l’assemblea, che spetta a due sindaci, nel
sistema dualistico spetta rispettivamente ad uno o a due consiglieri di sorveglianza.

I consiglieri, però, individualmente non possono provvedere ad atti di ispezione e controllo, potere che
spetta all’intero consiglio di sorveglianza, differentemente dal sistema tradizionale dove spetta ad ogni
sindaco.

L’attività svolta viene documentata in un apposito libro.

Al consiglio di sorveglianza, come abbiamo già anticipato, competono alcuni compiti che nel sistema
tradizionale spettano all’assemblea:

 Nomina e revoca dei componenti del consiglio di gestione, con determinazione del compenso, salvo che la
relativa competenza sia attribuita dallo statuto all'assemblea;
 Approvazione del bilancio di esercizio e, ove redatto, del bilancio consolidato, anche se la distribuzione degli
utili rimane di competenza assembleare (il bilancio può essere approvato dall’assemblea se a farne richiesta
sono 1/3 dei componenti del consiglio di gestione o dello stesso consiglio di sorveglianza, oppure in
mancanza di approvazione da parte dello stesso);
 Esercizio dell'azione di responsabilità nei confronti dei componenti del consiglio di gestione.

Il presidente del consiglio di sorveglianza viene eletto dall’assemblea ed ha poteri determinati dallo statuto.
Il consiglio si riunisce ogni 90 giorni oppure ogni volta che un componente ne faccia richiesta al presidente.

Il consiglio è validamente costituito se sono presenti la maggioranza dei consiglieri, i quali deliberano a
maggioranza assoluta. Nessuna decadenza è prevista in caso di assenza alle adunanze, sebbene ciò possa
essere giusta causa di revoca della nomina.

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Anche ai consiglieri è richiesto di svolgere il proprio incarico con diligenza, oltre al fatto che essi sono
solidalmente responsabili con gli amministratori nel caso di danni alla società da parte di questi ultimi,
qualora gli stessi fossero evitabili dal consiglio di sorveglianza. E’ l’assemblea a deliberare l’azione di
responsabilità nei confronti dei consiglieri.

Il consiglio di gestione

Al consiglio di gestione si applicano le norme già affrontate e previste per gli amministratori nel sistema
tradizionale. Ci limitiamo a trattare, dunque, le sole differenze.

Il consiglio di gestione è formato da un minimo di 2 componenti, mentre il numero massimo è stabilito dallo
statuto. La prima nomina avviene nell’atto costitutivo, mentre le successive competono al consiglio di
sorveglianza, che ne determina anche il numero ed il compenso, almeno che quest’ultimo non spetti
determinarlo all’assemblea.

Nelle società quotate, in presenza di più di 4 componenti, almeno uno deve possedere i requisiti
dell’amministratore indipendente.

I membri del consiglio di gestione non possono essere nominati come componenti del consiglio di
sorveglianza, il quale, tra l’altro, può revocarli liberamente.

I componenti del consiglio di gestione, poi, durano in carica per 3 esercizi, ma sono rieleggibili, ovviamente
ad opera del consiglio di sorveglianza e non trova applicazione il meccanismo della cooptazione, data la
semplicità di sostituzione ad opera dell’organo di controllo.

Le funzioni possono essere delegate ad uno o più componenti, così come ad un comitato esecutivo.

E’ il consiglio di sorveglianza a promuovere, nei confronti dei consiglieri di gestione, l’azione di


responsabilità: la delibera comporta la revoca di ufficio se approvata a maggioranza dei 2/3, con contestuale
sostituzione e lo stesso consiglio può rinunciare all’azione di responsabilità o transigerla, ma occorre la
maggioranza dei componenti e la mancata opposizione della minoranza rappresentante 1/5 del capitale
sociale (1/20 per le società che fanno appello al mercato del capitale di rischio), altrimenti rinunzia e
transazione rimangono inefficaci. In caso di rinunzia, tuttavia, i soci di minoranza ed i creditori sociali
possono comunque esperire l’azione di responsabilità.

Il sistema monistico

Differentemente dal sistema dualistico, in cui il collegio sindacale è sostituito dal consiglio di sorveglianza,
nel SISTEMA MONISTICO, di origine anglosassone, tale organo è del tutto soppresso: il sistema, infatti,
prevede un unico organo, il CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE, all’interno del quale viene costituito il
COMITATO DI CONTROLLO SULLA GESTIONE. Il controllo contabile, come sempre, spetta all’organo esterno
del revisore contabile o della società di revisione.

Il consiglio di amministrazione, eletto dall’assemblea, è soggetto alla maggior parte delle norme dettate nel
sistema tradizionale per gli amministratori. Almeno 1/3 dei componenti di tale organo deve essere in
possesso di requisiti di indipendenza e nelle società quotate deve essere nominato almeno un
amministratore indipendente dalla minoranza tramite il voto di lista. E’ lo stesso consiglio, poi, a nominare
tra i propri componenti i membri del comitato per il controllo della gestione, scegliendoli tra i soggetti con
requisiti non solo di indipendenza, ma anche di professionalità e onorabilità. Almeno uno di essi, tra l’altro,
deve essere iscritto nel registro dei revisori contabili. I componenti del comitato di controllo sulla gestione
non possono far parte del comitato esecutivo, né svolgere funzioni gestorie in società
controllanti/controllate, e devono rispettare, a pena di decadenza, i limiti al cumulo di incarichi fissati dalla
Consob con regolamento, qualora la società sia quotata o abbia strumenti finanziari diffusi.

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Sempre nelle società quotate, poi, i componenti del comitato per il controllo sulla gestione devono
possedere i requisiti di professionalità e onorabilità fissati con decreto del Ministro della Giustizia; tra essi
deve esserci l’amministratore indipendente nominato dalla minoranza ed è sempre quest’ultima a nominare
il presidente.

I componenti del comitato devono essere almeno tre nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale
di rischio, ma comunque il numero è deciso dal consiglio di amministrazione, il quale ha anche il potere di
revocare i membri del comitato e di sostituirli in caso di morte, decadenza, rinuncia e revoca, mentre della
revoca dei consiglieri si occupa l’assemblea (nel momento in cui viene meno la carica di consigliere viene
meno anche quella di componente del comitato).

Il comitato di controllo sulla gestione si occupa di vigilare sull’adeguatezza della struttura organizzativa della
società, del sistema di controllo interno e del sistema amministrativo e contabile. Riceve, inoltre, le denunce
dei soci inerenti fatti censurabili e può presentare denuncia al tribunale in caso di gravi irregolarità di
gestione, denuncia che va inoltrata alla Consob nell’ipotesi di società quotate.

I componenti del comitato hanno l’obbligo di assistere alle adunanze del consiglio di amministrazione,
dell’assemblea e del comitato esecutivo, anche se l’assenteismo non è punito con decadenza, sebbene
possa fungere da giusta causa per la revoca.

Nelle società quotate il comitato di controllo sulla gestione ha i medesimi poteri d’informazione del collegio
sindacale nei confronti degli amministratori, dei revisori e degli organi delle controllate, oltre a poter
procedere con ispezioni e controlli. Ciascun membro può avvalersi della collaborazione di dipendenti della
società e può convocare individualmente il consiglio di amministrazione o il comitato esecutivo, ma non
l’assemblea. L’attività del comitato è documentata in apposito libro.

Il comitato elegge al suo interno il presidente, si riunisce ogni 90 giorni, è validamente costituito in presenza
della maggioranza dei suoi componenti e delibera a maggioranza assoluta dei presenti. La convocazione,
nelle società quotate, può essere richiesta da ogni componente.

CAPITOLO DODICESIMO – I CONTROLLI ESTERNI

Il sistema

Oltre al controllo interno, operato dai vari organi dei tre sistemi, e a quello esterno, operato dal revisore
contabile o dalla società di revisione, tutte le società per azioni, nell’interesse generale diverso da quello dei
soci, della minoranza e dei creditori sociali, sono soggette ad altri controlli esterni.

Pensiamo, anzitutto, al controllo sulla gestione esercitato dall’AUTORITA’ GIUDIZIARIA, quando ricorrono
situazioni che alterano il corretto funzionamento della società, che riguarda TUTTE le società per azioni.

Poi possiamo guardare al controllo esercitato dalla Consob, al fine di garantire la tutela degli investitori e la
trasparenza del mercato e delle società, su tutte le società quotate in borsa e su quelle che operano sul
mercato mobiliare: la Consob è un’Autorità amministrativa indipendente con poteri non solo di controllo,
ma anche regolamentari, esercitati nell’ambito dell’autonomia riconosciuta dalla legge.

Vi sono, inoltre, dei controlli pubblici esercitati nei confronti di società che operano in particolari settori:
pensiamo al potere di vigilanza della Banca d’Italia nei confronti delle società bancarie, di quelle
d’intermediazione mobiliare e delle società di gestione del risparmio, oppure al controllo dell’Isvap sulle
società assicurative o ancora a quello del Coni sulle società sportive.

Infine, un potere di controllo viene esercitato anche dalla Corte dei Conti nei confronti degli enti pubblici
economici trasformati in società per azioni (Eni, Enel ecc.) e in cui lo Stato ha ancora una partecipazione
maggioritaria.
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Il controllo giudiziario sulla gestione. Presupposti e iniziativa

Primo controllo esterno che prendiamo in considerazione è quello esercitabile dall’autorità giudiziaria a
norma dell’art.2409 del codice: essa interviene SOLO e SOLAMENTE quando vi è sospetto di gravi
irregolarità da parte degli amministratori nella gestione, potenzialmente dannose per la società o per le
controllate. Quindi, danno potenziale e sospetto di irregolarità nella gestione sono i presupposti che danno
luogo all’intervento giudiziario: si tratta, dunque, di un controllo di legalità, di regolarità della gestione, che
riguarda l’operato degli amministratori, o degli stessi in concorso con altri organi e che non può avere a
oggetto irregolarità imputabili alla sola assemblea, per esempio, o al solo collegio sindacale, né tanto meno
l’autorità giudiziaria può intervenire a sindacare l’opportunità o la convenienza delle scelte degli
amministratori, dovendo limitarsi a reintegrare il corretto funzionamento della società qualora gli stessi
siano venuti meno ai propri doveri (esempi: redazione di un bilancio falso, operazioni in conflitto di interessi,
irregolare tenuta della contabilità ecc.).

A denunziare le irregolarità possono essere:

 I SOCI, con partecipazione al capitale sociale, anche cumulativa, di almeno 1/10 (1/5 nelle società che fanno
ricorso al mercato del capitale di rischio): la percentuale minima di partecipazione è prevista per evitare
iniziative pretestuose da parte di piccolissimi azionisti;
 Il COLLEGIO SINDACALE o gli organi corrispondenti degli altri sistemi (CONSIGLIO DI SORVEGLIANZA e
COMITATO PER IL CONTROLLO SULLA GESTIONE), in tutte le società per azioni (un tempo era possibile solo
per le società quotate);
 Il PUBBLICO MINISTERO, per quanto riguarda le sole società che fanno appello al mercato del capitale di
rischio, in quanto vi è un interesse pubblico, ma anche privato, preminente rispetto alle altre società per
azioni (sarà vero? mah); il soggetto in questione non può agire nel caso in cui vengano lesi interessi diversi
(esempio: quelli dei consumatori);
 La CONSOB, per le sole società quotate, quando l’irregolarità riguarda gli organi interni di controllo;
 Gli ORGANI DELLE PROCEDURE CONCORSUALI (commissario giudiziale o straordinario per
l’amministrazione straordinaria, commissario liquidatore per la liquidazione coatta amministrativa) se vi è
un’irregolarità riguardante altre società del gruppo.

L’onere della prova dei denunzianti riguarda il “FONDATO SOSPETTO” e non l’effettiva irregolarità. Il
procedimento di controllo dell’autorità giudiziaria non può proseguire se le irregolarità non si presentano
come potenzialmente dannose o se sono state rimosse, mentre continua nel caso di cessazione dalla carica
degli amministratori che le hanno commesse o in caso di messa in liquidazione della società.

Segue: Il procedimento

Il procedimento attivato con la denuncia dei soggetti legittimati si articola in due fasi.

La prima di esse ha carattere istruttorio ed è volta ad accertare l’esistenza delle gravi irregolarità e i
provvedimenti tramite i quali rimuoverle. Il tribunale, a pena di nullità del procedimento, deve procedere
all’audizione di amministratori e sindaci, dopo di ché può far eseguire l’ISPEZIONE dell’amministrazione
della società da un consulente esterno: le spese dell’ispezione sono a carico dei soci o, in caso di denunzia di
altri soggetti, a carico della società.

L’ispezione, tuttavia, può essere evitata dal gruppo di comando chiedendo al tribunale la sospensione del
procedimento e provvedendo, in assemblea, alla sostituzione degli amministratori e dei sindaci con
“soggetti di adeguata professionalità”, nominati allo scopo di accertare le violazioni e di eliminarle, riferendo
il tutto al tribunale.

Tuttavia, qualora ciò risulti insufficiente, il tribunale può scegliere, ed è questa la seconda fase, se:

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 Disporre gli opportuni PROVVEDIMENTI CAUTELARI per evitare la reiterazione delle irregolarità e convocare
l’assemblea per le deliberazioni conseguenti, che la stessa, però, può rifiutarsi di prendere;
 Revocare gli amministratori e i sindaci, provvedendo a nominare un AMMINISTRATORE GIUDIZIARIO,
stabilendone poteri e durata, oltre che compenso, nel decreto di nomina. L’amministratore giudiziario è un
pubblico ufficiale, revocabile solo dal tribunale e può proporre l’azione di responsabilità contro gli
amministratori, evitabile dall’assemblea tramite rinuncia o transazione. Oltre a ciò ha pure la
rappresentanza processuale della società, deve rendere conto della propria gestione alla fine dell’ufficio al
tribunale e non può compiere atti eccedenti l’ordinaria amministrazione senza autorizzazione dell’autorità
giudiziaria. Alla scadenza dell’incarico deve convocare l’assemblea per la nomina dei nuovi amministratori e
sindaci o proporre la messa in liquidazione o l’assoggettamento a procedure concorsuali della società, anche
se è l’assemblea a decidere.

La Consob

La Consob (Commissione nazionale per le società e la borsa) è un organo pubblico di vigilanza, un’autorità
amministrativa indipendente istituita con la L.216/1974 che si configura come una persona giuridica di
diritto pubblico, con potere di controllo e regolamentare-normativo esercitabile nei limiti stabiliti dalla
legge. Ha sede a Roma e Milano. Le deliberazioni sono prese collegialmente, salvo casi eccezionali e l’organo
ha un proprio presidente, che sovrintende all’attività istruttoria e cura l’esecuzione delle delibere.

La Commissione è chiamata a collaborare con le altre autorità di vigilanza interne (Banca d’Italia, Isvap ecc.),
tra cui non è opponibile il segreto d’ufficio, e con quelle esterne dell’UE e dei singoli Stati comunitarie e non.

Nata come organo di vigilanza della borsa e delle società quotate, la Consob ha visto i propri poteri ampliarsi
col passare del tempo, sino ad estendere il proprio controllo, al fine di garantire la tutela degli investitori e la
trasparenza del mercato e delle società, sugli intermediari immobiliari (Sim, Sicav ecc.) e sui mercati
regolamentati di strumenti finanziari, vigilando sugli emittenti di strumenti diffusi tra il pubblico.

Ammissione delle azioni alle quotazioni di borsa

Partiamo col dire che la disciplina in materia di AMMISSIONE, SOSPENSIONE E REVOCA delle azioni alle
quotazioni di borsa è profondamente mutata a partire dal 1997, anno in cui la borsa valore è stata
privatizzata, con il conseguente passaggio di competenza dalla Consob alla società di gestione del mercato
regolamentato (il principale di essi si chiama MTA, gestito da Borsa Italiana S.p.A.), sempre sotto la vigilanza
della Commissione.

E’ alla società di gestione del mercato regolamentato che compete, dunque, stabilire le condizioni e le
modalità di ammissione, sospensione e revoca delle azioni e degli strumenti finanziari dalle negoziazioni,
stabilite all’interno di un apposito regolamento. La Consob, tuttavia, deve verificare che il regolamento in
questione sia idoneo ad assicurare la “trasparenza del mercato, l’ordinato svolgimento delle negoziazioni e
la tutela degli investitori”, provvedendo ad autorizzare l’esercizio dei mercati regolamentati.

L’ammissione di azioni e strumenti finanziari alla negoziazione, diversamente dal passato, avviene oggi SOLO
su richiesta della società, previa deliberazione dell’assemblea, mentre non è più prevista l’ammissione
d’ufficio ad opera della Consob o l’ammissione di diritto (come avveniva per le azioni di risparmio). Entro
due mesi dalla richiesta, la società di gestione del mercato delibera a favore dell’ammissione o meno,
pubblicando la propria decisione e comunicandola, oltre che all’emittente, alla Consob, la quale ha il potere
di vietarne l’esecuzione, entro 5 giorni dalla comunicazione.

L’inizio delle negoziazioni, però, non è immediato, in quanto deve essere preceduto, salvo esenzione
prevista dalla Consob, dalla pubblicazione di un PROSPETTO DI QUOTAZIONE, nel quale vengono esposti i
rischi dell’investimento e i diritti a esso connessi, tutte informazioni necessarie per gli investitori.

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Con la prima ammissione delle azioni alla quotazione la società viene assoggettata al controllo della Consob
e a tutte le norme dettate per le società quotate.

E’ la stessa società di gestione del mercato a disporre la sospensione delle azioni dalla quotazione, nel caso
in cui non sia temporaneamente garantita la regolarità del mercato o se lo richiede la tutela degli investitori,
o l’esclusione dalla quotazione, nell’ipotesi di prolungata carenza delle negoziazioni o quando non sia
possibile mantenere un mercato normale e regolare. Anche in questi casi la Consob, entro 5 giorni dal
provvedimento, può vietarne l’esecuzione. La sospensione può durare al massimo 18 mesi, al termine dei
quali la società di gestione del mercato decidere se farla venire meno o deliberare l’esclusione, qualora i
motivi della sospensione non siano venuti meno.

L’esclusione, che determina la fine del controllo della Consob e dell’assoggettamento alle norme inerenti le
società quotate, può anche essere richiesta dalla società stessa, previa delibera dell’assemblea
straordinaria, se si ottiene l’ammissione in un diverso mercato regolamentato italiano o straniero in cui sia
garantita una tutela equivalente degli investitori oppure semplicemente perché la quotazione in borsa non
rientra più nei piani della società, ma in tal caso i soci che non hanno concorso alla deliberazione hanno
diritto di recesso.

Segue: Consob e informazione societaria

La Consob svolge un ruolo importantissimo di controllo al fine di assicurare un’adeguata e veritiera


informazione de mercato mobiliare sugli eventi che riguardano le società che fanno appello al pubblico
risparmio, in moda da consentire delle scelte più consapevole agli stessi investitori.

Negli, a tal proposito, non solo sono stati accresciuti i poteri della Consob, ma sono aumentati anche gli
obblighi di informazione nei confronti del pubblico da parte dei soggetti emittenti.

Gli articoli dal 114 al 188 del Tuf prevedono che siano assoggettati agli obblighi informativi tutti gli emittenti
strumenti finanziari quotati (quindi anche diversi dalle azioni), gli emittenti strumenti finanziari non
quotati ma diffusi tra il pubblico in misura rilevante (stabilita dalla Consob) e gli emittenti strumenti
finanziari “negoziati” in un sistema multilaterale di negoziazione avente caratteristiche fissate dalla
Consob: quindi trasparenza e controllo della Commissione circa gli obblighi informativi riguardano tutte le
società in questione, le quali sono tenute a comunicare al pubblico, senza indugio, le INFORMAZIONI
PRIVILEGIATE, ossia informazioni precise e non ancora rese la cui conoscenza può influenzare il prezzo degli
strumenti finanziari, la cui comunicazione può essere ritardata nei soli casi previsti dalla Consob (quando ad
esempio la diffusione di un’informazione può far saltare una trattativa) e sempre che non induca il pubblico
in errore . Anche la Consob stessa può richiedere che siano resi pubblici notizie e documenti necessari per
un’informazione più completa, tanto agli emittenti quanto agli organi di amministrazione e controllo, così
come ai titolari di partecipazioni rilevanti: l’inottemperanza alla richiesta della Commissione comporta
sanzioni pecuniarie e la Consob provvede direttamente e comunque a informare il pubblico, a spese degli
interessati.

Molto spesso gli emittenti strumenti finanziari, le banche, gli intermediari mobiliari e gli analisti finanziari
indipendenti tendono a comunicare al pubblico, o anche a singoli investitori, RACCOMANDAZIONI e
PROPOSTE inerenti strategie di investimento su strumenti quotati: il più delle volte queste comunicazioni
non sono disinteressate, ma sono volte a un guadagno di cospicue dimensioni. E’ per tale motivo che deve
essere la Consob a stabilire le modalità di comunicazione al pubblico di raccomandazione e proposte ed è la
legge a prevedere che tali informazioni siano diffuse in maniera oggettiva e palesando l’esistenza di un
interesse relativo agli strumenti oggetto di informazione.

E’ sempre la Consob a prescrivere obblighi di informazione preventiva nei confronti del pubblico nel caso in
cui l’emittente intenda porre in essere OPERAZIONI STRAORDINARIE (acquisizione e cessione di pacchetti
azionari, acquisto di azioni proprie, fusioni e scissioni, emissione di obbligazioni ecc.), con la contemporanea
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trasmissione dei documenti inerenti tali operazioni alla stessa Commissione, al fine di verificarne la
veridicità.

I documenti contabili degli emittenti (quali bilancio di esercizio, relazioni trimestrali e semestrali degli
amministratori ecc.) sono soggetti, in forza delle previsioni della Commissione, ad INFORMAZIONE
PERIODICA, accompagnati da una dichiarazione scritta del dirigente preposto alla redazione di tali
documenti in cui si attesti la corrispondenza alle scritture contabili.

Le società quotate, inoltre, per ogni esercizio devono redigere la RELAZIONE SUL GOVERNO SOCIETARIO E
GLI ASPETTI PROPRIETARI, documento nel quale vengono indicate informazioni rilevanti per comprendere e
valutare quanto sia CONTENDIBILE il controllo della società in caso di una scalata ostile (ossia quanto sia
facile o difficile prendere il controllo della società), oltre ad essere contemplate tutte le caratteristiche
organizzative della società (poteri degli organi, presenza di comitati interni ecc.), tra cui spicca l’attestazione
di adesione a un codice di comportamento in materia di governo societario promosso da società di gestione
del mercato o da associazioni di categoria, oppure le ragioni della mancata adesione. A verificare
l’elaborazione di tale relazione provvedere la società di revisione.

Tutte le informazioni per cui è prevista la pubblicazione vengono definite INFORMAZIONI REGOLAMENTATE
e devono essere depositate presso la Consob e presso la società di gestione del mercato, oltre ad essere
pubblicate su quotidiani nazionali. La violazione di tali obblighi comporta la possibilità per la Consob di
rendere nota la violazione, oltre all’eventuale sospensione preventiva dalla quotazione per un periodo
massimo di 10 giorni, in caso di sospetto di violazione, e alla proibizione di negoziazione con revoca
definitiva dalla quotazione se la violazione viene accertata.

La Consob, infine, svolge anche un’indagine al fine di verificare la veridicità delle informazioni fornite
(CONTROLLO DELL’INFORMAZIONE), chiedendo a emittenti quotati, soggetti che li controllano e società
controllate notizie e documenti a riguardo. Può provvedere anche all’audizione personale dei componenti
degli organi sociali e della società di revisione, nonché dei soci di maggioranza o con partecipazioni rilevanti
o partecipanti a un patto parasociale. Può anche eseguire ispezioni per lo stesso scopo.

La Consob può anche richiedere notizie, documenti e dati e procedere all’audizione personale di CHIUNQUE
possa avere informazioni inerenti l’ABUSO DI INFORMAZIONI PRIVILEGIATE (INSIDER TRADING) e la
MANIPOLAZIONE DEL MERCATO, procedendo anche, previa autorizzazione del procuratore della
Repubblica, all’acquisizione di intercettazioni telefoniche, di dati informatici, al sequestro di beni e a
ispezioni.

CAPITOLO TREDICESIMO – I LIBRI SOCIALI. IL BILANCIO

I libri sociali obbligatori

Oltre ai libri e alle scritture contabili previste per tutti gli imprenditori commerciali, la società per azioni è
obbligata a tenere i libri sociali indicati nell’art.2421 del codice, ossia:

 Il libro dei soci: indica il numero di azioni emesse, nome e cognome dei titolari di azioni nominative,
trasferimenti e vincoli sulle azioni, versamenti eseguiti, annullamenti di titoli, eventuale ammortamento e
rilascio di duplicati. Il diritto di ispezione e di ottenere estratti a proprie spese spetta ai soci e al
rappresentante comune degli azionisti di risparmio, mentre agli stessi è precluso l’esame degli altri libri.
Tenuto a cura degli amministratori;
 Il libro delle obbligazioni: indica le obbligazioni emesse e quelle estinte, nome e cognome dei titolari di
obbligazioni nominative, trasferimenti e vincoli sulle stesse. Il diritto di ispezione spetta al rappresentante
comune degli obbligazionisti. Tenuto a cura degli amministratori;
 Il libro delle adunanze e delle deliberazioni delle assemblee, dove vengono trascritti i verbali redatti per
atto pubblico e iscritti direttamente i verbali redatti dal segretario. Tenuto a cura degli amministratori;
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 Il libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione. Tenuto a cura degli
amministratori;
 Il libro delle adunanze e delle deliberazioni dell’organo di controllo interno (collegio sindacale, consiglio di
sorveglianza o comitato per il controllo sulla gestione). Tenuto a cura dell’organo stesso;
 Il libro delle adunanze e delle deliberazioni del comitato esecutivo, laddove sia stato istituito. Tenuto a
cura del comitato stesso;
 Il libro delle adunanze e delle deliberazioni dell’assemblea degli obbligazionisti. Il diritto di ispezione
spetta ai singoli obbligazionisti. Tenuto a cura del rappresentante comune degli obbligazionisti;
 Il libro degli strumenti finanziari di partecipazione a uno specifico affare. Il diritto di ispezione e di ottenere
estratti spetta al rappresentante comune e ai singoli possessori, relativamente solo all’ultimo libro. Tenuto a
cura degli amministratori.

Il diritto di ispezione consiste nella possibilità di esaminare i libri.

Il bilancio di esercizio

Come tutti gli imprenditori assoggettati all’obbligo di tenuta delle scritture contabili, anche le società per
azioni devono redigere annualmente il bilancio di esercizio (oltre a redigere bilanci straordinari infra-annuali
nel caso di particolari vicende della vita societaria).

Il BILANCIO DI ESERCIZIO è il documento contabile che rappresenta, in modo chiaro, veritiero e corretto, la
situazione patrimoniale e finanziaria della società al termine di un esercizio, nonché il risultato economico
dell’esercizio stesso, ossia gli utili conseguiti o le perdite subite: dal bilancio, dunque, risultano l’ ASPETTO
STATICO, ossia la situazione del patrimonio, e l’ASPETTO DINAMICO, ossia la redditività della società.

Il bilancio di esercizio assolve a diverse funzioni: anzitutto è il TERMINE DI RIFERIMENTO tanto per
l’applicazione delle norme poste a tutela dell’integrità del capitale sociale, quanto per le deliberazioni
assembleari che ruotano attorno all’accertamento periodico di utili e perdite (pensiamo alla costituzione di
riserve e distribuzione di utili ai soci, alla riduzione del capitale sociale per perdite, all’acquisto di azioni
proprie e all’emissione di obbligazioni ecc.).

Inoltre il bilancio di esercizio è lo strumento di informazione contabile attraverso il quale i soci possono
conoscere l’andamento degli affari e i creditori la consistenza del patrimonio sociale, loro sola garanzia.

Il bilancio, poi, è termine di riferimento anche per la tassazione periodica del reddito delle società (Ires),
quindi per l’applicazione della normativa tributaria, anche se, differentemente da ciò che avveniva in
passato, oggi non è più possibile effettuare rettifiche di valore (ad esempio ammortamenti) in applicazione
della normativa fiscale, mentre è possibile iscrivere in bilancio le imposte pagate anticipatamente e quelle
differite.

Le modifiche per rendere più chiaro, veritiero e corretto il bilancio di esercizio sono state molteplici, tanto
sotto il profilo interno, quanto da parte del diritto comunitario. Quest’ultimo, per esempio, ha previsto, a
partire dal 2005, l’obbligo per alcune società e la facoltà per altre di redigere i propri bilanci in base ai
PRINCIPI CONTABILI INTERNAZIONALI, in modo tale da poter confrontare i bilanci di imprese operanti in
Stati diversi. Tali principi vengono emanati dall’International Accounting Standard Board (IASB) e prendono
il nome di International Accounting Standard (IAS) quelli approvati sino al 2001 e di International Financial
Reporting Standard (IFRS) quelli successivi. Importanti sono anche le interpretazioni di questi principi
fornite dallo IASB. I principi contabili internazionali, ad ogni modo, diventano vincolanti in tutti gli Stati SOLO
DOPO essere stati recepiti tramite regolamento comunitario. L’impiego di questi principi nella redazione del
bilancio di esercizio e di quello consolidato è OBBLIGATORIO per le società con azioni o altri strumenti
finanziari quotati (in Italia o in altro Stato membro) o diffusi tra il pubblico in maniera rilevante. E’ altresì
obbligatorio per società bancarie, assicurative, di intermediazione mobiliare e finanziaria. Non è invece
consentita l’adozione di tali principi alle società che possono redigere il bilancio “in forma abbreviata”. Per
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tutte le altre società per azioni, invece, l’adozione di questi principi è FACOLTATIVA. Se, però, tali principi
vengono adottati, la scelta è IRREVOCABILE, salvo casi eccezionali in cui comunque la revoca produce effetti
a partire dall’esercizio successivo a quello in cui viene deliberata.

Principi fondamentali della disciplina del bilancio

Tanto il sistema nazionale, quanto i principi contabili internazionali, sono comune dominati da “clausole
generali” comuni, che vanno ad integrare le relative normative di dettaglio: si tratta dei principi
fondamentali della CHIAREZZA e della rappresentazione VERITIERA e CORRETTA, il primo dei quali trova
applicazione nella disciplina della struttura e del contenuto del bilancio, mentre i secondi vengono sviluppati
nelle norme che fissano i criteri di valutazione dei diversi cespiti patrimoniali.

A proposito delle normative di dettaglio è previsto l’obbligo di fornire informazioni ulteriori se quelle
richieste da specifiche disposizioni di legge o da principi contabili internazionali risultano insufficienti per
dare una rappresentazione veritiera e corretta; gli stessi principi e disposizioni vanno, tra l’altro, disapplicati
se IMPEDISCONO una rappresentazione veritiera e corretta , con motivazione delle deroghe nella nota
integrativa del bilancio.

Altri principi, oltre a quella della chiarezza, della veridicità e della correttezza, da osservare nella stesura del
bilancio sono:

 Il principio della PRUDENZA, da osservare nella valutazione delle voci di bilancio e nella prospettiva di
continuazione dell’attività, al fine di evitare che dal bilancio risultino utili non effettivamente realizzati alla
chiusura dell’esercizio;
 Il principio di PREVALENZA DELLA SOSTANZA SULLA FORMA, secondo cui va presa in considerazione la
funzione economica dell’attivo e del passivo, la quale deve prevalere sui criteri formali di iscrizione in
bilancio;
 Il principio del BILANCIO DI COMPETENZA, in forza del quale occorre tener conto dei proventi e degli oneri
di competenza dell’esercizio (la cui causa si è verificata nell’esercizio), senza badare alla data d’incasso o di
pagamento, o ai rischi e alle perdite di competenza (si tratta, dice l’autore, di un bilancio di competenza e
non di cassa);
 Il principio di CONTINUITA’, il quale impone di usare sempre gli stessi criteri di valutazione da un esercizio
all’altro e di motivare, in casi eccezionali, la modifica/deroga.

Infine, è previsto che gli elementi eterogenei ricompresi nelle singole voci del bilancio devono essere
valutati separatamente.

Passiamo ad analizzare prima la struttura del bilancio secondo la disciplina codicistica e poi secondo i
principi contabili internazionali.

La struttura del bilancio redatto secondo la disciplina del codice civile

In forza della disciplina del nostro codice civile il bilancio deve essere composto da tre parti: lo stato
patrimoniale, il conto economico e la nota integrativa. Ad esse si accompagnano la relazione sulla gestione
degli amministratori, quella del collegio sindacale e la relazione del revisore contabile, che figurano però
come ALLEGATI.

Gli artt.2424 e 2425 c.c., poi, indicano le voci obbligatorie dello stato patrimoniale e del conto economico,
mentre l’art.2423-ter prescrive le regole da osservare nella stesura di tali documenti, il tutto in applicazione
del principio di chiarezza.

Ecco i CRITERI DI REDAZIONE da rispettare nello stato patrimoniale e nel conto economico (art.2423-ter):

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 ORDINE TASSATIVO di inserimento delle singole voci, fissato dalla legge e non modificabile dagli
amministratori;
 Raggruppamento in CATEGORIE OMOGENEE, indicate da lettere maiuscole, articolate in SOTTOCATEGORIE,
contraddistinte da numeri romani, a loro volta suddivise in VOCI, contrassegnate da numeri arabi ed in
SOTTOVOCI, lettere minuscole (Esempio: voce B-III-1-c);
 Indicazione dell’importo di ogni voce corrispondente dell’esercizio precedente, al fine di attuare un
raffronto;
 DIVIETO DEL COMPENSO DI PARTITE: costi e ricavi vanno iscritti distintamente e non sommati tra loro;
 Redazione del bilancio in unità di euro e senza cifre decimali.

Possono redigere il cosiddetto BILANCIO IN FORMA ABBREVIATA tutte quelle società che, per attivo
patrimoniale, fatturato e numero di dipendenti NON superano determinate dimensioni fissate dalla legge, le
quali in taluni casi possono anche omettere la relazione sulla gestione, qualora la nota integrativa si presenti
particolarmente esaustiva.

STATO PATRIMONIALE

Lo STATO PATRIMONIALE indica sinteticamente le attività e le passività della società, oltre alla sua
situazione finanziaria nel giorno di chiusura dell’esercizio ed al patrimonio netto. Deve essere redatto, a
norma dell’art.2424 c.c., nella forma a COLONNE CONTRAPPOSTE, indicando prima le attività, poi il
patrimonio netto e poi le passività.

Ecco le categorie (e le relative sottocategorie) dell’ATTIVO patrimoniale:

A) Crediti verso soci per versamenti ancora dovuti, con indicazione di quanto è stato già dato;
B) Immobilizzazioni, per tali intendendosi quei beni economici che non esauriscono la loro utilità all’interno di
un solo esercizio ma manifestano i loro benefici in un arco temporale più ampio. Le immobilizzazioni sono a
loro volta distinte in tre sottocategorie:
B-I) Immobilizzazioni immateriali, ossia quelle prive di tangibilità, articolate in 7 voci, quali i diritti di brevetto
industriale e l’avviamento ecc.;
B-II) Immobilizzazioni materiali, articolate in 5 voci, come terreni e fabbricati, attrezzature industriali e
commerciali ecc.;
B-III) Immobilizzazioni finanziarie, che comprendono partecipazioni azionarie e non, articolate in tre
sottovoci, crediti, articolati in quattro sottovoci, altri titoli ed azioni proprie, se destinati stabilmente a
permanere nel patrimonio sociale, altrimenti indicati nell’attivo circolante;
C) Attivo circolante, distinto in:
C-I) Rimanenze, articolate in 5 voci, quali le rimanenze di materie prime e di consumo, di prodotti finiti e
merci ecc.;
C-II) Crediti che non sono immobilizzazioni, articolati in 7 voci, come i crediti tributari e le imposte
anticipate;
C-III) Attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni, tra cui vi sono le partecipazioni, le azioni
proprie e gli altri titoli di cui si prevede l’alienazione (ecco perché non sono immobilizzazioni, perché non
rimangono per lungo tempo);
C-IV) Disponibilità liquide, articolate in tre voci, quali i depositi bancari e il denaro in cassa;
D) Ratei e risconti (attivi), con indicazione del DISAGGIO su prestiti: i ratei attivi sono quote di proventi comuni
a due o più esercizi, di competenza dell’esercizio solo in parte, in quanto esigibili solo in esercizi successivi
(esempio: la società concede un immobile in locazione nel 2010 e per un periodo di due anni, 2010 e 2011,
pattuendo che il canone di locazione dovrà essere pagato alla fine del 2011. Metà di tale somma, però,
viene iscritta tra i ratei attivi proprio nel 2010, anche se non è stata ancora percepita, in quanto viene
considerata credito del successivo esercizio); i risconti attivi sono quote di costi comuni a due o più esercizi,
sostenuti nell’esercizio ma di competenza dell’esercizio successivo (esempio: la società prende in fitto dei
locali per un periodo di 3 anni pagando anticipatamente il fitto complessivo di 3000 euro; solo 1000 euro
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sono imputabili all’esercizio in corso, mentre gli altri 2000 riguardano i due esercizi successivi e pertanto
questi 2000 vanno iscritti come risconto attivo, come credito verso gli esercizi futuri). Il disaggio di
emissione su prestiti obbligazionari è la differenza tra la somma riscossa e la maggior somma dovuta dalla
società alla scadenza, la quale deve essere imputata pro quota ad ogni esercizio per il periodo di durata del
prestito, in base al piano di ammortamento.

Passiamo alle 5 categorie del PASSIVO dello stato patrimoniale:

A) Patrimonio netto: dalla somma (degli importi) tra capitale sociale nominale, diversi tipi di riserve, utili
portati a nuovo (ossia quelli di esercizi precedenti non distribuiti) ed utili dell’esercizio risultanti dal conto
economico vanno detratte le perdite portate a nuovo e quelle dell’esercizio, avendo come risultato il
PATRIMONIO NETTO della società. Tutte le voci citata vanno iscritte nella colonna del passivo solo per
ragioni contabili, ma non sono vere e proprie passività (passivo ideale);
B) Fondi per rischi ed oneri: si tratta di accantonamenti destinati a coprire perdite o debiti certi o quantomeno
probabili di cui, però, alla chiusura dell’esercizio non si conosce ancora l’ammontare o la data di
sopravvenienza;
C) TFR di lavoro subordinato: l’importo del fondo va calcolato in base agli anni di servizio maturati;
D) Debiti, articolati in 14 voci, per capire bene a quanto ammonta l’indebitamento della società;
E) Ratei e risconti (passivi) con indicazione separata dell’AGGIO sui prestiti: i ratei passivi sono quote di costi
comuni a due o più esercizi, di competenza dell’esercizio ma da sopportare negli esercizi successivi; i risconti
passivi sono quote di proventi comuni a due o più esercizi, percepiti nell’esercizio ma di competenza di
esercizi successivi.

Alla fine dello stato patrimoniale vanno indicati i CONTI D’ORDINE, che riguardano l’esistenza di rischi ed
impegni futuri, che però non incidono al momento sulla consistenza del patrimonio. Vanno indicate, a tal
proposito, le garanzie dirette ed indirette prestate dalla società.

CONTO ECONOMICO

Il CONTO ECONOMICO contiene l’indicazione del risultato economico dell’esercizio (c’è stato un utile o una
perdita?), rappresentando costi ed oneri sostenuti, nonché ricavi e proventi conseguiti in quell’esercizio.

Va redatto in FORMA ESPOSITIVA SCALARE, indicando in sequenza componenti positivi e negativi del
reddito, con previsione dei “totali parziali”, i quali permettono di distinguere il risultato della specifica
attività sociale, vedendo se dalla gestione ordinaria ci sono stati utili o perdite, dal risultato straordinario,
inerente oneri e proventi di diversa natura.

Il conto economico è articolato in 5 sezioni scalari:

A) Valore della produzione: vanno dapprima sommati i ricavi dell’attività produttiva e le variazioni, positive o
negative, delle rimanenze di magazzino;
B) Costi della produzione: dal totale di cui sopra vanno sottratti i costi della produzione, ossia ammortamenti,
svalutazioni e accantonamenti, ottenendo il RISULTATO LORDO DELLA GESTIONE ORDINARIA della società;
C) Proventi ed oneri finanziari, sommati algebricamente, quali i proventi derivanti da partecipazioni in altre
società, interessi attivi e passivi, utili e perdite su cambi, con relativo totale;
D) Rettifiche di valore di attività finanziarie, iscritte e sommate tra loro, riguardanti rivalutazioni e svalutazioni
delle attività in questione, con indicazione del totale;
E) Proventi ed oneri straordinari, iscritti e sommati tra loro, con relativo totale.

Tutti i TOTALI PARZIALI vanno sommati, ottenendo il risultato globale di esercizio, indicato prima a lordo e
poi al netto delle imposte sul reddito: il risultato determina l’utile o la perdita di esercizio da riportare nello
stato patrimoniale (Valore della produzione + Costi della produzione + Proventi ed oneri finanziari +

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rettifiche di valore di attività finanziarie + Proventi ed oneri straordinari = RISULTATO GLOBALE LORDO DI
ESERCIZIO. Risultato globale lordo – Imposte sul reddito = RISULTATO GLOBALE NETTO DI ESERCIZIO).

NOTA INTEGRATIVA

Redatta ad opera degli amministratori, la NOTE INTEGRATIVA non fa altro che illustrare e specificare le voci
contenute nello stato patrimoniale e nel conto economico, fornendo informazioni integrative appunto sulla
situazione patrimoniale e finanziaria e sul risultato economico dell’esercizio, nonché sul numero di
dipendenti, sui compensi di amministratori e sindaci, sulle azioni e sugli altri strumenti finanziari emessi
dalla società, sui finanziamenti dei soci alla società e sulle operazioni di locazione finanziaria. Vanno
elencate in tale NOTA, che è parte integrante del bilancio, le partecipazioni in società controllate e
collegate ed il valore che dovrebbe essere attribuito agli strumenti finanziari in applicazione del criterio del
FAIR VALUE (il fair value è il corrispettivo al quale un’attività può essere scambiata, o una passività estinta,
tra parti consapevoli e disponibili, in una transazione tra terzi indipendenti).

RELAZIONE SULLA GESTIONE

Si tratta di un allegato ESTERNO rispetto al bilancio, redatto dagli amministratori, il quale funge da
resoconto sulla gestione della società e sulle sue prospettive future. La relazione, in sostanza, fornisce una
panoramica della situazione in cui versa la società, indicando nel complesso e nei vari settori in cui la stessa
ha operato la situazione generale e l’andamento della gestione, con particolare attenzione a costi, ricavi ed
investimenti. Indica anche i fatti avvenuti dopo la chiusura dell’esercizio e l’evoluzione prevedibile della
gestione.

Segue: La struttura del bilancio redatto secondo i principi contabili internazionali

Il bilancio redatto secondo i principi contabili internazionali presenta una struttura più articolata rispetto
quanto previsto dal nostro codice, anzitutto suddividendosi in 5 parti, anziché tre:

 Stato patrimoniale;
 Conto economico complessivo (equivalente al conto economico);
 Note al bilancio (equivalenti alla nota integrativa);
 Prospetto delle variazioni del patrimonio netto;
 Rendiconto finanziario.

Le due novità, costituite dai documenti del prospetto delle variazioni del patrimonio netto e del rendiconto
finanziario, attribuiscono al bilancio una più ampia funzione informativa, volta a rappresentare, oltre alla
situazione del patrimonio e alla redditività ella società, anche i FLUSSI DI CASSA, ossia la liquidità di cui ha
potuto disporre la società nel corso dell’esercizio, la maniera in cui se l’è procurata e come l’ha impiegata,
che descrivono la capacità dell’impresa di far fronte ai propri debiti in scadenza e di effettuare nuovi
investimenti, tutte informazioni non reperibili all’interno dello stato patrimoniale e del conto economico, in
quanto questi due, come abbiamo già detto, vengono redatti “per competenza e non per cassa” (pagina 99
della dispensa).

Ovviamente, anche al bilancio redatto secondo i principi contabili internazionali occorre allegare le relazioni
degli amministratori, del collegio sindacale e del revisore contabile.

Differentemente dalla disciplina del bilancio contenuta nel codice, i principi contabili internazionali
richiedono degli SCHEMI DI BILANCIO meno rigidi, contenenti le informazioni MINIME inerenti eventi o
elementi patrimoniali omogenei; in mancanza di tale omogeneità le voci vanno indicate distintamente,
includendo anche l’importo della voce corrispondente dell’esercizio precedente (come nella disciplina del
codice). E’ vietato, anche qui, il compenso di partite.

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Gli elementi minimi necessari dello stato patrimoniale sono i seguenti:

 Immobili, impianti e macchinari;


 Investimenti immobiliari;
 Attività immateriali;
 Attività finanziarie che non rientrano in altre voci specifiche;
 Partecipazioni contabilizzate con il metodo del patrimonio netto;
 Attività biologiche;
 Rimanenze;
 Crediti commerciali e altri crediti;
 Disponibilità liquide e mezzi equivalenti;
 Attività e complessi aziendali che la società intende vendere o dismettere nel beve periodo, secondo quanto
previsto dall’IFRS 5, con separata indicazione delle passività incluse in tali complessi patrimoniali;
 Debiti commerciali ed altri debiti;
 Accantonamenti;
 Passività finanziarie non rientranti in altre voci specifiche;
 Crediti e debiti per imposte, distinguendo fra imposte correnti e differite;
 Capitale nominale e riserve.

L’organizzazione delle voci dello stato patrimoniale è rimessa alla libertà degli amministratori, i quali devono
provvedervi con la massima chiarezza e distinguendo le ATTIVITA’ e le PASSIVITA’ A BREVE TERMINE
(CORRENTI) da quelle a LUNGO TERMINE (NON CORRENTI): sono attività a breve termine il denaro, i beni
posseduti a scopo di negoziazione e le attività destinate ad essere utilizzate o vendute nel normale ciclo
operativo dell’impresa o comunque entro 12 mesi, mentre sono passività a breve termine quelle destinate
ad essere estinte nel normale ciclo operativo dell’impresa o il cui pagamento deve essere effettuato o
preteso entro 12 mesi, oppure quelle assunte a scopo di negoziazione. Tutte le altre attività e passività sono
“non correnti”.

Nel bilancio redatto secondo i principi contabili internazionali MANCANO i conti d’ordine in calce allo stato
patrimoniale e garanzie, passività solo eventuali ed impegni futuri vanno indicati nelle note al bilancio.

Il contenuto MINIMO del conto economico è indicato nello IAS 1 e comprende:

 Ricavi;
 Oneri finanziari;
 Oneri tributari;
 Utili o perdite, plusvalenze o minusvalenze delle attività operative cessate, al netto delle imposte;
 Utile o perdita d’’esercizio;
 Altre voci di ricavo e di costo che, in base a quanto disposto dai singoli principi contabili internazionali, non
concorrono a determinare l’utile o la perdita di esercizio (prospetto delle altre voci del conto economico
complessivo);
 Totale del conto economico complessivo.

Noi sappiamo che il conto economico contiene tutti gli incrementi e le diminuzioni patrimoniali verificatisi
nell’esercizio; al pari della disciplina del codice, tuttavia, anche i principi contabili internazionali prevedono
che alcune variazioni patrimoniali siano rilevate direttamente come variazioni delle poste del patrimonio
netto, senza risultare dal conto economico, come nel caso delle operazioni con i soci in quanto tali
(pensiamo all’aumento del capitale sociale o alla riduzione dello stesso, laddove acquisizione o rimborso dei
conferimenti non possono essere equiparati a ricavi o costi, pertanto non potendo figurare nel conto
economico).

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Il PROSPETTO DELLE VARIAZIONI DEL PATRIMONIO NETTO è un ulteriore documento che fa parte del
bilancio, all’interno del quale vanno evidenziate le MODIFICAZIONI TOTALI POSITIVE E NEGATIVE del
patrimonio netto nell’esercizio. Il prospetto, infatti, indica il “totale del conto economico complessivo
dell’esercizio” e “gli importi delle operazioni con i soci che agiscono in tale qualità” (distribuzione di
dividendi, acquisto di azioni proprie ecc.).

Il RENDICONTO FINANZIARIO, invece, espone sinteticamente INCASSI e PAGAMENTI (FLUSSI DI CASSA o


cash flows) effettuati dalla società durante l’esercizio, descrivendo dunque le variazioni di disponibilità
liquide della società, la loro origine ed il loro impiego.

I flussi di cassa vengono raggruppati in 3 CLASSI:

 Flussi di cassa dell’attività operativa, inerenti l’esercizio dell’attività produttiva principale dell’impresa
(esempio: incassi da vendita di beni e servizi);
 Flussi di cassa derivanti dall’attività d’investimento, relativi a smobilizzazione o realizzazione di
investimenti (esempio: incassi per la vendita di partecipazioni);
 Flussi di cassa derivanti dall’attività finanziaria, ossia incassi delle operazioni con cui la società si procura
nuovo capitale o nuovi finanziamenti, oppure i pagamenti dei dividendi o degli interessi.

Le NOTE AL BILANCIO, equivalenti alla nota integrativa prevista dal codice, non fanno altro che illustrare ed
integrare il contenuto degli altri documenti del bilancio: è, dunque, obbligatorio fornire tutte le informazioni
aggiuntive necessarie per una rappresentazione veritiera e corretta dei fatti del bilancio stesso.

I criteri di valutazione nel codice civile

La redazione del bilancio contempla al suo interno una molteplicità di cespiti patrimoniali per cui manca un
valore assoluto da iscrivere o comunque tale valore, pur esistendo, si presenta come soggetto a mutare
notevolmente nel tempo (basti pensare agli immobili o ai macchinari, la cui valutazione dipende dalla
destinazione d’uso per gli uni e dall’usura del tempo per gli altri). In questi casi sono gli amministratori a
dover STIMARE il valore dei beni, sulla base della propria discrezionalità, potendo dar luogo,
volontariamente o involontariamente, ad una stima errata, con una sopravvalutazione delle attività o una
sottovalutazione delle passività comportanti un danno per la società, oppure con una sopravvalutazione
delle passività ed una sottovalutazione delle attività, comportanti un ingiusto beneficio (è il caso delle
“riserve occulte”, utili conseguiti ma non risultanti dal bilancio).

Per evitare questi effetti distorsivi che falserebbero il risultato economico dell’esercizio, tanto il codice civile,
quanto i principi contabili internazionali, seguono due strade diverse: da un lato fissano i principi generali
della “prudenza” e della “continuità” (pagina 99 della dispensa); dall’altro, invece, dettano i criteri a cui gli
amministratori devono attenersi nella valutazione dei diversi cespiti.

Partiamo dalla disciplina del codice, dettata dal nostro legislatore, che accoglie anzitutto il CRITERIO del
COSTO STORICO DI ACQUISTO O DI PRODUZIONE del bene contabilizzato.

Le immobilizzazioni, siano esse immateriali, materiali o finanziarie, vanno iscritte in bilancio al “costo
storico” (art.2426 comma 1 c.c.), computando anche i COSTI ACCESSORI (esempio: spese di trasporto o di
manutenzione).

Qualora l’utilizzazione di immobilizzazioni materiali o immateriali sia limitata nel tempo (pensiamo ai
macchinari) è necessario operare l’AMMORTAMENTO del VALORE in ogni esercizio, tenendo conto della
“residua possibilità di utilizzazione del bene”, attraverso la “diretta riduzione” del valore iscritto nell’attivo
patrimoniale: tenendo conto di diversi coefficienti (obsolescenza tecnica, logorio fisico ecc.), quindi, viene
ripartito tra i diversi esercizi di probabile durata del bene il costo inizialmente sopportato.

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Se, poi, vi sono anche delle SVALUTAZIONI dei beni, il valore degli stessi va ridotto rispetto a quello storico,
almeno per l’esercizio in cui il minor valore è stato accertato.

Sono previste, inoltre, delle regole particolari per alcune immobilizzazioni: quelle finanziarie costituite da
partecipazioni in società controllate o collegate, per esempio, possono essere valutate in base al
“patrimonio netto”, anziché al costo, ossia in base alla quota di patrimonio netto detenuta nella società in
questione, risultante dall’ultimo bilancio (se vi sono plusvalenze negli esercizi successivi, esse vanno iscritte
in una riserva non distribuibile). I costi di impianto, di ricerca, di sviluppo e pubblicità, per altro verso,
possono essere iscritti nell’attivo SOLO se hanno un’UTILITA’ PLURIENNALE, potendo essere ammortizzati in
un periodo non superiore a 5 anni (fino a che l’ammortamento non è completato non si possono distribuire
dividendi, almeno che non vi siano riserve sufficienti a coprire la parte non ancora ammortizzata, e ciò al
fine di tutelare i creditori). Anche l’avviamento, se acquistato A TITOLO ONEROSO, può essere iscritto
nell’attivo e ammortizzato in 5 anni. Per quanto riguarda i crediti, invece, essi vanno iscritti in bilancio in
base al VALORE di PRUDENTE REALIZZO, ossia se realmente possono essere realizzati, altrimenti vanno
iscritti per la minor somma conseguibile.

I beni dell’attivo circolante diversi dai crediti e che non costituiscono immobilizzazioni (rimanenze, titoli e
partecipazioni) vanno iscritte in base al COSTO DI ACQUISTO O DI PRODUZIONE, oppure, qualora abbiano in
un determinato esercizio un valore minore, in base al VALORE DI REALIZZO.

Per quanto riguarda le operazioni IN VALUTA (attività e passività) i cui effetti non si sono ancora esauriti al
termine dell’esercizio, esse vanno iscritte in bilancio diversamente a seconda che si tratti di immobilizzazioni
o meno: nel caso in cui le attività e le passività siano immobilizzazioni, occorre iscriverle al TASSO DI CAMBIO
STORICO, ossia quello relativo al momento del loro acquisto; nel caso di attività e passività non costituenti
immobilizzazioni, è necessario iscriverle al tasso di cambio in vigore alla data di chiusura dell’esercizio,
imputando al conto economico utili e perdite derivanti dalla differenza rispetto al cambio del giorno di
compimento dell’operazione (in caso di somma positiva, l’utile netto viene accantonato e non è distribuibile
fino al realizzo).

Al fine di garantire una rappresentazione veritiera e corretta, il nostro legislatore permette agli
amministratori di avvalersi di DEROGHE ECCEZIONALI rispetto ai criteri fino ad ora esposti, attribuendo ai
beni un VALORE SUPERIORE a quello che risulterebbe dall’applicazione degli stessi, motivando le deroghe
all’interno della nota integrativa (se risultano utili, essi vanno iscritti in un’apposita riserva non distribuibile
sino al realizzo). Trai casi eccezionali non rientrano gli incrementi di valore per svalutazione monetaria, in
quanto la rivalutazione è possibile SOLO in caso di leggi speciali.

Nell’ambito della loro discrezionalità, però, gli amministratori non possono dar luogo a sopravvalutazioni o
sottovalutazioni non dovute a ragioni oggettive, in quanto la clausola generale della rappresentazione
veritiera e corretta risulta sovraordinata rispetto al principio di prudenza: rimangono illecite, pertanto, le
riserve occulte.

Segue: I criteri di valutazione dei principi contabili internazionali

I criteri di valutazione dettati dai principi contabili internazionali si discostano notevolmente da quelli del
codice civile, in quanto oltre ad impedire sopravvalutazioni del patrimonio non conformi al principio di
prudenza, evitano anche le sottovalutazioni dettate dall’uso del criterio storico, affiancato e sostituito dalla
valutazione in base al fair value.

Il FAIR VALUE (VALORE EQUO) altro non è che il “valore di scambio o di mercato” di un bene: il valore di
mercato esprime le variazioni di valore meglio del costo storico rettificato ed è per tal motivo che il fair
value viene preferito. Tuttavia, gli utili conseguenti all’impiego del fair value vanno iscritti una RISERVA NON
DISTRIBUIBILE fino a che il maggior valore iscritto non sia stato realizzato.

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Passiamo in rassegna i criteri di valutazione dei principi contabili internazionali:

 Gli investimenti in immobili vanno iscritti nel bilancio, per la prima volta, al costo storico di acquisto
(comprensivo dei costi accessori), mentre nei bilanci successivi si può optare per la conservazione di tale
valore, opportunamente rettificato in base ad ammortamenti (se il bene ha vita utile di durata determinata)
e svalutazioni (in caso di durevole perdita di valore del bene), o per la contabilizzazione al fair value alla data
di riferimento del bilancio;
 Gli impianti, i macchinari e gli immobili posseduti per uso proprio sono, inizialmente, rilevati in bilancio al
costo storico di acquisto, comprensivo dei costi accessori, per poi essere, in un secondo momento, rivalutati
in base al fair value (le plusvalenze rispetto al valore storico vengono iscritte in una riserva non distribuibile).
Solo nel caso in cui non sia possibile determinare il fair value, viene conservato il valore storico, rettificato in
base ad ammortamenti e svalutazioni;
 I beni immateriali vanno iscritti in bilancio in caso di probabili e futuri benefici economici, valutandoli in
base al valore di costo, ammortizzato negli esercizi successivi per la durata di vita utile del bene. Nel caso in
cui esista un mercato attivo dei beni, invece, negli esercizi successivi al primo va utilizzato il valore di
mercato, tanto per le immobilizzazioni immateriali (come il diritto di brevetto), quanto per i costi di
sviluppo. Non è possibile l’iscrizione all’attivo di costi di ricerca, di impianto e di ampliamento, di pubblicità,
in quanto costituenti “spesa di aleatoria utilità futura”;
 L’avviamento va iscritto nell’attivo SOLO se acquistato a titolo oneroso e nei limiti del costo sostenuto e non
è possibile ammortizzarlo successivamente, ma solo svalutarlo in caso di perdita durevole di valore;
 Le attività finanziarie (crediti, strumenti finanziari derivati ecc.) vanno iscritte in bilancio al fair value alla
data dello stesso, altrimenti s’iscrivono al costo. Un’eccezione a tale criterio è prevista per le “partecipazioni
in società controllate o collegate”, per cui è possibile la valutazione “al costo” o al “fair value”, e per
finanziamenti, crediti ed investimenti che l’impresa intende possedere sino alla loro scadenza, i quali
vengono valutati al fair value solo nella prima iscrizione in bilancio, mantenendo tale valore nei bilanci
successivi;
 Le rimanenze vanno iscritte al costo di acquisto o produzione oppure, se minore, al valore di realizzo
desumibile dall’andamento del mercato;
 I lavori in corso vanno iscritti sulla base di ricavi e costi stimati in base allo stato di avanzamento dei lavori;
 Attività e passività in valuta estera da contabilizzare al valore del costo storico vanno iscritte in bilancio al
tasso di cambio storico, mentre quelle contabilizzate al fair value vanno iscritte al tasso di cambio in vigore
alla data in cui è stato determinato il fair value stesso (attività e passività in denaro, invece, vanno iscritte al
tasso di cambio alla data di riferimento del bilancio).

Anche in caso di applicazione dei criteri di valutazione dei principi contabili internazionali, è possibile per gli
amministratori usufruire di deroghe eccezionali, sempre al fine di garantire una rappresentazione veritiera e
corretta, motivando le deroghe nelle note al bilancio.

Il procedimento di formazione del bilancio

Alla redazione del bilancio di esercizio, nel sistema tradizionale di amministrazione e controllo ed in quello
monistico, partecipano tutti gli organi sociali, nonché il soggetto incaricato del controllo contabile. Nel
sistema dualistico, invece, la stesura del bilancio compete al consiglio di gestione e l’approvazione al
consiglio di sorveglianza, o in mancanza all’assemblea (anche su richiesta di 1/3 dei componenti di uno dei
due consigli).

L’assemblea, competente per l’approvazione del bilancio, viene convocata almeno una volta all’anno nel
termine di 120 giorni dalla chiusura dell’esercizio sociale, termine che diventa di 180 giorni nel caso di
società non quotate e nell’ipotesi in cui vada redatto il bilancio consolidato o vi siano esigenze particolari.

Sono SEMPRE gli amministratori a provvedere alla stesura del PROGETTO DI BILANCIO e tale funzione non è
derogabile al comitato esecutivo o agli amministratori delegati.
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Nelle società quotate gli amministratori si avvalgono di un DIRIGENTE PREPOSTO ALLA REDAZIONE DEI
DOCUMENTI CONTABILI, il quale non solo si occupa della stesura degli stessi, ma provvede anche ad
attestare che atti e comunicazioni diffusi al mercato siano conformi alle scritture contabili, assumendosi la
responsabilità, civile e penale, del proprio operato.

Qualora si tratti di società capogruppo, al bilancio della stessa vanno allegate le copie integrali dei bilanci
delle società controllate ed un PROSPETTO RIEPILOGATIVO dei dati dell’ultimo bilancio delle società
collegate (anche per le società controllate va allegato un semplice prospetto riepilogativo se viene redatto il
bilancio consolidato).

Nelle sole società quotate va allegata, inoltre, una RELAZIONE SUL BILANCIO, sottoscritta da amministratori
e dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili, nella quale si attesta che il bilancio è conforme
alle risultanze delle scritture contabili ed ai principi contabili internazionali, che sono state rispettate le
procedure di formazione del bilancio e che pertanto quest’ultimo offre una rappresentazione veritiera e
corretta.

Almeno 30 giorni prima di riunire l’assemblea per l’approvazione del progetto di bilancio, quest’ultimo viene
comunicato al collegio sindacale, il quale ha il compito di riferire all’organo assembleare le proprie
osservazioni e proposte a riguardo, oltre che quelle in merito all’attività svolta. Anche il revisore redige la
propria relazione di “giudizio sul bilancio”.

Progetto di bilancio, allegati, relazioni degli amministratori, dei sindaci e del soggetto incaricato del controllo
contabile vengono tutti depositati in copia presso la sede sociale nei 15 giorni che precedono l’assemblea,
dando così la possibilità ai soci di prenderne visione.

L’assemblea, poi, provvede ad approvare o respingere il bilancio, mentre si discute in dottrina della
possibilità di apportare modifiche. Entro 30 giorni dall’approvazione, una copia del bilancio, delle relazioni e
del verbale di approvazione vengono depositate dagli amministratori presso l’ufficio del registro delle
imprese o spedite a mezzo raccomandata.

Nelle società con azioni quotate in borsa va redatta, a cura degli amministratori, una RELAZIONE
FINANZIARIA SEMESTRALE sull’andamento della gestione, la quale va resa nota entro 60 giorni dalla
chiusura del primo semestre, nei modi stabiliti dalla Consob. Essa consiste in un bilancio in forma
abbreviata, contenente la relazione sulla gestione degli amministratori e l’attestazione di conformità del
dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili.

Invalidità della delibera di approvazione

Delle deliberazioni assembleari annullabili e nulle abbiamo già parlato in precedenza (pagine 65,66 e 67
della dispensa) ed è facile intuire che anche il bilancio di esercizio possa presentare vizi ed irregolarità
inerenti il procedimento di formazione e comportanti annullabilità o nullità della delibera di approvazione.

Possono anche esserci, però, delle irregolarità riguardanti il contenuto del bilancio, redatto violando i
principi di chiarezza, verità e correttezza ed in tal caso si va incontro alla NULLITA’ della delibera
assembleare, anche se l’azione giudiziaria può essere proposta solo da chi ha un interesse CONCRETO ed
ATTUALE (ossia da chi vuole evitare un pregiudizio patrimoniale diretto o abbia interesse a conoscere la
reale situazione patrimoniale della società). Occorre, inoltre, che i vizi di chiarezza siano tali da
compromettere EFFETTIVAMENTE la funzione informativa del bilancio, non potendo trattarsi di vizi
marginali, non comportanti nullità.

Le riforme del 1974 e del 2003 hanno anche introdotto dei LIMITI ALL’IMPUGNAZIONE di delibere di
approvazione del bilancio annullabili o nulle:

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 Le azioni di annullabilità e di nullità non possono essere esercitate una volta approvato il bilancio
dell’esercizio successivo;
 L’impugnazione della delibera, qualora il soggetto incaricato della revisione non abbia formulato rilievi (o
anche in caso di giudizio positivo con rilievi nelle società quotate), spetta soltanto a tanti soci rappresentanti
almeno il 5% del capitale sociale, onde evitare azioni pretestuose o ricattatorie;

Nel termine di 6 mesi dal deposito del bilancio presso l’ufficio del registro delle imprese, la Consob (l’Isvap
per le società assicurative) può proporre in ogni caso l’impugnativa per mancata conformità del bilancio alle
norme sui criteri di redazione, anche nell’ipotesi di giudizio senza rilievi da parte della società di revisione,
ma NON nell’ipotesi di vizi del procedimento di formazione.

Resta ferma, in ogni caso, la legittimazione all’impugnativa di amministratori, sindaci e rappresentante


comune degli azionisti di risparmio. Ogni terzo interessato, inoltre, può far valere la nullità della delibera per
vizi di contenuto (oltre alla percentuale di soci già indicata).

Se viene accertata la nullità, gli amministratori devono redigere nuovamente non solo il bilancio di esercizio
impugnato, ma anche quelli degli esercizi intermedi viziati in egual modo.

Utili. Riserve. Dividendi

E’ l’assemblea a deliberare sulla distribuzione degli utili ai soci: nel sistema tradizionale ed in quello
monistico in sede di approvazione del bilancio, nel sistema dualistico dopo l’approvazione dello stesso da
parte del consiglio di sorveglianza.

Esistono, però, dei VINCOLI DI DESTINAZIONE, tanto legali quanto statutari, per quanto concerne gli utili,
che impediscono agli stessi di essere distribuiti fra i soci sotto forma di dividendi.

Anzitutto, se negli esercizi precedenti vi è stato PERDITA del capitale sociale, non si può procedere a
distribuzione di utili se prima non si è reintegrato o ridotto lo stesso.

La legge, inoltre, impone che venga operato un ACCANTONAMENTO CONTABILE di utili, a salvaguardia
dell’integrità del capitale sociale, pari al 5% degli stessi e fino a quando non si raggiunge il 20% del capitale
sociale: si tratta della cosiddetta RISERVA LEGALE, che consiste in una forma di AUTOFINANZIAMENTO
OBBLIGATORIO. Tale riserva, infatti, rimane nella società per evitare che perdite future riducano
direttamente il capitale sociale.

Accanto a quella legale possiamo trovare la RISERVA STATUTARIA, ossia contemplata all’interno dello
statuto e SOLO aggiuntiva rispetto a quell’imposta dal legislatore. Anche gli utili accantonati in forza di
questa riserva non sono distribuibili tra i soci dall’assemblea ordinaria, ma se nel caso della riserva legale la
disciplina è inderogabile, nell’ipotesi di riserva statutaria l’assemblea straordinaria può modificare lo statuto
e rendere distribuibili le somme corrispondenti.

Vi sono, poi, le RISERVE FACOLTATIVE, quelle disposte dall’assemblea ordinaria di approvazione del bilancio.

Un altro vincolo di destinazione si configura nell’ipotesi di “partecipazioni agli utili di promotori, soci
fondatori e amministratori”, computate sugli utili netti di esercizio, dedotta la quota di riserva legale.

Quindi, in sostanza, ai soci spettano “gli utili distribuibili di esercizio” e “quelli accertati e non distribuiti in
esercizi precedenti” (riserve disponibili e utili riportati a nuovo). Se nelle società di persone (commerciale 1)
abbiamo visto che la delibera assembleare di approvazione del bilancio dava luogo al DIRITTO degli azionisti
all’immediata assegnazione degli utili, nelle società di capitali occorre un’ULTERIORE e DISTINTA
deliberazione assembleare di distribuzione.

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E’, dunque, il gruppo di comando in assemblea a decidere se optare per la distribuzione degli utili o
reinvestire gli stessi nella società (AUTOFINANZIAMENTO), anche se “la mancata distribuzione di utili per più
esercizi al solo fine di indurre i soci di minoranza a disfarsi delle proprie azioni” è motivo di ANNULLABILITA’
della delibera. Inoltre, lo statuto può prevedere un DIVIDENDO MINIMO ANNUALE per alcune categorie di
azionisti, ammesso che vi siano utili.

Gli utili distribuibili, tra l’altro, sono quelli REALMENTE CONSEGUITI e risultanti dal bilancio approvato e non
quelli FITTIZI, ossia quelli che pur esistendo devono essere destinati alla reintegrazione del capitale sociale.
La delibera assembleare di distribuzione di utili fittizi è NULLA per illiceità dell’oggetto, con responsabilità,
anche penale, degli amministratori. Se gli azionisti che hanno ricevuto i dividendi per utili non realmente
esistenti sono in BUONA FEDE, se i dividendi sono stati distribuiti in base ad un bilancio regolarmente
approvato e se dal bilancio risultano utili netti corrispondenti, gli stessi azionisti non sono esposti a
ripetizione, ossia non devono restituire i dividendi riscossi.

Segue: Gli acconti dividendo

La chiusura dell’esercizio e l’approvazione del bilancio sono, in linea generale, condizioni necessarie per dar
luogo alla distribuzione degli utili. Tra l’altro solo con esse è possibile sapere se tali utili esistono realmente.

Tuttavia, al fine di favorire la propensione del risparmio verso l’investimento azionario, nelle sole società che
fanno appello al pubblico risparmio è prevista la REMUNERAZIONE INFRA-ANNUALE del capitale (esempio:
titoli di Stato), anche se in passato si è a lungo discusso sulla liceità di quest’ultima, dato il rischio di
distribuire utili solo sperati.

Il d.p.r.30/1986 ha introdotto l’art.2433-bis all’interno del codice, al fine di porre una serie di limitazioni e
cautele per quelli che sono stati definiti come ACCONTI SUI DIVIDENDI:

A. La distribuzione di acconti dividendo è consentita solo a società per azioni il cui bilancio è soggetto,
obbligatoriamente, a controllo da parte di una società di revisione iscritta nell’albo speciale (pagine 84/85
della dispensa);
B. La distribuzione di acconti dividendo nelle suddette società deve essere prevista dallo statuto;
C. La distribuzione di acconti dividendo viene deliberata dagli amministratori SOLO dopo il giudizio positivo
della società di revisione sull’esercizio precedente e dopo l’approvazione dello stesso;
D. La distribuzione di acconti dividendo è VIETATA se dal bilancio risultano perdite;
E. Gli acconti dividendo non possono superare la MINOR SOMMA tra l’importo degli utili conseguiti dalla
chiusura dell’esercizio precedente (già diminuiti delle quota da riservare alla riserva legale e a quella
statutaria) e quello delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio approvato.

Come già anticipato, la delibera di distribuzione di acconti dividendo è di competenza del consiglio di
amministrazione, che la può adottare sulla base di un PROSPETTO CONTABILE e di una RELAZIONE
(documenti per cui occorre il parere del soggetto incaricato del controllo contabile), dai quali risulti la
possibilità di procedere a tale distribuzione.

Gli acconti dividendo erogati non sono ripetibili neanche in caso di perdite assorbenti gli utili del periodo e le
riserve disponibili e l’assemblea che successivamente approva il bilancio non può decidere per la
restituzione.

Il bilancio consolidato di gruppo

Il BILANCIO CONSOLIDATO è un bilancio redatto dalla società capogruppo, in aggiunta al proprio e sulla
base dei bilanci delle singole società del gruppo, che riproduce fedelmente la situazione patrimoniale,
finanziaria ed economica del GRUPPO CONSIDERATO NELLA SUA UNITA’.

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L’obbligo di redigere il bilancio consolidato grava sulla società di capitali controllante altre imprese (anche
non societarie) e sulla cooperativa che controlla società di capitali; esonerati dall’obbligo sono i gruppi di
minore dimensione, purché al loro interno non figurino società con azioni quotate.

Nei gruppi a catena (pagina 48 della dispensa) il bilancio consolidato va redatto solo dalla società al vertice
del gruppo e non dalle sub-holding (controllate che a loro volta controllano altre società), sempre che non
abbiano emesso titoli quotati in borsa e sempre che i soci rappresentanti il 5% del capitale sociale non ne
abbiano fatto richiesta.

A partire dal 2005 le società emittenti azioni o altri strumenti finanziari quotati o diffusi tra il pubblico in
maniera rilevante sono obbligate a redigere i bilanci consolidati secondo i “principi contabili internazionali”
(IAS 27), al pari delle società bancarie, assicurative, di intermediazione mobiliare o finanziarie di grandi
dimensioni. Sono obbligate a redigere il bilancio consolidato secondo la disciplina nazionale le società che
possono redigere il bilancio in forma abbreviata. Tutte le altre possono scegliere se adottare i principi
contabili internazionali o la disciplina nazionale.

E’ proprio la disciplina da applicare a determinare l’AREA DI CONSOLIDAMENTO, ossia quali società


controllate debbano essere incluse nel bilancio consolidato: secondo i principi contabili internazionali vanno
incluse TUTTE le controllate, tranne quelle POSSEDUTE PER LA VENDITA, ossia le società di cui la
controllante intenda alienare il controllo entro un anno; secondo la disciplina nazionale, invece, l’esclusione
di una controllata è facoltativa:

 In caso di partecipazioni irrilevanti o possedute per la successiva alienazione;


 In presenza di gravi e durature restrizioni all’esercizio dei diritti della controllante;
 In caso di impossibilità o eccessiva onerosità per l’ottenimento delle informazioni necessarie da parte della
controllata.

Se da un lato, per quanto riguarda l’area di consolidamento, le due discipline presentano divergenze,
dall’altro vi sono un notevole numero di analogie che consentono una trattazione unitaria. Esaminiamole.

Il bilancio consolidato viene redatto dagli amministratori della controllante alla data di chiusura del PROPRIO
esercizio, pertanto se la chiusura dell’esercizio delle controllate differisce è necessario che le stesse
predispongano un bilancio annuale intermedio coincidente con la stesura del bilancio consolidato, in cui
hanno l’obbligo di trasmettere tutte le informazioni richieste (non possono opporre il segreto aziendale).

Il bilancio consolidato, tra l’altro, presenta la medesima struttura del bilancio d’esercizio: se viene redatto
secondo la disciplina nazionale si articola in stato patrimoniale, conto economico e nota integrativa; se, al
contrario, viene redatto secondo i principi contabili internazionali deve includere anche il prospetto delle
variazioni del patrimonio netto ed il rendiconto finanziario (pagine 99 e seguenti della dispensa). Dobbiamo
comunque tener conto che NON si tratta di una somma tra i diversi bilanci, ma di una rappresentazione
della situazione patrimoniale, finanziaria ed economica del gruppo, COME SE SI TRATTASSE DI UN’UNICA
IMPRESA, ed è per tal motivo che vanno eliminati i singoli rapporti interni, secondo dei PRINCIPI DI
CONSOLIDAMENTO fissati dalla nostra legge e dai principi contabili internazionali.

Vanno ripresi gli elementi dell’attivo e del passivo, nonché i proventi e gli oneri delle imprese incluse nel
consolidamento, utilizzando criteri di valutazione UNIFORMI, di regola quelli utilizzati dalla società che
redige il consolidato.

Non vanno iscritte nel bilancio consolidato:

 Le partecipazioni della controllante in imprese incluse nel consolidamento e la corrispondente frazione del
patrimonio netto (capitale e riserve) di queste: tali valori vengono sostituiti, nel bilancio consolidato,
dall’iscrizione diretta di attività e passività risultanti dal bilancio delle controllate. In tal modo è possibile che

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emergano delle differenze fra il valore unitario per cui la partecipazione era iscritta nel bilancio della
capogruppo e la somma dei valori degli elementi patrimoniali della controllata, che sostituiscono il primo.
Tali differenze prendono il nome di “DIFFERENZE DI CONSOLIDAMENTO”;
 I crediti ed i debiti fra le imprese incluse nel consolidamento;
 I proventi e gli oneri relativi ad operazioni effettuate fra le stesse;
 Gli utili e le perdite conseguenti.

Va precisato che il bilancio consolidato viene approvato dagli amministratori, nel sistema tradizionale ed in
quello monistico, e dal consiglio di sorveglianza nel sistema dualistico e non dall’assemblea, come avviene
invece per il bilancio di esercizio: ciò comporta l’applicazione della disciplina di invalidità delle delibere del
consiglio di amministrazione.

I soci rappresentanti almeno il 5% del capitale, se la società è soggetta a revisione contabile obbligatoria, o
la Consob in ogni caso possono richiedere al tribunale l’ACCERTAMENTO DI CONFORMITA’ del bilancio
consolidato alle norme che ne disciplinano i criteri di redazione, entro 6 mesi dal deposito del bilancio
stesso.

CAPITOLO QUATTORDICESIMO – LE MODIFICAZIONI DELLO STATUTO

Nozione

Per MODIFICAZIONE DELLO STATUTO si intende qualsiasi mutamento del contenuto oggettivo del contratto
sociale, ossia dello statuto in senso stretto o dell’atto costitutivo, consistente nell’inserimento di nuove
clausole o nella modificazione/soppressione di quelle preesistenti.

Le modificazioni oggettive possono riguardare diversi aspetti del contenuto del contratto sociale, incidendo
in maniera diversa sulla struttura organizzativa della società: vi sono modificazioni poco interessanti da
analizzare ed altre su cui, invece, è importante soffermarsi, in quanto incidono notevolmente sui soci e/o sui
creditori (pensiamo alla modifica del capitale sociale o ad un procedimento di fusione o trasformazione).

Le modificazioni soggettive, ossia della compagine sociale, NON vanno considerate come modificazioni
dello statuto, diversamente da ciò che avviene nelle società di persone e pertanto non sono soggette alla
deliberazione dell’assemblea straordinaria, al controllo notarile e all’iscrizione nel registro delle imprese.

La disciplina comune a tutte le modificazioni statutarie, data la diversità degli interventi sul contratto
sociale, riguarda soltanto la regolamentazione del relativo procedimento.

Il procedimento

E’ competenza dell’assemblea STRAORDINARIA, in forza dell’art.2365 c.c., deliberare le modificazioni dello


statuto. Questa regola, però, può benissimo incontrare delle eccezioni, in quanto lo statuto stesso può
prevedere, già inizialmente, il potere di modifica da parte degli amministratori (o del consiglio di
sorveglianza nel sistema dualistico), fermo restando il CONTROLLO NOTARILE, per quanto riguarda:

 Casi particolari di fusione;


 Istituzione/soppressione di sedi secondarie;
 Indicazione degli amministratori CON rappresentanza;
 Riduzione del capitale sociale per recesso del socio;
 Adeguamento dello statuto a disposizioni normative;
 Trasferimento della sede sociale nel territorio italiano;
 Aumento del capitale sociale a pagamento.

Ricordiamo, inoltre, che la riduzione del capitale sociale per perdite può essere operata anche dal tribunale.

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In linea generale, comunque, è l’assemblea straordinaria che delibera tutte le modifiche, decidendo con le
maggioranze previste, salvo alcuni casi di rilievo, dove nelle società NON quotate viene richiesta una
maggioranza più elevata per prendere una decisione:

 Cambiamento oggetto sociale;


 Trasformazione;
 Scioglimento anticipato;
 Proroga della società;
 Revoca dello stato di liquidazione;
 Trasferimento sede sociale all’estero;
 Emissione di azioni privilegiate;
 Introduzione, modificazione o soppressione della clausola compromissoria (nelle sole società che non fanno
appello al mercato del capitale di rischio);
 Trasformazione eterogenea;
 Esclusione o limitazione del diritto d’opzione.

Negli ultimi due casi sono necessarie maggioranze rafforzate anche nelle società quotate, in capo alle quali
gravano anche degli obblighi di informazione nei confronti del pubblico e della Consob (almeno 15 giorni
prima della delibera modificativa dello statuto, gli amministratori devono mettere a disposizione del
pubblico una relazione illustrativa dell’operazione).

Venuto meno (lo abbiamo visto in precedenza) il controllo giudiziario obbligatorio sullo statuto, è venuta a
mancare anche l’omologazione delle delibere modificative da parte del tribunale, anche se oggi è il notaio
ad accertare, dopo aver verbalizzato la delibera dell’assemblea e chiuso il verbale, il rispetto delle condizioni
previste dalla legge, richiedendone l’iscrizione nel registro delle imprese, entro 30 giorni e contestualmente
al deposito. L’ufficio del registro, invece, si limita ad un controllo di regolarità formale della
documentazione, provvedendo all’iscrizione della delibera.

Il controllo del tribunale, benché non più obbligatorio, rimane comunque FACOLTATIVO ed EVENTUALE: se
il notaio ritiene non osservate le condizioni di legge, gli amministratori devono convocare l’assemblea entro
30 giorni per prendere dei provvedimenti, oppure possono rivolgersi al giudice affinché quest’ultimo ordini
l’iscrizione con proprio decreto, verificata l’osservanza dei requisiti di legge. Se gli amministratori non
sanano le lacune riscontrate dal notaio, la delibera è inefficace, anche perché la stessa produce effetti SOLO
e SOLAMENTE a partire dall’iscrizione nel registro delle imprese, salvo nei casi di efficacia CONDIZIONATA
(come per le delibere che pregiudicano i diritti speciali di determinate categorie di azioni, per cui occorre
l’approvazione dell’assemblea di categoria) o DIFFERITA (come nell’ipotesi di delibere di fusione).

La domanda di iscrizione nel registro delle imprese della delibera modificativa va accompagnata con il
deposito del TESTO AGGIORNATO dello statuto.

Diritto di recesso

La necessità della sola maggioranza in sede di assemblea straordinaria per deliberare sulle modificazioni
statutarie fa sì che l’interesse del gruppo di comando prevalga, con facilità, su quello del singolo socio o
della minoranza. E’ questo è giusto, in quanto la società per azioni , per sopravvivere, deve potersi adeguare
subito e facilmente alle esigenze della realtà economica.

Tuttavia, tale potere della maggioranza incontra determinati LIMITI, sia perché occorre rispettare le norme
di legge, sia perché non bisogna violare i principi della CORRETTEZZA e della BUONA FEDE nell’attuazione del
contratto sociale, nonché quello di PARITA’ DI TRATTAMENTO tra gli azionisti.

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Quando la delibera modificativa, inoltre, incide notevolmente sulla struttura preesistente della società, una
forma di tutela è garantita dalla PREVISIONE DI MAGGIORANZE PIU’ ELEVATE e dal riconoscimento del
DIRITTO DI RECESSO dalla società.

Sempre più forte, negli anni, è stata l’attenzione del legislatore verso la tutela dei singoli soci,
inerentemente al diritto di recesso. Con la riforma del 2003, infatti, si è passati dalle sole tre CAUSE di
recesso (cambiamento oggetto sociale, trasformazione, trasferimento della sede all’estero) alla distinzione
tra CAUSE INDEROGABILI, CAUSE DEROGABILI DALLO STATUTO E CAUSE STATUTARIE.

Ovviamente il diritto di recesso spetta sempre ai soci DISSENZIENTI, ASSENTI o ASTENUTI all’interno delle
delibere modificative.

A norma dell’art.2437 comma 1 c.c. sono cause INDEROGABILI di recesso, che non possono essere aggirate/
soppresse in alcun modo:

 La modifica dell’oggetto sociale, quando comporta un cambiamento significativo dell’attività della società;
 La trasformazione della società;
 Il trasferimento della sede sociale all’estero;
 La revoca dello stato di liquidazione;
 L’eliminazione di una o più cause di recesso derogabili o statutarie;
 La modifica dei criteri di valutazione delle azioni in caso di recesso;
 Le modificazioni dello statuto concernenti il diritto di voto o partecipazione (i diritti patrimoniali).

Sono cause DEROGABILI di recesso, a norma dell’art.2437 comma 2:

 La proroga del termine di durata della società;


 L’introduzione o la rimozione dei vincoli alla circolazione delle azioni.

Mentre nell’ipotesi di cause inderogabili è permesso al socio recedere SOLO PER PARTE DELLE AZIONI,
nell’ipotesi delle cause derogabili ciò non è previsto.

Per le sole società che non fanno appello al mercato del capitale di rischio, anche lo statuto può prevedere
ulteriori cause di recesso (cause STATUTARIE).

La riforma del 2003 ha previsto, inoltre, che il socio di una società A TEMPO INDETERMINATO e NON
QUOTATA possa recedere in qualsiasi caso, senza che ricorrano le cause di cui abbiamo parlato, con un
preavviso di 180 giorni, elevabile ad un anno dallo statuto: decorso tale periodo, il socio può recedere,
mentre in presenza di una delle cause di cui sopra NON E’ NECESSARIO ALCUN PREAVVISO.

Il diritto di recesso va esercitato attraverso una lettera raccomandata alla società, spedita entro 15 giorni
dall’iscrizione della delibera legittimante nel registro delle imprese o entro 30 giorni dal fatto, diverso dalla
delibera, che attribuisce il diritto. Si tratta della cosiddetta DICHIARAZIONE DI RECESSO, la quale non fa venir
meno immediatamente la qualità di socio, effetto che si ottiene con il rimborso delle azioni. Le azioni per le
quali viene esercitato il recesso non possono essere cedute, ma vanno depositate presso la sede sociale.

Se la società, però, entro 90 giorni dal recesso, revoca la delibera legittimante o delibera lo scioglimento,
essa può sottrarsi al rimborso delle azioni.

Ma come viene determinato il valore delle azioni da rimborsare?

Nelle società NON quotate, anzitutto, è stato abbandonato il criterio della determinazione in proporzione al
patrimonio sociale risultante dal bilancio dell’ultimo esercizio. Il valore delle azioni, oggi, viene determinato
dagli amministratori, sentito il collegio sindacale e il revisore contabile, in base alla “consistenza

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patrimoniale della società, alle sue prospettive reddituali e tenuto conto del valore di mercato delle azioni”,
almeno che lo statuto non preveda altri criteri.

Nelle società quotate, invece, per determinare il valore di liquidazione delle azioni occorre fare riferimento
alla “media aritmetica dei prezzi di chiusura nei sei mesi precedenti alla convocazione dell’assemblea”.

Nei 15 giorni precedenti la data fissata per l’assemblea, i soci hanno diritto di conoscere il valore di rimborso
e se vi è contestazione il valore di liquidazione viene determinato, entro 90 giorni dall’esercizio del recesso,
da un esperto nominato dal tribunale con relazione giurata.

Le azioni del recedente vengono dapprima offerte in opposizione agli altri soci, in proporzione al numero
delle azioni possedute, altrimenti vengono collocate sul mercato. In caso di mancato acquisto da parte di
soci e di terzi, è la società stessa ad acquistare le azioni, sempre nel rispetto degli utili distribuibili e delle
riserve disponibili, rimborsa il recedente. Se non vi sono utili e riserve disponibili con cui acquistare tali
azioni, deve essere convocata l’assemblea straordinaria per deliberare lo scioglimento della società o la
riduzione del capitale sociale; alla riduzione, però, possono fare opposizione i creditori e nel caso in cui
venga accolta, la società è costretta a sciogliersi.

Le modificazioni del capitale sociale

Particolare disciplina è dedicata alle modificazioni statutarie inerenti l’AUMENTO o la DIMINUZIONE del
capitale sociale.

L’aumento può essere REALE (anche detto a pagamento), se insieme al capitale sociale aumenta anche il
patrimonio, per effetto di nuovi conferimenti, o NOMINALE (gratuito), se rimane invariato il patrimonio ed
aumenta solo il capitale nominale.

L’aumento reale del capitale sociale

L’aumento reale del capitale sociale consiste in un aumento del patrimonio della società e del suo capitale
sociale nominale per effetto di NUOVI CONFERIMENTI: si procede, dunque, all’emissione di nuove azioni,
sottoscritte dagli stessi soci, che godono per legge del diritto d’opzione, o da terzi che in tal modo divengono
soci.

In linea generale, per dar luogo all’aumento del capitale sociale occorre che le azioni già esistenti siano
INTEREAMENTE LIBERATE, onde evitare che il capitale sia costituito quasi completamente da crediti verso i
soci. Tuttavia, la delibera di aumento non è nulla se la disposizione viene violata, in quanto permane la
responsabilità degli amministratori per danni a soci e a terzi, oltre a restare salvi gli obblighi dei soci per la
sottoscrizione delle nuove azioni, oltre che di quelle già esistenti.

L’aumento del capitale sociale NON è possibile in presenza di perdite per cui è obbligatoria la riduzione del
capitale (occorre prima ridurre il capitale in base alla perdita).

Competente a deliberare l’aumento è l’assemblea in sede straordinaria. Qualora la delibera risulti nulla,
ricordiamo che il termine di impugnazione è ridotto a 180 giorni (pagine 66 e 67 della dispensa). Lo statuto o
una delega assembleare, però, possono attribuire agli amministratori la possibilità di aumentare il capitale
sociale, sebbene esistano due limiti: deve essere predeterminato l’AMMONTARE MASSIMO dell’aumento ed
il periodo della delega non può superare i 5 anni, sebbene sia rinnovabile.

Gli amministratori, in presenza della delega, possono decidere per l’emissione anche di diverse categorie di
azioni e possono deliberare, qualora lo statuto glielo consenta, circa l’esclusione del diritto d’opzione.
Tuttavia, qualora si tratti di conferimento in natura ed in assenza della stima da parte di un perito nominato
dal tribunale, i soci rappresentanti il 5% del capitale sociale hanno diritto di chiedere una nuova valutazione
a norma dell’art.2343 (“Chi conferisce beni in natura o crediti deve presentare la relazione giurata di un
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esperto designato dal tribunale…”); gli amministratori, in tal caso, provvedono all’iscrizione nel registro delle
imprese della deliberazione di aumento del capitale e di una “dichiarazione” contenente le informazioni per
i conferimenti in natura con metodi alternativi. Se non decorrono almeno 30 giorni dall’iscrizione, il
conferimento così come la deliberazione di aumento non producono alcun effetto.

Nel caso dell’aumento per delega spetta al consiglio di amministrazione deliberare l’aumento stesso e ad un
notaio provvedere alla stesura del verbale, con conseguente controllo di legalità, eventuale giudizio di
omologazione del tribunale, ed iscrizione nel registro delle imprese.

Tanto in caso di delibera assembleare, quanto nell’ipotesi di delibera consiliare, viene fissato un termine,
non inferiore a 30 giorni dalla pubblicazione dell’offerta, entro il quale vanno raccolte le sottoscrizioni. Se
l’aumento di capitale non viene integralmente sottoscritto, si ha SOTTOSCRIZIONE PARZIALE ed il capitale
viene aumentato solo proporzionalmente ad essa, sempre che la deliberazione lo abbia previsto, altrimenti
né i soci, né la società risultano vincolati.

Entro 30 giorni dalla sottoscrizione delle nuove azioni, gli amministratori devono depositare
un’ATTESTAZIONE ,dalla quale sia possibile evincere che l’aumento del capitale è stato eseguito, presso il
registro delle imprese per l’iscrizione: solo da quel momento l’aumento di capitale può essere menzionato
negli atti sociali. Nelle società che fanno appello al mercato del capitale di rischio, dopo la pubblicazione non
è più possibile pronunciare l’invalidità della delibera di aumento di capitale.

Ricordiamo, inoltre, che i conferimenti non possono essere inferiori all’aumento del capitale sociale: il 25%
dei conferimenti in denaro va versato al momento della sottoscrizione, ma direttamente alla società e non
presso una banca (come avviene in sede di costituzione della società).

Può capitare che i soci, in assenza di una deliberazione di aumento del capitale sociale, versino ugualmente
delle somme alla società, denominate VERSAMENTI IN CONTO CAPITALE (o a copertura di perdite), al solo
scopo di costituire un apposito fondo destinato a ripianare eventuali perdite o a sopperire alle esigenze del
capitale di rischio: in questi casi NON si ha aumento del capitale sociale e i versamenti non possono
considerarsi dei veri e proprio conferimenti. Tra l’altro, non è possibile pretenderne la restituzione, almeno
che non fossero dei “finanziamenti a titolo di mutuo”. I versamenti in conto capitale vanno iscritti in bilancio
in appositi fondi (riserve), utilizzabili dalla società per la copertura di perdite o per aumenti di capitale
sociale.

Segue: il diritto di opzione

Il DIRITTO DI OPZIONE è il diritto dei soli soci, attribuito dalla legge, di essere preferiti a terzi nella
sottoscrizione dell’aumento del capitale sociale a pagamento.

Tale diritto consente di mantenere INALTERATA la partecipazione di ciascun socio tanto alla formazione
della volontà sociale (funzione amministrativa), quanto alla partecipazione alle riserve accumulate (funzione
patrimoniale). Il diritto di opzione, dunque, è suscettibile di valutazione economica proprio perché
attribuisce determinati privilegi: è per tal motivo che il socio può decidere anche di alienarlo, qualora non
voglia o non possa concorrere all’aumento del capitale. Ciò nonostante, il diritto di opzione si configura
come un diritto dei soci del tutto SACRIFICABILE dinanzi all’interesse della società.

Il diritto di opzione, di cui all’art.2441 c.c., ha per OGGETTO le azioni di nuova emissione di qualsiasi
categoria e le obbligazioni convertibili in azioni emesse dalla società. Quindi, tutti i possessori di tali
obbligazioni e gli azionisti di qualsivoglia categoria hanno il diritto di opzione, per l’esercizio del quale la
società concede ai soci 30 giorni dall’iscrizione dell’OFFERTA DI OPZIONE nel registro delle imprese (15
giorni per le società quotate). I soci stessi, all’unanimità, possono anche decidere di rinunciare a tale
termine.

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Le azioni INOPTATE, ossia quelle per cui il diritto di opzione non è stato esercitato, non possono essere
collocate dagli amministratori a loro piacimento: sulle azioni NON QUOTATE inoptate hanno diritto di
PRELAZIONE gli altri soci che hanno esercitato il diritto di opzione, purché ne facciano richiesta all’atto di
esercizio dell’opzione; nel caso di azioni QUOTATE, invece, i diritti di opzione RESIDUI vanno collocati/offerti
sul mercato regolamentato, per almeno cinque riunioni dello stesso, destinando il ricavato della vendita al
patrimonio sociale.

Le azioni di nuova emissione, dunque, vengono liberamente collocate solo se, nelle società non quotate, gli
altri azionisti non acquistano le azioni inoptate, o se, nelle società quotate, i diritti offerti non vengono
venduti.

Abbiamo già anticipato, però, che il diritto di opzione può essere sacrificato quando vi è un interesse
concreto della società:

 Il diritto di opzione viene escluso per legge quando le azioni devono essere liberate mediante conferimenti
in natura: in tal caso la società intende procurarsi un determinato bene appartenente ad un terzo ed è a tal
fine che intende attuare l’aumento del capitale. Occorre, però, un’apposita relazione degli amministratori,
inerente le ragioni del conferimento in natura, oltre alla relazione giurata di stima dello stesso, depositata
almeno 15 giorni prima dell’assemblea presso la sede sociale, per consentire ai soci di prenderne visione;
 Il diritto di opzione può essere “escluso o limitato” all’interno della delibera di aumento del capitale sociale
“quando l’interesse della società lo esige”: anche in tal caso occorre una relazione degli amministratori in
merito, all’interno della quale devono essere descritti i motivi concreti che richiedono una così importante
esclusione e che rendono necessario o quanto meno conveniente l’ingresso di nuovi soci. Occorre una
deliberazione dell’assemblea in cui si pronunci a favore della limitazione/esclusione almeno la “metà del
capitale sociale”, anche nelle convocazioni successive alla prima.

In entrambi i casi di esclusione del diritto di opzione fino ad ora esposti è obbligatoria l’emissione delle
nuove azioni CON SOVRAPPREZZO, ossia con un prezzo eccedente il valore nominale, in modo da
ridimensionare il pregiudizio patrimoniale degli azionisti attuali. E’ la delibera di aumento del capitale a
stabilire l’ammontare, in quanto il prezzo di emissione viene determinato in base al valore del patrimonio
netto, tenendo conto per le sole azioni quotate ANCHE dell’andamento delle quotazioni nell’ultimo
semestre. Occorre sentire, relativamente al prezzo di emissione, anche il collegio sindacale nelle società non
quotate, mentre in quelle quotate è necessario il parere della società di revisione.

 Esclusione statutaria: è lo statuto, in tal caso, ad escludere il diritto di opzione nel limite del 10% del capitale
preesistente, purché il prezzo di emissione corrisponda al valore di mercato delle azioni e vi sia conferma di
ciò nella relazione della società di revisione (la clausola statutaria può essere introdotta contestualmente
alla delibera di aumento del capitale sociale);
 Azionariato dei dipendenti: se le azioni devono essere offerte ai dipendenti della società o a quelli delle
controllate o delle controllanti, l’assemblea straordinaria può escludere il diritto di opzione con
l’approvazione di tanti soci che rappresentino oltre la metà del capitale sociale (il rispetto di tale requisito
della maggioranza assoluta è necessario solo se il diritto viene escluso per più di 1/4 delle nuove azioni).
Nelle società quotate si applicano le normali maggioranze dell’assemblea straordinaria se l’aumento non
eccede l’uno per cento del capitale sociale.

Se le azioni di nuova emissione vengono sottoscritte da banche, società finanziarie soggette al controllo
della Consob o da soggetti autorizzati al collocamento di strumenti finanziari (esempio: Sim), con l’OBBLIGO
di offrirle successivamente agli azionisti, il diritto di opzione non può considerarsi escluso o limitato, in
quanto si parla di OPZIONE INDIRETTA, una particolare forma di collocamento prevista dalla delibera di
aumento del capitale sociale, utile per dilazionare nel tempo le sottoscrizioni da parte degli azionisti. E’ la
società a sostenere i costi dell’operazione. L’intermediario è titolare delle azioni SOLO per un determinato
periodo, nel quale NON PUO’ esercitare il diritto di voto.
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Per dar luogo ad una dilazione nel tempo di un aumento di capitale la società, oltre che all’opzione indiretta,
può ricorrere all’emissione di appositi BUONI DI OPZIONI (WARRANT), le quali permettono al titolare di
sottoscrivere azioni di nuova emissione ad un prezzo già fissato all’acquisto del buono. I warrant di
sottoscrizione si configurano come dei titoli di credito al portatore, attribuibili solo ai soci se non è stato
escluso il diritto di opzione: scaduto il termine per la richiesta di assegnazione dei warrant da parte degli
azionisti, la società è libera di collocarli subito sul mercato o di collocare quantomeno quelli rimasti inoptati,
in quanto si è esaurito il diritto di opzione ex lege (quindi si ha un vantaggio della società). Nel caso dei
warrant sottoscritti, invece, vi è un vantaggio per il socio, il quale ha più tempo per sottoscrivere le azioni o
per cedere a terzi il warrant.

L’aumento nominale del capitale sociale

L’aumento nominale (o gratuito) del capitale sociale avviene tramite una delibera dell’assemblea
straordinaria in cui vengono imputati a capitale le riserve e gli altri fondi disponibili iscritti in bilancio
(art.2442 comma 1): si tratta di riserve facoltative o statutarie senza specifica destinazione, di riserve da
sovrapprezzo delle azioni, di fondi costituiti con utili o plusvalenze dell’attivo patrimoniale, di fondi per saldi
attivi di rivalutazione monetaria in forza di leggi speciali, o anche della riserva legale, MA SOLO per la parte
che supera il 20% del capitale sociale.

Si tratta, dunque, di un aumento del capitale realizzato senza che vi sia un incremento del patrimonio
attraverso i conferimenti; ci si limita a spostare riserve e fondi disponibili, di fatto rendendo, da quel
momento in poi, INDISPONIBILI gli stessi, in quanto facenti parte del capitale sociale.

L’aumento nominale del capitale sociale avviene o tramite l’AUMENTO DEL VALORE NOMINALE DELLE
AZIONI GIA’ CIRCOLANTI oppure attraverso l’EMISSIONE DI NUOVE AZIONI aventi le stesse caratteristiche
di quelle in circolazione: tali azioni vanno assegnate GRATUITAMENTE agli azionisti in proporzione di quelle
già possedute.

La riduzione del capitale sociale. La riduzione reale

Accanto all’aumento del capitale sociale, possiamo avere la RIDUZIONE dello stesso, la quale può essere
REALE o NOMINALE: reale nel momento in cui vi è un rimborso ai soci del valore dei conferimenti; nominale
quando il capitale viene ridotto per perdite.

Vi sono, poi, altri casi di RIDUZIONE OBBLIGATORIA del capitale, che abbiamo già avuto modo di esaminare
e sul quale risulta inutile soffermarsi nuovamente:

 Valore dei conferimenti diversi dal denaro inferiore di oltre 1/5 rispetto a quello per il quale il conferimento
avvenne;
 Impossibilità di vendita delle azioni del socio moroso;
 Mancata alienazione delle azioni proprie acquistate o possedute violando la legge;
 Impossibilità di alienazione delle azioni del socio receduto ed impossibilità di acquisto da parte della società.

Ma torniamo alla riduzione reale del capitale. Anzitutto, diversamente da ciò che avveniva in passato, non è
più necessaria l’esuberanza del capitale rispetto al raggiungimento dell’oggetto sociale per dar luogo alla
riduzione (in passato si aveva riduzione reale solo se il capitale risultava eccessivo rispetto alle esigenze
sociali), in quanto quest’ultima può essere disposta anche per cause diverse.

La riduzione, però, si presenta come un’operazione pericolosa per i creditori sociali e per i soci di minoranza:
viene ridotto il capitale sociale, unica garanzia per i creditori, il che può anche pregiudicare lo svolgimento
dell’attività di impresa, creando dei danni ai soci minoritari. E’ per tal motivo che l’art.2445 c.c. parla di
“cautele sostanziali e procedimentali” da osservare: sotto il profilo sostanziale, il capitale non può essere
ridotto al di sotto del minimo legale di 120.000 euro e, se la società ha emesso obbligazioni e non ha

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rispettato il limite all’emissione delle stesse, non si può avere riduzione. Sotto il profilo procedimentale,
invece, l’avviso di convocazione dell’assemblea al fine di dar luogo alla riduzione deve contente i MOTIVI e
le RAGIONI di tale operazione, in maniera tale che i soci siano informati. Per la delibera occorre la
maggioranza prevista per le modificazioni dello statuto e la stessa delibera può essere eseguita solo dopo 90
giorni; è soggetta ad impugnazione per nullità e, nelle sole società che fanno appello al mercato del capitale
di rischio, non è possibile avere una dichiarazione di nullità se la riduzione, anche parziale, è stata già
eseguita. Entro il termine di 90 giorni, comunque, i creditori sociali possono fare opposizione alla delibera di
riduzione, tanto giudiziale quanto stragiudiziale (se stragiudiziale, spetta alla società citare in giudizio il
creditore opponente se intende procedere con la riduzione), sospendendo in tal modo l’esecuzione della
stessa fino all’esito del giudizio, anche se il tribunale, qualora ritenga infondato il pericolo di pregiudizio per i
creditori o qualora la società presti garanzia, può disporre ugualmente che la delibera venga eseguita.

Ma come viene eseguita la riduzione reale del capitale?

Può essere attuata mediante liberazione dei soci dall’obbligo dei versamenti ancora dovuti, oppure
attraverso il rimborso del capitale, o tramite l’acquisto di azioni proprie da parte della società con
conseguente annullamento delle stesse (nelle società quotate occorre seguire il regolamento Consob al
fine di garantire la parità di trattamento tra gli azionisti; nelle società che fanno appello al mercato del
capitale di rischio le azioni proprie non devono, comunque, eccedere la quinta parte del capitale sociale). In
ogni caso occorre assicurare la parità di trattamento tra gli azionisti, riducendo proporzionalmente, per
esempio, il valore nominale di tutte le azioni o acquistando le azioni da annullare sul mercato, oppure
estraendo a sorte ed annullando un certo numero di azioni dietro rimborso del solo valore nominale delle
stesse (in tal caso gli azionisti rimborsati hanno diritto alle “azioni di godimento”, in quanto il valore reale
può essere superiore a quello nominale).

La riduzione del capitale sociale per perdite

La riduzione per perdite del capitale sociale avviene nel momento in cui il patrimonio netto della società (o
reale) è sceso al di sotto del capitale sociale nominale, proprio per effetto di perdite. Si tratta, dunque, di
una riduzione solo e soltanto “nominale”, dato che il patrimonio non viene toccato, in quanto si è già
ridotto. La riduzione avviene SOLO e SOLAMENTE nell’ipotesi in cui siano state già erose TUTTE le riserve.

La legge attua una distinzione tra perdite superiori o inferiori ad un terzo del capitale sociale nominale.

Nel caso in cui la riduzione sia INFERIORE ad un terzo, la riduzione è FACOLTATIVA, ossia è la società a
scegliere: se essa, però, intende dar luogo alla distribuzione degli utili tra i soci, vietata in presenza di
perdite, deve obbligatoriamente operare la riduzione. Occorre, tra l’altro, ridurre il valore nominale delle
azioni in circolazione. Se la società, inoltre, ha emesso obbligazioni, la riduzione deve essere proporzionata
alle stesse già rimborsate.

Si ha RIDUZIONE OBBLIGATORIA, invece, nel momento in cui si hanno perdite di OLTRE UN TERZO rispetto
al capitale sociale nominale ed occorre, anche qui, fare una distinzione a seconda che il capitale si sia o
meno ridotto al di sotto del minimo legale.

Se il minimo legale non è stato intaccato, gli amministratori, o in mancanza il collegio sindacale, devono
convocare con urgenza l’assemblea straordinaria, sottoponendo alla stessa una “RELAZIONE sulla gestione
patrimoniale della società, con le osservazioni del collegio sindacale”, quindi un vero e proprio BILANCIO
STRAORDINARIO INFRA-ANNUALE, con indicazione anche degli utili di periodo. La situazione patrimoniale,
la relazione degli amministratori e le osservazioni restano depositate presso la sede sociale negli otto giorni
precedenti l’assemblea, per consentire ai soci di prenderne visione. L’assemblea è chiamata a prendere gli
opportuni provvedimenti e può scegliere tre strade diverse: riduzione immediata del capitale sociale;
riduzione che copra solo parzialmente le perdite; RINVIO A NUOVO delle perdite. Se entro l’esercizio
successivo, però, le perdite non sono state ridotte al di sotto di un terzo del capitale sociale nominale,
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l’assemblea ordinaria (e non più straordinaria) è obbligata a ridurre il capitale in relazione alle perdite,
altrimenti a ciò provvede il tribunale d’ufficio. Se si tratta di azioni senza valore nominale, tra l’altro, la
riduzione può essere disposta anche dal consiglio di amministrazione.

Se il capitale sociale scende al di sotto del minimo legale, in forza delle perdite, allora la disciplina cambia:
l’assemblea straordinaria, sempre convocata SENZA INDUGIO da amministratori o collegio sindacale, deve
OBBLIGATORIAMENTE deliberare o la riduzione del capitale sociale (anche a zero nel caso di PERDITA
INTEGRALE) ed il conseguente aumento ad una cifra non inferiore al minimo legale/reintegrazione del
capitale (praticamente va sottoscritto, dai soci, l’aumento) o la TRASFORMAZIONE della società. Se ciò non
avviene, automaticamente si ha lo scioglimento della società, che entra in stato di liquidazione.

CAPITOLO QUINDICESIMO – LE OBBLIGAZIONI

Nozione

La società, al fine di raccogliere capitale di prestito, può emettere dei titoli di credito di massa (valori
mobiliari) definiti come OBBLIGAZIONI.

Le obbligazioni, dunque, sono titoli di credito (nominativi o al portatore) che rappresentano frazioni di
uguale valore nominale e con uguali diritti di un’unitaria operazione di finanziamento a titolo di mutuo. I
titoli obbligazionari documentano un CREDITO verso la società, assoggettato alla disciplina legale del mutuo.

E’ facile intuire la distinzione tra azioni ed obbligazioni: mentre le prime conferiscono la qualità di socio e di
compartecipe ai risultati positivi e negativi dell’impresa, le seconde attribuiscono la qualità di CREDITORE
della società, il quale ha diritto ad una remunerazione fissa periodica (gli interessi), indipendente dai risultati
economici dell’attività d’impresa. L’obbligazionista, inoltre, ha diritto al rimborso del valore nominale del
capitale prestato alla scadenza pattuita, mentre l’azionista ha diritto al rimborso SOLO in sede di
liquidazione e sempre che vi sia ancora un attivo netto, in quanto vanno soddisfatti prima i creditori,
obbligazionisti compresi.

Appare meno netta la distinzione tra obbligazioni e STRUMENTI FINANZIARI PARTECIPATIVI, emessi
anch’essi a fronte di un APPORTO NON IMPUTATO A CAPITALE. Le obbligazioni si configurano come TITOLI
DI MASSA, in quanto frazioni standardizzate di un’unica operazione economica, e attribuiscono il diritto al
rimborso di una somma di denaro, il quale non può dipendere dall’andamento economico della società; al
massimo potranno variare i tempi e l’entità degli interessi in dipendenza di parametri relativi all’andamento
economico sociale, ma NON il diritto al rimborso. Gli strumenti finanziari partecipativi, invece, si configurano
come una CATEGORIA RESIDUALE, comprendente strumenti emessi dalla società ma non qualificabili né
come obbligazioni, né come azioni. Essi sono forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi,
escluso il voto nell’assemblea generale degli azionisti , ed il loro rimborso può essere condizionato
all’andamento della gestione (anche se possono esservi strumenti finanziari partecipativi in cui, come per le
obbligazioni, si ha il diritto INCONDIZIONATO al rimborso del capitale alla scadenza, ma è necessaria una
previsione statutaria in tal senso). Gli strumenti finanziari partecipativi, quindi, non riguardano solo
operazioni di finanziamento a titolo di mutuo, ma anche rapporti di natura diversa, come l’associazione in
partecipazione. Nonostante la differenza, comunque, molti rimangono i punti in comune tra obbligazioni e
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strumenti finanziari partecipativi, motivo per cui la disciplina delle prime si applica, laddove compatibile, ai
secondi.

Tipi speciali di obbligazioni

La prassi societaria, al fine di incentivare la propensione dei risparmiatori verso tale forma di finanziamento,
ha dato vita a TIPI SPECIALI DI OBBLIGAZIONI:

 Obbligazioni a premio: tempi ed entità degli interessi variano in dipendenza dell’andamento economico
della società;
 Obbligazioni indicizzate: tasso di interesse e/o valore di rimborso dipendono da indici di varia natura, spesso
esterni alla società (esempio: obbligazioni strutturate, indicizzate all’andamento dei prezzi di azioni o valute
estere). Il rendimento, dunque, è ancorato all’andamento del mercato finanziario, al fine di neutralizzare gli
effetti della svalutazione monetaria;
 Obbligazioni in valuta estera: stesso scopo di quelle indicizzate;
 Obbligazioni convertibili in azioni: particolari titoli che permettono all’obbligazionista di trasformare il
proprio credito in partecipazioni azionarie della società debitrice (procedimento diretto) o di altra società
collegata (procedimento indiretto);
 Obbligazioni con warrant (o con diritto di opzione su azioni): attribuiscono all’obbligazionista il diritto di
sottoscrivere o acquistare azioni della società emittente o di altra società, ferma restando la posizione di
creditore per le obbligazioni possedute;
 Obbligazioni subordinate: rimborsabili solo dopo il soddisfacimento di tutti gli altri creditori, ma sempre
prima degli azionisti.

La disciplina di tutti questi tipi speciali di obbligazioni è rimessa all’autonomia negoziale, sebbene nei limiti
di quella generale dettata dal codice e fatta eccezioni per le obbligazioni convertibili.

I limiti all’emissione di obbligazioni

I limiti all’emissione di obbligazioni da parte delle società per azioni sono mutati con la riforma del 2003.

Il codice del ’42, infatti, prevedeva che le società non potessero emettere obbligazioni per una somma
superiore al capitale già versato (ai conferimenti già versati). La riforma del 2003, invece, ha previsto che le
società per azioni possano emettere obbligazioni per una somma NON eccedente “il doppio del capitale
sociale sottoscritto, delle riserve legali e di quelle disponibili risultanti dall’ultimo bilancio approvato”.

Esempio di limite prima del 2003: capitale sottoscritto = 200; capitale versato = 30; LIMITE = 30.

Esempio di limite dopo il 2003: capitale sottoscritto = 200; capitale versato: 100; riserva legale = 40; altre
riserve = 60; LIMITE = 600 (il doppio di 200+40+60).

Notiamo, inoltre, come si parli di somma che si possa evincere dall’ultimo bilancio e non dall’ultimo bilancio
di esercizio: ciò vuol dire che può essere redatto un bilancio infra-annuale apposito, proprio al fine di
emettere obbligazioni.

In passato, tuttavia, era comunque possibile eludere il limite del capitale versato: bastava far emettere
azioni da una controllata avente sede in Stati senza previsione di limiti all’emissione, facendo prestare
garanzia dalla controllante italiana per il loro rimborso (come nel caso Cirio, anche se lì la sottoscrizione
delle obbligazioni venne riservata agli investitori professionali, con l’obbligo di rivenderle a privati
risparmiatori sulla base di una RICHIESTA degli stessi e di trattative personalizzate, esonerando emittente ed
intermediari dall’obbligo di diffusione del prospetto informativo, descrivente l’elevato rischio
dell’operazione…in tal modo 35.000 risparmiatori privati italiani si ritrovarono, SU LORO ESPLICITA

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RICHIESTA, a possedere obbligazioni estere per oltre 1 miliardo di euro, proprio nel momento in cui la Cirio
dichiarava l’insolvenza…praticamente si ritrovarono creditori di un debitore che non poteva pagare).

Le società possono ugualmente, nonostante la disciplina appena esposta, emettere obbligazioni per
ammontare superiore al limite fissato quando:

 Le obbligazioni in eccedenza devono essere sottoscritte da investitori istituzionali soggetti a vigilanza


prudenziale (banche, assicurazioni ecc.), i quali nel caso di trasferimento a terzi rispondono della solvenza
della società nei confronti degli acquirenti privati;
 Le obbligazioni sono garantite da ipoteca di primo grado su immobili della società, nel limite di 2/3 del
valore di questi;
 La società è autorizzata da provvedimento governativo, per motivi che interessano l’economia nazionale, ad
emettere obbligazioni oltre il limite previsto.

Le società con azioni negoziate in mercati regolamentati non sono soggette ad alcun limite.

La società emittente le obbligazioni, in ogni caso, non può ridurre volontariamente il capitale sociale o
distribuire riserve se è variato il rapporto tra capitale (più riserve) ed obbligazioni, ossia se il limite del
doppio del capitale, con in aggiunta le riserve, non è più rispettato per le obbligazioni in circolazione. E’
consentita la sola riduzione per perdite obbligatoria, ma in tal caso non possono essere distribuite riserve
fino a che non viene ripristinato il rapporto tra obbligazioni e capitale più riserve.

Il procedimento di emissione

L’emissione di obbligazioni è, nella disciplina attuale, competenza degli amministratori (e non


dell’assemblea straordinaria), fatta eccezione per le obbligazioni convertibili in azioni e almeno che lo
statuto o la legge non prevedano diversamente. La delibera di emissione deve risultare da verbale redatto
da un notaio, il quale esegue anche il controllo di legalità. E’ necessaria l’iscrizione nel registro delle
imprese, in quanto solo da quel momento la delibera produce effetti. Se sono previste garanzie reali a
favore dei sottoscrittori occorre che venga designato un notaio per il compimento delle formalità
necessarie.

Il collocamento sul mercato delle obbligazioni è soggetto alla disciplina dell’offerta al pubblico di prodotti
finanziari. Alla sottoscrizione delle obbligazioni, avvenuta secondo il bando di emissione, segue il rilascio dei
titoli, al portatore o nominativi, contenente le seguenti informazioni (art.2414 c.c.):

 La denominazione, l'oggetto e la sede della società, con l'indicazione dell'ufficio del registro delle
imprese presso il quale la società è iscritta;
 Il capitale sociale e le riserve esistenti al momento dell'emissione;
 La data della deliberazione di emissione e della sua iscrizione nel registro;
 L'ammontare complessivo dell'emissione, il valore nominale di ciascun titolo, i diritti con essi attribuiti,
il rendimento o i criteri per la sua determinazione e il modo di pagamento e di rimborso, l'eventuale
subordinazione dei diritti degli obbligazionisti a quelli di altri creditori della società;
 Le eventuali garanzie da cui sono assistiti.
 La data di rimborso del prestito e gli estremi dell'eventuale prospetto informativo.

Anche per le obbligazioni va applicata la disciplina della dematerializzazione introdotta dal D.lgs.213/1998
(pagine 32 e 33 della dispensa). Si può avere, inoltre, un prezzo di emissione inferiore al valore nominale
(fatta eccezione per le obbligazioni convertibili).

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L’ammontare delle obbligazioni emesse deve risultare dal LIBRO DELLE OBBLIGAZIONI, dove vanno
annotate anche quelle via via estinte, nonché nome e cognome dei titolari di obbligazioni nominative,
trasferimenti e vincoli relativi a queste ultime.

Le obbligazioni convertibili in azioni

Una disciplina specifica è dettata dall’art.2420-bis del codice per quanto riguarda il PROCEDIMENTO
DIRETTO di conversione di obbligazioni in azioni, ossia inerente obbligazioni convertibili in azioni emesse
dalla stessa società debitrice.

Le OBBLIGAZIONI CONVERTIBILI, dunque, attribuiscono al titolare il diritto di sottoscrivere azioni della


società debitrice, utilizzando come conferimento le somme già versate per l’acquisto di titoli obbligazionari:
con questa operazione, quindi, l’obbligazionista si trasforma in azionista.

Tali obbligazioni, però, devono essere offerte in opzione agli azionisti o ai titolari di obbligazioni
precedentemente emesse ed è possibile la loro emissione SOLO se il capitale sociale è stato integralmente
versato (quindi solo nell’ipotesi in cui tutte le azioni siano state interamente liberate). Le obbligazioni
convertibili, tra l’altro, non possono essere emesse per somma complessivamente inferiore al loro valore
nominale.

Praticamente in sede di emissione delle obbligazioni convertibili va rispettata la disciplina prevista per
l’emissione di nuove azioni. Anche per tale categoria va rispettato il limite di emissione di cui abbiamo
parlato prima.

Competente a deliberare l’emissione è l’assemblea straordinaria, salvo che l’atto costitutivo o una modifica
dello stesso non prevedano che tale facoltà spetti agli amministratori, fino ad un ammontare determinato e
nel limite di 5 anni.

L’assemblea, nella delibera di emissione, deve fissare il RAPPORTO DI CAMBIO, nonché il PERIODO e le
MODALITA’ DI CONVERSIONE e deliberare contestualmente l’aumento del capitale sociale, che verrà
sottoscritto man mano che le obbligazioni saranno convertite (trattasi di sottoscrizione DIFFERITA e
PROGRESSIVA) ed anche in caso di mancato esercizio dei diritti di conversione.

In PENDENZA del periodo di conversione:

 In caso di aumenti di capitale sociale a pagamento e di emissioni di nuove obbligazioni convertibili, il diritto
di opzione spetta, oltre che ai soci, anche ai possessori di obbligazioni convertibili precedentemente emesse
sulla base del rapporto di cambio, così permettendo a questi ultimi di mantenere inalterata la proporzione
della loro futura partecipazione azionaria;
 Se il capitale viene aumentato gratuitamente o ridotto per perdite (i due casi in cui non vi è variazione di
patrimonio, variazioni solo nominali), il rapporto di cambio deve essere modificato in proporzione alla
misura dell’aumento o della riduzione: in sostanza, se l’aumento gratuito avviene mediante l’emissione di
nuovi titoli, occorre aumentare anche il numero delle azioni offerte in conversione; se vi è riduzione per
perdite, è necessario diminuire il valore nominale delle azioni o il numero delle stesse offerte in
conversione;
 La società non può deliberare la riduzione reale del capitale sociale, la fusione, la scissione o la
modificazione delle regole dell’atto costitutivo concernenti la ripartizione degli utili fino a quando non
scadono i termini per la conversione, almeno che non offra agli obbligazionisti la facoltà di CONVERSIONE
ANTICIPATA. Il periodo concesso per la concessione anticipata sostituisce il periodo di conversione
originario e i diritti di conversione non esercitati entro tale termine si estinguono.

La dottrina, non essendo prevista una disciplina apposita, dibatte ancora oggi sulla possibilità di applicare
tutte queste norme dettate per il procedimento diretto di conversione anche al procedimento indiretto

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(ipotesi in cui le obbligazioni sono convertibili in azioni di altra società diversa dalla debitrice-emittente) e
alle obbligazioni con warrant o con diritto di opzione su azioni (le quali attribuiscono un diritto CUMULATIVO
e non alternativo al rimborso).

L’organizzazione degli obbligazionisti

Organi rappresentanti il gruppo degli obbligazionisti sono l’ASSEMBLEA ed il RAPPRESENTANTE COMUNE.


L’organizzazione è necessaria da un lato per tutelare gli interessi comuni di questa particolare categoria,
dall’altro per prendere delle decisioni A MAGGIORANZA inerenti la modifica delle condizioni di prestito,
evitando in tal modo alla società di ottenere il consenso dei singoli obbligazionisti.

L’assemblea degli obbligazionisti delibera:

 Sulla nomina e sulla revoca del rappresentante comune;


 Sulle modificazioni delle condizioni di prestito;
 Sulle proposte di amministrazione controllata e di concordato preventivo e fallimentare;
 Sulla costituzione di un fondo per le spese necessaria alla tutela dei comuni interessi e sul relativo
rendiconto;
 Sugli altri oggetti di interesse comune.

Di rilievo è la possibilità dell’assemblea di modificare le condizioni di prestito, in presenza di una necessità in


tal senso della società, nell’interesse stesso degli obbligazionisti: occorre che la delibera sia approvata con il
voto favorevole di tanti obbligazionisti che rappresentino la metà delle obbligazioni emesse e non estinte
(anche in seconda convocazione); inoltre, sono modificabili le MODALITA’ DEL PRESTITO (può essere
allungata la durata, sospeso il pagamento degli interessi, possono essere ridotti gli interessi stessi ecc.), ma
NON i CARATTERI STRUTTURALI dello stesso (soppressione del diritto al rimborso del capitale, conversione
coattiva delle obbligazioni, soppressione del diritto di conversione ecc.).

Per l’assemblea degli obbligazionisti valgono le medesime norme dettate per l’assemblea straordinaria dei
soci, salvo alcune regole specifiche.

A convocare l’assemblea degli obbligazionisti provvedono gli amministratori o il rappresentante comune,


obbligatoriamente se a farne richiesta sono tanti obbligazionisti rappresentanti 1/20 dei titoli emessi e non
estinti. Le deliberazioni vanno iscritte nel registro delle imprese a cura del notaio che ha redatto il verbale,
oltre ad essere trascritte nel libro delle adunanze delle deliberazioni assembleari, tenuto a cura del
rappresentante comune, di cui gli obbligazionisti possono prendere visione ed ottenere estratti.

Valgono le norme dettate in materia di annullabilità e nullità delle deliberazioni dell’assemblea dei soci.

Il rappresentante comune viene nominato dall’assemblea degli obbligazionisti, che ne fissa anche il
compenso (a carico dell’assemblea stessa e non della società), o in mancanza dal tribunale su richiesta
anche di uno solo di essi o degli amministratori sociali. Può essere egli stesso un obbligazionista oppure un
esterno, persona fisica o giuridica (autorizzata alla prestazione di servizi di investimento o società fiduciaria).
La nomina va iscritta nel registro delle imprese.

La carica dura 3 anni ed il rappresentante è rieleggibile. Può essere revocato anche SENZA giusta causa,
sebbene in tal caso gli competa il risarcimento dei danni.

Il rappresentante comune tutela gli interessi di tutti gli obbligazionisti:

 Eseguendo le delibere dell’assemblea;


 Assistendo alle operazioni per l’estinzione a sorteggio delle obbligazioni (sono nulle senza la sua presenza o
quella di un notaio);
 Assistendo alle assemblee dei soci;
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 Esaminando il libro delle obbligazioni, nonché quello delle adunanze e delle deliberazioni dei soci, del quale
può ottenere estratti;
 Rappresentando in giudizio gli obbligazionisti, anche nelle procedure concorsuali.

Anche il singolo obbligazionista può agire a tutela dei propri diritti, sebbene MAI in contrasto con le
deliberazioni della propria assemblea, in quanto andrebbe contro la manifestazione dell’interesse comune.

CAPITOLO SEDICESIMO – LO SCIOGLIMENTO DELLA SOCIETA’ PER AZIONI

Le cause di scioglimento

Gli articoli dal 2484 al 2496 del codice civile disciplinano lo scioglimento delle società di capitali (quindi non
solo delle S.p.A. ma anche delle S.a.p.a. e delle S.r.l.).

Sono CAUSE DI SCIOGLIMENTO della società per azioni:

 Il DECORSO DEL TERMINE DI DURATA fissato nell’atto costitutivo: il termine è tuttavia prorogabile
dall’assemblea straordinaria, anche se nelle società che NON fanno appello al mercato del capitale di rischio
occorre la maggioranza rafforzata di più di 1/3 del capitale sociale (anche in seconda convocazione) ed è
riconosciuto agli azionisti, per tutte le S.p.A., il diritto di recesso qualora non abbiano approvato la delibera
di proroga;
 Il CONSEGUIMENTO DELL’OGGETTO SOCIALE o l’IMPOSSIBILITA’ DEFINITIVA DI CONSEGUIRLO, almeno che
l’assemblea non intenda continuare l’attività sociale, modificando lo statuto;
 L’IMPOSSIBILITA’ DI FUNZIONAMENTO o la CONTINUATA INATTIVITA’ DELL’ASSEMBLEA: l’assenteismo
continuato o i contrasti tra azionisti producono la paralisi dell’organo, anche per le delibere necessarie alla
vita sociale;
 La RIDUZIONE DEL CAPITALE (PER PERDITE) AL DI SOTTO DEL MINIMO LEGALE, almeno che l’assemblea
non deliberi la riduzione ed il conseguente aumento del capitale ad una cifra superiore al minimo legale,
oppure la trasformazione della società;
 La DELIBERA DI SCIOGLIMENTO DELL’ASSEMBLEA STRAORDINARIA IN SEGUITO A RECESSO di uno o più
soci o all’impossibilità di provvedere al rimborso dei recedenti senza ridurre il capitale sociale o
all’opposizione dei creditori alla riduzione;
 La DELIBERA DI SCIOGLIMENTO ANTICIPATO dell’assemblea straordinaria: occorre la maggioranza
rafforzata di più di 1/3 del capitale sociale nelle società che NON fanno appello al mercato del capitale di
rischio; la delibera è inoltre soggetta al controllo notarile di legalità e ad iscrizione nel registro delle imprese;
 ALTRE CAUSE PREVISTE DALLO STATUTO.

La dichiarazione di fallimento, dopo la riforma del 2003, NON è più causa di scioglimento.

Spetta agli amministratori, o in mancanza al tribunale, l’ACCERTAMENTO della causa di scioglimento e la


conseguente iscrizione nel registro delle imprese della dichiarazione di accertamento del consiglio di
amministrazione o della delibera assembleare di scioglimento.

Alla denominazione sociale va aggiunta l’indicazione che si tratta di società in liquidazione.

Differentemente dalla disciplina previgente, la riforma del 2003 ha previsto che gli EFFETTI dello
scioglimento si producono dalla data di iscrizione nel registro delle imprese e non dal momento in cui si è
verificata la causa dello scioglimento; gli amministratori, però, sono personalmente e solidalmente
responsabili per i danni subiti dalla società e da terzi per effetto di un ritardo/omissione nell’accertamento e
nell’iscrizione.

La società in stato di liquidazione

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L’estinzione della società non si ha per il solo verificarsi di una causa di scioglimento, in quanto la società
entra in STATO DI LIQUIDAZIONE ed occorre dar luogo al relativo procedimento (di liquidazione), ossia al
pagamento dei creditori sociali ed alla distribuzione del residuo attivo tra i soci. Tuttavia, lo stato di
liquidazione produce effetti nei confronti degli organi sociali.

Gli amministratori, che restano in carica sino alla nomina dei liquidatori e che devono conservare i beni sino
alla consegna agli stessi, devono convocare subito, al verificarsi della causa di scioglimento, l’assemblea per
le deliberazioni relative alla liquidazione. I loro poteri, inoltre, sono limitati, potendo agire SOLO ai fini “della
conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale”. Se violano tale limite sono responsabili
personalmente e solidalmente per i danni arrecati alla società e a terzi, sebbene i propri atti vincolino
ugualmente la società nei confronti dei terzi stessi, almeno che questi ultimi non abbiano agito
intenzionalmente a danno della suddetta.

Durante la liquidazione anche l’assemblea vede ridotti i propri poteri, non potendo adottare talune delibere
modificative dello statuto, anche se è consentita la fusione con altra società, almeno fino all’inizio della
distribuzione dell’attivo. Il collegio sindacale, invece, continua ad esercitare la propria attività di controllo,
anche sui liquidatori.

Lo stato di liquidazione può essere REVOCATO in qualsiasi momento dall’assemblea straordinaria, previa
eliminazione della causa di scioglimento (anche contestualmente alla revoca). Nelle società che NON fanno
appello al mercato del capitale di rischio occorre la maggioranza rafforzata di un terzo del capitale sociale
anche in seconda convocazione. Ai soci dissenzienti è garantito il diritto di recesso e la revoca ha effetto
SOLO decorsi 60 giorni dall’iscrizione della stessa nel registro delle imprese, permettendo in tal modo ai
creditori sociali di proporre opposizione. Non occorre rispettare tale termine se TUTTI i creditori sono stati
pagati o sono consenzienti alla revoca.

Il procedimento di liquidazione

Il PROCEDIMENTO DI LIQUIDAZIONE si apre con la nomina di uno o più liquidatori tramite una delibera
dell’assemblea straordinaria, che fissa anche il numero ed i poteri degli stessi. Nell’inerzia assembleare, i
liquidatori vengono nominati dal tribunale su istanza dei soci, degli amministratori o dei sindaci, oppure
nella sentenza che dichiara la nullità della società. Essi restano in carica per tutta la durata della
liquidazione, almeno che non sia fissato un termine o non vengano revocati dall’assemblea o, in presenza di
una giusta causa, dallo stesso tribunale. Nomina e revoca vanno iscritte nel registro delle imprese.

Con la nomina dei liquidatori cessa la carica degli amministratori, i quali sono tenuti a consegnare i beni
sociali.

I liquidatori devono adempiere i loro doveri con la diligenza e la professionalità richieste dalla natura
dell’incarico e soggiacciono alla medesima disciplina di responsabilità degli amministratori; da essi
prendono in consegna i beni ed i libri sociali, provvedendo a redigere con gli stessi l’ inventario del
patrimonio sociale. Gli amministratori consegnano un “bilancio” dei conti alla data di scioglimento ed un
rendiconto sulla gestione relativo al periodo successivo all’ultimo bilancio, di cui viene redatto apposito
verbale. I liquidatori, poi, hanno pieni poteri, potendo esercitare tutti gli atti utili per la liquidazione della
società; hanno piena rappresentanza e possono intraprendere nuove operazioni, senza responsabilità
personale per gli affari intrapresi (in passato non avevano tutti questi poteri).

Il primo dovere dei liquidatori è quello di pagare i debiti sociali, ossia di soddisfare i creditori della società e
prima di ciò non possono in alcun modo ripartire i beni tra i singoli soci, almeno che, accantonate le somme
dovute ai creditori, non si provveda alla distribuzione di ACCONTI tra i soci stessi durante la liquidazione,

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facendo prestare a questi ultimi idonee garanzie. In questa ipotesi, i liquidatori sono responsabili
personalmente e solidalmente degli eventuali danni arrecati ai terzi creditori.

Se i fondi societari risultano insufficienti, i liquidatori possono chiedere ai soci di versare la parte di
conferimenti ancora dovuta per le azioni NON interamente liberate.

Se la liquidazione, poi, si protrae oltre l’anno, va redatto il BILANCIO ANNUALE DI LIQUIDAZIONE, che deve
essere approvato dall’assemblea, per cui vale la disciplina del bilancio d’esercizio, ovviamente laddove
compatibile. Se il bilancio non viene depositato per oltre tre anni consecutivi si ha CANCELLAZIONE
D’UFFICIO della società dal registro delle imprese.

Anche una volta completata la liquidazione del patrimonio sociale, dopo la conversione in denaro dell’attivo,
i liquidatori devono redigere il BILANCIO FINALE DI LIQUIDAZIONE, indicando il PIANO DI RIPARTO, ossia
quanto spetta a ciascun socio. Il bilancio finale deve essere approvato da CIASCUN socio (e non
dall’assemblea), ma per evitare che i liquidatori corrano dietro ai singoli azionisti è stato previsto il sistema
dell’APPROVAZIONE TACITA (art.2493 c.c.), il quale prevede che il bilancio, sottoscritto dai liquidatori e
accompagnato dalla relazione dei sindaci e del soggetto incaricato del controllo contabile, venga depositato
presso il registro delle imprese e si intende APPROVATO se, entro 90 giorni dal deposito, nessun socio abbia
proposto reclamo dinanzi al tribunale o se, indipendentemente dal termine, tutto il residuo attivo sia stato
distribuito tra i soci, ottenendo una quietanza senza riserva. Con l’approvazione del bilancio finale i
liquidatori sono liberi dinanzi ai soci, dovendo provvedere solo a distribuire l’attivo: le somme non riscosse
entro 3 mesi dall’iscrizione dell’avvenuto deposito del bilancio, vengono depositate presso una banca.
Infine, i libri sociali vengono depositati presso l’ufficio del registro.

L’estinzione della società

Si ha cancellazione della società dal registro delle imprese:

 Su richiesta dei liquidatori, una volta approvato il bilancio finale di liquidazione;


 Su richiesta del curatore fallimentare, quando il fallimento si chiude per insufficienza o integrale ripartizione
dell’attivo;
 D’ufficio, quando per oltre tre anni consecutivi non viene depositato il bilancio annuale di liquidazione.

Prima dell’atto formale di cancellazione, però, la società continua ad esistere e gli eventuali creditori
insoddisfatti devono rivolgersi alla società, nella persona dei liquidatori, i quali possono anche rispondere
solidalmente e personalmente del danno arrecato a terzi, qualora non riescano a recuperare le somme
dovute ai creditori.

Dopo l’atto formale di cancellazione, invece, i creditori sociali insoddisfatti possono rivolgersi ai soci, nel
limite di quanto riscosso da questi in base al bilancio finale di liquidazione, o ai liquidatori, se il mancato
pagamento è dipeso da colpa degli stessi.

E’ con la cancellazione dal registro delle imprese, quindi, che si ha l’ESTINZIONE della società per azioni,
anche in presenza di creditori insoddisfatti.

Come anticipato nello studio della prima parte del diritto commerciale, i creditori possono chiedere il
FALLIMENTO entro un anno dalla cancellazione della società dal registro delle imprese, in forza di quanto
stabilito prima dalla Corte costituzionale ed in seguito fissato all’interno dell’art.10 della legge fallimentare,
contrariamente a quanto era previsto in precedenza dall’orientamento giurisprudenziale, secondo cui il
fallimento poteva essere chiesto sino al pagamento dell’ultimo debito sociale.

CAPITOLO DICIASSETTESIMO – LA SOCIETA’ IN ACCOMANDITA PER AZIONI

Caratteri distintivi
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La SOCIETA’ IN ACCOMANDITA PER AZIONI (S.a.p.a.), la cui disciplina è contenuta all’interno degli articoli
dal 2452 al 2461 del codice, è una particolare società di capitali che si contraddistingue per la presenza di
DUE CATEGORIE DI SOCI: gli ACCOMANDATARI, che rispondono solidalmente ed illimitatamente per le
obbligazioni sociali e sono per legge amministratori della società, e gli ACCOMANDANTI, che sono obbligati
verso la società nei limiti della quota di capitale sottoscritto.

Anche nella S.a.p.a. le quote di partecipazione di entrambe le categorie di soci sono rappresentate da
AZIONI.

Attenzione però, perché la società in accomandita per azioni NON E’ AFFATTO una società a metà strada tra
la società in accomandita semplice (società di persone) e la società per azioni (società di capitali): a tal
proposito, l’art.2454 c.c. prevede che alla S.a.p.a. si applichino, laddove compatibili, le norme dettate per le
S.p.A., il che ne fa una vera e propria società di capitali. Mentre l’accomandita semplice è una società di
persone, in particolar modo una società in nome collettivo modificata dalla presenza di soci a responsabilità
limitata (gli accomandanti), l’ACCOMANDITA PER AZIONI è una società di capitali, in particolare una società
per azioni modificata dalla presenza di soci a responsabilità ILLIMITATA (gli accomandatari) che sono, come
contropartita della più gravosa responsabilità, anche AMMINISTRATORI DI DIRITTO. La S.a.p.a., tuttavia,
non è molto diffusa, in quanto se da un lato attribuisce agli accomandatari la possibilità di porre quasi un
veto alla nomina di altri amministratori durante la vita della società e di risultare, in tal modo, SEMPRE al
comando della stessa, dall’altro lato espone i soggetti in questione ad una pesante responsabilità illimitata,
scotto giudicato troppo gravoso da pagare, nonostante i benefici.

L’azionista accomandatario

L’AZIONISTA ACCOMANDATARIO, come anticipato, risponde illimitatamente e solidalmente per le


obbligazioni sociali, oltre ad essere amministratore di diritto della società.

La disciplina dettata per il socio accomandatario di una società in accomandita per azioni, però, si presenta
nettamente diversa da quella prevista per la stessa categoria di soci nell’accomandita semplice.

Nella società in accomandita semplice:

 Gli accomandatari POSSONO ma NON necessariamente DEVONO essere amministratori;


 L’accomandatario risponde delle obbligazioni sociali ANCHE se non è amministratore;
 L’accomandatario risponde delle obbligazioni sociali sorte anteriormente all’acquisto della qualità di socio e
di quelle successive all’eventuale cessazione dalla carica di amministratore.

Quindi, in sostanza nell’accomandita semplice l’accomandatario risponde solidalmente ed illimitatamente


appunto perché accomandatario e non in quanto amministratore.

La disciplina cambia nell’accomandita per azioni, dove la qualità di socio accomandatario appare
INDISSOLUBILE rispetto all’incarico di amministratori e dove il socio risponde illimitatamente e solidalmente
per le obbligazioni sociali SOLO dal momento in cui ha accettato la carica di amministratore, perché è SOLO
da quel momento che egli figura come accomandatario. L’accomandatario, infatti, CESSA di essere tale e
rientra nella categoria degli accomandanti nel momento in cui CESSA dall’ufficio di amministratore, così
come DIVENTA accomandatario solo accettando l’ufficio: ecco perché non può in alcun modo rispondere
illimitatamente e solidalmente delle obbligazioni sociali preesistenti o di quelle successive alla cessazione
dalla carica.

L’unico dato che accomuna l’accomandatario dell’accomandita per azioni a quello dell’accomandita
semplice è la RESPONSABILITA’ SUSSIDIARIA, in quanto i creditori sociali possono rifarsi sugli stessi SOLO
nel momento in cui abbiano escusso infruttuosamente l’intero patrimonio sociale.

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Costituzione. Conferimenti. Azioni

Alle società in accomandita per azioni si applica la medesima disciplina delle società per azioni per quanto
riguarda la costituzione della società, i conferimenti e le partecipazioni azionarie, salvo qualche piccola
differenza.

Anzitutto, nell’atto costitutivo devono essere indicati i soci accomandatari, mentre non è necessaria la
nomina degli amministratori (che sono gli accomandatari stessi). Inoltre, la denominazione sociale deve
contenere il nome di almeno uno dei soci accomandatari, con l’indicazione “S.a.p.a.”, mentre anche il
richiamo del nome di un accomandante non espone quest’ultimo ad alcuna responsabilità illimitata e
solidale.

Va chiarito che le azioni appartenenti agli accomandatari NON costituiscono in alcun modo una categoria
speciale di azioni e non attribuiscono diritti diversi: in caso di alienazione, infatti, l’acquirente non diventa
automaticamente amministratore ed è per tal motivo che la vendita è libera, non vincolata all’accettazione
degli altri accomandatari. L’accomandatario può anche decidere di spogliarsi di alcune azioni e non di tutte,
conservando in tal modo l’ufficio di amministratore.

Amministratori, in sostanza, si diventa SOLO e SOLAMENTE per nomina IMPLICITA dell’atto costitutivo (in
quanto contrassegnati come accomandatari) o PER NOMINA ASSEMBLEARE.

Anche le azioni delle S.a.p.a. possono essere ammesse alla quotazioni in borsa, sebbene debbano comunque
sottostare alla disciplina dettata per le S.p.A. quotate, inerentemente alla revisione contabile obbligatoria, al
controllo della Consob e alla possibilità di emettere azioni di risparmio.

Gli organi sociali

All’interno della S.a.p.a. sono tre gli organi fondamentali: assemblea, collegio sindacale e amministratori.

Alcune regole particolari sono dettate per l’adozione di talune delibere assembleari, mentre per tutto il
resto vale la disciplina già vista per le S.p.A.:

 Gli accomandatari non hanno diritto di voto nelle deliberazioni di nomina e revoca dei sindaci (sarebbe futile
far nominare i controllori dai controllati) ed in quelle inerenti l’azione di responsabilità nei loro confronti
(sarebbe ancora più stupido pretendere che gli amministratori si auto-accusino);
 Per la modificazione dell’atto costitutivo occorre NON SOLO la delibera dell’assemblea straordinaria, ma
anche l’approvazione di TUTTI gli accomandatari, che possono dunque PORRE IL VETO su qualsiasi modifica,
il che ne rafforza il potere di comando;
 L’assemblea straordinaria è competente a nominare e revocare gli amministratori, anche se per la nomina di
nuovi amministratori occorre ancora l’approvazione di TUTTI gli accomandatari (inutile dire che per la
revoca non serve tale approvazione, altrimenti un accordo tra gli amministratori bloccherebbe qualsiasi
revoca).

Per quanto concerne gli amministratori, abbiamo già detto che essi diventano accomandatari con
l’accettazione della nomina contenuta nell’atto costitutivo. Il loro ufficio è PERMANENTE, salvo diversa
previsione statutaria. Tuttavia, essi non inamovibili, in quanto l’assemblea straordinaria, in qualsiasi
momento ed anche senza una giusta causa (sebbene in tal caso si è tenuti al risarcimento dei danni), può
revocarli; la revoca va iscritta nel registro delle imprese e da quel momento il socio da accomandatario si
trasforma in accomandante.

Se gli amministratori-accomandatari non possono far nulla per evitare di perdere la carica di amministratori,
possono comunque opporsi (si tratta di un vero e proprio veto) alla nomina di altri amministratori: occorre,
infatti, l’unanimità degli accomandatari rimasti in carica per nominarne di nuovi.

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Gli amministratori sono comunque soggetti agli stessi obblighi esaminati nella società per azioni e, pertanto,
sono responsabili, oltre che illimitatamente e solidalmente per le obbligazioni sociali, anche per i danni
arrecati alla società, ai singoli soci, ai creditori o a terzi in caso di violazione degli obblighi posti a loro carico
dalla legge e dallo statuto.

Se vi è pluralità di amministratori, si applicano le norme dettate in materia di consiglio di amministrazione


delle società per azioni.

Gli amministratori, inoltre, non possono prendere parte delibera di nomina e revoca dei sindaci, di fatto
aumentando il potere di controllo e l’autonomia del collegio sindacale. Se si tratta di società quotata, il
divieto è esteso anche alla nomina ed alla revoca dell’incarico alla società di revisione.

Lo scioglimento della società

Causa particolare di scioglimento della società in accomandita per azioni è costituita dalla CESSAZIONE
DALLA CARICA DI TUTTI GLI AMMINISTRATORI, se nel termine di 6 mesi non si provvede alla loro
sostituzione ed i sostituti non accettano la carica. Per tale periodo agli atti di ordinaria gestione provvede un
AMMINISTRATORE PROVVISORIO nominato dal collegio sindacale, il quale però non è un socio
accomandatario.

Non vale, invece, come causa di scioglimento per le S.a.p.a. il venir meno di tutti i soci accomandanti, come
avviene invece nell’accomandita semplice: la società, infatti, continua la propria attività, anche se costituita
solamente da accomandatari, sebbene sino a quando non si renda necessario un atto per cui occorre tale
categoria di soci (pensiamo alla nomina e alla revoca dei sindaci).

Per tutto il resto si applica la disciplina della società per azioni, anche se, in caso di liquidazione della società,
emerge ovviamente la responsabilità illimitata e solidale degli accomandatari, a cui i liquidatori possono
chiedere le somme necessarie, in proporzione della partecipazione di ciascuno nelle perdite ed a cui
possono rivolgersi i creditori sociali insoddisfatti, anche dopo la cancellazione della società.

CAPITOLO DICIOTTESIMO – LA SOCIETA’ A RESPONSABILITA’ LIMITATA

Caratteri distintivi

La SOCIETA’ A RESPONSABILITA’ LIMITATA (s.r.l.), di cui agli artt.2462-2483 c.c., è una società di capitali in
cui:

 Per le obbligazioni sociali risponde solo la società con il proprio patrimonio;


 Le quote di partecipazione dei soci NON possono essere costituite da azioni e non possono formare oggetto
di offerta al pubblico.

Quindi la s.r.l. si distingue dalla società in accomandita per azioni e si avvicina alla società per azioni per il
solo fatto di garantire una responsabilità LIMITATA a tutti i propri soci, ai quali nessuna pretesa può essere
avanzata dai creditori sociali. Tuttavia, diversamente da entrambi gli altri due tipi di società di capitali, le
quote di partecipazione nella s.r.l. non possono essere rappresentate da azioni, il che pone un pesante
limite alla raccolta di capitali tra il pubblico dei risparmiatori.

Le società a responsabilità limitata, tuttavia, possono oggi emettere titoli di credito di massa (valori
mobiliari) anche per la raccolta di capitali di credito, titoli di debito simili alle obbligazioni, ma per cui è
vietata la collocazione diretta presso il pubblico dei risparmiatori.

Il capitale sociale minimo delle s.r.l. è di 10.000 euro, quindi di gran lunga ridotto rispetto a quello delle
società per azioni.

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La recente riforma del 2003 ha voluto, differentemente dalla disciplina codicistica che assimilava le s.r.l. alle
società per azioni, creare un forte distacco tra le stesse, permettendo alle società a responsabilità limitata di
essere un modello particolarmente elastico, in grado di valorizzare i profili di carattere personale presenti
nelle imprese di modeste dimensioni.

La costituzione della società. La s.r.l. unipersonale

La disciplina inerente la costituzione della s.r.l. ricalca, quasi perfettamente, quella dettata per le società per
azioni (attenzione, stiamo parlando della disciplina inerente la costituzione, non dell’intera disciplina).

Come nelle S.p.A., anche nelle s.r.l. la denominazione sociale può essere liberamente formata, dovendo
comunque contenere la dicitura “società a responsabilità limitata”. Allo stesso modo anche la s.r.l. può
essere costituita a tempo indeterminato, sempre che sia permesso ad ogni socio di recedere con un
preavviso di 180 giorni, termine elevabile ad un anno da parte dello statuto.

Diversamente dalla società per azioni, però, nelle s.r.l. il capitale sociale minimo è più basso, 10.000 euro, e
non è ammessa la stipulazione dell’atto costitutivo per pubblica sottoscrizione, pertanto non essendo
contemplabile la disciplina prevista per i promotori.

Anche il contenuto dell’atto costitutivo deve essere identico a quello previsto per le società per azioni,
sebbene al posto delle indicazioni relative alle azioni debbano esserci quelle inerenti le quote di
partecipazione di ciascun socio.

La s.r.l., tra l’altro, è stata la prima società per cui, grazie al d.p.r.88/1993, venne prevista la possibilità di
configurarsi come società di capitali UNIPERSONALE, con limitazione della responsabilità anche del singolo
socio. In seguito, la disciplina venne estesa anche alle società per azioni e plasmata in base alle stesse. Si
rimanda, dunque, a quanto già detto riguardo alle società unipersonali (pagine 13 e 14 della dispensa).

I conferimenti. Le altre forme di finanziamento

Se per la disciplina inerente la costituzione della società, la s.r.l. si avvicina alle società per azioni, per quanto
concerne la normativa in materia di conferimenti vi è un accostamento alla disciplina delle società di
persone, almeno a partire dalla riforma del 2003.

L’art.2464 comma 2 c.c., infatti, prevede che “possono essere conferiti tutti gli elementi dell’attivo
suscettibili di valutazione economica”: questo significa che oggetto del conferimento possono essere il
denaro, ma anche le prestazioni di opere e servizi (escluse nelle società per azioni) e le prestazioni in natura.

Per quanto riguarda i conferimenti in DENARO, anche nelle s.r.l. è necessario versare il 25% del
conferimento, o l’intero ammontare se si tratta di società unipersonale, presso una banca, ma tale somma
può essere benissimo sostituita dalla stipula di una POLIZZA DI ASSICURAZIONE o da una FIDEIUSSIONE
BANCARIA, salvo il diritto del socio di versare, in qualsiasi momento, il denaro richiesto ed eliminare polizza
o fideiussione. Tuttavia, tale norma NON è al momento operativa, dato che il Governo italiano non ha
ancora provveduto ad individuare le caratteristiche che la polizza assicurativa o la fideiussione devono
avere.

Anche per i conferimenti di PRESTAZIONI D’OPERE O SERVIZI l’intero valore assegnato agli stessi deve
essere garantito da una polizza assicurativa o da una fideiussione bancaria, ma in tal caso non serve un
intervento del Governo, in quanto manca qualsivoglia rinvio ad un decreto attuativo per fissarne le
caratteristiche. Il socio, comunque, ha la facoltà di sostituire la polizza o la fideiussione con un versamento A
TITOLO DI CAUZIONE alla società del corrispondente importo in denaro, sempre che ciò sia previsto dall’atto
costitutivo.

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I conferimenti IN NATURA, come avviene per le S.p.A., devono essere interamente liberati al momento
della sottoscrizione, ma non è necessario che la stima degli stessi sia fatta da un esperto designato dal
tribunale, essendo sufficiente la valutazione di un esperto o di una società di revisione iscritti nel registro dei
revisori contabili o di una società di revisione iscritta nell’apposito albo. Lo stesso vale per la stima prevista
per gli ACQUISTI PERICOLOSI della società nei confronti di soci, amministratori e fondatori, mentre per il
resto si applica la disciplina delle società per azioni, anche se l’atto costitutivo può escludere la previa
autorizzazione degli acquisti da parte dei soci.

Il SOCIO MOROSO, ossia colui che non ha effettuato il conferimento nel termine prescritto o per cui sono
scadute la polizza assicurativa o la fideiussione bancaria a garanzia dei conferimenti stessi, viene DIFFIDATO
dagli amministratori ad eseguire la prestazione nel termine di 30 giorni, decorso il quale egli non può
partecipare alle decisioni dei soci. La s.r.l., in tal caso, ha la facoltà di vendere COATTIVAMENTE le quote del
socio moroso, alternativamente all’azione giudiziaria, offrendola dapprima in opzione agli altri soci o
vendendola al pubblico incanto se gli stessi non sono interessati. Se, però, non vi sono neanche terzi
compratori, la società è costretta ad escludere il socio moroso (trattenendo le somme riscosse) e a ridurre
immediatamente il capitale sociale, in quanto la s.r.l. NON PUO’ in alcun modo possedere quote proprie.

Prima della riforma del 2003, elevato era il numero di s.r.l. che operavano come società sottocapitalizzate,
ossia con finanziamenti a titolo di capitale di prestito da parte dei soci (in sostanza, operavano grazie a soldi
non loro, ma concessi in prestito, che poi ovviamente dovevano restituire). La riforma, rivedendo l’art.2467
c.c., ha posto un freno a questo fenomeno, prevedendo che il “rimborso dei finanziamenti dei soci sia
POSTERGATO rispetto al soddisfacimento degli altri creditori” (la postergazione opera come condizione
sospensiva dell’esigibilità del credito): quindi la società deve prima pagare i creditori sociali e poi può pagare
i soci stessi o i terzi che hanno prestato denaro con garanzia dei soci (finanziamenti indiretti). Quindi, se il
rimborso dei finanziamenti rischia di mettere a repentaglio il soddisfacimento degli altri creditori, gli
amministratori non possono provvedervi, dovendo lasciare i soci insoddisfatti. Se la somma, tra l’altro, viene
rimborsata, deve essere addirittura restituita alla società se il rimborso è avvenuto nell’anno precedente la
dichiarazione di fallimento della società. Questa disciplina tende a dissuadere i soci dal prestare ingenti
somme di denaro nei casi in cui vi è “un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto”
o in cui “la società si trova in una situazione finanziaria per cui sarebbe stato preferibile un conferimento,
anziché un finanziamento”.

Segue: I titoli di debito

Con la riforma del 2003 è venuto meno il divieto per le s.r.l. di emettere obbligazioni, o meglio, TITOLI DI
DEBITO (art.2483 c.c.), sottratti alla disciplina delle obbligazioni dettata per le S.p.a. (pagine 122 e seguenti
della dispensa) e soggetti a quella secondaria del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio.

Alla s.r.l., però, è CONSENTITO emettere titoli di debito SOLO se previsto all’interno dell’atto costitutivo, il
quale deve stabilire anche se la competenza all’emissione spetti agli amministratori o ai soci, determinando
limiti, modalità e maggioranze necessarie.

Con la decisione di emissione vengono fissate le condizioni del prestito e le modalità di rimborso ed essa
viene iscritta nel registro delle imprese. Il taglio minimo dei titoli deve essere pari o superiore a 50.000 euro.

Dato che il titolo viene emesso a fronte di un apporto a TITOLO DI PRESTITO, il diritto al rimborso del
capitale, come avviene per le obbligazioni, non può essere condizionato all’andamento economico della
società; solo la misura degli interessi può esserlo.

Sempre e solo l’atto costitutivo può prevedere anche che i titoli di debito siano emessi come TITOLI DI
MASSA (definizione titoli di massa: frazioni di uguale valore nominale e con uguali diritti di un’unitaria
operazione di finanziamento), la cui circolazione segue la disciplina dei titoli di credito. Tuttavia, è possibile
anche l’emissione come TITOLI INDIVIDUALI (ciascun titolo rappresenta una distinta operazione finanziaria),
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escludendone addirittura la destinazione alla circolazione. E’ concepibile, inoltre, che tali titoli di debito
siano convertibili in partecipazioni sociali.

Un limite importante, però, è apposto dalla legge ai titoli di debito: essi NON POSSONO essere collocati
DIRETTAMENTE presso il pubblico dei risparmiatori, ma devono essere sottoscritti da INVESTITORI
PROFESSIONALI SOGGETTI A VIGILANZA PRUDENZIALE, ossia investitori che devono rispettare determinati
requisiti di solidità patrimoniale e su cui vigilano autorità competenti. Tali investitori, tra l’altro, possono
anche collocare i titoli di debito presso terzi, ma rispondono SEMPRE della solvenza della società nei
confronti degli stessi, almeno che non si tratti di terzi investitori professionali o soci dell’emittente. Identità
del garante (ossia dell’investitore che per primo ha sottoscritto il titolo) e dell’ammontare della garanzia
vanno indicati sul titolo di debito.

Le quote sociali

L’art.2468 comma 1 del codice stabilisce che nelle società a responsabilità limitata “Le partecipazioni dei
soci non possono essere rappresentate da azioni”, il che differenzia notevolmente le s.r.l. dalle società per
azioni, in cui il capitale sociale è diviso in parti omogenee e standardizzate che prescindono dalle persona
dei soci e dal loro numero. Nelle s.r.l., infatti, avviene proprio il contrario, in quanto il capitale sociale viene
diviso secondo un CRITERIO PERSONALE (e non astratto-matematico), in base al NUMERO DEI SOCI: ognuno
di essi diventa titolare di un’UNICA QUOTA DI PARTECIPAZIONI (esempi: 10 soci = 10 quote; 1000 soci =
1000 quote).

Mentre le azioni delle S.p.a. sono obbligatoriamente di ugual valore, le quote delle s.r.l. possono benissimo
essere di DIVERSO AMMONTARE: se l’atto costitutivo non prevede diversamente il valore delle quote è
determinato PROPORZIONALMENTE al conferimento (il socio ha sottoscritto il capitale per 100 euro? avrà
diritto ad un’unica quota del valore di 100 euro; un altro socio ha sottoscritto il capitale per 1000 euro? Avrà
diritto ad un’unica quota di 1000 euro). Tuttavia, l’atto costitutivo può determinare il valore delle
partecipazioni in misura NON PROPORZIONALE ai conferimenti, purché il valore complessivo degli stessi
non sia inferiore all’ammontare del capitale sociale e ferma restando la titolarità di un’UNICA quota da
parte del titolare.

Quindi differentemente dalle azioni che attribuiscono uguali diritti, le quote possono prevedere
diversamente, in quanto i diritti sociali spettano ai soci in misura proporzionale alla partecipazione da
ciascuno posseduta (indipendentemente dal fatto che tale partecipazione sia o meno proporzionale al
conferimento). Anche questa, però, è regola derogabile da parte dell’atto costitutivo, in quanto ai singoli
soci possono essere concessi DIRITTI PARTICOLARI riguardanti l’amministrazione o la distribuzione degli
utili, modificabili solo con il consenso di TUTTI i soci e attribuiti alla PERSONA del socio, il che comporta che
in caso di alienazione della quota essi non si trasferiscono all’acquirente, almeno che anche questo punto
non sia precisato dall’atto costitutivo. Allo stesso modo possono essere contemplate prestazioni accessorie
a carico di singoli soci.

La quota di partecipazione in una società a responsabilità limitata, dunque, presenta alcune caratteristiche:

 UNITA’: la quota è e resta unica, esprimendo in modo unitario la posizione di quel determinato socio. Anche
se quest’ultimo acquista altre quote NON DIVENTA titolare di una pluralità delle stesse, bensì va
semplicemente ad incrementare la quota originaria;
 DIVISIBILITA’: potrebbe sembrare una contraddizione, ma non lo è affatto (parlo della quota unitaria ma
nello stesso tempo divisibile). Se è vero, infatti, che non si possono avere più quote, è altrettanto vero che
una quota, almeno che ciò non sia escluso dall’atto costitutivo, può essere divisa tra più soggetti. Se, però, la
divisione è vietata o impossibile, la quota diviene di PROPRIETA’ COMUNE di più persone e si applica la
disciplina dell’amministrazione dei beni in comproprietà;

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 DOCUMENTAZIONE: le quote di partecipazione delle s.r.l. NON POSSONO essere rappresentate da titoli di
credito, né costituire oggetto di offerta al pubblico. Il certificato di quota rilasciato dalla società, infatti, serve
solo come documento probatorio della qualità di socio e della misura della partecipazione, ma non come
strumento per la circolazione della stessa;
 IMMATERIALITA’: la quota, dunque, non si configura come un bene mobile materiale, ma nonostante ciò ha
pur sempre un proprio valore patrimoniale, determinato dalla frazione del patrimonio sociale
rappresentata, il che spiega perché la legge la tratti come oggetto unitario di diritti, assimilandola ai beni
immateriali.

Segue: Le vicende e il trasferimento delle quote sociali

In linea generale, la legge italiana prevede che le quote delle s.r.l. siano LIBERAMENTE TRASFERIBILI per
atto tra vivi o mortis causa.

Anche qui, però, l’atto costitutivo può ESCLUDERE il trasferimento delle quote o VINCOLARLO al gradimento
di organi sociali, di soci o di terzi, anche senza fissare delle condizioni per negare il trasferimento, potendo
subordinare lo stesso anche al MERO GRADIMENTO dei soggetti indicati. Tuttavia, in tali casi il socio o i suoi
eredi hanno diritto di recesso, il quale è inderogabile, ossia non escludibile dall’atto costitutivo. L’atto
costitutivo, però, può prevedere che il recesso non possa essere esercitato prima di un certo termine
(massimo 2 anni) dalla costituzione della società o dalla sottoscrizione della quota.

Al fine di prevenire operazioni di riciclaggio di denaro sporco e per assicurare la massima trasparenza nella
cessione delle quote e la conoscenza dell’effettiva compagine societaria, la L.310/1993 ha previsto che i
trasferimenti di quote per atto tra vivi debbano risultare da una SOTTOSCRIZIONE AUTENTICATA da un
notaio o da un DOCUMENTO INFORMATICO sottoscritto dalle parti mediante firma digitale, depositati, dal
notaio stesso nel primo caso e dal ragioniere/commercialista nel secondo, entro 30 giorni per l’iscrizione nel
registro delle imprese. Il trasferimento ha effetto TRA LE PARTI in forza del semplice consenso, produce
effetti verso la società solo con il deposito presso il registro. In caso di alienazione plurima, prevale chi per
primo, ed in buona fede, ha effettuato l’iscrizione. E’ stata eliminata nel 2008 l’annotazione del
trasferimento nel libro dei soci, in quanto le s.r.l. non sono più obbligate a tenero il libro stesso. Le
medesime regole valgono per i trasferimenti mortis causa e per la costituzione di vincoli sulle quote.

Nel caso, poi, di trasferimento di quota non interamente liberata (in pratica quando il socio non ha versato
l’intero conferimento), l’alienante risponde in solido con l’acquirente per i versamenti ancora dovuti, nel
limite di 3 anni dal trasferimento stesso ed in via SUSSIDIARIA, in quanto occorre che la società si rivolga
prima al socio attuale.

La quota può essere oggetto di PEGNO, USUFRUTTO E SEQUESTRO, oltre che di ESPROPRIAZIONE da parte
dei creditori personali del socio, anche in caso di fallimento, con conseguente vendita forzata della stessa o
assegnazione al creditore procedente. Nei primi tre casi si ha il diritto frazionario sulla quota, mentre in
TUTTI I CASI sopra menzionati, qualora la partecipazione non sia liberamente trasferibile, la società può
presentare, entro 10 mesi, un altro soggetto che offre il medesimo prezzo della vendita o che colma il debito
del precedente titolare della quota (in tal modo si evita che soggetti sgraditi entrino nella compagine
societaria).

La società a responsabilità limitata, come già anticipato, NON PUO’ ACQUISTARE PROPRIE QUOTE in alcun
modo, né direttamente, né indirettamente fornendo garanzie per il loro acquisto o la loro sottoscrizione, né
tanto meno accettandole in garanzie. Nel caso in cui ciò avvenga si producono le conseguenza previste, nella
disciplina delle S.p.a., per l’acquisto di azioni proprie al di fuori dei casi consentiti.

Recesso ed esclusione

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Per quanto riguarda la disciplina del RECESSO, nelle s.r.l. è riconosciuta un’ampia libertà all’autonomia
statutaria, inerente i casi di recesso e le relative modalità, anche se nel silenzio dell’atto costitutivo si applica
la medesima disciplina delle società per azioni.

Vi sono, poi, una serie di casi in cui il recesso è INDEROGABILMENTE riconosciuto dalla legge:

 Ipotesi di società a tempo indeterminato, in cui ogni socio può recedere con preavviso di almeno 180 giorni,
allungabile dall’atto costitutivo ad un anno;
 Ipotesi di società a tempo determinato, in cui possono recedere i soci dissenzienti, assenti e astenuti nelle
delibere di:
o Cambiamento SIGNIFICATIVO dell’oggetto sociale o del tipo di società;
o Fusione o scissione;
o Revoca dello stato di liquidazione;
o Trasferimento della sede sociale all’estero;
o Eliminazione di cause di recesso contemplate nell’atto costitutivo;
o Compimento di operazioni sostanzialmente modificative dell’oggetto sociale o dei diritti particolari del
singolo socio.

Anche nel caso di limitazioni statutarie alla trasferibilità delle quote (paragrafo precedente) o di socio
contrario all’aumento del capitale sociale con esclusione del diritto di opzione, si può esercitare il diritto di
recesso.

Il recesso, come nelle S.p.a., non è esercitabile (e se già esercitato non produce effetti) se viene meno la
delibera che lo legittima o se viene deliberato lo scioglimento della società.

Entro 180 giorni dalla comunicazione del recesso alla società, il socio ha diritto a ricevere il rimborso della
propria partecipazione in proporzione al patrimonio sociale, la cui determinazione avviene in base al valore
di mercato al momento del recesso stesso e, se vi è disaccordo, viene fatta da un esperto nominato dal
tribunale. La quota del recedente viene dapprima offerta in opzione agli altri soci o ad un terzo
CONCORDEMENTE individuato dagli stessi; se nessuno è interessato si provvede al rimborso tramite le
riserve disponibili o la riduzione reale del capitale. Se vi è opposizione alla riduzione da parte dei creditori
sociali, la società è costretta a sciogliersi.

Il socio, infine, può essere ESCLUSO dalla società per giusta causa, contemplata nell’atto costitutivo, in
seguito ovviamente ad una decisione degli altri soci, comunque impugnabile. Si da luogo al rimborso, come
per il recesso, della partecipazione, anche se non è possibile la riduzione del capitale: se non vi sono
acquirenti e non si può attingere alle riserve, l’esclusione non produce effetti.

Gli organi sociali. Le decisioni dei soci

L’art.2479 comma 2 c.c. stabilisce che sono rimesse INDEROGABILMENTE alla decisione dei soci:

 L’approvazione del bilancio e la distribuzione degli utili;


 La nomina degli amministratori, se prevista nell’atto costitutivo;
 La nomina dei sindaci, del presidente del collegio sindacale e del revisore;
 La modificazione dell’atto costitutivo;
 La decisione di compiere operazioni sostanzialmente modificative dell’oggetto sociale o dei diritti particolari
dei soci;
 Ulteriori materie riservate dall’atto costitutivo.

I soci decidono anche su qualsiasi argomento sottoposto alla loro approvazione da parte degli
amministratori o di tanti soci rappresentanti almeno 1/3 del capitale sociale.

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Su queste materia, dunque, si deve pronunciare l’ASSEMBLEA, ma l’atto costitutivo può permettere la
consultazione scritta e l’espressione del consenso per iscritto, ponendo ovviamente ciascun socio in
condizione di partecipare al procedimento decisionale. I soci, in tali documenti sottoscritti, devono
specificare l’argomento della decisione ed il consenso alla stessa. La decisione è presa se si esprime a favore
della stessa una maggioranza rappresentante ALMENO LA META’ del capitale sociale.

Anche in presenza di tale previsione statutaria, comunque, i soci devono decidere IN ASSEMBLEA su alcuni
argomenti, quali le modificazioni dell’atto costitutivo o il compimento di operazioni sostanzialmente
modificative dell’oggetto sociale o dei diritti particolari dei soci o la riduzione obbligatoria del capitale per
perdite o nel momento in cui ne facciano richiesta tanti soci rappresentanti almeno 1/3 del capitale o anche
solo un amministratore.

La disciplina dell’assemblea, diversamente dalle S.p.a., è rimessa in larga parte all’atto costitutivo.

E’ l’atto costitutivo a fissare le modalità di convocazione, altrimenti alla stessa provvedono gli
amministratori con lettera raccomandata, spedita ai soci almeno 8 giorni prima dell’adunanza ed al
domicilio risultante dal registro delle imprese, senza la necessità di alcuna pubblicazione dell’avviso in
Gazzetta Ufficiale. L’assemblea si riunisce presso la sede sociale, almeno che l’atto costitutivo non preveda
diversamente e ne regola lo svolgimento un presidente.

In assemblea possono intervenire tutti i soci, i quali possono essere anche rappresentanti da terzi, senza le
limitazioni dettate nella disciplina delle S.p.a., ai quali devono rilasciare delega per iscritto, conservata dalla
società.

Il voto dei soci vale in misura PROPORZIONALE ALLA PARTECIPAZIONE.

Quorum costitutivo assemblea ordinaria: presenza di tanti soci rappresentanti ALMENO LA META’ di tutto il
capitale sociale e non solo di quello intervenuto.

Quorum deliberativo assemblea ordinaria: maggioranza assoluta del capitale intervenuto. Nelle ipotesi di
modificazioni dell’atto costitutivo o di decisioni comportanti modifiche sostanziali dell’oggetto sociale o dei
diritti particolari dei soci, occorre il voto favorevole dei soci rappresentanti almeno la metà del capitale
sociale.

Non sono previsti quorum diversi per la seconda convocazione, salvo previsione statutaria.

Particolare, nelle s.r.l., è l’ASSEMBLEA TOTALITARIA, la quale deve ospitare obbligatoriamente TUTTI I SOCI
(deve essere presente l’intero capitale) e tutti gli amministratori ed i sindaci (o quantomeno questi ultimi,
amministratori e sindaci, devono essere informati della riunione). L’assemblea totalitaria delibera SOLO su
argomenti alla cui trattazione non si oppone alcuno degli intervenuti.

Segue: L’invalidità delle decisioni dei soci

Sono tre i regimi di invalidità delle decisioni dei soci per quanto riguarda le s.r.l.:

 Invalidità che può essere fatta valere solo da alcuni soggetti, entro breve termine, e non opponibile ai terzi
in buona fede (annullabilità);
 Invalidità derivante da gravi vizi sostanziali o procedimentali, che può essere fatta valere da chiunque abbia
interesse entro tre anni (nullità);
 Un’unica causa di invalidità che può essere fatta valere da chiunque senza limiti di tempo ( nullità
imprescrittibile).

Partiamo dal primo regime d’invalidità, quello dell’ANNULLABILITA’: le decisioni che violano la legge o l’atto
costitutivo o quelle prese col voto determinante di soci in conflitto di interessi sono impugnabili dai soci
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dissenzienti, assenti o astenuti, nonché da ciascun amministratore o dal collegio sindacale nel termine di 90
giorni dalla loro trascrizione nel libro delle decisioni dei soci (senza il rispetto di alcuna rappresentanza di
capitale sociale per l’impugnazione). Vale la disciplina vista per il procedimento d’impugnazione nelle
società per azioni. Non vengono pregiudicati i diritti acquistati in buona fede da terzi in base alla decisione
invalida.

Se vi è CONVALIDA della decisione impugnata, ossia se la stessa viene sostituita da altra decisione priva di
vizi, l’annullamento non può aver luogo e la sostituzione sana RETROATTIVAMENTE la decisione invalida,
senza pregiudicare i diritti di terzi. Si ha convalida anche su richiesta della società o di chi ha proposto
l’impugnativa durante il giudizio di impugnazione, dove il giudice assegna un termine di 180 giorni per
l’adozione di una nuova decisione.

Anche per le s.r.l. è prevista la convalida per la mancata convocazione, che non può essere fatta valere da
chi, anche successivamente, ha dato il proprio assenso allo svolgimento dell’assemblea, e la convalida per la
mancanza di verbale, il quale può essere redatto prima dell’assemblea successiva.

Per quanto riguarda le cause di NULLITA’ delle decisioni dei soci, la legge stabilisce che “chiunque vi abbia
interesse”, nel termine tre anni, può impugnare le decisioni aventi OGGETTO IMPOSSIBILE O ILLECITO e
quelle prese IN ASSENZA ASSOLUTA DI INFORMAZIONE, sempre che si tratti di decisioni aventi ad oggetto
l’aumento del capitale sociale, la riduzione reale dello stesso e l’impugnazione del bilancio (riduzione
dell’operatività delle cause di nullità, come visto per le società per azioni). Va sottolineato che, in pendenza
del termine di impugnazione, la decisione è inefficace e che l’art.2479-ter, inerente l’invalidità delle
decisioni dei soci, non indica MAI tali vizi come “cause di nullità”.

Ultimo regime di invalidità è quello della NULLITA’ IMPRESCRITTIBILE: possono essere impugnate, SENZA
limiti di tempo, le deliberazioni modificative dell’oggetto sociale che prevedono ATTIVITA’ IMPOSSIBILI O
ILLECITE.

Amministrazione e controlli

L’attuale disciplina delle s.r.l. prevede che la ripartizione di competenze tra assemblea ed amministratori sia
rimessa, in gran parte, all’atto costitutivo. Nel silenzio dello stesso, resta ferma la regola secondo cui
l’amministrazione è affidata ad UNO o PIU’ SOCI, nominati tramite decisione dei soci stessi, la cui carica è a
TEMPO INDETERMINATO.

Nulla è previsto riguardo alle cause di incompatibilità o ineleggibilità ed inerentemente alla cessazione
dell’incarico o alla revoca dello stesso, sebbene si presume che rimangano comunque ineleggibili gli incapaci
e che il potere di revoca spetti ai soci. Gli amministratori, sebbene anche su questo punto la disciplina
legislativa non precisi alcunché, non possono agire in concorrenza con la società, in quanto si creerebbe un
conflitto di interessi.

Se l’amministrazione viene affidata a più persone, esse costituiscono il consiglio di amministrazione, anche
se l’atto costitutivo può prevedere che gli amministratori operino SENZA la struttura consiliare, bensì
DISGIUNTAMENTE O CONGIUNTAMENTE, proprio come nelle società di persone.

Se viene adottato il sistema dell’amministrazione disgiunta, ciascun amministratore può decidere ed agire in
solitudine, salvo per le decisioni inerenti la redazione del progetto di bilancio e dei progetti di
fusione/scissione e per l’aumento del capitale per delega, materie rispetto alle quali occorre la decisione di
TUTTI gli amministratori. Se un amministratore si oppone all’atto disgiunto di un altro amministratore, sono
i soci a dover decidere a maggioranza (per quote di capitale).

Se, invece, viene adottato il sistema dell’amministrazione congiunta, occorre l’unanimità o la maggioranza
per teste degli amministratori per prendere una decisione, proprio come nelle società di persone.

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Gli amministratori, ovviamente, hanno anche il potere di rappresentanza della società e ad essi sono
inopponibili i limiti statutari ai propri poteri (salvo l’exceptio doli), così come ai terzi in buona fede
rimangono inopponibili i vizi dell’atto di nomina del rappresentante dopo la pubblicazione nel registro delle
imprese.

I contratti conclusi dagli amministratori con rappresentanza IN CONFLITTO DI INTERESSI sono annullabili su
richiesta della società, se il terzo conosceva o poteva conoscere il conflitto; l’azione si prescrive entro 5 anni
dal contratto.

Anche le decisioni del consiglio di amministrazione prese con voto determinante dell’amministratore in
conflitto di interessi possono essere impugnate, sempre che cagionino danni patrimoniali alla società.
L’impugnazione va presentata entro 90 giorni dagli altri amministratori, dal collegio sindacale o dal revisore,
fatti sempre salvi i diritti acquistati da terzi in buona fede.

Diversamente dalle S.p.a., tuttavia, gli amministratori NON DEVONO comunicare preventivamente al
consiglio gli interessi in una determinata operazione, né tanto meno esistono altre cause di invalidità delle
delibere consiliari, non annullabili né nulle per altri vizi sostanziali o procedimentali.

Gli amministratori, poi, sono responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei propri
doveri previsti dalla legge e dall’atto costitutivo, almeno che non dimostrino di essere ESENTI DA COLPA e
che, qualora a conoscenza dell’atto dannoso, abbiano fatto qualcosa per evitarne o diminuirne gli effetti. La
disciplina, quindi, è minima rispetto a quella prevista per le S.p.a., le cui regole si applicano nel caso di
organo amministrativo ad organizzazione corporativa (in presenza del consiglio di amministrazione, degli
organi delegati ecc.). Anche i soci che hanno INTENZIONALMENTE deciso o autorizzato l’atto dannoso per la
società, per i terzi o per i soci stessi, e quindi i soci che sono amministratori “di fatto”, sono responsabili
solidalmente con gli amministratori: occorre, però, il DOLO (intenzionalmente).

Nelle s.r.l. manca un controllo giudiziario sulla gestione, come previsto dall’art.2409 c.c. per le S.p.a., in
quanto il SINGOLO SOCIO ha il diritto, e si tratta di diritto inderogabile, di promuovere l’azione sociale di
responsabilità contro gli amministratori, nonché di chiedere la revoca cautelare degli stessi, oppure
addirittura di chiedere quest’ultima SENZA agire per l’azione di responsabilità. Il potere di nomina del nuovo
amministratore, nel caso di revoca del precedente, spetta alla società e non al giudice. Se viene accolta la
domanda di risarcimento, il ricavato va a vantaggio della società, mentre al socio che ha agito vanno
rimborsate SOLO le spese sostenute.

Seppur nel silenzio della legge, è consentito anche alla società di agire con l’azione di responsabilità nei
confronti degli amministratori. La stessa società può, inoltre, dar luogo alla RINUNCIA o alla TRANSAZIONE
dell’azione di responsabilità, anche laddove promossa dal singolo socio, ma occorre il consenso della
maggioranza dei 2/3 del capitale, SENZA l’opposizione del 10% dello stesso (se si oppongono tanti soci, non
si può dar luogo a rinuncia o transazione).

Gli amministratori, oltre che verso la società, sono responsabili anche verso i soci e verso terzi direttamente
danneggiati, secondo la disciplina vista per le S.p.a. (pagina 78 della dispensa).

Niente dice la legge per la responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali, i quali potranno
azionare i rimedi di diritto comune (azione surrogatoria, responsabilità extra-contrattuale).

E’ l’atto costitutivo a prevedere nomina e poteri del collegio sindacale e del revisore contabile, sempre che i
poteri del secondo non siano attribuiti al collegio. Nelle s.r.l. la nomina del collegio sindacale è
OBBLIGATORIA SOLO SE il capitale sociale è di almeno 120.000 euro (quanto quello minimo delle S.p.a.) o se
non è possibile redigere il bilancio di esercizio in forma abbreviata. Si applica, laddove il collegio sia
presente, la disciplina delle S.p.a.

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Ad esercitare il potere di controllo nelle s.r.l., però, vi sono anche i SOCI NON AMMINISTRATORI, i quali
possono chiedere notizie dello svolgimento degli affari sociali agli amministratori stessi, così come possono
consultare i libri sociali ed i documenti dell’amministrazione, comprese le scritture contabili, tutti diritti
regolabili dall’atto costitutivo ma NON sopprimibili. I soci devono, tuttavia, rispettare il principio di
correttezza e buona fede, senza divulgare informazioni a terzi, pena la responsabilità propria.

Bilancio. Modificazioni dell’atto costitutivo. Scioglimento

Il bilancio d’esercizio delle s.r.l. viene predisposto dagli amministratori, con deliberazione collegiale, ed
approvato dai soci, anche NON in assemblea se ciò è previsto dall’atto costitutivo, e viene infine depositato
presso il registro delle imprese.

I soci chiamati a decidere sull’approvazione del bilancio, stabiliscono anche come gli utili vadano ripartiti.
Come nelle S.p.a., anche qui in caso di distribuzione di utili FITTIZI, i dividendi non sono ripetibili se risultanti
da bilancio regolarmente approvato e se riscossi in buona fede.

Le modificazione dell’atto costitutivo sono di competenza assembleare, la quale decide con il voto
favorevole di almeno la metà del capitale sociale. La modifica diviene efficace solo dopo iscrizione nel
registro delle imprese, richiesta dal notaio verbalizzante, il quale svolge anche un controllo di legalità,
potendo decidere di negare la richiesta di iscrizione e rendendo necessario il giudizio di omologazione del
tribunale, su richiesta degli amministratori.

Gli amministratori, la cui decisione deve risultare da verbale redatto dal notaio e deve essere iscritta nel
registro, possono decidere l’aumento del capitale sociale a pagamento. Occorre, per dar attuazione alla
decisione, che i conferimenti siano stati interamente eseguiti.

E’ l’atto costitutivo a prevedere l’esclusione del diritto di opzione, non ammessa comunque nell’ipotesi di
aumento del capitale necessario per precedente riduzione dello stesso per perdite. I soci che non
partecipano alla decisione di escludere il diritto d’opzione possono recedere dalla società. E’ la delibera di
aumento del capitale sociale a stabilire entro quanto tempo e come vada esercitato il diritto di opzione (il
termine di sottoscrizione non può essere inferiore ai 30 giorni dal momento della comunicazione ai soci), se
e con quali modalità permettere agli altri soci ed a terzi la sottoscrizione della parte di capitale non optata; è
sempre la delibera di aumento del capitale sociale a determinare il sovrapprezzo e consentire un aumento
solo parziale, nel caso di sottoscrizione non integrale, in mancanza della quale il capitale è inscindibile.
L’attestazione di esecuzione dell’aumento del capitale sociale deve essere depositata, ad opera degli
amministratori, entro 30 giorni dall’avvenuta sottoscrizione.

La stessa disciplina già descritta per le società per azioni vale anche per le s.r.l., in merito all’aumento di
capitale gratuito (la quota di ognuno rimane invariata) ed alla riduzione reale o nominale del capitale sociale
(fermo restando il limite minimo di 10.000 euro).

La riduzione VOLONTARIA del capitale avviene tramite rimborso ai soci delle quote pagate o tramite
liberazione degli stessi dall’obbligo dei versamenti ancora dovuti. Non è necessaria alcuna motivazione per
la riduzione, ma è possibile l’opposizione dei creditori, pertanto la delibera di approvazione della riduzione
può essere eseguita solo trascorsi 90 giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese senza alcuna
opposizione, oppure dopo il rigetto del tribunale dell’opposizione per mancato pericolo di pregiudizio o
perché la società ha prestato idonea garanzia.

Se la riduzione, invece, è OBBLIGATORIA PER PERDITE di oltre 1/3 del capitale, gli amministratori convocano
senza indugio l’assemblea, sottoponendo alla stessa una relazione sulla situazione patrimoniale, con le
osservazioni del collegio sindacale e del revisore, se nominati e con il conseguente deposito di tali
documenti presso la sede sociale per almeno 8 giorni prima dell’assemblea, affinché i soci possano
prenderne visione. L’assemblea, a quel punto, può decidere di dar luogo subito alla riduzione del capitale
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oppure rinviare la decisione all’esercizio successivo. Se entro tale esercizio le perdite non risultano diminuite
a meno di 1/3, l’assemblea è obbligata a dar luogo alla riduzione, altrimenti a ciò supplisce il tribunale su
istanza degli amministratori, dei sindaci, del revisore o di qualsiasi interessato. Se il capitale, invece, è sceso
al di sotto del capitale minimo, ossia di 10.000 euro, sempre in forza di perdite, o si opta per la riduzione con
contestuale aumento del capitale sociale al di sopra del minimo, oppure si sceglie la trasformazione,
altrimenti rimane l’ultima via percorribile dello scioglimento.

Per lo scioglimento della s.r.l. si vedano le pagine 123 e seguenti, data la disciplina unitaria valida per tutte le
società di capitali.

CAPITOLO DICIANNOVESIMO – LE SOCIETA’ COOPERATIVE

A) LE SOCIETA’ COOPERATIVE

Il sistema legislativo

Le SOCIETA’ COOPERATIVE sono particolari società A CAPITALE VARIABILE, che perseguono uno SCOPO
MUTUALISTICO, anziché lucrativo (come avviene per le società fin qui esaminate), il cui perseguimento è
favorito addirittura dall’art.45 comma 1 della nostra Costituzione, il quale prevede che la legge debba
promuovere e favorire l’incremento della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione
privata, assicurandone carattere e finalità.

La disciplina delle società cooperative è stata contenuta, per lungo tempo, all’interno di diversi corpi
normativi: alla disciplina del codice, di cui al Capo I del Titolo VI del Libro V, si è aggiunta la legge Basevi del
1947, più volte modificata, più un numero indefinito di leggi speciali, volte ad agevolare la nascita di
cooperative in determinati settori o di quelle con determinati fini. Tutto ciò ha reso il sistema normativo non
solo complesso, ma anche disordinato, fino a che non è intervenuta la riforma del 2003, la quale ha lasciato
inalterata la complessa legislazione speciale, incidendo però positivamente sulla disciplina generale e
delineando una bipartizione delle società cooperative: società cooperative A MUTUALITA’ PREVALENTE da
un lato e le ALTRE società cooperative dall’altro.

Le società con scopo mutualistico

L’art.2511 c.c. precisa che “Le cooperative sono società…con scopo mutualistico” e l’art.2515 comma 2 c.c.
dispone che “L’indicazione di cooperativa non può essere usata da società che non hanno scopo
mutualistico”.

Possiamo capire con facilità che il tratto distintivo delle cooperative è sicuramente lo SCOPO
MUTUALISTICO e non la diversa struttura organizzativa (come abbiamo per i tre tipi di società fino ad ora
esaminati). E’ lo SCOPO ECONOMICO PERSEGUITO a fare la differenza. Attenzione: non lo SCOPO-MEZZO,
che appare identico alle società lucrative, consistendo nell’ESERCIZIO IN COMUNE DI UN’ATTIVITA’
D’IMPRESA, bensì lo SCOPO-FINE, che consiste appunto NON nella produzione di utili (lucro oggettivo) da
distribuire fra i soci (lucro soggettivo), bensì nello SCOPO MUTUALISTICO.

Occorre, però, capire in cosa consiste lo scopo mutualistico, partendo anzitutto dalla Relazione numero
1025 al codice civile, secondo cui tale scopo consiste nel “fornire beni o servizi od occasioni di lavoro
DIRETTAMENTE ai membri dell’organizzazione A CONDIZIONI PIU’ VANTAGGIOSE di quelle che
otterrebbero sul mercato”. Lo scopo mutualistico, quindi, indica un particolare modo di svolgimento e di
organizzazione dell’attività d’impresa che si caratterizza per la GESTIONE DI SERVIZIO a favore dei soci, i
quali sono destinatari elettivi, anche se non esclusivi, dei beni o servizi prodotti dalla cooperativa, oppure
delle possibilità di lavoro e della domanda di materia prime dalla stessa cooperativa create, il che consente
ai soci di ottenere condizioni più vantaggiose rispetto a quelle di mercato.

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Nella cooperativa “i soci sono imprenditori di se stessi”, ossia eliminano l’intermediazione, e pertanto il
relativo profitto, di altri imprenditori nei processi di produzione e/o distribuzione.

Quindi, anche nelle cooperative i soci perseguono un proprio vantaggio patrimoniale, un risultato
economico, che consiste però nel RISPARMIO DI SPESA per i beni o servizi acquistati (cooperative di
consumo) o nella maggiore retribuzione per i beni o servizi ceduti alla cooperativa (cooperative di
produzione e lavoro).

Il vantaggio mutualistico, tra l’altro, non deriva direttamente dal rapporto di società, ma da diversi e distinti
rapporti economici instaurati con la cooperativa, definiti come rapporti mutualistici. Si tratta di un vantaggio
proporzionato alla quantità di tali rapporti e svincolato dal conferimento in società.

L’interesse dei soci delle cooperative, dunque, consiste nel soddisfare le proprie richieste di prestazioni
(prestazioni mutualistiche) attraverso l’attività di impresa. Ciò nonostante, tale interesse non è configurabile
come un diritto soggettivo a ricevere tali prestazioni da parte della cooperativa, in quanto in capo alla
società non sorge alcun obbligo di instaurare rapporti di scambio con i soci, i quali possono solo e solamente
azionare i mezzi di tutela, previsti dal diritto societario, qualora le gestione dell’impresa non sia
oggettivamente improntata al rispetto dello scopo mutualistico e della parità di trattamento tra i soci.

Segue: scopo mutualistico e scopo lucrativo

Se, come abbiamo detto, è lo scopo mutualistico a contraddistinguere le società cooperative, non è detto
che esso sia esclusivo all’interno delle stesse. Se l’atto costitutivo lo prevede, tali società possono benissimo
svolgere attività con terzi, fornendo ad essi le medesime prestazioni che formano oggetto della gestione a
favore dei soci; possono, dunque, svolgere un’attività finalizzata alla produzione di utili, attività lucrativa.

Lo scopo mutualistico (gestione di servizio a favore dei soci) può, quindi, coesistere con un’attività con terzi
produttiva di utili, potendo la cooperativa costituire o essere socio, anche di controllo, di società per azioni o
a responsabilità limitata e quindi produrre utili indirettamente.

La legge, però, se da un lato ammette nelle società cooperative il LUCRO OGGETTIVO, ossia lo svolgimento
di attività produttiva di utili, dall’altro pone un LIMITE al LUCRO SOGGETTIVO, ossia alla ripartizione di utili
tra i soci. Esclusa, dunque, è l’INTEGRALE ripartizione di utili, che possono essere distribuiti solo in minima
parte, mentre tutto il resto deve essere destinato a migliorare la cooperativa, la gestione di servizio a favore
dei soci, il soddisfacimento dei loro preesistenti interessi.

Le cooperative a mutualità prevalente

La riforma del 2003 ha introdotto la bipartizione tra “società cooperative a mutualità prevalente”, le quali
godono di tutte le agevolazioni previste per le società cooperative, e “altre società cooperative”, che NON
godono delle agevolazioni tributarie, ma solo di tutte le altre (lavoristiche, finanziarie ecc.).

Sono due gli elementi che caratterizzano le COOPERATIVE A MUTUALITA’ PREVALENTE:

A. La presenza di clausole statutarie LIMITATIVE del lucro soggettivo tra i cooperatori;


B. La circostanza che l’attività della cooperativa deve essere svolta PREVALENTEMENTE a favore dei soci
(cooperative di consumo), ovvero deve utilizzare PREVALENTEMENTE prestazioni lavorative dei soci
(cooperative di lavoro) o beni e servizi apportati dai soci (cooperative di produzione e lavoro). Sindaci ed
amministratori sono tenuti, nella nota integrativa al bilancio, a documentare tale PREVALENZA,
sottolineando alcuni parametri, fissati dall’art.2513 c.c., dai quali è possibile evincere che la prevalenza
ricorre “quando il valore di scambio dei rapporti mutualistici è complessivamente superiore a quello dei
rapporti dello stesso genere intrattenuti con terzi durante l’esercizio”. Più precisamente:

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a. Nelle cooperative di consumo, i ricavi delle vendite dei beni e delle prestazioni di servizi VERSO i soci devono
essere superiori al 50% del totale dei ricavi delle vendite e delle prestazioni;
b. Nelle cooperative di lavoro, il costo del lavoro dei soci deve essere superiore al 50% del totale del costo del
lavoro;
c. Nelle cooperative di produzione e lavoro, il costo della produzione per servizi ricevuti DAI soci o per beni
conferiti DAI soci deve essere superiore al 50% del totale dei costi dei servizi o del costo delle merci e delle
materie prime acquistate o conferite.

Esiste un apposito ALBO DELLE SOCIETA’ COOPERATIVE, tenuto a cura del Ministero dello sviluppo
economico, all’interno del quale vengono iscritte d’ufficio le società cooperative a mutualità prevalente, su
comunicazione dell’ufficio delle imprese, o dal quale le stesse vengono cancellate in seguito alla
cancellazione dal registro delle imprese o in seguito a trasformazione.

All’amministrazione che tiene l’albo, le cooperative a mutualità prevalente devono comunicare


annualmente le notizie di bilancio, proprio per dimostrare l’osservanza del requisito di PREVALENZA. Se ciò
non avviene, la società subisce la sospensione semestrale di ogni attività, non potendo assumere nuove
obbligazioni, e qualora lo faccia ugualmente va incontro a sanzioni molto pesanti (non è prevista nullità o
inefficacia degli atti compiuti).

Le ALTRE società cooperative vanno iscritte in una sezione differente dello stesso albo.

Si ha PERDITA della qualifica di cooperativa a mutualità prevalente se le condizioni di prevalenza della


gestione mutualistica non vengono rispettate per 2 esercizi o se vengono soppresse (volontariamente)
dall’atto costitutivo le clausole anti-lucrative previste dall’art.2514 (non si procedimento di trasformazione
per rimuoverle, è sufficiente una delibera dell’assemblea straordinaria).

La cooperativa che cessa di essere a mutualità prevalente ha l’obbligo di imputare a riserve INDIVISIBILI il
valore effettivo dell’attivo patrimoniale, potendo dedurre solo il capitale ed i dividendi già maturati: con
questa previsione è stato reso impossibile per i soci lucrare il patrimonio accumulato dalla società anche
grazie ad agevolazioni fiscali e destinato ai fondi mutualistici dopo lo scioglimento. Gli amministratori
devono, a tal fine, redigere un bilancio straordinario, il quale deve essere verificato SENZA RILIEVI da una
società di revisione e notificato, entro 60 giorni, al Ministero per lo sviluppo economico.

La società, inoltre, deve comunicare all’amministrazione che tiene l’albo la perdita della qualifica di
cooperativa a mutualità prevalente, la quale sposta la società all’interno dell’altra sezione. Ogni attività
dell’ente viene sospesa SE vi è omissione o ritardo della comunicazione.

I caratteri strutturali

La disciplina delle società cooperati MEDIE e GRANDI è modellata, ancora oggi, su quella delle società per
azioni. Alle PICCOLE COOPERATIVE, ossia quelle con un numero di soci cooperatori inferiore a 20 o con un
attivo dello stato patrimoniale non superiore ad 1 milione di euro, è concesso di optare per la disciplina
delle società a responsabilità limitata. Tale disciplina, tra l’altro, è obbligatoria per quanto riguarda le società
cooperative microscopiche, ossia quelle con MENO di 9 soci.

Tutta la legislazione riguardante le società cooperative, a partire dal codice del ’42, mira ad orientare
l’attività delle cooperative verso il perseguimento dello scopo mutualistico e ad impedire l’indirizzamento
della stesso verso finalità prevalentemente lucrative e speculative.

Anzitutto è previsto un NUMERO MINIMO DI SOCI per la costituzione di una cooperativa e per la
sopravvivenza della stessa, così come è necessario che i cooperatori siano in possesso di SPECIFICI
REQUISITI SOGGETTIVI, per fare in modo che la società sia composta da soggetti che appartengono a
categorie sociali interessate realmente a fruire di beni, servizi ed occasioni lavorative.

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Sono fissati, poi, dei LIMITI MASSIMI ALLA QUOTA DI PARTECIPAZIONE di ogni socio ed alla PERCENTUALE
DI UTILI agli stessi distribuibile, con condizioni diverse per le cooperative a mutualità permanente e per le
altre. In tal modo viene disincentivata la partecipazione per fini esclusivamente lucrativi.

Le variazioni dei soci e del loro numero, così come le variazioni del capitale sociale, NON COMPORTANO
MODIFICAZIONE DELL’ATTO COSTITUTIVO, in quanto la cooperativa ha una struttura APERTA, che consente
una maggiore facilità d’ingresso e di recesso.

Ogni socio persona fisica, indipendentemente dalla proprio quota o dalle sua azioni, ha UN SOLO VOTO in
assemblea, in forza del principio “una testa un voto”.

Infine, le società cooperative sono sottoposte a VIGILANZA GOVERNATIVA per l’accertamento dei requisiti
mutualistici.

La costituzione della società

Per COSTITUIRE una società cooperativa è previsto un numero MINIMO di 9 soci. Se, tuttavia, vi sono 3 soci
persone fisiche (o anche società semplici per le cooperative agricole) e la società accetta di assoggettarsi,
obbligatoriamente e senza via di scampo, alla disciplina delle s.r.l., la cooperativa può essere ugualmente
costituita. Un minimo più elevato di soci è previsto dalle leggi speciali per alcune categorie di cooperative
(esempio: le banche popolari e le banche di credito cooperativo devono avere, almeno, 200 soci).

Se il numero dei soci scende al di sotto della soglia minima prevista dalla legge e non viene reintegrato entro
un anno, la società si scioglie e viene posta in liquidazione.

Per far parte di una cooperativa, inoltre, occorre essere in possesso di particolare REQUISITI SOGGETTIVI,
volti ad assicurare che il socio svolga un’attività COERENTE o quantomeno non in contrasto con quella della
cooperativa stessa. E’ ovvio che tale requisito andrà valutato di volta in volta, in particolar modo dal notaio
nell’ambito del controllo sull’atto costitutivo. L’unica regola generale è che il socio non deve in alcun modo
svolgere attività d’impresa in concorrenza con la cooperativa. Non sono richiesti, tuttavia, tali requisiti dai
soci SOVVENTORI (vedremo dopo chi sono).

Il procedimento di costituzione di una cooperativa ricalca quello previsto per le società per azioni o per le
società a responsabilità limitata, a seconda della disciplina applicabile.

L’atto costitutivo, in ogni caso, deve essere redatto per ATTO PUBBLICO e all’interno dello stesso deve
esserci l’indicazione dell’oggetto sociale, con particolare riferimento ai requisiti ed agli interessi dei soci; allo
stesso tempo occorre indicare i requisiti, le condizioni e la procedura per l’ammissione di nuovi soci,
secondo criteri comunque non discriminatori, fissando anche il modo ed il tempo in cui devono essere
eseguiti i conferimenti. L’atto costitutivo deve, poi, indicare le condizioni per il recesso e l’esclusione dei soci
e le regole per la ripartizione degli utili e dei ristorni.

La denominazione sociale è libera, sebbene debba indicare che si tratti di società cooperativa, oltre al
numero di iscrizione all’albo qualora si tratti di società a mutualità prevalente.

L’atto costitutivo è soggetto al controllo di legalità del notaio rogante, il quale provvede, se tutto va bene,
alla richiesta di iscrizione nel registro delle imprese, con cui si ottiene la personalità giuridica. Solo in seguito
la cooperativa può essere iscritta d’ufficio nell’albo delle società cooperative (le cooperative edilizie che
vogliono ottenere contributi pubblici devono iscriversi nell’albo nazionale delle cooperative edilizie di
abitazione e dei loro consorzi).

All’interno dell’atto costitutivo possono rientrare anche i REGOLAMENTI, ossia documenti volti a disciplinare
l’attività mutualistica tra società e soci (se non fanno parte dell’atto costitutivo vanno predisposti dagli
amministratori ed approvati dall’assemblea straordinaria).
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Per quanto riguarda la NULLITA’ delle società cooperative, si applica la disciplina dei contratti, come avviene
per le società di persone, per quanto concerne le CAUSE DI NULLITA’/INVALIDITA’, mentre per ciò che
riguarda gli EFFETTI DELLA NULLITA’ si applicano le norme in materia di società per azioni (pagine 12 e 13
della dispensa).

I conferimenti. La responsabilità dei soci

La disciplina dei conferimenti e delle prestazioni accessorie delle società cooperative è identica a quella
prevista per le società per aziono o a quelle dettata per le società a responsabilità limitata, a seconda della
scelta statutaria (o imposta dalla legge per le cooperative con meno di 9 soci).

Non è richiesto, nelle cooperative, il versamento iniziale del 25% del conferimento in denaro presso un
istituto di credito ed il socio non può essere obbligato in alcun modo a fare nuovi conferimenti, una volta
effettuato quello iniziale.

La riforma del 2003 ha soppresso la distinzione tra cooperative con soci a responsabilità limitata e quelle
con soci a responsabilità illimitata: oggi in TUTTE le cooperative per le obbligazioni sociali risponde SOLO la
società con il proprio patrimonio. E’ causa di ESCLUSIONE dalla società il mancato versamento, in tutto o in
parte, dei conferimenti (ipotesi del socio moroso). Qualunque sia il motivo per cui il socio non fa più parte
della società (recesso, esclusione o cessione della quota), egli risponde verso la società per il periodo di un
anno dal momento in cui si è verificata la causa per cui ne è uscito. E se in quell’anno la società diventa
insolvente, il socio uscente è tenuto a restituire alla società quanto ricevuto per la liquidazione della quota o
il rimborso delle azioni.

Il creditore personale del socio cooperatore NON può agire esecutivamente sulla quota o sulle azioni dello
stesso, né fare opposizione in caso di proroga della società.

Le quote. Le azioni

A seconda che la cooperativa sia regolata dalla disciplina delle S.p.a. o da quelle delle s.r.l., la partecipazione
sociale nelle cooperative può essere rappresentata da azioni o da quote.

Abbiamo già detto che le cooperative hanno una struttura aperta ed è propri per garantire l’allargamento
della compagine sociale che sono previsti dei LIMITI MASSIMI che la quota o il valore delle azioni non
possono superare. Nessun socio PERSONA FISICA, infatti, può avere una quota o azioni aventi un valore
superiori a 100.000 euro.

Vi sono, però, alcune eccezioni:

 Nelle cooperative con più di 500 soci è possibile, nell’atto costitutivo, contemplare l’aumento del limite sino
al 2% del capitale sociale;
 L’art.2425 comma 4 prevede una serie di casi in cui il limite non opera:
o Soci che conferiscono beni in natura o di crediti;
o Ipotesi di aumento gratuito del capitale con l’impiego di riserve e ristorni;
o Soci diversi da persone fisiche;
o Sottoscrittori di strumenti finanziari dotati di diritti di amministrazione.
 Limiti massimi diversi previsti per alcune categorie di cooperative (esempio: nelle cooperative di produzione
e lavoro, il limite per le persone fisiche è di 70.000 euro).

Per le azioni di cooperativa si applica la disciplina prevista per le società per azioni, salvo per il fatto che sul
titolo non va indicato l’ammontare del capitale sociale, né quello dei versamenti parziali per le azioni non
interamente liberate.

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L’ACQUISTO (o il RIMBORSO) DI AZIONI O QUOTE PROPRIE da parte della cooperativa è possibile solo se
ESPRESSAMENTE PREVISTO nell’atto costitutivo, ma nel caso in cui sia contemplato non è necessaria
l’autorizzazione dell’assemblea ordinaria agli amministratori, né la fissazione delle modalità di acquisto.

L’acquisto o il rimborso sono soggetti a due limiti di carattere patrimoniale: il rapporto tra patrimonio netto
e complessivo indebitamente deve essere superiore ad un quarto; l’acquisto o il rimborso vanno fatti nei
limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili, così come risultanti dall’ultimo bilancio approvato. Le
altre condizione dell’art.2357 c.c. non vanno osservate ed allo stesso tempo non opera il divieto, di cui
all’art.2358 c.c., di concedere prestiti e garanzie per la sottoscrizione o l’acquisto di azioni proprie, né quello
di accettare azioni proprie in garanzia.

Per la CESSIONE di quote o azioni di società cooperative, il socio deve ottenere l’AUTORIZZAZIONE DEGLI
AMMINISTRATORI, che provvedono a comunicare la stessa entro 60 giorni dalla richiesta (il silenzio vale
assenso), la quale non è valida se l’acquirente difetta dei requisiti previsti dalla legge o dall’atto costitutivo. Il
provvedimento che nega l’autorizzazione deve essere motivato e contro lo stesso il socio può proporre
opposizione nel termine di 60 giorni dal ricevimento.

Anche l’atto costitutivo può contemplare il DIVIETO DI CESSIONE di azioni o quote, riconoscendo però il
diritto di recesso con preavviso di almeno 90 giorni, una volta trascorsi almeno due anni dall’ingresso in
società.

Il cedente risponde in solido con l’acquirente, per un anno dal giorno della cessione, se le quote o azioni non
sono interamente liberate.

Segue: Le nuove forme di finanziamento

Dato il notevole numero di limiti imposti alle società cooperative (pensiamo alla distribuzione degli utili o ai
limiti massimi alla partecipazione di ogni socio), in passato era molto difficile per le stesse raccogliere
capitale di rischio tra il pubblico. Il nostro legislatore, al fine di agevolare tale raccolta, ha introdotto, con la
L.59/1992, la figura dei SOCI SOVVENTORI e quella delle AZIONI DI PARTECIPAZIONE COOPERATIVA.

I SOVVENTORI sono dei soci particolari, in passato presenti nelle sole mutue assicuratrici, sprovvisti dei
requisiti soggettivi richiesti per partecipare all’attività mutualistica, oggi ammessi in tutte le società
cooperative, fatta eccezione per le cooperative di credito ed assicurative e per quelle del settore dell’edilizia
abitativa, purché lo statuto preveda la “costituzione di fondi per lo sviluppo tecnologico o per la
ristrutturazione o il potenziamento aziendale”.

Le partecipazioni dei soci sovventori sono rappresentate da azioni, o quote, NOMINATIVE LIBERAMENTE
TRASFERIBILI, sempre che l’atto costitutivo non preveda limiti alla circolazione. E’ lo stesso atto costitutivo,
poi, a poter agevolare l’ingresso nella cooperativa dei sovventori, garantendo particolari condizioni per la
ripartizione degli utili e la liquidazione di quote/azioni, potendo però maggiorare il tasso di remunerazione
nella misura massima del 2% rispetto a quello previsto per i soci cooperatori.

I sovventori possono essere anche amministratori della cooperativa e ad essi possono spettare più voti, ma
per evitare che ne prendano il controllo è previsto che i voti non possano essere più di 5 per ogni
sovventore e che i voti di tutti i sovventori non possano superare 1/3 dei voti spettanti ai cooperatori. La
maggioranza degli amministratori deve, comunque, essere rappresentata da cooperatori.

Le cooperative che adottano “procedure di programmazione pluriennale finalizzate allo sviluppo o


all’ammodernamento aziendale” possono anche emettere AZIONI DI PARTECIPAZIONE COOPERATIVA, una
particolare categoria di azioni, affine a quelle di risparmio, PRIVE DEL DIRITTO DI VOTO e PRIVILEGIATE
nella ripartizione degli utili e nel rimborso del capitale. L’ammontare di tali azioni NON può superare il
valore delle riserve indivisibili o del patrimonio netto risultante dall’ultimo bilancio approvato. Le azioni di

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partecipazione cooperativa vanno offerte, inoltre, per ALMENO LA META’ ai soci ed ai lavoratori dipendenti
della cooperativa, essendo possibile per essi anche la sottoscrizione OLTRE i limiti massimi di partecipazione
al capitale.

Se interamente liberate, possono essere emesse AL PORTATORE, oltre ad essere liberamente trasferibili.

Assicurano, poi, dei diritti patrimoniali di notevole rilevanza:

 Partecipazione agli utili maggiorata del 2% rispetto a quella di quote/azioni dei soci cooperatori;
 Diritto di prelazione nel rimborso del capitale per l’intero valore nominale, in sede di scioglimento;
 Le perdite incidono su tali azioni SOLO per la parte che eccede il valore nominale complessivo delle altre
azioni o quote.

Al fine di tutelare gli interessi comuni, è prevista un’organizzazione di gruppo dei possessori di azioni di
partecipazione cooperativa, che si estrinseca nella presenza di un’ASSEMBLEA DI CATEGORIA e di un
RAPPRESENTANTE COMUNE.

Le cooperative che soggiacciono alla disciplina delle società per azioni, inoltre, hanno la possibilità di
emettere OBBLIGAZIONI per la raccolta di capitale di prestito: limiti e criteri di emissione sono fissati dal
Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio, oltre ad applicarsi la disciplina propria delle S.p.a.,
valendo in sostanza gli stessi limiti all’emissione di obbligazione già esaminati (pagine 123 e 124 della
dispensa).

Sempre e solo le società cooperative per azioni, a partire dalla riforma del 2003, possono emettere anche
STRUMENTI FINANZIARI diversi dalle azioni e dalle obbligazioni, secondo la disciplina dettata per le S.p.a.: ai
possessori di tali strumenti non può essere attribuito più di 1/3 dei voti spettanti agli altri soci presenti o
rappresentati in assemblea. I possessori di strumenti finanziari SENZA voto, invece, vengono tutelati
dall’assemblea SPECIALE e dal rappresentante comune. E’ l’atto costitutivo, ad ogni modo, a prevedere
limiti alla circolazione di tali strumenti, diritti amministrativi e diritti patrimoniali attribuiti ai possessori.

Anche le società cooperative cui si applica la disciplina delle s.r.l. può emettere strumenti finanziari, ma solo
PRIVI DI DIRITTI DI AMMINISTRAZIONE, i quali possono essere sottoscritti SOLO da investitori qualificati
professionali e soggetti a vigilanza prudenziale, i quali rispondono della solvenza della società qualora
trasferiscano lo strumento a terzi.

Gli organi sociali. L’assemblea

Alle società cooperative per azioni si applicano le medesime norme valevoli, in merito agli organi sociali, per
le S.p.a., sebbene con alcune differenze inerenti l’ASSEMBLEA.

Anzitutto, le persone fisiche che sono soci cooperatori hanno diritto ad UN SOLO voto data l’osservanza del
principio “una testa un voto”, indipendentemente dalla quota o dal numero di azioni possedute. Ai soci
persone giuridiche, invece, possono essere attribuiti più voti, AL MASSIMO 5, in proporzione all’ammontare
della quota o delle azioni.

Anche ai soci sovventori possono spettare più voti, sempre 5 al massimo ed in ogni caso i voti totali dei
sovventori NON devono superare 1/3 dei voti spettanti a tutti i soci.

L’atto costitutivo, poi, può attribuire anche ai possessori di strumenti finanziari il diritto di voto, ma essi non
possono esprimere più di 1/3 dei voti spettanti all’insieme dei soci presenti o rappresentanti in CIASCUNA
assemblea. E’ sempre l’atto costitutivo, qualora tali strumenti siano stati sottoscritti dagli stessi soci
cooperatori, a contemplare il cumulo dei voti o il mantenimento del voto CAPITARIO (una testa un voto).

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Nelle COOPERATIVE CONSORTILI, ossia quelle in cui i soci realizzano lo scopo mutualistico attraverso
l’integrazione delle proprie imprese o di talune fasi di esse, il diritto di voto può essere proporzionale alla
partecipazione alla scambio mutualistico, ma sempre con il limite che ogni socio non può esprimere più di
1/10 del totale dei voti, o più di 1/3 dei voti spettanti ai soci presenti/rappresentati in ciascuna assemblea.

Valgono, poi, una serie di regole generali per tutte le società cooperative:

 Hanno diritto di voto SOLO coloro iscritti nel libro dei soci da almeno 90 giorni;
 Il socio può farsi rappresentare in assemblea SOLO da altro socio. Ogni socio, però, può rappresentare al
massimo 10 soci e non si applica la disciplina sulla sollecitazione e sulla raccolta di deleghe;
 E’ ammesso il voto PER CORRISPONDENZA o mediante altri mezzi di telecomunicazione, sempre se l’atto
costitutivo li contempla: l’avviso di convocazione, in tale ipotesi, deve contenere per esteso la deliberazione
proposta.

Anche il procedimento assembleare presenta qualche differenza rispetto alla disciplina delle S.p.a.

Innanzitutto possono essere contemplate forme di convocazione diverse da quelle delle società per azioni
ed i quorum costitutivi e deliberativi, fissati dall’atto costitutivo, vanno calcolati proporzionalmente ai voti
spettanti per testa e non in base all’ammontare della partecipazione al capitale.

L’atto costitutivo può prevedere che il procedimento assembleare si articoli in due fasi, quella delle
ASSEMBLEE SEPARATE e quella dell’assemblea generale, al fine di agevolare la partecipazione dei soci nelle
cooperative con un’ampia compagine sociale o territorialmente articolare. Addirittura le assemblee
separate diventano OBBLIGATORIE se la cooperative ha più di 3000 soci e svolge la propria attività in più
province, oppure se ha più di 500 soci e si realizzano più gestioni mutualistiche.

Le assemblee separate deliberano sulle medesime materie dell’assemblea generale, eleggendo i SOCI-
DELEGATI che prendono parte a quella generale, la quale risulta, dunque, costituita dai delegati delle varie
assemblee separate e approva la delibera definitiva. Praticamente le assemblee separate hanno
semplicemente una FUNZIONE PREPARATORIA e di FORMAZIONE PROGRESSIVA della volontà: le delibere
delle stesse non possono essere impugnate, mentre ad impugnazione è soggetta la delibera assembleare
generale, anche per vizi inerenti le deliberazioni delle separate. La delibera dell’assemblea generale può
essere impugnata anche da soci assenti o dissenzienti nelle assemblee separate, se il voto dei delegati di
queste ultime, che si sono tenute irregolarmente, è stato determinante per la decisione finale.

Se vi sono diverse categorie di soci cooperatori è ovviamente applicabile la disciplina delle assemblee
speciali.

Segue: Amministrazione. Controlli. Collegio dei probiviri

Anche per quanto concerne l’amministrazione ed il controllo, le società cooperative si distaccano ben poco
dalla disciplina, già esaminata, delle società per azioni, potendo optare anch’esse per il sistema dualistico o
per quello monistico, in alternativa al sistema tradizionale.

Nel sistema tradizionale i primi amministratori vengono nominati nell’atto costitutivo ed in seguito
dall’assemblea. L’atto costitutivo stesso, però, può derogare questa regola, purché la MAGGIORANZA degli
amministratori resti di nomina assembleare: può, infatti, prevedere che uno o più amministratori siano
nominato dallo Stato o da enti pubblici, oppure, nel limite di 1/3 di tutti gli amministratori, può essere
prevista la nomina da parte dei possessori di strumenti finanziari. Uno o più amministratori possono essere
scelti tra gli appartenenti a diverse categorie di soci.

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E’ venuto meno, invece, l’obbligo per gli amministratori di essere soci cooperatori, sebbene la maggioranza
degli amministratori debba essere scelta tra i soci cooperatori o fra le persone indicate dai cooperatori
persone giuridiche.

La nomina del collegio sindacale nelle società cooperative è obbligatoria negli stessi casi previsti per le s.r.l.
(se il capitale sociale è di almeno 120.000 euro, quanto quello minimo delle S.p.a., o se non è possibile
redigere il bilancio di esercizio in forma abbreviata) e nell’ipotesi di emissione di strumenti finanziari non
partecipativi. L’atto costitutivo può prevedere che la nomina dei membri del collegio sindacale avvenga
grazie al voto proporzionale alle quote/azioni possedute o in ragione della partecipazione allo scambio
mutualistico; i possessori di strumenti finanziaria con voto possono eleggere fino ad 1/3 dei componenti del
collegio.

Altro organo presente nelle società cooperative è il COLLEGIO DEI PROBIVIRI: si tratta di un organo a cui
viene affidata la risoluzione delle controversie tra soci e tra soci e società, controversie il più delle volte
scaturenti da decisioni degli altri organi (amministrazione e collegio sindacale), al fine di evitare il ricorso
all’autorità giudiziaria. Tuttavia, almeno che non sia presente una CLAUSOLA COMPROMISSORIA nello
statuto che deferisca ad arbitri rituali la decisione delle controversie sociali, il provvedimento del collegio dei
probiviri NON ha il valore di un lodo arbitrale e NON preclude il ricorso al giudice. Questo vuol dire che il
collegio dei probiviri si limita a riesaminare le decisioni di altri organi, le quali divengono pertanto
DEFINITIVE ed IMPUGNABILI solo dopo la conferma di tale collegio, sempre al fine di prevenire una lite. Gli
amministratori, tuttavia, non possono delegare i propri poteri in materia di ammissione, recesso o
esclusione di soci e le decisioni incidenti sui rapporti mutualistici con i soci. Qualora, invece, sia presente la
clausola compromissoria di cui sopra, essa deve prevedere, a pena di nullità, la nomina dell’intero collegio
ad opera di un soggetto estraneo alla società.

La vigilanza governativa. Il controllo giudiziale

Al fine di accertare i requisiti mutualistici, il Ministero dello sviluppo economico sottopone le società
cooperative al proprio controllo, che si estrinseca nell’esercizio di REVISIONI con cadenza biennale (annuale
se la cooperativa controlla società di capitali, o se si tratta di cooperativa edilizia di abitazione o di
cooperativa con fatturato superiore ai 15 milioni di euro) e di ISPEZIONI STRAORDINARIE se vi è necessità.
Al controllo dell’autorità governativa (il Ministero) si affianca, poi, per particolari categorie di cooperative il
controllo di altre autorità pubbliche, in merito all’amministrazione ed alla gestione contabile di tali società
(pensiamo al controllo della Banca d’Italia sulle banche popolari o di credito cooperativo).

Per REVISIONE COOPERATIVA si intende (è doveroso chiarirlo) un accertamento volto a verificare il


perseguimento dello scopo mutualistico e la consistenza patrimoniale della cooperativa.

Il Ministero, nella propria attività di vigilanza, può avvalersi anche di associazioni nazionali di
rappresentanza, assistenza e tutela del movimento cooperativo legalmente riconosciute, aventi scopi ideali
o politici.

I provvedimenti dell’autorità di vigilanza possono comportare, in caso di irregolare funzionamento della


cooperativa, la revoca di amministratori e sindaci e la conseguente nomina di un COMMISSARIO
GOVERNATIVO, di cui vengono definiti poteri e durata della carica ed a cui possono essere attribuiti anche
alcuni compiti propri dell’assemblea, sebbene occorra l’approvazione delle delibere da parte della stessa
autorità. Può essere disposta anche la liquidazione coatta amministrativa in caso di insolvenza o lo
scioglimento della società se la cooperativa non persegue lo scopo mutualistico o se per due anni
consecutivi non ha depositato il bilancio o compiuto atti di gestione. Se vi è patrimonio da liquidare, è la
stessa autorità a nominare i liquidatori.

I soci titolari di 1/10 del capitale, così come 1/10 del numero complessivo dei soci (ridotto ad 1/20 per le
cooperative che hanno più di 3000 soci), sono legittimati al ricorso dinanzi all’autorità giudiziaria per il
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controllo sulla gestione, già descritto per le S.p.a. (pagine 92 e 93 della dispensa), ma il ricorso viene
dichiarato improcedibile dal tribunale se l’autorità governativa ha già nominato un ispettore o un
commissario per i medesimi fatti. All’autorità governativa, in ogni caso, va notificato il ricorso al tribunale.
Se invece è stato il tribunale, per primo, a nominare un ispettore o un amministratore giudiziario, allora è
l’autorità governativa sospendere il proprio procedimento amministrativo.

Bilancio. Utili. Ristorni

Il bilancio di esercizio delle cooperative è interamente assoggettato alla disciplina dettata per il bilancio delle
società per azioni, sebbene all’interno della relazione al bilancio gli amministratori devono indicare i criteri
seguiti per il conseguimento dello scopo mutualistico e motivare le decisioni sull’ammissione di nuovi soci.

Il bilancio delle cooperative di grandi dimensioni e di quelle che emettono obbligazioni è soggetto a
revisione obbligatoria da parte di una società di revisione.

La percentuale di utili netti da destinare alla RISERVA LEGALE delle cooperative, al fine di rafforzare la
consistenza del patrimonio, è di sei volte superiore rispetto a quella prevista per le S.p.a.: il 30%, anziché il
5%, indipendentemente dall’ammontare.

Il 3% degli utili netti annuali, poi, va destinato ad appositi FONDI mutualistici per la promozione e lo
sviluppo della cooperazione, costituiti e gestiti da associazioni nazionali di rappresentanza del movimento
cooperativo: si tratta di una forma di auto-contribuzione obbligatoria, al fine di finanziare e promuovere le
nuove imprese, la cui inosservanza comporta la perdita di tutti i benefici fiscali o di altra natura.

La distribuzione di utili residui tra i soci segue, inoltre, delle regole specifiche.

Anzitutto, all’interno delle cooperative NON quotate possono essere distribuiti dividendi SOLO se il rapporto
tra il patrimonio netto ed il complessivo indebitamento della società è superiore ad 1/4, in maniera tale che
le cooperative indebitate possano auto-finanziarsi con gli utili, invece di distribuirli.

Vi è una netta distinzione, in materia di utili distribuibili, tra cooperative a mutualità prevalente e altre
cooperative. Per le ALTRE società cooperative è sufficiente che l’atto costitutivo fissi la percentuale massima
dei dividendi ripartibili tra i soci, potendo anche autorizzare l’assemblea ad assegnare le riserve disponibili
tramite l’emissione di strumenti finanziari o tramite l’aumento gratuito del capitale sociale, mentre non
possono essere distribuite, neanche in caso di scioglimento, le riserve indivisibili, utilizzabili solo per la
copertura di perdite.

Per le cooperative a mutualità prevalente, invece, gli statuti devono prevedere:

 Divieto di distribuzione di dividendi in misura superiore all’interesse massimo dei buoni fruttiferi postali
aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente versato (aumentato di un altro 2% per
soci sovventori e azioni di partecipazione cooperativa), anche se l’assemblea può destinare un ulteriore
quota di utili di esercizio ad un aumento gratuito del capitale sociale sottoscritto e versato, contenendo
l’aumento stesso nei limiti dell’indice annuale di inflazione accertato dall’Istat;
 Divieto di remunerazione degli strumenti finanziari offerti in sottoscrizione ai soci cooperatori in misura
superiore al 2% rispetto al limite massimo;
 Divieto di distribuire riserve tra i soci cooperatori;
 Obbligo di devoluzione, in caso di scioglimento della società, dell’intero patrimonio sociale, dedotto del
capitale sociale e dei dividendi maturati, ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della
cooperazione.

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Una volta operate tali destinazioni, è comunque l’ASSEMBLEA a decidere cosa fare degli utili residui, quindi
non è detto che essi vengano distribuiti tra i soci (tra l’altro qualora ciò avvenga si perdono le agevolazioni
fiscali) , potendo essere destinati a fini mutualistici o ad altre riserve/fondi.

Una distinzione importante che dobbiamo fare è quella tra gli UTILI, remunerazione del capitale, ed i
RISTORNI.

I RISTORNI sono strumenti tecnici per attribuire ai soci il vantaggio mutualistico (risparmio di spesa o
maggiore remunerazione) in modo differito.

In linea generale, infatti, il vantaggio mutualistico viene realizzato in maniera diretta ed immediata: la
società non fa altro che cedere beni e servizi prodotti a prezzi più bassi rispetto al mercato o a quelli pratica
a terzi (cooperative di consumo), oppure concede retribuzioni più elevate ai propri soci rispetto a quelle di
mercato per i beni e servizi ceduti alla società stessa (cooperative di produzione e lavoro).

Con la tecnica dei ristorni, invece, il vantaggio mutualistico viene attribuito dalle cooperative in modo
differito: la società pratica ai soci le stesse condizioni del mercato, salvo poi, dopo l’approvazione del
bilancio, distribuire somme di denaro in proporzione dei rapporti di scambio di ciascun socio con la
cooperativa.

I ristorni sono, dunque, dei RIMBORSI ai soci di parte del prezzo pagato alla cooperativa per beni e servizi
(cooperative di consumo), oppure delle INTEGRAZIONI di retribuzione corrisposte per le prestazioni del
socio (cooperative di produzione e lavoro).

Se gli utili, quindi, vengono distribuiti in base al capitale conferito da ogni socio, i ristorni vengono assegnati
in base alle prestazioni mutualistiche intercorse. Anche i ristorni, così come gli utili, sono ALEATORI, essendo
IMPOSSIBILE distribuirli se la gestione si è chiusa con costi eccedenti i ricavi.

Le eccedenze derivanti da scambi con terzi NON sono ovviamente distribuibili a titolo di ristorni tra i soci,
perché non legate in alcun modo a prestazioni mutualistiche intercorse tra gli stessi e la società. I ristorni,
tuttavia, non incontrano i limiti alla distribuzione che abbiamo visto per gli utili.

Per evitare confusione tra utili e ristorni, i dati relativi all’attività svolta con i soci vanno iscritti in bilancio
separatamente. E’ l’atto costitutivo, infine, ad indicare come i ristorni debbano essere ripartiti, potendo
prevedere anche l’assegnazione di strumenti finanziari o l’aumento gratuito delle quote.

Variazioni dei soci e del capitale sociale

Le modificazioni dell’atto costitutivo delle cooperative soggiacciono alle norme già viste per le S.p.a. o per le
s.r.l., a seconda della disciplina alla quale sono soggette: è sempre necessaria, dunque, la deliberazione
assembleare, il controllo notarile e l’iscrizione nel registro delle imprese.

Trattandosi di società a capitale VARIABILE, ossia non determinato in un ammontare prestabilito, le


variazioni del capitale sociale per aumento o riduzione dei soci NON comportano variazioni dell’atto
costitutivo, salvo che non si voglia ammettere nuovi soci tramite un aumento del capitale sociale a
pagamento.

L’AMMISSIONE di nuovi soci cooperatori segue un procedimento semplicissimo all’interno delle


cooperative, proprio perché la struttura “aperta” delle stesse è garantita dalla mancanza di una modifica
dell’atto costitutivo: su domanda dell’interessato, sono gli amministratori a deliberare l’ammissione,
annotandola nel libro dei soci. Il nuovo socio deve versare l’intero importo delle quote/azioni sottoscritte,
oltre al SOVRAPPREZZO eventualmente deliberato dall’assemblea con l’approvazione del bilancio e su
proposta degli amministratori.

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La domanda dell’aspirante socio, tuttavia, è una proposta contrattuale, che la società, tramite gli
amministratori, può accettare o meno: il soggetto non ha alcun diritto e non può agire in giudizio in caso di
rifiuto.

La legge, però, prevede che il consiglio di amministrazione debba MOTIVARE entro 60 giorni la
deliberazione di rigetto della domanda di ammissione e comunicarla agli interessati, potendo addurre
motivazioni di ogni genere, ma non infondate o irragionevoli. L’interessato, entro altri 60 giorni, può
chiedere la pronuncia assembleare sulla domanda di ammissione, la cui decisione può vincolare gli
amministratori. Sulle procedure di ammissione vigila, comunque, l’autorità governativa.

Nelle cooperative di produzione e lavoro, proprio per le particolari capacità professionali richieste, l’atto
costitutivo può contemplare la categoria dei SOCI IN FORMAZIONE, ossia coloro che devono seguire, prima
di godere dei medesimi diritti spettanti agli altri cooperatori, un periodo di formazione, lungo al massimo 5
anni.

In forza degli articoli 2532, 2533 e 2534 del codice, sono CAUSE DI RIDUZIONE DEL NUMERO DEI SOCI E DEL
CAPITALE il recesso, l’esclusione e la morte del socio.

Il RECESSO è garantito al socio quando l’atto costitutivo vieta la cessione di quote/azioni o comunque in tutti
i casi previsti dalla disciplina delle società per azioni o di quelle a responsabilità limitata, a seconda di quale
delle due vada applicata. E’ possibile che vi siano altre cause statutarie. Non è ammesso recesso parziale e la
dichiarazione di recesso va comunicata tramite raccomandata alla società, esaminata tempestivamente
dagli amministratori (entro 60 giorni), con eventuale comunicazione al socio dell’inesistenza dei presupposti
per il recesso. E’ consentita l’opposizione dinanzi al tribunale entro 60 giorni dalla comunicazione. Il recesso
produce i suoi effetti nei confronti del rapporto sociale a partire dal provvedimento di accoglimento della
domanda, mentre per i rapporti mutualistici, esso produce i propri effetti dalla chiusura dell’esercizio
sociale, se comunicato almeno tre mesi prima, oppure dalla chiusura dell’esercizio successivo.

L’ESCLUSIONE è disposta dalla società:

 In caso di mancato pagamento delle quote o azioni;


 Nei casi previsti per le società di persone (fallimento del socio, ottenimento della liquidazione della quota o
delle azioni da parte del creditore personale del socio, interdizione/inabilitazione del socio, condanna ad
una pena comportante l’interdizione temporanea dai pubblici uffici).
 Per gravi inadempienze degli obblighi derivanti dal rapporto sociale o da quello mutualistico;
 Per perdita dei requisiti previsti per la partecipazione alla cooperativa;
 Per cause contemplate nello statuto.

Anche la deliberazione di esclusione, avvenuta ad opera degli amministratori o, se contemplato dall’atto


costitutivo, ad opera dell’assemblea, deve essere MOTIVATA e contro la stessa è possibile fare opposizione
dinanzi all’autorità giudiziaria entro 60 giorni dalla comunicazione.

L’esclusione è immediatamente efficace anche sui rapporti mutualistici pendenti, che vengono sciolti.

Se il socio MUORE si ha scioglimento del rapporto sociale, almeno che l’atto costitutivo non contempli la
continuazione in capo agli eredi, sempre che essi posseggano i requisiti richiesti. Occorre, comunque, una
delibera del consiglio di amministrazione a riguardo e se gli eredi sono più di uno, è necessaria la nomina di
un rappresentante comune.

La liquidazione della quota, in ogni caso di scioglimento del rapporto sociale, deve avvenire entro 180 giorni
dall’approvazione del bilancio di esercizio in cui il rapporto si è sciolto. Al socio uscente spetta, oltre al
valore nominale delle azioni/quote, anche il sovrapprezzo eventualmente pagato al momento dell’ingresso
in società. Se si tratta di quote/azioni non interamente liberate, il socio uscente (o i suoi eredi) risponde

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verso la società per quanto ancora dovuto, per un anno dal giorno in cui si è verificato lo scioglimento del
rapporto. Se entro questo periodo di tempo la società diviene insolvente, il socio uscente (o i suoi eredi)
deve restituire quanto ricevuto.

Lo scioglimento della società

Alle società cooperative si applicano, in merito allo scioglimento, le medesime regole dettate per le società
di capitali, ma la variabilità del capitale fa si che solo la PERDITA TOTALE del capitale possa essere realmente
causa di scioglimento.

Accanto ad essa, poi, figurano altre CAUSE SPECIFICHE di scioglimento:

 Riduzione dei soci al di sotto di 9 (al di sotto delle 3 persone fisiche se si tratta di società soggetta alla
disciplina delle s.r.l.);
 Provvedimento dell’autorità governativa di liquidazione amministrativa coatta se la società verte in uno
stato di insolvenza o di scioglimento in caso di assenza dello scopo mutualistico.

L’autorità di vigilanza, se all’interno del procedimento di liquidazione riscontra qualsivoglia irregolarità o un


eccessivo ritardo, può sostituire i liquidatori o chiederne la sostituzione al tribunale, qualora fosse stato
quest’ultimo a nominarli.

La stessa autorità dispone la cancellazione d’ufficio dal registro delle imprese delle cooperative in
liquidazione ordinaria, se le stesse non hanno depositato i bilanci relativi agli ultimi cinque anni e non vi è
stata nomina di un liquidatore da parte dell’autorità giudiziaria.

I consorzi di cooperative

I CONSORZI di cooperative sono forme di organizzazione collettiva cui le stesse società cooperative
ricorrono per raggiungere una maggiore efficienza e competitività sul mercato.

Vi sono TRE TIPI di consorzi: consorzi per l’ESERCIZIO IN COMUNE DI ATTIVITA’ ECONOMICA, consorzi
AMMISSIBILI AI PUBBLICI APPALTI e consorzi di società cooperative PER IL COORDINAMENTO DELLA
PRODUZIONE E DEGLI SCAMBI. I primi due tipi soggiacciono all’intera disciplina delle cooperative, in quanto
si configurano come COOPERATIVE DI SECONDO GRADO (anche dette “cooperative di cooperative”). Il terzo
tipo, invece, si configura come un consorzio FRA IMPRENDITORI, regolato dagli artt.2602 e successivi del
codice: se svolgono attività esterna sono soggetti alla vigilanza governativa prevista per le cooperative.

Il gruppo cooperativo paritetico

Anche le società cooperative possono dar vita ad ORGANIZZAZIONI DI GRUPPO. Pur essendo possibile,
però, risulta molto difficile dar luogo ad un “gruppo verticale”, in cui una cooperativa controlla un’altra, che
risulta per tanto subordinata; la difficoltà (quasi impossibilità) è data dalla regola “una testa per voto”, che
evita la formazione di gruppi consolidati in grado di guidare più società.

Per tal motivo è più diffuso, nella prassi, il GRUPPO COOPERATIVO PARITETICO, il quale viene costituito
sulla base di un ACCORDO CONTRATTUALE, inquadrabile nello schema del consorzio tra imprenditori, con
cui più società cooperative si “impegnano a conformarsi ad una direzione unitaria che CIASCUNA concorre a
determinare su un piano di PARITA’ rispetto alle altre”.

Il fenomeno è particolarmente diffuso nel settore bancario ed assicurativo e risulta disciplinato


dall’art.2545-septies del codice.

Anzitutto il gruppo è soggetto alle norme in tema di attività di direzione e coordinamento, già esposte nel
capitolo settimo, per cui le DIRETTIVE DI GRUPPO devono sempre ispirarsi ai principi di CORRETTA

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GESTIONE SOCIETARIA ED IMPRENDITORIALE e non possono ledere l’interesse di una partecipante al


gruppo. Infatti gli amministratori della cooperativa che attuano direttive pregiudizievoli per la propria
società, senza che il danno sia compensato da vantaggi provenienti dalla partecipazione al gruppo, si
espongono a RESPONSABILITA’ PERSONALE e responsabile è anche la cooperativa cui è attribuita la
DIREZIONE CONCORDATA DEL GRUPPO, in quanto si è resa colpevole di aver impartito direttive ABUSIVE.
Responsabile è anche chi trae beneficio dal fatto lesivo.

Ovviamente le decisioni INFLUENZATE dall’attività di direzione e coordinamento devono essere motivate


all’interno di ogni cooperativa.

Il già richiamato articolo 2545-septies fissa il contenuto minimo del contratto istitutivo del gruppo paritetico
(durata, cooperativa/e a cui è affidata la direzione e relativi poteri, criteri di compensazione nella
distribuzione di vantaggi derivanti dall’attività comune ecc.).

E’ ammesso il RECESSO DAL GRUPPO senza oneri di alcun genere qualora vi sia un pregiudizio per i soci
della recedente, derivante dalle condizioni di scambio decise.

L’indicazione del legame di gruppo deve essere contenuta negli atti e nella corrispondenza delle cooperative
che ne fanno parte, così come è necessaria l’iscrizione nel registro delle imprese e il DEPOSITO del contratto
costitutivo in forma scritta presso l’albo delle società cooperative.

B) LE MUTUE ASSICURATRICI

Caratteri distintivi. Disciplina

Le MUTUE ASSICURATRICI o SOCIETA’ DI MUTUA ASSICURAZIONE sono particolari società cooperative, il


cui elemento distintivo è lo stretto legame di interdipendenza tra la qualità di SOCIO e quella di
ASSICURATO: solo assicurandosi presso quella società, il soggetto diviene socio e tale qualità si perde se si
estingue l’assicurazione.

ATTENZIONE a non confondere le mutue assicuratrici con le cooperative di assicurazione, in quanto in


queste ultime il socio ha diritto a prestazioni assicurative SOLO se sottoscrive un apposito contratto, distinto
ed autonomo rispetto a quello sociale e le vicende del rapporto assicurativo NON INCIDONO IN ALCUN
MODO sul rapporto sociale. L’esatto contrario avviene nelle mutue assicuratrici, dove i due rapporti di socio
e di assicurato combaciano, sono strettamente collegati tra loro e producono effetti l’uno sull’altro (una
parte della dottrina parla addirittura di rapporto UNITARIO in luogo dei due rapporti esistenti e collegati).
Certo anche nelle mutue assicuratrici possono esserci dei soci SOVVENTORI non assicurati, la cui presenza
può essere prevista dall’atto costitutivo, ma ciò non cambia in alcun modo la disciplina di tali cooperative.

La mutua assicuratrice gode, poi, di autonomia patrimoniale perfetta, in quanto delle obbligazioni sociali, ivi
incluse quelle relative al pagamento delle indennità assicurative, risponde SOLO la società con il proprio
patrimonio.

I CONTRIBUTI pagati PERIODICAMENTE dai soci fungono da PREMIO ASSICURATIVO e nel contempo da
CONFERIMENTO e sono essi a formare il patrimonio sociale, che però può risultare insufficiente; è per tal
motivo che l’atto costitutivo può contemplare la costituzione di FONDI DI GARANZIA per il pagamento delle
indennità, mediante SPECIALI conferimenti da parte degli assicurati o di terzi, che divengono pertanto soci.
Ecco come vengono ad esistere i soci SOVVENTORI, accanto a quelli assicurati: si tratta di soggetti che si
limitano a conferire il capitale necessario per l’attività sociale, senza essere assicurati. Essi hanno diritto a
più voti, ma non oltre cinque, in relazione all’ammontare del conferimento, ed in ogni caso inferiori,
globalmente, al numero dei voti spettanti agli assicurati (questo per evitare che il loro ruolo divenga
preponderante nella gestione della mutua assicuratrice, dato che non sono animati da scopo mutualistico). I
soci sovventori possono divenire anche amministratori, ma sono sempre in numero inferiore rispetto agli

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amministratori scelti tra i soci assicurati. Per i sovventori non operano i limiti ai conferimenti, né
all’assegnazione di utili.

Per tutto il resto si applica la disciplina delle imprese di assicurazione e delle società cooperative.

CAPITOLO VENTESIMO – TRASFORMAZIONE. FUSIONE E SCISSIONE

A) LA TRASFORMAZIONE

Nozione e limiti

Con la TRASFORMAZIONE si attua il cambiamento del TIPO di società o il passaggio da una società di capitali
ad altro tipo di ente giuridico o comunione d’azienda, e viceversa.

Una peculiarità della trasformazione è data dalla CONTINUITA’ DEI RAPPORTI GIURIDICI, in quanto l’ente
trasformato conserva diritti ed obblighi e prosegue tutti i rapporti dell’ente che ha effettuato la
trasformazione.

La disciplina in materia è mutata notevolmente con la riforma del 2003, in quanto il codice del ’42 regolava
semplicemente la trasformazione di una società di persone (esclusa quella semplice) in società di capitali,
escludendo NON SOLO il passaggio da società cooperativa a società lucrativa e quello inverso, MA anche la
trasformazione di un ente NON societario in una società e viceversa. Ciò comportava una mancanza di
continuità dei rapporti e la necessità di un doppio passaggio: l’ente doveva prima sciogliersi e solo dopo si
poteva costituire la società (o viceversa), senza il mantenimento di diritti ed obblighi.

L’attuale disciplina, invece, attua una distinzione tra TRASFORMAZIONE OMOGENEA e TRASFORMAZIONE
ETEROGENEA.

La trasformazione OMOGENEA contempla il passaggio da una società lucrativa ad un’altra società lucrativa,
un cambiamento di TIPO all’interno delle sole società lucrative. Questo permette alle società di EVITARE
l’estinzione e la nuova costituzione, ricorrendo invece ad una modifica dell’atto costitutivo: la medesima
società continua a vivere conservando diritti ed obblighi precedenti, ma sotto una veste giuridica diversa.

Il codice disciplina solo la trasformazione omogenea da società di persone in società di capitali e viceversa.
Ovviamente è possibile anche che una società di persone si trasformi in un’altra società di persone, e lo
stesso vale per le società di capitali (quindi sono permessi tutti i cambiamenti tra società lucrative).

Resta fermo, anche dopo la riforma del 2003, il DIVIETO di trasformazione di una società cooperativa a
mutualità prevalente in una società lucrativa, anche qualora vi sia stata una delibera all’unanimità.

La trasformazione ETEROGENEA, invece, permette il passaggio dalle ALTRE società cooperative in società
lucrative o in consorzi, così come è ammessa la trasformazione di società di capitali (non di persone) in un
ente societario o in una comunione d’azienda, e viceversa.

Volendo specificare bene quali passaggi siano possibili tramite la trasformazione eterogenea, dobbiamo dire
che le società di capitali possono trasformarsi in consorzi, società consortili, società cooperative, comunioni
d’azienda, associazioni non riconosciute e fondazioni (art.2500-septies).

Allo stesso tempo è possibile la trasformazione di consorzi, società consortili, comunioni d’azienda,
associazioni riconosciute e fondazioni IN società di capitali.

Non sono possibili trasformazioni eterogenee diverse da quelle disciplinate.

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Particolare attenzione merita il caso dell’impresa individuale che intenda passare ad una società di capitali
unipersonale: l’operazione è possibile, ma non si attua la disciplina della trasformazione e pertanto è
necessaria la costituzione ex novo della società.

Le trasformazioni possono avvenire anche in pendenza di una procedura concorsuale, sempre che non vi
siano incompatibilità con le finalità e lo stato della stessa.

La trasformazione omogenea: il procedimento di trasformazione

La trasformazione omogenea, ripetiamolo, consente il passaggio da una società lucrativa ad un’altra società
lucrativa, un cambiamento di TIPO all’interno delle sole società lucrative.

Per ottenere tale trasformazione, però, occorre una delibera assembleare secondo le modalità dettate,
all’interno della disciplina inerente la società che intende trasformarsi, per le modificazioni dell’atto
costitutivo.

Nelle società di persone, però, per la modifica dell’atto costitutivo occorre l’unanimità. L’art.2500-ter del
codice, per favorire il passaggio di queste a società di capitali, ha previsto che sia sufficiente il CONSENSO
DELLA MAGGIORANZA dei soci, determinata secondo la partecipazione di ciascuno agli utili, garantendo
sempre al socio dissenziente il diritto di recesso. Resta ferma la necessità di una delibera unanime
nell’ipotesi di trasformazione da società di persone ad altra società di persone.

Per le società di capitali, invece, è necessaria una delibera dell’assemblea straordinaria:

 Nelle società per azioni NON quotate occorre la maggioranza rafforzata (vedi pagine 58 e 59);
 Nelle società quotate è necessaria la normale maggioranza.

Occorre comunque il consenso dei soci che, con la trasformazione, assumono la responsabilità ILLIMITATA
ed a quelli dissenzienti va garantito sempre il diritto di recesso.

La DELIBERA DI TRASFORMAZIONE deve rispettare i requisiti di forma e di contenuto previsti per l’atto
costitutivo del tipo di società prescelto, così come devono essere osservate tutte le altre regole previste per
la costituzione di tale società: se a trasformarsi è una società di capitali, gli amministratori devono
predisporre un’apposita RELAZIONE, contenente motivazioni ed effetti della trasformazione e copia di
questa relazione deve essere deposita presso la sede sociale nei trenta giorni precedenti l’assemblea.

Se a trasformarsi è una società di persone, invece, la delibera deve risultare da atto pubblico e deve
contenere tutte le indicazioni previste dalla legge per l’atto costitutivo della società scelta. Sempre in questo
caso, alla delibera di trasformazione deve essere allegata una RELAZIONE GIURATA DI STIMA del
patrimonio sociale, redatta secondo le norme fissate per i conferimenti in natura nelle S.p.a. e nelle s.r.l. Se
la società di persone opta per trasformarsi in una S.p.a. o in una S.a.p.a., la stima va sottoposta alla verifica
degli amministratori subito dopo la trasformazione. Il capitale sociale della società risultante dalla
trasformazione, inoltre, non può superare il patrimonio netto indicato nella relazione di stima e non può
essere inferiore al capitale minimo richiesto per quella società, altrimenti i soci sono tenuti ad effettuare dei
nuovi conferimenti, con l’obbligo di versarne quantomeno il 25% presso una banca, se si tratta di
conferimenti in denaro.

La delibera di trasformazione IN società di capitali, inoltre, deve essere sottoposta al controllo di legittimità
del notaio che ha redatto il verbale e ad iscrizione nel registro delle imprese, proprio come se si trattasse di
un atto costitutivo; è proprio con l’iscrizione che il procedimento di trasformazione può dirsi concluso e solo
a partire da questo momento si può provvedere all’assegnazione delle azioni o delle quote
proporzionalmente alla partecipazione.

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Abbiamo anticipato che le ALTRE società cooperative, ossia le cooperative diverse da quelle a mutualità
permanente, possono trasformarsi in società lucrative o consorzi, ma occorre il voto favorevole, nella
delibera di trasformazione, di ALMENO LA META’ dei soci. Se essi sono meno di 50, occorre il consenso di
almeno i 2/3. Se si tratta, infine, di cooperativa con più di 10.000 soci, è sufficiente il voto favorevole dei 2/3
dei presenti, purché almeno il 20% dei soci sia presente.

La legge, però, in questo caso particolare di trasformazione prevede che la deliberazione di trasformazione
sia accompagnata da una relazione giurata di stima del patrimonio eseguita da un esperto nominato dal
tribunale, questo perché la cooperativa è obbligata a DEVOLVERE ai fondi mutualistici per la promozione e
lo sviluppo della cooperazione il VALORE EFFETTIVO DEL PATRIMONIO esistente dalla data della
trasformazione, dedotti solo il capitale versato e rivalutato, i dividendi non ancora distribuiti e l’eventuale
importo necessario per rispettare l’ammontare minimo del capitale della nuova società. Quindi la
cooperativa PAGA UN CARO PREZZO per la trasformazione.

Per quanto concerne l’invalidità della trasformazione, valgono le medesime regole dettate per la fusione
(che vedremo a breve) e la trasformazione stessa non può essere ritenuta invalida se sono stati adempiuti
gli obblighi pubblicitari, fatto salvo il risarcimento dei danni per soci o terzi danneggiati.

Segue: La responsabilità dei soci

La trasformazione, in alcuni casi, può comportare un mutamento del REGIME DI RESPONSABILITA’ dei soci.

Se i soci, con la trasformazione, assumono responsabilità ILLIMITATA per le obbligazioni sociali, e ciò vale
anche per le obbligazioni anteriori alla trasformazione, è ovviamente richiesto il loro CONSENSO (pensiamo
all’ipotesi in cui una società per azioni si trasformi in una società in nome collettivo).

Se a seguito della trasformazione, invece, viene meno la responsabilità illimitata di tutti o di alcuni i soci
(pensiamo alla trasformazione di una società in nome collettivo in una società per azioni o in accomandita
per azioni), i soci NON SONO LIBERATI dalla responsabilità per le obbligazioni sociali anteriori all’iscrizione
della delibera di trasformazione nel registro delle imprese, in quanto il cambiamento opera solo per il
futuro. Tuttavia, se vi è il consenso dei creditori sociali preesistenti alla trasformazione o essi non si sono
opposti alla stesa entro 60 giorni dal momento in cui la delibera di trasformazione li è stata comunicata, si
ha LIBERAZIONE DI TUTTI I SOCI A RESPONSABILITA’ ILLIMITATA. Se, invece, permane la responsabilità di
tali soci, ovviamente essi sono esposti al fallimento, in caso di insolvenza per debiti preesistenti alla
trasformazione, in quanto si vuole evitare che la trasformazione sia un mezzo per evitare il fallimento
personale. Ovviamente resta fermo il fatto che il fallimento sociale possa essere esteso ai soci SOLO se
dichiarato entro un anno dalla trasformazione.

La trasformazione eterogenea

La trasformazione eterogenea riguarda la trasformazione o DI una società di capitali o che da vita AD una
società di capitali. Non è contemplato, né possibile dunque, la trasformazione di una società di persone o in
una società di persone.

L’art.2500-septies prevede che le società di capitali possono trasformarsi in consorzi, società consortili,
società cooperative, comunioni d’azienda, associazioni non riconosciute e fondazioni (sono ESCLUSE le
associazioni riconosciute).

E’ necessario, anche qui, che la delibera di trasformazione sia approvata con il voto favorevole dei 2/3 DEGLI
AVENTI DIRITTO, così come occorre il consenso dei soci che assumono responsabilità illimitata.

Nel caso in cui la società di capitali si trasformi in una FONDAZIONE, la delibera di trasformazione produce i
medesimi effetti dell’atto di fondazione o della volontà del fondatore.

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Se, invece, la società di capitali si trasforma in una COMUNIONE D’AZIENDA, ciascun socio diventa
COMPROPRIETARIO dei beni aziendali, assumendo responsabilità personale ed illimitata per i debiti, anche
anteriori alla trasformazione.

Possono trasformarsi IN società di capitali i “consorzi, le società consortili, le comunioni d’azienda, le


associazioni riconosciute, e le fondazioni “(sono escluse, stavolta, le associazioni NON riconosciute). Anche
la trasformazione delle altre società cooperative in società di capitali viene considerata come “eterogenea”,
ma destinataria di una disciplina assestante, già descritta nella precedente pagina.

Nei CONSORZI la trasformazione deve essere deliberata dalla maggioranza assoluta.

Nelle COMUNIONI D’AZIENDA deve essere deliberata da tutti i partecipanti alla comunione (qui si
costituisce ex novo la società, ma la legge consente l’applicazione del principio di continuità).

Nelle SOCIETA’ CONSORTILI e nelle ASSOCIAZIONI RICONOSCIUTE la delibera di trasformazione deve essere
approvata dalle maggioranze richieste per lo scioglimento anticipato (maggioranza dei consorziati e 3/4
degli associati). Va precisato che l’atto costitutivo dell’associazione può escludere la trasformazione.

Nelle FONDAZIONI la trasformazione avviene in forza di un provvedimento dell’autorità governativa, su


proposta dell’organo competente.

L’ATTO DI TRASFORMAZIONE in società di capitali, in ogni caso, deve contenere tutte le indicazioni richieste
per l’atto costitutivo della società prescelta, oltre all’enunciazione dello scopo lucrativo, salvo che la stessa
possa configurarsi come “impresa sociale”.

Nel caso in cui sia un’associazione a trasformarsi in una società di capitali, il capitale viene diviso in PARTI
UGUALI fra gli associati, salvo diverso accordo. Nel caso delle fondazioni, invece, le partecipazioni vengono
assegnate secondo quanto previsto dall’atto di fondazione, o in mancanza dall’autorità governativa. Le
azioni o quote, infine, vengono ripartite secondo le partecipazioni dapprima detenute nel consorzio, nella
società consortile o nella comunione d’azienda, se sono queste ultime a trasformarsi in una società di
capitali.

L’atto di trasformazione è soggetto alla pubblicità richiesta TANTO per la cessazione del precedente ente
QUANTO per la costituzione del nuovo ente o del tipo societario scelto (esempio: nell’ipotesi di
trasformazione delle associazioni riconosciute in società di capitali, occorre iscrivere la stessa nel registro
delle persone giuridiche e nel registro delle imprese).

Le trasformazioni eterogenee, tuttavia, hanno effetto SOLO decorsi 60 giorni dall’ultimo adempimento
pubblicitario richiesto (diversamente dalle trasformazioni omogenee), ma occorre il consenso dei creditori
preesistenti o il pagamento di quelli contrari. L’opposizione dei creditori alla trasformazione, entro il
termine appena indicato, da luogo agli effetti previsti dalla disciplina della riduzione reale del capitale.

B) LA FUSIONE

Nozione. Distinzioni

La FUSIONE è quel particolare procedimento che permette l’unificazione di due o più società in una sola. A
tal proposito possiamo distinguere la FUSIONE IN SENSO STRETTO, che avviene quando due o più società ne
costituiscono una nuova, dalla FUSIONE PER INCORPORAZIONE, che si ha nel momento in cui una società
preesistente assorbe una o più società.

La disciplina codicistica della fusione (artt.2501-2505- quater) venne modificata nel 1991 (D.lgs.22), per poi
essere semplificata dalla riforma del 2003.

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Possiamo avere una FUSIONE OMOGENEA, ossia fra società dello stesso tipo, o una FUSIONE ETEROGENEA,
tra società di tipo diverso o addirittura tra società ed enti di tipo diverso, sempre nei limiti della disciplina
prevista per le trasformazioni eterogenee.

Ovviamente la fusione eterogenea comporta anche la trasformazione di una o più società che si fondono e
per tal motivo si applica la disciplina della trasformazione.

Le società IN STATO DI LIQUIDAZIONE che hanno già iniziato la distribuzione dell’attivo, almeno che alla
fusione non prendano parte solo società con capitale NON rappresentato da azioni, NON POSSSONO
partecipare ad alcuna fusione. Con la riforma del 2003, tuttavia, non esiste più il divieto di fusione per le
società sottoposte a procedure concorsuali.

Nella fusione la società INCORPORANTE o la NUOVA società non fanno altro che sostituire le società
preesistenti: si ha una vera e propria concentrazione non solo ECONOMICA, ma anche GIURIDICA, dato che
vengono ridotti ad unità i patrimonio delle singole società ed i soci confluiscono tutti nella nuova struttura
organizzativa, mentre le altre si estinguono.

Nonostante ciò, al momento della fusione non vengono risolti definitivamente i rapporti con i terzi e fra i
soci, in quanto la società incorporante o quella risultante dalla fusione “assumo i diritti e gli obblighi delle
società partecipanti alla fusione, proseguendo in tutto i loro rapporti, anche processuali, anteriori alla
fusione”, secondo quanto dispone il comma 1 dell’art.2504-bis del codice.

Il punto centrale della fusione, dunque, non è l’estinzione delle società che vi prendono parte, che si
configura solo come un effetto del procedimento, quasi come se si trattasse di una successione a causa di
morte tra persone fisiche, ma la CONTINUAZIONE DELL’ATTIVITA’: la fusione opera come vicenda
modificativa dell’atto costitutivo delle società partecipanti, anche se l’effetto successorio-estintivo NON va
in alcun modo negato, in quanto comunque le società preesistenti NON continuano ad esistere.

In sostanza, è vero che l’EFFETTO ESTINTIVO non è causa della fusione, ma è altrettanto vero che comunque
tale effetto si produce e non si può parlare di una mera modificazione dell’assetto organizzativo.

Il progetto di fusione

Il procedimento di fusione si articola in tre fasi: progetto di fusione, delibera di fusione e atto di fusione.

La fase centrale dell’intero procedimento ed anche la più trascurata prima dell’introduzione della nuova
disciplina nel 1991, è sicuramente quella del PROGETTO DI FUSIONE.

Gli amministratori delle singole società coinvolte nella fusione devono redigere un “progetto di fusione”, dal
quale devono risultare le condizioni e le modalità dell’operazione, progetto che deve essere approvato
dall’assemblea e conoscibile preventivamente dai soci e da terzi.

Il contenuto del progetto di fusione, inoltre, deve essere identico per tutte le società e dallo stesso devono
risultare:

 Tipo, denominazione e sede delle società partecipanti;


 Atto costitutivo della nuova società o di quella incorporante, in quest’ultimo caso con le dovute modifiche
rese necessarie dalla fusione;
 Rapporto di cambio delle azioni o quote, ossia il rapporto in base al quale le partecipazioni alle singole
società vengono convertite in azioni o quote dell’incorporante o della nuova società, con indicazione
dell’eventuale conguaglio in denaro spettante ai soci per compensare eventuali resti, conguaglio che non
può superare il 10% del valore nominale delle azioni/quote assegnate nel caso in cui alla fusione partecipino
anche società quotate;
 Modalità di assegnazione delle azioni/quote della società risultante dalla fusione;
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 Data dalla quale le azioni/quote partecipano agli utili, solitamente anticipata all’inizio dell’esercizio;
 Data a decorrere dalla quale le operazioni delle singole società partecipanti vanno imputate al bilancio della
società nuova o di quella incorporante;
 Trattamento riservato ai titolari di titoli diversi dalle azioni (come le obbligazioni) e aio titolari di categorie
particolari di azioni;
 Eventuali vantaggi per gli amministratori delle singole società.

Il progetto di fusione va poi iscritto nel registro delle imprese del luogo dove hanno sede le singole società
partecipanti e devono trascorrere almeno 30 giorni (15 se non vi sono società per azioni) prima della
delibera di fusione, salvo che il consenso unanime dei soci non rimuova tale termine.

Sono, poi, tre i documenti che accompagnano il progetto di fusione:

1. La SITUAZIONE PATRIMONIALE: si tratta di un vero e proprio bilancio infra-annuale di esercizio, che per tal
motivo deve seguire le regole dello stesso non solo per quanto concerne la struttura (stato patrimoniale,
conto economico e nota integrativa), ma anche per quanto riguardo i criteri prudenziali di valutazione. Della
stesura se ne occupano gli amministratori delle singole società partecipanti alla fusione e tale documento ha
il compito di fornire ai creditori sociali informazioni aggiornate, al fine di permettere un consapevole
esercizio del diritto di opposizione alla fusione;
2. La RELAZIONE DEGLI AMMINISTRATORI: se la situazione patrimoniale permette una valutazione dei
creditori, la relazione degli amministratori si occupa di informare i soci circa i motivi che giustificano la
fusione e il rapporto di cambio adottato nel progetto di fusione. La relazione è UNICA per tutte le società;
3. La RELAZIONE DEGLI ESPERTI: uno o più esperti, scelti tra i revisori contabili o le società di revisione, hanno
l’obbligo di redigere una relazione sulla CONGRUITA’ del rapporto di cambio ed esprimere un parere
sull’ADEGUATEZZA del metodo seguito dagli amministratori per determinare il rapporto stesso. L’esperto
risponde dei danni causati non solo alle società partecipanti, ma anche ai soci e ai terzi. E’ il tribunale che
designa l’esperto nel caso in cui la società incorporante o quella nuova risultante dalla fusione siano una
S.p.a. o una S.a.p.a. e se si tratta di società quotate egli può essere scelto tra le società di revisione iscritte
nell’albo speciale tenuto dalla Consob. Allo stesso esperto, poi, è affidata la relazione di stima del
patrimonio delle società di persone, qualora società di questo tipo partecipino alla fusione con società di
capitali. Le società partecipanti possono chiedere al tribunale la nomina di uno o più esperti comuni, ma
permane l’obbligo di redigere più relazioni, una per ogni società. Se tutti i soci di tutte le società
partecipanti, all’unanimità, rinunciano alla relazione degli esperti, essa viene automaticamente esclusa.

Progetto di fusione, situazioni patrimoniali, relazioni degli amministratori e relazioni degli esperti di tutte le
società partecipanti alla fusione, accompagnate dai BILANCI DEGLI ULTIMI TRE ESERCIZI delle stesse, vanno
depositati in copia nelle sedi delle varie società durante i 30 giorni (15 se alla fusione non partecipano
società azionarie) che precedono l’assemblea e finché la fusione sia deliberata.

Per le società quotate è previsto l’adempimento di ulteriori obblighi informativi nei confronti della Consob e
del pubblico.

Le fusioni semplificate

Quanto abbiamo appena detto riguarda la fase preparatoria della delibera di fusione.

Anzitutto abbiamo illustrato le varie semplificazioni previste per le fusioni a cui non partecipano società con
capitale azionario, specialmente in merito ai termini più corti.

Altre semplificazioni sono contemplate dalla legge nel caso in cui sia una società debba incorporarne una di
cui, direttamente o indirettamente, possiede già tutte le azioni o quote. Non potendo, in tal caso,
assegnare le azioni/quote a se stessa, in sostituzione di quelle possedute nell’incorporata, la fusione avviene
senza emissione di nuove azioni/quote. Inoltre non sono necessarie le relazioni di amministratori ed esperti,
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così come nel progetto di fusione non vanno inserite informazioni riguardanti il rapporto di cambio e le
modalità di assegnazione delle partecipazioni. La delibera di fusione, in tal caso, può avvenire ad opera dei
rispettivi organi amministrativi, rispettando la forma dell’atto pubblico, sempre che non si oppongano, entro
8 giorni dal deposito del progetto di fusione, i soci dell’incorporante rappresentanti almeno il 5% del
capitale.

Ancora ulteriori semplificazioni sono previste nell’ipotesi in cui l’incorporante possieda almeno il 90% del
capitale della società da incorporare, caso in cui può essere omessa la relazione degli esperti (che tra l’altro
è molto costosa) se viene concesso agli altri soci della società incorporata il diritto di far acquistare le loro
azioni o quote dalla società incorporante per un corrispettivo determinato alla stregua dei criteri previsti per
il recesso.

La fusione a seguito di acquisizione con indebitamento

Un caso particolare di fusione è quello contemplato dall’articolo 2501-bis del codice civile, inerente le
FUSIONI A SEGUITO DI ACQUISIZIONE CON INDEBITAMENTO.

Si tratta di fusioni realizzate nell’ambito di una LEVERAGED BUY-OUT, particolare tecnica di acquisizione di
una società: i soggetti interessati all’acquisizione di una SOCIETA’ BERSAGLIO/OBIETTIVO (società TARGET),
molto spesso gli amministratori della stessa, costituiscono una SOCIETA’ VEICOLO, detta NEWCO, con un
modesto capitale sociale, ottenendo un prestito, solitamente da una banca, per l’acquisto delle azioni della
società bersaglio. La newco è una scatola vuota, priva di capacità di produrre reddito, con il solo fine di
acquisire azioni della società bersaglio. Dopo aver acquistato tali azioni ed aver ottenuto il controllo della
società bersaglio, viene deliberata la fusione per incorporazione della stessa nella società veicolo,
rimborsando il finanziamento dapprima ottenuto tramite gli utili futuri.

Noi sappiamo, però, che l’art.2358 c.c. vieta l’ASSISTENZA FINANZIARIA di una società ad un’altra per
l’acquisto di azioni proprie, così come l’art.2357 c.c. pone il divieto di sottoscrizione di azioni proprie per
interposta persona (in questa caso la società veicolo o newco). Infatti, la società veicolo, per ottenere il
prestito dalla banca con cui intende acquistare le azioni della società bersaglio per prenderne il controllo,
deve fornire delle garanzie e garanzia principale è proprio il patrimonio della società bersaglio, sulla cui
acquisizione conta la banca. Quindi, in un certo senso, è la stessa società bersaglio, indirettamente, a fornire
delle garanzie per l’acquisto delle proprie azioni. E’ per tali motivi che, prima della riforma del 2003, tale
operazione era vietata. La dottrina, però, ha compreso col tempo che l’art.2358 c.c. si riferisce, nel porre il
divieto di assistenza finanziaria, alle sole garanzie concesse in senso tecnico. Nel leveraged buy-out, invece,
NON si può in alcun modo affermare che ciò avvenga, in quanto il coinvolgimento del patrimonio della
società target è solo una conseguenza della successiva fusione, per effetto della quale la stessa società
bersaglio/target si estingue.

Tuttavia, è necessario garantire, nelle operazioni di fusione a seguito di acquisizione con indebitamento, la
massima trasparenza dell’operazione: creditori e soci di minoranza devono poter esercitare
CONSAPEVOLMENTE il diritto di voto e d’impugnazione gli uni e quello d’opposizione gli altri. E’ proprio a tal
fine che l’art.2501-bis prevede che il progetto di fusione debba indicare le risorse finanziarie previste per il
pagamento dei debiti derivanti dall’operazione; che la relazione degli esperti debba esprimersi su tale
previsione; che la relazione degli amministratori debba indicare le ragioni dell’operazione ed un piano
economico con specificate le risorse finanziarie e gli obiettivi prefissati. Se la società target o quella
acquirente sono soggette a revisione contabile obbligatoria, va allegata anche una relazione della società di
revisione.

La delibera di fusione

La seconda fase del procedimento di fusione prevede la DELIBERA DI FUSIONE, mediante l’approvazione del
progetto di fusione. Provvedono a ciò gli organi assembleari di tutte le società, con le maggioranze previste
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per le modifiche dell’atto costitutivo: nelle società di persone non è necessaria, come già anticipato,
l’unanimità, ma la semplice maggioranza, purché venga garantito il recesso ai dissenzienti; nelle società di
capitali occorre la normale maggioranza prevista per l’assemblea straordinaria, competente a deliberare la
fusione, anche se nelle società NON quotate, in caso di fusione eterogenea, vanno osservate le maggioranze
rafforzate previste per la trasformazione. Sempre in caso di fusione eterogenea, i soci dissenzienti HANNO
diritto di recesso, mentre nelle fusioni omogenee esso è garantito solo per le s.r.l.

Le singole delibere di fusione, insieme ai documenti già citati nei precedenti paragrafi, vanno iscritte nel
registro delle imprese e sono soggette, se la società risultante dalla fusione è una società di capitali, al
controllo di legalità del notaio verbalizzante.

La tutela dei creditori sociali

La fusione, come abbiamo già detto, comporta l’unificazione dei patrimoni delle società partecipanti, il che
potrebbe pregiudicare la posizione dei creditori delle singole società.

E’ per tal motivo che agli stessi è garantito, nel termine di 60 giorni (30 se alla fusione non prendono parte
società azionarie) dall’iscrizione nel registro delle imprese dell’ultima delibera di fusione delle società
partecipanti, il DIRITTO DI OPPOSIZIONE alla fusione. Tale diritto, però, è riconosciuto ai creditori
ANTERIORI alla pubblicazione del progetto di fusione e non a quelli che sono divenuti tali nell’intervallo di
tempo tra la pubblicazione e l’iscrizione della delibera di fusione.

Il termine indicato viene meno se vi è il consenso di tutti i creditori anteriori alla pubblicazione del progetto
di fusione, se vi è il pagamento di quelli contrari o se vi è il deposito delle somme corrispondenti presso un
istituto di credito. Se la relazione degli esperti è redatta, per tutte le società partecipanti, da un’unica società
di revisione e se la stessa asserisce, sotto la propria responsabilità, che la situazione patrimoniale e
finanziaria di tutte le società non rende necessarie delle garanzie a tutela dei creditori, il termine viene
OMESSO.

Se vi è opposizione, invece, la fusione è sospesa sino al giudizio del tribunale, che può comunque
autorizzarla chiedendo di prestare idonee garanzie a tutela dei creditori. Gli obbligazionisti perdono il diritto
all’opposizione se la loro assemblea ha approvato la fusione. Se si tratta di possessori di obbligazioni
convertibili, ad essi vanno garantiti la conversione anticipata oppure, qualora decidano di non avvalersene, il
riconoscimento di eguali diritti nella società risultante dalla fusione.

Se tutte queste norme vengono violate, l’atto di fusione è valido ma improduttivo di effetti erga omnes,
oltre ad essere previste delle sanzioni penali a carico degli amministratori.

Se la fusione da come risultato una società di capitali, i soci a responsabilità illimitata delle società
partecipanti rimangono responsabili personalmente per le obbligazioni anteriori alla fusione, almeno che
non vi sia stata liberazione da parte dei creditori.

L’atto di fusione

La terza fase del procedimento di fusione prevede la stipulazione dell’ATTO DI FUSIONE da parte dei legali
rappresentanti delle società partecipanti, i quali danno attuazione alle singole delibere assembleari.

L’atto di fusione deve osservare la forma dell’ATTO PUBBLICO e deve essere iscritto nel registro delle
imprese dei luoghi in cui hanno sede TUTTE le società partecipanti, nonché quella nuova appena creata o
quella incorporante. L’ultima iscrizione è proprio quella della società risultante dalla fusione (incorporante o
nuova società), a cui va riconosciuta EFFICACIA COSTITUTIVA degli effetti dell’operazione, in quanto tale
società assume obblighi e diritti delle precedenti, che si sono di fatto estinte. Ai soci vanno attribuite, in
questo frangente, le azioni/quote della società risultante dalla fusione. Nella sola fusione per incorporazione

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PUO’ essere stabilita una data successiva dalla quale decorrono gli effetti (POSTDATAZIONE), mentre la
previsione che gli effetti retroagiscano rispetto all’iscrizione dell’atto di fusione (RETRODATAZIONE) NON è
in alcun modo possibile per gli effetti a rilievo reale (unificazione delle società e dei patrimoni), ma è
ammessa sotto il profilo CONTABILE, imputando al bilancio della nuova società o società incorporante le
operazioni delle società estinte compiute prima della fusione, ed è ammessa per quanto concerne la
partecipazione agli utili delle azioni/quote ricevute dai soci delle società precedenti (attenzione: la
decorrenza diversa degli effetti va indicata nel progetto di fusione).

Il primo BILANCIO POST-FUSIONE deve tener conto, inoltre, delle attività e delle passività risultanti dalle
scritture contabili delle società estinte e non è possibile discostarsi da tali valori, almeno che non vi sia un
DISAVANZO DI FUSIONE, presente quando:

 La società incorporante assegna ai soci dell’incorporata partecipazioni per un valore complessivamente


superiore rispetto al patrimonio netto dell’incorporata al momento della fusione (DISAVANZA DA
CONCAMBIO);
 La società incorporante ha acquistato ed iscritto in bilancio, prima della fusione, la partecipazione
nell’incorporata per un importo superiore al patrimonio netto dell’incorporata al momento della fusione
(DISAVANZO DA ANNULLAMENTO).

Tali disavanzi possono risultare, per esempio, se al momento di stabilire il rapporto di cambio si è tenuto
conto dell’avviamento delle incorporate, non iscritto nei singoli bilanci, determinando un valore superiore
rispetto al patrimonio netto.

La presenza del disavanzo permette, in sede di bilancio post-fusione, di rivalutare i cespiti delle società
incorporate o partecipanti alla fusione in senso stretto, nella misura in cui esistano dei plusvalori non rilevati
dalle precedenti scritture contabili. Il disavanzo va imputato ai singoli elementi dell’attivo sottostimati o del
passivo sovrastimati e, per la differenza, ad avviamento.

Vi può essere, infine, anche un AVANZO DI FUSIONE, nell’ipotesi in cui l’incorporante, prima della fusione,
abbia acquistato la partecipazione nell’incorporata per un prezzo INFERIORE rispetto al valore del
patrimonio netto al momento della fusione. Tale avanzo va iscritto in un apposita voce del bilancio o in
quella dei fondi per rischi ed oneri.

Se il bilancio post-fusione viene redatto da una società che fa appello al mercato del capitale di rischio, va
allegata una relazione degli esperti sul rapporto di cambio.

L’invalidità della fusione

Ora dobbiamo domandarci: che succede se una delle fasi del procedimento di fusione è afflitta da vizi o
anomalie? Che succede, per esempio, se il progetto di fusione non è stato pubblicato o se le delibere di
fusione risultano viziate in merito al procedimento di deliberazione assembleare? In sostanza, è possibile
dichiarare invalida la fusione e tornare alla situazione preesistente, anche dopo che la fusione ha prodotto i
suoi effetti e si è in presenza di una struttura organizzativa e di patrimoni unitari???

La risposta a tutti questi quesiti è contenuta nell’art.2504-quater del codice: “Eseguite le iscrizioni dell'atto
di fusione…l'invalidità dell'atto di fusione non può essere pronunciata. Resta salvo il diritto al
risarcimento del danno eventualmente spettante ai soci o ai terzi danneggiati dalla fusione”.

Ciò significa che l’invalidità della fusione può essere chiesta giudizialmente dai soci tramite impugnativa
SOLO nell’arco di tempo che intercorre tra la delibera di fusione e l’ultima iscrizione dell’atto di fusione (o
la data dalla quale si producono gli effetti in caso di post-datazione), altrimenti la fusione risulta
INATTACABILE, anche nel caso in cui il giudizio sia cominciato ma non sia stata concessa la sospensiva (il
giudizio continua per il risarcimento dei danni).

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C’è chi, in dottrina, ha parlato in certi casi di “inesistenza dell’atto di fusione”, proprio come visto a
proposito delle delibere assembleari delle S.p.a., ma la tesi in questione non è condivisa dall’autore
Campobasso, in quanto l’art.2504-quater esclude implicitamente il ricorso ai rimedi reali di diritto comune
(invalidità dell’atto), prediligendo i rimedi di tipo obbligatorio (risarcimento dei danni).

Soci e terzi danneggiati dalla fusione viziata, tuttavia, possono agire in giudizio nei confronti degli
amministratori delle società preesistenti o di quella della società risultante dalla fusione.

Attenzione, però, perché l’art.2504-quater sana i vizi dell’atto e del procedimento di fusione, NON quelli
riguardanti gli atti della società risultante dalla fusione stessa: questo significa che se la società ha, per
esempio, oggetto illecito, è possibile la DICHIARAZIONE DI NULLITA’, con conseguente liquidazione ed
escludendo, anche sotto questo profilo, il ritorno al passato.

La fusione transfrontaliera

La disciplina fin qui esposta riguarda le fusioni NAZIONALI o INTERNE, ma la nostra legge permette anche la
fusione tra società italiane e società con sedi in altri Stati, ossia le cosiddette FUSIONI TRANSFRONTALIERE,
purché conformi alle leggi sia italiane, sia degli altri Paesi interessati dal procedimento. Tuttavia, un vero e
proprio limite insormontabile alle fusioni transfrontaliere è costituito dalla diversità delle legislazioni dei
singoli Stati, problema risolto a livello comunitario con una direttiva del 2005, introdotta nel nostro
ordinamento dal D.lgs.108/2008.

La disciplina delle fusioni transfrontaliere prevede che nelle fasi preliminari del procedimento ciascuna
società partecipante si debba limitare ad osservare la disciplina nazionale, salvo alcune regole SPECIALI di
seguito descritte.

Il progetto di fusione, oltre ad osservare le norme del codice civile, deve indicare la legge regolatrice delle
società partecipanti e di quella risultante, le modalità di valutazione dei beni e le probabili ripercussioni
sull’occupazione. Data l’unicità del progetto, esso deve contenere non solo le informazioni prescritte dalla
legge italiana, ma anche quelle richieste dalle leggi straniere. Il progetto va pubblicato nel registro delle
imprese e anche nella Gazzetta Ufficiale, almeno 30 giorni prima della delibera di fusione.

Vanno predisposte, in ogni caso, anche le relazioni dell’organo amministrativo sulla fusione e degli esperti
indipendenti sulla congruità del rapporto di cambio.

In alcuni Stati europei, come la Germania, è prevista anche la partecipazione dei lavoratori alla gestione
della società (ad esempio, nelle S.p.a. è contemplato il diritto di eleggere, raccomandare oppure opporsi alla
nomina di amministratori e sindaci) e per tal motivo la disciplina comunitaria ha previsto che anche la
società risultante dalla fusione debba prevedere forme di partecipazione alla gestione, qualora una o più
società partecipanti alla fusione occupassero più di 500 lavoratori.

L’approvazione del progetto di fusione ed i procedimenti per le delibere assembleari seguono le regole già
esaminate per le fusioni nazionali.

Una volta ultimata l’approvazione della fusione, ogni società si fa rilasciare un certificato da parte
dell’autorità competente (da noi il notaio), attestante il regolare adempimento degli atti e delle formalità
preliminari all’operazione, nonché l’inesistenza di circostanze ostative (esempio: l’opposizione dei creditori).
Si tratta del CERTIFICATO PRELIMINARE ALLA FUSIONE che, insieme alla delibera di approvazione del
progetto di fusione, va trasmesso, entro 6 mesi dal rilascio, all’autorità dello Stato della società risultante
dalla fusione, che provvede al controllo di legittimità sull’attuazione della fusione stessa, verificando
l’esistenza di un identico progetto comune.

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Alla stesura dell’atto di fusione provvede, dunque, l’autorità statale competente del luogo dove ha sede la
società risultante dalla fusione. L’atto viene depositato presso l’ufficio del registro di quello Stato e presso
gli uffici dei Paesi dove hanno sede le società partecipanti, producendo effetti secondo la disciplina del
Paese dove ha sede la società risultante dalla fusione. Solo dopo che la fusione è divenuta efficace, l’ufficio
interessato lo comunica agli uffici del registro degli altri Stati, per la cancellazione delle società oramai
estinte.

Anche la fusione transfrontaliera intracomunitaria NON PUO’ essere dichiarata invalida una volta prodotti gli
effetti.

C) LA SCISSIONE

Nozione. Forme

Tramite la SCISSIONE il patrimonio di una società viene scomposto e trasferito, in tutto o in parte, ad altre
società preesistenti o di nuova costituzione, assegnando ai soci della prima le azioni o quote delle società
beneficiarie del trasferimento.

L’operazione di scissione assomiglia al “conferimento in altre società di un’azienda”, ma mentre nella prima
le azioni/quote delle società beneficiarie del trasferimento vengono assegnate direttamente ai soci della
società che si scinde, nella seconda vengono attribuite proprio dalle beneficiarie. E’ per tal motivo che la
scissione merita una disciplina assestante.

Nel codice del 1942 tale disciplina non esisteva ed è stata introdotta solo con il già citato D.lgs.22/1991, per
poi essere marginalmente ritoccata dalla riforma del 2003.

Quindi, sono due gli elementi che contraddistinguono la scissione:

 Trasferimento patrimoniale da una società ad altre;


 Assegnazione diretta delle azioni di tali società da parte della società che si scinde.

La scissione può essere TOTALE, se l’INTERO PATRIMONIO di una società, che si estingue senza liquidazione,
viene trasferito a PIU’ società, che assumono obblighi e diritti della prima, o PARZIALE, se solo parte del
patrimonio di una società, che rimane in vita e continua la propria attività con un patrimonio più esiguo,
viene trasferito ad una o più società, in cui entrano a far parte i soci della prima.

BENEFICIARIE della scissione possono essere società di NUOVA COSTITUZIONE (SCISSIONE IN SENSO
STRETTO) oppure una o più società PREESISTENTI (SCISSIONE PER INCORPORAZIONE), in cui aumentano i
soci e i patrimoni.

Può trattarsi anche di una SCISSIONE ETEROGENEA, se le società beneficiarie sono di diverso tipo rispetto a
quella che si scinde: in tal caso operano gli stessi limiti previsti per la trasformazione e la fusione
eterogenea, essendo impossibile, per esempio, che una cooperativa a mutualità prevalente si scinda in
favore di una o più società lucrative. Trovano applicazione anche le norme riguardanti la liberazione dei soci
a responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali anteriori alla scissione. Anche alla scissione, inoltre, non
possono prendere parte società in liquidazione che abbiano iniziato la distribuzione dell’attivo.

NON si applica la disciplina della scissione in caso di SCORPORO, ossia se le azioni/quote delle società
beneficiarie del trasferimento patrimoniale vengono attribuite direttamente alla società scissa e NON ai suoi
soci.

Il procedimento

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Il PROCEDIMENTO DI SCISSIONE segue le medesime regole viste per quello di fusione, seppure con i dovuti
adattamenti, in quanto anche in questo caso occorre tutelare i soci di minoranza ed i creditori.

Amministratori della società che si scinde e quelli delle società beneficiarie, se preesistenti, provvedono a
redigere il PROGETTO DI SCISSIONE, il quale deve contenere, oltre a quanto previsto per quello di fusione,
anche l’esatta descrizione degli elementi patrimoniali (attività e passività) da trasferire alle singole
beneficiarie, con eventuale conguaglio in denaro, e l’indicazione dei criteri di distribuzione ai soci delle
azioni/quote delle società beneficiarie.

Diversa è la sorte degli elementi attivi e passivi non destinati con precisione nel progetto di scissione, a
seconda che si tratti di scissione totale o parziale.

Nel caso di scissione totale, le attività di dubbia attribuzione vengono ripartite tra le società beneficiarie in
base alla quota di patrimonio netto trasferita alle stesse, mentre delle passività di incerta imputazione
rispondono le beneficiarie in solido.

Nell’ipotesi di scissione parziale, invece, le attività di dubbia attribuzione restano in capo alla trasferente,
mentre delle passività rispondono in solido la trasferente e le beneficiarie.

Noi sappiamo che ai soci della società che si scinde le azioni/quote delle società beneficiarie vengono
attribuite proporzionalmente a quella che era la propria partecipazione nella società che si scinde; se tale
proporzionalità non viene rispettata, i soci che non approvano la scissione hanno il diritto di far acquistare le
proprie partecipazioni dai soggetti indicati nel progetto di scissione, facendo pagare un corrispettivo
determinato secondo le norme in tema di recesso.

Alla scissione si applica la disciplina già vista per la fusione in merito alla situazione patrimoniale, alla
relazione degli amministratori e a quella degli esperti. Tuttavia, la relazione degli amministratori deve
indicare il VALORE EFFETTIVO del patrimonio netto da trasferire alle beneficiarie e di quello che resta alla
società che si scinde, al fine di permettere una corretta valutazione ai creditori, oltre a dover indicare i criteri
di distribuzione di azioni o quote. Se l’assegnazione di azioni o quote, poi, avviene secondo il criterio
proporzionale e la scissione avviene mediante la costituzione di nuove società, la situazione dei soci rimane
identica e pertanto non è necessaria la relazione degli esperti.

Il consenso unanime di soci e possessori di strumenti finanziari con diritto di voto può esonerare gli
amministratori dalla stesura di tali documenti.

Le altre fasi del procedimento di scissione seguono esattamente la disciplina prevista per la fusione, sempre
che le attribuzioni di patrimonio vengano fatte a società preesistenti (delibera di scissione, pubblicità,
opposizione dei creditori e stipula dell’atto di scissione).

Se le attribuzioni vengono fatte a nuove società, invece, l’atto di scissione, che deve rivestire la forma
dell’atto pubblico, vale come atto costitutivo e deve, pertanto, indicare i soci delle nuove società (che
coincidono con quelli della società che si scinde) e le azioni o quote spettanti a ciascuno, anche se l’atto
(contratto) di scissione viene stipulato dagli amministratori della società che si scinde, in esecuzione della
relativa delibera.

I diritti e gli obblighi della società scissa vengono assunti dalle beneficiarie dal momento in cui la scissione
produce i propri effetti, ossia dall’ultima iscrizione dell’atto di scissione nel registro delle imprese in cui sono
iscritte le società beneficiarie.

Le società beneficiarie, in forza dell’art.2506-quater comma 3 del codice, rispondono solidalmente dei debiti
della società scissa rimasti insoddisfatti, seppure nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto ad esse
assegnato.

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Per l’invalidità dell’atto di scissione si applica la disciplina già esaminata per la fusione.

CAPITOLO VENTUNESIMO – LE SOCIETA’ EUROPEE

Dall’armonizzazione dei diritti societari al diritto societario sovranazionale

La creazione del mercato unico europeo (A differenza del Mercato comune europeo, il mercato unico, detto
anche mercato interno e diventato operativo il 1° gennaio 1993, comporta, oltre alle quattro libertà
fondamentali di circolazione delle merci, dei servizi, delle persone e dei capitali, anche la coesione
economica e l'attuazione di politiche comuni volte all'armonizzazione delle normative nazionali. Per la sua
realizzazione e, in particolare, per garantire le condizioni necessarie alla piena attuazione delle quattro
libertà fondamentali, è stato necessario abolire le frontiere, abbattere le barriere tecniche derivanti dalle
diverse legislazioni nazionali in materia di caratteristiche tecniche dei prodotti, ed eliminare le barriere
fiscali, derivanti da normative talora molto differenti in materia di imposte indirette e soprattutto di Iva) ha
reso necessario un progressivo coordinamento degli ordinamenti nazionali ed un ravvicinamento delle
discipline degli Stati membri in materia societaria. Il tutto è avvenuto a partire dal 1968, ad opera della
Commissione europea, mediante l’emanazione di direttive volte ad armonizzare le varie discipline nazionali
inerenti le società. Così facendo sono entrate a far parte dei singoli ordinamenti delle regole comuni.

Un progetto più ambizioso dell’Unione europea è quello di creare un DIRITTO SOCIETARIO


SOVRANAZIONALE, tramite l’introduzione di tipi societari disciplinati nella medesima maniera all’interno di
TUTTI gli Stati membri attraverso lo strumento dei REGOLAMENTI comunitari. Si tratta, dunque, di forme
giuridiche uniformemente regolate per quanto riguarda gli aspetti generali.

L’ordinamento comunitario, a tal fine, ha introdotto:

 La SOCIETA’ EUROPEA (SE), che è una società per azioni, oggi disciplinata dal Regolamento 2157 del 2001,
dalla legge nazionale dei singoli Stati per integrare la normativa comunitaria inerentemente a questo tipo di
società con sede in quel determinato Stato, dalle norme dei singoli Stati in tema di S.p.a. e dallo statuto
della società;
 La SOCIETA’ COOPERATIVA EUROPEA (SCE), che è una società cooperativa con scopo mutualistico,
disciplinata dal regolamento 1435 del 2003, dalla legge nazionale dei singoli Stati per integrare la normativa
comunitaria inerentemente a questo tipo di società con sede in quel determinato Stato, dalle norme dei
singoli Stati in tema di cooperative e dallo statuto della società.

In realtà il legislatore italiano non ha ancora provveduto ad emanare la disciplina integrativa dei regolamenti
comunitari per quanto concerne le società europee e le società cooperative europee con sede in Italia, ma si
è limitato a disciplinare il COINVOLGIMENTO DEI LAVORATORI in tali società, attraverso il D.lgs.188/2005 ed
il D.lgs.48/2007, rispettivamente per le SE e le SCE.

Le SE e le SCE hanno l’obbligo di situare la sede legale e quella reale all’interno dello stesso Stato
comunitario, al fine di evitare incertezze per l’applicazione della legge nazionale.

Attraverso la costituzione di SE e SCE è possibile dar vita ad una fusione transfrontaliera e nel solo caso delle
SE anche ad un gruppo di società in cui la stessa Società Europea è controllante (SE holding) o affiliata. In tal
modo possono nascere dei veri e propri colossi a livello europeo, capaci di fronteggiare quelli orientali o
statunitensi, sempre nel rispetto della disciplina antimonopolistica e dei limiti dalla stessa fissate.

Carattere distintivo delle società di tipo europeo è la facilità di trasferimento della sede da uno Stato
all’altro dell’Unione, senza la necessità di porre in liquidazione la società stessa in un Paese per poi
ricostituirla nell’altro, in quanto è sufficiente predisporre e rendere pubblico, ad opera degli amministratori,
un PROGETTO DI TRASFERIMENTO TRANSFRONTALIERO indicante la nuova sede, il nuovo statuto e la
nuova denominazione (solo eventuale), le implicazioni per i lavoratori ed il calendario di trasferimento,

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accompagnato da una relazione degli amministratori stessi sugli aspetti giuridici ed economici del
trasferimento per gli azionisti, i creditori ed i lavoratori. Progetto e relazione vanno depositati presso la sede
sociale almeno 30 giorni prima della deliberazione assembleare. La decisione di trasferimento, in ogni caso,
può essere adottata solo 2 mesi dopo la pubblicazione con le maggioranze previste per la modifica dell’atto
costitutivo. Approvata la delibera, la società deve procurarsi una certificazione attestante l’osservanza di
tutte le norme in materia di procedimento e tutela dei creditori, utile per l’iscrizione nel registro delle
imprese del Paese di destinazione, dopo la quale si può avere la cancellazione dal registro del Paese di
origine.

In tal modo i soci possono scegliere lo Stato di destinazione in base alla disciplina integrativa nazionale
maggiormente conveniente, il che dovrebbe comportare una sfida al ribasso tra i singoli Stati, specie in
materia fiscale (Vabbè, non sceglieranno MAI l’Italia praticamente).

A) LA SOCIETA’ EUROPEA

La costituzione

La SOCIETA’ EUROPEA (SE) è una società per azioni dotata di personalità giuridica, con capitale minimo di
120.000 euro, in cui ciascun socio risponde delle obbligazioni sociali SOLO nel limite del capitale sottoscritto
(quindi ha responsabilità limitata).

La SE può essere costituita in 5 casi tassativamente previsti dalla disciplina comunitaria:

 COSTITUZIONE PER FUSIONE: si ha quando due o più società per azioni soggette alla legge di Stati membri
differenti decidono di fondersi. Si può avere fusione per incorporazione, ed in tal caso l’incorporante assume
la forma di SE, oppure costituendo una nuova società europea. Nelle fasi preliminari del procedimento di
fusione ogni società partecipante osserva la disciplina del proprio Stato di riferimento, sebbene il
regolamento europeo identifichi il contenuto del progetto di fusione (identico a quello della legislazione
italiana già esaminato). L’atto di fusione, invece, viene stipulato osservando le norme del Paese in cui la
società europea avrà sede. Come al solito, occorre una certificazione di un’autorità competente, attestante
per ogni società che partecipa alla fusione l’osservanza di atti e formalità preliminari alla fusione.
L’attestazione va comunicata da tutte le partecipanti all’autorità dello Stato della futura sede, che effettua il
controllo di legittimità e da vita alla società europea;
 Quando due o più società per azioni, o anche a responsabilità limitata, decidono di costituire una SE
HOLDING, ossia di sottoporsi ad una direzione unitaria, creando un vero e proprio gruppo di società.
Occorre, in tal caso, che le società promotrici abbiano un COLLEGAMENTO STABILE con ordinamenti
comunitaria diversi, il che avviene quando le stesse soggiacciono alla legge di Stati membri diversi, o
controllano da almeno due anni una società soggetta alla legge di uno Stato membro diverso (affiliata) o
hanno da almeno due anni una succursale in uno Stato membro diverso. Va redatto, da parte delle società
promotrici, un PROGRAMMA COMUNE, con cui viene proposto ai soci di ogni società di scambiare le
proprie azioni/quote con azioni/quote della nuova holding: occorre, per la costituzione della SE, l’adesione
di tanti soci rappresentanti più della metà delle azioni o quote totali di tutte le società promotrici;
 SE AFFILIATA: si ha quando due o più enti (anche non società), che devono presentare sempre un
collegamento stabile con ordinamenti comunitari diversi, decidono di costituire una SE controllata in
comune;
 SE AFFILIATA secondo caso: è possibile costituire una società europea affiliata anche tramite atto
unilaterale, però da parte di una società europea preesistente;

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 TRASFORMAZIONE: una società europea può essere frutto anche di una trasformazione di una società per
azioni costituita secondo la legge di uno Stato membro, ma è necessario il controllo da parte di quest’ultima
e da almeno due anni di un’altra società soggetta alla legge di un diverso Stato membro.

In tutte i casi descritti, la SE prende vita SOLO con l’iscrizione in un apposito registro, che per l’Italia è il
registro delle imprese. Solo con tale atto la società acquista personalità giuridica, mentre per tutti gli atti
compiuti prima dell’iscrizione rispondono solidalmente ed illimitatamente i soggetti che li hanno compiuti.

Per quanto concerne i conferimenti, invece, si applica la disciplina degli ordinamenti nazionali in materia di
società per azioni, ovviamente tenendo presente lo Stato membro dove la società europea ha deciso di
costituirsi.

L’assemblea

Anche all’interno della società europea figura, ovviamente, l’organo assembleare. La disciplina all’interno
del regolamento comunitario è molto scarsa, in quanto sostanzialmente si applica la normativa nazionale
dello Stato di riferimento, dove ha sede la società.

Il regolamento prevede soltanto che l’assemblea venga convocata annualmente e che gli organi di direzione
e vigilanza possano disporre la convocazione della stessa. La convocazione, inoltre, può essere richiesta
anche da tanti soci rappresentanti almeno il 10% del capitale. Le deliberazioni vengono prese a maggioranza
semplice dei voti, salvo che per le modificazioni dello statuto, per cui occorre la maggioranza di almeno i 2/3
dei voti. Tali quorum, tra l’altro, non vanno rispettati se la legge dello Stato in cui ha sede la società prevede
quorum più elevati.

La gestione

Partiamo col dire che per l’amministrazione ed il controllo della società europea possono essere adottati il
sistema DUALISTICO, all’interno del quale figurano l’ORGANO DI DIREZIONE, con funzioni gestorie, e
l’ORGANO DI VIGILANZA, con funzioni di controllo, ed il sistema MONISTICO, in cui vi è il solo ORGANO DI
AMMINISTRAZIONE. Dipende dalla scelta statutaria.

Nel caso del sistema dualistico, i componenti dell’organo di vigilanza vengono nominati dall’assemblea e, se
lo statuto lo prevede, anche dai lavoratori coinvolti nella gestione. Tale organo esercita il controllo sulla
gestione stessa, potendo effettuare verifiche nei confronti dell’organo di direzione, dal quale deve ricevere
trimestralmente informazioni sull’andamento generale degli affari sociali e sugli avvenimenti di maggior
rilievo.

L’organo di direzione, invece, si occupa, sotto la propria responsabilità, della gestione della società; i propri
componenti vengono nominati e revocati dall’organo di vigilanza, il quale si può trovare anche a dover
autorizzare determinate operazioni. Le cariche di membro dell’organo di vigilanza e membro dell’organo di
direzione non sono cumulabili, anche se in caso di vacanza dell’organo di direzione, un componente
dell’organo di controllo può essere chiamato ad esercitarne momentaneamente le funzioni, con
sospensione dell’incarico di controllo.

Nel sistema monistico figura un solo “organo di amministrazione”, i cui membri vengono nominati
dall’assemblea ed anche dai lavoratori che partecipano alla gestione, qualora lo statuto lo preveda. Non è
contemplata, nella disciplina comunitaria, la presenza OBBLIGATORIA di un comitato per il controllo sulla
gestione, ma se la società ha sede in Italia tale organo di vigilanza deve essere presente.

I membri degli organi del sistema dualistico e di quello monistico restano in carica per un periodo di sei anni
e sono rieleggibili. Ad essi si applicano le norme inerenti le cause di ineleggibilità valevoli per lo Stato in cui
ha sede la SE. Operano, comunque, le norme che permettono alla minoranza degli azionisti o ad altre

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autorità o persone di designare una parte dei componenti di tali organi. Il quorum costitutivo di tutti questi
organi, in ogni caso, è raggiunto se sono presenti almeno la metà dei loro componenti, i quali decidono a
maggioranza semplice, salvo diverse previsioni statutarie.

In materia di responsabilità dei componenti dei vari organi ed in tema di redazione, controllo e pubblicità
del bilancio d’esercizio e consolidato si applica la disciplina locale dello Stato in cui ha sede la società
europea.

Il coinvolgimento dei lavoratori nella gestione

La SE è contraddistinta dalla necessaria presenza di forme di COINVOLGIMENTO DEI LAVORATORI nella


gestione della società, disciplinata dalla Direttiva comunitaria 86/2001 ed attuata nel nostro ordinamento
dal D.lgs.188/2005.

Tale coinvolgimento è del tutto elastico, nel senso che può consistere nella mera consultazione di un organo
di rappresentanza dei lavoratori periodicamente o per alcune decisioni, oppure in forme di partecipazione
più consistenti, sino ad arrivare al riconoscimento del potere di nomina da parte dei lavoratori di alcuni
membri degli organi sociali.

Al fine di stabilire le modalità di partecipazioni dei lavoratori alla gestione, gli organi di
gestione/amministrazione devono, quando viene stabilito il progetto di costituzione della società, avviare
una PROCEDURA DI NEGOZIAZIONE con i rappresentanti dei lavoratori, l’espletamento della quale è
condizione per l’iscrizione della SE nel registro (delle imprese). Viene istituita, a tal proposito, una
DELEGAZIONE SPECIALE DI NEGOZIAZIONE, composta dai rappresentanti dei lavoratori di tutte le società
partecipanti o di quelle affiliate, la quale può scegliere che vadano applicate le norme sul coinvolgimento dei
lavoratori vigenti nello Stato in cui la SE avrà sede oppure avviare dei veri e propri negoziati, che possono
durare al massimo sei mesi, prorogabili fino ad un anno.

Il D.lgs.188/2005 (così come tutte le discipline di attuazione della direttiva europea nei vari Stati membri)
contiene le DISPOSIZIONI DI RIFERIMENTO a cui attenersi nel caso di mancato accordo, le quali devono
essere accettate dagli organi competenti di ciascuna società, altrimenti risulta impossibile costituire la SE
tramite l’iscrizione. Tali disposizioni, applicabili ricordiamo solo in assenza di un accordo, prevedono la
costituzione di un ORGANO DI RAPPRESENTANZA DEI LAVORATORI, formato da componenti eletti o
designati dai dipendenti della società europea, che deve essere informato e consultato almeno
annualmente dagli organi sociali, in merito all’evoluzione dell’attività e a circostanze eccezionali che
possono incidere sugli interessi dei lavoratori, oltre a ricevere comunicazione degli ordini del giorno delle
riunioni degli organi di gestione e controllo, nonché copia di tutti i documenti presentati all’assemblea
generale degli azionisti.

Particolare rilevanza ha il PRINCIPIO PRIMA/DOPO, in forza del quale se una o più società partecipanti alla
costituzione della SE prevedevano già delle forme di coinvolgimento dei lavoratori nella gestione delle
società, tali forme di partecipazione vanno conservate anche nella società europea. Se vi erano, nelle varie
società, forme di partecipazione diverse, allora è la delegazione di negoziazione a decidere quale di esse
mantenere nella SE. Il principio prima/dopo si applica anche se solo ALCUNE società presentavano tali forme
di partecipazione.

Se NESSUNA delle società partecipanti alla costituzione della SE prevedeva forme di partecipazione dei
lavoratori, l’obbligo di osservarle nella nuova società viene meno.

Altri aspetti della disciplina

In materia di scioglimento, liquidazione, stato di insolvenza e procedure concorsuali si applicano, per la


società europea, le norme dettate per le società per azioni all’interno dello Stato in cui la SE ha sede.

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La società europea, trascorsi due anni dalla registrazione e dopo l’approvazione del secondo bilancio di
esercizio, può optare per la trasformazione in società per azioni disciplinata dalla legge del solo Stato
membro.

B) LA SOCIETA’ COOPERATIVA EUROPEA

Costituzione

La SOCIETA’ COOPERATIVA EUROPEA (SCE) è una società cooperativa con scopo mutualistico, dotata di
personalità giuridica, i cui soci hanno responsabilità limitata (nel silenzio dello statuto) o illimitata ed il cui
oggetto “principale” deve consistere nel “soddisfacimento dei bisogni e/o nella promozione delle attività
economiche e sociali dei propri soci”, mediante l’instaurazione di rapporti mutualistici. Lo statuto, però,
può prevedere che la SCE operi anche con terzi.

E’ previsto un numero minimo di soci, almeno 5, ed i fondatori devono avere un LEGAME con almeno due
ordinamenti nazionali diversi, proprio per giustificare la costituzione di una SCE in luogo di una cooperativa
nazionale.

La SCE può nascere dalla FUSIONE FRA COOPERATIVE di diversi Stati membri o dalla TRASFORMAZIONE DI
UNA COOPERATIVA con sede all’interno dell’Unione e che ha una succursale o una controllata, da almeno
due anni, soggetta alla legge di un diverso Stato membro. Il procedimento seguito per la fusione e la
trasformazione è identico a quello previsto per le società europee.

I fondatori redigono l’atto costitutivo e lo statuto, rispettando le indicazioni richieste dal regolamento
comunitario ed indicando il capitale minimo sottoscritto, che è di 30.000 euro (in Italia è necessario l’atto
pubblico). Il procedimento termina con l’iscrizione nel registro delle imprese.

Alle SCE si applica la medesima disciplina dei conferimenti prevista per le società per azioni: sono escluse,
dunque, le prestazioni di opere e servizi e le quote non possono essere emesse per importo inferiore al
valore nominale. Il 25% dei conferimenti in denaro va versato al momento della sottoscrizione e la restante
parte, nel silenzio dello statuto, entro cinque anni. I conferimenti in natura devono essere interamente
liberati al momento della sottoscrizione e sono soggetti a stima.

Le partecipazioni sociali

Le quote che rappresentano le partecipazioni nella SCE devono essere obbligatoriamente NOMINATIVE.
Possono essere create anche CATEGORIE SPECIALI di quote, dotate di diritti diversi, ma la disciplina
comunitaria prevede che, all’interno della medesima categoria, le quote debbano avere tutte lo stesso
valore nominale, con conseguente standardizzazione delle partecipazioni sociali. La modifica, pertanto, del
valore nominale delle quote può avvenire solo tramite frazionamento o raggruppamento di tutte le quote di
categoria.

E’ possibile, anche nelle SCE, la presenza di soci SOVVENTORI non interessati agli scambi mutualistici, ai
quali possono essere attribuiti privilegi, la rappresentanza negli organi sociali nel limite di 1/4 dei
componenti totali e il diritto di voto sempre nel limite di 1/4 dei voti totali in assemblea.

L’AMMISSIONE di nuovi soci avviene tramite trasferimento delle quote esistenti o sottoscrizione di quote
di nuova emissione, il che presuppone un aumento di capitale, che però non richiede la modifica dello
statuto, dato che la SCE è comunque una cooperativa a capitale variabile. L’ammissione di nuovi soci, però,
è subordinata al rispetto di determinati requisiti e all’approvazione, per i soci cooperatori, da parte degli
amministratori, impugnabile dinanzi all’assemblea, la quale invece si pronuncia direttamente
sull’ammissione di sovventori.

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La qualità di socio si perde per morte, recesso, esclusione o alienazione di tutte le quote. Il RECESSO spetta
al socio dissenziente nei confronti di una modifica statutaria inerente “l’imposizione di nuovi conferimenti
o altre prestazioni a favore della società” o il “prolungamento del termine di preavviso di recesso ad oltre
cinque anni” o il “trasferimento della sede sociale in un altro Stato”. Occorre esercitare il recesso sempre
entro due mesi dalla delibera contestata.

Si ha ESCLUSIONE, invece, per il socio fallito e gli enti sciolti (esclusione di diritto) oppure per “grave
inadempienza ai propri obblighi o compimento di atti in contrasto con l’interesse sociale”, tramite una
delibera dell’organo amministrativo, impugnabile dinanzi all’assemblea generale.

Al socio escluso, deceduto o recedente deve essere rimborsato il solo valore nominale della quota, al netto
di eventuali perdite, liquidato nel termine statutario (non prima di sei mesi dall’approvazione del bilancio
successivo allo scioglimento del rapporto e non oltre tre anni dall’evento che lo ha determinato), sempre
che il capitale sociale non si riduca oltre il minimo legale o del maggiore importo fissato dalla statuto,
altrimenti il pagamento viene sospeso.

Le modifiche della compagine sociale vanno iscritte nel libro dei soci entro un mese dall’uscita del socio e
solo da quel momento sono opponibili a terzi.

Anche la SCE può emettere obbligazioni ed altri titoli che non attribuiscono la qualità di socio, al fine di
finanziarsi e nei limiti statutari, i possessori dei quali hanno diritto al rimborso del capitale nelle modalità
fissate dallo stesso statuto, oltre ad aver diritto ad alcuni privilegi concessi all’atto di emissione, sebbene
non li spetti il diritto di voto. Possono riunirsi in una assemblea speciale per tutelare i propri diritti e
prendere decisioni da portare all’attenzione dell’assemblea generale.

Gli organi

Anche nelle SCE l’organizzazione dell’amministrazione e del controllo può seguire il sistema dualistico o
quello monistico, valendo la disciplina già esaminata per le SE.

E’ la disciplina dell’organo assembleare a variare in più punti rispetto a quella delle SE: anzitutto vale la
regola del VOTO CAPITARIO (un voto per testa indipendentemente dalla partecipazione), che può essere
attenuata dallo statuto attribuendo un massimo di 5 voti ad ogni socio, in ragione della sua partecipazione
allo scambio mutualistico, oppure attribuendo più voti ai soci persone giuridiche, nel limite del 25% del
totale, in relazione sempre alla quota o al numero dei soci. Anche ai sovventori possono essere attribuiti più
voti, nel limite del 25% del totale.

Anche i lavoratori, o i loro rappresentanti, possono avere diritto di voto in assemblea.

L’organo assembleare deve riunirsi almeno una volta all’anno, entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio,
per l’approvazione del bilancio e la distribuzione degli utili. L’assemblea può essere convocata anche
dall’organo amministrativo per necessità o quando ne faccia richiesta l’organo di controllo o una minoranza
dei soci (5000 o il 10% di quelli con diritto di voto). La convocazione va effettuata almeno 30 giorni prima
dell’adunanza (15 in caso di urgenza) mediante comunicazione scritta, trasmessa con qualsiasi mezzo.

Sono ammessi, con previsione statutaria, tanto il voto per corrispondenza quanto la rappresentanza in
assemblea e nelle SCE con più di 500 soci o con più sedi o che esercitano diverse attività possono esserci
ASSEMBLEE SETTORIALI O SEPARATE, i cui delegati vanno a formare l’assemblea generale.

I quorum assembleari sono fissati dallo statuto, per le modifiche del quale in prima convocazione è
necessaria la presenza di almeno la metà dei soci e la maggioranza dei 2/3 dei voti, mentre in seconda
convocazione non è richiesto il quorum costitutivo.

Destinazione degli utili. Scioglimento


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Anche la SCE può attribuire RISTORNI ai propri soci, in proporzione degli scambi mutualistici, così come può
essere limitata la distribuzione di utili. Se la SCE ha sede in Italia vanno rispettati i limiti imposti dalla nostra
legge: accantonamento del 30% degli utili a riserva legale e devoluzione di un ulteriore 3% ai fondi
mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione. E’ l’assemblea, in fase di approvazione del
bilancio e nel rispetto dello statuto, a destinare gli utili residui e le riserve disponibili, anche attribuendoli
all’aumento gratuito del capitale.

Per il bilancio, la revisione contabile, lo scioglimento e le procedure d’insolvenza vanno rispettate le norme
previste dalla legislazione dello Stato in cui ha sede la SCE. Il regolamento comunitario, infatti, si limita a
prevedere che la SCE debba essere posta in liquidazione se costituita in violazione dei casi consentiti o con
mancato rispetto del limite minimo del capitale oppure qualora sede legale e sede reale non si trovino nel
medesimo Stato. L’autorità dello Stato in cui ha sede la SCE provvede a tali controlli (nel nostro caso si tratta
del Ministero per lo sviluppo economico), su istanza dell’interessato o di un organo pubblico, almeno che la
SCE non regolarizzi la propria posizione.

Il residuo attivo di liquidazione va devoluto per finalità altruistiche, dedotto quanto serve per il rimborso del
capitale ai soci.

Trascorsi due anni dalla registrazione e dopo l’approvazione del secondo bilancio d’esercizio, la SCE può
trasformarsi in una cooperativa nazionale.

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