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MICROECONOMIA: teoria delle scelte in condizioni di scarsità.


TEORIA: utilizzeremo dei modelli. I modelli sono una rappresentazione semplificata, la quale utilizza alcuni
strumenti matematici, il cui scopo è evidenziare dei comportamenti o delle causalità per quanto riguarda dei
fenomeni economici.
Teoria delle scelte: ci occupiamo di agenti economici (consumatori e aziende) che devono risolvere un
problema di tipo decisionale. Il problema della scelta c’è perché siamo tipicamente in una situazione di scarsità.
SCARSITÀ: corrisponde a una situazione in cui non possiamo fare sia A che B, ma dobbiamo scegliere una
delle due. La situazione di scarsità corrisponde a uno stato in cui le nostre azioni possono essere alternative una
all’altra.

Il non poter fare tutto è ripreso in un concetto chiamato costo opportunità. Il costo opportunità di una scelta è il
valore più alto dell’opzione alternativa. Per poter scegliere nel modo migliore dobbiamo avere le diverse
alternative a nostra disposizione e poter fare una valutazione della migliore alternativa possibile ad ogni scelta.
Le unità decisionali, quindi i soggetti che affrontano il problema di scelta in condizioni di scarsità, sono i
singoli individui intesi come consumatori o le singole imprese.

Economia di mercato: basata sul sistema dei prezzi, si occupa delle scelte dei singoli consumatori.
Il modo in cui le risorse sono scambiate sono basate sul sistema dei prezzi. Gli scambi avvengono sui mercati.
Siamo in un sistema capitalistico basato sull’economia di mercato.
In un mercato gli scambi sono solo volontari, ovvero non si può obbligare un consumatore a comprare qualcosa
se non lo ritiene necessario così come non si può obbligare un’impresa a cedere una parte del suo output in
corrispondenza di un prezzo se essa non lo ritiene profittevole.
Il sistema che determina a chi va che cosa è basato sui prezzi. In un mercato è il sistema dei prezzi a
determinare le transizioni.

Mercato per un singolo bene o servizio: qui abbiamo a che fare con due elementi:
• La domanda di mercato: abbiamo i soggetti che possono essere interessati ad acquisire un bene.
• L'offerta di mercato: abbiamo i soggetti che possono essere interessati a cedere un bene.

Da dove arriva la domanda di mercato?


La domanda è determinata da qualcosa. Dietro la domanda di mercato ci sono le scelte del consumatore, quindi
torneremo a un singolo agente economico che ha un determinato reddito che può utilizzare, conosce i prezzi
delle risorse disponibili nel sistema economico e deve decidere che tipo di transazioni possono interessarlo,
ovvero la scelta del consumatore, quindi come fa un singolo agente economico a definire un piano di consumo
proprio. Queste scelte sono caratterizzate come scelte ottime, cioè le scelte migliori che sono a loro accessibili.
Dopo aver fatto queste scelte possiamo definire le scelte di n consumatori e quindi capire la funzione di
domanda di mercato di un singolo bene.

Per quanto riguarda l'offerta ci occuperemo di produzione e costi. Molti beni e servizi sono esito di un processo
di produzione. Le imprese sono gli attori che si occupano di produrre determinati beni o servizi. Per produrre
serve la tecnologia che determina cosa si può ottenere partendo da una quantità di risorse. La produzione è un
processo irreversibile e mai gratuito, non posso più tornare indietro, quindi i soggetti devono capire cosa
possono produrre e a quali condizioni. Se la produzione non è gratuita, essa implica dei costi (=spesa minima).

Una situazione di concorrenza perfetta (:dove tutti gli agenti economici che partecipano non possono
influenzare i prezzi a cui avvengono le transazioni, quindi li prendono come dati) corrisponde a una situazione
di comportamento price-taking (posso guardare i prezzi e assumerli come dati).
Una volta capito come si arriva alla funzione di domanda e offerta di un bene in concorrenza perfetta
consideriamo situazioni diverse, ad esempio il monopolio, che è un limite estremo, e corrisponde al fatto che
esiste una sola impresa che può fornire determinati beni e servizi. Parlando di monopolio non abbiamo più una
situazione di comportamento price-taking da parte dell’impresa. In quasi tutti i Paesi sviluppo capitalistico
avanzato esistono delle commissioni anti-trust, ovvero per la tutela della concorrenza, dobbiamo garantire delle
condizioni di concorrenzialità del mercato.

Poi arriviamo ad analizzare un’altra forma di mercato, ovvero l'oligopolio, che è una situazione di poche grandi
imprese, che hanno un impatto sulle condizioni a cui possono avvenire le transazioni sui mercato. Tutte le
imprese presenti sono consapevoli dei propri concorrenti e cercano di tenerne conto nel decidere le loro
strategie (ad esempio il mercato delle automobili).

Cos’è un mercato? È un insieme di consumatori e venditori di un dato bene o servizio di caratteristiche


omogenee. Esistono più mercati per ogni bene o servizio.

Assumiamo che in questo mercato valgano condizioni di concorrenza, ovvero che ci sia price-taking, ovvero
che tutti gli agenti (sia consumatori che venditori) siano price-takers, cioè prendano il prezzo a cui può essere
scambiato il bene come dato. In riferimento a un mercato si parla di domanda e offerta.

Il prezzo di un bene è la quantità di denaro, dell’unità di moneta, che deve essere corrisposta per acquisire un
bene. Ci sarà quindi un bene, che si chiama moneta, che è un unita di conto, perché è un bene rispetto a cui tutti
i prezzi sono definiti, ed è un mezzo di scambio accettato da tutti. Il prezzo di un servizio può essere 0, ma non
può essere negativo.

La curva di domanda di mercato rappresenta la quantità che il complesso dei consumatori è disposto ad
acquistare in corrispondenza di ogni possibile prezzo (non negativo). La curva stabilisce una relazione che va
dal prezzo per unità di bene alla quantità che l’insieme di tutti i consumatori presenti in un sistema economico
sono disposti ad assorbire in corrispondenza di quel dato prezzo.
La curva di domanda di mercato non considera le transazioni che avranno luogo, ma stiamo considerando ciò
che l’insieme dei consumatori è disposto ad acquistare. Se essi non sono disposti, non è possibile che
avvengano transazioni a quei termini.

Curva di domanda mercato: qd = f (p).


(p=prezzo per unità del bene o servizio; qd= quantità domandata che i consumatori sono disposti ad assorbire
quando il prezzo di un bene è un certo valore). La curva di domanda è una funzione in cui la variabile
indipendente è il prezzo e quella dipendente sono le quantità.
Tramite un modello quindi possiamo rappresentare la funzione di domanda di mercato in un grafico.

Per la maggior parte dei beni vale la legge di domanda (che non è una legge, nel senso che non deve valere
necessariamente): si intende un'evidenza empirica, che si riferisce al fatto che per una gran proporzione di beni,
la curva di domanda è decrescente, ovvero tanto più alto è il prezzo per unità di bene, tanto minore è la
quantità che i consumatori sono disposti ad assorbire, mentre più è basso il prezzo, maggiore è la quantità che i
consumatori sono disposti ad assorbire. Quindi quando vale la legge di domanda abbiamo una relazione inversa
prezzo-quantità (prezzo aumenta-quantità scende e viceversa).

Faremo una distinzione tra movimenti lungo la funzione di domanda (D) e spostamenti nel piano di D (funzione
di domanda). Movimenti lungo la funzione significa considerare possibili prezzi diversi, e per ogni possibile
prezzo (di quel bene o servizio) guardare cosa succede alla quantità che i consumatori sono disposti ad
acquistare. Una cosa diversa è lo spostamento della funzione di domanda nel piano:

Un movimento lungo la funzione è indotto da una variazione nel prezzo. Per lo spostamento nel piano della
funzione di domanda possiamo mettere in evidenza la relazione da prezzo a quantità. Ci sono una serie di altre
variabili che sono importanti per definire la disponibilità all’acquisto dei consumatori, ma che non si possono
rappresentare nel grafico. Quando questi elementi si modificano è possibile che l’intera relazione tra prezzo e
quantità domandata si sposti nel piano.
La disponibilità all’acquisto dei consumatori può essere determinata da:
• I gusti del consumatore (ovvero le preferenze e le attitudini, quanto piace, l'utilità, quanto risponde al loro
livello di apprezzamento);
• I redditi (è la quantità di moneta che un consumatore ha a disposizione per i suoi acquisti, è una dotazione).
(Noi partiremo da una situazione in cui ogni consumatore avrà una quantità data di risorse e farà acquisti solo
in base alle sue disponibilità. Ovviamente la grandezza della disponibilità di risorse avrà un impatto sulla
disponibilità all’acquisto in corrispondenza dei diversi prezzi).
In una situazione di mercato, è importante sia il livello di reddito del consumatore, sia la distribuzione del
reddito di essi.
• Il prezzo degli altri beni: se varia i, prezzo del bene Y è possibile che questo possa avere un impatto sulla
disponibilità all’acquisto del bene X.
I beni possono avere:
-Caratteristiche di sostituibilità: i consumatori possono guardare al bene x o y come beni che soddisfano le loro
preferenze e i loro bisogni in modo analogo, quindi se acquistano più x acquisteranno meno y e viceversa.
-Caratteristiche di complementarietà: beni che i consumatori preferiscono utilizzare insieme, ad esempio
macchina e benzina, scarpa destra e sinistra (non ci deve essere una correlazione fra i due beni).
Sulla funzione di domanda di un bene, non solo influiscono i prezzi di altri beni, ma i prezzi di questi altri beni
influiscono in maniera diversa a seconda che i beni di cui si modifica il prezzo siano considerati complementari
o sostitutivi.

• I fattori demografici: se varia la popolazione, può variare la quantità complessiva che i consumatori sono
disposti ad assorbire ad un determinato prezzo.

Se partiamo da una situazione di gusti dati, redditi dati, prezzi degli altri beni dati e fattori demografici fissi
arriviamo a definire una funzione di domanda di mercato. Quindi varia solo il prezzo del bene X, tutto il resto è
fisso (funzione in nero, movimento lungo la funzione di domanda). Quando invece varia uno degli elementi che
non possiamo individuare suo grafico, la funzione può spostarsi nel piano (funzione in rosso, spostamenti nel
piano D).
Quando la funzione di domanda si sposta lontano dall'origine degli assi parliamo di espansione della domanda.
Questo perché in corrispondenza a uno stesso prezzo, i consumatori vogliono consumare una quantità
maggiore.
L’espansione della domanda si può avere se varia uno degli elementi sopra (ad esempio il bene o il servizio
offerto diventa di moda, quindi variano i gusti, aumenta il reddito dei consumatori, sono aumentati i prezzi dei
beni alternativi al nostro, sono diminuiti i prezzi dei beni complementari al nostro oppure sono aumentare le
persone nel nostro mercato).

Se invece, abbiamo uno spostamento nel piano della funzione di domanda verso l’origine degli assi, avremo
una contrazione. In corrispondenza di uno stesso prezzo, i consumatori vogliono consumare una quantità
minori.

Noi ci occuperemo di domanda di mercato lineare, cioè quando negli esercizi la funzione di domanda di
mercato corrisponde a una retta negativamente inclinata.

Forma diretta: situazione in cui la quantità è funzione del prezzo.


Forma inversa: situazione in cui il prezzo è funzione della quantità.
Ci sono delle situazioni in cui possiamo usare alternativamente la forma diretta e la forma inversa, mentre in
altre circostanze bisognerà fare riferimento a una delle due specifiche forme.

Anche qui posso parlare di movimenti lungo la funzione di domanda e di spostamenti della funzione di
domanda.

Lezione nr.2:
La curva di offerta di mercato rappresenta la quantità che il complesso dei venditori è disposto a venere/
cedere, in corrispondenza di ogni possibile prezzo. Il prezzo di un bene è una quantità dell’unità di moneta e
non ha senso considerare prezzi negativi, così come le quantità che i venditori sono disposti a cedere possono
essere 0 ma mai negative.

Dietro la finzione di offerta c’è un processo di produzione, e questo comporta che la funziona di offerta non ha
inclinazione negativa. Quando aumenta il prezzo, la quantità che i venditori sono disposti a cedere non scende.

Se prendiamo diversi punti sulla funzione di offerta (A, B, C, D) e ci spostiamo sulla funzione di offerta,
stiamo considerando che tutte le altre variabili che possono influire sulle decisioni di vendita, diverse dal
prezzo in questione, sono ferme, non cambia nulla. Tra i diversi punti cambia solo il prezzo a cui si possono
svolgere gli scambi. Questo è un movimento lungo la funzione di offerta.
Una cosa diversa è lo spostamento nel piano della funzione di offerta.

Che cosa determina lo spostamento della funzione di offerta nel piano? A determinarlo sono i mutamenti di
alcune condizioni rilevanti, che sono diverse dal prezzo p.
Per avere un'intuizione delle determinanti dell’offerta di mercato gli elementi sono:
• La tecnologia: la maggioranza dei prodotti offerti sono esiti dei processi di produzione, che sono processi
tramite cui si passa da lavoro/capitale/materie prime a un bene o un servizio finale (ad esempio un
computer). Questa trasformazione da input a output è dettata dalla tecnologia, che è l’insieme di tutte le
conoscenze tecniche e scientifiche che permettono un determinato processo di produzione. Anche
l'innovazione è importante, e per innovazione si intende che i processi di produzione reali siano
effettivamente allineati allo stato delle conoscenze scientifiche e tecnologiche. Quando c’è un processo
scientifico e tecnologico accade che o si trasformano le qualità del prodotto finale, per cui alla fine il
computer che ho generato dalla stessa quantità di lavoro e capitale è molto più potente o molto più
sofisticato, per cui è un bene diverso da quello che esisteva precedentemente, oppure l’innovazione è
un’innovazione di processo, cioè con le stesse risorse iniziali posso produrre lo stesso bene utilizzando ad
esempio meno ore di lavoro o meno servizi di capitale. Quindi tecnologia che fa da sfondo ai processi di
produzione, avrà un impatto sulla disponibilità alla vendita dei beni e dei servizi, quindi un cambiamento
tecnologico può determinate uno spostamento della funzione di offerta nel piano.
• Un altro elemento importante per arrivare a definire la funzione di offerta di mercato sono i prezzi degli
input, i quali sono i fattori di produzione (lavoro, capitale fisico, materie prime). Questi fattori di produzione
a loro volta sono scambiati in un’economia avanzata, in specifici mercati che si chiamano mercati degli
input. Il lavoro ad esempio, sono scambiati nel mercato del lavoro, le materie prime sono scambiati in
mercati, ognuno caratterizzato dagli scambi effettivamente per una data materia prima. Nel momento in cui i
prezzi degli input, delle materie prime ad esempio, dovessero salire, è possibile che si determini una
contrazione nell’offerta di mercato di un determinato bene, perché le spese, l’ammontare di risorse
necessarie da impiegare per produrre un’unità di bene diventa più alto.
• Un'altra determinante dell’offerta è anche il numero dei produttori, delle imprese. Più sono le imprese che
producono un determinato bene, più alta sarà la quantità complessivamente offerta in corrispondenza dello
stesso prezzo. Quando un paese si apre al commercio internazionale, consente l’ingresso sui mercati interni
di imprese straniere, quindi si espande la curva di offerta di un determinato bene o servizio. Quando ci si
chiude invece, accade l’opposto.
• Per alcuni tipi di produzione valgono anche le condizioni meteorologiche e climatiche, ad esempio i
prodotti legati all’agricoltura, perché le condizioni meteorologiche o climatiche possono avere un impatto
sulla quantità di output generata in un determinato periodo.
• Per quanto riguarda l’offerta può essere determinante la distinzione tra breve e lungo periodo, proprio
perché dietro l’offerta di mercato di un bene ci sono i processi di produzione, i piani di produzione possono
essere modificati, tuttavia il grado di flessibilità nei piani di produzioni cambia nell’orizzonte temporale. Un
conto è chiedere la riorganizzazione di un impianto di produzione in una settimana, un conto è capire come
riorganizzare lo stesso impianto di produzione in tre anni. Più è lungo l’orizzonte temporale maggiori sono le
capacità di intervento e di trasformazione.

Lo spostamento nel piano della funzione d’offerta (espansione o contrazione) dipende da elementi diversi da
quelli che possiamo rappresentare nel grafico in cui mettiamo in evidenza solo la relazione tra prezzo di un
bene e la quantità dello stesso bene.

Offerta di mercato lineare: equazione di una retta:


Forma diretta: quantità come funzione del prezzo.

Forma inversa: prezzo come funzione della quantità:

La funzione di offerta non è mai negativamente inclinata, quindi D sarà sempre maggiore o uguale a zero, se
fosse negativo, la retta sarebbe negativamente inclinata.
Spesso in microeconomia, alcune variabili rilevanti se hanno senso dal punto di vista matematico non lo hanno
dal punto di vista economico. Quindi quando consideriamo una funzione di offerta, consideriamo solo il semi-
asse positivo delle ascisse e delle ordinare.
Nel definire la funzione di offerta ci sono due parametri, C e D, D non è mai negativo, ma è possibile che C sia
uguale a 0. Quando C è uguale a 0:

ELASTICITÀ AL PREZZO:
Ha un significato ben preciso in economia. Ci riferiamo al grado di reattività o sensibilità delle decisioni di
acquisto o vendita al variare di p.

Abbiamo in mente un mercato per un determinato bene, quindi il prezzo p di quel determinato bene o servizio,
e vogliamo vedere qual è il grado di reattività/sensibilità delle decisioni della disponibilità all’acquisto o alla
vendita, in seguito a variazioni del prezzo. Guarderemo all’elasticità al prezzo sia dal lato della domanda sia da
quello dell’offerta.
Elasticità al prezzo della domanda:
• Variazioni discrete
• Variazioni infinitesime

Variazioni discrete:

Al rapporto tra la variazione percentuale delle quantità domandate e la variazione percentuale del prezzo.
Ovvero:

Variazioni infinitesime:

Le tessere di fedeltà dei supermercati servono sia a legare il cliente alla catena di supermercati, dandogli delle
offerte, sia a registrare tutti i dati rispetto agli acquisiti (quantità, prezzo giorno…). Questi dati, se studiati,
possono servire a far intuire l’elasticità della domanda al prezzo. Se un supermercato cambia il prezzo di un
bene X, può vedere se e come cambiano le decisioni di acquisto dei propri clienti. Queste informazioni sono
molto importanti e utili, perché se il prezzo del bene X sale, i clienti lo acquistano in minori quantità (molta
reattività), se all’aumentare del prezzo, la disponibilità all’acquisto si mantiene pressoché immutata (poca
reattività a variazioni del prezzo del bene). Ci sono dei beni rispetto a cui le domande sono molto reattive, e
altri in cui le domande sono poco sensibili.

Quando parliamo di elasticità della domanda al prezzo (epsilon), considereremo solo beni per cui vale la legge
di domanda, che è l’evidenza empirica in base alla quale si arriva ad osservare che la funzione di domanda di
un bene tende a non essere positivamente inclinata, quindi ne consegue che questi termini o la variazione della
quantità domandata rispetto alla variazione del prezzo o la derivata prima della funzione di domanda, saranno
dei numeri di solito non superiori a 0, non positivi, quindi epsilon sarà un numero non strettamente positivo,
perché se moltiplichiamo qualcosa di non positivo per il rapporto tra prezzo e quantità domandate P e Qd sono
necessariamente delle variabili non negative, e quindi il segno di epsilon sarà determinato dal segno di delta Qd
su delta P oppure dalla derivata prima della funzione di domanda in forma diretta al variare del prezzo.
Questo comporta che normalmente che quando si parla di elasticità della domanda al prezzo ci concentriamo
sul valore assoluto di essa.

Se il valore assoluto di epsilon è più grande di 1, noi parliamo di domanda elastica, cioè diciamo che la
funzione di domanda di mercato è elastica al prezzo.
Quando il valore assoluto di epsilon è più piccolo di 1, parliamo di domanda inelastica.
Quando il valore assoluto di epsilon è uguale a 1, parliamo di elasticità unitaria.
L’elasticità della domanda al prezzo sarà un numero non positivo, ma noi guardiamo il valore assoluto di quel
numero.

Guardiamo l’elasticità della domanda al prezzo quando la funzione di domanda di mercato è lineare:

Questo perché la quantità domandata è legata al prezzo con il segno -.


Es.

Se la funzione di domanda dovesse spostarsi e diventare sempre più verticale, minore sarebbe il valore assoluto
dell’elasticità della domanda al prezzo (epsilon) e viceversa. Quindi se la funzione di domanda diventa sempre
più piatta, quindi diminuisce 1/b, maggiore sarà l’elasticità della domanda al prezzo.
Noi consideriamo anche delle situazioni limite, estreme della funzione di domanda:

La sua interpretazione economica è che se il prezzo del bene andasse anche infinitamente poco sopra P (sopra
segnato), la disponibilità all’acquisto va a zero, cioè i consumatori non sono disposti a sopportare nessun
incremento del prezzo al di sopra di P (sopra segnato).
Noi possiamo pensare che una funzione sia piatta, quindi perfettamente elastica, quando abbiamo a che fare con
un bene per cui i consumatori percepiscono l’esistenza di beni sostituti. Per cui se il prezzo del bene X sale, i
consumatori spostano tutta la loro disponibilità all'acquisto verso beni diversi.
Il caso speculare rispetto a questo è quello di completa rigidità:
La disponibilità all’acquisto non dipende dalle variazioni del prezzo, e non subisce variazioni a seguito di
variazioni del prezzo.
Ovviamente sia la funzione di domanda perfettamente piatta sia la funzione di domanda perfettamente rigida
sono dei casi estremi, limite.
Una funzione di domanda perfettamente rigida potrebbe essere un medicinale salvavita per una patologia, la
sua disponibilità all’acquisto non varia con il prezzo, ha sensibilità al prezzo uguale a 0.

Interpretazione geometrica dell’elasticità:

Quando la funzione di domanda è una retta negativamente inclinata, posso calcolare l’elasticità della domanda
al prezzo in valore assoluto nel punto C. Devo quindi proiettare C sulle ordinate e trovo D, in quel caso il
segmento che va da 0 ad A è diviso in due segmenti (0-D e D-A, quindi beta e alfa), vedo che il valore assoluto
dell’elasticità della domanda al prezzo è beta/alfa. La stessa cosa succede se proietto C sulle ascisse… La stessa
cosa, sempre dovuto al fatto che i triangoli sono simili, succede se considero il segmento AB…

Questa interpretazione geometrica è legata alla funzione di domanda lineare, ovvero quando è una retta. Ci
sono poi delle particolari implicazioni del concetto di elasticità, che seguono solo quando la funzione è una
retta negativamente inclinata.

Relazione tra la disponibilità alla spesa dei consumatori e l’elasticità della domanda al prezzo:
SPESA ED ELASTICITÀ DI DOMANDA LINEARE:
Come varia la spesa se ci muoviamo lungo la funzione di domanda, quindi passiamo da un punto A a un punto
B?

Quando ci spostiamo lungo la funzione di domanda, in termini di spesa complessiva, ci sono due forze
contrapposte: una che va verso le riduzione della spesa totale perché stiamo considerando prezzi sempre più
piccoli, l’altra che va nell'aumentare la spesa totale perché stiamo considerando quantità acquistate sempre più
alte.

Quando la domanda è una retta:


Queste due sono entrambe rette negativamente inclinate, con la stessa intercetta (a/b), ma il saggio a cui cambia
la spesa al variare delle quantità, scende con un'inclinazione doppia rispetto alla funzione di domanda. Per il
saggio a cui varia la spesa al variare delle quantità è -2/b, mentre nel caso di funzione di domanda inversa è 1/b.

Lezione nr.3:

ELASTICITÀ DELL'OFFERTA AL PREZZO:


È una misura di sensibilità, di reattività delle decisioni di vendita al variare del prezzo del bene in questione.

Dato che dietro la funzione di offerta ci sono tipicamente dei processi di produzione, le funzioni di offerta di
mercato non saranno mai negativamente inclinate, cioè non avremo mai una situazione in cui se aumenta il
prezzo a cui può essere scambiato un bene, diminuisce la quantità che il complesso dei venditori è disposto a
cedere. Questo significa che la derivata prima avrà sempre un valore maggiore o uguale a 0.
Mentre per l’elasticità della domanda al prezzo, in tutti i casi in cui si applica la legge di domanda, guardiamo
al valore assoluto dell’elasticità, per l’offerta non abbiamo bisogno di farlo perché è già un numero non
negativo.
Tipicamente avremo a che fare con funzioni di offerta che sono delle rette, quindi hanno equazione:

Anche per l’offerta possiamo avere dei casi limite:


Mettiamo i due lati del mercato nello stesso grafico a confronto:
La funzione di domanda rappresenta la relazione tra prezzo di un determinato bene è la disponibilità
all’acquisto di tutti gli agenti economici presenti nel sistema economico.
La funzione di offerta rappresenta la relazione tra prezzo unitario del bene e la disponibilità alla vendita degli
agenti economici presenti sul mercato.

DOMANDA=OFFERTA: la quantità che il complesso dei consumatori desidera consumare è uguale alla
quantità che il complesso dei venditori desidera vendere. Nessuno sul mercato rimarrà insoddisfatto perché la
disponibilità all’acquisto è uguale alla disponibilità alla vendita. Questa situazione si chiama EQUILIBRIO DI
MERCATO. Questa è la situazione in cui gli agenti economici stanno facendo le scelte che desiderano e le
scelte dei diversi agenti economici sono compatibili tra loro. È una situazione anche stabile e bilanciata perché
se i piani dei consumatori sono compatibili con i piani dei venditori, non c’è motivo di insoddisfazione, per cui
io mercato tenderà a stare fermo, perché non si realizzano effetti inattesi sul mercato.
Cosa succederebbe se non fossimo in una situazione di equilibrio?
Guarda grafico rosso e blu: in corrispondenza di P le quantità offerte sono più basse delle quantità domandate,
ovvero se il prezzo è più basso del prezzo di equilibrio, non c’è più compatibilità tra i piani di acquisto e di
vendita, ma la disponibilità alla vendita è più piccola della disponibilità all’acquisto.

In una situazione di eccesso di domanda, dato che lo scambio è volontario, quindi i consumatori non possono
obbligare i venditori a vendere più quantità, si dice che in un mercato prevale sempre il lato corto, questo vuol
dire che se la quantità offerta è più bassa della quantità domandata gli scambi che si realizzano sono quelli
definiti dalla quantità offerta, ovvero dal lato del mercato più corto. In questo caso succede che c’è una parte
dei consumatori che rimane insoddisfatta, non soddisfa la propria disponibilità al consumo, perché non viene
venduto una quantità sufficiente di bene o servizio. In un mercato concorrenziale, in una situazione di eccesso
di domanda, succede che c’è una tensione sul prezzo, il quale tende a salire.
I prezzi in un’economia di mercato trasmettono tutte le informazioni necessarie, razionano le risorse scarse,
perché sono i prezzi che determinano cosa va a chi, quindi sono uno strumento per allocare il bene all’interno
del nostro sistema economico, e determinano anche i redditi monetari.
Quindi in un mercato concorrenziale, partendo da un prezzo più basso del prezzo di equilibrio, la domanda è
superiore all’offerta, quindi il prezzo p in rosso inizia ad essere sollecitato e tende ad alzarsi, man mano che
esso si alza, il divario tra domanda e offerta diventa sempre più piccolo e si annulla nel punto di equilibrio.

Se invece partiamo dalla situazione opposta in blu, quindi con un prezzo superiore al prezzo di equilibrio,
abbiamo la situazione opposta, ovvero è la quantità offerta che supera la quantità che i consumatori vogliono
assorbire a quel prezzo. Quando c’è un eccesso di offerta, ci sono degli agenti economici nel sistema i cui piano
non si realizzano, perché al prezzo p in blu, i produttori vorrebbero vendere qs in blu, ma non riescono, perché i
consumatori vogliono assorbire una quantità più piccola.
Un'economia di mercato si riaggiusta tramite variazioni nel prezzo, quindi se c’è un eccesso di offerta, si
inizieranno a scatenare delle tensioni sul prezzo, che portano il prezzo a scendere, man mano che il prezzo
scende, la quantità offerta si avvicina alla quantità domandata, fino a che si ritorna al punto di equilibrio.
Per tutti i prezzi diversi dal prezzo di equilibrio avremo o un eccesso di domanda o un eccesso di offerta.
Dato che lo scambio è volontario, in un sistema di mercato prevale sempre il lato corto, quindi se c’è un
eccesso di offerta, prevale il lato della domanda (perché non si può obbligare i consumatori ad acquistare ad un
certo prezzo delle quantità che non vogliono acquistare) e viceversa.
Un sistema di mercato si regola con variazioni nei prezzi, i quali allocano le risorse.

Come facciamo a determinare l’equilibrio di mercato partendo da una funzione di domanda e una di offerta:
Forma diretta:

Forma inversa:

Esistono anche dei casi particolari, cioè quando le funzioni o di domanda o di offerta hanno delle inclinazioni
particolari. Noi procediamo facendo il grafico come prima cosa:
Che cosa succede al punto di equilibrio quando ci sono spostamenti o della funzione di domanda o della
funzione di offerta?

Spostamenti della funzione di domanda e spostamenti della funzione di offerta, in termini di equilibrio,
determinano una variazione di tipo diverso sulle caratteristiche del nuovo equilibrio. Con spostamenti della
domanda, prezzo e quantità si muovono nella stessa direzione, mentre con spostamenti dell’offerta si muovono
in direzioni opposte, se aumenta uno diminuisce l’altro.
Un’economia di mercato, di tipo concorrenziale, funziona in base al sistema dei prezzi, sia il lato della
domanda che il lato dell’offerta guardano al prezzo del bene, e in base a quel segnale decidono che cosa
vorrebbero fare. Quel segnale si muove fino a che la domanda è uguale all’offerta. Il sistema di mercato
funziona se i prezzi sono liberi di muoversi, perché è solo con la variazione nel livello dei prezzi, che si
raggiungono nuove compatibilità tra i diversi agenti economici. Alla fine saranno i prezzi a decidere come le
risorse sono allocate all’interno di un sistema.
Ci sono però dei casi in cui si abbiano degli interventi chiamati di politica economica, ovvero nel nostro
sistema abbiamo i singoli consumatori, le singole imprese e in alcune circostanze un terzo attore, chiamato
stato o governo, che è un'autorità centrale che ha il potere di interferire con il funzionamento del mercato
quando lo ritiene opportuno.
Ci sono delle condizioni sotto le quali possiamo avere degli interventi che limitano le possibili tendenze a
variazioni nei prezzi, ad esempio:q
La POLITICA DI TETTO AI PREZZI: in alcuni casi è possibile che il governo imponga un tetto ai prezzi,
ovvero l’introduzione di un prezzo massimo, cioè il governo dice che il pane al kg non può costare più di 90
centesimi. In una situazione di questo genere accade:

Un tetto al prezzo indica un prezzo massimo, quindi una politica di tetto al prezzo ha un impatto solo se questo
prezzo massimo, che viene fissato dall’autorità, è più piccolo del prezzo di equilibrio, perché se fosse più alto
non avrebbe nessun impatto, perché comunque il prezzo già non raggiunge quel livello.
Se si impone un tetto al prezzo, l’autorità centrale interviene sul funzionamento del mercato e dice che nei
mercati non illegali, il prezzo unitario del bene non può superare il prezzo massimo. In una situazione di tetto ai
prezzi che abbia un impatto si determina un eccesso di domanda, ovvero c’è uno squilibrio tra la quantità che è
il complesso dei venditori e disposto a vendere e la quantità che il complesso dei consumatori è disposto ad
acquistare. Dato che lo scambio è volontario, prevale il lato corto, quindi le transazioni si fermano alle quantità
offerte. Questo significa che se si blocca il sistema dei prezzi, allora i prezzi non possono più funzionare come
strumento di allocazione delle risorse e deve intervenire qualcosa d’altro. Quando un governo interviene,
introduce qualche altro meccanismo amministrativo e burocratico, una norma, che determina a chi va il bene.
Ogni volta che si interferisce con il sistema dei prezzi, è possibile che si sviluppino dei mercati “neri”, in cui
le transazioni non tengono conto delle disposizioni di legge.

Una politica completamente opposta a questa è una politica di SOSTEGNO AI PREZZI: è l’introduzione di
un prezzo minimo, che ha un impatto effettivo su ciò che succede in un mercato, quando questo prezzo minimo
è superiore al prezzo di equilibrio. (Salario minimo)

L’impatto di questa politica è che si determina un eccesso di offerta, è dato che gli scambi sono volontari,
prevale il lato corto del mercato, quindi ci sarà bisogno di ulteriori interventi per stabilire dei criteri di
allocazione delle risorse.
Nel mercato del lavoro, in termini di domanda e offerta, dal punto di vista economico, chi domanda lavoro
sono le imprese e chi offre lavoro sono i lavoratori.

Abbiamo una situazione dove si può verificare un intervento sul mercato di un'autorità, questo intervento è
l’imposizione di una tassa. Noi sappiamo che i beni e i servizi, le transazioni possono essere soggetti a forme
di imposizione fiscale, la quale può avere diversi tipi di motivazione, ma l’introduzione di imposte modifica i
termini a cui si possono svolgere le transazioni, in particolare i mercati.
TASSA COSTANTE PER UNITÀ SCAMBIATA:
I modi per intervenire dal punto di vista fiscale sono innumerevoli, un tipo semplice di intervento in un mercato
con imposizione di una tassa è dire che viene introdotta una tassa t, che è un numero di unità di moneta
costante, e per ogni unità di bene scambiata sul mercato, c’è una quantità di soldi pari a t che deve andare allo
stato. È una particolare forma di imposizione fiscale.
Se in un mercato viene introdotta una tassa costante per unità di bene scambiato, la prima cosa che accade è che
ci sarà un divario tra un prezzo del bene al lordo dell’imposta e un prezzo del bene al netto dell’imposta. C’è
differenza tra i due prezzi.
Ognuno di questi prezzi è rilevante per un lato del mercato: se ci mettiamo dal lato della domanda, ovvero
quello dei consumatori, la quantità di denaro a cui dobbiamo rinunciare per ogni unità di bene acquisito è il
prezzo al lordo, è la quantità di denaro che dobbiamo trasferire per unità bene acquistato, che poi quella
quantità di denaro vada tutta nelle tasche dei venditori o una parte viene data allo Stato, al consumatore non
interessa, non lo colpisce direttamente, perché la disponibilità all’acquisto si misura sul prezzo al lordo.

Invece, se ci mettiamo dalla parte dei venditori, il prezzo rilevante per loro è la quantità di moneta che gli
rimane effettivamente in cassa, avendo venduto un bene, ovvero il prezzo al netto dell’imposta. La parte di
denaro che va allo Stato come imposizione fiscale non è direttamente rilevante per determinare la disponibilità
alla vendita.

Quindi il prezzo al lordo è quello rilevante per la funzione di domanda, mentre il prezzo al netto è quello
rilevante per la funzione di offerta.
Essendo una tassa costante per unità di bene scambiato, la relazione tra prezzo lordo e prezzo netto è:

Quando lo stato introduce un’imposta può anche disporre un meccanismo amministrativo per prelevare
quest’imposta, cioè può dire che l’imposta deve essere versata dai produttori oppure dai consumatori. Questo
meccanismo amministrativo ha poca rilevanza per quanto riguarda l’impatto economico.

Come facciamo a considerare l’impatto dell’introduzione di una tassa costante per unità di bene scambiata in
un mercato? Abbiamo due modi:
Il primo è quello di introdurre l’imposta dal lato dell’offerta:
Se introduciamo l’imposta dal lato dell’offerta, la funzione di offerta originariamente era p = -c/d + 1/d * qs,
adesso non abbiamo p ma PL. Se facciamo il confronto tra queste due funzioni vediamo che entrambe sono due
rette ed entrambe dipendono dalle quantità offerte per il fattore 1/d, ma l’intercetta è diversa, nella prima è -c/d,
mentre nella seconda è -c/d+t. Questo vuol dire che la funzione di offerta si sposta verso l’alto di una distanza
uguale a t, all’imposta (rosso). Queste due rette sono parallele. Quindi il nuovo equilibrio è tra la funzione di
domanda in nero, che non è cambiata, e la nuova funzione di offerta in rosso. In corrispondenza di questo
punto, il prezzo è quello al lordo dell’imposta. Il prezzo di equilibrio al netto dell’imposta è un prezzo costante,
quindi per passare da prezzo lordo a prezzo netto devo prendere PL con la tilde e togliere t, ma se faccio questo,
sto scendendo dalla funzione in rosso a quella in nero, quello che troviamo in questo modo è il prezzo di
equilibrio al netto dell’imposta. Facendo la proiezione di questo punto sull’asse delle ascisse, determiniamo le
quantità scambiate dopo l’introduzione dell’imposta.
Quindi dal punto di vista economico, l’impatto dell’introduzione di un'imposta costante per unità di bene
scambiato è che è come se la funzione di offerta si contraesse, perché si sposta verso sinistra, l’effetto è analogo
ad una contrazione dell’offerta.
Quindi quando le funzioni di domanda e offerta sono normalmente inclinate, la quantità scambiata scende dopo
l’introduzione dell’imposta, e in termini di prezzo, si ha un prezzo al lordo di equilibrio che è più alto del
prezzo di equilibrio precedente (p* in nero) che è a sua volta più alto del prezzo di equilibrio al netto
dell’imposta.
Questo succede quando introduciamo l’imposta dal lato dell’offerta.

Ora vediamo l’introduzione dell’imposta dal lato della domanda, quindi quando lo Stato decide che l’imposta
deve essere trasferita dai consumatori allo Stato:
Nel caso in cui viene introdotta l’imposta, introdurremo l’imposta o dal lato dell’offerta o dal lato della
domanda, ma non dai due lati contemporaneamente.
Se confrontiamo le due forme inverse della funzione di domanda vediamo che sono entrambe delle rette e
dipendono entrambe dalle quantità domandate in base a -1/b, ma cambia l’intercetta, nella funzione originaria è
a/b, mentre nella seconda è a/b-t. Quindi la nuova funzione di domanda si sposta verso l’origine degli assi
(blu). La distanza tra la funzione in nero e quella in blu è uguale a t.

Se usiamo la funzione di offerta, il primo prezzo che troviamo è il prezzo al lordo, al quale togliamo t e
troviamo il prezzo al netto. Se usiamo la funzione di domanda, il primo prezzo che troviamo è il prezzo al
netto, al quale aggiungiamo t e troviamo il prezzo al lordo.

Se facciamo le cose giuste, troveremo esattamente lo stesso risultato, quindi avremo lo stesso prezzo al lordo,
prezzo al netto e quantità scambiate, sia che introduciamo l’imposta dal lato dell’offerta, sia che introduciamo
l’imposta dal lato della domanda. Non dobbiamo fare entrambe contemporaneamente, perché così staremmo
considerando il doppio dell’imposta.
Dal punto di vista grafico, quando l’imposta è introdotta dal lato della domanda, l’effetto economico è analogo
ad una contrazione della domanda, infatti la domanda si sposta verso l’origine degli assi.

Come facciamo a sapere da che lato dobbiamo introdurre l’imposta negli esercizi? Se non viene chiesto quella
che vogliamo, altrimenti viene specificato già nell’esercizio (se chiede per i consumatori allora domanda, se
chiede per i venditori allora offerta).
Dal punto di vista economico è importante considerare che l’impatto è lo stesso, quando guardiamo i fenomeni
dal punto di vista economico, c’è differenza tra il provvedimento amministrativo burocratico (che può stabilire
che l’imposta venga fisicamente versata da una parte del mercato, ad esempio venditori o consumatori), però
questo non ha a che fare necessariamente sull’effettivo impatto economico dell’imposta, che è uno solo e
prescinde dal meccanismo di versamento dell’imposta allo Stato.

Dal momento in cui abbiamo le quantità che possono essere scambiate dopo l’introduzione dell’imposta,
possiamo calcolare quali sono le entrare per l'Erario, cioè quanta sarà la quantità di denaro che viene
incorporata dallo Stato.

Vediamo quali sono gli effetti economici dell’imposta. Noi sappiamo che le imposte possono essere introdotte
o dal lato della domanda o dal lato dell'offerta, però ci sono delle situazioni in cui l’effetto economico si scarica
maggiormente su una delle parti. In entrambi i casi l’introduzione dell’imposta determina un effetto sul mercato
analogo a quello che si verificherebbe se ci fosse una contrazione di uno dei due lati del mercato. Ora vediamo
qual è la quota dell’imposta a carico dei consumatori e qual è la quota dell’imposta a carico di venditori, quindi
ci occupiamo della misura dell'incidenza economica dell'imposta.

Per fare ciò dobbiamo tenere in conto di cosa accade in equilibrio, sia prima dell’introduzione dell’imposta, sia
una volta che l’imposta è stata introdotta.
Facciamo un confronto tra cosa accade senza tassa e cosa accade con la tassa rispetto alla determinazione
dell’equilibrio:

Come possiamo misurare la quota dell’imposta che ricade sull’offerta (is)? Possiamo fare riferimento ai prezzi
rilevanti per l’offerta prima e dopo l’introduzione dell’imposta.

I parametri b e d si riferiscono all’inclinazione delle funzioni in forma diretta, quindi guardando le espressioni
otteniamo:

Noi sappiamo che c’è un legame tra l’inclinazione delle funzioni in forma diretta e l’elasticità al prezzo o della
domanda o dell’offerta.

Noi intuiamo che il modo in cui gli effetti economici di un’imposta si dispiegano dipende dall’elasticità relativa
di domanda e offerta.

Tanto maggiore è l'elasticità dell’offerta al prezzo e tanto minore è l’elasticità della domanda al prezzo, tanto
più alta sarà la quota dell’imposta che si scarica sulla domanda. Tanto maggiore è l’elasticità della domanda al
prezzo e tanto minore è l’elasticità dell’offerta al prezzo, tanto più forte sarà l’impatto economico dell’imposta
sulla funzione di offerta.
Noi possiamo guardare all’elasticità di domanda e offerta come corrispondente al potere negoziale e
contrattuale delle diverse parti. In una contrattazione è relativamente più forte chi dimostra di avere una
maggiore sensibilità a variazioni nel prezzo. Tanto più la funzione di domanda è elastica rispetto alla funzione
di offerta, tanto più la forza contrattuale sta dal lato della domanda e viceversa.
Guardiamo i casi limite della domanda:
Nel grafico in rosso l’incidenza economica dell’imposta sul lato della domanda è nulla. L’imposta andrà a
gravare da un punto di vista economico sull’offerta (is).
L’opposto è il grafico in blu, dal lato dell’offerta non cambia nulla, l’imposta grava sul lato della domanda (id).
In questi casi estremi vediamo che c’è un legame tra l’incidenza economica dell’imposta e le rispettive
elasticità di domanda e offerta.
Consideriamo l’offerta nei casi limite:

La quota dell’imposta grava sulla domanda (rosso) e viceversa nel grafico blu.

ESERCIZI TIPICI DEI TEMI D'ESAME:


1) In un mercato perfettamente concorrenziale, la funzione inversa di mercato è p=1/2 * qs. La funzione di
domanda è una retta e ricorrendo al metodo geometrico di calcolo dell’elasticità, dobbiamo trovare la funzione
di domanda sapendo che in corrispondenza di (q, p) = (10, 40) |epsilon| = 2.

Si rappresentino graficamente le funzioni di domanda e offerta e si determini l’equilibrio:


(In rosso): il governo vuole introdurre una tassa t costante per unità di bene scambiato, e il governo vuole
introdurre questa tassa tale per cui le quantità di equilibrio scambiate dopo l’introduzione della tassa siano
uguali a 18. Si determini il livello dell’imposta introducendola dal lato della domanda.
Si rappresenti la nuova funzione di domanda che incorpora l’imposta e si determinino prezzo di equilibrio al
netto e al lordo e la distribuzione percentuale dell’onore dell’imposta su domanda e offerta.

2)L’equilibrio in un mercato è tale per cui (q*;p*) è (5;10). La funzione di domanda di mercato è lineare e in
corrispondenza dell’equilibrio si ha un valore dell’elasticità della domanda al prezzo uguale a -1/2.
La funzione di offerta è perfettamente elastica. Ricorrendo al metodo geometrico di calcolo dell’elasticità si
determini la funzione di domanda, e dopo aver chiarito la relazione tra spesa dei consumatori ed elasticità al
prezzo della domanda, si determini la coppia quantità e prezzo a cui corrisponde la spesa massima dei
consumatori.

Viene introdotto un SUSSIDIO (s) dal governo, affinché le unità scambiate dopo l’introduzione del sussidio
siano uguali a 6 (q*s=6). Il sussidio è a favore dei consumatori, quindi si rappresenti la nuova funzione di
domanda di mercato rilevante e si calcoli s.
Un sussidio è l’opposto di una tassa, di un’accisa. Con la tassa lo stato dice che per ogni unità di bene
scambiato x, tot centesimi devono andare allo stato, con il sussidio invece lo stato dice che per ogni unità di
bene x scambiato, tot centesimi vanno ai consumatori, a chi ha acquistato il bene. L’impatto del sussidio è
opposto a quello di una tassa. Se vogliamo introdurre il sussidio dal lato della domanda, accadrà che la
funzione di domanda rilevante corrisponderà ad un’espansione della domanda.
Lo stato introduce il sussidio allo scopo di far aumentare le quantità consumate di un determinato bene. Ci sono
dei beni o dei servizi che possono essere considerati ragioni di benessere per l’intera comunità (ad esempio
l’istruzione o l’utilizzo di un bene tecnologicamente evoluto) per cui può avere senso introdurre dei sussidi.
Se la funzione di offerta fosse stata perfettamente rigida, avendo il punto di equilibrio potevamo disegnarla
perfettamente.
Negli esercizi potremmo anche trovare come domanda “Se c’è l’imposta, qual è il livello delle entrate fiscali?”:

La domanda e l’offerta di mercato, in un’economia concorrenziale, cosa sono e come si determinano?


Le funzioni di domanda e di offerta di mercato non sono degli oggetti naturali che nascono così, ma sono un
effetto delle decisioni dei diversi agenti economici. La microeconomia è una teoria delle scelte in condizioni di
scarsità. Chi c’è quindi dietro la funzione di domanda di mercato?
Noi siamo in un contesto in cui lo scambio è volontario e tutti i soggetti sono price-takers, quindi non sono in
grado di influenzare il prezzo a cui avviene lo scambio di un determinato bene.
Dietro la funzione di domanda ci sono tutti i consumatori che esistono in un determinato sistema economico.
Ogni consumatore si fa i fatti suoi e avrà un suo problema di scelta, che tipicamente è il fatto di sapere che ha
a disposizione una certa quantità di denaro, che può spendere per procurarsi dei beni, e deve decidere come
allocare questa dotazione iniziale, queste risorse, tra le diverse possibilità che gli sono accessibili.
Quindi al fine di riuscire a capire come si determina la funzione di domanda di mercato dobbiamo prima
occuparci della:

TEORIA DEL CONSUMO: è qualcosa che ci serve a capire come il singolo consumatore fa a decidere cosa
debba fare. L’agente decisore in teoria del consumo è il singolo consumatore, quindi ora ci mettiamo nella
prospettiva di un singolo consumatore che deve decidere cosa fare.
Noi abbiamo, sin dall’infanzia, esperienza in quanto consumatori, e sappiamo che le scelte che noi possiamo
fare sono l’esito della considerazione congiunta di due ordini di fatti.
La scelta è un problema decisionale in condizioni di scarsità, dal punto di vista di un consumatore questo
significa che il tipico consumatore è un signore che ha delle risorse limitate.
Noi ci concentriamo sul signor Z, che avrà a disposizione un reddito (M: quantità di denaro in possesso del
signor Z), e dato che siamo in un mercato concorrenziale, questo signore potrà capire sul mercato qual è il
prezzo pi, dove i è un bene particolare, e potrà conoscere i prezzi per tutti i possibili beni che possono essere
scambiati nel suo sistema economico.
Questi sono dei dati da cui partire, con i quali si definisce cosa ci si può permettere, noi tenderemo ad essere in
una situazione dove non ci si può permettere tutto, solitamente il nostro reddito può essere più o meno alto, ma
comunque è limitato, quindi è limitato anche l’insieme di beni che noi possiamo acquistare sul mercato. Quindi
la scelta del consumatore dipenderà da cosa il particolare consumatore Z può permettersi. Questo non basta
però a definire la scelta, perché per arrivare alla scelta, a questo elemento dobbiamo associare un altro
elemento, ovvero i gusti, le attitudini al consumo del signor Z, cioè quali sono i beni dal cui consumo trae
maggiore soddisfazione.
Noi per arrivare a capire cosa dobbiamo fare mettiamo insieme questi due ordini di considerazioni.
Per le scelte che effettivamente compiamo è inutile perdere tempo su oggetti che desideriamo ma che non ci
possiamo permettere, perché questo tipo di considerazioni non dà luogo a nessun effetto (se non alla
demoralizzazione).

Per quanto riguarda cosa ci si può permettere, essi sono dei dati da cui il consumatore parte, ovvero il suo
reddito e il prezzo dei beni, che sono delle grandezze oggettive, perché i brezzò dei beni si prendono dai
mercati di quei beni, mentre il reddito è determinato.
Per quanto riguarda cosa si desidera, noi saremo sempre in una situazione in cui il consumatore è perfettamente
libero di decidere qualsiasi siano i suoi gusti. Da questo punto di vista ci sarà quella che si chiama sovranità
del consumatore, per cui se al signor Z piace un cucchiaino di ammoniaca nel caffè va bene perché il signor Z
ha questo tipo di gusti e attitudini. Le attitudini e i gusti non si discutono, infatti il microeconomista non può
andare da un consumatore a dirgli cosa dovrebbe desiderare, può solo in alcune situazioni andare da un
consumatore e dirgli: “dati i tuoi gusti e date le tue risorse esiste una combinazione di beni che ti farebbe più
contento di quello che stai effettivamente facendo”.
Il primo elemento “Che cosa ci si può permettere” si chiama vincolo di bilancio, invece il secondo elemento
“Cosa si desidera” si chiama preferenze e sono i gusti e le attitudini di un particolare consumatore. Nel
momento in cui parliamo di preferenze, due consumatori che partono dallo stesso livello di reddito e affrontare
gli stessi prezzi, possono preferire due cose diverse, quindi arrivare a scelte diverse.

VINCOLO DI BILANCIO: d’ora in poi per semplificare, consideriamo un mondo a due beni. Noi possiamo
tipicamente scegliere tra tutti i beni possibili nel nostro sistema economico, che sono sicuramente più di due,
tuttavia noi vogliamo arrivare a poter rappresentare graficamente alcune relazioni e dato che i grafici che
possiamo fare hanno due dimensioni ci limitiamo ad un mondo due beni. In ogni caso riusciremo così a
comprendere alcune relazioni ed alcuni fenomeni economici che possono poi essere generalizzati ad un mondo
a n beni.
In un mondo a due beni un paniere di consumo è una particolare combinazione di quantità x1 di bene 1 e x2 di
bene 2, che potrebbero essere consumare dal soggetto che stiamo considerando.

Il vincolo di bilancio serve a poter determinare quali panieri di consumo sono accessibili al nostro particolare
consumatore. Consideriamo un individuo in particolare, che ha a disposizione una certa quantità di denaro M e
che è in una situazione dalle caratteristiche di concorrenza, per cui prende i prezzi dei beni come dati. Quindi ci
sarà i, prezzo del bene 1 e quello del bene 2, che sono dei dati che il consumatore osserva ma non può scegliere.

Noi consideriamo una situazione dove non sono possibili i prestiti, perché un prestito implica un’analisi
intertemporale, perché nessuno ci da del denaro senza sperare di poterlo recuperare in un secondo momento.

Il consumatore si può permettere questi panieri, perché la spesa non eccede il suo reddito, ma lo esaurisce.

L’insieme dei panieri che sono accessibili per il nostro consumatore sono tutti i punti che non stanno al di fuori
della retta di bilancio, quindi tutti i punti che appartengono al triangolo, quindi sono il vincolo di bilancio.
Se questi punti appartengono alla retta allora sono panieri la cui spesa esaurisce completamente il reddito, se
questi punti sono al di sotto della retta di bilancio rimane della quantità di moneta dopo l’acquisto dei panieri,
mentre il paniere K, che è fuori dalla retta di bilancio, non è accessibile. Quindi nel nostro contesto sarà inutile
che il consumatore pensi a K perché esso è irraggiungibile.

L’inclinazione in valore assoluto della retta di bilancio è il rapporto tra il prezzo del bene 1 e il prezzo del bene
2 (in rosso). Il significato economico di questa relazione è che P1/P2 rappresenta il saggio a cui il consumatore
può sostituire bene 1 a bene 2 sul mercato (cioè potendo scambiare il bene 1 al prezzo P1 e il bene al prezzo
P2) a parità di spesa.

Quando c’è un vincolo di bilancio, se si vuole aumentare l’acquisto di un bene, necessariamente bisogna
diminuire l’acquisto dell'altro bene a parità di spesa complessiva. La distanza tra X1a e X1b e la distanza tra
X2a e X2b sono determinate dal fatto che i beni 1 e 2 sono scambiati su un mercato, e sono scambiati in base a
dei termini che sono dati da prezzo del bene 1 e prezzo del bene 2. Quindi la quantità di bene 2 a cui devo
rinunciare se voglio aumentare la quantità di bene 1 è determinata dal rapporto del prezzo del bene 1 sul prezzo
del bene 2. Questo rapporto tra i prezzi rimane costante, perché il consumatore non può decidere i prezzi.

L'inclinazione in valore assoluto alla retta di bilancio rappresenta anche il costo opportunità del consumo di
bene 1 in termini di bene 2. Se io voglio spostarmi da A a B, l’aumento nella quantità di bene 1 uguale a X1b
- X1a, comporterà un costo opportunità, ovvero dovrò rinunciare a una quantità di bene 2 che è uguale alla
differenza tra X2a - X2b.

Cosa succede se al vincolo di bilancio, per una qualche ragione, si modificano alcuni dei dati del problema di
partenza?

Hanno la stessa inclinazione perché il rapporto di sostituzione tra bene 1 e bene 2 sul mercato è rimasto
immutato, perché quello dipende da P1/P2. È cambiata l’intercetta della retta di bilancio.
Se aumenta solo il reddito, ci sono dei panieri di consumo che prima non erano accessibili mentre ora lo sono.
Quindi se aumenta il reddito, l’insieme dei panieri che potenzialmente il consumatore può procurarsi diventa
più grande. Se invece, si dovesse verificare una diminuzione nel reddito, l’effetto sarebbe speculare, quindi il
campo di opzioni si rimpicciolisce ma il rapporto tra i prezzi rimane costante.

Cosa succede se al posto di modificarsi il reddito, varia il prezzo di uno dei due beni?
Se il prezzo del bene 1 è aumentato, e il consumatore considera un paniere in cui compra solo bene 1,
esaurendo tutto il suo reddito nel bene 1, la quantità del bene 1 che si può procurare è più piccola di quella
precedente. Se si modifica il prezzo di un bene, si riduce l’insieme dei panieri a cui il consumatore può avere
accesso, ma in un modo diverso, perché cambia il saggio a cui si può sostituire il bene 1 con il bene 2 sul
mercato, cioè il rapporto tra i prezzi. La situazione sarebbe analoga nel caso in cui cambiasse il prezzo del bene
2.
Che cosa succede se cambiano tutti i dati del problema nella stessa proporzione?

Benché ci si muova in un mondo a due beni, si dirà che il bene 2 rappresenta (~) il bene composito o moneta
marshalliana. sull’asse delle ordinate noi vogliamo avere un modo per rappresentare tutti gli altri beni diversi
dal bene 1. In questo caso il bene 2 si chiama bene composito, cioè con le quantità di bene 2 noi vogliamo
rappresentare delle quantità di tutti gli altri beni diversi dalle biro blu. Per farlo dobbiamo mettere sulle
ordinate, moneta. Così cambia che il prezzo del bene 2 è necessariamente uguale a 1 (il prezzo di 1€ è 1€), la
moneta è l’unità di misura.

P1 è il costo opportunità, la quantità di moneta a cui devo rinunciare per aumentare il consumo di bene 1.
L’interpretazione dell’inclinazione della retta di bilancio è la stessa, solo che P1 corrisponde al costo
opportunità del consumo del bene 1 in termini di bene 2.
Così abbiamo visto cosa il nostro consumatore si può permettere.

Adesso dobbiamo introdurre le preferenze del nostro consumatore, cioè i suoi gusti e le sue attitudini. Qui il
discorso diventa più elaborato, se diamo ad un consumatore due ipotesi alternative, due panieri diversi (X1a;
X2a) oppure (X1b; X2b) (sono due combinazioni diverse di quantità di bene 1 e di bene 2), per preferenze noi
intendiamo una situazione in cui se al consumatore diamo da considerare queste sue alternative, il consumatore
è in grado di dire preferisco il paniere A, oppure il paniere B, oppure sono indifferenti. Quindi con preferenze,
noi intendiamo dire che il consumatore è sempre in grado di stabilire una relazione binaria tra due panieri. Il
consumatore è quindi in grado di procedere ad un ordinamento dei panieri in termini di desiderabilità, secondo
i suoi gusti personali. Qui siamo in un contesto in cui l’unica cosa che vale sono i gusti del consumatore, il suo
carattere, non c’è un elemento oggettivo da cui possiamo partire per cui possiamo dire inequivocabilmente che
il paniere A deve essere preferito al paniere B, dipende dai gusti del consumatore che stiamo considerando.
Cosa vuol dire essere in grado di arrivare ad un ordinamento dei panieri? Vuol dire che noi ci metteremo nelle
condizioni in cui ipotizziamo che il consumatore possa dare giudizi:

Tutto quello di cui avremo bisogno sarà poter supporre che il nostro consumatore può effettivamente sempre
confrontare due qualsiasi panieri ed esprimere un giudizio di apprezzamento relativo. Questa relazione di
preferenza debole, ci consente di poter passare da una relazione debole ad una relazione forte:

Queste sono delle relazioni strette.

~ = segno di indifferenza, ovvero il consumatore considera due panieri ugualmente desiderabili, non preferisce
un paniere strettamente all’altro.

La relazione di preferenza debole serve a costruire un ordinamento, non ha un significato cardinale. Se A è


almeno tanto desiderabile quanto B, non stiamo dando un numero alla felicità che da il paniere A e alla felicità
che da il paniere B, ma stiamo disponendo in fila e se andiamo in ordine discendente il paniere A starà sopra al
paniere B. Adesso noi inizieremo ad esprimere gli assiomi sulle preferenze, ovvero al fine di arrivare ad una
scelta che si definisce razionale, noi abbiamo bisogno di disciplinare questa relazione di preferenza debole e
per farlo introduciamo delle ipotesi, degli assiomi, e consideriamo le scelte dei consumatori che sono
compatibili con questo tipo di ipotesi. Sotto queste ipotesi vedremo che riusciremo a definire una scelta ottima
del consumatore. Dobbiamo avere gli elementi base per arrivare a definire la scelta razionale.

Quali sono gli assiomi?


1) COMPLETEZZA: dati due qualsiasi panieri, il consumatore è sempre in grado di stabilire questa relazione
di preferenza debole.

L'assioma di completezza significa, in termini generici e approssimativi, che il nostro consumatore di


riferimento è sempre in grado di esprimere un giudizio di apprezzamento tra coppie di panieri, non è mai in una
situazione in cui, di fronte ad un’alternativa A o B, non sappia cosa preferisce, non sappia ordinare i panieri.
Questa capacità di stabilire la relazione di preferenza debole si assume che valga per qualsiasi coppia di panieri.
Quindi il consumatore è sempre in grado di esprimere un giudizio relativo, in base solamente ai suoi gusti, non
c’è nulla di oggettivo nelle caratteristiche dei panieri A e B che determini il fatto che A è al mento tanto
desiderabile quanto B.

2)RIFLESSIVITÀ:
Quindi il paniere A è almeno tanto desiderabile quanto il paniere A, quindi tanto quanto un paniere che ha
esattamente le stesse quantità dei due beni.

3)TRANSITIVITÀ:
Questo assioma risulta ovvio nel momento in cui vengono utilizzati dei numeri, ma non è scontato che questo
valga in termini di gusti e attitudini rispetto a panieri diversi. Noi possiamo anche considerare il caso in cui il
consumatore abbia delle preferenze che non soddisfano l'assioma di transitività, ma se quest’ultimo venisse
violato, allora potremmo essere in una situazione problematica perché potremmo trovarci in una situazione di
circolarità, quindi A sarebbe preferito a B, che sarebbe preferito a C, che sarebbe però a sua volta preferito ad
A. Questa circolarità nelle preferenze, è problematica perché se noi cerchiamo di capire quale scelta dovrebbe
fare il consumatore tra A, B e C, se sono in questo circolo giriamo da un paniere all’altro.

Il fine di questi assiomi è disciplinare la relazione di preferenza debole tra coppie di panieri, in modo da poter
caratterizzare la teoria della scelta razionale.

4)NON SAZIETÀ:

Se aumentiamo la quantità a disposizione di almeno uno dei due beni, non andiamo nella direzione di
un'infelicità crescente del consumatore. Si chiama “non sazietà” perché se un consumatore fosse sazio, quindi
se fossimo in una situazione di sazietà, aumentare la quantità di cibo a disposizione, che deve necessariamente
essere consumata, renderebbe il consumatore più infelice di prima. L'assioma di non sazietà significa che noi
consideriamo sempre un consumatore lontano dal suo punto di sazietà, quindi sempre in una situazione di
scarsità relativa per quanto riguarda le quantità dei beni, per cui aumentare le quantità di almeno uno dei due
beni, può non renderlo necessariamente più felice ma sicuramente non lo rende più infelice.
Quando vale l’assioma di non sazietà, è possibile che valga anche un assioma più forte:

5)MONOTONICITÀ:

Se aumentiamo la quantità di uno dei due beni, consumare A rende il nostro consumatore più felice di quanto lo
sarebbe se consumasse B. L’ipotesi di non sazietà stabilisce quindi la direzione della relazione di preferenza
debole, sotto le stesse condizioni, se vale l’assioma più forte di monotonicità, abbiamo una relazione di
preferenza stretta. L’assioma di monotonicità può valere se e solo se vale l’assioma di non sazietà, e non
viceversa, perché noi potremmo avere una situazione di non sazietà in cui le preferenze non sono monotone.

6)CONVESSITÀ: la media è preferita agli estremi.

Lamda è il parametro di proporzione con cui mischio i due panieri iniziali. Se vale l’assioma di convessità,
deve valere che il terzo paniere, costruito mischiando i due panieri originali, che erano indifferentemente
desiderabili, è almeno tanto preferibile per il consumatore, quanto (x1; x2) e quanto (y1; y2).
Se per il consumatore due panieri sono equivalenti in termini di suo gradimento, ed io mischio questi due
panieri in base ad una specifica proporzione, allora sto creando un terzo paniere che, se vale l’assioma di
convessità, è almeno tanto desiderabile quanto i primi due panieri.
Questo assioma può essere soddisfatto o in forma debole, come in questo caso, oppure possiamo avere il caso
di convessità stretta, che è una situazione, in cui il paniere C è strettamente preferito si panieri iniziali:

Facendo una media ponderata come voglio, tra due panieri, quello che genero non è sicuramente peggio dei
panieri originali, e in alcuni casi abbastanza frequenti avviene anche la convessità stretta.

Per vedere gli assiomi al lavoro, introduciamo il concetto di curva di indifferenza. Essa è un insieme di
panieri che danno al consumatore un medesimo livello di soddisfazione. È quindi l’insieme di panieri rispetto a
cui il consumatore è indifferente, sono considerati equivalenti in termini di soddisfazione dal consumatore.

Partendo dalla situazione in cui l’assioma di completezza è soddisfatto, possiamo ottenere una situazione di
indifferenza. Adesso dobbiamo prendere il paniere A e metterlo insieme a tutti gli altri panieri che il
consumatore considera esattamente tanto buoni quanto il paniere A. Questo da luogo ad un luogo di panieri
chiamato curva di indifferenza.
Se il consumatore potesse consumare A, sarebbe tanto contento esattamente quanto lo sarebbe se consumasse
B, C, D… Questo significa che se io considero il punto E o F, che sono altri panieri che però non giacciono su
quella curva di indifferenza, non so dire se è meglio rimanere sulla curva d’indifferenza oppure è preferibile E
o F, ma so solo che E o F non sono tanto desiderabili quanti A, B, C, D…
• L'assioma di completezza implica che per ogni punto che ho nel piano passerà una curva d’indifferenza.

• L'assioma di transitività implica che le curve di indifferenza non possono MAI intersecarsi (rosso e blu).
L’intersezione tra due c.i. indicherebbe la violazione dell’assioma di transitività.

• Per capire la direzione delle curve di indifferenza ci viene incontro l’assioma di non sazietà, il quale implica
che se noi aumentiamo la quantità di almeno uno dei due beni, non possiamo andare nella direzione di
panieri strettamente peggiori per quanto riguarda il consumatore. Se consideriamo il terzo quadrante, in
questa zona le quantità sia di bene 1 che di bene 2 sarebbero strettamente inferiori a quelle nel paniere A. Se
vale l’assioma di non sazietà, non è possibile che in quella zona si trovino dei panieri per cui il consumatore
è indifferente tra quel paniere e il paniere A. Consideriamo invece il secondo quadrante, qui succede che
aumentano strettamente le quantità di entrambi i beni e se vale l’assioma di non sazietà vuol dire che la curva
di indifferenza che passa per A, non può passare in quella zona. Di conseguenza abbiamo che se vale
l’ipotesi di non sazietà, le curve di indifferenza non possono avere inclinazione positiva. Quindi l’ipotesi di
non sazietà implica che i panieri che sono nella zona 2 devono essere almeno debolmente preferiti al paniere
A.
• Se vale l’assioma di monotonicità, che è più forte dell'assioma di non sazietà, B deve essere strettamente
preferito ad A (blu).

Immaginiamo una situazione in cui l’assioma di non sazietà fosse violato:


Z è il paniere ideale, quindi nulla può essere migliore di questo paniere, che è il punto di sazietà del
consumatore. Se Z fosse il punto di sazietà, le altre curve di indifferenza come sarebbero?
Potremmo definire, per tutti i panieri che non sono Z, delle curve di isolivello, in cui la soddisfazione del
consumatore sarebbe la stessa. Così avremmo dei cerchi tali per cui tanto più si è su un cerchio vicino al punto
ideale Z, tanto più contento è il consumatore, mentre tanto più ci si allontana dal punto Z, tanto più il
consumatore è infelice. Se la situazione fosse questa, A è tanto desiderabile quanto B. Se ci fosse questo punto
di sazietà potrebbe accadere che il consumatore abbia troppo poco dei beni o troppo degli stessi beni, e anche il
troppo potrebbe renderlo infelice.

Noi non considereremo tanto che Z non esiste, ma che se anche esistesse un punto di sazietà, fosse talmente
lontano da ciò che si può fare per cui non è rilevante. Z è talmente lontano che nelle scelte effettive del
consumatore noi siamo sempre in una situazione in cui le curve di indifferenza non sono positivamente
inclinate.

Lungo BC deve esistere un paniere H tale per cui H è tanto desiderabile quanto A. Le relazioni di preferenza
non hanno dei buchi, non si fanno dei salti, per cui se da B vado a C, lungo questa strada ci deve essere per
forza un paniere che è esattamente tanto desiderabile quanto A. Se ho l’ipotesi di monotonicità:

L'inclinazione delle curve di indifferenza dipende solo dai gusti del consumatore, quindi consumatori diversi
possono avere curve di indifferenza diverse. Le preferenze di un consumatore non si discutono.

• Convessità:
Il paniere A ha tanto bene e poco bene 1, il paniere B ha la situazione opposta. Se da queste due situazioni ne
faccio una media, quindi creo un altro paniere dove le quantità di bene 1 e 2 sono più equilibrate, devo andare,
in termini di preferenza del consumatore, in una situazione in cui il consumatore non è strettamente più infelice
di quanto lo fosse prima.
• Questo implica che le curve di indifferenza non solo non sono mai positivamente inclinate, ma sono
convesse:

L'assioma di convessità sarebbe violato se la curva di indifferenza fosse così:


Se non valesse l’assioma di convessità, avremmo dei problemi a definire la scelta migliore che il consumatore
può fare.

Cosa sono le preferenze regolari? Sono delle preferenze che soddisfano tutti gli assiomi, in particolare
monotonicità e convessità stretta (ma anche gli altri).

SAGGIO MARGINALE DI SOSTITUZIONE (MRS):


È l’inclinazione di una curva di indifferenza in un punto. L’interpretazione di questa inclinazione è il saggio a
cui il consumatore è disposto a sostituire bene 1 a bene 2 a parità di soddisfazione. Il consumatore è “disposto”
perché in base alle sue preferenze è disposto a fare quel tipo di sostituzione.

Noi aumentiamo la quantità di bene 1, ma ci spostiamo verso panieri che rimangono tanto buoni quanto il
paniere A. Quindi se il paniere B appartiene alla stessa curva di indifferenza, il consumatore è disposto a
sostituire l’incremento di bene 1 con la diminuzione di bene 2. Quando io considero l’inclinazione in un punto,
sto pensando a variazioni non discrete ma infinitesime, questo è il motivo per cui posso definire il saggio
marginale di sostituzione come il saggio a cui il consumatore è disposto a sostituire bene 1 a bene 2 a parità di
soddisfazione.

Un altro modo di definire l'MRS è: beneficio marginale del bene 1 in termini di bene 2. L'MRS rappresenta la
quantità di bene 2 che il consumatore è disposto a cedere per una quantità marginale aggiuntiva/addizionale di
bene 1.
Supponiamo che il bene 2 sia il bene composito, quindi sia MONETA. L'MRS è la quantità di moneta a cui il
consumatore è disposto a rinunciare per un maggiore consumo di bene 1. Quindi quando il bene 2 è un bene
composito noi possiamo pensare all'MRS come alla misura della disponibilità marginale a pagare per il bene 1.

Quando vale l’ipotesi di monotonicità, le curve di indifferenza hanno inclinazione negativa, quindi l'MRS sarà
un numero inferiore a 0.
Normalmente noi guarderemo al valore assoluto dell'MRS. Se noi consideriamo il valore assoluto dell'MRS e
l'ipotesi di convessità stretta, allora il valore assoluto dell'MRS:

Convessità stretta: l’inclinazione in un punto della curva di indifferenza continua a cambiare.


Ora vediamo delle curve di indifferenza particolari, che però rispettano gli assiomi relativamente importanti
della teoria del consumo:

BENI SOSTITUTI PERFETTI: il termine “perfetto” implica che stiamo considerando una situazione
relativamente estrema. I beni sono sostituti perfetti quando il consumatore è disposto a sostituire un bene con
un altro a un rapporto costante.

Ipotizziamo che il rapporto di sostituzione, in termini di mio gradimento tra bene 1 e bene 2, sia uguale a 2.
Quindi i due panieri generano lo stesso livello di soddisfazione. Dato che il rapporto a cui io sono disposto a
sostituire bene 1 con bene 2 è costante, una curva di indifferenza è una retta negativamente inclinata. Beni
sostituti perfetti significa che il saggio marginale di sostituzione è costante. Quindi quando i beni sono sostituti
perfetti, le curve di indifferenza sono delle rette negativamente inclinate e il consumatore può essere contento
tanto in una situazione in cui consuma solo bene 1 quanto in una situazione in cui consuma solo bene 2.
Il paniere A contiene solo bene 1 e il paniere B contiene solo bene 2, l’importante è che i rapporti tra queste due
e quantità siano sempre gli stessi.
I beni sostituti perfetti rappresentano l’idea che per un consumatore una matita è esattamente sostituibile a 2
biro e questo rapporto si mantiene costante.
Mappa delle curve di indifferenza: rette negativamente inclinate parallele una all’altra.
L'opposto dei beni sostituti perfetti è il caso dei:
COMPLEMENTI PERFETTI: è una situazione in cui il consumatore ha piacere di consumare bene 1 e bene
2 in una rapporto fisso. Immaginiamo che q1 sia il numero di tazzine di caffè e q2 sia il numero di cucchiaini di
zucchero e che il consumatore abbia piacere di bere una tazzina di caffè com 2 cucchiaini di zucchero. Questo
rapporto è il rapporto fisso con cui il consumatore vuole consumare i due beni congiuntamente.

Il punto in rosso si trova in corrispondenza di quantità di zucchero e tazzine di caffè uguali al rapporto a cui il
consumatore piace consumare bene 1 e bene 2, quindi le curve di indifferenza sono fatte a L. Questo rapporto
fisso corrisponde all’equazione di una semiretta che esce dall’origine (blu).
Mappa delle curve di indifferenza: tutti i punti di angolo delle curve fatte a L sono sulla stessa semiretta che
esce dall'origine.

Se aumento le quantità di un bene, e tengo fissa la quantità dell’altro, per il consumatore non succede nulla.
Quando i beni sono complementi perfetti abbiamo una particolare forma delle curve di indifferenza e il valore
assoluto del saggio marginale di sostituzione tende a infinito nel tratto verticale, è uguale a 0 nel tratto
orizzontale e non è definito in corrispondenza dei punti d’angolo, perché in quel punto non c’è inclinazione.
Non c’è una caratteristica intrinseca nei beni che determina le preferenze, perché io potrei voler consumare
caffè e acqua ragia insieme, dipende solo dai gusti del consumatore.

Immaginiamo che ci sia un bene a cui il consumatore è del tutto indifferente, nel senso che non gli interessa,
questo bene viene chiamato bene neutrale, nel senso che il consumatore non è toccato dal fatto di avere tanto,
poco o niente a disposizione di questo bene.

La soddisfazione del consumatore dipende solo dalla quantità di bene 1. Se manteniamo fissa la quantità di
bene 1, qualsiasi sia la quantità di bene 2, non cambia per la soddisfazione del consumatore e viceversa.
Dal punto di vista economico non ha senso considerare la situazione in cui tutti i beni sono neutrali, poiché
significherebbe che al consumatore non interesserebbe consumare niente, quindi non avremmo un problema di
scelta.

Consideriamo un consumatore dalle preferenze regolari, che soddisfano tutti gli assiomi e le curve di
indifferenza sono strettamente convesse:
Il consumatore deve scegliere un paniere che sia accessibile e che allo stesso tempo sia tale da renderlo il più
felice possibile, quindi da soddisfarlo nel maggiore grado possibile pur essendo acquistabile.
Il paniere D, come tutti i panieri strettamente al di sopra della retta di bilancio, è inutile da prendere in
considerazione, perché sarà sicuramente un paniere molto apprezzato rispetto ai panieri che giacciono sulle
curve di indifferenza sotto D, ma tanto non è fattibile per il consumatore.
Il paniere A che sta all’interno del vincolo di bilancio ed è accessibile.
Le curve di indifferenza esprimono l’idea che il consumatore trae soddisfazione dal consumo di bene 1 e di
bene 2. A lui non interessa “risparmiare”, ma quello che gli interessa sono il consumo di bene 1 e il consumo di
bene 2. In corrispondenza di A, il consumatore spende meno del suo reddito, ma dato che il consumatore è in
una situazione di non sazietà, se aumenta il consumo sia di bene 1 chiedi bene 2, si sposta necessariamente su
un altro punto, ad esempio il punto B, da cui per forza passa una curva di indifferenza più alta rispetto a quella
che passa per A.
La prima conclusione è che la scelta del consumatore è sempre migliorabile finché rimaniamo al di sotto della
retta di bilancio, quindi la scelta migliore del consumatore non sarà nei punti sotto la retta di bilancio.
Immaginiamo un paniere la cui spesa esaurisce completamente il reddito del consumatore, ad esempio il
paniere C. In corrispondenza di esso, una curva di indifferenza taglia la retta di bilancio, quindi se
consideriamo C possiamo dire che esso può essere acquistato dal consumatore, perché è sulla retta di bilancio,
ma in corrispondenza di C l’inclinazione della curva di indifferenza che passa per esso è più ripida rispetto alla
retta di bilancio. Il valore assoluto dell’inclinazione della retta di bilancio è il rapporto tra prezzo del bene 1 e
prezzo del bene 2.
Il beneficio marginale dell’aumento di bene 1 in termini di bene 2 è maggiore del costo opportunità
dell’aumento di bene 1 in termini di bene 2, questo implica che se il consumatore aumenta le quantità di bene 1,
va nella direzione di soddisfazione crescente. Se io prendo il punto E, sia esso che il punto C esauriscono
completamente il reddito, ma il paniere E contiene più bene 1 rispetto al paniere C, quindi il vantaggio è che la
curva di indifferenza che passa per E, è più alta di quella che passa per C.
La scelta migliore che il consumatore può fare non può stare all’interno del vincolo di bilancio. Consideriamo i
punti che giacciono sulla retta di bilancio, vediamo che finché il valore assoluto dell'MRS è più alto del
rapporto tra i prezzi, cioè finché la curva di indifferenza taglia dall’alto verso il basso la retta di bilancio, il
beneficio marginale di un aumento del bene 1 è superiore al costo opportunità della stessa operazione.
In corrispondenza del punto H, una curva di indifferenza è tangente alla retta di bilancio, quindi ha solo un
punto in comune con la retta di bilancio, ovvero H. Qui il beneficio marginale di un aumento del consumo del
bene 1 è uguale al costo opportunità della stessa operazione.
Posso migliorare rispetto ad H? No, perché se mi sposto verso destra, accade che se rimango sulla retta di
bilancio necessariamente scendo di curva di indifferenza (punto L). Quindi se il consumatore si sposta da H a L
peggiora la sua situazione, perché qui il beneficio marginale di un aumento del consumo del bene 1 è minore
del costo opportunità della stessa operazione.

H è detta scelta ottima perché nessun’altra scelta rende il consumatore più felice.
FUNZIONE DI UTILITÀ: funzione che associa un numero ad ogni possibile paniere, quindi è una funzione
che parte da un paniere e associa ad esso un numero, u (x1, x2) = k, in modo tale che:

I numeri sono associati in modo da rispettare l’ordinamento delle preferenze del consumatore, per cui se il
paniere A è strettamente preferito al paniere B, il numero che la funzione di utilità deve associare al paniere A
deve essere più grande del numero che la funzione di utilità deve associare al paniere B.
La funzione di utilità ha un’interpretazione solo ordinale, ovvero:

L’unica cosa che posso dire è che un numero è maggiore, uguale o inferiore all’altro, ma non posso dire che in
corrispondenza del primo paniere il consumatore è 4 volte più felice che in corrispondenza del secondo paniere
(questa sarebbe un’interpretazione cardinale, come se potessimo misurare la felicità).
TRASFORMAZIONE MONOTONA POSITIVA: data una funzione K, f(k) è una trasformazione monotona
positiva di K se:

Si parte da una funzione e si arriva ad un’altra funzione, la quale mantiene inalterato l’ordinamento.

L’ordinamento dei numeri che si genera guardando la funzione K, è lo stesso ordinamento che si genera
guardando la funzione F. I numeri sono diversi ma l’ordinamento è lo stesso.

Sto rinumerando ma l’ordinamento è lo stesso.


Una trasformazione monotona positiva (tmp) di una funzione di utilità rappresenta le stesse preferenze. Se io
conosco le preferenze di un consumatore e creo una funzione di utilità che le rispetti, io posso o utilizzare
quella funzione di utilità che ho generato oppure farne una qualsiasi trasformazione monotona positiva che non
cambia nulla, perché importa solo l’ordinamento delle preferenze. Quindi una funzione di utilità è unica a
meno di tmp.
Una funzione di utilità può rappresentare solo preferenze che soddisfano l’assioma di transitività, perché:

Se consideriamo una funzione di utilità in un mondo a due beni, abbiamo comunque tre variabili, ovvero la
quantità di bene 1 e di bene 2 e il numero che la funzione di utilità associa ai singoli panieri.

A è il numero che la funzione associa al paniere (x1, x2). Se facessimo questa operazione per tutti i possibili
panieri in questo piano, otterremmo una sorta di calotta, di superficie. Se tagliamo orizzontalmente questa
superficie, abbiamo delle curve, ad esempio la curva c, la quale rappresenta tutti i panieri tali per cui la
funzione di utilità associa a quei panieri esattamente lo stesso numero (ad esempio 5). Se consideriamo un
livello più alto (ad esempio u1) e sezioniamo la cupola a livello u1 (ad esempio 9), otteniamo un’altra curva,
che rappresenta tutti i panieri tali per cui la funzione di utilità associa a quei panieri un numero uguale a u1.

Stiamo tagliando orizzontalmente la superficie e otteniamo delle curve che hanno due dimensioni, proprio per
questo possiamo proiettarle nel piano q1 e q2 (quelle in rosso). Queste curve sono il luogo di tutti i panieri a cui
la funzione di utilità associa uno stesso numero. La funzione di utilità serve a rappresentare le preferenze di uno
specifico consumatore, quindi ogni consumatore avrà una funzione di utilità diversa. I panieri che giacciono su
queste curve sono ad esempio A e B, e il numero che la funzione di utilità associa ad A è uguale al numero che
la funzione di utilità associa al paniere B, ma in termini di preferenze il consumatore considera tanto
desiderabile il paniere A tanto quanto B, è indifferente tra A e B. Se non fosse indifferente la funzione di utilità
non potrebbe associare ad entrambi lo stesso numero.
Una curva di indifferenza corrisponde anche all’idea che la funzione di utilità associ uno stesso numero ai
diversi panieri.

Dalla funzione di utilità possiamo ricavare altre funzioni utili, ad esempio:


FUNZIONE DI UTILITÀ MARGINALE DEL BENE i:
La funzione di utilità sarà funzione della quantità u (xi; xj). La funzione di utilità marginale del bene i
rappresenta il saggio a cui varia la funzione di utilità (u) al variare solo di xi. Quindi la funzione di utilità
marginale:

Introduciamo l’idea di differenziale, che corrisponde all’idea di vedere di quanto varia una funzione quando
sono soggetti a variazioni tutti gli argomenti della stessa funzione.

Ora determiniamo il paniere ottimo di un consumatore quando abbiamo la funzione di utilità, che rappresenta le
preferenze del consumatore. Consideriamo un caso regolare, ovvero le preferenze soddisfano tutti gli assiomi e
che le curve di indifferenza siano strettamente convesse e decrescenti.
Ciò che succede in corrispondenza di H, è una condizione che ci permette di ricavare, data la funzione di utilità,
quale sia il paniere ottimo.
In termini generali, la condizione necessaria per determinare il paniere ottimo è la non intersezione tra retta di
bilancio e curva di indifferenza. Quando le curve sono strettamente convesse, condizione sufficiente e
necessaria per determinare il paniere ottimo è la condizione di tangenza.

Le funzioni di utilità che utilizzeremo, tendono ad appartenere ad un numero limitato di espressioni funzionali.
Una tra queste è la funzione di utilità che rappresenta le:
PREFERENZE COBB-DOUGLAS:
È una particolare funzione di utilità, che ha espressione:

La prima caratteristica è che se portiamo anche una sola delle due quantità a 0, la funzione di utilità assocerà
sempre il numero 0, quindi se si hanno queste preferenze, una condizione necessaria per avere un numero
associato dalla funzione di utilità superiore a 0, è che entrambe le quantità dei beni siano superiori a 0.
Le funzioni di utilità sono uniche a meno di trasformazioni monotone positive, quindi noi possiamo trasformare
questa funzione con trasformazioni monotone positive, e quelle che generiamo in questo modo sono sempre
preferenze cobb-douglas, rappresentano lo stesso tipo di ordinamento tra i panieri.
Trasformazione monotona positiva:

Il senso della funzione di utilità è solo ordinale, quindi l’ordinamento tra i panieri rimane immutato. Un’altra
trasformazione monotona positiva della funzione di utilità è prendere il logaritmo:

Partiamo dalla funzione di utilità di partenza:

Da questa funzione di utilità troviamo che le curve di indifferenza sono decrescenti è strettamente convesse.
Se partiamo da una funzione di utilità cobb-douglas, per determinare il paniere ottimo del consumatore
abbiamo bisogno di imporre delle condizioni per l’ottimo. Il paniere H deve soddisfare due condizioni:
Consideriamo una situazione in cui le curve di indifferenza sono convesse ma non strettamente, ovvero il caso
dei:
PERFETTI SOSTITUTI:
È la situazione in cui per il consumatore esiste un rapporto fisso a cui è disposto a sostituire bene 1 a bene 2 a
parità di soddisfazione. Con i perfetti sostituti sappiamo che le curve di indifferenza sono delle rette
negativamente inclinate e parallele.

Quando abbiamo i sostituti perfetti, dato che le curve di indifferenza sono delle rette, l'MRS è costante, perché
l’inclinazione non varia.
La funzione di utilità che può rappresentare delle preferenze di questo genere, quindi il fatto che per il
consumatore il bene 1 e il bene 2 sono sostituti perfetti è:

Il paniere ottimo arriva dal considerare da un lato il valore assoluto dell'MRS e dall’altro il rapporto tra i prezzi,
che qui sono entrambi delle costanti, dei numeri, quindi come condizione di ottimo non possiamo più imporre
la condizione di tangenza, perché se i numeri sono diversi non si può fare niente. Il paniere ottimo dovrà
soddisfare la condizione di non intersezione tra retta di bilancio e curva di indifferenza.

Questi panieri si chiamano anche ottimi di frontiera, di frontiera perché la quantità ottima di uno dei due beni
è andata a 0. Potrebbe anche capitare, ma sarebbe un caso fortuito, che le curve di indifferenza avessero la
stessa inclinazione della retta di bilancio:

Ora vediamo il caso opposto, ovvero i:


COMPLEMENTI PERFETTI:
L’idea di complementi perfetti corrisponde all’idea che per il consumatore esista una proporzione tra bene 1 e
bene 2 a cui preferisce consumare i due beni (ad esempio una tazzina di caffè e due cucchiaini di zucchero).
La proporzione può avere qualsiasi valore, ma è fissa.

Il valore assoluto dell'MRS è infinito nel tratto verticale, è 0 nel tratto orizzontale delle curve di indifferenza e
non è definito neanche nel punto d’angolo, quindi non possiamo ricorrere alla condizione di tangenza per
trovare il paniere ottimo.

PREFERENZE QUASI LINEARI: quando tutte le curve di indifferenza sono traslazioni verticali di una sola
curva di indifferenza.

La funzione di utilità è lineare nel bene 2, il quale entra linearmente, mentre invece la funzione di utilità
dipende dalla quantità di bene 1 (x1) in base alla funzione v, che è funzione solo di x1.

Troviamo ora il paniere ottimo:


Le condizioni sono le stesse delle preferenze cobb-douglas però la differenza è che nelle preferenze quasi
lineari il valore assoluto dell'MRS non dipende da x2.

Ora dobbiamo fare un altro passo. Sappiamo che lo scambio è volontario, quindi cosa farà il singolo
consumatore quando si predispone ad andare sui diversi mercati dei beni? Il consumatore avrà in mente la sua
funzione di utilità, che rappresenta le sue preferenze, terrà conto della retta di bilancio e arriverà a definire il
suo paniere ottimo. Egli andrà a chiedere sul mercato il suo paniere ottimo (né di meno né di più), per cui noi
possiamo mettere in evidenza la relazione tra il prezzo di bene 1 e la quantità domandata di bene 1, la quale
sarà la quantità ottima di bene 1 nel paniere ottimo.

ESERCIZIO:
Consideriamo dati: la mappa delle curve di indifferenza, il reddito e il prezzo del bene 2. Noi facciamo variare
il prezzo del bene 1. Per ogni possibile p1 determiniamo il paniere ottimo.

La curva prezzo-consumo è il luogo dei panieri ottimi al variare solo del prezzo del bene 1.

Analizziamo la relazione tra prezzo del bene 1 e quantità ottima di bene 1.


In questo caso, i panieri ottimi, al variare del prezzo, si spostano sempre verso destra, quindi abbiamo una
relazione inversa tra il prezzo del bene 1 e la quantità ottima (domandata) del bene 1. Quando accade questo, il
bene 1 è un bene ordinario, ovvero un bene per cui la quantità ottima non aumenta all’aumentare del prezzo,
quindi la funzione di domanda individuale non è positivamente inclinata.
Questo però non è sempre necessariamente vero, perché:

In questo caso possiamo immaginare che i gusti e le preferenze del consumatore siano tali per cui i panieri
ottimi che io determino al diminuire del prezzo del bene 1 siano alla sinistra di A. Quindi in questa situazione si
ha che la funzione di domanda individuale è positivamente inclinata, e questo non è un errore del consumatore,
ma è qualcosa che può accadere a seconda delle preferenze del consumatore. In questo caso il bene 1 è un bene
di Giffen, ovvero un bene la cui quantità ottima aumenta all’aumentare del prezzo bene i. Tanto più alto è il
prezzo del bene i, tanto più alta è la domanda di bene i e viceversa, c’è quindi una relazione positiva tra prezzo
del bene 1 e quantità ottima del bene 1.
Nella verifica empirica, la maggior parte dei beni sono ordinari, quindi sono beni per cui per il consumatore si
determina una curva di domanda negativamente inclinata.

BENI DI GIFFEN:
Immaginiamo che il bene 1 sia pasta e il bene 2 sia carne. Mettiamoci nei panni di un consumatore con modeste
possibilità economiche, se il prezzo della pasta aumenta, il consumatore comprerà solo carne oppure ridurrà la
carne e si concentrerà di più sulla pasta? Può capitare che il consumatore tolga dalla sua dieta tutti gli altri
alimenti e si concentri su quello meno costoso anche se il prezzo sta aumentando, ovvero la pasta. Quando
invece il prezzo della pasta scende, il consumatore può ridistribuire la sua spesa a favore di altri tipi di alimenti.
Questo tipo di esempio, fatto con le patate per l'Irlanda, è stato fatto come esempio di bene di Giffen, così come
la pasta al sud Italia, la polenta al Nord… Dal punto di vista logico non è impossibile immaginare una funzione
di domanda individuale positivamente inclinata, però si tratta di casi eccezionali, nel senso che la maggior parte
dei beni, se non tutti, sono beni ordinari, per cui la funzione di domanda individuale non è positivamente
inclinata.
Come si trova la funzione domanda individuale di un bene? Si determina prima la curva prezzo-consumo, dalla
quale poi si induce la relazione specifica tra il prezzo di un bene e la quantità ottima dello stesso bene.
Nel momento in cui abbiamo la curva prezzo-consumo possiamo anche ricavare la relazione tra prezzo del bene
1 e quantità ottima del bene 2. Dal segno di questa relazione noi possiamo indurre se il consumatore considera
bene 1 e bene 2 sostituti o complementi. Noi diciamo che se il saggio a cui varia la quantità ottima di bene 2 al
variare del prezzo del bene 1 è maggiore di 0, il consumatore ritiene i beni come sostituti, quindi aumenta il
prezzo del bene 1, si modifica il paniere ottimo, e il consumatore aumenta il consumo di bene 2, quindi
sostituisce bene 2 a bene 1:

Invece i due beni sono considerati complementari dal consumatore quando la quantità ottima di bene 2
diminuirà all’aumentare del pezzo del bene 1:

Se i beni sono complementari o sostituti, non dipende da dalle caratteristiche intrinseche dei beni, ma dipende
dalle preferenze del consumatore, che a loro volta si manifestano nel modo in cui sono disegnate le curve di
indifferenza.

Se aumenta il prezzo del bene 1, la funzione di domanda si sposta verso l’esterno, abbiamo un’espansione della
domanda di bene 2 che è stata causata dall’aumento del prezzo del bene 1.

Se il prezzo del bene 1 sale si ha una contrazione della funzione di domanda di bene 2, perché i beni sono
considerati complementi.
Quindi per vedere se un consumatore ritiene due beni complementi o sostituti guardiamo al saggio a cui varia la
quantità ottima di bene j al variare del prezzo del bene i. Se questa relazione è positiva sono sostituti, se è
negativa sono complementi mentre se la relazione è uguale a 0, cioè varia il prezzo del bene 1 e la quantità di
bene 2 rimane la stessa sono indipendenti. Il tipo di relazione che si trova è determinata dalle preferenze del
consumatore.
ELASTICITÀ INCROCIATA DI DOMANDA:
Serve a misurare il grado di reattività delle decisioni di acquisto di bene j al variare del prezzo di bene i.
L’elasticità incrociata di domanda ad esempio del bene 2 al prezzo di bene 1 sarà uguale a:

Abbiamo anche l’elasticità incrociata di domanda del bene 1 al prezzo del bene 2 (prodotto del saggio a cui
varia la quantità ottima di bene 1 al variare del prezzo di bene 2). Quando calcoliamo l’elasticità incrociata, il
segno dipenderà dalla prima relazione perché la seconda non può essere un numero negativo, per cui se i beni
sono complementari, l’elasticità incrociata sarà un numero negativo, se i beni sono sostituti l’elasticità
incrociata sarà un numero positivo.

I beni che di scendono dalle preferenze cobb-douglas sono ordinari, quindi la funzione di domanda è
negativamente inclinata. La relazione tra domanda di bene 1 e prezzo di bene 2 è uguale a 0 perché la quantità
ottima di bene 1 non dipende da p2, quindi l’elasticità incrociata di bene 1 rispetto al prezzo del bene 2 sarà 0 e
viceversa.

Nel caso dei complementi perfetti:

In questo caso, se ripetiamo l’esercizio per tutti i possibili prezzi del bene 1, vedremmo che i punti di ottimo
appartengono sempre alla bisettrice, quindi nel caso dei complementi perfetti, la bisettrice è anche la curva
prezzo-consumo.

Anche in questo caso i beni sono ordinari, quindi la funzione di domanda sarebbe negativamente inclinata.
Ora guardiamo la relazione tra quantità domandata di un bene e prezzo dell’altro bene:

Ora consideriamo le funzioni di domanda che emergono quando abbiamo i sostituti perfetti:
Funzione di domanda del bene 1:

Vediamo l’elasticità incrociata del bene 1 al prezzo del bene 2:

Torniamo alla situazione in cui sono dati: le preferenze del consumatore (la funzione di utilità del
consumatore), il prezzo del bene 1 e il prezzo del bene 2. Qui vogliamo verificare come varia il paniere ottimo
al variare del reddito. Ora consideriamo variazioni in M (redditi diversi) e vediamo cosa accade al paniere
ottimo. Se varia la capacità di reddito, la retta di bilancio si sposta nel piano, in questo caso si sposta
parallelamente, perché l’inclinazione in valore assoluto della retta di bilancio è uguale al rapporto tra i prezzi, e
in questo caso il rapporto tra i prezzi rimane immutato perché p1 e p2 rimangono fermi. Però se la retta di
bilancio si sposta nel piano, il consumatore sceglierà un diverso paniere ottimo.

La curva reddito-consumo è il luogo dei panieri ottimi al variare di M, quindi un paniere ottimo per ogni
possibile livello di reddito del consumatore. Essa stabilisce una relazione tra M e il paniere ottimo.
Da questa curva posso estrapolare la relazione tra reddito e quantità ottima di bene 1, dalla quale vedo come
varia la quantità domandata di bene 1 al variare del reddito, questa relazione si chiama curva di Engel del
bene 1 (EC1). Se estrapolo invece la relazione tra M e la quantità ottima di bene 2, avrò la curva di Engel del
bene 2.
Ad esempio nel grafico sopra, se volessi disegnare la curva di engel del bene 1 avrei:

C’è una relazione positiva tra reddito e quantità ottima di bene 1, però questo non è necessariamente vero
perché dipende dalle curve di indifferenza, che dipendono dalle preferenze del consumatore. Quindi se dalla
ICC ottengo una relazione positiva tra reddito e quantità ottima di bene 1 (quindi se la quantità è funzione
positiva del reddito), allora il bene 1 è un bene normale, ovvero un bene per cui all’aumentare del reddito,
aumenta la quantità domandata di quel bene.
I beni non sono sempre beni normali, quindi le curve di Engel non sono sempre positivamente inclinate.

Stiamo imparando a classificare i beni secondo due diverse tipologie di beni: una prima tipologia è la
distinzione tra beni ordinari e beni di Giffen, la seconda è tra beni normali e beni inferiori. Questi due criteri
dipendono da relazioni diverse: ordinari e di Giffen dipendono da quanto varia la quantità ottima del bene i al
variare del prezzo del bene i, se la relazione è negativa il bene è ordinario mentre se è positiva è un bene di
Giffen; mentre la distinzione tra beni normali e inferiori dipende dalla relazione tra la quantità ottima di bene i
e il reddito, se la relazione è positiva il bene è normale, mentre se è negativa il bene è inferiore.

La prima relazione discende dalla curva prezzo-consumo e della funzione di domanda del bene i, mentre la
seconda discende dalla curva di reddito-consumo e dalle curve di Engel per il bene i.
Poi impareremo come raccordare queste due diverse categorie di beni, quindi capiremo qual è la relazione tra
essi.
Può essere possibile che un consumatore abbia delle preferenze tali per cui la sua attitudine rispetto alla
relazione tra reddito e quantità ottima di bene i vari al variare del livello del reddito, cioè:

Può essere che la curva di Engel abbia prima un tratto crescente e poi uno decrescente. Per dei primi livelli di
reddito, man mano che cresce la capacità economica del consumatore, egli aumenta la domanda di bene i,
quando poi il reddito continua a salire, a quel punto il consumatore sostituisce all’interno dei suoi panieri di
consumo e diminuisce la quantità di bene i.
Come sono fatte le curve reddito-consumo e le curve di Engel se un bene è normale o inferiore, dipende sempre
dalle preferenze del consumatore, non c’è niente di fisico o tecnologico legato ad un bene che ci può dire se
quel bene è normale o inferiore, dipende dal consumatore.
Nel momento in cui abbiamo la curva di Engel per un bene, possiamo arrivare ad un’altra misura di elasticità,
che ci indica la reattività delle decisioni di acquisto di un bene al variare del reddito, quindi parliamo di:

ELASTICITÀ DELLA DOMANDA INDIVIDUALE DI BENE i AL REDDITO:


Ci riferiamo sempre ad un consumatore specifico.

Supponiamo che la funzione di utilità del consumatore Z sia tale da generare una mappa di curve di
indifferenza per cui accade questo:

Ci sono delle funzioni di utilità tali per cui se abbiamo la mappa delle curve di indifferenza e tracciamo una
qualsiasi bisettrice dall’origine degli assi, questa taglierà tutte le curve di indifferenza che incontra. La
caratteristica di queste funzioni di utilità è che ogni punto in cui la bisettrice taglia le curve, l'MRS è lo stesso,
quindi l’inclinazione nei punti in cui le curve di indifferenza sono tagliate dalla stessa semiretta che esce
dall'origine è la stessa. Questa caratteristica ha una conseguenza significativa su come è fatta la curva reddito-
consumo e su come sono fatte le curve di Engel.
Prima capiamo sotto quali condizioni può accadere un fenomeno di questo genere.
Una funzione f (x1, x2) si dice omogenea di grado k (dove k è un numero) se:

Se una funzione è omogenea di grado k, allora le sue derivate prime parziali sono omogenee di grado (k-1).
L'omogeneità di una funzione viene ereditata dalle derivate prime parziali della stessa funzione, che sono
omogenee di grado (k-1).
Il fatto che le derivate parziali ereditino la caratteristica dell’omogeneità comporta che i piani tangenti a insiemi
di livello di una funzione f omogenea hanno inclinazione costante lungo raggi da origine.
Supponiamo di avere una funzione f che è omogenea di grado k, le derivate prime parziali sono omogenee di
grado k-1, se io faccio il rapporto tra due derivate parziali, abbiamo:

Questo accade per insiemi di livello della funzione omogenea, ma un insieme di livello per una funzione
omogenea quando l’azienda funzione è una funzione di utilità è una curva di indifferenza (ovvero il luogo dei
panieri per i quali la funzione di utilità associa sempre lo stesso numero).
Quando tracciamo la mappa delle curve di indifferenza e tracciamo una qualsiasi bisettrice che esce dall’origine
degli assi, tutti i punti in cui la funzione taglia le curve di indifferenza hanno la stessa inclinazione. Quando si
parla di funzione di utilità non si utilizza direttamente il termine omogenea, ma proprio perché è funzioni di
utilità hanno un'interpretazione ordinale, si parla di preferenze omotetiche, che corrispondono all’idea che la
funzione di utilità è omogenea di grado 1. Quando ho delle preferenze omotetiche succede che:

Se le preferenze sono omotetiche, la curva reddito-consumo è il luogo dei panieri ottimi al variare del reddito,
ma se varia solo il reddito, il rapporto tra i prezzi rimane lo stesso. Per cui le condizioni di tangenza rimangono
soddisfatte per tutti i panieri che appartengono alla semiretta che esce dall’origine. Quindi la curva reddito-
consumo è una semiretta che esce dall'origine. La curva reddito-consumo (ICC) si chiama anche sentiero di
espansione del reddito.
Inoltre, non solo la ICC è una semiretta, ma anche le curve di Engel sono semirette da origine, cioè anche la
quantità domandata di bene i dipende linearmente dal reddito. Per cui:

Un’ulteriore conseguenza delle preferenze omotetiche è che l’elasticità della domanda di bene i al reddito è
uguale a 1, quindi il reddito aumenta dell'1% e la domanda di bene i aumenta dell'1%.
Quando le preferenze sono omotetiche le curve di indifferenza sono espansioni radiali una dell’altra, l'MRS
rimane costante lungo raggi dall’origine e i beni sono beni normali, perché la quantità di bene i aumenta
all’aumentare del reddito.

Ora verifichiamo se per le funzioni di utilità che utilizziamo si tratta di preferenze omotetiche:
COBB-DOUGLAS:

Questa è una funzione omogenea di grado 1, per cui le preferenze di tipo cobb-douglas sono preferenze
omotetiche. La curva reddito-consumo sarà il luogo dei panieri per i quali ho che il valore assoluto dell'MRS è
uguale al rapporto tra i prezzi:

SOSTITUTI PERFETTI:

Anche in questo caso le preferenze sono omotetiche e i beni sono normali.


COMPLEMENTI PERFETTI:

Anche in questo caso si tratta di preferenze omotetiche e i beni sono normali.

Le preferenze non devono per forza essere omotetiche, consideriamo quindi il caso delle:
PREFERENZE QUASI LINEARI: esse sono delle preferenze tali da generare delle curve di indifferenza che
sono tutte traslazioni verticali della stessa curva di indifferenza:

Queste non sono preferenze omotetiche, infatti la retta non parte dall'origine e i beni non sono normali, perché
in questo caso se il reddito aumenta, la quantità ottima di x1 rimane ferma. Quando si hanno preferenze di tipo
quasi lineare rispetto al bene x1 si dice anche che ho un effetto reddito uguale a 0. La domanda di bene 1 è
indipendente dal reddito.

Non dipende da x2 e nemmeno dal reddito, quindi finché non cambia il rapporto tra i prezzi, la quantità ottima
di bene 1 rimane sempre la stessa (effetto reddito = 0).

Abbiamo a che fare con due tipi di classificazioni (ordinari/Giffen e normali/inferiori) appartenenti allo stesso
mondo di beni, ma esiste una relazione tra questi due modi di definire gli stessi beni. Per capire la relazione ci
occupiamo di effetto reddito e effetto sostituzione.
In una situazione in cui abbiamo le preferenze, il reddito, il prezzo del bene 1 e quello del bene 2, siamo in
grado di definire il paniere ottimo. Per trovare la PCC manteniamo tutto fisso tranne tranne il prezzo del bene 1
che varia.
Gli effetti della variazione del prezzo del bene 1 sono due:
1. Varia il prezzo relativo p1/p2, quindi varia il saggio di scambio sul mercato tra bene 1 e bene 2.
2. Varia il potere d’acquisto del reddito, perché prima con le stesse risorse riuscivo ad avere accesso ad un
insieme di beni, mentre adesso la situazione è diversa, perché è cambiata la capacità di acquisto di una
stessa quantità di moneta.

Noi sappiamo che se varia il prezzo del bene 1, ci sarà una variazione nella quantità ottima di bene 1, e
vogliamo riuscire a distinguere quanto di quella variazione è dovuta al primo elemento e quanto è dovuta al
secondo elemento.
La variazione in x1 dovuta alla variazione solamente nel prezzo relativo la chiameremo EFFETTO
SOSTITUZIONE. La variazione in x1 dovuta solo alla variazione del potere d’acquisto del reddito la
chiameremo EFFETTO REDDITO.

Capiamo le trasformazioni che intervengono quando varia il prezzo di un bene. Dati:


M, p1, p2, u(.) → ~(x1,x2)~ paniere ottimo
p1’ →(x’1 , x’2) nuovo paniere ottimo
Per quanto riguarda la variazione nella quantità ottima di bene 1 sarà:

Quali sono i canali tramite cui si manifesta questa variazione nella quantità ottima, e quindi domandata, del
bene 1?
• Δp1 → Δ(p1/p2): varia il prezzo relativo. Questo è l'effetto sostituzione.
• Δp1 → varia la capacità d’acquisto di M (perché il reddito è espresso in unità di moneta, quindi se varia il
prezzo, varia la capacità di uno stesso reddito di acquistare in diversi panieri di consumo). Questo è l'effetto
reddito.
Noi vogliamo scomporre l'effetto totale nelle variazioni della quantità domandata di bene 1 che sono indotti
solo da una delle due variazioni. Vogliamo arrivare alla situazione in cui effetto totale = effetto sostituzione +
effetto reddito.

Si considera una situazione regolare con curve di indifferenza strettamente convesse, tutti gli assiomi sono
soddisfatti. Ci sarà una di queste curve di indifferenza tale per cui si manifesta la condizione di tangenza tra la
retta di bilancio e la curva di indifferenza.
Adesso dobbiamo trovare un modo per mantenere la capacità di reddito costante, in modo da isolare l’effetto
rispetto a x1a dell’esclusivo cambiamento nel rapporto di scambio. Ci sono due modi per considerare costante
la capacità di reddito, ma noi vediamo quello più usato:
• Metodo di Hicks: in corrispondenza del paniere A, il consumatore sarà in grado di raggiungere un
determinato livello di soddisfazione. u(A) = ū (numero che la funzione associa ad A) → la curva di
indifferenza che passa per A è l’insieme di tutti i panieri che garantiscono un livello di soddisfazione
costante uguale a u soprasegnato. Con questo metodo ipotizziamo che anche dopo la variazione nel prezzo
del bene 1, il consumatore abbia sempre un reddito tale da consentirgli di raggiungere ū. È come se volessi
tracciare una retta di bilancio, parallela alla retta di bilancio in blu, voglio considerare il nuovo rapporto di
scambio (p1’/p2), ma una capacità d’acquisto del reddito costante. Per farlo considero che la capacità
d’acquisto costante consista nella possibilità al consumatore, di raggiungere come paniere ottimo, sempre la
curva ū. La differenza tra i due panieri ottimi A e C è che è cambiato il saggio di scambio sul mercato dei
due beni (il prezzo relativo, p1’/p2), mentre abbiamo trovato un modo per mantenere costante la capacità di
acquisto del reddito. L'effetto sostituzione ha sempre segno negativo, che non vuole dire che x1c - x1a sia un
numero negativo, ma il segno negativo sta nella relazione tra variazione in p1 e variazione in x1: se p1 sale,
x1 scende, invece se p1 scende, x1 sale. L'effetto sostituzione ha sempre segni negativo perché:

Se il prezzo del bene 1 scende, la quantità ottima di bene 1 in base all’effetto sostituzione non può scendere,
mentre se il prezzo del bene 1 sale, la quantità ottima di bene 1, in base all’effetto sostituzione, non può salire.
Sostanzialmente l'effetto sostituzione dice sempre che il consumatore va a sostituire il bene che è diventato
relativamente meno costoso. L'effetto sostituzione ha sempre segno negativo, nel senso che la relazione tra
variazione del prezzo del bene 1 e variazione in x1 sono in direzioni opposte.

Adesso facciamo il confronto tra il paniere C e il paniere B, che sono entrambi panieri ottimi. Sia in
corrispondenza di C, che in corrispondenza di B, l'inclinazione della retta di bilancio è la stessa, perché
l'inclinazione della retta di bilancio tratteggiata in blu è uguale per costruzione all'inclinazione della retta di
bilancio a tratto continuo in blu e che è uguale a |p’1/ p2|.

Nel primo grafico l’effetto reddito va nella stessa direzione dell’effetto sostituzione, quindi l'effetto reddito ha
lo stesso segno nell'effetto sostituzione. In questo caso il prezzo del bene 1 è diminuito ed è come se la capacità
d’acquisto del reddito monetario M fosse aumentata, e il consumatore aumentasse il consumo di bene 1, quindi
si stabilisce una relazione tra variazione nella capacità di acquisto e consumo di bene 1, nel senso che quando
aumenta una aumenta anche l’altra (se diminuisce una, diminuisce l’altra). Quindi quando l’effetto reddito ha
lo stesso segno dell’effetto sostituzione, il bene 1 è un bene normale, ovvero un bene per cui quando aumenta il
reddito, aumenta la quantità domandata, se diminuisce il prezzo del bene 1 la capacità d'acquisto del reddito
aumenta. Quindi, se il bene 1 è un bene normale aumenta la quantità di bene 1 consumata, trainata da un
aumento della capacità d’acquisto del reddito. Dire che il bene 1 è un bene normale, è la stessa cosa che dire
che l’effetto reddito ha lo stesso segno dell'effetto sostituzione, e quindi un bene è normale quando l'effetto
reddito ha segno negativo, perché l'effetto sostituzione ha sempre solo segno negativo.
Quando abbiamo a che fare con un bene normale, l'effetto reddito va ad aggiungersi e a rafforzare l'effetto
sostituzione.

Questo però non deve essere sempre cosi, perché esistono anche i beni inferiori, che sono dei beni per cui
aumenta il reddito e diminuisce la quantità domandata.
Che cosa deve succedere per i beni inferiori? Deve succedere che l'effetto reddito va in direzione opposta
rispetto all'effetto sostituzione, ma se va in direzione opposta allora bisognerà vedere quanto forte è un effetto
rispetto all'altro. Quindi possiamo iniziare a considerare che quando l'effetto reddito ha segno opposto
all'effetto sostituzione, il bene 1 è un bene inferiore.

Cos'è un bene ordinario? Un bene ordinario è un bene tale per cui, se il prezzo del bene i sale, la quantità
domandata di i scende o al limite rimane costante, quindi la funzione di domanda individuale è negativamente
inclinata, e vale anche il contrario, quindi se il prezzo del bene i scende, la quantità domandata di bene i sale.
Se il bene i è normale, l'effetto reddito si somma all'effetto sostituzione: effetto totale = ES + ER -> l'effetto
reddito ha esattamente lo stesso segno dell'effetto sostituzione (l'effetto sostituzione ha sempre segno meno,
quindi se diminuisce il prezzo del bene 1 aumenta la quantità del bene 1 e viceversa). Succede quindi che se il
prezzo del bene i scende, la quantità domandata di bene i deve salire, cioè si mantiene la relazione negativa tra
variazione nel prezzo del bene i e quantità domandata del bene i. Quindi se il bene i è normale è
necessariamente ordinario. Cioè ci sarà una relazione negativa tra prezzo del bene i e quantità domandata del
bene i, la funzione di domanda individuale non sarà positivamente inclinata.

Se il bene i è inferiore, allora abbiamo un effetto totale, che è sempre la somma di effetto sostituzione + effetto
reddito, ma l'effetto sostituzione ha segno - e l'effetto reddito ha segno +.
Qual è quindi il segno dell'effetto totale? È più forte l'effetto sostituzione o è più forte l'effetto reddito?
Possiamo avere entrambi i casi:

In corrispondenza di C e di B, l'MRS è lo stesso, perché entrambi i panieri sono tali per cui c'è tangenza tra una
curva di indifferenza e una retta di bilancio, e la retta di bilancio a tratto continuo in blu, ha esattamente la
stessa inclinazione della retta di bilancio tratteggiata.
Che cosa è successo dalla retta di bilancio fittizia in blu alla retta di bilancio in blu a tratto continuo? È
cambiata solo la capacità d'acquisto del reddito, perché il rapporto di scambio è rimasto lo stesso, la capacità è
aumentata perché la retta di bilancio si sposta parallelamente, lontano dall'origine degli assi.
Quando la situazione è questa, il bene 1 è un bene per cui aumenta la capacità d'acquisto del reddito e
diminuisce la quantità domandata di bene 1 per cui è un bene inferiore. L'effetto reddito è il passaggio da xc1 a
xb1.
Tuttavia, in termini di inclinazione della funzione di domanda del bene 1, in questo grafico l'effetto reddito (+)
è più debole dell'effetto sostituzione (-), quindi vince il segno dell'effetto sostituzione, quindi il bene uno è
inferiore e ordinario. La funzione di domanda individuale del bene 1 è negativamente inclinata.

Potrebbe anche essere possibile, non solo avere un bene inferiore, per cui l’effetto reddito va in direzione
opposta all’effetto sostituzione, ma anche tale per cui l’effetto reddito è più forte dell’effetto sostituzione:
Se le preferenze fossero queste, che cosa accadrebbe? L'effetto reddito ha segno opposto all'effetto sostituzione,
quindi il bene 1 è un bene inferiore, e in questo caso l'effetto reddito è più forte dell'effetto sostituzione quindi,
se noi guardiamo l'effetto totale, abbiamo che il segno dell'effetto sostituzione è -, e il segno dell'effetto reddito
è +, e prevale il segno dell'effetto reddito. Questo vuol dire che quando il prezzo del bene 1 scende, la quantità
ottima di bene 1 scende. Avremmo trovato la situazione opposta se avessimo considerato un aumento del
prezzo del bene 1, perché se il prezzo del bene 1, anche la quantità ottima di bene 1 sale.
Per cui il bene 1 non è solo un bene inferiore, ma anche un bene di Giffen, abbiamo una curva di domanda
individuale positivamente inclinata.

Adesso siamo in grado di raccordare la distinzione tra beni ordinari e beni di Giffen, con la distinzione tra beni
normali e beni inferiori.

Quindi se un bene è normale, è necessariamente un bene ordinario. Se bene è di Giffen, è necessariamente un


bene inferiore. Mentre se un bene è inferiore, può essere sia ordinario, sia di Giffen, e per stabilirlo dobbiamo
misurare l’entità dell’effetto sostituzione e l’entità dell’effetto reddito e vedere cosa prevale.

Adesso facciamo un esempio di come si discrimina tra ER e ES quando abbiamo determinate preferenze:
Preferenze COBB-DOUGLAS:
I beni sono normali, ordinari e le preferenze sono omotetiche. Ci aspettiamo che l'ER vada nella stessa
direzione dell'ES.

Quindi se il prezzo del bene 1 scende, quindi se p1’ è più piccolo di p1, M cappuccio è più piccolo di M, se p1’
è più grande di p1, M cappuccio è più grande di M. Questo è il modo per mantenere la capacità d’acquisto
costante.

L’ER va nella stessa direzione dell'ES. Il bene 1 è normale e quindi anche ordinario. L'ER rafforza l'ES.

COMPLEMENTI PERFETTI:
I beni sono normali, ordinari e le preferenze sono omotetiche.
In questo caso, se varia l’inclinazione della retta di bilancio non succede niente, il paniere C coincide con il
paniere A. L'ES è 0 perché questi beni sono perfettamente complementari, quando le preferenze del
consumatore sono fatte così, il consumatore non sostituisce mai un bene all’altro , perché ha una proporzione
fissa con cui preferisce consumare i due beni congiuntamente. Nel caso di beni complementi perfetti, l'ET è
uguale all'ER.
Ora vediamo come calcolare i panieri A, B e C analiticamente:

PREFERENZE QUASI LINEARI:

Nelle preferenze quasi lineari, l’ER è 0, quindi l'ET è uguale all'ES. Questo succede perché con queste
preferenze la domanda di bene 1 non dipende dal reddito, e non dipendendo dal reddito, se esso varia da M
cappuccio a M e il resto rimane fisso, non cambia la quantità domandata di bene 1, la quale cambia se varia il
prezzo del bene 1, ma solo per l'ES.

Adesso dobbiamo trovare un modo per misurare il beneficio che il singolo consumatore trae dall'avere accesso
a uno scambio di mercato. Consideriamo preferenze quasi lineari e consideriamo il bene 2 composito (o moneta
marshalliana), quindi le quantità di bene 2 sono moneta: p2=1.
Introduciamo il concetto di prezzo di riserva. Consideriamo il caso in cui il bene 1 è disponibile in quantità
discrete (possiamo avere 0,1,2… quantità di bene 1)

Il consumatore pensa a qual è il prezzo massimo che è disposto a pagare per avere la prima unità di bene 1
(bottiglietta d’acqua). Questo prezzo è quello che rende il consumatore tanto contento quanto lo era senza avere
la prima unità di bene, perché se questo prezzo salisse lui farebbe a meno dell’unità di bene.
Il prezzo massimo r1 si chiama anche prezzo di riserva per la prima unità. Il prezzo di riserva non è
necessariamente un prezzo di mercato, ma è la quantità di moneta a cui il consumatore sarebbe disposto a
rinunciare al massimo per avere un’unità in più bel bene.
Adesso consideriamo la situazione in cui il consumatore passi da avere un’unità di bene 1 ad avere 2 unità di
bene 1 e consideriamo il prezzo massimo:

Il significato economico è che per la prima bottiglietta il consumatore è disposto a pagare un prezzo alto (r1),
quando invece ha già una bottiglietta, per passare ad averne due, ha sempre in mente un prezzo massimo r2,
che però sarà più basso rispetto a r1. Possiamo continuare questo ragionamento per tutte le quantità di bene 1.
Se considero i rettangoli in rosa, essi hanno tutti base 1 e altezze diverse corrispondenti a r1, r2, r3… quindi se
io sommo queste aree avrò:

Quindi v(4) è l’incremento di utilità che il consumatore ha quando può consumare 4 unità di bene 1. L’area di
questi rettangoli ha un'interpretazione specifica in termini di funzione di utilità. Quindi se io considero n unità
di bene 1, io ottengo che il valore della funzione di utilità v associa a n unità di bene 1 è:
Il prezzo di riserva per la i-esima unità è il prezzo massimo che il consumatore è disposto a pagare per passare
da una quantità i-1 a una quantità i del bene. Quando le preferenze sono quasi lineari, se facciamo la somma dei
prezzi di riserva per le prime n unità di bene, questo è uguale a v(n).
L’utilità del consumo di n unità di bene 1 può essere considerato una sorta di misura del beneficio complessivo
che il consumatore trae dal fatto che ha a disposizione m unità di bene 1, ovvero il SURPLUS LORDO del
consumatore.

Questo grafico rappresenta la funzione di domanda di bene 1. Quando le preferenze sono quasi lineari e il bene
2 è moneta, la funzione di domanda del bene 1 rappresenta la disponibilità marginale a pagare.
Se fissiamo una quantità totale di bene 1 e guardiamo alle aree dei rettangoli, questa è una misura del surplus
lordo, perché c’é una relazione tra quei prezzi di riserva e il valore della funzione di utilità.
Consideriamo un consumatore che acquista il bene 1 sul mercato in condizioni concorrenziali, egli paga le
unità che decide di acquistare allo stesso prezzo, perché nel mercato ci sarà un prezzo per il bene 1 e se il
consumatore procede ad un acquisto, pagherà per ciascuna unità effettivamente p1.
Se il prezzo è p1 in rosso, il consumatore domanderà la prima unità di bene 1? Lui per la prima unità è disposto
a spendere r1, ma sul mercato gli chiedono solo p1, lui procederà sicuramente all’acquisto, e così fino a che il
prezzo di riserva dell’ultima unità non è inferiore a p1. In questo caso il consumatore comprerà 4 unità di bene
1, perché fino a 4 il prezzo di riserva non è più basso del prezzo a cui deve comprare il bene. In questa
situazione il consumatore ha un surplus lordo pari all’area dei rettangoli in rosa, e vuole comprare 4 unità di
bene 1, per comprarle però deve pagare il prezzo di mercato, quindi deve pagare p1x4. Questa quantità di
moneta è uguale all'area del rettangolo in viola. Se faccio la differenza tra l’area in viola e la spesa che il
consumatore deve fare per procurarsi le 4 unità di bene, vero che rimane l’area in marrone, che è l'eccedenza di
surplus del consumatore rispetto a quanto ha dovuto spendere per acquistare il bene. Quest’area in marrone si
chiama SURPLUS NETTO DEL CONSUMATORE, che è una misura del beneficio che il consumatore trae
dall'avere accesso a scambi di mercato. Se si ha accesso a scambi di mercato in un mercato concorrenziale, tutte
le unità del bene che si acquistano sono pagate allo stesso prezzo. I prezzi di riserva sono prezzi che il
consumatore ha in mente, come il prezzo massimo oltre al quale preferisce astenersi dall’acquisto. Quando i
prezzi di riserva continuano ad essere più alti del prezzo effettivamente pagato, c'e un beneficio che il
consumatore trae dall’avere accesso agli scambi di mercato.
Questo surplus netto del consumatore è la differenza tra i rettangoli viola, la cui area è pari a v(4), ovvero la
somma dei prezzi di riserva, meno 4xp1.
Se il consumatore acquista n unità di bene 1, il suo surplus netto sarà uguale a:

Quando negli esercizi dobbiamo calcolare il surplus del consumatore, si calcola il surplus netto (se si dice solo
surplus senza specificare).
Quando le preferenze sono quasi lineari e il bene 2 è moneta abbiamo un’interpretazione precisa dell’area
sottesa alla funzione di domanda.
Passiamo al caso in cui le quantità di bene 1 possono variare in modo continuo:
Troviamo che la domanda di bene 1 dipende dal prezzo di bene 1 e dalla derivata prima della funzione v.

Fissata una quantità fissa di bene 1, voglio calcolare l’area sottesa alla funzione di domanda. Nel caso delle
preferenze quasi lineari, la funzione di domanda è una funzione di utilità marginale, per cui l’area sottesa alla
funzione di domanda di bene 1 una volta fissata una quantità di bene 1, è l’utilità associata al consumo di bene
1.

P1 in rosso è il prezzo che il consumatore trova sul mercato, e x1 è la quantità di bene 1 che il consumatore
domanderà, perché va sulla sua funzione di domanda. La misura del surplus netto sul consumatore è quella in
rosso, che corrisponde all’area in verde.
Un’interpretazione così precisa dell’area sottesa alla funzione di domanda di un bene si ha quando le preferenze
sono quasi lineari, però con l'approssimazione possiamo dire che:
Supponiamo di aver trovato la funzione di domanda di un consumatore per un certo bene e supponiamo di
essere arrivati a:
Cosa succede al surplus netto del consumatore se il prezzo cambia?

Il surplus sarà tanto più piccolo quanto più alto è il prezzo che il consumatore deve pagare sul mercato, perché
diventa sempre più piccola la distanza tra i suoi prezzi di riserva e il prezzo effettivamente pagato. Se il prezzo
è Pi in rosso il surplus è quello in rosso, mentre quando il prezzo diventa pi’ in blu, il surplus del consumatore è
quello in blu. Di conseguenza se il prezzo del bene i sale, il surplus netto del consumatore si riduce, e la
riduzione si può misurare, è l’area in verde.
Se in un esercizio abbiamo una funzione di domanda di un consumatore e ci chiedono il surplus netto del
consumatore, che non è altro che l’area sottesa alla funzione di domanda del signor Z sopra il prezzo che viene
pagato (esempio 2).
L’interpretazione economica è la misura del beneficio che il consumatore trae dall'avere accesso a scambi di
mercato, perché la soddisfazione che il consumatore trae dal consumo delle quattro unità di bene è diversa per
la prima bottiglietta, per la seconda, per la terza… invece il prezzo che paga nello scambio di mercato è sempre
lo stesso.
Nel momento in cui il consumatore dovesse sempre pagare il prezzo di riserva, questo surplus netto è 0.
Quando si parla di surplus netto e la funzione di domanda è una semiretta, il surplus è l’area di un triangolo.

A questo punto siamo in grado di risolvere il problema di scelta del singolo consumatore in un mercato
concorrenziale.
Adesso dobbiamo mettere insieme i diversi consumatori, in un sistema economico c’è una collettività, una
popolazione di consumatori, che hanno diverse preferenze e diversi redditi. Fanno tutti la stessa cosa,
ovviamente arriveranno a conclusioni diverse, ma ognuno sarà in grado di fare dei piani di consumo ottimi, e di
arrivare a partire da questi a delle funzioni di domanda individuali.
Dobbiamo mettere insieme le funzioni di domanda dei singoli consumatori per arrivare alla funzione di
domanda di mercato.

Le ultime cose che abbiamo visto sono l’effetto reddito e l’effetto sostituzione, come si conciliano le
classificazioni di beni ordinari e di Giffen con i beni normali e inferiori, e partendo dalla nozione di prezzo di
riserva, utilizzando le preferenze quasi lineari, abbiamo visto che possiamo interpretare l’area sottesa alla
funzione di domanda individuale come utilità. Quindi possiamo arrivare alla misura sia del surplus lordo del
consumatore che del surplus netto. Quando si dice surplus senza aggiungere un ulteriore qualificazione, si
intende il surplus netto.
Questa idea di questa misura del beneficio che il consumatore trae dall’accesso agli scambi di mercato in realtà
è estesa anche alle funzioni di domanda individuale che discendono da altri tipi di funzione utilità.
Noi abbiamo imparato ad analizzare la scelta di un singolo consumatore, quindi un singolo consumatore
predispone, date le sue preferenze, che possiamo immaginare rappresentate dalla funzione utilità u( . ), dato il
suo reddito M, dati i prezzi dei beni p1 e p2, è in grado di fare un piano di consumo, che in questo caso
corrisponde al paniere ottimo di bene uno e bene due ~(X1, X2)~. Noi sappiamo che partendo da questa
modalità di scelta siamo in grado di ricavare la funzione di domanda individuale di ogni singolo bene.
A questo punto dobbiamo riuscire a capire come si passa dalla funzione di domanda individuale, una per ogni
consumatore, alla funzione di domanda di mercato di un particolare bene.
La funzione di domanda di mercato, di un bene K, corrisponde alla somma orizzontale delle curve di domanda
individuali per il bene K, cioè la funzione di domanda di mercato di un bene è l’aggregazione o somma
orizzontale delle curve di domanda individuali per il bene.
Come si ottiene? Cosa si somma orizzontalmente? Si sommano le quantità, quindi per ogni prezzo del bene K,
quindi per ogni Pk, si sommano le quantità domandate da tutti i consumatori.
(In economia ciò che ha senso sommare sono le quantità domandate ad un dato prezzo, invece i prezzi non si
sommano).

Immaginate di avere una situazione semplificata di questo genere, in cui si hanno due consumatori nel nostro
sistema. Sulle ascisse poniamo la quantità del bene K e sulle ordinate il prezzo del bene K. Il primo grafico
vuole riferirsi alla funzione di domanda individuale del Signor 1, ed il secondo alla funzione di domanda
individuale del Signor 2. Immaginate che questi due soggetti esprimano due funzioni di domanda diverse.
Chiamiamo l’intercetta della funzione di domanda del Signor 1 “a”, e quella del Signor 2 “b”. Poi chiamiamo
“c” il punto in cui la funzione di domanda taglia l’asse delle ascisse e “d” il punto in corrispondenza del quale
la funzione di dimanda del Signor 2 taglia l’asse delle ascisse.
Immaginiamo che la nostra economia sia formata dalla funzione di domanda di questi due individui, come
facciamo a passare dalla funzione di domanda individuale alla funzione di domanda di mercato?

Facciamo un altro grafico che abbia sempre la quantità del bene K sulle ascisse ed il prezzo del bene K sulle
ordinate, e con questo vogliamo avere la funzione di domanda di mercato. Si sommano le quantità in
corrispondenza dei diversi prezzi. Adesso per il modo in cui abbiamo disegnato le nostre funzioni il numero “a”
è più grande del numero “b”. Immaginiamo un qualsiasi prezzo superiore ad “a”, ad ogni prezzo superiore ad
“a” la funzione di domanda del Signor 1 è uguale a 0, le quantità che il Signor 1 è disposto ad avere sono uguali
a 0. Quindi per tutti i prezzi superiori ad “a” la quantità domandata è uguale a 0.
Mentre per il Signor 2, tutti in corrispondenza di ogni prezzo Pk superiore a “b”, la quantità domandata del
Signor 2 è uguale a 0.
Quindi abbiamo che se il prezzo è superiore ad “a”, entrambi gli individui domandano 0. Quindi quale sarà il
punto della funzione di domanda di mercato in corrispondenza di Pk? Sarà esattamente dove ho segnato il
pallino blu perché a questo prezzo entrambi i consumatori domandano 0.
Quando la funzione di domanda di mercato smette di coincidere con il segmento delle ordinate? Per tutti i
prezzi non superiori ad “a”.

Ora consideriamo un prezzo intermedio tra “a” e “b”, il prezzo “f”, in corrispondenza del prezzo “f” il Signor 1
chiederà una certa quantità del bene K che possiamo chiamare qk1,
sempre in corrispondenza del preso “f” il Signor 2 domanda 0. Quindi se andiamo sulla funzione di domanda di
mercato avremo che in corrispondenza del prezzo “f” la quantità domandata dai consumatori è la quantità
domandata del Signor 1, perché il Signor 2 preferisce non domandare nulla.
Per tutti i prezzi tra “a” e “b” l’unico che domanda una quantità positiva di un bene è il Signor 1, quindi ci sarà
un primo tratto della funzione di domanda di mercato che corrisponde alla funzione di domanda del Signor 1.
Ora consideriamo un altro prezzo “h”, più basso di “b”, in corrispondenza di questo prezzo il Signor 1 domanda
qh1, ed in corrispondenza di h anche il Signor 2 esprime una domanda positiva per il bene k. Succede che in
corrispondenza del bene “h”, sul mercato, le quantità complessivamente domandate saranno uguali alla somma
di qh1+ qh2.
Per tutti i prezzi che vanno da “b” a 0, le quantità complessivamente domandate saranno date dalla somma della
quantità domandata dal Signor 1 e la quantità domandata dal Signor 2, quindi avremo un altro pezzo della
funzione di domanda che taglierà l’asse delle ascisse in corrispondenza di una quantità complessiva che sarà
c+d.

Quindi se le funzioni di domanda individuale sono delle semirette, come si fa a trovare la funzione di domanda
di mercato? Si guarda per ogni prezzo a qual è la quantità complessivamente domandata da tutti i consumatori
presenti nel sistema, si sommano le quantità.
Quando partiamo da due funzioni di domanda che sono due semirette diverse, quella che otterremo come
funzione di domanda di mercato sarà una spezzata. Questo è il modo con cui arriviamo alla funzione di
domanda di Mercato.

Inoltre come possiamo interpretare questa funzione di domanda di mercato? Noi sappiamo che il singolo
consumatore sceglie sempre un paniere di beni, e quindi per ogni singolo consumatore che cosa vale sempre?
Ogni consumatore fa una scelta ottima dati i prezzi dei beni e quindi, arriva ad una situazione in cui il valore
assoluto del suo saggio marginale di sostituzione è uguale al rapporto tra i prezzi:
Specialmente quando il bene 2 è moneta, per cui prezzo del bene 2 è uguale a 1, abbiamo che il valore assoluto
del saggio marginale di sostituzione è uguale al prezzo del bene 1.

Quindi abbiamo che la funzione di domanda individuale del bene 1, rappresenta disponibilità marginale a
pagare per il bene 1, perché rappresenta la quantità di moneta a cui il consumatore è disposto a rinunciare per
un incremento nel consumo di bene 1. Di conseguenza se noi consideriamo la funzione di domanda di mercato,
e la consideriamo come inversa, cioè P come funzione delle quantità domandate, P (qD), questa funzione
rappresenta il valore assoluto del saggio marginale di sostituzione, ovvero rappresenta disponibilità marginale a
pagare. Quando si cerca la funzione di domanda di mercato, si parte obbligatoriamente dalla funzione diretta, e
non inversa, perché si sommano le quantità e non i prezzi (quindi q(p)).

Adesso siamo più in grado di capire come fa e perché può spostarsi la funzione di domanda di mercato. Nelle
prime lezioni dicevamo che la funzione della domanda di mercato rappresenta la relazione tra il prezzo del bene
K e la disponibilità al consumo di tutti i consumatori in corrispondenza di quel prezzo. Dicevamo anche che la
posizione nel piano, invece, della funzione di domanda, dipende da altri fattori, come il reddito e la
distribuzione del reddito del consumatore (che noi non rappresentiamo nei grafici), e adesso riusciamo a capire
perché, perché a seconda che il bene K sia un bene normale o inferiore, se si modificano i redditi del Signor 1 e
del Signor 2, si modifica la funzione di domanda del Signor 1 e del Signor 2, e quindi la loro somma è
orizzontale.

Noi dicevamo che la posizione della funzione di domanda di marcato nel piano può essere influenzata anche
dal prezzo di altri beni, diversi dal bene K, questo perché gli altri beni potevano essere percepiti come sostituti
o complementari. Adesso sappiamo che se si modifica il prezzo del bene j, tutti i consumatori fanno piani
diversi di consumo, quindi ne derivano diverse funzioni di domanda individuale, quindi la loro aggregazione
che porta alla funzione di domanda di mercato sarà diversa. Un altro elemento che poteva influenzare la
funzione di domanda di mercato, era un elemento di tipo demografico, cioè quanti consumatori abbiamo nel
sistema, per esempio considerando l’esempio svolto se noi avessimo avuto due Signor 1 e due Signor 2, la
funzione di domanda di mercato si sposterebbe nel piano più lontana dall’origine degli assi.

Quando abbiamo una funzione di domanda di mercato (non individuale) si parla di:

SURPLUS DEI CONSUMATORI:


Facendo il grafico, abbiamo in mente un determinato bene e poniamo q sulle ascisse e p sulle ordinate e
supponiamo che quella semiretta negativamente inclinata, sia una funzione di domanda di mercato.
Il Surplus dei consumatori, possiamo definirlo in corrispondenza di un dato prezzo, ad esempio sopponiamo
che il prezzo sia P sopra segnato; il surplus dei consumatori in corrispondenza di P sopra segnato, è uguale
all’area del triangolo colorato, cioè è uguale all’area sottesa alla funzione di domanda, sopra P sopra segnato in
rosso.

Negli esercizi (che hanno a che faro con l’equilibrio di mercato), una cosa tipica in corrispondenza
dell’equilibrio di mercato, è la domanda “Si calcolino il surplus dei produttori e dei consumatori”. Quindi
immaginiamo di essere in questa situazione, in cui la semiretta negativamente inclinata di colore blu è la
funzione di domanda di mercato e la semiretta positivamente inclinata di colore verde è la funzione di offerta di
mercato; ci viene richiesto di trovare l’equilibrio, cioè il punto di intersezione tra la funzione di domanda di
mercato e tra la funzione di offerta di mercato. Poi ci viene chiesto “Qual è il surplus dei consumatori?” Allora
il surplus dei consumatori è uguale all’area colorata sottesa alla funzione di domanda, non al di sotto del prezzo
di equilibrio, geometricamente si tratta di calcolare l’area di un triangolo quindi base x altezza diviso 2.

Esercizio:
Dati: le preferenze sono omotetiche, in corrispondenza del punto di ottimo: X2 = 1/8 X1.
Definisca la definizione di funzione utilità omotetica e le sue implicazioni in termini di curva reddito consumo
e curva di Engel (semirette che escono dall'origine).
Sapendo che il prezzo del bene 1 è uguale ad 1 ed il prezzo del bene 2 è uguale a 4, si ricavi la curva di Engel
per il bene 1, e dopo aver chiarito la distinzione tra beni normali ed inferiori, si calcoli l’elasticità al reddito del
bene 1.

Ci viene detto che in corrispondenza del punto di ottimo si ha questa relazione tra quantità di bene 1 e quantità
di bene 2, X2 = 1/8 X1, inoltre sappiamo che le preferenze sono omotetiche. Poi sappiamo che questa
espressione, X2 = 1/8 X1, è l’espressione della curva reddito-consumo (ICC), perché se le preferenze sono
omotetiche la quantità ottima di bene 1 e la quantità ottima di bene 2 si mantiene costante.
Se questa è la curva reddito-consumo, come facciamo a trovare la curva di Engel per il bene 1? Allora noi
sappiamo che il reddito (M) è uguale al prezzo del bene 1 per X1 più il prezzo del bene 2 per X2.

Poi ci chiedono di calcolare l’elasticità al reddito della funzione di domanda di bene 1, quindi l’elasticità al
reddito sarà:

Poi l’esercizio continua e dice, si consideri un consumatore per cui la funzione utilità è uguale a:
Poi ci viene chiesto di calcolare il valore assoluto del saggio marginale di sostituzione, che è uguale al rapporto
tra l’utilità marginale del bene 1 e l’utilità marginale del bene 2:

Successivamente l’esercizio dice che sapendo che il reddito del consumatore è uguale a 24, si ricavino le
funzioni di domanda dei due beni e si calcoli l’elasticità incrociata della funzione di domanda del bene 2
rispetto al prezzo del bene 1, in corrispondenza della scelta ottima del consumatore. Noi sappiamo che in
corrispondenza della scelta ottima il valore assoluto del saggio marginale di sostituzione è uguale al rapporto
tra i due prezzi. Quindi avremo che:

Adesso sappiamo che il reddito che è 24, e dobbiamo arrivare alla funzione di domanda del bene 1; abbiamo
che 24 deve essere uguale a:

Per la funzione di domanda di bene 2:

Quale sarà l’elasticità incrociata della quantità domandata del bene 2 al prezzo del bene 1? Noi vediamo che la
domanda del bene 2 non dipende dal prezzo del bene 1, quindi l’elasticità incrociata è uguale a 0.

Poi l’esercizio dice, assumendo che il prezzo del bene 1, diventi P1’ = 8, si calcoli la variazione e la quantità
domandata di bene 1 scomponendola in effetto reddito e effetto sostituzione, si rappresentino e si indichino le
equazioni dei relativi vincoli di bilancio. I prezzi originari erano P1° = 1 e P2° = 4, quindi qual è il paniere
ottimo iniziale (A)?

Adesso sappiamo che il problema è quello di determinare il paniere C, cioè il paniere ottimo.

Partiamo determinando qual è la nostra funzione di bilancio iniziale che taglierà le ordinate in corrispondenza
di 6 e le ascisse in corrispondenza di 24. Il paniere ottimo iniziale è quindi A(16;2).
Noi siamo anche in grado di determinare il paniere B, cioè il paniere finale.
Siamo anche capaci di scrivere l’equazione della retta di bilancio finale. Quindi com’è fatta la nuova retta di
bilancio? Taglia le ascisse in corrispondenza di 3.
In questo esercizio il prezzo del bene 1 sale, quindi la retta di bilancio si sposta verso l’origine degli assi.

Noi abbiamo il problema di trovare il paniere C, cioè il paniere ottimo (che ci serve per trovare l’effetto
sostituzione), in corrispondenza di un punto di tangenza tra la curva di indifferenza che passa per A e la retta di
bilancio che corrisponde ad un reddito fittizio che ha la stessa inclinazione della retta di bilancio finale, quella
che passa per B. Quindi è come se sapessimo che per A passa una curva di indifferenza e dovessimo trovare il
paniere C che passa lungo la curva di indifferenza che passa per A, ed è tale per cui in corrispondenza del
paniere C si ha la stessa inclinazione della retta di bilancio finale.
Quindi cosa facciamo? La prima cosa da fare è trovare il livello di utilità costante che corrisponde alla curva di
indifferenza che passa per il paniere A.

In corrispondenza del paniere C devono succedere due cose:


-Il valore assoluto del saggio marginale di sostituzione in C deve essere uguale al nuovo rapporto tra i prezzi.
-Il numero che la funzione utilità associa al paniere C deve essere uguale al numero che la funzione utilità
associa al paniere A.

Il saggio marginale di sostituzione, data la funzione utilità sappiamo che è:

Di conseguenza il paniere C ha coordinate C(8,8), quindi il reddito fittizio M cappuccio deve essere tale da
consentire l’acquisto del paniere C, quindi deve essere:
Quindi la retta di bilancio tratteggiata in blu deve essere uguale a:
Questa retta quindi la possiamo tracciare e taglierà le ascisse in corrispondenza del punto 12 e le ordinate in
corrispondenza del punto 24.

Esercizio 2:
Le preferenze di un consumatore sono uguali al minimo tra 2x1, 4x2 e ci dicono, si rappresenti la curva di
indifferenza per u = 24, inoltre si trovi la curva reddito-consumo e dato M = 30 si ricavi le funzioni di domanda
di bene 1 (D1) e bene 2 (D2).

Partiamo dalla funzione utilità, quale sarà la proporzione fissa a cui il consumatore piace consumare il bene 1 e
il bene 2, che consisterà nell’identificare la bisettrice che esce dall’origine e che intercetta tutti i punti d’angolo
delle curve di indifferenza? Questa la troviamo imponendo che:
Ora ci dicono di disegnare la curva di indifferenza che corrisponderà a 24. In corrispondenza del punto
d’angolo di quella curva di indifferenza abbiamo che:
E come è fatta la curva reddito-consumo? Ha equazione x2 = 1/2 x1:

Per trovare le funzioni domanda noi sappiamo che:


Questa è la retta di bilancio, ma x2 deve essere nella proporzione ottima con x1 quindi:

Ora si consideri P1 = 2 e P2 = 1, si determini la scelta ottima del consumatore, e si calcoli l’elasticità incrociata
di domanda del bene 2 al prezzo del bene 1 in corrispondenza della scelta ottima del consumatore. Si
rappresenti la curva di Engel per il bene 1, si calcoli l’elasticità al reddito in corrispondenza della scelta ottima
e si argomenti se il bene 1 è un bene normale o inferiore.
Per la scelta ottima abbiamo:

Ovviamente possiamo scrivere anche la nostra retta di bilancio:


La curva di Engel per il bene 1 è:

L’elasticità al reddito per il bene 1 si ricava facendo:

Adesso si consideri un aumento del prezzo del bene 1, quindi abbiamo un P1’>P1 e ci viene detto che il prezzo
del bene 1 aumenta ed il nuovo paniere ottimo, quindi u ( B ) = 20, quindi dobbiamo trovare il nuovo prezzo
del bene 1 e scomporre la variazione nella quantità totale domandata del bene 1 scomporre in effetto reddito e
effetto sostituzione. Sappiamo che in corrispondenza del paniere ottimo l’utilità è uguale a 20. Il paniere ottimo
finale sarà sempre sulla curva reddito-consumo. Quindi avremo che in corrispondenza di B deve essere che:

Il prezzo del nuovo bene 1 sarà:

Quindi come è fatta la retta di bilancio finale?

Adesso dobbiamo identificare il paniere C, e noi sappiamo che quando le preferenze sono fatte in questo modo
il paniere A ed il paniere B coincidono, perché l’effetto sostituzione è 0.
Quant’è il reddito fittizio che ci serve per disegnare la retta di bilancio che ci serve tratteggiata in nero,
parallela a quella che passa per B? M cappuccio sarà la quantità di denaro che ci servirà per comprare il paniere
C ai nuovi prezzi, per cui noi abbiamo trovato il nuovo prezzo del bene 1 che è:

Quindi la retta di bilancio fittizia è 36 che è uguale a:

Adesso noi siamo diventati esperti di tutto quello che concerne il lato della domanda di mercato (in un mercato
concorrenziale), adesso il nostro prossimo obiettivo è arrivare alla funzione di offerta di mercato, e quindi
cominciare a considerare il singolo agente economico che si occupa di offrire beni. Dietro la funzione di offerta
di mercato ci sono dei processi di produzione, cioè i beni generalmente non si generano in natura, ma sono
frutto di un processo di produzione.

LA PRODUZIONE:
Che cos’è la produzione? In termini astratti la produzione può essere pensata come un’attività che crea utilità
presente o futura, perché generalmente la produzione è destinata al generare beni, e i beni sono l’oggetto del
consumo, e quindi i beni sono l’oggetto della soddisfazione dei nostri agenti economici.
La produzione non è mai un processo gratuito, ciò significa che per riuscire a produrre un bene c’è bisogno di
input o fattori di produzione, che sono le risorse necessarie per produrre, quindi gli input o i fattori di
produzione, entrano nel processo di produzione ed il processo di produzione determina un output, che è l’esito
del processo di produzione, che può essere un bene o un servizio.
Generalmente gli Input oppure i Fattori di Produzione sono:
• la terra,
• il lavoro,
• le materie prime,
• i beni capitali, che sono le macchine, ossia il capitale fisico, che è esso stesso frutto del processo di
produzione

Che cosa determina il modo in cui gli Input si possono trasformare in un determinato Output? Quello che
succede all’interno di un determinato processo di produzione è dettato dalla tecnologia, in particolare tutti i
processi di produzione sono soggetti a tutti quelli che noi possiamo chiamare vincoli tecnologici. I vincoli
tecnologici sono dati dal fatto che solo alcune combinazioni di Input consentono di produrre una data quantità
di Output. I processi di produzione non sono processi in cui si può fare qualsiasi cosa, ma lo Stato ha le
conoscenze tecniche per definire quali sono le combinazioni di input che possono generare effettivamente una
combinazione di output. Quando si ha un progresso di tipo tecnologico, aumentano le conoscenze a
disposizione ed in termini produttivi significa, che si può arrivare a produrre una stessa quantità di output da
una combinazione di input più piccola di quelle precedenti, o si possono produrre dei beni che prima non
esistevano. I vincoli tecnologici danno luogo a quelli che sono gli insiemi di produzione. L’insieme di
produzione è l’insieme di tutte le combinazioni input-output tecnicamente possibili.
Se noi immaginassimo di avere una visione semplificata, e sulle ascisse mettiamo qualche misura dell’input e
sulle ordinate qualche misura dell’output, abbiamo che l’insieme di produzione è l’insieme di tutti i punti che
stanno al di sotto di una funzione che è la funzione di produzione o che stanno sulla funzione (di produzione)
stessa.

Noi possiamo pensare alla funzione di produzione come alla frontiera dell'insieme di produzione.
Fissata una certa quantità di input, ad esempio x sopra segnato, che è una certa quantità di lavoro o terra ecc...se
noi partiamo con questa disponibilità di risorse iniziali, noi possiamo produrre 0 di output o qualsiasi livello di
output fino a dove c’è la funzione. In base alle nostre conoscenze con queste risorse iniziali non riusciamo a
produrre più di Y sopra segnato. Quindi la funzione di produzione rappresenta la frontiera degli insiemi di
produzione, quindi possiamo pensarla al massimo output per dati input. La funzione di produzione rispecchia
lo stato delle conoscenze tecnologiche. Quando c’è un progresso scientifico, la frontiera delle possibilità di
produzione si sposta verso l’alto. A seguito di un processo di innovazione, partendo dalla stessa quantità di
risorse produttive, possiamo produrre di più. Quindi da un punto di vista tecnico noi saremo in una situazione
efficace quando l’output corrispondente all’input sarà sempre quello dettato dalla funzione di produzione.
Ovvero, fissato un qualsiasi livello y con due barrette, e se questo fosse il mio obiettivo di produzione
ovviamente ha senso produrlo con la quantità minima di fattori di produzione, questo perché il processo di
produzione non è mai gratuito, ed implica delle spese e delle dissipazioni di risorse.

Noi possiamo considerare i fattori di produzione sotto varie caratteristiche:


• Lo stock dei fattori, le risorse collegate al lavoro sono persone o quello che si chiama capitale umano. Le
caratteristiche che hanno: non sono alienabili, cioè non si possono vendere, in quanto non sono soggetti a
schiavitù; non si considerano oggetto di produzione; sono deperibili, cioè sono soggette ad un decadimento
di tipo fisico e tecnologico, perché invecchiano e dal punto di vista tecnologico le conoscenze diventano
obsolete. Il flusso generato dai servizi si chiama lavoro, e tipicamente il reddito generato dal lavoro si
chiama salario (variabile W);
• Il capitale fisico, cioè le macchine, sono alienabili, si possono produrre e sono deperibili, il flusso si chiama
servizi del capitale ed il reddito generato si chiama profitto oppure interesse.
• La terra, è alienabile, non è producibile, non è deperibile, i flussi sono i servizi della terra ed il reddito che
tipicamente genera si chiama rendita.
Il nostro scopo è arrivare a caratterizzare la funzione di offerta di mercato in situazioni concorrenziali, dove
tutti gli agenti economici sono price-taker. La produzione è l’attività di singoli agenti economici che in
microeconomia si chiamano imprese. Per quanto riguarda la produzione, non solo esistono dei vincoli
tecnologici, ma ovviamente la capacità di modificare la disponibilità degli input è definita da un orizzonte
temporale. Se noi pensiamo di avere un impianto che è un’acciaieria, se si vuole raddoppiare un impianto,
questo richiede un certo intervallo di tempo. Quindi noi per la produzione faremo una distinzione tra breve
periodo, rispetto a lungo periodo. Ma in microeconomia questa definizione ha un significato particolare.

Il breve periodo è l’intervallo di tempo entro cui alcuni input non possono essere variati, ad esempio,
considero la produzione di acciaio, in una settimana, io impresa, posso variare il numero di lavoratori ma non
posso variare il numero di impianti. Ovviamente quanto è lungo il breve periodo dipende dal tipo di produzione
che stiamo osservando. Nel breve periodo noi distingueremo tra input fissi ed input variabili.

Nel lungo periodo, invece, tutti gli input sono variabili. Sostanzialmente, se noi consideriamo un impresa, che
è l’agente economico che è il soggetto che si occupa dell’attività di produzione, sarà necessario che questa
impresa abbia delle conoscenze tecnologiche, che sia consapevole della funzione di produzione e quale sarà il
piano a cui deve arrivare, cioè deve decidere quanti e quali input deve acquistare sul mercato, al fine di
trasformare questi input in output.

BREVE PERIODO:
Avremo una funzione di produzione di breve periodo, che ci darà la quantità massima di output che può essere
ottenuta variando solo gli input variabili, mentre gli input fissi rimangono fissi. Immaginiamo un mondo
semplificato in cui esistono solo due fattori di produzione, cioè due input, le cui quantità sono z1 e z2. Una
coppia z1 e z2 è un mix particolare di input. Siamo nel breve periodo quindi uno dei due input deve essere
fisso, immaginiamo che sia z2 ad essere fisso. Ovviamente se fosse fisso anche l’input z1, l’impresa non
dovrebbe variare niente perché nessun input sarebbe variabile e non si farebbe nulla. Quindi il breve periodo ha
senso solo quando abbiamo degli input variabili insieme a degli input fissi.
La funzione di breve periodo sarà una funzione del tipo:
Questa funzione mi darà che y è la quantità massima di output che si può generare partendo da una
combinazione particolare di fattori di produzione.
Alcune funzioni di produzioni che noi considereremo sono fatte in questo modo:

Tipicamente l’input 2 è fisso ad un certo livello, e a seconda del livello a cui sarà fisso, ad esso corrisponderà
una funzione di produzione di breve periodo, che generalmente passa dall’origine. Se ho delle macchine ma
non ho nessun lavoratore che fa funzionare le macchine, le macchine non producono e l’output è 0 .
La funzione di produzione generalmente è crescente, perché tanto più aumenta l’input variabile, tanto più sale
l’output che riesco a produrre. Spesso la funzione di produzione di breve periodo avrà un primo tratto crescente
convesso e poi diventa concava.

Arriviamo a funzioni che si derivano dalla funzione di produzione, una di queste di chiama prodotto
marginale dell’input variabile. Il Prodotto marginale dell’Input Variabile lo possiamo definire in vari modi,
cioè è il saggio a cui varia y, cioè l’output, al variare del solo input variabile e possiamo anche considerarlo
come la quantità addizionale di output per unità in più di input variabile. Se noi abbiamo la funzione di
produzione di breve periodo disegnata, come facciamo a vedere la funzione di prodotto marginale dell’Input
Variabile? Non è altro che l’inclinazione in un punto della funzione di produzione. Ciò significa che se io
voglio vedere qual è il prodotto marginale dell’input quando è al livello x1, vado sulla funzione di produzione e
calcolo l’inclinazione in quel punto della funzione di produzione. Considero un altro z2, qual è il prodotto
marginale dell’Input Variabile quando l’input variabile è uguale a z2? Non è altro che l’inclinazione della
funzione di produzione in quel punto.

Quindi posso scrivere:


-La funzione di Prodotto marginale dell’Input 1:

Ovviamente questa funzione è una derivata della funzione di produzione di breve periodo, ma quale
sarà l’andamento di questa funzione?

Immaginiamo di avere una funzione di produzione di breve periodo che nasce dall’origine degli assi, è
crescente e cresce prima in modo convesso e poi concavo. Finché siamo nel tratto convesso vediamo che
l’inclinazione sale al salire delle quantità z1. Quando io sono nel tratto concavo l’inclinazione scende al salire
di z1, quindi una prima intuizione è che l’andamento della funzione del prodotto marginale dipenderà dalla
concavità o dalla convessità della funzione di produzione di breve periodo. Avrò che nel tratto convesso la
funzione è crescente e nel tratto concavo la funzione è decrescente, perché se io voglio studiare la funzione la
funzione del prodotto marginale del fattore 1 cosa faccio? Voglio vedere come varia la funzione del prodotto
marginale al variare di z1, ma la funzione di prodotto marginale è la derivata prima della funzione di
produzione rispetto a z1.

Quindi, quando io voglio studiare l’andamento della funzione di prodotto marginale, sto guardando
la derivata seconda della funzione di produzione rispetto a z1, quindi cosa ottengo?
Se la derivata seconda della funzione di produzione è maggiore di zero, allora il saggio a cui varia il prodotto
marginale del fattore 1 al variare di z1 è maggiore di 0, cioè la funzione di prodotto marginale sta salendo. Ma
questo termine (la formula) significa che sono nel tratto convesso della funzione di produzione. Se la funzione
prima è convessa e poi è concava significa che c’è un punto di flesso nella funzione, in cui la derivata seconda
passa da essere positiva a nulla (sul punto di flesso), e poi diventa negativa.
Se la derivata seconda della funzione di produzione è minore di zero, il prodotto marginale del fattore 1 starà
scendendo. Quindi visto che qui ho una funzione di produzione che prima è convessa e poi concava, vuol dire
che questa funzione sarà prima positiva, raggiungerà un massimo e poi inizia a scendere. Questo massimo si
avrà in corrispondenza di derivata seconda della funzione di produzione = 0, cioè in corrispondenza del punto
di flesso. Quando la funzione di breve periodo passa dall’essere convessa all’essere concava, la derivata
seconda della funzione di produzione = 0 e avrò il massimo della funzione di prodotto marginale. Quindi la
funzione di prodotto marginale è una funzione il cui andamento dipende dalla funzione della derivata seconda
della funzione di produzione di breve.

Insieme alla funzione di prodotto marginale di input variabile io posso ricavare, sempre dalla funzione di
produzione di breve periodo, la funzione di prodotto medio dell’input variabile.
La funzione di prodotto medio è il rapporto tra l’output (y) e z1 (quantità di input variabile), cioè quante unità
di output mediamente produce un input variabile.

Quando abbiamo il grafico della funzione di produzione prendiamo z1 e y. (Il prodotto medio è uguale a y/z1).
Dal punto di vista geometrico se io divido y sopra segnato e z1 sopra segnato che cosa sto calcolando? Io sto
calcolando l’inclinazione della semiretta che esce dall’origine e passa esattamente per questo punto in cui c’è
l’intersezione. Quindi la funzione di prodotto medio corrisponde anche alla pendenza di una retta dall’origine
con un punto della funzione di produzione. Geometricamente noi prendiamo un qualsiasi punto lungo la
funzione di produzione, uniamo quel punto all’origine degli assi, e l’inclinazione della semiretta che generiamo
in quel modo indica il prodotto medio.
Adesso guardiamo come va il prodotto medio se la funzione è prima convessa e poi concava: prendiamo il
punto all’inizio della funzione di produzione, poi prendiamo z1, e andiamo avanti, e vediamo man mano che
per questo punto della funzione di produzione, più aumentiamo l’input variabile, più cresce l’inclinazione di
questa semiretta, quindi vuol dire che il prodotto medio sta crescendo. Poi arriveremo a una situazione in cui se
unisco il punto lungo la funzione di produzione con l’origine degli assi, ho la tangenza tra la semiretta che esce
dall’origine e la funzione di produzione. Poi se io considero altri punti lungo la funzione di produzione dopo
questo punto di tangenza, e guardo al prodotto medio, è l’inclinazione della semiretta in rosso, quindi vedo che
il prodotto medio aumenta in un primo tratto, fino al punto di tangenza e poi inizia a scendere. Quindi anche
l’andamento del prodotto medio sarà fatto a U rovesciata, a campana.
Il prodotto medio si indica con AP (a=average).

C’è una specifica relazione tra l'andamento della funzione di prodotto medio e l’andamento della funzione di
prodotto marginale.

Questi sono i due concetti, adesso vediamo come varia il prodotto medio al variare di z1. Quindi consideriamo
di fare la derivata prima della funzione di prodotto medio al variare di z1, ma fare questa derivata significa:
Io conosco le funzioni che sono rappresentate dentro la parentesi quadra, la prima è la funzione di prodotto
marginale dell’input 1, e la seconda è la funzione di prodotto medio dell’input 1. Quindi vedo che se il prodotto
marginale è più alto del prodotto medio, allora il prodotto medio, sta crescendo, perché il segno della derivata
prima sopra è positivo. Se il prodotto marginale è più piccolo del prodotto medio, allora la funzione del
prodotto medio sta scendendo.
Ci sarà un punto in corrispondenza del quale prodotto medio e prodotto marginale sono uguali, cioè quando,
guardando il grafico, guardavamo solo l’andamento del prodotto medio, che era prima crescente, fino ad
arrivare al punto in cui la semiretta che esce dall’origine è tangente alla funzione di produzione e poi il prodotto
medio scende. Ma in corrispondenza di questo particolare z1 con la tilde, accade che se io voglio calcolare il
prodotto marginale in corrispondenza di z1 con la tilde, il prodotto marginale è sempre l’inclinazione alla
tangente, quindi in corrispondenza di questo z1 con la tilde il prodotto marginale è uguale al prodotto medio.
Quindi come sono fatte le funzioni di prodotto medio e prodotto marginale se le rappresento insieme?

Come è fatta la funzione di prodotto marginale? E’ massima in corrispondenza del punto di flesso e poi scende.
Come è fatta la funzione di prodotto medio? E’ prima crescente, dove sta al di sotto della funzione di prodotto
marginale e poi decresce. In corrispondenza del punto in cui la funzione di prodotto medio taglia la funzione di
prodotto marginale abbiamo il massimo del prodotto medio. Quindi funzioni di prodotto marginale e prodotto
medio di un input variabile, quando la funzione di produzione è prima convessa e poi concava, hanno una
specifica relazione.

LE SCELTE DI UN’IMPRESA
Un’impresa in un modello concorrenziale sarà in una situazione in cui il suo output y sarà uguale ad una
funzione:
Questa impresa può decidere di produrre questo y per venderlo sul mercato finale, quindi l’impresa, che è
price-taker, considererà un prezzo P che è un prezzo per unità di y (dell’output), i fattori di produzione sono
disposti a fornire i loro servizi a favore del processo di produzione in cambio di reddito. Quindi Wi è il saggio
di remunerazione dell’input i.
Quindi l’impresa, supponiamo che l’input 1 e l’input 2 siano lavoro e capitale, prenderà dal mercato del lavoro
W1, che è il saggio del salario e prenderà dal mercato del capitale W2, che è il reddito per l’utilizzo di un’unità
di capitale fisico. Quindi quale sarà la funzione obiettivo dell’impresa?
L’impresa vuole occuparsi di produzione per generare una qualche forma di reddito che chiamiamo profitto.
Quindi pensiamo alle entrate e alle uscite della nostra impresa, e che la nostra impresa consideri una particolare
combinazione dei fattori di produzione z1 e z2 sopra segnato, e abbia accesso ad un mercato degli input e degli
output concorrenziali.
Guardando il lato delle entrate, se l’impresa ha a disposizione quella combinazione di fattori di produzione,
quanti output può produrre? Può produrre f(z1, z2 soprassegnato). Ogni singola unità può essere venduta al
prezzo P, quindi dal lato delle entrate queste sono P che moltiplica per la funzione di produzione cioè:
P per f (z1, z2 soprassegnato). Però per ottenere il risultato c’è bisogno di utilizzare i fattori di riproduzione che
bisogna remunerare, e il fattore 1 implicherà una remunerazione totale: W1 per Z1. Ed il fattore di produzione
fisso implicherà una remunerazione totale: W2 per Z2 soprassegnato.
Ora quindi l’impresa potrà capire ciò che deve entrare nella cassa delle imprese e ciò che deve uscire a seguito
di un processo di produzione.

Abbiamo introdotto la funzione di breve periodo, abbiamo visto il concetto di prodotto medio e prodotto
marginale e siamo arrivati a scrivere la funzione obiettivo dell’impresa come funzione degli input.
Funzione di profitto dell’impresa: π(z1, z2) con z1, z2 che sono una combinazione di input.
Siamo nel breve periodo quindi uno dei due input deve essere fisso. Immaginiamo che sia z2 ad essere fisso.
Stiamo per considerare un’impresa che opera in condizioni di concorrenza sui mercati. Ciò significa che i
prezzi rilevanti per l’attività dell’impresa non sono scelti o influenzati dall’impresa stessa, ma sono per
l’impresa dei dati che semplicemente può acquisire per quanto riguarda l’output, dal mercato dell’output, e per
quanto riguarda gli input, dai mercati degli input.
Questi prezzi sono p (prezzo per unità di output), w1 e w2 che sono i saggi di remunerazione per unità di input
1 e di input 2. Tutti questi prezzi per l’impresa in concorrenza nel mercato dell’output e degli input sono dati.
Come possiamo scrivere la funzione di profitto dell’imprese come funzione degli input? Se l’impresa ha una
funzione di produzione che è y=f(z1, z2) l’impresa opererà sempre in condizioni di efficacia del processo di
produzione, quindi si collocherà sempre su un punto della funzione di produzione. Se produce y quant’è la
quantità di denaro che l’impresa si può aspettare di incassare per la vendita di questo output? Sarà uguale a:

Dall’altro lato, l’impresa per poter utilizzare gli input deve remunerarli e quindi deve sostenere un’uscita di
denaro che sarà pari a:
w1z1: retribuzione complessiva che va all’input 1.
La funzione di produzione rappresenta la relazione migliore che la tecnologia esistente offre tra combinazione
di input ed output. Osservandola notiamo che p, w1 e w2 sono dati all’impresa quindi non li può scegliere;
anche z2 è dato quindi anche questo non lo può scegliere. Allora l’unica cosa che l’impresa può fare in questa
situazione è scegliere l’input variabile, che è l’unica variabile di controllo che l’impresa in concorrenza ha a
disposizione. L’impresa allora vorrà massimizzare la sua funzione di profitto scegliendo z1.
Sappiamo qual è la condizione di primo ordine per la massimizzazione di una funzione e in questo caso sarà
che la derivata prima della funzione di profitto al variare di z1 debba essere uguale a zero.

Se calcoliamo la derivata prima di questa funzione di profitto rispetto a z1 abbiamo:

P moltiplica la derivata prima della funzione di produzione al variare di z1.


Ciò implica che il saggio a cui varia la funzione di produzione al variare dell’input variabile rappresenta il
prodotto marginale dell’input 1:

A destra dell’uguale abbiamo il saggio di remunerazione dell’input variabile e questo ci dice che se l’impresa
aumenta di un’unità l’utilizzo dell’input variabile, l’uscita di denaro per la retribuzione dell’input variabile
aumenterà esattamente di w1, che è il saggio di remunerazione dell’input variabile. A sinistra dell’uguale
abbiamo la funzione di prodotto marginale dell’input 1, che rappresenta il saggio a cui varia l’output al variare
di z1, cioè ci dà la quantità di output in più che si ottiene utilizzando un’unità di input 1 in più.
Questa misura, quella del prodotto marginale, è una misura fisica, nel senso: utilizzo un’ora di lavoro in più,
produco tre bottigliette d’acqua in più. Ma l’impresa è interessata sì alla grandezza fisica ma è soprattutto
interessata al valore che queste tre unità di bottigliette in più generano dal punto di vista delle vendite che
l’impresa può fare. Qual è il valore della produttività dell’input 1? È il prezzo per ogni singola unità di output
per il saggio a cui varia l’output al variare dell’input 1. Quello che leggiamo a sinistra è il valore del prodotto
marginale dell’input variabile. Questa condizione ci dice che il livello di input variabile che massimizza la
funzione di profitto dell’impresa è quello in corrispondenza del quale il valore del prodotto marginale
dell’ultima unità di input 1 è uguale al suo costo.
Immaginiamo di considerare un livello di z1 tale per cui quello che abbiamo scritto a sinistra sia più grande di
quello che c’è a destra del segno di uguale. Significa che se aumento di un’unità l’input variabile questo
determina un incremento nel valore delle vendite per l’impresa superiori al costo dovuto alla retribuzione di
quell’input. Finché questo è vero all’impresa conviene acquisire sempre più z1.
Se invece la relazione fosse l’opposto, cioè se il valore generato da un’unità addizionale di input 1 in più fosse
più piccolo di quanto costa all’impresa avere un’unità in più di input 1, allora varrebbe esattamente l’opposto,
cioè la convenienza dell’impresa sarebbe nel diminuire l’utilizzo di input 1.
L’impresa è in una situazione ottimale quando si ha esattamente l’uguaglianza tra queste due grandezze.
Possiamo vedere graficamente questo in questo modo:
Scriviamo la funzione di profitto così:
Dove y è l’output e z2 è fisso. Dal punto di vista dell’impresa abbiamo tre variabili: y, z1 e il livello di profitto
conseguente da queste due variabili. Consideriamo fisso un valore del profitto (π sopra segnato), cioè vogliamo
considerare tutte le combinazioni (y, z1) che generano un livello di profitti costante:

Questa è un’equazione di una funzione di isoprofitto, cioè ci dà tutte le combinazioni (z1y) che generano lo
stesso livello di profitto π sopra segnato. Quello che rimane costante è il livello di profitto generato.
Posso mettere in evidenza y che quindi è uguale a:

Questa equazione è l’equazione di una retta poiché il primo termine, una volta che π sopra segnato è stato
fissato ad un certo numero, sarà una costante per l’impresa perché il resto (p, w2 e z2) sono dati per l’impresa.
Quindi è l’equazione di una retta che parte da questo livello di intercetta evidenziato in rosso e che cresce con
z1.

Mettiamo z1sulle ascisse e y sulle ordinate. Consideriamo diverse funzioni di isoprofitto:


Ciò significa che se tutti i prezzi rimangono uguali, si avrà un’altra funzione di isoprofitto che sarà un’altra
retta parallela a quella precedente con un livello di intercetta maggiore. Succede quindi che più alto è il livello
di profitto costante che considero, più alta sarà questa funzione di isoprofitto e viceversa.
Le funzioni di isoprofitto daranno luogo a un fascio di rette parallele una all’altra.
In questo grafico possiamo anche disegnare la funzione di produzione di breve periodo (in verde) dove z2 è
fermo e quindi rimane una funzione di z1. Per semplicità assumiamo che questa funzione di z1 sia sempre
concava.
L’obiettivo dell’impresa sarà cercare di raggiungere la funzione di isoprofitto più alta possibile perché più alto
andiamo in questo fascio di rette parallele più è alto il livello costante di profitti che l’impresa può raggiungere.
Per cui, ad esempio, considerando la seconda funzione di isoprofitto che taglia la funzione di produzione nel
punto H. La quantità di z1 corrispondente può essere la quantità 1 ottima? No, perché siamo in una situazione
in cui incrementando le unità utilizzate di z1 l’impresa può raggiungere delle funzioni di isoprofitto più alte.
L’impresa si fermerà in corrispondenza di una situazione in cui c’è tangenza tra la funzione di produzione e una
funzione di isoprofitto. In quel caso, quando c’è un solo punto di tangenza succede che l’impresa ha raggiunto
la funzione di isoprofitto più alta che può raggiungere. Un qualsiasi ulteriore aumento in z1 la fa rispostare su
una funzione di isoprofitto più bassa. In corrispondenza di questa condizione di tangenza noi abbiamo la
quantità di input variabile che massimizza i profitti dell’impresa (z1 cappuccio).
Come possiamo pensare a quella condizione di tangenza? La condizione di tangenza comporta che
l’inclinazione in questo punto H della funzione di produzione sia uguale all’inclinazione nel punto H della
funzione di isoprofitto. Ma qual è l’inclinazione nel punto H della funzione di produzione? È uguale alla
derivata prima della funzione di produzione rispetto a z1 che sappiamo essere la funzione di prodotto marginale
dell’input 1
Qual è l’inclinazione in un punto della funzione di isoprofitto?
Quindi z1 si trova in corrispondenza della situazione in cui:

Cosa succede a z1 cappuccio se aumenta w1?

Mettiamo z1sulle ascisse e y sulle ordinate. Consideriamo una funzione di produzione di breve periodo
concava. Immaginiamo di avere una situazione in cui c’è dato un certo saggio di remunerazione nell’input 1
(w1) quindi possiamo scrivere le nostre funzioni isoprofitto.
Supponiamo che dato questo w1le funzioni di isoprofitto siano tali per cui si ha tangenza tra la funzione di
isoprofitto più alta e la funzione di produzione in corrispondenza del punto H.
Consideriamo la situazione in cui il saggio di remunerazione dell’input 1 sale, quindi w1> w1. La nuova
funzione di isoprofitto si differenzia dalla precedente perché ha un’inclinazione più alta. Ora il fascio di rette
parallele che rappresenta le funzioni di isoprofitto sarà tutto più inclinato e quindi ci sarà un’altra funzione di
isoprofitto in verde per cui si ha tangenza tra la funzione di produzione e la funzione di isoprofitto più alta
possibile in corrispondenza del punto H in verde. Di conseguenza ho una nuova quantità di input 1 che è ottimo
produrre per l’impresa.
Risultato: aumenta il saggio di remunerazione dell’input variabile e diminuisce la quantità ottima di input
variabile che l’impresa ha convenienza a utilizzare.
Possiamo immaginare che il punto H sarà sulla funzione di produzione di breve e se è relativamente più a
sinistra o relativamente più a destra dipenderà dall’inclinazione delle funzioni di isoprofitto. Tutto quello che fa
aumentare il rapporto w1/p porterà ad un z1 cappuccio più piccolo di prima.
Possiamo anche considerare una situazione in cui per una qualche ragione è il prezzo per unità di output che
scende. Se p scende, il valore della produttività marginale dell’input variabile scende; se p scende w1/p sale e
ancora una volta la quantità ottima di input variabile scenderà. Succede l’opposto se w1/p diminuisce.

Tutto ciò che tende a far aumentare il valore del prodotto marginale dell’input variabile porterà ad un utilizzo
dell’input variabile maggiore; tutto ciò che fa aumentare il costo di utilizzo dell’input variabile porterà ad un
utilizzo dell’input variabile inferiore.
Questo è un modo di vedere la scelta dell’impresa quando la funzione di profitto è espressa come funzione
delle combinazioni di input a disposizione ma noi vogliamo arrivare a costruire tutta la funzione di profitto
come funzione di y; quindi, considereremo una massimizzazione dei profitti raggiunta in due stadi.
1. Dato un certo obiettivo di output y, si minimizza la spesa necessaria. L’impresa si chiede “se io voglio
produrre 10 di output, qual è il costo minimo che sevo sopportare? Se voglio produrre 20, qual è la spesa
minima che devo sostenere per i fattori di produzione?”
2. Una volta ottenuta la relazione tra obiettivo di output e livello minimo di spesa per i fattori di produzione,
ci si chiede qual è il livello di output che massimizza i profitti (~y~?).

Iniziamo a considerare il primo stadio del processo di massimizzazione della funzione dei profitti, arrivando a
costruire la relazione tra un certo obiettivo di output e la spesa minima necessaria per i fattori di produzione.
Se prendo una certa combinazione di fattori di produzione, qual è la spesa per l’impresa?
È: w1z1 + w2z2 (dove w1z1 = retribuzione che va all’input variabile e w2z2 = retribuzione che va all’input
fisso). Voglio minimizzare questa spesa soggetta però ad un vincolo, ovvero che le quantità di input z1 e z2
siano sufficienti per farmi produrre l’obiettivo di output che mi do.

Se faccio questa minimizzazione per ogni possibile livello di output che si può considerare si ottiene quella che
si indica con STC(y) ovvero una funzione di costo totale di breve periodo (short-term).
Questa funzione è quello che ottengo facendo questo processo di minimizzazione e rappresenta non
semplicemente una funzione di spesa ma è la funzione della spesa minima che l’impresa deve sostenere per
realizzare un certo obiettivo di output. Nel definire questa funzione di costo totale di breve periodo interviene
necessariamente la tecnologia perché è questa che stabilisce come è fatta questa funzione di produzione di
breve periodo. Quindi se considero la funzione di costo totale di breve periodo, sto considerando un’impresa
che quando produce, produce sempre in modo tecnicamente efficiente, senza sprecare input, utilizzando sempre
combinazioni di fattori di produzione che la portano sulla funzione di produzione di breve periodo.
Questa funzione di costo totale di breve periodo ha due componenti: è la somma di due sorgenti di spesa, una è
la spesa associata alla retribuzione dell’input fisso (FC, numero dato) e l’altra è collegata alla retribuzione
dell’input variabile (VC):
La funzione di costi variabili rappresenta la spesa minima di produzione di un dato livello di output dovuta al
solo impiego dell’input variabile; la funzione di costi fissi per definizione rappresenta la spesa necessaria per la
retribuzione dell’input fisso.
Dato che la funzione di costi di breve discende da questo processo di minimizzazione in cui rientra la funzione
di produzione di breve, la forma e l’andamento della funzione di costi totali di breve sarà connesso alla forma e
all’andamento della funzione di produzione di breve periodo.

Nel primo grafico mettiamo sulle ascisse z1 (input variabile) mentre sulle ordinate f(.), ovvero la funzione di
produzione di breve periodo. Supponiamo che si abbia che la funzione di produzione di breve periodo sia prima
convessa e poi concava.
Nel secondo grafico mettiamo sulle ascisse e sulle ordinate y. In questo grafico consideriamo solo la semiretta
di 45° perché quello che sta in ordinata deve essere uguale a quello che sta in ascissa poiché rappresentano la
stessa variabile
Nel terzo grafico mettiamo sulle ascisse z1 e sulle ordinate la spesa complessiva che chiamiamo C per i fattori
di produzione.
Nel quarto grafico mettiamo y sulle ascisse e STCy sulle ordinate (la funzione di costo totale di breve periodo).
• Incominciamo considerando la situazione in cui l’obiettivo dell’impresa sia produrre zero.
Grafico 1: Se l’impresa vuole produrre zero quanto utilizzerà di input variabile? Starà sulla funzione di
produzione e in base a questa, se l’impresa vuole produrre zero, prende zero di input 1.
Grafico 2: Consideriamo 0 sulle ascisse e sulle ordinate
Grafico 3: Consideriamo z1 uguale a 0. In questo caso qual è la spesa complessiva per i fattori di produzione
dell’impresa? Bisogna comunque pagare l’input fisso, quindi anche se z1è uguale a 0 la spesa dell’impresa sarà
w2z2
Grafico 4: Abbiamo che y è 0, qual è la spesa minima? I costi fissi.
• Consideriamo ora che l’impresa voglia produrre il livello di output y1
Grafico 1: si va sulla curva di produzione e si trova z1
Grafico 3: riportato z1 sul grafico, la spesa minima dell’impresa è data dalla spesa per l’input fisso più la spesa
per l’input variabile. Si ha dunque una semiretta con inclinazione costante uguale a w1
Grafico 2: riporto sempre lo z1 del primo grafico
Grafico 4: riportato sul grafico trovo y1in corrispondenza del quale la spesa minima è quella del terzo grafico

Continuando questo processo, la funzione di costi totali che ne esce è prima concava e poi convessa.
Se la funzione di produzione è prima convessa e poi concava allora la funzione di costi totali è prima concava e
poi convessa; l’andamento dei costi totali discende dall’andamento della funzione di produzione di breve
periodo.
Guardiamo la funzione di produzione di breve periodo: nel tratto convesso abbiamo che una piccola variazione
in z1 fa spostare l’output di una relativamente grande quantità; quindi, in termini di costi totali significa che
questi, se voglio aumentare y, crescono sì ma ad un tasso decrescente, invece in corrispondenza del tratto
concavo della funzione di produzione succede che se voglio variare l’output di una determinata grandezza,
devo iniettare quantità sempre maggiori di input variabile, e quindi la spesa associata all’input variabile cresce
in modo convesso.

Immaginiamo la situazione in cui la funzione di produzione è prima convessa e poi concava e di conseguenza
la funzione di costi totali è prima concava e poi convessa. La funzione di costi totali è una funzione crescente in
y, perché più è alto il mio obiettivo di output, dato che la produzione non è un processo gratuito, più risorse
devo utilizzare e gli input vanno remunerati.

La funzione di costi totali ha necessariamente un’intercetta positiva perché questa rappresenta i costi fissi
(anche se l’obiettivo di output è zero, l’impresa deve sostenere una spesa che è uguale alla remunerazione
dell’input fisso). Prima avevamo detto che STCy=VCy+FC quindi se riesco a disegnare la funzione di costi
totali, dov’è la funzione di costi variabili? E quella dei costi fissi?
La funzione dei costi fissi è facile da vedere perché i costi sono fissi e quindi la funzione è una semiretta
parallela all’asse delle ascisse. Ma se i costi fissi sono fissi, come posso trovare la funzione dei costi variabili?
Questa è necessariamente uguale alla funzione dei costi totali meno la funzione dei costi fissi: VCy= STCy-
FC.
Se y = 0 i costi variabili sono i costi totali in funzione di zero meno i costi fissi. Ma i costi totali in funzione di
zero sono uguali ai costi fissi; quindi, in corrispondenza di y = 0 i costi variabili sono 0.
In corrispondenza di un qualsiasi livello di output, dove sono i costi variabili? Consideriamo il livello di output
in rosso. Andando sulla funzione di costi totali, i costi variabili sono dati dalla differenza tra i costi totali e costi
fissi; quindi, al punto trovato sulla funzione dei costi totali tolgo la distanza uguale ai costi fissi. Il punto che
trovo è il costo variabile. Continuando questo processo in corrispondenza di qualsiasi y otteniamo la funzione
di costi variabili. Questa ha lo stesso andamento della funzione dei costi totali, ma è solamente spostata più in
basso di una distanza uguale ai costi fissi.

Partendo dalla funzione di costi totali noi possiamo derivata una serie di funzioni di costo. Una di queste è la
funzione di costo medio di breve periodo (SAC). Essa è uguale al rapporto tra i costi totali di breve periodo e
y , cioè è uguale alla quota di costi totali che posso associare a ogni singola unità di output.

Dal punto di vista grafico, mettiamo sulle ascisse y e sulle ordinate STC(y). La funzione è prima concava e poi
convessa. Prendiamo y1 e andiamo sulla funzione dei costi totali determinando poi STC1.
I costi medi associati a quest’output sono dati da STC1/y1. Ma graficamente questo significa fare il rapporto tra
il valore in ordinata e in valore in ascissa, per cui significa trovare l’inclinazione della semiretta che parte
dall’origine e passa esattamente per quel punto. L’ampiezza dell’angolo che questa semiretta forma con il
semiasse positivo delle ascisse corrisponde al costo medio.
Considerando poi vari punti lungo la funzione di costo totale e vediamo che per un primo tratto, a mano a mano
che aumentiamo y l’inclinazione delle semirette scende fino a che la semiretta non taglierà più la funzione dei
costi totali ma sarà tangente a questa in un unico punto.
Se poi consideriamo degli y più grandi di quest’ultimo e andiamo sulla funzione di costi totali, vediamo che
dopo quella y il costo medio sale perché l’inclinazione di quella semiretta che esce dall’origine sta salendo.
Dunque, se la funzione dei costi totali è prima concava e poi convessa, i costi medi prima scendono,
raggiungono il minimo e poi salgono.

Nel momento in cui abbiamo la funzione dei costi totali, abbiamo necessariamente anche la funzione dei costi
variabili e quindi possiamo considerare quella che si chiama funzione di costo medio variabile (AVC).
Questa è uguale al rapporto tra i costi variabili e y:
Rappresenta la quota di costi variabili che posso associare ad ogni unità di output.

Disegnando la funzione di costi variabili (con VC sulle ordinate e y sulle ascisse), so che questa parte
dall’origine e se la funzione di produzione è prima convessa e poi concava, allora la funzione di costi variabili è
prima concava e poi convessa.
Il costo medio variabile lo vedo scegliendo una certa y1 a cui poi corrisponde un determinato VC1. Il punto che
si trova proiettato sulla funzione rappresenta il costo medio variabile per cui passa la semiretta.
Considerando vari y vediamo che in un primo pezzo della funzione di costi variabili più aumenta y più scende
l’inclinazione fino alla condizione di tangenza. Dopo di che accede l’opposto, ossia l’inclinazione aumenta.
Dunque, ancora una volta otteniamo una funzione che prima decresce e poi cresce.
Abbiamo visto che ricaviamo due funzioni di costi medi, una di costi medi di breve termine e una di costi medi
variabili ed entrambe sono fatte a U. Ma insieme a queste funzioni di costi medi ne abbiamo una terza: la
funzione di costo medio fisso (AFC). Il costo medio fisso è la quota di costo fisso che posso associare ad ogni
unità di output. È uguale al rapporto tra i costi fissi (che non sono funzione di niente perché sono fissi) e y:

Disegniamo la funzione di costo fisso, ossia una semiretta parallela all’asse delle ascisse. Per vedere i costi fissi
medi consideriamo qualsiasi y1 e lo proietto sulla funzione: tracciamo allora la semiretta che passa dall’origine
e da quel punto.
Considerando quantità di y crescenti, vediamo che l’inclinazione delle semirette continua a scendere.
Dunque, in questo caso la funzione continua a decrescere, a differenza delle funzioni a U dei costi medi (prima
decrescenti e poi crescenti).

Che relazione c’è tra i costi medi di breve termine e i costi medi variabili?

Ma noi conosciamo queste funzioni che abbiamo generato: una è la funzione di costi medi di breve periodo,
che deve essere uguale alla somma di costi medi variabili e costi medi fissi.

Per cui abbiamo una relazione tra l’andamento della funzione di costi medi di breve periodo e la funzione di
costi medi variabili perché la prima è uguale alla funzione di costi medi variabili più i costi medi fissi che però
continuano a scendere. Di conseguenza vuol dire che se le funzioni di costo medio di breve periodo e le
funzioni di costo medio variabile sono entrambe fatte a U, il minimo della funzione di costi medi variabili si ha
per un y più piccolo dell’ y che determina il minimo della funzione di costi medi totali.

Sulle ascisse mettiamo y mentre sulle ordinate mettiamo la funzione di costi variabili e la funzione di costi
totali. Qual è l’ y che rende minimi i costi medi variabili? È quando c’è tangenza.
Se cerco la stessa condizione per i costi medi di breve periodo avrò la stessa condizione per un costo più alto.
Di conseguenza la funzione di costi medi è anch’essa decrescente e poi cresce avvicinandosi alla funzione di
costi medi variabili senza mai toccarla.
RICORDA: Disegnando queste funzioni di costi medi la distanza tra una funzione e l’altra è la funzione di costi
medi fissi. Per questo le due funzioni tendono ad avvicinarsi, perché il costo medio fisso è un costo che scende.

L’ultima funzione di costo di breve termine è la funzione di costo marginale di breve periodo (SMC).
Questa ci dà il saggio a cui varia la funzione di costi totali al variare di y, cioè ci dà l’inclinazione in un punto
della funzione di costi totali. Dunque, la funzione di costi marginali non è altro che la derivata prima della
funzione di costi totali al variare di y:

Ma calcolare la derivata prima dei costi totali è come calcolare la derivata prima della somma dei costi variabili
più i costi fissi al variare di y. I costi fissi, però, non variano se varia y, quindi la funzione di costo marginale è
il saggio a cui variano i costi totali al variare di y, che corrisponde anche al saggio a cui variano i costi variabili
al variare di y.

La funzione di costo marginale è l’inclinazione in un punto della funzione di costi totali ma per costruzione
questa è necessariamente uguale all’inclinazione in un punto della funzione di costi variabili.

Nel primo grafico nelle ordinate mettiamo i costi totali e i costi variabili, mentre nel secondo mettiamo i costi
marginali di breve periodo.
Nel primo grafico, quando guardiamo all’inclinazione di un punto della funzione, quell’inclinazione è sempre
la stessa sia che si consideri i costi variabili o i costi totali, poiché la funzione di costi totali è la funzione di
costi variabili spostata verso l’alto.
Se queste funzioni sono prima concave e poi convesse, come fa l’inclinazione? In un tratto concavo
l’inclinazione scende, mentre l’inclinazione in un tratto convesso sale. Quindi abbiamo che anche la funzione
di costo marginale sarà prima decrescente e poi crescente.
Vogliamo vedere come varia la funzione di costo marginale, quindi facciamo la derivata prima della funzione
di costo marginale al variare di y per vedere se sale o scende. Ma la funzione di costo marginale è già la
derivata prima della funzione di costo totale al variare di y, per cui se vogliamo vedere l’andamento della
funzione di costo marginale in realtà stiamo guardando la derivata seconda della funzione di costi totale al
variare di y.

Lo stesso ragionamento lo abbiamo guardando la funzione di costi variabili, perché la funzione di costo
marginale corrisponde anche alla derivata prima della funzione di costi variabili al variare di y quindi
l’andamento della funzione di costi marginali è anche necessariamente uguale alla derivata seconda della
funzione di costi variabili al variare di y perché i costi fissi non variano al variare di y.

Nel tratto concavo della funzione di costi totali o nella funzione di costi variabili la funzione di costi marginali
scende; nel tratto convesso il costo marginale sale.
Dato che il tratto concavo viene prima del tratto convesso significa che avremo il minimo della funzione di
costi marginali in corrispondenza del punto di flesso o della funzione di costi totali o della funzione di costi
variabili.
Se la funzione di costi totali (e quindi anche di costi variabili), è prima concava e poi convessa, la funzione di
costi marginali è prima decrescente e poi crescente. Raggiunge il minimo in corrispondenza del punto di flesso
(punto in cui la funzione di costo totale cambia dall’essere concava e diventa convessa).
Abbiamo una funzione di costi marginali. Fissiamo un qualsiasi y, andiamo sulla funzione e consideriamo
l’area sottesa alla funzione di costo marginale che va da 0 fino a y.
Quest’area è uguale all’integrale che va da 0 a y della funzione di costo marginale, che abbiamo appena detto
essere la derivata prima della funzione di costi variabili al variare di x in dx.
Quest’ultimo integrale è uguale alla funzione di costi variabili in corrispondenza di y meno i costi variabili in
corrispondenza di zero, ma i costi variabili in corrispondenza di zero sono zero.
Quindi, se ci viene data una funzione di costi marginali e un certo y e ci viene chiesto di calcolare l’area sottesa
alla funzione di costi marginali, quest’area non è altro che il valore della funzione di costi variabili in
corrispondenza di quell’ y.

C’è una relazione tra la funzione di costi marginali (SMC) e la funzione di costi medi di breve periodo (SAC)
perché tutte queste funzioni sono fatte a U. Ma qual è la relazione tra tutte queste U?
Consideriamo di voler vedere come varia la funzione di costi medi di breve periodo, cioè vogliamo calcolare la
derivata prima della funzione di costi medi al variare di y. Ma la funzione di costi medi di breve periodo è un
rapporto tra funzioni: rapporto tra la funzione di costi totali e y.

Se SMC(y) < SAC(y), allora il costo medio sta scendendo.


Se SMC(y) > SAC(y), allora il costo medio sta salendo.
Se SMC(y)= SAC(y), abbiamo il minimo della funzione di costo medio.

Mettiamo sulle ascisse y, mentre sulle ordinate la funzione di costo marginale e la funzione di costo medio.
La funzione di costo medio è fatta anch’essa ad U e: finché i costi marginali sono sotto i costi medi, la funzione
di costi medi sta decrescendo. È tagliata dal basso verso l’alto nel punto di minimo dalla funzione di costi
marginali.

Relazione tra funzione di costi marginali e funzione di costi medi variabili:


Se vogliamo fare il limite della funzione di costo medio variabile per y che tende a zero, vogliamo vedere il
limite del rapporto tra la funzione di costi variabili e y.
Abbiamo due funzioni a numeratore e a denominatore che vanno entrambe a 0 se y va a 0, quindi per trovare il
limite dobbiamo usare la regola de l’Hopital, cioè fare il rapporto tra il limite della derivata prima dei costi
variabili al variare di y sul limite della derivata prima di y al variare di y. Questo vuol dire calcolare il limite
per y→0 dei costi marginali diviso 1.
Abbiamo quindi che il limite per y→0 dei costi medi variabili è uguale ai costi marginali per y→0.
Per y→0 la funzione di costi marginali e la funzione di costi medi variabili tendono a toccarsi.
Dopo di che per sapere l’andamento di queste due funzioni per valori di y≠0 il meccanismo è lo stesso:

Se SMC < AVC, allora i costi medi variabili stanno scendendo.


Se SMC > AVC, allora i costi medi variabili stanno salendo.
Se SMC = AVC, si ha il minimo della funzione di costi medi variabili.
Mettiamo tutte queste funzioni insieme in un grafico.

Mettiamo y sulle ascisse e sulle ordinate mettiamo i costi marginali, i costi medi variabili e i costi medi.
La funzione di costi marginali è fatta a U.
La funzione di costi medi variabili per y→0 si avvicina alla funzione di costi marginali, poi scende fino a che i
costi marginali sono più bassi e sale quando i costi marginali sono più alti. Ha un punto di minimo quando è
tagliata dalla funzione di costi marginali.
La funzione di costi medi è anch’essa fatta a U. Sta sempre al di sopra della funzione di costi medi variabili.
La distanza tra la funzione di costi medi e la funzione di cosi medi variabili tende sempre a decrescere poiché è
uguale al costo medio fisso.
Nel punto in cui la funzione di costi medi è tagliata dalla funzione di costi marginali abbiamo il minimo della
funzione di costi medi.

Relazione tra la funzione di prodotto marginale dell’input variabile e la funzione di costo marginale:

Consideriamo i costi marginali e delle variazioni discrete: è come se fossero la variazione nei costi variabili
rispetto alla variazione in y.

Z1 ha un puntino perché è l’input variabile più piccolo possibile che consenta quella variazione nell’output.
La relazione inversa tra la funzione di prodotto marginale dell’input variabile e la funzione di costo marginale.
Tanto è più alto uno, tanto è più basso l’altro.

Relazione tra prodotto medio dell’input variabile e i costi medi variabili:

Relazione inversa tra prodotto medio e funzione di costi medi variabili.

Facciamo due grafici:


Nel primo grafico mettiamo sulle ascisse z1 e sulle ordinate il prodotto marginale e il prodotto medio dell’input
1. Nel secondo grafico mettiamo sulle ascisse y e sulle ordinate il costo marginale e il costo medio variabile.
Dicevamo per la funzione di prodotto marginale e di prodotto medio che se la funzione di produzione è prima
convessa e poi concava, queste funzioni di prodotto medio marginale sono fatte a U rovesciata, cioè prima
salgono, raggiungono un massimo e poi scendono.
La relazione tra le due è che la funzione di prodotto marginale taglia dall’alto verso il basso la funzione di
prodotto medio nel punto di massimo della funzione di prodotto medio.
Prendiamo poi il massimo della funzione di prodotto marginale (z1) e il massimo della funzione di prodotto
medio (z1). Sappiamo che z1 < z1.
Nel secondo grafico segniamo y(z1, z2) e y(z1, z2). La relazione che otteniamo è che la funzione di costo
marginale avrà un andamento ad U e raggiungerà un punto di minimo in corrispondenza di y(z1, z2), mentre la
funzione di costo medio variabile sarà anch’essa ad U ma raggiungerà un punto di minimo in corrispondenza di
y(z1, z2).

La funzione di produzione ha un’interpretazione cardinale: se prima produco 2 e poi produco 3, l’output è


variato esattamente di 1.
Immaginiamo:
Qui l’input variabile è z1 quindi la funzione di prodotto marginale è:

Il prodotto medio dell’input variabile è:

Vediamo dunque che la relazione tra la funzione di prodotto marginale e prodotto medio dipende da quanto è
grande l’esponente a.
Se a > 1 il prodotto marginale è sempre più in alto del prodotto medio.
Se a = 1 le due funzioni coincidono.
Se a < 1 il prodotto marginale è sempre più in basso del prodotto medio.

Cerchiamo ora di capire come è fatta la funzione di costo.


Per trovare la funzione di costo noi abbiamo un dato obiettivo di output e la prima cosa da fare è trovare la
quantità di input variabile minimo che ci consente la produzione di quell’obiettivo di output. Quindi dobbiamo
immaginare di imporre che:
Qual è lo z1 necessario per produrre quell’ y? Sarà:
Come è fatta la funzione di costo totale come funzione di y? È uguale alla spesa minima legata alla retribuzione
del fattore lavoro per la quantità minima di input 1 necessaria per raggiungere quell’obiettivo di output più la
componente di costi fissi.

RICORDA: quando viene chiesto di ricavare la funzione di costi, questa è sempre funzione di y.
Adesso l'impresa sa qual è la spesa minima per ogni obiettivo di output ma dobbiamo ora capire qual è il livello
di output. A questo punto dobbiamo introdurre una considerazione di quelle che si chiamano forme di
mercato. Le decisioni dell’impresa non sono completamente libere ma devono tener conto di alcuni vincoli. I
vincoli sono di due tipi:
• Da un lato abbiamo il vincolo tecnologico che discende dal fatto che ciò che è possibile fare al meglio delle
conoscenze è dato dalla funzione di produzione, e abbiamo visto che le caratteristiche della funzione di
produzione arriveranno ad avere un impatto diretto su come è fatta la funzione di costi totali.

• Dall’altro lato c’è un vincolo di mercato, cioè ogni singola impresa deve rispondere alla domanda “qual è la
funzione di domanda che si rivolge al mio di output?”. Questo vincolo si riferisce all’identificazione della
funzione di domanda per la singola impresa, avrà una risposta diversa a seconda delle forme di mercato che
considereremo.

Adesso iniziamo a considerare la concorrenza perfetta, la situazione in cui i soggetti sono price taker.
L’impresa in questa situazione pensa che il prezzo a cui può vendere il suo output sia sempre lo stesso
indipendentemente da quanto quella stessa impresa può produrre.
Graficamente questa situazione corrisponde a una funzione di domanda perfettamente elastica. La singola
impresa in concorrenza perfetta se produce y1, il prezzo unitario a cui potrà vendere y1 è p e anche se produce
y2 il prezzo sarà sempre p. L’impresa in concorrenza perfetta percepisce una funzione di domanda per il suo
output che ha elasticità infinita.

Questo modo rappresenta l’idea che l’impresa pensa di non avere nessuna influenza sul prezzo a cui è
scambiato l’output, sia che produca 1 sia che produca 10 mila il prezzo a cui può essere scambiato l’output nel
mercato rimane invariato.

Da questo modo di vedere il mondo che ha la singola impresa in concorrenza perfetta discende la funzione di
ricavi totali della singola impresa in concorrenza perfetta.
Noi vedremo che in qualsiasi forma di mercato le imprese hanno sempre una funzione dei ricavi totali, il punto
è come è fatta questa funzione dei ricavi totali. Come è fatta dipende dalla funzione di mercato, se siamo in
concorrenza perfetta come ragiona la singola impresa? La singola impresa dice “se io produco y1, qual è la
quantità di denaro che entra per le vendite nelle mie casse”? è p*y1. Se invece produce y2 ciò che incassa sarà
p*y2.
Quindi la funzione di ricavo totale, che è quella che rappresenta il vincolo di mercato, varierà a seconda delle
forme di mercato. In concorrenza perfetta la funzione di ricavo totale della singola impresa i sarà funzione di
y1(output specificatamente dell’impresa i). Questa funzione è uguale a un prezzo p che la singola impresa
considera dato per yi:
Come rappresentiamo la funzione ricavi totali:

Si tratta dell’equazione di una semiretta che parte dall’origine che ha un’inclinazione uguale a p, se produco
zero le vendite sono zero, produco due le vendite sono due per il prezzo, produco 10 mila l’entrata delle vendite
è data da 10 mila per il prezzo della singola unità. Tanto più è alto p, tanto più inclinata sarà la funzione di
ricavi totali perché tanto più alto sarà il saggio a cui si incrementano i ricavi totali al variare di yi.

Dalla funzione di ricavi totali si ricavano altri due funzioni. Una è la funzione di ricavo marginale che
possiamo indicare con MRi(yi). La funzione di ricavo marginale è il saggio a cui varia la funzione di ricavo
totale al variare di yi, quindi è l’inclinazione in un punto della funzione di ricavi totali.
In concorrenza perfetta i ricavi totali sono uguali a p*yi quindi i ricavi marginali sono uguali a p, sono costanti,
perché la funzione di ricavi totali è una retta. In altre forme di mercato avremo funzioni di ricavo marginali che
non saranno costanti. La funzione di ricavi marginali è dunque una semiretta parallela all’asse delle ascisse.

Dalla funzione di ricavi totali potremo sempre derivare un’altra funzione, la funzione di ricavo medio della
singola impresa che chiamiamo ARi(yi). Questa è uguale al rapporto tra la funzione di ricavi totali e yi.

È la quota di ricavi che può essere attribuita a ogni unità di output. Questo vale sempre: i ricavi medi sono
sempre i ricavi totali diviso y. In concorrenza perfetta accade che la funzione di ricavi totali ha una forma
particolare:

RICAPITOLANDO: In concorrenza perfetta la funzione di ricavo totale è una semiretta che esce dall’origine
che ha un’inclinazione costante uguale a p.
Le funzioni di ricavo medio e marginale sono costanti e sono uguali; quindi, sono entrambe rappresentabili
come una semiretta parallela all’asse delle ascisse.

A questo punto possiamo arrivare a definire la funzione di profitto tutta come funzione di y: un’impresa in
concorrenza perfetta se produce un certo livello di output yi quale sarà la spesa che incontra? Sarà la spesa
minima necessaria, rappresentata dalla funzione dei costi totali, quindi sarà -STCi(yi). Dall’altro lato quali sono
gli incassi dalle vendite che l’impresa ha? Sono la funzione di ricavo totale TRi(yi).

Adesso è tutto funzione di yi.


Vediamo cosa succede graficamente:
Sulle ascisse mettiamo y.
Nel primo grafico disegniamo la funzione di ricavi totali e la funzione di costi totali; nel secondo grafico
disegniamo i profitti (possono essere sia positivi sia negativi); nel terzo grafico disegniamo ricavi marginali e
costi marginali.
Immaginiamoci di avere una funzione di costi totali prima concava e poi convessa. La funzione di ricavi totali è
una semiretta che esce dall’origine. La semiretta taglia la curva in due punti, che sono due output, in
corrispondenza dei quali i costi sono uguali ai ricavi totali. Quindi nel secondo grafico, in corrispondenza di
questi due output, i profitti sono zero. In questi due punti passerà la funzione di profitto. Questa è data dalla
differenza tra costi e ricavi totali; quindi, per y=0 i ricavi totali sono zero mentre i costi totali sono uguali ai
costi fissi; quindi, i profitti partono da meno i costi fissi. Dopo di che, se guardiamo la distanza che vi è tra la
curva e la semiretta e notiamo che prima salgono e poi scendono. Nel primo pezzo per y minore di yi i profitti
sono negativi perché i costi sono più alti dei ricavi, mentre nel secondo pezzo per y maggiore di yi i profitti
sono positivi (prima salgono, raggiungono un massimo e poi arrivano a zero in corrispondenza di y2. Per ogni
output superiore a y2 succede che la funzione di costi totali cresce in modo convesso (i profitti crescono) e non
si incontrerò più con la funzione di ricavi totali (ricavi sempre più bassi).
Il minimo e il massimo di questi profitti si ritrovano nei punti in cui vi è la maggiore distanza, perché in
corrispondenza di quel punto l’inclinazione della funzione di costo totale è uguale all’inclinazione della
funzione di ricavo totale.
Abbiamo quindi due situazioni in cui il prezzo (inclinazione della funzione di ricavo totale) è uguale al costo
marginale (inclinazione della funzione di costo) p=SMC.
Nel terzo grafico abbiamo quindi la funzione di costo marginale che taglia due volte la funzione di ricavo
marginale in corrispondenza degli output in cui abbiamo il primo minimo relativo della funzione di profitto e
poi il massimo relativo di profitto.

CONCLUSIONE: l’impresa quando vorrà massimizzare i propri profitti non andrà mai più in là dell’y2 perché
i profitti sono negativi e l’azienda vorrà quindi una situazione in cui il prezzo uguale al costo marginale. Ha due
y in cui questa condizione è soddisfatta (ya,yb) ma i massimi profitti sono solo in corrispondenza di yb perché
in ya c’è un minimo relativo.

Ci stiamo riferendo alla funzione di profitto di una singola impresa che sta considerando come i suoi profitti
dipendono dal suo output. Un'impresa in qualsiasi regime di mercato ha i profitti nel breve periodo, i profitti
che sono dati dalla differenza tra i ricavi totali meno i costi totali di breve.
In particolare, in concorrenza perfetta noi sappiamo che la funzione ricavi totali è particolare perché l'impresa,
percepisce una funzione di domanda per il proprio output perfettamente elastica al prezzo di mercato, per cui i
ricavi totali sono:
L'impresa deve considerare qual è il livello di output che le conviene produrre cioè nel mondo in cui noi ci
muoviamo questo livello di output sarà il migliore possibile dal punto di vista dell'impresa cioè sarà quello che
risolve questo problema:

Quando un’impresa vuole massimizzare i profitti , la condizione del primo ordine è che la derivata prima della
funzione di profitti rispetto a Yi sia uguale a zero, cioè di trovare un yi in corrispondenza del quale succede che
la derivata prima della funzione di ricavi totali al variare di Yi è uguale alla derivata prima della funzione dei
costi totali al variare di Yi.

Questo a che cosa corrisponde in concorrenza perfetta? A sinistra del segno di uguale abbiamo i ricavi
marginali, e a destra del segno di uguale abbiamo i costi marginali, quindi yi con la Tilde deve essere un yi con
la Tilde, tale per cui ricavi marginali sono uguali ai costi marginali.

Essendo in concorrenza perfetta, noi sappiamo che questi ricavi marginali sono uguale a P, al prezzo a cui
l’impresa pensa di poter vendere qualsiasi unità dell’output prodotto, quindi P= costi marginali SMC(yi).
Qui abbiamo i profitti della singola impresa e vediamo che se la funzione di costi totali di breve era prima
concava e poi convessa, se l'output è uguale a zero, i ricavi totali sono uguali a zero, mentre i costi totali sono
uguali a - i costi fissi. E questa funzione di profitto poteva avere un primo tratto decrescente, poi un tratto
crescente e poi di nuovo decrescente, cioè la funzione di profitto potrebbe avere due tratti, uno con la concavità
verso l'alto e uno con la concavità verso il basso. La condizione riqudrata in rosso dice che noi vogliamo
trovare un y in corrispondenza del quale se tracciamo l'inclinazione della retta tangente alla funzione di profitto
questa inclinazione è zero. Ma se noi facciamo questa operazione, vediamo che questo lo otteniamo in
corrispondenza di due diversi Y. In entrambi questi casi, i ricavi marginali sono uguali ai costi marginali, e
l'inclinazione in quel punto della funzione di profitto è uguale a zero. Però c'è una differenza sostanziale: in
corrispondenza di Y1 l'impresa starebbe minimizzando, trovando un minimo relativo della funzione di profitto,
mentre in corrispondenza di Y2 sta trovando un massimo della funzione di profitto.

I ricavi marginali sono costanti uguali a p, quindi sono una retta parallela all'asse delle Ascisse, mentre i costi
marginali prima scendono, raggiungono minimo e poi salgono. Questa condizione è soddisfatta da Y1 e Y2,
questo vuol dire che i costi marginali sono uguali ai ricavi marginali in corrispondenza di due punti.
Quindi noi quando massimizziamo i profitti di impresa nel breve periodo quale y dobbiamo scegliere?
Dobbiamo scegliere Y2 perché in corrispondenza di Y2 i profitti sono massimi, mente in corrispondenza di Y1
stiamo trovando un minimo relativo.
Da quest'ultimo grafico in corrispondenza di Y1, la funzione di costo marginale decresce, in corrispondenza di
Y2 la funzione di costo marginale cresce. Noi dobbiamo essere certi di essere in corrispondenza di un tratto
concavo della funzione di profitto. Per trovare y che massimizza i prodotti dell’impresa, dobbiamo sia imporre
che P=SMCi (yi), ma anche controllare di essere in corrispondenza di un y per cui la derivata seconda della
funzione di profitto, non è maggiore di zero, quindi dobbiamo essere in un tratto concavo:

Quindi se vogliamo trovare il caso in cui Y con la Tilde sia maggiore di zero e che massimizza i profitti, quali
sono le condizioni che questo Y con la Tilde deve soddisfare?
1. Ricavi marginali MRi = costi marginali SMCi: significa in concorrenza perfetta che P (è una costante dal
punto di vista della singola impresa) = costi marginali che saranno la funzione di Yi.
2. Essere in corrispondenza del tratto non decrescente della funzione di costi marginali.
Una volta che sono soddisfatte entrambe queste condizioni, noi abbiamo trovato questo y con la tilde >0 che
massimizza i profitti della singola impresa nel caso di un output positivo.
Questo Y con la Tilde sia quello che massimizza i profitti dell'impresa quando produce non implica
necessariamente che i profitti massimi siano maggiori di zero, indica solo che sono i profitti massimi che si
possono ottenere nel caso in cui l'impresa decida di produrre.
Noi potremmo avere anche:

L'impresa farà il confronto tra quello che le succede se non produce nulla e quello che le succede se produce Yi
con la tilde. Se non produce nulla i suoi profitti sono uguali a una perdita pari ai costi fissi, se produce sono
uguali a questa espressione.
Per l'impresa è meglio smettere di produrre quando i costi medi variabili nel caso di produzione, sono maggiori
del prezzo, e se sono maggiori del prezzo, non produrre gli da delle perdite, ma che sono sempre più contenute
rispetto alle perdite che avrei se decidessi di produrre.
Ma questo Y con la Tilde è ottenuto dalla condizione che P sia uguale al costo marginale, quindi posso
riscrivere questa condizione di sopra, cioè se i costi medi variabili sono superiori a P che è uguale al costo
marginale in corrispondenza di yi allora produrre 0 è strettamente preferibile a produrre Yi con la tilde.

Questa si chiama condizione di chiusura, che dice che: l'impresa nel breve periodo ha sempre l'opzione di
smettere la produzione. Tuttavia se smette la produzione, i profitti non sono zero, ma sono meno i costi fissi.
Se in corrispondenza di Yi con la Tilde accade che costi medi variabili sono superiori al prezzo, allora per
l'impresa conviene chiudere la produzione.
Questa condizione implica che:
Questo accade quando:

La funzione dei i costi medi variabili tende ad essere uguale ai costi marginali per Y che tende a zero mentre e
poi è anch'essa fatta a U, è decrescente finché i costi marginali sono sotto i costumi dei costi variabili e poi
cresce e raggiunge un minimo esattamente in corrispondenza dell'output, per cui si ha che la funzione dei costi
marginali taglia dal basso verso l'alto la funzione dei costi medi variabili.

Siamo nel tratto decrescente della funzione di costi nei variabili se Y con i con la Tilde che troviamo positivo è
tale per cui i costi medi variabili stanno decrescendo, all'impresa conviene chiudere la produzione o produrre
zero. Di conseguenza, che cosa succede? Da questo grafico noi evinciamo che yi con la tilde è preferibile a non
produrre niente se accade che i costi medi variabili di yi con la tilde sono crescenti.

L’intuizione di costi medi variabili superiori al prezzo, dal punto di vista economico, vuol dire che per ogni
unità di output prodotto, la quota di retribuzione dell'input variabile per unità di output, è più grande del ricavo
medio, cioè l’impresa non riesce a coprire i costi variabili. Quando l’impresa non riesce a coprire questi costi
deve fermare la produzione.
Guardiamo graficamente:

Il costo medio di breve è sempre più in alto del costo medio variabile perché include anche il costo medio fisso.
I ricavi totali sono superiori ai costi totali, quindi se l’impresa non producesse nulla avrebbe una perdita pari ai
costi fissi, se producesse yi con la tilde avrebbe dei profitti positivi, quindi:

Chiaramente in questa situazione, non è soddisfatta la condizione di chiusura, perché in corrispondenza di ỹi i


costi marginali sono più alti dei costi medi variabili, siamo nel tratto crescente.

Adesso peggioriamo le condizioni per quanto riguarda l’impresa. Le funzioni di costo sono un qualcosa che
discende dalla tecnologia e dai prezzi dei fattori di produzione. Quindi adesso noi facciamo un altro grafico,
dove possiamo riportare esattamente, la stessa funzione di costo marginale, la stessa funzione di costo medio
variabile e la stessa funzione di costo medio. La cosa che modificheremo sono le condizioni di redditività
dell’impresa, cioè modifichiamo la posizione della funzione di ricavo marginale che è uguale a quella di ricavo
medio. Se noi ipotizzassimo di spostare questa retta in rosso più in alto, saremmo sempre in una situazione in
cui i costi marginali sono superiori al minimo della funzione dei costi medi variabili, e quindi l’impresa
continuerebbe a produrre ỹi. Noi dobbiamo vedere se l’impresa continua a preferire produrre o non produrre,
quando l’output è venduto ad un prezzo P via via sempre più piccolo. Quindi adesso facciamo questo grafico,
c’è sempre ỹi, disegniamo la funzione di costo marginale, la funzione di costo medio variabile e la funzione di
costo medio.

Adesso prendiamo una funzione di ricavo marginale che è anche la funzione di ricavo medio, cioè prendiamo il
livello di P in rosso, tale che questa funzione sta dentro, cioè taglia la funzione marginale, nello spazio che
divide il minimo della funzione dei costi variabili e il minimo della funzione dei costi medi. Allora se le
condizioni sono così, si trova ỹi, e si trova ponendo che i ricavi marginali siano uguali ai costi marginali. Allora
vediamo che questa condizione è soddisfatta in corrispondenza di due yi. Però il primo output non va bene,
perché non saremo in corrispondenza di un tratto concavo della funzione di profitto, quindi l’ ỹi è quello
segnato sul grafico. Adesso chiamiamo sempre A il punto e poi guardiamo le proiezioni in corrispondenza di ỹi
sulla funzione di costo medio e sulla funzione di costo medio variabile e chiamiamo B e C. Poi facciamo le
proiezioni di questi punti sull’asse delle ordinate e li chiamiamo D ed E.

A cosa sono uguali i ricavi totali? I ricavi totali sono uguali ad P per ỹi, per cui sono uguali ad un area di un
rettangolo che è 0pAỹi. Dove sono i costi totali? Sono uguali ai costi medi in corrispondenza di ỹi per ỹi, per
cui ancora una volta sono uguali ad un’area che è 0DBỹi.
Come sono fatti i profitti? Sono uguali all’area che rappresenta i ricavi totali meno l’area che rappresenta i costi
totali, ma adesso i costi totali sono più grandi dei ricavi totali, quindi i profitti sono uguali a - AREA pDBA.
Per cui abbiamo che se l’impresa produce ỹi, il meglio che può fare è realizzare dei profitti che sono tuttavia
negativi e quindi sono delle perdite. Nel punto E è meglio perdere la quantità di denaro che è PDBA o smettere
di produrre e perdere una quantità di denaro uguale ai costi fissi? In base al ragionamento che facevamo prima i
costi fissi sono uguali all’area EDBC. Se l’impresa smettesse di produrre avrebbe una perdita uguale ad EDBC,
se l’impresa produce ỹi, ha una perdita, ma che è uguale all’area pDBA, quindi più piccola, per cui produrre ỹi
è meglio che produrre 0.
Ovvero anche in questo caso non è soddisfatta la condizione di chiusura, perché guardando il punto A, in cui i
costi marginali tagliano la funzione di ricavo marginale, in corrispondenza di A, i costi medi variabili sono
crescenti, quindi la loro condizione di chiusura non vale.

Adesso peggioriamo ulteriormente le condizioni di redditività della nostra impresa, cioè spostiamo la semiretta
rossa ancora più in basso. La spostiamo fuori dall’area.

Riportiamo la funzione di costo marginale, la funzione di costo medio variabile e la funzione di costo medio.
Ora il problema è dove mettere la retta che rappresenta i ricavi marginali ed i ricavi medi. Il minimo della
funzione di costi medi variabili è nel punto di intersezione tra la linea azzurra e la linea nera. Noi adesso
disegniamo una funzione di ricavi marginali che taglia una funzione di costi marginali al di sotto di quel punto.
ỹi è ricavo marginale uguale al costo marginale e ancora una volta abbiamo due punti, che soddisfano questa
condizione, ma noi dobbiamo scegliere l’y in corrispondenza del quale la funzione non è decrescente, quindi il
punto A.

Identifichiamo B e C e ne facciamo le proiezioni sull’asse delle ordinate e troviamo D ed E. Dove sono i ricavi
totali? Sono uguali all’area del rettangolo 0pAỹi. Dove sono i costi totali dell’impresa che produce ỹi?
Corrisposo all’area del rettangolo 0DBỹi. I profitti sono uguali a meno l’area del rettangolo pDBA, qui però si
subisce una perdita. E’ meglio subire una perdita o smettere di produrre e subire una perdita uguale ai costi
fissi? I costi fissi sono sempre uguali all’area che è definita dalla funzione dei costi medi e dalla funzione dei
costi medi variabili, quindi sono uguali all’area EDBC. Se si smette di produrre, in questo caso si subisce una
perdita, ma più piccola di quella che si incorrerebbe se decidessimo di produrre. Quindi in questa situazione
produrre 0 è preferibile di produrre ỹi. Qui vale la condizione di chiusura (siamo nel tratto decrescente).

Mettendo tutto questo insieme, come si fa per definire l’output che l’impresa decide di produrre?
Per vedere le scelte di produzione della nostra impresa, vediamo il punto in cui la funzione di costo marginale,
taglia dal basso verso l’altro, la funzione di costo medio variabile, ed in corrispondenza di questo punto
l’output è ẏ. Abbiamo che se i ricavi marginali, che sono uguali ai ricavi medi, cioè se P (che è qualcosa che
l’impresa prende dal mercato), è tale per cui la funzione di costi marginali incontra P a sinistra di y col
cappuccio, vale la condizione di chiusura, per cui abbiamo che in corrispondenza del punto rosso, sull’asse
delle ordinate, abbiamo il minimo della funzione dei costi medi variabili.
Se p è più piccolo dei costi medi variabili, la scelta ottima dell’impresa è produrre 0. Quindi per tutti i p che
vanno da 0 fino al valore minimo della funzione dei costi medi variabili, l’impresa produce zero, questa (in
rosso) è un pezzo della funzione di offerta della singola impresa.
Invece se il prezzo è almeno uguale al minimo della funzione dei costi medio variabili, l’impresa preferirà
produrre un output positivo, cioè ỹi, che sarà definito dall’uguaglianza tra prezzo e costo marginale, quindi se
noi prendiamo questo tratto della funzione di costo marginale sopra il punto rosso (in blu), quello sarà un altro
tratto che rappresenta la funzione si offerta della singola impresa.
La funzione di offerta della singola impresa, corrisponde ad un primo tratto che si identifica con un segmento
sull’asse delle ordinate e che dice che per tutti i prezzi inferiori al minimo del costo medio, l’impresa smette di
produrre, invece per tuti i prezzi almeno uguali al minimo della funzione di costo medio variabile, la funzione
di offerta è un tratto della funzione di costo marginale.
Quindi la conclusione è che la funzione di offerta della singola impresa in concorrenza perfetta è uguale al
tratto crescente della funzione di costi marginali dell’impresa SMCi al di sopra del punto di minimo della
funzione di costi medi variabili AVCmin.

Quindi quando abbiamo un esercizio in cui si chiede di determinare la funzione di offerta della singola impresa,
in concorrenza perfetta (altrimenti tutto cambia), corrisponde al tratto crescente della funzione di costo
marginale al di sopra del punto di minimo della funzione di costo medio variabile.

Ora siamo in grado, per la singola impresa, di costruire la relazione tra un qualsiasi prezzo “P” per l’output e
l’ “ÿ”, (che è il massimo profitto della singola impresa), questa è la funzione di offerta della singola impresa,
ovvero in concorrenza perfetta, questa funzione corrisponde alla relazione tra il prezzo è l'output di massimo
profitto. Quindi in concorrenza perfetta la funzione di offerta ha un’interpretazione particolare perché è un
pezzo della funzione di costo marginale, è un tratto crescente della funzione di costo marginale, cioè
rappresenta il saggio in cui si incrementano i costi al variare di y.
Ciò significa che vogliamo arrivare ad una misura del beneficio che il produttore trae dall’avere accesso allo
scambio mercato, cioè il surplus del produttore (equivalente surplus del consumatore).
Supponiamo di essere in una situazione in cui la funzione di offerta della singola impresa, cioè il tratto
crescente della funzione di costo marginale al di sopra del minimo della funzione di costo medio variabile è
quella disegnata in nero. Ma quella è anche un tratto della funzione di costo marginale e noi sappiamo che se
abbiamo una funzione di costo marginale, e fissiamo un certo y, l’area sottesa alla funzione di costo marginale,
corrisponde ai costi variabili. Quindi fissiamo un qualsiasi prezzo P (semiretta rossa), e abbiamo A, B e C. Se il
prezzo è P rosso, la quantità che l’impresa decide di offrire sul mercato è B.
Qual è una misura del beneficio lordo che l’impresa trae dal fare questo? È uguale al valore delle vendite e
quindi sarà uguale all’area del rettangolo 0pAB.
Qual è invece la misura del costo-opportunità dell’impresa dal fatto di produrre B? È rappresentato dall’area al
di sotto della funzione di costo marginale, OCAB. L’area in blu, CpA, indica la misura del beneficio netto,
quindi è il surplus (netto) del produttore.
Una volta che abbiamo la funzione di offerta della singola impresa in concorrenza perfetta e ci viene dato un
prezzo, in corrispondenza di quel prezzo vediamo l’output che l’impresa decide di offrire, e la differenza tra i
ricavi totali e i costi variabili è il surplus del produttore.

La funzione di offerta della singola impresa ha un’interpretazione precisa, ovvero è la funzione di costo
marginale. L’area al di sotto della funzione rappresenta i costi variabili.
La misura del beneficio che il singolo produttore trae dall’avere accesso agli scambi di mercato è che per ogni
unità venduta riceve P in rosso (per qualsiasi unità sia fino a B), ma il suo costo opportunità di questa
operazione non è sempre costante, varia perché i costi variabili sono rappresentati dall’area al di sotto della
funzione dei costi marginali. Il saggio a cui variano i costi variabili è la funzione di costo marginale. Quindi
dalla differenza tra il beneficio che ha l’impresa avendo accesso a degli scambi di mercato, per cui tutte le unità
sono scambiate al prezzo p, e il costo opportunità in termini di risorse per gli input variabili che deve utilizzare
è il surplus netto del produttore.

Per la produzione c’è una relazione tra il surplus del produttore ed i profitti. Consideriamo che dato un certo
prezzo p, la quantità che produce un'impresa sia ÿ. Quindi quanti sono i profitti della singola impresa in
corrispondenza di ÿ?

Surplus del produttore:

Quindi il surplus del produttore è uguale ai profitti in corrispondenza di ÿ più i costi fissi:

Per cui se noi facciamo il grafico, in uno supponiamo di porre la funzione di costo marginale, la funzione di
costo medio variabile, la funzione di costo medio e presumiamo di ripetere le stesse funzioni nell’altro grafico.
Supponiamo che la funzione di ricavo marginale sia quella rossa, con P.

Nel primo grafico come facciamo a trovare y ottimo dell’impresa? Dobbiamo trovare un punto in cui la
funzione di costo marginale taglia la funzione di ricavo marginale, la funzione di costo marginale è crescente e
la funzione di costo medio variabile sta al di sotto della funzione di costo marginale, quindi nel punto rosso,
cioè ÿ. Dove sono i profitti? In questo grafico, se il il punto rosso lo chiamo A e il punto di corrispondenza di
ÿi, lo chiamo B e la sua proiezione la chiamo C, i profitti della sua impresa sono uguali all’area CpAB.
Come vedo il surplus del produttore? E’ uguale alla differenza dei ricavi totali e all’area al di sotto dei costi
marginali, quindi è uguale all’area gialla del secondo grafico. C’è una relazione tra l’area rossa e l’area gialla;
l’area gialla è uguale a quella rossa ma in più contiene i costi fissi.

A questo punto siamo in grado per ogni impresa di definire la funzione di offerta di ogni singola impresa.
Ogni impresa avrà la sua tecnologia, quindi la sua funzione di produzione di breve, il suo input fisso, la sua
funzione di costo marginale di breve periodo e le sue funzioni di costo medio. Quindi siamo in grado di trovare
la funzione di offerta di un impresa, che non deve essere necessariamente uguale alla funzione di offerta di
un’altra impresa, perché i prezzi rilevanti sono gli stessi per tutte le imprese in concorrenza perfetta, ma ogni
singola impresa ha il suo particolare input fisso (z2), che se lo facciamo variare tra imprese, le funzioni di costo
di breve tra varie imprese sono diverse.

La funzione di offerta di ogni singola impresa in concorrenza perfetta, è uguale a un tratto crescente della
funzione di costo marginale; quindi, l’offerta della singola impresa non è mai negativamente inclinata. Se
diminuisce il prezzo non può aumentare la quantità offerta dalla singola impresa e questo avrà un’implicazione
in termini di offerta di mercato.
Anche nel caso dell’offerta non possiamo sommare i prezzi ma le cose che si possono sommare sono le
quantità offerte, quindi l’offerta di mercato è la somma orizzontale delle funzioni di offerta delle singole
imprese.

Consideriamo un qualsiasi prezzo p e supponiamo di avere l’impresa 1 e l’impresa 2. In corrispondenza di


questo prezzo p l’impresa 1 trova il massimo profitto offrendo y ̈1 e l’impresa due offrendo y ̈2. Quale sarà
l’offerta di mercato che corrisponde a quel p? Sarà uguale alla somma di questi y ̈.

Yt= quantità complessive offerte sul mercato


Quale sarà la caratteristica della funzione di offerta di mercato? Le funzioni di offerta delle singole imprese
sono sempre dei tratti non decrescenti delle funzioni di costo marginale; quindi, la conclusione che otteniamo a
livello di offerta di mercato è che l’offerta di mercato non è decrescente in p: se p scende non può aumentare
la quantità di bene che il complesso di produttori è disposto ad offrire sul mercato.
Grafico che rappresenta il mercato:

A inizio corso abbiamo detto che la funzione di offerta di mercato non può essere negativamente inclinata e che
la sua posizione dipende da alcuni fattori, ad esempio dalla tecnologia, poiché quest’ultima ha un impatto sulle
funzioni di costo delle singole imprese e la funzione di offerta della singola impresa è un tratto della funzione
di costo marginale. Per questo si ha una relazione tra tecnologia e funzione di offerta di mercato.
Si ha poi una relazione tra prezzo dei fattori di produzione e funzione di offerta di mercato perché, ancora una
volta, se si modificassero i prezzi dei fattori di produzione, si modifica la funzione di costo totale dell’impresa e
quindi si modifica la funzione di costo marginale della stessa impresa, e la funzione di offerta di mercato non è
altro che la somma orizzontale di queste funzioni di costo marginale. Se le retribuzioni salgono, l’offerta di
mercato subisce una contrazione, l’opposto nel caso in cui scendano.

Si ha una relazione anche tra la numerosità delle imprese presenti in un sistema e l’offerta di mercato. Tanto
più nascono nuove imprese che producono lo stesso bene, tanto più la funzione di offerta di mercato si
espanderà.
Adesso possiamo definire quello che si chiama equilibrio di concorrenza perfetta nel breve periodo.
L’equilibrio si stabilisce sul mercato dell’output, sul mercato del bene.

Mettiamo le quantità complessive di un certo bene Yt e il prezzo unitario di quel bene. Vogliamo rappresentare
le grandezze che si riferiscono al mercato e quindi avremo la funzione di domanda di mercato e la funzione di
offerta di mercato. Ora siamo in grado di dar perfettamente conto di come si arriva alla funzione di domanda di
mercato e di come si arriva alla funzione di offerta di mercato.
L’equilibrio si determina sul mercato del bene ed esso sarà la coppia di (y ̃T, p ̃) in corrispondenza del quale si
ha uguaglianza tra domanda di mercato e offerta di mercato.
Questo è ciò che succede sul mercato ma dal punto di vista della singola impresa che cosa succede? Dal punto
di vista della singola impresa dipenderà dalle condizioni di costo. Rappresentiamo allora nel secondo grafico le
condizioni di costo rilevanti e riportiamo p ̃ trovando l’output di massimo profitto della singola impresa (y ̈i).
Con questo prezzo l’impresa sperimenta dei profitti positivi in equilibrio (π ̈i>0)

Ma l’impresa in concorrenza perfetta potrebbe anche sperimentare in equilibrio dei profitti negativi, perché,
immaginando di considerare lo stesso p ̃ e spostando le funzioni di costo più in alto, p ̃ potrebbe trovarsi nella
situazione in cui in corrispondenza dell’output di massimo profitto dell’impresa (y ̈i), i profitti sono negativi
(π ̈i<0):

Dunque, in equilibrio di concorrenza perfetta di breve periodo possiamo avere:


• Delle imprese per cui in equilibrio i profitti sono maggiori di zero: π ̈i>0
• Delle imprese per cui in equilibrio i profitti sono negativi, ma il valore assoluto di questi profitti negativi è
più piccolo dei costi fissi: π ̈i<0 ma |π ̈i |<FC

Quindi in concorrenza perfetta possiamo essere in equilibrio con delle imprese che stanno subendo delle
perdite, purché queste non siano superiori ai costi fissi.
C’è una differenza in concorrenza perfetta tra la funzione di domanda di mercato e la funzione di domanda
percepita dalla singola impresa. La funzione di domanda di mercato può benissimo essere negativamente
inclinata, mentre la singola imprese percepisce la domanda che si rivolge specificatamente al suo output come
una funzione perfettamente elastica al prezzo di mercato.
Tendenzialmente negli esercizi sull’equilibrio di mercato viene chiesto qual è il surplus dei consumatori e qual
è il surplus dei produttori.

Sul mercato, considerando la funzione di domanda di mercato e la funzione di offerta di mercato, l’equilibrio è
in corrispondenza dell’intersezione tra le due. Chiamato A il punto di intersezione della funzione di domanda di
mercato sull’asse delle ordinate, B il punto di equilibrio e C il punto di intersezione della funzione di offerta di
mercato sull’asse delle ordinate, il surplus netto dei consumatori è uguale all’area al di sotto della funzione di
domanda ma al di sopra del prezzo di equilibrio e per analogia il surplus dei produttori è uguale all'area al di
sotto del presso di equilibrio ma sopra la funzione di offerta di mercato.

Ritornando alla situazione in cui in un mercato viene introdotta un’imposta, quando succede questo si ha una
perdita di surplus. I benefici generati dallo scambio di mercato sono la somma del surplus dei consumatori e dei
produttori.

Consideriamo la situazione in cui viene introdotta un’imposta costante per unità di bene scambiato. Sappiamo
che questa può essere introdotta o sulla funzione di domanda o sulla funzione di offerta e immaginiamo che
troviamo un nuovo output e un nuovo prezzo al lordo e prezzo al netto.
Cosa succede in termini di vantaggi che gli agenti economici traggono dall’avere accesso al mercato?
Distinguiamo le varie aree trovate e confrontiamo la situazione iniziale con la situazione finale (vedi tabella).
Essendo stata introdotta l’imposta abbiamo anche un terzo attore, lo Stato (E).
Facendo la somma di tutti i surplus iniziali e la somma di tutti i surplus finali abbiamo una differenza che è
uguale all’area C+E, che rappresenta la perdita netta in termini di benessere causata dall’introduzione della
tassa sul mercato.

Esercizi su breve periodo:


Nel breve periodo ci sono 10 imprese tutte uguali, che operano in mercati perfettamente concorrenziali
dell’input e dell’output. I saggi di remunerazione dell’input sono w1=2 ,w2=1/4 e le imprese vendono ad un
prezzo unitario uguale a p. La funzione di produzione di breve periodo della singola impresa è:

E ogni singola impresa ha una quantità di input 2 fissa uguale a 1024:

Si ricavi la funzione di costo totale di breve periodo della singola impresa e si rappresentino le funzioni di costo
marginale e di costo medio variabile.
Consideriamo la singola impresa.
Quindi la funzione di breve periodo della singola impresa sarà:
Per cui abbiamo che:
In questo modo abbiamo ottenuto la quantità di input variabile come funzione dell’output.
Quindi come è fatta STCi (yi)? È uguale al saggio di remunerazione dell’input variabile per z1 che abbiamo
appena trovato, più il saggio di remunerazione dell’input 2 per la quantità fissa di input 2.

Come è fatta la funzione di costo marginale di quest’impresa? È uguale alla derivata prima della funzione di
costo totale al variare di yi.

Come è fatta la funzione di costi medio variabili di quest’impresa? È uguale alla funzione di costi variabili
diviso yi.

Poi ci chiedono: Dopo aver definito la condizione di chiusura si ricavi la funzione di offerta di breve periodo
della singola impresa e poi la funzione di offerta di mercato.
La condizione di chiusura dipende dalla relazione tra la funzione di costi marginali e la funzioni di costi medi
variabili. Qui vediamo che la funzione di costi marginali non è mai più piccola della funzione di costi medi
variabili (SMCi >= AVCi); quindi, significa che in questo caso la condizione di chiusura non è mai soddisfatta.
Cioè l’impresa non preferirà mai chiudere.
Quindi la funzione di offerta Si della singola impresa corrisponde alla funzione di costo marginale della singola
impresa:

Qual è l’offerta di mercato? Tutte le imprese sono uguali quindi ciascuna ha questa funzione di offerta. Le
imprese sono dieci quindi l’offerta totale è:

Adesso ci dicono: Si assuma che nel mercato dell’output la funzione di domanda sia: p=1620-2yT e quindi si
determinino prezzo e quantità totale di output scambiato sul mercato e i profitti della singola impresa.
Per trovare l’equilibrio di mercato la domanda deve essere uguale all’offerta di mercato; quindi:

Quale sarà la quota di output prodotta dalla singola impresa?


Adesso possiamo calcolare i profitti di equilibrio della singola impresa. Questi sono uguali ai ricavi totali
(prezzo per quantità) meno la funzione di costi totali e meno i costi fissi.

ESERCIZIO 2:
Ci sono imprese identiche e la funzione di costo totale dell’impresa i è:
Si ricavino le funzioni di costo marginale e di costo medio variabile.

Dopo aver definito la condizione di chiusura si ricavi la funzione di offerta.


Dobbiamo vedere la relazione tra la funzione di costi marginali e la funzione di costi medi variabili. Per cui
abbiamo:

Da entrambe le parti togliamo 24 e ciò che rimane è:


Per cui per un output positivo, quando i costi marginali non sono superiori ai costi medi variabili? Quando
yi=4. Quando yi=4 abbiamo il minimo della funzione di costi medi variabili che sarà quindi uguale a:
La funzione di costi medi variabili raggiunge un minimo quando è tagliata dalla funzione di costo marginale,
quindi in corrispondenza di y per cui queste due grandezze sono uguali.
Come è fatta la funzione di offerta della singola impresa?
• Se il prezzo è inferiore a 8 la quantità offerta dalla singola impresa è uguale a 0 (perché vale la condizione di
chiusura)
• Se p≥8 la funzione di offerta sarà un pezzo della funzione di costo marginale.

Adesso ci dicono: In equilibrio di concorrenza perfetta il prezzo per unità di output è uguale a 36 (p ̃=36) e la
funzione di domanda di mercato è:
Quante sono le imprese presenti in questo mercato?
La funzione di offerta della singola impresa l’abbiamo trovata. p ̃=36 è maggiore di 8 quindi vuol dire che in
corrispondenza di quel prezzo le imprese saranno attive. Qual è la quantità complessivamente scambiata? Se
siamo in equilibrio vuol dire che:
E quindi che la quantità complessivamente scambiata di equilibrio deve essere uguale a:
Qual è il livello di output di equilibrio della singola impresa? La singola impresa decide di produrre in base alla
funzione di costo marginale quindi:

La prima non ha un senso dal punto di vista economico quindi troviamo 6. In corrispondenza del prezzo di
mercato la singola impresa produce 6, la quantità complessiva è 60, quindi il numero delle imprese è: 60/6=10.

Poi ci chiedono: A quanto ammontano i profitti di equilibrio di ogni impresa? E come si motiva il livello di
profitti ottenuto rispetto alla condizione di chiusura?
In corrispondenza di un prezzo uguale a 36, ogni impresa produce 6 e i suoi profitti saranno uguali ai ricavi
totali meno i costi totali:

Vediamo che siamo in una situazione di equilibrio di breve periodo ma ogni impresa sta sperimentando delle
perdite però continua a produrre perché 448<592 che sono i costi fissi.

ESERCIZIO 3:
C’è un’impresa per cui w1=9 ,w2=1/3, che vende a un prezzo p e la funzione di produzione dell’impresa a è
uguale a:

Si ricavi la funzione di produzione di breve periodo e la funzione di costo totale di breve periodo.

Costi totali di questa impresa: costi variabili più costi fissi:

Costi marginali di questa impresa: derivata prima della funzione di costi totali:

Costi medi variabili:

Ancora una volta otteniamo che i costi marginali non sono mai più piccoli dei costi medi variabili quindi la
condizione di chiusura non è mai soddisfatta.
Allora la condizione di offerta della funzione dell’impresa corrisponde alla sua funzione di costo marginale per
cui abbiamo che:
Ci dicono: In questo mercato c’è anche un’altra impresa b che produce lo stesso output ma ha una funzione di
offerta tale a p=1/3 yb. Si trovi la funzione di offerta di mercato.
p=1/3 yb questa è la funzione di offerta dell’impresa in forma inversa e noi dobbiamo ottenere la funzione di
offerta in forma diretta: yb=3p
Funzione di offerta di mercato:
SECONDO PARZIALE:

Abbiamo visto che nel breve periodo la singola impresa può, in equilibrio, avere sia profitti positivi che nulli,
che negativi, ma mai inferiori alla perdita che corrisponde ai costi fissi.
Passiamo ora al LUNGO PERIODO.
Mentre da un punto di vista temporale il breve periodo viene prima del lungo periodo, da un punto di vista
concettuale il breve periodo non è altro che una restrizione rispetto a ciò che si ipotizza per il lungo periodo.
Noi dobbiamo iniziare a fare un processo analogo agli assiomi sulle preferenze per il consumatore, ma adesso
non sono assiomi sulle preferenze ma sono proprietà delle tecnologie.
Quali sono le proprietà delle tecnologie che di solito si ritengono soddisfatte?
• L’impossibilità a produrre senza input: necessariamente la produzione richiede l’utilizzo di servizi dei
fattori di produzione. Senza i fattori di produzioni non si ottiene nulla
• L’irreversibilità: noi abbiamo gli input, c’è il processo di produzione e quindi si ottiene un output. Non è
possibile fare un processo inverso, ossia partire dall’output e ritornare ai servizi di produzione iniziali. Una
volta che il processo di produzione è compiuto si genera l’output e il processo è irreversibile
• La monotonicità: se aumentiamo la quantità di almeno un input, l’output non può diminuire. Magari non
aumenta ma non otteniamo un output più basso di quello che ottenevamo precedentemente.
• La convessità: se ho due combinazioni di fattori di produzione (z1,z2 ) e (z1',z2' ) e supponiamo di essere
nel lungo periodo, le quantità di entrambi gli input possono essere liberamente variate. Supponiamo inoltre
che, dato la tecnologia, la funzione di produzione quando utilizziamo z1 e z2 dia un certo y, ossia un certo
livello di output, che è esattamente uguale al livello di output che possiamo ottenere, al meglio dell’utilizzo
delle tecnologie, avendo a disposizione la combinazione di input z1' e z2'.

Sostanzialmente, se consideriamo due combinazioni di input che generano uno stesso livello di output in base
alla funzione di produzione, allora l’ipotesi di convessità corrisponde all’idea che se creiamo una terza
combinazione di fattori di produzione mischiando, secondo una stessa proporzione, gli input della prima
combinazione con quelli della seconda, otteniamo un output non inferiore a quello di partenza.

Mettiamo z1 sulle ascisse e z2 sulle ordinate. In questo grafico qualsiasi punto nel semiasse positivo delle
ascisse e delle ordinate corrisponde a una combinazione di fattori di produzione.
Considerando le due combinazioni A e B, per cui la produzione di output è la stessa, per l’ipotesi di convessità
qualsiasi combinazione di fattori di produzione che giace sul segmento che unisce le due combinazioni è tale da
generare un output che è almeno tanto quanto l’output che si produce con le combinazioni A e B.
Se considerassimo più fattori di produzione dovremmo avere delle rappresentazioni a più di tre dimensioni.
Una volta generata la superficie, possiamo sezionarla a determinate altezze fissando un livello di altezza che
corrisponde a un certo y1. Così facendo passiamo da una superfice a una curva.
Questo significa che, considerando A e B su una curva ottenuta, questi corrispondo a due combinazioni di input
che generano lo stesso livello di output y1. Sotto C e D rappresentano altre due combinazioni di input che
generano lo stesso livello di output y2. Quindi se manteniamo ferma la quantità di output prodotto, generiamo
delle curve che sono delle funzioni di isolivello (cioè si mantiene costante il livello dell’output): sono tutte le
combinazioni di input che generano lo stesso livello di output. Queste curve le si possono anche proiettare nel
piano le cui coordinate sono z1 e z2.

Tra consumo e produzione ci sono differenze sostanziali: l'output è quantità di un bene/servizio e ha


un’interpretazione cardinale (due bottigliette d’acqua sono esattamente il doppio di una bottiglietta d’acqua).
Quando abbiamo a che fare con il consumatore abbiamo una funzione di utilità che non ha un’interpretazione
cardinale ma solo ordinale.
In teoria del consumo, quando avevamo funzione di utilità e un paniere di beni, e generavamo queste curve di
isolivello le chiamavamo curve di indefferenza. Invece, in teoria della produzione queste curve di isolivello si
chiamano isoquanti. Un isoquanto è l’insieme di tutte le combinazioni di input che generano uno stesso
output.

Ritornando al grafico precedente, consideriamo gli isoquanti per y1 e y2 e li proiettiamo sul piano a due
dimensioni vediamo che in questo caso abbiamo a che fare con una tecnologia monotona perché quando
aumentiamo le quantità degli input otteniamo un output maggiore.
Dunque, sotto certe condizioni, possiamo concentrarci semplicemente nel grafico in cui mettiamo z1 sulle
ascisse e z2 sulle ordinate e in questo grafico rappresentiamo la mappa degli isoquanti.
Ad esempio, se partiamo da una superfice analoga a quella vista prima, otterremo una mappa di curve fatta in
questo modo e tale per cui se salto da un isoquanto all’altro, lontano dall’origine degli assi, il livello di output
corrispondente sta crescendo (perché maggiori sono le quantità degli input, maggiore è il livello di output).
Ovviamente anche gli isoquanti, per definizione, non possono intersecarsi perché corrispondo a livelli di output
diversi. Vedremo poi che se l’assioma di convessità è soddisfatto, gli isoquanti sono convessi.

D’ora in poi la situazione a cui faremo riferimento sarà una situazione in cui considereremo tutte le possibili
combinazioni di input e considereremo la tecnologia rappresentata dalla mappa degli isoquanti.
In teoria del consumatore la mappa delle curve di indifferenza rappresentava le preferenze del consumatore;
adesso la mappa degli isoquanti rappresenta le caratteristiche della tecnologia con cui abbiamo a che fare.
Nel breve periodo abbiamo già introdotto il concetto di funzione di prodotto marginale e di prodotto medio
dell’input variabile. Adesso tutti gli input sono variabili quindi avremo più funzioni di prodotto marginale, una
per ogni input. La funzione di prodotto marginale dell’input i sarà uguale alla derivata parziale della funzione
di produzione al variare delle quantità di input i.

È il saggio a cui varia l’output al variare esclusivamente di z1.


Se siamo in un mondo con due fattori di produzione ed entrambi possono variare, avremo una funzione di
prodotto marginale dell’input 1 e una funzione di prodotto marginale dell’input 2. Se avessimo tre fattori
avremmo tre funzioni di prodotto marginale.

Introduciamo ora un altro concetto. Quando eravamo nella teoria del consumo e avevamo una curva di
indifferenza, parlavamo di saggio marginale di sostituzione, ossia l’inclinazione di una curva di indifferenza in
un punto. Adesso abbiamo gli isoquanti e parliamo di saggio marginale di sostituzione tecnica (MRTS):
corrisponde all’inclinazione in un punto di un isoquanto.

Dal punto di vista economico qual è la sua interpretazione? Consideriamo un isoquanto che ci consente di
produrre un certo livello di output y ̅ e prendiamo due punti lungo questo isoquanto (A e B). Se vogliamo
passare da A a B è necessario aggiungere ∆z1e ridurre ∆z2. Ci spostiamo dunque a un’altra combinazione di
input che genera sempre lo stesso livello di output, perché sono entrambi punti che appartengono a uno stesso
isoquanto.
Se immaginiamo di fare il rapporto tra la variazione in z2 sulla variazione in z1, in questo caso si tratta di una
variazione discreta (perché passiamo da A a B); ma se consideriamo la variazione infinitesima stiamo
considerando l’inclinazione in un punto di un isoquanto. Quindi l’interpretazione dal punto di vista economico
è che il saggio marginale di sostituzione tecnica è il saggio a cui un input può essere sostituito all’altro a parità
di output.
Quando eravamo nel mondo delle preferenze il saggio marginale di sostituzione in valore assoluto
rappresentava il saggio a cui il consumatore era disposto a sostituire x1 a x2 a parità di soddisfazione; adesso il
valore assoluto rappresenta il saggio a cui la tecnologia richiede che sia sostituito z1 a z2 a parità di output.
Quindi come facciamo a ottenere questo saggio marginale di sostituzione tecnica? Prima di tutto se la
tecnologia è monotona, gli isoquanti sono negativamente inclinati, perché se aumentassimo le quantità di
entrambi i fattori di produzione, aumenterebbe l’output totale.
Immaginiamo di avere una funzione di produzione y=f(z1,z2 ) e consideriamo congiuntamente variazioni sia
nell’input 1 che nell’input 2, cioè consideriamo quello che si chiama il differenziale totale di questa funzione.
Se varia sia z1 che z2, il differenziale sarà uguale alla derivata parziale della funzione di produzione rispetto a
z1 per la variazione in z1 più la derivata parziale della funzione di produzione rispetto a z2 per la variazione in
z2:
Conosciamo cosa sono queste derivate parziali della funzione di produzione, ossia non sono altro che le
funzioni di prodotto marginale di cui parlavamo prima.
Quindi la formula diventa:
Se consideriamo un isoquanto, significa che vogliamo restringere la nostra attenzione a tutti gli z1 e z2 che
generano lo stesso livello di output, e quindi dy deve essere uguale a 0. Ma introducendo questa condizione
(dy=0) otteniamo che

Il primo membro è il saggio marginale di sostituzione tecnica; quindi, l’inclinazione in un punto di un


isoquanto corrisponde a (dz2)/(dz1) ad output costante e avendo la funzione di produzione, questo è uguale a
meno il rapporto tra le funzioni di prodotto marginale.

Il segno meno è dovuto al fatto che questo saggio marginale di sostituzione discende dall’imporre che la
variazione dell’output sia uguale a zero e per questo si guarderà al valore assoluto.

Quando abbiamo z1 e z2 e la funzione di produzione e la tecnologia è strettamente convessa, succede che anche
gli isoquanti sono strettamente convessi. Sono negativamente inclinati e strettamente convessi. L’inclinazione
negativa deriva dalla proprietà di monotonicità stretta mentre la convessità deriva dalla proprietà di convessità.
Quando gli isoquanti sono fatti in questo modo, se guardiamo all’inclinazione delle semirette tangenti ai diversi
punto dell’isoquanto, notiamo che l’inclinazione di queste diventa sempre più bassa. Quindi, il valore assoluto
del saggio marginale di sostituzione tecnica scende muovendosi verso il basso lungo l’isoquanto.

Abbiamo visto delle strette analogie tra consumo e produzione. Tuttavia, per la produzione ha senso introdurre
il concetto di RENDIMENTI DI SCALA, mentre non ha alcun senso per il consumo.
In un grafico mettiamo z1 sulle ascisse e z2 sulle ordinate e scegliamo una combinazione di input (z1, z2), per
la quale passerà un isoquanto che corrisponderà ad un certo livello di output y ̅.

Moltiplichiamo poi le quantità di input, considerando (2z1, 2z2). Abbiamo dunque variato gli input nella stessa
proporzione e da questa nuova combinazione passerà un altro isoquanto che corrisponderà a un livello di output
y ̇. I rendimenti di scala crescenti corrispondono all’idea che raddoppiando i fattori di combinazione, l’output
ottenuto (y ̇) è più grande di due volte dell’output precedente (y ̅). Questi confronti sono ragionevoli per la
produzione perché ha un’interpretazione cardinale; quindi, se produco 150 e prima producevo 50, 150 è più
grande del doppio di 50. In questo caso si parla di rendimenti di scala crescenti.
Sarebbe potuto succedere che raddoppiando i fattori di produzione l’output ottenuto sarebbe stato esattamente il
doppio di quello che avevo prima. Se questa relazione si verifica o no dipende solo dalla tecnologia e si parla di
rendimenti di scala costanti.
L’ultimo caso che si potrebbe verificare è che raddoppio gli input, ma l’output che genero è meno del doppio e
in questo caso di parla di rendimenti di scala decrescenti.
Dunque, nel lungo periodo e solo nell’ambito della produzione ha senso il concetto di rendimenti di scala.
Questi possono essere: crescenti, costanti e decrescenti.

Qual è l’implicazione dal punto di vista economico dei rendimenti di scala crescenti? Qui si hanno delle
implicazioni in termini di dimensione dell’impianto di produzione. Considerando la situazione di rendimenti
di scala crescenti, significa che la tecnologia è tale per cui se io confronto l’output complessivamente generato
da due piccoli impianti, questo è più piccolo dell’output che invece genererei se raggruppassi tutti gli input in
un unico impianto. Quando ci sono dei rendimenti di scala crescenti la dimensione dell’impianto è rilevante e la
grande dimensione è favorita da un punto di vista tecnologico: si riesce a fare tutti insieme qualcosa che non si
riesce a fare se si rimane invece divisi.

Quando i rendimenti di scala sono costanti la dimensione è irrilevante perché se ho la produzione


decentralizzata in tanti piccoli impianti oppure ne ho uno solo in cui raggruppo tutti i fattori di produzione, il
livello di output complessivo non cambia.

Invece se ho dei rendimenti di scala decrescenti accade esattamente l’opposto di quello che accade per i
rendimenti di scala crescenti, cioè è favorita la piccola dimensione.

I rendimenti di scala, dunque, sono qualcosa che discende dalle caratteristiche della tecnologia ma che ha un
impatto su quella che è la dimensione efficiente dell’impianto di produzione.
Noi sappiamo che ci sono delle situazioni in cui se competono imprese di grandi dimensioni con imprese di
piccole dimensioni, l’impresa di grande dimensione riesce a buttare fuori mercato l’impresa di piccola
dimensione. Questo è possibile quando ci sono dei rendimenti di scala crescenti: l’impresa di grande
dimensione riesce a ottenere risultati che non sono possibili sommando piccole dimensioni. Dunque, i
rendimenti di scala possono avere un impatto sul numero delle imprese che possono sopravvivere sul mercato.
Ora definiamo il concetto di rendimenti di scala in modo meno vago: variando tutti gli input nella stessa
proporzione si hanno:
• Rendimenti di scala crescenti se accade:
(t è il fattore di proporzionalità (t>1)
• Rendimenti di scala costanti se accade:
• Rendimenti di scala decrescenti se accade:
I rendimenti di scala hanno un senso nella produzione perché in essa abbiamo un’interpretazione strettamente
cardinale di quanto si riesce a produrre.

Noi di solito considereremo delle funzioni di produzione che hanno o rendimenti di scala crescenti o costanti o
decrescenti, però è possibile anche immaginare che ci siano delle tecnologie per cui i rendimenti di scala
possano variare in corrispondenza di livelli diversi di produzione, per cui si possa avere una successione tra
inizialmente dei rendimenti di scala crescenti, poi costanti e infine decrescenti.
Ne deriva che per relativamente piccoli livelli di output è meglio concentrare gli input in un unico impianto,
mentre per livelli di output molto grandi si manifestano dei rendimenti di scala decrescenti.

Da un punto di vista formale, partendo da una funzione di produzione, possiamo definire i rendimenti di scala
considerando l’omogeneità della stessa funzione. Considerando t>1, cos’è una funzione omogenea di grado r?
Una funzione si dice omogenea di grado r se abbiamo che
Se noi abbiamo una funzione di produzione che è omogenea di grado r allora è facile vedere quali sono i
rendimenti di scala perché per i rendimenti di scala facciamo il confronto tra f(tz1,tz2) rispetto a tf(z1,z2) ossia
la relazione che ci serve per stabilire i rendimenti di scala. Ma se la funzione di produzione è omogenea di
grado r vale l’uguaglianza di prima. Di conseguenza significa che abbiamo:

• Rendimenti di scala crescenti se


• Rendimenti di scala costanti se
• Rendimenti di scala decrescenti se
Il concetto di rendimenti di scala vale qualsiasi sia la funzione di produzione. Se è omogenea di grado r allora
semplicemente guardando quando è grande questo r (se è >,<o = a 1) possiamo stabilire se ci sono rendimenti
di scala crescenti, costanti o decrescenti.

Ad esempio, consideriamo la funzione di produzione Cobb-Douglas:


Quando parlavamo di funzioni di utilità dicevamo che è unica a meno di trasformazioni monotone positive,
questo perché la funzione di utilità ha un’interpretazione solo ordinale. Con la produzione non possiamo fare
trasformazioni perché se y è un certo numero e:
Quindi non possiamo fare trasformazioni con delle funzioni di produzione perché hanno un’interpretazione
cardinale. Dobbiamo prendere la funzione così com’è e tenercela perché altrimenti distorciamo i dati rispetto ai
livelli di output.
La funzione di produzione Cobb-Douglas è una funzione omogenea? Consideriamo:

Vediamo dunque che se la funzione di produzione è Cobb-Douglas allora è omogenea di grado (a+b). Significa
quindi che se ci danno la funzione di produzione Cobb-Douglas e ci chiedono di verificare i rendimenti di
scala, otteniamo che se la somma degli esponenti è più grande di 1, allora ci sono rendimenti di scala crescenti
(IRS); se la somma è uguale a 1 ci sono rendimenti di scala costanti (CRS); se la somma è più piccola di 1 ci
sono rendimenti di scala decrescenti (DRS).

Se abbiamo una funzione di produzione con input perfettamente sostituibili, avrà questa espressione:

Quando gli input sono perfettamente sostituibili come sono fatti gli isoquanti?

Fissiamo un livello di output e cioè consideriamo tutte le combinazioni di input che producono esattamente tale
livello (y ̅=az1+bz2). Nel momento in cui a e b sono parametri e y ̅ è un numero che ci è dato, questa non è
altro che l’equazione di una retta.
Quando gli input sono perfettamente sostituibili la mappa degli isoquanti corrisponde a un fascio di rette
parallele una all’altra. Gli isoquanti sono delle rette negativamente inclinate.
Il saggio marginale di sostituzione in valore assoluto è il rapporto tra il prodotto marginale dell’input 1 e il
prodotto marginale dell’input 2, ossia il rapporto tra la derivata parziale della funzione di produzione rispetto a
z1(quindi uguale ad a) e la derivata parziale della funzione di produzione rispetto a z2 (quindi uguale a b).
L’inclinazione in un punto di un isoquanto è uguale a una costante.
Se gli input sono perfettamente sostituibili che cosa possiamo dire in termini di rendimenti di scala?
Consideriamo:
Quindi se gli input sono sostituti perfetti la funzione di produzione è omogenea di grado 1. Ne consegue che i
rendimenti di scala sono costanti (CRS).

Quando gli input sono complementi perfetti/input perfettamente complementari:


La proporzione fissa a cui la tecnologia suggerisce di utilizzare input 1 con input 2 è quella che otteniamo
impostando l’uguaglianza:
Questa è l’equazione di una semiretta che esce dall’origine.
Gli isoquanti sono fatti ad L e tutti i punti d’angolo sono su quella semiretta che esce dall’origine. In questo
caso il saggio marginale di sostituzione tecnica è un po’ particolare perché in valore assoluto è infinito nel
tratto verticale dell’isoquanto, è 0 nel tratto orizzontale e non è definito nel punto d’angolo.
Adesso possiamo considerare un’impresa in concorrenza perfetta che si muove avendo questi dati:
da un lato considera un prezzo dato dell’output (p), c’è una tecnlogia che definisce come è fatta la funzione di
produzione f(z1,z2) e ci sono due altri prezzi rilevanti perché consideriamo un’impresa che è in concorrenza
perfetta sia nel mercato dell’output che nel mercato degli input; quindi, anche per gli input non è in grado di
decidere il prezzo ma confronta un saggio di remunerazione dell’input 1 (w1) e dell’input 2 (w2).

!!! In termini generali non necessariamente le condizioni di concorrenza nel mercato dell’output devono essere
le stesse di quelle nel mercato degli input. Un’impresa potrebbe essere l’unica impresa di un villaggio e quindi
da quel punto di vista potrebbe essere in una posizione dominante nel mercato del lavoro locale, ma allo stesso
tempo quell’impresa potrebbe produrre un bene che è prodotto da tante altre imprese che stanno da altre parti, e
quindi essere in concorrenza nel mercato dell’output. Al contrario, potrebbe essere in concorrenza nel mercato
degli input e avere una posizione dominante nel mercato dell’output.

Al momento consideriamo un’impresa che prende come dati il prezzo dell’output e i saggi di remunerazione
dei fattori di produzione e ha una funzione di produzione (che sempre rappresenta condizioni di efficienza in
ambito produttivo perché ci dà l’output massimo che si può ottenere per data combinazione di input).
Come possiamo vedere le scelte di massimizzazione dei profitti nel lungo periodo con questi elementi?
Se l’impresa utilizza una certa combinazione di fattori di produzione ne consegue che in termini di profitti
dell’impresa, che z1,z2 produrranno un output e questo può essere venduto al prezzo p. Ci sarà dunque un lato
di entrate per quanto riguarda l’impresa che sarà uguale a
Dall’altro lato, per poter avere a disposizione la combinazione di fattori (z1,z2) l’impresa deve anche essere in
grado di remunerare i fattori di produzione, e quindi ci sarà un lato di uscite che è uguale

Possiamo vedere la scelta di impresa come la scelta della combinazione (z1,z2) che massimizza questa
espressione:

Quali sono le condizioni del primo ordine per questa massimizzazione?


Il saggio a cui varia questa espressione al variare di z1 deve essere uguale a 0.

Queste sono le due condizioni che, una volta soddisfatte, ci danno (z1~ z2~), ossia la combinazione di input di
produzione che effettivamente è ottimo per l’impresa domandare.
L’interpretazione economica di queste due condizioni è che pMP1=w1 significa che il beneficio marginale in
termini di produzione di valore per l’impresa generata dall’utilizzo di un’unità di input 1 in più deve essere
uguale al suo costo-opportunità (il costo-opportunità di un’unità di input 1 è uguale al suo saggio di
remunerazione). Lo stesso tipo di interpretazione si ha per l’input 2.
ESEMPIO (funzione di produzione Cobb-Douglas):
Vogliamo massimizzare
scegliendo z1 e z2. Abbiamo dunque le due condizioni:
Adesso siamo in grado di calcolare le funzioni di prodotto marginale perché c’è stata data esplicitamente una
funzione di produzione. Il prodotto marginale dell’input 1 è la derivata parziale della funzione di produzione
rispetto a z1, quindi sarà uguale a .
Prendiamo queste due condizioni, che devono valere in corrispondenza di z ̃1 e z ̃2. Prendiamo la prima
condizione e moltiplichiamo sia a sinistra che a destra per z1 e facciamo lo stesso per la seconda condizione,
moltiplicando però per z2.
Adesso possiamo mettere in evidenza la relazione tra gli input e il livello di output perché la formula nel
riquadro è uguale a y, quindi è come se avessimo scritto la quarta condizione.
Come possiamo interpretare queste due funzioni? Le possiamo interpretare come una funzione di domanda
condizionata dei fattori di produzione. Condizionata a un determinato livello di output. Quindi se ci fosse un
certo obiettivo di output y allora la quantità ottima di z1=pay/w1 e la quantità ottima di z2=pby/w2.
In ogni caso abbiamo ottenuto queste espressioni che devono valere per z ̃1 e z ̃2. Sostituiamoli nella funzione
di produzione:

A questo punto possiamo mettere in evidenza y:

Posso ora risostituire e trovare le funzioni di domanda diretta degli input.

Otteniamo una funzione che è funzione solo o dei parametri della funzione di produzione o dei prezzi.
Si tratta della funzione di domanda diretta di input 1 perché è un’espressione in cui, al di là dei parametri a e b
della funzione di produzione, entrano solo i prezzi (prezzo dell’output e prezzi dei fattori di produzione).
Sostituendo otteniamo per z2 un’espressione analoga:

Così come facevamo nel breve periodo, noi vogliamo arrivare ad esprimere la funzione di profitto tutta come
funzione dell’output e quindi anche nel lungo periodo voglio vedere la massimizzazione del profitto d’impresa
in due stadi:
1. Minimizzazione delle remunerazioni degli input per dato obiettivo di output.
2. Determinazione della quantità ottima di output.
Al primo stadio l’impresa si domanda “se io avessi come obiettivo di output una certa quantità qual è la spesa
minima per le retribuzioni dei fattori di produzione che devo sostenere?” Una volta fatto questo per ogni livello
di output, l’impresa si domanda “avendo questa informazione, qual è effettivamente il livello di output che
conviene produrre?”.
Parliamo di remunerazione dei fattori di produzione complessivi. Dal punto di vista dell’impresa sono una voce
di spesa perché corrispondono a un flusso di denaro che va dall’impresa all’esterno. Quando eravamo in teoria
del consumo, consideravamo la retta di bilancio perché questa rappresentava tutte le combinazioni di beni che il
consumatore poteva acquistare utilizzando tutto il suo reddito. Adesso, invece, per l’impresa introduciamo il
concetto di isocosto. Un isocosto è l’insieme di tutte le combinazioni di input acquistabili con data spesa.
Immaginiamo che l’impresa consideri una certa quantità di denaro pari a C e si domandi “quali sono le
combinazioni dei fattori di produzione che possono essere acquistate spendendo esattamente C?”. Per trovare
l’espressione di un isocosto, data la definizione avremo:
Un isocosto rappresenta l’insieme di tutte le combinazioni di input che implicano uno stesso livello di spesa per
l’impresa.
Se mettiamo z1 sulle ascisse e z2 sulle ordinate, una volta che abbiamo fissato C possiamo rappresentarlo. Gli
isocosti sono delle semirette negativamente inclinate che tagliano l’asse delle ascisse in corrispondenza di C/w1
e l’asse delle ordinate in corrispondenza di C/w2.
Questa rappresentazione di isocosto ha un analogo in termini di teoria del consumo come retta di bilancio. Però
la differenza tra un’impresa e un consumatore è che il consumatore ha un dato reddito ed è quello, e ha una
retta di bilancio; invece, l’impresa dice “se io considero una certa quantità di denaro complessivo C, quelle che
abbiamo disegnato nel grafico sono tutte le combinazioni di input che posso acquistare”, considerando però una
quantità di denaro maggiore, a cui corrisponderà un altro isocosto, otterremo una retta parallela all’isocosto
precedente. Significa che l’impresa può considerare un insieme di infiniti isocosti che costituiscono un fascio di
rette parallele negativamente inclinate.
L’inclinazione di un isocosto è -w1/w2 .
Dato che i prezzi sono dati per l’impresa questo rapporto è anch’esso dato, ed è il saggio a cui l’impresa può
sostituire input 1 ad input 2 a parità di spesa complessiva.

Quindi, come possiamo vedere la scelta ottima dell’impresa? Possiamo vederla in due modi corrispondenti,
cosa che non potevamo fare nel caso del consumatore. Cioè possiamo immaginare che il problema dell’impresa
sia questo:

Disegniamo un unico isocosto e supponiamo di avere una tecnologia che soddisfa tutti gli assiomi di regolarità
e che dà luogo a una mappa di isoquanti strettamente convessi.
Se l’impresa tiene fisso un isocosto e considera la mappa degli isoquanti quale può essere il problema
dell’impresa? Vogliamo massimizzare l’output dato C, ossia vogliamo capire qual è l’isoquanto più alto che si
riesce a raggiungere con una data somma destinata alla remunerazione dei fattori di produzione. Questo accade
nella situazione di isoquanti convessi dove in corrispondenza di una situazione di tangenza tra isocosto e
isoquanto. Ciò è molto simile a quello che vedevamo in teoria del consumo, dove avevamo una retta di bilancio
e la mappa delle curve di indifferenza e volevamo massimizzare l’utilità soggetta al vincolo di bilancio.
Ma per l’impresa, ossia in questa situazione dato un isocosto, la combinazione dei fattori di produzione ottima
è (~z1,z2~) a cui corrisponde il livello di output che appartiene all’isoquanto intermedio che abbiamo
disegnato.
Ma per l’impresa c’è un’analogia tra questo tipo di ragionamento e un altro:
Consideriamo una mappa di isocosti e immaginiamo di disegnare nel secondo grafico un unico isoquanto che
corrisponde all’isoquanto y ̇. In questo caso stiamo ragionando in un modo corrispondente al grafico precedente
che ha senso per un’impresa, cioè stiamo supponendo di avere come obiettivo di output y ̇. Qual è la spesa
minima destinata a retribuire i fattori di produzione che è necessaria per produrre y ̇? La spesa minima è quella
determinata dall’isocosto più basso che sia tangente a questo isoquanto. Nel grafico stiamo minimizzando C
dato y ̇.
Per un’impresa c’è una corrispondenza tra massimizzare l’output dato un certo livello di costo C e minimizzare
C dato come obiettivo il massimo di output.
In entrambi i casi la condizione per (z1,z1) ottimi è la condizione di tangenza tra isocosto e isoquanto. Come
detto precedentemente, l’inclinazione di un isocosto è il rapporto tra i saggi di remunerazione, mentre
l’inclinazione in un punto di un isoquanto è il rapporto tra il prodotto marginale dell’input 1 e il prodotto
marginale dell’input 2, cioè è il saggio marginale di sostituzione tecnica.

Quindi (z1,z2) ottimi discendono dalla condizione di tangenza, cioè il rapporto tra le funzioni di prodotto
marginale è uguale al rapporto tra i saggi di remunerazione.
Quando abbiamo effettivamente una funzione di produzione per cui posso calcolare le funzioni di prodotto
marginale, questa condizione è la condizione che determina le combinazioni ottime di fattori di produzione.
Quindi, per quanto riguarda la produzione si ottiene una situazione di questo genere:

Consideriamo tutti i possibili isocosti e tutti i possibili isoquanti. Abbiamo dunque una mappa di isocosti, una
mappa di isoquanti e avremo un insieme di combinazioni ottime. Questo insieme di combinazioni ottime
ricorda la curva reddito-consumo in teoria del consumo, invece, in questo caso, ossia nell’ambito della
produzione, si parla di sentiero di espansione dell’output. Definizione: luogo delle combinazioni ottime dei
fattori di produzione al variare di y. Indica come varia la combinazione ottima dei fattori di produzione al
variare dell’output.
Dal punto di vista formale è analogo al concetto di curva reddito-consumo per il consumatore, ma per quanto
riguarda la produzione, dato che non ha senso considerare una quantità fissa di denaro per la remunerazione dei
fattori di produzione, ma ha senso considerare un insieme di isocosti, quindi in termini di produzione c’è una
corrispondenza tra questa massimizzazione dell’output per dato costo e la minimizzazione del costo per dato
obiettivo di output.

Allora, se noi abbiamo la mappa di tutti i possibili isocosti e la mappa degli isoquanti, dalle condizioni di
tangenza otteniamo le combinazioni ottime dei fattori di produzione.
Per cui, supponendo che disegnando questi isoquanti sappiamo che il primo isoquanto corrisponda a un livello
di output uguale a y1, il secondo a y2 e il terzo a y3, cosa ci dice il sentiero di espansione dell’output? Facendo
le coordinate di tutti questi punti di tangenza, capiamo che se vogliamo produrre y1 allora la combinazione
ottima è (z1',z2'), se vogliamo produrre y2 allora la combinazione ottima (z1'',z2'') e se invece vogliamo
produrre y3 allora la combinazione ottima (z1''',z2'').
Questa è la lettura dell’insieme delle combinazioni ottime al variare di y che si chiama sentiero di espansione
dell’output.

Se la funzione di produzione è omogenea, allora gli isoquanti sono espansioni radiali uno dell’altro e, così
come accadeva quando le funzioni di utilità erano omotetiche, ne consegue che il sentiero di espansione
dell’output è una semiretta dall’origine degli assi.
Al di là di questo aspetto che è un particolare andamento del sentiero di espansione dell’output se la funzione è
omogenea, si ha: mappa di isocosti, mappa di isoquanti, insieme di combinazioni ottime dei fattori di
produzione al variare di y (sentiero di espansione). Una volta che ho quest’ultimo posso ricavare la spesa
minima necessaria per retribuire i fattori di produzione che corrisponderebbe alla spesa dell’isocosto più basso.
Se l’obiettivo di output fosse y2 qual è la spesa minima che l’impresa deve sostituire per retribuire i fattori di
produzione in condizioni ottime? È quella che corrisponde all’isocosto che è tangente all’isoquanto che
corrisponde ad y2. Qual è la spesa minima che l’impresa incorrerebbe se volesse produrre y3? È quella che
corrisponde al terzo isocosto.

Dunque, in produzione, una volta che abbiamo il sentiero di espansione possiamo ricavare la funzione di costo
di lungo periodo (LTC(y)) che rappresenta la spesa minima per la retribuzione dei fattori di produzione per
dato obiettivo di output.
Dal sentiero di espansione posso associare ad ogni obiettivo di output un isocosto. Sono tutti punti che
appartengono alla funzione di costo di lungo periodo. A seconda di come è fatto il sentiero di espansione se ne
indurrà una diversa forma della funzione di costo di lungo periodo (può essere prima concava e poi convessa).
La forma della funzione di costo di lungo periodo discende dal sentiero di espansione, e quindi è determinata
sia da come sono fatti gli isocosti sia da come sono piegati gli isoquanti.
Come posso pensare alla funzione di costo di lungo periodo? È l’esito di questo processo di minimizzazione
della spesa per le retribuzioni dei fattori di produzione soggetta a un vincolo (f(z1,z2 )=y). Operativamente la
funzione di costo di lungo periodo si ricava dal sentiero di espansione dell’output.

Noi adesso non sappiamo quale sia esattamente l’andamento della funzione di costo totale di lungo periodo ma
possiamo sapere che è crescente perché ad obiettivi di output maggiori corrisponde l’utilizzo di quantità di
input maggiori e quindi una spesa complessiva superiore. Sappiamo inoltre che la funzione di costo di lungo
periodo parte dall’origine degli assi, perché se l’obiettivo è produrre zero, la spesa minima necessaria è zero.
Qui abbiamo una differenza sostanziale con la funzione di costo totale di breve periodo perché in quel caso,
anche se l’obiettivo di output era zero, i costi erano uguali ai costi fissi. Invece nel lungo periodo, dato che tutti
gli input possono essere liberamente variati, la funzione di costo totale parte dall’origine.

L’ottimo nella produzione del lungo periodo dà luogo a quello che chiamavamo sentiero di espansione
dell’output, che era il luogo dei punti di tangenza tra isocosti e isoquanti. Quindi dal sentiero di espansione
dell’output, che cosa si può fare? Dal sentiero di espansione si possono trarre queste informazioni, si hanno le
combinazioni ottime di input per ogni possibile output y e in corrispondenza ad un particolare isocosto.
Dal sentiero di espansione si possono trarre in particolare le informazioni tra livello di output y e spesa minima
necessaria (C~) per produrre quel determinato livello di output e quindi si può costruire quella che è la funzione
di costo di lungo periodo LTC (y).

L’andamento della funzione di costo di lungo periodo dipende dalle caratteristiche della funzione di
produzione. Vedremo che ad esempio a seconda che la funzione di produzione abbia dei rendimenti di scala
costanti, crescenti o decrescenti ci sarà un determinato andamento della funzione di costo totale di lungo
periodo. Cosa possiamo dire della funzione di costo totale di lungo periodo? Essa passa dall’origine, perchè se
siamo nel lungo periodo la spesa minima per i fattori di produzione se non vogliamo produrre niente è zero.
Quindi in un grafico in cui mettiamo y sulle ascisse e la funzione di costi totali sulle ordinate, la funzione di
costi totali necessariamente passa dall’origine (y=0 costo, costi totali di lungo periodo=0).
Dopodichè, in termini generali possiamo dire che sarà crescente in y, cioè dato che appunto la produzione è un
processo che necessariamente impiega delle risorse di produzione, che necessariamente impiega dei fattori di
produzione, se vogliamo aumentare l’output anche in condizioni di efficienza, bisogna aumentare l’utilizzo dei
fattori di produzione e quindi i costi totali di lungo periodo saranno crescenti in y. Non è possibile che più
output produciamo e meno è la spesa complessiva per la produzione. Tuttavia questo è il massimo che
possiamo dire in termini generali.
Dalla funzione di costi di lungo periodo noi adesso saremo in grado di derivare due altre funzioni.
Confronto:
Nel breve periodo noi avevamo la funzione di costi di breve periodo STC, adesso (cioè nel lungo periodo) noi
abbiamo la funzione di costi totali di lungo periodo. La funzione di costi totali di breve periodo aveva due
componenti i costi variabili VC e i costi fissi FC, invece la funzione di costi di lungo periodo dipende
necessariamente da y, tutti gli elementi dipendono necessariamente da y.
Dalla funzione di costi di breve ricavavamo la funzione di costi marginali di breve e qui vediamo invece che ci
occuperemo di una funzione di costi marginali di lungo periodo. Nel breve periodo in termini di costi medi noi
avevamo diverse variabili, avevamo i costi medi di breve periodo, i costi medi variabili e i costi medi fissi,
avevamo tre funzioni di costo medio che potevamo considerare. Adesso, invece, dato che tutta la funzione di
costo totale di lungo periodo, tutti gli argomenti sono funzione di y avremo un’unica funzione di costo medio,
che adesso andiamo a considerare. Quindi le funzioni di costo da considerare nel lungo periodo sono minori di
quelle che si considerano nel breve.

Allora adesso iniziamo con la funzione di costo marginale di lungo periodo LMC(y). Il concetto di costo
marginale è sempre lo stesso, per cui la funzione di costo marginale di lungo periodo indica il saggio a cui
variano i costi totali di lungo periodo (LTC) al variare di y. Dal punto di vista geometrico i costi marginali
corrispondono all’inclinazione in un punto della funzione di costi totali di lungo periodo LTC.
Ad esempio immaginiamo che la funzione di costi totali di lungo periodo sia questa:

Sulle ascisse mettiamo y e sulle ordinate mettiamo i costi totali di lungo periodo LTC e supponiamo che la
tecnologia sia tale da dimostrare dei rendimenti di scala prima crescenti e poi decrescenti. In questo caso
l’andamento della funzione di costi totali parte sempre dall’origine, è una funzione crescente in y e supponete
che sia prima concava e poi convessa. Che cos’è la funzione di costo marginale? È il saggio a cui variano i
costi totali al variare di y e l’inclinazione in un punto della funzione di costo totale. Quindi è come se noi per i
diversi punti di questa funzione guardassimo all’inclinazione della semiretta tangente alla funzione nei diversi
punti. Quindi i costi marginali di lungo periodo, dal punto di vista formale, corrispondono alla derivata prima
della funzione di costi totali di lungo periodo al variare di y.

Se noi vogliamo capire com’è l’andamento di questa funzione di costi marginali, vogliamo vedere come varia
la funzione di costi marginali di lungo periodo al variare di y, ma dato che la funzione di costi marginali è già
essa stessa una derivata prima della funzione di costi totali di lungo periodo, guardare all’andamento della
funzione di costi marginali di lungo periodo significa essenzialmente guardare alla derivata seconda della
funzione di costi totali. Quindi necessariamente abbiamo che nel tratto concavo della funzione di costi totali di
lungo periodo, accade che la derivata seconda della funzione di costi totali è minore di zero e quindi significa
che i costi marginali stanno scendendo, cioè che il saggio a cui si incrementano i costi totali al variare di y
diminuisce.

Mentre invece se la funzione di costi totali ha un tratto convesso come in questo caso, allora la derivata seconda
della funzione di costi totali è positiva, il che significa che in corrispondenza del tratto convesso la funzione di
costi marginali invece sta salendo. Quindi se questa è la nostra funzione di costi totali, questa funzione ha
prima un tratto concavo, poi c’è un punto di flesso e poi la funzione diventa convessa. Per cui si avrà che il
costo marginale è prima decrescente e poi è crescente. Quindi se la funzione di costo totale di lungo periodo è
fatta in quel modo che stiamo considerando, la funzione di costo marginale di lungo periodo LMC, sarà fatta a
U:
È decrescente in corrispondenza del tratto concavo della funzione di costi totali, è crescente in corrispondenza
del tratto convesso e raggiunge un punto di minimo in corrispondenza del punto di flesso della funzione di costi
totali.

Consideriamo adesso LAC, cioè il costo medio di lungo periodo che rappresenta il costo unitario di
produzione, ovvero il costo medio sarà uguale al rapporto tra la funzione di costi totali di lungo periodo e y,
cioè il costo per ogni unità di output.
Dal punto di vista geometrico, come facciamo a vedere il costo medio? Utilizziamo lo stesso criterio che
utilizzavamo precedentemente:

Se noi mettiamo y sulle ascisse e la funzione di costi totali di lungo periodo sulle ordinate. Immaginiamo di
nuovo che questa funzione di costo totale sia prima concava e poi convessa, allora a che cosa corrisponde il
costo medio? Il costo medio dicevamo che corrisponde al rapporto tra funzione di costi totali e y, quindi
scegliamo un particolare y ad esempio y’, a questo y’ corrispondono le quantità di costi totali di lungo periodo
C’. Se noi facciamo C’ diviso y’ dal punto di vista trigonometrico stiamo misurando l’angolo che è formato con
il semiasse positivo delle ascisse dalla semiretta che nasce dall’origine e passa per questo punto della funzione
di costo totale di lungo periodo. Per cui, considerando y via via crescenti, notiamo che l’inclinazione di questa
retta in rosso, mano mano che facciamo crescere y si abbassa, ci sarà una situazione in cui questa semiretta, che
unisce l’origine con un punto della funzione di costo totale, sarà tale da non intersecare la funzione di costi
totali ma sarà semplicemente tangente alla funzione di costi totali.
Dopodichè abbiamo che se consideriamo y via via crescenti, l’inclinazione della semiretta diventa quella in blu
e vediamo che a questo punto l’inclinazione tende a salire.
Com’è fatta la funzione di costo medio?

La funzione di costo medio LAC ha prima un tratto decrescente e poi inizia a salire, quindi è fatta ad U anche
questa e c’è un punto in corrispondenza del quale questa funzione raggiunge un punto di minimo.
Come abbiamo imparato a fare per il breve periodo, così anche per il lungo periodo c’è una relazione tra
l’andamento della funzione di costo medio di lungo periodo e la funzione di costo marginale. Se noi vogliamo
vedere come si muove la funzione dei costi medi, facciamo la derivata prima della funzione di costi medi al
variare di y. Ma questa è la derivata prima di che cosa? I costi medi sono il rapporto tra i costi totali e y, quindi
noi in realtà stiamo facendo la derivata di un rapporto tra funzioni di y e quindi quello che otteniamo è la
derivata prima della funzione di costi totali al variare di y che moltiplica 1/y meno i costi totali diviso y al
quadrato.

Quindi questa espressione la possiamo scrivere come 1/y che moltiplica che cosa? La derivata prima dei costi
totali al variare di y non è altro che la funzione di costi marginali di lungo periodo, mentre l’altra espressione
non è altro che la funzione di costo medio di lungo periodo.

Quindi l’andamento dalla funzione di costo medio di lungo periodo dipende da come si posizionano costo
marginale rispetto a costo medio. Per cui abbiamo che:
• Se il costo marginale è più piccolo del costo medio, allora il termine dentro la parentesi quadra sarà un
numero negativo, ciò significa che i costi medi stanno scendendo, quindi quando i costi marginali sono più
bassi dei costi medi, i costi medi stanno scendendo.
• Se i costi marginali sono più alti dei costi medi, il termine dentro la parentesi quadra è positivo per cui i costi
medi di lungo periodo stanno salendo.
• Se i costi marginali sono esattamente uguali ai costi medi di lungo periodo, abbiamo il minimo della
funzione di costi medi perché quella derivata è uguale a zero.

Quindi la relazione tra la funzione di costi marginali e la funzione di costi medi è fatta in questo modo:

Mettiamo sulle ascisse y e sulle ordinate mettiamo la funzione di costi medi e la funzione di costo marginale di
lungo periodo. Se la funzione di costo totale e prima concava e poi convessa, che cosa succede? Abbiamo detto
che la funzione di costo marginale è fatta ad U prima decresce e poi cresce, raggiunge un minimo in
corrispondenza del punto di flesso della funzione di costi totali di lungo periodo.
La funzione di costi medi di lungo periodo ha anch’essa un andamento ad U e abbiamo questa relazione: finché
la funzione di costo marginale e sotto la funzione di costo medio, il costo medio scende, quando invece il costo
marginale è sopra il costo medio, il costo medio sale. C’è un punto in cui la funzione di costo medio è tagliata
dal basso verso l’alto dalla funzione di costo marginale, questo punto è il minimo della funzione di costo
medio. Quindi costo medio e costo marginale sono entrambe fatte ad U, la funzione di costo marginale taglia la
funzione di costo medio nel punto di minimo. Ovviamente l’andamento di queste funzioni dipende dalla
concavità o convessità della funzione di costo totale di lungo periodo.

L’altra volta abbiamo introdotto il concetto dei rendimenti di scala e abbiamo detto che i rendimenti di scala
guardano a quanto varia la produzione se si variano proporzionalmente tutti gli input.
Quando abbiamo rendimenti di scala costanti succede che la dimensione degli impianti non è rilevante, per cui
se variamo proporzionalmente tutti gli input, l’output varia nella stessa proporzione, per cui avere un unico
grande impianto dove concentriamo i fattori di produzione o avere n distinti impianti consente lo stesso livello
di output totale.
Quando i rendimenti di scala sono costanti (CRS) allora la funzione di costi totali LTC è una retta che esce
dall’origine, perché i costi variano sempre nella stessa proporzione.

In questo caso come sono fatte le funzioni di costo marginale e le funzioni di costo medio? Allora il costo
marginale è l’inclinazione in un punto della funzione di costi totali, se la funzione di costi totali è una retta, il
costo marginale rimane lo stesso. Quindi la funzione di costo marginale è una semiretta parallela all’asse delle
ascisse.
Com’è fatta la funzione di costo medio? Anche la funzione di costo medio è costante e coincide con la funzione
di costo marginale.

Se invece ci sono dei rendimenti di scala decrescenti (DRS), significa che se moltiplichiamo tutti i fattori di
produzione per lamda, l’output aumenta meno di lamda volte. Quindi in termini di utilizzo di risorse se noi
vogliamo fare aumentare di lamda l’output, i costi devono aumentare più che proporzionalmente. Quindi
quando si hanno dei rendimenti di scala decrescenti.

Se mettiamo sulle ascisse y e sulle ordinate la funzione dei costi totali di lungo periodo questa è una funzione
sempre convessa. Se la funzione è sempre convessa, le funzioni di costo marginale e di costo medio sono
entrambe sempre crescenti. Quindi data la relazione tra funzione di costo marginale e funzione di costo medio
abbiamo una funzione di costo marginale sempre crescente e una funzione di costo medio sempre crescente,
con il costo medio che sta al di sotto del costo marginale.

Se abbiamo dei rendimenti di scala crescenti (IRS), significa che se facciamo variare di lamda tutti i fattori di
produzione, l’output aumenta più di lamda volte quindi abbiamo un andamento concavo della funzione di costi
totali. Se l’andamento è concavo, le funzioni di costo marginale e di costo medio sono entrambe decrescenti.
Quindi avremo una funzione di costo marginale che sta al di sotto della funzione di costi medi.

RELAZIONE TRA LTC E STC: cioè costi di lungo e costi di breve.


Allora i costi di lungo LTC, arrivano dal minimizzare la spesa per tutti i fattori di produzione per dati obiettivi
di output. I costi invece di breve vogliono fare una cosa simile ma l’unica spesa che si può minimizzare è
quella legata all’input variabile perché l’input fisso è fisso, altrimenti non saremmo nel breve periodo.
Quindi succede che i costi minimi quando tutti gli input sono variabili, cioè nel lungo periodo, sono pari al
costo minimo se z2, che è l’input fisso, è fisso in corrispondenza del livello che minimizza i costi del lungo
periodo.
Quindi la spesa minima necessaria per tutti gli input quando tutti gli input sono variabili deve essere
necessariamente uguale alla spesa minima nel breve periodo, quando l’input fisso z2 capita che sia proprio
fisso al livello che comunque sceglieremmo se fossimo nel lungo periodo.
Quindi ci sarà un y in corrispondenza del quale i costi totali di breve sono uguali ai costi totali di lungo.
Dopodichè per tutti gli y diversi, i costi di breve saranno sempre maggiori dei costi di lungo, perché nel breve
l’input fisso sarà fisso a un livello che non è il livello che sceglieremmo nel lungo periodo e tutti gli input sono
a un livello che non si sceglierebbe nel breve periodo.
Di conseguenza come possiamo vedere questa relazione?
Mettiamo z1 sulle ascisse e z2 sulle ordinate, immaginiamo di essere nel lungo periodo e di essere in una
situazione in cui la funzione di produzione è omogenea. (Noi sappiamo che quando la funzione di produzione è
omogenea, il sentiero di espansione è una semiretta che esce dall’origine). Nel lungo periodo abbiamo la mappa
degli isoquanti, e poi avremo la mappa di isocosti e il sentiero di espansione.
Il sentiero di espansione è il luogo delle combinazioni ottime dei fattori di produzione. Siamo nella produzione
quindi per ogni isoquanto noi sapremo esattamente quali quantità di output corrispondono a quell’isoquanto. Se
siamo nel lungo periodo e siamo liberi di scegliere z1 e z2, succederà che se vogliamo produrre y1 sceglieremo
z1’ e z2’, con questi costi complessivi e costi totali corrisponderanno al primo isocosto che chiamo C1.
Se invece l’obiettivo di produrre è y2, succederà che utilizzerò la combinazione di fattori di produzione z1’’ e
z2’’, a cui corrisponderà quest’altro livello di isocosti C2 e così via.

Ora immaginiamo una situazione in cui al posto del lungo periodo, siamo nel breve periodo. Nel breve periodo
z2 sarà fisso ad un certo livello, per cui se vogliamo incrementare il livello di output, supponiamo che quella in
blu sia una semiretta parallela all’asse delle ascisse, cioè prendiamo il primo isocosto C1 e nel punto in cui
taglia l’asse delle ordinate tracciamo una semiretta parallela all’asse delle ascisse.
Quindi questa semiretta taglia il sentiero di espansione in un punto, dato che quel punto appartiene anche al
sentiero di espansione, in corrispondenza di quel punto ci sarà una tangenza tra un isocosto e un isoquanto.
Questa semiretta in blu è come se rappresentasse il sentiero di espansione nel breve periodo, perchè nel breve
periodo io non posso scegliere z2, ma z2 rimane fisso. Adesso consideriamo l’obiettivo di output y1, io sono
nel lungo periodo e voglio questa combinazione di input z1’ e z2’. Quali sono i costi totali in questo caso?
Sono uguali a C1.

Adesso immaginiamo di essere nel breve periodo, con questo z2 fisso a questo livello z2 sopra barrato.
Se io sono nel breve periodo e voglio produrre y1, cosa devo fare? Vado in corrispondenza di z2 barrato
sull’isoquanto che consente sempre di produrre y1. In questa situazione succede che la combinazione ottima di
fattori di produzione nel lungo è diversa dalla combinazione ottima che scelgo nel breve.
Com’è la relazione in termini di costi? I costi totali nel lungo periodo corrispondono a questo C1 mentre i costi
che corrispondono a quest’altro punto che sarebbe la mia scelta nel breve periodo, corrisponderanno a questo
livello di isocosti, per questo punto che chiamo B, passa necessariamente un isocosto, il quale è più in alto
rispetto a C1. Quindi che cosa significa? Significa che nel breve periodo i costi totali saranno uguali alla
quantità totale di denaro che si deve spendere, che corrisponde a questo nuovo isocosto che è più alto rispetto a
quello in lungo periodo.

Adesso passiamo al livello di output y2, nel lungo periodo mi sistemo in corrispondenza del punto D, a quanto
ammontano i costi totali quando l’isocosto che è tangente all’isoquanto che consente di produrre y2
esattamente nel punto D per questo ho C2.
Che cosa succederebbe se sono nel breve periodo? Se sono nel breve periodo e ho sempre questo z2
soprassegnato non posso stare in D perché z2 è fisso e di conseguenza starò in corrispondenza del punto E, ma
in corrispondenza di E passa un isocosto più alto di C2 che quindi sarà uguale a C2E che è più alto.

Adesso considerate il punto F, che corrisponde al punto in cui il sentiero di espansione di breve periodo taglia il
sentiero di espansione del lungo periodo. In corrispondenza di F, se sono nel lungo periodo scelgo la
combinazione di fattori di produzione z1F e Z2 sarebbe uguale alla quantità che è fissa nel breve periodo.
Quindi in corrispondenza di F la combinazione di fattori di produzione che sceglierei nel lungo periodo, è
esattamente uguale a quella che posso scegliere se sono nel breve, perché Z2, l’input fisso, è proprio fisso al
livello che io comunque sceglierei se fossi nel lungo periodo.
Quindi in corrispondenza di questo output y cappuccio, i costi sono gli stessi sia nel breve che nel lungo
periodo.

Se io invece volessi un livello di output y3, che cosa succederebbe?


Se fossi nel lungo periodo, mi sistemo in corrispondenza del punto G, dove c’è tangenza tra isocosto e
isoquanto e quel punto G quindi y3, dicevamo che corrispondeva ad un isocosto che chiamavamo C3.
Se sono nel breve periodo l’input fisso, è fisso a quel valore Z2 soprassegnato, quindi non posso scegliere il
punto G, perché non posso variare Z2, quindi se avessi l’obiettivo di produrre y3 devo spostarmi in
corrispondenza della combinazione H. Ma in corrispondenza di questa combinazione H, passerà un isocosto più
alto rispetto a quello che passa per il punto G e quindi io avrò dei costi nel breve periodo, più alti rispetto a
quelli che ho nel lungo periodo, avrò una situazione in cui faccio nel breve quello che farei se fossi
completamente libero.

In tutte le altre situazioni ho un vincolo su quello che posso fare e di conseguenza i costi nel breve sono più alti
dei costi nel lungo periodo. Di conseguenza cosa succede alle funzioni di costo medio di breve e di lungo?
Quando la funzione di costi medi di lungo periodo LAC è fatta ad U, per cui la funzione di costi totali di lungo
periodo è prima concava e poi convessa, esiste un punto di tangenza tra la funzione di costi medi di breve SAC
e funzione di costi medi di lungo LAC. Quando i costi totali di lungo sono uguali ai costi totali di breve anche i
costi medi sono gli stessi. Quando i costi medi sono gli stessi vuol dire che c’è un punto di tangenza tra la
funzione di costi medi di breve periodo e la funzione di costi medi di lungo periodo.
Lungo il tratto decrescente della funzione di costi medi di lungo periodo LAC, i punti di tangenza tra funzione
di costi medi di breve e funzioni di costi medi di lungo sono a sinistra del minimo della funzione di costi medi
di breve periodo. Mentre invece lungo il tratto crescente della funzione di costi medi di lungo periodo LAC, i
punti di tangenza tra funzione di costi medi di breve e funzione di costi medi di lungo sono a destra del minimo
della funzione di costi medi di breve periodo.

Quindi stiamo considerando il caso di una funzione di costi medi di lungo periodo fatta ad U, che prima è
decrescente e poi è crescente. Immaginate che questa sia la funzione di costi medi di lungo periodo, che
raggiunge un punto di minimo lì.
Mentre di funzione di costi medi ne esiste una sola, di funzioni di costo medio di breve periodo ne esiste un
numero infinito perché a seconda del livello di input fisso avrò diverse funzioni di costo medio di breve
periodo. Se l’input fisso, è fisso a 10 ho una certa funzione di costo di breve, se è fisso a 20 ho un’altra
funzione di costo di breve. Quindi avrò tante funzioni di costo medio. Anche le funzioni di costo medio saranno
fatte a U e c’è un punto in cui costo medio di breve e costo medio di lungo saranno uguali. Questo punto è un
punto di tangenza, perché la funzione di costo totale di lungo periodo non può essere mai al di sopra della
funzione di costo totale di breve periodo. Succede che nel tratto decrescente della funzione di costo medio di
lungo periodo si ha il punto di tangenza tra la funzione di costo medio di breve e la funzione di costo di lungo è
a sinistra del punto di minimo della funzione di costi medi di breve. Nel tratto crescente della funzione di costo
medio di lungo periodo accade esattamente l’opposto, cioè succederà che c’è un punto di tangenza, questa è
un’altra funzione di costi medi, che corrisponde a un diverso livello dell’input fisso. In corrispondenza
esattamente del punto di minimo della funzione di costi medi di lungo accade che questo punto sarà tangente a
una funzione di costi medi di breve periodo e il punto di tangenza sarà esattamente in corrispondenza del punto
di minimo. Invece per tutto il tratto decrescente il punto di tangenza è a sinistra del punto di minimo della
funzione di costi medi e per tutto il tratto crescente il punto di tangenza è a destra del punto di minimo della
funzione dei costi medi.

Quando questo accade, cioè la funzione di costi totali di lungo periodo è prima concava e poi convessa, per cui
la funzione di costo medio è fatta a U, si dice che la funzione di costo medio di lungo è l’inviluppo di tutte le
funzioni di costo medio di breve periodo.
Abbiamo detto che noi avremo un numero infinito di funzioni di costo medio di breve periodo, ognuna per ogni
livello di input fisso che possiamo considerare, se facciamo l’inviluppo di tutte queste funzioni di costo medio,
quello che otteniamo è la funzione di costo medio di lungo periodo.
Questa è la relazione tra la funzione di costo medio di lungo e le funzioni di costo medio di breve periodo, ma
noi sappiamo che le funzioni di costo medio hanno una loro relazione con le funzioni di costo marginale,
quindi quello che ne discende è quest’altro effetto. La funzione di costo medio di lungo è l’inviluppo delle
funzioni di costo medio di breve e ci sono tutti questi punti di tangenza tra la funzione di costo medio di breve e
la funzione di costo medio di lungo. Si può dimostrare che in corrispondenza dei punti di tangenza tra la
funzione di costo medio di lungo e funzione di costo medio di breve periodo, il costo marginale di lungo
LMC è uguale al costo marginale di breve periodo SMC, solo in corrispondenza di quei punti di tangenza.
Per cui se io volessi unire al grafico le funzioni di costo marginale, allora in corrispondenza dei punti di
tangenza tra funzioni di costi medi, i costi marginali sono uguali ai costi di lungo.
Quindi la funzione di costo medio di lungo è l’inviluppo delle funzioni di costo medio di breve periodo, in
corrispondenza dei punti di tangenza tra costo medio di lungo e di breve, le funzioni di costi marginali si
intersecano.

Ovviamente il breve periodo è più svantaggiato rispetto al lungo periodo perché nel lungo periodo io posso
aggiustare tutti i miei input di produzione a seconda dei miei obiettivi di output e nel breve periodo invece sono
vincolato, quindi non è possibile che nel breve periodo riesca a fare meglio di quanto faccia nel lungo. Ci sarà
una situazione in cui riesco a fare tanto bene quanto farei nel lungo periodo, altrimenti faccio sempre peggio in
termini di costi totali nel breve rispetto al lungo.

Adesso vedremo come sono le funzioni di costo totale per alcune delle funzioni di produzione che noi
utilizzeremo più comunemente.
Funzione di produzione di lungo periodo COBB-DOUGLAS:
Prodotto marginale dell’input 1(MP1) corrisponde alla derivata parziale della funzione di produzione rispetto a
z1, per cui sarà uguale ad a che moltiplica z1 elevato alla a meno 1 per z2 elevato a b. Invece prodotto
marginale dell’input 2(MP2) sarà uguale alla derivata parziale della funzione di produzione rispetto a z2, per
cui sarà uguale a b che moltiplica z1 elevato alla a per z2 elevato alla b meno 1. Saggio marginale di
sostituzione tecnica (MRTS) in valore assoluto è uguale al rapporto tra le funzioni di prodotto marginale quindi
MP1/MP2 che è uguale ad a/b che moltiplica z2/z1.

Ottimo della produzione nel lungo periodo: punti di tangenza tra isoquanti e isocosti per cui significa dire che il
saggio marginale di sostituzione tecnica MRTS deve essere uguale al rapporto tra i saggi di remunerazione dei
fattori di produzione (w1/w2), per cui ottengo che a/b che moltiplica z2/z1 deve essere uguale a w1/w2.

a e b sono dei parametri dati, e l’impresa in concorrenza perfetta considera anche w1 e w2 come dati, quindi da
questa relazione otteniamo la relazione tra la quantità di input 2 (z2) e la quantità di input 1 nelle combinazioni
ottime dei fattori di produzione quindi avremo: z2 è uguale a b/a che moltiplica w1/w2 per z1. Questi primi due
termini saranno due numeri, quindi otteniamo una relazione tra z2 e z1, che è dato. Questa sarà l’equazione del
sentiero di espansione. Però dobbiamo arrivare alla funzione di costi totali di lungo periodo, quindi adesso
sostituiamo questa combinazione ottima tra z1 e z2 all’interno della funzione di produzione:

Noi vogliamo arrivare alla funzione di costi totali LTC(y), quindi dobbiamo invertire questa espressione, cioè
trovare z1 come funzione di y, quindi avremo che z1 sarà uguale ad a/b che moltiplica w1/w2 elevato a b/a più
b per y elevato alla 1/a più b. Nell’espressione precedente avevamo trovato y come funzione di z1 invertiamo
quella funzione e troviamo z1 come funzione di y.

A questo punto abbiamo tutto per arrivare alla funzione di costi totali di lungo periodo (LTC) che avrà due
componenti: una è la remunerazione associata al fattore 1 e l’altra è la remunerazione associata al fattore 2,
quindi w1 per z1 ottimo è uguale ad a/b che moltiplica w2/w1 elevato alla b/ a più b che moltiplica y elevato ad
1/ a più b più w2 che moltiplica z2 che è b/a che moltiplica w1/w2 che moltiplica a/b per w1/w2 elevato a b/a
più b che moltiplica y elevato a 1/ a più b. Quindi raccogliendo otteniamo a più b che moltiplica w1/a elevato
ad a per w2/b elevato a b per y tutto elevato a 1/ a più b.
Quindi in sintesi si trova la relazione tra z1 e z2, la si sostituisce alla funzione di produzione poi si procede.

Come sarà la funzione di ricavi marginali LMC(y)?


È la derivata prima di questa funzione rispetto a y, quindi sarà uguale a più b/ a più b che moltiplica w1/a
elevato alla a per w2/b elevato alla b per y elevato alla 1 meno a meno b/ a più b per cui questo si semplifica.

Com’è fatta la funzione di costi medi LAC(y)? È uguale alla funzione di costi totali diviso y, quindi a più b che
moltiplica w1/a elevato alla a per w2/b elevato alla b per y alla 1 meno a meno b/ a più b.

La funzione di produzione COBB-DOUGLAS è una funzione omogenea di grado a più b, se a più b è uguale a
1 i rendimenti d scala sono costanti, se a più b è più grande di 1 i rendimenti di scala sono crescenti, altrimenti
sono decrescenti. Ne consegue una relazione che rimane sempre la stessa tra costi marginali e costi medi di
lungo periodo, perché a seconda dei rendimenti di scala, la funzione di costo marginale e di costo medio
possono essere o sempre crescenti o sempre decrescenti o sempre costanti.

SOSTITUTI PERFETTI:
Abbiamo dei rendimenti di scala costanti CRS perché questa funzione è omogenea di grado 1. Il valore assoluto
del saggio marginale di sostituzione tecnica è sempre uguale al rapporto tra i prodotti marginali e in questo caso
sarà uguale ad a/b, sappiamo che gli isoquanti sono un fascio di rette parallele, allora che cosa avremo?
Avremo che è possibile che a/b sia maggiore di w1/w2, cioè è possibile che l’inclinazione del valore assoluto di
un isoquanto sia maggiore dell’inclinazione in valore assoluto di un isocosto. In questi casi non sorprende il
fatto che la combinazione ottima dei fattori di produzione sarà una soluzione ad angolo cioè si usa solo uno dei
fattori di produzione.

SE a/b>w1/w2 allora si usa solo z1, quindi succederà che y=az1, quindi z1=y/a, di conseguenza la funzione di
costi totali di lungo periodo LTC(y)=w1 y/a;
SE a/b<w1/w2 allora si usa solo z2, quindi y=bz2 e z2=y/b e LTC(y)=w2 y/b, dato che i rendimenti di scala
sono costanti, i costi marginali sono uguali ai costi medi e sono costanti, cioè LMC=LAC=w1 1/a oppure w2 1/
b.

COMPLEMENTI PERFETTI:
Quando la funzione è questa, tutti gli isoquanti sono fatti ad L e hanno una stessa bisettrice che esce
dall’origine che è il sentiero di espansione dell’output.
L’equazione della bisettrice si ottiene impostando che az1=bz2 quindi z2=a/b z1.

Anche qui abbiamo che la funzione di costi totali è una semiretta che esce dall’origine e quindi la funzione di
costo marginale è uguale alla funzione di costo medio e sono delle costanti, quindi LMC=LAC= bw1+aw2/ab.

Adesso l’impresa sa per ogni livello di output qual è la spesa minima che deve sostenere, il problema è quale
livello di output produrre.
Adesso possiamo scrivere la funzione di profitto dell’impresa tutta come funzione dell’output, quindi pi greco
come funzione di y sarà uguale alla differenza tra i ricavi totali e i costi totali di lungo periodo.

Come sono i ricavi totali? Siamo in concorrenza perfetta per cui l’impresa continua a percepire una funzione di
domanda perfettamente elastica in corrispondenza del prezzo di mercato, quindi l’impresa pensa alla sua
funzione di ricavi totali come prodotto del prezzo a cui si può vendere l’output sul mercato p per y, quindi la
funzione di profitto diventa p y-LTC(y).

Cosa vorrà fare l’impresa? L’impresa vuole massimizzare i profitti scegliendo y. Quale sarà la condizione per
massimizzare i profitti? Sarà che la derivata prima della funzione di profitto rispetto a y sarà uguale a zero e
quindi la derivata prima della funzione dei ricavi totali al variare di y deve essere uguale alla derivata prima
della funzione di costi totali di lungo periodo al variare di y.

L’espressione sulla sinistra riquadrata è la funzione di ricavo marginale, è il saggio a cui variano i ricavi totali
al variare di y, deve essere uguale a quest’altra (cerchiata) derivata prima che è il costo marginale di lungo
periodo, in più in concorrenza perfetta i ricavi marginali sono costanti e uguali a p, quindi p è uguale al costo
marginale. Da questa condizione otteniamo l’output maggiore di zero che massimizza i profitti dell’impresa.

Nel breve periodo avevamo la condizione di chiusura, l’impresa può vedere qual è l’output positivo che
massimizza i suoi profitti e lo confronta con la situazione in cui produce zero, anche nel lungo periodo c’è un
ragionamento simile, ma qual è il costo opportunità di un’impresa nel lungo periodo? È sempre più alto che nel
breve, perché se l’impresa decide di produrre zero, i suoi profitti sono uguali a zero perché non vende nulla ma
non spende neanche nulla per remunerare i fattori fissi.
Per cui quando l’impresa sceglierà y con il puntino che ricaviamo da questa condizione rispetto ad y =0?
Abbiamo che y con il puntino sarà strettamente preferito a zero quando i profitti che conseguono a y con il
puntino sono maggiori o al limite uguali a zero.

Questi profitti sono uguali a p per y con il puntino meno i costi totali in funzione di y con il puntino, che
possiamo scrivere anche in questo modo: raccogliamo y con il puntino che moltiplica la differenza tra il prezzo
e i costi medi in corrispondenza di y con il puntino.
Perché il prezzo p in concorrenza perfetta non è soltanto uguale al ricavo marginale ma anche al ricavo medio
p=MR=AR. Quindi y con il puntino è preferibile a non produrre nulla se il prezzo non è più basso del costo
medio in corrispondenza di y con il puntino perché altrimenti i profitti in corrispondenza di y con il puntino
sono negativi.
Di conseguenza y con il puntino l’avevamo trovato uguagliando il prezzo al costo marginale, quindi deve
essere che il prezzo uguale al costo marginale funzione di y con il puntino non sia più piccolo del costo medio
in corrispondenza di y con il puntino.

Ma noi sappiamo che esistono delle relazioni particolari tra funzioni di costo medio e funzioni di costo
marginali:
Sulle ascisse mettiamo y e sulle ordinate la funzione di costo medio e la funzione di costo marginale di lungo
periodo. Disegniamo le funzioni di costo marginale e medio, supponiamo che la funzione di costo totale di
lungo periodo sia prima concava e poi convessa per cui queste due funzioni sono fatte ad U. Supponete che
quella in blu sia la funzione di costo marginale e quella in rosso sia la funzione di costo medio. Noi sappiamo
che la funzione di costo marginale taglia dal basso verso l’alto la funzione di costo medio in corrispondenza del
punto di minimo della funzione di costo medio, quindi se vado sull’asse delle ordinate ho il minimo della
funzione di costo medio di lungo periodo. Quindi per tutti i prezzi p uguali al costo marginale e più piccoli del
costo medio è meglio non produrre, quindi ho un primo pezzo della funzione di offerta dell’impresa che dirà
che per tutti i prezzi più piccoli del minimo della funzione di costo medio l’offerta è zero cioè c’è un primo
tratto che corrisponde a questo segmento sull’asse delle ordinate in verde, invece per tutti i prezzi che sono
almeno pari al minimo della funzione di costo medio all’impresa conviene sempre produrre, in base alla
relazione p uguale al costo marginale, quindi questo tratto della funzione di costo marginale dal punto di
minimo della funzione di costo medio in poi, questa funzione in verde è l’offerta della singola impresa nel
lungo periodo. Quindi cos’è la funzione di offerta della singola impresa nel lungo periodo? È il tratto crescente
della funzione di costo marginale al di sopra del punto di minimo della funzione di costo medio di lungo
periodo.

Nel breve periodo invece la funzione di offerta della singola impresa era la funzione di costo marginale al di
sopra del punto di minimo della funzione dei costi medi variabili. Ovviamente adesso nel lungo periodo i
profitti alternativi alla produzione sono zero e noi abbiamo visto, nella relazione tra le funzioni di costo di
breve e le funzioni di costo di lungo periodo, che la funzione di costo marginale di breve sarà più ripida della
funzione di costo marginale di lungo periodo. Da questa condizione si ricava la funzione di offerta della singola
impresa nel lungo periodo.
Quindi:
• Se p >= al minimo della funzione di costi medi allora la funzione di offerta è determinata da p=costi
marginali LMC (y)
• Se p < del minimo della funzione di costi medi allora y ottimo è uguale a zero.

Che cosa succede nel mercato in equilibrio di lungo periodo? Sappiamo adesso come si comporta la singola
impresa, avrà la sua funzione di offerta di lungo. L’equilibrio di lungo periodo è diverso da quello di breve
periodo in concorrenza perfetta. Nel breve periodo era dato un numero di imprese n, ogni impresa ha la sua
funzione di offerta, se sommiamo orizzontalmente quelle funzioni di offerta si ottiene la funzione di offerta di
breve periodo di mercato. Dopodichè avevamo la funzione di offerta di mercato, la uguagliavamo alla funzione
di domanda di mercato, e ottenevamo il prezzo di equilibrio. Dato quel prezzo andavamo a vedere che cosa
faceva la singola impresa ed era possibile che il profitto in equilibrio della singola impresa fosse positivo,
negativo o uguale a zero.

Nel lungo periodo cosa accade? In concorrenza perfetta nel lungo periodo il numero delle imprese è endogeno,
cioè c’è libertà di entrata e di uscita dal mercato. Significa che in concorrenza perfetta, che è un estremo che
garantisce condizioni di massima competitività, se un imprenditore vuole può iniziare la produzione in un
determinato mercato, così come se un’impresa vuole smettere di produrre semplicemente esce dal mercato.
Questa libertà di entrata e di uscita dal mercato avrà un effetto sulla funzione di offerta di mercato di lungo
periodo, perché immaginate di essere in una situazione di breve periodo in cui le imprese presenti sul mercato
di un particolare ben stanno realizzando dei profitti positivi. Questi profitti positivi indicano che dopo aver
pagato i fattori di produzione rimangono ancora dei denari nelle casse delle imprese. Questi profitti positivi
fanno da attrattore per le nuove imprese, perché significa che in quel mercato ci sono delle condizioni
vantaggiose in termini di profittabilità. Quindi significa che se i profitti fossero positivi, essendoci libertà di
entrata, nasceranno nuove imprese, ma se nascono nuove imprese l’offerta di mercato continuerà ad espandersi.

Nel caso opposto, invece, in cui nel breve periodo le imprese sperimentassero delle perdite, nel momento in cui
tutti i fattori diventano variabili si avrebbe un’emorragia di imprese, perché le imprese sceglierebbero di uscire
dal mercato e questo chiaramente avrebbe un impatto sulla funzione di offerta di mercato. Sostanzialmente
succede che se c’è libertà di entrata e di uscita in un mercato, come succede in concorrenza perfetta in lungo
periodo, gli unici profitti della singola impresa in equilibrio devono essere zero, perché se sono positivi il
mercato non è stabile ed entrano nuove imprese, se i profitti fossero negativi anche qui la situazione non è
stabile, ed escono delle imprese dal mercato. L’unica situazione di equilibrio nel lungo periodo in concorrenza
perfetta è una situazione di profitti della singola impresa uguali a zero. Ma profitti uguali a zero implicano che
in equilibrio di concorrenza perfetta si ha che il prezzo è uguale al costo marginale che è uguale al costo medio:
p=LMC(y)=LAC(y).

Questa condizione si ha solo quando il prezzo è uguale al costo marginale che è uguale al punto di minimo
della funzione di costo medio di lungo periodo: p=LMC(y)= MIN LAC.
Quindi l’offerta di mercato nel lungo periodo è una retta orizzontale in corrispondenza di p= MIN LAC.
Perché in concorrenza perfetta nel lungo periodo, il numero delle imprese è endogeno, cioè continua a
modificarsi a seconda delle condizioni di redditività, fino a portare a profitti uguali a zero.
Quindi la funzione di offerta di mercato di lungo periodo è fatta in questo modo:
Immaginiamo che le imprese siano tutte uguali e che si abbia:

La funzione di offerta della singola impresa che cos’è? Per ogni p minore della funzione di costo medio la
funzione di offerta è uguale a zero e poi corrisponde a questo tratto crescente della funzione di costo marginale,
in corrispondenza del quale si avrebbero sempre dei profitti positivi, ma questo comporterebbe l’entrata di
nuove imprese, quindi in equilibrio nel lungo periodo la funzione di offerta di mercato è una retta orizzontale
parallela all’asse delle ascisse in corrispondenza del punto di minimo della funzione di costo medio.
Quindi significa che quando le funzioni di costo sono fatte ad U, voi dovete calcolarvi il minimo della funzione
di costo medio, in corrispondenza di quel prezzo si ha la funzione di offerta di mercato. Quindi che cosa
succederà sul mercato? Questa in verde sarà la funzione di offerta di mercato, ci sarà una funzione di domanda
di mercato, ci sarà un punto di equilibrio tra quantità e offerta, questo determinerà una quantità totale scambiata
sul mercato, quantità totale scambiata sul mercato al prezzo esattamente al minimo della funzione dei costi
medi. Quante sono le imprese? Qui la singola impresa ottiene il minimo della funzione di costi medi in
corrispondenza di questo y i con il puntino, se questo è l’equilibrio di mercato allora il numero di imprese
presenti in concorrenza perfetta sarà uguale a questo yt/y con il puntino i. Il numero delle imprese presenti in
un mercato in concorrenza perfetta nel lungo periodo è endogeno cioè viene determinato in equilibrio e nel
lungo periodo l’unica situazione di compatibilità con l’equilibrio sono profitti delle singole imprese uguali a
zero.

ESERCIZIO 1:
Viene data questa funzione di produzione:
Allora si determini il tipo di rendimenti di scala. Poi ci si domanda, se tutti gli input venissero quadruplicati
come varierebbe la produzione?
Allora andiamo a vedere i rendimenti di scala di questa funzione. A parte il fatto che essendo una funzione di
produzione COBB-DOUGLAS, noi sappiamo che è omogenea di grado uguale alla somma degli esponenti, in
questo caso ½ +1/6 è più piccolo di 1, quindi abbiamo rendimenti di scala decrescenti.
Ma possiamo anche farlo vedere:

Questa espressione è più piccola di lamda per z1 elavato ad ½ per z2 elevato ad 1/6, quindi ci sono dei
rendimenti decrescenti di scala, quindi se io quadruplico input 1 e input 2, l’output meno che quadruplica,
l’output aumenta ma non diventa uguale a quattro volte l’output originario.

Si ricavino le funzioni di domanda condizionata dei fattori. Esse sono ad esempio z1 ottimo come funzione di
w1, w2, y e altrettanto sarà z2 funzione di w1, w2, y.
Come faccio a trovare le funzioni di domanda condizionate? Allora sono nel lungo periodo, devo trovare prima
la combinazione ottima del fattore di produzione, quindi calcoliamo il valore assoluto del saggio marginale di
sostituzione tecnica che è uguale al rapporto tra prodotto marginale dell’input 1 e prodotto marginale dell’input
2 e sarà uguale a:

Quindi ottimo della produzione: sentiero di espansione, valore assoluto del saggio marginale di sostituzione
tecnica uguale al rapporto tra i saggi di remunerazione dei fattori di produzione:

Questa è l’espressione del sentiero di espansione, mi dà la combinazione tra z1 e z2 in corrispondenza di tutte


le combinazioni ottime. A questo sostituisco questa relazione all’interno della funzione di produzione:

Quindi ottengo y come funzione di z1, io voglio la relazione inversa cioè z1 in funzione di y quindi:

Questa è la domanda condizionata dell’input 1, qual è la funzione di domanda condizionata dell’input 2?

Questa è la domanda condizionata dell’input 2.

Ci dicono che w1=3 w2=16, dobbiamo trovare il sentiero di espansione e le funzioni di costo totale di lungo
periodo.
Adesso abbiamo i saggi di remunerazione, quindi sarà:
Lo sostituiamo nella funzione di produzione oppure possiamo scrivere

A questo punto ho sia z1 che z2 in funzione di y e posso costruire la funzione di costi totali:

Non mi sorprende il fatto che sia una funzione convessa, è una funzione convessa perché ci sono dei rendimenti
di scala decrescenti, quindi mi immagino di trovare delle funzioni di costo marginale e di costo medio sempre
crescenti. Di fatto il costo marginale di lungo periodo, derivata prima della funzione di costo totale al variare di
y:

Ci sono rendimenti di scala decrescenti, la funzione di costi totali è convessa e la funzione dei costi marginali è
più grande dei costi medi LMC>LAC.
Il sentiero di espansione è

ESERCIZIO 2
In un mercato perfettamente concorrenziale, tutte le imprese che producono il bene y sono caratterizzate dalla
stessa funzione di costi totali, quindi abbiamo tutte imprese uguali e la funzione di costi totali è uguale a:

Questa è la funzione di costi totali dell’impresa i.


Ci chiedono di trovare la funzione di costo marginale e di costo medio di lungo periodo. Allora funzione di
costo marginale, cioè la derivata prima della funzioni di costo totale al variare di y con i:
La funzione di costo medio è uguale al rapporto tra costo totale e y, quindi:
Se noi guardiamo come sono fatte queste funzioni sono fatte ad U. Quindi qual è l’output yi con il puntino in
corrispondenza del quale c’è il minimo della funzione di costi medi, quell’output yi con il puntino è quello in
corrispondenza del quale i costi marginali di lungo periodo sono uguali ai costi medi, perché il minimo della
funzione di costi medi si ha quando la funzione di costi marginali taglia la funzione di costi medi.

Quindi imponiamo questa condizione:

Quindi questa espressione è vera quando yi=0 e quando yi=2. Quindi 2 è y con il puntino, è l’y in
corrispondenza del quale si ha il minimo della funzione di costi medi. Quindi il minimo della funzione di costi
medi è uguale alla funzione di costi medi quando yi è uguale a 2.

Ci chiedono, dopo aver specificato la relazione tra costi marginali e costi medi, si determini la funzione di
offerta di lungo periodo dell’impresa i:
Si determini la funzione di offerta di mercato nel lungo periodo.
Dato che c’è libertà di entrata e di uscita sul mercato, la funzione di offerta di lungo periodo di mercato cosa
sarà?

La funzione di offerta sarà una retta parallela all’asse delle ascisse, in corrispondenza del minimo della
funzione di costo medio, quindi in corrispondenza di un prezzo uguale a 6. Per cui come si risponde? Si dice
che in equilibrio, i profitti dell’impresa devono essere uguali a zero, e quindi la funzione di offerta di mercato è
una retta parallela all’asse delle ascisse in corrispondenza di p=6. A questo punto l’esercizio dice, la funzione
di domanda di mercato è:
E ci viene chiesto, dopo aver determinato il punto di equilibrio tra domanda e offerta di mercato, si determini il
numero delle imprese in equilibrio di lungo periodo.
EQUILIBRIO DI MERCATO:
Domanda di mercato=offerta di mercato.

Ogni singola impresa produce in corrispondenza del minimo della sua funzione di costi medi di lungo periodo,
quindi ogni singola impresa produce 2. Quant’è n?
Abbiamo terminato la concorrenza perfetta.

Fino ad ora noi ci siamo occupati di ciò che succede nel mercato assumendo condizioni di concorrenza perfetta,
in termini di competitività non si può migliorare rispetto alla concorrenza perfetta che è già perfetta. Quindi la
concorrenza perfetta è una situazione ideale estrema. In termini di competitività tra imprese, l’opposto di una
situazione in concorrenza perfetta è una situazione di monopolio.
Una situazione di monopolio è una situazione in cui esiste un’unica impresa che produce un determinato bene,
quindi un determinato bene è prodotto solo da un’unica impresa.

Chiaramente se in concorrenza perfetta abbiamo il massimo della concorrenzialità tra le imprese, la situazione
di monopolio è quando un’impresa è da sola sul mercato. Questo che effetto avrà? In concorrenza perfetta ogni
impresa deve immaginare qual è la funzione di domanda che si rivolge al suo di output. In concorrenza perfetta,
questa funzione di domanda percepita dalla singola impresa era una retta parallela all’asse delle ascisse, era
perfettamente elastica al prezzo di mercato. Se io però ho un’unica impresa che sa di essere l’unica, qual è la
funzione di domanda che l’impresa percepisce? È esattamente la domanda di mercato, perché essendo
l’unica impresa che può fornire un determinato bene, si ha un’unica impresa.
Quali possono essere delle ragioni di monopolio? Come si può arrivare ad una situazione in cui esiste un’unica
impresa che produce un determinato bene?
• Una ragione è il controllo esclusivo su degli input fondamentali, se voi pensate ad esempio in termini di
materie prime, in termini di certi minerali, se l’impresa avesse il controllo di tutte le cave di estrazione di un
particolare minerale, questo le consentirebbe di poter esercitare un controllo esclusivo sul bene che è
prodotto utilizzando quel minerale. Quindi una ragione per l’insorgenza del monopolio è il controllo
esclusivo su input fondamentali.
• Un’altra ragione sono economie di scala e questo corrisponde all’idea di quello che noi chiameremo
monopolio naturale. Una ragione per il monopolio sono delle ingenti economie di scala, cioè dei rendimenti
crescenti di scala particolarmente consistenti, quando i rendimenti di scala sono crescenti è favorita la grande
impresa, la quale può produrre a condizioni di costo non raggiungibili da imprese più piccole. Quando questo
è vero, se anche si parte da un mercato con più imprese, la grande impresa riesce a buttare fuori dal mercato
tutti i concorrenti fino a che rimane da sola.
• Un’altra ragione di monopolio sono i brevetti, per i vaccini ci sono i brevetti, quindi per un particolare
vaccino c’è un’unica impresa che può produrlo, lo produce in regime di monopolio. (In alcune situazioni
sono considerati inopportuni).
• Un ultimo punto sono gli appalti o licenze governative, nel mondo di adesso sono poche le situazioni di
monopolio, però 30/40 anni fa, ad esempio l'energia elettrica era appaltata ad un’unica impresa, i servizi di
telefonia potevano essere svolti da un’unica impresa, la televisione era unica e quindi c’era un sistema di
appalti e di licenze governative in cui c’erano dei monopoli per via di licenze governative.
Quali possono essere delle ragioni di monopolio? Come si può arrivare ad una situazione in cui esiste un’unica
impresa che produce un determinato bene?
• Una ragione è il controllo esclusivo su degli input fondamentali, se voi pensate ad esempio in termini di
materie prime, in termini di certi minerali, se l’impresa avesse il controllo di tutte le cave di estrazione di un
particolare minerale, questo le consentirebbe di poter esercitare un controllo esclusivo sul bene che è
prodotto utilizzando quel minerale. Quindi una ragione per l’insorgenza del monopolio è il controllo
esclusivo su input fondamentali.
• Un’altra ragione sono economie di scala e questo corrisponde all’idea di quello che noi chiameremo
monopolio naturale. Una ragione per il monopolio sono delle ingenti economie di scala, cioè dei rendimenti
crescenti di scala particolarmente consistenti, quando i rendimenti di scala sono crescenti è favorita la grande
impresa, la quale può produrre a condizioni di costo non raggiungibili da imprese più piccole. Quando questo
è vero, se anche si parte da un mercato con più imprese, la grande impresa riesce a buttare fuori dal mercato
tutti i concorrenti fino a che rimane da sola.
• Un’altra ragione di monopolio sono i brevetti, per i vaccini ci sono i brevetti, quindi per un particolare
vaccino c’è un’unica impresa che può produrlo, lo produce in regime di monopolio. (In alcune situazioni
sono considerati inopportuni).
• Un ultimo punto sono gli appalti o licenze governative, nel mondo di adesso sono poche le situazioni di
monopolio, però 30/40 anni fa, ad esempio l'energia elettrica era appaltata ad un’unica impresa, i servizi di
telefonia potevano essere svolti da un’unica impresa, la televisione era unica e quindi c’era un sistema di
appalti e di licenze governative in cui c’erano dei monopoli per via di licenze governative.

Qual è uno degli impatti di regime di monopolio? Quando eravamo in concorrenza perfetta, qualsiasi impresa,
in qualsiasi forma di mercato, ha bisogno di capire come è fatta la sua funzione di ricavi totali e per capirlo
deve capire com’è la funzione di domanda che si rivolge specificatamente al suo output. In concorrenza
perfetta, la singola impresa, quando pensa alla funzione di domanda che fronteggia esattamente il suo output,
pensa di fronteggiare una funzione di domanda perfettamente elastica al prezzo di mercato. Presume, cioè, che
qualsiasi decisione di quantità possa prendere, questa non può avere un impatto sul prezzo a cui avvengono gli
scambi, questo perché esistono tante imprese e prevalgono condizioni di concorrenzialità. Nel monopolio
un’impresa è consapevole di essere in una condizione di monopolio, quindi quale sarà la funzione di domanda
che si rivolge al monopolista? Il monopolista sa che tutta la domanda di mercato rappresenta il suo spazio per
le condizioni di vendita, quindi se noi immaginiamo di avere una funzione di domanda che sia una retta
negativamente inclinata, la funzione di domanda di mercato è esattamente la funzione di domanda che il
monopolista si aspetta di fronteggiare:

Quindi la funzione di ricavo totale in concorrenza perfetta, è uguale al prezzo P soprassegnato, cioè il prezzo a
cui può essere scambiato il bene per l’output.
Invece in una situazione di monopolio, la funzione di ricavo totale è sempre uguale al prodotto tra prezzo e
quantità, ma il prezzo a cui si può vendere una determinata quantità di output. Quindi è uguale a P funzione di
y per y. P funzione di y è la funzione inversa della domanda di mercato. Quindi questa funzione di ricavo totale
del monopolista è uguale alla spesa complessiva di tutti i consumatori (capitolo precedente).

Da questa funzione noi possiamo ricavare la funzione di ricavo marginale MR(y), che rappresenta il saggio a
cui variano i ricavi totali al variare di y. Cioè rappresenta la quantità di denaro in più che proviene dalle vendite
a seguito della vendita di un’unità di bene in più. La funzione di ricavo marginale corrisponde all’inclinazione
in un punto della funzione di ricavo totale, quindi è uguale alla derivata prima dei ricavi totali al variare di y. La
funzione di ricavo marginale in monopolio ha le stesse caratteristiche che abbiamo visto quando abbiamo
studiato la funzione di spesa:
Consideriamo un certo y soprassegnato, qual è il prezzo massimo a cui può essere venduto un certo output?
Sarà quello che il monopolista andrà a leggere su una certa funzione di domanda, per cui corrisponderà a p(y
soprassegnato).
Ora consideriamo y+1, cioè una situazione in cui il monopolista si chiede: cosa succede alla mia funzione di
ricavo totale, se io aumento di un’unità l’output? Il prezzo massimo a cui potò vender e l’output sarà sempre
quello che leggo sulla funzione di domanda, cioè p(y soprassegnato + 1).
La variazione nei ricavi totali, cioè il cambiamento da y soprassegnato a y soprassegnato + 1, comporterà una
variazione nei ricavi totali del monopolista, la quale dipenderà dalla grandezza di questi due effetti. L’area in
rosso rappresenta l’incremento nei ricavi totali dovuto alla vendita di un’unità addizionale. Quindi se si
aumenta il volume delle vendite, c’è una spinta positiva sui ricavi totali. Ma visto che la funzione di domanda è
negativamente inclinata, c’è anche un effetto negativo sui ricavi totali, che è dato dall’area del rettangolo blu,
che rappresenta la perdita dovuta ad un prezzo inferiore, perché se il monopolista aumenta il suo livello di
output, affinché il suo livello di output venga assorbito, il prezzo deve scendere da p soprassegnato a p
soprassegnato + 1. Quindi vediamo che quando che quando varia y, ci sono due spinte sui ricavi totali, una
positiva (rossa)ed una negativa (blu). Se i ricavi totali salgono o scendono dipende dalla grandezza delle due
aree, se è più grande una o l’altra. Ovviamente a seconda di dove siamo sulla funzione di domanda può
prevalere un effetto piuttosto che l’altro. Questo è lo stesso ragionamento che si fa con la spesa dei
consumatori.

Questo è un tipico caso in cui non va bene utilizzare una funzione di domanda di mercato qualsiasi, ma
dobbiamo necessariamente utilizzare la funzione di domanda inversa (p come funzione delle quantità). Quindi
abbiamo p+ la derivata prima della funzione di domanda inversa al variare di y per y. Questo lo possiamo
scrivere come p per (1 + la derivata prima della funzione di domanda inversa al variare di y per y/p), infine si
può scrivere come p che moltiplica 1-1/ | E |:

Quella che prima era la spesa marginale dei consumatori, adesso è la funzione di ricavo marginale del
monopolista. Quest'ultima è diversa dalla funzione di ricavo marginale in concorrenza perfetta, perché è
diverso il modo in cui le due imprese pensano alla loro funzione di ricavi totali. Sul monopolio c’è un’effetto
che si chiama effetto sulle unità inframarginali, cioè l’area in blu sul grafico. Il monopolista tiene conto che
se aumenta il suo livello di output di un’unità, non solo venderà un’unità in più del bene, ma si riduce anche i
prezzo a cui può vendere il bene, non solo per l’ultima unità prodotta, ma anche per le altre unità prodotte
precedentemente.
Per cui tornando alla funzione di ricavo marginale del monopolista, abbiamo che questa funzione avrà una
relazione con il valore assoluto dell’elasticità della domanda al prezzo, quindi a seconda della funzione di
domanda di mercato che stiamo valutando, varia la funzione di ricavo del monopolista.
Consideriamo:
1.Se il monopolista incrementa di un'unità il suo livello di output i suoi ricavi totali salgono.
2.Se il monopolista incrementa di un'unità il suo livello di output i suoi ricavi totali scendono.

Supponiamo che ci sia una funzione di domanda di mercato lineare:


La funzione di ricavo totale è:
La funzione di ricavo marginale è la derivata prima della funzione di ricavo totale al variare di y:

Confrontiamo la funzione di ricavo marginale con la funzione di domanda inversa di mercato:


Se la funzione di domanda di mercato è una semiretta, allora anche la funzione di ricavo marginale è una
semiretta. L'intercetta è la stessa ed è uguale ad a, la funzione di ricavo marginale è anch’essa una retta
negativamente inclinata, che però scende con un’inclinazione doppia rispetto alla funzione di domanda di
mercato. Infatti il coefficiente angolare della funzione di domanda inversa è -b, mentre qui abbiamo -2b.

La funzione di domanda di mercato è quella sul grafico che parte da a e arriva ad a/b mentre la funzione di
ricavo marginale parte da a e arriva fino ad a/2b.
In corrispondenza del tratto elastico, i ricavi marginali sono positivi, in corrispondenza del tratto in cui
l’elasticità è = 1 i ricavi marginali sono uguali ad 0, ed infine nel tratto inelastico i ricavi marginali sono un
numero negativo. Questo succede in monopolio. Ma cosa vorrà fare un monopolista? Gli obiettivi di tutte le
imprese, in qualsiasi forma di mercato si trovino è la massimizzazione dei profitti. Nelle diverse forme di
mercato quello che cambia è la funzione di ricavo totale percepita dalla singola impresa.
La funzione di profitto del monopolista è: π (y) = TR (y) - TC (y) = p (y) y - TC (y)
Il monopolista deve scegliere quale livello di output produrre, quindi vorrà massimizzare i profitti scegliendo y.
Quindi: MAX π (y) = TR (y) - TC (y) = p (y) y - TC (y).
Qual è la condizione del primo ordine per la massimizzazione dei profitti? È che la derivata prima della
funzione dei profitti rispetto ad y sia uguale a 0.
Il livello di output è quello in corrispondenza del quale la derivata prima della funzione dei ricavi totali al
variare di y è uguale alla derivata prima della funzione di costi totali al variare di y:

Noi conosciamo queste funzioni perché noi sappiamo che la derivata prima dei ricavi totali non è altro che la
funzione dei ricavi marginali, quindi la condizione del primo ordine per la massimizzazione dei profitti è:

Ma così come facevamo in concorrenza perfetta, abbiamo bisogno di trovare il massimo della funzione di
profitto, quindi dobbiamo anche verificare la concavità della funzione di profitto, perché se fossimo in una
situazione di funzione di profitto convessa, quello che determineremo con questa uguaglianza non sarebbe un
massimo ma un minimo. Quindi le condizioni che dobbiamo verificare per trovare l'output che massimizzi i
profitti del monopolista sono:
• Trovare un y tale che la funzione di ricavi marginali sia uguale alla funzione di costi marginali: MR (y) =
MC (y);
• Dobbiamo controllare la concavità o convessità della funzione di profitto, cioè dobbiamo guardare alla
derivata seconda della funzione di profitto, dobbiamo quindi assicurarci di essere in un tratto concavo della
funzione di profitto, per cui la derivata seconda non sia positiva. La derivata seconda della funzione di
profitto sarà uguale alla derivata prima della funzione di ricavo marginale al variare di y meno la derivata
prima della funzione di costo marginal al variare di y. Questa differenza deve essere minore o uguale a 0,
quindi la derivata secondo della funzione di costi totali al variare di y sia non più piccola della derivata
seconda della funzione di ricavi totali al variare di y. Questo significa che l’inclinazione della funzione di
costo marginale è superiore o uguale all’inclinazione della funzione di ricavo marginale:

Tutto ciò ci permette di identificare l’output che serve al monopolista.


Quindi un implicazione di questa situazione è:
• Noi sappiamo che MR (y^) = MC (y^), ma noi sappiamo che i costi marginali discendono sempre dalla
tecnologia di produzione che determinerà che i costi di produzione sono dettati da una certa funzione di costi
totali. Noi sappiamo che il processo di produzione è un processo costoso, nel senso che richiede sempre
l'utilizzo di input.
• Noi sappiamo che i costi marginali non possono mai essere negativi, possono essere al massimo uguali a
zero, perché la funzione di costi totali non può essere mai decrescente, cioè non possono diminuire i costi
totali all’aumentare dell’output: MC (y) ≥ 0.
• Inoltre, i ricavi marginali in monopolio sono uguali a: MR (y) =
Tutto ciò determina che i ricavi marginali, in corrispondenza dell’output ottimo del monopolista, debbano
essere MR (y) ≥ 0, perché devono essere uguali ai costi marginali, che non sono mai negativi. Se questo è vero,
ciò significa che il monopolista si troverà sempre ad operare in un tratto in cui il valore assoluto dell’elasticità
della domanda al prezzo sarà maggiore o uguale ad 1. La conseguenza è che il monopolista non opera mai in
corrispondenza del tratto inelastico della funzione di domanda di mercato.

In monopolio c’è una relazione importante tra ciò che fa il monopolista, cioè il livello di output che
massimizzerà il suo profitto e com’è fatta la sua funzione di domanda, in particolare com’è il valore assoluto
dell’elasticità della domanda al prezzo. Il monopolista non sceglierà mai il livello di output in cui la funzione di
domanda di mercato è inelastica, perché i ricavi marginali sarebbero un numero negativo, ma un numero
negativo non può essere uguale ai costi marginali.

1.Caso di funzione di domanda lineare: p (y) = a - by


Se vogliamo occuparci delle scelte del monopolista, possiamo non considerare il semiasse negativo delle
ordinate, tanto il monopolista non andrà mai li.

In monopolio la funzione di ricavo medio, cioè quante sono le unità di denaro che l’impresa incassa per ogni
unità di output venduto, è lo stesso che vedevamo in passato, ed è uguale si ricavi totali/y. In monopolio, la
funzione di domanda di mercato è sempre uguale alla funzione di ricavo medio del monopolista.
Ora disegniamo la funzione di ricavo marginale, che parte dall’intercetta della funzione di domanda e scende
con inclinazione doppia (semiretta in rosso). Le funzioni di costo del monopolista dipendono dalla tecnologia e
dai prezzi dei fattori di produzione, e possiamo dire ad esempio che la tecnologia di produzione sia tale da
generare per il monopolista una funzione di costi prima concava e poi convessa. Se questo fosse vero le
funzioni di costo marginale e di costo medio sarebbero fatte ad U.

Disegniamo la funzione di costo marginale (blu) e quella di costo medio (verde). Dobbiamo trovare l'output che
massimizza il nostro profitto, e dobbiamo guardare a due condizioni, una è MR (y) = MC (y), ed in
corrispondenza di questo grafico abbiamo due y in cui si verifica tale relazione (punti in nero). Quale
scegliamo? Scegliamo guardando la condizione di secondo ordine cioè assicurandomi di trovarmi in un tratto
concavo della funzione di profitto, in cui l’inclinazione della funzione di costo marginale è superiore
all'inclinazione della funzione di ricavo marginale, questo accade in corrispondenza del secondo punto.
Definisco ora y^ che è l’output di massimo profitto. Il prezzo a cui io monopolista venderà ciascuna unità di y^
sarà il prezzo massimo, che è quello che il monopolista legge salendo da y^ sulla funzione di domanda di
mercato, che rappresenta il ricavo medio, questo mi darà p (y^).

In questo caso posso vedere anche i profitti? I profili sono uguali a π (y) = p (y) y - TC (y) cioè y (p (y) - AC
(y)). Per trovare i costi medi in corrispondenza di y^ io vado sulla funzione di costo medio, disegnata in verde,
e avrò i costi medi quando l’output è y^. Quindi ora guardiamo ai profitti massimi del nostro monopolista:

In questo grafico i profitti del monopolista sono uguali all’area del rettangolo in viola, cioè π (y^).

In un tipico esercizio, dove mi sarà chiesto di rappresentare l’ottimo del monopolista o l’equilibrio al
monopolio, il grafico di riferimento è questo, utilizzando le funzioni di costo marginale e costo medio che
ricaveremo dalla funzione di costo totale. In un tipico esercizio sul monopolio ci viene data la funzione di
domanda di mercato, e la funzione di costi totali. Dalla funzione di domanda di mercato ricavo la funzione di
ricavo marginale e dalla funzione di costo, ricavo la funzione di costo marginale e di costo medio. A quel punto
abbiamo tuti gli elementi per fare questo grafico.
LE FUNZIONI DI COSTO MARGINALE E COSTO MEDIO NON NECESSARIAMENTE SONO A
FORMA DI U, MA POSSONO ESSERE COSTANTI (lo vediamo dalla funzione di costo totale).

Quindi nel caso di una funzione di domanda lineare i profitti sono uguali ad:

Dalla condizione di massimo profitto del monopolista noi che cosa sappiamo?
Il massimo profitto del monopolista corrisponderà a un tratto non inelastico della funzione di domanda.

In monopolio il prezzo è un MARK-UP, ovvero un ricarico sui costi marginali MC. Dato che il monopolista si
trova sempre ad operare in una situazione in cui il valore assoluto dell’elasticità della domanda al prezzo non è
mai inferiore ad 1, questo mark-up è sempre maggiore di 1.

Quindi possiamo vedere che il prezzo è un mark-up sui costi marginali. Il ricavo medio del monopolista è più
alto del ricavo marginale:

Adesso vediamo il caso in cui abbiamo sia la funzione di costi totale sia la funzione di domanda lineari.
Cominciamo a disegnare le funzioni rilevanti, la funzione di domanda di mercato, che rappresenta anche la
funzione di ricavo medio di monopolista, e rappresentiamo anche la funzione di ricavo marginale.
Se i costi totali sono lineari come sono i costi marginali?

Quindi i costi marginali, quando i costi totali sono lineari, sono una semiretta parallela all’asse delle ascisse, in
corrispondenza di un livello di intercetta = c.
Come troviamo l’equilibrio di monopolio e l’ottimo dei monopolisti?
Noi sappiamo che dobbiamo guardare la relazione MR (y) = MC (y), che è verificata sul grafico dal punto in
verde che è l’intersezione tra i ricavi marginali e i costi marginali e che ci permette di identificare y^ che è y
ottimo che il monopolista vorrà produrre. Il prezzo a cui y^ sarà venduto sarà P (y^) sulla funzione di domanda.
Quando la funzione di costo totale è lineare, la funzione di costo marginale corrisponde alla funzione di costo
medio.
Per trovare y^ analiticamente noi dobbiamo massimizzare:
Vogliamo massimizzarlo scegliendo y, e la condizione per questa massimizzazione è:

Avendo trovato y cappuccio vogliamo determinare P (y^):

Se volessimo saremmo in grado di ricavare i nuovi profitti di equilibrio che sono uguali:

Immaginiamo di essere in una situazione in cui la funzione di domanda è una retta ed anche la funzione di
costo marginale e la funzione di costo medio sono anch’esse delle rette, costanti e parallele all’asse delle
ascisse. Che cosa succede se lo stato introduce un’accisa? Noi sappiamo che un’accisa è un’imposta costante
per unità di output venduto, cioè una certa quantità di denaro t, che deve andare allo Stato, per ogni unità di
output venduto.
Noi in passato, nel mercato concorrenziale, potevano incorporare l’imposta o sul lato della domanda o sul lato
dell’offerta, arrivando all stesso esito. Anche in questo caso potremmo introdurre l’imposta sul lato della
domanda. Ma come facciamo se introduciamo l’imposta sul lato dell’offerta? Consideriamo il nostro
monopolista, prima e dopo l’accisa.
• Prima di accisa: quali sono gli esborsi che il monopolista deve sostenere se vuole produrre un determinato
livello di output? Sono dati dalla sua funzione di costo totale TC (y), che rappresenta le remunerazioni
minime che necessariamente devono essere pagate in fattori di produzione perché si produca un certo livello
di output.
Nel momento in cui viene introdotta l’accisa, se l’accisa è trasferita dal monopolista, quali sono le voci di
uscita del monopolista?
• Dopo accisa: il monopolista dovrà continuare a pagare i fattori di produzione, quindi avrà sempre la funzione
di costo totale TC(y), ma oltre a questi deve trasferire le imposte allo stato. Di imposta deve trasferire t per y.
Quindi il livello complessivo delle imposte che va pagato dal monopolista è t per y. L’introduzione
dell’accisa, in monopolio, possiamo vederla come una modificazione della funzione di costo complessivo del
monopolista.
Ora si aggiunge anche il prelievo fiscale. Quindi cosa succede al monopolista? Consideriamo sempre una
funzione di costi lineari:
• Prima di accisa: i costi marginali sono uguali a c.
• Dopo accisa: i costi marginali sono sempre uguali alla derivata prima della funzione di spesa rilevante per il
monopolista.
Se il governo introduce un'accisa dal lato dell'offerta, è come se la nostra funzione di costo marginale del
monopolista si spostasse verso l’alto di una quantità pari a t (semiretta in nero, sopra quella blu).

Quindi vediamo che l’introduzione dell’imposta farà diminuire la quantità complessivamente scambiata e
aumentare il prezzo.

Vediamo che il prezzo di equilibrio è salito, mentre l’output di equilibrio è sceso.


Se noi guardiamo qual è l’effetto dell’imposta sul prezzo di equilibrio quando la funzione di domanda è lineare
e i costi marginali sono costanti vediamo che:

Quindi 1/2 dell’imposta si scarica sul prezzo di equilibrio (solo in questo caso).
Nel caso di una funzione di domanda lineare, possiamo vedere l’impatto dell’introduzione di un sussidio:

L’equilibrio di mercato si determina con y^ e p (y^). Supponiamo che lo stato introduca un sussidio S costante
per ogni bene venduto, per fare aumentare il livello degli scambi. Ciò significa che i costi totali diventano:
TC s (y) = cy - sy, perché il monopolista, dopo aver venduto l'output riceverà un sussidio da parte dello Stato,
quindi i costi marginali si abbassano e diventano: MCs (y) = c-s. Ho una nuova funzione di costi marginali,
ovvero la semiretta in verde.
L’introduzione del sussidio determina un aumento delle quantità complessivamente scambiate e fa diminuire il
prezzo per unità di bene. In un mercato monopolistico se lo Stato vuole aumentare il volume delle transazioni
può ad esempio decidere di introdurre dei sussidi, quindi se si introduce un'accisa sulle quantità o un sussidio,
la scelta ottima del monopolista cambia. In particolare ritornando al caso dell’imposta, se si introduce
un’imposta, il livello di output prodotto dal monopolista scende e il prezzo che pagano i consumatori per
ciascuna unità di output invece sale.

Se al posto di un’imposta lo Stato introducesse una tassa sui profitti cosa succederebbe?
C’è una differenza tra profitti lordi e profitti netti.
Supponiamo che lo Stato introduca un’aliquota tau, cioè si prende una percentuale del profitto. Una tassa sui
profitti modifica le scelte di output del monopolista?
I profitti lordi sono π (y) = TR (y) - TC (y), quindi se viene introdotta un’imposta sui profitti lordi come sono i
profitti netti del monopolista? Tengono conto dell’aliquota, quindi per ogni € di profitto generato lordo, la
quantità di denaro che rimane nelle tasche del monopolista sarà 1-tau, quindi i profitti netti saranno:

Vediamo se c’è differenza nel livello di output complessivamente prodotto. Quando non c’è un’aliquota, è la
stessa cosa massimizzare profitti lordi e netti, e in questo caso il monopolista come sceglie il suo livello di
output? Trova il livello di output y^, in corrispondenza del quale: MR (y^) = MC (y^).
Consideriamo un’aliquota sui profitti: il monopolista vuole massimizzare i suoi profitti netti sempre scegliendo
y. Quale sarà la condizione?

Se si introduce un’imposta sui profitti, il monopolista è meno contento di quanto lo era prima perché adesso i
suoi profitti netti sono più bassi dei suoi profitti lordi, ma la scelta dell’output di produzione rimane la stessa.
Quindi se lo stato volesse semplicemente fare un prelievo fiscale, senza alterare il livello di scambio sul
monopolio, tasserebbe i profitti. Se introduce un’accisa, invece, ne consegue una modificazione delle quantità
scambiate nel mercato.

Fino ad ora abbiamo visto l’equilibrio o ottimo del monopolista, però c’è una differenza con la concorrenza
perfetta. In concorrenza perfetta consideravamo le condizioni di massimo profitto della singola impresa e
arrivavamo a definire la funzione di offerta della singola impresa. Dopodiché aggregando per tutte le imprese
presenti sul mercato dicevamo qual era la funzione di offerta di mercato. Qui non abbiamo parlato di funzione
di offerta, perché il monopolista segue una regola di offerta ma non ha una funzione di offerta. Quindi
quando eravamo in concorrenza perfetta, eravamo in grado di definire autonomamente una funzione di
domanda di mercato, e di definire autonomamente una funzione di offerta di mercato. Per derivare la funzione
di offerta di mercato in concorrenza perfetta, noi non avevamo bisogno di considerare la funzione di domanda
di mercato. La funzione di offerta e la funzione di domanda erano indipendenti l’una dall’altra.
Invece, in monopolio, la scelta della quantità ottima da produrre dipende esattamente dalla funzione di
domanda di mercato, questo è il motivo per cui il monopolista segue una regola di offerta, ma non ha una
funzione di offerta, non ha quindi una funzione che determini quanto produrre indipendentemente dalla
funzione di domanda. La ragione è che non esiste una corrispondenza biunivoca tra prezzo e ricavo
marginale al variare della funzione di domanda, ovvero ad un certo ricavo marginale associato ad una
funzione di domanda, può corrispondere un prezzo, mentre allo stesso livello di ricavo marginale associato ad
un’altra funzione di domanda può corrispondere un prezzo diverso.
In monopolio non definiamo una funzione di offerta del monopolista, ma abbiamo un criterio di scelta di
offerta del monopolista, che corrisponde a MR = MC.
Consideriamo una funzione di domanda in rosso e una funzione di ricavo marginale sempre in rosso.
Consideriamo un’altra funzione di domanda e di ricavo marginale in blu. Consideriamo ora una funzione di
costo marginale, in blu.
• Se la funzione di domanda rilevante è quella in rosso, il monopolista quanto produce? Trovo l’output per il
quale la funzione di ricavo marginale in rosso è uguale alla funzione di costo marginale, per cui y^R, ed il
suo livello di prezzo si ottiene andando sulla funzione in rosso, p^R.
• Supponiamo che la funzione rilevante di domanda sia quella in blu, la scelta ottima di output del monopolista
è y^B, il quale è venduto a p^B, che è uguale a p^R, quindi il prezzo è lo stesso.
Non c’è una corrispondenza biunivoca tra prezzo e ricavo marginale al variare della funzione di domanda.

Consideriamo un’altra funzione di domanda ed un’altra funzione di ricavo marginale. Consideriamo una
funzione di domanda in rosso ed una funzione di ricavo marginale sempre in rosso.

Vediamo che le due funzioni di ricavo marginale (una in rosso e una in nero) si intersecano. Supponiamo che la
funzione di costo marginale passi dal punto blu di intersezione e sia crescente.
Quali sono le scelte ottime del monopolista?
• Se la funzione di domanda rilevante è quella in nero, la quantità ottima del monopolista si ottiene
eguagliando la funzione del costo marginale in blu e la funzione di ricavo marginale in nero. Otteniamo y^N
in nero. Il prezzo di questo output lo ricaviamo andando sulla funzione di domanda, troviamo p^N, ovvero il
prezzo di equilibrio.
• Supponiamo che la funzione di domanda sia quella in rosso, come fa il monopolista a stabilire quanto
produrre? Considera la funzione di ricavo marginale in rosso e la funzione di costo marginale in blu. Il punto
di intersezione, quindi l’output di massimo profitto è lo stesso. C’è una differenza, il prezzo prima era p^N
ora è p^R.
La scelta del monopolista dipende dalla funzione di domanda, per cui non possiamo stabilire una funzione di
offerta che prescinda dalla funzione di domanda, perché prezzo e ricavo marginale non sono in corrispondenza
biunivoca al variare della funzione di domanda. Noi sappiamo che c’è una relazione tra output ottimo del
monopolista ed elasticità della funzione di domanda al prezzo, quando la funzione di domanda si sposta, si
modifica l’elasticità della domanda al prezzo per ogni prezzo. Quindi dobbiamo guardare ogni specifica
funzione di domanda.

Perché si dice che il monopolio è inefficiente?


Negli Stati con uno stadio capitalistico avanzato, sappiamo che esistono, anche nei Paesi meno regolamentati,
delle commissioni antitrust, cioè delle commissioni per la tutela della concorrenza, quindi delle commissioni
che sono nominate dallo Stato, che vigilano sui mercati, per verificare che quei mercati non degerenino in una
situazione di monopolio. Perché dobbiamo stare attenti a che non insorga una situazione di monopolio e
ripristinare una situazione di concorrenzialità?
Facciamo un confronto tra concorrenza perfetta e monopolio:
Concorrenza perfetta:
• Le funzioni di offerta di mercato rappresentano la funzione di costo marginale.
• L’output discende dal prezzo che è uguale al costo marginale.
• Monopolio:
• L’output discende dalla condizione in cui il ricavo marginale è uguale al costo marginale.

Quindi in monopolio, in corrispondenza all’output ottimo, p (y m) > MC (y m):


Ciò significa che se noi consideriamo sempre la stessa impresa con le stesse condizioni di costo, se l’impresa
pensa di essere in concorrenza perfetta produrrà un certo output, invece se è in monopolio, l’impresa arriva a
produrre y m, dove il ricavo medio è superiore al costo marginale. Questo fa si che ci sia inefficienza in
monopolio, perché sappiamo che la funzione di domanda può anche essere interpretata come il beneficio
marginale che i consumatori traggono da unità aggiuntive di beni. In concorrenza perfetta succede che la
funzione di domanda è uguagliata al costo marginale, cioè si arriva a produrre fino a che per l’ultima unità
prodotta, il beneficio marginale prodotto da quell’ultima unità per i consumatori, è esattamente uguale al
dispendio di risorse necessarie per produrre quell’ultima unità. Invece in monopolio, il beneficio che i
consumatori traggono dall’utilizzo dell'ultima unità prodotta è superiore al dispendio di risorse per produrre
quell’ultima unità. Quindi il livello di output nel monopolio è più piccolo di quello in concorrenza perfetta.
Questo corrisponde all'inefficienza in monopolio, ovvero ci sono delle opportunità di scambio in monopolio
non sfruttate. Questo succede perché il monopolista tiene conto dell’impatto di un aumentato output su quelle
che chiamavamo unità inframarginali.
In concorrenza perfetta, L’impresa pensa di non poter modificare il prezzo a cui è scambiato un bene, quindi il
beneficio per l’impresa della produzione di un’unità in più è sempre uguale al prezzo dell’ultima unità. Invece
in monopolio, il monopolista sa che se aumenta di un’unità l’output, da un lato i suoi ricavi totali aumentano
perché vende di più, ma dall’altro essi subiscono una spinta verso il basso perché si abbassa il prezzo a cui
possono essere vendute tutte le unità di output. Questo è l’effetto sulle unità inframarginali.

Consideriamo una funzione di domanda lineare a cui associamo una funzione di ricavo marginale, supponiamo
inoltre, che ci sia la funzione di costo marginale. Se quest’impresa ragionasse come un’impresa in concorrenza
perfetta si arriverebbe a produrre quella quantità per cui il prezzo è uguale al costo marginale, cioè si porrebbe
in corrispondenza del punto di intersezione. Se l’impresa è in monopolio, ha la sua funzione di ricavo
marginale, e trova il punto y m, in corrispondenza del quale il ricavo marginale è uguale a quello del costo
marginale.

Il benessere generato da queste due diverse forme di mercato in termini di somma di surplus di consumatore e
produttore:
Concorrenza perfetta:
Il surplus dei consumatori: E+A+B
Il surplus del produttore: D+C
Monopolio:
Il surplus dei consumatori: E
Il surplus del produttore: A+D
• Se facciamo la somma sei surplus:
-1 caso: A+D+E
-2 caso: A+B+C+D+E
La differenza è B+C, l’area di questi due, e rappresenta la perdita di benessere per il fatto che l’impresa si
comporta da monopolista. La somma delle aree di B e C si chiama perdita netta o secca di monopolio, che
rappresenta la riduzione nel surplus complessivo, quando si ha una situazione di monopolio al posto di una
situazione di concorrenza perfetta. Per questo motivo si parla di inefficienza e di commissioni antitrust.
In particolare, vediamo che in monopolio l’output complessivamente prodotto è più basso ed il prezzo a cui è
venduta ciascuna unità è più alto. Il livello di scambi, in monopolio, si ferma in corrispondenza di una
situazione in cui il beneficio che un’ulteriore unità di output produrrebbe per i consumatori, è superiore al costo
opportunità della stessa operazione.

Questa inefficienza in monopolio può richiedere l’intervento dello Stato o di un’autorità garante della
concorrenza e imporre all’impresa di operare in una situazione in cui arriva ad eguagliare la funzione di
domanda con la funzione di costo marginale. Per cui impone questa soluzione (cerchiata in blu) al posto di
quella di monopolio. Questa operazione è possibile a meno che ci si trovi in una situazione di monopolio
naturale. Il monopolio naturale è la situazione in cui l’esistenza di una singola impresa in un mercato può
essere ricondotta a rilevanti economie di scala, cioè il processo di produzione è tecnologicamente
caratterizzato da dei rendimenti crescenti di scala. I costi medi decrescono e i costi marginali sono al di sotto
dei costi medi.
Nel monopolio naturale il minimo della funzione di costi medi è a destra della curva di domanda, e
l’intersezione tra domanda e costi marginali è al di sotto dei costi medi.

Consideriamo questa situazione, disegniamo una funzione di domanda ed una funzione di costo medio.
Supponiamo che ci siano rilevanti economie di scala e il minimo della funzione di costo medio si abbia a destra
della funzione di domanda, quindi si ottiene nel grafico in un punto oltre la funzione di domanda. Supponiamo
di avere anche la funzione di costo marginale ad U, che prima è decrescente, e taglia la funzione di costo
marginale nel punto minimo.
In alcune condizioni c’è inefficienza al monopolio e c’è una perdita netta in termini di benessere data la somma
di B+C, come può fare lo Stato per eliminare questa perdita netta? Dovrebbe riuscire a forzare il monopolista a
scegliere il punto in corrispondenza del quale p è uguale alla funzione di costo marginale. Cosa succede se
esistono rilevanti economie di scala?
Se esistono rilevanti economie di scala e accade che il minimo della funzione di costo medio sia a destra della
funzione di domanda, e quindi l'intersezione tra domanda e costo marginale è al di sotto della funzione di costo
medio, cosa succede? Immaginiamo che in questa situazione si voglia forzare il monopolista a scegliere lo
stesso output che produrrebbe se fosse in concorrenza perfetta, quindi sceglierebbe yc (output nel quale la
funzione di domanda è uguale alla sua funzione di costo marginale). Ma se scegliesse questo livello,
accadrebbe che l’area del rettangolo in nero rappresenterebbe la perdita in termini di profitti negativi.

Se siamo in una situazione di monopolio naturale, la domanda è relativamente esigua rispetto alle situazioni
delle rilevanti economie di scala. Quindi se si impone al monopolista di scegliere un livello di output per cui la
domanda è uguale al costo marginale bisogna finanziarlo, lo Stato deve finanziarlo, perché egli subisce delle
perdite, i suoi profitti sono negativi. Il problema è che se si vuole l’output di concorrenza perfetta lo stato deve
finanziare il monopolista, altrimenti un modo alternativo di finanziare il monopolista è quello di arrivare a
profitti nulli, uguali a zero, ovvero dove la funzione di costo medio taglia la funzione di domanda (punto in
blu). Abbiamo che il ricavo medio è uguale al costo medio, quindi i profitti sono 0. È un livello di output più
alto rispetto a quello di monopolio non regolamentato ma non tanto alto come quello della concorrenza
perfetta.

Per la produzione ha senso parlare di:


Scala minima efficiente: è il livello di output che minimizza i costi medi. È determinata dalla tecnologia
perché è essa che minimizza i costi medi.

• 1º caso: la scala minima efficiente della singola impresa è molto piccola in confronto alla dimensione della
domanda, c’è spazio per molte imprese (grafico 1).
• 2º caso: c’è spazio per un’unica impresa, perché la struttura dei costi, è tale per cui il minimo della funzione
di costi medi si ha per un livello di output molto alto rispetto alla dimensione della domanda (grafico 2).

La struttura dei costi della singola impresa ha un impatto sulla scala minima efficiente, la quale rispetto alla
funzione di domanda ha delle implicazioni in termini di numero di imprese che possono profittabilmente stare
sul mercato.
Nel primo caso c’è spazio per molte imprese mentre nel secondo no, come si risolve?
La dimensione minima efficiente è dettata dall'andamento della funzione di costi medi, quindi dipende dalla
tecnologia. Invece, dove si pone nel piano la funzione di domanda, può dipendere dalla politica economica,
perché ad esempio se si aprono nuovi mercati, nel secondo grafico, la dimensione scala minima efficiente non è
compatibile con tante imprese sul mercato, ma se la funzione di domanda diventasse quella blu, più lontana
dall’origine degli assi, allora ci sarebbe spazio per un assetto competitivo.
Questo può essere influenzato dal governo tramite una politica economica, aprendo a nuovi mercati.
blu). Abbiamo che il ricavo medio è uguale al costo medio, quindi i profitti sono 0. È un livello di output più
alto rispetto a quello di monopolio non regolamentato ma non tanto alto come quello della concorrenza
perfetta.

Per la produzione ha senso parlare di:


Scala minima efficiente: è il livello di output che minimizza i costi medi. È determinata dalla tecnologia
perché è essa che minimizza i costi medi.

• 1º caso: la scala minima efficiente della singola impresa è molto piccola in confronto alla dimensione della
domanda, c’è spazio per molte imprese (grafico 1).
• 2º caso: c’è spazio per un’unica impresa, perché la struttura dei costi, è tale per cui il minimo della funzione
di costi medi si ha per un livello di output molto alto rispetto alla dimensione della domanda (grafico 2).

La struttura dei costi della singola impresa ha un impatto sulla scala minima efficiente, la quale rispetto alla
funzione di domanda ha delle implicazioni in termini di numero di imprese che possono profittabilmente stare
sul mercato.
Nel primo caso c’è spazio per molte imprese mentre nel secondo no, come si risolve?
La dimensione minima efficiente è dettata dall'andamento della funzione di costi medi, quindi dipende dalla
tecnologia. Invece, dove si pone nel piano la funzione di domanda, può dipendere dalla politica economica,
perché ad esempio se si aprono nuovi mercati, nel secondo grafico, la dimensione scala minima efficiente non è
compatibile con tante imprese sul mercato, ma se la funzione di domanda diventasse quella blu, più lontana
dall’origine degli assi, allora ci sarebbe spazio per un assetto competitivo.
Questo può essere influenzato dal governo tramite una politica economica, aprendo a nuovi mercati.

Il monopolio è una situazione in cui c’è un unico produttore, quindi l'unico produttore, sa di essere l'unico
produttore. Di conseguenza, la funzione di domanda del monopolista è la funzione di domanda di mercato, che
corrisponde anche alla funzione di ricavo medio. Mentre invece, la funzione di ricavo marginale è diversa dalla
funzione di domanda.
Rispetto a una situazione di concorrenza perfetta il monopolista sceglierà un livello di output inferiore, che sarà
venduto a un prezzo unitario superiore. Tutto questo accade quando il monopolista sa che ha di fronte la
funzione di domanda di mercato, sceglie la quantità, ovviamente una volta scelta la quantità, si determina il
prezzo massimo che i consumatori sono disposti a pagare per ogni unità di quel bene.
Tuttavia, il monopolista, in alcune situazioni, può fare anche meglio di questo, cioè potrebbe essere in grado di
operare quella che si chiama una discriminazione di prezzo, cioè fino adesso nell'equilibrio del monopolio che
abbiamo studiato tutte le quantità, tutte le diverse unità di output prodotti erano vendute allo stesso prezzo,
tuttavia, in una situazione di monopolio, potrebbe essere possibile al monopolista vendere lo stesso prodotto a
prezzi diversi a consumatori diversi. Quindi per discriminazione di prezzo noi intendiamo che lo stesso bene è
venduto a prezzi diversi a consumatori differenti.

Ci sono delle condizioni che permettono la discriminazione di prezzo e senza le quali non è possibile:
• Prima condizione è che il venditore è un decisore di prezzo, cioè, può fissare il prezzo;
• Seconda condizione è che l'impresa può classificare i consumatori in base alla loro disponibilità a pagare,
cioè non esiste un obbligo dal punto di vista dell'impresa di vendere allo stesso prezzo a consumatori diversi.
Quindi l'impresa è libera di poter classificare i consumatori a seconda della loro disponibilità di prezzo.
(Classificare significa imporre condizioni di vendita diverse).
• Terza condizione è che i consumatori non possono praticare arbitraggio.
Arbitraggio: Supponete che io sia il monopolista e che decida che il signor A paga un prezzo uguale a 10 e il
signor B deve pagare un prezzo uguale a 20. Che cosa potrebbe accadere? Che il signor A compri da me a un
pezzo uguale a 10 delle quantità in più rispetto a quelle che vuole consumare direttamente, con lo scopo di
andare poi da signor B e dirgli se tu vai direttamente dal monopolista, lui ti chiede un prezzo uguale a 20 io ti
chiedo qualcosa di meno compreso tra 10 e 20. Ovviamente è una condizione favorevole per il consumatore B,
se questo è possibile, questa è un'operazione di arbitraggio, ovviamente la discriminazione dei prezzi non
funziona più, perché sostanzialmente il monopolista non riesce a imporre le condizioni di vendita.
Quindi di fatto l'idea che i consumatori non possono praticare l'arbitraggio sostanzialmente consiste nell'idea
che i consumatori non possano rivendersi vicendevolmente il bene e quindi stabilire delle transazioni di
scambio in base a condizioni per loro profittevoli.

Le politiche di discriminazione di prezzo sono molte e possono essere molto particolari, noi ci occuperemo di
quelle che chiamiamo tre ordini di discriminazione di prezzo. Noi considereremo l'ipotesi che il monopolista
possa differenziare il prezzo o per quantità o per consumatore.
Una discriminazione per quantità significa che il monopolista può dire: se compri un litro questo è il prezzo,
se compri 10 litri il prezzo è quest'altro.
Una discriminazione per tipo di consumatore è che un consumatore ordinario paga un certo prezzo, mentre
un consumatore anziano ne paga un'altro, oppure un consumatore che possa identificarsi come studente paga un
prezzo diverso.
Quindi una è una discriminazione di prezzi per quantità e l'altra invece è per tipo di consumatore.
Una discriminazione di prezzo per quantità è ad esempio la discriminazione di prezzo che di solito esiste tra
prezzi al dettaglio e prezzi all'ingrosso, lì sono le quantità che fanno la differenza rispetto alle condizioni di
vendita. Allora, quindi noi parleremo di diversi gradi o ordini di discriminazione di prezzo.

La discriminazione di prezzo del primo ordine, detta anche perfetta è la situazione in cui il monopolista ha il
massimo controllo sulle condizioni a cui avvengono le transazioni e quindi può discriminare il prezzo sia per
quantità che per tipo di consumatore. La discriminazione di prezzo di secondo grado, invece, è una
discriminazione di prezzo solo per quantità, ma non per tipo di consumatore. La discriminazione di terzo ordine
può essere fatta solo per tipo di consumatori, ad esempio, donna o uomo, cittadino del paese di riferimento o
cittadino straniero.

La discriminazione perfetta o discriminazione del primo ordine: consiste nel fatto che il monopolista vende
unità diverse di output a prezzi diversi, e questi prezzi sono diversi per tipi diversi di consumatore. Significa
che, ad esempio, il consumatore A paga per la prima unità del bene un certo prezzo, per la seconda unità del
bene ne paga un'altro e via via, e i prezzi che sono imposti al consumatore A per le diverse quantità, sono
diversi dai prezzi che sono invece posti a un'altro consumatore, quindi il monopolista può discriminare sia per
quantità che per tipo di consumatore. E come discrimina il monopolista? Facendo sostanzialmente pagare per
ogni unità di bene a ciascun consumatore il prezzo massimo a cui è disposto ad acquistarla, quindi ogni
consumatore paga per ogni unità del bene il prezzo massimo a cui è disposto all'acquisto.
Noi possiamo pensare alla funzione individuale di un consumatore come prezzo di riserva. Quindi
consideriamo la domanda individuale come prezzo di riserva, ovvero il prezzo massimo che è un determinato
consumatore è disposto a pagare per passare da una quantità q a una quantità q+1
Quindi immaginiamo ad esempio diversi consumatori:

Sulle ascisse mettiamo le quantità e sulle ordinate mettiamo la disponibilità a pagare o prezzi di riserva.
Il primo grafico si riferisce al consumatore A e il secondo grafico si riferisce al consumatore B.
In una condizione di discriminazione perfetta, ad esempio, consideriamo il signor A per la prima unità il signor
A è disposto a pagare questo prezzo che chiamo p1A che è il prezzo massimo che è disposto a pagare, quindi il
monopolista offrirà la prima unità di bene al signor A a quel prezzo p1A, invece, il signor B, per la prima unità
di bene è disposto a pagare un prezzo massimo che è uguale a p1B e questo sarà il prezzo che il monopolista
chiederà per la prima unità di bene al signor B.
Consideriamo la seconda unità di bene:
Per il signor A, la seconda unità di bene ha questo prezzo massimo che è p2A e quello sarà il prezzo che il
consumatore chiede di pagare al consumatore A per acquistare la seconda unità di bene.
Quindi, in una situazione di discriminazione perfetta succede che il monopolista fa sì che ogni consumatore
paghi per ogni unità acquistata, il prezzo massimo che è disposto a pagare, il prezzo di riserva.

Come fa il nostro monopolista a decidere quanto produrre? Qual è la funzione di ricavo marginale del
monopolista? Il monopolista considera tutti i consumatori indipendentemente uno dall'altro, perché per ogni
consumatore il monopolista guarda la funzione di domanda individuale, quindi questa funzione di domanda
individuale del signor A fatta a gradini, così come quella del signor B che cosa arriva a rappresentare? Arriva a
rappresentare la funzione di ricavo marginale del monopolista associate al consumatore A e questa la funzione
di ricavo marginale del monopolista associata al signor B.

Supponiamo che il monopolista abbia una sua funzione di costo totale di produzione da cui ne discenda una
specifica funzione di costo marginale (in rosso), fino a quando venderà il monopolista? Il monopolista venderà
ad ogni consumatore, fino in corrispondenza alla quantità per cui il ricavo marginale è uguale al costo
marginale, ad esempio per il consumatore a venderà sei unità complessivamente, ma ciascuna di queste unità è
venduto a un prezzo diverso. Per il consumatore B invece, venderà tre unità, ma anche in questo caso il
consumatore B pagherà per ogni unità di bene, un prezzo diverso.
Quando c'è la discriminazione perfetta la funzione di domanda individuale e la funzione di ricavo marginale
coincidono perfettamente.
E la produzione è espansa fino a che il ricavo marginale non è uguale al costo marginale, quindi da questo
punto di vista, l'ultima unità venduta, è venduta a un prezzo che è esattamente uguale al costo marginale, cioè
per ogni consumatore il livello di output è quello che avremmo in una situazione di concorrenza perfetta, il
livello di output complessivamente venduto.

Adesso passiamo a una situazione in cui non abbiamo più questa funzione di domanda a gradini, ma
supponiamo di avere per il signor A funzione di domanda negativamente inclinata.
La produzione arriva a q~, quindi la produzione è espansa fino a livello di concorrenza perfetta, ma la
differenza è che, dato che ogni unità è venduta al prezzo massimo tutto il surplus è del produttore. L'area del
triangolo in verde indica il surplus del produttore, quindi il surplus del consumatore è 0. Proprio perché non c’è
mai differenza tra il prezzo massimo che il consumatore è disposto a pagare e quello che effettivamente paga.

Guardiamo in termini di distribuzione dei vantaggi che derivano dall'accesso a uno scambio di mercato cosa
succede nelle diverse situazioni:

Abbiamo quantità sulle ascisse e il prezzo sulle ordinate.


Noi vogliamo vedere che cosa succederebbe in concorrenza perfetta, in monopolio senza discriminazione e con
discriminazione perfetta.
Se fossimo in una situazione di concorrenza perfetta, la produzione è espansa fino a che c’è intersezione tra
funzione di costo marginale e funzione di domanda, quindi il punto Qpc, ovvero la quantità scambiata in
concorrenza perfetta.
Consideriamo una situazione di monopolio, in cui però non è possibile la discriminazione di prezzo, quindi una
situazione di monopolio senza discriminazione. Quale sarà l'output che il monopolista sceglie? Sarà l'output
che corrisponde all'intersezione tra la funzione di ricavo marginale e la funzione di costo marginale.
Quale sarebbe il livello di output in monopolio per un monopolista perfettamente discriminante? È uguale alla
quantità di concorrenza perfetta, in termini di quantità complessivamente scambiata abbiamo la stessa quantità
sia in concorrenza perfetta che con discriminazione perfetta, quelli che cambiano sono i prezzi.

Guardando la tabella facciamo il confronto tra concorrenza perfetta e monopolista perfettamente discriminante.
Vediamo che il monopolista riesce ad incamerare tutti i benefici che provengono dall'accesso a transazioni di
mercato, mentre chiaramente non c'è nulla per per i consumatori.

Discriminazione di prezzi del secondo ordine: discriminazione solo per quantità, quindi il monopolista vende
unità diverse a prezzi diversi, ma ogni consumatore paga lo stesso prezzo se acquista le medesime quantità.
Ad esempio si può immaginare una politica di sconti all'ingrosso, per cui se viene acquistato 10 c'è un certo
pezzo, se viene acquistato 30 è un'altro pezzo, eccetera. Quindi i prezzi sono diversi per unità diverse, ma ogni
consumatore paga lo stesso prezzo purché acquisti la stessa quantità.
Questo tipo di differenziazione implica una determinazione non lineare del prezzo, noi non guarderemo nello
specifico che cosa succede, ma introduciamo solo il concetto di determinazione non lineare del prezzo.
Il monopolista è come se proponesse diversi menù per possibili transazioni, ed è il consumatore che
liberamente sceglie l'opzione sul menu che preferisce. Non è una situazione di monopolio, ma è una politica di
discriminazione in base alle quantità. Consideriamo le offerte delle compagnie per la telefonia mobile, succede
che tipicamente offrono diversi pacchetti, ogni pacchetto ha una particolare combinazione di telefonate verso
altri cellulari, SMS, traffico Internet, eccetera, quindi una diversa composizione del menù. I consumatori sono
ovviamente liberi di scegliere il menù che preferiscono.
Quando questa politica è efficace dal punto di vista delle compagnie telefoniche? Quando effettivamente i
consumatori vanno a scegliere esattamente il menù che è stato pensato per le loro caratteristiche. In questo
modo il monopolista riesce a sfruttare in qualche modo la diversa disponibilità a pagare dei diversi
consumatori.

La discriminazione di prezzo di terzo grado è per tipo di consumatore, per cui i consumatori possono essere
classificati secondo una qualche caratteristica e le condizioni a cui il bene è venduto, dipendono da quelle
caratteristiche, ad esempio studenti e non studenti, bambini e non bambini, anziani e non anziani, mercato
nazionale e mercato estero. Tipicamente, anche quando non si è in un regime di monopolio, le imprese, ad
esempio, offrono condizioni diverse sul mercato nazionale rispetto al mercato estero, spesso per i mercati esteri
forniscono delle condizioni relativamente più vantaggiose, perché l'impresa nazionale ha la necessità di dover
essere competitiva in un mercato straniero.
La discriminazione di terzo grado implica che ogni tipo di consumatore può essere considerato come
appartenente a un mercato diverso. Il monopolista quindi vende l'output a tipi diversi, a prezzi diversi, ma ogni
tipo paga lo stesso prezzo per ogni unità acquistata. Quindi ogni tipo di consumatore paga lo stesso prezzo per
ogni unità acquistata, ma i prezzi sono diversi per tipi diversi di consumatori, quindi è come se il monopolista
riuscisse a riconoscere che di fronte a sé non ha un unico mercato, ma ha tanti mercati quanti sono i tipi di
consumatore.

Esempio: immaginiamo che esistano due tipi di consumatore.


Se ci sono due tipi di consumatore è come se il monopolista considerasse due mercati distinti, ogni mercato
sarà caratterizzato dalla sua funzione di domanda, quindi se abbiamo due tipi di consumatori immaginiamo che
P1 funzione di Q1 sia la funzione di domanda inversa nel mercato uno. E poi abbiamo P2 funzione di Q2 che
rappresenta la domanda inversa nel mercato due.
Il monopolista avrà una sua funzione di costi totali, che è funzione di Q1+Q2, cioè noi stiamo immaginando un
monopolista che ha un unico impianto di produzione per cui i costi di produzione dipendono dalle quantità
complessivamente prodotte, perché il bene è sempre lo stesso, solo che Q1 andra al mercato 1 e Q2 va al
mercato 2.
In questo caso il monopolista ha un'unica funzione di costi totali, ma ha due funzioni di domanda, per cui è
come se avesse due funzioni, ricavo totale. Quali sono i ricavi che può generare dal primo mercato?

Poi ci sono i ricavi totali dal secondo mercato:


Questo perché i prezzi possono essere diversi, meno i costi totali che sono funzione di Q1 +Q2.

Questa è la funzione di profitto del nostro monopolista, che può fare una discriminazione di prezzo di terzo
grado.
Quindi quale sarà il suo obiettivo? Il monopolista vuole massimizzare questi profitti, fissando sia Q1 che Q2,
cioè decidendo quanto output produrre e destinare al mercato uno e quanto output produrre e destinare al
mercato due. Quindi vediamo quali sono le condizioni che devono prevalere affinché Q1 e Q2 massimizzino i
profitti del monopolista.
Allora avremo due condizioni:
1. La derivata parziale della funzione di profitto rispetto a Q1, sia uguale a zero, cioè che ricavi marginali nel
primo mercato, che sono funzioni di Q1 siano uguali ai costi marginali che sono funzioni di Q1 + Q2.
2. La derivata prima parziale la funzione di profitto rispetto al Q2 sia uguale a zero e quindi che i ricavi
marginali nel secondo mercato rispetto a Q1 siano uguali ai costi marginali che sono funzioni di cui
Q1+Q2.

Una volta che abbiamo impostato questo sistema di due equazioni, abbiamo esattamente la funzione di ricavo
marginale del primo mercato, la funzione di ricavo marginale del secondo mercato. Risolvendo otteniamo q1~
e poi q2~, cioè la quantità che massimizza il profitto dei consumatori nel primo mercato e la quantità del
secondo mercato.
Ovviamente poi, risostituendo q1~, come facciamo a trovare p1~? Sarà uguale a P1 funzione di q1~, cioè
mettiamo q1~ nella funzione di domanda inversa del primo mercato, così p2~ sarà uguale a P2 funzione di p2~.

Guardando questo sistema di equazioni che deve essere simultaneamente soddisfatto, vediamo che i ricavi
marginali nei due mercati devono essere uguali alla stessa funzione, che è un'unica funzione di costo marginale.
Quindi vorrà dire che in corrispondenza di q1~ e di q2~ quei ricavi marginali del primo e del secondo mercato
sono uguali.
Noi sappiamo che in ogni distinto mercato la funzione di ricavo marginale, nel primo mercato può essere scritta
come P1 che moltiplica 1-1 sul valore assoluto dell'elasticità della domanda al prezzo nel primo mercato, che
sarà uguale ai costi marginali, funzione di Q1+Q2~, che sarà uguale ai ricavi marginali nel secondo mercato e
quindi sono uguali a P2~ che moltiplica 1-1 sul valore assoluto dell'elasticità della della domanda al prezzo nel
secondo mercato.

Questa condizione è necessariamente soddisfatta se io risolvo il sistema di due equazioni simultanee di prima.
Significa che se la massimizzazione del profitto del monopolista porta due prezzi diversi nei due mercati, cioè
ad esempio supponiamo che P1~ sia più grande di P2~, quello che ho è che il valore assoluto dell'elasticità
della domanda al prezzo nel primo mercato è più piccolo del valore assoluto dell'elasticità della domanda al
prezzo nel secondo mercato. Cioè sostanzialmente il prezzo è maggiore nel mercato con una domanda meno
elastica.

Esempio particolare:
Abbiamo due funzioni di domanda per due distinti mercati: p1 = 100-Q1 e P2 = 60-Q2.
Supponete che la funzione di costi totali del monopolista sia uguale a zero.
Questo ovviamente è un caso molto particolare, che consideriamo solo perchè è evidente che cosa debba fare il
monopolista in questo caso. Consideriamo una discriminazione di prezzo di terzo grado.
Quali sono le condizioni che devono essere puntualmente soddisfatte?
La prima è che il ricavo marginale nel primo mercato sia uguale al costo marginale e la seconda che il ricavo
marginale nel secondo mercato sia uguale sempre al costo marginale.

Quale sarà P1 e P2 di equilibrio? Sostituiamo Q1~ all'interno della funzione di domanda del primo mercato e
del secondo:

Se c'è una discriminazione dei prezzi, i costi marginali sono zero, quindi qui non li disegniamo perché
corrispondono all'asse delle Ascisse.
Se c'è discriminazione di terzo grado, il monopolista considera separatamente mercato uno e mercato due.Nel
mercato uno si domanda, qual è la mia funzione di ricavo marginale del mercato uno? Sarà una semiretta che
scende con inclinazione doppia rispetto all'asse delle Ascisse.
Se i costi totali sono uguali a 0 e quindi anche i costi marginali sono uguali a 0, dove troviamo l’equilibrio? Nel
primo mercato il monopolista arriverà a produrre la quantità fino a che i ricavi marginali del primo mercato
sono uguali a 0, per cui il punto in blu. Nel secondo mercato, il monopolista sceglie la quantità in
corrispondenza dei quali i ricavi marginali del secondo mercato sono uguali a zero e questo si ha per una
quantità uguale a 30. Si risale sulla funzione di domanda del secondo mercato e si trova il prezzo.
Quindi quello che abbiamo è che in questo caso i profitti totali del monopolista saranno uguali: nel primo
mercato sono 50 per 50, nel secondo mercato sono 30 per 30. I costi totali sono a zero e quindi non dobbiamo
sottrarre nulla.
Questo è quello che fa il monopolista se può fare una discriminazione di prezzi di terzo grado.

In questa situazione, se il monopolista non potesse discriminare, che cosa succederebbe?


Supponiamo adesso che intervenga lo Stato e dica che la discriminazione di prezzo di terzo grado non si può
fare. Ci sono ad esempio per legge delle discriminazioni tra consumatori che non sono lecite. Per cui, ad
esempio, per alcuni tipi di scambi non si può discriminare in base al sesso dei consumatori o in base ad altre
caratteristiche di questo genere. In questo caso il monopolista deve considerare un unico mercato e se considera
un unico mercato deve prima procedere a quella che è la funzione di domanda somma dei due mercati.
Sappiamo che per un prezzo compreso tra 100 e 60, l'unica parte di consumatori che è disposta a domandare il
bene è quella che arriva dalla funzione di domanda uno, mentre invece per tutti i prezzi che vanno da 60 a zero
intervengono anche i consumatori del mercato due.
Per cui nel terzo grafico vediamo la funzione di domanda somma. Se il prezzo è compreso tra 60 e 100, la
funzione di domanda inversa è 100 - Q, se invece il prezzo è compreso tra zero e 60, la funzione di domanda è
uguale a 80 - 1/2Q. Noi sappiamo che si sommano le quantità, non si sommano i prezzi. Quindi, in questo
secondo pezzo, dobbiamo sommare la funzione di domanda diretta del primo mercato del secondo mercato e
quindi abbiamo q = 100 - P+60-P che è il motivo per cui otteniamo P =80 -1/2P.

La funzione di domanda di mercato è una spezzata.


Come facciamo a verificare che cosa fa il monopolista? Dobbiamo sostanzialmente capire se il monopolista si
metterà in corrispondenza del primo tratto della funzione di domanda totale o del secondo tratto.
Guardiamo il ricavo marginale in corrispondenza del primo tratto:
Questo non va bene perché il primo tratto della funzione di domanda si ha per un prezzo superiore a 60. Quindi
prendiamo l’altro tratto:
Quindi q=80 è quello che succede se non c’è possibilità di discriminare. Il monopolista produce una quantità
complessiva uguale 80, il prezzo unitario è 40 e vende a un prezzo uguale a 40 tutti i consumatori che sono
disposti a pagare quel prezzo e quindi serve sia consumatori del mercato uno che consumatori nel mercato due.
Però potrebbe succedere che le funzioni di domanda dei due mercati siano cosi diverse in termini di volumi che
se si impedisce al monopolista di discriminare, il monopolista finisce per servire un solo mercato.

Esempio:
Consideriamo che la funzione di domanda nel primo mercato sia sempre: p1=100-q1. Nel secondo mercato la
funzione di domanda è p2=20-q2.

I costi totali sono uguali a zero, perché è evidente quale diventa la soluzione.
Se c'è la possibilità di discriminazioni di terzo grado, quale saranno le scelte del monopolista? Il monopolista
risolverà questo sistema di equazione:

Quindi adesso in questi due mercati, abbiamo le funzioni di ricavo marginale.


Tutte le politiche di discriminazione di prezzo servono al monopolista a incrementare i suoi profitti, quindi è
possibile che intervenga lo Stato, o un ente regolatore, a dire che non è possibile questo tipo di discriminazione,
quindi che il monopolista non può differenziare tra questo tipo di consumatore uno e questo tipo di
consumatore due. Allora, se questo è il caso, ancora una volta noi dobbiamo considerare la funzione di
domanda somma. E abbiamo che per prezzi compresi tra 100 e 20 l'unica funzione di domanda di mercato che è
valida è quella del mercato uno, perché nel mercato due i consumatori non sono disposti all'acquisto. Invece per
un qualsiasi prezzo che va da zero a 20 intervengono anche i consumatori del secondo mercato e quindi poi si
ha quest'altro pezzo della funzione di domanda per cui la funzione taglia l'asse delle ascisse in corrispondenza
di un valore uguale a 120.
Ora che cosa può succedere? Qui abbiamo due tratti della funzione di domanda aggregata, consideriamo il
secondo tratto in cui tutti e due i tipi di consumatori interverrebbero. Se consideriamo quel secondo tratto, la
funzione di domanda aggregata se il prezzo è compreso tra 20 e 100 P=100-Q
Se il prezzo è compreso tra zero e 20, allora le quantità complessive sono uguali a 100- P +20-P per cui la
funzione P =60-1/2Q.
Prendiamo il secondo tratto della funzione di domanda, se il monopolista fosse in corrispondenza di questo
tratto, il ricavo marginale è uguale al costo marginale.

Ma se il prezzo è uguale a 30, noi non siamo più nel secondo tratto della funzione di domanda, quindi questa
soluzione non va bene, proviamo a considerare l’altro pezzo della funzione di domanda. Imponiamo sempre
ricavo marginale uguale a costo marginale:
In questo caso succede che se il monopolista non può discriminare tra i due mercati, sceglierà di servire solo il
primo mercato, producendo una quantità complessiva uguale a 50, venduta a un prezzo unitario uguale a 50,
quindi al bene accederanno solo i consumatori di tipo uno.
Quindi nel momento in cui si interviene in un mercato, impedendo la discriminazione, potrebbe essere possibile
che un tipo di consumatori non proceda effettivamente a nessuna transazione.

Esempio da tema d’esame:


I costi totali del monopolista sono:
Il monopolista è attivo in un solo mercato, in cui la funzione di domanda inversa è:

Il monopolista associa a questa funzione di domanda la sua funzione di ricavo marginale, che non è uguale alla
funzione di domanda.
La quantità che il monopolista decide di produrre è quella e corrispondenza dei quali costi marginali sono
uguali a ricavi marginali, quindi nel punto di intersezione in blu. Quant'è esattamente la quantità che
corrisponde a quel punto? Impostiamo ricavo marginale uguale a costo marginale.

Ci potrebbero poi chiedere, qual è la perdita netta di monopolio? Per trovare la perdita netta di monopolio, noi
dobbiamo trovare l'output che sarebbe prodotto in concorrenza perfetta. Quale sarebbe quest’output? È l’output
in corrispondenza del quale la funzione di domanda è tagliata dalla funzione di costo marginale, ovvero il punto
in nero. Per cui dobbiamo in questo caso impostare:
La perdita netta di monopolio è la perdita di surplus che si ha complessivo rispetto alla soluzione di
concorrenza perfetta e quindi la perdita netta sarà uguale all'area del triangolo in rosso, per cui sarà uguale a:
Se ci fosse discriminazione perfetta, quale sarebbe l'output complessivamente prodotto?
Se ci fosse discriminazione perfetta, la funzione di domanda corrisponde alla funzione di ricavo marginale
monopolista e in questo caso il monopolista produce esattamente la quantità di concorrenza perfetta, cioè
produce 40.
In questo caso, qual è il surplus del produttore? Il surplus del produttore è tutto questo triangolone (tutto il
grafico) perché al consumatore non va nulla, quindi al surplus del produttore sarebbe uguale a:

Che cosa accadrebbe se a questo monopolista non discriminante, viene imposta un’accisa uguale a 5?
Cioè, adesso il monopolista deve pagare 5 € per ogni unità di bene venduto. È come se la funzione di costo
totale del monopolista adesso diventasse 10 per le totali più 5 per le quantità totali, perché 5 per le quantità
totali è quanto deve dare, deve versare allo Stato:
Quindi adesso abbiamo una nuova funzione di costo marginale uguale a 15:
Quindi, avendo introdotto l'imposta, la funzione di costo marginale si sposta verso l'alto e arriva ad essere 15.
Dov'è il nuovo equilibrio del monopolista? È uguale ai ricavi marginali e ai nuovi costi marginali:

Il prezzo invece, lo si trova sostituendo 17.5 all'interno la funzione di domanda inversa e quindi:

Adesso ci viene detto di considerare che il monopolista abbia accesso anche a un secondo mercato, e che il
secondo mercato abbia questa funzione di domanda:
Che cosa succede se il monopolista può applicare una politica di discriminazione di terzo grado? In questo caso
monopolista, considera separatamente mercato 1 e mercato 2. Quindi nel mercato uno continua a produrre
q1~=20 e p1~=30. Nel secondo impone:
Questo si può fare perché i costi totali sono lineari, altrimenti non si potrebbe fare così.
Allora, quali sono in questo caso i profitti totali del monopolista? Ai profitti del primo mercato adesso somma
quelli del secondo mercato:
Cosa succede se invece c'è anche il secondo mercato ma senza discriminazione? Dobbiamo trovare la funzione
di domanda aggregata.

Il monopolista, si porrà in corrispondenza del primo tratto della funzione di domanda aggregata o del secondo?
Proviamo con il primo tratto:
Questo non va bene, quindi prendiamo l'altro pezzo della funzione:

Altro esercizio:
Abbiamo un monopolista che ha accesso a due mercati con funzioni: q1=100-p1 e q2=10-p2, con TC =0.
Se il monopolista può compiere una discriminazione del terzo ordine, quali sono le condizioni che devono
essere naturalmente soddisfatte?
Sono:

Che cosa accadrebbe, invece, se avessimo concorrenza perfetta?

Se ci fosse discriminazione perfetta di primo grado cosa farebbe il monopolista?


La quantità complessivamente prodotta nel primo mercato sarebbe 100, la quantità prodotta nel secondo
mercato sarebbe 10. Ma che cosa cambia? Cambiano i profitti.
Qual è il problema? che tutto il surplus è del produttore.

Ora passiamo da una situazione in cui abbiamo due mercati a una situazione in cui non si può discriminare.
Abbiamo bisogno di fare la domanda aggregata, per cui abbiamo che se il prezzo è compreso tra 10 e 100, la
funzione di domanda inversa sarà p=100-q, invece se il prezzo è compreso tra 0 e 10 dobbiamo sommare:

Quindi vediamo dove ricade la scelta del monopolista; prendiamo il primo tratto della funzione di domanda e
impostiamo il ricavo marginale uguale al costo marginale.

Questo è possibile perché siamo effettivamente all'interno di questo primo tratto della funzione di domanda.
Se avessimo scelto il secondo tratto, avremmo avuto
Ma questo non può andare bene perché il prezzo in questo caso sarebbe superiore a 10. Quindi questo è un caso
in cui se si impedisce la discriminazione, il monopolista vende solo al primo mercato.

Fino ad adesso tutte le scelte di un consumatore erano considerate in condizioni di certezza, cioè il consumatore
poteva effettivamente selezionare un paniere di beni e, se le circostanze, in termini di capacità di reddito lo
permettevano, noi consideravamo il caso che il consumatore potesse effettivamente ottenere quel paniere di
beni. Cos'è una situazione invece di rischio o incertezza? La possiamo pensare in questo modo, è come se non
ci fosse più una corrispondenza biunivoca tra decisioni e conseguenze. Vuol dire che adesso, ad esempio oggi,
se io prendo la decisione D che cosa mi può capitare? Presa la decisione D1, gli effetti della decisione D1 si
realizzano domani, e potrebbe capitarmi questo:
• Con probabilità 0.1 la mia ricchezza finale sarà zero.
• Con probabilità 0.2 la mia ricchezza finale è 30.
• Con probabilità 0.3 è 31.
• Con probabilità 0.4 è 40.
Questo è un prospetto incerto, è una situazione di rischio, nel senso che io oggi posso prendere una decisione,
ma la conseguenza per me rilevante della decisione che prendo potrebbe essere o zero o 30 o 31 o 40. Quindi
scegliere D1 è come scegliere una lotteria che con probabilità 0.1 mi da zero, con probabilità 0.2 mi da 30, con
probabilità z0.3 mi da 31 e con probabilità 0.4 mi da 40. Io potrei scegliere tra questa lotteria e un'altra lotteria
in cui, ad esempio:
• Con probabilità 0.01 ho una perdita uguale a -10.
• Con probabilità 0.99 ho un guadagno uguale a 20.
Con D2 ho un'elevata probabilità di avere 20, però con D2 potrei anche avere una perdita uguale a -10, come
faccio a capire se preferisco la prima decisione o la seconda?
Ogni decisione noi adesso la pensiamo come se fosse una lotteria. Che cos'è la lotteria? È l'oggetto composto
da una distribuzione di probabilità e da un'insieme di premi o conseguenze.

Quindi io ho il problema di dover rappresentare le preferenze rispetto a prospetti incerti. L'approccio che noi
seguiremo è quello che si chiama approccio dell’utilità attesa o di Von Neumann - Morgenstern.
La funzione di utilità attesa serve a rappresentare le preferenze rispetto a prospetti incerti, corrisponde a una
somma ponderata di una funzione di utilità per conseguenze certe, dove i pesi sono le probabilità.
Considerate di avere a che fare con due lotterie semplici, per cui il nostro decisiore delle scegliere tra L1 e L2
con le rispettive probabilità:

Noi siamo in grado di esprimere le preferenze del nostro consumatore rispetto a quantità certe, per cui
possiamo immaginare di avere una funzione di utilità che ci dà ad esempio U(c1), cioè U funzione dei diversi c
dove questi c si realizzano con probabilità uno, sono certi. Noi fino ad adesso sappiamo che:

Ma come facciamo a confrontare L1 rispetto a L2? Dovremmo introdurre esplicitamente degli assiomi rispetto
alle preferenze di un consumatore tra prospetti incerti. Ma non lo facciamo, però assumeremo che ci siano
sempre le condizioni per cui le preferenze tra, ad esempio L1 e L2, sono rappresentate dalla funzione di utilità
attesa, la quale associa un numero ad ogni prospetto incerto.
Qual è il numero che la funzione di utilità attesa associa alla lotteria L1? Abbiamo detto che la funzione utilità
attesa è una somma ponderata di una funzione di utilità rispetto ai prospetti certi dove pensi sono le probabilità,
per cui sarà uguale a:
Quale sarà il numero che la funzione utilità attesa associa alla lotteria L2?
Queste funzioni di utilità attesa sono dei numeri, che corrispondono a delle somme ponderate di una funzione
del consumo rispetto a prospetti certi, funzioni u(c1) e u(c2) dove i pesi sono le probabilità.
La funzione utilità attesa la interpretiamo come la funzione che ci consente di rappresentare le preferenze dei
consumatori rispetto a prospetti incerti.
Quindi interpreteremo in questo modo:
Quindi il concetto di funzione di utilità attesa, è l'estensione a una situazione di incertezza di una qualche
funzione nei numeri reali che possa permettere di rappresentare le preferenze del consumatore, solo che adesso
le preferenze del consumatore sono espresse rispetto a prospetti incerti.

Noi quando eravamo in teoria del consumo, in una situazione di incertezza, che cosa dicevamo? Noi abbiamo
una funzione di utilità, ne facciamo una qualsiasi trasformazione monotona positiva e otteniamo un'altra
funzione utilità che rappresenta le stesse preferenze, perché la funzione utilità in condizioni di certezza
incertezza, ha un significato solo ordinale. Invece, la funzione di utilità attesa, da questo punto di vista, è
diversa, è una funzione che ha un'interpretazione cardinale.
Per cui, questo implica che se io parto da una funzione di utilità attesa, che rappresenta le preferenze rispetto ai
prospetti incerti di un consumatore, io posso solo fare quella che si chiama una trasformazione lineare
positiva, ovvero io parto da una funzione U e posso creare un'altra f(U) = aU+b, dove a>0.
Se io parto da una funzione di utilità attesa ne posso creare un'altra solo tramite una trasformazione lineare
positiva.

In una situazione di incertezza, una prima cosa che si va a vedere è l'attitudine al rischio.
Cosa vuol dire essere avversi o propensi al rischio in microeconomia?
Considerate questa lotteria:

La lotteria due è una lotteria del genere perché con certezza io ottengo una quantità di denaro.
Considerate la prima lotteria, qual è il valore atteso di x dato il primo prospetto incerto?

Quindi, sostanzialmente che cosa succede? Io confronto due lotterie che hanno lo stesso valore atteso di X.
Queste due lotterie danno la stessa quantità attesa di denaro, solo che una è una lotteria vera e propria, perché
X1 è diverso da X2 e quindi con una certa probabilità ho una quantità di denaro X1, e con un'altra probabilità
ho una quantità di denaro x2.
La seconda lotteria è invece una lotteria in cui io sempre sono pagata una quantità di denaro.
Dal confronto tra queste due lotterie, si stabilisce se un individuo è avverso, propenso o neutrale al rischio, in
particolare se L2 è strettamente preferito a L1, allora si ha quella che si chiama avversione al rischio, cioè
preferisco ottenere con certezza il valore atteso della lotteria rispetto a sperimentare una situazione in cui il
valore atteso è lo stesso, la ricchezza attesa è la stessa, ma io posso effettivamente finire per avere nelle mie
tasche o X1 o X2. Sono disturbata dalla variabilità nel mio flusso di denaro, questa è l’avversione a rischio.
attesa, la quale associa un numero ad ogni prospetto incerto.
Qual è il numero che la funzione di utilità attesa associa alla lotteria L1? Abbiamo detto che la funzione utilità
attesa è una somma ponderata di una funzione di utilità rispetto ai prospetti certi dove pensi sono le probabilità,
per cui sarà uguale a:
Quale sarà il numero che la funzione utilità attesa associa alla lotteria L2?
Queste funzioni di utilità attesa sono dei numeri, che corrispondono a delle somme ponderate di una funzione
del consumo rispetto a prospetti certi, funzioni u(c1) e u(c2) dove i pesi sono le probabilità.
La funzione utilità attesa la interpretiamo come la funzione che ci consente di rappresentare le preferenze dei
consumatori rispetto a prospetti incerti.
Quindi interpreteremo in questo modo:
Quindi il concetto di funzione di utilità attesa, è l'estensione a una situazione di incertezza di una qualche
funzione nei numeri reali che possa permettere di rappresentare le preferenze del consumatore, solo che adesso
le preferenze del consumatore sono espresse rispetto a prospetti incerti.

Noi quando eravamo in teoria del consumo, in una situazione di incertezza, che cosa dicevamo? Noi abbiamo
una funzione di utilità, ne facciamo una qualsiasi trasformazione monotona positiva e otteniamo un'altra
funzione utilità che rappresenta le stesse preferenze, perché la funzione utilità in condizioni di certezza
incertezza, ha un significato solo ordinale. Invece, la funzione di utilità attesa, da questo punto di vista, è
diversa, è una funzione che ha un'interpretazione cardinale.
Per cui, questo implica che se io parto da una funzione di utilità attesa, che rappresenta le preferenze rispetto ai
prospetti incerti di un consumatore, io posso solo fare quella che si chiama una trasformazione lineare
positiva, ovvero io parto da una funzione U e posso creare un'altra f(U) = aU+b, dove a>0.
Se io parto da una funzione di utilità attesa ne posso creare un'altra solo tramite una trasformazione lineare
positiva.

In una situazione di incertezza, una prima cosa che si va a vedere è l'attitudine al rischio.
Cosa vuol dire essere avversi o propensi al rischio in microeconomia?
Considerate questa lotteria:

La lotteria due è una lotteria del genere perché con certezza io ottengo una quantità di denaro.
Considerate la prima lotteria, qual è il valore atteso di x dato il primo prospetto incerto?

Quindi, sostanzialmente che cosa succede? Io confronto due lotterie che hanno lo stesso valore atteso di X.
Queste due lotterie danno la stessa quantità attesa di denaro, solo che una è una lotteria vera e propria, perché
X1 è diverso da X2 e quindi con una certa probabilità ho una quantità di denaro X1, e con un'altra probabilità
ho una quantità di denaro x2.
La seconda lotteria è invece una lotteria in cui io sempre sono pagata una quantità di denaro.
Dal confronto tra queste due lotterie, si stabilisce se un individuo è avverso, propenso o neutrale al rischio, in
particolare se L2 è strettamente preferito a L1, allora si ha quella che si chiama avversione al rischio, cioè
preferisco ottenere con certezza il valore atteso della lotteria rispetto a sperimentare una situazione in cui il
valore atteso è lo stesso, la ricchezza attesa è la stessa, ma io posso effettivamente finire per avere nelle mie
tasche o X1 o X2. Sono disturbata dalla variabilità nel mio flusso di denaro, questa è l’avversione a rischio.

Stiamo considerando decisioni in condizioni di rischio, di incertezza.


Ora la situazione tipica in cui troveremo il nostro decisore, è una situazione in cui deve scegliere tra decisioni
che non hanno una conseguenza univoca, ma che possono essere rappresentate come se fossero delle lotterie.
Ad esempio, può essere che la decisione L1 con probabilità 0,1 il premio finale è x1, con probabilità 0,2 è x2 e
con probabilità 0,7 è x3. Dove x1, x2, e x3 sono diversi tra loro e sono le conseguenze ultime.
Noi abbiamo bisogno di un modo di rappresentare le preferenze tra le diverse lotterie, cioè se c’è la lotteria li e
lj dobbiamo avere la capacità di saperle confrontare, essendo in grado di dire se l’individuo preferisce la prima
alla seconda o viceversa o le considera equivalenti.
La rappresentazione della relazione di preferenza tra le varie lotterei noi assumeremo che possa essere
rappresentata dalla funzione di utilità attesa e dicevamo che questa è una media ponderata di una funzione di
utilità per conseguenze certe dove i pesi sono le probabilità. Per cui, ad esempio, la funzione di utilità attesa in
corrispondenza della lotteria l1 sarà uguale a:
u (u piccolo) è una funzione di utilità rispetto a quantità certe, a conseguenze certe.
Come vediamo la funzione di utilità attesa è la media ponderata, e come dicevamo tale funzione può subire
solo variazioni lineari positive, altrimenti perde la proprietà di essere una media ponderata.

Eravamo arrivati all’introduzione del concetto di attitudine al rischio. L’attitudine al rischio si valuta in questo
modo: consideriamo la lotteria L1 in base alla quale con probabilità π si ottiene x1 e con probabilità π-1 si
ottiene x2. Noi sappiamo che il valore atteso di x considerando questo prospetto incerto L1 sarà uguale a:

Se noi interpretiamo x1 e x2 come quantità di denaro, questo è il valore atteso della ricchezza data a quella
lotteria.

Adesso consideriamo la lotteria L2 che è una lotteria degenere, perché con probabilità 1 dà una quantità di
denaro che è uguale alla formula riquadrata sopra.
Per capire meglio, consideriamo una situazione in cui abbiamo due proposte salariali: con la prima succede che
con probabilità ½ prendiamo o 0 o 20, mentre con la seconda succede che con probabilità 1 otteniamo sempre
10. Preferiamo allora la prima lotteria alla seconda o viceversa o le consideriamo equivalenti?
Tra queste due lotterie la differenza è che la lotteria L1presenta una variabilità degli esiti (possiamo o
guadagnare 0 o guadagnare 20), mentre la lotteria L2 dà un reddito certo. La caratteristica di queste due lotterie
è che il valore atteso della ricchezza è lo stesso.

Si dice che c’è avversione al rischio quando succede che un individuo, che deve scegliere tra le due lotterie,
preferisce almeno debolmente L2 a L1, cioè preferisce la lotteria che dà con probabilità 1 il valore atteso della
ricchezza rispetto all’altra lotteria che implica invece una variabilità.
Quindi, l’avversione al rischio è qualcosa che riguarda le preferenze dell’individuo. Nell’essere avversi oppure
neutrali o propensi al rischio non ci si può sbagliare, non è una questione di logica ma una questione di
preferenze.
Possiamo anche definire l’utilità al rischio in questo modo: si ha avversione al rischio quando l’utilità attesa
della ricchezza è inferiore all’utilità della ricchezza attesa.
Noi abbiamo detto che le preferenze tra lotterie possono essere rappresentate dalla funzione di utilità attesa;
quindi, se c’è avversione al rischio, la funzione di utilità attesa deve dare in corrispondenza di L2 un numero
che non è mai più piccolo di quello che la funzione di utilità associa alla lotteria L1.
Come scriviamo la funzione di utilità attesa della lotteria L2?
Invece l’utilità attesa di L1 è
Allora si ha avversione al rischio quando

L’avversione al rischio esprime l’idea che un soggetto è disturbato dal fatto che il suo flusso di denaro è
erratico, ad esempio possa essere 0 o 20 e preferisce dunque ricevere con certezza una quantità di denaro pari a
10. Dal punto di vista matematico questo corrisponde a:
Se noi guardiamo questa disuguaglianza dal punto di vista matematico, stiamo dicendo che l’avversione al
rischio corrisponde all’idea che questa funzione di utilità per quantità certe di moneta sia concava.
Proviamo a rappresentare graficamente:
Mettiamo sull’asse delle ascisse le quantità certe di moneta, mentre sull’asse delle ordinate la funzione di utilità
di u piccolo (funzione di utilità rispetto a quantità certe di denaro). Immaginiamo che la funzione di utilità sia
crescente e concava, cioè più denaro è preferibile a meno denaro. Consideriamo due diverse quantità di denaro
date dalla probabilità 1 (x1 e x2) e troviamo per ciascuna il livello di utilità.
Il valore atteso di x è uguale a:
Questa è la ricchezza attesa (non l’utilità attesa) e questo valore atteso di x, nel momento in cui π giaccia
nell’intervallo aperto (0,1) sarà una quantità di denaro che giace da qualche parte tra x1 e x2.
Se l’individuo ricevesse con certezza questa quantità di denaro uguale al valore atteso di x, il suo livello di
utilità sarebbe u(E(x)), che rappresenta l’utilità attesa della lotteria L2, quella in cui riceviamo con probabilità 1
il valore atteso di x.
Dov’è l’utilità attesa di L1? Riscriviamo a cosa è uguale l’utilità attesa della prima lotteria:

Per cui significa che prendendo i due punti e unendoli con un segmento, possiamo vedere che in
corrispondenza del valore atteso di x, sul segmento, quello che troviamo è il valore dell’utilità attesa della
lotteria L1. Quindi, come è evidente dal grafico, l’utilità attesa di L2, cioè l’utilità della ricchezza attesa è più
grande dell’utilità attesa della ricchezza (utilità attesa di L1).
Questo si verifica tutte le volte in cui la funzione di utilità u piccolo è concava; quindi, l’avversione al rischio
corrisponde alla concavità della funzione u piccolo per quantità certe di denaro. Il significato dell’avversione al
rischio è che l’utilità della ricchezza attesa non è inferiore all’utilità attesa della ricchezza.

RICAPITOLANDO: L’avversione al rischio è:



• Corrisponde alla concavità della funzione di utilità u piccolo
• Significa anche che la derivata prima della funzione di utilità u piccolo rispetto a x non è crescente (il che
significa sempre dire che la funzione di utilità è concava: la funzione di utilità è concava quando, tracciando
l’inclinazione della retta tangente alla funzione nei diversi punti, questa inclinazione va scendendo.
L’inclinazione in un punto corrisponde alla derivata prima della funzione di utilità di u piccolo rispetto a x.
Scrivendo in questo modo, possiamo reinterpretare l’avversione al rischio in questi termini: l’utilità marginale
della ricchezza o del reddito è decrescente. Ciò significa che il guadagno di utilità da 1 euro in più, non è
superiore alla perdita di utilità da meno 1 euro: perdere un’unità di reddito comporta un decremento della
funzione u piccolo che è più grande dell’incremento della funzione u piccolo se aggiungiamo un’unità di
reddito.
Si ha avversione stretta al rischio quando, come nel caso precedente, l’utilità della lotteria L2 è strettamente
più grande dell’utilità attesa della lotteria L1.

Possiamo ora vedere la conseguenza dell’avversione al rischio. La conseguenza è che un agente economico
avverso al rischio, la cui ricchezza iniziale sia priva di incertezza, rifiuta sempre scommesse il cui valore atteso
è zero.
INDIVIDUO AVVERSO AL RISCHIO: Immaginiamo un individuo che può decidere di rimanere nella
lotteria La in cui con probabilità 1 ha w ̅ come quantità di denaro. A questo individuo si propone la seguente
lotteria: Lb. Con probabilità π ha come quantità di denaro w ̅+x1, mentre con probabilità 1-π ha come quantità
di denaro w ̅+x2.
Ad esempio la lotteria Lb è fatta in questo modo:

Come abbiamo detto prima, se un individuo è avverso al rischio e ha una ricchezza iniziale priva di incertezza,
rifiuta scommesse il cui valore è zero, cioè La sarà almeno debolmente preferito a Lb, perché se un individuo è
avverso al rischio, è disturbato dalle erraticità nel flusso di reddito e questa lotteria Lb genera un reddito
addizionale il cui valore atteso è zero perché ad esempio con probabilità ½ si guadagna 10 ma con probabilità
½ si perde 10.
Perché succede questo se un individuo è avverso al rischio? Perché l’utilità attesa di La è uguale a

Qual è invece l’utilità attesa della lotteria Lb?

Ma se c’è avversione al rischio, la funzione u piccolo è concava per cui l’utilità attesa di L1non è mai più
piccola dell’utilità attesa di L2.
Quindi un agente economico strettamente avverso al rischio rifiuta scommesse eque. Le scommesse eque sono
scommesse in cui il premio atteso è uguale a zero.

INDIVIDUO PROPENSO AL RISCHIO: È un individuo che ha preferenze assolutamente ribaltate rispetto


ad un individuo avverso al rischio; cioè se l’individuo è avverso al rischio, gli piace l’erraticità del flusso di
reddito.

Allora un individuo è propenso al rischio se l’utilità attesa della ricchezza non è inferiore all'utilità della
ricchezza attesa.
Una persona che ha una qualche soddisfazione nei giochi d’azzardo, parte con una quantità di denaro certa e
preferisce affrontare una situazione in cui può guadagnare rispetto alla quantità di denaro che ha al momento
nel portafoglio ma può anche perdere. Quindi preferisce una situazione di variabilità nel flusso di reddito.
Non c’è niente di giusto o sbagliato nell’essere avverso o propenso al rischio, è una questione di attitudini/
preferenze.
Se l’avversione al rischio corrisponde alla concavità della funzione di utilità u piccolo per quantità certe di
denaro, la propensione al rischio corrisponde alla convessità della funzione di utilità u piccolo.

Infatti, considerando la situazione in cui abbiamo sull’asse delle x le quantità certe di denaro e sull’asse delle y
la funzione di utilità per quantità certa di moneta. Immaginiamo che la funzione di utilità u piccolo sia
strettamente convessa. Consideriamo due quantità di denaro e dunque abbiamo che con x1 il livello di
soddisfazione sarebbe uguale a u(x1), mentre con x2 sarebbe u(x2).
Abbiamo detto che il valore atteso di x sarà un numero compreso tra x1 e x2. Dunque, se l’individuo ricevesse
certamente il valore atteso di x avrebbe come livello di soddisfazione u(valore atteso di x) che corrisponde
all’utilità attesa della lotteria L2 (quella per cui con probabilità 1 abbiamo una quantità di denaro che è uguale
al valore atteso di x).
Dove troviamo l’utilità attesa della lotteria L1? Congiungendo i due punti, l’utilità attesa di L2 corrisponde al
punto che troviamo sul segmento in corrispondenza del valore atteso di x. Questo valore del punto in blu in
ordinata rappresenta l’utilità attesa della lotteria L1.
Come vediamo, se la funzione di utilità per quantità certe di denaro è convessa, l’utilità attesa di L1 è un
numero più grande dell’utilità della ricchezza attesa.
Come in questo caso, la distanza tra il punto in blu e il punto in rosso, è una distanza strettamente positiva, è la
rappresentazione di un caso di un individuo strettamente propenso al rischio (la disuguaglianza è stretta).

NEUTRALITÀ AL RISCHIO: facciamo il confronto tra lotterie che hanno lo stesso valore atteso della
ricchezza.

Le neutralità al rischio è una situazione che non è né di avversione né di propensione al rischio; cioè una
situazione in cui l’individuo considererà la lotteria L1tanto desiderabile quanto la lotteria L2. Tutte le lotterie, il
cui valore atteso è lo stesso, generano lo stesso livello di soddisfazione.
La neutralità al rischio corrisponde al fatto che la funzione di utilità u piccolo è lineare in x.

Difatti, con x sulle ascisse e u(.) sulle ordinate, immaginando che la funzione sia lineare, consideriamo due
quantità diverse e per ciascuna troviamo il livello di soddisfazione. Tra le due quantità ci sarà il valore atteso di
x, per cui, andando sulla funzione, quello che troviamo è u(valore atteso di x) che sarà uguale a U(L2).
Dove troviamo l’utilità attesa della prima lotteria, quella in cui c’è un flusso di reddito stocastico? Tracciamo
un segmento che unisce il punto u(x1) con il punto u(x2). Facendo così, il segmento si sovrappone
perfettamente a un tratto della funzione u, quindi U(L1)=U(L2).
Se siamo neutrali al rischio ciò di cui ci occupiamo è il valore atteso della ricchezza. Tutte le lotterie che danno
lo stesso valore atteso della ricchezza sono per noi considerate equivalenti, indipendentemente dal grado di
erraticità.

Tipicamente in microeconomia ci si occupa di problemi legati all’avversione al rischio perché in molte


situazioni gli agenti economici si dimostrano avversi al rischio, cioè disturbati dalla stocasticità nel loro flusso
di reddito. Torniamo, dunque, al caso di avversione stretta al rischio per cui la funzione è concava.
Un altro concetto che possiamo includere è quello di equivalente certo. Se c’è avversione al rischio sappiamo
che vale la disuguaglianza scritta in blu, quindi l’individuo preferisce L2 a L1, l’equivalente certo corrisponde
alla quantità certa di denaro che l’agente considera tanto desiderabile quanto la lotteria L1, quella che ha un
flusso di denaro erratico. Dunque, chiamando l’equivalente certo C, è una quantità di denaro tale per cui il
nostro individuo è indifferente tra ricevere C con certezza oppure affrontare la lotteria L1. Ciò significa, in
termini di lotteria attesa che u(c) deve essere esattamente lo stesso numero dell’utilità attesa di L1.

Come vediamo graficamente l’equivalente certo? L’equivalente certo è la quantità certa di denaro che genera lo
stesso livello di soddisfazione pari all’utilità attesa di L1. Quest’ultima è uguale all’altezza del punto in blu,
dunque, qual è la quantità di denaro certa che genera questo stesso livello di utilità attesa? Se dal punto in blu,
allo stesso livello di ordinata, ci spostiamo sulla funzione di utilità u piccolo, troviamo il punto in verde, che
rappresenta appunto la quantità di denaro C che se l’individuo ricevesse con probabilità 1 sarebbe tanto
contento quanto nel caso in cui affrontasse la lotteria L1.
Quando l’individuo è avverso al rischio, il valore atteso di x non è mai inferiore a c; cioè l’equivalente certo è
alla sinistra del valore atteso di x.
La distanza tra il valore atteso di x e l’equivalente certo si chiama premio per il rischio, ed è una misura di
quanto l’erraticità nel flusso di reddito del consumatore diminuisce il suo livello di soddisfazione.
Tanto più questa funzione di utilità è piegata, tanto più lontano sarà l’equivalente certo rispetto al valore atteso
di x.

Questa è l’idea dell’attitudine al rischio di un individuo. Proprio perché gli individui possono avere degli
atteggiamenti diversi rispetto al rischio, ha senso che ci siano in un sistema economico dei contratti di
assicurazione. Un contratto di assicurazione è un contratto in cui ci si scambia sia del denaro (perché
l’assicurato paga un premio all’assicuratore) ma si redistribuisce anche il rischio perché, pensando ad esempio
all’assicurazione di una casa contro il rischio di incendio, se noi ci assicuriamo, dobbiamo pagare un premio
all’assicurazione, ma dall’altro lato, nel caso in cui si verifichi effettivamente un incendio, l’assicurazione ci
pagherà un rimborso; quindi, la nostra perdita nel caso di danno sarà più lieve rispetto alla situazione originaria.
Come si può guardare al caso di assicurazione? Consideriamo il caso di furto della nostra autovettura.
Inizialmente l’individuo si trova in questa situazione: con una certa probabilità 1-π non c’è danno e quindi
l’individuo ha una certa quantità di ricchezza c ̅2; invece con probabilità π si verifica un danno (ci viene rubata
la macchina) e in questo caso la quantità di ricchezza con cui finiamo è c ̅1.

Ci offrono la possibilità di un contratto di assicurazione (consideriamo un contratto semplificato). Questo è tale


per cui se si decide di avere un livello k di rimborso in caso di danno, c’è un premio che va pagato
all’assicurazione che è uguale a γ (gamma) : γ= premio per unità di rimborso.
Il contratto di assicurazione non incide sulle probabilità con cui si verifica o meno il danno; quindi, con
probabilità π continua a verificarsi il danno e, invece, con probabilità 1-π le cose vanno bene. Se si verifica il
danno la quantità di denaro finale è c ̅1, mentre se non si verifica è c ̅2.
Con il contratto ciò che cambia è che se decidiamo un livello k di rimborso in caso di danno dobbiamo in
qualsiasi circostanza pagare un premio all’assicurazione oggi. Questo premio complessivo sarà uguale a γk,
perché gamma è il prezzo per unità di rimborso. Questo γk lo paghiamo in ogni caso, sia che ci sia danno sia
che non ci sia danno, dunque, il premio che va all’assicurazione è certo.
Il vantaggio di un contratto di assicurazione è che se si verifica il danno l’assicurazione ci darà un rimborso
pari a k; quindi, solo con probabilità π, arriveremo ad avere però anche un +k.
Dunque, se si verifica il danno con probabilità π, le quantità di denaro saranno c ̅1+(1-γ)k.

Vediamo come possiamo rappresentare queste lotterie: sull’asse delle ascisse mettiamo la quantità totale di
denaro certa in caso di danno e sull’asse delle ordinate mettiamo la quantità di denaro con cui abbiamo a che
fare se non si verifica il danno.

Rappresentiamo la lotteria iniziale in cui non c’è il contratto di assicurazione: sappiamo che se c’è il danno ci
sarà la quantità di denaro c ̅1, mentre se non c’è il danno ci sarà la quantità c ̅2. Il punto che si trova rappresenta
il nostro prospetto incerto iniziale. Questo punto “non rappresenta nessuna storia possibile”, vuol dire che
domani noi saremo o con c ̅1 o con c ̅2.
Il contratto di assicurazione ci permette di spostarci da questo punto verso un’altra situazione. Se ad esempio
conosciamo il premio per unità di rimborso γ e fissiamo un certo rimborso k, potremmo spostarci in questa
situazione: in caso di danno abbiamo c ̅1+(1-γ)k e in caso di assenza di danno abbiamo c ̅2-γk. Il nuovo punto
che abbiamo trovato rappresenta il prospetto incerto che l’individuo arriva ad affrontare se sceglie un certo k di
rimborso.
Quindi, potremmo immaginare di disegnare tutti i possibili prospetti incerti a cui il nostro individuo può avere
accesso scegliendo un livello di rimborso k. Se sceglie k=0 rimane in corrispondenza del primo punto che
abbiamo trovato, altrimenti, se k è positivo, si sposterà verso il basso. Tutte le possibili trasformazioni
giaceranno sulla stessa semiretta che avrà come inclinazione:

Si tratta, dunque, dell’inclinazione di questa sorta di retta di bilancio (che non è una vera e propria retta di
bilancio) ma rappresenta tutti i prospetti incerti a cui il nostro agente economico può avere accesso scegliendo
diversi livelli di k.

Noi possiamo anche pensare alle cose in questo modo:


• 1-γ può essere pensato come il prezzo del consumo se non si verifica il danno;
• γ può essere pensato come il prezzo del consumo se si verifica il danno.
Sostanzialmente, se noi aumentiamo di un’unità la nostra ricchezza nel caso in cui non si verifica il danno,
stiamo rinunciando a 1-γ nell’eventualità in cui il danno si verifichi. Invece, se stiamo considerando un’unità di
rimborso in più in caso di danno, stiamo rinunciando a -γ nel caso in cui non si verifichi il danno.
Questo rapporto (-γ)/(1-γ) rappresenta l’inclinazione della semiretta.

Negli esercizi, di solito, viene chiesto di trovare l’equazione di questa semiretta. Sappiamo che questa è
l’equazione di una retta, ci viene dato γ quindi conosciamo l’inclinazione, e poi sappiamo che tale semiretta
deve passare per il punto (riquadrato nel grafico) che rappresenta la lotteria iniziale quando il rimborso è zero.
Mettendo insieme queste informazioni possiamo trovare l’equazione.
Normalmente viene tracciata a partire dall’intersezione nell’asse delle ordinate. Il tratto iniziale in rosso
rappresenta infatti l’assicurazione contro il rischio di non danno perché aumenterebbe la quantità di denaro se
non si verificasse il danno, mentre diminuirebbe se si verificasse.

Immaginiamo ora di essere nei panni di un decisore che affronta una situazione di lisca iniziale e deve decidere
qual è il contratto di assicurazione che gli conviene sottoscrivere. Cioè deve decidere se accettare un contratto
di assicurazione e nel caso lo accetti, quale livello di rimborso desiderare.
Ogni volta che facciamo un contratto di assicurazione, dobbiamo decidere per quali rischi assicurarci e qual è il
livello di rimborso. Più vogliamo un livello di rimborso alto in caso di danno, più sarà alto il prezzo che
dobbiamo pagare per assicurarci.
Consideriamo una lotteria che comporta un livello di rimborso k.
Utilizziamo la funzione di utilità attesa. Qual è il numero che la funzione di utilità attesa associa a questa
lotteria di livello LK?
Il nostro decisore ha la possibilità di decidere k perché il prezzo γ non è deciso da lui; quindi, l’obiettivo del
nostro decisore sarà massimizzare la funzione di utilità attesa scegliendo k (variabile strumentale del decisore).
Calcoliamo la derivata prima della funzione di utilità attesa rispetto a k e il k ottimo sarà tale per cui questa
derivata prima è uguale a zero.

Il k ottimo (k ̃) sarà quello in corrispondenza del quale abbiamo che:

A destra dell’uguale abbiamo l’inclinazione della pseudo retta di bilancio mentre a sinistra abbiamo una sorta
di saggio marginale di sostituzione, ossia l’inclinazione di una curva di isolivello per medesima utilità attesa.

Per capire com’è k ̃ facciamo ora delle ipotesi rispetto a π e rispetto a γ.


Consideriamo un’impresa di assicurazione. Questa è una società molto particolare rispetto alle altre imprese,
perché tipicamente un’impresa che si occupa di produzione, prima sostiene i costi di produzione e poi
vendendo l’output ha ricavi; invece, una società di assicurazione ha una situazione completamente opposta:
prima raccoglie il denaro dei premi di assicurazione dai sottoscrittori dei contratti e poi, in un secondo
momento, se si verificano i danni procede al pagamento dei rimborsi. Quindi una società di assicurazione è una
società che inizialmente raccoglie tanta liquidità, perché prende i soldi dei vari contratti di assicurazione e
procederà ai rimborsi solo in caso di danno.
Consideriamo una società di assicurazione che assicuri per un livello di rimborso k, come sono i profitti (p),
ossia il premio che recupera? Saranno uguali a γk, perché γk è un esborso di denaro per il cliente
dell’assicurazione, ma anche un ricavo per la società di assicurazione.
Quali costi attesi avrà la società di assicurazione? Con probabilità π accade il danno e quindi i costi attesi sono
πk. Quindi i profitti attesi del contratto di assicurazione sono uguali a:
Si dice che il premio è equo quando i profitti attesi sono uguali a zero, ossia quando γ=π (il premio per unità di
rimborso è esattamente uguale alla probabilità di danno).
Cosa succede in questo caso? Abbiamo detto che k ̃ si ricava dalla condizione di massimizzazione della
funzione di utilità attesa.

Se γ=π otteniamo che:


Cioè l’utilità marginale del reddito in caso di danno (quello che abbiamo scritto a sinistra dell’uguale) deve
essere uguale all’utilità marginale del reddito in caso di non danno.

Abbiamo detto che l’avversione al rischio corrisponde anche al concetto di utilità marginale del reddito
decrescente; quindi, se si ha avversione al rischio, il lato sinistro dell’equazione può essere uguale al lato destro
se e solo se
Ciò implica che se c’è avversione al rischio e il premio è equo, il rimborso ottimo è quello che rende la quantità
di denaro in caso di danno (a sinistra) esattamente uguale alla quantità di denaro in caso di non danno (a
destra). Risolvendo abbiamo che
Il significato di questa espressione è che ci sarà assicurazione completa. Noi ci assicuriamo completamente se
scegliamo un contratto di assicurazione tale per cui il nostro reddito sarà sempre lo stesso sia se accade il danno
sia se non accade il danno.
Un individuo avverso al rischio sceglie un contratto di assicurazione completa quando il premio è equo.
Mettiamo quantità di denaro in caso di danno sull’asse delle ascisse e quantità di denaro in caso di non danno
sull’asse delle ordinate. Originariamente abbiamo la lotteria in cui non siamo assicurati. Dobbiamo
rappresentare la semiretta che il nostro agente economico può raggiungere scegliendo il livello di rimborso.
Sappiamo che questa semiretta ha (-γ)/(1-γ) come inclinazione e in caso di premio equo γ=π quindi
l’inclinazione è anche uguale a (-π)/(1-π).
Tracciamo la semiretta a 45° che passa dall’origine. Per tutti i punti di questa retta il valore in ascissa è uguale a
quello in ordinata, per cui la quantità di denaro in caso di danno è uguale alla quantità di denaro in assenza di
danno. Possiamo, dunque, interpretare questa semiretta come la linea delle allocazioni certe perché in tutte le
situazioni in cui il decisore finisse su uno dei punti di quella semiretta avrebbe un reddito certo perché sarebbe
sempre lo stesso, sia nel caso in cui si verificasse il danno sia nel caso in cui non si verificasse.
Abbiamo visto che se il premio è equo il consumatore sceglierà un’assicurazione completa, per cui si porrà in
corrispondenza del punto in rosso, in cui la linea delle allocazioni certe taglia la semiretta in nero.
Se il premio è equo e se il nostro consumatore è avverso al rischio, questa è la situazione che sceglie, perché se
disegnassimo delle sorte di curve di indifferenza in cui ciò che rimane costante è il livello di utilità attesa
avremmo una rappresentazione di questo genere (curve in blu). Avremo che il contratto ottimo del decisore sarà
quello che gli consente di raggiunge la curva di indifferenza più alta possibile, cioè quella che sta in
corrispondenza del punto di tangenza tra la curva di indifferenza e la sorta di retta di bilancio.
Quando il premio è equo e il decisore è avverso al rischio, tale punto in rosso lo si ha lungo la linea delle
allocazioni certe. Il nostro individuo si assicura completamente.

Cosa succede se il premio non è equo (iniquo)?


I profitti del contratto di assicurazione sono positivi, cioè γ>π. Se il premio è iniquo vuol dire che la retta di
bilancio avrà un’altra inclinazione, più verticale. Passerà sempre nel punto in cui k=0, punto in verde, ossia per
la lotteria iniziale, ma scenderà con un’inclinazione più forte, diventerà quella in verde ad esempio.
Cosa succede in questo caso al k ottimo? La condizione per k ̃ è sempre la stessa.

Adesso però il premio è iniquo:

In corrispondenza del k ottimo succede che:

Se l’agente è avverso al rischio, questa utilità marginale è decrescente perché u piccolo è concava, quindi vuol
dire che possiamo avere questa disuguaglianza quando accade che
Ovvero succede che se il premio è iniquo, anche se l’agente economico è avverso al rischio, ci sarà
assicurazione incompleta (la quantità di denaro che il nostro individuo finirà per avere se non si realizza il
danno, continuerà ad essere superiore alla sua ricchezza nel caso in cui il danno si realizzi).
Quanto esattamente sarà k ̃ dipende dalla soluzione della condizione precedente: se γ tende ad essere molto
alto, potrebbe anche capitare che k ̃ sia uguale a zero perché il premio per l’assicurazione è talmente
sproporzionato rispetto alla probabilità di danno che si preferisce non assicurarsi.
Graficamente la condizione di k ̃ è sempre una condizione di tangenza tra la mappa delle curve di indifferenza e
la retta di bilancio. Il punto di tangenza in blu non è più sulla linea delle allocazioni certe ma la quantità di
denaro in caso di non danno sarà superiore alla quantità di denaro in caso di danno.
L’inclinazione della semiretta in verde può essere talmente ripida da portare il decisore a decidere che la sua
situazione migliore sia quella di partenza, per cui non si assicura.

Sappiamo che quando abbiamo dei risparmi e dobbiamo investirli, è spesso auspicabile diversificare gli
investimenti.
La diversificazione di un investimento significa che al posto di investire tutto il nostro capitale nelle azioni di
un’unica società, scegliamo di dividere il nostro investimento in acquisti di azioni di società diverse.
Consideriamo pi come il prezzo di una azione della società i e supponiamo di trovarci una situazione in cui
possiamo investire nel capitale di due diverse imprese e supponiamo che oggi il prezzo per unità di azione della
società 1 sia uguale al prezzo della società 2 (p1=p2=10). Abbiamo un capitale iniziale uguale a 100 (w ̅).
Qual è lo scopo dell’investimento? È quello che oggi quelle azioni valgono 10 mentre domani potrebbero avere
un valore diverso; quindi, possiamo guadagnare o perdere a seconda di come abbiamo investito.
Supponiamo che le aspettative rispetto ai valori di queste azioni siano:

Guardiamo al valore atteso del nostro investimento. Supponiamo di investire tutto nella società 1: avendo 100
di capitale ed essendo il costo delle azioni 10, ne possiamo comprare dieci. Domani invece, il nostro capitale a
quanto sarà uguale?
Con probabilità ½ ciascuna azione varrà 20 e ne abbiamo 10, quindi la quantità di denaro sarà 20x10, quindi ½
x 20(10) = 100; invece con probabilità ½ ciascuna azione varrà 5, noi ne abbiamo sempre 10, quindi la quantità
di denaro sarà 25.
La somma viene 125, che però è un valore atteso: quindi domani potremmo finire o con 200 o con 50 nel nostro
salvadanaio. La situazione è analoga nel caso in cui dovessimo investire tutto nella società 2.

Se invece investiamo metà del capitale nella società 1 e metà del capitale nella società 2, possiamo comprare 5
azioni della società 1 e 5 azioni della società 2. Quale sarà il nostro reddito atteso?
Con probabilità ½ le azioni della prima società valgono 20, quindi abbiamo 20x5, mentre le azioni della
seconda società valgono 5, quindi abbiamo 5x5. Con probabilità ½ i valori delle azioni delle società sono
esattamente l’opposto per cui abbiamo 5x5 e 20x5. La somma è sempre 125.

Qual è la differenza? Quest’ultima è una politica di diversificazione. Questo 125 è certo, ossia non finiremo
più con la possibilità di avere o 200 o 50 ma qualsiasi cosa accade avremo un reddito uguale a 125.
Se siamo avversi al rischio questa è una situazione vantaggiosa rispetto a investire tutto in una società.
Questo può accadere quando i rendimenti delle società sono inversamente correlati (il prezzo delle azioni di
una società è alto, mentre dell’altra società è basso).
La correlazione inversa ci consente, tramite la diversificazione, di stabilizzare il nostro reddito, di renderlo
meno stocastico.

Vediamo ora il principio delle società di assicurazione. Come fanno le società che assicurano tanti clienti a
non finire fallite? È vero che al tempo zero ricevono dei premi assicurativi, ma se poi accadono dei danni
devono rimborsare. Guardiamo allora il criterio di ripartizione del rischio per rischi indipendenti.
Considereremo il caso di cumulo dei rischi (chiamato anche mutua assicurazione): abbiamo due invidui, il
signor 1 e il signor 2, ciascuno dei quali ha un suo reddito soggetto a rischi indipendenti.
Il signor 1 è soggetto a questa situazione:

e la stessa cosa accade anche al signor 2.


Queste due lotterie sono stocasticamente indipendenti.
Potrebbe esserci una situazione in cui ogni individuo si fa i fatti suoi e si occupa dell’andamento erratico del
proprio flusso di reddito. Nel caso in cui siano disconnessi, qual è la quantità di denaro atteso senza cumulo dei
rischi? Prendiamo uno dei due individui:
Guardiamo poi alla varianza del flusso dei redditi senza cumulo di rischio:

Consideriamo ora una situazione con cumulo dei rischi, cioè i due soggetti, al posto di farsi ognuno i fatti
propri, mettono i redditi insieme e qualsiasi cosa succede, se li dividono. Se i rischi sono indipendenti vuol dire
che la lotteria con cui vanno a confrontarsi è la seguente:
Guardiamo al valore atteso del denaro con questo cumulo di rischi:

Se guardiamo quello che succedeva prima, vediamo che il valore atteso del reddito è lo stesso senza cumulo e
con cumulo dei rischi ma se invece guardiamo la varianza, otteniamo che:

Cioè adesso l’erraticità nel flusso di reddito si è abbassata perché hanno cumulato rischi e i rischi sono
indipendenti. Questo è il motivo per cui il cumulo dei rischi fa diminuire la varianza delle perdite a parità
di valore atteso.

Abbiamo che con rischi indipendenti (i rischi devono essere indipendenti altrimenti le lotterie che si
compongono non sono come quelle che abbiamo considerato) con cumulo dei rischi, se ci sono n agenti,
ognuno con rischio con media m e varianza σ^2 (sigma quadro), allora la perdita media per agente è m, ma la
varianza è σ^2/m. Se m→∞,var→0.
Questo è un principio che consente la profittabilità delle assicurazioni, cioè quando ci sono rischi indipendenti,
se ci sono n agenti, ognuno con un rischio con media m e varianza σ^2, col cumulo dei rischi hanno sempre un
rischio con media m ma la varianza è uguale a σ^2/m. Più grande è m, più piccola è l’erraticità nel loro flusso
di reddito.
Difatti, per alcuni tipi di assicurazioni, come quelle automobilistiche, è plausibile che se il signor Rossi ha un
incidente stradale non ce l’abbia contemporaneamente anche il signor Verdi (rischi indipendenti).
Per le società di assicurazione nascono dei problemi quando i rischi sono dipendenti, perché in questo caso c’è
la possibilità di un evento in cui la società di assicurazione debba un rimborso significativo a una gran quantità
di soggetti assicurati.

ESEMPIO: Un individuo ha funzione di utilità per quantità certe di denaro pari a:


La lotteria che l’individuo affronta è:

Qual è il valore atteso del denaro data la lotteria?


Questa è la ricchezza attesa, mentre qual è l’utilità attesa di L?

A noi hanno dato u piccolo, quindi possiamo sostituirlo:


Questa è l’utilità attesa del prospetto incerto; invece, quale sarebbe l’utilità attesa associata a una situazione in
cui con certezza si ha la quantità di denaro attesa?

Questo agente è avverso al rischio perché l’utilità della ricchezza attesa è maggiore dell’utilità attesa della
ricchezza. Lo vediamo confrontando u funzione del valore atteso di x con l’utilità attesa di l o lo potremmo
anche aver visto dalla concavità della funzione di utilità u piccolo funzione di x (cioè guardando alla derivata
seconda):
Qual è l’equivalente certo? L’equivalente certo è la quantità certa di denaro, tale per cui l’individuo è tanto
contento o se ha c o se affronta il prospetto incerto L. c si trova impostando questa condizione: u(c)=U(L)

Quale sarà il premio per il rischio?

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