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Microeconomia
CAPITOLO 1: CONCETTI DI BASE
La microeconomia si occupa delle decisioni individuali e dei loro effetti sull'allocazione delle
risorse scarse di una società.
Il luogo più comune dove avvengono le decisioni è il mercato. I mercati sono istituzioni
economiche che forniscono agli individui l’opportunità di acquistare e vendere beni e servizi. Ogni
mercato è associato ad un unico gruppo di prodotti strettamente collegati tra loro o, in altre
parole, un gruppo di prodotti altamente sostituibili.
Lo scambio viene governato dal prezzo, che rappresenta il quantitativo di denaro necessario per
ottenere un bene.
Le decisioni
Per i microeconomisti i trade-off sono inevitabili, poiché la scarsità delle risorse obbliga gli
individui ad effettuare scelte che implicano dei compromessi (guadagno su un certo aspetto, ma
ci perdo su un altro aspetto. Non è possibile guadagnare in entrambi gli aspetti, perché le risorse
sono scarse/limitate).
I microeconomisti devono fare delle scelte al margine, in quanto un aggiustamento (una
variazione) minimo di una scelta (variazione marginale) può portare a risultati migliori. Perciò,
quando si dice che le scelte vanno fatte al margine, vuol dire che vanno fatte tenendo conto della
minima variazione. È la minima variazione che può portare ad un risultato più soddisfacente, ecco
perché le scelte vanno fatte attraverso delle variazioni minime, perché basta poco per ottenere un
risultato migliore, è sufficiente un piccolo cambiamento per ottenere un risultato migliore. Inoltre,
la scelta al margine implica un'analisi costi-benefici, dove il costo include anche il costo
opportunità, ossia il costo associato alla perdita dell’opportunità di impiegare una risorsa in un
modo alternativo.
Gli individui rispondono agli incentivi: i benefici forniscono incentivi all'azione, mentre i costi
disincentivano l’azione. Anche i prezzi forniscono incentivi, in quanto una riduzione del prezzo
crea un incentivo all'acquisto, ma allo stesso tempo rappresenta un disincentivo a vendere.
I mercati
Lo scambio è la base del mercato. Lo scambio favorisce tutti, poiché un individuo dà un bene ad
un altro che lo valuta di più, in cambio di un altro bene che per il primo individuo ha un valore
maggiore.
In un mercato concorrenziale il prezzo rispecchia il valore per i consumatori (il valore che i
consumatori danno a quel determinato bene) ed il costo per i produttori. In un mercato di
concorrenza perfetta, sia per i consumatori che per le imprese il beneficio ed il costo devono
essere uguali. Per i consumatori il beneficio rappresenta il poter possedere il bene, mentre per le
imprese rappresenta il prezzo del bene. Inoltre, per i consumatori il costo rappresenta il prezzo del
bene, mentre per le imprese ci si riferisce ai costi di produzione (che quindi devono essere uguali
al prezzo del bene in un mercato di concorrenza perfetta).
In un mercato che non si trova in concorrenza perfetta a volte è necessario l’intervento dello Stato
per migliorare l’allocazione delle risorse (quando il prezzo del bene non rispecchia esattamente i
costi ed i benefici per tutti gli attori nel mercato, si parla di fallimento di mercato).
Gli strumenti della microeconomia sono indispensabili per l'analisi e la valutazione della politica
pubblica.
CAPITOLO 2: DOMANDA E OFFERTA
La curva di domanda
La curva di domanda di un bene rappresenta la quantità che i consumatori sono disposti ad
acquistare per ogni livello di prezzo.
La curva di domanda generalmente ha una pendenza negativa, è una retta decrescente, poiché
maggiore è il prezzo di un bene, minore sarà la quantità che i consumatori sono disposti ad
acquistare.
La curva di domanda si può spostare (può aumentare o diminuire) a seguito di variazioni di
determinati fattori come: la crescita demografica, le preferenze, il reddito dei consumatori, i prezzi
degli altri beni, le tasse e le regolamentazioni.
Prendiamo come esempio la domanda di mais e vediamo da cosa può dipendere un suo
spostamento:
-se aumentasse la popolarità di una dieta vegetariana, i consumatori comprerebbero più mais per
ogni livello di prezzo, ciò vuol dire che la domanda di mais aumenterebbe.
-se il prezzo delle patate aumentasse, i consumatori comprerebbero più mais per ogni livello di
prezzo. Ciò avviene a seguito di un aumento del prezzo del bene sostituto, che in questo caso
sono le patate. Il bene sostituto è quel bene che può rimpiazzare un altro bene, di conseguenza
se aumenta il prezzo delle patate i consumatori saranno più propensi ad acquistare il mais, visto
che i due prodotti hanno delle caratteristiche simili.
-supponendo che i consumatori vogliano consumare burro o mais insieme, se il prezzo del burro
aumentasse i consumatori comprerebbero meno mais per ogni livello di prezzo. In questo caso si
sta parlando di beni complementari, ossia quei beni che si completano a vicenda, che devono
essere utilizzati insieme. Un altro esempio di beni complementari è la stampante con le cartucce.
Se aumenta il prezzo delle cartucce, ossia il bene complementare della stampante, diminuirà
anche la quantità domandata di stampanti.
-se il reddito dei consumatori aumentasse, essi comprerebbero più mais per ogni livello di prezzo.
La funzione di domanda
Per quanto riguarda il prezzo del mais c’è il - perché all'aumentare del prezzo del mais diminuisce
la quantità domandata di mais. Quindi il - sta ad indicare che vi è una relazione inversa.
Invece il prezzo delle patate viene indicato col + perché all'aumentare del prezzo delle patate,
ossia del bene sostituto, aumenta la quantità domandata di mais. Perciò il + sta ad indicare che vi
è una relazione diretta.
Per il prezzo del burro vi è ancora il - poiché all'aumentare del prezzo del burro (bene
complementare) diminuisce la quantità domandata di mais (relazione inversa).
Infine con M si indica il reddito dei consumatori, quindi vi è un + in quanto all’aumentare del
reddito aumenta la quantità domandata.
La curva di offerta
La curva di offerta rappresenta la quantità di un bene che i produttori sono disposti a vendere in
corrispondenza di ogni livello di prezzo.
La curva di offerta, a differenza della curva di domanda, ha pendenza positiva, poiché maggiore è
il prezzo di un bene maggiore sarà la quantità che le imprese sono disposte a vendere.
La curva di offerta si può spostare a seguito di un movimento di fattori come: la tecnologia, il
prezzo dei fattori produttivi, il prezzo di altri possibili prodotti, le tasse e le regolamentazioni.
Gli stessi ragionamenti precedentemente descritti per la curva di domanda valgono anche per la
curva di offerta. Dunque, una variazione del prezzo del bene (del mais) produce un movimento
lungo la curva di offerta, nello specifico un aumento del prezzo provoca un aumento delle quantità
di mais che i produttori sono disposti a vendere. Quindi un movimento lungo la curva di offerta
provoca una variazione della quantità offerta. Mentre una variazione degli altri fattori (come la
tecnologia o il prezzo dei fattori produttivi o il prezzo di altre i beni alternativi/sostituti) provoca
uno spostamento della curva di offerta, noto come variazione dell’offerta.
La funzione di offerta
Qs sta ad indicare quantità offerta, visto che in inglese offerta si dice "supply".
Per quanto riguarda il prezzo del mais c’è un + in quanto vi è una relazione diretta, poiché
all'aumentare del prezzo del mais aumenta la quantità di mais che i produttori sarebbero disposti
a vendere. Invece, per il prezzo del carburante vi è un - perché all'aumentare del prezzo del
carburante diminuisce la quantità di mais che i produttori sarebbero disposti a vendere (il
carburante fa parte di quei fattori che provoca una variazione dell'offerta (non lungo la curva di
offerta)). Anche per il prezzo della soia c’è il - poiché all'aumentare del prezzo di un bene
alternativo come la soia diminuisce la quantità di mais che i produttori sono disposti a vendere
per il medesimo livello di prezzo (vedi spiegazione di pochi paragrafi fa).
Equilibrio di mercato
Il prezzo di equilibrio è il prezzo in corrispondenza del quale la domanda e l’offerta di un bene si
equivalgono. Dal punto di vista del grafico, il punto di equilibrio è il punto in cui la curva di
domanda interseca la curva di offerta.
In condizione di equilibrio i consumatori e i produttori realizzano tutti gli acquisti e le vendite
desiderati. I prezzi di mercato tendono ad adeguarsi in modo tale da garantire l'eguaglianza tra
domanda e offerta.
Se il prezzo è inferiore al prezzo di mercato vi sarà un eccesso di domanda, di conseguenza
bisognerà aumentare i prezzi così da ridurre la curva di domanda e aumentare la curva di offerta
(tutto logico).
Se, invece, il prezzo è superiore al prezzo di mercato (di equilibrio) vi sarà un eccesso di offerta,
perciò bisognerà ridurre il prezzo così da aumentare la domanda e ridurre l'offerta.
A) se aumenta la curva di domanda (mentre la curva di offerta rimane invariata), vuol dire che
aumenta la quantità di beni che i consumatori sono disposti ad acquistare per il medesimo
livello di prezzo, quindi per evitare un eccesso di domanda si dovrà aumentare il prezzo (sono
tutto cose che ci arrivi a logica, o comunque per capire cosa succede è sufficiente ragionare
col grafico e capisci subito). L’aumento del prezzo non è necessario a seguito di un aumento
della domanda se tale aumento viene affiancato da un aumento dell'offerta. Ma se le imprese
non sono in grado di aumentare l’offerta sarà necessario aumentare il prezzo così da ridurre la
domanda.
B) al contrario, se diminuisce la curva di domanda, per evitare un eccesso dell'offerta bisognerà
diminuire il prezzo. Così come prima, non è necessario ridurre il prezzo se a seguito di una
diminuzione della domanda diminuisce anche l’offerta.
C) se aumenta la curva di offerta (spostamento verso destra, NON verso sinistra) aumenta la
quantità di beni che il produttore è disposto a vendere e per far aumentare la curva di
domanda (in modo tale da non avere un eccesso di offerta) bisognerà diminuire il prezzo.
D) se diminuisce la curva di offerta (spostamento verso sinistra) diminuisce la quantità di beni
che il produttore è disposto a vendere, quindi per evitare di avere un eccesso di domanda
bisognerà aumentare il prezzo.
L'ammontare del cambiamento di prezzo dipende anche dalla pendenza della curva che non si
sposta. Ad esempio, nel caso di un aumento della domanda vuol dire che è diminuito il prezzo di
equilibrio e l'ammontare di tale prezzo dipende dalla pendenza della curva che non si sposta, in
questo caso dalla curva di offerta.
Consideriamo un aumento dell'offerta—>se la curva di domanda è perfettamente orizzontale, il
prezzo non si modifica, rimane invariato, a cambiare è solo la quantità scambiata. Se, invece, la
curva di domanda è perfettamente verticale, all'aumentare della curva di offerta il prezzo si riduce,
mentre la quantità scambiata rimane invariata.
Quindi, possiamo affermare che quanto più inclinata è la curva di domanda tanto più consistente
sarà la variazione del prezzo e tanto più ridotta sarà la variazione della quantità scambiata, a
seguito di una variazione della curva di offerta.
Nel grafico rappresentato, il -B, ossia la pendenza della curva della domanda, è sempre pari a -2,
visto che si tratta di una retta. Quindi da ciò possiamo capire il perché l’elasticità della curva di
domanda è generalmente negativa, poiché la pendenza della curva di domanda è principalmente
negativa, inclinata verso il basso, di conseguenza -B è negativo.
Una curva di domanda orizzontale è perfettamente elastica, perché l’elasticità della domanda dà
come risultato -infinito. ΔP/ΔQ (non ΔQ/ΔP) dà come risultato 0 (più precisamente 0-) perché a
fronte di una variazione della quantità domandata il prezzo non cambia (quindi 0 fratto un numero
dà 0), moltiplicato poi per il rapporto di P/Q (P/Q dà sempre come risultato un numero positivo) dà
-infinito. Invece, una curva di domanda verticale è perfettamente inelastica, in quanto -B dà
come risultato 0, moltiplicato per P/Q dà sempre 0, dunque si ha il caso perfetto di inelasticità.
In sostanza, una curva di domanda orizzontale è perfettamente elastica perché all'aumentare
delle quantità il prezzo rimane invariato. Invece una curva di domanda verticale è perfettamente
inelastica poiché al variare del prezzo le quantità domandate non variano. Se la domanda è
elastica (elasticità tra -infinito e 1) (retta con pendenza bassa=quasi orizzontale) all'impresa non
conviene aumentare il prezzo, altrimenti la domanda diminuirebbe sensibilmente. Se invece la
domanda è inelastica o rigida (elasticità tra 1 e 0) (retta con pendenza alta=quasi verticale)
l'impresa potrà aumentare il prezzo per aumentare i ricavi perché tanto la domanda non
diminuirebbe in maniera eccessiva, visto che la domanda è rigida.
Esercizio
Considera la curva di domanda di benzina (figura A dell'immagine seguente), determina:
1)qual è l’elasticità della domanda per un prezzo pari a 2,51 dollari per gallone?
2)e per un prezzo pari a 2,92 dollari?
3)la domanda è elastica o inelastica?
1)
ΔQ=365-395=-30
ΔP=2,92-2,51=0,41
ΔQ/ΔP=-73 (-infinito)
P/Q=2,51/395=0,00635 (0+)
Elasticità= -73 * 0,00635 = -0,46
L’elasticità della domanda per un prezzo pari a 2,51 è inelastica, perché al diminuire del prezzo la
quantità domanda non aumenta sensibilmente.
2)
ΔQ=395-365=30
ΔP=2,51-2,92=-0,41
ΔQ/ΔP=30/-0,41=-73
P/Q=2,92/365=0,008
Elasticità=-73 * 0,008= -0,584
L’elasticità della domanda per un prezzo pari a 2,92 è sempre inelastica, in quanto all'aumentare
del prezzo le quantità domandate diminuiscono per una piccola quantità.
Ulteriori elasticità
L’elasticità della domanda al reddito (non al prezzo) corrisponde alla variazione percentuale della
quantità domandata per ogni variazione dell'1% del reddito. L’elasticità della domanda al reddito
è data dal rapporto tra la variazione percentuale della quantità domandata e la variazione
percentuale del reddito.
Se tale elasticità è maggiore di 0 si dice che il bene è normale, mentre se l’elasticità della
domanda al reddito è inferiore a 0 il bene si definisce inferiore.
Elasticità > 0 —> bene normale
Elasticità < 0 —> bene inferiore
Infine, vi è l’elasticità incrociata della domanda che corrisponde alla variazione percentuale della
quantità domandata di un bene per ogni variazione dell'1% del prezzo di un altro bene. La formula
è esattamente la stessa dell’elasticità al prezzo della domanda, solo che in questo caso il prezzo
non lo indichiamo con P, ma con P con 0, in quanto il prezzo è di un altro bene.
Se l’elasticità della domanda incrociata è maggiore di 0 vuol dire che l'altro bene è sostituto,
mentre se è inferiore a 0 significa che è un bene complementare.
Se l’elasticità della domanda incrociata è positiva significa che all'aumentare del prezzo dell'altro
bene aumentano le quantità domandate del bene principale, possiamo quindi intuire come l'altro
bene sia un sostituto. Invece se l’elasticità è negativa vuol dire che all'aumentare del prezzo
dell'altro bene diminuiscono le quantità domandate del bene principale, si può dunque notare che
il secondo bene è complementare.
Elasticità > 0 —> bene sostituto
Elasticità < 0 —> bene complementare
CAPITOLO 3: PREFERENZE DEL CONSUMATORE
Principi della scelta del consumatore
Le preferenze forniscono informazioni su ciò che un consumatore gradisce e ciò che non
gradisce, più genericamente fornisce informazioni sui gusti del consumatore.
Principio dell’ordinamento delle preferenze—>un consumatore è in grado di stabilire un
ordinamento, ossia di disporre in ordine di preferenza, con possibili ex aequo (ovvero possibili
beni preferiti in egual misura), tutte le alternative potenzialmente disponibili. Un consumatore è
indifferente tra due alternative se le gradisce (o non le gradisce) in uguale misura.
Questo principio si basa su due ipotesi riguardo ai confronti tra coppie di alternative:
-completezza delle preferenze: date due alternative X e Y, il consumatore può preferire X a Y,
oppure Y a X, oppure essere indifferente (però non sarà mai incerto o confuso).
-transitività delle preferenze: se un consumatore preferisce X a Y e Y a Z, allora deve anche
preferire X a Z.
Principio della scelta—> tra le alternative disponibili, il consumatore sceglie quella a cui
attribuisce il rango più elevato nel proprio ordinamento (l'ordinamento delle preferenze è stato
visto appena prima). L'obiettivo del consumatore è sempre quello di ottenere il livello più alto
possibile di benessere.
Il consumatore razionale della teoria economica segue questi due principi (principio
dell'ordinamento delle preferenze e principio della scelta).
Un paniere di consumo è l’insieme dei beni che un individuo consuma in un dato intervallo di
tempo. Le scelte di un consumatore generalmente rispecchiano le sue opinioni sui diversi panieri
di consumo, anziché su un singolo bene.
Curve di indifferenza
Una curva di indifferenza rappresenta tutte le alternative che un consumatore gradisce in uguale
misura. Le curve di indifferenza sono sottili (devono essere sottili). Le curve di indifferenza non
hanno una pendenza positiva, non sono inclinate verso l'alto (hanno pendenza negativa, sono
inclinate verso il basso).
La curva di indifferenza che passa per qualsiasi paniere di consumo, per esempio per A, separa
tutti i panieri migliori di A dai panieri peggiori di A.
Il consumatore preferisce F ad A, in quanto il paniere F contiene una quantità maggiore di zuppa,
mentre la quantità di pane rimane invariata (ciò rimanda al principio di non-sazietà).
I panieri E, A e H sono indifferenti per il consumatore, hanno la stessa utilità, in quanto si trovano
sulla medesima curva di indifferenza.
Tra il paniere D e il paniere G il consumatore preferirà il paniere D, perché quest'ultimo si trova a
destra della curva di indifferenza. Tutto ciò che sta a destra della curva di indifferenza (nella parte
evidenziata in blu chiaro) avrà per il consumatore un’utilità maggiore rispetto ai panieri sulla curva
di indifferenza e rispetto a quelli a sinistra di essa. Dal fatto che il consumatore preferisce il
paniere D al paniere G, si evince come per il consumatore sia più importante una maggiore
quantità di pane piuttosto che una maggiore quantità di zuppa.
Tra H e G preferisce H, perché a parità di quantità di zuppa il consumatore ottiene più pane (dal
grafico capisci perché H è sulla curva di indifferenza, mentre G è a sinistra della curva di
indifferenza).
Dal grafico qui sopra si può capire perché le curve di indifferenza devono essere sottili. Le curve
di indifferenza non possono essere spesse perché altrimenti verrebbe violato il principio di non
sazietà (nella figura a). Il consumatore deve preferire il paniere B ad A, non può essere indifferente.
Invece, se la curva è spessa per il consumatore A e B sarebbero uguali, tuttavia ciò non può
accadere, perché il consumatore deve preferire B ad A. Ecco perché le curve di indifferenza non
possono essere spesse, ma devono essere sottili.
Inoltre, le curve di indifferenza non devono avere pendenza positiva, come nella figura b). Le curve
di indifferenza devono sempre avere una pendenza negativa, in quanto il consumatore non può
preferire in ugual misura il paniere C e D, ma il consumatore preferirà il paniere D in quanto si
trova più a destra, dunque con il paniere D il consumatore otterrebbe più quantità. Perciò, sempre
in base al principio di non sazietà le curve di indifferenza devono avere pendenza negativa.
Il saggio marginale di sostituzione è uguale alla pendenza della retta tangente alla curva di
indifferenza (in valore assoluto), come si evince dal seguente grafico.
La pendenza della retta tangente alla curva di indifferenza si trova, presi due punti qualsiasi sulla
retta, facendo il rapporto tra la variazione dei due punti in Y (pane) e la variazione dei due punti in
X (zuppa). Quella appena descritta è la formula per trovare, oltre alla pendenza delle retta, anche il
saggio marginale di sostituzione. Il saggio marginale di sostituzione (o la pendenza della retta
tangente alla curva di indifferenza) del grafico rappresentato è pari a -3/2. Quindi dal risultato
seguente si evince che il tasso a cui il consumatore deve adeguare il pane (Y) per mantenere lo
stesso livello di benessere quando la zuppa (X) varia di una piccola quantità è -3/2.
Perciò, la pendenza della retta tangente alla curva di indifferenza nel punto A ci fornisce
informazioni su quanto pane in più il consumatore vuole a fronte di una riduzione della zuppa per
restare sulla stessa curva di indifferenza; oppure quanto pane in meno il consumatore vuole a
seguito di un aumento delle quantità di zuppa, sempre per restare sulla stessa curva di
indifferenza.
Il saggio marginale di sostituzione dipende dai gusti dei consumatori. Se un individuo desidera
molto il bene Y (pane) e gradisce abbastanza il bene X (zuppa), la sua curva di indifferenza è
relativamente piatta ed il suo saggio marginale di sostituzione (ossia la pendenza della retta
tangente alla curva di indifferenza) è relativamente basso (il rapporto tra la variazione del pane e la
variazione della zuppa è relativamente basso). Perciò, al diminuire della quantità di zuppa di
un’unità, per raggiungere il medesimo livello di benessere, il pane aumenterà per una piccola
quantità, inferiore all’unità (in quanto il pane è il bene che desidera maggiormente, quindi basta
una piccola quantità di pane per compensare una riduzione di un’unità della zuppa). Il pane a
seguito di una diminuzione della zuppa, anche sostanziosa, aumenterà per una piccola quantità,
in quanto il consumatore dà molta più importanza al pane (desidera di più il pane rispetto alla
zuppa), di conseguenza un suo leggero aumento gli consente comunque di riequilibrare il suo
stato di benessere, anche a seguito di una sostanziosa diminuzione della quantità di zuppa.
Invece si ha il caso opposto se la curva di indifferenza è più inclinata, in quanto il SMS sarà più
elevato e il consumatore darà più importanza alla zuppa (bene X) rispetto al pane (bene Y), poiché
al diminuire della zuppa aumenta in maniera importante il pane, quindi per riequilibrare il suo stato
di benessere a fronte di una diminuzione della zuppa, il consumatore dovrà acquistare molto più
pane, di conseguenza da ciò si evince che il consumatore gradisce di più la zuppa, dà più
importanza alla zuppa.
Dimostrazione (soprattuto nella retta più verticale si evince come via via che ci si sposta verso
destra il SMS diminuisce (in valore assoluto). Tale diminuzione è meno accentuata in una retta più
orizzontale):
Vengono definiti sostituti perfetti i beni le cui funzioni sono identiche, di conseguenza un
consumatore è disposto a scambiarli ad un tasso fisso. Mentre vengono definiti complementi
perfetti (è scritto giusto) quei beni che sono utili solamente quando vengono utilizzati in rapporti
fissi. La differenza tra sostituti e complementi perfetti è che i primi vengono scambiati ad un tasso
fisso, mentre i secondi vengono utilizzati (insieme) ad un tasso fisso.
Un altro esempio di sostituti perfetti potrebbe essere quello della CocaCola e della Pepsi (in
questo caso il tasso fisso dovrebbe essere pari a 1: il consumatore che possiede 1 Coca-Cola
sarà disposto a scambiarla con 1 Pepsi, il consumatore che possiede 3 Coca-Cola sarà disposto
a scambiarle con 3 Pepsi).
Invece, un esempio di complementi perfetti sono le scarpe, nello specifico la scarpa sinistra e la
scarpa destra. La scarpa sinistra è perfettamente complementare alla scarpa destra, di
conseguenza una determinata quantità di scarpe sinistre sarà perfettamente complementare con
la stessa quantità di scarpe destre, ecco perché si dice che i complementi perfetti vengono
utilizzati in rapporti fissi, poiché 10 scarpe destre saranno perfettamente complementari con 10
scarpe sinistre, 5 scarpe destre saranno perfettamente complementari con 5 scarpe sinistre e così
via. Il consumatore non trae alcuna utilità in più ad utilizzare 5 scarpe sinistre con 6 scarpe destre,
in quanto la sesta scarpa destra potrà essere utilizzata solo se vi è anche la sesta scarpa sinistra,
ma nel caso in cui essa non vi è allora la sesta scarpa destra sarà inutile. Ecco perché nel grafico
qui di seguito vi sono delle rette orizzontali e verticali che tendono ad infinito, proprio perché il
consumatore non trae alcun maggior vantaggio a possedere una scarpa destra in più rispetto a
quelle sinistre, o viceversa. Il consumatore trae utilità solamente quando possiede una
determinata quantità del bene complementare (scarpa sinistra) a fronte della stessa quantità
dell'altro bene complementare (scarpa destra).
[Spiegazione ulteriore—>Complementi perfetti: scarpa sinistra e scarpa destra
Dato un numero di scarpe destre pari a 5 avrò delle scarpe sinistre pari a 5. Il possedere più
scarpe destre rispetto a quelle sinistre non va a migliorare il livello di soddisfazione del
consumatore. Ecco spiegato il tratteggio orizzontale. Stesso discorso per l'avere più scarpe
sinistre, come si evince dal tratteggio verticale. Il consumatore è soddisfatto quando ha lo stesso
numero di scarpe sinistre e destre, l’avere delle scarpe destre o sinistre in più non va ad
aumentare il livello di soddisfazione del consumatore, ma neanche a peggiorarlo, resta invariato. ]
Utilità
L’utilità è un valore numerico che indica il benessere relativo del consumatore. Un’utilità più alta
associata ad un paniere di consumo indica una soddisfazione (vantaggio o beneficio) maggiore
derivante da quel paniere (rispetto agli altri). Per assegnare valori di utilità ai panieri di consumo
vengono utilizzate funzioni di utilità.
Ad esempio, supponiamo che la funzione di utilità di un individuo sia U (F, L) = F * L^2.
In che modo l’individuo può costruire una graduatoria dei diversi panieri?
Il paniere ottimo è quello in corrispondenza del quale l’utilità raggiunge il suo massimo. Di
conseguenza il problema di scelta del consumatore diventa un problema di massimizzazione della
funzione di utilità. Se vale il principio dell'ordinamento delle preferenze (visto all’inizio di questo
capitolo), ossia che le preferenze sono complete e transitive, allora esiste una funzione di utilità
che rappresenta le preferenze.
Si differenzia poi tra utilità ordinale e utilità cardinale. Le informazioni ordinali permettono
esclusivamente di determinare se un'alternativa sia migliore o peggiore rispetto ad un’altra. In
questo caso, l’utilità assegnata ai panieri serve solamente ad ordinare i panieri (primo, secondo,
terzo,...), ma non intende misurare esattamente la soddisfazione che ognuno di essi procura al
consumatore.
Invece, le informazioni cardinali si concentrano sull’intensità di queste preferenze, ossia su quanto
sia migliore o peggiore un’alternativa rispetto ad un'altra.
Nella microeconomia le funzioni di utilità servono soltanto a riassumere informazioni ordinali, ossia
quelle informazioni che permettono di determinare esclusivamente se un'alternativa è migliore o
peggiore rispetto ad un'altra (ma non quanto sia migliore o quanto sia peggiore rispetto ad
un'altra).
Quando si cambia la scala usata per misurare l’utilità, la famiglia delle curve di indifferenza del
consumatore rimane invariata. Per esempio la funzione di utilità U (P, Z) = 0,5 * Z * P genera la
stessa famiglia di curve di indifferenza del consumatore della funzione di utilità U (P, Z) = Z * P
Il concetto di utilità è strettamente collegato alla curva di indifferenza. Una volta trovate le curve di
indifferenza, possiamo assegnare ad ogni paniere delle utilità.
(((A parole:
Una variazione del bene X pari a ΔX determina una variazione dell’utilità pari all’utilità marginale di
X moltiplicata per la variazione del bene X (ossia ΔX).)))
Esercizio
Supponiamo che un individuo abbia una funzione di utilità pari a U (F, L) = F + 2L.
Trovare:
A)la formula per le curve di indifferenza.
B)utilità marginale di F e l’utilità marginale di L.
C)il saggio marginale di sostituzione di F ed L.
D)dire se i due beni sono sostituti perfetti, complementi perfetti o altro.
A)
Il concetto di utilità è strettamente collegato alla curva di indifferenza. Una volta trovate le curve di
indifferenza, possiamo assegnare ad ogni paniere delle utilità.
L'individuo è indifferente a tutte le combinazioni di F e L tali che U = F + 2L.
La curva di indifferenza che passa per il paniere L è L = U/2 - F/2.
La curva di indifferenza che passa per il paniere F è F = U - 2L.
Puoi trovare la curva di indifferenza data una funzione di utilità, ponendo o F o L come variabile
indipendente (puoi usare sia una che l'altra).
La derivata di U(F,L)=F+2L rispetto a F è uguale a 1. Quindi il rapporto incrementale, ossia il
rapporto tra Delta u e Delta f è uguale a 1. Invece la derivata della stessa funzione di utilità
rispetto a L è uguale a 2, quindi il rapporto incrementale è uguale a 2.
Spiegazione per i punti successivi —>i rapporti incrementali (ossia le due derivate) che abbiamo
trovato rappresentano l’utilità marginale di L e l’utilità marginale di F (Infatti l’utilità marginale è il
rapporto tra Delta U e Delta F o L). Quindi il saggio marginale di sostituzione, che è il rapporto tra
le due utilità marginali, è pari a 1/2, ossia utilità marginale di F/utilità marginale di L.
1/2 rappresenta anche la pendenza della retta tangente alla curva di indifferenza.
B)
Sappiamo che l’utilità marginale di un bene è il rapporto tra la variazione della sua utilità e la
variazione delle sue quantità. Dalla funzione di utilità ricaviamo che l’utilità marginale di F è pari a
1, mentre l’utilità marginale di L è pari a 2 (poiché a fronte di un incremento di 1 unità delle sue
quantità, l’utilità aumenta di 2). Spiegato meglio alla fine del punto A), dove si evince che l’utilità
margine di F ed L si trova facendo la derivata di U rispetto a F (trovo utilità marginale di F) e
facendo la derivata di U rispetto a L (trovo utilità marginale di L).
C)
Il saggio marginale di sostituzione di due beni, come visto poco sopra, è pari al rapporto tra
l’utilità marginale di uno e l’utilità marginale dell'altro. Quindi il saggio marginale di sostituzione di
F ed L è pari 1/2, dove 1 è l’utilità marginale di F e 2 l’utilità marginale di L.
Come sappiamo, il saggio marginale di sostituzione è pari alla pendenza della retta tangente alla
curva di indifferenza, di conseguenza la pendenza della retta tangente è pari a 1/2.
D)
Dato che il consumatore è disponibile a scambiare i beni ad un tasso fisso, i beni sono sostituti
perfetti.
CAPITOLO 4: VINCOLI, SCELTE E DOMANDA
Reddito, prezzi e retta di bilancio
Il reddito di un consumatore è costituito dal denaro che egli riceve durante un intervallo di tempo
fisso.
Il vincolo di bilancio di un consumatore è dato dal costo del paniere di consumo che deve essere
minore o uguale al reddito. Vincolo di bilancio=costo del paniere di consumo<=reddito.
Supponendo che un consumatore desideri soltanto zuppa e pane e che il prezzo unitario della
zuppa e del pane sia rispettivamente Pz e Pp, il vincolo di bilancio è dato da:
La retta (o linea) di bilancio del consumatore identifica tutti i panieri di consumo che esauriscono
in maniera esatta il reddito del consumatore. Ne consegue che il consumatore è in grado di
acquistare ogni paniere giacente lungo la retta di bilancio o al di sotto di essa.
Per ottenere la retta di bilancio esplicitata per P, ossia per la quantità del pane (ma potrei anche
esplicitare la retta di bilancio per Z, ossia per la quantità di zuppa) parto dalla disequazione di
prima, solo che al posto del <= metto solo l'uguale. Sposto a destra Pz*Z e divido per Pp ed
ottengo:
Questa è la formula della retta di bilancio esplicitata per la quantità del pane, mentre la formula
della retta di bilancio normale è la prima che abbiamo visto (quella col <=).
La pendenza della retta di bilancio è uguale al rapporto tra Pz (asse ascisse) e Pp (asse ordinate),
moltiplicato per -1, cioè il rapporto tra il prezzo del bene sull'asse delle ascisse e il prezzo del
bene sull'asse delle ordinate.
Supponiamo ora che Pz=2 e Pp=0,50. Di conseguenza possiamo affermare che la pendenza della
retta di bilancio è pari a -4 (2/0,50). Come abbiamo imparato nel capitolo precedente, la pendenza
si può trovare anche facendo la derivata delle due variabili, ossia la derivata rispetto a Pp e Pz. La
derivata di P rispetto a Pz sarà pari a 2, mentre la derivata di P rispetto a Pp sarà pari a 0,50,
quindi la pendenza, che è data dal rapporto tra le due derivate, è pari a 4 (in valore assoluto) (in
altre parole la pendenza si può trovare facendo ΔX/ΔY, che equivale a fare la derivata).
Una variazione del reddito modifica l’intercetta verticale, ossia il punto in cui la retta di bilancio
interseca l'asse delle ordinate, lasciandone invariata la pendenza (perché è il reddito che varia,
non Pz e Pp) (l’intercetta verticale si trova facendo M/Pp. Tale formula la troviamo ponendo alla
formula ricavata poc'anzi Pz=0, di conseguenza resta solo il rapporto M/Pp) (chiaramente anche
l'intercetta orizzontale, ossia il punto in cui la retta di bilancio interseca l'asse delle ascisse, viene
modificata dopo una variazione del reddito) (M/Pz, in tal caso tale rapporto lo si ottiene ponendo
P=0). Quindi, una riduzione del reddito sposta la retta di bilancio verso l’interno, viceversa in caso
di aumento.
Invece, una variazione del prezzo del bene fa ruotare la retta di bilancio (ricordiamoci che la
pendenza della retta di bilancio è data dal rapporto Pz/Pp, dove Pz è il prezzo sull'asse delle X
mentre Pp è il prezzo sull'asse delle Y). Più nello specifico, una riduzione del prezzo sull'asse delle
ascisse (Pz) provoca la diminuzione della pendenza della retta di bilancio (o in altre parole la retta
di bilancio è meno verticale); mentre una riduzione del prezzo sull'asse delle ordinate (Pp) provoca
un aumento della pendenza della retta di bilancio (o in altre parole la retta di bilancio è più
verticale). Nel caso dell’aumento del prezzo si avrà chiaramente il caso opposto, nello specifico
se aumenta il prezzo sull'asse delle ascisse aumenta la pendenza (o in altre parole la retta di
bilancio è più verticale), mentre se aumenta il prezzo sull'asse delle ordinate diminuisce la
pendenza (la retta di bilancio è meno verticale).
La rotazione avviene facendo perno sull’intercetta relativa al bene il cui prezzo rimane invariato.
La moltiplicazione di tutti i prezzi per una costante ha sulla retta di bilancio lo stesso effetto della
divisione del reddito per quella costante, ossia ha lo stesso impatto di una diminuzione del
reddito; di conseguenza a seguito di un incremento di entrambi i prezzi il potere d'acquisto del
consumatore si riduce per quella costante e pertanto il reddito diminuisce e dunque la retta di
bilancio si sposta verso sinistra. Inoltre in tal caso la pendenza della retta di bilancio rimane
invariata. Caso diverso se vi è una variazione in ugual misura sia dei prezzi sia del reddito, in tal
caso non vi sarà alcun effetto sulla retta di bilancio. Ad esempio supponiamo che entrambi i
prezzi si raddoppino e anche il reddito raddoppia, in tal caso rimane tutto invariato, la pendenza
rimane la medesima, così come le intercette (rapporto tra il reddito e il prezzo di uno dei due
beni).
Se la curva di indifferenza è tangente alla retta di bilancio, il paniere in cui la curva tocca la retta è
il paniere migliore che il consumatore può scegliere (figura a). Invece, nel caso in cui la curva di
indifferenza non è tangente, ma secante in due punti (figura b), i due punti in cui interseca non
sono i panieri migliori accessibili. Nello specifico, il paniere D non è il migliore, sarà migliore il
paniere E, in quanto da E passa una curva di indifferenza spostata più verso destra. Quindi nel
caso della retta secante i panieri attraverso i quali interseca la curva non saranno la scelta migliore
possibile, in quanto potranno passare altre curve di indifferenza più a destra e di conseguenza i
panieri che la curva di indifferenza più a destra interseca saranno più graditi/saranno preferiti
rispetto ai panieri che la curva di indifferenza più a sinistra interseca. Invece, nel caso di una retta
tangente, il punto di intersezione rappresenta il paniere migliore possibile, poiché non potrà
passare un'altra curva di indifferenza più a destra rispetto a quella tangente, perché un'altra curva
di indifferenza più a destra non andrebbe ad intersecarsi con il vincolo di bilancio, dunque non
potrebbe essere considerata.
Soluzioni interne
Un paniere accessibile è una scelta interna se esistono panieri accessibili contenenti un po’ più di
ogni bene ed altri contenenti un po’ meno di ogni bene (un paniere accessibile è una scelta
interna se esistono panieri accessibili che contengono delle quantità di entrambi i beni). Quando il
paniere accessibile migliore è una scelta interna, esso prende il nome di soluzione interna. La
retta di bilancio del consumatore è tangente alla sua curva di indifferenza in corrispondenza del
paniere che costituisce la soluzione interna del consumatore. Tale paniere soddisfa la condizione
di tangenza, secondo la quale il saggio marginale di sostituzione (MUz/MUp), che ricordiamoci è
la pendenza della retta tangente alla curva di indifferenza, per una soluzione interna, è uguale al
rapporto tra i prezzi (Pz/Pp), ossia è uguale alla pendenza della retta di bilancio. Ricordiamoci
inoltre che il saggio marginale di sostituzione è anche pari al rapporto tra le due utilità marginali
(MUz/MUp).
Soluzioni di frontiera
Invece, una scelta di frontiera è la scelta per la quale non esistono panieri accessibili che
contengano un po’ più o un po’ meno di ogni bene (un paniere accessibile è una scelta di
frontiera se contiene le quantità solo di uno dei due beni). Quando la migliore scelta del
consumatore è una scelta di frontiera, questa prende il nome di soluzione di frontiera.
Se il paniere C è una soluzione di frontiera abbiamo che il saggio marginale di sostituzione, ossia
la pendenza della retta tangente alla curva di indifferenza, è maggiore o uguale al rapporto Pz/Pp,
ossia alla pendenza della retta di bilancio. Invece nel caso della soluzione interna il saggio
marginale di sostituzione era uguale al rapporto Pz/Pp, ossia la pendenza della retta tangente alla
curva di indifferenza era uguale alla pendenza della retta di bilancio.
Il punto C rappresenta la scelta ottimale del consumatore perché si trova sulla curva di
indifferenza più elevata, però il punto C non rappresenta un punto di tangenza, quindi C è una
soluzione di frontiera.
Un ipotetico punto B nel mezzo tra A e C sarebbe più gradito rispetto al punto A, in quanto la sua
curva di indifferenza è più spostata verso destra rispetto a quella di A, di conseguenza il
consumatore preferirà i beni sulla curva di indifferenza più a destra e quindi il paniere B rispetto ad
A.
Massimizzazione dell’utilità
Il paniere ottimo massimizza la funzione di utilità del consumatore, rispettandone il vincolo di
bilancio. Se un consumatore spende tutto il proprio reddito in pane e zuppa, il suo problema può
essere scritto come:
Massimizzare U (Z, P) soggetto al vincolo Pz*Z + Pp*P <= M
Analiticamente bisogna poi risolvere un sistema di due equazioni (retta di bilancio e condizione di
equilibrio) in due incognite (Z e P).
La seconda equazione dice che la pendenza della retta tangente alla curva di indifferenza è
uguale alla pendenza della retta di bilancio.
Esercizio
Supponiamo che un individuo abbia un reddito di 300 euro al mese e che lo spenda tutto in
biglietti per concerti e film. Un biglietto per un concerto costo 15 euro e un biglietto del cinema
costa 10 euro. Le preferenze dell’individuo sono date dalla funzione di utilità U (C, F) = C * F, dove
C è il numero (quantità) di concerti e F il numero di film. Quanti biglietti per il cinema e per i
concerti verranno acquistati dall'individuo?
Sappiamo che il paniere ottimale (in corrispondenza di una soluzione interna) soddisfa la
condizione MUc/MUf = Pc/Pf (lo sappiamo in base alla teoria che abbiamo visto poco fa).
Dalla funzione di utilità ricaviamo l’utilità marginale per C e l’utilità marginale per F. L’utilità
marginale rispetto a C è uguale a C, mentre l’utilità marginale rispetto a F è pari a F. Quindi il
saggio marginale di sostituzione è pari a F/C.
MUc = ΔU/ΔC MUf = ΔU/ΔF
Sapendo che Pc=10 e Pf=15, la precedente condizione diventa F/C=15/10=1.5
Ne ricaviamo che F=1.5C
Sostituendo poi questa espressione nel vincolo di bilancio 15C + 10F = 300, otteniamo—>
15C + 10 * 1.5C = 300 —> 30C = 300 —> C = 10
Di conseguenza —> F = 1.5 * 10 = 15
Dunque le quantità massimi di film e di concerti che possono essere acquistate sono
rispettivamente 15 e 10, perciò la risposta alla domanda iniziale è: per il cinema e per i concerti
potranno essere acquistati per massimizzare l’utilità rispettivamente 15 e 10 biglietti.
Possiamo dunque concludere scrivendo l’equazione finale della retta di bilancio:
U (C, F) = 15*10 + 10*15 = 300
L'area blu rappresenta il reddito del consumatore. Dal grafico possiamo evincere come il paniere
ottimale corrisponda al vertice più alto che il consumatore può raggiungere, e in questo caso
corrisponde al punto in corrispondenza del vincolo di bilancio (paniere A).
Esercizio
Un individuo ha un reddito di 100 euro al mese e lo spende tutto in biglietti per concerti e film. Un
biglietto per un concerto costa 5 euro (prezzo che non varia). Le preferenze del consumatore sono
date dalla funzione di utilità U (C, F) = C * F, dove C è il numero (quantità) di concerti e F il numero
di film.
1-calcolare la sua curva prezzo-consumo (consentendo al prezzo del film (Pf) di variare)
2-calcolare la sua curva di domanda di film
3-quanto vale l’elasticità della sua domanda di film? Quale frazione del proprio reddito l'individuo
spende in film e quale è la dipendenza di questa frazione dal prezzo del film?
1-la scelta ottima dell'individuo si ottiene ponendo il rapporto MUc/MUf (formula per trovare il
SMS, ossia la pendenza della retta tangente alla curva di indifferenza) uguale a Pc/Pf (formula per
calcolare la pendenza della retta di bilancio). L'uguaglianza tra queste due formule mi permette di
trovare il miglior paniere accessibile, dunque, se la pendenza della retta tangente alla curva di
indifferenza è uguale alla pendenza della retta di bilancio allora otterrò la scelta ottima
dell’individuo, ossia il miglior paniere accessibile.
Abbiamo quindi la seguente equazione per trovare la scelta ottima dell’individuo—> MUc/
MUf=Pc/Pf
Dalla funzione di utilità deriviamo e otteniamo che MUc = F e MUf = C.
Possiamo perciò sostituire nell'equazione i risultati ottenuti e avremo la seguente equazione—>
F/C=Pc/Pf, da cui possiamo ottenere F = (Pc/Pf)*C
Sapendo che il vincolo di bilancio è Pc*C + Pf*F = M, otteniamo—>
Pc*C + Pf*((Pc/Pf)*C) = 2Pc*C = M
Da qui possiamo poi ricavare C, ossia la quantità di concerti—> C = M / 2Pc
Questa rappresenta la curva di domanda per i concerti.
Forse meglio far così, così lo capisci meglio:
Spiegazione:
Punto 1–> in corrispondenza di una soluzione interna il rapporto tra le utilità marginali deve essere
uguale al rapporto tra i prezzi, perché in corrispondenza di una soluzione interna vale la
condizione di tangenza, in base alla quale la pendenza della retta di bilancio (vincolo di bilancio) è
uguale alla pendenza della retta tangente alla curva di indifferenza.
Punto 2–> la derivata di U rispetto a F è pari a C, mentre la derivata di U rispetto a C è pari a F.
Abbiamo così ottenuto MUc e MUf (l’utilità marginale di un bene è pari alla derivata della funzione
di utilità rispetto a quel bene).
Punto 5–>Dopodiché, una volta ottenuta la curva di domanda per i concerti, ricavata esplicitando
l’equazione di reddito generica per C, possiamo ricavare la curva di domanda per i film.
Punto 6–> nel punto 6 viene rappresentata la curva di domanda per i film per un reddito pari a
100.
Punto 7–> la curva di domanda per i film ha un’elasticità isoelastica, in quanto ha un’elasticità
costante pari a -1. L’elasticità è dunque pari all’esponente di Pf.
Punto 8–>avendo l'equazione della curva di domanda per i film, se moltiplichiamo entrambi i lati
per Pf ricaviamo che la spesa totale, ossia F*Pf è uguale alla metà del reddito. Possiamo dunque
affermare che l'individuo spende metà del suo reddito in film, indipendentemente dal loro prezzo.
Per fare il grafico della curva prezzo-consumo dobbiamo sostituire all'interno del grafico i dati che
abbiamo ottenuto precedentemente.
La domanda per i concerti non dipende assolutamente dal prezzo dei film, di conseguenza la
domanda per i concerti non varia al variare del prezzo del film, è una costante, infatti la domanda
per i concerti è sempre pari a 10. Si capisce che la domanda per i concerti non dipende dal
prezzo dei film per il fatto che i diversi vincoli di bilancio intersecano l'asse delle ordinate sempre
nel medesimo punto. Il 10 si ottiene sostituendo il prezzo del concerto dentro la curva di
domanda dei concerti, in corrispondenza di un reddito pari a 100 (C=10). Ecco perché la curva
prezzo-consumo è orizzontale, perché la domanda di concerti non varia al variare del prezzo dei
film.
La curva reddito-consumo
Un effetto di reddito è una variazione del consumo di un bene che deriva da una variazione del
reddito del consumatore. La curva reddito-consumo mostra come varia il paniere di consumo
accessibile migliore al variare del reddito, a parità di tutte le altre condizioni (compresi i due prezzi
e le preferenze del consumatore). La curva reddito-consumo si ottiene congiungendo tutti i punti
rappresentativi dei panieri scelti al variare del reddito.
Viene definito bene normale il bene la cui quantità consumata aumenta all'aumentare del reddito.
In altre parole, è quel bene che ha un'elasticità al reddito positiva. Invece, viene definito bene
inferiore quel bene la cui quantità consumata diminuisce all'aumentare del reddito. Il bene
inferiore ha quindi un’elasticità al reddito negativa.
Vi sono tre vincoli di bilancio, però ora invece che avere una rotazione avremo una traslazione, in
quanto a variare non è il prezzo di un altro bene (ciò causerebbe la rotazione), ma è il reddito (che
causa quindi una traslazione). Una variazione del reddito, dunque, causa la traslazione dei vincoli
di bilancio. Nel grafico vengono rappresentati dei beni normali, poiché all'aumentare del reddito
aumenta anche la quantità domandata di entrambi.
Curva di Engel
La curva di Engel per un bene descrive la relazione tra il reddito e la quantità consumata (sarebbe
come la curva di domanda individuale per la curva prezzo-consumo). Per un bene normale (la cui
quantità domandata aumenta all'aumentare del reddito), la curva di Engel ha pendenza positiva. A
seguito di un aumento del reddito, la curva di domanda si sposta verso destra.
Invece, per un bene inferiore (la cui quantità diminuisce all'aumentare del reddito), la curva di
Engel ha pendenza negativa. In seguito ad un aumento del reddito, la curva di domanda si
sposterà verso sinistra.
Esercizio
Innanzitutto, per rappresentare la curva di Engel dovrò trovare il paniere migliore accessibile,
ponendo il rapporto tra le utilità marginali dei due beni (SMS) uguali al rapporto tra il loro prezzo.
Come sappiamo le utilità marginali sono le derivate della funzione di utilità.
Punto 6–> si evince che il bene X è un bene normale, in quanto all'aumentare del reddito
aumentano le quantità consumate del bene X.
Punto 7–>X=y/3 lo otteniamo esplicitando la nostra uguaglianza per X
Punto 9–> anche il bene Y è un bene normale poiché all'aumentare del reddito aumenta la sua
quantità consumata.
Preferenze rivelate
Né le preferenze dei consumatori né le loro funzioni di utilità sono direttamente osservabili.
L'approccio delle preferenze rivelate è un metodo per raccogliere informazioni sulle preferenze dei
consumatori osservando le loro scelte. Se un paniere A viene scelto dal consumatore quando
anche un altro paniere B è accessibile, si può dire che A si è rivelato preferito a B. L’ipotesi è che,
se A si è rivelato preferito a B, il consumatore preferirà A a B.
Immaginiamo di osservare un consumatore che sceglie il paniere A. Allora vuol dire che A si è
rivelato preferito a tutti gli altri panieri che il consumatore avrebbe potuto acquistare (panieri
accessibili), cioè quelli che si trovano sulla retta di bilancio ed al di sotto di essa (area azzurra). La
curva di indifferenza per A non può attraversare l'area azzurra, perché essa contiene panieri meno
preferiti di A. La curva di indifferenza per A non può neanche passare per l'area blu, perché per il
principio di non sazietà quest'area contiene panieri più preferiti di A. Il concetto si capisce meglio
guardando il seguente grafico (si riesce a capire quale è l'area blu e quale quella azzurra).
Riassumendo, i panieri presenti nell'area azzurra non potranno far parte della curva di indifferenza
del paniere A, in quanto essi saranno meno preferiti rispetto al paniere A, in base al principio della
preferenza rivelata. Stesso caso ma opposto per quanto riguarda l’area blu, la curva di
indifferenza del paniere A non potrà passare per l'area blu, in quanto esso contiene i panieri che
saranno graditi di più di A, secondo il principio di non sazietà. Infine, nell'area bianca vi saranno i
possibili panieri che potranno far parte della curva di indifferenza del paniere A.
Ora supponiamo che i prezzi dei beni cambino e che il consumatore scelga (preferisca) il paniere
B. Questo significa che il paniere B si è rivelato preferito a tutti i panieri che il consumatore può
acquistare ai nuovi prezzi, incluso il paniere C. Poiché A è preferito a B (come visto nel paragrafo
precedente) e B è preferito a C (come visto ora), possiamo dire che A è preferito a C ed a tutti i
panieri nell'area triangolare azzurra, ciò in base al principio della transitività delle preferenze.
Possiamo perciò escludere che la curva di indifferenza per A passi per l’area azzurra.
Continuando il processo, con un numero sufficiente di scelte osservate possiamo restringere
l'area (l’area bianca) in cui passa la curva di indifferenza per A fino al desiderato livello di
precisione. Ora abbiamo soltanto iniziato a restringere quest'area bianca togliendo da essa
proprio l'area azzurra che abbiamo appena visto. Dal grafico appena analizzato si può quindi
evincere come C, seppur si trovi nell'area possibile in cui può passare la curva di indifferenza, sia
comunque meno gradito di A, in base al principio di transitività delle preferenze. Giacché B è
preferito a C e A è preferito a B, A sarà preferito a C, di conseguenza possiamo escludere come
possibile area in cui passa la curva di indifferenza del paniere A l'area sottostante al paniere B,
che include il paniere C (figura a).
Poi andando avanti col processo, dunque mano a mano che il consumatore compie altre scelte,
sarà possibile eliminare altre possibili aree in cui passerà la curva di indifferenza per A. Come si
evince dalla figura b), andando avanti con il processo siamo riusciti a comprendere che il paniere
D è più gradito del paniere A e, di conseguenza, potremo eliminare l'area soprastante il paniere D
come possibile area in cui passerà la curva di indifferenza di A. Dunque, possiamo concludere
dicendo che mano a mano che il processo continua, mano a mano che il consumatore effettua
delle scelte, possiamo sempre più restringere l'area in cui potrebbe passare la curva di
indifferenza del paniere A, rendendo quest'area sempre più precisa.
Figura a) se aumenta il prezzo della zuppa (il prezzo dell'altro bene rimane invariato), il vincolo di
bilancio si sposterà verso sinistra o, meglio, ruoterà verso l’interno, nello specifico il vincolo di
bilancio passerà da L1 a L2, poiché diminuisce il potere d’acquisto del consumatore, quindi con
la medesima quantità di reddito potrà permettersi una minore quantità di zuppa. La quantità di
pane rimarrà invariata, è la quantità di zuppa che subisce una riduzione, a seguito appunto
dell'aumento del prezzo della zuppa. In tal caso, prima dell'aumento del prezzo della zuppa le
quantità consumate di zuppa dall’individuo in corrispondenza del paniere A, ossia del miglior
paniere accessibile, erano pari a 13. Dopodiché a seguito dell'aumento del prezzo della zuppa, in
corrispondenza del paniere B, ossia del miglior paniere accessibile per il vincolo di bilancio L2, le
quantità consumate di zuppa saranno pari a 5. Dunque a seguito dell’aumento del prezzo della
zuppa, sempre in corrispondenza del miglior paniere accessibile, in base al differente vincolo di
bilancio, le quantità consumate diminuiscono da 13 a 5. Tuttavia, se vi è una variazione di prezzo
compensata (ossia un aumento di prezzo accompagnato da un aumento del reddito) il vincolo di
bilancio passerà da L2 a L3, dunque il vincolo di bilancio verrà traslato verso destra. Prima non
avveniva una traslazione del vincolo di bilancio, perché prima non era il reddito ad aumentare, ma
il prezzo di uno dei due beni, quindi non avveniva una traslazione ma una rotazione facendo perno
sulla quantità del bene il cui prezzo rimaneva invariato. Quando invece è il reddito ad aumentare, il
vincolo di bilancio si sposta verso destra. La compensazione del reddito permette dunque di
riportare il nostro consumatore sulla curva di indifferenza originaria (la stessa curva di indifferenza
che passava per il paniere A, a seguito della compensazione passerà anche per il paniere C),
permette dunque al consumatore di ottenere la medesima utilità che aveva prima dell'aumento
del prezzo della zuppa. Ecco perché si parla di compensazione, proprio perché a seguito di un
aumento del prezzo della zuppa avviene un aumento del reddito tale da riportare il consumatore
sulla medesima curva di indifferenza precedente all’aumento del prezzo. Infatti, la curva di
indifferenza in corrispondenza del vincolo di bilancio L3 è la medesima del vincolo di bilancio L1,
ossia è la stessa curva di indifferenza relativa alla situazione originaria. Dunque, per far sì che
avvenga la compensazione, il reddito dovrà aumentare tanto quanto basta a permettere di traslare
il vincolo di bilancio fino al punto di tangenza con l’originaria curva di indifferenza, ossia fino al
punto C.
Figura b) in questo caso si ha l'esatto opposto, dunque invece di avere un aumento del prezzo
della zuppa avremo una diminuzione del prezzo della zuppa. Di conseguenza, a seguito di una
diminuzione del prezzo della zuppa, il vincolo di bilancio ruoterà verso l'esterno (verso destra),
ossia ruoterà dal vincolo di bilancio L1 al vincolo di bilancio L4, perché è aumentato il potere
d’acquisto del consumatore (non è aumentato il reddito, è il potere d’acquisto che è aumentato a
seguito di una riduzione del prezzo della zuppa). In tal caso le quantità consumate aumentano (a
parità di reddito e a parità del prezzo dell'altro bene), siccome vi è stata una diminuzione del
prezzo della zuppa, nello specifico vi è stata una variazione di prezzo non compensata. Dunque,
le quantità consumate passano da 13 a 22. Tuttavia se avviene una variazione di prezzo
compensata il vincolo di bilancio subirà una traslazione verso sinistra da L4 a L5, ciò perché vi
sarà una diminuzione del reddito che va a compensare la diminuzione del prezzo della zuppa. Di
conseguenza il vincolo di bilancio verrà traslato verso sinistra fino a quando la sua retta sarà
tangente alla curva di indifferenza originaria (curva di indifferenza prima della diminuzione del
prezzo). Dunque, a seguito della compensazione il consumatore otterrà la medesima utilità che
aveva prima della diminuzione del prezzo della zuppa, ciò lo si evince dal fatto che il vincolo di
bilancio a seguito della compensazione (L5) è tangente alla medesima curva di indifferenza
originaria.
Ora vediamo sia il caso di un aumento del prezzo della zuppa, sia il caso di una diminuzione del
prezzo della zuppa:
Figura a) a seguito di un aumento del prezzo della zuppa (mentre il prezzo dell'altro bene e il
reddito del consumatore rimangono invariati) sappiamo che il vincolo di bilancio ruota verso
sinistra, nello specifico passa da L1 a L2. Il paniere originario (il miglior paniere accessibile per il
vincolo di bilancio L1) scelto dal nostro consumatore è A, ossia il punto in cui il vincolo di bilancio
L1 è tangente alla curva di indifferenza. Invece, il miglior paniere accessibile per il vincolo di
bilancio L2 sarà B. Le quantità consumate di zuppa in corrispondenza proprio dei panieri A e B ci
mostrano l'effetto di una variazione di prezzo non compensata, nello specifico ci mostrano come
a seguito di un aumento del prezzo della zuppa le quantità consumate di zuppa (a parità di
reddito e a parità di prezzo dell'altro bene) diminuiscono da 13 a 5. Dunque, l'effetto di una
variazione di prezzo non compensata è pari alla differenza tra la quantità consumata finale di
zuppa e la quantità consumata iniziale di zuppa (5-13=-8).
Ora vogliamo scorporare tale effetto nell'effetto di sostituzione e nell'effetto di reddito, come
facciamo? Partendo dal vincolo di bilancio finale (L2) bisognerà fare una traslazione del vincolo
fino al punto di tangenza con la curva di indifferenza originaria e si otterrà il vincolo di bilancio L3.
Il paniere C (il punto in corrispondenza del quale il vincolo di bilancio L3 è tangente alla curva di
indifferenza originaria) rappresenta il nuovo paniere che viene scelto dal consumatore solamente
per il fatto che i prezzi relativi sono variati (il prezzo della zuppa è variato), solo perché il prezzo
della zuppa è variato, quindi considerando una compensazione del reddito. Se noi confrontiamo il
punto C e il punto A riusciamo ad individuare l'effetto di sostituzione. Riusciamo a capire di
quanto il nostro consumatore riduce la quantità domandata di zuppa esclusivamente per il fatto
che il prezzo della zuppa è cambiato, solamente per quello, perché il potere d’acquisto è rimasto
invariato (in quanto a seguito di un aumento del prezzo della zuppa vi è stato un conseguente
aumento del reddito, che ha dunque compensato). È vero che vi è stato anche un aumento del
reddito, ma tale aumento è andato a compensare l’aumento del prezzo della zuppa, di
conseguenza il potere d’acquisto del consumatore è rimasto invariato. Quindi possiamo dire che
tale effetto, ossia la riduzione della quantità consumata di zuppa è dovuto solamente per il fatto
che il prezzo della zuppa è cambiato, in quanto il potere d’acquisto è rimasto invariato rispetto
alla situazione originaria. In questo caso l'effetto di sostituzione, ossia la riduzione della quantità
consumata dovuta solamente all’aumento del prezzo, è pari a -5, ossia 8-13, è dunque pari alla
differenza tra la quantità consumata finale di zuppa e la quantità consumata iniziale.
Ora consideriamo l'altro effetto, l'effetto di reddito, ossia il passaggio dal paniere C al paniere B
(dal vincolo di bilancio L3 al vincolo di bilancio L2). Nello specifico, vediamo di quanto
diminuiscono le quantità consumate solamente per il fatto che il potere d’acquisto (reddito) è
cambiato. L'effetto di reddito, ossia la diminuzione delle quantità consumate solamente per il fatto
che il potere d'acquisto è aumentato è pari a 5-8, ossia -3.
Dunque possiamo concludere dicendo che l'effetto di una variazione di prezzo non compensata è
pari a 5-13=-8 (come abbiamo visto all’inizio del discorso, ossia quantità finale - quantità iniziale),
che viene scomposto nell'effetto di sostituzione e nell'effetto di reddito, che sono pari
rispettivamente a -5 (8-13) e -3 (5-8), ossia -8. Ciò lo vediamo nella figura qui sopra relativamente
al caso a).
Figura b)
Ora consideriamo il caso opposto, ovvero il caso di una riduzione del prezzo della zuppa. Nel
momento in cui si verifica una riduzione del prezzo della zuppa, il vincolo di bilancio ruota verso
l'esterno e da L1 si sposta in L4. Otteniamo così il paniere finale (D), ossia il punto di tangenza tra
la curva di indifferenza e il vincolo di bilancio L4. In corrispondenza del paniere D, ossia del
paniere migliore possibile a seguito di una riduzione dei prezzi (a parità di reddito e a parità del
prezzo dell'altro bene), la quantità consumata di zuppa è pari a 22. Mentre la quantità consumata
di zuppa in corrispondenza del paniere A, ossia del paniere migliore accessibile prima della
riduzione del prezzo della zuppa, era pari a 13. Dunque, l'effetto di una variazione di prezzo non
compensata (effetto totale) è pari a 22-13=9, ossia la differenza tra la quantità consumata finale di
zuppa e la quantità consumata iniziale. Ora scorporiamo tale effetto nell’effetto di sostituzione e di
reddito (come sappiamo facendo la somma tra ES e ER otterremo l'effetto di una variazione di
prezzo non compensata, ossia 9).
Per ottenere l'effetto di sostituzione, ossia la variazione della quantità consumata di zuppa dovuta
solamente al variare del suo prezzo, dovremo far sì che il consumatore riacquisisca lo stesso
potere d'acquisto originario, in quanto l'effetto di sostituzione deve tenere in considerazione la
variazione della quantità dovuta solamente alla variazione del prezzo della zuppa (non deve tener
conto della variazione del potere d'acquisto, che deve rimanere invariato). Perciò per far
riacquisire al consumatore il medesimo potere d’acquisto iniziale bisognerà diminuire il reddito,
dunque il vincolo di bilancio subirà una traslazione verso sinistra e, dunque, passerà da L4 a L5. Il
vincolo di bilancio viene traslato verso sinistra fino a quando la curva di indifferenza originaria
risulti tangente ad esso, così che il consumatore ottenga la medesima utilità, il medesimo
benessere che aveva originariamente. Il punto E rappresenta proprio il punto in cui il vincolo di
bilancio traslato (L5) è tangente alla curva di indifferenza originaria. L'effetto di sostituzione viene
calcolato tenendo in considerazione i panieri A ed E, perché l'effetto di sostituzione è la differenza
tra la quantità consumata finale di zuppa (a seguito di una riduzione solamente del prezzo, avendo
dunque riequilibrato il potere d’acquisto, considerando dunque il vincolo di bilancio traslato),
ossia la quantità in corrispondenza del punto E, e la quantità consumata iniziale di zuppa, ossia la
quantità in corrispondenza del punto A. Perciò otteniamo 18-13=5, questo rappresentata l'effetto
di sostituzione.
Dopodiché calcoliamo l'effetto di reddito, ossia quanto varia la quantità consumata del bene
solamente a seguito di una variazione del potere d'acquisto. Il potere d’acquisto si riduce a
seguito di una riduzione del reddito, dunque per calcolare l'effetto di reddito, che deve tenere in
considerazione l'effetto delle quantità consumate solamente a seguito di una variazione del potere
d’acquisto, dovremo tenere in considerazione i panieri E e D. In questo caso non ci interessa la
variazione del prezzo ma solo la variazione del potere d’acquisto, perciò i due vincoli di bilancio
che rappresentano la variazione del potere d’acquisto sono proprio L4 e L5. In conclusione,
l’effetto di reddito sarà pari a 22-18=4.
Sommando poi i risultati dei due effetti, 5+4, otteniamo proprio l'effetto della variazione di prezzo
non compensata.
Direzione di ES e ER
ES è sempre negativo, in quanto a seguito di un aumento di prezzo la quantità si riduce, a parità
di reddito (per negativo si intende che c’è una relazione inversa tra prezzo e quantità, non che il
segno del risultato di ES è negativo). In seguito ad un aumento del prezzo della zuppa, la nuova
retta di bilancio (L2) e la retta di bilancio compensata (L3) sono più inclinate della retta di bilancio
originaria (L1). La retta di bilancio compensata (L3) deve essere tangente alla curva di indifferenza
originaria (L1) in un punto in cui questa (L3) ha una pendenza maggiore che nel paniere ottimale
originario. Se il SMS è decrescente, ovvero se la pendenza della retta tangente alla curva di
indifferenza è decrescente, la quantità domandata diminuisce.
ER è negativo per i beni normali (c’è una relazione inversa tra prezzo e quantità, prezzo e quantità
vanno in direzioni opposte), poiché un aumento del prezzo riduce il potere d'acquisto del
consumatore inducendolo ad acquistare una quantità minore del bene.
Invece, ER è positivo per i beni inferiori (c’è una relazione diretta tra prezzo e quantità, prezzo e
quantità vanno nella stessa direzione), in quanto un aumento di prezzo riduce sempre il potere
d'acquisto del consumatore, ma ciononostante il consumatore è comunque indotto ad acquistare
una quantità maggiore del bene. Un esempio di bene inferiore sono le patate.
Adesso vediamo come scorporare l'effetto di sostituzione e l'effetto di reddito nel caso di un bene
inferiore. A seguito di una riduzione del prezzo delle patate (bene su asse X) il potere d’acquisto
del consumatore aumenta e di conseguenza otterremo il nuovo vincolo di bilancio ruotando L1
verso l’esterno. A seguito della diminuzione del prezzo delle patate, il consumatore potrà
acquistare una maggiore quantità di patate, in quanto il suo potere d’acquisto aumenta. Il nuovo
vincolo di bilancio è rappresentato da L2 e si evince come le quantità domandate di patate siano
aumentate da 48 a 60. Possiamo quindi dire che l'effetto di una variazione di prezzo non
compensato è pari alla differenza tra le quantità domandate finali e le quantità domandate iniziali
(oltre che pari alla somma tra ES e ER), ossia 60-48=12. Ora scorporiamo tale effetto in ES e ER.
Partendo dal vincolo di bilancio L2 trasliamo tale vincolo verso sinistra, in modo tale da far sì che
il miglior paniere accessibile del vincolo di bilancio traslato sia tangente alla curva di indifferenza
originaria (curva di indifferenza in corrispondenza di L1), così che il consumatore ottenga la
medesima utilità iniziale. L3 rappresenta il vincolo di bilancio traslato, ossia il vincolo di bilancio a
seguito di una riduzione del reddito, così da far sì che il potere d’acquisto del consumatore
rimanga invariato rispetto alla situazione originaria. L'effetto di sostituzione, ossia la variazione
delle quantità domandate solamente a seguito di una variazione del prezzo, tenendo dunque
invariato il potere d’acquisto, sarà pari alla differenza tra il paniere C (miglior paniere accessibile in
corrispondenza del vincolo di bilancio traslato L3) e il paniere A (miglior paniere accessibile in
corrispondenza del vincolo di bilancio iniziale L1), ovvero 65-48=17.
Dopodiché per ottenere ER, ossia la variazione delle quantità domandate dovute solamente alla
variazione del potere d’acquisto (reddito), dovremo tenere in considerazione il vincolo di bilancio
L2 e L3, ossia 60-65=-5 (OCCHIO che devi far sempre il paniere sul vincolo di bilancio più a
destra-il paniere sul vincolo di bilancio più a sinistra, ossia B-C, altrimenti non ti esce col segno
negativo). Otteniamo una quantità negativa, poiché anche se il prezzo delle patate è diminuito, le
quantità domandate di patate sono comunque diminuite, da 65 sono passate a 60. Quindi, se il
prezzo delle patate diminuisce aumenta il potere d’acquisto del consumatore, ma diminuiranno
comunque le quantità domandate di patate perché si tratta di un bene inferiore, ciò perché il
consumatore si sposterà su un altro bene, come la carne ad esempio, in quanto il suo potere
d’acquisto è aumentato, quindi può permettersi un bene migliore come la carne. Abbiamo dunque
dimostrato che le patate sono un bene inferiore, in quanto riguardo all'effetto di reddito vi è una
relazione diretta tra prezzo e quantità, dunque al diminuire del prezzo diminuiscono anche le
quantità domandate del bene inferiore, perché il consumatore si sposterà verso un altro bene
migliore (oppure all'aumentare del prezzo aumentano le quantità domandate del bene inferiore).
Sommando i risultati di ES e ER otterremo 12, ossia 17-5, che è pari all'effetto della variazione di
prezzo non compensata.
Riassumendo:
ES ER effetto non compensato
Figura a) consideriamo un bene che non è divisibile come il computer (non ha senso acquistare
mezzo computer, quindi il computer non è un bene divisibile). Sull'asse delle X abbiamo le
quantità di computer e sull'asse delle Y il prezzo. Consideriamo ora il consumatore che deve
decidere riguardo all'acquisto di un primo computer. Il consumatore deve decidere se vale la pena
acquistare il primo computer e per fare quello deve fare un'analisi costi-benefici. La massima
disponibilità a pagare del consumatore è pari a 4000, ossia il beneficio lordo (come possiamo
vedere dal grafico, in corrispondenza della quantità 1 di computer). Il beneficio netto sarà pari alla
differenza tra il beneficio lordo, ovvero 4000, e il prezzo effettivo d’acquisto del computer, ovvero
1500 (punto A), dunque il beneficio netto sarà pari a 2500. Ora supponiamo che il consumatore
debba decidere se acquistare o meno un secondo computer (ci spostiamo dunque verso destra).
La massima disponibilità del consumatore, ossia il beneficio lordo, diminuirà, poiché il
consumatore dispone già di un computer di conseguenza avrà meno necessità di averne un altro
e, dunque, la sua massima disponibilità diminuisce e passa da 4000 euro a 3000. In questo caso il
beneficio netto sarà pari a 1500, ossia 3000-1500 (il prezzo del computer rimane sempre pari a
1500). Graficamente il beneficio netto è pari all'area azzurra più l’area grigia (area totale) - l’area
grigia. Infine, supponiamo che il consumatore debba decidere se acquistare o meno una terza
unità di computer. La massima disponibilità diminuirà ulteriormente, in quanto ne dispone già 2,
dunque ora il beneficio lordo è pari a 2000, ne conseguenza un beneficio netto pari a 500
(2000-1500). Per capire poi effettivamente quanti computer il consumatore acquisterà, dobbiamo
andare avanti con le quantità di computer fino ad arrivare alla quantità per cui il consumatore ha
un beneficio netto negativo. Consideriamo dunque la decisione riguardante l'acquisto di una
quarta unità di computer. In questo caso la massima disponibilità del consumatore è pari a 1000,
ne consegue un beneficio netto negativo pari a -500 (1000-1500). Possiamo perciò affermare che
il consumatore non acquisterà il quarto computer, ma si fermerà all’acquisto del terzo computer.
Possiamo poi calcolare il beneficio netto totale, ossia la rendita (o surplus) del consumatore, che il
consumatore ottiene dall’acquisto dei 3 computer sommando i relativi benefici netti —>
2500+1500+500=4500. Perciò il beneficio netto totale che il consumatore ottiene dall'acquisto di
tre computer è pari a 4500 euro, ottenuto sommando tutti i benefici netti di ciascuna unità di
computer. Invece il beneficio lordo totale per i tre computer sarà pari alla somma dei benefici lordi
per ciascuna unità di computer.
Figura b) vediamo ora cosa succede con beni divisibili come la benzina. In questo caso non
avremo più una curva di domanda a scalini, ma più continua, in quanto la benzina è un bene
divisibile. Il consumatore non è obbligato ad acquistare un litro di benzina, ma può acquistare
anche mezzo litro, e via dicendo. Per la figura b) vale la stessa logica vista per il computer. In
questo caso possiamo affermare che la rendita, o surplus, del consumatore, ossia il beneficio
netto totale, graficamente è uguale all’area azzurra, ossia l’area sottostante la curva di domanda e
sovrastante il prezzo della benzina (area grigia).
Ora vediamo come varia la rendita del consumatore (beneficio netto totale) al variare del prezzo:
Supponiamo che il prezzo della benzina aumenti da 2 a 4 euro. La rendita del consumatore per un
prezzo della benzina pari a 2 sarà pari alla somma tra l’area grigia e l'area azzurra, ossia sarà
uguale all'area sottostante la curva di domanda è sovrastante il prezzo della benzina pari a 2,
ovvero sovrastante l'area bianca. Se invece il prezzo della benzina è di 4 euro, la rendita del
consumatore sarà uguale all'area grigia. Di conseguenza possiamo affermare che l’area azzurra
rappresenta esattamente la diminuzione della rendita del consumatore, ossia del beneficio netto
totale, a seguito di un aumento del prezzo della benzina da 2 a 4.
Esercizio:
Per calcolare CS, ossia il surplus/rendita del consumatore, dovremo utilizzare la formule per
trovare l’area del triangolo ((base*altezza)/2), poiché come abbiamo visto nella figura b), la rendita
del consumatore è pari all'area azzurra e per i beni perfettamente divisibili tale area azzurra è un
triangolo rettangolo.
Per un prezzo del bene pari a 2, il surplus del consumatore sarà pari al prodotto tra 8 (la base),
ossia le quantità domandate per un prezzo pari a 2 (10-2), e 8 (l'altezza), ossia 10-2. Il prodotto tra
base e altezza sarà quindi pari a 64, dopodiché tale risultato dovremo dividerlo per 2, in quanto
l'area che dobbiamo trovare è quella del triangolo. Quindi possiamo concludere affermando che
l'area del triangolo, ossia il beneficio netto totale o surplus o rendita del consumatore è pari a 32
(ossia l'area azzurra, ovvero l’area sottostante la curva di domanda e sovrastante il prezzo).
Stesse operazioni faremo per un prezzo pari a 4. In questo caso la base, ossia le quantità
domandate saranno pari a 10-4, ossia 6. Le quantità le ottieni partendo dalla funzione iniziale che
ti dà l'esercizio, ossia Q=10-P
Noi avremo a che fare con esercizi che tengono in considerazione solo beni perfettamente
divisibili, così che la rendita possa essere trovata utilizzando le formule del triangolo. Non faremo
esercizi per bene indivisibili poiché in quel caso calcolare l'area, ossia il surplus del consumatore,
sarebbe più complicato.
Per poter acquistare beni di consumo, l’individuo deve disporre di un certo reddito, il che lo
obbliga a lavorare e, dunque, a rinunciare ad una certa quantità di tempo libero. Possiamo dire
che esiste un trade-off tra tempo libero e lavoro, in quanto se l’individuo aumenta le ore dedicate
al lavoro di conseguenza diminuiranno le ore dedicate al tempo libero, e viceversa. Il problema
dell'individuo è quindi quello di trovare la combinazione di consumo e tempo libero che
massimizza la sua utilità. La retta di bilancio del consumatore è data da Pc * C = W * L. In altre
parole, la retta di bilancio del consumatore/lavoratore si trova facendo l'uguaglianza tra la spesa
totale, ossia il prezzo dei beni di consumo moltiplicato per le quantità dei beni di consumo (Pc*C),
e il guadagno totale, ovvero il prodotto tra il salario in unità di tempo e il tempo dedicato al lavoro
remunerato (W*L).
Sostituendo nella retta di bilancio appena trovata il "male" (lavoro) con il "bene" (tempo libero),
otteniamo Pc * C = W * (T - N) (spesa totale uguale al prodotto tra il salario e la differenza tra la
dotazione di tempo totale e il tempo dedicato al tempo libero, che è lo stesso di dire che la spesa
toltale è uguale al prodotto tra il salario e il tempo dedicato al lavoro remunerato (proprio come
l’equazione di prima)). Da quest’equazione possiamo ottenere la seguente W * T = Pc * C + W *N,
dove il prodotto tra il salario e la dotazione di tempo totale è uguale alla spesa totale più il
prodotto tra il salario e il tempo libero. Da questo ultimo passaggio, possiamo vedere come nella
retta di bilancio compare W (salario) come prezzo del tempo libero (N), perché W è il costo
opportunità del tempo libero, nel senso che se il consumatore decide di consumare un'ora in più
di tempo libero allora dovrà rinunciare ad un’ora in più di salario, o in altre parole possiamo dire
che W è il costo del tempo libero perché se il consumatore decide di aumentare di un’unità di
tempo il salario allora diminuisce di un’unità il tempo libero. Quella evidenziata in grassetto
possiamo considerarla come la formula finale della retta (vincolo) di bilancio.
Inoltre, differentemente da quanto abbiamo visto fino ad ora, nella retta di bilancio il reddito non è
fisso, ma dipende da W. Fino a prima M, ossia il reddito, era fisso, mentre ora dipende dalla
variabile W, ossia dipende dal salario del consumatore/lavoratore (oltre che a dipendere da W, il
reddito dipende indirettamente anche da L, ossia dal tempo dedicato al lavoro remunerato).
Dunque, al variare del salario varia anche il reddito.
Ora riscriviamo la retta di bilancio esplicitando per la quantità dei beni di consumo, ossia per C e
otteniamo che C = (W/Pc)*T - (W/Pc)*N.
Supponendo che C=0 e che C si trovi sull'asse delle Y e che N si trovi sull'asse delle X, l'intercetta
orizzontale (punto che interseca l'asse delle X) della retta di bilancio è data da N = T, ciò vuol dire
che in tal caso si ha il massimo consumo di tempo libero (attività non remunerate=dotazione di
tempo). Partendo dalla retta di bilancio esplicitata per C otteniamo N=T considerando C=0,
portando a sinistra uno tra N e T e dividendo ambo i lati per W/Pc. Dunque, nel momento in cui il
consumo è nullo l'ammontare di tempo libero sarà pari al massimo possibile, poiché il
consumatore utilizzerà tutto il suo tempo a disposizione (T) in attività non remunerate, ovvero
tempo libero (N). La cosa è piuttosto logica, se il consumatore non vuole consumare perché
dovrebbe lavorare, visto che il lavoro è un male? Piuttosto dedicherà il tempo che ha a
disposizione al tempo libero.
Invece, supponendo che N=0, ossia che il tempo dedicato alle attività non remunerate sia pari a
0, l'intercetta verticale, ovvero il punto in cui la retta di bilancio interseca l'asse delle Y, sarà pari a
C= (W/Pc)*T, ossia sarà pari al massimo consumo possibile. Questo è quindi il caso opposto
rispetto al precedente, qua consideriamo il caso in cui il consumatore non dedichi tempo alle
attività non remunerate, di conseguenza il consumatore avrà il massimo consumo, poiché
dedicherà tutto il suo tempo ad attività remunerate, senza avere neanche un po’ di tempo libero.
La pendenza della retta di bilancio (in valore assoluto) è data dal rapporto tra il salario e il prezzo
dei beni di consumo, ossia W/Pc. Prima trovavamo la pendenza della retta di bilancio facendo il
rapporto tra i due prezzi, idem adesso, perché W lo possiamo considerare come il prezzo del
tempo libero (costo opportunità del tempo libero), quindi possiamo vederla come il rapporto tra il
prezzo del tempo libero e il prezzo del consumo.
Ora vediamo il grafico di una retta di bilancio di un lavoratore:
In questo caso supponiamo che il lavoratore, oltre al salario (W), abbia un reddito extra, dunque il
reddito non sarà pari al salario, ma al salario più una determinata quantità di denaro che il
lavoratore/consumatore percepisce indipendentemente dalle ore di lavoro. Come sappiamo
sull'asse delle X abbiamo il tempo libero (N) mentre sull'asse delle Y abbiamo il cibo, ossia il
consumo (C). In questo caso T, ossia la dotazione di tempo totale, è pari a 14, dunque in
corrispondenza di un tempo libero pari a 14, ossia supponendo il caso in cui il consumatore
dedichi tutto il tempo che ha a disposizione al tempo libero, la quantità di consumo di cibo sarà
pari a 30. Questo 30 però dipende esclusivamente dal reddito extra, perché se il consumatore
dedica tutto il suo tempo al tempo libero vuol dire che non dedica nessuna ora ad attività
remunerative, di conseguenza il suo consumo dovrebbe essere pari a 0, ma invece è pari a 30
unicamente grazie al reddito extra, che non dipende dalle ore che il consumatore dedica al lavoro.
A seguito di una riduzione del tempo libero, quindi ad esempio nel caso in cui il tempo libero passi
da 14 ore a 8 (ossia il lavoratore lavora 6 ore in più) allora la quantità di beni di consumo aumenta
da 30 a 65 circa (la quantità di cibo perpendicolare al punto C).
Inoltre, come sappiamo la pendenza del vincolo di bilancio è pari a W/Pc. Per convenienza però
noi porremo Pc pari a 1, ossia il prezzo dei beni di consumo pari a 1, ne consegue che la
pendenza della retta di bilancio sarà pari a W.
Se la curva di indifferenza è tangente alla retta di bilancio nel punto C saremo di fronte ad un
lavoratore che dedica otto ore al giorno al tempo libero, mentre possiamo affermare che se la
curva di indifferenza è tangente alla retta di bilancio nel punto A allora saremo di fronte ad un
consumatore più "pigro", poiché tale consumatore dedicherà una maggiore quantità di ore al
tempo libero (nello specifico in questo caso dedicherà tutte le ore a disposizione al tempo libero).
(Le due curve di indifferenza sono di due consumatori differenti perché si andrebbero ad
intersecare e, come sappiamo, le curve di indifferenza di uno stesso consumatore non possono
intersecarsi)
L’equazione finale del vincolo di bilancio, come abbiamo visto pochi paragrafi fa, è
W * T = Pc * C + W *N
C (ossia la quantità dei beni di consumo) può essere considerato come un bene composito,
ovvero come ogni altra cosa che l'individuo desidera consumare oltre al tempo libero. In questo
caso C può essere misurato direttamente in termini di denaro che l’individuo spende per tutti gli
altri beni e per convenienza poniamo Pc=1. Dopo aver posto Pc=1 l'equazione della retta di
bilancio diventa così la seguente: W * T = C + W * N
Inoltre, possiamo supporre anche che l'individuo disponga di un reddito M che è indipendente
dalle ore lavorate. Ciò lo avevamo già visto nel grafico precedente, dove il consumatore
disponeva anche di un reddito extra, oltre al salario. A seguito di ciò possiamo concludere che
l’equazione finale della retta di bilancio è la seguente: W * T + M = C + W * N
In pratica sommiamo M al reddito da lavoro, ossia al prodotto tra il salario e la dotazione di tempo
(in aggiunta a quella finale c’è che Pc=1 e il reddito extra M, che è indipendente dalle ore
lavorate).
Esercizio
MUn è la derivata prima di U rispetto a N, mentre MUc è la derivata prima di U rispetto a C.
Nella condizione di equilibrio C (quantità dei beni) deve essere uguale a 20 N (ore dedicate al
tempo libero). Poi sostituiamo tale condizione di equilibrio nel vincolo di bilancio e troviamo N,
ossia le ore che il consumatore dedica al tempo libero. Dopodiché, avendo T e N, possiamo
calcolare L, ovvero le ore dedicate al lavoro, ossia l’offerta di lavoro dell’individuo.
Ora abbiamo finito la parte relativa al consumatore e dal capitolo successivo iniziamo la parte
relativa all'impresa. Ci spostiamo dal consumatore all'impresa.
CAPITOLO 6: TECNOLOGIA E PRODUZIONE
Tecnologie di produzione
In un'economia di libero mercato, la maggior parte dei beni è prodotta da imprese private i cui
proprietari tengono per sé i profitti generati dalla vendita dei loro prodotti.
È importante distinguere gli input dagli output. Gli output sono i prodotti o servizi che un'impresa
produce, mentre gli input sono i materiali, la manodopera, la terra, o i macchinari che un'impresa
utilizza per produrre i propri output.
La tecnologia di produzione di un’impresa è l'insieme di tutti i metodi a sua disposizione per
produrre gli output. Un metodo di produzione è efficiente quando l’impresa non ha alcun altro
metodo per produrre una maggiore quantità di output usando lo stesso quantitativo di input.
Funzioni di produzione
Una funzione di produzione è una funzione che si esprime nella seguente forma
output= F (input).
(F è la funzione di produzione)
La funzione di produzione descrive il totale massimo di output che un’impresa può produrre a
partire da un dato quantitativo di input, usando metodi di produzione efficienti. Stiamo dunque
parlando degli output che giacciono sulla frontiera efficiente di produzione, ossia la quantità
massima di output per ogni quantitativo di input.
In sostanza, la funzione di produzione permette di trovare l'output, ossia i prodotti finiti realizzati,
dati uno o più input.
La funzione di produzione è sempre crescente rispetto agli input. Dunque, all'aumentare degli
input aumenta l'output. Non è possibile che all'aumentare degli input gli output diminuiscano.
Ecco perché la funzione di produzione ha sempre pendenza positiva.
Prodotto marginale
Il prodotto marginale del lavoro misura quanto output in più viene prodotto quando l’impresa varia
leggermente il quantitativo di lavoro che utilizza. Per esempio, supponiamo di avere un'impresa
con 10 operatori. Il prodotto marginale del lavoro ci dice l'output che viene prodotto in più a
seguito dell'aumento di un’unità di lavoratori, che da 10 passano così a 11.
Le unità marginali di lavoro sono le ultime unità di lavoro impiegate, che indichiamo con ΔL, dove
ΔL è il quantitativo minimo di lavoro che un datore di lavoro può aggiungere o sottrarre.
Nell'esempio di prima ΔL è uguale a 1, perciò il quantitativo minimo di lavoro che un datore di
lavoro può aggiungere o sottrarre è pari a 1. Se però supponiamo che il datore di lavoro possa
assumere anche dipendenti part-time, allora l’unità marginale (ΔL) non sarà pari a 1 (lavoratore a
tempo pieno) ma sarà pari a 0,5 (lavoratore part-time).
Quindi, il prodotto marginale del lavoro (marginal product of labour) con L lavoratori misura
l'output extra ottenuto assumendo (è giusto il termine) le unità marginali di lavoro ΔL, per unità di
lavoro aggiunta.
Da ciò possiamo ricavare la seguente formula:
Possiamo quindi affermare che il prodotto marginale del lavoro è pari al rapporto tra la variazione
degli output (ΔQ) e la variazione dell’input del lavoro (ΔL). Possiamo calcolare la variazione degli
output anche facendo la differenza tra F(L), ossia gli output (che supponiamo siano 10), e F(L-ΔL),
ossia gli output meno l’unità marginale di lavoro che supponiamo essere pari a 1. Dunque al
numeratore avremo 10-1=9 e poi dovremo dividere tale risultato per la variazione di lavoro (ΔL),
ossia 1. Quindi il prodotto marginale di lavoro sarà pari a 9/1=9.
Inoltre, da questa formula possiamo intuire come il prodotto marginale del lavoro non sia
nient'altro che la derivata della funzione di produzione rispetto a L. Supponiamo la seguente
funzione di produzione Q=10L, il prodotto marginale del lavoro sarà pari alla derivata rispetto a L,
ossia a 10.
Inoltre, per il prodotto marginale dobbiamo sapere che vale la legge dei rendimenti marginali
decrescenti, che afferma che il prodotto marginale di un input (MPl) ha la tendenza generale a
declinare man mano che il suo uso aumenta. Più aumentiamo l’utilizzo degli input minore sarà
l'aumento dell'output.
Ora consideriamo il rapporto (la relazione) tra il prodotto medio e il prodotto marginale. In
corrispondenza della terza riga (addetti pari a 2) il prodotto marginale (41) è maggiore del prodotto
medio (37), perché il prodotto medio è aumentato da 33 a 37 e, quindi, le unità marginali sono
aumentate. È grazie all'aumento delle unità marginali che il prodotto medio è aumentato da 33 a
37. Dopodiché in corrispondenza della quarta riga (3 addetti) il prodotto medio resta invariato, il
prodotto medio da 37 rimane sempre 37, di conseguenza possiamo affermare che il prodotto
marginale sarà pari al prodotto medio, ossia a 37. Infine, in corrispondenza dell'ultima riga il
prodotto medio diminuisce da 37 a 33, quindi sapremo anche che il prodotto marginale sarà
minore del prodotto medio, infatti il prodotto marginale è 21 mentre il prodotto medio è 33.
Dunque, possiamo concludere dicendo che in base alla variazione delle unità marginali possiamo
comprendere se il prodotto marginale sarà maggiore del prodotto medio, se sarà minore o se sarà
uguale (basati sul paragrafo prima, non tanto su questo).
Come sempre sull'asse delle X abbiamo l’input, ossia l'ammontare degli addetti al lavoro,
sull'asse delle Y avremo l'output. La curva blu rappresenta la funzione di produzione, che come
sappiamo è sempre positivamente inclinata. Supponendo di partire da un quantitativo di input L
pari a 10, consideriamo come ammontare di unità marginale ΔL', quindi ci spostiamo dal punto B
al punto A. L'output extra che noi otteniamo dal passaggio da L-ΔL' (9 input) a L (10 input), ossia
dagli input in corrispondenza del punto B agli input in corrispondenza del punto A, è pari a ΔQ',
ossia il passaggio da F(L-ΔL') a F(L). Il prodotto marginale è dunque il rapporto tra la variazione
degli output, ossia ΔQ', e la variazione degli input, ossia ΔL'. Questo rapporto rappresenta la
pendenza della retta che congiunge il punto B col punto A. Supponendo ora la variazione
ΔL" (invece che ΔL'), a cui corrisponde la variazione ΔQ", otterremo i punti C ed A. Il prodotto
marginale sarà pari al rapporto tra le due variazioni, ma tale prodotto marginale rappresenta anche
la pendenza della retta che passa da C ad A. Possiamo quindi affermare che il prodotto marginale
del lavoro corrisponde alla pendenza della retta tangente alla funzione di produzione.
Nel prodotto medio, le rette azzurre che passavano da un punto preso in considerazione
all’origine non erano tangenti alla funzione di produzione, mentre nel prodotto marginale, le rette
che passano dai due punti presi in considerazione sono tangenti alla funzione di produzione.
Quindi, possiamo concludere che il prodotto medio è pari alla pendenza della retta che congiunge
l’origine con il punto preso in considerazione; mentre il prodotto marginale corrisponde alla
pendenza della retta che congiunge i due punti presi in considerazione (ma tale retta non passa
per l'origine).
Consideriamo ora il secondo grafico (qui sotto), nello specifico vediamo ora come ottenere la
curva del prodotto marginale partendo dalla funzione di produzione. Ciò è possibile solo se l’input
è perfettamente divisibile.
La curva nera rappresenta la funzione di produzione dove sull'asse delle ascisse vi sarà come
sempre l’input mentre sull'asse delle ordinate l'output. Sappiamo che il prodotto marginale è la
pendenza della retta tangente alla funzione di produzione e sappiamo anche che il prodotto
marginale è uguale alla derivata prima della funzione di produzione secondo L (secondo il lavoro
come input). Dato un input pari a 10 il prodotto marginale corrisponderà alla pendenza della retta
tangente alla funzione di produzione in corrispondenza di quell'input. La retta tangente non passa
per l'origine, come invece accadeva per il prodotto medio. Nel momento in cui consideriamo un
input pari a 20, questa volta la retta tangente alla funzione di produzione passa per l’origine, ma
questo è un caso particolare. Nello specifico, quando si verifica questo caso significa che il
prodotto marginale è uguale al prodotto medio (perché come sappiamo il prodotto medio
corrisponde alla pendenza della retta passante per l’origine e per il punto preso in considerazione,
perciò se le due rette corrispondono vuol dire che il prodotto marginale è uguale al prodotto
medio). Le diverse pendenze che leggiamo dalla figura a) (1,0; 1,25; 0,25) noi non possiamo
calcolarle, perché non siamo a conoscenza dei due punti in cui la retta è tangente alla funzione di
produzione. Solo facendo il rapporto tra la variazione dell'output e la variazione dell’input in
corrispondenza di quei punti possiamo calcolare la pendenza della retta tangente e, dunque, il
prodotto marginale, ma in questo caso non abbiamo i dati. Come si calcola il prodotto marginale
lo abbiamo visto dal grafico precedente, ora ci interessa vedere una sua rappresentazione grafica.
Avremmo inoltre anche potuto calcolare il prodotto marginale se avessimo avuto la funzione di
produzione, facendo la sua derivata rispetto ad L.
Dopodiché, inserendo le pendenze delle rette tangenti alla funzione di produzione all'interno del
grafico di destra potremo vedere come viene rappresentata la curva del prodotto marginale, la
quale sull'asse delle X avrà gli input mentre sull'asse delle Y vi sarà il prodotto marginale.
Possiamo notare come all'aumentare degli input aumenta il prodotto marginale fino ad un
massimo, dopo tale massimo all'aumentare degli input il prodotto marginale non aumenta più, ma
comincia a decrescere.
Isoquanti
Un isoquanto identifica tutte le combinazioni di input (lavoro e capitale) che producono in
maniera efficiente un determinato quantitativo di output. Supponendo che l'output è pari a 20,
l’isoquanto ci dice tutte le combinazioni di lavoro e capitale tali che l'output sia pari a 20.
La famiglia di isoquanti di un'impresa consiste negli isoquanti corrispondenti a tutti i suoi possibili
livelli di output.
Proprietà degli isoquanti:
-gli isoquanti sono sottili.
-gli isoquanti hanno pendenza negativa.
-un isoquanto è il confine tra le combinazioni di input che producono di più e le combinazioni di
input che producono di meno rispetto al quantitativo di output che denota l'isoquanto in
questione.
-gli isoquanti per una stessa tecnologia non si incrociano mai.
-gli isoquanti di livello più alto sono più lontani dall'origine.
A)gli isoquanti non possono essere spessi, dunque gli isoquanti sono sottili. L'isoquanto non può
essere spesso perché il punto A dovrà essere preferito al punto B, non possono equivalersi, in
quanto nel punto A l’impresa otterrà più output e l’impresa preferirà sempre disporre di più
output, in base al principio della produttività dei fattori (questo concetto ricorda molto le curve di
indifferenza e il principio di non sazietà del consumatore). Di fronte ad una scelta che vede degli
output differenti l’impresa preferirà sempre la scelta che gli permette di conseguire più output.
B)gli isoquanti non curvano verso l'alto (gli isoquanti hanno pendenza negativa). Il grafico B non
rispetta questa proprietà, poiché l'isoquanto curva verso l'alto. Ciò non può accadere per lo
stesso principio di prima, per il principio della produttività dei fattori. A e B non possono stare
sullo stesso isoquanto, in quanto nel punto A si ha un quantitativo di output maggiore.
Ricordiamoci la definizione di isoquanto, l'isoquanto identifica tutte le combinazioni di input che
producono in maniera efficiente un determinato quantitativo di output, ma A ha un quantitativo di
output differente (maggiore) rispetto a B, di conseguenza non può stare sullo stesso isoquanto di
B.
C)gli isoquanti non possono incrociarsi. Nel grafico c) vediamo due isoquanti che si incrociano,
ma ciò non è possibile perché verrebbe sempre violato il principio della produttività dei fattori,
poiché se l'isoquanto in cui vi è A rappresenta la produzione di output pari a 80 e l'isoquanto in
cui vi è B rappresenta la produzione di output pari a 100, allora non può essere che il primo sia
più in alto del secondo, è il secondo che dovrebbe essere più in alto del primo. Ecco perché due
isoquanti non possono incrociarsi, altrimenti verrebbe violato il principio della produttiva dei
fattori, poiché un isoquanto relativo ad una quantità di output maggiore finirebbe per essere sotto
ad un isoquanto relativo ad una quantità di output minore.
D)gli isoquanti di livello più alto sono più lontani dall'origine. Mano a mano che ci si sposta verso
l'esterno più aumenta la quantità di output.
Il MRTS è pari alla pendenza dell’isoquanto dell’impresa (in valore assoluto) in corrispondenza di
questa combinazione di input (MRTS è la pendenza della retta che unisce i due punti
dell'isoquanto presi in considerazione. È la pendenza della retta tangente all’isoquanto nei due
punti presi in considerazione) (il saggio marginale di sostituzione del consumatore era pari alla
pendenza della retta tangente alla curva di indifferenza, qui è la stessa cosa solo che la curva di
indifferenza prende il nome di isoquanto).
Ora vediamolo graficamente:
L'isoquanto è rappresentato dalla curva blu e, come sappiamo, possiamo notare che è
negativamente inclinato. Sull'asse delle X vi è il lavoro, mentre sull'asse delle Y il capitale.
Supponiamo che vi sia una riduzione del lavoro (X) pari a 50 dal punto A al punto B. Di quanto
capitale in più io avrò bisogno per lasciare il mio output invariato? Il capitale (Y) in più che avrò
bisogno è pari alla differenza tra 1050 (il capitale in corrispondenza del punto C) e 1000 (il capitale
in corrispondenza del punto A), ovvero 50. Il saggio marginale di sostituzione tecnica è pari al
rapporto tra la variazione di lavoro (ΔX) e la variazione di capitale (ΔY), ossia -50/50=-1. A fronte di
una riduzione del lavoro pari a 50, l’impresa avrà bisogno di un aumento di capitale pari a 50 (è
una casualità che i due valori siano uguali). -1 oltre a rappresentare il risultato del MRTS,
rappresenta anche la pendenza della retta tangente all'isoquanto (curva blu) che unisce il punto A
ed il punto B.
Se poi noi riduciamo la variazione in termini di lavoro e quindi al posto di considerare la variazione
di lavoro dal punto A al punto B pari a 50, consideriamo la variazione di lavoro dal punto A al
punto C pari a 20, di quanto capitale in più ho bisogno per lasciare l'output invariato e dunque per
restare sullo stesso isoquanto? Calcolo il MRTS, che è pari al rapporto tra ΔY, che è pari a
1010-1000=10, e ΔX, che è pari a 20. Il MRTS sarà dunque pari a -1/2, perciò a seguito di una
riduzione di lavoro pari a 20, per lasciare l'output invariato, avrò bisogno di un aumento del
capitale pari a 10. Ne consegue poi che la pendenza della retta che congiunge il punto A col
punto C è uguale a -1/2.
Come sappiamo il saggio marginale di sostituzione tecnica è il rapporto tra due variazioni, nello
specifico tra la variazione del capitale e la variazione del lavoro. Sappiamo anche che le due
variazioni rappresentano il prodotto marginale, quindi possiamo concludere dicendo che il MRTS
è uguale al rapporto tra i due prodotti marginali.
Un isoquanto per un processo di produzione che usa due input, X e Y, ha un saggio marginale di
sostituzione tecnica decrescente se MRTS diminuisce man mano che ci spostiamo lungo
l'isoquanto aumentando l'input X (lavoro) e diminuendo l’input Y (capitale).
La curva blu come sappiamo è l'isoquanto. Il MRTS, ossia la pendenza in valore assoluto
dell'isoquanto in A è maggiore rispetto a quella in B e rispetto a quella in C. Ciò per dimostrare
che il saggio marginale di sostituzione tecnica è decrescente. È decrescente perché all'aumentare
del lavoro, il prodotto marginale del lavoro si riduce, ossia il numeratore si riduce. Inoltre a mano a
mano che ci spostiamo verso destra l'utilizzo di capitale si riduce e di conseguenza il prodotto
marginale del capitale aumenta e dunque aumenta il denominatore. Quindi se mano a mano che
ci spostiamo verso destra il numeratore si riduce e il denominatore aumenta vuol dire che il MRTS
decresce.
In questo caso abbiamo un isoquanto a L (è uguale al grafico dei complementi perfetti relativi alla
teoria del consumatore, l'esempio della scarpa sinistra con la scarpa destra). Supponiamo che
l’impresa utilizzi sodio e cloro per la produzione di sale, l’impresa deve combinare questi due
input in proporzioni fisse. In corrispondenza del punto A abbiamo il cloro pari a 1,54 e il sodio pari
a 1, quindi anche in questo caso come per i sostituti perfetti, non è detto che tra i due input vi sia
un rapporto di 1 a 1, ma in ogni caso i due input devono essere combinati in proporzioni fisse per
poter ottenere un certo quantitativo di sale (output). Perciò, supponendo di partire dal punto A, se
aumentiamo la quantità di cloro senza aumentare la quantità di sodio (punto B) non è possibile
produrre una quantità in più di sale. Stesso discorso per il punto C, se aumentiamo le quantità di
sodio senza aumentare quella di sale non è possibile aumentare l'output di una quantità. Dunque,
se aumentiamo solo uno dei due input, l'output resta invariato, mentre se aumentiamo entrambi
gli input in proporzioni fisse allora l'output aumenta. Ciò perché i due input sono complementari,
dunque aumentando solo uno dei due non è possibile aumentare la quantità di output, ma
aumentando uno e aumentando anche l'altro in proporzioni fisse allora è possibile produrre
un’unità in più di output, come possiamo vedere in corrispondenza del secondo isoquanto.
La retta tratteggiata che parte dall'origine rappresenta proprio la proporzione (fissa) in cui sodio e
cloro devono combinarsi (per poter aumentare l'output).
Funzione di produzione Cobb-Douglas
La funzione di produzione Cobb-Douglas è:
A è il parametro che misura il livello generale di produttività. Supponendo che esso sia vicino a 0,
indipendentemente dall'ammontare del capitale e del lavoro, l'output sarà molto basso. Se invece
A è elevato, anche con livelli bassi di lavoro e capitale, l'output comunque sarà elevato. Ecco
perché possiamo dire che A rappresenta il livello generale di produttività, proprio perché in base
all'ammontare di A dipende fortemente l'ammontare di Q, ossia dell'output.
Il saggio marginale di sostituzione tecnica è, come sappiamo, pari al rapporto tra i due prodotti
marginali e, come sappiamo, il prodotto marginale è pari alla derivata della funzione di
produzione. Dunque, il MRTS è pari al rapporto tra le due derivate della funzione di produzione
Cobb-Douglas (una rispetto al lavoro e l'altra rispetto al capitale). Quindi, dopo aver eseguito i vari
passaggi, otteniamo che MRTS è pari al rapporto tra alfa (il parametro che misura la produttività
del lavoro) e beta (il parametro che misura la produttività del capitale) per il rapporto tra il capitale
e il lavoro.
Nel momento in cui aumentiamo il lavoro, il rapporto K/L si riduce e di conseguenza il MRTS si
riduce, ecco perché possiamo affermare anche in questo caso che MRTS è decrescente (perché
all’aumentare di L MRTS diminuisce, così come al diminuire di K MRTS diminuisce, in sostanza
mano a mano che ci spostiamo verso destra il saggio marginale diminuisce).
Rendimenti di scala
Possiamo chiederci cosa succede alla quantità prodotta modificando la quantità utilizzata di tutti
gli input. In particolare, quando un’impresa varia la quantità utilizzata di tutti gli input nella stessa
proporzione si dice che cambia la scala di produzione, per esempio se si raddoppiano tutti gli
input la scala di produzione varierà. Ma quello che noi ora andremo ad analizzare è di quanto
varia la quantità prodotta, ossia gli output, nel caso in cui raddoppiamo tutti gli input, e quindi se
cambia la scala di produzione. Partendo dal principio della produttività dei fattori sappiamo che
se aumentiamo tutti gli input, allora l'output dovrà strettamente aumentare, ma ciò che interessa
capire a noi ora è di quanto aumenterà l'output. Più del doppio? Meno del doppio? Esattamente il
doppio?
Il tasso al quale la produzione aumenta quando l'impresa cambia la scala produttiva è definito
come livello dei rendimenti di scala. I livelli di rendimenti di scala possono essere crescenti,
decrescenti o costanti, a seconda di quanto l’output prodotto aumenti a seguito di un aumento di
tutti gli input.
Ora cominciamo a vedere i rendimenti di scala costanti. Si ha un rendimento di scala costante
quando una variazione proporzionale di tutti gli input dell'impresa produce la stessa variazione
proporzionale nell'output. Per esempio Q (2L, 2K) = 2Q (L, K). Questa equazione significa che se
raddoppiamo tutti gli input allora anche l’output raddoppierà (stessa variazione proporzionale).
Invece, si ha un rendimento di scala crescente quando una variazione proporzionale di tutti gli
input dell'impresa produce una variazione più che proporzionale nell'output. Dunque, se tutti gli
input vengono raddoppiati l'output aumenterà più del doppio—> Q (2L, 2K) > 2Q (L, K).
Infine, si ha un rendimento di scala decrescente quando una variazione proporzionale di tutti gli
input dell'impresa produce una variazione meno che proporzionale nell’output. Perciò se gli input
vengono raddoppiati, l'output aumenterà comunque (sempre e comunque, se aumento gli input
l'output aumenterà per forza, bisogna solo capire di quanto aumenta) meno del doppio—> Q (2L,
2K) < 2Q (L,K).
Prendiamo come esempio la seguente funzione di produzione di Cobb-Douglas e vediamo che
tipo di rendimento di scala ha:
Nel primo caso (se alfa+beta=1) al raddoppiare degli input, l'output raddoppia e, perciò, abbiamo
un rendimento di scala costante. Se, invece, la somma di alfa e beta è maggiore di 1 allora vi sarà
un rendimento di scala crescente ed, infine, se la loro somma è minore di 1 allora vi saranno dei
rendimenti di scala decrescenti.
Come sappiamo, sull'asse delle ascisse abbiamo il lavoro e sull'asse delle ordinate il capitale. Le
tre curve blu che vi sono per ogni grafico sono i tre possibili isoquanti.
Nel primo grafico abbiamo dei rendimenti di scala costanti. Supponiamo di partire da una quantità
di lavoro pari a 50 e da una quantità di capitale pari a 25. Se raddoppiamo sia il lavoro che il
capitale (L=100, K=50) ci troveremo su un isoquanto avente come output 200. Da ciò si evince
come il rendimento di scala in questo caso sia costante, in quanto abbiamo raddoppiato tutti e
due gli input e anche l'output è raddoppiato, è passato da un isoquanto pari a 100 ad un
isoquanto pari a 200. Supponendo poi che gli input raddoppino ulteriormente, l'output che
otterremo sarà sempre il doppio.
Ora vediamo il secondo grafico e vediamo come al raddoppiare di entrambi gli input otterremo un
isoquanto (output) che aumenterà più del doppio, infatti è passato da 100 a 250, perciò in tal caso
abbiamo un rendimento di scala crescente.
Infine, nell'ultimo grafico, se raddoppiamo il capitale e il lavoro otterremo un output che è sempre
aumentato, ma aumentato meno del doppio, l'output infatti aumenta da 100 a 150, ne consegue,
perciò, che siamo di fronte ad un rendimento di scala decrescente.
Nella maggior parte dei casi però non vi sarà uno schema così semplice. Nella realtà vi potranno
essere casi in cui per una determinata tecnologia per un certo intervallo degli input avrà un
rendimento crescente, mentre per un altro intervallo degli input si avranno dei rendimenti
decrescenti. In sostanza, non è detto che una tecnologia per ogni intervallo degli input abbia
sempre il medesimo rendimento di scala.
Rendimenti di scala crescenti (all'aumentare dell’input (L) aumenta il suo prodotto marginale)
possono essere dovuti a molteplici ragioni, quali la specializzazione degli input o leggi fisiche.
Invece, le ragioni alla base dei rendimenti di scala decrescenti sono più difficili da capire. Tuttavia,
una possibilità potrebbe essere che esistano input fissi che vengono trascurati nell'analisi, quali
ad esempio la capacità manageriale.
CAPITOLO 7: I COSTI
(SIAMO SEMPRE NELLA TEORIA DEL PRODUTTORE, ORMAI ABBIAMO ABBANDONATO LA
TEORIA DEL CONSUMATORE)
Tipi di costi
Il costo totale di un'impresa per produrre un particolare livello di output è rappresentato dalla
spesa necessaria per produrre quella quantità nel modo più economico. Il costo totale può essere
suddiviso in due tipi di costi: i costi variabili e i costi fissi.
I costi variabili sono quelli riferiti agli input (lavoro e capitale), sono quelli che variano al variare
dell'output dell'impresa.
I costi fissi sono i costi degli input il cui utilizzo non cambia al variare del livello di output di
un'impresa (per esempio la licenza di un tassista rappresenta il costo fisso. Il costo della licenza è
sempre lo stesso, indipendentemente dalle ore che lavora). Un costo fisso è evitabile se l’impresa
non deve sostenerlo, o comunque può recuperarlo, quando decide di non produrre alcun output
(per esempio il costo fisso per il tassista è evitabile se può rivendere la licenza quando vuole,
quando non vuole più lavorare). Un costo fisso è irrecuperabile quando deve essere sostenuto
anche in caso di mancata produzione (per esempio il costo della licenza è irrecuperabile se il
tassista non può rivenderla). Il fatto che il costo fisso sia più o meno irrecuperabile dipende anche
dal periodo in cui siamo, per esempio fino ad un determinato numero di anni la licenza non può
essere rivenduta, quindi è un costo irrecuperabile, ma dopo quel determinato periodo di anni può
essere venduta e dunque diventa un costo recuperabile/evitabile.
La funzione di costo
La funzione di costo totale ha la seguente forma—> Costo Totale = C (output).
La funzione di costo variabile—> Costo Variabile = VC (output)
La funzione di costo fisso—> FC (solo FC perché i costi fissi sono indipendenti dall'output).
La funzione di costo totale può essere anche scritta come—> C (output) = FC + VC (output)
I costi economici comprendono non solo le spese vive (ad esempio il costo per l'assunzione dei
lavoratori oppure il costo legato all’acquisizione dei materiali) ma altresì il costo opportunità,
ovvero il costo associato alla rinuncia all’opportunità di impiegare una risorsa nel suo miglior uso
alternativo. Il tempo impiegato da un imprenditore per gestire la propria impresa costituisce un
costo di produzione economico, e in particolar modo un costo opportunità, perché tale
imprenditore avrebbe potuto guadagnare facendo altro.
Il costo di utilizzo di un input di magazzino è pari al prezzo al quale l'impresa lo potrebbe vendere.
Il costo economico associato all'utilizzo del capitale di un'impresa è pari al prezzo di mercato per
il noleggio di tale capitale.
I costi economici quindi non includono soltanto i costi che l’impresa effettivamente sostiene ma
anche i cosiddetti costi opportunità.
Se il salario (costo variabile) è W = 15, allora la funzione di costo variabile è VC (Q) = 15 * Q/2.
VC (costo variabile), come sappiamo, dipende dalle quantità di output, ecco perché
moltiplichiamo il costo relativo al salario per l’output. Dunque, se l’impresa vuole produrre un’unità
di output, allora il costo variabile sarà 15/2, perché per produrre un’unità di output l’impresa ha
bisogno di mezza unità di input, ecco perché 15 viene moltiplicato per 1/2. Invece, se l’impresa
vuole produrre due unità di output, allora il costo variabile sarà 15, poiché per produrre due unità
di output l’impresa ha bisogno di un’unità di input (L=Q/2—>L=2/2=1), dunque 15 viene
moltiplicato per 1 (per 2/2).
Supponiamo ora che FC=100, allora la funzione di costo totale è C (Q) = 100 + 15/2 * Q
Il 15/2 * Q è il costo variabile che abbiamo calcolato nel paragrafo prima.
Abbiamo un’impresa che si occupa della produzione di panchine. Nel grafico a) abbiamo la
funzione di produzione, che mette in relazione l’input (asse X) con l'output prodotto (asse Y).
Supponiamo di considerare il punto A, dove in corrispondenza di un operaio l'output prodotto
sarà pari a circa 40. In corrispondenza di 2 operai l’impresa sarà in grado di produrre circa 80
panchine, e così via. Fin qui tutto normale, è il grafico della funzione di produzione che avevamo
già visto nel capitolo precedente. La novità è che sotto gli input abbiamo dei numeri, quei numeri
sono i costi variabili associati ad ogni unità di input, che come possiamo vedere aumentano
all'aumentare degli input (in realtà è più giusto dire che aumentano all'aumentare degli output). Se
l’impresa utilizza un operaio dovrà sostenere dei costi pari a 500, se l’impresa utilizza due operai il
costo sarà pari a 1000, se ne utilizza 4 il costo sarà pari a 2000, e così via.
Avendo queste informazioni possiamo rappresentare la curva dei costi variabili (grafico B). Per
rappresentare la curva dei costi variabili partendo dal grafico della funzione di produzione,
dobbiamo inserire le informazioni relative ai costi variabili sull'asse delle Y e dobbiamo inserire le
informazioni relative all’output sull'asse delle X, quindi possiamo dire che in qualche modo
ribaltiamo il grafico. Supponendo che l’impresa voglia produrre circa 40 panchine l’impresa dovrà
utilizzare un operaio e dovrà sostenere dei costi variabili pari a 500. In corrispondenza di un
output prodotto pari a 80 l’impresa avrà bisogno di due operai e questi le costeranno 1000, e così
via.
Una famiglia di rette di isocosto contiene (per ogni dato prezzo di input) le rette di isocosto per
tutti i possibili livelli di costo dell'impresa. Capisci che delle rette di isocosto appartengono alla
medesima famiglia quando esse hanno la stessa pendenza. La pendenza (in valore assoluto) della
retta di isocosto è uguale al rapporto costo di un’unità di lavoro/costo di un’unità di capitale (è
uguale al rapporto tra i prezzi degli input), ovvero è pari al rapporto W/R.
Nel grafico a) abbiamo la rappresentazione di una retta di isocosto, dove sull'asse delle X
abbiamo l'ammontare di lavoro e sull'asse delle Y abbiamo l'ammontare di capitale. In
corrispondenza del punto A, dove l’impresa utilizza due operai e 250 metri quadrati di spazio (K),
l'impresa dovrà sopportare un costo totale pari a 3500 euro, che è lo stesso costo che
sopporterebbe in corrispondenza del punto E e B, ossia in corrispondenza dei punti appartenenti
alla medesima retta di isocosto (ricordiamoci che la retta di isocosto è la combinazione di tutti gli
input aventi il medesimo costo totale). Per avere lo stesso costo totale a seguito di un aumento di
operai da 1 a 2 dovremo ridurre il capitale, che nello specifico passerà da 250 a 200. Se invece
aumentassimo sia il lavoro sia il capitale ci troveremmo ad affrontare un costo superiore, che
apparterrà ad un'altra retta di isocosto. La retta di isocosto dunque è sempre inclinata perché
all'aumentare dell'input sull'asse delle X dovremo diminuire l’input sull'asse delle Y. Ricordiamoci
inoltre che la pendenza della retta di isocosto è pari al rapporto tra i costi dei due fattori/input.
Nel grafico di destra vediamo raffigurata una famiglia di rette di isocosto, ossia delle rette di
isocosto con la medesima pendenza, parallele le une con le altre. Le diverse rette di isocosto
sono disegnate in corrispondenza degli stessi prezzi dei fattori, il prezzo dei fattori produttivi non
varia, ecco perché hanno la medesima pendenza (perché il rapporto tra i prezzi dei fattori è
uguale). Quello che varia tra le diverse rette di isocosto è l'ammontare del costo totale, più la retta
di isocosto si allontana dall’origine più aumenta il costo totale, perché maggiore è il costo totale
maggiore sarà l'ammontare di input che l’impresa potrà utilizzare e quindi più la retta si
allontanerà dall’origine.
Sull'asse delle X come sempre abbiamo il numero di operai (L) e sull'asse delle Y abbiamo i metri
quadrati di spazio (il capitale K). La curva negativamente inclinata di colore blu è un isoquanto in
corrispondenza di un output pari a 140. L’isoquanto rappresenta tutte le possibili combinazioni di
lavoro e capitale tale che l'output sia lo stesso. Vi è poi la retta di isocosto (quella nera) che
rappresenta un costo totale pari a 3500.
Il punto A è il punto in corrispondenza di 2 operai e 250 metri quadrati di spazi, tali che il costo
totale è pari a 3500 e l’output prodotto (in termini di panchine) risulta 140. Il punto A rappresenta
una combinazione ottimale per l’impresa? Se l'impresa vuole produrre un output pari a 140 deve
per forza sostenere un costo pari a 3500 o può sopportare anche un costo inferiore? L’impresa
potrà sopportare un costo inferiore e tale costo sarà in corrispondenza della retta di isocosto
tangente all’isoquanto, ossia la retta passante per il punto D. In questo caso l’impresa riuscirà
sempre ad ottenere un output pari a 140, ovvero riuscirà sempre a produrre 140 panchine, in
quanto la retta di isocosto si trova sul medesimo isoquanto (dunque l'output rimane invariato), ma
riuscirà anche a sostenere un costo totale inferiore, che è pari a 3000. Quindi il punto A e il punto
B non rappresentano la combinazione ottimale di input per l’impresa, la combinazione ottimale è
invece rappresentata dal punto D. Ciò perché nel punto A e nel punto B l’impresa ottiene sempre
un output pari a 140 ma deve sostenere dei costi totali pari a 3500, invece in corrispondenza del
punto D, ossia in corrispondenza di un ammontare di operai pari a 3 e un ammontare di metri
quadrati pari a 150, l’impresa riuscirà ad ottenere il medesimo output ma dovendo sopportare un
costo totale inferiore, pari a 3000.
Quanto appena detto ci aiuta a comprendere meglio la regola di non-sovrapposizione, secondo la
quale per trovare la combinazione ottimale dei fattori, l'area al di sotto della retta di isocosto non
può sovrapporsi all'area al di sopra dell’isoquanto. In corrispondenza della retta passante per il
punto D le due aree appena descritte non si sovrappongono, quindi la regola di non-
sovrapposizione viene rispettata, perciò per la retta di isocosto tangente al punto D l’impresa
ottiene la combinazione ottimale degli input/fattori. Possiamo dunque sintetizzare dicendo che la
regola di non-sovrapposizione implica una condizione di tangenza.
Le due rette di isocosto, ossia quella passante per il punto D e quella passante per i punti A e B,
appartengono alla medesima famiglia (lo capisci perché sono parallele), quindi sono state
disegnate per gli stessi prezzi dei fattori produttivi, ovvero fissando il costo del lavoro e del
capitale. Ciò che varia dalla prima alla seconda retta è l'ammontare del costo totale per il fatto
che variano i quantitativi di input utilizzati.
Soluzioni interne
(Questi sono concetti che abbiamo già visto quando abbiamo trattato la teoria del consumatore)
Una combinazione di input è definita scelta interna se utilizza ogni input almeno in parte (per
esempio nel grafico precedente in corrispondenza del punto D vi era una scelta interna perché
venivano utilizzati entrambi gli input). Invece, una combinazione ottimale dei fattori, che sia anche
una scelta interna, è detta soluzione interna (dunque il punto D oltre ad essere una scelta interna
è anche una soluzione interna. Invece, il punto A rappresenta una scelta interna ma non è una
soluzione interna). Una soluzione interna quindi soddisfa la condizione di tangenza tra la retta di
isocosto e l’isoquanto.
La condizione di tangenza può essere espressa come:
Soluzioni d'angolo
Quando la combinazione ottimale dei fattori esclude alcuni input (per esempio quando l’impresa
utilizza o solo il fattore lavoro o solo il fattore capitale), siamo in presenza di una soluzione
d'angolo.
Supponiamo di considerare due fattori H (lavoratori diplomati) e C (lavoratori laureati), in una
soluzione d'angolo dove C=0, quindi in una soluzione d'angolo dove l’impresa utilizza solo
lavoratori diplomati, in questo caso non è detto che la condizione di tangenza venga rispettata
(nella maggior parte dei casi il lato sinistro sarà maggiore del lato destro, non sarà uguale, non vi
sarà una condizione di tangenza).
Sull'asse delle X abbiamo i lavoratori diplomati H e sull'asse delle Y I lavoratori laureati C. Si tratta
di una soluzione d'angolo, perché la combinazione ottimale dei fattori assume solo lavoratori
laureati mentre i lavoratori diplomati rimangono invariati, rimangono esclusi. In questo caso la
curva di isoquanto è una retta (retta nera), non una curva perché, come abbiamo visto nei capitoli
precedenti, il caso dei lavoratori laureati e diplomati è un caso di sostituibilità perfetta.
Supponiamo in questo caso che vi sia un tasso di sostituibilità tra i due input 1 a 1 e che quindi la
pendenza della curva (retta) di isoquanto sia pari a 1 in valore assoluto (sarebbe -1). Ciò ci dice
che se l’impresa rinuncia ad un lavoratore diplomato ha bisogno esattamente di un lavoratore
laureato per produrre le stessa quantità di output.
Ora disegniamo le rette di isocosto. Per disegnarle ci serve sapere il costo del lavoro per i
lavoratori diplomati e il costo del lavoro per i lavoratori laureati. Supponendo che il salario dei
lavoratori diplomati (Wh) sia minore del salario dei lavoratori laureati (Wc) e che quindi il rapporto
Wh/Wc sia minore di 1 in valore assoluto (altrimenti sarebbe maggiore di -1), ciò vuol dire che le
nostre rette di isocosto saranno meno inclinate rispetto alla curva (retta) di isoquanto
(quest'ultima, come abbiamo detto prima, ha una pendenza pari a 1). Avendo disegnato una retta
di isocosto, quella grigio chiaro, ora come facciamo a determinare la combinazione ottimale dei
fattori? Vale lo stesso principio che abbiamo visto precedentemente. Dato l'ammontare di output
che vogliamo produrre dobbiamo trovare la retta di isocosto più bassa compatibile con
l'isoquanto. Scopriremo quindi che la retta di isocosto più bassa è quella grigia scuro che passa
per la curva di isoquanto nel punto A. Il punto A rappresenta la combinazione ottimale dei fattori
in cui C, ossia l'ammontare dei lavoratori laureati, è pari a 0 e l’impresa impiega soltanto lavoratori
diplomati (perché il costo dei lavoratori diplomati è minore di quello dei lavoratori laureati, ed essi
hanno il medesimo rendimento).
In questo caso quindi la pendenza della curva di isoquanto è maggiore della pendenza della retta
di isocosto (le due pendenze non sono uguali, come invece avveniva nel caso della soluzione
interna), o in altre parole il rapporto tra i due prodotti marginali è maggiore in valore assoluto del
rapporto tra i due costi del lavoro (tra i prezzi dei fattori produttivi) (il primo =1, il secondo >1 in
valore assoluto), proprio quello che abbiamo affermato prima, ora lo abbiamo confermato
andando ad analizzare il grafico. Questa cosa ha senso perché come detto prima siamo di fronte
ad una sostituibilità perfetta, di conseguenza l’impresa che deve scegliere quali fattori utilizzare,
sceglierà quelli che costano di meno, ossia i lavoratori diplomati, ecco spiegato perché ha senso
che l’ammontare dei lavoratori laureati è pari a 0. Per l’impresa i lavoratori laureati e i diplomati
forniscono la medesima produttività, perciò l’impresa sceglierà quelli che costano di meno,
ovvero i diplomati.
Esercizio:
Vediamolo graficamente:
Nel grafico di sinistra sull'asse delle ascisse abbiamo il lavoro L e sull'asse delle ordinate abbiamo
il capitale K. La curva di colore blu rappresenta proprio il sentiero di espansione del prodotto,
ossia la combinazione ottimale dei fattori per ogni possibile livello di quantità mantenendo fissi i
prezzi degli input (ma cambiando le quantità). La curva blu collega i punti D, E ed F. Analizziamo il
punto E, esso è il punto di tangenza della retta di isocosto con la curva di isoquanto, perciò il
punto E è la combinazione ottimale di lavoro e capitale per produrre un output pari a 200.
Consideriamo ora il punto D, esso è sempre il punto di tangenza della retta di isocosto con la
curva di isoquanto, perciò il punto D rappresenta sempre la combinazione ottimale dei fattori,
però stavolta per produrre un output pari a 100. Il punto F stessa cosa, ma per un output pari a
300, e così via. Quindi i punti che fanno parte del sentiero di espansione del prodotto
rappresentano la combinazione ottimale dei fattori per ogni possibile livello di output (100, 200,
300,...) mantenendo fissi i prezzi degli input (a variare sono le quantità).
Ora avendo ottenuto il sentiero di espansione del prodotto rappresentiamo la curva del costo
totale. La curva del costo totale avrà sull'asse delle ascisse l'output e sull'asse delle ordinate il
costo totale. In corrispondenza del punto D del grafico di sinistra, abbiamo un output prodotto
pari a 100 e un costo totale pari a 1250 euro. Ora trasferiamo questi dati nel grafico della curva
del costo totale. Così verrà fatto per tutti i punti e collegando tutti i punti otterremo alla fine la
curva del costo totale. È una curva crescente perché all'aumentare dell'output prodotto avrò
bisogno di più input e quindi il costo totale aumenterà.
Nel grafico a) la curva grigio chiaro è la curva del costo totale. Sull'asse delle ascisse abbiamo la
quantità di output, mentre sull'asse delle ordinate abbiamo il costo totale. In corrispondenza di un
output pari a 2000 abbiamo un costo totale di 18000. Il costo medio, ossia il rapporto tra C e Q, in
questo caso è pari a 9 (18000/2000) e rappresenta la pendenza della retta che congiunge l’origine
degli assi con il punto in questione (il punto dove l'output pari a 2000 si interseca con la funzione
di costo). Così per tutti i punti, per esempio in corrispondenza di un output pari a 6000 e di un
costo totale pari a 36000 il costo medio è pari a 6 (36000/6000), ovvero la pendenza della retta
che congiunge l'origine con il punto in questione è pari a 6, e così via per tutti gli altri punti.
Ora avendo ricavato il costo medio partendo dalla funzione di costo totale, possiamo
rappresentare graficamente la funzione di costo medio. Il grafico della curva del costo medio avrà
sull'asse delle ascisse l'output (proprio come il grafico della funzione di costo totale), mentre
sull'asse delle ordinate vi sarà proprio il costo medio, ossia la pendenza della retta che congiunge
l’origine con il punto preso in considerazione. Ora non ci resta che rappresentare nel grafico di
destra i punti che abbiamo trovato nel grafico di sinistra e congiungendo questi punti potremo
rappresentare graficamente la curva del costo medio.
Possiamo poi ricavare la scala di produzione efficiente, ossia il livello di output in corrispondenza
del quale il costo medio è minimo. Nel nostro caso avremo la scala di produzione efficiente per un
output pari a 6000. 6000 non deve essere necessariamente l'ammontare di output che l’impresa
dovrà produrre, ma ci dice solamente che se l’impresa producesse tale ammontare di output
allora il costo medio raggiungerebbe il valore più basso, ossia un costo medio pari a 6 in questo
caso.
(La curva di costo medio è quella grigio scura, mentre quella di costo marginale è quella grigio
chiara)
In corrispondenza di un output pari a 6000 la curva di costo medio e la curva di costo marginale
hanno pendenza nulla.
Quando il costo marginale sta sotto il costo medio allora le unità marginali riducono il costo medio
e quindi il costo medio è decrescente. Invece, quando il costo marginale sta sopra il costo medio
le unità marginali aumentano il costo medio e di conseguenza il costo medio è crescente. Nel
punto di intersezione tra il costo medio e il costo marginale il costo medio non cresce e non
decresce.
In conclusione, questa formula ci dice che in corrispondenza della condizione ottimale degli input,
allora il costo marginale dell’impresa sarà esattamente pari al prezzo di un input (W o R) diviso per
il relativo prodotto marginale.
Per comprendere quale è la relazione tra costo marginale e prodotto marginale partiamo dalla
combinazione ottimale degli input. La combinazione ottimale degli input ci viene data dalla
condizione di tangenza, la quale ci dice che il rapporto tra i due prodotti marginali deve essere
uguale al rapporto tra i due prezzi, ossia MPl/MPk = W/R. Manipolando questa condizione di
tangenza, possiamo riscriverla nel modo visto nell'immagine qui sopra. Questa uguaglianza finale
ci dice che il rapporto R/MPk rappresenta la spesa che l’impresa deve sostenere per produrre
un’unità di output in più utilizzando solamente quell'input, in questo caso solamente il capitale.
Stesso discorso per il lavoro, dove il rapporto W/MPl rappresenta la spesa che l’impresa deve
sostenere per produrre un’unità di output in più utilizzando solamente l’input lavoro.
La scala efficiente di produzione (Q con e), ossia l'output in corrispondenza del quale il costo
medio è minimo, è sempre maggiore del livello di output in corrispondenza del quale AVC (costo
medio variabile) è minimo (Q con e di VC).
Vediamolo graficamente:
Sull'asse delle ascisse abbiamo l’output mentre sull'asse delle ordinate abbiamo il costo. Vi sono
tre curve: la curva del costo medio (quella grigia), la curva del costo medio variabile (quella nera),
la curva del costo medio fisso (quella azzurra). In corrispondenza del punto minimo della curva del
costo medio (quella grigia) abbiamo la scala efficiente di produzione, ossia il livello di output tale
che il costo medio è minimo.
La curva del costo medio fisso (quella azzurra) è sempre decrescente perché mano a mano che
aumenta l’output diminuisce l'incidenza del costo fisso, che verrà quindi distribuito su più
quantità, perciò possiamo dire che il costo fisso medio diminuisce all'aumentare delle quantità di
output, perché il costo fisso viene distribuito su più quantità. In altre parole, è sempre decrescente
perché il numeratore, ovvero il costo fisso, non varia, mentre il denominatore, ovvero Q, varia e
dunque se aumenta il denominatore il costo fisso medio si riduce.
La curva del costo medio variabile (quella nera), analogamente alla curva del costo medio,
raggiunge un minimo. Ora dobbiamo capire perché la scala efficiente di produzione (indicato
come "Q con e" nel grafico), ossia l'output in corrispondenza del quale il costo medio è minimo, è
sempre maggiore del livello di output in corrispondenza del quale il costo medio variabile è
minimo (Q con e di VC). Se in corrispondenza del punto minimo della curva del costo medio
variabile variamo in maniera infinitesimale l'output prodotto, il costo medio variabile non varia,
mentre il costo medio fisso si ridurrà perché è una funzione strettamente decrescente. Cosa
succederà allora al costo medio, ricordandoci che è la somma tra il costo medio variabile e il
costo medio fisso? Si ridurrà, perché se si riduce il costo medio fisso e il costo medio variabile
rimane invariato, allora il costo medio diminuirà. Ed è ciò che vediamo dal grafico, se noi variamo
in maniera infinitesimale dal punto minimo della curva del costo medio variabile, il costo medio
diminuirà. Per comprendere ancora meglio questo concetto, supponiamo per assurdo che il punto
minimo della curva del costo variabile si trovi a destra rispetto al punto in corrispondenza della
scala efficiente di produzione e supponiamo di variare in maniera infinitesimale l'output prodotto,
il costo medio variabile non varierebbe, mentre il costo medio fisso diminuirebbe (perché come
sappiamo è strettamente decrescente). Ciò dovrebbe avere come conseguenza una riduzione del
costo medio fisso, ma in questo caso non si riduce, anzi aumenta. Perciò abbiamo dimostrato
perché il punto minimo della curva del costo variabile deve sempre essere minore rispetto al
punto in corrispondenza della scala efficiente di produzione, perché altrimenti a seguito di una
riduzione del costo fisso e a seguito di un costo medio variabile invariato, il costo medio
aumenterebbe, ma ciò non è chiaramente possibile visto che il costo medio fisso è diminuito e il
costo medio variabile è rimasto invariato, dunque il costo medio dovrebbe ridursi non aumentare.
Nel grafico precedente abbiamo visto la relazione tra costo medio, costo medio variabile e costo
medio fisso, ora invece vediamo la relazione tra costo medio, costo medio variabile e costo
marginale (in pratica sostituiamo il costo medio fisso con il costo marginale).
Come sappiamo, se il costo marginale sta sotto il costo medio allora il costo medio si riduce,
mentre se il costo marginale sta sopra il costo medio allora il costo medio cresce. L'intersezione
tra il costo medio e il costo marginale avviene in corrispondenza della scala efficiente di
produzione, ossia in corrispondenza del costo medio minimo. Analoga relazione vale tra il costo
marginale e il costo medio variabile, infatti se il costo marginale sta al di sotto del costo medio
variabile allora il costo medio variabile decresce, mentre se il costo marginale si trova al di sopra
del costo medio variabile allora quest’ultimo cresce. L'intersezione tra il costo medio variabile e il
costo marginale avviene in corrispondenza del costo medio variabile minimo.
Sostanzialmente con questo grafico vogliamo dire che la relazione esistente tra il costo medio e il
costo marginale è uguale alla relazione esistente tra il costo medio variabile e il costo marginale.
Sull'asse delle ascisse abbiamo l'input lavoro mentre sull'asse delle ordinate abbiamo l'input
capitale. La curva di colore nero rappresenta l’isoquanto, in corrispondenza del quale l'output
prodotto è pari a 10. Nel punto A abbiamo una combinazione ottimale dei due input, perciò per il
punto A passa la retta di isocosto tangente alla curva di isoquanto. Come varia la pendenza della
retta di isocosto, che è il rapporto tra i due prezzi (L/K o meglio W/R (input sull'asse delle X/input
sull'asse delle Y)), all'aumentare del costo del capitale? Si riduce in valore assoluto, diventa quindi
meno inclinata (specifichiamo in valore assoluto perché la pendenza della retta sarebbe negativa).
Dato che la retta di isocosto diventa meno inclinata, come cambia la combinazione ottimale (ossia
il punto di tangenza tra la curva di isoquanto e la retta di isocosto)? Se la pendenza della retta di
isocosto si è ridotta e quindi è meno inclinata ci sposteremo verso destra rispetto al punto iniziale
A, perché il nostro isoquanto ha una pendenza che si riduce (in valore assoluto) all’aumentare del
lavoro. Dunque, in corrispondenza del punto B, l’impresa utilizza più lavoro ma meno capitale. Ciò
per dimostrare che all'aumentare del prezzo dell'input capitale si ridurrà la quantità utilizzata
dell'input capitale, mentre aumenterà la quantità utilizzata dell'input lavoro. Questo concetto è
banale e intuitivo però noi ora lo abbiamo dimostrato anche attraverso il grafico, oltre che con la
logica.
Nel grafico seguente proviamo a spiegare perché la curva del costo medio di lungo periodo è
l'inviluppo più basso delle curve di costo medio di breve periodo (perché la curva del costo medio
di lungo periodo contiene le curve di costo medio di breve periodo). Quindi, in questo caso invece
di parlare di costo totale parleremo di costo medio. Supponendo un output pari a 40 la curva di
costo medio di lungo periodo è rappresentata dalla curva blu scuro (AClr), mentre la curva di
costo medio di breve periodo è la curva azzurra ACsr40. Quest'ultima è sempre più in alto rispetto
alla curva di costo medio di lungo periodo, tranne che per un output pari a 40, dove le due curve
sono uguali, ovvero dove il costo medio di lungo periodo è uguale al costo medio di breve
periodo. Quindi possiamo affermare che la curva di lungo periodo contiene la curva di breve
periodo. Stesso discorso per tutte le altre curve di costo medio di breve periodo, le quali sono
sempre più in alto rispetto alla curva di lungo periodo, tranne che per delle specifiche quantità di
output dove le due curve sono uguali e quindi il costo medio di breve periodo equivale al costo
medio di lungo periodo.
Consideriamo il grafico di sinistra, dove sull'asse delle ascisse abbiamo il lavoro mentre sull'asse
delle ordinate abbiamo il capitale. Supponiamo il caso di rendimenti di scala crescenti. Partiamo
dal punto A, in corrispondenza di un output pari a 100, e supponiamo che la nostra impresa voglia
raddoppiare l’output, quindi l’output passerà da 100 a 200. Se la nostra impresa esibisce
rendimenti di scala crescenti significa che se l’impresa raddoppia l’output passerà da una
combinazione dei fattori pari a A ad una combinazione di fattori pari a C, dove C si trova sotto a
2A, ossia il punto in corrispondenza del quale l’impresa raddoppia sia il lavoro che il capitale.
Dunque se l’impresa esibisce rendimenti di scala crescenti l’impresa ridurrà il costo medio, perché
a seguito di aumento dell’output il costo totale per gli input aumenterà, ma meno del doppio. Il
punto C non è la combinazione ottimale dei fattori per l’impresa, la quale invece si trova in
corrispondenza del punto B. Perciò un’impresa che ha una tecnologia con rendimenti di scala
crescenti esibisce economie di scala, poiché all'aumentare dell’output, il costo totale per gli input
(lavoro e capitale) aumenta ma in maniera meno che proporzionale, quindi il costo medio si
riduce.
Il ragionamento opposto si può fare nel caso di rendimenti di scala decrescenti, che vediamo nel
grafico a destra. In corrispondenza del punto B l’impresa ha un output pari a 200, supponiamo
che l’impresa voglia invece che raddoppiare dimezzare l’output. In presenza di rendimenti di scala
decrescenti, se l’impresa vuole mantenere la stessa proporzione di capitale e lavoro si sposterà
dal punto B al punto D. Il punto D sta sotto B/2, ossia sta sotto il punto in cui la nostra impresa
utilizza metà lavoro e metà capitale, cioè sta sotto il punto in cui la nostra impresa dimezza il
costo totale. Ciò vuol dire che il costo medio dell’impresa si ridurrà, perché a seguito di un
dimezzamento dell'output i fattori produttivi sono più che dimezzati (è il ragionamento inverso, è il
contrario di dire che—> in caso di rendimenti di scala decrescenti, all'aumentare dell’output il
costo totale aumenta in maniera più che proporzionale, di conseguenza il costo medio aumenta.
Però se invece che raddoppiare dimezziamo l'output allora, sempre nel caso di rendimenti di
scala decrescenti, il costo medio non aumenterà ma si dimezzerà (proprio come avviene quando
si raddoppiano gli output in un'economia di scala. Per completare il discorso, quando dimezziamo
l’output in un'economia di scala, il costo medio aumenterà))(CAPITO). In altre parole, un'impresa
che esibisce una tecnologia con rendimenti di scala decrescenti ha diseconomie di scala, ovvero
ciò vuol dire che al diminuire dell‘output, il costo totale per gli input diminuisce in maniera più che
proporzionale, di conseguenza il costo medio diminuisce.
La stessa impresa, a secondo dell'ammontare di output prodotto, potrebbe avere rendimenti di
scala crescenti o decrescenti. Quindi non è vero che l’impresa avrà sempre o un'economia di
scala crescente o un'economia di scala decrescente, dipende dall'ammontare dell'output. Infatti
come sappiamo la funzione del costo medio prima decresce, quindi prima esibisce economie di
scala, e poi il costo medio cresce e dunque esibirà diseconomie di scala.
Vediamo un esempio di curva di domanda inversa, ovvero la curva che mette in relazione il prezzo
(asse Y) con l'output (asse X):
Come possiamo vedere la funzione è negativamente inclinata e, nello specifico, ci dice in
corrispondenza di ogni quantitativo di output quale è il prezzo che deve essere applicato.
Nella figura seguente, nel grafico di sinistra abbiamo il caso di un output indivisibile, mentre nel
grafico di destra abbiamo il caso di un output perfettamente divisibile, il che implica che le
funzioni di costo e di ricavo sono continue. Partendo dal grafico di sinistra, i punti blu
rappresentano i ricavi in corrispondenza di ogni dato ammontare di output, per esempio se
l’impresa produce 10 panchine otterrà un ricavo pari a 2000, se ne produce 20 otterrà un ricavo di
4000, e così via. Stesso discorso per i costi, che sono rappresentati dai punti grigi, in
corrispondenza di un output pari a 10 panchine i costi saranno molto bassi, se l’impresa produce
40 panchine i costi saranno 2000, e così via. Vi sono dei puntini al posto della curva proprio
perché l’output (le panchine) è indivisibile, in questo caso l’impresa può produrre solamente in
lotti da 10. Ora come facciamo a massimizzare il profitto, avendo le funzioni dei costi e dei ricavi?
Innanzitutto, come sappiamo, il profitto è dato dalla differenza tra i ricavi e i costi. Se vogliamo
massimizzare il profitto, se vogliamo la quantità di output in corrispondenza della quale il profitto è
massimo, dobbiamo scegliere l'output in corrispondenza del quale abbiamo la massima distanza
verticale tra il puntino dei ricavi e il puntino dei costi. La massima distanza verticale tra ricavi e
costi si ha in corrispondenza di un output pari a 50. La differenza tra il ricavo e il costo in
corrispondenza di quel quantitativo di output è pari a 5000, che rappresenta appunto il profitto
massimo.
Stesso discorso possiamo applicarlo al grafico di destra, l’unica differenza è che in questo caso
l’output è perfettamente divisibile, di conseguenza al posto di avere dei puntini avremo delle curve
continue. Anche qui il profitto è massimizzato in corrispondenza di un output pari a 50, che dà
sempre come risultato il profitto massimo possibile pari a 5000.
Ricavo marginale
Il ricavo marginale (marginal revenue) di un’impresa è pari al ricavo aggiuntivo che l’impresa
ottiene dalle unità marginali che vende, misurate su base unitaria. In altre parole, il ricavo
marginale è l'extra ricavo che la nostra impresa ottiene variando in maniera infinitesimale l'output.
Il ricavo marginale è dunque pari al rapporto tra la variazione dei ricavi (ΔR) e la variazione degli
output (ΔQ).
Facciamo un esempio pratico: il ricavo marginale è il ricavo in più che ottengo passando da 9 a
10 unità.
L'effetto di espansione del prodotto si ha quando l’impresa espande le proprie vendite da Q-ΔQ
a Q (per esempio l’impresa decide di espandere le proprie vendite da 9 a 10) e guadagna P(Q) *
ΔQ. Se la nostra impresa decide di passare da 9 a 10 unità guadagnerà qualcosa in più derivante
dal fatto che sta vendendo un’unità in più, e questo qualcosa in più che guadagnerà è uguale al
prodotto tra questa unità in più (ΔQ) e il prezzo (P(Q)). Il guadagno derivante dalla vendita di
un’unità in più è quindi uguale a P(Q) * ΔQ. È tutto molto logico.
Nel momento in cui la nostra impresa decide di vendere un’unità in più di output, cosa succede al
prezzo? Diminuisce (lo si può capire anche soltanto guardando la curva di domanda inversa, dove
si può vedere come all'aumentare dell’output il prezzo diminuisce, o più facile da capire, al ridursi
del prezzo l’output aumenta). Ecco quindi che vi è un secondo effetto, che prende appunto il
nome di effetto di riduzione del prezzo.
L'effetto di riduzione del prezzo si ha quando per incrementare le unità vendute, il loro prezzo
deve diminuire da P (Q-ΔQ) (dal prezzo in corrispondenza di 9 unità) a P(Q) (al prezzo in
corrispondenza di 10 unità), il che comporta una riduzione del ricavo dalle unità inframarginali Q -
ΔQ (10-1=9). Per incrementare le unità vendute la nostra impresa dovrà ridurre il prezzo e questo
comporterà una riduzione del ricavo sulle cosiddette unità inframarginali, ossia tutte quelle unità
che non sono marginali (per esempio supponendo il passaggio dalle 9 alle 10 unità, le unità
inframarginali sono tutte le unità fino a 9). L’idea è che nel momento in cui l’impresa decide di
aumentare l’output di un’unità, da una parte si ha un aumento del ricavo dovuto al fatto che
vende un’unità in più, come abbiamo visto nell'effetto di espansione del prodotto, ma dall'altra
parte nel momento in cui aumenta la quantità venduta l'impresa dovrà ridurre il prezzo e il prezzo
lo riduce su tutte le unità, anche quelle inframarginali, cioè anche su tutte le altre (su tutte le unità,
sulle unità da 0 fino a 9) e ciò comporta quindi una riduzione del ricavo.
Questi due effetti vanno uno in direzione opposta all'altro.
Nel grafico a destra vi è una domanda negativamente inclinata e l’impresa decide di aumentare
l’output, che passa da Q-ΔQ a Q, in pratica supponiamo passi da 9 a 10. Quale è il ricavo
marginale che ottiene per il passaggio da un’unità di output pari a 9 a un’unità di output pari a 10,
ossia quale è l'extra ricavo? In questa figura il ricavo marginale, ossia il ricavo aggiuntivo ottenuto
dal passaggio da 9 a 10 unità, è rappresentato dall'area azzurra. Questo è per quanto riguarda il
primo effetto, ossia l'effetto di espansione del prodotto.
Ora vediamo il secondo effetto, che sarà rappresentato dall'area grigia del grafico, ossia l'effetto
di una riduzione del prezzo. Se l’impresa decide di passare da 9 a 10 unità, o in altre parole, se
l’impresa decide di aumentare l'output di un’unità, l’impresa deve ridurre il prezzo da P(Q-ΔQ) a
P(Q), ossia dal prezzo in corrispondenza a 9 unità al prezzo in corrispondenza di 10 unità. Questa
riduzione di prezzo si applica su tutte le unità inframarginali, ossia su tutte le unità da 0 a 9
(questo effetto non si applica però su ΔQ, ossia su 10, perché ΔQ è l’unità aggiuntiva quindi non
la teniamo in considerazione. Devi vederla come se le unità inframarginali, ossia tutte le unità fino
a 9, subiscono l'effetto di riduzione del prezzo, mentre l'unità extra, ovvero ΔQ, subirà l'effetto di
espansione del prodotto).
Abbiamo quindi visto come vengono rappresentati graficamente i due effetti.
Ora vediamo il grafico di sinistra, dove stiamo supponendo che vi sia una funzione di domanda
non decrescente, ma orizzontale. Se la curva di domanda inversa è orizzontale significa
semplicemente che il prezzo è costante, non varia al variare dell'output. La nostra impresa è
talmente piccola che indipendentemente dall'output che produce non è in grado di influenzare il
prezzo, ecco perché il prezzo è una costante. Ne consegue che in questo caso non abbiamo
nessun effetto di riduzione del prezzo (area grigia), ma avremo solamente l'effetto di espansione
del prodotto. Il ricavo marginale sarà pari semplicemente al prezzo, perché se supponiamo che la
nostra impresa decida di vendere un’unità in più il ricavo marginale, ossia il ricavo aggiuntivo che
ottiene dalla vendita di un’unità in più di output, è sempre il prezzo visto che quest'ultimo non
varia. Qualsiasi ΔQ noi consideriamo, quindi anche se consideriamo una variazione di 2 unità ad
esempio, avremo sempre il ricavo marginale pari al prezzo.
In conclusione, per le imprese price-taker, ossia le imprese che presentano una curva di
domanda orizzontale, il ricavo marginale è uguale al prezzo e perciò avremo solo l'effetto di
espansione del prodotto. Invece, quando la curva di domanda è decrescente oltre all'effetto di
espansione del prodotto avremo anche l'effetto di riduzione del prezzo, quindi il ricavo marginale
sarà minore rispetto al prezzo, poiché i due effetti vanno in direzioni opposte.
In questo grafico vediamo la relazione esistente tra il ricavo marginale e la curva di domanda. Se
la curva di domanda è orizzontale (impresa price-taker, ossia impresa che non è in grado di
influenzare il prezzo) il ricavo marginale coincide con il prezzo (vi è solo l'effetto di espansione del
prodotto). Invece nel caso di una curva di domanda inversa negativamente inclinata esistono
entrambi gli effetti, perciò in questo caso il ricavo marginale sarà minore rispetto al prezzo (nello
specifico la pendenza della retta del ricavo marginale sarà la metà della pendenza della retta della
domanda), infatti, come possiamo vedere dal grafico di destra, la curva blu del ricavo marginale
sta sotto la curva nera di domanda inversa. Le due curve sono uguali/corrispondono solo nel caso
di un output pari a zero, perché in tal caso non esistono unità inframarginali, di conseguenza in
corrispondenza di un output pari a zero avremo solo l'effetto di espansione del prodotto e quindi,
in tal caso, il ricavo marginale è uguale al prezzo, proprio come abbiamo visto nel grafico di
sinistra.
In conclusione:
Quando la domanda è orizzontale (ossia quando l'impresa è price-taker), è presente solo l'effetto
di espansione del prodotto e ne consegue che il ricavo marginale è uguale al prezzo. Questo è il
caso di un’impresa price-taker, ovvero un'impresa operante in un mercato perfettamente
concorrenziale, che può vendere quanto vuole ad un dato prezzo, ma nulla ad un prezzo più alto.
Quando, invece, la domanda è decrescente, sono presenti sia l'effetto di espansione del prodotto
sia l'effetto di riduzione del prezzo, ne consegue che il ricavo marginale è minore del prezzo.
Vediamo ora un esempio numerico per comprendere ancora meglio il concetto di ricavo
marginale:
Regola della quantità nel caso di un’impresa price-taker—> bisogna identificare le quantità di
prodotto positive tali che P = MC. Se più di una quantità di prodotto soddisfa tale condizione,
determinare qual è la migliore (quale produce il profitto maggiore).
Regola di cessazione dell’attività nel caso di un'impresa price-taker—> (resta invariata rispetto a
quanto abbiamo già visto) verificare se la quantità di prodotto positiva più profittevole porti ad un
maggiore profitto rispetto alla scelta di chiudere l’impresa. Se sì, quella è la scelta che massimizza
il profitto. Se no, non vendere nulla è l'opzione migliore. Se sono uguali, entrambe le scelte
massimizzano il profitto.
Nel grafico di sinistra possiamo vedere graficamente la regola della quantità, che ci dice che
l'ammontare di output prodotto è tale che il prezzo è uguale al costo marginale. Ricordiamoci
inoltre che siamo nel caso di un’impresa price-taker, dunque la curva di domanda è orizzontale e il
ricavo marginale è uguale al prezzo, perciò la curva del ricavo marginale coincide con la domanda
(curva blu). In base alla regola della quantità il prezzo deve essere uguale al costo marginale, di
conseguenza il punto di incontro tra la curva di costo marginale e la curva di domanda (prezzo)
determina la quantità prodotta e venduta dalla nostra impresa.
Nel grafico di destra, invece, possiamo vedere la regola di cessazione dell’attività. Abbiamo come
prima sull'asse delle X la quantità e sull'asse delle Y il prezzo, abbiamo sempre la curva di
domanda orizzontale, che coincide con il ricavo marginale (proprio perché è un’impresa price-
taker), abbiamo sempre la curva del costo marginale (grigio scuro) e in più abbiamo anche la
curva del costo medio (curva grigio chiaro). La curva del costo marginale interseca la curva del
costo medio nel punto di minimo di quest'ultimo, tale punto di intersezione rappresenta, come
sappiamo, la scala efficiente di produzione. Il profitto dell’impresa è dato dai ricavi meno i costi. I
ricavi sono dati dal prodotto tra il prezzo e la quantità. La quantità, come prima, è data dal punto
di incontro tra il costo marginale e la retta di domanda. Tutta l’area al di sotto della curva di
domanda e a sinistra della quantità rappresenta l'area dei ricavi totali. Ora dobbiamo trovare i
costi totali, che sono il prodotto tra il costo medio e la quantità. I costi totali sono dati dall'area
sottostante l'area evidenziata in blu nel grafico e l'area a sinistra della quantità. La differenza tra le
due aree è proprio l'area di colore azzurro, che rappresenta il profitto dell’impresa. Il profitto è
positivo, di conseguenza l'impresa vorrà produrre. È dunque questo il primo modo per vedere che
all’impresa converrà produrre una quantità positiva. Esistono però altri modi, uno di questi è
quello visto relativamente alla regola di cessazione dell’attività in assenza di costi irrecuperabili,
nello specifico se P > AC. Il prezzo, che si trova in corrispondenza della curva di domanda, è
maggiore del costo medio minimo, quindi la nostra impresa vorrà produrre, infatti il profitto è
positivo. Esiste poi un terzo metodo che consiste nel confrontare il prezzo in corrispondenza del
livello di produzione con il costo medio sempre in corrispondenza del livello di produzione. Anche
qui si può evincere come il prezzo sia maggiore del costo medio, di conseguenza l’impresa vorrà
produrre.
Di tutti questi tre criteri quello più importante è il confronto tra il prezzo e il costo medio minimo (il
secondo metodo che abbiamo visto, che però può essere utilizzato soltanto in assenza di costi
fissi irrecuperabili). Dunque riassumendo, possiamo affermare che l’impresa preferisce produrre in
quanto il profitto è positivo ed effettivamente in questo caso il prezzo è maggiore del costo medio
minimo. Infatti, quando il prezzo è maggiore del costo medio minimo, l'impresa è in grado di
produrre una quantità tale che il suo profitto sarà positivo.
Nel secondo caso se l'impresa non produce, il profitto è pari a zero, perché l'impresa non vende
nulla e riesce così ad evitare il costo fisso evitabile. Se invece l’impresa produce dovrà tenere in
considerazione il costo fisso evitabile, che è maggiore dei ricavi, di conseguenza l’impresa
avrebbe una perdita, perciò all’impresa conviene cessare l’attività in modo tale da avere un
profitto pari a zero e non incombere in una perdita.
Nel grafico a sinistra la scala efficiente di produzione (punto minimo del costo medio) è in
corrispondenza di una quantità pari a zero, mentre nel grafico a destra la scala efficiente di
produzione è positiva. Nel primo caso si ha un costo marginale sempre maggiore del costo medio
(curva blu supera curva nera). Come sappiamo l’impresa vuole produrre finché il prezzo è
maggiore del costo medio minimo, quindi per tutti i valori di prezzo superiori al costo medio
minimo la nostra impresa vuole produrre, mentre per tutti i valori di prezzo inferiori rispetto al
costo medio minimo l’impresa non vuole produrre. Ciò vuol dire che per valori di prezzo inferiori
rispetto al costo medio minimo l'offerta è nulla (l’impresa non vuole produrre), mentre per valori di
prezzo maggiori rispetto al costo medio minimo allora l'offerta è positiva (l’impresa vuole
produrre). Supponiamo che il prezzo sia pari a P', noi sappiamo che il prezzo deve essere uguale
al costo marginale, ciò vuol dire che la quantità offerta dall’impresa sarà in corrispondenza del
costo marginale. Quindi, come abbiamo visto precedentemente, se il prezzo è maggiore del costo
medio minimo, allora la curva di offerta coinciderà con la curva di costo marginale. La curva di
offerta coincide con la curva di costo marginale perché per tutti i valori di prezzo maggiori del
costo medio minimo l’impresa produrrà e nello specifico produrrà una quantità tale che il prezzo è
uguale al costo marginale. In corrispondenza di P' la quantità offerta sarà pari a S(P'), che si trova
proprio In corrispondenza della curva di costo marginale.
Vediamo ora il grafico di destra e vediamo cosa succede quando la scala efficiente di produzione
non è nulla ma positiva. Il costo marginale interseca il costo medio nel suo punto minimo e tale
punto corrisponde proprio alla scala efficiente di produzione. Vale sempre la regola secondo la
quale l’impresa vuole produrre quando il prezzo è maggiore del costo medio minimo. Perciò, per
valori di prezzo minori del costo medio minimo non avremo alcuna produzione, non avremo
alcuna offerta, la curva di offerta sarà nulla. Invece, per tutti i valori di prezzo maggiori del costo
medio minimo, il prezzo sarà uguale al costo marginale, di conseguenza la curva di offerta
coinciderà con il costo marginale. Per esempio quando il prezzo è pari a P' l’offerta sarà pari a
S(P'), ovvero l'offerta coinciderà con il costo marginale. Dunque, la curva di offerta si compone di
due parti slegate tra di loro. Nello specifico, per valori di prezzo minori del costo medio minimo la
quantità offerta sarà nulla, mentre per valori di prezzo maggiori del costo medio minimo la curva
di offerta coincide con la curva del costo marginale.
curva di offerta sarà nulla o meno. Come sappiamo il costo medio minimo è il punto in cui la curva
del costo marginale interseca la curva del costo medio, perciò per trovare il costo medio minimo
dovremo fare l'uguaglianza tra il costo medio e il costo marginale (dovremo porre il costo medio
uguale al costo marginale, e così troviamo il costo medio minimo, ossia il punto in corrispondenza
della scala efficiente di produzione) e poi il valore che otteniamo lo sostituiamo nella funzione del
costo medio (costo medio minimo = 10). Sappiamo poi che il costo marginale è uguale al prezzo,
quindi una volta ottenuto il prezzo lo confrontiamo con il costo medio minimo e possiamo così
comprendere a quali condizioni la quantità offerta sarà nulla e a quali condizioni non lo sarà. Nello
specifico, se il prezzo è minore del costo medio minimo allora la quantità offerta sarà nulla, mentre
se è maggiore allora la quantità offerta sarà pari a P/2 (P/2 è la quantità offerta in corrispondenza
di un prezzo uguale al costo marginale).
Per trovare il ricavo, ossia P^2/100, abbiamo fatto P*Q, ovvero P * P/100. Dovremo poi
confrontare tale ricavo con il costo evitabile, che è pari a 50 * Q^2. Sapendo che Q=P/100, lo
sostituiamo nella funzione di costo di breve periodo e otteniamo che il costo evitabile è uguale a
50*(P/100)^2. Siccome il ricavo è maggiore del costo evitabile, l’impresa produce per ogni livello
di prezzo. Ne consegue che l’offerta di breve periodo è data da P/100 (la quantità trovata
eguagliando il prezzo per il costo marginale).
Se il prezzo è minore di 1000 (costo marginale) allora l’offerta sarà pari a zero, nello specifico se il
prezzo è minore di 1000 il beneficio marginale che l’impresa ottiene dalla vendita di un’unità in più
(ossia il prezzo) è inferiore rispetto al costo marginale (il costo che l’impresa deve sopportare per
la produzione di quell’unità marginale in più). Se, invece, il prezzo è maggiore di 1000 (costo
marginale), qualsiasi unità l’impresa produca, il beneficio che l’impresa ottiene dalla vendita di
un’unità aggiuntiva (il prezzo) è maggiore rispetto al costo marginale (1000). Se l’impresa ha una
capacità produttiva infinita allora l'offerta sarà infinita, perché qualsiasi ammontare prodotto noi
consideriamo l’impresa vorrà sempre aumentarlo di un’unità. Infine, se il prezzo è uguale a 1000
allora l'impresa sarà indifferente per qualsiasi quantità (compresa tra 0 e infinito).
Il surplus del produttore corrisponde all'area tra la retta orizzontale a livello del prezzo e la curva di
offerta dell’impresa. Vediamolo graficamente:
Nel grafico di sinistra abbiamo il caso in cui non vi è nessun costo fisso evitabile. Come anticipato
precedentemente, il surplus del produttore corrisponde all'area azzurra. Prima di arrivare a ciò,
troviamo il ricavo. Il ricavo è dato dal prodotto tra prezzo e quantità e corrisponde all'area del
rettangolo ABCD. Al ricavo totale dobbiamo sottrarre il costo totale, che è pari all'area di colore
grigio. Per capire questo dobbiamo ricordarci che la curva di offerta corrisponde alla curva del
costo marginale. L'area al di sotto del curva del costo marginale (ossia l'area al di sotto delle
curva di offerta) corrisponde al costo totale (area grigia). Supponiamo che l'impresa venda
un’unità, in questo caso il costo marginale coincide con il costo totale. Passiamo poi alla seconda
unità venduta, il costo totale sarà dato dal costo marginale della prima unità più il costo marginale
della seconda unità, o più precisamente, dal costo della prima unità venduta più il costo della
seconda unità venduta. Sostanzialmente se noi applichiamo questo ragionamento per tutte le
unità vendute, allora l'area sotto la curva del costo marginale corrisponde esattamente al costo
totale. Dopodiché, se noi facciamo la differenza tra l'area del rettangolo ABCD, ossia il ricavo
totale, e l'area grigia al di sotto della curva del costo marginale, ossia il costo totale, otteniamo
l’area di colore azzurro, ossia il surplus del produttore.
Invece, nel grafico di destra abbiamo un costo fisso evitabile. L'area compresa tra la retta di
prezzo e la curva di offerta, ossia l'area azzurra, rappresenta sempre il surplus del produttore.
Innanzitutto ricaviamo il ricavo totale, che anche qui corrisponde al rettangolo ABHF, in quanto i
ricavi sono pari al prodotto tra il prezzo e la quantità (Q). In presenza di un costo fisso evitabile la
curva di offerta è un po’ più complicata, in quanto la scala efficiente (il costo medio minimo) non
sarà più nulla, ma sarà in corrispondenza di una quantità positiva (in corrispondenza del punto G).
Dunque, per livelli di prezzo minori del costo medio minimo l'impresa non produrrà nulla, in
quanto il ricavo totale sarà uguale al costo totale e perciò l’offerta sarà pari a zero, avremo
dunque dei profitti nulli; mentre per livelli di prezzo maggiori del costo medio minimo la curva di
offerta (che corrisponde alla curva del costo marginale) sarà positiva. Tutte cose che già
sapevamo. Ora dobbiamo capire perché il costo totale in corrispondenza di una quantità di
produzione Q (H) sia dato da tutta l'area grigia. In corrispondenza del punto G, ovvero il punto in
cui l’impresa ha la scala efficiente di produzione, l’impresa è indifferente a se produrre oppure no,
in quanto ottiene profitti nulli. Perciò, quando l’impresa produce al costo medio minimo l’impresa
farà profitti nulli. Se l’impresa fa profitti nulli vuol dire che il ricavo totale è uguale al costo totale. Il
ricavo che l’impresa conseguirà in corrispondenza della scala efficiente di produzione (punto G) è
pari all’area del rettangolo EDGF. Dato che l’impresa ottiene profitti nulli, questo ricavo totale
corrisponde anche al costo totale dell’impresa. Abbiamo quindi già identificato il costo totale che
l’impresa deve sostenere se produce fino alla scala efficiente di produzione (fino a G). Ora per
calcolare il costo totale in corrispondenza di Q (H) facciamo lo stesso ragionamento del grafico a
sinistra, secondo cui il costo totale corrisponde all'area sottesa (sottostante) alla curva di offerta,
ossia alla curva del costo marginale. Dunque, possiamo affermare che l'area del trapezio DCGH è
il costo che l’impresa deve sopportare per passare da una produzione pari a G (pari alla scala
efficiente di produzione) ad una produzione pari a H (Q). Ecco perché il costo totale evitabile è
dato dalla somma dell’area del rettangolo EDGF e dell'area del trapezio DCHG (ossia la somma
dei costi che l’impresa deve sopportare per ottenere una produzione pari a G e i costi che
l’impresa deve sopportare in più per ottenere una produzione pari a Q). Una volta trovato il costo
totale evitabile, possiamo trovare il surplus del produttore sottraendo al ricavo totale proprio il
costo totale appena ricavato, e otteniamo l'area azzurra.
Dobbiamo sempre partire dal presupposto che il prezzo è uguale al costo marginale in un’impresa
price-taker, e da ciò ricaviamo la quantità prodotta.
Elementi di un gioco
Giocatori: l'insieme dei decisori che interagiscono strategicamente.
Azioni: ciò che ciascun giocatore può fare, ovvero le mosse a sua disposizione (esempio muovere
il pedone nel gioco degli scacchi).
Strategie: la strategia di un giocatore specifica quale azione sceglierà in ognuna delle possibili
situazioni in cui il giocatore può essere chiamato a decidere. La strategia è un piano completo di
azioni (se l'altro muove la regina, io muovo il pedone; se l’altro muove l'alfiere, io muovo la torre).
Inoltre, se il giocatore è chiamato a decidere in una situazione soltanto, le azioni coincidono con le
strategie.
Regole del gioco: quando un giocatore è chiamato a giocare e cosa può fare.
Struttura informativa del gioco: ciò che i giocatori sanno delle azioni e preferenze altrui.
Esiti del gioco: come il gioco può terminare.
Payoff: utilità di ciascun giocatore associata agli esiti del gioco.
Rappresentazione di un gioco
Ogni gioco può essere rappresentato in due modi:
-forma normale o strategica (una matrice) (sarà la forma che utilizzeremo per i giochi ad uno
stadio)
-forma estesa (albero decisionale) (sarà la forma che utilizzeremo per i giochi a più stadi)
Noi ci concentreremo sulla rappresentazione dei giochi ad uno stadio in forma formale e giochi a
più stadi in forma estesa.
Strategie dominanti
La risposta ottima di un giocatore è la strategia che gli fornisce il payoff (utilità) più alto possibile,
presupponendo che gli altri giocatori si comportino in un determinato modo.
Una strategia è una strategia dominante se è l’unica risposta ottima di un giocatore,
indipendentemente dalle scelte degli altri giocatori.
Siamo di fronte ad un gioco ad uno stadio, ossia siamo di fronte ad un gioco a mosse simultanee
(non deve essere necessariamente a mosse simultanee) dove nessun giocatore può vedere ciò
che fa l'altro (ciò che importa è questo concetto). Vi sono due giocatori, Oscar e Ruggero, e una
matrice 2x2. I due giocatori hanno a disposizione due azioni (scelte): negare o fare la spia.
La matrice è divisa in quattro parti. Consideriamo il quadrante in alto a sinistra, che ci dà
informazioni riguardo a cosa accade se entrambi i giocatori decidono di negare. Il quadrante è
stato diviso in due parti, ciascuna per ogni partecipante e i numeri che vi sono all’interno
rappresentano i payoff (le utilità) che i giocatori ottengono nel caso in cui entrambi eseguono
l’azione di negare. Invece, il quadrante in alto a destra ci dà le informazioni dei payoff di ciascun
giocatore nel caso in cui il giocatore Oscar neghi e Ruggero faccia la spia. Se Oscar nega ottiene
un’utilità pari a -6, invece se Ruggero fa la spia ottiene un’utilità pari a -1. Il payoff/l’utilità sarà
tanto più elevato tanto più il numero è elevato (tanto più si avvicina a zero), dunque in questo caso
otterrà l’utilità maggiore Ruggero. Dopodiché il quadrante in basso a sinistra ci fornisce i payoff
dei giocatori nel caso in cui Oscar faccia la spia e Ruggero neghi (questo quadrante è evidenziato
in azzurro per mettere in evidenza che è stata eseguita quella azione da parte dei giocatori, ma si
poteva evidenziare qualsiasi altro quadrante). È dunque il medesimo caso di prima, ma a parti
invertite, dunque i payoff saranno gli stessi, ma invertiti. Infine, il quadrante in basso a destra ci
fornisce il payoff dei giocatori nel caso in cui entrambi facciano la spia.
A questo punto consideriamo il grafico di destra e nello specifico andiamo a considerare la
risposta ottima di Oscar e la risposta ottima di Ruggero. La risposta ottima rappresenta la
strategia che il nostro giocatore preferisce, data la strategia del suo avversario.
Vediamo ora la risposta ottima di Oscar. Se Ruggero decide di negare, Oscar preferirà fare la spia,
perché -1 è maggiore di -2, dunque Oscar conseguirà un payoff maggiore se fa la spia e se allo
stesso tempo Ruggero nega. Se invece Ruggero decide di fare la spia, Oscar preferirà fare la spia
anch'esso perché gli permetterà di conseguire un’utilità maggiore, in quanto -5 è maggiore di -6.
Dunque, la risposta ottima di Oscar alla scelta di Ruggero di negare è fare la spia, mentre la scelta
ottima sempre di Oscar alla scelta di Ruggero di fare la spia è sempre fare la spia. Possiamo
quindi affermare che per Oscar fare la spia rappresenta la strategia dominante, perché è la sua
scelta preferita indipendentemente da quello che decide di fare Ruggero.
Ora vediamo la risposta ottima di Ruggero. Se Oscar decide di negare la scelta ottima di Ruggero
è fare la spia (-1 maggiore di -2), mentre se Oscar decide di fare la spia la scelta per cui Ruggero
otterrebbe il maggiore payoff è sempre fare la spia. Possiamo perciò affermare che anche per
Ruggero la scelta di fare la spia è la strategia dominante, in quanto è sempre la scelta ottima per
Ruggero, indipendentemente dalla scelta di Oscar.
Partendo dalla matrice completa si inizia eliminando le strategie dominate di Ruggero, ossia
quelle strategie che non danno a Ruggero il payoff più alto. Se Oscar nega Ruggero preferirà fare
la spia, dunque eliminerà la strategia dominata che consiste nel negare; se Oscar fa la spia
Ruggero preferirà sempre fare la spia, di conseguenza eliminerà la strategia dominata in base alla
quale Ruggero negava, perché tale strategia dà a Ruggero un payoff minore. Perciò possiamo
affermare che le strategie dominate di Ruggero sono quelle di negare. Ora esaminiamo dal lato di
Oscar, se Ruggero fa la spia (può fare solo questo visto che abbiamo eliminato le strategie
secondo le quali Ruggero negava) Oscar preferirà fare la spia, perciò eliminerà la strategia
dominata che consiste nel negare. Ne consegue che a seguito della rimozione della strategia
dominata sia per Ruggero che per Oscar (è indifferente da quale partire) otterremo un unico
quadrante, che corrisponde all'esito finale del gioco, secondo cui entrambi fanno la spia.
In conclusione, tramite l’eliminazione iterata delle strategie dominate siamo riusciti a ricavare
l'esito del gioco (dove entrambi i giocatori faranno la spia).
Susanna può scegliere tra alto e basso, mentre Marina può scegliere tra sinistra e destra.
Supponiamo che Marina scelga "destra", in tal caso Susanna preferirà basso, perché otterrà un
payoff pari a 1 invece che 0 (perché ottiene un payoff maggiore). Se invece Marina sceglie sinistra
per Susanna è indifferente scegliere alto o basso, perché entrambi le danno la medesima utilità
(0). Supponiamo che scelga basso, in tal caso, se Marina non scegliesse sinistra ma destra,
Susanna otterrebbe un’utilità maggiore (1) rispetto a quella che otterrebbe scegliendo alto (0).
Dunque, se Susanna è sicura che Marina sceglierà sinistra allora per Susanna scegliere alto o
basso è indifferente, ma nel caso in cui Susanna si sbagliasse e Marina non scegliesse "sinistra"
ma "destra" allora Susanna preferirà scegliere la strategia "basso". Perciò, possiamo affermare
che per Susanna "alto" è la scelta debolmente dominata (perché è una forzatura dire che Susanna
non sceglierà mai alto, potrà scegliere alto se è sicura che Marina sceglierà sinistra e non destra,
dunque non è vero che Susanna non sceglierà mai la strategia alto), in quanto se Marina sceglie
"sinistra" a Susanna dà la medesima utilità rispetto alla strategia "basso", però se Susanna si
sbagliasse e quindi Marina invece che sinistra scegliesse destra, preferirebbe la scelta "basso",
ecco perché possiamo affermare che "alto" per Susanna è la scelta debolmente dominata (perché
è la scelta peggiore se Marina sceglie destra Susanna preferirà basso e non alto, mentre se
sceglie sinistra per Susanna è indifferente. Ma tale scelta (alto) può essere altrettanto buona
(buona come la scelta basso) solo se Susanna è sicura della scelta di Marina di adottare la
strategia "sinistra").
Equilibrio di Nash
In un equilibrio di Nash, la strategia giocata da un individuo è la risposta ottima alle strategie
giocate da tutti gli altri individui. Dunque, nell'equilibrio di Nash ogni giocatore sta giocando la sua
risposta ottima, ciò vuol dire che ognuno anticipa correttamente ciò che farà ogni altro individuo,
per poi scegliere l'alternativa migliore.
L'equilibrio di Nash è un insieme di strategie, non un esito del gioco.
Un equilibrio di Nash è stabile, nel senso che ogni partecipante è soddisfatto della propria scelta
(e non è dunque interessato a cambiarla), data la scelta degli altri partecipanti.
Esperimenti di laboratorio hanno confermato che, per certi tipi di giochi, i giocatori esperti
tendono a scegliere strategie costituenti un equilibrio di Nash.
Oltre ad essere stabile, un equilibrio di Nash è un accordo self-enforcing, ovvero ogni
partecipante all'accordo ha un incentivo a rispettarlo, supponendo che lo facciano anche tutti gli
altri partecipanti.
A seconda del gioco, l'equilibrio di Nash può produrre esiti più o meno desiderabili.
Vediamo un esempio:
Cerchiamo di vedere quale è l'equilibrio di Nash nel gioco "dilemma del prigioniero", che abbiamo
visto all'inizio di questo capitolo. Ognuno dei due giocatori ha la possibilità o di negare o di fare la
spia. Riprendiamo le risposte ottime di ciascuno. Supponendo che Ruggero neghi, la risposta
ottima di Oscar sarebbe di fare la spia (evidenziato in azzurro), mentre se Ruggero fa la spia la
risposta ottima di Oscar sarebbe sempre fare la spia (evidenziato in azzurro). Vediamo ora le
risposte ottime di Ruggero, supponendo che Oscar neghi, la risposta ottima di Ruggero sarà farà
la spia (evidenziato in grigio), se invece supponiamo che Oscar faccia la spia la risposta ottima di
Ruggero sarà sempre fare la spia (evidenziato in grigio). Dopo aver individuato le risposte ottime
di ciascun partecipante, quale è il quadrante che è colorato sia di azzurro che di grigio, ossia
quale è il quadrante per cui entrambi i partecipanti fanno la scelta ottima? È il quadrante in basso
a destra, ossia il quadrante in cui sia Ruggero che Oscar fanno la spia. Questo quadrante
rappresenta proprio l'equilibrio di Nash, ossia il quadrante in cui tutti e due i giocatori stanno
adottando la loro scelta ottima.
Per comprendere il fatto che l'equilibrio di Nash è stabile e che comporta un accordo self-
enforcing, vediamo se uno dei giocatori ha un incentivo a cambiare la propria scelta supponendo
il caso in cui l'altro giocatore giocasse la scelta di equilibrio. Supponiamo che Ruggero faccia la
spia (scelta di equilibrio), Oscar ha un incentivo a passare da fare la spia, ossia la sua scelta di
equilibrio, a negare? No perché se nega ottiene un’utilità pari a -6 mentre se fa la spia ottiene
un’utilità maggiore pari a -5. Supponiamo poi che Oscar faccia la spia (scelta di equilibrio),
Ruggero ha un incentivo a cambiare la scelta di equilibrio con un'altra scelta? No perché
otterrebbe anche in questo caso un payoff minore (-6 invece che -5). E così anche per tutte le
altre ipotesi, possiamo quindi dire che i giocatori non hanno alcuna convenienza, non hanno alcun
incentivo a cambiare la propria scelta di equilibrio, in quanto otterrebbero sempre un payoff più
basso.
Avendo dimostrato ciò possiamo quindi affermare che si tratta di un equilibrio stabile e di un
accordo self-forcing perché se un giocatore suppone che l'altro non cambi idea (e che quindi
scelga la scelta di equilibrio) la cosa migliore per quel giocatore è non cambiare idea, cioè la cosa
migliore per quel giocatore è adottare la scelta di equilibrio.
Una domanda potrebbe sorgere spontanea: è chiaro che l'equilibrio di Nash sarebbe l’ideale per
entrambi i giocatori, ma i giocatori come ci arrivano a questo equilibrio? L'equilibrio di Nash non
dà una risposta a tale quesito, non dice come i giocatori potranno raggiungere l'equilibrio di Nash.
L’equilibrio di Nash dice soltanto che se si raggiunge tale esito del gioco, allora questo esito
rappresenta un equilibrio stabile e un accordo self-forcing, perché data la scelta dell'altro, nessun
giocatore vorrà mai adottare una scelta diversa dalla sua scelta di equilibrio.
Ci sono però casi in cui esistono più equilibri di Nash. Vediamo un esempio:
Questo gioco è chiamato la battaglia dei sessi, dove abbiamo due giocatori che devono decidere
quale film andare a vedere. Si suppone che Antonio ami i film d’azione, mentre Maria ami i film
romantici. Nel quadrante in alto a sinistra se entrambi scelgono il film d'azione, Antonio otterrà un
payoff elevato pari a 5 perché va a vedere il film che preferisce, mentre Maria otterrà comunque
un payoff positivo pari a 2 seppur non sia il film che preferisce perché comunque riesce a stare
con Antonio. Stesso discorso ma a parti invertite se entrambi vanno a vedere un film romantico.
Invece, nel quadrante in basso a sinistra abbiamo la situazione in cui Maria va a vedere il film
romantico mentre Antonio va a vedere il film d’azione, abbiamo dunque la situazione in cui
ognuno di loro va a vedere il film che preferisce. Tuttavia, il payoff di entrambi sarà soltanto pari a
1 perché seppur vadano a vedere il film che preferiscono, lo fanno senza l'altro. Infine, vi è il caso
peggiore in cui tutti e due vanno a vedere il film preferito dell'altro, dove quindi entrambi si trovano
senza l'altro e in più si trovano a vedere un film che non gradiscono, ne consegue che entrambi
ottengono un payoff negativo pari a -1.
Ora proviamo a ricavare l'equilibrio di Nash e quindi prima di tutto ricaviamo le risposte ottime di
ciascuno. Partiamo da Antonio, se Maria sceglie il film d'azione la scelta ottima di Antonio sarà
andare a vedere il film d'azione che dà un payoff pari a 5 (evidenziato in grigio). Se invece Maria
sceglie il film romantico, la scelta ottima di Antonio sarà vedere il film romantico (evidenziato in
grigio). Vediamo ora le scelte ottime di Maria, se Antonio sceglie il film d'azione, la risposta ottima
di Maria sarà andare a vedere il film d'azione (evidenziato in azzurro). Infine, se Antonio decide di
andare a vedere il film romantico, la scelta ottima di Maria sarà vedere il film romantico
(evidenziato in azzurro). Possiamo quindi concludere che le scelte ottime di ogni giocatore
corrispondono alla scelta che fa l'altro giocatore (se Antonio film d’azione allora Maria film
d’azione, se Maria film romantico allora Antonio film romantico,...). In questo caso, a differenza del
dilemma del prigioniero, non abbiamo un solo quadrante dove ci sono le scelte ottime di
entrambi, ma ne abbiamo due. Ciò significa che abbiamo due equilibri di Nash: quello in cui
entrambi vanno a vedere il film d'azione e quello in cui entrambi vanno a vedere il film romantico.
Se la scelta dell'altro giocatore è una scelta di equilibrio, l'altro giocatore non avrà alcun incentivo
a cambiare la sua scelta di equilibrio. Se Maria sceglie il film d’azione, Antonio non ha alcun
incentivo a cambiare la sua scelta di equilibrio, perché altrimenti passerebbe da un payoff pari a 5
ad uno pari a -1 (e così anche per gli altri casi...).
Strategie miste
Quando un giocatore sceglie una strategia in modo non probabilistico, ovvero senza
randomizzare, si dice che gioca una strategia pura. Non tutti i giochi hanno equilibri di Nash in
strategie pure. Le strategie pure sono quelle che abbiamo visto finora.
Quando invece un giocatore usa una regola per scegliere la strategia in modo probabilistico,
ovvero randomizzando, si dice che gioca una strategia mista.
In un equilibrio di Nash in strategie miste, i giocatori scelgono strategie miste, e la strategia
mista scelta da un giocatore è una risposta ottima alle strategie miste scelte dagli altri giocatori.
Vediamo ora il caso in cui un gioco non abbia l'equilibrio di Nash in strategie pure:
La strategia pura, come abbiamo visto poco fa, è una strategia che viene scelta da un giocatore in
modo non probabilistico. Tutte le strategie che abbiamo visto fino ad ora sono strategie pure, in
tutti i giochi che abbiamo visto fino ad ora i giocatori adottavano delle strategie pure. Finora
abbiamo visto i casi in cui ci fosse un equilibrio di Nash, o addirittura due, ora vediamo invece il
caso in cui non c’è nessun equilibrio di Nash con i giocatori che adottano sempre delle strategie
pure (strategie non basate sulla probabilità). Proviamo quindi a capire per quale motivo in questo
gioco, che prende il nome di "duello di intelletti", non esiste alcun equilibrio di Nash (in strategie
pure). Abbiamo due giocatori Vizzini e Wesley. Wesley deve decidere se mettere il veleno nel
calice sinistro o in quello destro. Invece, Vizzini deve decidere se bere dal calice sinistro o dal
calice destro. Innanzitutto, ricaviamo le risposte ottime per ciascun giocatore. Partiamo da Vizzini,
se Wesley decide di porre il veleno nel calice sinistro, la risposta ottima di Vizzini sarà ovviamente
bere dal calice destro (evidenziato in azzurro). Se invece Wesley decide di mettere il veleno nel
calice destro, la risposta ottima di Vizzini sarà bere nel calice sinistro (evidenziato in azzurro). In
questo caso i payoff sono o 1 o -1, perché o vince 1 o vince l'altro, non c’è una via di mezzo.
Vediamo ora le risposte ottime di Wesley, se Vizzini decide di bere dal calice sinistro la risposta
ottima di Wesley sarà mettere il veleno nel calice sinistro (evidenziato in grigio), mentre se Vizzini
decide di bere dal calice destro la risposta ottima di Wesley sarà mettere il veleno nel calice
destro (evidenziato in grigio). Una volta trovate tutte le risposte ottime di ciascun giocatore,
possiamo notare come non ci sia un quadrante che contenga le risposte ottime di entrambi i
giocatori e, dunque, possiamo affermare che non abbiamo nessun equilibrio di Nash.
Per ricavare l'equilibrio del gioco non dobbiamo considerare le strategie pure, ma le strategie
miste, ossia le strategie basate sulla probabilità. Un esempio di strategia mista per Wesley è porre
il veleno nel calice sinistro con una probabilità del 40% e porre il veleno nel calice destro con una
probabilità del 60%.
Noi ci limitiamo soltanto ad introdurre le strategie miste, mentre ci focalizzeremo sopratutto su
quelle pure.
•Riassumendo:
Nel duello di intelletti, la scelta da parte di Wesley e Vizzini di ogni alternativa con una probabilità
del 50% costituisce un equilibrio di Nash in strategie miste. In altre parole, anche se il duello di
intelletti non ha alcun equilibrio di Nash in strategie pure, esiste comunque un equilibrio di Nash in
strategie miste in cui Wesley decide di porre il veleno nel calice sinistro con probabilità del 50% e
decide di porre il veleno nel calice destro con probabilità del 50% e Vizzini, al contempo, decida
di bere dal calice sinistro con probabilità 50% e di bere dal calice destro con probabilità 50%.
Se Vizzini beve da ciascun calice (Vizzini bene da entrambi i calici) con una probabilità del 50%, il
payoff atteso di Wesley sarà 1 con probabilità 50% e un payoff pari a -1 con probabilità 50%. Di
conseguenza il suo payoff atteso sarà pari a 0 (ossia la media tra 1 e -1), indipendentemente da
quale calice decida di avvelenare. Perciò, per Wesley avvelenare ciascun calice con una
probabilità del 50% è una risposta ottima alla strategia di Vizzini.
Per ragioni analoghe, se Wesley avvelena ciascun calice con una probabilità del 50%, per Vizzini
scegliere ciascun calice con una probabilità del 50% è una risposta ottima alla strategia di
Wesley.
Ciò dimostra che nel caso del duello di intelletti, pur non esistendo un equilibrio di Nash in
strategie pure, esiste un equilibrio di Nash in strategie miste in cui ogni giocatore sceglie una delle
due possibili strategie con probabilità 50%.
(Va boh, non è troppo importante questo. Quello che interessa a noi è capire le strategie pure, per
quanto riguarda quelle miste dobbiamo sapere soltanto che esistono ma non sono troppo
importanti).
La strategia di un giocatore è il suo piano particolareggiato (è scritto giusto) per giocare il gioco
e, per ogni situazione che potrebbe presentarsi nel corso del gioco, essa ci dice cosa farà il
giocatore (in altre parole, la strategia ci dice quello che il giocatore farà in ogni possibile
situazione). Consideriamo il gioco della battaglia dei sessi diseguale che abbiamo visto nel
precedente diagramma ad albero. Quali sono le strategie di Antonio? Scegliere tra film d'azione e
film romantico. In questo caso, le azioni corrispondono alle strategie. Più complicata è invece la
strategia di Maria, perché deve tenere conto di quello che è successo prima, ovvero deve tenere
conto della scelta di Antonio. Dunque, quali sono le strategie di Maria? Le strategie possibili di
Maria sono 4: 1) se Antonio sceglie film d'azione, scegliere il film d'azione. Se Antonio sceglie film
romantico, scegliere il film d'azione. La prima strategia di Maria quindi può essere quella di
scegliere il film d'azione indipendentemente dalla scelta di Antonio. 2) se Antonio sceglie film
d'azione, scegliere il film romantico. Se Antonio sceglie film romantico, scegliere il film romantico.
La seconda strategia perciò può essere quella di scegliere il film romantico indipendentemente
dalla scelta di Antonio. 3) se Antonio sceglie film d'azione, scegliere il film d'azione. Se Antonio
sceglie film romantico, scegliere il film romantico. La terza strategia può essere quella di scegliere
lo stesso film che sceglie Antonio. 4) se Antonio sceglie film d'azione, scegliere il film romantico.
Se Antonio sceglie film romantico, scegliere il film d’azione. La quarta e ultima strategia può
essere quella di scegliere il film diverso da quello scelto da Antonio. Sono queste le quattro
possibili strategie che Maria ha a disposizione. Da ciò quindi possiamo vedere come la strategia
di Maria sia più complicata rispetto a quella di Antonio, perché essa deve tenere in
considerazione anche della scelta dell'altro giocatore (le strategie possibili di Antonio sono 2,
mentre quelle di Maria sono 4. La strategia dunque prescrive quello che il giocatore farà in ogni
possibile situazione.
Un equilibrio di Nash per la battaglia dei sessi diseguale (il gioco che abbiamo visto rappresentato
nel diagramma ad albero) è costituito da una coppia di strategie, una per Antonio ed una per
Maria, tali che la strategia di Antonio sia una risposta ottima alla strategia di Maria e quella di
Maria sia una risposta ottima a quella di Antonio.
Utilizzando l'induzione all’indietro, la seguente coppia di strategie rappresenta un equilibrio di
Nash: 1) se Antonio decide di andare a vedere il film d'azione, Maria sceglierà il film d'azione.
Quindi Antonio già sa che se lui decide di andare a vedere il film d’azione Maria lo seguirà, ne
consegue che Antonio in tal caso otterrà un payoff pari a 5 (punto D del diagramma ad albero). Se
invece Antonio decide di andare a vedere il film romantico, Maria sceglierà il film romantico.
Quindi Antonio sa già che se lui decide di andare a vedere il film romantico Maria lo seguirà, ne
consegue che Antonio in tal caso otterrà un payoff pari a 2 (punto G). A questo punto Antonio
deve confrontare i due payoff (5 e 2) e possiamo dunque affermare che la scelta di Antonio sarà
quella di andare a vedere il film d'azione, ossia la scelta che gli permetterà di ottenere il payoff più
alto, che è pari a 5 (sapendo che Maria sceglierà anch'essa il film d'azione). Possiamo quindi
concludere che in base al procedimento di induzione all’indietro, Antonio sceglierà il film d'azione.
2) ora vediamo la strategia che adotterà Maria, ossia ciò che Maria farà in ogni possibile
situazione. Se Antonio sceglie il film d'azione, Maria, come sappiamo, sceglierà il film d'azione. Se
Antonio sceglie il film romantico, Maria sceglierà il film romantico. Dunque, la strategia di
equilibrio di Maria è la seguente: se Antonio sceglie il film d'azione, Maria sceglierà il film
d'azione; se Antonio sceglie il film romantico, Maria sceglierà il film romantico. Questa è la
strategia di Maria.
Possiamo dire che la strategia di Maria asseconda la scelta di Antonio, ecco perché il gioco si
chiama "battaglia dei sessi diseguale", perché uno (Maria) di fatto si deve soltanto limitare a
seguire l'altro (Antonio).
Riassumendo, utilizzando l'induzione all'indietro, la coppia di strategie che permette di ottenere
l'equilibrio di Nash è la seguente:
Ora verifichiamo che la coppia di strategie che abbiamo appena ricavato costituisca
effettivamente un equilibrio di Nash. Per fare ciò, adottiamo lo stesso procedimento che abbiamo
già visto in precedenza, ossia vediamo se uno dei giocatori ha un incentivo a deviare, cioè se data
la strategia di un giocatore l'altro ha un incentivo a cambiare idea. Data la strategia di Maria,
Antonio ha un incentivo a cambiare idea e a spostarsi dal film d’azione (la sua scelta di equilibrio)
al film romantico? No perché otterrebbe un payoff minore, in quanto se Antonio sceglie il film
romantico di conseguenza anche Maria sceglierà il film romantico e il payoff che otterrebbe in tal
caso sarebbe pari a 2, minore del payoff pari a 5 che otterrebbe scegliendo il film d'azione,
(consapevole che poi anche Maria sceglierà il film d'azione). Antonio dunque, data la strategia di
equilibrio di Maria, non ha nessun incentivo a deviare, a cambiare scelta. Ora vediamo il punto di
vista di Maria, se Antonio decide di andare a vedere il film d'azione (strategia di equilibrio di
Antonio), Maria ha un incentivo a cambiare idea e scegliere il film romantico anziché quello
d'azione (strategia di equilibrio di Maria)? No perché otterrebbe un payoff pari a 1 invece che 2.
Maria, dunque, data la strategia di equilibrio di Antonio (scegliere il film d'azione) non ha alcun
incentivo a deviare.
Se, invece, il gioco viene ripetuto un numero infinito di volte, la cooperazione può essere
sostenuta mediante l’utilizzo di strategie che minacciano una punizione permanente del
comportamento egoista, note come strategie punitive (o grim strategies). Sempre nel "dilemma
dei coniugi", un esempio di strategia punitiva è la seguente: pulire la casa il primo giorno. Nei
giorni successivi fare le pulizie, purché il mio coniuge ed io abbiamo pulito la casa ogni giorno
precedente. Altrimenti, oziare (in pratica i due coniugi devono sempre pulire la casa assieme,
altrimenti se un coniuge decide di oziare allora l’altro deciderà di oziare per sempre). Un coniuge
sta dunque minacciando l'altro coniuge, in quanto sta dicendo che lui pulirà la casa il primo
giorno, ma nel caso in cui l'altro coniuge dovesse oziare, allora lui ozierà per sempre. Ora
dobbiamo verificare se questa strategia costituisce un equilibrio di Nash, quindi dobbiamo capire
se il coniuge ha un incentivo a deviare da questa strategia e capire se la minaccia che il coniuge
sta facendo (ossia la minaccia di oziare se l'altro coniuge ozia) sia credibile. Dalla figura
precedente rappresentativa del gioco, possiamo vedere che se entrambi puliscono la casa,
entrambi ottengono un payoff pari a 2. Dunque, se entrambi i coniugi continuano a pulire, la
strategia dà un payoff di 2 per ogni giorno che avanza. Qualora però Omero decidesse di deviare
(Margherita continua a pulire) passerebbe da un payoff pari a 2 ad un payoff pari a 3. Però se
Omero decide di deviare e dunque decide di oziare, allora Margherita, in base alla sua minaccia,
deciderà di oziare sempre. Da ciò consegue che Omero, nel momento in cui decide di deviare
otterrà un’utilità in più, perché da 2 passa a 3. Tuttavia nei giorni seguenti avrà sempre un’utilità
inferiore, perché a seguito della scelta di Omero di deviare, Margherita deciderà di oziare per
sempre. Quindi ad Omero non conviene deviare, perché ottiene un payoff maggiore soltanto il
giorno stesso, mentre nei giorni successivi otterrà sempre un payoff minore. Possiamo dunque
affermare che se i coniugi si preoccupano abbastanza del futuro, allora ad essi conviene
cooperare facendo entrambi le pulizie (possiamo quindi affermare che questa strategia costituisce
un equilibrio di Nash, perché se entrambi puliscono nessuno ha incentivi a deviare).
Però c’è un altro punto da tenere in considerazione. Omero deve capire se la minaccia di
Margherita di oziare per sempre è credibile o meno. Se Omero decide di oziare, Margherita
preferirà oziare (perché otterrà un payoff di 1 invece che 0). Uguale il contrario, se Margherita
decide di oziare, Omero preferirà oziare. Di conseguenza possiamo affermare che la minaccia è
credibile, poiché se un coniuge ozia, l'altro ha convenienza ad oziare anche lui. La minaccia è
credibile proprio perché costituisce l’equilibrio di un gioco ad uno stadio (il fatto che entrambi
oziano rappresenta l'equilibrio del gioco, ecco perché sarà credibile come minaccia).
Possiamo quindi concludere che nei giochi ripetuti un numero infinito di volte è possibile
sostenere la cooperazione tramite una minaccia. La minaccia consiste nel fatto che se uno dei
due devia (se uno dei due ozia), allora entrambi i giocatori devieranno (ozieranno, perché oziare
rappresenta l’equilibrio del gioco). Questa minaccia non si verifica mai in equilibrio, in quanto in
equilibrio entrambi i giocatori puliranno. È solamente una minaccia, la cosa importante è che
questa minaccia sia credibile, perché qualora non lo fosse l'altro giocatore deciderebbe di deviare
dalla strategia di equilibrio (pulire).
CAPITOLO 10: EQUILIBRIO ED EFFICIENZA
Quali fattori rendono un mercato concorrenziale?
Un mercato è perfettamente concorrenziale quando sia i compratori sia i venditori non
esercitano alcun effetto sul prezzo, ovvero sono price-taker (significa che considerano il prezzo
come dato, essi si considerano così piccoli che qualsiasi loro decisione non è in grado di
influenzare il prezzo di mercato). Vi sono tre fattori che caratterizzano un mercato perfettamente
concorrenziale:
1- assenza di costi di transazione: le transazioni tra compratori e venditori possono avere luogo
senza che vi siano particolari ostacoli. I costi di transazione sono i costi che i compratori e i
venditori devono sopportare al di là del prezzo d’acquisto del bene. Ad esempio nel mercato delle
telecomunicazioni, l'assenza di costi di transazione significa poter passare liberamente da un
operatore all'altro (ad esempio prima quando si decideva di cambiare operatore si doveva
sostenere il costo di transazione di dover cambiare il proprio numero di telefono, costo di
transazione che molti non volevano sostenere).
2- prodotti omogenei: i prodotti sono identici agli occhi dei consumatori (ad esempio il grano
oppure la benzina).
3- elevato numero di venditori: ciascun venditore detiene una piccola frazione dell'offerta di
mercato ed agisce da impresa price-taker (prende il prezzo come dato, senza avere possibilità di
influenzarlo) (piccola scala efficiente di produzione).
In un mercato perfettamente concorrenziale, i consumatori comprano dal venditore con il prezzo
inferiore, perché se i prodotti sono omogenei ai compratori interessa solamente il prezzo. Ne
consegue che nessuna impresa è in grado di fissare un prezzo superiore alle altre senza perdere i
clienti (sempre per il fatto che il prodotto è omogeneo e dunque identico agli occhi dei
consumatori) e, quindi, dato un elevato numero di venditori, il prezzo non varierà neanche a fronte
di un forte aumento dell’offerta di un venditore, proprio per il fatto che il venditore è così piccolo
da non essere in grado di influenzare il prezzo di mercato.
Domanda di mercato
Riprendiamo ora dei concetti che avevamo già studiato nei capitoli precedenti.
La domanda di mercato di un bene possiamo definirla come la somma delle domande individuali
di tutti i consumatori. Dal punto di vista grafico, la curva di domanda di mercato può essere
ottenuta tramite la somma orizzontale delle curve di domanda individuali.
Vediamo un esempio graficamente:
Come sempre sull'asse delle X abbiamo la quantità, mentre sull'asse delle Y abbiamo il prezzo.
Nel grafico di sinistra vediamo rappresentate due curve di domanda individuali di due
consumatori diversi: Emilia e Gianni. La curva di domanda di Emilia ci dice che in corrispondenza
di un prezzo pari a 1,50 Emilia domanderà 3 coni. Mentre la curva di domanda di Gianni ci dice
che in corrispondenza di un prezzo pari a 1,50 Gianni domanderà 4 coni. Invece, per un prezzo
superiore a 2,50 solamente Emilia avrà una domanda positiva. In corrispondenza di un prezzo pari
a 2,50 Emilia domanderà un cono, mentre Gianni 0. Ora dobbiamo ricavare la domanda di
mercato. Innanzitutto, possiamo affermare che in corrispondenza di un prezzo superiore a 2,50 la
domanda di mercato equivarrà alla domanda di Emilia, in quanto la domanda di Gianni non esiste
per quel intervallo di prezzo. Possiamo poi affermare che per un prezzo superiore a 3 la domanda
di mercato è nulla, ossia è pari a zero. Infine, per un prezzo inferiore a 2,50, la domanda di
mercato è uguale alla somma orizzontale tra la domanda individuale di Emilia e di Gianni. Ciò lo
possiamo vedere nel grafico a destra. Nello specifico, sappiamo che per un prezzo pari a 1,50 la
domanda di Emilia sarà pari a 3, mentre quella di Gianni sarà pari a 4. Di conseguenza, facendo la
somma tra le due domande possiamo affermare che la domanda di mercato in corrispondenza di
un prezzo pari a 1,50 sarà pari a 7, e così per tutti i livelli di prezzo. È così che si trova la domanda
di mercato, sommando le domande individuali appunto.
Vediamo ora un esempio analitico (coi numeri):
Offerta di mercato
L'offerta di mercato di un prodotto è la somma di tutte le offerte individuali dei venditori. Dal
punto di vista grafico, la curva di offerta di mercato è la somma orizzontale delle curve di offerta
individuali.
Vediamola graficamente:
Sull'asse delle ascisse abbiamo le quantità offerte, mentre sull'asse delle ordinate abbiamo il
prezzo. Nel grafico di sinistra abbiamo le offerte individuali di due imprese, che chiamiamo
Roberto e Anna. In corrispondenza di un prezzo minore di 0,50 Roberto non produce e non offre
nulla, la sua curva di offerta è nulla. Invece la curva di offerta di Anna sarà nulla in corrispondenza
di un prezzo pari a 1. Ora effettuando lo stesso ragionamento che abbiamo visto con la domanda
di mercato possiamo ottenere il grafico dell'offerta di mercato, ossia sommando le offerte
individuali.
Vediamolo ora analiticamente:
Nel lungo periodo, in un mercato esiste libertà d'entrata quando la tecnologia è liberamente
disponibile a chiunque desideri avviare un'impresa e l’ingresso non è limitato. Dunque, nel caso di
libertà d'entrata, il numero delle imprese potenziali è illimitato.
Vediamo ora graficamente la curva di offerta di lungo periodo con libertà d'entrata:
Nel grafico di sinistra abbiamo l'offerta individuale nel lungo periodo. La curva di offerta
corrisponde alla curva del costo marginale per livelli di prezzo maggiori del costo medio minimo.
Mentre per livelli inferiori del costo medio minimo l'offerta è nulla. Sono concetti che abbiamo già
visto nei capitoli precedenti. A questo punto partendo dall'offerta individuale di lungo periodo
dobbiamo rappresentare l'offerta di mercato nel lungo periodo. Supponiamo di avere 5 imprese,
come facciamo a determinare l'offerta di mercato di queste 5 imprese? Innanzitutto sappiamo che
per un prezzo inferiore al costo medio minimo nessuna impresa produrrà, l'offerta sarà dunque
nulla. Invece, per un prezzo superiore al costo medio minimo tutte le imprese produrranno e
l'offerta di mercato coincide con la somma delle offerte individuali, ossia coincide con la curva di
offerta S5. A questo punto vediamo cosa succede in corrispondenza di un prezzo esattamente
uguale al costo medio minimo. In tal caso le imprese saranno indifferenti tra produrre o non
produrre. Ma qualora le imprese decidessero di produrre, dovrebbero produrre alla loro scala
efficiente di produzione, ovvero in corrispondenza di 200 panchine (ossia in corrispondenza del
punto minimo della curva del costo medio). In corrispondenza di 5 imprese possiamo avere
differenti combinazioni di offerta di mercato. Nel punto A abbiamo solo un’impresa che produce
(che produce alla scala efficiente pari a 200), mentre le altre 4 non producono e dunque si ha
un'offerta di mercato pari a 200. Invece, nel punto B vi sono due imprese che producono e
dunque si ha una produzione totale (un'offerta di mercato) pari a 400 (perché ogni impresa
produce alla sua scala efficiente, ossia ogni impresa produce 200 panchine al mese), mentre le
restanti 2 non producono, e così via con la stessa logica. Quindi se tutte e cinque le imprese
producono, l'offerta sarà pari a 1000 (200x5). In sostanza nel caso di un prezzo pari al costo
medio minimo, o l’impresa produce alla sua scala efficiente o non produce.
Stesso ragionamento può essere fatto nel caso di 10 imprese (dove avremo la curva di offerta S10
se il prezzo è maggiore del costo medio minimo, ecc. ecc.).
Se consideriamo un numero infinito di imprese: se il prezzo è maggiore del costo medio minimo
l'offerta sarà infinita, mentre se il prezzo è uguale al costo medio minimo l'offerta sarà la
combinazione di tutti i possibili punti.
Una volta determinata la domanda di mercato e l'offerta di mercato possiamo ricavare l'equilibrio
di mercato, che è l’intersezione tra le due rette.
Possiamo poi determinare anche l'equilibrio di lungo periodo con libertà d'entrata.
Supponendo che l’offerta sia una retta perfettamente orizzontale, ne consegue che il prezzo di
mercato è uguale al costo medio minimo. La quantità scambiata sarà pari all’intersezione tra la
curva di domanda e la curva di offerta di lungo periodo.
Vediamo ora come differiscono le risposte delle imprese alle variazioni della domanda, a seconda
che ci troviamo nel breve o nel lungo periodo:
NOTA: i costi fissi nel lungo periodo sono evitabili. NEL LUNGO PERIODO TENIAMO IN
CONSIDERAZIONE DEI COSTI FISSI IRRECUPERABILI PER CALCOLARE IL COSTO MEDIO, IN
QUANTO NEL LUNGO PERIODO QUESTI COSTI NON SONO PIÙ IRRECUPERABILI. MENTRE
NEL BREVE PERIODO I COSTI FISSI IRRECUPERABILI NON VANNO PRESI IN
CONSIDERAZIONE.
Nel breve periodo il numero di imprese è fisso, perché nel breve le imprese non possono entrare
ed uscire liberamente dal mercato. Inoltre, nel breve periodo i costi fissi sono irrecuperabili,
dunque quando calcoliamo la scala efficiente di produzione non dobbiamo tenerli in
considerazione (cosa che invece facciamo nel lungo periodo).
La scala efficiente di produzione tra il breve e il lungo periodo varia proprio perché nel lungo
periodo per quanto riguarda il costo medio si tengono in considerazione anche i costi fissi (che
nel lungo periodo non sono più irrecuperabili), mentre nel breve periodo non si tengono in
considerazione i costi fissi (irrecuperabili) nel calcolo del costo medio.
Analogamente, lo stesso discorso varrà per le imprese. A livello di singola impresa abbiamo visto
che il costo totale variabile dell'impresa non è nient'altro che l’area sotto la curva di costo
marginale. Ne consegue quindi che, ogni volta che le unità di un bene sono prodotte dalle
imprese con i più bassi costi di produzione evitabili, possiamo misurare il costo totale evitabile
delle imprese per le unità che hanno prodotto calcolando l’area sottostante la curva di offerta di
mercato fino a quella quantità (in quanto la curva di offerta è uguale al costo marginale, P=MC).
Essenzialmente possiamo applicare gli stessi concetti che abbiamo appreso a livello individuale
anche a livello aggregato.
Abbiamo due consumatori, Emilia e Gianni, che hanno una certa domanda per quanto riguarda la
quantità di coni gelato alla settimana. Guardando la domanda di Emilia, possiamo notare come la
disponibilità a pagare di Emilia per il primo cono gelato è pari a 2.75, per il secondo 2.25 e così
via. Per quanto riguarda Gianni, la sua disponibilità a pagare per il primo cono gelato è pari a 2.38,
mentre per il secondo è pari a 2.13. Possiamo poi calcolare la domanda di mercato che, come
sappiamo, è pari alla somma orizzontale delle domande individuali. Guardando il terzo grafico,
ossia guardando la domanda di mercato, possiamo notare che per il primo cono Emilia ha la più
alta disponibilità a pagare, di conseguenza la domanda di mercato in corrispondenza di un cono
gelato corrisponderà alla disponibilità a pagare di Emilia (2.75). Tra i due come seconda unità nella
curva di domanda di mercato dovremo considerare il primo cono considerato da Gianni (2.38),
dopodiché si torna ad Emilia con 2.25 e poi ancora Gianni con 2.13, e così via. Per comodità
consideriamo soltanto i primi tre coni gelato della domanda di mercato e vediamo come
possiamo calcolare il surplus lordo del consumatore. Il surplus lordo del consumatore, ossia la
sua disponibilità a pagare, per i primi tre coni è pari alla somma dei relativi primi tre prezzi della
domanda di mercato (2.75, 2.38, 2.25). L’area sottostante la curva di domanda ci dice quanto i
consumatori sono disponibili a pagare in aggregato fino alla quantità che stiamo considerando,
ossia nel nostro caso fino al terzo cono gelato.
Vediamo ora di visualizzare graficamente il surplus totale e di scomporlo in surplus del
consumatore e surplus del produttore, nel caso in cui i beni sono perfettamente divisibili (i coni
gelato non erano perfettamente divisibili):
Il surplus totale è pari alla somma tra il surplus dei consumatori e il surplus dei produttori.
Partiamo dal grafico di destra, nel quale stiamo considerando il mercato del mais. Come sempre
sull'asse delle X abbiamo la quantità di mais, mentre sull’asse delle Y abbiamo il prezzo. La curva
negativamente inclinata grigia rappresenta la domanda di mercato, mentre la curva positivamente
inclinata blu rappresenta l'offerta di mercato.
Innanzitutto, calcoliamo il surplus del consumatore, che è semplicemente l’area compresa tra la
curva di domanda (inversa) e la retta di prezzo (di equilibrio), ossia il triangolo blu rappresentato
nel grafico. La base del triangolo è pari alla quantità scambiata, ossia la quantità fino al punto B,
fino al punto di equilibrio. L'altezza è la differenza tra la massima disponibilità a pagare dei
consumatori (ovvero l’intersezione della curva di domanda con l'asse delle Y) e il prezzo (di
equilibrio).
Invece, il surplus del produttore è pari ai ricavi meno i costi totali evitabili. I ricavi sono uguali al
prezzo per le quantità, ovvero all’area del rettangolo ABCD. Mentre i costi totali evitabili sono dati
dall'area sotto la curva di offerta (che come sappiamo corrisponde alla funzione del costo
marginale), ossia dal triangolo DBC. Facendo la differenza tra queste due aree, otteniamo l'area
grigia ABD, che rappresenta appunto il surplus del produttore. A questo punto sommiamo il
surplus del produttore con il surplus del consumatore e otteniamo il surplus totale, ovvero l’area in
azzurino nel grafico a sinistra, che in altre parole è l’area compresa tra la domanda e l'offerta.
Perdita secca
La perdita secca di benessere è la riduzione del surplus totale al di sotto del massimo valore
possibile. In un mercato perfettamente concorrenziale, il surplus totale viene massimizzato e
quindi la perdita secca di benessere è pari a zero.
In corrispondenza di qualsiasi quantità differente da quella che otteniamo in un mercato
perfettamente concorrenziale la perdita secca di benessere è positiva.
In base anche a quanto abbiamo detto analizzando il grafico, possiamo affermare che la
variazione di ricavo (ΔR) è pari alla somma tra l'effetto di espansione della produzione (area
azzurra), che è positivo, e l'effetto di riduzione del prezzo (area grigia), che è negativo. L'effetto di
espansione della produzione è pari a P(Q) * ΔQ, dove, come abbiamo visto poc'anzi, P(Q) è
l'altezza e ΔQ è la base. L'effetto di riduzione del prezzo è pari a ΔP * (Q - ΔQ), dove ΔP è l'altezza
e Q - ΔQ è la base.
A questo punto possiamo trovare il ricavo marginale, che è pari al rapporto tra ΔR e ΔQ (ΔR/ΔQ),
ossia è pari alla variazione del ricavo fratto la variazione delle quantità. Possiamo poi esplicitare
ΔR in base alla formula che abbiamo trovato nel punto precedente (somma tra i due effetti).
Facendo i relativi passaggi e sapendo che Q - ΔQ nel caso di una produzione infinitamente
divisibile è pari a Q, otteniamo la formula finale dove il ricavo marginale è uguale al prezzo più la
pendenza della curva di domanda moltiplicata per le quantità, dove tale pendenza sappiamo
essere negativa. Ne consegue che il ricavo marginale del monopolista sarà minore del prezzo,
proprio per il fatto che la pendenza è negativa. Invece in concorrenza perfetta, il ricavo marginale
era uguale al prezzo, in quanto in concorrenza perfetta vi era solo l'effetto di espansione della
produzione. Ecco quindi la formula finale del ricavo marginale:
Nell’ultimo punto, data una funzione di domanda dobbiamo ricavare il ricavo marginale.
Innanzitutto ricaviamo il ricavo, che come sappiamo è pari al prezzo (che lo leggiamo dalla
funzione di domanda) per la quantità. Semplifichiamo poi la funzione di ricavo. Infine, possiamo
trovare il ricavo marginale facendo la derivata della funzione di ricavo (come sappiamo il ricavo
marginale è pari alla derivata della funzione di ricavo).
Graficamente possiamo rappresentare la funzione domanda e il ricavo marginale:
Possiamo vedere che il ricavo marginale sta sempre sotto la domanda, ciò perché il ricavo
marginale è sempre inferiore al prezzo. L’unico punto in cui le due rette coincidono è quando le
quantità sono pari a zero.
All'aumentare dell’elasticità della domanda (che ricordiamoci che ci dice di quanto varia
percentualmente la quantità domandata al variare del prezzo dell'1%), l’impresa ha meno bisogno
di ridurre il prezzo per aumentare le vendite (perché la quantità domandata aumenterebbe di poco
al ridursi del prezzo), e di conseguenza il ricavo marginale si avvicinerà al prezzo.
Dunque, la regola di cessazione dell’attività si riduce quindi a controllare che il prezzo sia
maggiore o uguale del costo medio (in concorrenza perfetta il prezzo era sempre uguale al costo
medio minimo, infatti i profitti erano sempre nulli).
Se, invece, un'impresa ha costi irrecuperabili (che sono quei costi fissi che l'impresa deve
sostenere indipendentemente dal fatto che produca o meno, quindi non vanno a influenzare le
decisioni di produzione dell’impresa, ecco perché l’impresa terrà in considerazione solo i costi
evitabili), la regola di cessazione dell’attività consiste nel controllare che il prezzo sia maggiore del
costo evitabile medio (ossia che sia maggiore dei costi totali meno quelli irrecuperabili, quindi che
sia maggiore dei costi evitabili, perché quelli irrecuperabili appunto non deve tenerli in
considerazione).
Ora mettiamo in pratica la regola della cessazione di attività, ricaviamo quindi il profitto per vedere
se l’impresa ha convenienza o meno a produrre.
Possiamo poi affermare che il prezzo che massimizza il profitto del monopolista è in
corrispondenza di un punto dove la domanda è elastica, ossia in corrispondenza di un punto dove
la domanda è minore di -1.
Ora per convincerci di ciò, ovvero per convincerci che il monopolista produrrà nella parte elastica
della domanda, dimostriamolo per assurdo, ovvero dimostriamolo supponendo che il monopolista
non producesse nella parte elastica della domanda, ma che producesse nella parte inelastica
(facendo tale dimostrazione per assurdo arriveremo alla conclusione che il monopolista si vorrà
spostare nella parte elastica della domanda. Infatti alla fine del ragionamento diremo che il
monopolista vorrà spostarsi nella parte elastica della domanda, se decidesse per assurdo di voler
produrre inizialmente in quella inelastica):
Se il prezzo che massimizza i profitti del monopolista fosse in corrispondenza della parte
inelastica della domanda, dove quindi l’elasticità > -1, un aumento del prezzo aumenterebbe la
spesa totale dei consumatori, che coincide con i ricavi del monopolista, mentre i costi
diminuirebbero (perché la domanda è negativamente inclinata, quindi all'aumentare del prezzo si
riducono le quantità e se si riducono le quantità diminuiscono i costi). Supponiamo per assurdo
che il monopolista decida di stabilire un prezzo in corrispondenza proprio della parte inelastica
della domanda (elasticità compresa tra -1 e 0). In questo caso un aumento del prezzo
aumenterebbe la spesa totale dei consumatori, proprio perché la domanda è relativamente rigida
e quindi se il monopolista aumenta il prezzo, la riduzione della quantità è minima. La spesa totale
dei consumatori in altre parole non è altro che il ricavo del monopolista. Quindi partendo dalla
parte inelastica della domanda, se il monopolista aumenta il prezzo, aumenterà il ricavo e i costi si
ridurranno (anche se di pochissimo, perché le quantità si riducono di poco) perché all'aumentare
del prezzo la quantità si riduce (anche sei di poco, visto che la domanda è inelastica) e di
conseguenza riducendosi la quantità si riducono i costi. Ne consegue che il monopolista non
vorrà mai produrre nella parte inelastica della domanda, perché ci guadagnerà sempre quando
aumenta il prezzo, in quanto appunto all'aumentare del prezzo aumentano i ricavi e si riducono i
costi, di conseguenza il monopolista vorrà stare nella parte elastica della domanda. Ma perché se
il monopolista vede aumentati i ricavi e diminuiti i costi non vorrà mai produrre nella parte
inelastica della domanda??? Dobbiamo supporre che il monopolista decida di produrre una
quantità in corrispondenza della parte inelastica della domanda. Questa quantità massimizza il
suo profitto? No, perché se aumenta il prezzo aumentano i ricavi e si riducono i costi, quindi il
monopolista si vorrà spostare da questa parte della domanda e andare verso la parte elastica
della domanda. Perché si vorrà spostare? Perché se aumenta il prezzo aumentiamo anche
l’elasticità. Ciò vuol dire che all'aumentare del prezzo il monopolista si sposta sempre di più nella
parte elastica della domanda, che è proprio quella in cui alla fine vuole restare, perché lui ha
convenienza ad aumentare il prezzo (poiché aumentano i ricavi e si riducono i costi), quindi il
monopolista aumenterà il prezzo, e aumentandolo finirà nella parte elastica della domanda. È
questo il ragionamento che bisogna fare. Se quindi il monopolista fissa un prezzo in
corrispondenza della parte della domanda inelastica alla fine vorrà tornare ancora nella parte di
domanda elastica.
Facciamo il ragionamento opposto: se la domanda è elastica possiamo dire con certezza che lui
si vorrà spostare? No, non possiamo dirlo, perché in questo caso, da una parte, a seguito
dell'aumento dei prezzi i costi si ridurrebbero, perché se aumentano i prezzi, le quantità
domandate diminuiscono più che proporzionalmente (domanda elastica) e quindi diminuiscono i
costi. Dall'altra parte la spesa totale (ossia il ricavo del monopolista) si riduce all'aumentare del
prezzo. Quindi se siamo nella parte elastica, il monopolista vede ridursi i costi, ma anche i ricavi.
In questo caso non abbiamo la certezza che il monopolista vorrà muoversi verso la parte
inelastica della domanda. Invece, se partiamo dalla domanda inelastica sapremo con certezza
che il monopolista si muoverà verso la parte elastica. Ecco perché affermiamo che il monopolista
vorrà stare nella parte di domanda elastica (perché se è nella parte inelastica vorrà andare in
quella elastica, mentre se è nella parte elastica non è detto che voglia andare in quella inelastica).
Vediamo ora gli effetti sul benessere dei consumatori e dei produttori derivanti da una situazione
di monopolio. Nel grafico a sinistra abbiamo, come sempre, sull'asse delle X la quantità e
sull'asse delle Y il prezzo. Abbiamo poi la curva di domanda negativamente inclinata e la curva
del costo marginale positivamente inclinata. Ora vediamo gli effetti sul surplus del consumatore e
del produttore in concorrenza perfetta e poi vediamo gli stessi effetti in monopolio.
In concorrenza perfetta sappiamo che il prezzo deve essere uguale al costo marginale, di
conseguenza la quantità prodotta in concorrenza perfetta è pari al punto di incontro tra la curva
del costo marginale e la domanda, ossia 8000. Il surplus del consumatore (come possiamo
vedere anche dal grafico di destra) è l'area del triangolo compreso tra la curva di domanda
inversa e la retta di prezzo (dove il prezzo di equilibrio è pari a 40, ovvero il prezzo in
corrispondenza di una quantità pari a 8000), in altre parole il surplus del consumatore sarà pari
alla somma tra l’area A, B e F. Ora vediamo il surplus del produttore sempre in concorrenza
perfetta, che, supponendo che non vi siano costi fissi, sarà pari all’area del triangolo compreso tra
la retta di prezzo (40) e la retta del costo marginale, in altre parole sarà pari alla somma tra l'area
C, E e G, o più semplicemente è pari alla differenza tra i ricavi e i costi. La somma tra queste aree
sarà poi sottratta, qualora vi siano, dai costi fissi evitabili (che vanno considerati se ci sono,
mentre non vanno considerati i costi fissi irrecuperabili).
Il surplus totale è pari al surplus del consumatore più il surplus del produttore, ossia sarà pari alla
somma tra le aree A, B, C, E, F, G.
Ricordati che se i costi fissi evitabili (sono quelli irrecuperabili che non vanno considerati nel
calcolo del surplus) ci sono vanno sempre sottratti nel calcolo del surplus del produttore (come
puoi vedere dal grafico di destra).
Ora confrontiamo i due surplus in concorrenza perfetta con i due surplus in monopolio.
In monopolio la quantità prodotta sarà pari a 4800 (lo sappiamo dagli esercizi fatti
precedentemente), mentre il prezzo sarà pari a 56.
Il surplus del consumatore sarà sempre pari all'area compresa tra la funzione di domanda inversa
e la retta di prezzo; in questo caso corrisponderà alla sola area del triangolo A. Possiamo subito
evidenziare che i consumatori in monopolio subiscono una perdita di benessere rispetto alla
concorrenza perfetta, questa perdita è pari alla somma delle aree B ed F, ossia le aree non
comprese nel surplus del consumatore in monopolio.
A questo punto ricaviamo il surplus del produttore in monopolio, che sarà pari, come prima, alla
differenza tra i ricavi totali e i costi totali. I ricavi totali sono dati da prezzo per quantità, dunque
l'area dei ricavi sarà proprio quella compresa tra un prezzo pari a 56 e una quantità pari a 4800. I
costi totali corrispondono all'area sotto la curva del costo marginale. Ne consegue che il surplus
del produttore sarà pari alla somma delle aree B, C ed E. Ora confrontiamo il surplus del
produttore in monopolio con quello in concorrenza. Nel caso del monopolio il produttore
guadagna l'area B ma perde l'area G. L'area B però è molto più grande dell'area G, di
conseguenza il monopolista guadagnerà di più rispetto al produttore in concorrenza perfetta.
Il surplus totale in monopolio poi sarà dunque pari alla somma delle aree A, B, C, E. Confrontiamo
I due surplus e, nello e specifico, facendo la differenza tra l'area del surplus totale in concorrenza
e l'area del surplus totale in monopolio (A,B,C,E,F,G - A,B,C,E) possiamo vedere la perdita secca
di benessere del produttore in monopolio rispetto al produttore in concorrenza. La perdita secca
di benessere del monopolista è dunque pari alla somma tra le due aree F e G.
Possiamo poi calcolare in maniera analitica il surplus del produttore e del consumatore in
concorrenza e in monopolio:
Il surplus del consumatore in concorrenza perfetta lo ricaviamo facendo il prodotto tra la base e
l'altezza del triangolo, e poi il risultato lo dividiamo per due (come puoi vedere dal primo punto).
Invece il surplus del produttore è la differenza tra l'area dei ricavi totali e l’area dei costi totali
(costi variabili più costi fissi). Stessa logica per il resto... Quindi avendo i dati del grafico di sinistra
dell'immagine precedente e i dati dell'esercizio ancora prima, puoi calcolare coi numeri i vari
surplus.
Vediamo un esempio:
Abbiamo due imprese, Pepsi e Coca-cola, che possono decidere se applicare un prezzo basso o
un prezzo alto. È molto simile al dilemma del prigioniero. Vediamo di ricavare la risposta ottima di
ciascuna. Se la Pepsi fissa un prezzo alto, la Coca-cola deciderà di fissare un prezzo basso
(1700>1500), mentre se decide di fissare un prezzo basso la Coca-cola deciderà sempre di fissare
un prezzo basso. Possiamo quindi dire che la risposta ottima di Coca-cola è quella di stabilire un
prezzo basso, perché rappresenta la soluzione migliore sia se Pepsi sceglie un prezzo basso sia
se sceglie un prezzo alto. Se Coca-cola sceglie un prezzo alto allora Pepsi sceglierà un prezzo
basso. Se coca-cola sceglie un prezzo basso allora Pepsi sceglierà sempre un prezzo basso.
Possiamo quindi dire che la risposta ottima di ciascuna impresa è quella di scegliere il prezzo
basso. Il quadrante contenente la risposta ottima di entrambe le aziende è quello in basso a
destra, che rappresenta l'equilibrio di Nash (dove tutte e due le aziende stabiliscono un prezzo
basso).
Entrambe le imprese nell'equilibrio di Nash ottengono un profitto pari a 1000. Però qualora
potessero colludere, ossia qualora potessero mettersi d’accordo, preferirebbero entrambe fissare
un prezzo alto, in quanto entrambe otterrebbero un profitto pari a 1500 invece che 1000. Ciò dà
l’idea che in concorrenza, ossia in presenza di un oligopolio, le imprese sono spinte a fissare un
prezzo più basso, invece nel caso in cui si colludono e vadano a formare un monopolio, esse
sono spinte a fissare un prezzo più alto.
Ogni impresa è indotta a praticare un prezzo più basso del rivale per servire tutta la clientela, il
che spinge i prezzi fino al costo marginale. Infatti, se l'impresa fissa un prezzo anche di
pochissimo inferiore all’impresa rivale, essa si accaparrerebbe tutta la clientela. Quindi il prezzo di
equilibrio nel modello di Bertrand sarà pari al costo marginale. Praticamente otteniamo il
medesimo risultato che otterremmo in concorrenza perfetta (perché come sappiamo anche lì il
prezzo è uguale al costo marginale).
Per dimostrare ciò, supponiamo che entrambe le imprese fissino un prezzo pari al costo
marginale. In tal caso, il risultato è un equilibrio di Nash, in cui le imprese fanno profitti nulli.
Supponiamo che il costo marginale sia pari a 10 e che entrambe le imprese fissino tale prezzo.
Come facciamo a dimostrare che tale prezzo sia un equilibrio? Dobbiamo vedere se una delle due
imprese, data la strategia dell'altra, ha un incentivo a fissare un prezzo diverso da 10. Se una delle
due imprese fissa un prezzo maggiore, essa perderebbe tutta la clientela e dunque l’impresa non
ha incentivi a fissare un prezzo maggiore. Inoltre l’impresa non ha neanche l'incentivo a fissare un
prezzo minore, perché altrimenti incomberebbe in una perdita, visto che fisserebbe un prezzo
inferiore al costo marginale. Abbiamo dunque dimostrato che quando il prezzo è uguale al costo
marginale, esso rappresenta un prezzo di equilibrio, in quanto l'impresa, data la strategia
dell’altra, non avrà alcun incentivo a modificare il prezzo. Un equilibrio del modello di Bertrand è
quindi rappresentato dal prezzo uguale al costo marginale.
Ora dobbiamo dimostrare che questo equilibrio è unico, cioè che non esista un altro equilibrio
differente dal prezzo uguale al costo marginale.
Supponiamo che entrambe le imprese fissino un prezzo pari a 15, sempre con un costo marginale
uguale a 10. Questo è un equilibrio di Nash? No, perché le imprese potrebbero avere un incentivo
a deviare da questo equilibrio. Le imprese non hanno alcun incentivo a fissare un prezzo
maggiore, tuttavia hanno un incentivo a fissare un prezzo minore perché non andrebbero in
perdita e allo stesso tempo ruberebbero l'intera clientela all'altra impresa.
Possiamo arrivare alla stessa conclusione se un'impresa fissasse un prezzo inferiore al costo
marginale, in tal caso l'altra impresa non fisserebbe anch'essa tale prezzo, ma avrebbe un
incentivo a fissare un prezzo superiore (prezzo di break-even point), in modo tale da non
incombere in perdite.
Possiamo dunque affermare che non esiste nessun equilibrio di Nash in cui si effettuano vendite
ad un prezzo diverso dal costo marginale. L’equilibrio di Nash, per quanto riguarda il modello di
Bertrand, si ha soltanto quando il prezzo è uguale al costo marginale. Si può quindi concludere
dicendo che, in un modello di Bertrand si raggiunge lo stesso risultato che in concorrenza
perfetta, in quanto il prezzo di equilibrio è uguale al costo marginale.
Nel grafico di sinistra abbiamo la curva di domanda di mercato, di costo marginale e di ricavo
marginale. Nella situazione descritta dal grafico, quale sarebbe il prezzo di monopolio? Qualora ci
fosse una sola impresa e dunque ci trovassimo in una situazione di monopolio, il prezzo di
equilibrio sarebbe 70, ossia il punto in cui la curva del costo marginale interseca la curva del
ricavo marginale (infatti come sappiamo in monopolio la quantità si trova facendo l’uguaglianza
tra costo marginale e ricavo marginale, dopodiché andando verso l'alto troviamo il prezzo che
interseca la curva di domanda).
Ora analizziamo il modello di Bertrand e passiamo quindi al grafico di destra. Supponiamo che
un’impresa abbia deciso di fissare un prezzo pari a 70 (ossia il prezzo di monopolio). L'altra
impresa, se fissa un prezzo maggiore di 70 avrebbe una domanda nulla, perché tutti i consumatori
andrebbero dall‘impresa che offre un prezzo inferiore. Se invece l’altra impresa fissa un prezzo
uguale a 70, allora le due imprese si dividerebbero la clientela, di conseguenza ognuna di loro
produrrebbe 1500 (3000 totale, 1500 ciascuna). D'altro canto se l'altra impresa decida di fissare
un prezzo inferiore a 70, la domanda di tale impresa coinciderebbe alla domanda di mercato, in
quanto si accaparrerebbe tutta la clientela. Possiamo dunque affermare che l'altra impresa ha un
incentivo a fissare un prezzo minore di 70.
Lo stesso ragionamento vale anche se la prima impresa decida di fissare un prezzo pari a 50.
L’altra impresa avrà una domanda nulla se fissa un prezzo maggiore di 50, le due imprese si
divideranno la clientela se fissa un prezzo pari a 50, l'altra impresa avrà una domanda che
coincide alla domanda di mercato se decide di fissare un prezzo inferiore a 50 (ossia circa 5000).
Invece, se un’impresa decidesse di fissare un prezzo pari a 40, ossia pari al costo marginale,
all'impresa conviene fissare anch'essa un prezzo pari a 40, perciò la risposta ottima dell'altra
impresa è quella di fissare un prezzo pari a 40, pari al costo marginale. Abbiamo quindi dimostrato
anche graficamente perché nel modello di Bertrand l'equilibrio è rappresentato da un prezzo pari
al costo marginale. Nello specifico, se l'altra impresa fissasse un prezzo maggiore di 40 avrebbe
una domanda nulla, se invece fissasse un prezzo inferiore a 40 si accaparrerebbe tutta la
domanda di mercato ma andrebbe in perdita, ne consegue che la risposta ottima è fissare un
prezzo pari a 40, ossia pari al costo marginale (dove le imprese avrebbero una quantità di
equilibrio pari a 3000 ciascuno, in quanto 6000 è la quantità totale e esse come sappiamo si
dividono in maniera equa la clientela, dunque 3000). 40 rappresenta perciò l'equilibrio di Nash,
che è l'equilibrio unico possibile.
Per ricavare l'equilibrio nel modello di Cournot dobbiamo riprendere il concetto di equilibrio di
Nash. Qui però la scelta non riguarda il prezzo ma le quantità. In un equilibrio di Nash, quindi, la
scelta di produzione di ciascuna impresa massimizza il profitto individuale, data la scelta
produttiva dell’impresa rivale. Il primo passo da compiere per ricavare l'equilibrio nel modello di
Cournot è derivare la curva di domanda residuale di un’impresa. Tale curva mostra la relazione
tra la produzione di un'impresa ed il prezzo di mercato, data la produzione dell'altra impresa.
Vediamo come ricavare questa curva di domanda residuale graficamente:
Supponiamo che l’impresa Rebecca produca 2000. Dato che Rebecca produce 2000, quale è la
curva di domanda residuale di Giovanni, ossia quale è la relazione tra la produzione ed il prezzo,
data la produzione di Rebecca? La curva di domanda residuale si ottiene traslando verso sinistra
la curva di domanda di un'ammontare che corrisponde proprio alla produzione di Rebecca.
Perché si fa ciò? Supponiamo per esempio che il prezzo di mercato sia pari a 80, dalla curva di
domanda vediamo che la quantità domandata è pari a 2000. Ma se Rebecca produce 2000 quale
sarà la curva di domanda residuale di Giovanni? Ovviamente sarà pari a zero. Supponiamo ora
che il prezzo di mercato sia pari a 40, dalla curva di domanda ricaviamo che la quantità
domandata è pari a 6000. Se Rebecca produce 2000, quindi la curva di domanda residuale di
Giovanni sarà pari a 4000 (6000-2000). Quello che stiamo facendo è semplicemente traslare verso
sinistra la curva di domanda di un ammontare pari a 2000, ossia pari alla quantità prodotta di
Rebecca.
Stesso discorso si applica se la produzione di Rebecca fosse uguale a 4000, in tal caso per
ricavare la curva di domanda residuale di Giovanni bisognerà traslare la curva di domanda di 4000
(come possiamo vedere dal grafico di destra). Se il prezzo di mercato è pari a 60, la quantità
domandata sarà pari a 4000. Sapendo che Rebecca produce 4000, la quantità di domanda
residuale di Giovanni sarà pari a 0. E così via...
Il secondo passo da compiere per ricavare l'equilibrio di Nash nel modello di Cournot consiste nel
caratterizzare le risposte ottime (best responses) delle imprese. La risposta ottima rappresenta
la scelta di un giocatore che massimizza il proprio payoff, data la scelta dell'altro giocatore. Il
livello di produzione che massimizza il profitto di un’impresa, ossia la risposta ottima, per un dato
livello di produzione dell'altra impresa corrisponde alla quantità che eguaglia il ricavo marginale al
costo marginale.
La curva di risposta ottima (o curva di reazione) di un'impresa mostra la risposta ottima
dell'impresa per ogni possibile livello di produzione della sua rivale. Abbiamo già parlato di curve
di risposte ottime per quanto riguarda la teoria dei giochi. La curva di risposta ottima di
un'impresa ha pendenza negativa e ciò indica che, all'aumentare della produzione dell'impresa
rivale, diminuisce la quantità che l’impresa desidera produrre. Vediamo questi concetti
graficamente:
Nel grafico di sinistra abbiamo la produzione di Rebecca pari a 2000 metri cubi. Il primo passo,
ossia il calcolo della domanda residuale, è già stato svolto nel grafico precedente, quindi ci
limitiamo a riportare tale curva nel grafico. Data la curva di domanda residuale di Gianni, noi
dobbiamo ricavare la sua risposta ottima, ossia il livello di produzione che massimizza il profitto di
Gianni per ogni dato livello di produzione di Rebecca (in questo caso consideriamo il livello di
produzione di Rebecca pari a 2000). Per calcolare la risposta ottima dobbiamo quindi calcolare la
quantità che massimizza il profitto di Gianni, che sappiamo essere in corrispondenza del punto
tale che il ricavo marginale è uguale al costo marginale. Perciò, partiamo dalla curva di domanda
residuale di Gianni, che abbiamo ricavato dal grafico precedente, dopodiché calcoliamo il ricavo
marginale. Il ricavo marginale con una curva di domanda lineare è la curva che interseca l'asse
delle Y nello stesso punto in cui la curva di domanda lo interseca (in corrispondenza di un prezzo
pari a 80) e che ha pendenza doppia rispetto alla curva di domanda. Il ricavo marginale quindi si
trova sotto la curva di domanda. Supponiamo poi che il costo marginale sia costante e che sia
pari a 40. Nel punto in cui il costo marginale interseca la curva di ricavo marginale otteniamo una
quantità pari a 2000. Questa quantità ci dice proprio la produzione di Gianni che massimizza il suo
profitto, data una produzione di Rebecca pari a 2000. Abbiamo dunque ricavato la quantità che
massimizza il profitto di Gianni, dato il livello di produzione di Rebecca. Perciò, la risposta ottima
di Gianni, dato il livello di produzione di Rebecca pari a 2000, è pari a 2000 (quantità che
massimizza il profitto di Gianni, dato il livello di produzione di Rebecca pari a 2000).
Supponiamo ora nel secondo grafico che la produzione di Rebecca sia pari a 4000. Facciamo il
medesimo procedimento. Partiamo dalla curva di domanda residuale di Gianni. Otteniamo poi il
ricavo marginale nel medesimo modo di prima e la curva di costo marginale. La quantità che
massimizza il profitto di Gianni dato un livello di produzione di Rebecca pari a 4000, ossia la
risposta ottima di Gianni, è pari alla quantità che si evince dall'intersezione tra la curva del costo
marginale e la curva di ricavo marginale. La quantità di risposta ottima di Gianni, dato il livello di
produzione di Rebecca pari a 4000, è dunque pari a 1000.
Possiamo ora ripetere questo procedimento per ogni dato livello di produzione di Rebecca e
otteniamo così la curva di di risposta ottima di Gianni (indicata con l'acronimo BR= best
response). Analogamente possiamo ricavare anche la curva di risposta ottima di Rebecca. Dove
possiamo notare come se Gianni produce 4000, allora la risposta ottima di Rebecca è produrre
1000; se Gianni produce 2000 allora la risposta ottima di Rebecca è produrre 2000, e così via...
Vediamolo graficamente:
Dopodiché, l'intersezione tra le due risposte ottime ci dà proprio l'equilibrio di Nash nel modello di
Cournot:
L’equilibrio di Nash è pari, sia per Rebecca sia per Gianni, a 2000. Dimostriamo che questo
rappresenta l’equilibrio di Nash per entrambi verificando che non vi sia alcun incentivo a cambiare
scelta, data la scelta dell'altro. Data una quantità di produzione di Gianni pari a 2000, la risposta
ottima di Rebecca è proprio produrre 2000. Data una quantità di produzione di Rebecca pari a
2000, la risposta ottima di Gianni è sempre pari a 2000. Data la scelta dell'altro, l'altro giocatore
non ha alcun incentivo a scegliere una quantità diversa da quella rappresentata dall’equilibrio di
Nash.
-Terzo punto immagine sinistra—> calcoliamo la domanda residuale. Per calcolare la domanda
residuale dovremo semplicemente mettere tra parentesi la quantità prodotto dall'altra. Quindi per
calcolare la domanda residuale di Gianni, metteremo tra parentesi la quantità prodotta da
Rebecca. Mentre per calcolare la domanda residuale di Rebecca, metteremo tra parentesi la
quantità prodotta da Gianni. È importante mettere tra parentesi la quantità prodotta dall'altro
perché noi poi tale quantità la dovremo considerare come costante/variabile esogena (variabile
che consideriamo come tale) nel momento in cui andremo a determinare la risposta ottima.
-primo punto immagine destra—> dobbiamo calcolare le curve di risposta ottima (curve di
reazione).
-terzo punto immagine destra—> per trovare il ricavo marginale di Gianni dobbiamo fare P (ossia
la curva di domanda inversa, e la ricopiamo) più Delta P su Delta Q di Qg, dove Delta P su Delta Q
non è altro che la derivata di P rispetto a Qg, ovvero -0,01. Al -0,01 moltiplichiamo poi Qg. Ecco
come abbiamo determinato il ricavo marginale di Gianni. La cosa importante è che devi ricordarti
che Delta P su Delta Q è la derivata di P rispetto a Qg (quantità di Gianni, perché stiamo facendo
il ricavo marginale di Gianni). Stessa cosa faremo per determinare il ricavo marginale di Rebecca
(nella figura in basso a sinistra).
-primo punto immagine destra—> se stai calcolando Qr, Qg va via, lo sostituisci proprio con il Qg.
Se stai calcolando Qg, Qr lo sostituisci e va via. I risultati rappresentano le quantità prodotte da
ciascuno in equilibrio. La quantità di equilibrio per entrambi è pari a 2000.
-ultimo punto immagine destra—> per
trovare i profitti faremo ricavi - costi. I ricavi
sono pari al prezzo di equilibrio (60) per la
quantità di equilibrio (2000). I costi li troviamo moltiplicando il costo marginale (40) per la quantità
di equilibrio (2000).
-primo punto immagine sinistra—> nella funzione di quantità della Coca i prezzi tra parentesi ci
dicono che se il prezzo della Pepsi è maggiore di quello della Coca, allora le quantità domandate
di Coca aumenteranno. Se invece il prezzo della Pepsi è minore del prezzo della Coca, allora le
quantità di Coca diminuiranno. Stesso discorso ma inverso per la funzione di quantità della Pepsi.
Già dalle funzioni di domanda si può quindi capire che i prodotti sono differenziati e non
omogenei.
Noi però non siamo interessati a questo equilibrio, noi vogliamo vedere i casi in cui il prezzo è
maggiore del costo marginale. Possono quindi esistere altri equilibri.
Supponiamo che le imprese adottino entrambe la stessa strategia: fissare il prezzo di monopolio
se nessuno ha fissato (in passato) un prezzo più basso; altrimenti, fissare un prezzo pari al costo
marginale. Dunque, se nessuna impresa in passato ha fissato un prezzo più basso, allora esse
cooperano nel mantenere il prezzo di monopolio (questa cooperazione ha successo solo se le
imprese hanno cooperato negli stadi precedenti). Altrimenti, se un’impresa abbassa il prezzo,
allora le imprese iniziano una guerra di prezzi che ha l'effetto di portare il prezzo al costo
marginale. Questo è un esempio di strategia punitiva (o grim strategy) (questa strategia
corrisponde al caso del dilemma dei coniugi, soltanto che qua lo applichiamo alla competizione
tra le imprese). Se un’impresa fissa il prezzo al costo marginale, l'altra impresa farà lo stesso e
quindi possiamo dire che la minaccia è credibile.
Questa strategia abbiamo visto che ci dice che le imprese fissano un prezzo di monopolio se
nessuna impresa nei periodi precedenti ha fissato un prezzo inferiore. Abbiamo anche visto che la
minaccia di stabilire un prezzo uguale al costo marginale qualora una delle imprese riducesse i
prezzi è credibile. Ora consideriamo anche un'altra questione: l'incentivo da parte di un’impresa,
nonostante la minaccia, a stabilire un prezzo più basso rispetto a quello di monopolio. In poche
parole cerchiamo di capire se l’impresa ha convenienza a far ciò o meno, se l’impresa ha
convenienza a deviare dal prezzo di monopolio. Ora quindi vediamo i costi e i benefici derivanti
dal taglio del prezzo sotto il livello di monopolio:
(Noi qui il prezzo di monopolio e il profitto li abbiamo come dati acquisiti, però possiamo ricavare
noi stessi che il prezzo di monopolio è pari a 70 e che il profitto è pari a 9000, lo sappiamo fare
dagli esercizi fatti nei paragrafi precedenti).
Quindi se l’impresa fissa un prezzo appena sotto il livello di monopolio, nel periodo corrente
otterrà un profitto pari a 9000, ma da quel momento in avanti otterrà un profitto nullo, perché se
un'impresa abbassa il prezzo poi tutte le altre imprese sono incentivate ad abbassare anch'esse il
prezzo, fino ad arrivare ad un prezzo pari al costo marginale, dove quindi l’impresa otterrà un
profitto nullo.
Ora vediamo invece quello che succede ad un'impresa che fissa un prezzo pari al livello di
monopolio:
Noi dobbiamo calcolare il valore attuale scontato di un flusso di profitti pari a 4500 in ogni
periodo. Per capire il valore attuale scontato supponiamo di investire un euro in banca oggi, nel
periodo successivo otterremo il nostro euro più il tasso di interesse (R). Quindi domani otterremo
un ammontare pari a 1 + R. Se facciamo il ragionamento a ritroso possiamo vedere quanto vale
oggi un euro che io ottengo domani. In termini di oggi, un euro che io posso ottenere domani è
semplicemente pari a 1/1+R. Questa è la formula dell'attualizzazione (che già hai fatto in
matematica alle superiori, ma ciò che interessa a noi è capire cosa significa in termini di oggi, un
euro che io ottengo domani). Quindi se la nostra impresa decide di fissare un prezzo pari al livello
di monopolio, oggi otterrà 4500, poi domani in termini di oggi otterrà 4500/1+R, dopodomani in
termini di oggi otterrà 4500/(1+R)^2,... Da questa formula si può intuire come 4500 domani valga
meno di 4500 oggi, così come 4500 dopodomani varrà meno di 4500 domani. Perciò più si va
avanti più il risultato sarà minore del 4500 iniziale.
La formula finale (4500/R)*(1+R) ci dice il valore in termini di oggi di un flusso di profitti pari a
4500, che l’impresa ottiene da oggi in avanti.
Perché abbiamo bisogno di calcolare il valore attuale scontato? Perché la nostra impresa nel
momento in cui le altre imprese fissano un prezzo di monopolio pari a 70, deve confrontare i costi
ed i benefici dal tagliare il prezzo leggerissimamente sotto a 70. Abbiamo visto che se l'impresa
taglia il prezzo appena sotto a 70, avrà un guadagno pari al profitto di monopolio nel periodo
corrente (9000), ma otterrà zero nei periodi successivi. Però se l’impresa decide di stabilire un
prezzo pari al livello di monopolio (se l’impresa decide di colludere), otterrà in ogni periodo la
metà dei profitti di monopolio (4500). Noi poi dobbiamo calcolare in termini di oggi quanto vale
questo flusso di profitti. Ecco perché utilizziamo il concetto di valore attuale scontato.
A questo punto quello che ci resta da fare è confrontare i costi ed i benefici derivanti dal taglio del
prezzo, da cui evinciamo che:
Un’impresa non taglierà il prezzo sotto il livello di monopolio se il guadagno dal taglio di prezzo
(9000+0) è minore o uguale del valore attuale scontato dei profitti da collusione ((4500/R)*(1+R).
R <=1 lo otteniamo facendo i passaggi partendo dalla formula iniziale e poi, infine, esplicitando
per R.
Possiamo perciò affermare che se R <=1 allora la collusione può essere sostenuta. Il tasso di
interesse deve essere piccolo abbastanza per poter sostenere la collusione. Per capire ciò
supponiamo il caso in cui una banca chieda un tasso di interesse molto elevato, in tal caso
significa che la nostra banca si preoccupa più del presente che del futuro. Invece, se il tasso di
interesse è basso (<=1) significa che la nostra banca si preoccupa più del futuro. Quindi se R deve
essere minore o uguale a 1 significa che siamo in un mercato in cui ci si preoccupa di più al futuro
piuttosto che al presente. La collusione quindi può essere sostenuta solamente quando le
imprese si preoccupano sufficientemente del futuro.
Per capire ancora meglio, supponiamo che il tasso di interesse sia pari a zero. In tal caso vuol dire
che un euro oggi vale come un euro domani. Se invece il tasso di interesse è molto elevato,
significa che un euro oggi vale molto di più di un euro domani. Ciò per capire che all’aumentare
del tasso di interesse, saremo di fronte ad un mercato che si preoccupa meno del domani ma più
dell'oggi. Quindi, ritornando a noi, per sostenere la collusione, R deve essere minore o uguale a 1,
quindi per sostenere la collusione dobbiamo essere in un mercato in cui le imprese si preoccupino
sufficientemente del futuro.
L’impresa che decide di tagliare il prezzo leggerissimamente sotto il livello di monopolio, è vero
che oggi guadagnerà tutti i profitti, però allo stesso tempo è consapevole che da domani perderà
la metà dei profitti di monopolio per sempre, e se il tasso di interesse è piccolo (<=1) questa
perdita sarà molto significativa. Ne consegue che l'impresa preferirà non tagliare il prezzo oggi. La
minaccia di scatenare una guerra dei prezzi qualora l’impresa decida di tagliare il prezzo appena
sotto il livello di monopolio è credibile, funziona. Se, invece, alla nostra impresa non interessa il
futuro, allora la minaccia non funzionerà, perché preferirà stabilire un prezzo appena sotto il livello
di monopolio, così da ottenere più profitti oggi. In tal caso all’impresa non interessa se poi perderà
la metà dei profitti dopo, in quanto a lei interessa il presente e nel presente ottiene tutti i profitti.
Esistono poi altri fattori che ostacolano la collusione. Alla fine di ogni periodo, sappiamo che ogni
impresa osserverà i prezzi fissati dalla rivale. Se ogni impresa non è in grado di osservare i prezzi
fissati dalla rivale alla fine di ogni periodo, è molto più difficile sostenere la collusione. Dunque, in
molte situazioni, un’impresa osserva i prezzi dei rivali in maniera imperfetta o non li osserva affatto
e, quindi, non potrà sapere con certezza se una delle imprese rivali ha violato l’accordo collusivo
o meno. È quindi possibile attuare la minaccia solamente qualora si osservino i prezzi dei rivali.
Inoltre, in presenza di beni differenziati o di costi marginali differenti, diventa più difficile
raggiungere un accordo collusivo.
Un altro fattore è infine che la guerra di prezzi che deriva dall'abbassamento del prezzo potrebbe
non portare i profitti a zero.
Nel grafico di sinistra vediamo cosa succede quando nel mercato entra la prima impresa. Quando
entra la prima impresa, quale è il benessere sociale dovuto dall'entrata della prima impresa? Il
benessere sociale è pari all’area del trapezio (area grigia più area azzurrina), ossia è pari alla
somma dell'area del surplus del consumatore (area grigia) e dell'area del surplus del produttore
(area azzurrina). Supponiamo ora che il prezzo di entrata sia maggiore rispetto all'area azzurra,
quindi che sia maggiore dei profitti dell'impresa al lordo del costo d'entrata, ma sia minore
rispetto alla somma tra l'area grigia e l'area azzurra. In questa situazione l’impresa deciderà di non
entrare, in quanto il profitto che ottiene al lordo del costo d'entrata è minore rispetto al costo
d'entrata. D'altro canto, visto che il costo d'entrata è minore della somma tra l'area grigia e l'area
azzurra, la società vorrebbe che l’impresa entrasse, proprio perché il benessere che otterrebbe
nel caso di entrata è positivo. Abbiamo quindi una situazione in cui la società vorrebbe che
l’impresa entrasse, ma l’impresa non ha nessun incentivo ad entrare. Quindi, quando siamo di
fronte al primo entrante si creano i presupposti per sussidiare le entrate, per dare un incentivo
all’impresa ad entrare.
Ora vediamo cosa succede con il secondo entrante (grafico di destra). Qui abbiamo il caso in cui
vi siano due imprese nel mercato e, in tal caso, il prezzo di mercato scende da 70 a 60. Adesso
vediamo quale è il guadagno che l’impresa ottiene dall'ingresso della seconda impresa e quali
sono gli incentivi di questa seconda impresa ad entrare. Innanzitutto, il guadagno che l'impresa
ottiene per il fatto che una seconda impresa entra è dato dall'area del trapezio, rappresentata
dalla somma dell'area grigia e dell'area azzurro chiaro. A questo punto, consideriamo quale è il
profitto che la seconda impresa ottiene. Supponendo che le due imprese si spartiscano il mercato
in maniera uguale, nel momento in cui la quantità totale è pari a 4000, ciascuna impresa produrrà
2000, di conseguenza il profitto della seconda impresa al lordo dei costi di entrata sarà dato
dall'area del rettangolo, rappresentata dalla somma dell'area blu e dall'area azzurro chiaro.
Se l'area grigia più l'area azzurro chiaro, ossia se il beneficio che la prima impresa ottiene
dall'entrata della seconda impresa, è minore rispetto al costo d'entrata, la prima impresa vorrebbe
che la seconda impresa non entrasse. D'altro canto, se il costo di entrata è minore rispetto ai
profitti che la seconda impresa otterrebbe, ossia se è minore della somma dell'area blu e dell'area
azzurro chiaro, allora la seconda impresa entrerà. In questo caso siamo quindi di fronte ad una
situazione in cui l'entrata della seconda impresa è indesiderata dal punto di vista sociale (la prima
impresa non vuole che la seconda entri. Per società quindi non si intendono solo i consumatori,
ma anche le imprese già operanti nel mercato), ma la seconda impresa comunque entrerà nel
mercato. L'entrata della seconda impresa nel mercato permette di ridurre il prezzo da 70 a 60
(questa è una cosa positiva per la società. Società intensa come consumatori e come imprese già
operanti), ma questo beneficio è molto minore rispetto al beneficio che la seconda impresa
ottiene, derivante dalla sottrazione della clientela altrui. Ai consumatori interessa poco che sia una
o l'altra impresa a vendere i prodotti se questi prodotti sono omogenei (non differenziati).
In conclusione, questo esempio illustra che ci possono essere troppe imprese dal punto di vista
del benessere sociale. Questo spiega anche perché in taluni casi lo Stato voglia regolamentare
l'entrata nel mercato di nuove imprese. Ciò quindi ovviamente non è per dire che è meglio il
monopolio, ma è per capire come a volte l'entrata di troppe imprese possa essere dannosa per il
benessere sociale.
Dal punto di vista strategico, la situazione descritta nel modello di Stackelberg con riferimento a
Rebecca e Gianni equivale alla battaglia dei sessi diseguale tra Antonio e Maria. Rebecca fa il
ragionamento a ritroso, anticipando le risposte ottime di Gianni alle sue (di Rebecca) scelte
produttive e scartando le risposte non ottime di Gianni come azioni non credibili (induzione
all'indietro o backward induction).
L'equilibrio del gioco di Stackelberg è un equilibrio di Nash "ragionevole" nel senso che nessun
giocatore commette l'errore di credere ad una minaccia che non è credibile.
Per quanto riguarda invece i prezzi avremo che il prezzo in concorrenza perfetta sarà uguale al
prezzo in Bertrand, e il prezzo di questi due sarà minore del prezzo in Stackelberg, che sarà a sua
volta minore del prezzo di Cournot, che sarà a sua volta minore del prezzo di monopolio. La scala
dal prezzo minore al prezzo maggiore è esattamente l'opposto rispetto alla scala dalle quantità
minori alle quantità maggiori, ciò ovviamente perché la funzione di prezzo è la funzione inversa
della domanda, quindi è chiaro che siano uno l'opposto dell'altro.
Infine, in termini di benessere sociale avremo il benessere sociale in monopolio sarà minore del
benessere sociale in Cournot, che a sua volta è minore del benessere sociale in Stackelberg, che
è a sua volta minore del benessere sociale in Bertrand e in concorrenza perfetta.
Politiche antitrust
La politica antitrust si applica in maniera piuttosto diffusa ed è orientata al mantenimento di
determinate regole di concorrenza, diversamente dalla regolamentazione di prezzo. La
regolamentazione di prezzo è un approccio invasivo da parte dello Stato, che determina
direttamente il prezzo di alcuni beni e servizi. La regolamentazione di prezzo si applica in settori
molto specifici, come il trasporto o i settori dell’elettricità e dei gas naturali.
Negli Stati Uniti, esistono tre importanti leggi antitrust:
1)Sherman Act (1890):
Sezione 1: "Ogni contratto, associazione basata sulla fiducia o altro, o cospirazione diretta
a ridurre le attività e gli scambi commerciali tra gli Stati federali, o con Nazioni
estere è dichiarata illegale..."
Sezione 2: "Chiunque monopolizzerà, o tenterà di monopolizzare, o cospirerà con altre
persone per monopolizzare qualsiasi parte delle attività e degli scambi commerciali tra gli
Stati federali, o con Nazioni estere, sarà dichiarato colpevole di aver commesso un
crimine...".
2)Clayton Act (1914) identifica alcune pratiche illegali.
3)Federal Trade Commission Act (1914) istituisce la Federal Trade Commission per far
rispettare le leggi antitrust.
Comportamenti di esclusione
Ora andiamo ad affrontare la sezione 2 dello Sherman Act.
Un’impresa dominante può attuare diversi comportamenti che tendono a monopolizzare il
mercato attraverso tattiche di esclusione dei rivali. Queste tattiche di esclusione dei rivali
possono essere:
-pratiche di prezzi predatori—> consistono nel fissare il prezzo al di sotto del costo per indurre
imprese di dimensioni inferiori ad uscire dal mercato (l’impresa rischia di andare
momentaneamente in perdita, ma questo svantaggio sarà compensato dalla successiva
fuoriuscita dal mercato delle imprese di dimensioni inferiori, quindi dopodiché l’impresa potrà
rialzare i prezzi e guadagnare più di quanto ha perso).
-contratti di esclusiva—> la cui sottoscrizione impegna compratori o venditori a non avere
relazioni d'affari con terzi.
-vendita a pacchetti—> la pratica di vendere un bene concorrenziale prodotto da altre imprese
insieme al prodotto dell’impresa monopolistica in modo da impedire alle concorrenti di vendere il
proprio prodotto. Vediamone un esempio: la Microsoft è stata accusata (e trovata parzialmente
colpevole) di avere stipulato contratti con produttori di computer, siti web ed altri produttori di
software, con lo scopo di escludere dal mercato alcuni rivali, come Netscape (che poi di fatto ha
abbandonato il mercato). Inoltre, la Microsoft fu anche accusata (ma non dichiarata colpevole) di
vendite a pacchetti per il fatto di includere nel sistema operativo il proprio web browser (Internet
Explorer) per il quale vi erano ottimi sostituti sul mercato. L’aspetto problematico connesso ai casi
di esclusione è che risulta difficile impedire alle imprese dominanti di svantaggiare i propri rivali
senza limitare i benefici dei consumatori. Quindi è vero che altre imprese furono svantaggiate,
però i consumatori ne hanno tratto vantaggio, in quanto il browser della Microsoft era
(oggettivamente) più semplice da utilizzare. Confrontare questi pro e contro è una questione
complessa che ha portato a numerosi dibattiti sulla scelta delle politiche più adatte a trattare i
comportamenti di esclusione.
PARTE SECONDA:
MACROECONOMIA
CAPITOLO 13: INTRODUZIONE MACROECONOMIA
Macroeconomia
La microeconomia si occupa delle decisioni individuali delle imprese (produttori) e delle famiglie
(consumatori).
Mentre la macroeconomia è il ramo dell'economia politica che studia il funzionamento del
sistema economico nel suo insieme.
Consideriamo la seguente espressione, che mette in relazione i beni finali e i prezzi con il valore
del prodotto aggregato:
Per Z0 si intende il periodo di riferimento, che è uguale alla somma di tutti i termini sul lato di
destra. I termini sul lato di destra rappresentano il prodotto tra la quantità di un determinato bene
e il suo prezzo, avendo una quantità N di beni. Tutti questi beni (finali) sono valutati al periodo 0, al
periodo base. Infatti, con Q con 1,0 si intende la quantità del bene 1 al periodo zero.
Q e P: rappresentano rispettivamente le quantità e i prezzi degli n beni finali, che corrispondono
ai beni di consumo e di investimento in un'economia chiusa.
Z0: indica il valore del prodotto aggregato. Quindi la somma di tutti i beni finali (Z0) rappresenta il
prodotto aggregato. Dal calcolo del prodotto aggregato vanno esclusi i beni intermedi che sono
utilizzati per produrre i beni finali (si pensi alla farina per un fornaio, la farina rappresenta proprio il
bene intermedio).
Q 1,1 significa la quantità del bene 1 al periodo 1, e così via per gli altri.
Y1 è uguale a Z1, l’unica differenza è che invece di considerare i prezzi nel periodo 1,
consideriamo i prezzi del periodo 0.
Possiamo quindi dire che Z1 è il prodotto a prezzi correnti, proprio perché il prezzo è valutato
nello stesso periodo delle quantità (o prodotto nominale).
Invece, Y1 viene definito come prodotto a prezzi costanti, proprio perché viene valutato ai prezzi
dell'anno base, ossia ai prezzi del periodo zero (o prodotto reale).
Si parte da Z1, poi si sottrae Y1 e si somma Y1, che quindi si annulla, e poi si sottrae Y0 che
equivale a Z0, perché l'anno base è il periodo zero. Z1 - Y1 rappresenta ΔP, mentre Y1 - Y0
rappresenta ΔY, quindi ne consegue che la variazione del prodotto a prezzi correnti o prodotto
nominale (ΔZ) sarà uguale a ΔP + ΔY.
Sappiamo poi che Y1, ossia la quantità dei beni valutati al periodo 1 confrontati con i prezzi
valutati all'anno base, corrisponde al prodotto reale. Dato il prodotto reale (Y) e data la sua
variazione (ΔY) (variazione solo delle quantità, in quanto i prezzi rimangono costanti), possiamo
calcolare il tasso di variazione percentuale del prodotto reale:
Y0 è il prodotto reale nel periodo zero, che corrisponde al prodotto aggregato, proprio perché il
periodo zero è il periodo base.
Invece, per quanto riguarda la variazione dei prezzi è possibile calcolare l'indicatore
dell'inflazione:
Sistema economico
Nelle convenzioni internazionali di contabilità nazionale, si utilizza il termine prodotto interno per
indicare la produzione di beni finali effettuata entro i confini di un dato Paese.
Si usa il termine prodotto nazionale per indicare la produzione effettuata in qualsiasi parte del
mondo dalle imprese che hanno la residenza in un determinato Paese.
In un'economia chiusa, il prodotto interno coincide con il prodotto nazionale. Il prodotto interno è
maggiore del prodotto nazionale se il valore della produzione delle imprese estere operanti nel
Paese (prodotto interno) è superiore a quello delle imprese nazionali operanti all'estero (prodotto
nazionale). Viceversa, il prodotto interno è minore del prodotto nazionale se il valore della
produzione delle imprese estere operanti nel Paese (prodotto interno) è inferiore a quello delle
imprese nazionali operanti all'estero (prodotto nazionale).
Lo sviluppo economico può essere definito in senso stretto, come un processo di incremento
costante della capacità produttiva del sistema con conseguente ampliamento sia della
quantità sia della varietà dei beni prodotti (crescita economica). In senso lato, può essere
definito come miglioramento delle condizioni di vita della popolazione (durata media della vita,
stato di salute, livello di istruzione, qualità dell'ambiente).
Il perseguimento di tali obiettivi (piena occupazione e sviluppo economico) è sottoposto a tre
vincoli principali:
1)stabilità dei prezzi (i prezzi non devono oscillare eccessivamente nel tempo).
2)equilibrio del bilancio della Pubblica Amministrazione (equilibrio del bilancio del settore
pubblico).
3)pareggio tendenziale della bilancia dei pagamenti (conto che registra i movimenti di merci,
servizi, trasferimenti e capitali da e verso il resto del mondo).
Questi tre vincoli possono essere sintetizzati con l'espressione stabilità monetaria (interna ed
esterna).
Le cose in realtà sono molto più complicate rispetto a quanto abbiamo visto in questo schema del
flusso circolare del reddito. Le cose sono più complicate perché nella realtà si ha un'economia
aperta, quindi dobbiamo aggiungere almeno altri due attori, che sono il resto del mondo (che
indichiamo con RdM) e lo Stato (che indichiamo con politica fiscale).
•conto delle risorse e degli impieghi—> rappresenta il mercato dei beni e servizi finali e ne
mette in evidenza l'offerta aggregata (risorse) e la domanda aggregata (impieghi).
-l'offerta aggregata (le uscite) corrisponde ai beni e servizi finali prodotti nel Paese, ovvero
il PIL ai prezzi di mercato (PILpdm) più le importazioni.
-la sezione delle entrate specifica come sono utilizzate le risorse: consumi da parte di
famiglie e Pubbliche Amministrazioni; investimenti lordi che si compongono di investimenti
fissi lordi (esempio macchinari, attrezzature, fabbricati) e variazione delle scorte (materie
prime, semilavorati, prodotti finiti); esportazioni, ovvero beni e servizi venduti al resto del
mondo.
•conto della distribuzione del PIL—> mette in evidenza come il valore dei beni e servizi finali si
trasformi in redditi dei fattori produttivi.
-parte dal PILpdm, aggiunge poi i contributi alla produzione e sottrae le imposte indirette,
ottenendo il PIL al costo dei fattori (PILcdf).
-distingue tra redditi interni da lavoro dipendente e risultato lordo di gestione (interessi,
profitti, rendite, redditi da lavoro autonomo).
•conto del reddito—> si propone di determinare il reddito nazionale, ovvero la somma dei
redditi delle famiglie residenti e delle entrate delle PA.
-il punto di partenza è costituito dai redditi interni da lavoro dipendente a cui vanno
sottratti i redditi da lavoro dipendente verso l'estero (di immigrati stagionali, frontalieri,...)
ed i redditi da capitale verso l'estero ed a cui vanno sommati i redditi da lavoro dipendente
e da capitale dal resto del mondo.
-le imposte indirette vanno aggiunte alle componenti positive del reddito nazionale in
quanto erano state scorporate nel conto della distribuzione del PIL.
-i contributi alla produzione pagati dalle PA devono essere sottratti perché sono stati
considerati come una componente positiva nel conto della distribuzione del PIL.
-i trasferimenti correnti da e verso il resto del mondo sono versamenti in denaro od in
natura tra Stati o da parte di privati (aiuti internazionali, rimesse degli emigrati,...).
Adesso consideriamo gli altri tre conti del conto economico: conto dell'utilizzazione del reddito,
conto della formazione di capitale, conto delle transazioni internazionali.
•conto dell'utilizzazione del reddito—> mette in evidenza come il Paese utilizza il reddito
disponibile.
-la decisione fondamentale che le famiglie e lo Stato devono prendere è quanta parte del
reddito destinare al consumo e quanta al risparmio.
•conto della formazione di capitale—> mette in evidenza come vengono finanziati gli
investimenti.
-la principale fonte di finanziamento è costituita dal risparmio nazionale lordo a cui vanno
aggiunti i trasferimenti dall'estero per gli investimenti.
-gli impieghi del risparmio sono dati da: investimenti fissi lordi che si compongono di
ammortamenti (beni capitali che vanno a rimpiazzare il valore stimato dello stock di
capitale consumato) e di investimenti fissi netti (aggiunta netta allo stock di capitale);
variazione delle scorte; trasferimenti verso il resto del mondo per gli investimenti.
•conto delle transazioni internazionali—> riepiloga le transazioni tra l'economia nazionale ed il
resto del mondo.
-il conto è costruito dal punto di vista del resto del mondo.
-le esportazioni (un impiego per la nostra economia) sono una risorsa per il resto del
mondo e determinano un flusso monetario in uscita.
-il pagamento delle nostre importazioni rappresenta un'entrata per il resto del mondo.
Gli investimenti lordi indicano gli acquisti di beni di durata pluriennale destinati alla produzione di
altri beni. Per essere considerati investimenti i beni devono avere le seguenti caratteristiche:
-essere materiali, ovvero avere una consistenza fisica (il che esclude i servizi).
-essere riproducibili, ovvero suscettibili di essere prodotti (il che esclude la terra).
-avere durata pluriennale, ovvero capacità di essere impiegati in più cicli produttivi (il che li
differenzia dai beni intermedi).
-essere utilizzati per una produzione destinata al mercato ed allo scambio (il che li differenzia dai
beni durevoli).
Le esportazioni nette, ovvero la differenza tra esportazioni ed importazioni, rappresentano
un'altra voce importante della domanda aggregata.
Dove il primo pedice indica il bene i ed il secondo pedice indica l'anno di riferimento per le
quantità ed i prezzi. Il denominatore rappresenta la spesa per l'acquisto del paniere nell'anno zero
(anno base). Mentre il numeratore è la spesa che si sosterrebbe nell'anno t se si acquistassero le
stesse quantità di beni dell'anno zero.
Proviamo a vedere come i prezzi sono cambiati dal 2020 al 2021 utilizzando l’indice di Laspeyres.
Manterremo fisse le quantità, supponiamo quindi che i consumatori acquistino le stesse quantità
del 2020, ma considerando i prezzi del 2021. Sostanzialmente se questo indice è maggiore di 100
allora c’è stata inflazione, in caso contrario c’è stata deflazione. L’unico motivo per il quale il
numeratore può essere differente dal denominatore è che ci sia stata una variazione dei prezzi.
Il problema dell'indice di Laspeyres è però che tende a sovrastimare l'inflazione perché non tiene
conto degli effetti di sostituzione, nello specifico il problema è il fatto che la quantità è fissa
mentre nella realtà la quantità non è fissa.
Indici a catena
Gli indici a base fissa (i due indici che abbiamo appena visto) presentano altri problemi:
-se si tiene fermo l'anno base per un lungo periodo di tempo, diventa difficile tenere conto dei
beni che nell'anno base non esistevano ancora o di quelli che nel frattempo sono usciti dal
mercato (esempio macchine da scrivere).
-risulta difficile tenere conto dei miglioramenti qualitativi (ad esempio per quanto riguarda la
rapida evoluzione dei computer).
Per evitare questi problemi si sta diffondendo la pratica di modificare l'anno base in ogni periodo.
Per esempio se dovessimo considerare un indice di tipo Laspeyres, in tal caso per ogni coppia di
anni consecutivi l'anno base è l'anno iniziale. Questo permette di adeguare continuamente sia il
paniere (lista dei prodotti) sia i pesi (le quantità con cui i prodotti partecipano al calcolo degli
indici).
A questo punto è possibile creare un indice dei prezzi concatenato, che è dato:
Esistono diversi indici che vengono utilizzati per il calcolo dei prezzi. Tra questi vi è l’indice
Nazionale dei prezzi al consumo per l'Intera Collettività (NIC), che è un indice calcolato con
riferimento all'insieme di tutti i beni e servizi acquistati dalle famiglie ed aventi un prezzo di
mercato (utilizzato per misurare l’inflazione a livello del sistema economico).
[QUESTI INDICI A CATENA SECONDO ME NON SONO TROPPO IMPORTANTI, LI HA DETTO
MOLTO VELOCEMENTE LUI].
Vi è poi l'indice Nazionale dei prezzi al consumo per le Famiglie di Operai e Impiegati (FOI),
ossia l'indice che si riferisce ai consumi delle famiglie che fanno capo ad un lavoratore dipendente
(utilizzato per l’adeguamento degli affitti).
L'indice dei Prezzi al Consumo Armonizzato per i Paesi membri dell'Unione Europea (IPCA),
ossia l’indice calcolato in relazione ad un paniere di beni e servizi costruito tenendo conto sia
delle particolarità nazionali sia di regole comuni per la ponderazione dei beni che compongono il
paniere (utilizzato per verificare la convergenza dei Paesi dell'UE).
Infine, l'indice dei Prezzi alla Produzione dei Prodotti Industriali (IPP), ovvero l'indice che
misura le variazioni nel tempo dei prezzi che si formano nel primo stadio di commercializzazione
dei beni.
Economia semplificata
Consideriamo un'economia semplificata in assenza di PA e in assenza di scambi con l’estero
(consideriamo quindi un'economia in cui operano solo famiglie e imprese). L'ammontare della
produzione (o PIL) Y deve essere pari all’ammontare delle vendite, che sono date dalla somma
delle componenti della domanda, ovvero consumo C ed investimenti I.
Y=C+I
Il reddito (che coincide con la produzione o PIL) viene in parte destinato al consumo C ed in parte
al risparmio S.
Y=S+C
Riformulando queste identità otteniamo che l'investimento è esattamente pari al risparmio.
I=Y-C=S
Infatti, i soggetti che intendono effettuare investimenti devono prendere a prestito dai
risparmiatori.
Da queste identità, scambiando i fattori riusciamo poi ad ottenere queste altre identità:
L'eccesso di risparmio rispetto agli investimenti S - I è pari alla somma del disavanzo del bilancio
pubblico BD = G + TR - TA e le esportazioni nette (avanzo commerciale) NX.
Esistono tre modi in cui le famiglie possono impiegare il proprio risparmio:
-concedendo prestiti al settore pubblico (da cui deriva il disavanzo del bilancio pubblico).
-concedendo prestiti agli stranieri che acquistano nel nostro Paese (da cui derivano le
esportazioni nette)
-prestando denaro alle imprese (che poi investiranno).
Possiamo quindi concludere dicendo che la relazione tra risparmio ed investimento in
un'economia chiusa è molto semplice, in quanto il risparmio coincide con l’investimento. Invece in
un'economia aperta (dove vi è anche il settore pubblico e il commercio estero), la differenza tra il
risparmio e l’investimento non è pari a zero, ma è pari al disavanzo del bilancio pubblico più le
esportazioni nette. Il significato di ciò (che S-I non dà zero) è che le famiglie impiegano il proprio
risparmio nei tre modi differenti che abbiamo visto.
Caratteristiche quantitative
La prima caratteristica distintiva (quantitativa) è l'accelerazione della crescita del PIL pro capite,
che si è verificata a partire dal secondo dopoguerra. La crescita del PIL pro capite è stata
accompagnata in tutti i Paesi da un forte aumento della popolazione, anche se si è verificata negli
ultimi decenni una decelerazione.
La seconda caratteristica quantitativa è la crescita della produttività, ovvero dell'output per unità
di input. L’input di lavoro, inteso come ore mediamente lavorate per abitante, mostra invece una
tendenza continua alla diminuzione.
Vediamo ora un grafico rappresentante i livelli di PIL pro capite nel corso degli anni:
Grafico del PIL per ora lavorata (la produttività):
Caratteristiche strutturali
La crescita economica moderna comporta delle profonde trasformazioni della struttura
economica. Quali ad esempio la diminuzione della quota dell'agricoltura a favore dell’industria ed
in seguito dei servizi. Oppure il passaggio da piccole imprese di carattere familiare a grandi
società di capitali. O, ancora, il fenomeno dell'incremento del lavoro dipendente rispetto a quello
autonomo, o l'espansione dei servizi di istruzione, di sanità e di servizi alla persona.
Inoltre, vi sono stati anche dei significativi mutamenti delle strutture sociali. Si pensi al passaggio
dalla famiglia patriarcale alla famiglia nucleare o al mutamento del ruolo delle donne.
Sull'asse delle Y abbiamo il tasso di crescita del PIL reale, mentre sull'asse delle X abbiamo la
variazione del tasso di disoccupazione. Come si può evincere dal grafico, esiste una relazione
inversa tra il tasso di crescita del PIL reale e la variazione del tasso di disoccupazione.
All'aumentare del tasso di disoccupazione si riduce il tasso di crescita del PIL. Quindi dal grafico
abbiamo dimostrato come all'aumentare della disoccupazione si riduce la produzione (ossia il
PIL).
La disoccupazione poi incide notevolmente anche sulla distribuzione del reddito, in quanto i costi
di una recessione ricadono sopratutto sulle persone che non hanno un lavoro e ciò non fa altro
che aumentare il divario sociale. Quindi un periodo di recessione avrà come conseguenza una
distribuzione poco equa del reddito.
I fattori che determinano il tasso di disoccupazione frizionale (ossia la disoccupazione dovuta alla
rigidità ed alle imperfezioni del mercato del lavoro e che risulta essere difficilmente migliorabile nel
breve periodo) sono la durata e la frequenza della disoccupazione.
Per durata della disoccupazione si intende il tempo medio nel quale ciascun individuo rimane
disoccupato. La durata della disoccupazione è normalmente associata al suo livello, perciò in
Paesi con un elevato tasso di disoccupazione vi sarà una durata della disoccupazione maggiore.
Inoltre, la durata della disoccupazione dipende essenzialmente dalle caratteristiche del mercato
del lavoro. Nello specifico dall'organizzazione del mercato del lavoro (agenzie di collocamento,
centri per l'avviamento dei giovani,...), dalla composizione demografica e dalla dislocazione
geografica della forza lavoro, dalla possibilità e volontà dei disoccupati di continuare a cercare un
impiego migliore (sussidi di disoccupazione).
Per frequenza della disoccupazione invece si intende quante volte in media in un dato periodo di
tempo i lavoratori rimangono disoccupati. La frequenza dipende dalla variabilità della domanda di
lavoro da parte delle imprese e dal tasso di crescita della forza lavoro.
Analizzando l’andamento della disoccupazione in Europa e negli Stati Uniti, si possono trarre
alcune importanti conclusioni:
-l'elevata disoccupazione in Italia è un fenomeno comune anche agli altri Paesi europei.
-il tasso medio di disoccupazione ha mostrato un incremento generalizzato dalla metà degli anni
Settanta ai primi anni Ottanta.
-la disoccupazione statunitense sino all'inizio degli anni Ottanta ha seguito lo stesso andamento
di quella italiana ed europea, ma da quella data ad oggi si è assestata ad un livello sensibilmente
più basso.
La crescita del tasso di disoccupazione è imputabile alla crisi petrolifera degli anni Settanta e
all’introduzione di meccanismi di protezione del posto di lavoro che hanno reso più rigido il
mercato del lavoro.
Successivamente, alla fine degli anni Novanta, diversi Paesi europei (Italia e Spagna) hanno varato
riforme del mercato del lavoro mirate ad aumentarne la flessibilità, il che si è tradotto in una
diminuzione del livello medio di disoccupazione.
In questo grafico possiamo vedere l'andamento della disoccupazione in alcuni Paesi europei e
negli Stati Uniti:
Inflazione
Vediamo ora alcuni fatti rilevanti legati all’inflazione.
Come sappiamo, l'inflazione è il tasso di aumento del livello generale dei prezzi. Il tasso di
inflazione può essere espresso come:
Nel grafico seguente possiamo vedere il livello di inflazione in Europa e negli Stati Uniti:
Si può notare come vi sia stato un innalzamento dell’inflazione nel periodo corrispondente alla
crisi petrolifera.
Quando parliamo di inflazione è importante fare una distinzione tra inflazione perfettamente
attesa di cui si tiene conto nelle transazioni economiche, ed inflazione imperfettamente attesa
o inflazione inattesa. Si supponga ad esempio che negli ultimi anni si sia verificata un’inflazione
intorno al 2%, allora gli operatori economici si aspetteranno un'inflazione del 2% anche nei
periodi successivi, si parla dunque in questo caso di inflazione perfettamente attesa.
Il costo del detenere moneta cresce all'aumentare del tasso di inflazione, ciò perché con la stessa
somma di denaro a seguito di un'inflazione il consumatore potrà acquistare meno beni rispetto a
prima (perché i prezzi sono aumentati), quindi si dice che il costo del detenere moneta è
aumentato.
Esistono poi altri costi legati all’inflazione, come i costi di listino. I costi di listino sono i costi
sostenuti per l’aggiornamento dei prezzi nominali di un bene (ad esempio il costo di ristampa del
menu di un ristorante). Questi costi però possiamo dire che sono abbastanza trascurabili.
L'inflazione inattesa si dice che trasferisce ricchezza dai creditori ai debitori, perché se un
operatore contrae un debito con un altro operatore pari a 100 euro nel momento in cui si
prevedeva un'inflazione nulla, ne consegue che in caso di inflazione, ossia in caso di aumento dei
prezzi, ciò va a vantaggio del debitore, perché si ritrova a pagare un debito che in realtà in quel
momento varrebbe di più. Quindi, una variazione del livello dei prezzi porta ad una sensibile
redistribuzione di ricchezza tra gli individui ed i settori di un sistema economico. Abbiamo visto
come ci potrebbe essere una redistribuzione di ricchezza tra creditore e debitore (in caso di
inflazione ci guadagna il debitore). Poi nel caso in cui il settore pubblico sia il maggiore debitore in
termini nominali, la redistribuzione principale avviene tra il settore pubblico e quello privato e ad
avvantaggiarsi sarebbe proprio il settore pubblico.
È possibile effettuare la cosiddetta indicizzazione del debito pubblico, che prevede che il
pagamento degli interessi venga rivisto all’insù ogni anno per tenere conto dell’inflazione. È
previsto anche l’adeguamento automatico delle retribuzioni al costo della vita, per cui i salari
vengono indicizzati al tasso di inflazione. Quindi se ad esempio vi è un’inflazione del 2%, anche i
salari verranno aumentati del 2%. Perciò queste clausole consentono ai lavoratori di recuperare il
potere d'acquisto perso.
Supponiamo ora che le imprese aumentino i prezzi in seguito ad un aumento dei costi di
produzione. I salari indicizzati saliranno e ciò porterà ad un ulteriore incremento dei costi di
produzione, perché i salari rappresentano un costo di produzione, e ciò si rifletterà ancora una
volta sui prezzi e sui salari che andranno ancora ad aumentare, andando così a creare una spirale
inflazionistica. Nel caso di uno shock negativo dal lato dell'offerta, ovvero nel caso di un
aumento dei costi di produzione, allora i salari reali dovrebbero diminuire in concomitanza con
l’aumento dei prezzi, proprio per evitare che si crei questa spirale inflazionistica. Perciò, per
contenere l'inflazione talvolta è necessario che i salari aumentino di una percentuale inferiore
rispetto alla percentuale di aumento dei prezzi. Se ad esempio i prezzi aumentano del 10%, i
salari aumenteranno ma meno del 10%, così si va ad evitare una spirale inflazionistica.
CAPITOLO 16: REDDITO E SPESA
Offerta aggregata, domanda aggregata e prodotto d'equilibrio
Il modello keynesiano suppone che nel breve periodo i prezzi rimangano invariati e le imprese
siano disponibili a vendere qualsiasi quantità prodotta (curva di offerta aggregata orizzontale). Il
prodotto Y dipende dai fattori produttivi, ovvero il lavoro N ed il capitale K, e dallo stato di
tecnologia T.
Y = F (K,N,T)
Il prodotto potenziale (o prodotto di pieno impiego dei fattori produttivi) Y* è il massimo
prodotto che è possibile ottenere quando tutti i fattori prodottivi sono pienamente impiegati. Nel
breve periodo, Y* è dato.
La domanda aggregata è la quantità totale di beni richiesti dal sistema economico, ovvero la
somma di consumi C, investimenti I, spesa pubblica G ed esportazioni nette NX.
AD = C + I + G + NX
Il prodotto Y si trova al livello di equilibrio quando la quantità di beni offerta è uguale a quella
domandata
Y = AD
Quando la domanda non è uguale all'offerta si verifica una variazione non programmata delle
scorte.
IU = Y - AD (dove IU sono le scorte non programmate)
Se la produzione è maggiore della domanda ovvero Y>AD, le scorte aumentano, il che induce le
imprese a ridurre la produzione finché la produzione e la domanda non sono di nuovo in equilibrio,
ovvero Y=AD. Stesso ragionamento al contrario, perciò se la produzione è minore della domanda,
ovvero Y<AD, le scorte diminuiscono, il che induce le imprese ad aumentare la produzione finché
la produzione e la domanda non sono di nuovo in equilibrio, ovvero Y=AD.
Inizialmente tralasciamo il settore pubblico ed il commercio estero (G=NX=0), quindi prima
consideriamo un'economia chiusa più semplificata, poi aggiungeremo anche queste variabili.
trasferimenti (già sappiamo che il reddito disponibile è uguale al consumo più i risparmi YD=C+S.
Ne consegue che il consumo sarà uguale al reddito disponibile meno i risparmi C=YD-S).
In assenza del settore pubblico, il reddito disponibile è pari al reddito totale che a sua volta in
equilibrio deve essere pari al prodotto, ovvero YD=Y.
Supponiamo ora che la funzione del consumo abbia la seguente forma lineare:
Dato che il reddito disponile (YD) è uguale al prodotto (Y), le due equazioni sono uguali.
Ć è una variabile esogena, che ci viene data dal testo, che abbiamo già. Più precisamente è la
componente del consumo che non dipende dal reddito.
Se facciamo la derivata di C rispetto a Y otteniamo esattamente c piccolo. Ecco cosa è c piccolo,
è la derivata di C rispetto a Y.
Vediamolo graficamente:
Sull'asse delle ascisse abbiamo il reddito o prodotto o PIL (remunerazione dei fattori produttivi)
(Y), mentre sull'asse delle ordinate abbiamo la domanda aggregata (AD). La retta a 45° indica la
condizione di equilibrio, ovvero la retta in cui il prodotto è uguale alla domanda aggregata (Y=AD).
In ogni punto appartenente a tale retta ci troviamo in equilibrio.
A questo punto disegniamo la funzione di consumo C=Ć+cY, che è una retta che avrà l'intercetta
verticale (punto in cui la retta interseca l'asse delle ordinate) pari alla componente autonoma (Ć) e
che è positivamente inclinata (perché all’aumentare del reddito aumentano i consumi). Il
coefficiente angolare di questa retta è c piccolo (ossia la propensione marginale al consumo).
Per ora basta, poi vedremo cosa succede quando la domanda aggregata aumenta.
Sappiamo già che la retta inclinata a 45° indica la condizione di equilibrio. Consideriamo ora la
domanda aggregata così come l'abbiamo considerata poco fa, ossia come AD = Ā + cY.
L'equilibrio sarà nel punto di intersezione tra la retta di domanda aggregata e la retta che
rappresenta la condizione di equilibrio. L'equilibrio sarà dunque rappresentato dal punto E.
Se ci troviamo a sinistra di E abbiamo che il reddito è minore rispetto al suo livello di equilibrio Y0,
quindi la domanda aggregata (AD) risulta essere maggiore rispetto al reddito (Y) (retta di 45°). In
questo caso ne consegue che avremo una riduzione delle scorte, in quanto la domanda è
maggiore della produzione.
Vediamo ora invece cosa succede se il reddito è maggiore del reddito di equilibrio Y0.
Contrariamente a prima, in tal caso avremo un aumento delle scorte.
Se poi mettiamo in relazione la retta del consumo con la retta della domanda aggregata, notiamo
che la retta della domanda aggregata non è altro che una traslazione della retta di consumo verso
l'alto. La differenza tra le due rette è data semplicemente (e ovviamente) dall’investimento I (in
quanto consideriamo nulli G e NX).
Risparmio e investimento
Rivediamo ora la relazione tra risparmio e investimenti (l’avevamo già vista nei capitoli precedenti).
Innanzitutto dobbiamo ricordarci che il reddito disponibile YD può essere consumato o
risparmiato. Ci troviamo sempre in una situazione senza Stato e senza scambi con l'estero, quindi
YD=Y, di conseguenza abbiamo che Y = C + S.
Data la domanda aggregata AD = C + I e la condizione di equilibrio Y = AD, otteniamo che il
risparmio deve essere uguale all’investimento S = I.
Queste cose le avevamo già viste nel capitolo precedente.
Utilizzando poi la funzione del consumo, possiamo scrivere:
In equilibrio la variazione della domanda aggregata (ΔAD) deve coincidere alla variazione di
reddito (ΔY).
Settore pubblico
Ora complichiamo leggermente il nostro modello ed introduciamo il settore pubblico. Il settore
pubblico esercita un’influenza diretta sul livello di equilibrio del reddito attraverso diverse variabili:
la spesa pubblica G che è una componente della domanda aggregata e attraverso le imposte TA
(che vengono prelevate dai soggetti economici) ed i trasferimenti TR (che vengono erogati ai
soggetti economici) che incidono sul reddito disponibile YD.
Quindi il reddito disponibile è dato da:
YD = Y + TR - TA
Perché ci interessa tanto questo reddito disponibile? Perché la funzione di consumo dipende dal
reddito disponibile, che in precedenza coincideva semplicemente al reddito Y, mentre ora
coincide al reddito Y più i trasferimenti TR meno le imposte TA.
Ora quindi dobbiamo riscrivere la funzione del consumo, che diventa:
C = Ć + cYD = Ć + c * (Y + TR - TA)
(Dove Ć rappresenta sempre una variabile autonoma)
A questo punto per semplificare le cose imponiamo le seguenti due ipotesi sulla politica fiscale,
intesa come la linea d'azione adottata dallo Stato riguardo la spesa pubblica, l’ammontare dei
trasferimenti ed il sistema delle entrate fiscali:
-la spesa pubblica ed i trasferimenti sono costanti (dipendono da variabili esogene rispetto al
modello), ciò significa che G = G con barra sopra e TR = TR con barra sopra.
-l'imposta sul reddito è proporzionale secondo un'aliquota t sul reddito che è compresa
nell'intervallo tra 0 e 1, ovvero TA = tY (l'ammontare delle imposte è uguale al reddito Y che
moltiplica l’aliquota fiscale t).
Reddito di equilibrio
Cerchiamo di comprendere quale è l'impatto del settore pubblico sul reddito d’equilibrio.
Sostanzialmente lo Stato interviene attraverso tre voci: la spesa pubblica G, i trasferimenti TR e
l'aliquota fiscale t. Cosa succede al nostro reddito di equilibrio? Se aumenta la spesa pubblica o
se aumentano i trasferimenti si ha un aumento della spesa autonoma, e ciò come sappiamo va ad
aumentare la produzione e quindi il reddito. Cosa succede però per il fatto che lo Stato imponga
anche un'aliquota fiscale? All'aumentare dell'aliquota fiscale il rapporto (l'equilibrio) di riduce (1/1-
c(1-t)). Quindi se l’aliquota fiscale aumenta, il reddito disponibile si riduce e ciò va a ridurre
l'effetto moltiplicatore. Questo suggerisce anche che l'imposta proporzionale sul reddito, ovvero
la nostra aliquota t, agisce in qualche modo da stabilizzatore automatico. Cosa significa
stabilizzatore automatico? Senza il bisogno di alcun intervento di politica economica l'imposta
proporzionale è in grado di attenuare le fluttuazioni del prodotto derivanti da variazioni della
domanda aggregata. Per capire cosa significa ciò supponiamo di tornare al caso precedente in
cui l’aliquota fiscale è nulla, dove la propensione marginale al consumo c è 0,90. In questo caso
se la spesa autonoma aumenta di un euro, la produzione e quindi il reddito aumenteranno di un
euro, e ciò determinerà un aumento di 90 centesimi nel consumo, e ciò a sua volta impatterà
positivamente sulla domanda aggregata, sulla produzione, sul reddito, e così via. Se adesso
supponiamo che l'aliquota fiscale sia positiva, ad esempio del 30%, allora se la spesa autonoma
aumenta di un euro e quindi la produzione e il reddito aumentano di un euro, a questo punto al
nostro individuo non andrà più in tasca un euro ma andrà il 70% di un euro (1-0,30). Quindi, in
base alla sua propensione marginale al consumo, tale individuo non andrà più a spendere 90
centesimi, ma andrà a spendere il 70% di 90 centesimi, ossia di meno. Questo perciò possiamo
dire che in qualche modo attenua le fluttuazioni del prodotto/reddito derivanti dalla domanda
aggregata, proporzionale perché maggiore è l'aliquota fiscale, minore sarà l'effetto moltiplicatore.
Questo vale sia quando la spesa autonoma aumenta sia quando si riduce. Sostanzialmente, la
semplice imposizione di un'aliquota fiscale va a ridurre le fluttuazioni del reddito, perché va a
ridurre l'effetto moltiplicatore. Infatti il moltiplicatore si riduce all'aumentare di t (il moltiplicatore
non è nient'altro che il rapporto dell’equazione, ossia 1/1-.......).
Lo Stato poi può erogare anche dei trasferimenti, quale sarà l’effetto di questi trasferimenti? Se lo
Stato decide di erogare un euro in più in termini di trasferimenti, cosa succederà? Intuitivamente,
gli individui avranno più soldi da spendere, quindi si creerà un circolo virtuoso di aumento della
domanda aggregata, di aumento della produzione e quindi di aumento del reddito. Quanto in più i
consumatori consumeranno? Consumeranno in più in base alla loro propensione marginale al
consumo. Perciò, se lo Stato aumenta i trasferimenti di un euro (ΔTR con barra sopra) allora la
spesa autonoma non aumenterà di un euro, ma aumenterà in proporzione alla propensione al
consumo, quindi aumenterà di c * ΔTR con la barra sopra. Quale sarà infine l’impatto sulla
variazione del reddito? Sarà pari a alfa g per c * ΔTR con la barra sopra. Quindi il moltiplicatore
alfa G moltiplica la variazione di trasferimenti pesata per la propensione marginale al consumo.
Quindi, se aumento i trasferimenti di un euro, la spesa autonoma aumenterà di un importo pari a c
(ad esempio 0,90) per la variazione dei trasferimenti (un euro), poi ciò determinerà una variazione
del reddito pari al moltiplicatore per c * ΔTR con la barra sopra.
Possiamo concludere dicendo che una variazione dei trasferimenti (ΔTR con barra sopra) è meno
incisiva rispetto ad una variazione della spesa pubblica (ΔG), perché i nostri consumatori non
andranno a consumare tutto il trasferimento aggiuntivo, a meno che vi sia un propensione
marginale al consumo pari a 1 (ma è impossibile).
Vediamo ora cosa succede graficamente a seguito di una modifica della politica fiscale:
Sull'asse delle ascisse, come sempre, abbiamo il reddito, mentre sull'asse delle ordinate abbiamo
la domanda aggregata. Abbiamo poi sempre la retta di 45° che indica la condizione di equilibrio e
poi disegniamo la funzione della domanda aggregata (con la formula che abbiamo visto poco fa,
ovvero con la formula che tiene in considerazione anche il settore pubblico). L'equilibrio iniziale si
trova nel punto E, ossia il punto di intersezione tra la retta di equilibrio e la domanda aggregata. In
corrispondenza del punto E abbiamo un reddito pari a Y0. A questo punto supponiamo che vi sia
un aumento della spesa pubblica. Cosa comporta ciò? Avremo una traslazione verso l'alto della
funzione di domanda aggregata, per un ammontare pari a ΔG con la barra sopra. Il nuovo punto
di equilibrio sarà E' e il nuovo reddito di equilibrio sarà Y".
Anche qui poi possiamo vedere l’effetto del moltiplicatore. Sappiamo che la domanda aggregata
aumenta di ΔG con barra sopra, poi a seguito di tale variazione avremo la variazione di pari
ammontare della produzione, questo variazione porterà poi ad un ulteriore incremento della
domanda aggregata tramite i maggior consumi, a cui seguirà ancora un aumento della produzione
o reddito, ciò fino a quando non raggiungeremo il nuovo punto di equilibrio (E").
Bilancio pubblico
L'avanzo di bilancio (budget surplus, BS) è l’eccedenza delle entrate dello Stato, derivanti dalle
imposte, sulle uscite complessive, costituite dagli acquisti di beni e servizi e dai trasferimenti.
L'avanzo pubblico sarà quindi pari a (dove TA sono le imposte):
Funzione di investimento
Al fine di rendere il nostro modello macroeconomico più completo, introduciamo, come anticipato
precedentemente, il tasso di interesse cosicché la spesa per investimenti divenga una variabile
endogena (che dipende da altre variabili). Come è la relazione tra la spesa per gli investimenti e il
tasso di interesse? È una relazione inversa, nello specifico l’investimento diminuisce all'aumentare
del tasso di interesse perché le imprese generalmente prendono a prestito per acquistare beni di
investimento.
Consideriamo la seguente funzione di spesa per investimenti:
I = Ī - bi
-i piccolo rappresenta il tasso di interesse,
-Ī è maggiore di zero (Ī > 0) e rappresenta il livello della spesa autonoma per investimenti (Ī quindi
dipende da variabili esterne al modello).
-b è maggiore di zero (b > 0) e misura la sensibilità degli investimenti al tasso di interesse. Ci dice
quanto variano gli investimenti al variare del tasso di interesse. Se b è uguale a zero, gli
investimenti non variano al tasso di interesse, perché si considera solo la variabile esogena Ī. Se b
è molto elevato, significa che una piccola variazione del tasso di interesse comporta una grande
variazione negli investimenti. Ad esempio un piccolo aumento del tasso di interesse comporterà
una grande diminuzione degli investimenti. Vediamolo graficamente:
Sull'asse delle X abbiamo l’ammontare degli investimenti, mentre sull'asse delle Y abbiamo il
tasso di interesse. Semplicemente abbiamo una retta negativamente inclinata, che indica appunto
la relazione inversa tra spesa per investimenti e tasso di interesse. All'aumentare del tasso di
interesse diminuiscono gli investimenti.
Tasso di interesse e domanda aggregata: la curva IS
Ora non ci resta che arricchire la nostra funzione di domanda aggregata, aggiungendo quanto
abbiamo appena visto riguardo gli investimenti. La domanda aggregata AD può essere così
riscritta:
Nel grafico più in alto, sull'asse orizzontale abbiamo il reddito mentre sull’asse verticale abbiamo
la domanda aggregata. Come facciamo a determinare il reddito di equilibrio? Noi sappiamo che il
reddito di equilibrio è dato dall’intersezione tra la domanda aggregata (la prima retta
positivamente inclinata) e la retta di 45°. Ora dovremo costruire la domanda aggregata per una
serie di valori del tasso di interesse. Incominciamo a considerare un tasso di interesse che
chiamiamo i1. Dato questo tasso di interesse i1 possiamo tracciare la funzione di domanda
aggregata (la prima retta positivamente inclinata). L’intersezione con l'asse verticale è data da Ā -
bi1. In corrispondenza di questo tasso di interesse i1 abbiamo il punto di equilibrio E1 e il reddito
di equilibrio Y1. Possiamo così riportare nel grafico di sotto questa coppia di valori (E1) che è data
da un tasso di interesse i1 e un reddito di equilibrio Y1. Abbiamo così individuato il primo punto
sulla nostra curva IS, ossia il punto indicato con E1 nel grafico di sotto. Come sappiamo, la curva
IS mette in relazione il tasso di interesse con il reddito prodotto nell'equilibrio del mercato dei
beni, ossia quando vale la condizione che il reddito prodotto è uguale alla domanda aggregata.
Come facciamo ora a ricavare un secondo punto per tracciare la nostra curva IS? Torniamo sul
grafico sopra e consideriamo un altro livello di tasso di interesse che chiamiamo i2, che è più
piccolo di i1. Se i2 è più piccolo di i1 allora l'intersezione della retta di domanda aggregata con
l'asse verticale aumenterà, ne consegue che vi sarà una traslazione verso l'alto della curva di
domanda aggregata. Ciò perché se si riduce il tasso di interesse aumenta la domanda aggregata
(aumentano gli investimenti). Il nuovo punto di equilibrio è dato da E2 e in corrispondenza di tale
punto abbiamo un reddito di equilibrio pari a Y2 ed un tasso di interesse pari a i2. Perciò ora
possiamo tracciare un nuovo punto della curva IS nel grafico sotto. Avendo trovato due punti
siamo così in grado di tracciare la curva IS (sono sufficienti due punti per disegnare una retta).
La curva IS ha pendenza negativa, in quanto un aumento del tasso di interesse riduce la spesa
per investimenti e quindi la domanda aggregata, il che implica una riduzione della produzione/
reddito. La curva IS rappresenta tutte le combinazioni di tasso di interesse e reddito tale che il
mercato dei beni è in equilibrio (infatti E1 e E2 sono punti di equilibrio).
Ora cerchiamo di essere più analitici e consideriamo quindi l’espressione (equazione) della curva
IS. Sappiamo che la curva IS costituisce la curva di equilibrio del mercato dei beni e mostra tutte
le combinazioni tra tasso di interesse e livello di produzione/reddito. Cosa ci manca dal punto di
vista analitico per determinare la curva IS? Dobbiamo imporre la condizione di equilibrio, ossia
dobbiamo imporre che Y sia uguale ad AD, così da calcolare analiticamente la curva IS. Quindi
per calcolare la curva IS coi numeri dovremo porre l’equazione del reddito/della produzione
uguale all’equazione della domanda aggregata.
Anche da questa espressione possiamo affermare che se il tasso di interesse aumenta, il reddito
di equilibrio si riduce.
Vediamo ora come varia la pendenza della curva IS, ossia vediamo quali sono i parametri che
determinano se la nostra curva IS è più o meno inclinata:
Consideriamo innanzitutto la sensibilità della spesa per investimenti (b), che ci dice quanto la
spesa per investimenti è sensibile al tasso di interesse, o in altre parole, di quanto variano gli
investimenti a seguito di una variazione del tasso di interesse. Se il parametro b è piccolo,
significa che gli investimenti sono poco sensibili al tasso di interesse. Viceversa, se il parametro b
è grande, significa che anche una piccola variazione del tasso di interesse comporta una grande
variazione degli investimenti. Prima di vedere come varia la pendenza della curva IS, vediamo
come la curva di investimento varia al variare di b. Cosa succede alla pendenza della curva di
investimento se b diventa più piccolo? Al ridursi di b, la curva di investimento diventa più
verticale.
Una volta che abbiamo compreso come si muove la curva di investimenti al variare di b, vediamo
come varia la pendenza della curva IS sempre al variare di b. Considerando l’espressione qui in
alto (quella esplicitata per i), se b si riduce aumenta la pendenza. Quindi se b si riduce aumenterà
la pendenza della curva IS. In altre parole, minore è la sensibilità della spesa per investimenti al
tasso di interesse (b diminuisce), maggiore sarà la pendenza della curva IS. Come anticipato
prima, se b ha un valore basso, una data variazione del tasso di interesse comporta una piccola
variazione della spesa per investimenti, ne consegue una piccola variazione del reddito di
equilibrio. Più b ha un valore basso, più la curva IS sarà verticale.
Ora vediamo quale è l'impatto di una variazione del moltiplicatore sulla pendenza della curva IS.
Guardando sempre l’espressione, intuitivamente possiamo affermare che se riduciamo il
moltiplicatore, la pendenza aumenta (proprio come avveniva per b, in quanto entrambi
nell'espressione si trovano al denominatore). Dunque, se il moltiplicatore αG (alfa G) ha un valore
basso, la variazione della spesa per investimenti dovuta ad una data variazione del tasso di
interesse comporterà una piccola variazione del reddito di equilibrio (proprio perché il
moltiplicatore è basso).
Possiamo quindi concludere che al ridursi di b e al ridursi del moltiplicatore, aumenta la pendenza
della curva IS (la curva IS diventa sempre più verticale, quindi una data variazione del tasso di
interesse si traduce in una variazione del reddito più ridotta). Però la pendenza della curva IS
aumenta per due ragioni differenti. Nel primo caso, al ridursi di b significa che la spesa per
investimenti è meno sensibile al tasso di interesse, quindi se b ha un valore basso una data
variazione del tasso di interesse comporta una piccola variazione della spesa per investimenti, il
che ha come conseguenza una piccola variazione (della domanda aggregata e) del reddito di
equilibrio. Invece, se il moltiplicatore ha un valore basso significa che la variazione della spesa per
investimenti dovuta ad una data variazione del tasso di interesse comporta una piccola variazione
del reddito di equilibrio (proprio perché l'effetto del moltiplicatore è ridotto).
Nella parte sopra, come sempre, abbiamo sull'asse orizzontale il reddito e sull'asse verticale la
domanda aggregata. Abbiamo dunque nel grafico sopra la rappresentazione della domanda
aggregata. Invece, nel grafico sotto abbiamo la rappresentazione della curva IS, dove quindi
sull'asse orizzontale abbiamo il reddito mentre sull'asse verticale abbiamo il tasso di interesse.
Partiamo dal grafico sopra, dove oltre alla condizione di equilibrio (retta di 45°) abbiamo 4 curve di
domanda aggregata. Incominciamo a considerare le prime due: quella continua e quella
tratteggiata. La differenza tra queste due funzioni di domanda aggregata è che è cambiata la
propensione marginale al consumo. Nello specifico, per la retta tratteggiata la propensione al
consumo è più elevata e quindi il coefficiente angolare è più elevato. Ne consegue che la retta
continua avrà un reddito di equilibrio minore della retta tratteggiata. Cosa implica che la
propensione marginale al consumo sia più elevata? Implica che il moltiplicatore sarà più elevato,
in quanto, come abbiamo visto nei capitoli precedenti, all'aumentare della propensione marginale
al consumo il moltiplicatore aumenta.
A questo punto, sulla base di queste due curve di domanda aggregata possiamo ricavare la curva
IS. Come facciamo? Proprio come prima. Consideriamo prima la retta continua (quella più in
basso). Stabiliamo un dato tasso di interesse che ipotizziamo essere i1 (questo ci dà l'intersezione
della retta sull'asse verticale). A questo punto proprio come prima, troveremo un punto sulla curva
IS che è dato dalla coppia di valori tasso di interesse i1 e reddito Y1. Facciamo poi la stessa cosa
per l’altra curva di domanda aggregata (quella tratteggiata), che ha lo stesso tasso di interesse di
quella prima (infatti entrambe intersecano l'asse verticale nello stesso punto). Però i due punti che
abbiamo trovato si trovano su due curve IS differenti, in corrispondenza di due differenti livelli
della propensione marginale al consumo e quindi del moltiplicatore e quindi del reddito. Poi, come
prima, per ricavare almeno un altro punto delle due curve IS supponiamo che vi sia una riduzione
del tasso di interesse, che come sappiamo provocherà una traslazione delle due curve di
domanda aggregata verso l'alto.
Si può notare poi come la curva IS sia più inclinata della curva IS'. Ciò è coerente quindi con
quanto detto prima, perché se noi riduciamo il moltiplicatore (a causa della riduzione di c piccolo)
allora la curva IS è più inclinata. La curva continua aveva una propensione al consumo inferiore
rispetto alla curva tratteggiata, quindi aveva un moltiplicatore inferiore. Se il moltiplicatore è
inferiore, la curva IS di tale domanda aggregata sarà più inclinata. D'altro canto se noi
aumentiamo la propensione marginale al consumo e quindi aumentiamo il valore del
moltiplicatore, allora la curva IS sarà meno inclinata, la pendenza si ridurrà.
Vediamolo graficamente:
Nel grafico di sopra, abbiamo come sempre sull'asse delle ascisse il reddito mentre sull'asse delle
ordinate la domanda aggregata. Abbiamo poi come al solito la condizione di equilibrio (retta di
45°). Partiamo da una funzione di domanda aggregata che ci dà un reddito di equilibrio Y1. Nel
grafico di sotto otterremo il punto E1 appartenente alla curva IS (dando per scontato che abbiamo
trovato un altro punto per poter disegnare la curva IS, diamo per scontati i soliti passaggi che
sappiamo già). Ritornando al grafico di sopra, ora supponiamo che la spesa autonoma aumenti.
Questo aumento provoca una traslazione verso l'alto della domanda aggregata. Tale traslazione
verso l'alto però non è imputabile ad una variazione dei tassi di interesse, come invece avveniva
nei casi precedenti, ma ad un variazione della spesa autonoma. Dalla curva di domanda
aggregata traslata otteniamo un nuovo punto di equilibrio E2, che è stato ricavato per lo stesso
tasso di interesse della domanda aggregata di prima, quindi non è il tasso di interesse a variare,
ma appunto la spesa autonoma (Ā). Nel grafico di sotto poi ricaveremo la seconda curva IS.
Possiamo quindi affermare che un aumento della spesa autonoma comporta una traslazione della
curva IS verso l'alto (verso destra). Se la spesa autonoma aumenta, a parità di tasso di interesse,
la domanda aggregata aumenta, quindi aumenta anche il reddito di equilibrio che si sposta da Y1
a Y2. Abbiamo quindi una traslazione verso l'alto (verso destra) della curva IS.
Ora ricaviamo questa traslazione/questa variazione della posizione della curva IS da un punto di
vista un po’ più analitico.
Una variazione del reddito (Delta Y) è uguale al moltiplicatore moltiplicato per la variazione della
spesa autonoma. Il tasso di interesse non è variato. Se noi aumentiamo la spesa autonoma di un
euro, di quanto aumenterà il reddito? Aumenterà di un ammontare pari al prodotto tra il
moltiplicatore (alfa G) e la spesa autonoma. Ciò lo possiamo affermare avendo come base che
Y0 = (1/1 - c * (1 - t)) * Ā, ossia che il prodotto tra il moltiplicatore e la spesa autonoma è uguale al
reddito di equilibrio.
Quali sono i punti fondamentali che ci dovremo ricordare riguardo la curva IS?
-la definizione
-introdurre la spesa per investimenti nella domanda aggregata
-costruzione della curva IS
-pendenza della curva IS
-posizione della curva IS
Domanda di moneta
Esistono tre motivi che spingono gli individui a detenere moneta:
-motivo transazionale—> un individuo detiene moneta perché ha bisogno di acquistare beni o
servizi. È possibile dimostrare che senza sistema bancario, la domanda di moneta per transazioni
aumenta in proporzione al reddito.
-motivo precauzionale—> un individuo detiene moneta per poter poter affrontare situazioni
impreviste. Maggiore incertezza fa aumentare la domanda di moneta.
-motivo speculativo—> incertezza sul valore monetario di altre attività (azioni, obbligazioni) che
un individuo può detenere. Nel momento in cui un individuo detiene moneta sicuramente non
percepisce alcun tasso di interesse. La possibilità di ottenere un tasso di interesse influenza la
quantità che l’individuo vorrà detenere. Un individuo infatti potrebbe decidere di detenere meno
moneta, acquistando azioni o obbligazioni che fruttano invece un interesse. Tuttavia queste
attività sono incerte, di conseguenza ogni individuo deve tenere in considerazione anche del
rischio che ne deriva (ogni individuo deve tenere in considerazione questo trade-off). In sostanza,
ogni individuo deve decidere come ripartire la propria ricchezza tra titoli e moneta, queste
decisioni prendono il nome di decisioni di portafoglio. L'individuo è consapevole che un
aumento del tasso di interesse accresce il rendimento dei titoli e riduce la domanda di moneta.
Gli individui quindi attuano un compromesso (trade-off) tra i benefici di una quantità maggiore di
moneta ed i costi in termini di rinuncia ad un interesse.
Il costo opportunità della moneta è la differenza tra il rendimento di attività comparabili (esempio
deposito a risparmio) ed il tasso di interesse sulla moneta o tasso proprio (spesso pari a zero).
Cerchiamo ora di formalizzare quello che abbiamo detto finora. La domanda totale di moneta è
data dalla somma della domanda di moneta per transazioni Lt (motivo transazionale) e la
domanda di moneta speculativa Ls (motivo speculativo).
L = Lt + Ls
Abbiamo detto poco fa che per il motivo transazionale all'aumentare del reddito aumenta la
domanda di moneta. Di quanto? Secondo un parametro k. Questo parametro k ci dice la
sensibilità della domanda di moneta al reddito. Se k=0 la domanda di moneta non è affatto
sensibile al variare del reddito. D'altro canto se k è molto grande, anche una piccola variazione del
reddito provoca una grandissima variazione della domanda di moneta per transazioni e
conseguentemente della domanda reale di moneta.
Invece, per quanto riguarda la domanda di moneta speculativa Ls, abbiamo detto che esiste una
relazione inversa tra la domanda di moneta e il tasso di interesse. Infatti, se il tasso di interesse
aumenta allora gli individui preferiranno detenere meno moneta, ma più titoli. Quindi a cosa sarà
pari la domanda di moneta speculativa Ls? Sarà pari ad una componente esogena (L con barra
sopra) meno il tasso di interesse i che moltiplica il parametro h. h rappresenta la sensibilità della
domanda di moneta al variare del tasso di interesse (h segue quindi la stessa logica del parametro
k). Quindi se h=0 allora la domanda di moneta speculativa non dipende assolutamente dal tasso
di interesse. Invece, quando h è grande, anche una piccola variazione del tasso di interesse
comporta una grande variazione (diminuzione in questo caso) della domanda di moneta a fini
speculativi. Qui abbiamo un meno, perché all'aumentare del tasso di interesse si riduce la
domanda di moneta a fini speculativi. Inoltre, per determinare la domanda di moneta speculativa
Ls dobbiamo tenere in considerazione anche L con la barra, che rappresenta la domanda
speculativa di moneta in corrispondenza di un tasso di interesse nullo. L con la barra è dunque la
variabile esogena.
Abbiamo quindi introdotto due parametri: k e h. Il parametro k rappresenta la sensibilità della
domanda di moneta al variare del reddito, mentre il parametro h rappresenta la sensibilità della
domanda di moneta al variare del tasso di interesse e implica, visto che vi è un segno meno, una
relazione inversa tra il tasso di interesse e la domanda di moneta a fini speculativi. Un aumento di
h quindi significa che la domanda reale di moneta è più sensibile al tasso di interesse, ovvero un
dato aumento del tasso di interesse comporta una riduzione più pronunciata nella domanda reale
di moneta per scopi speculativi.
Mettendo insieme tutto, otteniamo che la domanda totale di moneta è data da:
Possiamo affermare che la domanda totale di moneta dipende positivamente dal reddito, in
quanto all'aumentare del reddito essa aumenta (all'aumentare del reddito di un euro, la domanda
totale di moneta aumenta di k euro), ma dipende negativamente dal tasso di interesse, poiché si
riduce all'aumentare del tasso di interesse appunto.
Sull'asse delle ascisse abbiamo la domanda di moneta, mentre sull'asse delle ordinate abbiamo il
tasso di interesse. Che relazione vi sarà tra le due variabili? Ovviamente inversa, perché
all'aumentare del tasso di interesse diminuisce la domanda reale di moneta. Però noi dovremmo
tenere in considerazione non solo come varia la domanda reale di moneta al variare del tasso di
interesse, ma anche come varia al variare del reddito. In teoria quindi dovremmo avere un grafico
tridimensionale, ma è sufficiente rappresentarla con il grafico appena visto e vedere poi come la
curva di domanda reale di moneta varia al variare del reddito per un dato tasso di interesse.
Abbiamo quindi una retta negativamente inclinata (per le ragioni viste prima). Cosa succede se
aumenta il reddito da Y1 a Y2? Come sappiamo, la domanda reale di moneta aumenta. Di quanto
aumenta? Se la variazione del reddito è di un euro, la domanda reale di moneta aumenta di k
euro, l'aumento è quindi pari a k*ΔY. Graficamente quindi avremo una traslazione verso destra
della curva di domanda di moneta.
L'ammontare della ricchezza reale WN/P è costituito dalla quantità reale di moneta M/P (in altre
parole offerta di moneta) (ovvero il rapporto tra la quantità nominale di moneta M ed il livello dei
prezzi P) più i titoli in termini reali SB offerti dagli operatori pubblici e privati (in pratica l'offerta dei
titoli in termini reali). Quindi avremo:
WN / P = M / P + SB
Date queste due espressioni, il nostro obiettivo è creare una relazione tra il mercato della moneta
e quello dei titoli. Nello specifico, se il mercato della moneta è in equilibrio allora anche il mercato
dei titoli lo sarà.
Possiamo poi affermare che scrivere WN/P = M/P + SB è uguale a scrivere L+DB = M/P + SB. Ciò
lo possiamo fare se supponiamo che il mercato della domanda reale di moneta sommato al
mercato dei titoli è uguale all'ammontare della ricchezza reale.
Risolvendo l’espressione quindi otteniamo: (L - M/P) + (DB - SB) = 0
Questa espressione ci dice che la differenza tra la domanda di moneta (L) e l'offerta di moneta (M/
P) più la differenza tra la domanda di titoli (DB) e l'offerta di titoli (SB) deve essere uguale a zero.
In termini pratici, questa espressione ci dice che se il secondo termine in parentesi è zero, ossia
se il mercato dei titoli è in equilibrio (domanda di titoli uguale ad offerta dei titoli), allora anche il
mercato della moneta deve essere in equilibrio (deve essere uguale a zero, quindi domanda e
offerta di moneta devono essere uguali). Questo per sottolineare che esiste una relazione stretta
tra il mercato della moneta e il mercato dei titoli. Nello specifico, nel momento in cui il mercato dei
titoli è in equilibrio allora anche il mercato della moneta lo dovrà essere.
Si potrebbe però creare una situazione di disequilibrio. Ad esempio supponiamo di essere in una
situazione dove vi è un eccesso di domanda nel mercato della moneta, ovvero in una situazione in
cui L > M/P. Possiamo affermare che se ci troviamo in una situazione di eccesso di domanda nel
mercato della moneta allora si dovrà verificare anche una situazione di eccesso di offerta di titoli,
ovvero si dovrà verificare una situazione in cui DB < SB, altrimenti l’espressione non potrà
risultare zero.
In pratica, per procurarsi delle scorte monetarie, gli operatori vendono titoli, il che ne riduce il
prezzo e quindi aumenta il tasso di interesse dei titoli, di conseguenza ciò disincentiva la
domanda di moneta e così vengono riportati in equilibrio i due mercati.
Dopo aver parlato della domanda di moneta e dell'offerta di moneta, possiamo descrivere la
curva LM (L sta per liquidity e M sta per Money, nello specifico si intende la quantità offerta di
moneta). La curva LM costituisce la curva di equilibrio del mercato monetario e mostra tutte le
combinazioni tra tasso di interesse e livello di produzione/reddito per le quali la domanda reale di
moneta è uguale all'offerta. La differenza rispetto alla curva IS è che in questo caso siamo
interessati all'equilibrio del mercato monetario, invece prima ci riferivamo all'equilibrio del mercato
dei beni. Quando si ha l'equilibrio nel mercato monetario? L’abbiamo appena visto, quando la
domanda reale di moneta è uguale all'offerta di moneta (kY + L - hi = M / P).
Dopo aver introdotto la curva LM, possiamo essere un po’ più analitici e, proprio come abbiamo
fatto per la curva IS, derivare formalmente la curva LM coi numeri.
Partiamo dalla condizione di equilibro e poi esplicitiamo per il tasso di interesse i, in quanto
sull'asse delle ordinate abbiamo proprio il tasso di interesse (ecco perché esplicitiamo per i).
Sull'asse delle X abbiamo il reddito, mentre sull'asse delle Y il tasso di interesse. Il punto E
rappresenta quindi l'equilibrio simultaneo del mercato dei beni e del mercato monetario.
La prima equazione al primo punto è l’equazione della curva IS, la seconda della curva LM. Per
trovare il punto di equilibro dovremo fare l'uguaglianza tra le due equazioni.
L’ultima equazione rappresenta la curva di domanda aggregata che mette in relazione il livello di
produzione/reddito Y con il livello dei prezzi P. Esiste una relazione negativa tra il livello del reddito
e il livello dei prezzi. Per i nostri fini è sufficiente sapere che una volta ricavata l’equazione finale,
tale equazione rappresenta la curva di domanda aggregata che mette in relazione il livello di
produzione con il livello dei prezzi. Inoltre, questa espressione, oltre a rappresentare la curva di
domanda aggregata, ci dice che il reddito di equilibrio è tanto più elevato quanto più elevati sono
il livello della spesa autonoma (Ā) e la quantità reale di moneta (M/P).
A questo punto analizziamo l'impatto della spesa autonoma sul reddito e l'impatto della quantità
reale di moneta sul reddito (offerta di moneta).
Cominciamo con l'impatto della spesa autonoma sul reddito, nello specifico cominciamo a vedere
il coefficiente gamma γ. Per capire ciò dobbiamo introdurre il moltiplicatore della politica fiscale.
Il moltiplicatore, ossia γ, è uguale a quel rapporto lì. Boh tosto questo. Rapporto che avevamo già
visto nell'immagine precedente.
Un aumento della sensibilità della spesa per investimenti al tasso di interesse (quindi b aumenta)
riduce l'effetto espansivo di un incremento della spesa pubblica (γ (gamma) diminuisce) perché
maggiore è l'impatto negativo sugli investimenti associato ad un aumento dei tassi di interesse
per mantenere l'equilibrio nel mercato monetario (lo capisci dalla formula, se aumenti b
diminuisce il moltiplicatore gamma). Se noi aumentiamo la spesa pubblica, sappiamo che
aumenta la domanda aggregata e quindi il reddito, ma nel momento in cui gli investimenti sono
più sensibili al tasso di interesse (b aumenta) significa che l'impatto negativo sugli investimenti
derivante da un aumento dei tassi di interesse sarà più grande. L’aumento dei tassi di interesse
avviene proprio per mantenere l'equilibrio nel mercato monetario (perché all'aumentare del reddito
i tassi di interesse devono aumentare per far sì che vi sia l'equilibrio nel mercato monetario,
mantenendo l'offerta di moneta invariata).
Ora vediamo cosa succede al nostro moltiplicatore γ quando variamo k (anche questo lo capisci
dalla formula). Un aumento della sensibilità della domanda di moneta al reddito (k aumenta)
riduce l'effetto espansivo di un incremento della spesa pubblica (γ diminuisce) perché maggiore
sarà l'incremento dei tassi di interesse necessario per mantenere l'equilibrio nel mercato
monetario.
Infine, vediamo come gamma varia al variare di h (lo capisci come sempre anche dalla formula).
Un aumento della sensibilità della domanda di moneta al tasso di interesse (h aumenta) accresce
l'effetto espansivo di un incremento della spesa pubblica (γ gamma aumenta) perché minore sarà
l'incremento dei tassi di interesse necessario per mantenere l’equilibrio nel mercato monetario.
Riassumendo: il moltiplicatore della politica fiscale (γ gamma) rappresenta l’impatto di una
variazione della spesa autonoma (ad esempio la spesa pubblica) sul reddito. Questo
moltiplicatore della politica fiscale non va confuso con il moltiplicatore keynesiano. È infatti
possibile dimostrare che il moltiplicatore della politica fiscale è minore del moltiplicatore
keynesiano (alfa g). Abbiamo poi visto cosa succede al moltiplicatore della politica fiscale al
variare di una serie di parametri.
Quindi γ*b/h, ovvero gamma che moltiplica b fratto h, rappresenta il moltiplicatore della politica
monetaria. Mentre il moltiplicatore della politica fiscale ci dice di quanto varia il reddito a seguito
di una variazione della spesa pubblica (più genericamente della spesa autonoma), invece il
moltiplicatore della politica monetaria ci dice di quanto varia il reddito a seguito di una variazione
dell'offerta reale di moneta, considerando l'equilibrio simultaneo nel mercato dei beni e nel
mercato monetario.
Poi una volta visto cosa succede al variare del moltiplicatore keynesiano (come si può anche
vedere dalla formula, un aumento del moltiplicatore keynesiano porta ad un aumento del
moltiplicatore della politica monetaria), vediamo cosa succede al variare degli altri parametri,
proprio come avevamo fatto per il moltiplicatore della politica fiscale.
Un aumento della sensibilità della spesa per investimenti al tasso di interesse (b aumenta)
accresce l'effetto espansivo di un incremento dell'offerta di moneta (γ*b/h aumenta) perché sarà
maggiore la riduzione dei tassi di interesse necessaria per mantenere l'equilibrio nel mercato
monetario. Quindi all'aumentare di b, aumenta il moltiplicatore della politica monetaria (γ*b/h).
Un aumento della sensibilità della domanda di moneta al reddito (k aumenta) riduce l'effetto
espansivo di un incremento dell’offerta di moneta (γ*b/h diminuisce) perché sarà minore la
riduzione dei tassi di interesse necessaria per mantenere l'equilibrio nel mercato monetario. Se k
aumenta implica che, se abbiamo un aumento dell'offerta di moneta, avremo una riduzione dei
tassi di interesse. A questo punto, dobbiamo capire di quanto questi tassi di interesse si riducono.
Se la domanda di moneta diventa più sensibile al reddito, abbiamo un altro effetto che porta
invece nella direzione opposta, ovvero porta all'aumento dei tassi di interesse (proprio perché
all'aumentare dell'offerta di moneta aumenta il reddito, quindi aumenta la domanda di moneta.
Sarà quindi necessario un aumento dei tassi di interesse per riportare la domanda di moneta
all'offerta di moneta). Ci sono quindi due effetti: uno che porta all'aumento dei tassi, uno alla
riduzione. Il primo effetto è più forte, ma è attenuato dal secondo effetto, ecco perché abbiamo
una minore riduzione nei tassi di interesse.
Un aumento della sensibilità della domanda di moneta al tasso di interesse (h aumenta) riduce
l'effetto espansivo di un incremento dell'offerta di moneta (γ*b/h diminuisce) perché sarà minore la
riduzione dei tassi di interesse necessaria per mantenere l'equilibrio nel mercato monetario.
Anche qui come prima, dobbiamo capire di quanto si riducono questi tassi di interesse. La
riduzione dei tassi di interesse sarà tanto minore quanto più sensibile è la domanda di moneta al
tasso di interesse (tanto più la domanda di moneta è sensibile al tasso di interesse, tanto meno
sarà necessario ridurre tali tassi di interesse per mantenere l'equilibrio nel mercato monetario).
Tale minore riduzione nei tassi di interesse si ripercuote in un effetto espansivo di un incremento
dell'offerta di moneta più ridotto. Questo spiega perché il moltiplicatore della politica monetaria si
riduce.
Esercizio
-seconda immagine, primo punto—> YD, ossia il reddito disponibile, è uguale al reddito Y più i
trasferimenti (40) meno le imposte (0,25Y).
-ultima immagine (punto d)—> supponiamo che lo Stato voglia mantenere lo stesso tasso di
interesse. Vogliamo sapere di quanto l'offerta di moneta deve variare per mantenere lo stesso
tasso di interesse originario, ossia 0,25. Come possiamo ottenere la situazione per cui il tasso di
interesse sia al livello originario? La curva LM deve variare, nello specifico dovrà traslare verso il
basso. Non sappiamo però di quanto. Dato che la curva LM dovrà traslare verso il basso (verso
destra), l'offerta di moneta dovrà aumentare. Allora per risolvere l'esercizio quindi la nostra
incognita è l’ammontare dell'offerta di moneta, perché dobbiamo trovare di quanto l'offerta di
moneta deve aumentare per mantenere il tasso di interesse originario.
Innanzitutto nel primo punto calcoliamo il livello di reddito dato il tasso di interesse originario 0,25
e la nuova curva IS (partendo dalla curva is nell'immagine a sinistra). Troviamo così il livello di
reddito (710) che garantisce l'equilibrio nel mercato dei beni quando il tasso di interesse è 0,25.
Ora nel punto 2, prendiamo la domanda di moneta che ci viene fornita dal problema e la poniamo
uguale all'offerta di moneta, in modo tale da ricavare l'equilibrio del mercato della moneta.
L'offerta di moneta la indichiamo con un generico M e la dividiamo per P. Però P non è la nostra
incognita, la nostra incognita è M, quindi sostituiamo P, ossia il livello dei prezzi, con 10. Alla fine,
risolvendo l'equazione otteniamo che M, ossia la quantità di offerta nominale, è uguale a 2800.
L'offerta nominale di moneta originaria era pari a 1000, come possiamo vedere dai dati
dell'esercizio, ora è pari a 2800. L'offerta nominale di moneta deve aumentare proprio perché la
curva LM si deve spostare verso destra in modo tale da far rimanere invariato il tasso di interesse.
Quindi quello che interessa trovare a noi è di quanto la curva LM varia. Quanto LM varia dipende
proprio dall'ammontare di offerta nominale di moneta, ovvero da M. Ecco perché la nostra
incognita è M!!!
CAPITOLO 18: POLITICA MONETARIA E POLITICA
FISCALE
Equilibrio IS-LM
Come sappiamo, l'intersezione della curva IS e della curva LM rappresenta l'equilibrio simultaneo
del mercato dei beni e monetario (breve periodo).
Una politica monetaria espansiva (aumento dell'offerta di moneta) sposta la curva LM verso
destra, il che determina un aumento del reddito ed una riduzione dei tassi di interesse (ciò lo
possiamo vedere dal grafico seguente).
Una politica monetaria restrittiva (riduzione dell'offerta di moneta) sposta la curva LM verso
sinistra, il che determina una riduzione del reddito ed un aumento dei tassi di interesse.
Una politica fiscale espansiva (aumento della spesa pubblica) sposta la curva IS (NON PIÙ LA
CURVA LM, ora ci si riferisce alla curva IS) verso destra, il che determina un aumento del reddito
ed un aumento dei tassi di interesse.
Una politica fiscale restrittiva (riduzione della spesa pubblica) sposta la curva IS verso sinistra, il
che determina una riduzione del reddito ed una riduzione dei tassi di interesse.
Questi movimenti possono essere rappresentati avendo come base il grafico dell’equilibrio IS-LM:
Politica monetaria
Negli Stati Uniti, il responsabile della politica monetaria è il Federal Reserve System. Nell’Unione
Economica e Mometaria (UEM), invece, il responsabile della politica monetaria è la Banca
Centrale Europea (BCE).
Con un'operazione di mercato aperto, la Banca Centrale acquista titoli in cambio di moneta (cede
moneta), aumentando in tal modo lo stock monetario. Al contrario la BCE vende titoli in cambio di
moneta (ritira moneta), riducendo in tal modo lo stock monetario.
Consideriamo ora un'operazione di acquisto sul mercato aperto. Cosa significa che lo stock
monetario aumenta? Significa sostanzialmente che l'offerta reale di moneta aumenta. Ma che
cosa significa che l'offerta reale di moneta aumenta? Significa che la curva LM si sposta verso
destra. Come sappiamo, lo spostamento verso destra della curva LM, ossia un cambiamento
dell'equilibrio dal punto E al punto E', poi comporta un aumento del reddito e una riduzione del
tasso di interesse.
A questo punto cerchiamo di comprendere ancora più nel dettaglio che cosa succede passo a
passo, attraverso il seguente grafico:
Nel grafico possiamo vedere che la curva IS è invariata, mentre la curva LM a seguito di un
acquisto di titoli sul mercato aperto si sposta da LM a LM', quindi l’equilibrio si posta da E a E'.
Ora vediamo i passaggi che portano a ciò. Nel momento in cui la Banca Centrale effettua
un'operazione sul mercato aperto, che consiste nell’acquisto di titoli in cambio di moneta, l'effetto
immediato è quello di una riduzione dei tassi di interesse. La riduzione dei tassi di interesse è
necessaria al fine di mantenere l'equilibrio nel mercato monetario (perché se l'offerta di moneta
aumenta anche la domanda di moneta deve aumentare, quindi per permettere ciò i tassi di
interesse si devono ridurre). A seguito della diminuzione dei tassi di interesse troviamo il punto E1.
Però questo rappresenta solo un passaggio intermedio. Nel momento in cui ci spostiamo dal
punto E al punto E1, siamo in equilibrio nel mercato monetario, in quanto ci troviamo sulla nuova
LM, ma non siamo più in equilibrio sul mercato dei beni (IS). Perciò, a seguito di una riduzione dei
tassi di interesse, la spesa per investimenti aumenta e di conseguenza aumenta la domanda
aggregata, quindi aumenta anche il reddito e, perciò, ci spostiamo dal punto E1 al punto E'.
Raggiungiamo così di nuovo l'equilibrio sia nel mercato dei beni sia nel mercato monetario.
Meccanismo di trasmissione
Il meccanismo di trasmissione della politica monetaria è il processo mediante il quale la politica
monetaria influenza la domanda aggregata. Tale processo si compone delle seguenti fasi:
1-variazione dell'offerta reale di moneta (ad esempio la Banca Centrale effettua un'operazione di
mercato aperto. Supponiamo ad esempio una politica monetaria espansiva, quindi supponiamo
che la BCE acquisti titoli in cambio di moneta. Ciò porta ad un aumento dello stock monetario e
quindi un aumento dell'offerta reale di moneta).
2-gli individui aggiustano le proprie scelte di portafoglio e ciò comporta una variazione dei prezzi
delle attività e dei tassi di interesse (a seguito di un aumento di offerta reale di moneta).
3-la spesa, soprattuto per investimenti, si adegua alla variazione dei tassi di interesse (se i tassi di
interesse si riducono, la spesa per investimenti aumenta).
4-la domanda aggregata ed il prodotto si adeguano alla variazione della domanda di beni di
investimento (se gli investimenti aumentano di conseguenza aumenta la domanda aggregata e
perciò aumenta il reddito/produzione).
La parte del reddito (kY) non cambia, nel momento in cui h è uguale a zero la domanda di moneta
è rigida rispetto al tasso di interesse. Poi esplicitiamo per Y.
In tal caso quindi la curva LM è verticale.
Questa viene chiamata teoria quantitativa della moneta, secondo la quale il livello di reddito
nominale è determinato esclusivamente dalla quantità di moneta. Ciò perché se noi
moltiplichiamo ambo i lati della formula finale per il livello dei prezzi otteniamo che YP= (1/k)*M.
Ecco perché si dice che il reddito nominale (YP) è determinato esclusivamente dalla quantità di
moneta, in quanto il tasso di interesse non gioca nessun ruolo secondo la teoria quantitativa della
moneta. Tale teoria si fonda sulla convinzione che i cittadini detengano una quantità di moneta
proporzionale al volume complessivo delle transazioni da effettuare, indipendentemente dal tasso
di interesse.
La politica monetaria attuata mediante operazioni di mercato aperto ha efficacia massima sul
livello di reddito, mentre la politica fiscale ha un effetto nullo.
Politica fiscale
Passiamo ora alla politica fiscale e consideriamo un aumento della spesa pubblica ΔG.
Partiamo ad analizzare la curva IS e, già sappiamo, che a seguito di un aumento della spesa
pubblica la curva IS si sposta verso destra, perché all'aumentare della spesa pubblica aumenta la
domanda aggregata e di conseguenza aumenta il reddito o produzione. Di quanto si sposta la
curva IS? Si sposterà di un ammontare pari al prodotto tra la variazione (aumento) della spesa
pubblica (ΔG) e il moltiplicatore keynesiano (alfa g).
Vediamo il grafico qui sotto:
A parità di tassi di interesse, ovvero qualora il tasso di interesse rimanesse costante, l'economia si
sposterebbe dal punto E al punto E", questo è quello che abbiamo già visto nell'analisi del
modello reddito-spesa. Tuttavia, a seguito dell’aumento del reddito si ha un eccesso di domanda
di moneta (se aumenta il reddito aumenta anche la domanda di moneta) che induce un aumento
dei tassi di interesse per mantenere l’equilibrio nel mercato monetario. Quindi noi ora dobbiamo
anche considerare l'equilibrio nel mercato della moneta. Cosa succede se il reddito aumenta? Se
il reddito aumenta, aumenta anche il tasso di interesse (per riportare la situazione in equilibrio). Se
aumenta il reddito, aumenta la domanda di moneta e quindi per riportare l'equilibrio nel mercato
della moneta il tasso di interesse deve aumentare (così da ridurre la domanda di moneta). Di
conseguenza cosa si verifica in questa economia? Il punto di equilibrio finale non sarà E" ma E',
ossia il punto di intersezione tra la nuova curva IS (IS') e la curva LM. Quindi, nel momento in cui
abbiamo un aumento della spesa pubblica, è vero che il reddito aumenta perché è aumentata la
domanda aggregata, ma nel frattempo contestualmente all'aumento del reddito l'economia,
spostandosi da E a E' subisce anche un incremento dei tassi di interesse, e questo incremento
dei tassi di interesse va ad impattare sulla spesa per investimenti, riducendola. Ciò spiega che
l'aumento complessivo del reddito non è semplicemente il moltiplicatore alfa g che moltiplica la
variazione di spesa pubblica, ma è un po’ meno, proprio perché contestualmente si è verificato un
aumento dei tassi di interesse che ha avuto un impatto negativo sulla spesa per investimenti,
quindi la domanda aggregata si è leggermente ridotta. Complessivamente dunque la domanda
aggregata aumenta (e quindi aumenta il reddito), ma vi è questo secondo effetto che comporta
una leggera diminuzione della domanda aggregata (e del reddito).
Vediamo come l'effetto spiazzamento si manifesta nei casi limite, ovvero nel caso di trappola della
liquidità e del caso classico.
Se l'economia si trova in una situazione di trappola della liquidità (tasso di interesse non cambia)
(curva LM orizzontale), un aumento della spesa pubblica esercita il suo completo effetto
moltiplicatore sul livello di equilibrio del reddito, lasciando invariato il tasso di interesse. Infatti,
quando la LM è perfettamente orizzontale, nel momento in cui la IS si sposta verso destra a
seguito di un aumento della spesa pubblica, il tasso di interesse non cambia, mentre il reddito si
sposta da Y0 a Y1, e questa variazione del reddito corrisponde esattamente al prodotto tra il
moltiplicatore keynesiano (alfa G) e la variazione della spesa pubblica (ΔG). In tal caso non
abbiamo alcun effetto di spiazzamento sugli investimenti, proprio perché il tasso di interesse
rimane invariato.
Invece, nel caso classico (curva LM verticale), un aumento della spesa pubblica ha un impatto
nullo sul livello di equilibrio del reddito e comporta solo un aumento del tasso di interesse.
Vediamolo graficamente nel grafico qui sotto:
Nel grafico sopra, come sempre sull'asse orizzontale abbiamo il reddito prodotto mentre sull'asse
verticale il tasso d’interesse. Supponiamo che si verifichi un aumento della spesa pubblica, se la
spesa pubblica aumenta la curva IS trasla verso destra, perché a parità di tasso di interesse la
domanda aggregata aumenta. Se la LM è perfettamente verticale (caso classico), a fronte di una
traslazione verso destra della IS il reddito prodotto non cambia (rimane sempre pari a Y0). Ciò
significa che siamo di fronte ad uno spiazzamento completo. Se la domanda aggregata aumenta,
ma alla fine il reddito prodotto non varia, vuol dire che la domanda aggregata si riduce a causa
dello spiazzamento completo degli investimenti. Quello che succede in questa economia è che
una traslazione della IS verso destra comporta un aumento del tasso di interesse che va a ridurre
gli investimenti e compensa esattamente l'aumento iniziale della domanda aggregata (imputabile
ad esempio ad un aumento della spesa pubblica).
Nel grafico sotto viene visualizzata la riduzione negli investimenti, che dal punto I0 passano al
punto I'. La riduzione degli investimenti è quindi dovuta all'aumento del tasso di interesse.
Dunque, l’aumento del tasso di interesse spiazza (riduce) la spesa privata (sopratutto quella per
investimenti) di un ammontare pari all'aumento della spesa pubblica (spiazzamento completo).
(Perché un aumento del tasso di interesse va a ridurre gli investimenti? Perché ovviamente le
imprese saranno meno incentivate ad investire se il finanziamento ottenuto ha un tasso di
interesse elevato).
A seguito di un’espansione fiscale (aumento della spesa pubblica o riduzione delle imposte)
possiamo avere una contestuale operazione di politica monetaria espansiva, che viene
denominata accomodamento monetario dell'espansione fiscale. Vediamo cosa succede in tal
caso partendo dal grafico:
Consideriamo innanzitutto una riduzione dell'imposta sul reddito. Se l'imposta sul reddito si
riduce chiaramente aumenterà il reddito disponibile. All'aumentare del reddito disponibile
aumenta il consumo (+), all'aumentare del consumo aumenta la domanda aggregata e
all’aumentare della domanda aggregata aumenta la produzione o reddito, ossa il PIL (+).
All'aumentare del reddito prodotto (PIL) il tasso di interesse aumenta (+), perché per garantire
l’equilibrio nel mercato monetario all'aumentare del reddito il tasso di interesse deve aumentare
(così da ridurre la domanda di moneta e ritornare così all'equilibrio nel mercato monetario). Infine,
all'aumentare del tasso di interesse l’investimento si riduce, per l'effetto spiazzamento (-).
Ora vediamo cosa succede a seguito di un aumento della spesa pubblica. Se aumenta la spesa
pubblica chiaramente aumenterà il reddito/PIL (+). Se il reddito aumenta, aumenterà poi anche il
consumo (+). Inoltre, se il reddito aumenta, anche il tasso di interesse dovrà aumentare per
mantenere l’equilibrio del mercato monetario (+). Infine, all'aumentare del tasso di interesse
diminuisce la spesa per investimenti (-).
Per ultimo vediamo il caso di una sovvenzione agli investimenti, che significa per esempio una
riduzione delle imposte sotto forma di sgravi fiscali per le imprese che investono. Una
sovvenzione agli investimenti chiaramente andrà innanzitutto ad aumentare gli investimenti (+), in
quanto le imprese troveranno più conveniente investire. Se la spesa per investimenti aumenta,
aumenta la domanda aggregata. All'aumentare della domanda aggregata poi aumenterà il reddito/
PIL (+) e di conseguenza aumenteranno i consumi (+). Infine, se il reddito aumenta, il tasso di
interesse dovrà aumentare (+). per mantenere l’equilibrio nel mercato monetario. In tal caso ci
potremmo chiedere come mai in tal caso a seguito di un aumento del tasso di interesse gli
investimenti aumentano, mentre fino a prima abbiamo visto che si riducevano? Per spiegare ciò
dobbiamo sapere che esistono due effetti: l'effetto dominante che è dovuto alla sovvenzione agli
investimenti che fa aumentare gli investimenti appunto, e l'effetto più piccolo, ovvero l'effetto di
spiazzamento, che a seguito dell'aumento dei tassi di interesse la spesa per investimenti si ridurrà
un po’. Quindi il primo effetto di aumento degli investimenti più che compensa il secondo, quindi
in aggregato la spesa per investimenti aumenta. Ecco spiegato il motivo.
Nella realtà, i responsabili delle politiche economiche scelgono un mix di politica economica
(combinazione di politiche fiscali e monetarie) per raggiungere l'equilibrio desiderato.
Generalmente, i liberali propongono una riduzione della pressione fiscale durante le recessioni
(politica fiscale espansiva) ed una diminuzione della spesa pubblica durante le espansioni (politica
fiscale restrittiva). Invece, i sostenitori del ruolo dello Stato preferiscono un aumento della spesa
pubblica (istruzione, ambiente,...) (politica fiscale espansiva) durante le recessioni ed un aumento
dell'imposizione fiscale durante le espansioni (politica fiscale restrittiva).
Vediamo ora graficamente gli effetti di differenti mix di politica economica:
Partiamo dal punto di equilibrio E, ossia il punto di intersezione tra la curva IS e la curva LM.
Supponiamo che in corrispondenza di questo punto E, il livello di reddito Y0 sia inferiore rispetto a
Y*. Da ciò possiamo intuire che siamo in un'economia con disoccupazione, in quanto il reddito
non è al suo massimo.
Se i responsabili della politica economica vogliono raggiungere il livello di piena occupazione, ci
sono diversi mix di politica economica che possono utilizzare.
Per esempio, si potrebbe raggiungere il punto E1 mediante un aumento della spesa pubblica.
Infatti, se la spesa pubblica aumenta, la curva IS trasla verso destra e nel punto E1 avremo il
raggiungimento del pieno impiego (il reddito raggiunge il suo livello potenziale) e avremo un
aumento dei tassi di interesse.
Il livello di pieno impiego poi si può anche raggiungere con una politica monetaria espansiva che
fa traslare la LM verso destra, raggiungendo il punto E2. In questo caso il reddito aumenta e il
tasso di interesse si riduce. Noi sappiamo già che a seguito di un aumento dell'offerta di moneta i
tassi di interesse si riducono per garantire l'equilibrio nel mercato monetario (a parità di reddito, il
tasso di interesse si deve ridurre così da far aumentare la domanda di moneta e ritornare così in
equilibrio nel mercato monetario).
I responsabili della politica economica però potrebbero anche decidere un mix tra le due politiche
così da raggiungere il punto E3. Questo punto di equilibrio potrebbe essere raggiunto tramite una
combinazione di espansione fiscale, mediante un aumento della spesa pubblica o una riduzione
delle imposte, che fa traslare la IS verso destra e, contestualmente, tramite una politica monetaria
che fa traslare la LM verso il basso. In tal caso non vi è alcuna variazione del tasso di interesse
rispetto al punto iniziale E. Ciò perché l'aumento dei tassi di interesse indotto da una politica
fiscale espansiva sarebbe esattamente compensato da una riduzione dei tassi di interesse
associato ad una politica monetaria espansiva.
CAPITOLO 19: LEGAMI ECONOMICI INTERNAZIONALI
Commercio internazionale
Ogni economia è legata al resto del mondo attraverso due modalità: commercio in beni e servizi
e finanza.
Nell'ambito del commercio internazionale, il legame consiste nel fatto che parte della produzione
di un Paese viene esportata in altri Paesi e parte dei beni consumati od investiti in patria viene
importata. Un calo dei prezzi in valuta locale praticati dai produttori stranieri aumenta le
importazioni (perché diventerà più conveniente acquistare prodotti stranieri). D'altro canto, un
aumento dei prezzi in valuta locale praticati dai produttori stranieri aumenta le esportazioni (e
riduce le importazioni), proprio perché i residenti nel Paese straniero preferiranno acquistare
prodotto da noi, quindi noi vedremo aumentate le esportazioni.
Esistono forti legami internazionali anche nel settore della finanza.
Dobbiamo poi sapere che i gestori di portafogli vanno alla ricerca dei rendimenti più appetibili nei
diversi Paesi (vanno alla ricerca di titoli che garantiscono i rendimenti più elevati).
Terminologia
Facciamo ora dei chiarimenti riguardanti la terminologia.
-rivalutazione—> è l’aumento del valore della moneta interna rispetto alle monete di altri Paesi in
un sistema di tassi di cambio fissi. Ad esempio una rivalutazione consiste nel passaggio del tasso
di cambio euro/dollaro da 0,8 euro per dollaro a 0,6 euro per dollaro. Ciò vuol dire che l'euro è
stato rivalutato, è aumentato di valore, vale di più del dollaro, quindi in questo caso diciamo che
l'euro si è rivalutato (anche se non sarebbe corretto, visto che con rivalutazione ci riferiamo ad un
sistema di tassi di cambio fissi, invece tra euro e dollaro nella realtà c’è un sistema di tassi di
cambio variabili. È giusto per avere un'idea).
-svalutazione—> al contrario, è la diminuzione del valore della moneta interna rispetto alle
monete di altri Paesi in un sistema di tassi di cambio fissi (ad esempio il passaggio da 0,6 euro
per dollaro a 0,8 euro per dollaro)
-apprezzamento—> è l'aumento del valore della moneta interna rispetto alle monete di altri Paesi
in un sistema di tassi di cambio flessibili (stavolta flessibili). In tal caso l'esempio precedente può
essere utilizzato correttamente. Quindi un apprezzamento ad esempio è il passaggio del tasso di
cambio euro/dollaro da 0,8 euro per dollaro a 0,6 euro per dollaro.
-deprezzamento—> è la diminuzione del valore della moneta interna rispetto alle monete di altri
Paesi in un sistema di tassi di cambio flessibili. Ad esempio per deprezzamento si intende il
passaggio dal tasso di cambio euro/dollaro da 0,6 euro per dollaro a 0,8 euro per dollaro.
In sostanza, rivalutazione e apprezzamento, così come svalutazione e deprezzamento, indicano la
stessa cosa, solo che la rivalutazione e la svalutazione riguardano un sistema di tassi di cambio
fissi, mentre l'apprezzamento e il deprezzamento riguardano un sistema di tassi di cambio
flessibili.
-e rappresenta il tasso di cambio nominale, che ci dice di quanti euro ho bisogno per l’acquisto di
un dollaro, ossia di quanta moneta nazionale ho bisogno per l’acquisto di un’unità di moneta
estera. Indica quindi il prezzo della valuta estera nella moneta nazionale (esempio 0,70 euro per
dollaro).
-Pf rappresenta il livello dei prezzi esteri (price foreign)
-P rappresenta il livello dei prezzi interni.
Il tasso di cambio reale misura la competitività di una Nazione nel commercio internazionale.
Supponiamo ad esempio che il tasso di cambio reale sia molto alto. Ciò potrebbe essere causato
da un livello molto alto dei prezzi esteri (Pf). Questa informazione ci dice che l'Europa è
competitiva rispetto agli Stati Uniti, in quanto gli Stati Uniti hanno livelli di prezzi interni molto
elevati. Quindi un aumento del tasso di cambio reale implica un aumento della competitività di
una nazione nel commercio internazionale.
Se il tasso di cambio reale è pari a 1 significa che le monete si trovano al livello di parità dei poteri
d’acquisto (PPP).
Quando invece il tasso di cambio reale è maggiore di 1 significa che i beni esteri sono più costosi
di quelli nazionali. Ciò potrebbe essere imputato ad un livello molto elevato dei prezzi esteri (Pf),
come abbiamo detto prima. Ora vediamo nello specifico cosa succede quando il tasso di cambio
reale è maggiore di 1. Innanzitutto sappiamo che in tal caso i beni esteri sono più costosi dei beni
nazionali. Questo implica che la domanda di beni nazionali aumenta (proprio perché i beni
nazionali sono più economici) e ciò comporta un incremento dei prezzi nazionali (perché la
domanda di beni nazionali aumenta) oppure potrebbe comportare anche un calo del tasso di
cambio. Un calo del tasso di cambio, come sappiamo, implica una rivalutazione o
apprezzamento. Infatti, se abbiamo un calo del tasso di cambio significa che occorre meno
moneta nazionale per acquistare un’unità di moneta estera, perciò abbiamo una rivalutazione o
apprezzamento (della moneta nazionale).
Vi sono delle pressioni da parte del mercato affinché le valute si avvicinino al livello di parità dei
poteri d'acquisto (livello del tasso reale di cambio pari a 1). Nella realtà però tali pressioni
agiscono lentamente, per diversi motivi: i panieri di beni sono diversi da Paese a Paese, esistono
numerose barriere al movimento delle merci tra i vari Paesi (spese di trasporto, dazi doganali,...),
molti beni sono "non commerciati" e non possono essere spostati (esempio la terra). Quindi, un
avvicinamento al livello di parità dei poteri d’acquisto viene rallentato da tutte queste motivazioni
e tale avvicinamento può verificarsi solamente qualora queste barriere vengano rimosse.
Esportazioni nette
Le esportazioni nette in termini reali possono essere scritte come:
-Le esportazioni X possono essere scritte come Fx (Yf,R). Le esportazioni dipendono da tanti
parametri, ma noi ci focalizziamo su due: il reddito estero Yf e il tasso di cambio reale R. Quindi le
esportazioni X sono pari ad una funzione Fx che dipende dal reddito estero Yf e dal tasso di
cambio reale R. Possiamo poi dire che all'aumentare del reddito estero Yf le esportazioni
aumentano, perché se i Paesi esteri sono più ricchi domanderanno più quantità dei nostri beni,
perciò le nostre esportazioni aumenteranno. Inoltre, sappiamo che un aumento del tasso di
cambio reale R significa che i nostri beni sono più competitivi, costano di meno, di conseguenza
aumentano le esportazioni ((rappresenta un deprezzamento reale (della nostra moneta nazionale)
e quindi un aumento della competitività del Paese (estero), perché la loro moneta vale di più)).
Quindi anche un aumento del tasso di cambio reale R va ad aumentare le esportazioni (perché i
nostri beni sono più economici). In conclusione, le esportazioni X dipendono positivamente sia dal
reddito estero Yf sia dal tasso di cambio reale R.
-Le importazioni Q possono essere scritte come Fq (Y,R)*R. Le importazioni dipendono anch'esse
da due variabili: il reddito interno Y e il tasso di cambio reale R. Quindi le importazioni Q sono pari
ad una funzione Fq che dipende dal reddito interno Y e dal tasso di cambio reale R. Poi dobbiamo
ricordarci che dobbiamo moltiplicare il tutto per R. Possiamo poi dire che all'aumentare del
reddito interno Y le importazioni aumentano, perché significa che gli operatori economici di un
Paese sono più ricchi, così domanderanno più beni e perciò aumentano le importazioni. Invece,
all'aumentare del tasso di cambio reale R (che implica un deprezzamento reale) i beni esteri
saranno più costosi (perché ci vogliono 0,80 invece che 0,60 per un’unità di dollaro), quindi le
importazioni si ridurranno. In conclusione, possiamo dire che le importazioni Q dipendono
positivamente dal reddito interno Y e negativamente dal tasso di cambio reale R.
-Riassumendo, le esportazioni nette NX dipendono da tre fattori: il reddito interno Y, il reddito
estero Yf e il tasso di cambio reale R. Possiamo quindi scrivere NX = NX (Y, Yf, R).
Nello specifico un incremento del reddito estero Yf va ad aumentare le esportazioni senza incidere
sulle importazioni, quindi migliora la bilancia commerciale e quindi aumenta la domanda
aggregata.
Un deprezzamento reale della valuta nazionale, ossia un incremento di R, va ad aumentare le
esportazioni e va a ridurre le importazioni (perché i nostri beni sono più economici), di
conseguenza migliora la bilancia dei pagamenti ed aumenta la domanda aggregata.
Infine, un aumento del reddito interno Y va a peggiorare la bilancia commerciale e a ridurre quindi
la domanda aggregata, in quanto le esportazioni non variano mentre le importazioni aumentano.
Vediamo ora graficamente l'effetto di un aumento del reddito estero o del tasso di cambio reale:
Come sempre, sull'asse delle ascisse abbiamo il reddito/prodotto mentre sull'asse delle ordinate il
tasso di interesse. Abbiamo la nostra curva IS in un'economia aperta, che è più inclinata rispetto a
quella in un'economia chiusa (a seguito di una data variazione del tasso di interesse l'incremento
di reddito che si verifica in un'economia chiusa è maggiore rispetto all'incremento di reddito che
si registra in un'economia aperta, perché in un'economia aperta parte della domanda aggregata
va all'estero in termini di importazioni). Vediamo come la IS si muove a seguito di un aumento
delle esportazioni nette: per esempio perché aumenta il reddito estero o perché siamo di fronte ad
un deprezzamento reale (Paesi esteri più "ricchi"), ossia ad un aumento del tasso di cambio reale.
Come si può vedere dal grafico (a seguito di un aumento del reddito estero o del tasso di cambio
reale) la curva IS si sposta verso destra, passa da IS a IS', in quanto a parità di tasso di interesse
la domanda aggregata aumenta, visto che le esportazioni nette aumentano, di conseguenza
aumenterà anche il reddito (curva IS si posta verso destra <—> aumenta il reddito). Riassumendo:
un aumento del reddito estero o un deprezzamento reale (aumento del tasso reale di cambio)
fanno salire le esportazioni nette e la domanda aggregata, spostando la curva IS verso destra.
Vediamo questi concetti dalla seguente tabella:
-Supponiamo che la spesa pubblica (spesa interna) aumenti, cosa succede al reddito e alle
esportazioni nette? Se aumenta la spesa pubblica aumenta la domanda aggregata, se aumenta la
domanda aggregata aumenta il reddito (+). Dopodiché, se il reddito interno aumenta, le
esportazioni non variano, ma le importazioni aumentano, di conseguenza le esportazioni nette si
riducono (-).
-Vediamo ora cosa succede nel caso di un aumento del reddito estero. Se il reddito estero
aumenta le esportazioni nette aumentano (+), in quanto le esportazioni aumentano mentre le
importazioni rimangono invariate. Se aumentano le esportazioni nette, aumenta la domanda
aggregata e perciò aumenta il reddito (+). Potremmo poi affermare che se aumenta il reddito
aumentano poi le importazioni, di conseguenza si dovrebbero ridurre le esportazioni nette. Perché
allora diciamo che le esportazioni nette aumentano a seguito di un aumento del reddito estero?
Perché questo secondo effetto (aumento delle importazioni) generalmente è più piccolo rispetto al
primo effetto (aumento delle esportazioni), di conseguenza a seguito di un aumento del reddito
estero le esportazioni nette aumentano.
-Infine vediamo cosa succede nel caso di un deprezzamento reale. Se vi è un deprezzamento
reale (aumenta il tasso di cambio reale), significa che i prezzi dei beni statunitensi in dollari
aumentano (da 0,60 per dollaro a 0,80), quindi la competitività dell'Europa aumenta (è più
conveniente per gli statunitensi acquistare i nostri beni europei). Quindi, se vi è un deprezzamento
reale, ossia un aumento del tasso di cambio reale R, le esportazioni nette aumentano (+), in
quanto le esportazioni aumentano (perché i Paesi sono più "ricchi") mentre le importazioni si
riducono (perché prima il tasso di cambio era 0,60 per dollaro mentre ora è 0,80, quindi noi ora
spendiamo di più per importare, quindi le importazioni si riducono). Dopodiché, se le esportazioni
nette aumentano, la domanda aggregata aumenta, quindi infine aumenta anche il reddito (+).
Modello in forma esplicita delle esportazioni nette
Vediamo ora un modello in forma esplicita delle esportazioni nette. Il nostro scopo in pratica è
quello di derivare il nostro moltiplicatore keynesiano in economia aperta (noi abbiamo determinato
il moltiplicatore keynesiano in un’economia chiusa, ora vediamo come varia in un'economia
aperta). Innanzitutto, per arrivare a ciò prima determiniamo le esportazioni nette, ovvero prima
determiniamo le esportazioni e le importazioni:
Nel secondo punto abbiamo la formula finale della domanda aggregata, ovvero la formula estesa
dei consumi più gli investimenti più la spesa pubblica più le esportazioni nette.
Nel terzo punto spostiamo tutti i termini che contengono la Y a sinistra. Ā rappresenta: Č, cTR, Ī,
G (tutte le componenti con la barra sopra a parte la X). Alla fine otteniamo la formula della curva
IS. La funzione IS in economia aperta è quindi uguale alla formula che si legge nel terzo punto.
Ciò che interessa a noi però è il moltiplicatore (alfa per m). Il moltiplicatore alfa per m, ossia il
moltiplicatore in un'economia aperta, è minore del moltiplicatore alfa per g, ossia il moltiplicatore
in un'economia chiusa. Per ottenere il moltiplicatore in un'economia chiusa (quello che avevamo
già trovato) basta porre m=0, poiché in un'economia chiusa la propensione marginale alle
importazioni (m) è nulla. Il moltiplicatore in un'economia aperta si differenzia dal moltiplicatore in
un'economia chiusa per avere +m al denominatore, quindi ne consegue che il moltiplicatore in
un'economia aperta sarà minore del moltiplicatore in un’economia chiusa. Possiamo poi dire che
esiste una relazione inversa tra m e alfa per m, in quanto all'aumentare della propensione
marginale alle importazioni il moltiplicatore si riduce. Infatti, se la propensione marginale alle
importazioni aumenta, gli individui tenderanno ad acquistare di più i beni esteri, quindi l'effetto
moltiplicatore sulla produzione nazionale si ridurrà (eccolo spiegato contestualmente e non
tramite la formula). Se il moltiplicatore si riduce, la IS diventa più inclinata: infatti in un’economia
aperta la IS è più inclinata rispetto alla IS in un'economia chiusa, proprio perché il moltiplicatore
alfa con m è più piccolo rispetto al moltiplicatore alfa con g.
La condizione di equilibrio della bilancia dei pagamenti è BP=0 e viene rappresentata da una retta
di 45°. Sull'asse delle X come sempre abbiamo il reddito mentre sull'asse delle Y abbiamo il tasso
di interesse. Il coefficiente angolare di questa retta è il parametro che moltiplica Y nella formula
finale, ossia m fratto fi (si legge così a quanto pare). Questo ci serve per considerare due casi
estremi: il caso di assenza di mobilità dei capitali e il caso di perfetta mobilità dei capitali.
Vediamo cosa succede nel caso di assenza di mobilità di capitali. In tal caso il parametro fi è
uguale a zero. Quando fi è uguale a zero allora non esiste alcuna relazione con l'estero in termini
di capitali (i capitali non possono né uscire né entrare), quindi abbiamo solamente la parte che
riguarda l'avanzo commerciale. Perciò, se noi poniamo fi uguale a zero, nella formula
dell’equilibrio della bilancia dei pagamenti avremo che l'avanzo commerciale deve essere uguale
a zero (solo l'avanzo commerciale in quanto non viene considerato il conto finanziario, visto che è
nullo). Graficamente ciò significa che la nostra condizione di equilibrio della bilancia dei
pagamenti (BP=0) è una retta verticale, proprio perché il reddito non dipende dal tasso di
interesse (infatti nella condizione di equilibrio non avremo più la variabile del tasso di interesse in
tal caso):
Ora vediamo il secondo caso estremo (a noi interessa soprattutto questo) ossia quello della
perfetta mobilità dei capitali. Perfetta mobilità dei capitali significa che fi tende a più infinito, ciò
vuol dire che i capitali sono estremamente sensibili al differenziale tra i tassi di interesse (i - if).
Cosa succede se poniamo fi che tende a infinito nella formula dell'equilibrio della bilancia dei
pagamenti? Tutti questi termini scompaiono, perché tutti quei termini tenderanno a zero visto che
fi tendente ad infinito è al denominatore. La formula di cui sto parlando è questa:
Quindi se tutti gli elementi in cui c’è fi scompaiono, vuol dire che il tasso di interesse interno è
uguale al tasso di interesse estero (i = if). Se i capitali sono perfettamente mobili, l'unica
condizione di equilibrio per la bilancia dei pagamenti è tale che il tasso di interesse interno deve
essere uguale al tasso di interesse estero, perché basta un tasso di interesse leggerissimamente
più elevato rispetto a quello estero per far fluire i capitali in maniera illimitata. Lo stesso si verifica
nel caso di un tasso di interesse leggerissimamente più basso. Quindi nel caso di perfetta mobilità
dei capitali l’unica condizione di equilibrio è che il tasso di interesse interno sia uguale a quello
Quindi nel caso di perfetta mobilità dei capitali, ovvero quando il parametro fi tende a infinito,
allora l'equilibrio per la bilancia dei pagamenti si ha se e solo se il tasso di interesse interno è
uguale a quello estero, perciò avremo una retta perfettamente orizzontale. Questa, voglio
ricordare, è un'ipotesi estrema, così come la precedente.
Modello di Mundell-Fleming: perfetta mobilità dei capitali in regime di tassi di cambio fissi
A questo punto possiamo essere un po’ più precisi riguardo a quello che succede nel modello IS-
LM in un'economia aperta facendo una distinzione tra regimi di tasso di cambio fissi e regimi di
tasso di cambio flessibili.
Il modello di Mundell-Fleming analizza l'economia aperta con perfetta mobilità di capitali. In
questo caso ci troviamo in un regime di tassi di cambio fissi (ricordiamoci che in un regime di tassi
di cambio fissi la Banca Centrale si impegna a mantenere il livello dei cambi invariato, quindi
interviene direttamente, mentre in un regime di tassi di cambio variabili la Banca Centrale si
astiene dall'intervenire). Quindi vediamo cosa accade nel modello IS-LM con perfetta mobilità dei
capitali e in un regime di tassi di cambio fissi. La principale conclusione in questa situazione è che
le Banche Centrali non possono perseguire una politica monetaria indipendente. I tassi di
interesse non possono allontanarsi dal livello prevalente sul mercato mondiale. Qualsiasi tentativo
di condurre una politica monetaria indipendente determina flussi di capitali e la necessità di
intervento da parte delle autorità monetarie, fino a quando i tassi di interesse non sono
nuovamente in linea con quelli del mercato mondiale. L’impegno a mantenere un tasso di cambio
fisso fa sì che lo stock monetario sia endogeno, poiché la Banca Centrale deve fornire la valuta
estera o nazionale domandata al tasso di cambio fisso.
Espansione monetaria
Supponiamo ora che la Banca Centrale decida di attuare una politica monetaria restrittiva, ovvero
che decida di ridurre lo stock monetario nel Paese. Se lo stock monetario nel Paese si riduce,
cosa succede ai tassi di interesse? La LM si sposta verso sinistra, perché l'idea è che se l'offerta
di moneta si riduce anche la domanda di moneta si deve ridurre, quindi a parità di reddito, il tasso
di interesse aumenta. Cosa succede poi sui mercati di capitale? Vi sarà un afflusso di capitali. Il
tasso di interesse interno è aumentato, è più elevato rispetto a quello estero, quindi i capitali
affluiranno nel Paese e ciò determinerà un avanzo della bilancia dei pagamenti. Quale è la
conseguenza di un avanzo della bilancia dei pagamenti? Gli operatori stranieri domanderanno la
nostra valuta nazionale, di conseguenza ci sarà una pressione per una rivalutazione (perché siamo
in un regime di tassi di cambio fissi, altrimenti era un apprezzamento) della moneta. Ricordiamoci
però che siamo in un regime di tassi di cambio fissi, quindi la Banca Centrale si impegna a
mantenere il tasso di cambio al livello prefissato. Per contrastare queste pressioni alla
rivalutazione, cosa dovrà fare la Banca Centrale? Dovrà acquistare l'eccesso di valuta estera
offerta in cambio di valuta nazionale, ovvero immetterà sul mercato valuta nazionale. Cosa
significa questo? Significa che la banca centrale sta attuando una politica monetaria espansiva,
che è esattamente l'opposto di quello da cui siamo partiti. Ciò determina che il tasso di interesse
si riduce e quindi ritorniamo al tasso di interesse iniziale, ritorniamo poi anche allo stock di
moneta iniziale. Quindi sostanzialmente la politica monetaria restrittiva risulta essere totalmente
inefficace.
Ora vediamo il caso opposto, ossia vediamo il caso di una politica monetaria espansiva. Non
cambierà nulla, sarà ugualmente inefficace, ma vediamola comunque tramite un grafico:
Espansione fiscale
Vediamo ora cosa succede nel caso di una politica fiscale espansiva (espansione fiscale). Siamo
sempre in un regime di tassi di cambio fissi e di perfetta mobilità dei capitali (modello di Mundell-
Fleming). A differenza di prima supponiamo che ora sia lo Stato ad intervenire (e non la Banca
Centrale), il quale cerca di aumentare il reddito aumentando la spesa pubblica. In tal caso la curva
IS trasla verso destra, poiché è aumentata la spesa pubblica. Ma se la IS trasla verso destra, il
tasso di interesse aumenta (perché se aumenta la spesa pubblica aumenta la domanda
aggregata, aumenta il reddito e infine il tasso di interesse deve aumentare per garantire l'equilibrio
nel mercato monetario). Se il tasso di interesse aumenta si verificherà un afflusso di capitale (i
capitali si muoveranno verso il nostro Paese), in quanto il tasso di interesse interno sarà maggiore
di quello estero. A questo punto abbiamo un avanzo della bilancia dei pagamenti a causa di tutti
questi capitali che stanno affluendo nel nostro Paese. Questo avanzo della bilancia dei pagamenti
determina una pressione per la rivalutazione della moneta nazionale. A questo punto la Banca
Centrale interviene al fine di annullare queste pressioni e acquista valuta estera in cambio di
quella nazionale, in altre parole immette sul mercato moneta nazionale (perché la domanda di
moneta nazionale è maggiore dell'offerta di moneta nazionale, quindi per pareggiare la Banca
Centrale immetterà sul mercato moneta nazionale). La Banca Centrale quindi attua una politica
monetaria espansiva, che comporta lo spostamento verso destra della curva LM. Quindi
possiamo affermare che alla politica fiscale espansiva si accompagna una politica monetaria
espansiva. Dunque, la politica fiscale espansiva risulta essere estremamente efficace (a differenza
di quella monetaria), perché a seguito di queste politiche il reddito aumenta, ma è estremamente
efficace sopratutto perché il tasso di interesse rimane invariato (perché a seguito di uno
spostamento verso destra della curva IS, avviene anche uno spostamento verso destra della
curva LM grazie alla politica monetaria espansiva, così da far rimanere invariato il tasso di
interesse), non diminuisce (resta uguale a quello originario), quindi non abbiamo neanche un
effetto spiazzamento sugli investimenti.
In questo grafico abbiamo solamente la curva IS. Sull'asse orizzontale come sempre abbiamo il
prodotto/reddito mentre sull'asse verticale abbiamo il tasso di interesse. Cosa succede quando il
tasso di interesse interno è maggiore di quello estero (i>if)? Se il tasso di interesse interno è
maggiore di quello estero avremo un apprezzamento. La banca centrale non interviene, i capitali
affluiscono nel Paese e vi sarà quindi una domanda elevata di moneta nazionale che determina un
apprezzamento della moneta nazionale. Che impatto ha l'apprezzamento della moneta nazionale
sulla curva IS? L’apprezzamento sposterà la curva IS verso sinistra, in quanto un apprezzamento
comporta una riduzione delle esportazioni e un aumento delle importazioni, abbiamo dunque una
riduzione delle esportazioni nette (non ho capito perché, lo spiega meglio nel paragrafo dopo).
Cosa succede invece nel caso in cui il tasso di interesse interno è minore di quello estero (i<if)?
Avremo un deprezzamento, perché un minore tasso di interesse interno rispetto a quello estero
determina una fuga di capitali dal nostro Paese e quindi un deprezzamento della moneta
nazionale. Ciò determina un incremento delle esportazioni nette, in quanto aumentano le
esportazioni e si riducono le importazioni, perciò la curva IS si sposta verso destra.
(Apprezzamento significa una riduzione del tasso di cambio, occorrono meno euro per acquistare
un dollaro, quindi in pratica l'euro vale di più, è più apprezzato)
Come sempre, sull'asse delle X abbiamo il prodotto mentre sull'asse delle Y il tasso di interesse.
Partiamo dal punto di equilibrio E, punto in cui la IS si interseca con la LM, punto in cui la bilancia
dei pagamenti è uguale a zero e punto in cui il tasso interno è uguale a quello estero. Supponiamo
ora che vi sia una perturbazione reale della domanda, cioè supponiamo che vi sia un aumento
delle esportazioni (o della spesa pubblica). A seguito di ciò sappiamo che la IS si sposterà verso
destra. L'economia quindi si sposterà dal punto E al punto E' (la LM non si muove). A questo
punto nel caso di tassi di cambio fissi succedeva che la banca centrale doveva intervenire per
riportare la situazione in equilibro. Qui però la banca centrale non interviene, ma avviene
direttamente un apprezzamento della moneta, che comporta una riduzione delle esportazioni
nette, di conseguenza la IS tornerà al suo livello iniziale. Avremo dunque un effetto spiazzamento
completo, in quanto ritorniamo nel punto iniziale E. Possiamo dunque concludere che in questo
caso, a differenza di un regime di tassi di cambio fissi, la politica fiscale (nell'esempio quella
espansiva) non è assolutamente efficace, in quanto comporta uno spiazzamento completo delle
esportazioni.
Aggiustamento in seguito a una variazione dello stock monetario
Vediamo ora cosa succede a seguito di un aumento della quantità nominale di moneta (aumento
dello stock monetario), in altre parole, vediamo cosa succede a seguito di un’espansione
monetaria. Scopriremo che al contrario della situazione in un regime di tassi di cambio fissi, la
politica monetaria sarà estremamente valida ed efficace. Vediamo perché:
A seguito di un aumento della quantità nominale di moneta (politica monetaria espansiva) avremo
uno spostamento verso destra della curva LM, di conseguenza il tasso di interesse interno sarà
minore di quello estero. Contrariamente rispetto a prima (politica fiscale espansiva), perciò si
verificherà un deflusso di capitali che determinerà un deprezzamento della moneta nazionale. A
seguito del deprezzamento, le esportazioni nette aumentano e la curva IS si sposta verso destra,
aumentando ulteriormente il livello di reddito. Quindi, nel punto di equilibrio finale il reddito è
aumentato ed il tasso di interesse è al livello di quello estero (tasso di interesse invariato rispetto
al punto E originario). Possiamo perciò dire che la politica monetaria è estremamente valida.
Vediamolo anche graficamente:
Partiamo dal punto di equilibrio E, punto in cui il tasso interno è uguale a quello estero, quindi
punto in cui la BP è uguale a zero. La banca centrale decide di aumentare l'offerta di moneta, di
conseguenza la LM si sposterà verso destra (se aumenta l'offerta di moneta anche la domanda di
moneta deve aumentare e quindi a parità di reddito il tasso di interesse si deve ridurre), da LM a
LM'. Nel punto E' il tasso di interesse interno è minore di quello estero, quindi ci sarà un deflusso
di capitali (i capitali fuggono dal Paese) e di conseguenza vi sarà un deprezzamento della moneta
nazionale. A questo punto, il deprezzamento della moneta nazionale porterà ad un aumento delle
esportazioni nette (se la valuta nazionale si deprezza, cioè vale di meno, le nostre esportazioni
sono più convenienti quindi aumentano, mentre le importazioni costano di più quindi
diminuiscono) che causerà uno spostamento della IS verso destra, da IS a IS'. Di conseguenza si
raggiungerà un nuovo equilibrio nel punto E", dove quindi il tasso interno ritorna ad essere uguale
a quello estero. Nel punto E" abbiamo un aumento consistente del prodotto/reddito, mentre il
tasso di interesse rimane uguale a quello originario (senza alcun effetto spiazzamento sugli
investimenti, in quanto il tasso di interesse appunto non è cambiato). Possiamo quindi affermare
che la politica monetaria risulta estremamente valida.
Vediamo ora un riassunto riguardante la politica monetaria e fiscale sia in termini di tassi di
cambio fissi che flessibili, sempre in una situazione di perfetta mobilità dei capitali:
In un regime di tasso di cambi flessibili M è esogena, perché la banca centrale può modificare
l'offerta di moneta autonomamente, ecco perché non la consideriamo come una variabile ma la
sostituiamo subito con 100 (invece in un regime di tassi di cambio fissi, M, ossia l'offerta di
moneta, è endogena, infatti la consideriamo come una variabile).