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SOCIETA’ PER AZIONI

La società per azioni è la società rivolta all’impresa medio-grande anche se il capitale sociale
minimo non è molto rilevante, infatti anche le imprese medio-piccole possono avvalersi di questa
tipologia sociale. Con la riforma del 2003 il legislatore ha voluto che la società per azioni si
rivolgesse anche alla media impresa; ha, inoltre, cercato di coniugare la dottrina della S.R.L.
rendendola uno strumento appetibile per le piccole-medie imprese.
La caratteristica principale delle società di capitali è il fatto di avere una personalità giuridica
perfetta: significa la completa impermeabilità del patrimonio sociale rispetto al patrimonio
personale dei soci, la società ha soggettività giuridica, è un soggetto di diritto diverso dai soci. La
personalità giuridica significa la creazione di un nuovo soggetto di diritto che ha un patrimonio che
risponde delle proprie obbligazioni senza che ci sia la responsabilità sussidiaria e solidale di altri
soggetti (ad esempio, nelle società di persone dei soci illimitatamente responsabili), ad eccezione
della società in accomandata per azioni che ha la doppia categoria di soci e quindi anche soci
illimitatamente responsabili. Tutti i tre tipi di società di capitali sono società di capitali e, in
particolare la S.p.A. e la S.R.L., hanno personalità giuridica perfetta che si esprime nel fatto di
essere l’unica responsabile con il proprio capitale sociale dell’adempimento delle obbligazioni
sociali, ne deriva la responsabilità limitata dei soci. La responsabilità dei soci è limitata al
conferimento promesso alla sottoscrizione (i soci non sono obbligati a versare integralmente il
conferimento, purché non si tratti di un conferimento diverso da un’entità in denaro), che non può
essere distratto per tutta la durata della società perché è soggetto al vincolo di indisponibilità del
capitale, il socio è capace quindi di predeterminare il rischio assunto sulla base del conferimento
sottoscritto; il legislatore, poi, cerca di tutelare i creditori sociali per far in modo che la società sia
in grado di adempiere alle obbligazioni che contrae. Non è detto che il capitale sociale sia
capiente: non esiste alcun principio giuridico che dice che l’ammontare del capitale sociale deve
essere proporzionale all’attività effettivamente svolta dalla società; c’è un capitale minimo di 50k
ma non è detto che il capitale sociale sia effettivamente capiente per adempiere alle obbligazioni.
Il legislatore interviene a garanzia della certezza del traffico giuridico e del fatto che la società sia
in grado di adempiere alle sue obbligazioni attraverso l’implementazione di una regolamentazione
e un’organizzazione corporativa molto stringente: introduzione di regole sul capitale sociale
molto stringenti, non solo sulla redazione del bilancio d’esercizio ma anche sui conferimenti (non
sono conferibili le prestazioni d’opere e di servizi e non sono conferibili tutte le entità suscettibili di
valutazione economica); introduzione di organi sociali (non presenti nella società di persone),
esiste un modello tradizionale costituto dall’assemblea (dove si riuniscono i soci) che nomina
l’amministratore unico o il consiglio di amministrazione e il collegio sindacale, organo di controllo,
c’è poi un modello dualistico (l’assemblea nomina il consiglio di sorveglianza che nomina il
consiglio di gestione, gli amministratori) e un modello di origine anglosassone (assemblea che
nomina il consiglio di amministrazione che al suo interno nomina il comitato di controllo sulla
gestione), a questi modelli si aggiunge quasi sempre la società di revisione. Nelle S.p.A. c’è una
stringente organizzazione corporativa perché è vero che la società con l’iscrizione al RI viene ad
esistenza e ha autonomia patrimoniale perfetta, ma a fronte di questo il legislatore deve dare
regole specifiche, compiti e responsabilità e l’istituzione di organi che hanno responsabilità e
funzioni è lo strumento per garantire il funzionamento della società. Le partecipazioni sociali sono
rappresentate da azioni: l’azione è la frazione minima che rappresenta la partecipazione sociale, le
azioni sono omogenee standardizzate e quindi fungibili, per creare un’azione con diritti diversi
bisogna creare una categoria di azioni differente perché le azioni devono essere tutte identiche
all’interno della stessa categoria; la loro spersonalizzazione le rende facilmente smobilizzabili.
La società per azioni è retta dal principio maggioritario: l’assemblea, che è il luogo dove i soci si
riuniscono e prendono le decisioni fondamentali per la società (nomina degli amministratori,
approvazione del bilancio, qualunque modifica statutaria), è retta dal principio maggioritario. Il
fatto che il principio maggioritario sia indubbiamente un principio fondante delle società di
capitale significa che il potere decisionale è nelle mani di quelli che detengono la maggioranza di
capitale e quindi rischiano maggiormente? Non è detto che sia sempre così, più la società si apre al
mercato e l’azionariato è diffuso, meno vale questo ragionamento. Questo accade perché nel
mondo azionario esistono non solo gli azionisti risparmiatori ma anche gli azionisti investitori, che
vedono nella partecipazione alla società un tipo di investimento che dà un determinato
rendimento (valore del titolo come asset, distribuzione degli utili) e che sono disinteressati alla
partecipazione alla vita sociale. Non è un principio applicabile in assoluto, non è applicabile nella
società aperta e nella società quotata, potrebbe valere nella società chiusa.
Distinguiamo tre tipologie di società:
1. Società chiusa si parla di società non quotate, non hanno azionariato diffuso.
2. Società aperta società che hanno un azionariato diffuso in maniera rilevante ma non
sono quotate nel mercato regolamentato; sono disciplinate dall’articolo 2325 bis
(introdotto dalla riforma societaria del 2003) e dall’articolo 2 bis del regolamento emittenti,
uno dei due regolamenti del TUF. Questi due articoli ci dicono che sono società aperte
quelle che fanno ricorso in maniera rilevante al mercato di rischio ma non sono quotate:
sono quelle che hanno azionisti diversi dagli azionisti di controllo superiori a 500 che
detengano complessivamente almeno il 5% del capitale sociale e che superino almeno due
dei limiti delineati dall’articolo 2325 bis bilancio in forma abbreviata, attivo dello stato
patrimoniale superiore a 4,4 milioni e più di 50 dipendenti, ricavi di 8,8 milioni.
3. Società quotata quotate sul mercato regolamentato.
Il diritto commerciale è un diritto in continua evoluzione e che tende all’uniformità internazionale,
perché è il diritto delle imprese e quindi non può non adeguarsi continuamente vedendo quello
che succede nei mercati: ci sono delle leggi che lo hanno profondamento modificato nel corso del
tempo nel ’74 è stata istituita la CONSOB che sovraintende al corretto funzionamento dei
mercati finanziari; sono state introdotte le azioni di risparmio, emesse solo da società quotate, del
tutto prive di diritto di voto ma privilegiate sotto il profilo patrimoniale proprio per
istituzionalizzare che esistono gli azionisti risparmiatori totalmente disinteressati ai diritti di voice e
quindi privilegiati sotto il profilo patrimoniale; il testo unico della finanza (TUF) è importante
perché ha completamente riformato la disciplina delle società quotate. La definizione di società
aperta nasce con la nascita del TUF per l’esigenza di qualificare quelle società che hanno
un’importante diffusione ma non sono quotate sui mercati regolamentati.
 Costituzione della S.p.A.
L’iscrizione al RI della S.p.A. è costitutiva: con l’iscrizione al RI la società viene ad esistenza, prima
c’è un contratto, con l’iscrizione al RI abbiamo una società che entra nel traffico giuridico e che il
legislatore tutela enormemente (a livello macroeconomico) e quindi deroga alle regole del diritto
privato che si applicano fino al momento dell’iscrizione al registro delle imprese.
Non può esistere una società irregolare, non possono esserci società atipiche: bisogna attenersi ad
una delle due modalità che esistono per costituire una S.p.A., o la costituzione simultanea o la
pubblica sottoscrizione. Quando ho stipulato davanti al notaio il mio atto costitutivo, ho sempre un
contratto a cui si applicano le norme del diritto privato, quando lo iscrivo al RI ho una società.
Esistono due modi per costituire una società per azioni:
 Costituzione simultanea tutti i soci si recano dal notaio e costituiscono la società; entro
30 giorni successivi, verificata la legittimità sostanziale dello statuto e dell’atto costitutivo, il
notaio lo iscrive al RI e la società acquisisce personalità giuridica. I soci si recano dal notaio,
stipulano l’atto costitutivo accompagnato solitamente dallo statuto, il notaio ha l’onere e
l’obbligo di iscrivere la società nei 30 giorni successivi al RI; che verifica la legittimità di
quello che riceve e lo iscrive in 24h.
 Stipula per pubblica sottoscrizione è un’ipotesi meramente teoria, perché prevede un
procedimento estremamente complesso e lungo in cui dei soggetti si fanno promotori della
sottoscrizione di un atto costitutivo e poi nel corso del tempo vanno a raccogliere tutte le
varie sottoscrizioni. Al termine della raccolta, si va dal notaio per stipulare l’atto costitutivo,
ma non è detto che si arrivi a questo momento quindi i promotori si fanno carico di tutto il
rischio. Il motivo per cui è stata pensata questa modalità di costituzione è per fare ai
promotori il tempo di trovare dei finanziatori.
L’atto costitutivo è un documento più sintetico con le nozioni essenziali, indicate dall’articolo
2328; lo statuto è un documento più discorsivo che contiene delle clausole di funzionamento della
società. Si fondono in un unico documento e sono vincolanti nello stesso modo. La forma per la
costituzione della S.p.A. è l’atto pubblico.
- Condizioni per la costituzione
1. Capitale sociale minimo non inferiore a 50k ma possono esserci delle leggi speciali che lo
alzano (settore bancario, società assicurative).
2. Sottoscrizione integrale del capitale sociale il capitale sociale va integralmente
sottoscritto; il conferimento se non è in denaro deve essere integralmente eseguito.
3. Se il conferimento è in denaro deve essere eseguito subito il 25%, gli amministratori poi
possono richiamare i decimi residui in qualunque momento a seconda delle esigenze della
società.
4. A seconda dell’attività, bisognerà adempiere alle condizioni imposte dalla legge per quel
tipo di attività.
Con l’iscrizione al RI la società acquista la personalità giuridica, viene ad esistenza. Non esiste più
la fase dell’omologa: prima tra l’atto pubblico del notaio e l’iscrizione al RI, c’era un passaggio
intermedio in cui un giudice del tribunale verificava che fossero soddisfatte tutte le condizioni per
la costituzione; l’omologa è stata abrogata e l’onere del notaio di verifica di legalità formale e
sostanziale è accresciuto. L’omologa è stata completamente soppressa in sede di costituzione, è
eventuale in sede di modifica statutaria ove il notaio si rifiuti di iscrivere l’atto: se il notaio ravvisa
delle deficienze dell’atto tale per cui non è iscrivibile al RI, i soci possono richiedere l’omologa del
tribunale, ove siano convinti che il notaio si sbagli. Il controllo del notaio è un controllo di legalità
formale e sostanziale, conformità alla legge delle regole della costituenda società: se risultano
manifestamente inesistenti alcuni requisiti richiesti dalla legge, il notaio non iscriverà l’atto al RI.
L’ufficio del registro verifica nuovamente la regolarità formale dell’atto; il notaio ha l’obbligo di
iscrivere l’atto nel RI nei 20 giorni successivi alla data dell’atto stesso.
- Chi è responsabile degli atti compiuti prima dell’iscrizione?
Chi ha agito ha la responsabilità degli atti compiuti prima dell’iscrizione; a maggiore tutela dei
terzi, sono responsabili insieme a chi ha agito anche il socio unico fondatore e in caso di pluralità
dei soci, coloro i quali hanno consentito l’atto, al fine di coinvolgere più soggetti possibili.
Prima dell’iscrizione al RI è assolutamente vietata l’emissione di azioni, che non possono formare
oggetto di offerta al pubblico e oggetto di alcun tipo di negozio giuridico. L’unico contratto che può
essere valido è il preliminare che ha ad oggetto azioni di futura emissione.
- Responsabilità della società costituita
In caso di mancata costituzione della società, i promotori in caso di pubblica sottoscrizione non
hanno rivalsa nei confronti dei sottoscrittori; mentre, nella società simultanea hanno rivalsa verso i
soci che abbiano consentito e autorizzato il compimento dell’operazione o verso l’unico socio, in
caso di società unipersonale. Una volta che la società viene ad esistenza, saranno confermati tutti
gli atti necessari per la costituzione della società; gli atti non necessari dovranno essere
espressamente ratificati.
La dottrina si è, inoltre, interrogata sulla configurabilità di una cosiddetta società in formazione
dalla fase che va dall’atto o dagli accordi immediatamente precedenti all’atto notarile o nella
pubblica sottoscrizione dall’inizio dell’attività di promozione del programma da parte dei
promotori fino all’iscrizione al RI con l’acquisto della personalità giuridica perfetta, la dottrina si è
interrogata se sia o meno qualificabile un soggetto di diritto come società in formazione. La società
in formazione, secondo i sostenitori, è una società a carattere provvisorio destinata a diventare
definitiva con l’iscrizione. Non c’è nulla nel Codice civile che ci faccia propendere a ritenere
l’esistenza di una società in formazione; la disciplina della nullità della società per azioni iscritta ci
dimostra che fino ad un secondo prima dell’iscrizione c’è un contratto tra soci su cui si applicano le
norme del diritto privato e solo con l’iscrizione al RI viene ad esistenza una società che vede
applicarsi le norme del diritto societario.
- Cosa deve contenere l’atto costitutivo?
L’articolo 2328 ci dice che l’atto costitutivo deve contenere: dati identificativi dei soci;
denominazione della società che può essere formata in ogni modo, deve contenere il nome S.p.A.
senza trarre in inganno verso le nominazioni già esistenti; non la sede sociale ma il comune in cui
ha sede la società perché individua l’ufficio del RI in cui va iscritta; oggetto sociale iscritto in modo
volutamente ampio (non troppo da essere indeterminato) per non avere una modifica statutaria
ogni volta si voglia modificare l’attività; ammontare del capitale versato e sottoscritto; numero ed
eventualmente il valore nominale delle azioni, le loro caratteristiche, le modalità di emissione e
circolazione; il valore attribuito ai crediti e ai beni in natura; le norme attraverso cui distribuire gli
utili; benefici accordati a promotori e fondatori, non superiori al 10%; sistema di amministrazione
adottato; numero dei componenti del collegio sindacale; nomina dei primi amministratori e sindaci
o i componenti del consiglio di sorveglianza; importo globale delle spese per la costituzione;
durata della società se non è a tempo indeterminato. Tutti gli elementi essenziali vanno ricompresi
nell’atto costitutivo; alcuni non sono fondamentali perché sono coperti da norme suppletive.
Delinea tutti gli aspetti fondamentali della società perché ci troviamo in una società con uno
stringente regime corporativo; è necessario che siano stabiliti nell’atto costitutivo e nello statuto
tutti gli elementi fondanti della società.
 Nullità della S.p.A.
Cosa succede se dopo l’iscrizione mi accorgo che la società è nulla?
Le cause di nullità sono pochissime: erano 8 nel ’42, il legislatore del 2003 le ha ridotte a 3; ci sono
solo tre cause di nullità. Ove si rinvenga una di queste tre cause di nullità, la nullità opera come
causa di scioglimento dove l’unica differenza rispetto allo scioglimento ordinario è che i liquidatori
sono nominati dal giudice che accerta la nullità, e non dai soci. Questo comporta un enorme
differenza rispetto alla disciplina della nullità dei contratti: della nullità dei contratti, sancita
dall’articolo 1418, la nullità della S.p.A. conserva ben poco, l’unica cosa uguale è che può essere
fatta valere da chiunque è un numero chiuso, sono solo 3 ipotesi; vale dal momento della
dichiarazione del giudice e non retroattivamente: nel diritto privato, la nullità nei contratti opera
ex nunc, come se il contratto non fosse mai stato stipulato; in questo caso opera come causa di
scioglimento, ex tunc ma non dalla dichiarazione della nullità del giudice ma da quando finisce la
liquidazione, opera ex nunc non solo verso chi era in buona fede e non conosceva la nullità ma
verso tutti. Anche se non creditore l’avesse saputo che la società era nulla, opera come causa di
scioglimento, non lede i creditori. Ulteriore enorme differenza tra la nullità dei contratti e della
S.p.A. è che la nullità della S.p.A. è sanabile, a differenza che nei contratti; il legislatore ci dice che
anche dichiarata la nullità da parte del giudice, può essere sanata.
Le cause di nullità possono essere le seguenti:
1. Mancata stipulazione dell’atto costitutivo nella forma dell’atto pubblico è poco
probabile.
2. Mancanza di ogni indicazione circa la denominazione della società, conferimenti, capitale
sottoscritto e oggetto sociale.
3. Oggetto sociale illecito.
La nullità della S.p.A. iscritta opera come causa di scioglimento perché non solo una volta che sia
stata dichiarata dal giudice può essere sanata, ma comunque non determina la nullità nel
momento della dichiarazione del giudice ma determina l’instaurarsi di uno scioglimento, con la
differenza che rispetto allo scioglimento volontario i liquidatori sono stabiliti dal giudice e non dai
soci. Le cause di nullità operano come causa di scioglimento, sono sanabili e non toccano
minimamente l’attività svolta nemmeno verso quei creditori che conoscevano la causa di nullità. Si
instaura un procedimento di liquidazione ordinario.
 Costituzione unilaterale
L’articolo sul contratto di società per azioni non si identifica più con la nozione di società: la società
può essere anche costituita unilateralmente, la costituzione unilaterale non si può avere nel caso
delle società di persone. Dal ’93 il legislatore italiano aveva dato la possibilità di costituire
unilateralmente la S.R.L., mantenendo il benefico della responsabilità limitata a condizioni di
pubblicità; questo creava una disparità di trattamento legislativo tra S.R.L. e S.p.A. La riforma del
diritto societario del 2003 è intervenuta nella disciplina della società unilaterale sancendo la
possibilità anche per la società per azioni di costituirsi a livello unilaterale.
Articolo 2362 Il legislatore si è posto il tema se e dove ci fossero più rischi in una costituzione
unilaterale: non esiste un principio di congruità del capitale, cioè non esiste una norma che
impone che la società per azioni deve avere un capitale sociale che si congruo rispetto all’attività
che svolge ma viene dato un capitale sociale minimo; soddisfatto quello non ci sono altre
limitazioni, ma queste arrivano indirettamente. In realtà, essendoci delle stringenti regole sulla
valutazione dei conferimenti, il fatto di avere un socio o due non crea molto differenze. Un tema di
tutela dei terzi può esserci nella pubblicità: dover dare conto ai terzi che la società è unipersonale,
è un elemento di interesse ma non determinante e quindi il legislatore ha deciso di non imporre
nella ragione sociale l’obbligo di ricomprendere il fatto che la società sia unipersonale ma impone
che venga comunicato ai terzi tramite iscrizione al RI, che ha efficacia legale. Nel RI, negli atti e
nella corrispondenza si è tenuti ad indicare che la società sia unipersonale.
Articolo 2342 I versamenti devono essere fatti integralmente anche se sono in denaro: una
tutela che si applica alla società unipersonale è che non solo deve essere data adeguata
personalità ma che anche tutti i conferimenti in denaro devono essere integralmente eseguiti.
La violazione di queste due regole ha una sanzione molto pesante: determina per il socio unico la
perdita del beneficio della responsabilità limitata, non retroattivamente ma solo per il lasso
temporale in cui non si è provveduto al rispetto delle due norme in tema di versamenti e
pubblicità; se il vizio è sanato, da quel momento in poi la responsabilità è limitata.
Il comma 4 ci dice che se viene meno la pluralità dei soci, i versamenti ancora dovuti devono
essere effettuati entro 90 giorni: non è detto che la società nasce unipersonale, potrebbe
diventare unipersonale il legislatore dà un lasso temporale entro il quale va compiuto il
versamento integrale dei conferimenti ancora dovuti; oltre il 90 giorni perde la responsabilità
limitata.
Articolo 2362 Un’ulteriore tutela che il legislatore pone riguarda la più dettagliata motivazione
di opportunità nella sottoscrizione di contratti tra la società e il socio unico: il socio non si deve
confrontare con nessuno per decidere di sottoscrivere o meno un atto/contratto; pertanto, si
ritiene che vi sia un obbligo di motivazione sull’interesse per la società di sottoscrivere un
determinato atto o contratto perché potrebbe essere più evidente un conflitto di interesse tra un
interesse personale del socio e un interesse generale della società. I contratti e le operazioni tra
socio unico e società devono essere dettagliatamente motivati; la violazione di questo terzo
obbligo non determina la sanzione della perdita della responsabilità limitata, ma la mancata
opponibilità verso il determinato creditore per quel determinato atto, è una sanzione circoscritta. I
contratti e le operazioni tra socio unico e società sono opponibili ai creditori sociali solo se
risultano dal libro delle adunanze delle deliberazioni del consiglio di amministrazione o da atto
scritto avente data certa anteriore al pignoramento.
Questa disciplina si applica sicuramente anche nel caso in cui il socio unico sia una persona
giuridica: in passato parte della dottrina aveva sostenuto che questa si potesse applicare solo alla
persona fisica e non giuridica (perché l’escussione sarebbe andata su un altro soggetto che è a
responsabilità limitata). Restano aperti i quesiti se questa fattispecie si applichi anche in caso di
partecipazione quasi totalitaria un socio ha il 99% delle azioni e l’altro ha 1% o un’azione; o di
controllo totalitario indiretto se A (persona fisica) controlla X al 99%, controlla Y al 100% che ha
l’1% di X, A ha il 100% di X. La domanda è: se si verificano queste due situazioni applico la
disciplina della società unipersonale? NO, perché l’articolo 2362 è una norma eccezionale che si
applica specificamente alla fattispecie del socio unico; a meno che non si provi che queste
strutture sono negozi in frode alla legge e cioè sono state strutturate in questo modo al solo fine di
eludere la normativa sulla società unipersonale, non è passibile di applicazione analogica.
 Patrimoni destinati e finanziamenti destinati
Il senso di una costituzione di una società unipersonale, solitamente controllata da un’altra
società, è la suddivisione del rischio: se ho più attività di varia natura, invece di fare un oggetto
sociale ampissimo posso decidere di fare più società unipersonali. Delle alternative al proliferare di
piccole società unipersonali sono gli istituti dei patrimoni destinati e dei finanziamenti destinati,
con cui il legislatore consente una limitazione del rischio d’impresa senza avere il costo della
costituzione di altre società ma consentendo di operare direttamente sul patrimonio dell’impresa
societaria.
Con il patrimonio destinato consento la creazione, all’interno del patrimonio della mia società, di
una porzione di patrimonio dedicata ad una determinata attività che dovrebbe avere una
separatezza patrimoniale; ma quanto questa separatezza patrimoniale regge in caso di fallimento?
Poco, per questo motivo è poco utilizzato. Il patrimonio destinato è un istituto che ha la funzione
di creare all’interno del patrimonio dell’impresa societaria un patrimonio separato destinato ad
uno specifico affare individuato, limitando il rischio d’impresa e i costi di costituzione di una
società controllata. La società resta una ma è possibile prevedere al suo interno uno o più
patrimoni destinati ad uno o più affari che rispondono delle obbligazioni relative alla destinazione
patrimoniale individuate in relazione a determinate relazioni economiche, hanno la stessa
funzione delle società controllate ad esempio, voglio lanciare un nuovo prodotto, voglio un
nuovo brevetto che voglio tenere separato dall’attività imprenditoriale generale. La funzione del
patrimonio destinato è creare all’interno del patrimonio della società, un patrimonio separato
individuato con una rendicontazione contabile separata per un’attività individuata.
È necessario individuare un affare specifico: il patrimonio destinato deve essere destinato ad uno
specifico affare (ramo d’azienda, specifica linea di produzione, nuovo mercato poco accessibile) e
non deve superare il 10% del patrimonio netto, non deve ingerirsi in attività protette da leggi
speciali senza averne i requisiti. La delibera è assunta dall’organo amministrativo (eccezione,
perché di solito queste decisioni sono assunte dall’assemblea) a maggioranza dei componenti,
dovrà dettagliatamente individuare il patrimonio destinato, e quindi identificare in modo analitico
l’affare, i beni e i rapporti giuridici che ne fanno parte.
I creditori della società si vedono distratta una parte di patrimonio sociale, oggetto di una loro
possibile aggressione: il legislatore dà un lasso temporale entro il quale i creditori possono
opporsi. Il legislatore concede ai creditori sociali 60 giorni entro i quali possono opporsi alla
costituzione del patrimonio destinato; dà anche al tribunale la possibilità di superare l’opposizione
dei creditori qualora la ritenga infondata o qualora la società dia idonea garanzia del pagamento
dei creditori stessi. Entro 60 giorni i creditori sociali anteriori all’iscrizione possono opporsi alla
costituzione del patrimonio destinato; decorso tale termine si producono gli effetti della
separazione patrimoniale. Il grande dubbio è che questa separazione patrimoniale regga in caso di
fallimento, in cui sembra si mescolino i patrimoni è dubbio se la separazione patrimoniale nel
momento patologico venga meno. La presenza di un patrimonio destinato crea la necessità di
avere un’assemblea speciale dei soci titolari delle azioni relative al patrimonio destinato che
funzionerà come tutte le assemblee speciali. Le assemblee speciali di categoria hanno sempre
un’organizzazione che è mutuata dalle azioni di risparmio (istituzionalmente prive del diritto di
voto), hanno una loro disciplina compiuta e analitica prevista dal TUF e sono prese ad esempio per
tutte le assemblee speciali. Se ho categorie diverse di azioni, o ho la creazione di un patrimonio
destinato o obbligazioni, io ho una categoria di soggetti che hanno dei diritti e degli interessi
parzialmente non coincidenti con gli interessi dei titolari di azioni ordinarie; ogni organizzazione di
categorie diverse di azioni/obbligazioni/strumenti partecipativi avrà al suo intorno una propria
assemblea, un piccolo fondo patrimoniale per le loro esigenze e la nomina di un rappresentante
comune che andrà a rappresentare gli interessi di quella particolare categoria nell’assemblea
generale (quella costituita dai titolari di azioni ordinarie) ogni volta che l’assemblea generale
assume una delibera che sia potenzialmente lesiva degli interessi di categoria, dovrà portarla in
approvazione alla categoria speciale. Questo ragionamento vale anche nel caso di patrimoni
destinati perché inevitabilmente ci sono interessi diversi.
Un altro mezzo è il finanziamento destinato: chiedo un finanziamento da utilizzare per una
specifica attività; il finanziamento viene ripagato da quella porzione di patrimonio separato. Se la
società fallisce prima della realizzazione del progetto, la divisione del patrimonio è inesistente:
risponde la società e viene meno la separazione. È un contratto di finanziamento che si riferisce ad
un unico affare, di cui il rimborso è interamente soddisfatto dalla destinazione di ramo/attività. io
prendo un finanziamento per l’implementazione di una specifica attività, creo una separazione
patrimoniale come se facessi un patrimonio separato e con un business plan che mi avvalori il
fatto che il patrimonio dedicato sia il grado di ripagare potenzialmente il finanziamento. Ho un
finanziamento dedicato ad un patrimonio separato che dovrebbe poi essere ripagato con gli utili e
i proventi del patrimonio destinato stesso: c’è una separazione tra l’ente finanziatore e il piccolo
patrimonio. Espressamente viene detto che se il fallimento della società impedisce la
realizzazione/continuazione dell’attività, cessano le limitazioni e il patrimonio torna ad essere
unico la preoccupazione di chi eroga un finanziamento è la situazione patologica; quindi, lo
strumento in sé non reggendo la fase patologica dell’impresa è di dubbia utilità e infatti l’utilizzo
non è quello che si poteva aspettare nel 2003 quando è stato introdotto l’istituto; continuano ad
essere utilizzate le società controllate, anche unipersonali.
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L’articolo 2447 bis prevede che la società può costituire uno o più patrimoni ciascuno dei quali
destinato in via esclusiva ad uno specifico affare; convenire che nel contratto relativo al
finanziamento per uno specifico affare al rimborso totale o parziale del finanziamento medesimo
siano destinati i proventi dell’affare stesso; non possono essere costituiti per un valore superiore al
10% del patrimonio sociale; la delibera è assunta dall’organo amministrativo, deve indicare l’affare
al quale è destinato il patrimonio, i beni e i rapporti giuridici compresi nel patrimonio destinati, il
piano economico finanziario da cui risulti la congruità del patrimonio rispetto alla natura
dell’affare, apporti di terzi e modalità di controllo sulla gestione; è possibile anche emettere non
azioni ma strumenti finanziari partecipativi relativi al patrimonio destinato; la delibera deve
stabilire le regole di rendicontazione dell’affare. La deliberazione della creazione di un patrimonio
destinato viene depositata e iscritta al RI; dall’iscrizione ricorrono 60 giorni entro i quali i creditori
sociali anteriori all’iscrizione possono fare opposizione e bloccare la creazione del patrimonio
sociale. Se i creditori non si oppongono o se il tribunale acconsente alla creazione del patrimonio
destinato, da quel momento ha effetto la separazione patrimoniale: da quel momento gli atti
compiuti in relazione allo specifico affare, purché ci sia spendita del nome (espressa indicazione
che l’atto sia compiuto per il patrimonio destinato) hanno una separatezza patrimoniale i
creditori sociali non possono aggredire il patrimonio destinato e i creditori del patrimonio
destinato non possono aggredire il patrimonio sociale, salvo la responsabilità illimitata della
società per fatto illecito degli amministratori. Nel caso in cui si crei un patrimonio destinato,
possono essere emessi degli strumenti dedicati al patrimonio destinato stesso e in particolare,
strumenti finanziari partecipativi che danno taluni diritti patrimoniali e amministrativi. La presenza
di un patrimonio destinato crea una diversificazione rispetto all’azione ordinaria e quindi la
necessità di avere un’assemblea speciale dei soci titolari delle azioni relative al patrimonio
destinato.
Il contratto di finanziamento deve contenere la descrizione dell’operazione, il piano finanziario
indicando la parte coperta dal finanziamento e quella a carico della società, i beni strumentali
necessari alla realizzazione dell’operazione, le specifiche garanzie che la società offre, i controlli
del finanziatore, la parte dei proventi destinati al rimborso del finanziamento, le eventuali garanzie
della società per il rimborso, il tempo massimo di rimborso. Tutto questo deve essere depositato e
iscritto presso il RI e la società deve adottare sistemi di incasso e contabilizzazione idonei a
individuare in ogni momento i proventi dell’affare e tenerli separati dal restante patrimonio della
società.
 I conferimenti
I conferimenti sono i contributi iniziali dei soci alla formazione del patrimonio iniziale della società;
hanno la funzione di dotare la società del capitale di rischio iniziale hanno una funzione
produttiva e vincolistica-organizzativa: vincolistica perché il conferimento è stabile, non può essere
distratto dalla società, è vincolato per tutta la durata della società fino all’uscita del socio;
organizzativa perché molti importanti diritti amministrativi e patrimoniali sono tarati
sull’ammontare dei conferimenti. Non esiste un principio di proporzionalità tra un conferimento e
un diritto amministrativo o patrimoniale, possono essere non proporzionali ma c’è un principio
generale di copertura dei conferimenti: la disciplina del capitale deve essere tale da avere sempre
una copertura dei conferimenti, complessivamente il valore dei conferimenti non può essere
inferiore al valore del capitale sociale. La disciplina del capitale è volta a tutelare che il
conferimento promesso sia effettivamente conferito e soprattutto che il valore assegnato ai
conferimenti sia veritiero, che il valore dei conferimenti diversi dal denaro sia almeno pari al valore
dell’aumento di capitale e dell’eventuale sovrapprezzo. La disciplina dei conferimenti, in caso di
società di persone, è molto embrionale; nelle società di capitali è indispensabile che i conferimenti
siano effettuati e imputabili al capitale sociale e che ci sia un principio di copertura. Per questo
motivo, non sono consentite come conferimenti le prestazioni d’opera o di servizi, ma possono
essere oggetto di strumenti finanziari partecipativi e di prestazione accessoria (azione liberata con
denaro o entità conferibili che incorpora una prestazione accessoria, questo limita la circolazione
dell’azione). Non sono conferibili cose generiche, future e altrui perché c’è un tema di imputabilità
e copertura di capitale sociale: queste non possono essere eseguite e non possono essere liberate.
Nella società per azioni, se lo statuto non prevede la possibilità di effettuare conferimenti diversi
dal denaro, nessuna entità è conferibile: è necessaria l’integrale liberazione, tutti i conferimenti
diversi dal denaro devono essere integralmente liberati alla sottoscrizione delle azioni; sono
conferibili beni in natura e crediti. Se io sottoscrivo delle azioni conferendo in denaro, posso
versare anche solo almeno il 25%, saranno poi gli amministratori a richiamare i decimi residui
durante la vita della società secondo le esigenze della società stessa. Invece, tutti i conferimenti
diversi dal denaro devono essere immediatamente liberati all’atto della sottoscrizione delle azioni;
non potrà esserci per i conferimenti diverso dal denaro il tema della mora dei pagamenti. Il
capitale sociale, essendo l’unica garanzia dell’adempimento delle obbligazioni sociali, deve essere
coperto: è importante che la valutazione delle entità conferite sia congrua; perciò, il legislatore
impone un rigido procedimento di valutazione dei beni diversi dal denaro. Il legislatore impone
che il valore del conferimento, predeterminato dai soci che si accordano sul valore del
conferimento, deve essere confermato da una perizia, la quale dovrebbe essere oggettiva perché
non è fatta da un esperto scelto dal socio conferente ma è inderogabilmente fatta da un esperto
nominato dal presidente del tribunale in cui ha sede la società. il conferimento deve essere
accompagnato da una perizia e messo nella disponibilità della società, la quale emetterà delle
azioni che dovranno essere coperte dal conferimento (il quale non deve mai essere inferiore al
valore delle azioni più l’eventuale sovrapprezzo). Le azioni, insieme al conferimento, dovranno
restare depositate presso la sede sociale finché gli amministratori della società, nei 180 giorni
successivi, non verifichino la correttezza della stima questo è uno dei due casi di limitazione
legale alla circolazione delle azioni. La funzione della revisione degli amministratori è verificare che
la perizia sia corretta (gli amministratori sono i garanti del capitale sociale); ove ci siano motivi per
pensare che la perizia non sia corretta, sono tenuti a fare una revisione della perizia se la perizia
è sbagliata ma entro 1/5 del valore del bene, non importa; qualora gli amministratori abbiano
fondati motivi per ritenere che la perizia non sia corretta, procedano ad una revisione della perizia
e si accertino che la differenza è maggiore di 1/5, devono intervenire perché non possono
permettersi che ci siano azioni in circolazione non coperte.
Si aprono tre scenari: 1. andare dal socio conferente e dire che la perizia è sbagliata, il socio deve
conguagliare in denaro la differenza, il socio versa la differenza; 2. il socio potrebbe non avere la
parte in denaro e potrebbe volere la diminuzione delle azioni, diminuiscono le azioni eccedenti,
diminuisce il capitale sociale, conferiscono al socio le azioni corrispondenti all’effettivo valore del
conferimento; 3. il socio conferente potrebbe non essere d’accordo con la valutazione oppure non
versa la differenza ma vuole comunque le azioni, il socio conferente ha diritto di recedere e se
possibile ha diritto a riavere indietro il suo conferimento, se non è possibile ha diritto ad avere
indietro il valore in denaro del conferimento, non quello determinato dalla perizia ma quello
determinato dagli amministratori.
I conferimenti formano il capitale sociale della società, viene iscritto nel passivo patrimoniale
perché è un debito nei confronti dei soci; il capitale sociale è soggetto al vincolo di indisponibilità
finché la società non viene liquidata o si ha il recesso del socio dalla società; a fronte del
conferimento vengono emesse azioni non necessariamente proporzionali al conferimento;
possono esserci dei beni che vanno a patrimonio e non a capitale, a fronte di quali possono essere
emessi solo obbligazioni o strumenti patrimoniali partecipativi e non azioni.
*****
Articolo 2342 se nell’atto costitutivo non è stabilito diversamente, il conferimento deve farsi in
denaro. Alla sottoscrizione dell’atto costitutivo o a qualsiasi aumento di capitale, deve essere
versato il 25% dei conferimenti in denaro, in caso di atto unilaterale il loro intero ammontare. Se
consentito dallo statuto, il conferimento può avere ad oggetto anche beni in natura o crediti che
devono essere integralmente liberati alla sottoscrizione delle azioni. Non possono essere oggetto
di conferimento le prestazioni d’opera e servizi; questi possono essere oggetti solo di prestazioni
accessorie.
Articolo 2343 chi conferisce beni in natura o crediti deve presentare la relazione giurata di un
esperto designato dal tribunale, nel cui circondario ha sede la società, contenente la descrizione
dei beni/crediti conferiti, l’attestazione che il loro valore è almeno pari a quello ad essi attributo ai
fini della determinazione del capitale e dell’eventuale sovrapprezzo, criteri di valutazione eseguiti
e la relazione deve essere allegata all’atto costitutivo/delibera dell’aumento di capitale. Gli
amministratori devono, nel termine di 180 gg dall’iscrizione della società/delibera di aumento di
capitale sociale, controllare le valutazioni e se sussistono fondanti motivi devono prevedere alla
revisione della stima. Finché le valutazioni non sono state controllate, le azioni corrispondenti ai
conferimenti sono inalienabili e devono restare depositate presso la sede della società. Se risulta
che il valore dei beni/crediti conferiti era inferiore di oltre 20%, la società deve ridurre il capitale
sociale annullando le azioni che risultano eccedenti: il socio può versare la differenza in denaro o
cedere dalla società, il socio recedente ha diritto alla restituzione del conferimento per quando
possibile. Il legislatore ha previsto che ci sia una garanzia sussidiaria nei 3 anni successivi al
trasferimento per le azioni non interamente liberate l’alienante risponde in solido con
l’acquirente.
*****
Cosa succede quando gli amministratori richiamano i decimi e un socio non versa la sua parte di
conferimento? Il socio è moroso. Quando il socio è in mora con i conferimenti, si fa una diffida
ufficiale pubblicata in gazzetta: decorsi 15 giorni dalla pubblicazione in gazzetta della diffida, il
socio diventa ufficialmente moroso e si applicano delle sanzioni il socio è privato del diritto di
voto; o se gli amministratori lo ritengono utile, possono vendere le azioni del socio o agli altri soci
in prelazione o a terzi; se nessuno acquista le azioni, gli amministratori possono dichiarare
decaduto il socio moroso, annullare le azioni, trattenere la parte già versata (come risarcimento
danni), salvo risarcimento per maggiori danni creati dalla morosità del socio.

Per evitare il procedimento del 2343, il socio formalmente faceva un conferimento in denaro,
versando obbligatoriamente il 25% subito; dopodiché vendeva alla società il bene che sarebbe
stato oggetto del conferimento e conguagliava il debito da conferimento dei decimi residui con il
prezzo che la società gli doveva dare per l’acquisto del bene: di fatto, effettuava un conferimento
del bene che appariva come vendita non soggetta alla disciplina dei conferimenti, annullava
l’efficacia del 2343 portando come risultato un negozio in frode alla legge. Questo procedimento
appariva ancora più pericoloso nella fase di start up della società: da qui ne discende la disciplina
degli acquisti potenzialmente pericolosi. Tale disciplina prevede che l’acquisto della società da
parte di promotori, soci fondatori, soci e amministratori nei primi due anni di vita della società
deve essere deliberata dall’assemblea ordinaria sulla base di una perizia: se l’ammontare del
corrispettivo per l’acquisto del bene è superiore al 10% del capitale sociale, se l’acquisto interviene
nei primi due anni della società, se non si tratta dell’attività core della società; queste tre
condizioni devono valere contemporaneamente.
La disciplina del 2343 è lunga e costosa, quindi si tiene in considerazione che la perizia può non
essere sempre necessaria: possono esserci casi in cui il valore del bene si evince da fattori estranei.
La riforma del diritto societario ha integrato la disciplina della valutazione dei conferimenti diversi
dal denaro con l’articolo 2343 ter e quater. Il legislatore individua delle ipotesi al verificarsi delle
quali non è necessaria la perizia salvo che in una seconda fase gli amministratori non ritengano che
ci sia stato un errore; non è richiesta la relazione di stima in tre casi:
1. L’oggetto del conferimento è un valore mobiliare o uno strumento del mercato monetario
per cui si trovano dei listini ufficiali, si prende come valore di conferimento il prezzo medio
ponderato degli ultimi 6 mesi.
2. Il valore del bene che si vuole conferire emerge da un bilancio soggetto a revisione, che
non abbia avuto rilievi, approvato entro l’anno precedente.
3. Il bene che si vuole conferire è già stato oggetto di perizia negli ultimi 6 mesi, non
necessariamente fatta da un esperto scelto dal presidente del tribunale ma di una perizia
fatta per altri fini da un esperto indipendente di comprovata professionalità.
In tutti questi casi, si ritiene che il valore del bene sia attendibile e che pertanto ci si possa rifare a
quel valore; c’è comunque un onere degli amministratori di verificare non solo la congruità della
valutazione ma anche se non siano intervenuti dei fatti successivamente a quel dato di riferimento
che possano aver mutato il valore del bene conferito o che siano intervenuti dei fatti che abbiano
portato discredito all’esperto che non possa più ritenersi indipendente o di comprovata
professionalità.

LE AZIONI
Le quote di partecipazione alla società sono rappresentate dalle azioni, che rappresentano la
frazione minima di partecipazione al capitale sociale. Le azioni sono tutte uguali, all’interno della
medesima categoria devono essere uguali, c’è una spersonalizzazione che le rende fungibili: il fatto
di essere standardizzate le rende fungibili, questa fungibilità le rende facilmente trasferibili, in
particolare secondo la disciplina dei titoli di credito. Le azioni sono omogenee e standardizzate,
tendenzialmente sono liberamente trasferibili salvo limiti imposti dallo statuto, sono indivisibili
(rappresenta la frazione minima della partecipazione sociale, se più persone sono comproprietarie
dell’azione si ingenera una comunione perché le azioni sono indivisibili) salvo operazione speciale
di frazionamento delle azioni, hanno tutte le medesime caratteristiche, sono di identico
ammontare e il criterio di divisione è un criterio astratto matematico. Le uniche azioni che hanno
una caratterizzazione personale sono le azioni con prestazioni accessorie: sono azioni liberate
mediante conferimenti eseguibili che incorporano una prestazione di dare/fare/non fare, è
incorporata nell’azione e segue il proprietario dell’azione le caratteristiche proprie le rendono
infungibili; quindi, questa tipologia di azioni è per legge limitata nella circolazione.
Il caso in cui l’azione sia con prestazione accessoria o in cui le azioni siano depositate presso la
sede della società entro il tempo in cui gli amministratori si accertino della valutazione dei
conferimenti in beni in natura/crediti, sono gli unici due casi di limitazione legale alla circolazione
delle azioni. Le azioni nella loro circolazione sono assimilate ai titoli di credito, significa che
saranno opponibili le eccezioni reali (di forma, di letteralità, falsità della forma, difetto, capacità di
agire del rappresentante) ma non saranno opponibili tutte le eccezioni personali; questo rende la
circolazione delle azioni più sicura e agevole. Le azioni sono liberamente trasferibili, eventuali
limitazioni, oltre a quelle legali, vanno concordate tra soci: ci sono due limiti legali, situazioni in cui
è la legge a dire che le azioni non possono circolare, altrimenti il principio generale è che le azioni
sono liberamente trasferibili. Possono essere aggiunte delle limitazioni (questo è per rendere la
società chiusa, per proteggere la società verso l’esterno) le quali creano una barriera all’ingresso a
tutela dei soci. Nelle società quotate non sono previste le limitazioni perché concettualmente la
società quotata è aperta e protesa ad avere un azionariato ampio, il principio della smobilizzazione
dell’investimento prevale sull’interesse di chiusura. Oltre i limiti legali, le limitazioni alla
circolazione delle azioni possono essere di tipo statutario clausole contenute nello statuto, sono
limiti che vanno condivisi con quorum qualificati, hanno efficacia reale perché opponibili a tutti i
soci e alla società, la società può eccepire il mancato rispetto della clausola e non fare entrare il
nuovo socio, devono essere d’accordo tutti i soci o deve essere raggiunto il quorum dell’assemblea
straordinaria (se vengono inserite dopo la costituzione della società); clausole limitative possono
essere contenute nel patto parasociale contratto tra due o più soci, la stessa clausola che può
essere anche contenuta nello statuto ha in questo efficacia obbligatoria, è opponibile a coloro che
hanno aderito al patto ma non alla società, in caso di violazione gli aderenti al patto dovranno
applicare dei meccanismi risarcitori di natura contrattuale tra gli stessi perché l’efficacia è
obbligatoria, la clausola del patto parasociale non è opponibile alla società.
Ogni azione attribuisce dei diritti e dei poteri che possono avere natura amministrativa (diritti di
voice), di manifestare la propria volontà; patrimoniale, diritto agli utili o alla quota di liquidazione;
natura mista, incorporano una componente di natura amministrativa e una di natura patrimoniale,
ad esempio il diritto di opzione o il diritto di recesso. Le azioni all’interno di una medesima
categoria devono attribuire gli stessi diritti; se con le azioni si vuole creare una nuova categoria,
avremo una categoria speciale che fa riferimento ad un’assemblea speciale, le azioni attribuiranno
dei diritti non perfettamente identici a quelli attributi dalle azioni ordinarie. Si possono creare
diverse categorie di azioni, non c’è più un principio di compensazione della lesione del diritto
amministrativo con un privilegio patrimoniale; l’unica categoria d’azione che mantiene ancora
questo privilegio sono le azioni di risparmio possono essere emesse solo dalle società quotate,
sono istituzionalmente prive del diritto di voto ma istituzionalmente privilegiate.
Le azioni possono essere nominative o al portatore in realtà, le uniche azioni che possono essere
al portatore sono le azioni di risparmio che sono istituzionalmente prive del diritto di voto ma
privilegiate e possono essere emesse solo dalle aziende quotate.
In sintesi: le azioni all’interno della stessa categoria sono identiche e conferiscono ai loro
possessori identici diritti; si tratta di un’uguaglianza non assoluta ma relativa posso creare
categorie speciali di azioni purché all’interno della medesima categoria siano identiche, e
oggettiva è vero che azioni della stessa categoria conferiscono medesimi diritti, ma è anche vero
che alcuni diritti si possono esercitare solo se si possiede un certo numero di azioni.
La cosa importante è che ogni azione è perfettamente autonoma dalle altre: il socio di S.p.A. è
titolare autonomamente di tante azioni quante ne detiene e, salvo che agisca in conflitto di
interesse, non è tenuto ad agire con tutte le azioni ma può predeterminare con quante e quali
azioni esercitare i propri diritti; il socio non può agire in modo contraddittorio, ad esempio votare
contro e a favore di una stessa delibera perché costituirebbe malafede. Con il limite del voto
divergente, il soggetto che detiene un pacchetto azionario è idealmente titolare di tante azioni
quante ne detiene e non è detto che agisca nello stesso modo con tutte.
In sintesi: le azioni sono l’unità minima di partecipazione al capitale sociale, sono omogenee e
standardizzate, tendenzialmente liberamente trasferibili, circolano secondo la disciplina dei
titoli di credito, sono indivisibili se due o più soggetti sono contitolari di un’azione, si instaura
una comunione. Chi detiene delle azioni acquisisce uguali diritti amministrativi, patrimoniali o
misti; l’uguaglianza è relativa e oggettiva.
 Titoli azionari
L’emissione del titolo azionario (cartaceo) non è obbligatoria: si può anche decidere di non
emettere il titolo azionario e quindi i trasferimenti avverranno con l’annotazione al libro soci
secondo la disciplina dei contratti, nelle società chiuse; non è possibile avere l’emissione del titolo
azionario nel mercato regolamentato dove c’è la dematerializzazione obbligatoria, nelle società
quotate e aperte. Il titolo azionario circola secondo la disciplina dei titoli di credito, si possono
avere dei vantaggi nella modalità di circolazione del titolo se il titolo stesso è emesso.
Il Codice civile, all’articolo 2354 (non ha mai subito modifiche), ci dice che i titoli possono essere
nominativi o al portatore (dà l’anonimato) a scelta del socio, se lo statuto o le leggi speciali non
stabiliscono diversamente. In realtà questa possibilità di scelta in capo al socio non è mai stata
attuata: immediatamente dopo l’entrata in vigore del Codice civile, è entrata in vigore una legge
che ha stabilito la nominatività obbligatoria del titolo azionario. Ad oggi, le uniche azioni di S.p.A.
che sono al portatore sono la categoria delle azioni di risparmio, che possono essere emesse solo
dalle società quotate.
Le azioni di risparmio sono istituzionalmente prive del diritto di voto, sono al portatore e sono
necessariamente privilegiate (oggi il privilegio è rimesso alla discrezionalità della società
emittente): la novità è il fatto che con queste azioni vengono istituzionalizzati gli azionisti
investitori, che non acquistano lo strumento azione perché intendono partecipare alla gestione
della società ma che acquistano le azioni come se fossero un investimento da cui si aspettano un
determinato rendimento; vengono necessariamente privilegiati. Il titolo azionario è nominativo,
con l’eccezione delle azioni di risparmio.
L’articolo 2354 ci dice cosa deve indicare il titolo azionario: denominazione e sede legale (si
intende il comune); data della costituzione della società e iscrizione al RI; valore nominale delle
azioni la riforma del 2003 ha introdotto la possibilità di emettere azioni senza valore nominale, è
l’emittente che decide se emettere azioni con o senza valore nominale (il motivo dell’introduzione
delle azioni senza valore nominale era evitare di dover ricevere, annullare e riemettere tutte le
azioni ogni volta che cambia il valore nominale), però sul titolo bisogna scrivere il numero
complessivo delle azioni emesse e l’ammontare del capitale sociale (annullando totalmente il
beneficio), lo strumento dell’azione senza valore nominale viene meno se è possibile dedurlo dal
rapporto presente sul titolo; ammontare dei versamenti parziali (importante perché c’è solidarietà
nell’obbligazione in caso di cessione di un’azione non interamente liberata per i tre anni
successivi); eventuali diritti e obblighi particolari.
Il titolo azionario è cartaceo, è un foglio in cui si vede l’intestatario, capitale sociale, sede,
iscrizione al registro; è annesso un foglio cedole, che si possono staccare e utilizzare per evitare di
circolare con l’intero foglio; eventuali annotazioni e iscrizioni sul titolo vengono scritte sul retro. Il
fatto di essere cartaceo consente di assimilare un titolo azionario ad un titolo di credito e quindi
applicare analogamente la disciplina dei titoli di credito.
Il valore delle azioni è fisso, è insensibile alle vicende patrimoniali; per avere una modifica bisogna
intervenire sull’atto costitutivo e sullo statuto, oltre che sui titoli che devono essere ritirati,
annullati e riemessi nuovi. Esistono tanti tipi di valore: valore nominale, quello che non varia
perché calcolato in base al capitale sociale; valore reale, si individua con il valore di bilancio,
patrimonio netto/numero delle azioni, ad esempio utilizzato per calcolare il sovraprezzo; valore di
mercato, che è certo se la società è quotata; si può avere un diverso valore del pacchetto di
controllo che sconta il premio di maggioranza, il fatto che con quel pacchetto di azioni si può
esercitare un’influenza sull’assemblea, calcolato sul quorum perché dipende dalla diffusione
dell’azionariato.
Non c’è una regola per la quale deve esserci una proporzionalità tra il conferimento e
l’assegnazione delle azioni, il criterio è derogabile; la regola che non può essere disattesa è che
l’assegnazione non proporzionale è legittima nella misura in cui il valore dei conferimenti non sia
complessivamente inferiore all’ammontare globale del capitale, è fondamentale perché deve
necessariamente esserci un tema di copertura del capitale.
 Categorie speciali di azioni
È possibile creare categorie d’azioni con diritti diversi, a patto che nella categoria speciale di
riferimento le azioni siano tutte omogenee e standardizzate. È evidente che la creazione di una
categoria speciale di azioni comporta una modifica degli assetti societari: c’è una categoria di soci
che hanno interessi non perfettamente coincidenti con gli interessi dei titolari delle azioni
ordinarie, questo determina una modifica dell’organizzazione interna della società. Il legislatore,
quindi, tutela le categorie speciali di azioni verso deliberazioni che siano lesive degli interessi di
categoria, ma non per quelle deliberazioni lesive per tutti i soci: l’assemblea di categoria è tenuta a
deliberare sulle delibere dell’assemblea generale che possano pregiudicare gli interessi di
categoria. La categoria speciale d’azioni funziona attraverso la propria assemblea di categoria: le
categorie speciali hanno la propria assemblea di categoria, per le società non quotate si applicano
le norme della assemblea straordinaria e per le società quotate si applica la disciplina delle azioni
di risparmio.
L’assemblea di categoria, avendo interessi parzialmente non coincidenti con gli interessi generali
degli altri soci, è tenuta a riunirsi; è obbligata a nominare un rappresentante comune che può
intervenire nell’assemblea generale a rappresentanza degli interessi dell’intera categoria speciale,
può impugnare le delibere assunte dall’assemblea generale senza previo consenso dell’assemblea
speciale che siano lesive per gli interessi di categoria; può istituire un piccolo fondo patrimoniale
per la tutela dei propri interessi. Le categorie speciali d’azione erano tipizzate dal legislatore del
’42 il quale le classificava dando delle categorie predeterminate con caratteristiche proprie, c’era
poca autonomia statutaria nella creazione delle categorie speciali d’azioni. La riforma del 2003 è
intervenuta consentendo un’enorme ampiezza di intervento dei soci nella definizione della
categoria speciale di azioni. Ci sono però dei limiti: copertura del capitale; il fatto che le azioni
senza diritto di voto o con voto limitato non possono superare la metà del capitale sociale; divieto
di patto leonino. Nelle società chiuse si ha la facoltà molto ampia di configurare e creare la
categoria speciale d’azione con le caratteristiche che si ritengono più appetibili e utili alla società:
ad esempio, il legislatore dà la possibilità di emettere azioni prive di diritto di voto, a voto limitato
ma non privilegiate, con voto subordinato a condizioni (ad esempio, soglie di fatturato, la
condizione deve essere oggettiva), postergate nelle perdite (che è comunque un beneficio),
correlate (il cui rendimento è correlato ad uno specifico affare). Anteriormente al 2003, uno dei
principi che il legislatore poneva era il principio secondo il quale ad una diminuzione dei diritti
amministrativi doveva corrispondere una maggiorazione dei diritti patrimoniali, sia durante la vita
della società che in sede di liquidazione; ad oggi, questo principio è venuto meno. La riforma del
2003 ha dato la possibilità nelle società chiuse di avere tre tipologie di voti:
1. Azioni con voto limitato ad una misura massima ho delle azioni che votano solo fino ad
una determinata aliquota del patrimonio sociale, l’azione che la superano non hanno
diritto di voice.
2. Azioni con voto scalare ad esempio, il primo 10% delle azioni ho voto pieno, dal 10% al
20% ci vogliono due azioni per un voto, dal 30% in su si perde il diritto di voto.
3. Azioni con voto plurimo fino a 3 voti.
Non è possibile avere azioni con voto plurimo nelle società quotate, in cui ho uno strumento
diverso che è eventualmente il voto maggiorato: si basa su principi totalmente diversi perché non
costituisce una categoria d’azioni lo statuto prevede che venga riconosciuto un voto maggiorato
(fino a due voti) a tutte le azioni, in particolare per tutti gli azionisti di lungo periodo, coloro che
siano azionisti da non me no di 24 mesi; non si crea una categoria d’azione perché questo
privilegio è applicato a tutti. La maggiorazione è introdotta con lo statuto ed è applicata a tutti,
non si vuole privilegiare alcun tipo di gruppo o categoria: semplicemente, per evitare che gli
azionisti compravendano azioni continuamente, viene premiato l’azionista di lungo periodo
attraverso una modifica statutaria che va a beneficio di ogni azione.
 Azioni di risparmio
Sono disciplinate dall’articolo 145 e seguenti del TUF, sono azioni introdotte nel ’74 con la riforma
dei mercati finanziari e l’introduzione della CONSOB; queste istituzionalizzano il fatto che esistono
azionisti risparmiatori, interessati ai profili patrimoniali delle loro azioni.
Possono essere emesse solo dalle società quotate, sono del tutto prive di diritti di voto, sono
necessariamente privilegiate, possono essere emesse al portatore, mantenendo il beneficio
dell’anonimato; può essere prevista la possibilità di conversione ad azione ordinarie. Il privilegio
delle azioni di risparmio è rimesso alla discrezionalità della società emittente.
Questi articoli dettagliano l’organizzazione interna degli azionisti di risparmio, che rappresenta un
modello organizzativo: gli azionisti di risparmio si riuniscono in un’assemblea dedicata, che nomina
un rappresentante comune, portavoce degli interessi di categoria nell’assemblea generale, unico
soggetto legittimato ad intervenire nell’assemblea generale, a bloccare una delibera che sia lesiva
per gli interessi di categoria senza che l’assemblea speciale si sia espressa, ad impugnare
eventualmente la delibera dell’assemblea generale; l’assemblea può dotarsi di un piccolo fondo
patrimoniale.
 Azioni di godimento
Le azioni di godimento sono uno strumento molto importante, utilizzato sia in sede di aumento di
capitale con resti, sia in sede di rimborsi per una riduzione di capitale con resti.
L’azione di godimento è un’azione che viene attribuita a seguito di operazioni sul capitale,
solitamente con resti, in cui al possessore viene rimborsato il valore nominale dell’azione e gli
viene data in più l’azione di godimento la conseguenza è che questo socio ha già avuto il valore
nominale e quindi dovrà esserci una postergazione rispetto agli altri soci in sede di liquidazione
almeno riguardo al nominale.
Le azioni di godimento sono attribuite ai possessori di azioni rimborsate (il rimborsato è il
nominale) in sede di riduzione reale del capitale sociale attuato mediante sorteggio e
annullamento o in caso di aumento del capitale gratuito (a cui non corrisponde un reale aumento
di patrimonio, ma c’è una migrazione di poste) in cui ci siano dei resti i soci sorteggiati a cui sono
annullate le azioni vedranno il rimborso del nominale. Le azioni di godimento non hanno diritto di
voto, di intervento in assemblea o impugnazione (è discusso se attribuiscano diritto di opzione);
essendo azioni per le quali il valore nominale è già stato restituito ai soci, in caso di ripartizione
degli utili o di liquidazione, concorrono agli utili che residuano dopo il pagamento delle azioni non
rimborsate o in caso di liquidazione, dopo che sia stato dato il nominale a tutte le altre.
Quindi: sono azioni che a seguito di operazioni con resti o sorteggi/annullamenti hanno già avuto il
nominale e dato che il valore reale è normalmente maggiore del nominale, viene attribuita anche
l’azione di godimento.
 Azioni a favore dei prestatori di lavoro
Se lo statuto lo prevede, l’assemblea straordinaria può deliberare l’assegnazione straordinaria di
utili ai prestatori di lavoro dipendenti della società o delle sue controllate mediante l’emissione
per l’ammontare corrispondente agli utili stessi di categorie speciali di azioni da assegnare
individualmente ai prestatori di lavoro con norme particolari riguardo alla forma, al modo di
trasferimento e ai diritti spettanti agli azionisti. Lo statuto può prevedere che gli utili siano
assegnati ai lavoratori dipendenti attraverso l’assegnazione di azioni, imputando a capitale sociale
gli utili modifica del capitale sociale con una delibera dell’assemblea straordinaria che imputi gli
utili a capitale sociale, a fronte dell’aumento del capitale sociale emettere una categoria di azioni
da assegnare gratuitamente ai dipendenti, per un valore pari all’ammontare degli utili.
Ovviamente, questo comporta una lesione dei titolari di azioni ordinarie o di categorie speciali, ha
un carattere eccezionale, non viene fatta in modo sistematico e premiale.
Questa modalità è diversa dall’aumento del capitale sociale a pagamento che conosciamo come
piano di stock-option aumento di capitale sociale a pagamento con esclusione totale o parziale
del diritto di opzione spettante al socio per riservare le azioni ai lavorati, può anche essere fatto
senza sovrapprezzo.
 Circolazione delle azioni
Il certificato azionario può essere semplice o multiplo (contiene più azioni in un foglio). Al titolo
azionario è collegato un foglio cedole che consente di esercitare i diritti sociali senza l’esibizione
del titolo.
L’azione, in quanto è uno strumento standardizzato e omogeneo, circola secondo la disciplina più
favorevole dei titoli di credito (e non secondo la disciplina privatista della circolazione del
contratto): la norma che ci interessa ricordare è l’articolo 1994 che sancisce l’autonomia in sede di
circolazione del titolo di credito se il titolo circola correttamente, chi acquista in buona fede il
possesso del titolo non è soggetto a rivendicazione anche qualora il dante causa non avesse la
piena titolarità del titolo, questo dà un enorme vantaggio in termini di certezza del diritto. Esistono
delle eccezioni reali e delle eccezioni personali (nominali) secondo la disciplina dei titoli di
credito, io non posso opporre le eccezioni personali e cioè se acquisto in buona bene, acquisto
correttamente il titolo; posso però eccepire le eccezioni reali, cioè le eccezioni di forma, le
eccezioni di letteralità, eccezione di falsità della firma e di difetto di capacità.
Nella circolazione delle azioni, la società può opporre erga omnes:
 i vizi del procedimento di creazione delle azioni (azioni false);
 intervenuto annullamento del titolo non risultante dal documento c’è una delibera in cui
io avevo annullato quelle azioni e quelle azioni hanno continuato a circolare;
 versamenti ancora dovuti non risultanti dal titolo;
 limitazioni alla circolazione delle azioni non risultanti dal titolo.
Perché posso opporre queste eccezioni? Perché il titolo azionario è un titolo di credito causale a
letteralità incompleta in generale, i titoli di credito possono essere o causali o astratti.
Un titolo è causale quando viene emesso in base ad una specifica causanel caso delle azioni, la
causa è la partecipazione alla società; esistono titoli di credito a letteralità incompleta o completa,
non può essere emessa con motivo astratto ma solo come quota di partecipazione sociale nel
titolo di credito a letteralità completa, tutto ciò che devo sapere è iscritto sul titolo, il titolo mi dice
tutto ciò che devo sapere, è il più sicuro di tutti, se una cosa non è iscritta lì non c’è bisogno di
saperlo.
Il titolo di credito azione è un titolo di credito causale e a letteralità incompleta, perché le
informazioni presenti sul titolo vanno integrate con altre fonti e cioè atto costitutivo, statuto e
delibere dell’assemblea. Essendo un titolo di credito a letteralità incompleta, ci sono delle eccezioni
che la società può opporre anche se non risultano dal titolo: in particolare, i punti sopra sono
eccepibili dalla società anche se non presenti sul titolo azionario cartaceo, che va integrato con
altre fonti (valgono le altre fonti e non quello che c’è scritto sul titolo). Queste regole sono la
conseguenza che il titolo di credito azione è un titolo di credito a letteralità incompleta.
Le azioni, ove siano emesse in modo cartaceo, sono soggette ad una doppia intestazione: è
necessario modificare l’intestazione del proprietario del titolo sul titolo stesso e anche sul libro
soci. Esistono due tipi di modi per far circolare le azioni:
1. Transfer prevede che la doppia intestazione, sul titolo e sul libro, sia modificata
contestualmente sotto la cura e la responsabilità dell’emittente. È necessario che,
contestualmente, siano presenti dinanzi al notaio che ne accerta la legittimazione,
l’acquirente, l’alienante, il legale rappresentante dell’emittente con il titolo e col libro soci.
È più oneroso in termini di soggetti coinvolti e organizzazione rispetto al secondo tipo di
modalità di trasferimento.
2. Girata molto più utilizzato. La girata è soggetta ad autentica notarile ma non richiede la
contestuale annotazione al libro soci; non richiede l’intervento della società emittente,
alienante e acquirente si accordano e gira l’azione. Gli amministratori hanno l’onere di
aggiornare il libro soci la prima volta che l’acquirente eserciti un diritto sociale; medio
tempore, il titolare può rigirare il titolo ad un nuovo soggetto senza che ci sia stata
un’annotazione sul libro soci. La girata è la notazione fatta da soggetti diversi in tempi
diversi sul titolo dall’alienante e sul libro soci dopo l’esercizio dei diritti sociali; medio
tempore il titolo può circolare. Il giratario possessore in base ad una serie continua di girate
è legittimato all’esercizio di tutti i diritti sociali. La circolazione è molto agevole.
La dematerializzazione affida la circolazione dei titoli ad un sistema di registrazioni contabili che
registra ogni passaggio, la circolazione è basata proprio sulle registrazioni contabili. Non c’è il
foglio cedole: anche l’attribuzione dei diritti è dato tramite rilascio di una certificazione da parte
del titolare del sistema di gestione accentrata, Monte Titoli S.p.A., sotto la vigilanza della CONSOB,
Banca Italiana e Borsa Italiana S.p.A.
 I vincoli sulle azioni
Le azioni possono essere oggetto di vincoli: pegno, usufrutto, azioni esecutive (sequestro
giudiziario, sequestro conservativo, pignoramento).
 Chi è legittimato ad esercitare i diritti amministrativi, patrimoniali e misti che riguardato
l’azione oggetto di vincolo? Ce lo dice in modo analitico l’articolo 2352: il diritto di voto deve
essere esercitato dal titolare del vincolo, e quindi dal creditore pignoratizio, dall’usufruttuario
e dal custode, può essere esercitato senza ledere i diritti del socio, secondo il principio di
correttezza e in buona fede, secondo uno spirito che è quello di tutelare la propria garanzia
senza ledere i diritti del socio; gli altri diritti amministrativi si ritiene possano essere esercitati
disgiuntamente.
 Chi può esercitare il diritto di opzione?
1. Il diritto di opzione si applica in caso di aumento di capitale a pagamento e quindi, in
questo caso spetta al socio; in caso di mancato esercizio del diritto d’opzione, questo può
essere ceduto il legislatore deve tutelare il proprietario del vincolo in caso di mancato
esercizio: quindi, è previsto che il diritto d’opzione spetta al socio, ma in caso di mancato
esercizio del diritto d’opzione almeno tre giorni prima della scadenza, il titolare del vincolo
può vendere il diritto e monetizzare il suo valore (perché non solo deve essere esercitato il
diritto ma entro tre giorni prima per rendere sicuro che all’esercizio consegua il versamento
si prevede che il socio debba esercitarlo e anche versare l’importo corrispondente).
2. In caso di aumento di capitale gratuito, non c’è un esborso monetario ma c’è una
migrazione di poste da imputare a capitale sociale (a livello di patrimonio netto non ho
nessuna variazione), semplicemente la società delibera di aumentare il capitale sociale
aumentando il valore nominale delle azioni o assegnando delle azioni in proporzione alle
azioni detenute ma comunque utilizzando poste che sono già nella disponibilità della
società il legislatore ritiene che le azioni emesse a fronte di aumento di capitale gratuito
siano soggette a vincolo.
3. Un’ulteriore fattispecie è quella delle azioni emesse ma non interamente liberate (le azioni
con conferimento in denaro possono non essere immediatamente liberate, c’è un obbligo
di versamento del 25%, gli amministratori possono poi richiamare i decimi residui): in caso
di richiamo dei decimi residui da parte degli amministratori, il legislatore si chiede chi
debba versare questo ammontare di denaro
- in caso di pegno è il socio che è tenuto al versamento dei decimi residui;
- in caso di usufrutto, è l’usufruttuario a dover provvedere al versamento dei decimi
residui salvo ristoro alla fine dell’usufrutto stesso, con ripetizione al termine
dell’usufrutto stesso.
- nel caso dell’azione esecutiva, sarà il giudice a determinare caso per caso la fattispecie
perché è possibile che non ci siano gli estremi per la sottoscrizione e che quindi il
giudice opti per soluzioni alternative.
*****
Articolo 2352 nel caso di pegno o usufrutto sulle azioni, il diritto di voto spetta, salvo
convenzione contraria, o al creditore pignoratizio o all’usufruttuario; in caso di sequestro, il diritto
di voto spetta al custode.
Il diritto di opzione spetta al socio; qualora il socio non provveda almeno tre giorni prima della
scadenza al versamento delle somme necessarie per l’esercizio del diritto d’opzione e qualora gli
altri soci non si offrano di acquistarlo, il diritto d’opzione può essere venduto dal titolare del
vincolo.
Nel caso di aumento gratuito di capitale sociale, il pegno, l’usufrutto e il sequestro di estendono
alle nuove azioni. Se sono richiesti versamenti sulle azioni, nel caso di pegno, il socio deve
provvedere al versamento delle somme necessarie almeno tre giorni prima della scadenza; in
mancanza il creditore pignoratizio può vendere le azioni nel modo stabilito dal secondo comma del
presente articolo. Nel caso di usufrutto, l'usufruttuario deve provvedere al versamento, salvo il suo
diritto alla restituzione al termine dell'usufrutto.
Salvo che dal titolo o dal provvedimento del giudice risulti diversamente, i diritti amministrativi
diversi da quelli previsti nel presente articolo spettano, nel caso di pegno o di usufrutto, sia al socio
sia al creditore pignoratizio o all'usufruttuario; nel caso di sequestro sono esercitati dal custode.
*****
 Limiti alla circolazione delle azioni
I limiti alla circolazione delle azioni sono di tre nature diverse: ci sono i limiti legali, quelli posti
dalla legge; limiti statutari, introdotti nello statuto, valgono per tutti i soci indipendentemente dal
fatto che abbiano acconsentito o meno all’introduzione dei limiti, sono opponibili alla società
perché hanno efficacia reale; sindacati di blocco, limiti parasociali, non sono inseriti nello statuto
ma in un patto parasociale e hanno quindi efficacia obbligatoria.
 I limiti legali sono molto pochi: 1. limiti alla circolazione delle azioni che incorporano una
prestazione accessoria, di opera o servizi, che rende molto personalizzata l’azione, la
prestazione accessoria circola con l’azione; 2. azioni liberate mediante conferimento in natura,
quando conferisco un bene in natura deve esserci una relazione di stima del bene conferito e
nei 180 giorni successivi in cui gli amministratori devono verificare la correttezza della stima le
azioni devono rimanere depositate presso la sede legale.
 Gli altri limiti sono dei limiti che sono tipizzati dall’articolo 2355 bis, sono degli esempi delle
clausole più tipiche, quelle che ricorrono più frequentemente ed estremamente per cercare di
chiudere la società: sono esempi nel senso che, salvo blocco totale della circolazione delle
azioni per 5 anni (ritenuto il tetto massimo), le altre clausole possono essere variate. Per lungo
tempo si era vietata la possibilità di avere un blocco totale alla circolazione delle azioni, la
dottrina riteneva che per la struttura stessa della S.p.A. non ci potesse essere un completo
divieto dell’alienazione; con il TUF si è dato alle società di neo-quotazione la possibilità di avere
un periodo in cui non si potevano vendere i titoli fino a 2 anni, introducendo così il principio di
legittima del blocco totale della circolazione. La riforma societaria del 2003 ha introdotto
l’articolo 2355 bis:
- Sono valide tutte le clausole che introducono il blocco totale della circolazione delle
azioni purché non superi 5 anni. Analogicamente, si applica un principio sviluppato in
tema di patti parasociali: se c’è un termine individuato ma di durata tanto lunga da
superare la vita dell’uomo, si reputa di durata indeterminata; se dovesse esserci un
termine individuato ma superiore a 5 anni, il termine si ridurrebbe automaticamente al
termine massimo consentito.
- La clausola di prelazione è sempre stata ritenuta valida, è molto frequente: prevede che
in caso di cessione della propria partecipazione, la volontà di cessione deve essere
comunicata agli altri soci offrendo loro la possibilità di acquistare la propria
partecipazione al prezzo a cui l’avrebbe venduta ad un terzo; se i soci non esercitano
l’opzione, bisogna veramente venderla a terzi e dimostrare ai soci di non aver agito
fraudolentemente. Per evitare che ci sia un abuso del prezzo di cessione delle azioni,
sono legittime anche le clausole di prelazione impropria, in cui il prezzo è stabilito
tramite un terzo arbitratore.
- Da sempre ritenute legittime sono anche le clausole di gradimento: sono clausole che
subordinano l’ingresso nella società all’esistenza di determinati requisiti oggettivi in
capo all’acquirente. La clausola di gradimento subordina il gradimento a coloro i quali
detengano determinati requisiti oggettivi. Sono state considerate per anni illegittime
dalla dottrina e dalla giurisprudenza le clausole di mero gradimento: le clausole che
rimettono ad un placet indiscriminato o requisiti non oggettivi e verificabili l’assenso
all’ingresso nella compagine sociale. Di fatto sono state ritenute per anni illegittime
perché imprigionano il socio nella società: il legislatore ha stabilito che sono legittime
purché si accompagnino ad un meccanismo che garantisca al socio a cui sia stato
negato il gradimento di uscire dalla società, ad esempio abbinando una clausola di
riscatto che imponga ai soci e alla società di acquistare le sue azioni, solitamente ad un
prezzo che è quello determinato in caso di diritto di recesso (prezzo abbastanza vicino
al valore di mercato delle azioni).
L’introduzione o la rimozione di clausole di limitazione alla circolazione delle azioni nello statuto
dà diritto di recesso ai soci che non abbiano concorso all’approvazione della deliberazione. Tutte
queste clausole sono legittime alle condizioni imposte dal legislatore per far si che il socio non resti
prigioniero della società. Queste clausole sono valide anche per i trasferimenti mortis causa.
*****
Articolo 2355 bis Nel caso di azioni nominative ed in quello di mancata emissione dei titoli
azionari, lo statuto può sottoporre a particolari condizioni il loro trasferimento e può, per un
periodo non superiore a cinque anni dalla costituzione della società o dal momento in cui il divieto
viene introdotto, vietarne il trasferimento.
Le clausole dello statuto che subordinano il trasferimento delle azioni al mero gradimento di
organi sociali o di altri soci sono inefficaci se non prevedono, a carico della società o degli altri soci,
un obbligo di acquisto oppure il diritto di recesso dell'alienante; resta ferma l'applicazione
dell'articolo 2357 (diritto di recesso). Il corrispettivo dell'acquisto o rispettivamente la quota di
liquidazione sono determinati secondo le modalità e nella misura previste dall'articolo 2437 ter.
La disposizione del precedente comma si applica in ogni ipotesi di clausole che sottopongono a
particolari condizioni il trasferimento a causa di morte delle azioni, salvo che sia previsto il
gradimento e questo sia concesso.
Le limitazioni al trasferimento delle azioni devono risultare dal titolo.
*****
 Operazioni sulle proprie azioni
Le fattispecie sono: sottoscrizione, acquisto e altre operazioni.
 Qual è il rischio che si corre nelle operazioni sulle proprie azioni? Il rischio è quello di
consentire surrettiziamente una restituzione dei conferimenti, uno svuotamento del
patrimonio che non emerge invece dall’ammontare del capitale sociale: il capitale sociale
resta invariato o addirittura aumentato, ma non consegue un aumento patrimoniale
corrispondente oppure il capitale è di fatto restituito ai soci senza che consegua una
riduzione dl capitale stesso il rischio è che ci sia uno svuotamento patrimoniale senza
che emerga dal capitale sociale, che resta invariato.
Per questo motivo, l’articolo 2357 quater impone un divieto totale di sottoscrizione delle
proprie azioni, salvo quanto previsto dall’articolo 2357 ter: la sanzione non è la nullità della
sottoscrizione ma le azioni sottoscritte in violazione di questa norma si intendono
sottoscritte e devono essere liberate da chi ha violato il divieto, amministratori o terzi che
abbiano agito in nome e per conto della società.
 Quali sono i rischi che si corrono nell’acquisto di azioni proprie? L’acquisto espone
potenzialmente agli stessi rischi della sottoscrizione di azioni proprie, ma in presenza di
determinate condizioni si ritiene legittimo. I rischi legati all’acquisto di azioni proprie sono
sostanzialmente due: 1. se uso fondi indisponibili creo lo stesso effetto della sottoscrizione,
attuo di fatto una restituzione di capitale surrettizia, se utilizzo delle poste che potrei
restituire i soci e le imputo a capitale sociale, annullo il rischio sopra detto; 2. l’altro rischio
è dal punto di vista della concentrazione del diritto di voto nelle mani degli amministratori,
i quali potrebbero essere inclini ad acquistare azioni proprie per poter esercitare
determinati diritti e quindi acquisire un potere proprio di influenza assembleare.
Il legislatore dice che le azioni proprie possono essere acquistate, con alcuni limiti, ma non
possono deciderlo gli amministratori in modo autonomo: la decisione di acquistare azioni
proprie deve necessariamente passare per l’assemblea che deve autorizzare l’acquisto di
azioni proprie e deve anche predeterminare le modalità, in particolare la durata che deve
essere inferiore a 18 mesi e se possibile, anche il range di prezzo a cui queste azioni devono
essere acquistate.
Le azioni devono essere necessariamente interamente liberate, per la parte non liberata si
otterrebbe l’effetto della sottoscrizione; le poste che possono essere utilizzate per
l’acquisto di azioni proprie sono solo ed esclusivamente poste disponibili, quali utili
distribuibili e riserve disponibili, poste che i soci avrebbero diritto a ricevere e potrebbero
riceve anche in quel momento.
Dal punto di vista amministrativo, per evitare che gli amministratori siano propensi
all’acquisto di azioni proprie per avere più potere, il legislatore dispone che gli
amministratori non possano disporre di queste azioni senza l’approvazione dell’assemblea
e che siano congelati tutti i diritti amministrativi e patrimoniali: il diritto d’opzione e il
diritto agli utili sono spalmati proporzionalmente sulle altre azioni; il diritto di voto è
sospeso ma si computano le azioni proprie nei quorum costitutivi e nelle società chiuse
anche nei quorum deliberativi.
 Altre operazioni il tema giuridico è se sia legittimo che la società emittente fornisca
prestiti o garanzie per l’acquisto delle proprie azioni. È stato un tema per anni molto
osteggiato dalla dottrina che lo riteneva illegittimo per il rischio di completa
depauperazione della target. Il legislatore della riforma ha modificato l’artico 2358 e dà la
possibilità di accordare prestiti, sia direttamente o indirettamente, o fornire garanzie per
l’acquisto delle proprie azioni purché sia autorizzato dall’assemblea della società target, sia
dettagliatamente illustrato in una relazione degli amministratori l’utilità e la sostenibilità
della concessione del prestito/garanzia, l’importo non ecceda l’ammontare delle poste
disponibili (utili distribuibili e riserve disponibili), non si accettino come garanzie azioni
proprie. Inoltre, prima di concedere la garanzia deve essere valutato il merito di credito
della controparte, anche da una società di revisione.
*****
Articolo 2357 La società non può acquistare azioni proprie se non nei limiti degli utili distribuibili
e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio regolarmente approvato. Possono essere
acquistate soltanto azioni interamente liberate.
L'acquisto deve essere autorizzato dall'assemblea, la quale ne fissa le modalità, indicando in
particolare il numero massimo di azioni da acquistare, la durata, non superiore ai diciotto mesi,
per la quale l'autorizzazione è accordata, il corrispettivo minimo ed il corrispettivo massimo.
Gli amministratori non possono disporre delle azioni acquistate a norma dei due articoli
precedenti se non previa autorizzazione dell'assemblea, la quale deve stabilire le relative modalità.
A tal fine possono essere previste, nei limiti stabiliti dal primo e secondo comma dell'articolo 2357,
operazioni successive di acquisto ed alienazione.
Finché le azioni restano in proprietà della società, il diritto agli utili e il diritto di opzione sono
attribuiti proporzionalmente alle altre azioni. Il diritto di voto è sospeso, ma le azioni proprie sono
tuttavia computate ai fini del calcolo delle maggioranze e delle quote richieste per la costituzione e
per le deliberazioni dell'assemblea. Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di
rischio il computo delle azioni proprie è disciplinato dall'articolo 2368, terzo comma.
Una riserva indisponibile di importo pari alle azioni proprie acquistate è iscritta a bilancio.
Articolo 2358 La società non può, direttamente o indirettamente, accordare prestiti, né fornire
garanzie per l'acquisto o la sottoscrizione delle proprie azioni, se non alle condizioni previste dal
presente articolo.
Tali operazioni sono preventivamente autorizzate dall'assemblea straordinaria.
Gli amministratori della società predispongono una relazione che illustri, sotto il profilo giuridico
ed economico, l'operazione, descrivendone le condizioni, evidenziando le ragioni e gli obiettivi
imprenditoriali che la giustificano, lo specifico interesse che l'operazione presenta per la società, i
rischi che essa comporta per la liquidità e la solvibilità della società ed indicando il prezzo al quale
il terzo acquisirà le azioni. Nella relazione gli amministratori attestano altresì che l'operazione ha
luogo a condizioni di mercato, in particolare per quanto riguarda le garanzie prestate e il tasso di
interesse praticato per il rimborso del finanziamento, e che il merito di credito della controparte è
stato debitamente valutato. La relazione è depositata presso la sede della società durante i trenta
giorni che precedono l'assemblea. Il verbale dell'assemblea, corredato dalla relazione degli
amministratori, è depositato entro trenta giorni per l'iscrizione nel registro delle imprese.
Qualora la società accordi prestiti o fornisca garanzie per l'acquisto o la sottoscrizione delle azioni
proprie a singoli amministratori della società o della controllante o alla stessa controllante ovvero
a terzi che agiscono in nome proprio e per conto dei predetti soggetti, la relazione di cui al terzo
comma attesta altresì che l'operazione realizza al meglio l'interesse della società.
*****
 Partecipazioni reciproche
La sottoscrizione di partecipazioni reciproche è sempre vietata perché crea inevitabilmente un
aumento del capitale sociale senza che ci sia alcun aumento del patrimonio della società: se A
sottoscrive le azioni di B per 100 e B sottoscrive le azioni di A per 100, il capitale sociale aumenta di
100 ma il debito reciproco fa in modo che non ci sia nessun apporto. Se le azioni non sono quotate
e non c’è un rapporto di controllo, l’acquisto di azioni proprie può essere legittimo.
La sanzione non è la nullità, ma la responsabilità di chi ha sottoscritto: si intendono sottoscritte ma
sono imputate agli amministratori o ai terzi che hanno sottoscritto in nome e per conto della
società, sono obbligati ad effettuare i conferimenti.
L’acquisto è comunque pericoloso perché determina o può determinare un rimborso indiretto dei
conferimenti e quindi il fenomeno dello svuotamento patrimoniale senza che ciò emerga
dall’ammontare di capitale sociale. Si distinguono diverse fattispecie, in particolare la disciplina è
totalmente diversa tra le società quotate e le società non quotate, nell’ambito delle quali dal fatto
che ci sia o meno un rapporto di controllo.
1. Se le società sono chiuse e non c’è rapporto di controllo, l’acquisto è legittimo.
2. Se le società sono chiuse ma c’è rapporto di controllo, avendo la controllante la possibilità
di influenzare la controllata, si applicano le stesse limitazioni come se fosse l’acquisto di
azioni proprie, limiti qualitativi e quantitativi dell’acquisto di azioni proprie.
3. Se non c’è rapporto di controllo ma almeno una delle due società è quotata, si applica
l’articolo 120 e 121 del TUF si applicano dei limiti alle partecipazioni reciproche che sono
i limiti delle comunicazioni delle partecipazioni rilevanti. Le partecipazioni reciproche non
possono eccedere il 3% o il 5% nel caso di medie-piccole imprese; le soglie sono elevabili
rispettivamente al 5% e 10% se c’è accordo tra le parti.
4. Se entrambe le società sono quotate, si applica la disciplina del TUF prendo come soglia
che non posso superare la soglia della comunicazione delle partecipazioni rilevanti.
Superata quella soglia si ha il congelamento dei diritti amministrativi e patrimoniali per
l’ammontare eccedente alla soglia massima prevista, in capo alla società che ha superato la
soglia per ultima; se non si è in grado di stabilire chi sia l’ultima, applico il congelamento ad
entrambe.
La società emittente che ha superato la soglia per seconda si vede per l’ammontare
eccedente quello consentito, congelare il diritto di voto; se non si può stabilire quale delle
due abbia superato la soglia per ultima, il diritto di voto sarà congelato ad entrambe.
Oltre al congelamento, c’è un obbligo di alienazione dell’ammontare eccedente nei 12 mesi
successivi: se la società contravviene all’obbligo di alienazione, il congelamento si applica a
tutta la partecipazione.
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Articolo 2360 È vietato alle società di costituire o di aumentare il capitale mediante
sottoscrizione reciproca di azioni, anche per tramite di società fiduciaria o per interposta persona.
*****

OBBLIGAZIONI
Le obbligazioni sono titoli di credito che rappresentano delle frazioni omogenee di un’unitaria
operazione a titolo di mutuo: l’obbligazionista non partecipa al capitale sociale e al rischio di
impresa, ma sottoscrive una operazione di finanziamento a titolo di mutuo.
Le obbligazioni si caratterizzano per essere omogenee e standardizzate all’interno della stessa
categoria, sono titoli di massa che conferiscono medesimi diritti e che hanno medesimo valore
nominale (quantomeno nell’ambito della medesima categoria), possono essere nominative o al
portatore, la funzione delle obbligazioni è quella di raccogliere capitale di prestito.
L’obbligazionista presta un determinato ammontare alla società e avrà il diritto, al termine del
prestito obbligazionario, a vedersi restituita la quota che ha dato a titolo di finanziamento e a
medio tempore a vedersi riconosciuti degli interessi: l’obbligazionista è a tutti gli effetti un
creditore della società; l’apporto non è imputabile a capitale sociale ma è dato a titolo di mutuo; la
restituzione del finanziamento avviene al termine del prestito obbligazionario ed è indipendente
dall’andamento della società; tendenzialmente, è indipendente anche il tasso di interesse ma è
possibile che la società intenda legare la remunerazione periodica fissa (interessi) ad alcuni
indici obbligazioni indicizzate a indici di borsa, a rendimenti di più società o al rendimento medio
di mercato; obbligazioni partecipanti collegate al rendimento della società emittente; obbligazioni
collegate a valute estere; obbligazioni il cui rendimento subisce alterazioni al verificarsi o meno di
condizioni non meramente potestativa; l’interesse può essere quello di dare stabilità
all0obbligazione stessa o renderla più redditizia.
Interessanti sono le obbligazioni convertibili e con warrant: queste due tipi di obbligazioni danno la
possibilità di convertire o sottoscrivere azioni e quindi danno la possibilità di diventare soci della
società e a quel punto trasformare l’apporto dato a titolo di mutuo in un conferimento che è
assoggettato al vincolo di indisponibilità del patrimonio netto e che soggiace alla sorte della vita
sociale.
L’obbligazione convertibile offre all’obbligazionista di convertire le obbligazioni in azioni, secondo
un predeterminato rapporto di cambio: in caso di conversione, per quelle obbligazioni per cui si
esercita la conversione, si cessa di essere obbligazionisti e si diventa azionisti questo comporta
che all’emissione del prestito obbligazione, la società deliberi anche un aumento di capitale a
servizio della conversione precostituendo la possibilità di convertire effettivamente l’obbligazione.
L’obbligazione cum warrant dà la possibilità, a certo tempo data, di sottoscrivere un aumento di
capitale a pagamento riservato, senza imputare a capitale sociale quello che si è conferito a titolo
di mutuo: l’obbligazione resta in vita ma si ha la possibilità di sottoscrivere secondo un
determinato rapporto un aumento di capitale a pagamento determinato previamente a servizio
dell’esercizio del warrant.
La differenza è che nel primo caso, a seguito della conversione, io cesso di essere obbligazionista e
divento socio, almeno per le obbligazioni per cui ho convertito; nel warrant mi viene data la
possibilità di sottoscrivere il capitale sociale ma non cesso di essere obbligazionista, al più divento
al contempo obbligazionista e azionista.
 Obbligazioni vs azioni
L’azionista è socio, l’obbligazionista è creditore: il titolare degli strumenti finanziari partecipativi è
una via di mezzo, dà un apporto che non è dato a titolo di mutuo ma non acquista la qualità di
socio, un apporto che è imputato a patrimonio ma non a capitale sociale, un apporto che gli dà
alcuni diritti amministrativi e patrimoniali ma mai il diritto di voto pieno.
L’azionista ha diritti partecipativi, l’obbligazionista no; l’azionista non ha alcuna certezza di vedersi
corrisposto il rimborso del conferimento, mentre l’obbligazionista ha la certezza del rimborso alla
scadenza del prestito obbligazionario; l’azionista non ha alcuna certezza di vedersi distribuiti gli
utili, l’obbligazionista ha la certezza di ricevere una remunerazione fissa che è il tasso d’interesse
convenuto.
 Emissione e limiti
La delibera di emettere obbligazioni non è più in capo all’assemblea ma, dalla riforma del diritto
societario, compete agli amministratori, la delibera va assunta sotto forma notarile come se fosse
una delibera dell’assemblea straordinaria; l’ammontare di obbligazioni emesse deve risultare dal
libro delle obbligazioni.
C’è un limite all’emissione delle azioni: la società non può emettere obbligazioni per una somma
eccedente il doppio del capitale sociale sottoscritto più la riserva legale e le eventuali riserve
disponibili risultanti dall’ultimo bilancio approvato questo rapporto deve permanere per tutta la
durata del prestito. A livello dell’autonomia sul capitale, questo vincolo comporta che non si potrà
avere una riduzione volontaria di capitale se, dopo che si sia ridotto il capitale, non sia più
rispettato il rapporto con gli eventuali prestiti obbligazionari emessi. In caso di riduzione di capitale
per perdite o di aumento di capitale sociale gratuito, ci sarà eventualmente un ricalcolo del
rapporto di cambio, se siano state emesse obbligazioni convertibili.
Esistono dei casi tipizzati dal legislatore in cui si può eccedere questo limite, sono i seguenti:
 Se le obbligazioni sono sottoscritte da investitori professionali soggetti a vigilanza
prudenziale che nel successivo ricollocamento dell’obbligazione si impegnino a ricollocarla
o presso investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale o a garantire della
solvenza dell’emittente.
 Se c’è una garanzia immobiliare, garantita da ipoteca su due terzi del valore dell’immobile.
 Se le obbligazioni sono quotate sul mercato regolamentato.
 Se c’è una specifica autorizzazione dall’autorità governativa per preminenti ragioni di
economia nazionale.
 Non vale il divieto per le obbligazioni convertibili e cum warrant.
In tutti questi casi, il limite del doppio del capitale sociale più tutte le riserve disponibili e della
riserva legale, può essere superato.
Non è possibile deliberare una riduzione di capitale facoltativa che prevede una restituzione reale
dei conferimenti o una liberazione dei conferimenti promessi; sarà invece possibile deliberare una
riduzione per perdite che è una riduzione nominale, la perdita c’è già stata, si va solo ad adeguare
il capitale sociale alla perdita che è già intervenuta il legislatore prevede che sia possibile ma che
non si potranno distribuire utili finché non si sia riequilibrato il rapporto tra il capitale sociale più le
riserve e l’ammontare delle obbligazioni in circolazione.
 Organizzazione degli obbligazionisti
La decisione di emettere un prestito obbligazionario è rimessa agli amministratori che dovranno
adottarla con le ritualità tipiche dell’assemblea straordinaria (verbalizzazione notarile) e
ovviamente ci sarà un’organizzazione del gruppo degli azionisti.
In particolare, gli obbligazionisti si articolano in una propria assemblea e nominano un
rappresentante comune, ci sarà un libro obbligazioni in cui sono segnati tutti gli obbligazionisti. Il
ruolo del rappresentante comune è molto simile a quello del rappresentante comune delle azioni
di risparmio. La funzione è quella di avere nella società una compagine che abbia diritti diversi e
che quindi si raccoglie in una propria assemblea dedicata e nomina un rappresentante comune, il
solo legittimato a tutelare gli interessi di categoria e a rappresentarli nell’assemblea generale dei
soci.
L’assemblea degli obbligazionisti delibera nelle seguenti materie: nomina e revoca rappresentante
comune, modificazioni delle condizioni del prestito, proposta di amministrazione controllata e di
concordato, costituzione di un fondo proprio, oggetti d’interesse comune degli obbligazionisti.
Il rappresentante comune è un soggetto che non necessariamente è obbligazionista e che ha la
funzione di essere rappresentante degli interessi di categoria; non possono essere nominati come
rappresentanti comuni gli amministratori, i sindaci e dipendenti della società debitrice e coloro che
si trovano nelle condizioni di incompatibilità.
 Obbligazioni convertibili
Le obbligazioni convertibili non hanno limiti all’emissione; nel momento in cui si emette un
prestito obbligazionario convertibile o con warrant, c’è la necessità di adottare contestualmente
una delibera di aumento di capitale a servizio della conversione un presupposto per poter
emettere un prestito obbligazionario convertibile sarà che il capitale sia interamente versato,
perché si applica una regola sull’aumento di capitale secondo cui non si può deliberare un
aumento di capitale successivo finché il precedente non è interamente versato.
Quindi, per emettere un prestito obbligazionario convertibile sarà necessario avere due delibere:
una degli amministratori che emette il prestito obbligazionario convertibile; una dell’assemblea
straordinario che aumenta il capitale sociale a servizio della conversione stabilendo un rapporto di
cambio che potrà subire modifiche nel corso della vita della società ove la società subisca
modifiche nel capitale.
Le obbligazioni convertibili attribuiscono il diritto di conversione, solitamente, in azioni della
società emittente ma è possibile anche stabilire che il diritto di conversione si eserciti a favore di
azioni di altre società, che dovranno deliberare un aumento di capitale a servizio della
conversione.
In sede di emissione delle obbligazioni devono essere rispettate tutte le norme sull’aumento di
capitale a pagamento, tra cui quella che i precedenti aumenti devono essere interamente versati:
deve essere assunta una contestuale delibera di aumento di capitale sociale, rispetto del diritto
d’opzione, capitale sociale interamente versato, non si possono emettere sotto la pari, emissione
di competenza dell’assemblea straordinaria.
Il titolare dell’obbligazione convertibile deve godere del diritto d’opzione nella misura in cui si
applica il rapporto di cambio; possono esercitare il diritto di opzione antecedentemente
all’esercizio del proprio diritto di conversione.

ASSEMBLEA
Nelle S.p.A. sono presenti tre organi sociali:
1. Assemblea dei soci organo con funzioni deliberative circoscritte a determinate materie
stabilite dal Codice civile, riguardano alle decisioni di maggior rilievo della società.
2. Organo amministrativo organo deputato a gestire l’impresa sociale, ha ampi poteri che
si distinguono in poteri di ordinaria/straordinaria amministrazione, ha la rappresentanza
legale della società.
3. Organo di controllo interno organo di controllo sull’attività svolta dagli amministratori, e
quindi dall’organo gestorio, controllo a favore dei soci, funziona come vigilante sulle
operazioni svolte dall’organo amministrativo.
La revisione legale dei conti con la riforma del 2003 è stata demandata ad un organo esterno:
viene nominata una società di revisione o un revisore che svolge l’attività di controllo legale dei
conti.
Nella S.p.A. sono presenti tre sistemi di controllo e amministrazione:
1. Sistema tradizionale prevede quali organi sociali l’assemblea dei soci, l’organo
amministrativo (o un CdA o un amministratore unico) e il collegio sindacale-
2. Sistema monistico controllo contabile esterno, l’amministrazione e il controllo sono
esercitati rispettivamente dal CdA nominato dall’assemblea e da un comitato per il
controllo sulla gestione (costituito all’interno del CdA, che deve avere requisiti di
indipendenza e professionalità che ne giustifichino il ruolo).
3. Sistema dualistico l’amministrazione e il controllo sono esercitati rispettivamente dal
consiglio di sorveglianza, nominato dall’assemblea e dal consiglio di gestione che viene
nominato dal consiglio di sorveglianza.
 Assemblea dei soci
L’assemblea è l’organo costituito dai soci, i soggetti che detengono una quota di partecipazione
nella S.p.A.; è un organo collegiale che decide secondo il principio maggioritario non per teste ma
per maggioranza di capitale: la maggioranza, quando delibera, vincola tutti i soci, anche quelli
contrari alla delibera o i dissenzienti e anche coloro che sono assenti.
La competenza sulle materie su cui delibera l’assemblea è stabilita dal Codice civile; è possibile che
ci siano delle deroghe inserite nello statuto in cui talune materie di competenza assembleare
vengono delegate al CdA, si fa riferimento a materie particolari: la fusione di una società detenuta
al 100%; quando è richiesto un adeguamento statutario meramente formale, ad una disposizione
di legge (disposizione di legge che richiede una modifica formale dello statuto); riduzione di
capitale nell’ipotesi in cui abbia receduto un socio.
L’assemblea dei soci si divide in base alle competenze a livello di materie su cui sono chiamate a
deliberare in:
1. Assemblea ordinaria è competente in ambito di:
- approvazione di bilancio;
- nomina e revoca degli amministratori, sindaci e presidente del collegio sindacale e il
soggetto incaricato della revisione legale dei conti;
- determinazione del compenso di amministratori e sindaci; deliberazione sulla
responsabilità di amministratori e sindaci;
- approvazione dell’eventuale regolamento assembleare;
- autorizzazione di determinati atti compiuti dagli amministratori se previsto in statuto;
- tutte le delibere che non sono di competenza dell’assemblea straordinaria.
2. Assemblea straordinaria delibera sulle operazioni straordinarie:
- su tutto quello che determina una modifica statutaria;
- sulla nomina, sostituzione e poteri dei liquidatori;
- sulle altre materie riservate alla sua competenza dalla legge.
3. Esistono delle assemblee speciali, previste nell’ipotesi in cui siano state emesse dalla
società azioni di categorie speciali: in tal caso, troveranno applicazione le norme
dell’assemblea straordinaria; se le azioni di categoria speciale sono state emesse da una
società quotata, si applicano le norme che si applicano in tema di azioni di risparmio.
L’assemblea speciale è tenuta a deliberare su tutte le materie che possono pregiudicare i
diritti attribuiti alle azioni speciali
Gli amministratori non possono sottoporre all’assemblea delle argomentazioni gestorie affinché
questa deliberi, queste sono di competenza del CdA.
- Come convocare l’assemblea?
La convocazione dell’assemblea è demandata all’organo amministrativo tutte le volte che lo
ritenga opportuno; ci sono dei casi in cui l’assemblea deve essere obbligatoriamente convocata.
L’assemblea ordinaria va convocata almeno una volta all’anno entro 120 giorni dalla chiusura
dell’esercizio per l’approvazione si bilancio; il termine può essere derogato a 180 giorni quando la
società sia tenuta a redigere un bilancio consolidato o quando particolari esigenze lo richiedano
(ad esempio, se la società acquista nuove società o cambi perimetro).
L’assemblea ordinaria va convocata quando lo facciano richiesta 1/10 del capitale sociale o 1/20
nell’ambito delle società quotate; nella domanda presentata dai soci vanno indicati espressamente
tutti gli argomenti da mettere all’ordine del giorno. Se gli amministratori non convocano
l’assemblea, i sindaci sono tenuti a convocare l’assemblea; se anche il collegio sindacale non la
convocherà, la convocazione dell’assemblea sarà ordinata con decreto del Tribunale se il rifiuto
non è giustificato. Il collegio sindacale può convocare l’assemblea non solo nel caso in cui non
provveda l’organo amministrativo, su sollecitazione dei soci ma anche nel caso in cui si ritenga che
ci siano fatti censurabili e sia opportuno porre all’attenzione dell’assemblea questi fatti.
Nella società quotata la convocazione dell’assemblea è demandata alla richiesta di due sindaci.
Nella società quotata i soci che rappresentano 1/40 del capitale sociale possono richiedere
l’integrazione dell’ordine del giorno o presentare proposte di delibera su punti dell’ordine del
giorno entro 10 giorni della pubblicazione dell’avviso di convocazione; non è possibile questa
integrazione quando l’assemblea sia tenuta a deliberare su un progetto.
La convocazione è un avviso in cui è inserito luogo, data e ora in cui i soci devono riunirsi (si può
inserire anche una seconda convocazione) e gli argomenti all’ordine del giorno.
 La convocazione delle società non quotate avviene nel comune in cui ha sede la società,
mediante avviso pubblicato o in Gazzetta Ufficiale o su un quotidiano indicato
espressamente in statuto, almeno 15 giorni prima dell’adunanza o con avviso comunicato
ai soci almeno 8 giorni prima dell’adunanza con mezzi che possano garantire l’avvenuto
ricevimento da parte dei soci.
 La convocazione delle società quotate avviene tramite avviso di convocazione pubblicato
sul sito internet della società e con altre modalità (ad esempio pubblicazione di un estratto
della convocazione su un quotidiano) stabilite dalla CONSOB almeno 30 giorni prima
dell’adunanza, il termine può essere derogato a seconda della materia oggetto di
assemblea. Tutte le società quotate sono tenute ad avere obbligatoriamente un sito
internet.
È possibile in ogni caso tenere l’assemblea, anche nell’ipotesi in cui non siano state rispettate le
modalità e i termini della convocazione si tratta dell’assemblea totalitaria: è possibile tenere
regolarmente un’assemblea anche se non sia stata convocata nell’ipotesi in cui sia rappresentato
l’intero capitale sociale e partecipi la maggioranza degli amministratori e i sindaci; nessuno deve
opporsi alla trattazione degli argomenti posti all’ordine del giorno e devono dichiararsi
sufficientemente informati per deliberare sugli argomenti da trattare. I soci intervenuti che
rappresentano 1/3 del capitale hanno diritto di richiedere il rinvio dell’adunanza non oltre 5 giorni
se non sono sufficientemente informati sull’oggetto dell’assemblea e solo una volta per lo stesso
oggetto.
Nell’assemblea è fondamentale il ruolo del Presidente e del segretario.
 Il presidente può essere nominato in statuto o nominato dall’assemblea a maggioranza
(generalmente coincide con il Presidente del CdA). Verifica la regolata tenuta della seduta,
che i soggetti che partecipano siano legittimati a partecipare, regola il funzionamento
dell’assemblea.
 Il segretario, nominato in assemblea, si occupa della redazione del verbale, che deve
contenere l’ordine del giorno, ora e luogo della riunione, riportare i presenti, verbalizzare i
diversi interventi, risultanza dei voti per singola materia. Nelle assemblee straordinarie, il
segretario dell’assemblea è sempre il notaio perché il verbale è un atto pubblico che
determina la modifica dello statuto.
- Come funzionano le maggioranze assembleari?
Le maggioranze assembleari sono differenti a seconda che si tratti di un’assemblea ordinaria o
un’assemblea straordinaria e a seconda che si tratti di una società non quotate o società che fanno
ricorso al mercato del capitale di rischio.
Il quorum si distingue in:
1. Quorum costitutivo parte del capitale che deve essere rappresentata in assemblea
perché sia regolarmente costituita.
2. Quorum deliberativo parte di capitale che deve esprimersi a favore di una delibera
affinché questa sia approvata.
Entrambi i quorum si abbassano nelle convocazioni successive all’assemblea: se nella prima
convocazione non è passata la delibera, nella seconda si abbassano i quorum in modo che la
società non si ingessi una delibera.
 Nelle società non quotate, per l’assemblea ordinaria in prima convocazione è richiesto come
quorum costitutivo la metà del capitale sociale con diritto di voto e come quorum deliberativo
il voto favorevole della metà più un’azione che ha preso parte al voto. In seconda
convocazione non è richiesto alcun quorum costitutivo ed è richiesto il voto favorevole della
maggioranza delle azioni che hanno preso parte al voto come quorum deliberativo.
 Nelle società non quotate, per l’assemblea straordinaria in prima convocazione non è
richiesto alcun quorum costitutivo e come quorum deliberativo è richiesto il voto di tanti soci
che rappresentano più della metà del capitale, non si quelli che hanno preso parte al voto, ma
capitale sociale in valore assoluto. In seconda convocazione, è richiesto un terzo del capitale
sociale come quorum costitutivo e il voto favorevole di almeno due terzi del capitale
rappresentato in assemblea come quorum deliberativo.
Per ulteriori convocazioni si utilizzano i quorum applicati alla seconda convocazione.
Nelle società che fanno ricorso al capitale di rischio, di solito si ha un’unica convocazione e in
questo caso si applicano le maggioranze più basse richieste per l’assemblea ordinaria in seconda
convocazione e per la straordinaria nelle convocazioni successive. Anche per le società che fanno
ricorso al mercato del capitale di rischio, si distinguono i due casi.
 Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, per l’assemblea ordinaria in
prima convocazione è richiesto almeno la metà del capitale sociale con diritto d voto come
quorum costitutivo e il voto favorevole della metà più 1 delle azioni che hanno preso parte al
voto come quorum deliberativo. In seconda convocazione, non è previsto alcun quorum
costitutivo e il voto favorevole della maggioranza delle azioni che hanno preso parte al voto
come quorum deliberativo.
 Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, per l’assemblea
straordinaria in prima convocazione è richiesta almeno la metà del capitale sociale come
quorum costitutivo e il vota favorevole di almeno 2/3 del capitale sociale rappresentato in
assemblea come quorum deliberativo. In seconda convocazione è richiesto più di 1/3 del
capitale sociale come quorum costitutivo e il voto favorevole di almeno i 2/3 del capitale
rappresentato in assemblea come quorum deliberativo.
Per le ulteriori convocazioni, si applicano i quorum della seconda convocazione per l’ordinaria,
mentre per la straordinaria viene ridotto ad almeno 1/5 del capitale il quorum costitutivo e 2/3 del
capitale il quorum deliberativo.
Lo statuto può comunque prevedere quorum o maggioranze più elevati, non è possibile abbassarli;
non è possibile alzare i quorum per le materie quali l’approvazione del bilancio e la nomina/revoca
delle cariche.
Possono intervenire in assemblea, insieme ad amministratori, sindaci, rappresentante comune
degli azionisti di risparmio e degli obbligazionisti, coloro a cui spetta il diritto di voto (soci,
usufruttuario o creditore pignoratizio)
 Nelle società non quotate, la titolarità del diritto di voto deve sussistere il giorno stesso
dell’adunanza: per accedere all’assemblea, devo essere socio il giorno della convocazione
stessa.
 Nelle società quotate, la determinazione ad intervenire in assemblea avviene alla fine della
giornata contabile del settimo giorno di mercato aperto prima della data dell’adunanza (record
date): se il giorno dopo il socio vende in Borsa le sue azioni, può partecipare all’assemblea, il
socio venditore ha diritto ad intervenire in assemblea.
Ad oggi, c’è la possibilità di tenere l’assemblea in via telematica, in collegamento con
amministratori, sindaci e notaio e con il rappresentante disegnato che rappresenta tutti i soci.
È possibile partecipare all’assemblea in due modi: personalmente o con rappresentante, per
agevolare il raggiungimento dei quorum e la partecipazione dei piccoli azionisti. Qualora i soci
volessero avvalersi di un rappresentante, dovranno nominarlo tramite delega che deve essere
conferita per iscritto e deve contenere il nome del rappresentante.
 Nelle società non quotate, la rappresentanza non può essere conferita a membri degli organi
sociali e dipendenti della società, a società controllate e membri degli organi sociali e
dipendenti di queste. Il rappresentante non può rappresentare più di 20 soci. Per le società che
fanno ricorso al mercato del capitale di rischio non può rappresentare più di 50, 100 o 200 soci
a seconda del capitale della società; la rappresentanza può essere conferito solo per singole
assemblee tranne se è una procura generale.
 Nelle società quotate è possibile rilasciare le deleghe anche in via elettronica; la società
quotata individua un rappresentante designato, a pagamento della società stessa; non ci sono
limiti qualitativi e quantitativi di rilascio delle deleghe perché si vuole agevolare la
partecipazione dei soci.
Per far in modo che venga rappresentato il più possibile il capitale in assemblea, si utilizzano due
metodi:
1. Sollecitazione di deleghe richiesta di conferimento di deleghe di voto rivolta da soggetti
promotori a più di 200 azionisti su specifiche proposte di voto; è richiesta la redazione di un
prospetto e di un modulo di delega, deve essere espressamente indicato tutto il processo
per il conferimento delle deleghe e fare in modo che il socio che rilascia le deleghe sia
informato sugli argomenti all’ordine del giorno e su cosa è tenuto a votare.
2. Raccolta di deleghe richiesta di conferimento di deleghe di voto effettuate dalle
associazioni di azionisti esclusivamente nei confronti dei propri associati; la delega deve
contenere le istruzioni di voto, può essere sempre revocata fino al giorno precedente
all’assemblea; non è una sollecitazione di deleghe.
 Conflitto d’interesse e abuso di maggioranza
Il socio è libero di votare come crede, ma il suo voto non deve arrecare danno al patrimonio della
società.
Articolo 2373 è in conflitto d’interessi, l’azionista che in una determinata delibera, ha per conto
proprio o di terzi, un interesse personale che contrasta con l’interesse della società. in questo
caso, il socio può comunque votare ma la delibera è impugnabile nell’ipotesi in cui il suo voto sia
stato determinante prova di resistenza, si fanno delle verifiche matematica cercando di capire
se escludendo il capitale del socio la delibera sarebbe ugualmente passata oppure no; e la delibera
danneggi la società il danno che viene valutato può essere anche potenziale. Un conflitto
d’interesse tipico è quando il socio è anche amministratore: il socio amministratore non può
votare nell’ipotesi in cui nell’ordine del giorno ci sia un’azione di responsabilità nei suoi confronti.
Articolo 1375 l’abuso di maggioranza si basa su un principio di correttezza e buona fede: si ha
l’ipotesi in cui il scio di maggioranza ha assunto la delibera a danno della minoranza. La delibera è
impugnabile quando la stessa è volta esclusivamente a danneggiare i soci di minoranza, è molto
difficile da provare. Un esempio di abuso di maggioranza è ad esempio, una delibera di aumento di
capitale quando so perfettamente che il socio di minoranza non ha le risorse economiche per
poter partecipare all’aumento di capitale.
 Patti parasociali e sindacati di voto
A lato delle delibere assembleari, va trattato anche il concetto di sindacati di voto. I sindacati di
voto rientrano nel concetto di patti parasociali: i patti parasociali sono la macrocategoria,
all’interno dei patti parasociali abbiamo i sindacati di voto.
I sindacati di voto sono degli accordi con i quali alcuni soci si impegnano a concordare
preventivamente il modo in cui votare in assemblea; ineriscono i soci ma non la società: possono
riguardare tutti i soci, ma nella maggior parte dei casi riguarda una piccola parte dei soci.
I sindacati di voto possono avere carattere occasionale o permanente (mi posso accordare di
votare sempre in un determinato modo in tutte le assemblee o posso fare un accordo per quella
assemblea convocata in quel giorno specifico); sono a tempo determinato, c’è un limite massimo
di 5 anni per le S.p.A. e di 3 anni per le società quotate, o a tempo indeterminato, è previsto il
recesso a 180 giorni; possono avere ad oggetto tutte le delibere o solo alcuni argomenti; il
sindacato di voto può scegliere di votare all’unanimità o a maggioranza del sindacato stesso.
L’esistenza dei sindacati di voto è stata abbastanza criticata dalla dottrina perché è come se
cristallizzasse una sorta di gruppo di comando e perché il procedimento assembleare diventa solo
formale: bisogna ricordare che i patti parasociali e quindi anche i sindacati di voto hanno effetto
obbligatorio e non reale, la differenza sta nel fatto che l’effetto obbligatorio vincola solo i
fatiscenti, efficacia reale vuol dire che vincola la società i patti parasociali non hanno effetto
sulla società, quindi se il socio in assemblea non vota come aveva dichiarato in sindacato e come il
sindacato ha deciso, il voto espresso in assemblea è valido; succederà che gli altri sottoscrittori del
sindacato di voto potranno fargli causa e chiedere il risarcimento dei danni. La dottrina
maggioritaria aveva creato delle discussioni soprattutto sui sindacati di voto che votavano a
maggioranza: si snatura il concetto principe dell’assemblea, e che cioè l’assemblea delibera a
maggioranza; la dottrina è giunta a ritenere che sono legittimi perché si è liberi di votare come
meglio si ritiene in assemblea e non è vero che viene snaturata perché è nel momento
dell’assemblea che il socio decide effettivamente come votare.
- Pubblicità dei patti parasociali
 Per le società non quotate che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, i patti
parasociali devono essere comunicati alla società e dichiarati in apertura d’assemblea e questo
viene trascritto nel verbale; qualora questo non fosse fatto, viene sospeso il diritto di voto e
può essere impugnata la delibera assunta con la prova di resistenza.
 Per le società quotate, i patti parasociali devono essere comunicati a chiunque, prima alla
CONSOB, poi pubblicati per estratto su un quotidiano e poi depositati al RI; deve essere fatta
entro 5 giorni.
 Nelle società non quotate non è richiesta alcuna formalità.
 Invalidità delle delibere assembleari
Può essere determinata dalla violazione delle norme che regolano il procedimento assembleare o
da vizi che riguardano il contenuto della delibera stessa.
Bisogna distinguere le delibere annullabili e la nullità delle delibere; dalla riforma del 2003 non si
parla più di delibere inesistenti.
Sono annullabili tutte le delibere che non sono prese in conformità delle leggi e dello statuto. La
nullità scatta solo in tre casi tassativi previsti dal Codice civile.
Sono annullabili:
- le delibere assunte con la partecipazione all’assemblea di persone non legittimate, solo
se la partecipazione è stata determinante per il calcolo del quorum costitutivo;
- una delibera è annullabile quando sussiste l’invalidità dei singoli voti o dell’errato
conteggio, solo se determinanti per il calcolo del quorum deliberativo;
- delibera è annullabile anche in caso di incompletezza o inesattezza del verbale, qualora
impediscano l’accertamento del contenuto, degli effetti e della validità della delibera.
Occorre identificare i soggetti legittimati a chiedere l’annullamento: sono i soci assenti,
dissenzienti o astenuti, gli amministratori e i sindaci, rappresentante comune degli azionisti di
risparmio e in alcuni casi, dalla CONSOB o dall’IVASS o dalla Banca d’Italia. I soci che non rientrano
tra i soggetti legittimati possono richiedere il risarcimento dei danni e non l’annullamento della
delibera. È richiesto che i soggetti legittimati siano soggetti che rappresentino anche
congiuntamente il 5% del capitale sociale (1 per mille per le società che fanno ricorso al mercato
del capitale di rischio); lo statuto può eliminare o ridurre la percentuale.
L’impugnativa della delibera o la richiesta di risarcimento dei danni possono essere proposti entro
90 giorni dalla data di iscrizione o deposito della relativa delibera (180 giorni per CONSOB, IVASS e
BIT). L’azione di annullamento viene proposta davanti al Tribunale del luogo in cui ha sede la
società; se i soci che avevano impugnato la delibera, cedono la propria partecipazione nel corso
del processo, il giudice può pronunciarsi a loro favore solo sul risarcimento del danno e non
sull’annullabilità: è chiaro che l’acquirente potrebbe dichiararsi interessato al procedimento di
annullamento e il processo continuerebbe con la partecipazione dell’acquirente.
A chi si oppone alla delibera, il tribunale potrebbe richiedere di fornire un’idonea garanzia per un
eventuale risarcimento del danno per evitare delle impugnazioni pretestuose, che siano continue
e che possano portare danni alla società.
Il fatto che un socio proponga l’azione di annullamento non determina la sospensione
dell’esecuzione della delibera presa: in alcuni casi, è possibile che questa venga sospesa e che il
tribunale ne disponga la sospensione dopo aver sentito gli amministratori e i sindaci.
L’annullamento, una volta determinati, ha effetto per tutti i soci e obbliga il CdA o l’amministratore
unico a prendere tutti i provvedimenti, restano salvi i diritti acquisiti in buona fede da un soggetto
terzo. Non è possibile proporre l’annullamento nell’ipotesi in cui la delibera sia stata sostituita da
una successiva delibera conforme alla legge o allo statuto o nell’ipotesi in cui la delibera oggetto di
impugnazione venga revocata.
Le delibere nulle sono identificate solo in tre casi:
1. Una delibera è nulla quando l’oggetto è impossibile o illecito, oggetto contrario a norme
imperative, buon costume o ordine pubblico; è anche possibile che l’oggetto sia lecito ma il
contenuto è illecito.
2. Le delibere sono nulle quando c’è la mancata convocazione dell’assemblea, non rientra in
questo caso l’assemblea totalitaria.
3. La delibera è nulla quando c’è mancata del verbale: la nullità può essere sanata
retroattivamente con verbalizzazione eseguita prima della successiva assemblea, salvi i
diritti di terzi in buona fede.
Chiunque vi abbia interesse può richiedere la nullità della delibera; la nullità può essere rilevata
d’ufficio dal giudice. Non ci sono limiti temporali, con riguardo alle delibere che modificano
l’oggetto sociale prevedendo attività illecite o impossibili; c’è un termine di decadenza di tre anni
dalla data di iscrizione o deposito della relativa delibera.
Anche in questo caso, la nullità non si può pronunciare se viene sostituita da una delibera
conforme alle norme o allo statuto.
Ci sono dei casi speciali:
1. Delibere di aumento di capitale, riduzione ed emissione di obbligazioni l’azione di nullità
è soggetta al termine di decadenza di 180 giorni e in caso di mancanza convocazione il
termine è di 90 giorni dall’approvazione del bilancio.
2. Per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, la nullità della delibera di
aumento di capitale non può essere pronunciata solo l’iscrizione a registro dell’attestazione
che l’aumento è stato parzialmente eseguito. L’esecuzione parziale preclude la pronuncia
in caso di delibera di riduzione di capitale o emissione di obbligazioni, fatto salvo il diritto a
risarcimento del danno: non posso chiedere la nullità perché ha avuto un principio di
esecuzione ma posso richiedere il risarcimento del danno.
3. La delibera di approvazione del bilancio non può essere più impugnata dopo l’approvazione
del bilancio successivo.

I SISTEMI DI AMMINISTRAZIONE E CONTROLLO


I soci a livello di responsabilità amministrativa ne sono totalmente privi perché c’è un organo di
amministrazione che si assume la responsabilità e la paternità degli atti: l’unico organo
responsabile è l’organo di amministrazione; l’assemblea è un organo irresponsabile, che forma la
volontà dei soci però non ha la possibilità di impegnare verso terzi la società, perché non ha mai il
potere di rappresentanza.
Il potere di rappresentanza, il potere di manifestare esternamente le decisioni prese dalla società
spetta agli amministratori e lo stesso il potere di gestione.
L’assemblea è l’organo presente in tutti i modelli, è l’organo in cui i soci si riuniscono per prendere
le decisioni più importanti; nel modello dualistico l’assemblea viene esautorata dei suoi compiti
più significativi (approvazione del bilancio e la nomina degli amministratori) che sono spostati
all’organo di controllo questo accade perché questo modello nasce in Germania per avere una
rappresentanza dei lavoratori nel sistema di controllo (principio che il nostro legislatore non ha
trasfuso nella normativa italiano) e per le imprese con un azionariato molto diffuso in cui
l’assenteismo del socio è un fenomeno molto sentito, si sposta effettivamente la competenza di
queste due delibere a livello dell’organo di controllo ma permane in capo all’assemblea
l’approvazione della distribuzione degli utili.
Esistono diversi modelli di amministrazione e controllo definiti dal legislatore:
1. Modello tradizionale l’assemblea nomina l’organo di amministrazione e l’organo di
controllo, è l’unico modello che può avere l’amministratore unico ed è l’unico modello che
può non avere la società di revisione, la composizione del collegio sindacale a seconda che
ci sia o meno la società di revisione.
2. Modello dualistico e 3. Modello monistico la riforma del 2003 ha introdotto due modelli
alternativi, il modello dualistico di derivazione tedesca e quello monistico di derivazione
anglosassoni. Il modello tradizionale resta il modello di default se non c’è una specifica
scelta del modello alternativo.
La società va costituita o scegliendo il modello alternativo o si deve mutare il sistema di
amministrazione e controllo durante la vita della società: in tal caso, l’efficacia della delibera è
spostata alla chiusura dell’esercizio.
 Modello tradizionale
Il modello tradizionale prevede l’assemblea che nomina sia l’organo di amministrazione (che può
essere unipersonale, amministratore unico o pluripersonale, CdA) sia l’organo di controllo (collegio
sindacale); il collegio sindacale nelle società chiuse è un organo a composizione semirigida,
formato da un numero predefinito di componenti (3 o 5 membri e 2 membri supplenti che si
sostituiscono a quelli effettivi in caso di impossibilità degli stessi ad adempiere alla loro carica),
nelle società quotate il numero dei componenti del collegio sindacale può essere tarato sulla
complessità e le reali necessità della società.
Il vizio di fondo imputato da sempre al modello tradizionale è che controllori e controllati sono
espressione della medesima maggioranza questo potrebbe condurre ad un controllo meno
efficiente da parte del collegio sindacale. In realtà, paradossalmente, questo sistema è stato molto
rivalutato dopo l’introduzione dei sistemi alternativi perché nel modello tradizionale il collegio
sindacale ha delle garanzie di indipendenza che gli altri modelli non attribuiscono e questo lo
rende, potenzialmente, più autonomo nel proprio controllo rispetto ai modelli alternativi.
 Sistema dualistico
Al sistema tradizionale, si accompagna a partire dal 2003, il sistema dualistico di derivazione
tedesca vede l’assemblea nominare il consiglio di sorveglianza (organo di controllo) e il consiglio
di sorveglianza nomina a sua volta il consiglio di gestione (organo di amministrazione).
Il consiglio di sorveglianza non solo è un organo di controllo (controlla la legittimità sostanziale
dell’operato dei componenti del consiglio di gestione) ma è anche caratterizzato dal fatto che è
titolare delle due funzioni più importanti dell’assemblea del modello tradizionale.
Nel modello dualistico c’è un’esautorazione del potere dell’assemblea a favore dell’organo di
controllo perché è il consiglio di sorveglianza a nominare e revocare gli amministratori e a
provvedere all’approvazione del bilancio e fare l’azione di responsabilità (che resta anche in capo
dell’assemblea).
È un modello che si adatta maggiormente alle società con azionariato diffuso in cui non c’è una
grande partecipazione assembleare ed è predominante la figura dell’azionista investitore rispetto
all’azionista attendo alle sorti della società; purtroppo, è stata deludente l’applicazione che ha
avuto in pratica: lo si è visto molto utilizzare spesso nelle grandi fusioni di banca.
 Sistema monistico
Il modello monistico è il modello di derivazione anglosassone, è il più utilizzato al mondo e si basa
molto sul concetto di indipendenza. È un modello che inizialmente era utilizzato pochissimo,
adesso si sta diffondendo di più, anche se in Italia è nettamente prevalente l’utilizzo del modello
tradizionale.
Il modello monistico prevede che l’assemblea nomini l’organo di amministrazione, che non solo
deve essere necessariamente pluripersonale ma deve contenere almeno 1/3 degli amministratori
dotati dei requisiti di indipendenza richiesti per i sindaci e il CdA può individuare nel suo seno i
componenti dell’organo di controllo, il comitato per il controllo sulla gestione quindi, i
componenti dell’organo di controllo sono anche amministratori; la garanzia d’indipendenza è data
dal fatto che devono avere determinati requisiti di indipendenza.
Il principale vantaggio è la circolazione delle informazioni: questo modello premia al massimo la
circolazione delle informazioni (generalmente il principale ostacolo all’efficienza del
funzionamento dell’organo di controllo è che questo non sia sufficientemente informato); il
dubbio è sull’effettiva indipendenza dei soggetti, su come un soggetto possa essere
contestualmente controllore e controllato. Un’ulteriore deviazione del modello deriva dal fatto
che se l’assemblea nominasse solo 3 indipendente, siccome il comitato per il controllo sulla
gestione deve avere almeno 3 componenti, indirettamente individuerebbe anche i componenti
dell’organo di controllo.
*****
In tutti e tre i modelli, c’è la società di revisione esterna che svolge la funzione di revisione
contabile: solo nel modello tradizionale, se la società è di medio-piccole dimensioni (è chiusa, non
è obbligata alla redazione del bilancio consolidato) e se i componenti del collegio sindacale hanno
le dovute competenze contabili, non c’è l’obbligo di una società di revisione esterna.
*****
 Struttura dell’organo amministrativo
Solo nel modello tradizionale, è possibile avere un amministratore unico o più amministratori: se
l’amministratore è unico tutte le funzioni amministrative sono attribuite ad un solo soggetto che
avrà necessariamente il potere di gestione e il potere di rappresentanza; se ci sono più persone
formano un CdA. È sconsigliabile avere un CdA di due persone perché potrebbe essere molto
frequente una situazione di stallo. Nel CdA, siccome alla delibera consegue una responsabilità, non
è legittimo il voto per delega.
Nel caso di CdA pluripersonale, è possibile che talune funzioni siano attribuite singolarmente ad
uno o più amministratori attraverso una delega: all’interno del CdA è, quindi, possibile avere uno o
più amministratori delegati ed è possibile formare dei comitati esecutivi, sotto-organi composti da
amministratori che hanno delega su determinate materie non individualmente ma come collegio;
il collegio comitato esecutivo dovrà seguire le stesse regole del CdA.
Nelle società quotate, deve esserci necessariamente un organo amministrativo collegiale: è
necessario che siano almeno presenti un amministratore indipendente e un amministratore di
minoranza.
L’articolo 147 ter del TUF impone di nominare, all’interno del CdA di una società quotata, almeno
un amministratore di minoranza e almeno uno, se non due, amministratori indipendenti a seconda
del numero di componenti dell’organo.
- Funzioni dell’organo amministrativo
La gestione della società spetta solo ed esclusivamente agli amministratori che ne assumono la
responsabilità: gli amministratori hanno la gestione della società e compiranno ogni atto che sia
funzionale al perseguimento dell’oggetto sociale. Gli amministratori deliberano su tutti gli
argomenti della gestione della società che lo statuto non riservi eventualmente all’assemblea: se
l’assemblea dovesse votare il compimento di un atto che gli amministratori ritengano dannosi,
avrebbero l’onere di non attuarlo altrimenti ne sono responsabili. Gli amministratori hanno la
rappresentanza della società, possono darla a terza ma almeno un amministratore deve avere per
forza la rappresentanza della società.
L’organo amministrativo convoca l’assemblea, ne fissa l’ordine del giorno e dà esecuzione ai lavori
assembleari; ha diritto di impugnare le delibere assembleari annullabili o nulle; è il garante del
patrimonio della società e della regolare tenuta della contabilità e delle scritture contabili; in
generale, ove ravvisi dei fatti che possano arrecare un pregiudizio alla società ha l’onere di fare
tutto il possibile per evitare o ridurre le conseguenze negative che ne intravede altrimenti ne è
responsabile.
- Nomina degli amministratori
I primi amministratori sono nominati nell’atto costitutivo, dai soci che costituiscono la società;
dopodiché gli amministratori sono nominati dall’assemblea ordinaria, che non ha quorum
qualificati perché si tratta di una delle decisioni fondamentali affinché la società non si paralizzi; la
nomina degli amministratori può essere attribuita anche ai titolari di strumenti finanziari
partecipativi (Stato ed enti pubblici per le società partecipate).
Lo statuto, solitamente, prevede un numero minimo e massimo degli amministratori, può prevede
l’amministratore unico ma poi sarà l’assemblea in sede ordinaria a decidere, in quel momento, di
quanti amministratori ha bisogno la società, viste le sue caratteristiche; non è necessario che siano
soci ma lo statuto può fissare determinati requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza
(in taluni settori speciali è la normativa che specifica che lo impone) di cui devono godere gli
amministratori per poter essere nominati.
Solo per le società quotate, l’articolo 147 ter del TUF impone che sia nominato almeno un
amministratore di minoranza attraverso il meccanismo del voto di lista e almeno un
amministratore indipendente, che goda dei requisiti di indipendenza previsti per i sindaci o
ulteriori requisiti eventualmente previsti dallo statuto, o due amministratori indipendenti se il CdA
è composto da più di sette membri (da qui ne discende la necessaria pluripersonalità dell’organo).
Non possono essere nominati amministratori l’interdetto, l’inabilitato, il fallito e chi è stato
condannato ad una pena che comporta l’interdizione dai pubblici uffici, anche temporanea,
oppure l’incapacità di esercitare. Diverso dall’ineleggibilità è l’incompatibilità: l’ineleggibilità
comporta che un soggetto non può essere eletto e la nullità dell’eventuale nomina;
l’incompatibilità comporta una scelta tra la carica di amministratore o un’altra carica.
Gli amministratori durano in carica tre esercizi e sono rinnovabili per un numero indefinito di
volte, scadono non alla fine del terzo esercizio ma con l’approvazione del bilancio relativa
all’ultimo esercizio (tra aprile e luglio successivi al terzo esercizio). Ovviamente, devono essere
nominati i successivi amministratori: normalmente, è contestuale e cioè l’approvazione del
bilancio del terzo esercizio è anche sede di nomina di un nuovo CdA o di conferma del vecchio.
Può esserci però il caso in cui cada il CdA oppure che dopo la scadenza non sia nominato il nuovo
CdA: si ingenera in questo aro temporale un periodo di prorogatio, periodo durante il quale finché
non è nominato un nuovo organo di amministrazione si prorogano i poteri del vecchio, che dovrà
limitarsi agli atti necessari alla gestione sociale.
Le cause di cessazione dall’ufficio prima della scadenza del termine sono: revoca, gli
amministratori sono sempre revocabili e avranno diritto o no al risarcimento del danno a seconda
che la revoca sia o no per giusta causa; rinuncia la quale si manifesta attraverso una
comunicazione al presidente del CdA e dell’organo di controllo; decadenza se sopravviene una
causa di ineleggibilità.; morte.
- Cosa succede se viene meno uno o più amministratori?
Bisogna distinguere l’ipotesi in cui a seguito del venir meno di uno o più amministratori, resti
comunque in carica la maggioranza degli amministratori di nomina assembleare o meno.
 Se resta in carica la maggioranza di amministratori di nomina assembleare, gli amministratori
superstiti sono legittimati a cooptare le posizioni vacanti fino alla successiva assemblea: nella
successiva assemblea, l’assemblea stessa dovrà confermare gli amministratori cooptati o
sostituirli; in ogni caso scadranno insieme agli amministratori di nomina assembleare.
 Se viene a mancare più della metà degli amministratori di nomina assembleare, i superstiti
dovranno attivarsi per convocare nei tempi più rapidi possibili un’assemblea che ripristini il
plenum consiliare e, ovviamente, nel frattempo adempiranno ai doveri urgenti.
 Se viene a mancare l’amministratore unico o tutti gli amministratori, il collegio sindacale dovrà
urgentemente convocare l’assemblea in modo che questa nomini gli amministratori.
È possibile che negli statuti sia inserita una clausola simul stabunt simul cadent: a tutela del fatto
che siano i soci a decidere chi amministra la società, questa clausola fa cadere tutto il CdA al venir
meno anche solo di un componente.
- Compenso degli amministratori
Gli amministratori possono avere diritto ad un compenso che può essere anche stabilito nell’atto
di nomina o nella delibera assembleare di nomina; è possibile che il compenso sia rappresentato
tutto o in parte da partecipazioni agli utili della società oppure mediante attribuzione di stock
options. Gli amministratori delegati, investiti di particolari cariche, possono avere una retribuzione
specifica per la delega che è invece stabilita dal CdA sentito il collegio sindacale: c’è il rischio per
l’assemblea di perdere controllo sulla determinazione della retribuzione per gli amministratori;
quindi, lo statuto può prevedere un importo globale complessivo per la retribuzione degli
amministratori comprese le deleghe.
- Divieto di concorrenza
Gli amministratori non possono assumere la qualità di soci illimitatamente responsabili in società
concorrenti, né esercitare un’attività concorrente per conto proprio o di terzi, né essere
amministratori o direttori general in società concorrenti, salvo autorizzazione dell’assemblea. È
legittimo che l’autorizzazione sia già contenuta per tutti nello statuto.
Si ritengono autorizzati quando l’attività in concorrenza preesiste alla nomina ed era conosciuta,
anche se è sempre meglio farsi autorizzare espressamente per evitare problematiche di violazione
del divieto di concorrenza.
 Le delibere consiliari
L’organo amministrativo se è collegiale dovrà assumere delle delibere, non è ammesso il voto per
delega perché consegue una responsabilità, il voto è per teste.
Esiste un quorum costitutivo, metà + uno degli amministratori e un quorum deliberativo,
maggioranza assoluta dei presenti con voto per teste. Le delibere vengono verbalizzate, il verbale
è firmato dal presidente e da un segretario; per determinate delibere è necessaria la presenza del
notaio in luogo del segretario.
Il presidente del CdA, se l’organo è collegiale, è il garante della corretta informazione sia
all’interno del consiglio sia tra amministratori con deleghe e senza deleghe sia con gli altri organi.
- Invalidità delle delibere consiliari
Non c’è una disciplina specifica dell’invalidità delle delibere consiliari, c’è un articolo che ci dice
quando la delibera è invalida per la presenza di un interesse di un amministratore (prima del 2003
si parlava di conflitto d’interesse degli amministratori) ma non è presente una disciplina articolata
dell’invalidità delle delibere consiliari. Essendoci solo l’articolo 2391, la dottrina si è interrogata
sulla legittimità dell’invalidità di delibere diverse rispetto a quella specificata dall’articolo 2391:
questo tema è stato risolto e ad oggi è pacifico che le delibere consiliari invalide possano essere
impugnate e che si applichino per analogia le norme sull’invalidità delle delibere assembleari.
Tutte le delibere del CdA che non siano prese in conformità della legge o dello statuto possono
essere impugnate da assenti, dissenzienti o astenuti entro 90 giorni dalla deliberazione; possono
anche essere impugnate dall’organo di controllo ma non dai soci. Se una delibera lede
direttamente un diritto soggettivo di un singolo socio, questo può agire in giudizio per la tutela del
proprio diritto; in caso contrario, i soci non possono impugnare le delibere consiliari. L’impugnativa
delle delibere consiliari fa salvi i diritti acquisiti da terzi in buona fede, per gli atti compiuti in base
alla delibera.

- Interessi degli amministratori


L’articolo 2391, prima della riforma del 2003, era chiamato “conflitto d’interesse degli
amministratori”: non c’è ad oggi alcuna menzione di un conflitto rileva qualunque interesse un
amministratore abbia con riguardo ad una delibera che deve essere assunta, non è necessario che
ci sia un conflitto d’interesse ma è sufficiente e necessario che vi sia un interesse di un
amministratore.
Il socio in conflitto d’interessi non ha il dovere di informare l’assemblea della presenza del conflitto
e non ha alcuna limitazione al diritto di voto, ma la delibera assunta da un socio in conflitto
d’interesse può essere impugnata se il suo voto è stato determinante per l’approvazione della
delibera e se questa delibera apporti un danno potenziale alla società. L’articolo 2373 sul conflitto
d’interesse del socio va applicata solo qualora ci sia un interesse in conflitto, ci sia un danno
potenziale e il voto sia determinante.
Prima del 2003, la disciplina del conflitto d’interesse degli amministratori era simile a quella dei
soci; con la riforma è stata totalmente riscritta: l’elemento determinante è che non rilevano
soltanto gli interessi in conflitto ma la semplice presenza di un interesse è rilevante per la
fattispecie. La disciplina è diversa se si ha un amministratore unico rispetto a che se esiste un CdA
ed è diverso nell’ambito dell’amministrazione collegiale se si è portatori di una delega e quell’atto
rientri o meno nella delega.
Articolo 2391 L’amministratore di un organo collegiale che, con riguardo ad una delibera che
deve essere assunta dal CdA, sia portatore di un interesse, anche non in conflitto con la società,
deve comunicarlo dettagliatamente, precisandone la natura, i termini e la portata in modo da
rendere consapevoli gli altri membri del CdA nel loro voto; non c’è alcun obbligo di astensione a
meno che non rientri nella delega solo l’amministratore delegato deve astenersi dal compiere
l’operazione e il plenum dovrà motivare il motivo per cui ha deciso di assumere la delibera, pur se
in presenza dell’interesse.
*****
Articolo 2391 L'amministratore deve dare notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale
di ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, abbia in una determinata operazione della
società, precisandone la natura, i termini, l'origine e la portata; se si tratta di amministratore
delegato, deve altresì astenersi dal compiere l'operazione, investendo della stessa l'organo
collegiale, se si tratta di amministratore unico, deve darne notizia anche alla prima assemblea
utile.
Nei casi previsti dal precedente comma la deliberazione del consiglio di amministrazione deve
adeguatamente motivare le ragioni e la convenienza per la società dell'operazione.
Nei casi di inosservanza a quanto disposto nei due precedenti commi del presente articolo ovvero
nel caso di deliberazioni del consiglio o del comitato esecutivo adottate con il voto determinante
dell'amministratore interessato, le deliberazioni medesime, qualora possano recare danno alla
società, possono essere impugnate dagli amministratori e dal collegio sindacale entro novanta
giorni dalla loro data; l'impugnazione non può essere proposta da chi ha consentito con il proprio
voto alla deliberazione se sono stati adempiuti gli obblighi di informazione previsti dal primo
comma. In ogni caso sono salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in
esecuzione della deliberazione
L'amministratore risponde dei danni derivati alla società dalla sua azione od omissione.
L'amministratore risponde altresì dei danni che siano derivati alla società dalla utilizzazione a
vantaggio proprio o di terzi di dati, notizie o opportunità di affari appresi nell'esercizio del suo
incarico.
*****

- Impugnazione della delibera


Se il voto è determinante e c’è il danno potenziale, la delibera è impugnabile; può proporre
l’impugnazione della delibera chi non ha concorso a votare a favore della delibera (assenti,
dissenzienti e chi ha votato contro) ma un ulteriore motivo di impugnazione è la mancanza di
informazione e soprattutto nel caso in cui ci sia stata omissione nel rappresentare la presenza
dell’interesse, sono legittimati attivi all’impugnazione anche chi ha votato a favore della delibera.
In caso di mancata rappresentazione della presenza dell’interessa, c’è un allargamento dei
legittimati attivi all’impugnazione anche agli amministratori che hanno votato a favore della
delibera.
- Operazioni con parti correlate
L’articolo 2391 bis disciplina le operazioni con parti correlate: la disciplina si applica solo alle
società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio. Sono operazioni molto delicate perché
possono avere come controparte un socio di controllo, dirigenti e loro familiari, società controllare
o collegate, altri soggetti stabiliti dalla Consob.
Non rientrano tecnicamente nel disposto dell’articolo 2391 sono soggette ad una disciplina molto
stringente in modo che siano controllate e non si prestino ad abusi.
Per poter essere implementate hanno la necessità di acquisire, preliminarmente, un parere
preventivo da parte di un comitato composto da amministratori indipendenti o disinteressati o da
parte di un esperto indipendente. Se non acquisiscono il parere o il caso in cui il parere sia
negativo, non possono eseguire l’operazione salvo che vi sia un espresso consenso assembleare: in
assemblea, l’approvazione deve essere senza confutare il socio e i voti dei soci correlati. È una
procedura che ingessa molto la società perché se si passa in assemblea, non è possibile confutare
il voto dei soci non correlati.
È una disciplina volta a tenere approvate e sotto il vigile occhio della Consob delle operazioni che
sono potenzialmente rischiose, perché si presume la presenza di un interesse.
 Organi delegati
Il CdA è un organo collegiale, pluripersonale, che ha determinate regole e che al proprio interno
può vedere attribuite delle deleghe o a singoli soggetti (amministratori delegati) o organi a loro
volta collegiali, comitato esecutivo. Il comitato esecutivo è un organo collegiale che soggiace a
tutte le regole del CdA, limitatamente alla delega attribuita, possono esserci più comitati esecutivi
e questo comporta una variazione di attribuzione di poteri e quindi di responsabilità; ogni
comitato esecutivo dovrà avere la verbalizzazione delle proprie delibere, decidere secondo i
quorum costitutivi e deliberativi previsti per il plenum, è richiesta la presenza dell’organo di
controllo alle proprie riunioni. Possono coesistere più amministratori delegati, un amministratore
delegato e un comitato esecutivo: il CdA si articola al proprio interno secondo le esigenze che deve
andare a soddisfare, secondo le esigenze che la singola società pone.
È importante sapere che la decisione di articolare il CdA attraverso la delega di alcune funzioni
amministrative è una decisione del CdA stesso: si dice che la delega di potere amministrativo è una
fattispecie a formazione progressiva la possibilità di strutturarsi con amministratori delegati
deve essere data dallo statuto o dall’assemblea al momento della nomina del CdA, ma la decisione
di articolare il CdA nelle figure di amministratori delegati o comitati esecutivi è una scelta del CdA
stessa e non può essere un’imposizione dell’assemblea (che può individuare e nominare il
presidente ma non può attribuire deleghe). La scelta di attribuire delle deleghe è una scelta
propria del CdA perché da questo ne deriva una maggiorazione di responsabilità per i delegati e
un’attenuazione di responsabilità dei non delegati.
- Presidente del CdA
Il presidente in un organo collegiale deve esserci e può essere nominato o direttamente
dall’assemblea o dal CdA nella prima seduta: se lo statuto non dispone diversamente, il presidente
del CdA è colui che convoca il CdA fissandone l’ordine del giorno, coordina i lavori, è il garante
della correttezza delle informazioni endo-consiliare; solitamente, è anche il presidente
dell’assemblea.
Il CdA può decidere di articolarsi al proprio interno attraverso un sistema di deleghe di poteri
amministrativi a singoli soggetti, a comitati esecutivi o ad entrambi; se ci sono più amministratori
delegati va specificato se devono agire congiuntamente o disgiuntamente.
- Limiti alla delega
Il CdA esta sempre e comunque un organo sovraordinato rispetto ai delegati: la delega può essere
tolta e anche senza toglierla il CdA può sempre avocare a sé come plenum delibere rientranti nella
delega. A tutela del fatto che le decisioni più importanti per la società siano condivise, è
direttamente la legge nell’articolo 2381 ad individuare specificamente le attribuzioni indelegabili,
quelle su cui è necessario che ci sia un’espressione del plenum del CdA secondo le regole
maggioritarie che conosciamo redazione del bilancio d’esercizio, facoltà di aumentare il capitale
sociale o emettere obbligazioni convertibili per delega, adempimenti a carico degli amministratori
in caso di riduzione obbligazione del capitale sociale per perdita, redazione del progetto di fusione
e scissione.
- Doveri degli organi delegati e del CdA
Gli amministratori assumono delle funzioni differenti rispetto agli amministratori non delegati.
Gli amministratori delegati hanno la funzione di decidere di formare la volontà dell’organo
riguardo la materia per cui hanno la delega, hanno un potere di gestione più spiccato; la funzione
degli organi privi di deleghe è una funzione di controllo: in presenza di delega, si delineano i
delegati come coloro che hanno la funzione di determinare la volontà dell’amministrazione e i non
delegati che hanno un’importantissima funzione di controllo; infatti, il primo controllo avviene
all’interno del CdA dove c’è una condivisione più ampia delle informazioni.
Il problema era che la disciplina del codice del ’42 consentiva le deleghe ma non disciplinava cosa
dovesse fare un delegato e un non delegato e non disciplinava il diverso ruolo che hanno gli
amministratori delegati rispetto agli amministratori privi di deleghe: questo aveva condotto a far
diventare la responsabilità degli amministratori quasi una responsabilità oggettiva e di
conseguenza, aveva ingenerato la difficoltà ad assumere la carica di amministratori privi di deleghe
per il rischio di vedersi attribuita la responsabilità di un atto senza colpa; mancava, inoltre, la
specifica correlazione tra le specifiche competenze di un soggetto e il ruolo ricoperto all’interno di
un CdA.
È importante che l’articolo 2381 individui i compiti degli amministratori delegati e privi di deleghe,
un flusso informativo necessario endo-consiliare e agli organi di controllo, rapporti la specifica
responsabilità di ciascun componente del CdA alle proprie specifiche competenze.
*****
Articolo 2381 comma 5 qualora il CdA si articoli con una delega di potere amministrativo ci sono
delle funzioni diverse che competono ai delegati e ai non delegati. In particolare, gli organi
delegati curano che l'assetto organizzativo, amministrativo e contabile sia adeguato alla natura e
alle dimensioni dell'impresa e riferiscono al consiglio di amministrazione e al collegio sindacale,
con la periodicità fissata dallo statuto e in ogni caso almeno ogni sei mesi, sul generale andamento
della gestione e sulla sua prevedibile evoluzione nonché sulle operazioni di maggior rilievo, per le
loro dimensioni o caratteristiche, effettuate dalla società e dalle sue controllate.
L’articolo 2381 comma 5 fissa la responsabilità dei delegati nel creare un impianto amministrativo
efficiente sotto il profilo patrimoniale e gestionale e impone un organo di informazione all’interno
del consiglio almeno semestrale.
L’articolo 2381 comma 3 ci dice cosa fanno i non delegati: i non delegati valutano l’adeguatezza
del sistema amministrativo, organizzativo e patrimoniale posto in essere dai delegati; ricevono
almeno ogni 6 mesi le informazioni in base alle quali valutano il generale andamento della
gestione e se gli sono sottoposti esaminano anche i piani strategici industriali e finanziari. I non
delegati non sono soggetti totalmente passivi rispetto alle informazioni ricevute: il comma 6
obbliga i non delegati ad agire in modo informato, cioè ciascun amministratore può e deve
chiedere ai delegati di fornire ulteriori informazioni ove quelle ricevute appaiano lacunose o
inesatte.
*****
Articolo 2381
1] Salvo diversa previsione dello statuto, il presidente convoca il consiglio di amministrazione, ne
fissa l'ordine del giorno, ne coordina i lavori e provvede affinché adeguate informazioni sulle
materie iscritte all'ordine del giorno vengano fornite a tutti i consiglieri.
2] Se lo statuto o l'assemblea lo consentono, il consiglio di amministrazione [2388, 2392, 2446]
può delegare proprie attribuzioni ad un comitato esecutivo composto da alcuni dei suoi
componenti, o ad uno o più dei suoi componenti.
3] Il consiglio di amministrazione determina il contenuto, i limiti e le eventuali modalità di esercizio
della delega [2405, 2421, n. 6]; può sempre impartire direttive agli organi delegati e avocare a sé
operazioni rientranti nella delega. Sulla base delle informazioni ricevute valuta l'adeguatezza
dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società; quando elaborati, esamina i
piani strategici, industriali e finanziari della società; valuta, sulla base della relazione degli organi
delegati, il generale andamento della gestione.
4] Non possono essere delegate le attribuzioni indicate negli articoli 2420 ter, 2423, 2443, 2446,
2447, 2501 ter e 2506 bis.
5] Gli organi delegati curano che l'assetto organizzativo, amministrativo e contabile sia adeguato
alla natura e alle dimensioni dell'impresa e riferiscono al consiglio di amministrazione e al collegio
sindacale, con la periodicità fissata dallo statuto e in ogni caso almeno ogni sei mesi, sul generale
andamento della gestione e sulla sua prevedibile evoluzione nonché sulle operazioni di maggior
rilievo, per le loro dimensioni o caratteristiche, effettuate dalla società e dalle sue controllate.
6] Gli amministratori sono tenuti ad agire in modo informato; ciascun amministratore può
chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della
società.
*****
 Rappresentanza della società
La rappresentanza è il potere di manifestare la volontà formata dal plenum o dall’organo delegato
all’esterno, impegnando così la società. La rappresentanza attribuita agli amministratori dallo
statuto o dalla deliberazione di nomina si presume generale; se ci sono più amministratori con
rappresentanza andrà stabilito se è questa congiunta o disgiunta (se hanno una firma da soli o
insieme), lo statuto potrà delibare che la firma sia disgiunta per alcune materie e congiunta per
altre., o che sia disgiunta fino a determinati ammontari e congiunta per ammontari superiori.
La deliberazione di nomina è soggetta a registrazione al RI; quindi, anche la rappresentanza sarà
soggetta all’iscrizione al RI: i limiti al potere di rappresentanza iscritti al RI dovrebbero essere
opponibili ai terzi ma non è così il legislatore ha ritenuto prevalente proteggere l’affidamento
dei terzi verso chi ha poteri di rappresentanza e quindi presumere che la rappresentanza sia
generale; le sole limitazioni che sono efficaci verso i terzi sono quelle legali.
Le limitazioni convenzionali al potere di rappresentanza, anche se iscritte al RI, non sono opponibili
ai terzi, i quali devono poter presumere che la rappresentanza sia generale (la ratio è che ci sia
certezza nel traffico giudico). Non si può opporre ai terzi in buona fede la mancanza dei poteri di
rappresentanza dovuto all’invalidità dell’atto di nomina a meno che non si provi che i terzi ne
fossero a conoscenza; le eventuali limitazioni convenzionali non sono opponibili ai terzi
quand’anche le conoscessero a meno che i terzi non abbiano agito fraudolentemente a danno
della società quindi, non solo le limitazioni al potere di rappresentanza, anche se iscritte al RI,
non sono automaticamente opponibili ai terzi, ma non sono opponibili neppure essendo
consapevoli che i terzi ne fossero a conoscenza; per potergliele opporre c’è bisogno di un accordo
fraudolento a danno della società. C’è un’estrema tutela della stabilità dei rapporti giuridici
rispetto alle solite regole sulla pubblicità.
 Responsabilità degli amministratori
La diversa allocazione di potere all’interno del consiglio si riflette in termini di responsabilità, che è
aggravata non solo con riguardo al ruolo ricoperto nel consiglio e ai poteri attribuiti ma anche in
relazione alle proprie specifiche competenze, che vengono a rilevare proprio nella definizione della
norma. È stato un passaggio molto importante perché nel diritto societario, il fatto che la
responsabilità fosse collegata ad un concetto generale di diligenza (come quello di buon padre di
famiglia, intesa come diligenza professionale) aveva ingenerato, non essendoci una netta divisione
legislativa tra i compiti dell’amministratore delegato e quello privo di deleghe, la convinzione tra la
giurisprudenza che vi fosse una responsabilità oggettiva; quindi, la giurisprudenza evinceva
dall’esistenza di un danno l’evidente responsabilità degli amministratori e l’evidente
inadeguatezza dei controlli. Questo aveva creato una prassi per cui era quasi un messaggio
disincentivante assumere, per persone di un certo spessore, la carica di amministratore privo di
deleghe perché la responsabilità attribuita non era tarata in base al ruolo ricoperto nel consiglio e
le specifiche competenze dell’amministratore. Nel tempo, si è assistito ad una personalizzazione
sempre maggiore del ruolo ricoperto nel CdA e una graduazione conseguente della responsabilità.
È evidente che mentre il socio è irresponsabile istituzionalmente, al potere di amministrazione e al
potere di rappresentanza esercitato dagli amministratori consegue una responsabilità; in
particolare, esistono tre tipi di responsabilità degli amministratori.
La più importante è la responsabilità degli amministratori verso la società, la quale è costituita da
una sotto-azione di responsabilità che è l’azione di responsabilità promossa dalla minoranza.
L’azione sociale è normalmente deliberata dall’assemblea, vuol dire che è promossa dalla stessa
maggioranza che ha nominato gli amministratori (tendenzialmente espressione della maggioranza
assembleare) e questo può rappresentare un ostacolo era stato messo in dubbio che la
maggioranza che li avesse espressi, agisse in responsabilità contro di loro e quindi la conseguente
inefficienza dell’azione di responsabilità. Da qui, si ha l’introduzione, prima nelle società quotate e
poi anche nelle non quotate, dell’azione sociale di responsabilità promossa dalla minoranze: è
strumento di governance estremamente efficace perché dà in capo alle minoranze la possibilità di
esperire l’azione sociale di responsabilità; le minoranze agiscono in nome e per conto della società
e infatti, gli eventuali benefici derivati dall’azione sociale di responsabilità non vanno a vantaggio
del socio che ha agito in responsabilità ma a vantaggio della società. Un vizio di questa operazione
è che il socio che agisce in responsabilità non agisce con i fondi della società (in caso di vittoria
avrà il ristoro di quello che ha anticipato) ma sono i soci di minoranza che anticipano le spese di
giudizio; inoltre, l’aliquota minima richiesta necessaria per promuovere l’azione di responsabilità
deve permanere tutto il tempo del giudizio.
Un’altra azione di responsabilità è quella verso i creditori sociali: i legittimati attivi ad esperire
l’azione di responsabilità sono i creditori sociali; l’azione è molto limitata in quanto ha come unico
presupposto il fatto che l’azione degli amministratori per la quale si agisce in responsabilità ha
depauperato il capitale sociale, che essendo l’unica garanzia di adempimento alle obbligazioni
sociali, crea un danno per i creditori. Ciò significa che il creditore è legittimato ad agire in
responsabilità in una fase molto avanzata: di fatto, molto spesso è il curatore a promuovere
l’azione sociale e l’azione dei creditori. È un’azione paralizzata da dall’eventuale ricostituzione del
patrimonio sociale perché viene meno il presupposto dell’azione.
Un’altra azione, ancora più limitata, è quella dei singoli soci o terzi che promuovono l’azione
individualmente sulla base del presupposto che siano stati direttamente lesi dall’operato degli
amministratori; il risarcimento va direttamente al danneggiato.
Quando parliamo di responsabilità degli amministratori, dobbiamo partire dall’assunto del
comportamento che dovrebbero tenere, cioè dal criterio di diligenza essendo la responsabilità
degli amministratori una responsabilità non oggettiva ma per colpa ed essendo l’obbligazione degli
amministratori un’obbligazione di risultato ma di mezzi l’amministratore non è tenuto a operare
un profitto alla società, deve operare diligentemente in adempimento al proprio mandato.
Che cos’è la diligenza? Il vecchio testo faceva riferimento alla diligenza del mandatario, tarata su
un amministratore di società di capitali e quindi, si trattava comunque di una diligenza
professionale; il testo nuovo enfatizza nuovi elementi parametrati non solo sulla diligenza media di
un amministratore di società ma sulla base delle deleghe, delle funzioni degli amministratori e
delle loro specifiche competenze per le quali sono stati nominati.
Come si ripartisce la responsabilità? Gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la
società dei danni che hanno determinato a meno che non si tratti di attribuzioni proprie o anche di
funzioni in concreto attribuito ad uno o più amministratori: la responsabilità è giudicata in base
alle funzioni attribuite e alle proprie competenze. Dal primo comma dell’articolo 2392 si evince
una grande valorizzazione degli assetti reali all’interno dell’amministrazione. Gli amministratori
sono tutti solidalmente responsabili a meno che non si tratti di attribuzioni delegate: l’articolo ci
parla di attribuzioni proprie o funzioni in concreto attribuite quindi, si dà rilievo anche alla
delega atipica: è estremamente importante sia per la figura dell’amministratore di fatto (soggetto
che non è amministratore ma di fatto si comporta come tale) sia della delega di fatto (non
attribuisco la delega ad un amministratore ma di fatto si comporta come amministratore
delegato): c’è una maggiorazione di responsabilità derivante anche da queste due fattispecie;
giudizialmente, ha rilevanza l’effettiva assunzione della delega e non la mera attribuzione della
delega amministrativa iscritta al RI.
In ogni caso, gli amministratori, fermo restando quando disposto dall’artico 2381, sono
responsabili se essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli non hanno fatto quanto potevano per
impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose. Tutti gli
amministratori hanno il dovere di agire in modo informato, di attivarsi per ricevere più info se
quelle ricevute non sembrano corrette; hanno, inoltre, il dovere di attivarsi per
eliminare/attenuare il fatto dannoso ove ne vengano a conoscenza continua ad esistere una
colpa in vigilando, che è però molto più oggettiva e confinata.
Il terzo comma ci dice che in caso di delibera, gli amministratori dovranno far annotare il proprio
dissenso, eventualmente informando anche il presidente dell’organo di controllo dei motivi per cui
ritengono che la delibera possa essere dannosa per la società.
*****
Articolo 2392
[1] Gli amministratori devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la
diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e dalle loro specifiche competenze. Essi sono
solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall'inosservanza di tali doveri, a
meno che si tratti di attribuzioni proprie del comitato esecutivo o di funzioni in concreto attribuite
ad uno o più amministratori.
[2] In ogni caso gli amministratori, fermo quanto disposto dal comma terzo dell'articolo 2381, sono
solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto
potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose.
[3] La responsabilità per gli atti o le omissioni degli amministratori non si estende a quello tra essi
che, essendo immune da colpa, abbia fatto annotare senza ritardo il suo dissenso nel libro delle
adunanze e delle deliberazioni del consiglio, dandone immediata notizia per iscritto al presidente
del collegio sindacale.
*****
1. Azione sociale di responsabilità (articolo 2393)
L’azione sociale di responsabilità è promossa dall’assemblea in sede ordinaria con le normali
maggioranze dell’assemblea ordinaria e con le stesse maggioranze, una volta promossa, la società
può decidere di rinunciare all’azione o di transigerla.
Per agevolare l’assunzione di un’azione sociale di responsabilità, la riforma del 2003 ha introdotto
il principio secondo il quale non è necessario che l’azione di responsabilità sia iscritta tra i punti
dell’ordine del giorno quando si delibera l’approvazione del bilancio e i fatti censurabili sono
pertinenti al bilancio che si sta per approvare. I quorum sono quelli normali dell’assemblea
ordinaria, non ci sono quorum rafforzati ma se la delibera è votata da più di 1/5 del capitale
sociale determina automaticamente anche la revoca degli amministratori la quale, in caso
contrario, va deliberata come punto a sé stante.
L’azione di responsabilità è un’azione giudiziale: si promuove in assemblea e viene poi gestita
giudizialmente e come ogni azione giudiziale, può essere oggetto di rinuncia o di transazione; il
beneficio economico della rinuncia o della transazione va a vantaggio della società; la
rinuncia/transazione può essere bloccata dal voto contrario di 1/5 del capitale sociale. L’azione di
responsabilità deve essere esercitata entro 5 anni dalla cessazione dell’amministratori dalla carica,
dopodiché si prescrive. La società può anche preventivamente rinunciare all’azione di
responsabilità nei confronti degli amministratori (frequente in caso di cessione del pacchetto di
controllo).
L’azione di responsabilità, oltre che dall’assemblea, può essere promossa anche dal collegio
sindacale, organo di controllo. Uno dei grandi temi per i quali si è per lungo tempo ritenuto che
l’organo di controllo fosse scarsamente efficiente era che, essendo espressione della medesima
maggioranza che ha nominato gli amministratori, il controllo non fosse efficace perché c’era una
possibile connivenza dell’organo di controllo a effettuare i controlli. In più, un’altra remora
dell’organo di controllo a promuovere un’azione di responsabilità potrebbe derivare dal fatto che
da una negligente amministrazione degli amministratori potrebbe derivare un’inefficacia dei
controlli e quindi potrebbe essere chiamato in responsabilità anche l’organo di controllo. Per
questi due motivi, prima che ci fosse quella di minoranza, l’azione sociale di responsabilità era
esercitata direttamente dal curatore in sede fallimentare che agiva sia verso il CdA sia verso
l’organo di controllo per mancati controlli.
Proprio per la difficoltà che si è rilevata nel tempo che una maggioranza agisca nei confronti dei
propri amministratori e per introdurre un modello di governance più efficiente, è stata mutuata
dal diritto americano l’azione di responsabilità delle minoranze. La minoranza agisce in nome e per
contro della società: il beneficio economico di ristoro non va ai soci ma alla società. L’azione
sociale di minoranza è stata prima introdotta per le quotate e questo creava una disparità di
trattamento tra le tipologie di società; pertanto, il legislatore, con la riforma del 2003, ha
introdotto l’istituto dell’azione di minoranza e ad oggi, tutte le S.p.A. danno la possibilità alle
minoranze di agire contro gli amministratori. Il presupposto dell’azione di responsabilità della
minoranza è sempre la negligenza degli amministratori nell’adempimento del proprio mandato:
l’aliquota necessaria per promuovere l’azione è, nelle società chiuse, i soci che rappresentano
almeno il 20% del capitale sociale o diversa misura stabilita dallo statuto ma non più di 1/3, da 1/5
ad 1/3; nelle società che fanno ricorso al mercato di capitale di rischio, la percentuale è di 1/40 e
può essere abbassata e non alzata. L’azione sociale di responsabilità è finalizzata al reintegro del
patrimonio sociale e non al ristoro del danno subito, anche indirettamente, dai soggetti che hanno
agito. Inoltre, questi sono tenuti ad anticipare le spese processuali e restare soci per l’aliquota
richiesta per l’azione per la durata del giudizio. L’azione è sociale, quindi la società deve essere
chiamati in giudizio ed è possibile la rinuncia e la transazione.
2. Azione di responsabilità verso i creditori sociali
Il presupposto è molto limitato: non è il comportamento non negligente degli amministratori che
ha creato un danno alla società ma è solo la violazione dell’obbligo di conservazione di integrità
del capitale sociale. Pur avendo perpetrato comportamenti negligenti, ove il patrimonio fosse
reintegrato, viene meno il presupposto per l’esercizio dell’azione e quindi decade. La condizione
necessaria e sufficiente è che il patrimonio risulti insufficiente al soddisfacimento dei crediti e che
ci sia stata negligenza, trattandosi di responsabilità non oggettiva ma per colpa. La legittimazione
attiva spetta a ciascun creditore ma viene meno in caso di fallimento in cui solo il curatore può
esercitare questa azione (e anche l’azione sociale di responsabilità): trattandosi di un’azione molto
tardiva, se si è già in fase prefallimentare o fallimentare, è il curatore che esercita sia l’azione di
responsabilità verso i creditori sociali che l’azione sociale di responsabilità.
3. Azione di responsabilità verso i singoli soci o terzi
L’azione di responsabilità verso i singoli soci o terzi è un’azione diversa da quelle precedenti in cui i
soci/terzi sono i soggetti legittimati ad esercitare l’azione qualora siano stati individualmente e
direttamente lesi dal comportamento degli amministratori.
Deve esserci un comportamento pregiudizievole degli amministratori e un danno diretto verso un
socio o un soggetto terzo; non si tratta di un’azione sociale e quindi l’eventuale ristoro dovuto al
danno diretto subito per la negligenza degli amministratori va a vantaggio del socio che ha agito in
giudizio.
- Direttori generali
Alla stessa responsabilità degli amministratori sono soggetti i direttori generali: non fanno parte
del CdA ma sono tipicamente dipendenti della società che ricoprono posizioni di vertice, sono
passibili della responsabilità sia in sede civile che in sede penale, in modo analogo agli
amministratori. Le disposizioni che regolano la responsabilità degli amministratori si applicano
anche ai direttori generali nominati dall’assemblea o per disposizione dello statuto, in relazione ai
compiti loro affidati salvo le azioni esercitabili in base al rapporto di lavoro. È molto più limitata
rispetto alla responsabilità degli amministratori perché tarata sulla base dell’incarico ricoperto e
dell’ambito a cui sono preposti.
 Collegio sindacale
Nel modello tradizionale, l’assemblea nomina gli amministratori e il collegio sindacale.
Il collegio sindacale è l’organo di controllo tipico del modello tradizionale; ha subito nel corso degli
anni un’evoluzione normativa e si è visto ridimensionare, nelle società quotate, le proprie funzioni:
nel 1974 per le società quotate, viene previsto che l’organo di controllo sia affiancato da un
revisore esterno, nel 1998 il controllo contabile delle società quotate è affidato esclusivamente ad
un revisore esterno e nel 2003 in tutte le S.p.A. il controllo contabile è affidato esclusivamente ad
un revisore esterno. Il modello tradizionale è l’unico modello in cui permane la possibilità per la
quale se la società non è diffusa e non è soggetta alla redazione del bilancio consolidato, può non
avere la società di revisione purché tutti i componenti del collegio sindacale sia iscritti al registro
dei revisori contabili.
Ci sono una serie di temi che da sempre alimentano la polemica sul collegio sindacale:
 Requisiti per anni si è detto che non ci sono sufficienti garanzie che i componenti
del collegio sindacale abbiano competenze tecniche idonee al ruolo che ricoprono.
Questo poteva essere prima della riforma del 2003: ad oggi, però, la competenza
tecnica è necessaria per avere la revisione.
 Scarsi poteri del collegio sindacale problema che permane anche oggi.
 Nelle società quotate, soprattutto, non c’è un limite al numero di incarichi si ha
una sovrapposizione delle funzioni tra i numerosi organi e funzioni con compiti di
controllo.
Altro tema che ha da sempre portato a critiche è che, nelle società chiuse, il collegio sindacale ha
una struttura semi-rigida: è il legislatore che dice di quanti componenti deve essere composto, può
renderlo esuberante per società di piccole dimensioni ma può renderlo insufficiente per società di
grandi dimensioni  solo le società quotate, con un minimo di 3, possono tarare il numero dei
componenti dell’organo di controllo sulle reali esigenze della società; nella società chiusa, la
composizione è semi-rigida e prevede 3 o 5 membri con 2 supplenti. Nelle società quotate il
collegio è a livello numerico tarato sull’esigenze della società ed è necessario che vengano
nominati dei sindaci di minoranza e che il presidente sia scelto tra i sindaci di nomina di
minoranza. I primi sindaci sono nominati nell’atto costitutivo e successivamente sono nominati
dall’assemblea in sede ordinaria, con le normali maggioranze con cui si nominano gli
amministratori. Come gli amministratori, anche la nomina dei membri del collegio sindacale può
essere riservata anche da possessori di strumenti finanziari partecipativi o eventualmente allo
Stato/enti pubblici in società partecipate o nelle società quotate, dalla minoranza attraverso il
meccanismo del voto di lista.
- Riunioni del collegio
Il collegio sindacale deve partecipare a tutte le riunioni del CdA e deve riunirsi in proprie adunanze
almeno ogni 90 gg; ha un quorum costitutivo, maggioranza dei membri per testa e ha un quorum
deliberativo, maggioranza assoluta dei presenti. I quorum sono fissati dalla legge ma lo statuto ha
margine per introdurre obbligazioni più stringenti. Hanno il diritto di farsi assistere, a proprie
spese, da ausiliari e nelle società quotate anche dai dipendenti della società.
- Requisiti di professionalità
Nelle società quotate i requisiti di onorabilità e professionalità dei componenti dell’organo di
controllo sono stabiliti dal ministro della giustizia e si ritengono soddisfacenti.
Per le società non quotate, almeno un membro deve essere iscritto al registro dei revisori contabili
e gli altri devono essere iscritti negli albi professionali indicati dal ministro della giustizia oppure tra
i professori universitari in materie giuridiche ed economiche. Se non c’è la società di revisione,
tutti i componenti devono essere iscritti al registro dei revisori contabili, possono essere sia
persone fisiche che società di revisione.
- Ineleggibilità dei sindaci
L’articolo 2399 pone delle stringenti cause di ineleggibilità perché è particolarmente importante
che i membri dell’organo di controllo non intrattengano rapporti di natura familiare o patrimoniale
con i membri del CdA, perché questo potrebbe inficiare il controllo.
Sono ineleggibili alla carica di sindaco sia coloro che si trovano nelle situazioni previste per
l’ineleggibilità alla carica di amministratore (interdetto, inabilitato, fallito, colui che sia stato
interdetto anche temporaneamente dagli uffici) sia il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto
grado degli amministratori della società, delle controllate, delle controllanti e delle società
sottoposte al comune controllo perché in caso di rapporti familiari il controllo potrebbe diventare
connivente.
Sono ineleggibili coloro che sono legati da rapporti di natura economica alla società o alle società
controllate, alle società controllanti e alle società sottoposte a comune controllo da un rapporto di
lavoro, un rapporto continuativo di consulenza, prestazione d’opera retribuita o qualsiasi legame
patrimoniale che possa pregiudicare l’indipendenza.
Lo statuto può implementare le cause di ineleggibilità e decadenza e incompatibilità o inserire un
limite al cumulo degli incarichi, che per le quotate è stato stabilito dalla Consob.
- Compenso e durata
Il compenso è predeterminato e variabile per il triennio e non può più essere modificato, i sindaci
restano in carico per il triennio e sono rieleggibili. Il punto importante che non troviamo nei
modelli alternativi è la revoca: i componenti del collegio sindacale non possono essere revocati ad
nutum ma solo per giusta causa e c’è bisogno che la delibera sia approvata dal tribunale è una
grande garanzia di indipendenza perché c’è un’amovibilità per il triennio.
- Il controllo sull’amministrazione
Che tipo di controllo ci si aspetta che facciano i componenti del collegio sindacale? Si dice che è
un controllo globale e sintetico: significa che è un controllo sulla gestione in generale il collegio
sindacale dovrà controllare che gli assetti organizzativi e amministrativi e contabili siano adeguati,
controllare che i flussi informativi sia endoconsiliari che verso l’organo di controllo stesso siano
adeguati e che le info non pongano in allerta verso qualsivoglia pericolo di negligenza. Ove il
collegio ravvisi fatti censurabili, è tenuto a rendere analitico quel controllo investigando
specificamente su quel singolo atto o fatto. Le modalità del controllo sono totalmente
discrezionali; l’organo di controllo è solito interagire anche con gli altri organi della società per
avere informazioni incrociate.
- I poteri del collegio sindacale
(1) I componenti del collegio sindacale possono in qualunque momento compiere atti di
ispezione e controllo; possono chiedere agli amministratori notizie specifiche sugli atti posti
in essere e anche agli amministratori di tutte le società del gruppo e ai corrispondenti
organo di controllo delle società del gruppo; ove ravvisino dei fatti censurabili, possono
convocare l’assemblea e devono sostituirsi agli amministratori in caso di impossibilità di
esercizio del proprio mandato per i fatti urgenti. L’assemblea può essere convocata dal
collegio sindacale sia nelle società quotate che non quotate ove ravvisino, nel loro operato,
dei fatti di rilevante gravità.
(2) Il collegio sindacale può promuovere il controllo giudiziario se ritiene che ci siano state
gravi irregolarità nella gestione.
È possibile che il collegio sindacale si renda conto che l’operato degli amministratori è così
negligente da poter creare un imminente danno alla società e sicuramente può promuovere
l’azione di responsabilità ma ove ravvisi un danno imminente, può agire ai sensi dell’articolo 2409:
può denunciare i fatti che ritiene gravi e irregolari direttamente al tribunale.
L’articolo 2409 prevede che, se vi è in capo al collegio sindacale fondato sospetto che gli
amministratori abbiano compiuti gravi irregolarità nella gestione che possano recare danno alla
società o alle controllate, i soci che rappresentano 1/10 del capitale sociale o il collegio sindacale
possono denunciare al tribunale i fatti che costituiscono le gravi irregolarità.
È uno strumento che può essere utilizzato dai soci qualora ritengano che non solo gli
amministratori ma anche i membri del collegio sindacale abbiano compiuto delle irregolarità che
possano danneggiare nell’immediato la società e quindi si recheranno direttamente in tribunale
dove esperiranno quest’azione che potrebbe bloccare tutti gli organi di amministrazione e di
controllo.
In sintesi: l’articolo 2409 dà la possibilità in caso di fondato sospetto di gravi irregolarità sulla
gestione di fare una denuncia al tribunale: la denuncia può essere fatta dai soci al tribunale, dai
soci al collegio sindacale che si rivolge al tribunale o dal collegio sindacale direttamente; solo nelle
società quotate può essere fatta dal PM o dalla Consob, non d’ufficio. Il presupposto è un fondato
sospetto di irregolarità della gestione; per agire c’è bisogno anche di un danno potenziale alla
società e non solo del presupposto. Come prima cosa, il presidente del tribunale nomina il giudice
che sente in camera di consiglio di amministratori e l’organo di controllo per accertare l’effettiva
esistenza delle irregolarità; il giudice può ordinare l’ispezione dell’amministrazione della società, a
spese dei soci richiedenti. È un intervento esterno perché l’azione di responsabilità si svolge
fisiologicamente all’interno della società; in questo caso si richiede l’intervento di un soggetto
esterno, e cioè un giudice.
*****
Articolo 2409
[1] Se vi è fondato sospetto che gli amministratori, in violazione dei loro doveri, abbiano compiuto
gravi irregolarità nella gestione che possono arrecare danno alla società o a una o più società
controllate, i soci che rappresentano il decimo del capitale sociale o, nelle società che fanno
ricorso al mercato del capitale di rischio, il ventesimo del capitale sociale possono denunziare i
fatti al tribunale [2392, 2400] con ricorso notificato anche alla società. Lo statuto può prevedere
percentuali minori di partecipazione.
[2] Il tribunale, sentiti in camera di consiglio gli amministratori e i sindaci, può ordinare l'ispezione
dell'amministrazione della società a spese dei soci richiedenti, subordinandola, se del caso, alla
prestazione di una cauzione [119 c.p.c.]. Il provvedimento è reclamabile.
[3] Il tribunale non ordina l'ispezione e sospende per un periodo determinato il procedimento se
l'assemblea sostituisce gli amministratori e i sindaci con soggetti di adeguata professionalità, che si
attivano senza indugio per accertare se le violazioni sussistono e, in caso positivo, per eliminarle,
riferendo al tribunale sugli accertamenti e le attività compiute.
[4] Se le violazioni denunziate sussistono ovvero se gli accertamenti e le attività compiute ai sensi
del terzo comma risultano insufficienti alla loro eliminazione, il tribunale può disporre gli
opportuni provvedimenti provvisori e convocare l'assemblea [2363, 2364, 2364 bis, 2366] per le
conseguenti deliberazioni. Nei casi più gravi può revocare gli amministratori ed eventualmente
anche i sindaci [2487] e nominare un amministratore giudiziario, determinandone i poteri e la
durata.
[5] L'amministratore giudiziario può proporre l'azione di responsabilità contro gli amministratori
[2393, 2393 bis, 2394, 2394 bis] e i sindaci [2407]. Si applica l'ultimo comma dell'articolo 2393.
[6] Prima della scadenza del suo incarico l'amministratore giudiziario rende conto al tribunale che
lo ha nominato; convoca e presiede l'assemblea per la nomina dei nuovi amministratori e sindaci o
per proporre, se del caso, la messa in liquidazione della società o la sua ammissione ad una
procedura concorsuale.
[7] I provvedimenti previsti da questo articolo possono essere adottati anche su richiesta del
collegio sindacale, del consiglio di sorveglianza o del comitato per il controllo sulla gestione,
nonché, nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, del pubblico ministero; in
questi casi le spese per l'ispezione sono a carico della società.
*****
- La denuncia dei soci al collegio sindacale
Inoltre, il collegio sindacale è anche il soggetto a cui i soci possono denunciare delle irregolarità
sulla gestione: ove i soci ravvisino delle irregolarità nella gestione, possono andare a denunciarle al
collegio sindacale il quale, ai sensi dell’articolo 2408, è tenuto a prenderle in considerazione e se la
denuncia è fatta da tanti soci che rappresentano almeno 1/20 del capitale sociale o 1/50 per le
società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, è tenuto ad indagare senza ritardo su
questi fatti, a presentare le proprie conclusioni ed eventuali proposte in assemblea ed
eventualmente può valutare la denuncia al tribunale di gravi irregolarità. Le aliquote fissate dal
legislatore possono anche essere abbassate dallo statuto, ma non abbassate.
Quindi, non solo il collegio sindacale è tenuto a controllare la gestione in modo generale e
sintetico o analitico se ne ricorrono le necessità ed eventualmente, riportare le proprie deduzioni
in assemblea convocandola, ma è anche il soggetto a cui i soci possono rivolgersi qualora
ravvisino dei fatti censurabili e ove i soci rappresentino le aliquote indicate dal secondo comma
del 2408, ciò determina un obbligo in capo ai membri del collegio sindacale di verificare la
fondatezza dei fatti denunciati dai soci e poi di riferirne nella successiva assemblea. È un organo
che è istituzionalmente recettivo delle denunce dei soci.
*****
Articolo 2408
[1] Ogni socio può denunziare i fatti che ritiene censurabili al collegio sindacale, il quale deve tener
conto della denunzia nella relazione all'assemblea [2406].
[2] Se la denunzia è fatta da tanti soci che rappresentino un ventesimo del capitale sociale o un
cinquantesimo nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, il collegio
sindacale deve indagare senza ritardo sui fatti denunziati e presentare le sue conclusioni ed
eventuali proposte all'assemblea; deve altresì, nelle ipotesi previste dal secondo comma
dell'articolo 2406, convocare l'assemblea [2364, n. 4, 2366]. Lo statuto può prevedere per la
denunzia percentuali minori di partecipazione.
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- La responsabilità dei sindaci
Il collegio sindacale non solo può agire in giudizio a tutela della società e in responsabilità contro
gli amministratori, non solo può essere il soggetto a cui i soci denunciano delle irregolarità nella
gestione, ma può anche essere oggetto della denuncia sia in sede di denunci al tribunale di gravi
irregolarità sia in sede di responsabilità.
La responsabilità dei sindaci può accompagnarsi all’azione di responsabilità degli amministratori,
non potrà essere autonoma perché generalmente deriva da una mancata vigilanza sugli
amministratori: è una responsabilità concorrente e solidale con gli amministratori per mancata e
omessa vigilanza; non è una responsabilità oggettiva.
I sindaci sono passibili di responsabilità per omissione di controllo e quindi, possono essere
chiamati in responsabilità.
*****
Articolo 2407
[1] I sindaci devono adempiere i loro doveri con la professionalità e la diligenza richieste dalla
natura dell'incarico; sono responsabili della verità delle loro attestazioni e devono conservare il
segreto sui fatti e sui documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio.
[2] Essi sono responsabili solidalmente [1292] con gli amministratori per i fatti o le omissioni di
questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli
obblighi della loro carica [2409, 2449].
*****
In sintesi: il collegio sindacale è l’organo di controllo che conduce un controllo di regolarità
sostanziale. Il controllo è globale e sintetico e diventa analitico quando si ravvisino dei fatti
censurabili. Anche in capo al collegio sindacale può esserci una colpa in vigilando ove abbia
omesso o non efficacemente svolto la funzione che gli è propria.
Il collegio sindacale conduce un controllo di legittimità sostanziale, è un controllo sulla gestione ed
è globale e sintetico; diventa analitico nella misura in cui si ravvisino comportamenti di negligenza
e quindi bisogna verificare che non ci siano stati dei vizi. Il collegio sindacale ha l’onere di
confrontarsi con gli analoghi organi di controllo delle controllate, controllanti e collegate e hanno
la possibilità di farsi aiutare da esperti.
Nella società di capitali, i soci non hanno alcun potere di controllo: non hanno la possibilità di
chiedere evidenza di uno specifico atto o di consultare le scritture poste in essere dagli
amministratori per addivenire alla conclusione di un determinato anno, sono privi di poteri
individuali di controllo perché il legislatore ha dato un sistema di amministratore e controllo
costituito da organi che dovrebbero assolvere a questo ruolo. È particolarmente importante,
quindi, che i soci, ove ravvisino evidenze di irregolarità, le denuncino al collegio sindacale.
Il collegio sindacale, ove queste denunce arrivino da una determinata aliquota dii capitale, è
tenuto a prenderle in considerazione e a relazionare l’assemblea in merito.
 Disciplina dei modelli alternativi
Il modello tradizionale contraddistingue il nostro ordinamento, è nettamente il modello più diffuso
e infatti bisogna optare per un modello alternativo perché in caso contrario si applica di default il
modello tradizionale. La disciplina dei modelli alternativi è dettata dove deroga a quello che è
previsto per il modello tradizionale altrimenti si ritiene che agiscano come norme suppletive e
quindi siano applicabili le previsioni che non sono direttamente disciplinate nei modelli alternativi
ma che troviamo nel modello tradizionale. Esempio nella disciplina del dualistico non si cita
minimamente l’azione da parte dei creditori sociali o i soci e terzi, né per rinvio né per delega:
quindi sono legittimate queste fattispecie? Si applica la normativa dettata nell’ambito del modello
tradizionale? SI, esempio eclatante del fatto che dove non si deroga si applicano le norme sancite
dalla disciplina del modello tradizionale.
La disciplina dei modelli alternativi dà la possibilità di scegliere tra due modelli che sono alternativi
rispetto al modello tradizionale. La disciplina deroga per quanto previsto dal modello tradizionale;
quello che non è derogato, in quanto compatibile con il modello, si applica. In generale, le
disposizioni degli amministratori si applicheranno agli organi di amministrazione di questi due
modelli e le disposizioni dei sindaci si applicheranno ai rispettivi organi di controllo.
Il modello alternativo è un modello opzionale che va scelto dall’assemblea, può essere scelto
anche infrannualmente ma non è possibile spezzare l’esercizio con due modello differenti: quindi,
se è preso durante l’esercizio, la variazione del sistema di amministrazione e controllo avrà effetto
dalla data dell’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio.
1. Modello dualistico
Il modello dualistico si compone di tre organi: l’assemblea, proprio per la strutturazione del
modello stesso, viene esautorata di talune delle sue più importanti funzioni infatti, è un modello
che si presume sia più adatto all’impresa medio-grande, con un azionariato diffuso in cui c’è una
componente di azionisti investitori, categoria di azionisti non interessata all’esercizio dei diritti
sociali ma che vive la partecipazione azionaria come una modalità di investimento.
Nel sistema tedesco questo modello diverge dal modello italiano per la sua caratteristica
principale, la cogestione cioè che una parte dei componenti del consiglio di sorveglianza sia
nominato dai lavoratori.
Abbiamo l’assemblea (identica a quella del modello tradizionale), luogo deputato alla riunione dei
soci in cui assumono le decisioni fondanti per la società: nel modello tradizionale, le decisioni
fondamentali assunte dall’assemblea sono la nomina/revoca degli amministratori e l’approvazione
del bilancio d’esercizio; nel modello monistico l’assemblea non nomina gli amministratori e
l’organo di controllo ma esclusivamente l’organo di controllo, cioè il consiglio di sorveglianza ed è
l’organo di controllo a nominare il consiglio di gestione (che è l’equivalente del CdA), il quale è
necessariamente pluripersonale (l’organo di controllo può essere unipersonale solo nel modello
tradizionale, nei modelli alternativi è necessariamente pluripersonale).
Le funzioni sono diverse dal modello tradizionale, più che nel modello monistico, perché l’organo
di controllo può assumere per scelta statutaria delle funzioni in parte tipiche dell’assemblea e in
parte di amministrazione di controllo (funzioni che tipicamente sono degli amministratori privi di
deleghe nell’ambito del modello tradizionale). Da un lato, abbiamo un’esautorazione
dell’assemblea delle sue funzioni più importanti, approvazione di bilancio e nomina/revoca degli
amministratori; dall’altro, abbiamo la possibilità che lo statuto coinvolga il consiglio di sorveglianza
anche nella gestione della società, mai nella gestione attiva ma nel coinvolgimento sulla
valutazione dei piani finanziari e industriali della società.
Questo modello si caratterizza per avere un organo di controllo molto forte: è il consiglio di
sorveglianza che nomina e revoca i componenti del consiglio di gestione, agisce in responsabilità
nei confronti dei membri del consiglio di gestione, ma l’azione di responsabilità spetta anche
all’assemblea; c’è sicuramente uno spostamento di funzioni dall’assemblea all’organo di controllo.
L’assemblea ha un ruolo più marginale perché non nomina e non revoca gli amministratori e non
approva il bilancio, salvo che ci siano problemi nell’approvazione da parte del consiglio di
sorveglianza che si rifiuti di approvarlo: residua in capo all’assemblea, nell’ambito del bilancio
d’esercizio, la delibera di distribuzione degli utili è l’assemblea che decide se distribuire o meno
gli utili.
Come in tutti i modelli alternativi e in quello tradizionale (fatta eccezione della società chiusa non
soggetta alla redazione del bilancio consolidato), la revisione è sempre esterna: sarà una persona
fisica o giuridica ad esercitare la revisione.
- Il consiglio di sorveglianza
Il consiglio di sorveglianza, in generale, ha la funzione di effettuare un controllo globale e sintetico
sull’amministrazione della società, di legittimità formale e sostanziale; è legittimato a presentare la
denuncia al tribunale in caso ravvisi fatti censurabili nell’amministrazione; deve riferire, almeno
una volta all’anno, all’assemblea dell’attività di vigilanza svolta, in sede di approvazione del
bilancio d’esercizio in cui l’assemblea dovrà deliberare, eventualmente, della distribuzione degli
utili; i componenti del consiglio di sorveglianza devono assistere all’assemblea e alle adunanze
dell’organo di amministrazione, il codice non prevede sanzioni per la mancata presenza alle
adunanze del consiglio di gestione; ha poteri individuali e collegiali assimilabili a quelli del collegio
sindacale; ha la facoltà e il dovere di coordinarsi con gli organi di controllo con tutte le società del
gruppo in modo analogo a quanto previsto per il collegio sindacale.
L’elemento più interessante è che è l’organo di sorveglianza a nominare gli amministratori; è
dubbia l’applicazione analogica delle limitazioni sul compenso che si ritrovano in tema di sindaci
nel modello tradizionale; è assente l’applicazione della revoca da parte del tribunale. È un organo
di controllo forte che ha dei poteri forti: nomina e revoca i componenti del consiglio di gestione;
determina il compenso dei componenti dell’organo di gestione, salvo che lo statuto non preveda
che questa funzione sia attribuita all’assemblea; approva il bilancio d’esercizio e promuove
l’esercizio dell’azione di responsabilità. L’esautorazione dell’assemblea dà l’idea di un modello
appetibile per società in cui i soci non hanno interesse ad esercitare tali diritti, si pensa a società
con azionariato diffuso. Lo statuto può prevedere, che in caso di mancata approvazione da parte
del consiglio di sorveglianza o su richiesta del consiglio di sorveglianza o su richiesta di almeno un
terzo del consiglio di gestione, l’approvazione del bilancio torni all’assemblea.
Nella struttura del modello c’è un’esautorazione dei poteri dell’assemblea ma se lo statuto lo
prevede, può essere attribuita al consiglio di sorveglianza la possibilità di deliberare in ordine alle
operazioni strategiche e ai piani industriali e finanziari della società predisposti dal consiglio di
gestione: si tratterà di un parere perché la responsabilità dell’assunzione di una data decisione
residua in capo agli amministratori, è un tipo di controllo ed espressione del proprio parere
assimilabile a quelli di un amministratore privo di deleghe; snatura il modello e lo rende molto
distante dal ruolo del nostro controllo sindacale il fatto di coinvolgerlo in temi che sono
tipicamente di amministrazione. Si tratta di una delibera che non è vincolante perché esprime un
parere rispetto alle operazioni strategiche e ai piani industriali e finanziari.
Possono impugnare le delibere assembleari e le delibere del consiglio di gestione; se lo statuto lo
prevede e se non sono attribuire al consiglio di gestione, i componenti del consiglio di sorveglianza
possono deliberare sulla fusione per incorporazione di società interamente o quasi interamente
possedute, sulla creazione o soppressione di sedi secondarie, sulla riduzione del capitale in virtù
dell’esercizio del diritto di recesso e sul trasferimento di una sede solo in Italia.
*****
Articolo 2409 terdecies
[1] Il consiglio di sorveglianza:
a) nomina e revoca i componenti del consiglio di gestione; ne determina il compenso, salvo che la
relativa competenza sia attribuita dallo statuto all'assemblea;
b) approva il bilancio di esercizio e, ove redatto, il bilancio consolidato;
c) esercita le funzioni di cui all'articolo 2403, primo comma;
d) promuove l'esercizio dell'azione di responsabilità nei confronti dei componenti del consiglio di
gestione;
e) presenta la denunzia al tribunale di cui all'articolo 2409;
f) riferisce per iscritto almeno una volta all'anno all'assemblea sull'attività di vigilanza svolta, sulle
omissioni e sui fatti censurabili rilevati;
f-bis) se previsto dallo statuto, delibera in ordine alle operazioni strategiche e ai piani, industriali e
finanziari della società predisposti dal consiglio di gestione, ferma in ogni caso la responsabilità di
questo per gli atti compiuti.
[2] Lo statuto può prevedere che in caso di mancata approvazione del bilancio o qualora lo
richieda almeno un terzo dei componenti del consiglio di gestione o del consiglio di sorveglianza la
competenza per l'approvazione del bilancio di esercizio sia attribuita all'assemblea.
[3] I componenti del consiglio di sorveglianza devono adempiere i loro doveri con la diligenza
richiesta dalla natura dell'incarico. Sono responsabili solidalmente con i componenti del consiglio
di gestione per i fatti o le omissioni di questi quando il danno non si sarebbe prodotto se avessero
vigilato in conformità degli obblighi della loro carica.
I componenti del consiglio di sorveglianza possono assistere alle adunanze del consiglio di gestione
e devono partecipare alle assemblee.
*****
Un dubbio della dottrina è: ma se ci sono delle competenze che nel modello tradizionale sono
assembleari e non sono espressamente delegate al consiglio di sorveglianza al modello dualistico,
passano al consiglio di sorveglianza? NO, perché si è detto che tendenzialmente si applica per
analogia tutto ciò che non in conflitto con la struttura del modello stesso.
- Il consiglio di gestione
Il collegio di gestione un organo necessariamente collegiale, almeno 2 soggetti e necessariamente
3 per le quotate perché ci sono gli amministratori di minoranza ed eventualmente anche quelli
indipendenti; il presidente del consiglio di gestione è nominato dall’assemblea o dal consiglio di
gestione stesso; la revoca compete al consiglio di sorveglianza; i componenti del consiglio di
gestione sono liberamente revocabili, con la regola che se non c’è giusta causa avranno diritto al
risarcimento del danno.
Le differenze sono modeste: non si applica l’istituto della cooptazione; è legittima la delega di
funzioni amministrative ma solo a favore di amministratori delegati; non si ritiene siano istituibili
comitati esecutivi.
La gestione è naturalmente attribuita al consiglio di gestione: l’assemblea può decidere di far
condividere al consiglio di gestione le operazioni strategiche e i piani finanziari e industriali con il
consiglio di sorveglianza ma comunque, il consiglio di gestione è l’unico organo responsabile per la
gestione il fatto che la delibera passi al consiglio di sorveglianza non attenua la responsabilità
derivante dall’assunzione di una determinata delibera su un piano industriale o finanziario o di una
determinata operazione. Gli amministratori restano comunque i componenti del consiglio di
gestione e hanno quindi l’amministrazione della società e la conseguente responsabilità e,
ovviamente, il potere di rappresentanza.
 Azione di responsabilità contro i consiglieri di gestione
Si applicano le norme dettate in tema di responsabilità degli amministratori e l’azione di
responsabilità può essere esercitata anche dal consiglio di sorveglianza, che delibera a
maggioranza dei suoi componenti per teste. Se la delibera è assunta da più di 2/3 dei componenti,
determina la revoca degli amministratori ed essendo il consiglio di sorveglianza l’organo deputato
alla nomina, ci sarà la contestuale nomina degli amministratori nuovi: per questo motivo non si
applica l’istituto della cooptazione.
L’azione di responsabilità è un’azione sociale (tutti i benefici andranno a reintegrare il patrimonio
sociale) e può essere oggetto di rinuncia o transazione; la rinuncia o la transazione da parte del
consiglio di sorveglianza non impedisce l’esercizio dell’azione da parte dei soci perché l’azione di
responsabilità, potendo coinvolgere anche l’inefficienza del controllo del consiglio di sorveglianza,
è comunque in capo anche all’assemblea.
2. Modello monistico
Il modello monistico, di derivazione anglosassone, indubbiamente il più diffuso a livello mondiale,
vede la nomina da parte dell’assemblea del solo consiglio di amministrazione, organo
necessariamente pluripersonale e che al proprio interno deve contenere almeno 1/3 dei
componenti con dei requisiti di indipendenza. Questo accade perché sarà il consiglio di
amministrazione che nel proprio seno, cioè tra i suoi componenti dotati dei requisiti di
indipendenza, nominerà l’organo di controllo. Perché non dovremmo avere dei dubbi su un
organo di controllo nominato dagli stessi amministratori i cui componenti continuano a far parte
del CdA? La risposta dovrebbe essere: perché è l’indipendenza del giudizio a determinare
l’efficacia del controllo; questo dovrebbe valere in tutti i modelli.
Nel modello monistico l’assemblea conserva le identiche competenze che ha nel modello
tradizionale, salvo che non nomina il collegio sindacale.
Qual è il vantaggio? Indubbiamente, il fatto che i componenti dell’organo di controllo siano
amministratori fa si che ci sia una condivisione di informazioni continua e questo può rendere il
modello più efficiente e flessibile rispetto a modelli in cui si trovano due organi differenti. Il
modello potrebbe essere snaturato qualora l’assemblea dovesse nominare un numero di
indipendenti pari a quelli che dovrebbero comporre il comitato per il controllo sulla gestione.
Il modello idealmente funziona in questo modo: l’assemblea nomina il CdA, il quale autodetermina
al proprio interno tra i componenti dotati dei requisiti di indipendenza chi deve andare a comporre
il comitato per il controllo sulla gestione. Ma se l’assemblea dovesse nominare un numero di
componenti dotati di requisiti di indipendenza pari al numero di componenti del comitato per il
controllo sulla gestione, sarebbe come se nominasse non solo il CdA ma anche il comitato per il
controllo sulla gestione: l’assemblea potrebbe avvantaggiarsi del fatto che non ci sono
determinate tutele che si trovano nel modello tradizionale.
Il controllo di revisione è sempre affidato ad un revisore esterno.
Qual è il punto più importante di questo modello? L’indipendenza questo modello funziona nei
Paesi anglosassoni perché si trovano delle culture che danno una rilevanza enorme
all’indipendenza; da qui discende lo scettiscismo del legislatore nella riforma del 2003.
C’è da dire che l’efficacia del controllo è data dalle persone che lo effettuano e la capacità della
persona e l’indipendenza del giudizio sono elementi determinanti per effettuare il controllo.
- Gli amministratori
È chiaro che in questo modello, nella composizione del consiglio, è importante che l’assemblea
individui dei soggetti indipendenti proprio per il funzionamento dell’organo perché se non ci sono
si va in stallo in quanto non può essere nominato il comitato di controllo: a differenza che nel
modello tradizionale in cui vi è la facoltà di avere amministratori non esecutivi, nel modello
monistico è obbligatorio avere degli amministratori non esecutivi e indipendenti perché in caso
contrario non potrebbero essere nominati i componenti del comitato di controllo i quali devono
essere necessariamente, oltre che indipendenti, anche privi di deleghe.
In questo modello, i componenti dell’organo di controllo continuano ad essere amministratori e
quindi i flussi informativi, almeno idealmente, sono i migliori possibili e da qui il motivo per cui si
vorrebbe scegliere questo modello.
Distinguiamo tra amministratori esecutivi e non esecutivi e tra i non esecutivi, gli amministratori
indipendenti e dipendenti: i soggetti che hanno i requisiti per formare l’organo di controllo devono
essere non esecutivi ed indipendenti.
- Composizione del CdA e del comitato per il controllo
La legge ci dice che almeno 1/3 dei componenti del CdA deve essere indipendente, da cui la
necessaria pluripersonalità dell’organo; il numero sarà importante perché è solo tra gli
amministratori indipendenti non esecutivi che vanno scelti i membri del comitato e quindi sarebbe
opportuno che fossero in numero maggiore rispetto al minimo previsto per il comitato, in modo
che la scelta sia effettivamente del CdA e non sia una scelta obbligata.
Tutti i componenti dell’organo di controllo dovranno essere indipendente e non esecutivi. Lo
statuto può stabilire ulteriori requisiti di onorabilità e professionalità per i membri dell’organo di
controllo; inoltre, almeno un componente deve essere iscritto al registro dei revisori contabili.
- Il comitato per il controllo sulla gestione
Il comitato per il controllo sulla gestione ha le stesse funzione del collegio sindacale; ciò che
potrebbe creare una differenza nel controllo è la qualità delle persone che lo compongono e la
posizione che occupano (il fatto di essere anche amministratori).
Il comitato per il controllo sulla gestione vigilia sull’adeguatezza della struttura organizzativa, del
sistema di controllo interno e del sistema amministrativo contabile, nonché sulla sua idoneità a
rappresentare correttamente i fatti di gestione; svolge ulteriori compiti affidatigli da CdA, con
riguardo ai rapporti con i revisori, differenza non rilevante con il collegio sindacale del modello
tradizionale; si riunisce almeno ogni 90 giorni; deve assistere alle riunioni assembleari e dei
comitati esecutivi e del CdA, ma non è prevista una sanzione per l’eventuale assenza; i componenti
sono destinatari delle denunce dell’articolo 2408 e sono legittimati alla denuncia prevista
dall’articolo 2409.
- Finalità dell’introduzione dei sistemi alternativi
I modelli alternativi, nelle intenzioni del legislatore, sono stati introdotti prevalentemente per le
società a capitale diffuso ma anche per rendere il nostro ordinamento più appetibile per società
straniere che desiderino avere una controllata. Il modello dualistico rende molto forte l’organo di
controllo ed esautora grandemente l’assemblea delle sue funzioni principali.
Per il modello monistico, l’elemento che più è stato valutato positivamente è la flessibilità e la
semplificazione della struttura organizzativa, sempre avendo dei dubbi in dottrina sul concetto di
indipendenza. Il modello monistico appare numericamente più utilizzato del modello dualistico ma
entrambi restano modelli molto poco utilizzati rispetto al modello tradizionale.
- Critiche ai modelli alternativi
Nel modello monistico, la critica è che gli amministratori sono anche controllanti.
Nel modello dualistico, le principali critiche riguardano al tema del fatto che non ci sono sanzioni in
caso di revoca e all’enfasi del problema dell’indipendenza.
 Revisione legale dei conti
La società di revisione ha avuto un’evoluzione normativa nel ’74 con la legge con cui la Consob ha
messo la possibilità della revisione e introdotto la revisione per le società quotate; la revisione è
diventata, nel ’98, cogente ed inderogabile per tutte le società quotate e diventata obbligatoria,
salvo per le società chiuse non soggette alla redazione del bilancio consolidato, nel 2003. Ulteriore
novità legislativa si è avuta nel 2010 col decreto legislativo 39 che ha riformato la revisione
contabile, specificando la composizione degli organi, l’indipendenza, la decadenza e rendendo
sempre più specifica questa disciplina, fondamentale per avere una governance efficace e corretta.
La società di revisione non è un organo della società, è esterna e va a completare il sistema di
amministrazione e controllo. Oggi c’è l’obbligo di revisione contabile dei conti per tutte le S.p.A.
chiuse, aperte e quotate salvo per le S.p.A. chiuse non tenute alla redazione del bilancio
consolidato. La revisione legale dei conti negli enti di interesse pubblico deve inderogabilmente
essere esercitata da un revisore esterno: per enti di interesse pubblico si intendono le società
quotate, società diffuse tra il pubblico in maniera rilevante (banche, società assicuratrici). Abbiamo
delle società soggette ad un regime intermedio, aperte ma non quotate sul mercato
regolamentato, a cui si applica il decreto legislativo (società di gestione del risparmio, società in
generale di investimenti).
- Revisore esterno
Il revisore esterno esercita un controllo contabile, è nominato in tutti i tipi di modelli per la prima
volta nello statuto e dall’assemblea su proposta motivata dell’organo di controllo. Il singolo
revisore o i componenti della società di revisione devono essere iscritti all’albo dei revisori legali.
L’assemblea determina anche il corrispettivo per tutto il mandato, a garanzia del fatto che il
revisore non possa essere incentivato da bonus ad essere compiacente verso la mancata
rilevazione di determinati elementi.
È importante l’articolo 13 del D. lgs. 39/2010 in quale ci dice che il compenso non può essere
subordinato ad alcuna condizione, per far si che il controllo sia il più efficace possibile.
I soggetti devono essere indipendenti; l’indipendenza è fissata dall’articolo 10 del D. lgs. 39/2010
ed è più pregnante di quella prevista per i sindaci.
Articolo 10 D. lgs. 39/2010 (da leggere tutto) l’assemblea, su proposta motivata dell’organo di
controllo, conferisce l’incarico di revisione legale e determina il corrispettivo spettante al revisore
legale/società di revisione per l’intera durata dell’incarico e gli eventuali criteri per l’adeguamento
del corrispettivo durante l’incarico.
L’incarico ha durata 3 esercizi con scadenza la data dell’assemblea convocata per l’approvazione
del bilancio inerente al terzo esercizio.
È vietata qualsiasi clausola contrattuale che limiti la scelta del revisore legale/società di revisione
legale da parte dell’assemblea a determinate categorie o elenchi di revisori legali; se prevista, è da
ritenersi nulla. L’assemblea revoca l’incarico, sentito l’organo di controllo, qualora ricorra una
giusta causa; non è necessario l’assenso del tribunale ma l’assenso dell’organo di controllo e la
comunicazione alla Consob se la società è quotata e al Ministero dell’economia e della finanza se
la società non è quotata. Il revisore legale/società di revisione legale può dimettersi dall’incarico,
salvo risarcimento del danno.
È particolarmente importante, nella determinazione del revisore, l’indipendenza la quale è l’unica
che può garantire che il mandato sia esercitato in modo efficace. In particolare, c’è un divieto
definito il divieto delle porte girevole che fa si che non sia legittimo effettuare la revisione da parte
di soggetti che abbiano intrattenuto dei rapporti di lavoro con la società revisionata nel periodo a
cui la revisione si riferisce e che non sia legittimo, per chi ha effettuato la revisione sulla società
divenire, se non dopo un anno o due anni se sono società quotate, dirigente o componente di un
organo sociale della società revisionata per evitare che si aggiri il limiti determinato dal fatto che il
compenso è stabilito e non può essere cambiato con la promessa di un lavoro futuro o che il
controllo sia meno efficace perché si riferisce ad un momento in cui il soggetto aveva un rapporto
di lavoro con la società revisionata.
Il concetto di indipendenza di giudizio è così importante che con questo decreto legislativo si è
esteso oltre ogni limite: si vuole a tutti i costi cercare di evitare il conflitto di interesse che può
nascere da essere portatori direttamente o indirettamente di interessi i qualunque tipo di
rapporto di natura patrimoniale, familiare o affettiva possa inficiare il fatto che la revisione è
effettuata in modo indipendente va ad inficiare, con la nullità, la nomina del revisore.
- Durata dell’incarico
L’incarico nelle società chiuse ha durata 3 esercizi, il revisore legale scade con l’approvazione del
bilancio del terzo esercizio; è rinnovabile un numero indefinito di volte.
Nelle società quotate ha durata di 9 esercizi, 7 se è una persona fisica e ci vuole un momento di
pausa per poter riassumere l’incarico: ci vogliono 4 esercizi di pausa prima di assumere
nuovamente l’incarico. Il divieto delle porte girevoli è esteso a due anni.
- Funzioni della revisione legale
La funzione è quella di controllare la corretta tenuta della contabilità ed esprimere un giudizio sul
bilancio d’esercizio o consolidato. Il giudizio può essere positivo con o senza rilievi, negativo o con
l’impossibilità di esprimere un giudizio.
Nelle società quotate, sul controllo effettuato dalla società di revisione o dal revisore, vigila un
comitato specifico, il comitato per il controllo interno e la revisione contrabile, che normalmente
coincide con l’organo di controllo ma non necessariamente.
Avere un giudizio senza rilievi nelle società chiuse o positivo con o senza rilievi, soprattutto nelle
società quotate, è particolarmente importante perché cambia il quorum con il quale si può
chiedere l’impugnazione di bilancio: nelle società chiuse, il quorum è abbastanza modesto; nelle
società quotate il quorum è molto rilevante e pari al 5% per promuovere l’impugnazione del
bilancio è volto ad impedire l’impugnazione di bilancio pretestuosa volta esclusivamente a dare
fastidio e che può creare un danno sul titolo.
 Invalidità della delibera di approvazione del bilancio d’esercizio
Un giudizio senza rilievi nelle società chiuse o un giudizio positivo con rilievi o senza rilievi nelle
società quotate determina che ci voglia, per avere una legittimazione attiva all’esperimento della
delibera dell’annullabilità e nullità del bilancio d’esercizio, un’aliquota del capitale almeno pari al
5% per evitare che ci sia un esperimento dell’azione a fini pretestuosi con un danno sul titolo, e in
generale sul mercato.
- Sequenza temporale del procedimento d’approvazione del bilancio d’esercizio
L’approvazione del bilancio è una delibera fondamentale, deve intervenire entro 120 gg o 180 gg,
in società che redigono il bilancio consolidato o per particolari esigenze, dalla chiusura
dell’esercizio. È necessario che il bilancio, con le relazioni del CdA, dell’organo di controllo e del
revisore legale, sia depositato nelle società chiuse presso la sede della società 15 gg prima
dell’assemblea e nelle società quotate sul sito internet aziendale 21 gg prima dell’assemblea in
modo che i soci possano prenderne visione e votare in modo informato sull’approvazione del
bilancio. Nelle società quotate, sette giorni prima c’è la record date, si determina chi andrà a
votare per l’approvazione di bilancio. Viene fissata la data di convocazione dell’assemblea in cui i
soci votano secondo i quorum dell’assemblea ordinaria; dopodiché, gli amministratori dovranno
depositare nei 30 gg successivi la delibera al RI e si avrà l’iscrizione.
Il fatto di aver approvato il bilancio non libera da responsabilità gli amministratori per fatti
rilevanti; anche se non è all’ordine del giorno, eventi che si riferiscono al bilancio che si va ad
approvare, possono essere posti come azione di responsabilità anche se non c’è nell’avviso di
convocazione.
 La Consob
La Consob è la commissione nazionale per la società e la borsa, è un organo di diritto pubblico che
ha il ruolo di vigilare sui mercati finanziari; è stata istituita con la legge n. 216 del ’74. È una
persona giuridica di diritto pubblico, preposta alla tutela e alla supervisione dei mercati finanziari,
è l’interlocutore degli emittenti quotati e ha una sede sia a Milano che a Roma.
Ha un ruolo fondamentale per assicurare la corretta informazione di mercato, è l’organo di
controllo dell’intero mercato mobiliare e assolve alla funzione di garantire la correttezza delle
informazioni di mercato, le quali sono l’informazione continua la Consob garantisce che le info
che possono avere un impatto sui titoli siano diffuse in maniera tempestiva e secondo
procedimenti che le rendano conoscibili e certe, fa in modo che non ci siano fenomeni speculativi
sulle info che riguardano il mercato mobiliare; informazione periodica sovraintende che ci sia
un’informazione periodica attraverso i bilanci semestrali; attraverso i regolamenti, stabilisce tutti
gli eventi della vita della società in base ai quali gli emittenti devono dare delle informazioni e i
procedimenti attraverso cui devono darle a partire dalla IPO per tutta la permanenza sul mercato
finanziario; tutte le info sulle operazioni straordinarie, stabilisce le procedure, i tempi e i
meccanismi in base ai quali l’emittente deve rendere edotto il mercato riguardo a tutte le info
straordinarie.
Perché è così importante l’informazione? Perché ogni informazione può determinare il prezzo degli
strumenti finanziari.

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