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-Libro: istituzioni di economia politica, McGraw Hill, ultima edizione 2020.

-Esame: domande a risposta multipla e domande aperte (teoria ed esercizi).


16 domande a risposta chiusa e 1 domanda aperta. Sia teoria che esercizi ti possono capitare.

-Syllabus del corso:


•microeconomia:
•macroeconomia

ISTITUZIONI DI ECONOMIA POLITICA


Prof. Raffaele Fiocco

Microeconomia
CAPITOLO 1: CONCETTI DI BASE
La microeconomia si occupa delle decisioni individuali e dei loro effetti sull'allocazione delle
risorse scarse di una società.
Il luogo più comune dove avvengono le decisioni è il mercato. I mercati sono istituzioni
economiche che forniscono agli individui l’opportunità di acquistare e vendere beni e servizi. Ogni
mercato è associato ad un unico gruppo di prodotti strettamente collegati tra loro o, in altre
parole, un gruppo di prodotti altamente sostituibili.
Lo scambio viene governato dal prezzo, che rappresenta il quantitativo di denaro necessario per
ottenere un bene.

Obiettivi dei microeconomisti: affrontare questioni positive (domande fattuali) e questioni


normative.
L'analisi economica positiva riguarda:
-ciò che è accaduto (resoconto fattuale del passato);
-ciò che accadrà (previsione di scenari futuri);
-ciò che potrebbe accadere (possibili conseguenze di un determinato corso di azioni—>ad
esempio se una data impresa riduce il prezzo del 10%, quanti beni in più potrebbe vendere?).
Invece, l'analisi economica normativa riguarda cosa dovrebbe accadere (ad esempio: è meglio
tassare i redditi da lavoro o da capitale?). Le affermazioni normative sono soggettive, quindi gli
economisti fanno affidamento al principio della sovranità individuale, secondo il quale ognuno è in
grado di stabilire che cosa è meglio per sé.

Gli strumenti dei microeconomisti


Gli economisti seguono il metodo scientifico, che si basa su:
-osservazione iniziale di un fenomeno.
-teorizzazione—> viene ideata una teoria, ossia una spiegazione possibile del fenomeno (ad
esempio la teoria della domanda e dell'offerta).
-identificazione delle implicazioni aggiuntive—> che possono essere confermate o confutate (ad
esempio aumento dei prezzi a fronte di un aumento dei costi di produzione).
-ulteriori osservazioni e verifiche—> raccolta dei dati (ad esempio per verificare se i prezzi davvero
aumentano a causa di un aumento dei costi).
-raffinamento della teoria—> la teoria a volte deve essere raffinata in quanto le ulteriori
osservazioni possono portare alla confutazione (totale o parziale) della teoria.

I modelli dei microeconomisti


Gli economisti lavorano con modelli matematici, che sono rappresentazioni semplificate della
realtà. La maggior parte delle questioni richiede risposte precise.
Il tipico modello economico include due tipologie di variabili: esogene, ossia le variabili date, ed
endogene, ossia quelle variabili che vengono determinate dal modello (che non ci vengono
fornite, ma che gli economisti devono determinare).
La statica comparata studia le reazioni delle variabili endogene al cambiamento delle variabili
esogene. Le variabili endogene poi raggiungono un punto di equilibrio, ossia quel punto in cui le
variabili endogene non tendono più a mutare.

Le decisioni
Per i microeconomisti i trade-off sono inevitabili, poiché la scarsità delle risorse obbliga gli
individui ad effettuare scelte che implicano dei compromessi (guadagno su un certo aspetto, ma
ci perdo su un altro aspetto. Non è possibile guadagnare in entrambi gli aspetti, perché le risorse
sono scarse/limitate).
I microeconomisti devono fare delle scelte al margine, in quanto un aggiustamento (una
variazione) minimo di una scelta (variazione marginale) può portare a risultati migliori. Perciò,
quando si dice che le scelte vanno fatte al margine, vuol dire che vanno fatte tenendo conto della
minima variazione. È la minima variazione che può portare ad un risultato più soddisfacente, ecco
perché le scelte vanno fatte attraverso delle variazioni minime, perché basta poco per ottenere un
risultato migliore, è sufficiente un piccolo cambiamento per ottenere un risultato migliore. Inoltre,
la scelta al margine implica un'analisi costi-benefici, dove il costo include anche il costo
opportunità, ossia il costo associato alla perdita dell’opportunità di impiegare una risorsa in un
modo alternativo.
Gli individui rispondono agli incentivi: i benefici forniscono incentivi all'azione, mentre i costi
disincentivano l’azione. Anche i prezzi forniscono incentivi, in quanto una riduzione del prezzo
crea un incentivo all'acquisto, ma allo stesso tempo rappresenta un disincentivo a vendere.

I mercati
Lo scambio è la base del mercato. Lo scambio favorisce tutti, poiché un individuo dà un bene ad
un altro che lo valuta di più, in cambio di un altro bene che per il primo individuo ha un valore
maggiore.
In un mercato concorrenziale il prezzo rispecchia il valore per i consumatori (il valore che i
consumatori danno a quel determinato bene) ed il costo per i produttori. In un mercato di
concorrenza perfetta, sia per i consumatori che per le imprese il beneficio ed il costo devono
essere uguali. Per i consumatori il beneficio rappresenta il poter possedere il bene, mentre per le
imprese rappresenta il prezzo del bene. Inoltre, per i consumatori il costo rappresenta il prezzo del
bene, mentre per le imprese ci si riferisce ai costi di produzione (che quindi devono essere uguali
al prezzo del bene in un mercato di concorrenza perfetta).
In un mercato che non si trova in concorrenza perfetta a volte è necessario l’intervento dello Stato
per migliorare l’allocazione delle risorse (quando il prezzo del bene non rispecchia esattamente i
costi ed i benefici per tutti gli attori nel mercato, si parla di fallimento di mercato).

Gli strumenti della microeconomia sono indispensabili per l'analisi e la valutazione della politica
pubblica.
CAPITOLO 2: DOMANDA E OFFERTA
La curva di domanda
La curva di domanda di un bene rappresenta la quantità che i consumatori sono disposti ad
acquistare per ogni livello di prezzo.
La curva di domanda generalmente ha una pendenza negativa, è una retta decrescente, poiché
maggiore è il prezzo di un bene, minore sarà la quantità che i consumatori sono disposti ad
acquistare.
La curva di domanda si può spostare (può aumentare o diminuire) a seguito di variazioni di
determinati fattori come: la crescita demografica, le preferenze, il reddito dei consumatori, i prezzi
degli altri beni, le tasse e le regolamentazioni.

Prendiamo come esempio la domanda di mais e vediamo da cosa può dipendere un suo
spostamento:
-se aumentasse la popolarità di una dieta vegetariana, i consumatori comprerebbero più mais per
ogni livello di prezzo, ciò vuol dire che la domanda di mais aumenterebbe.
-se il prezzo delle patate aumentasse, i consumatori comprerebbero più mais per ogni livello di
prezzo. Ciò avviene a seguito di un aumento del prezzo del bene sostituto, che in questo caso
sono le patate. Il bene sostituto è quel bene che può rimpiazzare un altro bene, di conseguenza
se aumenta il prezzo delle patate i consumatori saranno più propensi ad acquistare il mais, visto
che i due prodotti hanno delle caratteristiche simili.
-supponendo che i consumatori vogliano consumare burro o mais insieme, se il prezzo del burro
aumentasse i consumatori comprerebbero meno mais per ogni livello di prezzo. In questo caso si
sta parlando di beni complementari, ossia quei beni che si completano a vicenda, che devono
essere utilizzati insieme. Un altro esempio di beni complementari è la stampante con le cartucce.
Se aumenta il prezzo delle cartucce, ossia il bene complementare della stampante, diminuirà
anche la quantità domandata di stampanti.
-se il reddito dei consumatori aumentasse, essi comprerebbero più mais per ogni livello di prezzo.

Una variazione del prezzo di un bene produce un movimento (uno spostamento/variazione)


lungo la curva di domanda. Nello specifico, ciò provoca una variazione della quantità
domandata. Ad esempio se varia il prezzo del bene del mais ciò causa un movimento lungo la
curva di domanda del mais. Nello specifico in tal caso, a seguito di un aumento del prezzo di mais
diminuirebbe la quantità domandata di mais.
Sull'asse delle ascisse (x) viene rappresentata la quantità domandata, mentre sull'asse delle
ordinate (y) viene rappresentato il prezzo.
Mentre la variazione del prezzo del mais provoca una variazione lungo la curva di domanda, una
variazione degli altri fattori (ad esempio le preferenze o il reddito dei consumatori o il prezzo di un
bene sostituto o complementare) provoca uno spostamento della curva di domanda (non lungo la
curva di domanda), noto come variazione della domanda.
Nell'immagine qui sopra si evince come nella figura A sia rappresento uno spostamento lungo la
curva di domanda a seguito di una diminuzione del prezzo di mais che provoca di conseguenza
un aumento della quantità domandata di mais. Mentre nella figura B si ha una variazione della
domanda a causa di uno dei fattori precedentemente descritti. Nello specifico in tal caso lo
spostamento deriva da un aumento del prezzo del bene sostituto, ossia delle patate, che provoca
un aumento della quantità domandata di mais.

La funzione di domanda

Per quanto riguarda il prezzo del mais c’è il - perché all'aumentare del prezzo del mais diminuisce
la quantità domandata di mais. Quindi il - sta ad indicare che vi è una relazione inversa.
Invece il prezzo delle patate viene indicato col + perché all'aumentare del prezzo delle patate,
ossia del bene sostituto, aumenta la quantità domandata di mais. Perciò il + sta ad indicare che vi
è una relazione diretta.
Per il prezzo del burro vi è ancora il - poiché all'aumentare del prezzo del burro (bene
complementare) diminuisce la quantità domandata di mais (relazione inversa).
Infine con M si indica il reddito dei consumatori, quindi vi è un + in quanto all’aumentare del
reddito aumenta la quantità domandata.

La curva di offerta
La curva di offerta rappresenta la quantità di un bene che i produttori sono disposti a vendere in
corrispondenza di ogni livello di prezzo.
La curva di offerta, a differenza della curva di domanda, ha pendenza positiva, poiché maggiore è
il prezzo di un bene maggiore sarà la quantità che le imprese sono disposte a vendere.
La curva di offerta si può spostare a seguito di un movimento di fattori come: la tecnologia, il
prezzo dei fattori produttivi, il prezzo di altri possibili prodotti, le tasse e le regolamentazioni.

Prendiamo come esempio la curva di offerta di mais:


-se si riducesse il costo di produzione del mais, i coltivatori sarebbero disposti a vendere più
quantità di mais per ogni livello di prezzo, quindi aumenterebbe la curva di offerta (aumento lungo
la curva di offerta).
-se aumentasse il prezzo di colture alternative al mais (come la soia), i coltivatori produrrebbero
meno mais per ogni livello di prezzo (vuol dire che al medesimo prezzo di prima i produttori
venderanno meno quantità di mais, poiché visto l’aumento del prezzo di un bene alternativo la
quantità domandata di mais aumenterà, di conseguenza i produttori potranno aumentare i prezzi,
quindi per lo stesso prezzo di prima i produttori venderanno meno quantità di mais, invece per un
prezzo maggiore saranno disposti a vendere più quantità di mais) CAPITO.

Gli stessi ragionamenti precedentemente descritti per la curva di domanda valgono anche per la
curva di offerta. Dunque, una variazione del prezzo del bene (del mais) produce un movimento
lungo la curva di offerta, nello specifico un aumento del prezzo provoca un aumento delle quantità
di mais che i produttori sono disposti a vendere. Quindi un movimento lungo la curva di offerta
provoca una variazione della quantità offerta. Mentre una variazione degli altri fattori (come la
tecnologia o il prezzo dei fattori produttivi o il prezzo di altre i beni alternativi/sostituti) provoca
uno spostamento della curva di offerta, noto come variazione dell’offerta.

La funzione di offerta
Qs sta ad indicare quantità offerta, visto che in inglese offerta si dice "supply".
Per quanto riguarda il prezzo del mais c’è un + in quanto vi è una relazione diretta, poiché
all'aumentare del prezzo del mais aumenta la quantità di mais che i produttori sarebbero disposti
a vendere. Invece, per il prezzo del carburante vi è un - perché all'aumentare del prezzo del
carburante diminuisce la quantità di mais che i produttori sarebbero disposti a vendere (il
carburante fa parte di quei fattori che provoca una variazione dell'offerta (non lungo la curva di
offerta)). Anche per il prezzo della soia c’è il - poiché all'aumentare del prezzo di un bene
alternativo come la soia diminuisce la quantità di mais che i produttori sono disposti a vendere
per il medesimo livello di prezzo (vedi spiegazione di pochi paragrafi fa).

[Approfondimento—>Differenza tra curva di domanda e offerta


Nella curva di domanda vi è una relazione inversa lungo la curva di domanda, ovvero
all’aumentare del prezzo diminuiscono le quantità domandate. C’è una relazione inversa tra
prezzo e quantità domandata. Ciò si evince dal grafico che è decrescente, inclinato
negativamente.
Invece nella curva dell'offerta all'aumentare del prezzo aumenta la quantità offerta. Si ha dunque il
caso opposto rispetto alla domanda. Qua vi è una relazione diretta tra prezzo e quantità offerta, in
quanto all’aumentare del prezzo aumenta la quantità offerta e ciò lo si evince dal grafico che, a
differenza della domanda, è crescente (inclinata positivamente).
Quindi:
Curva della domanda—> relazione inversa tra prezzo e quantità domandata (retta decrescente).
Curva dell'offerta—> relazione diretta tra prezzo e quantità offerta (retta crescente).
Se la curva di domanda si sposta verso destra aumenta la quantità domandata. Se si sposta
verso sinistra diminuisce la quantità domandata. Idem per la curva dell’offerta, se la curva
dell'offerta si sposta verso destra aumenta la quantità offerta e viceversa se si sposta verso
sinistra.]

Equilibrio di mercato
Il prezzo di equilibrio è il prezzo in corrispondenza del quale la domanda e l’offerta di un bene si
equivalgono. Dal punto di vista del grafico, il punto di equilibrio è il punto in cui la curva di
domanda interseca la curva di offerta.
In condizione di equilibrio i consumatori e i produttori realizzano tutti gli acquisti e le vendite
desiderati. I prezzi di mercato tendono ad adeguarsi in modo tale da garantire l'eguaglianza tra
domanda e offerta.
Se il prezzo è inferiore al prezzo di mercato vi sarà un eccesso di domanda, di conseguenza
bisognerà aumentare i prezzi così da ridurre la curva di domanda e aumentare la curva di offerta
(tutto logico).
Se, invece, il prezzo è superiore al prezzo di mercato (di equilibrio) vi sarà un eccesso di offerta,
perciò bisognerà ridurre il prezzo così da aumentare la domanda e ridurre l'offerta.

Esempio di equilibrio nel mercato del mais:


Sull'asse delle ascisse vi sono sempre le quantità, in questo caso le quantità domandate e
vendute, mentre sull'asse delle ordinate vi è il prezzo di equilibrio. Il punto di equilibrio si ha con
un prezzo pari a 3 e una quantità domandata e offerta pari a 9. Sopra il punto di equilibrio, ossia
nel caso di un prezzo superiore a 3, si ha un eccesso di offerta; mentre sotto il punto di equilibrio,
ossia nel caso di un prezzo inferiore a 3, si ha un eccesso ci domanda.

Esercizio sul calcolo dell’equilibrio—>trova il prezzo di equilibrio e la quantità domandata e


venduta di equilibrio:

Cambiamenti nell'equilibrio di mercato


Spesso le condizioni di mercato si modificano, a seguito di una variazione della domanda o
dell'offerta.
La nuova curva di offerta (dove c’è scritto "vedi sopra") è già stata ricavata nella foto poco più
sopra relativa alla curva di offerta.
Quindi si può notare come a seguito del cambiamento della curva di offerta, nello specifico a
seguito di un aumento della curva di offerta, cambino le condizioni di equilibrio. La curva di offerta
è aumentata in quanto sono diminuiti il prezzo della soia e del carburante (a seguito di una
diminuzione del prezzo della soia, aumenterà la quantità di mais che il produttore è disposto a
vendere per il medesimo livello di prezzo. Ciò vuol dire che per lo stesso prezzo di prima il
produttore sarà disposto a vendere una quantità maggiore di mais, perché a seguito della
diminuzione del prezzo della soia è diminuita la domanda di mais, di conseguenza il produttore
per aumentare di nuovo la domanda di mais sarà disposto a ridurre il prezzo del mais, ritornando
così a vendere la medesima quantità che vendeva prima, anche se prima la vendeva ad un prezzo
maggiore). Perciò (come ampiamente spiegato nel paragrafo della curva di offerta) al diminuire del
prezzo del carburante e della soia aumenta la quantità di mais che il produttore è disposto a
vendere per il medesimo livello di prezzo, dunque aumenta la curva di offerta e tale aumento viene
rappresentato nel piano cartesiano mediante uno spostamento della curva di offerta verso destra
(verso il basso). Se la curva di offerta aumenta, ossia aumenta la quantità di mais che il produttore
è disposto a vendere per ogni livello di prezzo, per aumentare la quantità domandata (e quindi
ritornare ad una posizione di equilibrio) si dovrà ridurre il prezzo, poiché a seguito di una
diminuzione del prezzo aumenterà la quantità domandata dai consumatori. Infatti il prezzo di
equilibrio passa da 3 a 2,50 e di conseguenza ciò causa un aumento della quantità domandata e
offerta, che da 9 passa a 10.
In sostanza, se aumenta la curva di offerta, per tornare ad una condizione di equilibrio bisognerà
ridurre il prezzo (la curva di offerta, per esempio, aumenta a seguito di una diminuzione del prezzo
della soia. Quindi se diminuisce il prezzo della soia (bene sostituto al mais) aumenterà la curva
dell’offerta in modo tale da ridurre il prezzo. In altre parole: se diminuisce il prezzo della soia
aumenta la curva dell'offerta e quindi si crea un eccesso di offerta. Così, per aumentare la
domanda bisognerà ridurre il prezzo del mais).

Tutto ciò lo si evince dal seguente grafico:

Altri esempi di cambiamenti dell'equilibrio di mercato:

A) se aumenta la curva di domanda (mentre la curva di offerta rimane invariata), vuol dire che
aumenta la quantità di beni che i consumatori sono disposti ad acquistare per il medesimo
livello di prezzo, quindi per evitare un eccesso di domanda si dovrà aumentare il prezzo (sono
tutto cose che ci arrivi a logica, o comunque per capire cosa succede è sufficiente ragionare
col grafico e capisci subito). L’aumento del prezzo non è necessario a seguito di un aumento
della domanda se tale aumento viene affiancato da un aumento dell'offerta. Ma se le imprese
non sono in grado di aumentare l’offerta sarà necessario aumentare il prezzo così da ridurre la
domanda.
B) al contrario, se diminuisce la curva di domanda, per evitare un eccesso dell'offerta bisognerà
diminuire il prezzo. Così come prima, non è necessario ridurre il prezzo se a seguito di una
diminuzione della domanda diminuisce anche l’offerta.
C) se aumenta la curva di offerta (spostamento verso destra, NON verso sinistra) aumenta la
quantità di beni che il produttore è disposto a vendere e per far aumentare la curva di
domanda (in modo tale da non avere un eccesso di offerta) bisognerà diminuire il prezzo.
D) se diminuisce la curva di offerta (spostamento verso sinistra) diminuisce la quantità di beni
che il produttore è disposto a vendere, quindi per evitare di avere un eccesso di domanda
bisognerà aumentare il prezzo.

L'ammontare del cambiamento di prezzo dipende anche dalla pendenza della curva che non si
sposta. Ad esempio, nel caso di un aumento della domanda vuol dire che è diminuito il prezzo di
equilibrio e l'ammontare di tale prezzo dipende dalla pendenza della curva che non si sposta, in
questo caso dalla curva di offerta.
Consideriamo un aumento dell'offerta—>se la curva di domanda è perfettamente orizzontale, il
prezzo non si modifica, rimane invariato, a cambiare è solo la quantità scambiata. Se, invece, la
curva di domanda è perfettamente verticale, all'aumentare della curva di offerta il prezzo si riduce,
mentre la quantità scambiata rimane invariata.
Quindi, possiamo affermare che quanto più inclinata è la curva di domanda tanto più consistente
sarà la variazione del prezzo e tanto più ridotta sarà la variazione della quantità scambiata, a
seguito di una variazione della curva di offerta.

Consideriamo ora un aumento della domanda—> se la curva di offerta è perfettamente


orizzontale, a seguito di un aumento della domanda, il prezzo rimane invariato, mentre aumenta la
quantità scambiata. Caso completamente opposto se la curva di offerta è perfettamente verticale.
Possiamo dunque affermare che quanto più inclinata è la curva di offerta, tanto più, a seguito di
una variazione della curva di domanda, sarà consistente la variazione del prezzo e tanto più
ridotta sarà la variazione della quantità scambiata.

Elasticità della domanda e dell'offerta


Per misurare la sensibilità della quantità al prezzo, si ricorre al concetto di elasticità (che è
indipendente dalle unità di misura). Date le variabili X e Y, l’elasticità di Y rispetto a X si definisce
come la variazione percentuale di Y in rapporto alla variazione percentuale di X.
Quindi, elasticità di Y rispetto a X= variazione % di Y/variazione % di X.
Se un aumento del 2% in X determina un aumento del 4% in Y, allora l’elasticità di Y rispetto a X
sarà pari a 2 (4%/2%=2%). Tale valore indica che Y aumenta del 2% per ogni aumento dell'1% di
X. Per elasticità, indipendentemente dal fatto che il risultato sia un numero positivo o negativo, i
valori più lontani da zero implicano una maggiore elasticità. Dunque, ad esempio se l’elasticità di
Y rispetto a X è pari a -0,7, mentre l’elasticità di Z rispetto a W è pari a +0,3 l’elasticità maggiore è
quella di Y rispetto a X (-0,7) perché dà come risultato un numero più lontano dallo zero (a noi
interessa il valore assoluto).

Elasticità al prezzo della domanda


L’elasticità al prezzo della domanda corrisponde alla variazione percentuale della quantità
domandata per ogni variazione dell'1% del prezzo. L’elasticità (al prezzo) della domanda è sempre
un numero negativo (perché a seguito di un aumento del prezzo la domanda si riduce e a seguito
di una riduzione del prezzo la domanda aumenta, c’è dunque una relazione inversa, ecco perché
l’elasticità della domanda è sempre negativa. Se ad esempio l’elasticità è pari a -3 vuol dire che
all’aumentare del prezzo dell'1% la domanda si riduce del 3%). La domanda di un bene tende ad
essere più elastica quando esistono beni sostituti, poiché all'aumentare del prezzo del bene ne
conseguirà una drastica riduzione della quantità domandata, in quanto i consumatori si
sposteranno sull'altro bene, sul bene sostituto.
L’elasticità della domanda al prezzo P è data dalla: variazione % della quantità domandata/
variazione % del prezzo.
Elasticità della domanda=(ΔQ/Q)/(ΔP/P)
La variazione della quantità domandata (ΔQ) è data dalla differenza tra la quantità finale e la
quantità iniziale. Dividendo tale differenza per la quantità iniziale e moltiplicandola per 100 si
ottiene la variazione percentuale della quantità domandata. Stessa logica per la variazione del
prezzo (ΔP), che è data dalla differenza tra il prezzo finale e quello iniziale. Dopodiché dividendo il
risultato ottenuto per il prezzo iniziale e moltiplicandolo per 100 si ottiene la variazione
percentuale del prezzo.
Quando l’elasticità della domanda è minore di -1 (va da -inf a -1) si dice che la domanda è
elastica. Quando l’elasticità della domanda è compresa tra -1 e 0 si dice che la domanda è
inelastica.

La prima modalità di scrittura è quella descritta precedentemente, semplificando quella è


possibile trovare la formula finale per trovare l’elasticità della domanda.
Possiamo poi sostituire ΔQ/ΔP con -B, ottenendo così la formula:

-B, ossia ΔQ/ΔP, rappresenta la pendenza della curva di domanda.


In una curva di domanda lineare, come la seguente, la domanda è più elastica in corrispondenza
di livelli di prezzo più elevati. O, in altre parole, la domanda è più elastica tanto più il prezzo è
elevato.

Nel grafico rappresentato, il -B, ossia la pendenza della curva della domanda, è sempre pari a -2,
visto che si tratta di una retta. Quindi da ciò possiamo capire il perché l’elasticità della curva di
domanda è generalmente negativa, poiché la pendenza della curva di domanda è principalmente
negativa, inclinata verso il basso, di conseguenza -B è negativo.
Una curva di domanda orizzontale è perfettamente elastica, perché l’elasticità della domanda dà
come risultato -infinito. ΔP/ΔQ (non ΔQ/ΔP) dà come risultato 0 (più precisamente 0-) perché a
fronte di una variazione della quantità domandata il prezzo non cambia (quindi 0 fratto un numero
dà 0), moltiplicato poi per il rapporto di P/Q (P/Q dà sempre come risultato un numero positivo) dà
-infinito. Invece, una curva di domanda verticale è perfettamente inelastica, in quanto -B dà
come risultato 0, moltiplicato per P/Q dà sempre 0, dunque si ha il caso perfetto di inelasticità.
In sostanza, una curva di domanda orizzontale è perfettamente elastica perché all'aumentare
delle quantità il prezzo rimane invariato. Invece una curva di domanda verticale è perfettamente
inelastica poiché al variare del prezzo le quantità domandate non variano. Se la domanda è
elastica (elasticità tra -infinito e 1) (retta con pendenza bassa=quasi orizzontale) all'impresa non
conviene aumentare il prezzo, altrimenti la domanda diminuirebbe sensibilmente. Se invece la
domanda è inelastica o rigida (elasticità tra 1 e 0) (retta con pendenza alta=quasi verticale)
l'impresa potrà aumentare il prezzo per aumentare i ricavi perché tanto la domanda non
diminuirebbe in maniera eccessiva, visto che la domanda è rigida.

Esercizio
Considera la curva di domanda di benzina (figura A dell'immagine seguente), determina:
1)qual è l’elasticità della domanda per un prezzo pari a 2,51 dollari per gallone?
2)e per un prezzo pari a 2,92 dollari?
3)la domanda è elastica o inelastica?

1)
ΔQ=365-395=-30
ΔP=2,92-2,51=0,41

ΔQ/ΔP=-73 (-infinito)
P/Q=2,51/395=0,00635 (0+)
Elasticità= -73 * 0,00635 = -0,46
L’elasticità della domanda per un prezzo pari a 2,51 è inelastica, perché al diminuire del prezzo la
quantità domanda non aumenta sensibilmente.

2)
ΔQ=395-365=30
ΔP=2,51-2,92=-0,41

ΔQ/ΔP=30/-0,41=-73
P/Q=2,92/365=0,008
Elasticità=-73 * 0,008= -0,584
L’elasticità della domanda per un prezzo pari a 2,92 è sempre inelastica, in quanto all'aumentare
del prezzo le quantità domandate diminuiscono per una piccola quantità.

Una funzione di domanda ad elasticità costante, o isoelastica, ha la stessa elasticità in


corrispondenza di un qualsiasi livello di prezzo. Solitamente all'aumentare del prezzo aumenta (in
valore assoluto, perché con aumenta si intende che si allontana dallo zero) l’elasticità della
domanda (come abbiamo visto nella figura 2.15), invece quando la domanda è ad elasticità
costante essa rimane tale per ogni livello di prezzo. Quando una funzione di domanda è ad
elasticità costante, l’elasticità è pari a -B (ossia pari al rapporto ΔQ/ΔP).

Spesa totale ed elasticità della domanda


La spesa totale è data dal prodotto tra il prezzo e la quantità (spesa totale=p*q). La spesa totale
aumenta in seguito ad un piccolo incremento del prezzo se la domanda è inelastica e si riduce se
la domanda è elastica. "La spesa totale aumenta in seguito ad un piccolo incremento del prezzo
se la domanda è inelastica" perché se la domanda è inelastica vuol dire che all'aumentare del
prezzo la quantità domandata diminuisce per un valore inferiore rispetto all’aumento del prezzo, di
conseguenza la spesa totale aumenta perché il valore assoluto dell'aumento del prezzo è
maggiore del valore assoluto della riduzione della quantità domandata. Invece, "la spesa totale si
riduce se la domanda è elastica" perché all'aumentare del prezzo diminuisce sensibilmente la
quantità domandata, nello specifico il valore assoluto dell'aumento del prezzo è inferiore rispetto
al valore assoluto della riduzione della quantità domandata, perciò la spesa totale diminuisce.
Se l’elasticità è pari a -1, nel caso di un aumento del prezzo dell'1% si avrà un riduzione sempre
dell'1% della quantità domandata, di conseguenza in questo caso la spesa totale rimane
inalterata.
Se, invece, l’elasticità è maggiore di -1, ossia compresa tra -1 e 0, nel caso di un aumento del
prezzo dell'1% vi sarà una riduzione della quantità domandata inferiore all'1%, di conseguenza la
spesa totale aumenta.
Se, infine, l’elasticità è minore di -1, ossia compresa tra -infinito e -1, nel caso di un aumento del
prezzo dell'1% vi sarà una riduzione della quantità domanda superiore all'1%, di conseguenza la
spesa totale diminuisce.
La spesa totale è massima in corrispondenza di un prezzo per il quale l’elasticità è -1. Ciò perché
se l’elasticità è pari a -1, all’aumentare del prezzo dell'1% anche la quantità domandata
diminuisce dell'1%.

L’elasticità al prezzo dell'offerta


L’elasticità al prezzo dell'offerta corrisponde alla variazione percentuale della quantità offerta per
ogni variazione dell'1% del prezzo. L’elasticità dell'offerta, a contrario di quella della domanda, è
generalmente un numero positivo, in quanto la pendenza della curva di offerta è positiva (retta
positivamente inclinata).
L’elasticità al prezzo dell’offerta è data dal rapporto tra la variazione % della quantità offerta e la
variazione % del prezzo.

Quando l’elasticità dell'offerta è maggiore di 1 (compresa tra 1 e + infinito) , l'offerta si definisce


elastica, mentre quando è minore di 1, ossia compresa tra 0 e 1, si definisce inelastica.
Una curva di offerta orizzontale è perfettamente elastica, in quanto -B, ossia il rapporto tra la
variazione della quantità offerta e la variazione del prezzo, dà come risultato 0 (più precisamente
0+), moltiplicato poi per il rapporto P/Q dà come risultato +infinito. Più teoricamente, una curva di
offerta è perfettamente elastica perché la quantità offerta aumenta anche senza una variazione del
prezzo. Mentre una curva di offerta verticale è perfettamente inelastica, poiché -B dà come
risultato 0, moltiplicato per il rapporto P/Q dà sempre 0, quindi è perfettamente inelastica. In altre
parole, una curva di offerta verticale è perfettamente inelastica in quanto la quantità domandata
non varia anche a seguito di importanti variazioni del prezzo.

Ulteriori elasticità
L’elasticità della domanda al reddito (non al prezzo) corrisponde alla variazione percentuale della
quantità domandata per ogni variazione dell'1% del reddito. L’elasticità della domanda al reddito
è data dal rapporto tra la variazione percentuale della quantità domandata e la variazione
percentuale del reddito.

Se tale elasticità è maggiore di 0 si dice che il bene è normale, mentre se l’elasticità della
domanda al reddito è inferiore a 0 il bene si definisce inferiore.
Elasticità > 0 —> bene normale
Elasticità < 0 —> bene inferiore

Infine, vi è l’elasticità incrociata della domanda che corrisponde alla variazione percentuale della
quantità domandata di un bene per ogni variazione dell'1% del prezzo di un altro bene. La formula
è esattamente la stessa dell’elasticità al prezzo della domanda, solo che in questo caso il prezzo
non lo indichiamo con P, ma con P con 0, in quanto il prezzo è di un altro bene.
Se l’elasticità della domanda incrociata è maggiore di 0 vuol dire che l'altro bene è sostituto,
mentre se è inferiore a 0 significa che è un bene complementare.
Se l’elasticità della domanda incrociata è positiva significa che all'aumentare del prezzo dell'altro
bene aumentano le quantità domandate del bene principale, possiamo quindi intuire come l'altro
bene sia un sostituto. Invece se l’elasticità è negativa vuol dire che all'aumentare del prezzo
dell'altro bene diminuiscono le quantità domandate del bene principale, si può dunque notare che
il secondo bene è complementare.
Elasticità > 0 —> bene sostituto
Elasticità < 0 —> bene complementare
CAPITOLO 3: PREFERENZE DEL CONSUMATORE
Principi della scelta del consumatore
Le preferenze forniscono informazioni su ciò che un consumatore gradisce e ciò che non
gradisce, più genericamente fornisce informazioni sui gusti del consumatore.
Principio dell’ordinamento delle preferenze—>un consumatore è in grado di stabilire un
ordinamento, ossia di disporre in ordine di preferenza, con possibili ex aequo (ovvero possibili
beni preferiti in egual misura), tutte le alternative potenzialmente disponibili. Un consumatore è
indifferente tra due alternative se le gradisce (o non le gradisce) in uguale misura.
Questo principio si basa su due ipotesi riguardo ai confronti tra coppie di alternative:
-completezza delle preferenze: date due alternative X e Y, il consumatore può preferire X a Y,
oppure Y a X, oppure essere indifferente (però non sarà mai incerto o confuso).
-transitività delle preferenze: se un consumatore preferisce X a Y e Y a Z, allora deve anche
preferire X a Z.

Principio della scelta—> tra le alternative disponibili, il consumatore sceglie quella a cui
attribuisce il rango più elevato nel proprio ordinamento (l'ordinamento delle preferenze è stato
visto appena prima). L'obiettivo del consumatore è sempre quello di ottenere il livello più alto
possibile di benessere.
Il consumatore razionale della teoria economica segue questi due principi (principio
dell'ordinamento delle preferenze e principio della scelta).

Un paniere di consumo è l’insieme dei beni che un individuo consuma in un dato intervallo di
tempo. Le scelte di un consumatore generalmente rispecchiano le sue opinioni sui diversi panieri
di consumo, anziché su un singolo bene.

Principio di non-sazietà—> quando un paniere di consumo contiene una maggiore quantità di


ogni singolo bene rispetto ad un secondo paniere, il consumatore preferisce il primo al secondo
per il principio di non-sazietà. Il consumatore preferisce sempre il più al meno.

Curve di indifferenza
Una curva di indifferenza rappresenta tutte le alternative che un consumatore gradisce in uguale
misura. Le curve di indifferenza sono sottili (devono essere sottili). Le curve di indifferenza non
hanno una pendenza positiva, non sono inclinate verso l'alto (hanno pendenza negativa, sono
inclinate verso il basso).

La curva di indifferenza che passa per qualsiasi paniere di consumo, per esempio per A, separa
tutti i panieri migliori di A dai panieri peggiori di A.
Il consumatore preferisce F ad A, in quanto il paniere F contiene una quantità maggiore di zuppa,
mentre la quantità di pane rimane invariata (ciò rimanda al principio di non-sazietà).
I panieri E, A e H sono indifferenti per il consumatore, hanno la stessa utilità, in quanto si trovano
sulla medesima curva di indifferenza.
Tra il paniere D e il paniere G il consumatore preferirà il paniere D, perché quest'ultimo si trova a
destra della curva di indifferenza. Tutto ciò che sta a destra della curva di indifferenza (nella parte
evidenziata in blu chiaro) avrà per il consumatore un’utilità maggiore rispetto ai panieri sulla curva
di indifferenza e rispetto a quelli a sinistra di essa. Dal fatto che il consumatore preferisce il
paniere D al paniere G, si evince come per il consumatore sia più importante una maggiore
quantità di pane piuttosto che una maggiore quantità di zuppa.
Tra H e G preferisce H, perché a parità di quantità di zuppa il consumatore ottiene più pane (dal
grafico capisci perché H è sulla curva di indifferenza, mentre G è a sinistra della curva di
indifferenza).

Dal grafico qui sopra si può capire perché le curve di indifferenza devono essere sottili. Le curve
di indifferenza non possono essere spesse perché altrimenti verrebbe violato il principio di non
sazietà (nella figura a). Il consumatore deve preferire il paniere B ad A, non può essere indifferente.
Invece, se la curva è spessa per il consumatore A e B sarebbero uguali, tuttavia ciò non può
accadere, perché il consumatore deve preferire B ad A. Ecco perché le curve di indifferenza non
possono essere spesse, ma devono essere sottili.
Inoltre, le curve di indifferenza non devono avere pendenza positiva, come nella figura b). Le curve
di indifferenza devono sempre avere una pendenza negativa, in quanto il consumatore non può
preferire in ugual misura il paniere C e D, ma il consumatore preferirà il paniere D in quanto si
trova più a destra, dunque con il paniere D il consumatore otterrebbe più quantità. Perciò, sempre
in base al principio di non sazietà le curve di indifferenza devono avere pendenza negativa.

Una famiglia di curve di indifferenza è un insieme di curve di indifferenza che rappresentano le


preferenze di uno stesso individuo. Le curve di indifferenza appartenenti alla stessa famiglia non
possono intersecarsi, mentre è probabile che si intersechino curve di indifferenza di individui
differenti. Quando il consumatore mette a confronto due panieri qualsiasi, esso preferisce quello
che giace sulla curva di indifferenza più lontana dall'origine degli assi. Più la curva di indifferenza
si allontana dall'origine più essa rappresenta un’utilità maggiore per il consumatore; viceversa una
curva di indifferenza più vicina all’origine sarà composta da panieri che il consumatore preferisce
di meno.
Come si evince dal grafico qui sopra, per ogni punto sul grafico, ossia per ogni paniere, passa
una curva di indifferenza.
Le curve di indifferenza di uno stesso consumatore, come anticipato poc'anzi, non possono
intersecarsi, altrimenti verrebbe violata la transitività delle preferenze. Non è possibile che due
curve di indifferenza dello stesso consumatore si intersechino, nello specifico ciò non è possibile
perché C deve essere preferito a B, mentre A deve essere uguale a B, quindi C non può essere
uguale ad A, ma deve essere preferito ad A, visto che B e A sono preferiti allo stesso modo.
Quindi se C è preferito a B, C deve essere preferito anche a A, visto che A e B sono preferiti allo
stesso modo, ma nel grafico ciò non avviene perché C ed A vengono rappresentati sulla stessa
curva di indifferenza e quindi vengono preferiti allo stesso modo. Ecco perché le curve di
indifferenza di uno stesso consumatore non possono intersecarsi.

Saggio marginale di sostituzione


La pendenza della curva di indifferenza fornisce informazioni riguardo alla quantità di un bene
necessaria a compensare il consumatore per il sacrificio di una data quantità di un altro bene. Dati
due beni X e Y, il saggio marginale di sostituzione (in inglese marginal rate of substitution) di X con
Y, è il tasso a cui un consumatore deve adeguare Y per mantenere lo stesso livello di benessere
quando X varia di una piccola quantità.
Il tasso marginale di sostituzione di X con Y si definisce come:

Il saggio marginale di sostituzione è uguale alla pendenza della retta tangente alla curva di
indifferenza (in valore assoluto), come si evince dal seguente grafico.

La pendenza della retta tangente alla curva di indifferenza si trova, presi due punti qualsiasi sulla
retta, facendo il rapporto tra la variazione dei due punti in Y (pane) e la variazione dei due punti in
X (zuppa). Quella appena descritta è la formula per trovare, oltre alla pendenza delle retta, anche il
saggio marginale di sostituzione. Il saggio marginale di sostituzione (o la pendenza della retta
tangente alla curva di indifferenza) del grafico rappresentato è pari a -3/2. Quindi dal risultato
seguente si evince che il tasso a cui il consumatore deve adeguare il pane (Y) per mantenere lo
stesso livello di benessere quando la zuppa (X) varia di una piccola quantità è -3/2.
Perciò, la pendenza della retta tangente alla curva di indifferenza nel punto A ci fornisce
informazioni su quanto pane in più il consumatore vuole a fronte di una riduzione della zuppa per
restare sulla stessa curva di indifferenza; oppure quanto pane in meno il consumatore vuole a
seguito di un aumento delle quantità di zuppa, sempre per restare sulla stessa curva di
indifferenza.

Il saggio marginale di sostituzione dipende dai gusti dei consumatori. Se un individuo desidera
molto il bene Y (pane) e gradisce abbastanza il bene X (zuppa), la sua curva di indifferenza è
relativamente piatta ed il suo saggio marginale di sostituzione (ossia la pendenza della retta
tangente alla curva di indifferenza) è relativamente basso (il rapporto tra la variazione del pane e la
variazione della zuppa è relativamente basso). Perciò, al diminuire della quantità di zuppa di
un’unità, per raggiungere il medesimo livello di benessere, il pane aumenterà per una piccola
quantità, inferiore all’unità (in quanto il pane è il bene che desidera maggiormente, quindi basta
una piccola quantità di pane per compensare una riduzione di un’unità della zuppa). Il pane a
seguito di una diminuzione della zuppa, anche sostanziosa, aumenterà per una piccola quantità,
in quanto il consumatore dà molta più importanza al pane (desidera di più il pane rispetto alla
zuppa), di conseguenza un suo leggero aumento gli consente comunque di riequilibrare il suo
stato di benessere, anche a seguito di una sostanziosa diminuzione della quantità di zuppa.
Invece si ha il caso opposto se la curva di indifferenza è più inclinata, in quanto il SMS sarà più
elevato e il consumatore darà più importanza alla zuppa (bene X) rispetto al pane (bene Y), poiché
al diminuire della zuppa aumenta in maniera importante il pane, quindi per riequilibrare il suo stato
di benessere a fronte di una diminuzione della zuppa, il consumatore dovrà acquistare molto più
pane, di conseguenza da ciò si evince che il consumatore gradisce di più la zuppa, dà più
importanza alla zuppa.

La curva di indifferenza è sempre convessa ed esibisce un saggio marginale di sostituzione


decrescente, in quanto via via che ci si sposta verso destra il saggio marginale diminuisce. Ciò
avviene sia se la retta tangente ha una pendenza più orizzontale sia se essa ha una pendenza più
verticale, anche se nel caso di una retta più orizzontale tale diminuzione sarà meno accentuata.
Più ci si sposta verso destra, più diminuisce il rapporto tra la variazione del bene Y e la variazione
del bene X. Viceversa, più ci si sposta verso sinistra, più aumenta il saggio marginale di
sostituzione.

Dimostrazione (soprattuto nella retta più verticale si evince come via via che ci si sposta verso
destra il SMS diminuisce (in valore assoluto). Tale diminuzione è meno accentuata in una retta più
orizzontale):
Vengono definiti sostituti perfetti i beni le cui funzioni sono identiche, di conseguenza un
consumatore è disposto a scambiarli ad un tasso fisso. Mentre vengono definiti complementi
perfetti (è scritto giusto) quei beni che sono utili solamente quando vengono utilizzati in rapporti
fissi. La differenza tra sostituti e complementi perfetti è che i primi vengono scambiati ad un tasso
fisso, mentre i secondi vengono utilizzati (insieme) ad un tasso fisso.

Un esempio di sostituti perfetti possono essere le compresse MomentAct. Le compresse


MomentAct da 400g possono essere perfettamente sostituite con due compresse MomentAct da
200g. Ecco perché per quanto riguarda i sostituti perfetti il consumatore è disposto a scambiarli
ad un tasso fisso, in questo caso pari a 2, poiché se il consumatore possiede 4 compresse da
200g sarà disposto a scambiare con 2 da 400g (4/2=2), se ne possiede 6 da 200g sarà disposto a
scambiarle con 3 da 400g (6/3=2), e via dicendo, con un tasso fisso che è sempre pari a 2.
Qui di seguito il grafico rappresentante dei sostituti perfetti:

Un altro esempio di sostituti perfetti potrebbe essere quello della CocaCola e della Pepsi (in
questo caso il tasso fisso dovrebbe essere pari a 1: il consumatore che possiede 1 Coca-Cola
sarà disposto a scambiarla con 1 Pepsi, il consumatore che possiede 3 Coca-Cola sarà disposto
a scambiarle con 3 Pepsi).

Invece, un esempio di complementi perfetti sono le scarpe, nello specifico la scarpa sinistra e la
scarpa destra. La scarpa sinistra è perfettamente complementare alla scarpa destra, di
conseguenza una determinata quantità di scarpe sinistre sarà perfettamente complementare con
la stessa quantità di scarpe destre, ecco perché si dice che i complementi perfetti vengono
utilizzati in rapporti fissi, poiché 10 scarpe destre saranno perfettamente complementari con 10
scarpe sinistre, 5 scarpe destre saranno perfettamente complementari con 5 scarpe sinistre e così
via. Il consumatore non trae alcuna utilità in più ad utilizzare 5 scarpe sinistre con 6 scarpe destre,
in quanto la sesta scarpa destra potrà essere utilizzata solo se vi è anche la sesta scarpa sinistra,
ma nel caso in cui essa non vi è allora la sesta scarpa destra sarà inutile. Ecco perché nel grafico
qui di seguito vi sono delle rette orizzontali e verticali che tendono ad infinito, proprio perché il
consumatore non trae alcun maggior vantaggio a possedere una scarpa destra in più rispetto a
quelle sinistre, o viceversa. Il consumatore trae utilità solamente quando possiede una
determinata quantità del bene complementare (scarpa sinistra) a fronte della stessa quantità
dell'altro bene complementare (scarpa destra).
[Spiegazione ulteriore—>Complementi perfetti: scarpa sinistra e scarpa destra
Dato un numero di scarpe destre pari a 5 avrò delle scarpe sinistre pari a 5. Il possedere più
scarpe destre rispetto a quelle sinistre non va a migliorare il livello di soddisfazione del
consumatore. Ecco spiegato il tratteggio orizzontale. Stesso discorso per l'avere più scarpe
sinistre, come si evince dal tratteggio verticale. Il consumatore è soddisfatto quando ha lo stesso
numero di scarpe sinistre e destre, l’avere delle scarpe destre o sinistre in più non va ad
aumentare il livello di soddisfazione del consumatore, ma neanche a peggiorarlo, resta invariato. ]

Utilità
L’utilità è un valore numerico che indica il benessere relativo del consumatore. Un’utilità più alta
associata ad un paniere di consumo indica una soddisfazione (vantaggio o beneficio) maggiore
derivante da quel paniere (rispetto agli altri). Per assegnare valori di utilità ai panieri di consumo
vengono utilizzate funzioni di utilità.
Ad esempio, supponiamo che la funzione di utilità di un individuo sia U (F, L) = F * L^2.
In che modo l’individuo può costruire una graduatoria dei diversi panieri?

Il paniere ottimo è quello in corrispondenza del quale l’utilità raggiunge il suo massimo. Di
conseguenza il problema di scelta del consumatore diventa un problema di massimizzazione della
funzione di utilità. Se vale il principio dell'ordinamento delle preferenze (visto all’inizio di questo
capitolo), ossia che le preferenze sono complete e transitive, allora esiste una funzione di utilità
che rappresenta le preferenze.

Si differenzia poi tra utilità ordinale e utilità cardinale. Le informazioni ordinali permettono
esclusivamente di determinare se un'alternativa sia migliore o peggiore rispetto ad un’altra. In
questo caso, l’utilità assegnata ai panieri serve solamente ad ordinare i panieri (primo, secondo,
terzo,...), ma non intende misurare esattamente la soddisfazione che ognuno di essi procura al
consumatore.
Invece, le informazioni cardinali si concentrano sull’intensità di queste preferenze, ossia su quanto
sia migliore o peggiore un’alternativa rispetto ad un'altra.
Nella microeconomia le funzioni di utilità servono soltanto a riassumere informazioni ordinali, ossia
quelle informazioni che permettono di determinare esclusivamente se un'alternativa è migliore o
peggiore rispetto ad un'altra (ma non quanto sia migliore o quanto sia peggiore rispetto ad
un'altra).

Quando si cambia la scala usata per misurare l’utilità, la famiglia delle curve di indifferenza del
consumatore rimane invariata. Per esempio la funzione di utilità U (P, Z) = 0,5 * Z * P genera la
stessa famiglia di curve di indifferenza del consumatore della funzione di utilità U (P, Z) = Z * P

Il concetto di utilità è strettamente collegato alla curva di indifferenza. Una volta trovate le curve di
indifferenza, possiamo assegnare ad ogni paniere delle utilità.

Funzione di utilità e saggio marginale di sostituzione


L’utilità marginale (marginal utility) è la variazione dell’utilità del consumatore derivante
dall'aggiunta di una piccolissima quantità di un certo bene, divisa appunto per la quantità
addizionata.
Quindi, data la quantità di un bene X, l’utilità marginale di X è data da:
Di conseguenza, risulta che il tasso (saggio) marginale di sostituzione (MRS in inglese) è pari al
rapporto tra l’utilità marginale del bene X e l’utilità marginale del bene Y, poiché, come sappiamo,
il SMS è dato dal rapporto tra due variazioni, in questo caso dal rapporto tra la variazione
dell’utilità del bene X e la variazione della quantità del bene X (ossia l’utilità marginale del bene X),
e il rapporto tra la variazione dell’utilità del bene Y e la sua quantità (ossia l’utilità marginale del
bene Y). Riassumendo: il saggio marginale di sostituzione è pari al rapporto tra l’utilità marginale
del bene X e l’utilità marginale del bene Y.

(((A parole:
Una variazione del bene X pari a ΔX determina una variazione dell’utilità pari all’utilità marginale di
X moltiplicata per la variazione del bene X (ossia ΔX).)))

Esercizio
Supponiamo che un individuo abbia una funzione di utilità pari a U (F, L) = F + 2L.
Trovare:
A)la formula per le curve di indifferenza.
B)utilità marginale di F e l’utilità marginale di L.
C)il saggio marginale di sostituzione di F ed L.
D)dire se i due beni sono sostituti perfetti, complementi perfetti o altro.

A)
Il concetto di utilità è strettamente collegato alla curva di indifferenza. Una volta trovate le curve di
indifferenza, possiamo assegnare ad ogni paniere delle utilità.
L'individuo è indifferente a tutte le combinazioni di F e L tali che U = F + 2L.
La curva di indifferenza che passa per il paniere L è L = U/2 - F/2.
La curva di indifferenza che passa per il paniere F è F = U - 2L.

Puoi trovare la curva di indifferenza data una funzione di utilità, ponendo o F o L come variabile
indipendente (puoi usare sia una che l'altra).
La derivata di U(F,L)=F+2L rispetto a F è uguale a 1. Quindi il rapporto incrementale, ossia il
rapporto tra Delta u e Delta f è uguale a 1. Invece la derivata della stessa funzione di utilità
rispetto a L è uguale a 2, quindi il rapporto incrementale è uguale a 2.
Spiegazione per i punti successivi —>i rapporti incrementali (ossia le due derivate) che abbiamo
trovato rappresentano l’utilità marginale di L e l’utilità marginale di F (Infatti l’utilità marginale è il
rapporto tra Delta U e Delta F o L). Quindi il saggio marginale di sostituzione, che è il rapporto tra
le due utilità marginali, è pari a 1/2, ossia utilità marginale di F/utilità marginale di L.
1/2 rappresenta anche la pendenza della retta tangente alla curva di indifferenza.

B)
Sappiamo che l’utilità marginale di un bene è il rapporto tra la variazione della sua utilità e la
variazione delle sue quantità. Dalla funzione di utilità ricaviamo che l’utilità marginale di F è pari a
1, mentre l’utilità marginale di L è pari a 2 (poiché a fronte di un incremento di 1 unità delle sue
quantità, l’utilità aumenta di 2). Spiegato meglio alla fine del punto A), dove si evince che l’utilità
margine di F ed L si trova facendo la derivata di U rispetto a F (trovo utilità marginale di F) e
facendo la derivata di U rispetto a L (trovo utilità marginale di L).

C)
Il saggio marginale di sostituzione di due beni, come visto poco sopra, è pari al rapporto tra
l’utilità marginale di uno e l’utilità marginale dell'altro. Quindi il saggio marginale di sostituzione di
F ed L è pari 1/2, dove 1 è l’utilità marginale di F e 2 l’utilità marginale di L.
Come sappiamo, il saggio marginale di sostituzione è pari alla pendenza della retta tangente alla
curva di indifferenza, di conseguenza la pendenza della retta tangente è pari a 1/2.

D)
Dato che il consumatore è disponibile a scambiare i beni ad un tasso fisso, i beni sono sostituti
perfetti.
CAPITOLO 4: VINCOLI, SCELTE E DOMANDA
Reddito, prezzi e retta di bilancio
Il reddito di un consumatore è costituito dal denaro che egli riceve durante un intervallo di tempo
fisso.
Il vincolo di bilancio di un consumatore è dato dal costo del paniere di consumo che deve essere
minore o uguale al reddito. Vincolo di bilancio=costo del paniere di consumo<=reddito.
Supponendo che un consumatore desideri soltanto zuppa e pane e che il prezzo unitario della
zuppa e del pane sia rispettivamente Pz e Pp, il vincolo di bilancio è dato da:

(M rappresenta il reddito, Z le unità di zuppa e P le unità di pane)

La retta (o linea) di bilancio del consumatore identifica tutti i panieri di consumo che esauriscono
in maniera esatta il reddito del consumatore. Ne consegue che il consumatore è in grado di
acquistare ogni paniere giacente lungo la retta di bilancio o al di sotto di essa.
Per ottenere la retta di bilancio esplicitata per P, ossia per la quantità del pane (ma potrei anche
esplicitare la retta di bilancio per Z, ossia per la quantità di zuppa) parto dalla disequazione di
prima, solo che al posto del <= metto solo l'uguale. Sposto a destra Pz*Z e divido per Pp ed
ottengo:

Questa è la formula della retta di bilancio esplicitata per la quantità del pane, mentre la formula
della retta di bilancio normale è la prima che abbiamo visto (quella col <=).

La pendenza della retta di bilancio è uguale al rapporto tra Pz (asse ascisse) e Pp (asse ordinate),
moltiplicato per -1, cioè il rapporto tra il prezzo del bene sull'asse delle ascisse e il prezzo del
bene sull'asse delle ordinate.
Supponiamo ora che Pz=2 e Pp=0,50. Di conseguenza possiamo affermare che la pendenza della
retta di bilancio è pari a -4 (2/0,50). Come abbiamo imparato nel capitolo precedente, la pendenza
si può trovare anche facendo la derivata delle due variabili, ossia la derivata rispetto a Pp e Pz. La
derivata di P rispetto a Pz sarà pari a 2, mentre la derivata di P rispetto a Pp sarà pari a 0,50,
quindi la pendenza, che è data dal rapporto tra le due derivate, è pari a 4 (in valore assoluto) (in
altre parole la pendenza si può trovare facendo ΔX/ΔY, che equivale a fare la derivata).

Una variazione del reddito modifica l’intercetta verticale, ossia il punto in cui la retta di bilancio
interseca l'asse delle ordinate, lasciandone invariata la pendenza (perché è il reddito che varia,
non Pz e Pp) (l’intercetta verticale si trova facendo M/Pp. Tale formula la troviamo ponendo alla
formula ricavata poc'anzi Pz=0, di conseguenza resta solo il rapporto M/Pp) (chiaramente anche
l'intercetta orizzontale, ossia il punto in cui la retta di bilancio interseca l'asse delle ascisse, viene
modificata dopo una variazione del reddito) (M/Pz, in tal caso tale rapporto lo si ottiene ponendo
P=0). Quindi, una riduzione del reddito sposta la retta di bilancio verso l’interno, viceversa in caso
di aumento.
Invece, una variazione del prezzo del bene fa ruotare la retta di bilancio (ricordiamoci che la
pendenza della retta di bilancio è data dal rapporto Pz/Pp, dove Pz è il prezzo sull'asse delle X
mentre Pp è il prezzo sull'asse delle Y). Più nello specifico, una riduzione del prezzo sull'asse delle
ascisse (Pz) provoca la diminuzione della pendenza della retta di bilancio (o in altre parole la retta
di bilancio è meno verticale); mentre una riduzione del prezzo sull'asse delle ordinate (Pp) provoca
un aumento della pendenza della retta di bilancio (o in altre parole la retta di bilancio è più
verticale). Nel caso dell’aumento del prezzo si avrà chiaramente il caso opposto, nello specifico
se aumenta il prezzo sull'asse delle ascisse aumenta la pendenza (o in altre parole la retta di
bilancio è più verticale), mentre se aumenta il prezzo sull'asse delle ordinate diminuisce la
pendenza (la retta di bilancio è meno verticale).
La rotazione avviene facendo perno sull’intercetta relativa al bene il cui prezzo rimane invariato.
La moltiplicazione di tutti i prezzi per una costante ha sulla retta di bilancio lo stesso effetto della
divisione del reddito per quella costante, ossia ha lo stesso impatto di una diminuzione del
reddito; di conseguenza a seguito di un incremento di entrambi i prezzi il potere d'acquisto del
consumatore si riduce per quella costante e pertanto il reddito diminuisce e dunque la retta di
bilancio si sposta verso sinistra. Inoltre in tal caso la pendenza della retta di bilancio rimane
invariata. Caso diverso se vi è una variazione in ugual misura sia dei prezzi sia del reddito, in tal
caso non vi sarà alcun effetto sulla retta di bilancio. Ad esempio supponiamo che entrambi i
prezzi si raddoppino e anche il reddito raddoppia, in tal caso rimane tutto invariato, la pendenza
rimane la medesima, così come le intercette (rapporto tra il reddito e il prezzo di uno dei due
beni).

Scelta del consumatore


Per il principio di non-sazietà il consumatore preferisce un paniere situato sulla retta di bilancio, in
quanto gli consente di ottenere le maggiori quantità possibili dei beni sfruttando al massimo il
reddito che ha a disposizione. Il consumatore preferisce sempre il più al meno.
La scelta del consumatore deve giacere sulla più alta curva di indifferenza tra quelle tangenti alla
retta di bilancio. La regola di non-sovrapposizione enuncia che l'area al di sopra della curva di
indifferenza che passa per il paniere preferito del consumatore non si sovrapporrà mai all'area al
di sotto della retta di bilancio. Invece, l'area al di sopra della curva di indifferenza che passa per
un qualsiasi altro paniere sulla retta di bilancio si sovrapporrà parzialmente all’area al di sotto della
retta di bilancio. Ciò perché il paniere preferito dal consumatore si troverà sulla retta di bilancio
tangente alla curva di indifferenza, di conseguenza la curva di indifferenza non si potrà
sovrapporre all'area al di sotto della retta di bilancio. Invece qualsiasi altro paniere, che non sia
quello preferito, non si troverà nel punto di tangenza tra la retta di bilancio e la curva di
indifferenza, pertanto la curva di indifferenza che passa per quel paniere si sovrapporrà
parzialmente all'area al di sotto della retta di bilancio.

Se la curva di indifferenza è tangente alla retta di bilancio, il paniere in cui la curva tocca la retta è
il paniere migliore che il consumatore può scegliere (figura a). Invece, nel caso in cui la curva di
indifferenza non è tangente, ma secante in due punti (figura b), i due punti in cui interseca non
sono i panieri migliori accessibili. Nello specifico, il paniere D non è il migliore, sarà migliore il
paniere E, in quanto da E passa una curva di indifferenza spostata più verso destra. Quindi nel
caso della retta secante i panieri attraverso i quali interseca la curva non saranno la scelta migliore
possibile, in quanto potranno passare altre curve di indifferenza più a destra e di conseguenza i
panieri che la curva di indifferenza più a destra interseca saranno più graditi/saranno preferiti
rispetto ai panieri che la curva di indifferenza più a sinistra interseca. Invece, nel caso di una retta
tangente, il punto di intersezione rappresenta il paniere migliore possibile, poiché non potrà
passare un'altra curva di indifferenza più a destra rispetto a quella tangente, perché un'altra curva
di indifferenza più a destra non andrebbe ad intersecarsi con il vincolo di bilancio, dunque non
potrebbe essere considerata.

Soluzioni interne
Un paniere accessibile è una scelta interna se esistono panieri accessibili contenenti un po’ più di
ogni bene ed altri contenenti un po’ meno di ogni bene (un paniere accessibile è una scelta
interna se esistono panieri accessibili che contengono delle quantità di entrambi i beni). Quando il
paniere accessibile migliore è una scelta interna, esso prende il nome di soluzione interna. La
retta di bilancio del consumatore è tangente alla sua curva di indifferenza in corrispondenza del
paniere che costituisce la soluzione interna del consumatore. Tale paniere soddisfa la condizione
di tangenza, secondo la quale il saggio marginale di sostituzione (MUz/MUp), che ricordiamoci è
la pendenza della retta tangente alla curva di indifferenza, per una soluzione interna, è uguale al
rapporto tra i prezzi (Pz/Pp), ossia è uguale alla pendenza della retta di bilancio. Ricordiamoci
inoltre che il saggio marginale di sostituzione è anche pari al rapporto tra le due utilità marginali
(MUz/MUp).

Soluzioni di frontiera
Invece, una scelta di frontiera è la scelta per la quale non esistono panieri accessibili che
contengano un po’ più o un po’ meno di ogni bene (un paniere accessibile è una scelta di
frontiera se contiene le quantità solo di uno dei due beni). Quando la migliore scelta del
consumatore è una scelta di frontiera, questa prende il nome di soluzione di frontiera.

Se il paniere C è una soluzione di frontiera abbiamo che il saggio marginale di sostituzione, ossia
la pendenza della retta tangente alla curva di indifferenza, è maggiore o uguale al rapporto Pz/Pp,
ossia alla pendenza della retta di bilancio. Invece nel caso della soluzione interna il saggio
marginale di sostituzione era uguale al rapporto Pz/Pp, ossia la pendenza della retta tangente alla
curva di indifferenza era uguale alla pendenza della retta di bilancio.
Il punto C rappresenta la scelta ottimale del consumatore perché si trova sulla curva di
indifferenza più elevata, però il punto C non rappresenta un punto di tangenza, quindi C è una
soluzione di frontiera.
Un ipotetico punto B nel mezzo tra A e C sarebbe più gradito rispetto al punto A, in quanto la sua
curva di indifferenza è più spostata verso destra rispetto a quella di A, di conseguenza il
consumatore preferirà i beni sulla curva di indifferenza più a destra e quindi il paniere B rispetto ad
A.

Massimizzazione dell’utilità
Il paniere ottimo massimizza la funzione di utilità del consumatore, rispettandone il vincolo di
bilancio. Se un consumatore spende tutto il proprio reddito in pane e zuppa, il suo problema può
essere scritto come:
Massimizzare U (Z, P) soggetto al vincolo Pz*Z + Pp*P <= M
Analiticamente bisogna poi risolvere un sistema di due equazioni (retta di bilancio e condizione di
equilibrio) in due incognite (Z e P).
La seconda equazione dice che la pendenza della retta tangente alla curva di indifferenza è
uguale alla pendenza della retta di bilancio.

Esercizio
Supponiamo che un individuo abbia un reddito di 300 euro al mese e che lo spenda tutto in
biglietti per concerti e film. Un biglietto per un concerto costo 15 euro e un biglietto del cinema
costa 10 euro. Le preferenze dell’individuo sono date dalla funzione di utilità U (C, F) = C * F, dove
C è il numero (quantità) di concerti e F il numero di film. Quanti biglietti per il cinema e per i
concerti verranno acquistati dall'individuo?

Sappiamo che il paniere ottimale (in corrispondenza di una soluzione interna) soddisfa la
condizione MUc/MUf = Pc/Pf (lo sappiamo in base alla teoria che abbiamo visto poco fa).
Dalla funzione di utilità ricaviamo l’utilità marginale per C e l’utilità marginale per F. L’utilità
marginale rispetto a C è uguale a C, mentre l’utilità marginale rispetto a F è pari a F. Quindi il
saggio marginale di sostituzione è pari a F/C.
MUc = ΔU/ΔC MUf = ΔU/ΔF
Sapendo che Pc=10 e Pf=15, la precedente condizione diventa F/C=15/10=1.5
Ne ricaviamo che F=1.5C

Sostituendo poi questa espressione nel vincolo di bilancio 15C + 10F = 300, otteniamo—>
15C + 10 * 1.5C = 300 —> 30C = 300 —> C = 10
Di conseguenza —> F = 1.5 * 10 = 15
Dunque le quantità massimi di film e di concerti che possono essere acquistate sono
rispettivamente 15 e 10, perciò la risposta alla domanda iniziale è: per il cinema e per i concerti
potranno essere acquistati per massimizzare l’utilità rispettivamente 15 e 10 biglietti.
Possiamo dunque concludere scrivendo l’equazione finale della retta di bilancio:
U (C, F) = 15*10 + 10*15 = 300

Equilibrio con sostituti perfetti


Se i beni X e Y sono sostituti perfetti (esempio delle compresse MomentAct), il loro saggio
marginale di sostituzione è costante (infatti la pendenza della retta rimane costante, rimane
uguale). Per ottenere il paniere ottimale, bisogna come sempre confrontare il saggio marginale di
sostituzione di X e Y con la pendenza della retta di bilancio (che come sappiamo si trova
mediante il rapporto Px/Py).
Se il saggio marginale di sostituzione (ossia la pendenza della retta tangente alla curva di
indifferenza) è maggiore del rapporto Px/Pz (ossia la pendenza della retta di bilancio), le curve
(rette) di indifferenza (ossia il SMS) saranno più inclinate della retta di bilancio e per l’individuo il
bene X vale di più di quanto vale per il mercato.
Invece, se il saggio marginale di sostituzione è minore della pendenza della retta di bilancio (Px/
Py), le curve (rette) di indifferenza saranno meno inclinate della retta di bilancio e per l'individuo il
bene X vale di meno di quanto vale per il mercato.
Infine, se il saggio marginale di sostituzione è uguale alla pendenza della retta di bilancio, le rette
di indifferenza saranno inclinate quanto la retta di bilancio e, dunque, per l'individuo il bene X vale
esattamente quanto vale per il mercato.

Equilibrio con complementi perfetti


Supponiamo che un individuo voglia sempre e solo una scarpa sinistra con una scarpa destra
(complementi perfetti). L'individuo spende tutto il suo reddito in modo tale da mantenere
esattamente la proporzione di uno ad uno tra scarpa destra e sinistra. Il paniere ottimale
corrisponde al vertice più alto (ricordati il grafico dei complementi perfetti) che l'individuo può
raggiungere spostandosi sulla propria retta di bilancio.

L'area blu rappresenta il reddito del consumatore. Dal grafico possiamo evincere come il paniere
ottimale corrisponda al vertice più alto che il consumatore può raggiungere, e in questo caso
corrisponde al punto in corrispondenza del vincolo di bilancio (paniere A).

La curva prezzo-consumo e domanda individuale


La curva prezzo-consumo mostra come varia il paniere di consumo accessibile migliore al
variare del prezzo di un bene, a parità di tutte le altre condizioni (comprese il reddito, le preferenze
del consumatore e sopratutto il prezzo dell'altro bene). La curva prezzo-consumo si ottiene
congiungendo tutti i punti rappresentativi dei panieri (ottimi) scelti al variare del prezzo di un bene.
La curva prezzo-consumo fornisce tutte le informazioni necessarie per costruire la curva di
domanda individuale, che descrive la relazione tra il prezzo di un bene e la quantità acquistata
sempre di quel bene da un particolare consumatore.
Qui di seguito un esempio di curva prezzo-consumo ottenuta, appunto, congiungendo tutti i punti
rappresentativi dei panieri scelti al variare del prezzo di un bene:
L1, L2, L3 rappresentano i vincoli di bilancio.
In corrispondenza del vincolo di bilancio L1, il paniere ottimale scelto è A, perché si trova nel
punto di tangenza tra il vincolo di bilancio (retta azzurra) e la curva di indifferenza (quella nera) più
spostata a destra. Se invece, il vincolo di bilancio si sposta da L1 a L2 vuol dire che il prezzo della
zuppa, ossia il prezzo del bene sull'asse delle X, è aumentato. Dunque, a seguito dell'aumento del
prezzo della zuppa, il paniere ottimale si sposta da A a B (a seguito dell’aumento del prezzo della
zuppa, il paniere ottimale si sposta verso sinistra, quindi il consumatore ottiene un’utilità inferiore).
Infine, se il prezzo della zuppa diminuisce ne consegue che il vincolo di bilancio si sposta più
verso destra (L3), di conseguenza il paniere ottimale diventerà C. Abbiamo così dimostrato che la
curva prezzo-consumo mostra come varia il paniere di consumo migliore al variare del prezzo di
un bene (al variare del prezzo del bene sull'asse delle ascisse). Dal grafico si evince come le tre
diverse rette di bilancio effettuino una rotazione al variare del prezzo della zuppa, mentre tutte le
altri condizioni rimangono uguali, anche il prezzo del pane (bene sull'asse delle Y) rimane uguale.
A variare è solo il prezzo della zuppa, il prezzo del pane rimane uguale, come si evince dal grafico,
dove tutte le tre diverse rette di bilancio intersecano l'asse del pane nel medesimo punto.
Possiamo dunque dire che all'aumentare del prezzo del pane, le rette di bilancio effettuano una
rotazione verso l'interno (si spostano verso sinistra), mentre al diminuire del prezzo del pane le
rette di bilancio ruotano verso l'esterno (si spostano verso destra).
Si nota inoltre che all'aumentare del prezzo della zuppa (spostamento della retta di bilancio verso
sinistra) la quantità domandata e offerta di pane diminuisce (ad esempio a seguito dello
spostamento della retta di bilancio da L1 a L2 si evince come la quantità domandata e offerta di
pane passi da 16 a 12), mentre aumenta nel caso di una diminuzione del prezzo della zuppa.

Vediamo ora un esempio di curva di domanda individuale:

Questa curva di domanda individuale è negativamente inclinata, di conseguenza notiamo come


all'aumentare del prezzo della zuppa si riduce la quantità domandata di zuppa. Dalla curva di
domanda individuale si può perciò notare la relazione che vi è tra il prezzo di un bene e la quantità
acquistata da un determinato consumatore di quel bene e, nello specifico, dal grafico si evince la
relazione inversa che intercorre tra il prezzo della zuppa e la quantità acquistata di zuppa.

Esercizio
Un individuo ha un reddito di 100 euro al mese e lo spende tutto in biglietti per concerti e film. Un
biglietto per un concerto costa 5 euro (prezzo che non varia). Le preferenze del consumatore sono
date dalla funzione di utilità U (C, F) = C * F, dove C è il numero (quantità) di concerti e F il numero
di film.
1-calcolare la sua curva prezzo-consumo (consentendo al prezzo del film (Pf) di variare)
2-calcolare la sua curva di domanda di film
3-quanto vale l’elasticità della sua domanda di film? Quale frazione del proprio reddito l'individuo
spende in film e quale è la dipendenza di questa frazione dal prezzo del film?

1-la scelta ottima dell'individuo si ottiene ponendo il rapporto MUc/MUf (formula per trovare il
SMS, ossia la pendenza della retta tangente alla curva di indifferenza) uguale a Pc/Pf (formula per
calcolare la pendenza della retta di bilancio). L'uguaglianza tra queste due formule mi permette di
trovare il miglior paniere accessibile, dunque, se la pendenza della retta tangente alla curva di
indifferenza è uguale alla pendenza della retta di bilancio allora otterrò la scelta ottima
dell’individuo, ossia il miglior paniere accessibile.
Abbiamo quindi la seguente equazione per trovare la scelta ottima dell’individuo—> MUc/
MUf=Pc/Pf
Dalla funzione di utilità deriviamo e otteniamo che MUc = F e MUf = C.
Possiamo perciò sostituire nell'equazione i risultati ottenuti e avremo la seguente equazione—>
F/C=Pc/Pf, da cui possiamo ottenere F = (Pc/Pf)*C
Sapendo che il vincolo di bilancio è Pc*C + Pf*F = M, otteniamo—>
Pc*C + Pf*((Pc/Pf)*C) = 2Pc*C = M
Da qui possiamo poi ricavare C, ossia la quantità di concerti—> C = M / 2Pc
Questa rappresenta la curva di domanda per i concerti.
Forse meglio far così, così lo capisci meglio:

Spiegazione:
Punto 1–> in corrispondenza di una soluzione interna il rapporto tra le utilità marginali deve essere
uguale al rapporto tra i prezzi, perché in corrispondenza di una soluzione interna vale la
condizione di tangenza, in base alla quale la pendenza della retta di bilancio (vincolo di bilancio) è
uguale alla pendenza della retta tangente alla curva di indifferenza.
Punto 2–> la derivata di U rispetto a F è pari a C, mentre la derivata di U rispetto a C è pari a F.
Abbiamo così ottenuto MUc e MUf (l’utilità marginale di un bene è pari alla derivata della funzione
di utilità rispetto a quel bene).
Punto 5–>Dopodiché, una volta ottenuta la curva di domanda per i concerti, ricavata esplicitando
l’equazione di reddito generica per C, possiamo ricavare la curva di domanda per i film.
Punto 6–> nel punto 6 viene rappresentata la curva di domanda per i film per un reddito pari a
100.
Punto 7–> la curva di domanda per i film ha un’elasticità isoelastica, in quanto ha un’elasticità
costante pari a -1. L’elasticità è dunque pari all’esponente di Pf.
Punto 8–>avendo l'equazione della curva di domanda per i film, se moltiplichiamo entrambi i lati
per Pf ricaviamo che la spesa totale, ossia F*Pf è uguale alla metà del reddito. Possiamo dunque
affermare che l'individuo spende metà del suo reddito in film, indipendentemente dal loro prezzo.

Ora vediamo come rappresentare graficamente la curva prezzo-consumo:

Per fare il grafico della curva prezzo-consumo dobbiamo sostituire all'interno del grafico i dati che
abbiamo ottenuto precedentemente.
La domanda per i concerti non dipende assolutamente dal prezzo dei film, di conseguenza la
domanda per i concerti non varia al variare del prezzo del film, è una costante, infatti la domanda
per i concerti è sempre pari a 10. Si capisce che la domanda per i concerti non dipende dal
prezzo dei film per il fatto che i diversi vincoli di bilancio intersecano l'asse delle ordinate sempre
nel medesimo punto. Il 10 si ottiene sostituendo il prezzo del concerto dentro la curva di
domanda dei concerti, in corrispondenza di un reddito pari a 100 (C=10). Ecco perché la curva
prezzo-consumo è orizzontale, perché la domanda di concerti non varia al variare del prezzo dei
film.

Variazioni del prezzo e spostamenti della curva di domanda


Quando la variazione del prezzo di un bene influisce sulla quantità domandata di un altro bene, si
parla di effetto incrociato di prezzo (ad esempio nell'esercizio visto poco prima si ha il caso
contrario, ossia quando la quantità domandata di un bene (i concerti) non si modificava al variare
del prezzo di un altro bene (dei film)).
Per quanto riguarda i bene sostituti, se aumenta il prezzo del bene X, la quantità domandata del
bene Y aumenta. In questo caso la curva prezzo-consumo ha pendenza negativa e la curva di
domanda di Y si sposterà verso destra (la curva di domanda individuale si sposta verso destra),
poiché all'aumentare del prezzo del bene X aumenta la quantità domandata del bene Y, dunque la
curva di domanda di Y si sposta verso destra (aumenta). Inoltre, all'aumentare del prezzo del bene
X aumenta la domanda del bene Y, di conseguenza il vincolo di bilancio ruoterà verso destra. Per
quale motivo avviene ciò? Lo possiamo capire meglio dal seguente grafico:
Tra il burro e la margarina c’è una relazione di sostituibilità (relazione diretta).
Se il prezzo del burro diminuisce, diminuisce la quantità domandata di margarina, di conseguenza
il vincolo di bilancio (retta di bilancio) ruoterà verso l'interno, ossia ruoterà verso sinistra. Quindi se
il prezzo del burro diminuisce, la curva di domanda della margarina si sposterà verso sinistra.
Viceversa, come possiamo vedere dallo spostamento del vincolo di bilancio da L1 a L3, se
aumenta il prezzo del burro aumenta la quantità domandata di margarina, perciò la retta di
bilancio ruoterà verso l’esterno e la curva di domanda della margarina si sposterà verso destra.
Possiamo quindi affermare che per i beni sostituti la curva prezzo-consumo ha pendenza
negativa.
Invece, per quanto riguarda i beni complementari, se aumenta il prezzo del bene X, la quantità
domandata del bene Y si riduce. In questo caso dunque vi è una relazione inversa tra i due beni.
In tal caso la curva prezzo-consumo ha pendenza positiva e la curva di domanda di Y ruota verso
sinistra, poiché se aumenta il prezzo del bene X diminuirà la domanda del bene Y, di conseguenza
la curva di domanda di Y si sposta verso sinistra e la retta di bilancio ruota verso l’interno. Un
esempio di beni complementari è il pane e la zuppa.
Infine, per quanto riguarda i beni non correlati, o indipendenti, se aumenta il prezzo del bene X, la
quantità domanda del bene Y non varia. Perciò, la curva prezzo-consumo è perfettamente
orizzontale e la curva di domanda di Y non si sposta. Questo è il caso che abbiamo visto poco fa
riguardante i film e i concerti.

La curva reddito-consumo
Un effetto di reddito è una variazione del consumo di un bene che deriva da una variazione del
reddito del consumatore. La curva reddito-consumo mostra come varia il paniere di consumo
accessibile migliore al variare del reddito, a parità di tutte le altre condizioni (compresi i due prezzi
e le preferenze del consumatore). La curva reddito-consumo si ottiene congiungendo tutti i punti
rappresentativi dei panieri scelti al variare del reddito.
Viene definito bene normale il bene la cui quantità consumata aumenta all'aumentare del reddito.
In altre parole, è quel bene che ha un'elasticità al reddito positiva. Invece, viene definito bene
inferiore quel bene la cui quantità consumata diminuisce all'aumentare del reddito. Il bene
inferiore ha quindi un’elasticità al reddito negativa.

Qui di seguito una rappresentazione grafica della curva di consumo:

Vi sono tre vincoli di bilancio, però ora invece che avere una rotazione avremo una traslazione, in
quanto a variare non è il prezzo di un altro bene (ciò causerebbe la rotazione), ma è il reddito (che
causa quindi una traslazione). Una variazione del reddito, dunque, causa la traslazione dei vincoli
di bilancio. Nel grafico vengono rappresentati dei beni normali, poiché all'aumentare del reddito
aumenta anche la quantità domandata di entrambi.

Curva di Engel
La curva di Engel per un bene descrive la relazione tra il reddito e la quantità consumata (sarebbe
come la curva di domanda individuale per la curva prezzo-consumo). Per un bene normale (la cui
quantità domandata aumenta all'aumentare del reddito), la curva di Engel ha pendenza positiva. A
seguito di un aumento del reddito, la curva di domanda si sposta verso destra.
Invece, per un bene inferiore (la cui quantità diminuisce all'aumentare del reddito), la curva di
Engel ha pendenza negativa. In seguito ad un aumento del reddito, la curva di domanda si
sposterà verso sinistra.

Nel caso della zuppa, se il reddito passa da 10 a 15 la quantità domandata passa da 6 a 8. La


curva reddito-consumo ha pendenza positiva, quindi possiamo affermare che la zuppa è un bene
normale.
Invece nel caso delle patate, che sono un bene inferiore, la curva di Engel ha pendenza negativa,
ciò significa che all'aumentare del reddito la quantità consumata diminuisce. Più è ricco il
consumatore meno patate vorrà consumare a parità di prezzo, quindi la curva di domanda delle
patate si sposta verso sinistra, ovvero la quantità consumata diminuisce all’aumentare del reddito.
Il consumatore fino ad un reddito pari a 36 considera le patate un bene normale, di conseguenza
all’aumentare del reddito aumenta anche la quantità consumata del bene. Però successivamente,
quando il reddito diventa maggiore di 36, il consumatore considera le patate un bene inferiore,
perciò all’aumentare del reddito diminuisce la quantità consumata di patate (perché ad esempio il
consumatore all'aumentare del suo reddito si sposterà verso un bene sostituto, che gradisce di
più e che ora ho permettersi), quindi per un reddito superiore a 36 la pendenza della curva
reddito-consumo diventa negativa.

Esercizio

Innanzitutto, per rappresentare la curva di Engel dovrò trovare il paniere migliore accessibile,
ponendo il rapporto tra le utilità marginali dei due beni (SMS) uguali al rapporto tra il loro prezzo.
Come sappiamo le utilità marginali sono le derivate della funzione di utilità.
Punto 6–> si evince che il bene X è un bene normale, in quanto all'aumentare del reddito
aumentano le quantità consumate del bene X.
Punto 7–>X=y/3 lo otteniamo esplicitando la nostra uguaglianza per X
Punto 9–> anche il bene Y è un bene normale poiché all'aumentare del reddito aumenta la sua
quantità consumata.

Preferenze rivelate
Né le preferenze dei consumatori né le loro funzioni di utilità sono direttamente osservabili.
L'approccio delle preferenze rivelate è un metodo per raccogliere informazioni sulle preferenze dei
consumatori osservando le loro scelte. Se un paniere A viene scelto dal consumatore quando

anche un altro paniere B è accessibile, si può dire che A si è rivelato preferito a B. L’ipotesi è che,
se A si è rivelato preferito a B, il consumatore preferirà A a B.
Immaginiamo di osservare un consumatore che sceglie il paniere A. Allora vuol dire che A si è
rivelato preferito a tutti gli altri panieri che il consumatore avrebbe potuto acquistare (panieri
accessibili), cioè quelli che si trovano sulla retta di bilancio ed al di sotto di essa (area azzurra). La
curva di indifferenza per A non può attraversare l'area azzurra, perché essa contiene panieri meno
preferiti di A. La curva di indifferenza per A non può neanche passare per l'area blu, perché per il
principio di non sazietà quest'area contiene panieri più preferiti di A. Il concetto si capisce meglio
guardando il seguente grafico (si riesce a capire quale è l'area blu e quale quella azzurra).
Riassumendo, i panieri presenti nell'area azzurra non potranno far parte della curva di indifferenza
del paniere A, in quanto essi saranno meno preferiti rispetto al paniere A, in base al principio della
preferenza rivelata. Stesso caso ma opposto per quanto riguarda l’area blu, la curva di
indifferenza del paniere A non potrà passare per l'area blu, in quanto esso contiene i panieri che
saranno graditi di più di A, secondo il principio di non sazietà. Infine, nell'area bianca vi saranno i
possibili panieri che potranno far parte della curva di indifferenza del paniere A.
Ora supponiamo che i prezzi dei beni cambino e che il consumatore scelga (preferisca) il paniere
B. Questo significa che il paniere B si è rivelato preferito a tutti i panieri che il consumatore può
acquistare ai nuovi prezzi, incluso il paniere C. Poiché A è preferito a B (come visto nel paragrafo
precedente) e B è preferito a C (come visto ora), possiamo dire che A è preferito a C ed a tutti i
panieri nell'area triangolare azzurra, ciò in base al principio della transitività delle preferenze.
Possiamo perciò escludere che la curva di indifferenza per A passi per l’area azzurra.
Continuando il processo, con un numero sufficiente di scelte osservate possiamo restringere
l'area (l’area bianca) in cui passa la curva di indifferenza per A fino al desiderato livello di
precisione. Ora abbiamo soltanto iniziato a restringere quest'area bianca togliendo da essa
proprio l'area azzurra che abbiamo appena visto. Dal grafico appena analizzato si può quindi
evincere come C, seppur si trovi nell'area possibile in cui può passare la curva di indifferenza, sia
comunque meno gradito di A, in base al principio di transitività delle preferenze. Giacché B è
preferito a C e A è preferito a B, A sarà preferito a C, di conseguenza possiamo escludere come
possibile area in cui passa la curva di indifferenza del paniere A l'area sottostante al paniere B,
che include il paniere C (figura a).
Poi andando avanti col processo, dunque mano a mano che il consumatore compie altre scelte,
sarà possibile eliminare altre possibili aree in cui passerà la curva di indifferenza per A. Come si
evince dalla figura b), andando avanti con il processo siamo riusciti a comprendere che il paniere
D è più gradito del paniere A e, di conseguenza, potremo eliminare l'area soprastante il paniere D
come possibile area in cui passerà la curva di indifferenza di A. Dunque, possiamo concludere
dicendo che mano a mano che il processo continua, mano a mano che il consumatore effettua
delle scelte, possiamo sempre più restringere l'area in cui potrebbe passare la curva di
indifferenza del paniere A, rendendo quest'area sempre più precisa.

CAPITOLO 5: DOMANDA E BENESSERE


Scomposizione degli effetti di una variazione di prezzo
Quando il prezzo di un bene aumenta, accadono due cose:
1-quel bene diventa più costoso rispetto a tutti gli altri beni ed i consumatori tenderanno così a
trasferire i propri acquisti verso altri beni.
2-il potere d'acquisto dei consumatori diminuisce ed i consumatori devono adeguare i propri
acquisti di conseguenza.
Una variazione di prezzo non compensata è costituita da una variazione di prezzo non
accompagnata da una variazione di reddito.
D'altro canto, una variazione di prezzo compensata è costituita da una variazione di prezzo
accompagnata da una variazione di reddito che nel complesso lascia invariato il benessere del
consumatore.

Esempi di variazioni di prezzo compensate:

Figura a) se aumenta il prezzo della zuppa (il prezzo dell'altro bene rimane invariato), il vincolo di
bilancio si sposterà verso sinistra o, meglio, ruoterà verso l’interno, nello specifico il vincolo di
bilancio passerà da L1 a L2, poiché diminuisce il potere d’acquisto del consumatore, quindi con
la medesima quantità di reddito potrà permettersi una minore quantità di zuppa. La quantità di
pane rimarrà invariata, è la quantità di zuppa che subisce una riduzione, a seguito appunto
dell'aumento del prezzo della zuppa. In tal caso, prima dell'aumento del prezzo della zuppa le
quantità consumate di zuppa dall’individuo in corrispondenza del paniere A, ossia del miglior
paniere accessibile, erano pari a 13. Dopodiché a seguito dell'aumento del prezzo della zuppa, in
corrispondenza del paniere B, ossia del miglior paniere accessibile per il vincolo di bilancio L2, le
quantità consumate di zuppa saranno pari a 5. Dunque a seguito dell’aumento del prezzo della
zuppa, sempre in corrispondenza del miglior paniere accessibile, in base al differente vincolo di
bilancio, le quantità consumate diminuiscono da 13 a 5. Tuttavia, se vi è una variazione di prezzo
compensata (ossia un aumento di prezzo accompagnato da un aumento del reddito) il vincolo di
bilancio passerà da L2 a L3, dunque il vincolo di bilancio verrà traslato verso destra. Prima non
avveniva una traslazione del vincolo di bilancio, perché prima non era il reddito ad aumentare, ma
il prezzo di uno dei due beni, quindi non avveniva una traslazione ma una rotazione facendo perno
sulla quantità del bene il cui prezzo rimaneva invariato. Quando invece è il reddito ad aumentare, il
vincolo di bilancio si sposta verso destra. La compensazione del reddito permette dunque di
riportare il nostro consumatore sulla curva di indifferenza originaria (la stessa curva di indifferenza
che passava per il paniere A, a seguito della compensazione passerà anche per il paniere C),
permette dunque al consumatore di ottenere la medesima utilità che aveva prima dell'aumento
del prezzo della zuppa. Ecco perché si parla di compensazione, proprio perché a seguito di un
aumento del prezzo della zuppa avviene un aumento del reddito tale da riportare il consumatore
sulla medesima curva di indifferenza precedente all’aumento del prezzo. Infatti, la curva di
indifferenza in corrispondenza del vincolo di bilancio L3 è la medesima del vincolo di bilancio L1,
ossia è la stessa curva di indifferenza relativa alla situazione originaria. Dunque, per far sì che
avvenga la compensazione, il reddito dovrà aumentare tanto quanto basta a permettere di traslare
il vincolo di bilancio fino al punto di tangenza con l’originaria curva di indifferenza, ossia fino al
punto C.
Figura b) in questo caso si ha l'esatto opposto, dunque invece di avere un aumento del prezzo
della zuppa avremo una diminuzione del prezzo della zuppa. Di conseguenza, a seguito di una
diminuzione del prezzo della zuppa, il vincolo di bilancio ruoterà verso l'esterno (verso destra),
ossia ruoterà dal vincolo di bilancio L1 al vincolo di bilancio L4, perché è aumentato il potere
d’acquisto del consumatore (non è aumentato il reddito, è il potere d’acquisto che è aumentato a
seguito di una riduzione del prezzo della zuppa). In tal caso le quantità consumate aumentano (a
parità di reddito e a parità del prezzo dell'altro bene), siccome vi è stata una diminuzione del
prezzo della zuppa, nello specifico vi è stata una variazione di prezzo non compensata. Dunque,
le quantità consumate passano da 13 a 22. Tuttavia se avviene una variazione di prezzo
compensata il vincolo di bilancio subirà una traslazione verso sinistra da L4 a L5, ciò perché vi
sarà una diminuzione del reddito che va a compensare la diminuzione del prezzo della zuppa. Di
conseguenza il vincolo di bilancio verrà traslato verso sinistra fino a quando la sua retta sarà
tangente alla curva di indifferenza originaria (curva di indifferenza prima della diminuzione del
prezzo). Dunque, a seguito della compensazione il consumatore otterrà la medesima utilità che
aveva prima della diminuzione del prezzo della zuppa, ciò lo si evince dal fatto che il vincolo di
bilancio a seguito della compensazione (L5) è tangente alla medesima curva di indifferenza
originaria.

Effetto di sostituzione ed effetto di reddito


L'effetto di sostituzione (ES) di una variazione di prezzo è l'effetto di una variazione di prezzo sulla
quantità domandata di un bene, dovuto esclusivamente al fatto che il suo prezzo relativo è
cambiato.
Invece, per effetto di reddito (ER) di una variazione di prezzo si intende l’effetto di una variazione
di prezzo sulla quantità domandata di un bene, dovuto esclusivamente al fatto che il potere
d’acquisto è cambiato.
Da ciò risulta che l'effetto di una variazione di prezzo non compensata (variazione di prezzo non
compensata da una variazione di reddito) è uguale alla somma tra l'effetto di sostituzione, ovvero
l'effetto sulla quantità domandata dovuto solamente alla variazione del prezzo, e l'effetto di
reddito, ossia l'effetto sulla quantità domandata dovuto solamente alla variazione del potere
d'acquisto (reddito).
Effetto di una variazione non compensata = ES + ER

ES (effetto di sostituzione di una variazione di prezzo) implica sempre un movimento lungo la


curva di indifferenza originaria (lo noti osservando il vincolo di bilancio L1 e L3 nella figura a, o
nella figura b osservando L1 e L5), fino al punto in cui la pendenza della curva di indifferenza
originaria è uguale a quella della nuova curva di bilancio. L'effetto di sostituzione, dunque, ci dice
come il consumatore aggiusta la quantità consumata al variare del prezzo del bene, a parità di
potere d'acquisto (a parità di reddito).
Invece, ER (l'effetto di reddito di una variazione di prezzo) implica sempre uno spostamento in
parallelo della retta di bilancio (verso l’esterno in caso di aumento del reddito e verso l'interno in
caso di diminuzione), perché a variare non è il prezzo del bene, ma il potere d'acquisto, ossia il
reddito del consumatore e, come sappiamo, a seguito di una riduzione del reddito il vincolo di
bilancio si sposta verso l’interno/sinistra (viceversa, verso destra nel caso di un aumento del
reddito).
Per separare i due effetti, l'idea è quella di annullare ER in modo tale che quello che rimane sia
ES. Supponiamo che il prezzo della zuppa aumenti ed immaginiamo di dare al soggetto del
denaro (aumento reddito/potere d’acquisto) in modo da compensarlo per la perdita di potere
d’acquisto subita. Tale compensazione deve consentire al consumatore di raggiungere la curva di
indifferenza su cui si trovava prima dell’aumento di prezzo.

Ora vediamo sia il caso di un aumento del prezzo della zuppa, sia il caso di una diminuzione del
prezzo della zuppa:

Figura a) a seguito di un aumento del prezzo della zuppa (mentre il prezzo dell'altro bene e il
reddito del consumatore rimangono invariati) sappiamo che il vincolo di bilancio ruota verso
sinistra, nello specifico passa da L1 a L2. Il paniere originario (il miglior paniere accessibile per il
vincolo di bilancio L1) scelto dal nostro consumatore è A, ossia il punto in cui il vincolo di bilancio
L1 è tangente alla curva di indifferenza. Invece, il miglior paniere accessibile per il vincolo di
bilancio L2 sarà B. Le quantità consumate di zuppa in corrispondenza proprio dei panieri A e B ci
mostrano l'effetto di una variazione di prezzo non compensata, nello specifico ci mostrano come
a seguito di un aumento del prezzo della zuppa le quantità consumate di zuppa (a parità di
reddito e a parità di prezzo dell'altro bene) diminuiscono da 13 a 5. Dunque, l'effetto di una
variazione di prezzo non compensata è pari alla differenza tra la quantità consumata finale di
zuppa e la quantità consumata iniziale di zuppa (5-13=-8).
Ora vogliamo scorporare tale effetto nell'effetto di sostituzione e nell'effetto di reddito, come
facciamo? Partendo dal vincolo di bilancio finale (L2) bisognerà fare una traslazione del vincolo
fino al punto di tangenza con la curva di indifferenza originaria e si otterrà il vincolo di bilancio L3.
Il paniere C (il punto in corrispondenza del quale il vincolo di bilancio L3 è tangente alla curva di
indifferenza originaria) rappresenta il nuovo paniere che viene scelto dal consumatore solamente
per il fatto che i prezzi relativi sono variati (il prezzo della zuppa è variato), solo perché il prezzo
della zuppa è variato, quindi considerando una compensazione del reddito. Se noi confrontiamo il
punto C e il punto A riusciamo ad individuare l'effetto di sostituzione. Riusciamo a capire di
quanto il nostro consumatore riduce la quantità domandata di zuppa esclusivamente per il fatto
che il prezzo della zuppa è cambiato, solamente per quello, perché il potere d’acquisto è rimasto
invariato (in quanto a seguito di un aumento del prezzo della zuppa vi è stato un conseguente
aumento del reddito, che ha dunque compensato). È vero che vi è stato anche un aumento del
reddito, ma tale aumento è andato a compensare l’aumento del prezzo della zuppa, di
conseguenza il potere d’acquisto del consumatore è rimasto invariato. Quindi possiamo dire che
tale effetto, ossia la riduzione della quantità consumata di zuppa è dovuto solamente per il fatto
che il prezzo della zuppa è cambiato, in quanto il potere d’acquisto è rimasto invariato rispetto
alla situazione originaria. In questo caso l'effetto di sostituzione, ossia la riduzione della quantità
consumata dovuta solamente all’aumento del prezzo, è pari a -5, ossia 8-13, è dunque pari alla
differenza tra la quantità consumata finale di zuppa e la quantità consumata iniziale.
Ora consideriamo l'altro effetto, l'effetto di reddito, ossia il passaggio dal paniere C al paniere B
(dal vincolo di bilancio L3 al vincolo di bilancio L2). Nello specifico, vediamo di quanto
diminuiscono le quantità consumate solamente per il fatto che il potere d’acquisto (reddito) è
cambiato. L'effetto di reddito, ossia la diminuzione delle quantità consumate solamente per il fatto
che il potere d'acquisto è aumentato è pari a 5-8, ossia -3.
Dunque possiamo concludere dicendo che l'effetto di una variazione di prezzo non compensata è
pari a 5-13=-8 (come abbiamo visto all’inizio del discorso, ossia quantità finale - quantità iniziale),
che viene scomposto nell'effetto di sostituzione e nell'effetto di reddito, che sono pari
rispettivamente a -5 (8-13) e -3 (5-8), ossia -8. Ciò lo vediamo nella figura qui sopra relativamente
al caso a).
Figura b)
Ora consideriamo il caso opposto, ovvero il caso di una riduzione del prezzo della zuppa. Nel
momento in cui si verifica una riduzione del prezzo della zuppa, il vincolo di bilancio ruota verso
l'esterno e da L1 si sposta in L4. Otteniamo così il paniere finale (D), ossia il punto di tangenza tra
la curva di indifferenza e il vincolo di bilancio L4. In corrispondenza del paniere D, ossia del
paniere migliore possibile a seguito di una riduzione dei prezzi (a parità di reddito e a parità del
prezzo dell'altro bene), la quantità consumata di zuppa è pari a 22. Mentre la quantità consumata
di zuppa in corrispondenza del paniere A, ossia del paniere migliore accessibile prima della
riduzione del prezzo della zuppa, era pari a 13. Dunque, l'effetto di una variazione di prezzo non
compensata (effetto totale) è pari a 22-13=9, ossia la differenza tra la quantità consumata finale di
zuppa e la quantità consumata iniziale. Ora scorporiamo tale effetto nell’effetto di sostituzione e di
reddito (come sappiamo facendo la somma tra ES e ER otterremo l'effetto di una variazione di
prezzo non compensata, ossia 9).
Per ottenere l'effetto di sostituzione, ossia la variazione della quantità consumata di zuppa dovuta
solamente al variare del suo prezzo, dovremo far sì che il consumatore riacquisisca lo stesso
potere d'acquisto originario, in quanto l'effetto di sostituzione deve tenere in considerazione la
variazione della quantità dovuta solamente alla variazione del prezzo della zuppa (non deve tener
conto della variazione del potere d'acquisto, che deve rimanere invariato). Perciò per far
riacquisire al consumatore il medesimo potere d’acquisto iniziale bisognerà diminuire il reddito,
dunque il vincolo di bilancio subirà una traslazione verso sinistra e, dunque, passerà da L4 a L5. Il
vincolo di bilancio viene traslato verso sinistra fino a quando la curva di indifferenza originaria
risulti tangente ad esso, così che il consumatore ottenga la medesima utilità, il medesimo
benessere che aveva originariamente. Il punto E rappresenta proprio il punto in cui il vincolo di
bilancio traslato (L5) è tangente alla curva di indifferenza originaria. L'effetto di sostituzione viene
calcolato tenendo in considerazione i panieri A ed E, perché l'effetto di sostituzione è la differenza
tra la quantità consumata finale di zuppa (a seguito di una riduzione solamente del prezzo, avendo
dunque riequilibrato il potere d’acquisto, considerando dunque il vincolo di bilancio traslato),
ossia la quantità in corrispondenza del punto E, e la quantità consumata iniziale di zuppa, ossia la
quantità in corrispondenza del punto A. Perciò otteniamo 18-13=5, questo rappresentata l'effetto
di sostituzione.
Dopodiché calcoliamo l'effetto di reddito, ossia quanto varia la quantità consumata del bene
solamente a seguito di una variazione del potere d'acquisto. Il potere d’acquisto si riduce a
seguito di una riduzione del reddito, dunque per calcolare l'effetto di reddito, che deve tenere in
considerazione l'effetto delle quantità consumate solamente a seguito di una variazione del potere
d’acquisto, dovremo tenere in considerazione i panieri E e D. In questo caso non ci interessa la
variazione del prezzo ma solo la variazione del potere d’acquisto, perciò i due vincoli di bilancio
che rappresentano la variazione del potere d’acquisto sono proprio L4 e L5. In conclusione,
l’effetto di reddito sarà pari a 22-18=4.
Sommando poi i risultati dei due effetti, 5+4, otteniamo proprio l'effetto della variazione di prezzo
non compensata.
Direzione di ES e ER
ES è sempre negativo, in quanto a seguito di un aumento di prezzo la quantità si riduce, a parità
di reddito (per negativo si intende che c’è una relazione inversa tra prezzo e quantità, non che il
segno del risultato di ES è negativo). In seguito ad un aumento del prezzo della zuppa, la nuova
retta di bilancio (L2) e la retta di bilancio compensata (L3) sono più inclinate della retta di bilancio
originaria (L1). La retta di bilancio compensata (L3) deve essere tangente alla curva di indifferenza
originaria (L1) in un punto in cui questa (L3) ha una pendenza maggiore che nel paniere ottimale
originario. Se il SMS è decrescente, ovvero se la pendenza della retta tangente alla curva di
indifferenza è decrescente, la quantità domandata diminuisce.
ER è negativo per i beni normali (c’è una relazione inversa tra prezzo e quantità, prezzo e quantità
vanno in direzioni opposte), poiché un aumento del prezzo riduce il potere d'acquisto del
consumatore inducendolo ad acquistare una quantità minore del bene.
Invece, ER è positivo per i beni inferiori (c’è una relazione diretta tra prezzo e quantità, prezzo e
quantità vanno nella stessa direzione), in quanto un aumento di prezzo riduce sempre il potere
d'acquisto del consumatore, ma ciononostante il consumatore è comunque indotto ad acquistare
una quantità maggiore del bene. Un esempio di bene inferiore sono le patate.

Ora vediamo ES e ER relativamente ad un bene inferiore:

Adesso vediamo come scorporare l'effetto di sostituzione e l'effetto di reddito nel caso di un bene
inferiore. A seguito di una riduzione del prezzo delle patate (bene su asse X) il potere d’acquisto
del consumatore aumenta e di conseguenza otterremo il nuovo vincolo di bilancio ruotando L1
verso l’esterno. A seguito della diminuzione del prezzo delle patate, il consumatore potrà
acquistare una maggiore quantità di patate, in quanto il suo potere d’acquisto aumenta. Il nuovo
vincolo di bilancio è rappresentato da L2 e si evince come le quantità domandate di patate siano
aumentate da 48 a 60. Possiamo quindi dire che l'effetto di una variazione di prezzo non
compensato è pari alla differenza tra le quantità domandate finali e le quantità domandate iniziali
(oltre che pari alla somma tra ES e ER), ossia 60-48=12. Ora scorporiamo tale effetto in ES e ER.
Partendo dal vincolo di bilancio L2 trasliamo tale vincolo verso sinistra, in modo tale da far sì che
il miglior paniere accessibile del vincolo di bilancio traslato sia tangente alla curva di indifferenza
originaria (curva di indifferenza in corrispondenza di L1), così che il consumatore ottenga la
medesima utilità iniziale. L3 rappresenta il vincolo di bilancio traslato, ossia il vincolo di bilancio a
seguito di una riduzione del reddito, così da far sì che il potere d’acquisto del consumatore
rimanga invariato rispetto alla situazione originaria. L'effetto di sostituzione, ossia la variazione
delle quantità domandate solamente a seguito di una variazione del prezzo, tenendo dunque
invariato il potere d’acquisto, sarà pari alla differenza tra il paniere C (miglior paniere accessibile in
corrispondenza del vincolo di bilancio traslato L3) e il paniere A (miglior paniere accessibile in
corrispondenza del vincolo di bilancio iniziale L1), ovvero 65-48=17.
Dopodiché per ottenere ER, ossia la variazione delle quantità domandate dovute solamente alla
variazione del potere d’acquisto (reddito), dovremo tenere in considerazione il vincolo di bilancio
L2 e L3, ossia 60-65=-5 (OCCHIO che devi far sempre il paniere sul vincolo di bilancio più a
destra-il paniere sul vincolo di bilancio più a sinistra, ossia B-C, altrimenti non ti esce col segno
negativo). Otteniamo una quantità negativa, poiché anche se il prezzo delle patate è diminuito, le
quantità domandate di patate sono comunque diminuite, da 65 sono passate a 60. Quindi, se il
prezzo delle patate diminuisce aumenta il potere d’acquisto del consumatore, ma diminuiranno
comunque le quantità domandate di patate perché si tratta di un bene inferiore, ciò perché il
consumatore si sposterà su un altro bene, come la carne ad esempio, in quanto il suo potere
d’acquisto è aumentato, quindi può permettersi un bene migliore come la carne. Abbiamo dunque
dimostrato che le patate sono un bene inferiore, in quanto riguardo all'effetto di reddito vi è una
relazione diretta tra prezzo e quantità, dunque al diminuire del prezzo diminuiscono anche le
quantità domandate del bene inferiore, perché il consumatore si sposterà verso un altro bene
migliore (oppure all'aumentare del prezzo aumentano le quantità domandate del bene inferiore).
Sommando i risultati di ES e ER otterremo 12, ossia 17-5, che è pari all'effetto della variazione di
prezzo non compensata.

Legge della domanda


In base alla legge della domanda le curve di domanda hanno pendenza negativa, ciò vuol dire che
all’aumentare del prezzo le quantità domandate si riducono. I beni normali obbediscono sempre
alla legge della domanda perché ER e ES sono entrambi negativi, dunque c’è una relazione
inversa tra domanda e prezzo, perciò all'aumentare del prezzo diminuiscono le quantità (e
viceversa). Questo potrebbe però non valere per i beni inferiori perché ER è positivo, vedremo
successivamente che ciò avverrà nello specifico per i beni di Giffen, che sono un sottoinsieme dei
beni inferiori. I beni inferiori quindi potrebbero non rispettare la legge della domanda, che si basa
su una pendenza negativa, ossia su una relazione inversa tra prezzo e quantità. Quindi possiamo
dire che i beni inferiori non di Giffen obbediscono alla legge della domanda, che avrà dunque una
pendenza negativa, mentre i beni inferiori di Giffen rappresentano l’unico caso in cui non vi è il
rispetto della legge di domanda.
Un bene è detto bene di Giffen se la quantità acquistata aumenta all’aumentare del prezzo, è
dunque il caso in cui la legge della domanda è violata, perciò nel caso del bene di Giffen non vale
la relazione inversa tra prezzo e quantità. In questo caso, ER domina ES, ossia la relazione diretta
tra prezzo e quantità che deriva da ER prevale sulla relazione inversa tra prezzo e quantità che
deriva da ES (ES è sempre negativo, per qualsiasi bene). Un esempio di bene di Giffen sono le
patate durante la carestia in Irlanda nel XIX secolo.
In conclusione:
-i beni normali obbediscono alla legge della domanda, in quanto ES e ER vanno nella stessa
direzione, sono entrambi negativi, ovvero presentano entrambi una relazione inversa tra prezzo e
quantità.
-i beni inferiori non di Giffen obbediranno anch'essi alla legge della domanda, nonostante ES e ER
vadano in direzioni opposte, nello specifico il primo è negativo e il secondo è positivo. Dunque,
nel caso dei beni inferiori, ES e ER danno risultati opposti: ES dà un risultato negativo, in quanto
vi è una relazione inversa tra prezzo e quantità, mentre ER dà un risultato positivo, poiché in
questo caso vi è una relazione diretta tra prezzo e quantità. Nel caso dei beni inferiori (non di
Giffen) ES prevale su ER, di conseguenza l'effetto totale, ossia l'effetto di una variazione di prezzo
non compensata, dà un risultato negativo, dunque possiamo affermare che i beni inferiori (non di
Giffen) obbediscono alla legge della domanda, poiché vi è una prevalenza della relazione inversa
tra prezzo e quantità (ES) sulla relazione diretta (ER). Quindi possiamo concludere dicendo che nel
caso dei beni inferiori non di Giffen la curva di domanda ha comunque una pendenza negativa,
proprio come i beni normali, nonostante ES e ER vadano in direzioni opposte (poiché l'effetto di
ES prevale sull'effetto di ER).
-infine, i beni di Giffen, che sono un sottoinsieme dei beni inferiori, sicuramente non rispettano la
legge della domanda perché a prevalere in questo caso è l'effetto di ER rispetto all'effetto di ES,
dunque prevale la relazione diretta tra prezzo e quantità. Di conseguenza, i beni di Giffen sono gli
unici beni che prevedono una pendenza positiva della curva di domanda. L'effetto totale, ossia
l'effetto di una variazione di prezzo non compensata è positivo, quindi all'aumentare del prezzo
aumentano le quantità.
ES e ER per un bene di Giffen
Il bene di Giffen è un sottoinsieme dei beni inferiori. Partendo dal vincolo di bilancio L1 otteniamo
L2 a seguito di una diminuzione del prezzo delle patate, che fa quindi ruotare il vincolo di bilancio
da L1 a L2 appunto, ossia verso destra. Già a seguito della rotazione verso l'esterno del vincolo di
bilancio, ossia a seguito della diminuzione del prezzo delle patate (a parità di reddito) possiamo
notare come le quantità domandate siano diminuite, ciò a testimoniare il fatto che il bene preso in
considerazione viola la legge della domanda, perciò possiamo dire che le patate in questo caso
sono un bene di Giffen. Nello specifico, a seguito della diminuzione del prezzo delle patate, le
quantità domandate diminuiscono e passano da 48 a 40. L’effetto totale, ossia l'effetto di una
variazione di prezzo non compensata, è dunque pari a -8 (40-48).
Ora scorporiamo tale effetto, ricavando ES e ER. L'effetto di sostituzione è pari a 65-48=17 (C-A),
mentre l'effetto di reddito è pari a D-C, ossia 40-65=-25. Dunque, l’effetto totale, ossia la
variazione di prezzo non compensata, è pari 17-25=-8. L'effetto di reddito e l'effetto di
sostituzione vanno in direzioni opposte: il primo a seguito di una diminuzione del prezzo fa
comunque diminuire le quantità (direzione positiva/diretta), il secondo invece le fa aumentare
(direzione negativa/inversa). Nello specifico, l'effetto di reddito più che compensa l'effetto di
sostituzione, dunque a seguito di una riduzione del prezzo del bene la quantità consumata
aumenta per l'effetto di sostituzione, ma si riduce per l'effetto di reddito e a prevalere è proprio la
riduzione della quantità domandata dovuta a ER. Perciò a seguito di una diminuzione del prezzo
la quantità domandata di patate diminuisce e quindi possiamo affermare che la curva di domanda
di patate ha pendenza positiva (al diminuire del prezzo diminuiscono le quantità; all’aumentare del
prezzo aumentano le quantità, vi è dunque una relazione diretta).

Riassumendo:
ES ER effetto non compensato

Bene normale Negativo Negativo Negativo

Bene inferiore Negativo Positivo Negativo


(non Giffen)

Bene di Giffen Negativo Positivo Positivo


Benessere del consumatore
La rendita (o surplus) del consumatore rappresenta il beneficio netto totale che un consumatore
riceve dalla partecipazione al mercato per un particolare bene. Ogni punto sulla curva di domanda
costituisce la massima disponibilità a pagare (o prezzo di riserva, o prezzo limite, o valore
marginale) dell'individuo per la corrispondente unità del bene. La massima disponibilità a pagare
(rappresentata graficamente dai punti sulla curva di domanda) è una misura del beneficio lordo di
quella unità. Il beneficio netto è la differenza tra il beneficio lordo, ossia la disponibilità a pagare, e
l'ammontare che il consumatore effettivamente paga. Il beneficio netto totale (ossia la somma tra
tutti i benefici netti) costituisce la rendita del consumatore. Di conseguenza, la rendita (o surplus)
del consumatore è la differenza tra quanto l'individuo è disposto a pagare per una certa quantità
del bene e quanto effettivamente paga. Se cambia il prezzo del bene, la variazione di benessere
del consumatore può essere misurata confrontando la rendita del consumatore prima e dopo tale
variazione.

Figura a) consideriamo un bene che non è divisibile come il computer (non ha senso acquistare
mezzo computer, quindi il computer non è un bene divisibile). Sull'asse delle X abbiamo le
quantità di computer e sull'asse delle Y il prezzo. Consideriamo ora il consumatore che deve
decidere riguardo all'acquisto di un primo computer. Il consumatore deve decidere se vale la pena
acquistare il primo computer e per fare quello deve fare un'analisi costi-benefici. La massima
disponibilità a pagare del consumatore è pari a 4000, ossia il beneficio lordo (come possiamo
vedere dal grafico, in corrispondenza della quantità 1 di computer). Il beneficio netto sarà pari alla
differenza tra il beneficio lordo, ovvero 4000, e il prezzo effettivo d’acquisto del computer, ovvero
1500 (punto A), dunque il beneficio netto sarà pari a 2500. Ora supponiamo che il consumatore
debba decidere se acquistare o meno un secondo computer (ci spostiamo dunque verso destra).
La massima disponibilità del consumatore, ossia il beneficio lordo, diminuirà, poiché il
consumatore dispone già di un computer di conseguenza avrà meno necessità di averne un altro
e, dunque, la sua massima disponibilità diminuisce e passa da 4000 euro a 3000. In questo caso il
beneficio netto sarà pari a 1500, ossia 3000-1500 (il prezzo del computer rimane sempre pari a
1500). Graficamente il beneficio netto è pari all'area azzurra più l’area grigia (area totale) - l’area
grigia. Infine, supponiamo che il consumatore debba decidere se acquistare o meno una terza
unità di computer. La massima disponibilità diminuirà ulteriormente, in quanto ne dispone già 2,
dunque ora il beneficio lordo è pari a 2000, ne conseguenza un beneficio netto pari a 500
(2000-1500). Per capire poi effettivamente quanti computer il consumatore acquisterà, dobbiamo
andare avanti con le quantità di computer fino ad arrivare alla quantità per cui il consumatore ha
un beneficio netto negativo. Consideriamo dunque la decisione riguardante l'acquisto di una
quarta unità di computer. In questo caso la massima disponibilità del consumatore è pari a 1000,
ne consegue un beneficio netto negativo pari a -500 (1000-1500). Possiamo perciò affermare che
il consumatore non acquisterà il quarto computer, ma si fermerà all’acquisto del terzo computer.
Possiamo poi calcolare il beneficio netto totale, ossia la rendita (o surplus) del consumatore, che il
consumatore ottiene dall’acquisto dei 3 computer sommando i relativi benefici netti —>
2500+1500+500=4500. Perciò il beneficio netto totale che il consumatore ottiene dall'acquisto di
tre computer è pari a 4500 euro, ottenuto sommando tutti i benefici netti di ciascuna unità di
computer. Invece il beneficio lordo totale per i tre computer sarà pari alla somma dei benefici lordi
per ciascuna unità di computer.

Figura b) vediamo ora cosa succede con beni divisibili come la benzina. In questo caso non
avremo più una curva di domanda a scalini, ma più continua, in quanto la benzina è un bene
divisibile. Il consumatore non è obbligato ad acquistare un litro di benzina, ma può acquistare
anche mezzo litro, e via dicendo. Per la figura b) vale la stessa logica vista per il computer. In
questo caso possiamo affermare che la rendita, o surplus, del consumatore, ossia il beneficio
netto totale, graficamente è uguale all’area azzurra, ossia l’area sottostante la curva di domanda e
sovrastante il prezzo della benzina (area grigia).

Ora vediamo come varia la rendita del consumatore (beneficio netto totale) al variare del prezzo:

Supponiamo che il prezzo della benzina aumenti da 2 a 4 euro. La rendita del consumatore per un
prezzo della benzina pari a 2 sarà pari alla somma tra l’area grigia e l'area azzurra, ossia sarà
uguale all'area sottostante la curva di domanda è sovrastante il prezzo della benzina pari a 2,
ovvero sovrastante l'area bianca. Se invece il prezzo della benzina è di 4 euro, la rendita del
consumatore sarà uguale all'area grigia. Di conseguenza possiamo affermare che l’area azzurra
rappresenta esattamente la diminuzione della rendita del consumatore, ossia del beneficio netto
totale, a seguito di un aumento del prezzo della benzina da 2 a 4.

Esercizio:
Per calcolare CS, ossia il surplus/rendita del consumatore, dovremo utilizzare la formule per
trovare l’area del triangolo ((base*altezza)/2), poiché come abbiamo visto nella figura b), la rendita
del consumatore è pari all'area azzurra e per i beni perfettamente divisibili tale area azzurra è un
triangolo rettangolo.
Per un prezzo del bene pari a 2, il surplus del consumatore sarà pari al prodotto tra 8 (la base),
ossia le quantità domandate per un prezzo pari a 2 (10-2), e 8 (l'altezza), ossia 10-2. Il prodotto tra
base e altezza sarà quindi pari a 64, dopodiché tale risultato dovremo dividerlo per 2, in quanto
l'area che dobbiamo trovare è quella del triangolo. Quindi possiamo concludere affermando che
l'area del triangolo, ossia il beneficio netto totale o surplus o rendita del consumatore è pari a 32
(ossia l'area azzurra, ovvero l’area sottostante la curva di domanda e sovrastante il prezzo).
Stesse operazioni faremo per un prezzo pari a 4. In questo caso la base, ossia le quantità
domandate saranno pari a 10-4, ossia 6. Le quantità le ottieni partendo dalla funzione iniziale che
ti dà l'esercizio, ossia Q=10-P
Noi avremo a che fare con esercizi che tengono in considerazione solo beni perfettamente
divisibili, così che la rendita possa essere trovata utilizzando le formule del triangolo. Non faremo
esercizi per bene indivisibili poiché in quel caso calcolare l'area, ossia il surplus del consumatore,
sarebbe più complicato.

Offerta di lavoro e domanda di tempo libero


L'offerta di lavoro designa la vendita del tempo libero e delle energie di un consumatore ad un
datore di lavoro.
Supponiamo che un individuo abbia a disposizione una certa quantità di tempo, detta dotazione
di tempo, che indichiamo con T. Il tempo a disposizione viene suddiviso tra lavoro remunerato, L,
e attività non remunerate o tempo libero, N. Dunque possiamo ricavare la seguente equazione T =
L + N, dove la dotazione di tempo è uguale alla somma tra il tempo dedicato ad un lavoro
remunerato e il tempo dedicato ad un lavoro non remunerato.
Il salario per unità di tempo lo indichiamo con W, che rappresenta altresì il costo del tempo libero.
Il salario rappresenta il costo del tempo libero, perché se il consumatore lavora un’unità in più
percepisce un salario più alto, ma deve rinunciare ad un’unità in più di tempo libero. Al contrario,
se il consumatore dedica un'ora in più al tempo libero allora dovrà rinunciare ad un’ora in più di
salario. Con il reddito da lavoro, l'individuo compra beni di consumo e servizi, indicati
genericamente con C, il cui prezzo unitario è Pc (prezzo dei beni di consumo).
L’utilità dell'individuo è data da U (N, C), è dunque data dalle quantità di beni di consumo (C) e le
attività non remunerate o tempo libero (N).
Invece, il lavoro per l’individuo non viene considerato come un’utilità, ma come un "male".

Per poter acquistare beni di consumo, l’individuo deve disporre di un certo reddito, il che lo
obbliga a lavorare e, dunque, a rinunciare ad una certa quantità di tempo libero. Possiamo dire
che esiste un trade-off tra tempo libero e lavoro, in quanto se l’individuo aumenta le ore dedicate
al lavoro di conseguenza diminuiranno le ore dedicate al tempo libero, e viceversa. Il problema
dell'individuo è quindi quello di trovare la combinazione di consumo e tempo libero che
massimizza la sua utilità. La retta di bilancio del consumatore è data da Pc * C = W * L. In altre
parole, la retta di bilancio del consumatore/lavoratore si trova facendo l'uguaglianza tra la spesa
totale, ossia il prezzo dei beni di consumo moltiplicato per le quantità dei beni di consumo (Pc*C),
e il guadagno totale, ovvero il prodotto tra il salario in unità di tempo e il tempo dedicato al lavoro
remunerato (W*L).
Sostituendo nella retta di bilancio appena trovata il "male" (lavoro) con il "bene" (tempo libero),
otteniamo Pc * C = W * (T - N) (spesa totale uguale al prodotto tra il salario e la differenza tra la
dotazione di tempo totale e il tempo dedicato al tempo libero, che è lo stesso di dire che la spesa
toltale è uguale al prodotto tra il salario e il tempo dedicato al lavoro remunerato (proprio come
l’equazione di prima)). Da quest’equazione possiamo ottenere la seguente W * T = Pc * C + W *N,
dove il prodotto tra il salario e la dotazione di tempo totale è uguale alla spesa totale più il
prodotto tra il salario e il tempo libero. Da questo ultimo passaggio, possiamo vedere come nella
retta di bilancio compare W (salario) come prezzo del tempo libero (N), perché W è il costo
opportunità del tempo libero, nel senso che se il consumatore decide di consumare un'ora in più
di tempo libero allora dovrà rinunciare ad un’ora in più di salario, o in altre parole possiamo dire
che W è il costo del tempo libero perché se il consumatore decide di aumentare di un’unità di
tempo il salario allora diminuisce di un’unità il tempo libero. Quella evidenziata in grassetto
possiamo considerarla come la formula finale della retta (vincolo) di bilancio.
Inoltre, differentemente da quanto abbiamo visto fino ad ora, nella retta di bilancio il reddito non è
fisso, ma dipende da W. Fino a prima M, ossia il reddito, era fisso, mentre ora dipende dalla
variabile W, ossia dipende dal salario del consumatore/lavoratore (oltre che a dipendere da W, il
reddito dipende indirettamente anche da L, ossia dal tempo dedicato al lavoro remunerato).
Dunque, al variare del salario varia anche il reddito.

Ora riscriviamo la retta di bilancio esplicitando per la quantità dei beni di consumo, ossia per C e
otteniamo che C = (W/Pc)*T - (W/Pc)*N.
Supponendo che C=0 e che C si trovi sull'asse delle Y e che N si trovi sull'asse delle X, l'intercetta
orizzontale (punto che interseca l'asse delle X) della retta di bilancio è data da N = T, ciò vuol dire
che in tal caso si ha il massimo consumo di tempo libero (attività non remunerate=dotazione di
tempo). Partendo dalla retta di bilancio esplicitata per C otteniamo N=T considerando C=0,
portando a sinistra uno tra N e T e dividendo ambo i lati per W/Pc. Dunque, nel momento in cui il
consumo è nullo l'ammontare di tempo libero sarà pari al massimo possibile, poiché il
consumatore utilizzerà tutto il suo tempo a disposizione (T) in attività non remunerate, ovvero
tempo libero (N). La cosa è piuttosto logica, se il consumatore non vuole consumare perché
dovrebbe lavorare, visto che il lavoro è un male? Piuttosto dedicherà il tempo che ha a
disposizione al tempo libero.
Invece, supponendo che N=0, ossia che il tempo dedicato alle attività non remunerate sia pari a
0, l'intercetta verticale, ovvero il punto in cui la retta di bilancio interseca l'asse delle Y, sarà pari a
C= (W/Pc)*T, ossia sarà pari al massimo consumo possibile. Questo è quindi il caso opposto
rispetto al precedente, qua consideriamo il caso in cui il consumatore non dedichi tempo alle
attività non remunerate, di conseguenza il consumatore avrà il massimo consumo, poiché
dedicherà tutto il suo tempo ad attività remunerate, senza avere neanche un po’ di tempo libero.
La pendenza della retta di bilancio (in valore assoluto) è data dal rapporto tra il salario e il prezzo
dei beni di consumo, ossia W/Pc. Prima trovavamo la pendenza della retta di bilancio facendo il
rapporto tra i due prezzi, idem adesso, perché W lo possiamo considerare come il prezzo del
tempo libero (costo opportunità del tempo libero), quindi possiamo vederla come il rapporto tra il
prezzo del tempo libero e il prezzo del consumo.
Ora vediamo il grafico di una retta di bilancio di un lavoratore:

In questo caso supponiamo che il lavoratore, oltre al salario (W), abbia un reddito extra, dunque il
reddito non sarà pari al salario, ma al salario più una determinata quantità di denaro che il
lavoratore/consumatore percepisce indipendentemente dalle ore di lavoro. Come sappiamo
sull'asse delle X abbiamo il tempo libero (N) mentre sull'asse delle Y abbiamo il cibo, ossia il
consumo (C). In questo caso T, ossia la dotazione di tempo totale, è pari a 14, dunque in
corrispondenza di un tempo libero pari a 14, ossia supponendo il caso in cui il consumatore
dedichi tutto il tempo che ha a disposizione al tempo libero, la quantità di consumo di cibo sarà
pari a 30. Questo 30 però dipende esclusivamente dal reddito extra, perché se il consumatore
dedica tutto il suo tempo al tempo libero vuol dire che non dedica nessuna ora ad attività
remunerative, di conseguenza il suo consumo dovrebbe essere pari a 0, ma invece è pari a 30
unicamente grazie al reddito extra, che non dipende dalle ore che il consumatore dedica al lavoro.
A seguito di una riduzione del tempo libero, quindi ad esempio nel caso in cui il tempo libero passi
da 14 ore a 8 (ossia il lavoratore lavora 6 ore in più) allora la quantità di beni di consumo aumenta
da 30 a 65 circa (la quantità di cibo perpendicolare al punto C).
Inoltre, come sappiamo la pendenza del vincolo di bilancio è pari a W/Pc. Per convenienza però
noi porremo Pc pari a 1, ossia il prezzo dei beni di consumo pari a 1, ne consegue che la
pendenza della retta di bilancio sarà pari a W.
Se la curva di indifferenza è tangente alla retta di bilancio nel punto C saremo di fronte ad un
lavoratore che dedica otto ore al giorno al tempo libero, mentre possiamo affermare che se la
curva di indifferenza è tangente alla retta di bilancio nel punto A allora saremo di fronte ad un
consumatore più "pigro", poiché tale consumatore dedicherà una maggiore quantità di ore al
tempo libero (nello specifico in questo caso dedicherà tutte le ore a disposizione al tempo libero).
(Le due curve di indifferenza sono di due consumatori differenti perché si andrebbero ad
intersecare e, come sappiamo, le curve di indifferenza di uno stesso consumatore non possono
intersecarsi)

Il paniere ottimale consumo/tempo libero (C,N) si ottiene ricavando il saggio marginale di


sostituzione (ossia ricavando la pendenza della retta tangente al paniere ottimale), che è uguale al
rapporto tra l’utilità marginale del tempo libero e l’utilità marginale del consumo. Il saggio
marginale di sostituzione lo si pone poi uguale al rapporto tra il salario e il prezzo di consumo,
ossia lo si pone uguale alla pendenza della retta di bilancio. Da tale uguaglianza possiamo dunque
ricavare il paniere ottimale consumo/tempo libero.
SMS= MUn/MUc = W/Pc

L’equazione finale del vincolo di bilancio, come abbiamo visto pochi paragrafi fa, è
W * T = Pc * C + W *N
C (ossia la quantità dei beni di consumo) può essere considerato come un bene composito,
ovvero come ogni altra cosa che l'individuo desidera consumare oltre al tempo libero. In questo
caso C può essere misurato direttamente in termini di denaro che l’individuo spende per tutti gli
altri beni e per convenienza poniamo Pc=1. Dopo aver posto Pc=1 l'equazione della retta di
bilancio diventa così la seguente: W * T = C + W * N
Inoltre, possiamo supporre anche che l'individuo disponga di un reddito M che è indipendente
dalle ore lavorate. Ciò lo avevamo già visto nel grafico precedente, dove il consumatore
disponeva anche di un reddito extra, oltre al salario. A seguito di ciò possiamo concludere che
l’equazione finale della retta di bilancio è la seguente: W * T + M = C + W * N
In pratica sommiamo M al reddito da lavoro, ossia al prodotto tra il salario e la dotazione di tempo
(in aggiunta a quella finale c’è che Pc=1 e il reddito extra M, che è indipendente dalle ore
lavorate).

Esercizio
MUn è la derivata prima di U rispetto a N, mentre MUc è la derivata prima di U rispetto a C.
Nella condizione di equilibrio C (quantità dei beni) deve essere uguale a 20 N (ore dedicate al
tempo libero). Poi sostituiamo tale condizione di equilibrio nel vincolo di bilancio e troviamo N,
ossia le ore che il consumatore dedica al tempo libero. Dopodiché, avendo T e N, possiamo
calcolare L, ovvero le ore dedicate al lavoro, ossia l’offerta di lavoro dell’individuo.

Effetto dei salari sulle ore di lavoro


Consideriamo ora una riduzione del salario (W si riduce).
Se riduciamo il salario possono accadere due cose:
1)l'individuo vuole lavorare di meno perché non vale più la pena lavorare come prima.
2)l’individuo però può decidere di lavorare di più perché deve finanziare le sue spese.
Il primo effetto è l'effetto di sostituzione (ES), dove l'individuo consuma più tempo libero il cui
costo opportunità (salario) si è ridotto. ES perché le due variabili vanno in direzioni opposte, se il
salario si riduce l’individuo consuma più tempo libero.
Il secondo effetto è l'effetto di reddito (ER), dove l’individuo consuma meno tempo libero (decide
di lavorare di più) perché si è ridotto il suo potere d'acquisto (supponendo che il tempo libero è un
bene normale). ER perché le due variabili vanno nella stessa direzione, in quanto se il salario si
riduce, l’individuo dedicherà meno ore al tempo libero (lavorerà di più).
Se l'effetto di sostituzione è maggiore dell'effetto di reddito, ossia se l'effetto di sostituzione
prevale sull'effetto di reddito, l'individuo lavora di meno (aumenterà il tempo libero); mentre se
l'effetto di reddito è maggiore dell'effetto di sostituzione l'individuo lavora di più (diminuirà il
tempo libero).
Esattamente l'opposto varrà nel caso di un aumento del salario (W aumenta).
Ora vediamo con il grafico proprio il caso di un aumento del salario.
Effetto di una variazione di prezzo non compensata:
A seguito di un aumento del salario il vincolo di bilancio L1 ruota verso l'esterno (verso destra). Il
vincolo di bilancio ruota facendo perno sul punto A, che è la quantità di cibo che il consumatore
riesce a consumare indipendentemente dal suo reddito/salario (è il cosiddetto reddito extra). A
parità di ammontare di tempo libero il consumatore, a seguito dell'aumento del salario, potrà
consumare una quantità maggiore di cibo. Il paniere iniziale è C, mentre il paniere finale è E, ossia
il punto di tangenza della curva di indifferenza con il nuovo vincolo di bilancio. A seguito di un
aumento del salario la quantità di ore dedicata al tempo libero accresce da 8 (punto C) a 9 (punto
E). Possiamo quindi dire che l'effetto di una variazione di prezzo non compensata è pari a 9-8=1.
Ora ricaviamo l'effetto di sostituzione, ossia la variazione delle quantità di ore di tempo libero a
parità di potere d'acquisto (ossia a parità di utilità, dunque otterremo il paniere tangente al vincolo
di bilancio L3 (F), ma sempre appartenente all’originaria curva di indifferenza). Perciò con l'effetto
di sostituzione riportiamo il consumatore ad avere la stessa utilità che aveva originariamente,
prima dell'aumento del salario, dunque, è come se facessimo una riduzione del salario fittizia con
il fine di riportare il consumatore ad avere il medesimo potere d'acquisto iniziale. Per calcolare
l'effetto di sostituzione dovremo quindi tenere in considerazione il vincolo di bilancio L1 e L3 e,
dunque, l'effetto di sostituzione sarà pari a 7-8=-1. Per quanto riguarda l'effetto di reddito, ossia
la variazione della quantità domandata di tempo libero a seguito di un aumento del reddito,
dovremo tenere in considerazione il vincolo di bilancio L3 e L2, di conseguenza l'effetto di reddito
è pari a 9-7=2. Sommando l'effetto di sostituzione e l'effetto di reddito otteniamo l'effetto di una
variazione non compensata, ossia 1 (-1+2).

Offerta di lavoro e domanda di tempo libero


Possiamo ricavare la curva prezzo-consumo per il tempo libero e quindi la curva di offerta di
lavoro, che indica come varia la quantità offerta di lavoro al variare del salario.
La curva di offerta di lavoro è tipicamente piegata all'indietro (curva nera nella figura B). Per valori
del salario sotto una certa soglia, all’aumentare del salario, l’individuo consuma meno tempo
libero (ES prevale) e quindi lavora di più. Invece, per valori al di sopra di detta soglia,
all'aumentare del salario, l'individuo consuma più tempo libero (ER prevale) e lavora di meno.

La curva prezzo-consumo mi permette di vedere graficamente come cambia il miglior paniere


accessibile al variare del prezzo. Partendo dal vincolo di bilancio iniziale L1, consideriamo poi un
aumento del salario che provoca una rotazione verso destra da L1 alla retta di colore nero.
Considerando un ulteriore aumento del salario il vincolo di bilancio ruota ulteriormente verso
destra fino al vincolo di bilancio L2. Quando passiamo dal paniere D al paniere C, il tempo libero
si riduce da 9 a 8, perché se il salario aumenta vuol dire che aumenta il costo opportunità del
tempo libero e quindi il nostro individuo deciderà di consumare meno tempo libero poiché i prezzi
relativi sono aumentati. In questo caso a prevalere è l'effetto di sostituzione perché per valori del
salario sotto una certa soglia, all’aumentare del salario l’individuo consuma meno tempo libero,
dunque, quando ES prevale l'individuo lavora di più. Ciò lo capisci meglio guardando il grafico di
destra relativamente alla curva di domanda di tempo libero. Da tale curva (quella azzurrina) si può
vedere come sotto una certa soglia di salario pari a 5, all’aumentare del salario il lavoratore
consuma una quantità minore di tempo libero, dunque lavora di più (da D passa a C, ossia da 9
passa a 8). Perciò, in questo caso a prevalere è l'effetto di sostituzione. Invece, sopra questa
soglia (quando il salario è maggiore di 5), all’aumentare del salario aumenta la quantità di tempo
libero (il lavoratore lavora di meno), di conseguenza in tal caso a prevalere sarà l'effetto di reddito
(il consumatore è più ricco, di conseguenza potrà consumare più tempo libero all'aumentare del
suo salario. Questo avviene quando il salario è maggiore di una certa soglia, che in questo caso è
pari a 5).
(Nella figura b, per quanto riguarda la curva di domanda, sull'asse delle X avremo le ore di tempo
libero, mentre sull'asse delle Y il salario. Invece per quanto riguarda la curva di offerta, sull'asse
delle X avremo il salario e sull'asse delle Y le ore di tempo libero.)—> credo

Ora abbiamo finito la parte relativa al consumatore e dal capitolo successivo iniziamo la parte
relativa all'impresa. Ci spostiamo dal consumatore all'impresa.
CAPITOLO 6: TECNOLOGIA E PRODUZIONE
Tecnologie di produzione
In un'economia di libero mercato, la maggior parte dei beni è prodotta da imprese private i cui
proprietari tengono per sé i profitti generati dalla vendita dei loro prodotti.
È importante distinguere gli input dagli output. Gli output sono i prodotti o servizi che un'impresa
produce, mentre gli input sono i materiali, la manodopera, la terra, o i macchinari che un'impresa
utilizza per produrre i propri output.
La tecnologia di produzione di un’impresa è l'insieme di tutti i metodi a sua disposizione per
produrre gli output. Un metodo di produzione è efficiente quando l’impresa non ha alcun altro
metodo per produrre una maggiore quantità di output usando lo stesso quantitativo di input.

L'insieme delle possibilità produttive di un'impresa comprende tutte le possibili combinazioni di


input e output data la tecnologia dell'impresa.
La frontiera efficiente di produzione di un'impresa include tutte le combinazioni di input ed output
che l’impresa può ottenere usando metodi di produzione efficienti.
Sull'asse delle X abbiamo l’input, ossia il numero di operai addetti all'assemblaggio; mentre
sull'asse delle Y abbiamo gli output, la quantità di panchine prodotte alla settimana. La curva è
positivamente inclinata. Il punto A ci dice che se l’impresa utilizza 1 operaio potrà produrre quasi
40 panchine alla settimana, dopodiché il punto D ci dice che se l’impresa utilizza 2 operai
produrrà quasi 80 panchine alla settimana, e così via con i punti G e F.
Tutti questi punti giacciono sulla frontiera efficiente di produzione, ciò vuol dire che se l’impresa
utilizza un solo operaio non potrà mai produrre più di 40 panchine alla settimana. Il punto A
rappresenta la frontiera efficiente di produzione, ossia tutte le combinazioni di input ed output che
l’impresa può ottenere usando metodi di produzione efficienti. Dunque, in corrispondenza del
punto A l’impresa potrà arrivare a produrre un massimo di 40 panchine alla settimana, ma può
anche essere che ne produca di meno; il punto A dunque rappresenta il massimo quantitativo di
output che può essere prodotto in corrispondenza del relativo numero di operai, ossia
rappresenta la frontiera efficiente di produzione. Le quantità di panchine al di sotto della frontiera
efficiente di produzione prendono il nome di possibilità produttive, ossia tutte le possibili
combinazioni di input e output, che non sono necessariamente efficienti (spazio azzurro). Saranno
le più efficienti le combinazioni di input e output che giacciono sulla curva blu, ovvero sulla
frontiera efficiente di produzione.

Funzioni di produzione
Una funzione di produzione è una funzione che si esprime nella seguente forma
output= F (input).

(F è la funzione di produzione)
La funzione di produzione descrive il totale massimo di output che un’impresa può produrre a
partire da un dato quantitativo di input, usando metodi di produzione efficienti. Stiamo dunque
parlando degli output che giacciono sulla frontiera efficiente di produzione, ossia la quantità
massima di output per ogni quantitativo di input.

Ora vediamo degli esempi di funzioni di produzione:


-Funzione di produzione con un solo input (si tiene in considerazione solo la forza lavoro)—>
Q = F (L)
Q rappresenta l'output, F la funzione di produzione e L l’input, ossia il lavoro.
Prendiamo come esempio Q=10L, se L=1 allora i prodotti finiti (ossia Q, gli output) saranno pari a
10, se L=2 allora Q sarà uguale a 20 e così via.
-Prendiamo ora una funzione di produzione con due input (L=lavoro, K=capitale)
Q=F (L, K)
La funzione F ora dipende da due input.

In sostanza, la funzione di produzione permette di trovare l'output, ossia i prodotti finiti realizzati,
dati uno o più input.
La funzione di produzione è sempre crescente rispetto agli input. Dunque, all'aumentare degli
input aumenta l'output. Non è possibile che all'aumentare degli input gli output diminuiscano.
Ecco perché la funzione di produzione ha sempre pendenza positiva.

Produzione di breve e lungo periodo


Un input variabile può essere modificato nel periodo preso in considerazione, mentre un input
fisso non può essere modificato durante tale periodo.
Per breve periodo (o in inglese short run) si intende il lasso di tempo in cui è possibile variare uno
o più input (per esempio il lavoro) ma altri input (per esempio il capitale) rimangono invariati.
Dunque il lavoro viene considerato un input variabile, perché può variare nel breve periodo.
Invece, il capitale è un input fisso in quanto nel breve periodo non può essere modificato.
Possiamo dunque definire che, invece, il lungo periodo è l'intervallo di tempo in cui tutti gli input
sono variabili. Sia il capitale che il lavoro possono variare nel lungo periodo, sia gli input variabili
(lavoro) che gli input fissi (capitale/macchinari) possono subire delle modifiche nel lungo periodo.
A quanto corrisponde il breve periodo dipende dai processi di produzione presi in considerazione.
Ad esempio si pensi ad un’impresa automobilistica, essa avrà una durata del breve periodo
maggiore rispetto ad un'impresa pony-express. Dunque, possiamo affermare che la distinzione
tra breve e lungo periodo è un concetto relativo, che dipende fortemente dal settore che andiamo
a prendere in considerazione.
Prodotto medio
Consideriamo un’impresa nel breve periodo che utilizza un unico input variabile, il lavoro L,
mentre gli altri input (come il capitale) sono fissi (e quindi non subiscono modifiche nel breve
periodo). Il prodotto medio del lavoro (average product of labour) è la quantità di output prodotta
da ogni lavoratore, e viene rappresentato attraverso la seguente formula:
APl= Q / L = F(L) / L
Per APl si intende il prodotto medio (average product of labour). Quindi il prodotto medio del
lavoro, ossia la quantità di output prodotta da ogni lavoratore, si ottiene semplicemente facendo il
rapporto tra l'output e l’input (il lavoro), o in altre parole, il rapporto tra la funzione di produzione e
l'input L.

Prodotto marginale
Il prodotto marginale del lavoro misura quanto output in più viene prodotto quando l’impresa varia
leggermente il quantitativo di lavoro che utilizza. Per esempio, supponiamo di avere un'impresa
con 10 operatori. Il prodotto marginale del lavoro ci dice l'output che viene prodotto in più a
seguito dell'aumento di un’unità di lavoratori, che da 10 passano così a 11.
Le unità marginali di lavoro sono le ultime unità di lavoro impiegate, che indichiamo con ΔL, dove
ΔL è il quantitativo minimo di lavoro che un datore di lavoro può aggiungere o sottrarre.
Nell'esempio di prima ΔL è uguale a 1, perciò il quantitativo minimo di lavoro che un datore di
lavoro può aggiungere o sottrarre è pari a 1. Se però supponiamo che il datore di lavoro possa
assumere anche dipendenti part-time, allora l’unità marginale (ΔL) non sarà pari a 1 (lavoratore a
tempo pieno) ma sarà pari a 0,5 (lavoratore part-time).
Quindi, il prodotto marginale del lavoro (marginal product of labour) con L lavoratori misura
l'output extra ottenuto assumendo (è giusto il termine) le unità marginali di lavoro ΔL, per unità di
lavoro aggiunta.
Da ciò possiamo ricavare la seguente formula:

Possiamo quindi affermare che il prodotto marginale del lavoro è pari al rapporto tra la variazione
degli output (ΔQ) e la variazione dell’input del lavoro (ΔL). Possiamo calcolare la variazione degli
output anche facendo la differenza tra F(L), ossia gli output (che supponiamo siano 10), e F(L-ΔL),
ossia gli output meno l’unità marginale di lavoro che supponiamo essere pari a 1. Dunque al
numeratore avremo 10-1=9 e poi dovremo dividere tale risultato per la variazione di lavoro (ΔL),
ossia 1. Quindi il prodotto marginale di lavoro sarà pari a 9/1=9.
Inoltre, da questa formula possiamo intuire come il prodotto marginale del lavoro non sia
nient'altro che la derivata della funzione di produzione rispetto a L. Supponiamo la seguente
funzione di produzione Q=10L, il prodotto marginale del lavoro sarà pari alla derivata rispetto a L,
ossia a 10.

Inoltre, per il prodotto marginale dobbiamo sapere che vale la legge dei rendimenti marginali
decrescenti, che afferma che il prodotto marginale di un input (MPl) ha la tendenza generale a
declinare man mano che il suo uso aumenta. Più aumentiamo l’utilizzo degli input minore sarà
l'aumento dell'output.

Rapporto tra prodotto medio e prodotto marginale


Il prodotto medio ed il prodotto marginale di un input sono strettamente correlati.
Quando il prodotto marginale di un input è maggiore del prodotto medio, le unità marginali di
input aumentano il prodotto medio.
Al contrario, quando il prodotto marginale di un input è minore del prodotto medio, allora il
prodotto medio diminuisce, o in altre parole, le unità marginali di input diminuiscono il prodotto
medio.
Quando invece il prodotto marginale di un input è uguale al prodotto medio, le unità marginali di
input non fanno variare il prodotto medio, il prodotto medio resta immutato.
Facciamo un esempio pratico, se i voti ottenuti nell'ultimo semestre sono più elevati rispetto alla
media dei nostri voti, allora la nostra media aumenterà. Se invece i voti ottenuti nell'ultimo
semestre sono più bassi rispetto alla media dei nostri voti, allora la nostra media diminuirà. È la
stessa cosa che accade tra il prodotto medio e il prodotto marginale.

Ciò lo si evince dalla seguente tabella (più sotto)


Ricordiamoci che APl è il prodotto medio, mentre MPl è il prodotto marginale.
Il prodotto medio (APl) in corrispondenza di 1 addetto sarà pari a 33/1, dopodiché 74/2, 111/3 e
via dicendo.
Il prodotto marginale in corrispondenza della seconda riga sarà pari a (33-0)/(1-0)= 33. Dopodiché
sarà pari a (74-33)/(2-1)=41, e così via.

Ora consideriamo il rapporto (la relazione) tra il prodotto medio e il prodotto marginale. In
corrispondenza della terza riga (addetti pari a 2) il prodotto marginale (41) è maggiore del prodotto
medio (37), perché il prodotto medio è aumentato da 33 a 37 e, quindi, le unità marginali sono
aumentate. È grazie all'aumento delle unità marginali che il prodotto medio è aumentato da 33 a
37. Dopodiché in corrispondenza della quarta riga (3 addetti) il prodotto medio resta invariato, il
prodotto medio da 37 rimane sempre 37, di conseguenza possiamo affermare che il prodotto
marginale sarà pari al prodotto medio, ossia a 37. Infine, in corrispondenza dell'ultima riga il
prodotto medio diminuisce da 37 a 33, quindi sapremo anche che il prodotto marginale sarà
minore del prodotto medio, infatti il prodotto marginale è 21 mentre il prodotto medio è 33.
Dunque, possiamo concludere dicendo che in base alla variazione delle unità marginali possiamo
comprendere se il prodotto marginale sarà maggiore del prodotto medio, se sarà minore o se sarà
uguale (basati sul paragrafo prima, non tanto su questo).

Curva di prodotto medio


Quando il lavoro è perfettamente divisibile, possiamo rappresentare il prodotto medio (la sua
curva) al variare del lavoro. Per un qualsiasi punto della funzione di produzione, la pendenza della
retta che collega tale punto all'origine degli assi equivale all'output diviso per la quantità di lavoro,
ovvero il prodotto medio del lavoro.
Considerando il grafico a), la curva nera rappresenta la funzione di produzione, dove sull'asse
delle ascisse avremo l’input, ossia gli addetti ai lavori, mentre sull'asse delle ordinate avremo gli
output. In corrispondenza del punto che congiunge gli output pari a 5 e gli input pari a 10, il
prodotto medio sarà pari a 1/2, ossia a 5/10. Questo rapporto (5/10) rappresenta la pendenza
della retta che passa dal punto preso in considerazione e l'origine. Dopodiché facciamo la stessa
cosa per il punto che congiunge gli output pari a 25 e gli input pari a 20, dove il prodotto medio
sarà pari a 25/20, ossia 1,25. 1,25 rappresenta anche la pendenza della retta che passa dal punto
preso in questione all’origine. Infine, per il punto che congiunge gli output pari a 30 e gli input pari
a 30, il prodotto medio sarà pari a 1 e, dunque, la pendenza della retta che passa da quel punto
all’origine sarà pari a 1. Ora riportiamo questi dati dal grafico di sinistra al grafico di destra, ossia
al grafico della curva del prodotto medio. Nel grafico della curva del prodotto medio avremo
sull’asse delle ascisse gli input e sull'asse delle ordinate il prodotto medio. Inserendo all’interno di
questo grafico i punti che abbiamo trovato precedentemente otteniamo la curva del prodotto
medio. Essa cresce fino ad un prodotto medio pari a 1.25, dopodiché decresce.
Abbiamo quindi visto come si fa a ricavare la curva del prodotto medio partendo dal grafico della
funzione di produzione. Ciò possiamo farlo solo se il lavoro (l’input) è perfettamente divisibile.
Da questa analisi abbiamo quindi capito che il prodotto medio corrisponde alla pendenza della
retta che passa dall'origine al punto preso in considerazione.
Ora faremo la stessa cosa per il prodotto marginale.

Curva del prodotto marginale


Quando il lavoro è perfettamente divisibile, possiamo rappresentare la curva del prodotto
marginale al variare del lavoro.
Il prodotto marginale del lavoro con L unità di input di lavoro è pari alla pendenza della funzione di
produzione in corrispondenza di quelle unità.
Ora vediamo come si calcola il prodotto marginale:

Come sempre sull'asse delle X abbiamo l’input, ossia l'ammontare degli addetti al lavoro,
sull'asse delle Y avremo l'output. La curva blu rappresenta la funzione di produzione, che come
sappiamo è sempre positivamente inclinata. Supponendo di partire da un quantitativo di input L
pari a 10, consideriamo come ammontare di unità marginale ΔL', quindi ci spostiamo dal punto B
al punto A. L'output extra che noi otteniamo dal passaggio da L-ΔL' (9 input) a L (10 input), ossia
dagli input in corrispondenza del punto B agli input in corrispondenza del punto A, è pari a ΔQ',
ossia il passaggio da F(L-ΔL') a F(L). Il prodotto marginale è dunque il rapporto tra la variazione
degli output, ossia ΔQ', e la variazione degli input, ossia ΔL'. Questo rapporto rappresenta la
pendenza della retta che congiunge il punto B col punto A. Supponendo ora la variazione
ΔL" (invece che ΔL'), a cui corrisponde la variazione ΔQ", otterremo i punti C ed A. Il prodotto
marginale sarà pari al rapporto tra le due variazioni, ma tale prodotto marginale rappresenta anche
la pendenza della retta che passa da C ad A. Possiamo quindi affermare che il prodotto marginale
del lavoro corrisponde alla pendenza della retta tangente alla funzione di produzione.
Nel prodotto medio, le rette azzurre che passavano da un punto preso in considerazione
all’origine non erano tangenti alla funzione di produzione, mentre nel prodotto marginale, le rette
che passano dai due punti presi in considerazione sono tangenti alla funzione di produzione.
Quindi, possiamo concludere che il prodotto medio è pari alla pendenza della retta che congiunge
l’origine con il punto preso in considerazione; mentre il prodotto marginale corrisponde alla
pendenza della retta che congiunge i due punti presi in considerazione (ma tale retta non passa
per l'origine).

Consideriamo ora il secondo grafico (qui sotto), nello specifico vediamo ora come ottenere la
curva del prodotto marginale partendo dalla funzione di produzione. Ciò è possibile solo se l’input
è perfettamente divisibile.

La curva nera rappresenta la funzione di produzione dove sull'asse delle ascisse vi sarà come
sempre l’input mentre sull'asse delle ordinate l'output. Sappiamo che il prodotto marginale è la
pendenza della retta tangente alla funzione di produzione e sappiamo anche che il prodotto
marginale è uguale alla derivata prima della funzione di produzione secondo L (secondo il lavoro
come input). Dato un input pari a 10 il prodotto marginale corrisponderà alla pendenza della retta
tangente alla funzione di produzione in corrispondenza di quell'input. La retta tangente non passa
per l'origine, come invece accadeva per il prodotto medio. Nel momento in cui consideriamo un
input pari a 20, questa volta la retta tangente alla funzione di produzione passa per l’origine, ma
questo è un caso particolare. Nello specifico, quando si verifica questo caso significa che il
prodotto marginale è uguale al prodotto medio (perché come sappiamo il prodotto medio
corrisponde alla pendenza della retta passante per l’origine e per il punto preso in considerazione,
perciò se le due rette corrispondono vuol dire che il prodotto marginale è uguale al prodotto
medio). Le diverse pendenze che leggiamo dalla figura a) (1,0; 1,25; 0,25) noi non possiamo
calcolarle, perché non siamo a conoscenza dei due punti in cui la retta è tangente alla funzione di
produzione. Solo facendo il rapporto tra la variazione dell'output e la variazione dell’input in
corrispondenza di quei punti possiamo calcolare la pendenza della retta tangente e, dunque, il
prodotto marginale, ma in questo caso non abbiamo i dati. Come si calcola il prodotto marginale
lo abbiamo visto dal grafico precedente, ora ci interessa vedere una sua rappresentazione grafica.
Avremmo inoltre anche potuto calcolare il prodotto marginale se avessimo avuto la funzione di
produzione, facendo la sua derivata rispetto ad L.
Dopodiché, inserendo le pendenze delle rette tangenti alla funzione di produzione all'interno del
grafico di destra potremo vedere come viene rappresentata la curva del prodotto marginale, la
quale sull'asse delle X avrà gli input mentre sull'asse delle Y vi sarà il prodotto marginale.
Possiamo notare come all'aumentare degli input aumenta il prodotto marginale fino ad un
massimo, dopo tale massimo all'aumentare degli input il prodotto marginale non aumenta più, ma
comincia a decrescere.

Relazione tra la curva di prodotto medio e la curva di prodotto marginale


La curva del prodotto medio ha pendenza positiva in corrispondenza di L unità di lavoro se il
prodotto marginale è maggiore del prodotto medio.
La curva di prodotto medio ha pendenza negativa in corrispondenza di L unità di lavoro se il
prodotto marginale è minore del prodotto medio.
Infine, la curva del prodotto medio ha pendenza nulla in corrispondenza di L unità di lavoro se il
prodotto marginale è uguale al prodotto medio.
Sull'asse delle ascisse abbiamo come sempre l'input (il lavoro), mentre sull'asse delle ordinate
abbiamo sia il prodotto medio (curva blu) che il prodotto marginale (curva nera).
Consideriamo qualsiasi valore di L (lavoro/input) inferiore a 20. Notiamo che il prodotto marginale
è maggiore del prodotto medio. Questo che impatto ha sul prodotto medio? Se il prodotto
marginale è maggiore del prodotto medio. il prodotto medio in quell'intervallo (L minore di 20) è
crescente. Ripensiamo all'esempio dei voti: se i voti dell'ultimo semestre sono maggiori della
nostra media allora la nostra media aumenterà. Così accade anche in questo caso, se il prodotto
marginale è maggiore del prodotto medio, allora il prodotto medio aumenterà. Quindi in questo
caso i voti sono il prodotto marginale, mentre la nostra media è il prodotto medio.
Il caso opposto vale per valori di L maggiori a 20, ne consegue in questo caso che se il prodotto
marginale è inferiore al prodotto medio, allora il prodotto medio decresce. Se i voti dell’ultimo
semestre (prodotto marginale) sono inferiori alla mia media (prodotto medio), allora la mia media
(prodotto medio) diminuirà.
Nel punto di intersezione tra il prodotto marginale e il prodotto medio, ossia il punto in
corrispondenza di 20 unità di lavoro, si ha la situazione in cui i voti ottenuti nell’ultimo semestre
sono esattamente uguali alla nostra media, di conseguenza la nostra media resterà invariata. Nel
nostro caso, nel punto di intersezione tra le due curve, il prodotto marginale è uguale al prodotto
medio, perciò il prodotto medio rimane invariato.

Produzione con due input variabili


Fino ad ora abbiamo visto solo il caso di una produzione con un input, il lavoro, ora vedremo il
caso di una funzione di produzione con due input (lavoro e capitale). Sostanzialmente ciò che
stiamo facendo è passare dal breve periodo, che tiene in considerazione solo la variazione degli
input variabili come il lavoro, al lungo periodo, dove variano sia gli input variabili (il lavoro) sia gli
input fissi (il capitale).
Gli input vengono generalmente suddivisi in quattro categorie: lavoro, capitale, materiali e terreno.
Noi ci focalizzeremo sul lavoro, che viene indicato con la lettera L, e sul capitale, che viene
indicato con la lettera K.
La funzione di produzione è dunque data da Q = F (L, K)
L’impresa può produrre un dato quantitativo di output con molte combinazioni diverse di input.
Il principio della produttività dei fattori afferma che aumentando la quantità di tutti gli input, il
quantitativo di output che un'impresa può produrre aumenta strettamente (usando metodi di
produzione efficienti). Tale principio rimanda al principio di non sazietà relativo al consumatore.

Isoquanti
Un isoquanto identifica tutte le combinazioni di input (lavoro e capitale) che producono in
maniera efficiente un determinato quantitativo di output. Supponendo che l'output è pari a 20,
l’isoquanto ci dice tutte le combinazioni di lavoro e capitale tali che l'output sia pari a 20.
La famiglia di isoquanti di un'impresa consiste negli isoquanti corrispondenti a tutti i suoi possibili
livelli di output.
Proprietà degli isoquanti:
-gli isoquanti sono sottili.
-gli isoquanti hanno pendenza negativa.
-un isoquanto è il confine tra le combinazioni di input che producono di più e le combinazioni di
input che producono di meno rispetto al quantitativo di output che denota l'isoquanto in
questione.
-gli isoquanti per una stessa tecnologia non si incrociano mai.
-gli isoquanti di livello più alto sono più lontani dall'origine.

Il concetto di isoquanto ci ricorda la curva di indifferenza. Il concetto è molto simile.


Ora vediamo i grafici che dimostrano le 5 proprietà degli isoquanti:

A)gli isoquanti non possono essere spessi, dunque gli isoquanti sono sottili. L'isoquanto non può
essere spesso perché il punto A dovrà essere preferito al punto B, non possono equivalersi, in
quanto nel punto A l’impresa otterrà più output e l’impresa preferirà sempre disporre di più
output, in base al principio della produttività dei fattori (questo concetto ricorda molto le curve di
indifferenza e il principio di non sazietà del consumatore). Di fronte ad una scelta che vede degli
output differenti l’impresa preferirà sempre la scelta che gli permette di conseguire più output.
B)gli isoquanti non curvano verso l'alto (gli isoquanti hanno pendenza negativa). Il grafico B non
rispetta questa proprietà, poiché l'isoquanto curva verso l'alto. Ciò non può accadere per lo
stesso principio di prima, per il principio della produttività dei fattori. A e B non possono stare
sullo stesso isoquanto, in quanto nel punto A si ha un quantitativo di output maggiore.
Ricordiamoci la definizione di isoquanto, l'isoquanto identifica tutte le combinazioni di input che
producono in maniera efficiente un determinato quantitativo di output, ma A ha un quantitativo di
output differente (maggiore) rispetto a B, di conseguenza non può stare sullo stesso isoquanto di
B.
C)gli isoquanti non possono incrociarsi. Nel grafico c) vediamo due isoquanti che si incrociano,
ma ciò non è possibile perché verrebbe sempre violato il principio della produttività dei fattori,
poiché se l'isoquanto in cui vi è A rappresenta la produzione di output pari a 80 e l'isoquanto in
cui vi è B rappresenta la produzione di output pari a 100, allora non può essere che il primo sia
più in alto del secondo, è il secondo che dovrebbe essere più in alto del primo. Ecco perché due
isoquanti non possono incrociarsi, altrimenti verrebbe violato il principio della produttiva dei
fattori, poiché un isoquanto relativo ad una quantità di output maggiore finirebbe per essere sotto
ad un isoquanto relativo ad una quantità di output minore.
D)gli isoquanti di livello più alto sono più lontani dall'origine. Mano a mano che ci si sposta verso
l'esterno più aumenta la quantità di output.

Sostituzione tra input


Il saggio marginale di sostituzione tecnica (marginal rate of technical substitution, MRTSxy) tra
un input X ed un input Y indica il rapporto al quale un'impresa deve sostituire unità di X con unità
di Y per mantenere l'output invariato a partire da una data combinazione di input, quando le
variazioni sono minime.
Il saggio marginale di sostituzione tecnica ricorda molto il saggio marginale di sostituzione che
abbiamo visto relativamente al consumatore.
Il saggio marginale di sostituzione tecnica è, dunque, il rapporto con segno meno tra la variazione
di Y e la variazione di X. Il MRTS quindi permette di rispondere alla domanda "se io rinuncio ad un
lavoratore (Y) di quanto capitale (X) in più ho bisogno per lasciare l'output invariato?".

Il MRTS è pari alla pendenza dell’isoquanto dell’impresa (in valore assoluto) in corrispondenza di
questa combinazione di input (MRTS è la pendenza della retta che unisce i due punti
dell'isoquanto presi in considerazione. È la pendenza della retta tangente all’isoquanto nei due
punti presi in considerazione) (il saggio marginale di sostituzione del consumatore era pari alla
pendenza della retta tangente alla curva di indifferenza, qui è la stessa cosa solo che la curva di
indifferenza prende il nome di isoquanto).
Ora vediamolo graficamente:

L'isoquanto è rappresentato dalla curva blu e, come sappiamo, possiamo notare che è
negativamente inclinato. Sull'asse delle X vi è il lavoro, mentre sull'asse delle Y il capitale.
Supponiamo che vi sia una riduzione del lavoro (X) pari a 50 dal punto A al punto B. Di quanto
capitale in più io avrò bisogno per lasciare il mio output invariato? Il capitale (Y) in più che avrò
bisogno è pari alla differenza tra 1050 (il capitale in corrispondenza del punto C) e 1000 (il capitale
in corrispondenza del punto A), ovvero 50. Il saggio marginale di sostituzione tecnica è pari al
rapporto tra la variazione di lavoro (ΔX) e la variazione di capitale (ΔY), ossia -50/50=-1. A fronte di
una riduzione del lavoro pari a 50, l’impresa avrà bisogno di un aumento di capitale pari a 50 (è
una casualità che i due valori siano uguali). -1 oltre a rappresentare il risultato del MRTS,
rappresenta anche la pendenza della retta tangente all'isoquanto (curva blu) che unisce il punto A
ed il punto B.
Se poi noi riduciamo la variazione in termini di lavoro e quindi al posto di considerare la variazione
di lavoro dal punto A al punto B pari a 50, consideriamo la variazione di lavoro dal punto A al
punto C pari a 20, di quanto capitale in più ho bisogno per lasciare l'output invariato e dunque per
restare sullo stesso isoquanto? Calcolo il MRTS, che è pari al rapporto tra ΔY, che è pari a
1010-1000=10, e ΔX, che è pari a 20. Il MRTS sarà dunque pari a -1/2, perciò a seguito di una
riduzione di lavoro pari a 20, per lasciare l'output invariato, avrò bisogno di un aumento del
capitale pari a 10. Ne consegue poi che la pendenza della retta che congiunge il punto A col
punto C è uguale a -1/2.

MRTS e prodotti marginali


Dato che il prodotto marginale di L MPl è uguale a ΔQ/ΔL e il prodotto marginale di K (capitale)
MPk è uguale a ΔQ/ΔK, abbiamo che ΔQ è uguale a MPl * ΔL e a Mpk * ΔK.
Se ΔL e ΔK sono scelti in modo tale da mantenere invariato l'output, ossia restando sullo stesso
isoquanto, dobbiamo avere che MPl * ΔL + MPk * ΔK (ossia le variazioni di output ΔQ) deve
essere uguale a zero.
Riformulando questa espressione otteniamo:

Come sappiamo il saggio marginale di sostituzione tecnica è il rapporto tra due variazioni, nello
specifico tra la variazione del capitale e la variazione del lavoro. Sappiamo anche che le due
variazioni rappresentano il prodotto marginale, quindi possiamo concludere dicendo che il MRTS
è uguale al rapporto tra i due prodotti marginali.
Un isoquanto per un processo di produzione che usa due input, X e Y, ha un saggio marginale di
sostituzione tecnica decrescente se MRTS diminuisce man mano che ci spostiamo lungo
l'isoquanto aumentando l'input X (lavoro) e diminuendo l’input Y (capitale).

La curva blu come sappiamo è l'isoquanto. Il MRTS, ossia la pendenza in valore assoluto
dell'isoquanto in A è maggiore rispetto a quella in B e rispetto a quella in C. Ciò per dimostrare
che il saggio marginale di sostituzione tecnica è decrescente. È decrescente perché all'aumentare
del lavoro, il prodotto marginale del lavoro si riduce, ossia il numeratore si riduce. Inoltre a mano a
mano che ci spostiamo verso destra l'utilizzo di capitale si riduce e di conseguenza il prodotto
marginale del capitale aumenta e dunque aumenta il denominatore. Quindi se mano a mano che
ci spostiamo verso destra il numeratore si riduce e il denominatore aumenta vuol dire che il MRTS
decresce.

Sostituti perfetti e complementi perfetti


Due input sono sostituti perfetti quando le loro funzioni sono identiche, in modo tale che
un'impresa possa scambiare l'uno con l'altro ad un tasso fisso. Affinché siano sostituti perfetti, i
diversi input non devono necessariamente essere produttivi allo stesso modo, non è necessario
dunque che essi siano interscambiabili ad un tasso 1 a 1, può essere anche che essi siano
scambiabili ad un tasso 1 a 2, pur rimanendo sostituti perfetti.
Invece, due input sono perfettamente complementari quando un’impresa deve combinare
(combinare non scambiare, è qui la differenza) tali input in proporzioni fisse. Anche qui, non è
necessario un rapporto 1 a 1.

Vediamo ora un grafico rappresentante due input sostituti perfetti:


Supponiamo che ci sia un'impresa che deve scegliere tra lavoratori laureati e lavoratori diplomati.
Supponiamo inoltre nel grafico a) che il tasso a cui un'impresa può scambiare l'uno con l’altro sia
pari a 1 (in sostanza sono ugualmente produttivi i due input, sono interscambiabili ad un tasso 1 a
1). In questo caso il MRTS è dunque pari a 1 (ossia il rapporto tra le due variazioni, tra i due
prodotti marginali è pari a 1, perché sono perfettamente interscambiabili). Se l’impresa rinuncia ad
un lavoratore diplomato richiederà un lavoratore laureato in più per ottenere lo stesso livello di
produzione (lo stesso output).
Supponiamo ora nel grafico b) un altro caso di sostituibilità perfetta. In questo supponiamo che
MRTS sia pari non 1 a 1 , ma ad 1 a 2, ciò vuol dire che se l’impresa rinuncia ad un lavoratore
laureato allora dovrà assumere due lavoratori diplomati in più così da ottenere il medesimo
output. Gli isoquanti sono sempre delle rette negativamente inclinate, solo che in questo caso la
pendenza non sarà pari a 1, ma pari ad 1/2. Dunque, nel grafico b) il rapporto di interscambiabilità
è pari a 1 a 2 e non 1 a 1, perché i due input non sono produttivi allo stesso modo, ma, appunto, i
laureati valgono due volte i diplomati sotto un livello di produttività.

Esempio di complementi perfetti:

In questo caso abbiamo un isoquanto a L (è uguale al grafico dei complementi perfetti relativi alla
teoria del consumatore, l'esempio della scarpa sinistra con la scarpa destra). Supponiamo che
l’impresa utilizzi sodio e cloro per la produzione di sale, l’impresa deve combinare questi due
input in proporzioni fisse. In corrispondenza del punto A abbiamo il cloro pari a 1,54 e il sodio pari
a 1, quindi anche in questo caso come per i sostituti perfetti, non è detto che tra i due input vi sia
un rapporto di 1 a 1, ma in ogni caso i due input devono essere combinati in proporzioni fisse per
poter ottenere un certo quantitativo di sale (output). Perciò, supponendo di partire dal punto A, se
aumentiamo la quantità di cloro senza aumentare la quantità di sodio (punto B) non è possibile
produrre una quantità in più di sale. Stesso discorso per il punto C, se aumentiamo le quantità di
sodio senza aumentare quella di sale non è possibile aumentare l'output di una quantità. Dunque,
se aumentiamo solo uno dei due input, l'output resta invariato, mentre se aumentiamo entrambi
gli input in proporzioni fisse allora l'output aumenta. Ciò perché i due input sono complementari,
dunque aumentando solo uno dei due non è possibile aumentare la quantità di output, ma
aumentando uno e aumentando anche l'altro in proporzioni fisse allora è possibile produrre
un’unità in più di output, come possiamo vedere in corrispondenza del secondo isoquanto.
La retta tratteggiata che parte dall'origine rappresenta proprio la proporzione (fissa) in cui sodio e
cloro devono combinarsi (per poter aumentare l'output).
Funzione di produzione Cobb-Douglas
La funzione di produzione Cobb-Douglas è:

A è il parametro che misura il livello generale di produttività. Supponendo che esso sia vicino a 0,
indipendentemente dall'ammontare del capitale e del lavoro, l'output sarà molto basso. Se invece
A è elevato, anche con livelli bassi di lavoro e capitale, l'output comunque sarà elevato. Ecco
perché possiamo dire che A rappresenta il livello generale di produttività, proprio perché in base
all'ammontare di A dipende fortemente l'ammontare di Q, ossia dell'output.

Il saggio marginale di sostituzione tecnica è, come sappiamo, pari al rapporto tra i due prodotti
marginali e, come sappiamo, il prodotto marginale è pari alla derivata della funzione di
produzione. Dunque, il MRTS è pari al rapporto tra le due derivate della funzione di produzione
Cobb-Douglas (una rispetto al lavoro e l'altra rispetto al capitale). Quindi, dopo aver eseguito i vari
passaggi, otteniamo che MRTS è pari al rapporto tra alfa (il parametro che misura la produttività
del lavoro) e beta (il parametro che misura la produttività del capitale) per il rapporto tra il capitale
e il lavoro.

Nel momento in cui aumentiamo il lavoro, il rapporto K/L si riduce e di conseguenza il MRTS si
riduce, ecco perché possiamo affermare anche in questo caso che MRTS è decrescente (perché
all’aumentare di L MRTS diminuisce, così come al diminuire di K MRTS diminuisce, in sostanza
mano a mano che ci spostiamo verso destra il saggio marginale diminuisce).

Rendimenti di scala
Possiamo chiederci cosa succede alla quantità prodotta modificando la quantità utilizzata di tutti
gli input. In particolare, quando un’impresa varia la quantità utilizzata di tutti gli input nella stessa
proporzione si dice che cambia la scala di produzione, per esempio se si raddoppiano tutti gli
input la scala di produzione varierà. Ma quello che noi ora andremo ad analizzare è di quanto
varia la quantità prodotta, ossia gli output, nel caso in cui raddoppiamo tutti gli input, e quindi se
cambia la scala di produzione. Partendo dal principio della produttività dei fattori sappiamo che
se aumentiamo tutti gli input, allora l'output dovrà strettamente aumentare, ma ciò che interessa
capire a noi ora è di quanto aumenterà l'output. Più del doppio? Meno del doppio? Esattamente il
doppio?
Il tasso al quale la produzione aumenta quando l'impresa cambia la scala produttiva è definito
come livello dei rendimenti di scala. I livelli di rendimenti di scala possono essere crescenti,
decrescenti o costanti, a seconda di quanto l’output prodotto aumenti a seguito di un aumento di
tutti gli input.
Ora cominciamo a vedere i rendimenti di scala costanti. Si ha un rendimento di scala costante
quando una variazione proporzionale di tutti gli input dell'impresa produce la stessa variazione
proporzionale nell'output. Per esempio Q (2L, 2K) = 2Q (L, K). Questa equazione significa che se
raddoppiamo tutti gli input allora anche l’output raddoppierà (stessa variazione proporzionale).
Invece, si ha un rendimento di scala crescente quando una variazione proporzionale di tutti gli
input dell'impresa produce una variazione più che proporzionale nell'output. Dunque, se tutti gli
input vengono raddoppiati l'output aumenterà più del doppio—> Q (2L, 2K) > 2Q (L, K).
Infine, si ha un rendimento di scala decrescente quando una variazione proporzionale di tutti gli
input dell'impresa produce una variazione meno che proporzionale nell’output. Perciò se gli input
vengono raddoppiati, l'output aumenterà comunque (sempre e comunque, se aumento gli input
l'output aumenterà per forza, bisogna solo capire di quanto aumenta) meno del doppio—> Q (2L,
2K) < 2Q (L,K).
Prendiamo come esempio la seguente funzione di produzione di Cobb-Douglas e vediamo che
tipo di rendimento di scala ha:

Nel primo caso (se alfa+beta=1) al raddoppiare degli input, l'output raddoppia e, perciò, abbiamo
un rendimento di scala costante. Se, invece, la somma di alfa e beta è maggiore di 1 allora vi sarà
un rendimento di scala crescente ed, infine, se la loro somma è minore di 1 allora vi saranno dei
rendimenti di scala decrescenti.

Ora vediamo come vengono rappresentati graficamente i differenti rendimenti di scala:

Come sappiamo, sull'asse delle ascisse abbiamo il lavoro e sull'asse delle ordinate il capitale. Le
tre curve blu che vi sono per ogni grafico sono i tre possibili isoquanti.
Nel primo grafico abbiamo dei rendimenti di scala costanti. Supponiamo di partire da una quantità
di lavoro pari a 50 e da una quantità di capitale pari a 25. Se raddoppiamo sia il lavoro che il
capitale (L=100, K=50) ci troveremo su un isoquanto avente come output 200. Da ciò si evince
come il rendimento di scala in questo caso sia costante, in quanto abbiamo raddoppiato tutti e
due gli input e anche l'output è raddoppiato, è passato da un isoquanto pari a 100 ad un
isoquanto pari a 200. Supponendo poi che gli input raddoppino ulteriormente, l'output che
otterremo sarà sempre il doppio.
Ora vediamo il secondo grafico e vediamo come al raddoppiare di entrambi gli input otterremo un
isoquanto (output) che aumenterà più del doppio, infatti è passato da 100 a 250, perciò in tal caso
abbiamo un rendimento di scala crescente.
Infine, nell'ultimo grafico, se raddoppiamo il capitale e il lavoro otterremo un output che è sempre
aumentato, ma aumentato meno del doppio, l'output infatti aumenta da 100 a 150, ne consegue,
perciò, che siamo di fronte ad un rendimento di scala decrescente.
Nella maggior parte dei casi però non vi sarà uno schema così semplice. Nella realtà vi potranno
essere casi in cui per una determinata tecnologia per un certo intervallo degli input avrà un
rendimento crescente, mentre per un altro intervallo degli input si avranno dei rendimenti
decrescenti. In sostanza, non è detto che una tecnologia per ogni intervallo degli input abbia
sempre il medesimo rendimento di scala.

Per funzioni di produzione con un solo input (lavoro), abbiamo:


-rendimenti di scala crescenti se il prodotto marginale del lavoro (MPl) aumenta all’aumentare di L.
-rendimenti di scala decrescenti se il prodotto marginale del lavoro (MPl) si riduce all'aumentare di
L.
-rendimenti di scala costanti se il prodotto marginale del lavoro (MPl) non varia al variare di L.
Quanto appena detto, ribadiamo, vale unicamente se consideriamo un solo input (breve periodo)
e dunque in tal caso non si sta più trattando di Cobb-Douglas.
Facciamo un esempio:

Avremmo, invece, avuto un esempio di rendimento di scala decrescente (all'aumentare di L si


riduce il prodotto marginale di L) se la funzione invece di essere Q = L^2 sarebbe stata Q = radice
di L.

Rendimenti di scala crescenti (all'aumentare dell’input (L) aumenta il suo prodotto marginale)
possono essere dovuti a molteplici ragioni, quali la specializzazione degli input o leggi fisiche.
Invece, le ragioni alla base dei rendimenti di scala decrescenti sono più difficili da capire. Tuttavia,
una possibilità potrebbe essere che esistano input fissi che vengono trascurati nell'analisi, quali
ad esempio la capacità manageriale.

CAPITOLO 7: I COSTI
(SIAMO SEMPRE NELLA TEORIA DEL PRODUTTORE, ORMAI ABBIAMO ABBANDONATO LA
TEORIA DEL CONSUMATORE)

Tipi di costi
Il costo totale di un'impresa per produrre un particolare livello di output è rappresentato dalla
spesa necessaria per produrre quella quantità nel modo più economico. Il costo totale può essere
suddiviso in due tipi di costi: i costi variabili e i costi fissi.
I costi variabili sono quelli riferiti agli input (lavoro e capitale), sono quelli che variano al variare
dell'output dell'impresa.
I costi fissi sono i costi degli input il cui utilizzo non cambia al variare del livello di output di
un'impresa (per esempio la licenza di un tassista rappresenta il costo fisso. Il costo della licenza è
sempre lo stesso, indipendentemente dalle ore che lavora). Un costo fisso è evitabile se l’impresa
non deve sostenerlo, o comunque può recuperarlo, quando decide di non produrre alcun output
(per esempio il costo fisso per il tassista è evitabile se può rivendere la licenza quando vuole,
quando non vuole più lavorare). Un costo fisso è irrecuperabile quando deve essere sostenuto
anche in caso di mancata produzione (per esempio il costo della licenza è irrecuperabile se il
tassista non può rivenderla). Il fatto che il costo fisso sia più o meno irrecuperabile dipende anche
dal periodo in cui siamo, per esempio fino ad un determinato numero di anni la licenza non può
essere rivenduta, quindi è un costo irrecuperabile, ma dopo quel determinato periodo di anni può
essere venduta e dunque diventa un costo recuperabile/evitabile.

La funzione di costo
La funzione di costo totale ha la seguente forma—> Costo Totale = C (output).
La funzione di costo variabile—> Costo Variabile = VC (output)
La funzione di costo fisso—> FC (solo FC perché i costi fissi sono indipendenti dall'output).
La funzione di costo totale può essere anche scritta come—> C (output) = FC + VC (output)

I costi economici comprendono non solo le spese vive (ad esempio il costo per l'assunzione dei
lavoratori oppure il costo legato all’acquisizione dei materiali) ma altresì il costo opportunità,
ovvero il costo associato alla rinuncia all’opportunità di impiegare una risorsa nel suo miglior uso
alternativo. Il tempo impiegato da un imprenditore per gestire la propria impresa costituisce un
costo di produzione economico, e in particolar modo un costo opportunità, perché tale
imprenditore avrebbe potuto guadagnare facendo altro.
Il costo di utilizzo di un input di magazzino è pari al prezzo al quale l'impresa lo potrebbe vendere.
Il costo economico associato all'utilizzo del capitale di un'impresa è pari al prezzo di mercato per
il noleggio di tale capitale.
I costi economici quindi non includono soltanto i costi che l’impresa effettivamente sostiene ma
anche i cosiddetti costi opportunità.

Costi nel breve periodo: un input variabile


Consideriamo la seguente funzione di produzione di breve periodo Q = F (L) = 2L
Esplicitando per L otteniamo L = Q/2
Ciò vuol dire che l'impresa ha bisogno di Q/2 unità di lavoro (L=Q/2) per produrre Q unità di
output. Dunque, se Q è uguale a 1 e quindi L è uguale a 1/2, per produrre un’unità di output
l’impresa ha bisogno di mezza unità di input. Se invece Q è uguale a 2 e quindi L è uguale a 1,
allora per produrre due unità di output l'impresa ha bisogno di un’unità di input.

Se il salario (costo variabile) è W = 15, allora la funzione di costo variabile è VC (Q) = 15 * Q/2.
VC (costo variabile), come sappiamo, dipende dalle quantità di output, ecco perché
moltiplichiamo il costo relativo al salario per l’output. Dunque, se l’impresa vuole produrre un’unità
di output, allora il costo variabile sarà 15/2, perché per produrre un’unità di output l’impresa ha
bisogno di mezza unità di input, ecco perché 15 viene moltiplicato per 1/2. Invece, se l’impresa
vuole produrre due unità di output, allora il costo variabile sarà 15, poiché per produrre due unità
di output l’impresa ha bisogno di un’unità di input (L=Q/2—>L=2/2=1), dunque 15 viene
moltiplicato per 1 (per 2/2).

Supponiamo ora che FC=100, allora la funzione di costo totale è C (Q) = 100 + 15/2 * Q
Il 15/2 * Q è il costo variabile che abbiamo calcolato nel paragrafo prima.
Abbiamo un’impresa che si occupa della produzione di panchine. Nel grafico a) abbiamo la
funzione di produzione, che mette in relazione l’input (asse X) con l'output prodotto (asse Y).
Supponiamo di considerare il punto A, dove in corrispondenza di un operaio l'output prodotto
sarà pari a circa 40. In corrispondenza di 2 operai l’impresa sarà in grado di produrre circa 80
panchine, e così via. Fin qui tutto normale, è il grafico della funzione di produzione che avevamo
già visto nel capitolo precedente. La novità è che sotto gli input abbiamo dei numeri, quei numeri
sono i costi variabili associati ad ogni unità di input, che come possiamo vedere aumentano
all'aumentare degli input (in realtà è più giusto dire che aumentano all'aumentare degli output). Se
l’impresa utilizza un operaio dovrà sostenere dei costi pari a 500, se l’impresa utilizza due operai il
costo sarà pari a 1000, se ne utilizza 4 il costo sarà pari a 2000, e così via.
Avendo queste informazioni possiamo rappresentare la curva dei costi variabili (grafico B). Per
rappresentare la curva dei costi variabili partendo dal grafico della funzione di produzione,
dobbiamo inserire le informazioni relative ai costi variabili sull'asse delle Y e dobbiamo inserire le
informazioni relative all’output sull'asse delle X, quindi possiamo dire che in qualche modo
ribaltiamo il grafico. Supponendo che l’impresa voglia produrre circa 40 panchine l’impresa dovrà
utilizzare un operaio e dovrà sostenere dei costi variabili pari a 500. In corrispondenza di un
output prodotto pari a 80 l’impresa avrà bisogno di due operai e questi le costeranno 1000, e così
via.

Costi nel lungo periodo: due input variabili


Consideriamo ora il lungo periodo e supponiamo che l'impresa abbia due input variabili: il lavoro
(L) e il capitale (K). Una retta di isocosto (nel capitolo precedente avevamo visto l'isoquanto)
contiene tutte le combinazioni di input (lavoro e capitale) aventi lo stesso costo (totale) (come il
nome stesso suggerisce). Se W è il costo di un’unità di lavoro e R il costo di un’unità di capitale,
la retta di isocosto per il costo totale C è tale che W * L + R * K = C
C è un numero, ossia l'ammontare del costo totale che l'impresa deve sostenere.
Esplicitando per K (così da avere il capitale (K) sull'asse delle Y e il lavoro (L) sull'asse delle X),
otteniamo:

Una famiglia di rette di isocosto contiene (per ogni dato prezzo di input) le rette di isocosto per
tutti i possibili livelli di costo dell'impresa. Capisci che delle rette di isocosto appartengono alla
medesima famiglia quando esse hanno la stessa pendenza. La pendenza (in valore assoluto) della
retta di isocosto è uguale al rapporto costo di un’unità di lavoro/costo di un’unità di capitale (è
uguale al rapporto tra i prezzi degli input), ovvero è pari al rapporto W/R.
Nel grafico a) abbiamo la rappresentazione di una retta di isocosto, dove sull'asse delle X
abbiamo l'ammontare di lavoro e sull'asse delle Y abbiamo l'ammontare di capitale. In
corrispondenza del punto A, dove l’impresa utilizza due operai e 250 metri quadrati di spazio (K),
l'impresa dovrà sopportare un costo totale pari a 3500 euro, che è lo stesso costo che
sopporterebbe in corrispondenza del punto E e B, ossia in corrispondenza dei punti appartenenti
alla medesima retta di isocosto (ricordiamoci che la retta di isocosto è la combinazione di tutti gli
input aventi il medesimo costo totale). Per avere lo stesso costo totale a seguito di un aumento di
operai da 1 a 2 dovremo ridurre il capitale, che nello specifico passerà da 250 a 200. Se invece
aumentassimo sia il lavoro sia il capitale ci troveremmo ad affrontare un costo superiore, che
apparterrà ad un'altra retta di isocosto. La retta di isocosto dunque è sempre inclinata perché
all'aumentare dell'input sull'asse delle X dovremo diminuire l’input sull'asse delle Y. Ricordiamoci
inoltre che la pendenza della retta di isocosto è pari al rapporto tra i costi dei due fattori/input.
Nel grafico di destra vediamo raffigurata una famiglia di rette di isocosto, ossia delle rette di
isocosto con la medesima pendenza, parallele le une con le altre. Le diverse rette di isocosto
sono disegnate in corrispondenza degli stessi prezzi dei fattori, il prezzo dei fattori produttivi non
varia, ecco perché hanno la medesima pendenza (perché il rapporto tra i prezzi dei fattori è
uguale). Quello che varia tra le diverse rette di isocosto è l'ammontare del costo totale, più la retta
di isocosto si allontana dall’origine più aumenta il costo totale, perché maggiore è il costo totale
maggiore sarà l'ammontare di input che l’impresa potrà utilizzare e quindi più la retta si
allontanerà dall’origine.

La produzione a costo minimo


La retta dell'isocosto ci serve per la determinazione della combinazione ottimale dei fattori/input,
ossia della produzione a costo minimo. Dato un livello di output, la combinazione ottimale dei
fattori (input) si ottiene trovando la retta di isocosto più bassa che tocca l'isoquanto per quel
livello di output. Per trovare la combinazione ottimale dei fattori dovremo utilizzare una regola,
nota come la regola di non-sovrapposizione. Secondo la regola di non-sovrapposizione l’area al
di sotto della retta di isocosto, che contiene la combinazione di input a costo minimo di
un'impresa per produrre Q unità, non può sovrapporsi all'area al di sopra dell'isoquanto per Q
unità (questa regola è molto simile ad una regola che abbiamo visto relativamente al
consumatore).
Proviamo a comprendere meglio questo concetto attraverso un grafico:

Sull'asse delle X come sempre abbiamo il numero di operai (L) e sull'asse delle Y abbiamo i metri
quadrati di spazio (il capitale K). La curva negativamente inclinata di colore blu è un isoquanto in
corrispondenza di un output pari a 140. L’isoquanto rappresenta tutte le possibili combinazioni di
lavoro e capitale tale che l'output sia lo stesso. Vi è poi la retta di isocosto (quella nera) che
rappresenta un costo totale pari a 3500.
Il punto A è il punto in corrispondenza di 2 operai e 250 metri quadrati di spazi, tali che il costo
totale è pari a 3500 e l’output prodotto (in termini di panchine) risulta 140. Il punto A rappresenta
una combinazione ottimale per l’impresa? Se l'impresa vuole produrre un output pari a 140 deve
per forza sostenere un costo pari a 3500 o può sopportare anche un costo inferiore? L’impresa
potrà sopportare un costo inferiore e tale costo sarà in corrispondenza della retta di isocosto
tangente all’isoquanto, ossia la retta passante per il punto D. In questo caso l’impresa riuscirà
sempre ad ottenere un output pari a 140, ovvero riuscirà sempre a produrre 140 panchine, in
quanto la retta di isocosto si trova sul medesimo isoquanto (dunque l'output rimane invariato), ma
riuscirà anche a sostenere un costo totale inferiore, che è pari a 3000. Quindi il punto A e il punto
B non rappresentano la combinazione ottimale di input per l’impresa, la combinazione ottimale è
invece rappresentata dal punto D. Ciò perché nel punto A e nel punto B l’impresa ottiene sempre
un output pari a 140 ma deve sostenere dei costi totali pari a 3500, invece in corrispondenza del
punto D, ossia in corrispondenza di un ammontare di operai pari a 3 e un ammontare di metri
quadrati pari a 150, l’impresa riuscirà ad ottenere il medesimo output ma dovendo sopportare un
costo totale inferiore, pari a 3000.
Quanto appena detto ci aiuta a comprendere meglio la regola di non-sovrapposizione, secondo la
quale per trovare la combinazione ottimale dei fattori, l'area al di sotto della retta di isocosto non
può sovrapporsi all'area al di sopra dell’isoquanto. In corrispondenza della retta passante per il
punto D le due aree appena descritte non si sovrappongono, quindi la regola di non-
sovrapposizione viene rispettata, perciò per la retta di isocosto tangente al punto D l’impresa
ottiene la combinazione ottimale degli input/fattori. Possiamo dunque sintetizzare dicendo che la
regola di non-sovrapposizione implica una condizione di tangenza.
Le due rette di isocosto, ossia quella passante per il punto D e quella passante per i punti A e B,
appartengono alla medesima famiglia (lo capisci perché sono parallele), quindi sono state
disegnate per gli stessi prezzi dei fattori produttivi, ovvero fissando il costo del lavoro e del
capitale. Ciò che varia dalla prima alla seconda retta è l'ammontare del costo totale per il fatto
che variano i quantitativi di input utilizzati.

Soluzioni interne
(Questi sono concetti che abbiamo già visto quando abbiamo trattato la teoria del consumatore)
Una combinazione di input è definita scelta interna se utilizza ogni input almeno in parte (per
esempio nel grafico precedente in corrispondenza del punto D vi era una scelta interna perché
venivano utilizzati entrambi gli input). Invece, una combinazione ottimale dei fattori, che sia anche
una scelta interna, è detta soluzione interna (dunque il punto D oltre ad essere una scelta interna
è anche una soluzione interna. Invece, il punto A rappresenta una scelta interna ma non è una
soluzione interna). Una soluzione interna quindi soddisfa la condizione di tangenza tra la retta di
isocosto e l’isoquanto.
La condizione di tangenza può essere espressa come:

Ricordiamoci che la pendenza della curva di isoquanto corrisponde al saggio marginale di


sostituzione tecnica, che corrisponde al rapporto tra i due prodotti marginali. Mentre la pendenza
della retta di isocosto è uguale al rapporto tra i prezzi dei fattori (costo del lavoro/costo del
capitale). A questo punto la condizione di tangenza ci dice che per una scelta interna la pendenza
dell'isoquanto deve essere uguale alla pendenza dell'isocosto, perciò la condizione di tangenza
viene espressa facendo l'uguaglianza tra questi rapporti, come possiamo vedere nell'immagine
qui sopra. La condizione di tangenza può essere poi riscritta moltiplicando ambo i membri per
MPk e dividendo ambo i membri per W.
Il lato sinistro della condizione di tangenza (guardando l’equazione riscritta, non quella iniziale),
ossia il rapporto tra il prodotto marginale del lavoro e il costo del lavoro, misura il prodotto
marginale di un euro speso in lavoro. Ciò perché se io decido di spendere un euro in lavoro posso
ottenere 1/W unità di lavoro in più. Supponiamo che il costo del lavoro sia pari a 2, se io spendo
un euro in lavoro allora potrò ottenere mezzo (½) lavoratore in più. 1/W rappresenta l'ammontare
di lavoro aggiuntivo associato ad un euro speso in lavoro. Se noi moltiplichiamo 1/W per MPl
(prodotto marginale del lavoro) otteniamo proprio il prodotto marginale di un euro speso in lavoro.
Stesso concetto si applica al capitale, ossia al lato destro dell’equazione. Dunque, il lato destro
misura il prodotto marginale di un euro speso in capitale.
Quando l’impresa utilizza la combinazione ottimale dei fattori, ovvero quando vale la condizione di
tangenza, questi due prodotti marginali (il prodotto marginale di un euro speso in lavoro e il
prodotto marginale di un euro speso in capitale) devono essere uguali.
Ciò che è importante da ricordarsi in tutto ciò è la condizione di tangenza, che ci servirà anche
nella risoluzione degli esercizi.

Soluzioni d'angolo
Quando la combinazione ottimale dei fattori esclude alcuni input (per esempio quando l’impresa
utilizza o solo il fattore lavoro o solo il fattore capitale), siamo in presenza di una soluzione
d'angolo.
Supponiamo di considerare due fattori H (lavoratori diplomati) e C (lavoratori laureati), in una
soluzione d'angolo dove C=0, quindi in una soluzione d'angolo dove l’impresa utilizza solo
lavoratori diplomati, in questo caso non è detto che la condizione di tangenza venga rispettata
(nella maggior parte dei casi il lato sinistro sarà maggiore del lato destro, non sarà uguale, non vi
sarà una condizione di tangenza).

Sull'asse delle X abbiamo i lavoratori diplomati H e sull'asse delle Y I lavoratori laureati C. Si tratta
di una soluzione d'angolo, perché la combinazione ottimale dei fattori assume solo lavoratori
laureati mentre i lavoratori diplomati rimangono invariati, rimangono esclusi. In questo caso la
curva di isoquanto è una retta (retta nera), non una curva perché, come abbiamo visto nei capitoli
precedenti, il caso dei lavoratori laureati e diplomati è un caso di sostituibilità perfetta.
Supponiamo in questo caso che vi sia un tasso di sostituibilità tra i due input 1 a 1 e che quindi la
pendenza della curva (retta) di isoquanto sia pari a 1 in valore assoluto (sarebbe -1). Ciò ci dice
che se l’impresa rinuncia ad un lavoratore diplomato ha bisogno esattamente di un lavoratore
laureato per produrre le stessa quantità di output.
Ora disegniamo le rette di isocosto. Per disegnarle ci serve sapere il costo del lavoro per i
lavoratori diplomati e il costo del lavoro per i lavoratori laureati. Supponendo che il salario dei
lavoratori diplomati (Wh) sia minore del salario dei lavoratori laureati (Wc) e che quindi il rapporto
Wh/Wc sia minore di 1 in valore assoluto (altrimenti sarebbe maggiore di -1), ciò vuol dire che le
nostre rette di isocosto saranno meno inclinate rispetto alla curva (retta) di isoquanto
(quest'ultima, come abbiamo detto prima, ha una pendenza pari a 1). Avendo disegnato una retta
di isocosto, quella grigio chiaro, ora come facciamo a determinare la combinazione ottimale dei
fattori? Vale lo stesso principio che abbiamo visto precedentemente. Dato l'ammontare di output
che vogliamo produrre dobbiamo trovare la retta di isocosto più bassa compatibile con
l'isoquanto. Scopriremo quindi che la retta di isocosto più bassa è quella grigia scuro che passa
per la curva di isoquanto nel punto A. Il punto A rappresenta la combinazione ottimale dei fattori
in cui C, ossia l'ammontare dei lavoratori laureati, è pari a 0 e l’impresa impiega soltanto lavoratori
diplomati (perché il costo dei lavoratori diplomati è minore di quello dei lavoratori laureati, ed essi
hanno il medesimo rendimento).
In questo caso quindi la pendenza della curva di isoquanto è maggiore della pendenza della retta
di isocosto (le due pendenze non sono uguali, come invece avveniva nel caso della soluzione
interna), o in altre parole il rapporto tra i due prodotti marginali è maggiore in valore assoluto del
rapporto tra i due costi del lavoro (tra i prezzi dei fattori produttivi) (il primo =1, il secondo >1 in
valore assoluto), proprio quello che abbiamo affermato prima, ora lo abbiamo confermato
andando ad analizzare il grafico. Questa cosa ha senso perché come detto prima siamo di fronte
ad una sostituibilità perfetta, di conseguenza l’impresa che deve scegliere quali fattori utilizzare,
sceglierà quelli che costano di meno, ossia i lavoratori diplomati, ecco spiegato perché ha senso
che l’ammontare dei lavoratori laureati è pari a 0. Per l’impresa i lavoratori laureati e i diplomati
forniscono la medesima produttività, perciò l’impresa sceglierà quelli che costano di meno,
ovvero i diplomati.

Esercizio:

Stiamo considerando una funzione di produzione Cobb-Douglas con rendimenti costanti.


La combinazione ottimale dei fattori per Q=10 è pari a L=5 e K=20. I prezzi ottimali dei fattori li
abbiamo trovati semplicemente applicando la condizione di tangenza, ovvero facendo
l’uguaglianza fra il rapporto dei due prodotti marginali (facendo le derivate) e il rapporto dei costi
dei due fattori. Otteniamo così K, e poi la sostituiamo alla funzione di produzione e riusciamo così
a trovare L. Dopodiché sostituiamo ulteriormente e otteniamo K finale. Una volta ottenuti i due
costi ottimali dei fattori (L=5 e K=20) li possiamo sostituire nella funzione di costo totale.
Otteniamo così il costo totale sostituendo il prezzo relativo a L (5) e il prezzo relativo a K (20) nella
funzione dei costi totali.

Funzione di costo di un'impresa


Per determinare la funzione di costo di un'impresa, abbiamo bisogno di trovare la combinazione
ottimale dei fattori per ogni livello di output. Il sentiero di espansione del prodotto di un'impresa
mostra la combinazione ottimale dei fattori per ogni possibile livello di quantità (di output),
mantenendo fissi i prezzi degli input (ovvero mantenendo la stessa pendenza della retta di
isocosto, ciò vuol dire che le rette di isocosto apparterranno alla medesima famiglia di rette di
isocosto).

Vediamolo graficamente:
Nel grafico di sinistra sull'asse delle ascisse abbiamo il lavoro L e sull'asse delle ordinate abbiamo
il capitale K. La curva di colore blu rappresenta proprio il sentiero di espansione del prodotto,
ossia la combinazione ottimale dei fattori per ogni possibile livello di quantità mantenendo fissi i
prezzi degli input (ma cambiando le quantità). La curva blu collega i punti D, E ed F. Analizziamo il
punto E, esso è il punto di tangenza della retta di isocosto con la curva di isoquanto, perciò il
punto E è la combinazione ottimale di lavoro e capitale per produrre un output pari a 200.
Consideriamo ora il punto D, esso è sempre il punto di tangenza della retta di isocosto con la
curva di isoquanto, perciò il punto D rappresenta sempre la combinazione ottimale dei fattori,
però stavolta per produrre un output pari a 100. Il punto F stessa cosa, ma per un output pari a
300, e così via. Quindi i punti che fanno parte del sentiero di espansione del prodotto
rappresentano la combinazione ottimale dei fattori per ogni possibile livello di output (100, 200,
300,...) mantenendo fissi i prezzi degli input (a variare sono le quantità).
Ora avendo ottenuto il sentiero di espansione del prodotto rappresentiamo la curva del costo
totale. La curva del costo totale avrà sull'asse delle ascisse l'output e sull'asse delle ordinate il
costo totale. In corrispondenza del punto D del grafico di sinistra, abbiamo un output prodotto
pari a 100 e un costo totale pari a 1250 euro. Ora trasferiamo questi dati nel grafico della curva
del costo totale. Così verrà fatto per tutti i punti e collegando tutti i punti otterremo alla fine la
curva del costo totale. È una curva crescente perché all'aumentare dell'output prodotto avrò
bisogno di più input e quindi il costo totale aumenterà.

Costi medi e costi marginali


Il costo medio (average cost) di un'impresa è il costo per unità di output prodotta, che si calcola
mediante la seguente formula AC = C / Q
(Ricordiamoci i concetti di prodotto medio e prodotto marginale relativi alla funzione di
produzione, noi adesso stiamo analizzando la funzione di costo)
Il costo marginale (marginal cost) di un'impresa descrive quanto costo extra l'impresa deve
sostenere quando cambia di poco (in maniera infinitesimale) il quantitativo di output che produce.
Le unità marginali di output sono le ultime unità ΔQ, dove ΔQ è la quantità minima che l'impresa
può aggiungere o sottrarre. Il costo marginale misura quanto costo aggiuntivo l'impresa deve
sostenere per produrre le unità marginali di output, diviso per le unità di output aggiunte. Dunque
il costo marginale si ottiene dalla seguente formula:

Al numeratore avremo la differenza tra la funzione di costo e la funzione di costo al netto


dell’ultima variazione di output.
Ora vediamo un esempio coi numeri (non c’è bisogno di spiegarlo, è già chiara la tabella):

Curve del costo medio e del costo marginale


Il costo medio per una quantità di output corrisponde alla pendenza della retta che congiunge il
punto sulla curva di costo (curva crescente) in corrispondenza di tale quantità e l’origine degli
assi.
La scala di produzione efficiente di un’impresa è il livello di produzione in corrispondenza del
quale il costo medio è minimo.
Il costo marginale per una quantità di output corrisponde alla pendenza della funzione di costo in
corrispondenza di tale quantità.

Ora vediamo la curva del costo medio rappresentata graficamente:

Nel grafico a) la curva grigio chiaro è la curva del costo totale. Sull'asse delle ascisse abbiamo la
quantità di output, mentre sull'asse delle ordinate abbiamo il costo totale. In corrispondenza di un
output pari a 2000 abbiamo un costo totale di 18000. Il costo medio, ossia il rapporto tra C e Q, in
questo caso è pari a 9 (18000/2000) e rappresenta la pendenza della retta che congiunge l’origine
degli assi con il punto in questione (il punto dove l'output pari a 2000 si interseca con la funzione
di costo). Così per tutti i punti, per esempio in corrispondenza di un output pari a 6000 e di un
costo totale pari a 36000 il costo medio è pari a 6 (36000/6000), ovvero la pendenza della retta
che congiunge l'origine con il punto in questione è pari a 6, e così via per tutti gli altri punti.
Ora avendo ricavato il costo medio partendo dalla funzione di costo totale, possiamo
rappresentare graficamente la funzione di costo medio. Il grafico della curva del costo medio avrà
sull'asse delle ascisse l'output (proprio come il grafico della funzione di costo totale), mentre
sull'asse delle ordinate vi sarà proprio il costo medio, ossia la pendenza della retta che congiunge
l’origine con il punto preso in considerazione. Ora non ci resta che rappresentare nel grafico di
destra i punti che abbiamo trovato nel grafico di sinistra e congiungendo questi punti potremo
rappresentare graficamente la curva del costo medio.
Possiamo poi ricavare la scala di produzione efficiente, ossia il livello di output in corrispondenza
del quale il costo medio è minimo. Nel nostro caso avremo la scala di produzione efficiente per un
output pari a 6000. 6000 non deve essere necessariamente l'ammontare di output che l’impresa
dovrà produrre, ma ci dice solamente che se l’impresa producesse tale ammontare di output
allora il costo medio raggiungerebbe il valore più basso, ossia un costo medio pari a 6 in questo
caso.

Ora vediamo il grafico della curva del costo marginale:


Il costo marginale ci dice il costo extra che l’impresa deve sopportare variando in maniera
infinitesimale l’output. In corrispondenza di un output pari a 2000, possiamo calcolare il costo
marginale trovando la pendenza della funzione di costo totale in quel punto, che corrisponde tra
l’altro alla pendenza della retta tangente in quel punto. Noi adesso non possiamo calcolare la
pendenza, quindi diamo per acquisiti i costi marginali che ci vengono forniti dalla figura qui sopra.
Ad esempio in corrispondenza di un output pari a 2000, il costo marginale sarà pari a 7 (lo diamo
per acquisito). Inoltre, in corrispondenza di un output pari a 6000, la retta tangente in quel punto
passa per l’origine, quindi possiamo affermare che in corrispondenza di un output pari a 6000 il
costo marginale coincide con il costo medio (infatti, noi sappiamo che il costo medio è la
pendenza della retta che congiunge l’origine con il punto preso in considerazione). Quindi
possiamo affermare anche che in corrispondenza di un output pari a 6000 il costo medio e il
costo marginale in quel punto saranno uguali.
Infine possiamo poi ottenere la curva del costo marginale trascrivendo i dati ottenuti nel grafico di
sinistra nel grafico di destra, dove sull'asse delle ascisse abbiamo sempre l’output mentre
sull'asse delle ordinate abbiamo proprio il costo marginale. Congiungendo i punti ottenuti
otteniamo la curva del costo marginale.

Relazioni tra costi marginali e costi medi


La curva di costo medio è positivamente inclinata in corrispondenza di un livello di output Q se il
costo marginale è sopra il costo medio.
La curva di costo medio è negativamente inclinata in corrispondenza di un livello di output Q se il
costo marginale è sotto il costo medio.
La curva di costo medio ha pendenza nulla in corrispondenza di un livello di output Q se il costo
marginale è pari al costo medio.
Possiamo vedere questo concetto rappresentato graficamente:

(La curva di costo medio è quella grigio scura, mentre quella di costo marginale è quella grigio
chiara)
In corrispondenza di un output pari a 6000 la curva di costo medio e la curva di costo marginale
hanno pendenza nulla.
Quando il costo marginale sta sotto il costo medio allora le unità marginali riducono il costo medio
e quindi il costo medio è decrescente. Invece, quando il costo marginale sta sopra il costo medio
le unità marginali aumentano il costo medio e di conseguenza il costo medio è crescente. Nel
punto di intersezione tra il costo medio e il costo marginale il costo medio non cresce e non
decresce.

Costo marginale, prodotto marginale e prezzi degli input


Per produrre un’unità di output in più utilizzando solamente più lavoro, un'impresa deve spendere
W/MPl (salario/prodotto marginale del lavoro, ossia salario/(ΔQ/ΔL)).
Invece, per produrre un’unità di output in più utilizzando solamente più capitale, un'impresa deve
spendere R/MPk (ossia il costo del capitale/prodotto marginale del capitale, che è uguale a R/
(ΔQ/ΔK)).
Pertanto, il costo marginale dell'impresa è pari al prezzo di ciascun input (W e R) diviso per il suo
prodotto marginale in corrispondenza della combinazione ottimale degli input. In corrispondenza
della combinazione ottimale degli input deve valere la condizione di tangenza, la quale ci dice che
il rapporto tra i due prodotti marginali deve essere uguale al rapporto tra i due prezzi degli input
(MPl/MPk = W/R). Moltiplicando ambo i membri per R e dividendo ambo i membri per MPl
otteniamo la seguente uguaglianza:

In conclusione, questa formula ci dice che in corrispondenza della condizione ottimale degli input,
allora il costo marginale dell’impresa sarà esattamente pari al prezzo di un input (W o R) diviso per
il relativo prodotto marginale.
Per comprendere quale è la relazione tra costo marginale e prodotto marginale partiamo dalla
combinazione ottimale degli input. La combinazione ottimale degli input ci viene data dalla
condizione di tangenza, la quale ci dice che il rapporto tra i due prodotti marginali deve essere
uguale al rapporto tra i due prezzi, ossia MPl/MPk = W/R. Manipolando questa condizione di
tangenza, possiamo riscriverla nel modo visto nell'immagine qui sopra. Questa uguaglianza finale
ci dice che il rapporto R/MPk rappresenta la spesa che l’impresa deve sostenere per produrre
un’unità di output in più utilizzando solamente quell'input, in questo caso solamente il capitale.
Stesso discorso per il lavoro, dove il rapporto W/MPl rappresenta la spesa che l’impresa deve
sostenere per produrre un’unità di output in più utilizzando solamente l’input lavoro.

Ulteriori costi medi e marginali


Il costo medio variabile di un'impresa è dato da AVC (average variable cost)= VC / Q
(Ricordiamoci che il costo variabile è il costo che varia al variare dell'output, invece il costo fisso
non varia al variare delle quantità di output)
Il costo medio fisso di un'impresa è dato da AFC (average fixed cost) = FC / Q.
Il costo medio è dunque la somma del costo medio variabile e del costo medio fisso.

La scala efficiente di produzione (Q con e), ossia l'output in corrispondenza del quale il costo
medio è minimo, è sempre maggiore del livello di output in corrispondenza del quale AVC (costo
medio variabile) è minimo (Q con e di VC).
Vediamolo graficamente:

Sull'asse delle ascisse abbiamo l’output mentre sull'asse delle ordinate abbiamo il costo. Vi sono
tre curve: la curva del costo medio (quella grigia), la curva del costo medio variabile (quella nera),
la curva del costo medio fisso (quella azzurra). In corrispondenza del punto minimo della curva del
costo medio (quella grigia) abbiamo la scala efficiente di produzione, ossia il livello di output tale
che il costo medio è minimo.
La curva del costo medio fisso (quella azzurra) è sempre decrescente perché mano a mano che
aumenta l’output diminuisce l'incidenza del costo fisso, che verrà quindi distribuito su più
quantità, perciò possiamo dire che il costo fisso medio diminuisce all'aumentare delle quantità di
output, perché il costo fisso viene distribuito su più quantità. In altre parole, è sempre decrescente
perché il numeratore, ovvero il costo fisso, non varia, mentre il denominatore, ovvero Q, varia e
dunque se aumenta il denominatore il costo fisso medio si riduce.
La curva del costo medio variabile (quella nera), analogamente alla curva del costo medio,
raggiunge un minimo. Ora dobbiamo capire perché la scala efficiente di produzione (indicato
come "Q con e" nel grafico), ossia l'output in corrispondenza del quale il costo medio è minimo, è
sempre maggiore del livello di output in corrispondenza del quale il costo medio variabile è
minimo (Q con e di VC). Se in corrispondenza del punto minimo della curva del costo medio
variabile variamo in maniera infinitesimale l'output prodotto, il costo medio variabile non varia,
mentre il costo medio fisso si ridurrà perché è una funzione strettamente decrescente. Cosa
succederà allora al costo medio, ricordandoci che è la somma tra il costo medio variabile e il
costo medio fisso? Si ridurrà, perché se si riduce il costo medio fisso e il costo medio variabile
rimane invariato, allora il costo medio diminuirà. Ed è ciò che vediamo dal grafico, se noi variamo
in maniera infinitesimale dal punto minimo della curva del costo medio variabile, il costo medio
diminuirà. Per comprendere ancora meglio questo concetto, supponiamo per assurdo che il punto
minimo della curva del costo variabile si trovi a destra rispetto al punto in corrispondenza della
scala efficiente di produzione e supponiamo di variare in maniera infinitesimale l'output prodotto,
il costo medio variabile non varierebbe, mentre il costo medio fisso diminuirebbe (perché come
sappiamo è strettamente decrescente). Ciò dovrebbe avere come conseguenza una riduzione del
costo medio fisso, ma in questo caso non si riduce, anzi aumenta. Perciò abbiamo dimostrato
perché il punto minimo della curva del costo variabile deve sempre essere minore rispetto al
punto in corrispondenza della scala efficiente di produzione, perché altrimenti a seguito di una
riduzione del costo fisso e a seguito di un costo medio variabile invariato, il costo medio
aumenterebbe, ma ciò non è chiaramente possibile visto che il costo medio fisso è diminuito e il
costo medio variabile è rimasto invariato, dunque il costo medio dovrebbe ridursi non aumentare.

Nel grafico precedente abbiamo visto la relazione tra costo medio, costo medio variabile e costo
medio fisso, ora invece vediamo la relazione tra costo medio, costo medio variabile e costo
marginale (in pratica sostituiamo il costo medio fisso con il costo marginale).

Come sappiamo, se il costo marginale sta sotto il costo medio allora il costo medio si riduce,
mentre se il costo marginale sta sopra il costo medio allora il costo medio cresce. L'intersezione
tra il costo medio e il costo marginale avviene in corrispondenza della scala efficiente di
produzione, ossia in corrispondenza del costo medio minimo. Analoga relazione vale tra il costo
marginale e il costo medio variabile, infatti se il costo marginale sta al di sotto del costo medio
variabile allora il costo medio variabile decresce, mentre se il costo marginale si trova al di sopra
del costo medio variabile allora quest’ultimo cresce. L'intersezione tra il costo medio variabile e il
costo marginale avviene in corrispondenza del costo medio variabile minimo.
Sostanzialmente con questo grafico vogliamo dire che la relazione esistente tra il costo medio e il
costo marginale è uguale alla relazione esistente tra il costo medio variabile e il costo marginale.

Effetti di variazioni dei prezzi degli input


Intuitivamente, quando il prezzo di un input diminuisce, il metodo di produzione ottimale di
un'impresa non usa mai un quantitativo inferiore di questo input, anzi, di norma ne usa di più.
Vediamolo graficamente (non è così importante capirlo graficamente, l'importante è che capisci la
logica a parole, vedi ultime quattro righe del paragrafo):

Sull'asse delle ascisse abbiamo l'input lavoro mentre sull'asse delle ordinate abbiamo l'input
capitale. La curva di colore nero rappresenta l’isoquanto, in corrispondenza del quale l'output
prodotto è pari a 10. Nel punto A abbiamo una combinazione ottimale dei due input, perciò per il
punto A passa la retta di isocosto tangente alla curva di isoquanto. Come varia la pendenza della
retta di isocosto, che è il rapporto tra i due prezzi (L/K o meglio W/R (input sull'asse delle X/input
sull'asse delle Y)), all'aumentare del costo del capitale? Si riduce in valore assoluto, diventa quindi
meno inclinata (specifichiamo in valore assoluto perché la pendenza della retta sarebbe negativa).
Dato che la retta di isocosto diventa meno inclinata, come cambia la combinazione ottimale (ossia
il punto di tangenza tra la curva di isoquanto e la retta di isocosto)? Se la pendenza della retta di
isocosto si è ridotta e quindi è meno inclinata ci sposteremo verso destra rispetto al punto iniziale
A, perché il nostro isoquanto ha una pendenza che si riduce (in valore assoluto) all’aumentare del
lavoro. Dunque, in corrispondenza del punto B, l’impresa utilizza più lavoro ma meno capitale. Ciò
per dimostrare che all'aumentare del prezzo dell'input capitale si ridurrà la quantità utilizzata
dell'input capitale, mentre aumenterà la quantità utilizzata dell'input lavoro. Questo concetto è
banale e intuitivo però noi ora lo abbiamo dimostrato anche attraverso il grafico, oltre che con la
logica.

Costi di breve periodo e costi di lungo periodo


(Innanzitutto dobbiamo ricordarci che nel breve periodo alcuni input possono variare mentre altri
rimangono fissi, invece nel lungo periodo possono variare tutti gli input)
La curva del costo medio di lungo periodo AClr è l'inviluppo più basso (contiene) delle curve di
costo medio di breve periodo. A ciascun livello di output Q, la curva di costo medio di lungo
periodo tocca la curva di costo medio di breve periodo ACsr e giace al di sotto di essa in ogni
altro punto. Vediamolo graficamente:
Sull'asse delle X abbiamo come sempre il lavoro e sull'asse delle Y abbiamo il capitale. Partiamo
dal punto B, che rappresenta la combinazione ottimale tra il lavoro e il capitale in corrispondenza
di un output pari a 140 e di un costo totale pari a 3000. Supponiamo che l’impresa debba
affrontare un aumento della domanda, di conseguenza l’impresa deve aumentare la propria
produzione, che supponiamo passi da 140 a 160. Se l’impresa deve passare da un output pari a
140 ad un output pari a 160, la combinazione ottimale dei fattori sarà rappresentata dal punto D,
ossia il punto di tangenza tra la retta di isocosto e la curva di isoquanto. Supponiamo ora che la
nostra impresa debba aggiustare la produzione senza però poter variare il capitale a disposizione,
che rimane pari a 150, dunque l’impresa per aumentare la produzione potrà aumentare solo il
lavoro. Il punto F non rappresenta la combinazione dei fattori ottimale, ma rappresenta il meglio
che l'impresa può fare per il fatto che non può variare il capitale, che deve rimanere pari a 150.
Confrontiamo ora il punto F con il punto D in termini di costi totali sopportati dall’impresa e
possiamo affermare che F sarà più costoso di D, semplicemente per il fatto che si trova in
corrispondenza di una retta di isocosto più a destra. Ciò per dire che il costo di lungo periodo
sarà generalmente inferiore rispetto al costo di breve periodo, in quanto nel lungo periodo
raggiungiamo il punto D (perché varia sia il lavoro che il capitale), mentre nel breve periodo
raggiungiamo il punto F (perché possiamo variare solo il lavoro e non il capitale), quindi possiamo
affermare che generalmente nel lungo periodo il costo totale sarà inferiore rispetto al breve
periodo, proprio per il fatto che nel lungo periodo possiamo variare tutti gli input mentre nel breve
solo alcuni.
Possiamo poi fare lo stesso ragionamento passando dalla curva di isoquanto con un output pari a
140 alla curva di isoquanto con un output pari a 120 e arriveremo poi alle medesime conclusioni,
dove il punto E si troverà su una retta di isocosto più a destra rispetto alla retta passante per il
punto A. In corrispondenza del punto E, dunque, il costo totale sopportato dall’impresa sarà
maggiore del costo totale nel punto A. I costi di breve periodo (punto E) saranno maggiori dei
costi di lungo periodo (punto A).

Nel grafico seguente proviamo a spiegare perché la curva del costo medio di lungo periodo è
l'inviluppo più basso delle curve di costo medio di breve periodo (perché la curva del costo medio
di lungo periodo contiene le curve di costo medio di breve periodo). Quindi, in questo caso invece
di parlare di costo totale parleremo di costo medio. Supponendo un output pari a 40 la curva di
costo medio di lungo periodo è rappresentata dalla curva blu scuro (AClr), mentre la curva di
costo medio di breve periodo è la curva azzurra ACsr40. Quest'ultima è sempre più in alto rispetto
alla curva di costo medio di lungo periodo, tranne che per un output pari a 40, dove le due curve
sono uguali, ovvero dove il costo medio di lungo periodo è uguale al costo medio di breve
periodo. Quindi possiamo affermare che la curva di lungo periodo contiene la curva di breve
periodo. Stesso discorso per tutte le altre curve di costo medio di breve periodo, le quali sono
sempre più in alto rispetto alla curva di lungo periodo, tranne che per delle specifiche quantità di
output dove le due curve sono uguali e quindi il costo medio di breve periodo equivale al costo
medio di lungo periodo.

Economie e diseconomie di scala


Si ha un'economia di scala quando il costo medio diminuisce all'aumentare della produzione. Il
costo totale aumenta in maniera meno che proporzionale rispetto all'aumento dell'output. Perciò
se l’output raddoppia, il costo totale aumenta ma meno del doppio.
Invece, si ha una diseconomia di scala quando il costo medio aumenta all'aumentare della
produzione. Quindi, il costo totale aumenta in maniera più che proporzionale rispetto all‘aumento
dell'output. Se l'output raddoppia, il costo totale aumenta più del doppio.
Quando i prezzi degli input non variano con il quantitativo prodotto, l’impresa ha delle economie
di scala se la sua tecnologia ha rendimenti di scala crescenti, mentre avrà delle diseconomie di
scala se la sua tecnologia ha rendimenti di scala decrescenti. Vediamo un esempio di rendimento
di scala crescente: se un’impresa spende il doppio, potrà comprare il doppio dei fattori (input)
(supponendo che i prezzi degli input non varino), il che le consente di produrre più del doppio e
quindi il costo medio si riduce, perciò l’impresa ha delle economie di scala. Caso contrario: se
un’impresa spende il doppio potrà comprare il doppio dei fattori, ciò le consentirà di produrre
meno del doppio, proprio perché ha rendimenti di scala decrescenti, e quindi il costo medio
aumenta, perciò in questo caso l’impresa ha delle diseconomie di scala.
Se tecnologia ha rendimenti di scala crescenti—> economie di scala
Se tecnologia ha rendimenti di scala decrescenti—> diseconomie di scala.
Proviamo a vedere questo concetto graficamente:

Consideriamo il grafico di sinistra, dove sull'asse delle ascisse abbiamo il lavoro mentre sull'asse
delle ordinate abbiamo il capitale. Supponiamo il caso di rendimenti di scala crescenti. Partiamo
dal punto A, in corrispondenza di un output pari a 100, e supponiamo che la nostra impresa voglia
raddoppiare l’output, quindi l’output passerà da 100 a 200. Se la nostra impresa esibisce
rendimenti di scala crescenti significa che se l’impresa raddoppia l’output passerà da una
combinazione dei fattori pari a A ad una combinazione di fattori pari a C, dove C si trova sotto a
2A, ossia il punto in corrispondenza del quale l’impresa raddoppia sia il lavoro che il capitale.
Dunque se l’impresa esibisce rendimenti di scala crescenti l’impresa ridurrà il costo medio, perché
a seguito di aumento dell’output il costo totale per gli input aumenterà, ma meno del doppio. Il
punto C non è la combinazione ottimale dei fattori per l’impresa, la quale invece si trova in
corrispondenza del punto B. Perciò un’impresa che ha una tecnologia con rendimenti di scala
crescenti esibisce economie di scala, poiché all'aumentare dell’output, il costo totale per gli input
(lavoro e capitale) aumenta ma in maniera meno che proporzionale, quindi il costo medio si
riduce.
Il ragionamento opposto si può fare nel caso di rendimenti di scala decrescenti, che vediamo nel
grafico a destra. In corrispondenza del punto B l’impresa ha un output pari a 200, supponiamo
che l’impresa voglia invece che raddoppiare dimezzare l’output. In presenza di rendimenti di scala
decrescenti, se l’impresa vuole mantenere la stessa proporzione di capitale e lavoro si sposterà
dal punto B al punto D. Il punto D sta sotto B/2, ossia sta sotto il punto in cui la nostra impresa
utilizza metà lavoro e metà capitale, cioè sta sotto il punto in cui la nostra impresa dimezza il
costo totale. Ciò vuol dire che il costo medio dell’impresa si ridurrà, perché a seguito di un
dimezzamento dell'output i fattori produttivi sono più che dimezzati (è il ragionamento inverso, è il
contrario di dire che—> in caso di rendimenti di scala decrescenti, all'aumentare dell’output il
costo totale aumenta in maniera più che proporzionale, di conseguenza il costo medio aumenta.
Però se invece che raddoppiare dimezziamo l'output allora, sempre nel caso di rendimenti di
scala decrescenti, il costo medio non aumenterà ma si dimezzerà (proprio come avviene quando
si raddoppiano gli output in un'economia di scala. Per completare il discorso, quando dimezziamo
l’output in un'economia di scala, il costo medio aumenterà))(CAPITO). In altre parole, un'impresa
che esibisce una tecnologia con rendimenti di scala decrescenti ha diseconomie di scala, ovvero
ciò vuol dire che al diminuire dell‘output, il costo totale per gli input diminuisce in maniera più che
proporzionale, di conseguenza il costo medio diminuisce.
La stessa impresa, a secondo dell'ammontare di output prodotto, potrebbe avere rendimenti di
scala crescenti o decrescenti. Quindi non è vero che l’impresa avrà sempre o un'economia di
scala crescente o un'economia di scala decrescente, dipende dall'ammontare dell'output. Infatti
come sappiamo la funzione del costo medio prima decresce, quindi prima esibisce economie di
scala, e poi il costo medio cresce e dunque esibirà diseconomie di scala.

CAPITOLO 8: MASSIMIZZAZIONE DEI PROFITTI


Quantità e prezzi per la massimizzazione del profitto
L'impresa ha l'obiettivo di massimizzare il profitto. Il profitto di un‘impresa, che indichiamo con pi
greco π, è uguale alla differenza tra il ricavo R ed il costo C.
π= R - C
Per massimizzare il profitto di un’impresa è necessario trovare la quantità di prodotto, o il prezzo,
che genera il massimo profitto possibile.

Scegliere il prezzo oppure la quantità


La funzione di domanda (diretta) D (P) indica la quantità domandata per ogni dato livello di
prezzo (la funzione di domanda diretta mette in relazione la quantità con il prezzo).
La funzione di domanda inversa P (Q) indica, invece, il prezzo che deve essere applicato per
vendere una quantità Q (la funzione di domanda inversa mette in relazione il prezzo con la
quantità).
Vediamo un esempio:
Funzione di domanda—> D (P) = 200 - P
Funzione di domanda inversa —> P (Q) = 200 - Q

Vediamo un esempio di curva di domanda inversa, ovvero la curva che mette in relazione il prezzo
(asse Y) con l'output (asse X):
Come possiamo vedere la funzione è negativamente inclinata e, nello specifico, ci dice in
corrispondenza di ogni quantitativo di output quale è il prezzo che deve essere applicato.

Massimizzazione dei profitti


Ora concentriamo la nostra attenzione sui ricavi, riguardo i costi abbiamo già parlato abbastanza
(vedi tutto capitolo 7).
Il ricavo di un'impresa che vende Q unità di output è dato da R (Q) = P (Q) * Q
Dunque, il ricavo di un’impresa si esprime semplicemente attraverso il prodotto tra il prezzo
dell'output e la quantità dell’output prodotto e venduto.
Il costo di un’impresa che produce Q unità di prodotto è dato da C (Q).
Quindi, il profitto di un’impresa che vende Q unità di output è dato dalla differenza tra ricavi e
costi —> π (Q) = R (Q) - C (Q) = P (Q) * Q - C (Q)

Nella figura seguente, nel grafico di sinistra abbiamo il caso di un output indivisibile, mentre nel
grafico di destra abbiamo il caso di un output perfettamente divisibile, il che implica che le
funzioni di costo e di ricavo sono continue. Partendo dal grafico di sinistra, i punti blu
rappresentano i ricavi in corrispondenza di ogni dato ammontare di output, per esempio se
l’impresa produce 10 panchine otterrà un ricavo pari a 2000, se ne produce 20 otterrà un ricavo di
4000, e così via. Stesso discorso per i costi, che sono rappresentati dai punti grigi, in
corrispondenza di un output pari a 10 panchine i costi saranno molto bassi, se l’impresa produce
40 panchine i costi saranno 2000, e così via. Vi sono dei puntini al posto della curva proprio
perché l’output (le panchine) è indivisibile, in questo caso l’impresa può produrre solamente in
lotti da 10. Ora come facciamo a massimizzare il profitto, avendo le funzioni dei costi e dei ricavi?

Innanzitutto, come sappiamo, il profitto è dato dalla differenza tra i ricavi e i costi. Se vogliamo
massimizzare il profitto, se vogliamo la quantità di output in corrispondenza della quale il profitto è
massimo, dobbiamo scegliere l'output in corrispondenza del quale abbiamo la massima distanza
verticale tra il puntino dei ricavi e il puntino dei costi. La massima distanza verticale tra ricavi e
costi si ha in corrispondenza di un output pari a 50. La differenza tra il ricavo e il costo in
corrispondenza di quel quantitativo di output è pari a 5000, che rappresenta appunto il profitto
massimo.
Stesso discorso possiamo applicarlo al grafico di destra, l’unica differenza è che in questo caso
l’output è perfettamente divisibile, di conseguenza al posto di avere dei puntini avremo delle curve
continue. Anche qui il profitto è massimizzato in corrispondenza di un output pari a 50, che dà
sempre come risultato il profitto massimo possibile pari a 5000.

Ricavo marginale
Il ricavo marginale (marginal revenue) di un’impresa è pari al ricavo aggiuntivo che l’impresa
ottiene dalle unità marginali che vende, misurate su base unitaria. In altre parole, il ricavo
marginale è l'extra ricavo che la nostra impresa ottiene variando in maniera infinitesimale l'output.
Il ricavo marginale è dunque pari al rapporto tra la variazione dei ricavi (ΔR) e la variazione degli
output (ΔQ).

Facciamo un esempio pratico: il ricavo marginale è il ricavo in più che ottengo passando da 9 a
10 unità.

L'effetto di espansione del prodotto si ha quando l’impresa espande le proprie vendite da Q-ΔQ
a Q (per esempio l’impresa decide di espandere le proprie vendite da 9 a 10) e guadagna P(Q) *
ΔQ. Se la nostra impresa decide di passare da 9 a 10 unità guadagnerà qualcosa in più derivante
dal fatto che sta vendendo un’unità in più, e questo qualcosa in più che guadagnerà è uguale al
prodotto tra questa unità in più (ΔQ) e il prezzo (P(Q)). Il guadagno derivante dalla vendita di
un’unità in più è quindi uguale a P(Q) * ΔQ. È tutto molto logico.
Nel momento in cui la nostra impresa decide di vendere un’unità in più di output, cosa succede al
prezzo? Diminuisce (lo si può capire anche soltanto guardando la curva di domanda inversa, dove
si può vedere come all'aumentare dell’output il prezzo diminuisce, o più facile da capire, al ridursi
del prezzo l’output aumenta). Ecco quindi che vi è un secondo effetto, che prende appunto il
nome di effetto di riduzione del prezzo.
L'effetto di riduzione del prezzo si ha quando per incrementare le unità vendute, il loro prezzo
deve diminuire da P (Q-ΔQ) (dal prezzo in corrispondenza di 9 unità) a P(Q) (al prezzo in
corrispondenza di 10 unità), il che comporta una riduzione del ricavo dalle unità inframarginali Q -
ΔQ (10-1=9). Per incrementare le unità vendute la nostra impresa dovrà ridurre il prezzo e questo
comporterà una riduzione del ricavo sulle cosiddette unità inframarginali, ossia tutte quelle unità
che non sono marginali (per esempio supponendo il passaggio dalle 9 alle 10 unità, le unità
inframarginali sono tutte le unità fino a 9). L’idea è che nel momento in cui l’impresa decide di
aumentare l’output di un’unità, da una parte si ha un aumento del ricavo dovuto al fatto che
vende un’unità in più, come abbiamo visto nell'effetto di espansione del prodotto, ma dall'altra
parte nel momento in cui aumenta la quantità venduta l'impresa dovrà ridurre il prezzo e il prezzo
lo riduce su tutte le unità, anche quelle inframarginali, cioè anche su tutte le altre (su tutte le unità,
sulle unità da 0 fino a 9) e ciò comporta quindi una riduzione del ricavo.
Questi due effetti vanno uno in direzione opposta all'altro.

Vediamo questi due concetti graficamente:

Nel grafico a destra vi è una domanda negativamente inclinata e l’impresa decide di aumentare
l’output, che passa da Q-ΔQ a Q, in pratica supponiamo passi da 9 a 10. Quale è il ricavo
marginale che ottiene per il passaggio da un’unità di output pari a 9 a un’unità di output pari a 10,
ossia quale è l'extra ricavo? In questa figura il ricavo marginale, ossia il ricavo aggiuntivo ottenuto
dal passaggio da 9 a 10 unità, è rappresentato dall'area azzurra. Questo è per quanto riguarda il
primo effetto, ossia l'effetto di espansione del prodotto.
Ora vediamo il secondo effetto, che sarà rappresentato dall'area grigia del grafico, ossia l'effetto
di una riduzione del prezzo. Se l’impresa decide di passare da 9 a 10 unità, o in altre parole, se
l’impresa decide di aumentare l'output di un’unità, l’impresa deve ridurre il prezzo da P(Q-ΔQ) a
P(Q), ossia dal prezzo in corrispondenza a 9 unità al prezzo in corrispondenza di 10 unità. Questa
riduzione di prezzo si applica su tutte le unità inframarginali, ossia su tutte le unità da 0 a 9
(questo effetto non si applica però su ΔQ, ossia su 10, perché ΔQ è l’unità aggiuntiva quindi non
la teniamo in considerazione. Devi vederla come se le unità inframarginali, ossia tutte le unità fino
a 9, subiscono l'effetto di riduzione del prezzo, mentre l'unità extra, ovvero ΔQ, subirà l'effetto di
espansione del prodotto).
Abbiamo quindi visto come vengono rappresentati graficamente i due effetti.
Ora vediamo il grafico di sinistra, dove stiamo supponendo che vi sia una funzione di domanda
non decrescente, ma orizzontale. Se la curva di domanda inversa è orizzontale significa
semplicemente che il prezzo è costante, non varia al variare dell'output. La nostra impresa è
talmente piccola che indipendentemente dall'output che produce non è in grado di influenzare il
prezzo, ecco perché il prezzo è una costante. Ne consegue che in questo caso non abbiamo
nessun effetto di riduzione del prezzo (area grigia), ma avremo solamente l'effetto di espansione
del prodotto. Il ricavo marginale sarà pari semplicemente al prezzo, perché se supponiamo che la
nostra impresa decida di vendere un’unità in più il ricavo marginale, ossia il ricavo aggiuntivo che
ottiene dalla vendita di un’unità in più di output, è sempre il prezzo visto che quest'ultimo non
varia. Qualsiasi ΔQ noi consideriamo, quindi anche se consideriamo una variazione di 2 unità ad
esempio, avremo sempre il ricavo marginale pari al prezzo.
In conclusione, per le imprese price-taker, ossia le imprese che presentano una curva di
domanda orizzontale, il ricavo marginale è uguale al prezzo e perciò avremo solo l'effetto di
espansione del prodotto. Invece, quando la curva di domanda è decrescente oltre all'effetto di
espansione del prodotto avremo anche l'effetto di riduzione del prezzo, quindi il ricavo marginale
sarà minore rispetto al prezzo, poiché i due effetti vanno in direzioni opposte.

In questo grafico vediamo la relazione esistente tra il ricavo marginale e la curva di domanda. Se
la curva di domanda è orizzontale (impresa price-taker, ossia impresa che non è in grado di
influenzare il prezzo) il ricavo marginale coincide con il prezzo (vi è solo l'effetto di espansione del
prodotto). Invece nel caso di una curva di domanda inversa negativamente inclinata esistono
entrambi gli effetti, perciò in questo caso il ricavo marginale sarà minore rispetto al prezzo (nello
specifico la pendenza della retta del ricavo marginale sarà la metà della pendenza della retta della
domanda), infatti, come possiamo vedere dal grafico di destra, la curva blu del ricavo marginale
sta sotto la curva nera di domanda inversa. Le due curve sono uguali/corrispondono solo nel caso
di un output pari a zero, perché in tal caso non esistono unità inframarginali, di conseguenza in
corrispondenza di un output pari a zero avremo solo l'effetto di espansione del prodotto e quindi,
in tal caso, il ricavo marginale è uguale al prezzo, proprio come abbiamo visto nel grafico di
sinistra.

In conclusione:
Quando la domanda è orizzontale (ossia quando l'impresa è price-taker), è presente solo l'effetto
di espansione del prodotto e ne consegue che il ricavo marginale è uguale al prezzo. Questo è il
caso di un’impresa price-taker, ovvero un'impresa operante in un mercato perfettamente
concorrenziale, che può vendere quanto vuole ad un dato prezzo, ma nulla ad un prezzo più alto.
Quando, invece, la domanda è decrescente, sono presenti sia l'effetto di espansione del prodotto
sia l'effetto di riduzione del prezzo, ne consegue che il ricavo marginale è minore del prezzo.

Vediamo ora un esempio numerico per comprendere ancora meglio il concetto di ricavo
marginale:

Il ricavo, come sappiamo, è pari al prodotto tra il prezzo e la quantità.


Il ricavo marginale in corrispondenza di 10 unità è pari alla variazione del ricavo fratto la variazione
dell’output, dunque in questo caso sarà pari a 1900 (variazione del ricavo—>1900-0) fratto 10
(10-0), ovvero 190. Successivamente in corrispondenza di 20 unità di output, il ricavo marginale
sarà pari al rapporto tra 1700 (3600-1900) e 10 (20-10), ovvero 170, e così via.
Andando avanti possiamo notare come il ricavo marginale sia una curva strettamente
decrescente, come già avevamo visto nel grafico precedente, in quanto all'aumentare dell’output
il ricavo marginale decresce.

Quantità di prodotto per la massimizzazione del profitto


La quantità che massimizza il profitto deve soddisfare il principio di assenza di miglioramento
marginale. Per trovare la quantità che massimizza il profitto dobbiamo ragionare in termini
marginali. Ciò significa che dobbiamo confrontare i ricavi marginali con i costi marginali e a
seconda della relazione che otteniamo possiamo stabilire se la quantità che stiamo considerando
è ottimale e quindi massimizza il profitto, oppure no.
Se il ricavo marginale in corrispondenza di una certa quantità è maggior del costo marginale
sempre in corrispondenza di quella quantità (se MR > MC), allora per l’impresa è meglio
incrementare la quantità. Ad esempio se io parto da un output pari a 10 e ne aggiungo una, il
ricavo che ottengo è maggiore rispetto al costo, proprio perché il ricavo marginale è maggiore del
costo marginale. Ad esempio supponiamo di passare da un output pari a 10 ad un output pari a
11 e di avere un extra ricavo pari a 2 e un extra costo pari a 1, l’impresa siccome il ricavo
marginale è maggiore del costo marginale (2 > 1) dovrà aumentare la produzione, perché l'output
pari a 10 non massimizza il profitto dell’impresa.
Se, invece, il ricavo marginale (in corrispondenza di una certa quantità di output) è minore del
costo marginale (se MR < MC) allora è meglio ridurre la quantità. Se passando da 10 unità di
output a 11 unità di output il ricavo che l’impresa ottiene è minore rispetto al costo sicuramente
l’impresa non vorrà aumentare la quantità, bensì la vorrà ridurre.
Detto ciò, possiamo comprendere perché vale la regola della quantità, secondo la quale per
massimizzare il profitto bisogna identificare le quantità di prodotto tale che MR = MC, ossia tale
che il ricavo marginale sia uguale al costo marginale. In questo caso l’impresa non dovrà né
ridurre né aumentare le quantità, di conseguenza l’impresa è riuscita a trovare le quantità per le
quali il profitto è massimo. Se più di una quantità di prodotto soddisfa tale condizione, bisogna
determinare quale è la migliore, ossia quale output produce il profitto maggiore.
Esiste poi una seconda regola, che prende il nome di regola di cessazione dell’attività, in base
alla quale bisogna verificare se la quantità di prodotto/output più profittevole (che abbiamo trovato
proprio mediante la regola della quantità) porti ad un maggiore profitto rispetto alla scelta di
chiudere l’impresa (detta in altre parole, bisogna verificare se la quantità di output che porta a
massimizzare il profitto è maggiore del profitto che si otterrebbe vendendo l’impresa). Se sì, quella
è la scelta che massimizza il profitto. Se no, non vendere nulla è l’opzione migliore, dunque il
profitto che l’impresa ottiene chiudendo l’attività è maggiore del profitto che l’impresa otterrebbe
non vendendo l’attività. Se sono uguali, entrambe le scelte massimizzano il profitto.

Quantità di prodotto che massimizzano il profitto di un’impresa price-taker


Un'impresa price-taker può vendere la quantità che desidera ad un determinato prezzo P ma nulla
ad un prezzo maggiore (perché l'impresa price-taker non è in grado di modificare il prezzo). Ci
troviamo nel caso in cui l'impresa opera in un mercato perfettamente concorrenziale (dunque
possiamo dire che le imprese che operano in un mercato perfettamente concorrenziale vengono
definite price-taker), ci troviamo nel caso di un’impresa talmente piccola che indipendentemente
dall’output che produce non sarà in grado di influenzare il prezzo di mercato. Un’impresa price-
taker ha dunque una curva di domanda perfettamente orizzontale e di conseguenza il ricavo
marginale è uguale al prezzo del prodotto (MR = P) (perché vi è solo l'effetto di espansione del
prodotto).
Poiché MR = MC, ossia ricavi marginali uguali ai costi marginali, in corrispondenza della quantità
che massimizza il profitto allora avremo un prezzo che è uguale al costo marginale (se MR=P e
MR=MC allora P = MC).

Regola della quantità nel caso di un’impresa price-taker—> bisogna identificare le quantità di
prodotto positive tali che P = MC. Se più di una quantità di prodotto soddisfa tale condizione,
determinare qual è la migliore (quale produce il profitto maggiore).
Regola di cessazione dell’attività nel caso di un'impresa price-taker—> (resta invariata rispetto a
quanto abbiamo già visto) verificare se la quantità di prodotto positiva più profittevole porti ad un
maggiore profitto rispetto alla scelta di chiudere l’impresa. Se sì, quella è la scelta che massimizza
il profitto. Se no, non vendere nulla è l'opzione migliore. Se sono uguali, entrambe le scelte
massimizzano il profitto.

Regola di cessazione dell’attività in assenza di costi irrecuperabili:


-se P > AC, la quantità ottimale di vendite positive massimizza il profitto.
-se P < AC, chiudere massimizza il profitto.
-se P = AC, entrambe le opzioni portano ad un profitto nullo, il che è il meglio che l'impresa può
fare.
Regola di cessazione dell’attività in presenza di costo irrecuperabili (costi che non possono essere
recuperati neanche se l’attività cessa di esistere, costi che l’impresa deve sostenere in ogni caso):
-se il ricavo P * Q derivante dalla vendita di prodotto ottimale Q supera i costi evitabili
dell'impresa, la quantità ottimale Q massimizza il profitto dell’impresa.
-altrimenti, non produrre nulla è la soluzione ottima.

Vediamo ora questi concetti graficamente:

Nel grafico di sinistra possiamo vedere graficamente la regola della quantità, che ci dice che
l'ammontare di output prodotto è tale che il prezzo è uguale al costo marginale. Ricordiamoci
inoltre che siamo nel caso di un’impresa price-taker, dunque la curva di domanda è orizzontale e il
ricavo marginale è uguale al prezzo, perciò la curva del ricavo marginale coincide con la domanda
(curva blu). In base alla regola della quantità il prezzo deve essere uguale al costo marginale, di
conseguenza il punto di incontro tra la curva di costo marginale e la curva di domanda (prezzo)
determina la quantità prodotta e venduta dalla nostra impresa.
Nel grafico di destra, invece, possiamo vedere la regola di cessazione dell’attività. Abbiamo come
prima sull'asse delle X la quantità e sull'asse delle Y il prezzo, abbiamo sempre la curva di
domanda orizzontale, che coincide con il ricavo marginale (proprio perché è un’impresa price-
taker), abbiamo sempre la curva del costo marginale (grigio scuro) e in più abbiamo anche la
curva del costo medio (curva grigio chiaro). La curva del costo marginale interseca la curva del
costo medio nel punto di minimo di quest'ultimo, tale punto di intersezione rappresenta, come
sappiamo, la scala efficiente di produzione. Il profitto dell’impresa è dato dai ricavi meno i costi. I
ricavi sono dati dal prodotto tra il prezzo e la quantità. La quantità, come prima, è data dal punto
di incontro tra il costo marginale e la retta di domanda. Tutta l’area al di sotto della curva di
domanda e a sinistra della quantità rappresenta l'area dei ricavi totali. Ora dobbiamo trovare i
costi totali, che sono il prodotto tra il costo medio e la quantità. I costi totali sono dati dall'area
sottostante l'area evidenziata in blu nel grafico e l'area a sinistra della quantità. La differenza tra le
due aree è proprio l'area di colore azzurro, che rappresenta il profitto dell’impresa. Il profitto è
positivo, di conseguenza l'impresa vorrà produrre. È dunque questo il primo modo per vedere che
all’impresa converrà produrre una quantità positiva. Esistono però altri modi, uno di questi è
quello visto relativamente alla regola di cessazione dell’attività in assenza di costi irrecuperabili,
nello specifico se P > AC. Il prezzo, che si trova in corrispondenza della curva di domanda, è
maggiore del costo medio minimo, quindi la nostra impresa vorrà produrre, infatti il profitto è
positivo. Esiste poi un terzo metodo che consiste nel confrontare il prezzo in corrispondenza del
livello di produzione con il costo medio sempre in corrispondenza del livello di produzione. Anche
qui si può evincere come il prezzo sia maggiore del costo medio, di conseguenza l’impresa vorrà
produrre.
Di tutti questi tre criteri quello più importante è il confronto tra il prezzo e il costo medio minimo (il
secondo metodo che abbiamo visto, che però può essere utilizzato soltanto in assenza di costi
fissi irrecuperabili). Dunque riassumendo, possiamo affermare che l’impresa preferisce produrre in
quanto il profitto è positivo ed effettivamente in questo caso il prezzo è maggiore del costo medio
minimo. Infatti, quando il prezzo è maggiore del costo medio minimo, l'impresa è in grado di
produrre una quantità tale che il suo profitto sarà positivo.

Facciamo ora un esercizio per comprendere ancora meglio questi concetti:

Nel secondo caso se l'impresa non produce, il profitto è pari a zero, perché l'impresa non vende
nulla e riesce così ad evitare il costo fisso evitabile. Se invece l’impresa produce dovrà tenere in
considerazione il costo fisso evitabile, che è maggiore dei ricavi, di conseguenza l’impresa
avrebbe una perdita, perciò all’impresa conviene cessare l’attività in modo tale da avere un
profitto pari a zero e non incombere in una perdita.

Funzione di offerta di un'impresa price-taker


La funzione di offerta di un'impresa price-taker dice quanto un'impresa vuole vendere ad ogni
dato livello di prezzo P. È una funzione con la seguente forma—> quantità offerta = S (prezzo).
Se il prezzo è maggiore del costo medio minimo (se P > ACmin) la nostra impresa produce e la
curva di offerta coincide con la curva di costo marginale, ovvero P = MC, in quanto stiamo
parlando di un’impresa price-taker. Quindi, se la nostra impresa produce, il prezzo per un'impresa
price-taker sarà uguale al costo marginale, così da massimizzare il profitto.
Se, invece, il prezzo è minore del costo medio minimo (se P < ACmin) la nostra impresa non vorrà
produrre perché non esiste nessuna quantità che consenta all’impresa di avere un profitto
positivo, di conseguenza l'offerta è pari a zero, è nulla.
Infine, se il prezzo è uguale al costo medio minimo (se P = ACmin) l’impresa sarà indifferente tra
produrre o non produrre alla sua scala efficiente di produzione.
Esiste poi una legge, che prende il nome di legge dell’offerta, secondo la quale quando il prezzo
di mercato aumenta, il livello di vendite che massimizza il profitto per un'impresa price-taker deve
aumentare (è una cosa logica, all’aumentare del prezzo di mercato l’impresa sarà incentivata a
vendere una maggiore quantità, perché riuscirà a conseguire più ricavi).
Dato MC (Q) = 5 + Q/40 (è il costo marginale dell'esercizio precedente), se l’impresa decide di
produrre deve valere la regola della quantità (così da massimizzare il profitto), secondo la quale il
prezzo è uguale al costo marginale. Di conseguenza, la curva di offerta si ottiene da P = MC (Q) =
5 + Q/40. Avendo trovato il prezzo, la funzione di offerta si ottiene esplicitando la funzione del
prezzo per Q e ne consegue che Q = S (P) = 40P - 200. Ecco trovata la funzione di offerta.

Ora vediamo la funzione di offerta nel grafico seguente.

Nel grafico a sinistra la scala efficiente di produzione (punto minimo del costo medio) è in
corrispondenza di una quantità pari a zero, mentre nel grafico a destra la scala efficiente di
produzione è positiva. Nel primo caso si ha un costo marginale sempre maggiore del costo medio
(curva blu supera curva nera). Come sappiamo l’impresa vuole produrre finché il prezzo è
maggiore del costo medio minimo, quindi per tutti i valori di prezzo superiori al costo medio
minimo la nostra impresa vuole produrre, mentre per tutti i valori di prezzo inferiori rispetto al
costo medio minimo l’impresa non vuole produrre. Ciò vuol dire che per valori di prezzo inferiori
rispetto al costo medio minimo l'offerta è nulla (l’impresa non vuole produrre), mentre per valori di
prezzo maggiori rispetto al costo medio minimo allora l'offerta è positiva (l’impresa vuole
produrre). Supponiamo che il prezzo sia pari a P', noi sappiamo che il prezzo deve essere uguale
al costo marginale, ciò vuol dire che la quantità offerta dall’impresa sarà in corrispondenza del
costo marginale. Quindi, come abbiamo visto precedentemente, se il prezzo è maggiore del costo
medio minimo, allora la curva di offerta coinciderà con la curva di costo marginale. La curva di
offerta coincide con la curva di costo marginale perché per tutti i valori di prezzo maggiori del
costo medio minimo l’impresa produrrà e nello specifico produrrà una quantità tale che il prezzo è
uguale al costo marginale. In corrispondenza di P' la quantità offerta sarà pari a S(P'), che si trova
proprio In corrispondenza della curva di costo marginale.
Vediamo ora il grafico di destra e vediamo cosa succede quando la scala efficiente di produzione
non è nulla ma positiva. Il costo marginale interseca il costo medio nel suo punto minimo e tale
punto corrisponde proprio alla scala efficiente di produzione. Vale sempre la regola secondo la
quale l’impresa vuole produrre quando il prezzo è maggiore del costo medio minimo. Perciò, per
valori di prezzo minori del costo medio minimo non avremo alcuna produzione, non avremo
alcuna offerta, la curva di offerta sarà nulla. Invece, per tutti i valori di prezzo maggiori del costo
medio minimo, il prezzo sarà uguale al costo marginale, di conseguenza la curva di offerta
coinciderà con il costo marginale. Per esempio quando il prezzo è pari a P' l’offerta sarà pari a
S(P'), ovvero l'offerta coinciderà con il costo marginale. Dunque, la curva di offerta si compone di
due parti slegate tra di loro. Nello specifico, per valori di prezzo minori del costo medio minimo la
quantità offerta sarà nulla, mentre per valori di prezzo maggiori del costo medio minimo la curva
di offerta coincide con la curva del costo marginale.

Vediamo ora un esercizio:


La prima cosa che dobbiamo fare per ricavare la quantità offerta è calcolare il costo medio
minimo, poiché è in base al confronto di quest’ultimo con il prezzo, che possiamo capire se la

curva di offerta sarà nulla o meno. Come sappiamo il costo medio minimo è il punto in cui la curva
del costo marginale interseca la curva del costo medio, perciò per trovare il costo medio minimo
dovremo fare l'uguaglianza tra il costo medio e il costo marginale (dovremo porre il costo medio
uguale al costo marginale, e così troviamo il costo medio minimo, ossia il punto in corrispondenza
della scala efficiente di produzione) e poi il valore che otteniamo lo sostituiamo nella funzione del
costo medio (costo medio minimo = 10). Sappiamo poi che il costo marginale è uguale al prezzo,
quindi una volta ottenuto il prezzo lo confrontiamo con il costo medio minimo e possiamo così
comprendere a quali condizioni la quantità offerta sarà nulla e a quali condizioni non lo sarà. Nello
specifico, se il prezzo è minore del costo medio minimo allora la quantità offerta sarà nulla, mentre
se è maggiore allora la quantità offerta sarà pari a P/2 (P/2 è la quantità offerta in corrispondenza
di un prezzo uguale al costo marginale).

Vediamo un altro esercizio:


In questo caso per calcolare il costo medio dovremo tenere in considerazione anche il costo fisso
evitabile pari a 845. Quindi il costo medio sarà pari alla funzione di costo fratto Q più il costo
evitabile fratto Q.

Offerta di breve e lungo periodo


Nel breve e nel lungo periodo le curve di costo e anche le curve di offerta dell'impresa sono
differenti. Visto che la funzione di offerta coincide con la funzione di costo marginale (sempre per
un’impresa price-taker come abbiamo potuto vedere fino ad ora—>P=MC), partendo da costi di
breve periodo, otteniamo la curva di offerta di breve periodo. Partendo da costi di lungo periodo
otteniamo la curva di offerta di lungo periodo. In generale, la curva di offerta di lungo periodo è
più sensibile a variazioni di prezzo (è più elastica) rispetto alla curva di offerta di breve periodo.
Vediamo un esercizio:

Per trovare il ricavo, ossia P^2/100, abbiamo fatto P*Q, ovvero P * P/100. Dovremo poi
confrontare tale ricavo con il costo evitabile, che è pari a 50 * Q^2. Sapendo che Q=P/100, lo
sostituiamo nella funzione di costo di breve periodo e otteniamo che il costo evitabile è uguale a
50*(P/100)^2. Siccome il ricavo è maggiore del costo evitabile, l’impresa produce per ogni livello
di prezzo. Ne consegue che l’offerta di breve periodo è data da P/100 (la quantità trovata
eguagliando il prezzo per il costo marginale).

Ora vediamo la funzione di offerta di lungo periodo:

Se il prezzo è minore di 1000 (costo marginale) allora l’offerta sarà pari a zero, nello specifico se il
prezzo è minore di 1000 il beneficio marginale che l’impresa ottiene dalla vendita di un’unità in più
(ossia il prezzo) è inferiore rispetto al costo marginale (il costo che l’impresa deve sopportare per
la produzione di quell’unità marginale in più). Se, invece, il prezzo è maggiore di 1000 (costo
marginale), qualsiasi unità l’impresa produca, il beneficio che l’impresa ottiene dalla vendita di
un’unità aggiuntiva (il prezzo) è maggiore rispetto al costo marginale (1000). Se l’impresa ha una
capacità produttiva infinita allora l'offerta sarà infinita, perché qualsiasi ammontare prodotto noi
consideriamo l’impresa vorrà sempre aumentarlo di un’unità. Infine, se il prezzo è uguale a 1000
allora l'impresa sarà indifferente per qualsiasi quantità (compresa tra 0 e infinito).

Surplus del produttore


Il surplus del produttore è pari al ricavo dell'impresa meno il suo costo evitabile (sia variabile sia
fisso), ignorando quindi i costi irrecuperabili. Il surplus del produttore è importante perché
permette di evidenziare il profitto senza tenere però in considerazione i costi irrecuperabili. I costi
irrecuperabili sono quei costi che il produttore deve sempre sostenere, indipendentemente dal
fatto che esso produca o meno. Se il produttore vuole valutare l’impatto delle sue politiche non ha
senso considerare anche i costi irrecuperabili, perché essi ci sarebbero comunque in ogni caso,
qualsiasi politica venga attuata. Dunque, poiché i costi irrecuperabili devono essere sostenuti a
prescindere da ciò che accade, essi possono essere generalmente ignorati nel momento in cui si
prendono le decisioni in ambito economico.
Possiamo affermare che il profitto è uguale al surplus del produttore meno i costi irrecuperabili,
poiché, come abbiamo detto, il surplus è il profitto che non tiene in considerazione dei costi
irrecuperabili.
Profitto = surplus del produttore - costi irrecuperabili

Il surplus del produttore corrisponde all'area tra la retta orizzontale a livello del prezzo e la curva di
offerta dell’impresa. Vediamolo graficamente:

Nel grafico di sinistra abbiamo il caso in cui non vi è nessun costo fisso evitabile. Come anticipato
precedentemente, il surplus del produttore corrisponde all'area azzurra. Prima di arrivare a ciò,
troviamo il ricavo. Il ricavo è dato dal prodotto tra prezzo e quantità e corrisponde all'area del
rettangolo ABCD. Al ricavo totale dobbiamo sottrarre il costo totale, che è pari all'area di colore
grigio. Per capire questo dobbiamo ricordarci che la curva di offerta corrisponde alla curva del
costo marginale. L'area al di sotto del curva del costo marginale (ossia l'area al di sotto delle
curva di offerta) corrisponde al costo totale (area grigia). Supponiamo che l'impresa venda
un’unità, in questo caso il costo marginale coincide con il costo totale. Passiamo poi alla seconda
unità venduta, il costo totale sarà dato dal costo marginale della prima unità più il costo marginale
della seconda unità, o più precisamente, dal costo della prima unità venduta più il costo della
seconda unità venduta. Sostanzialmente se noi applichiamo questo ragionamento per tutte le
unità vendute, allora l'area sotto la curva del costo marginale corrisponde esattamente al costo
totale. Dopodiché, se noi facciamo la differenza tra l'area del rettangolo ABCD, ossia il ricavo
totale, e l'area grigia al di sotto della curva del costo marginale, ossia il costo totale, otteniamo
l’area di colore azzurro, ossia il surplus del produttore.
Invece, nel grafico di destra abbiamo un costo fisso evitabile. L'area compresa tra la retta di
prezzo e la curva di offerta, ossia l'area azzurra, rappresenta sempre il surplus del produttore.
Innanzitutto ricaviamo il ricavo totale, che anche qui corrisponde al rettangolo ABHF, in quanto i
ricavi sono pari al prodotto tra il prezzo e la quantità (Q). In presenza di un costo fisso evitabile la
curva di offerta è un po’ più complicata, in quanto la scala efficiente (il costo medio minimo) non
sarà più nulla, ma sarà in corrispondenza di una quantità positiva (in corrispondenza del punto G).
Dunque, per livelli di prezzo minori del costo medio minimo l'impresa non produrrà nulla, in
quanto il ricavo totale sarà uguale al costo totale e perciò l’offerta sarà pari a zero, avremo
dunque dei profitti nulli; mentre per livelli di prezzo maggiori del costo medio minimo la curva di
offerta (che corrisponde alla curva del costo marginale) sarà positiva. Tutte cose che già
sapevamo. Ora dobbiamo capire perché il costo totale in corrispondenza di una quantità di
produzione Q (H) sia dato da tutta l'area grigia. In corrispondenza del punto G, ovvero il punto in
cui l’impresa ha la scala efficiente di produzione, l’impresa è indifferente a se produrre oppure no,
in quanto ottiene profitti nulli. Perciò, quando l’impresa produce al costo medio minimo l’impresa
farà profitti nulli. Se l’impresa fa profitti nulli vuol dire che il ricavo totale è uguale al costo totale. Il
ricavo che l’impresa conseguirà in corrispondenza della scala efficiente di produzione (punto G) è
pari all’area del rettangolo EDGF. Dato che l’impresa ottiene profitti nulli, questo ricavo totale
corrisponde anche al costo totale dell’impresa. Abbiamo quindi già identificato il costo totale che
l’impresa deve sostenere se produce fino alla scala efficiente di produzione (fino a G). Ora per
calcolare il costo totale in corrispondenza di Q (H) facciamo lo stesso ragionamento del grafico a
sinistra, secondo cui il costo totale corrisponde all'area sottesa (sottostante) alla curva di offerta,
ossia alla curva del costo marginale. Dunque, possiamo affermare che l'area del trapezio DCGH è
il costo che l’impresa deve sopportare per passare da una produzione pari a G (pari alla scala
efficiente di produzione) ad una produzione pari a H (Q). Ecco perché il costo totale evitabile è
dato dalla somma dell’area del rettangolo EDGF e dell'area del trapezio DCHG (ossia la somma
dei costi che l’impresa deve sopportare per ottenere una produzione pari a G e i costi che
l’impresa deve sopportare in più per ottenere una produzione pari a Q). Una volta trovato il costo
totale evitabile, possiamo trovare il surplus del produttore sottraendo al ricavo totale proprio il
costo totale appena ricavato, e otteniamo l'area azzurra.

Vediamo ora un esercizio:

Dobbiamo sempre partire dal presupposto che il prezzo è uguale al costo marginale in un’impresa
price-taker, e da ciò ricaviamo la quantità prodotta.

CAPITOLO 9: SCELTE STRATEGICHE


Che cos’è un gioco?
Un gioco è una situazione in cui ogni membro di un gruppo prende almeno una decisione e, nel
fare ciò, ragiona strategicamente, ovvero si preoccupa sia della propria scelta sia delle scelte
degli altri membri del gruppo. Ne sono esempio: giochi in senso stretto e sport, scelte militari,
concorrenza tra imprese, concorrenza tra candidati nelle elezioni, contrattazione sul prezzo di un
bene tra un acquirente ed un venditore,...
In un gioco ad uno stadio, ogni partecipante compie tutte le proprie scelte prima di osservare
qualsiasi scelta compiuta da qualunque altro partecipante (esempio asta a offerta segreta, dove
nessun giocatore sa quello che farà l'altro).
Invece, in un gioco a più stadi, almeno uno dei partecipanti osserva la scelta compiuta da un
altro partecipante prima di prendere una decisione (esempio asta a offerta pubblica).

Elementi di un gioco
Giocatori: l'insieme dei decisori che interagiscono strategicamente.
Azioni: ciò che ciascun giocatore può fare, ovvero le mosse a sua disposizione (esempio muovere
il pedone nel gioco degli scacchi).
Strategie: la strategia di un giocatore specifica quale azione sceglierà in ognuna delle possibili
situazioni in cui il giocatore può essere chiamato a decidere. La strategia è un piano completo di
azioni (se l'altro muove la regina, io muovo il pedone; se l’altro muove l'alfiere, io muovo la torre).
Inoltre, se il giocatore è chiamato a decidere in una situazione soltanto, le azioni coincidono con le
strategie.
Regole del gioco: quando un giocatore è chiamato a giocare e cosa può fare.
Struttura informativa del gioco: ciò che i giocatori sanno delle azioni e preferenze altrui.
Esiti del gioco: come il gioco può terminare.
Payoff: utilità di ciascun giocatore associata agli esiti del gioco.

Rappresentazione di un gioco
Ogni gioco può essere rappresentato in due modi:
-forma normale o strategica (una matrice) (sarà la forma che utilizzeremo per i giochi ad uno
stadio)
-forma estesa (albero decisionale) (sarà la forma che utilizzeremo per i giochi a più stadi)
Noi ci concentreremo sulla rappresentazione dei giochi ad uno stadio in forma formale e giochi a
più stadi in forma estesa.

Strategie dominanti
La risposta ottima di un giocatore è la strategia che gli fornisce il payoff (utilità) più alto possibile,
presupponendo che gli altri giocatori si comportino in un determinato modo.
Una strategia è una strategia dominante se è l’unica risposta ottima di un giocatore,
indipendentemente dalle scelte degli altri giocatori.

Vediamo ora di metterlo in pratica con un esempio—> dilemma del prigioniero:

Siamo di fronte ad un gioco ad uno stadio, ossia siamo di fronte ad un gioco a mosse simultanee
(non deve essere necessariamente a mosse simultanee) dove nessun giocatore può vedere ciò
che fa l'altro (ciò che importa è questo concetto). Vi sono due giocatori, Oscar e Ruggero, e una
matrice 2x2. I due giocatori hanno a disposizione due azioni (scelte): negare o fare la spia.
La matrice è divisa in quattro parti. Consideriamo il quadrante in alto a sinistra, che ci dà
informazioni riguardo a cosa accade se entrambi i giocatori decidono di negare. Il quadrante è
stato diviso in due parti, ciascuna per ogni partecipante e i numeri che vi sono all’interno
rappresentano i payoff (le utilità) che i giocatori ottengono nel caso in cui entrambi eseguono
l’azione di negare. Invece, il quadrante in alto a destra ci dà le informazioni dei payoff di ciascun
giocatore nel caso in cui il giocatore Oscar neghi e Ruggero faccia la spia. Se Oscar nega ottiene
un’utilità pari a -6, invece se Ruggero fa la spia ottiene un’utilità pari a -1. Il payoff/l’utilità sarà
tanto più elevato tanto più il numero è elevato (tanto più si avvicina a zero), dunque in questo caso
otterrà l’utilità maggiore Ruggero. Dopodiché il quadrante in basso a sinistra ci fornisce i payoff
dei giocatori nel caso in cui Oscar faccia la spia e Ruggero neghi (questo quadrante è evidenziato
in azzurro per mettere in evidenza che è stata eseguita quella azione da parte dei giocatori, ma si
poteva evidenziare qualsiasi altro quadrante). È dunque il medesimo caso di prima, ma a parti
invertite, dunque i payoff saranno gli stessi, ma invertiti. Infine, il quadrante in basso a destra ci
fornisce il payoff dei giocatori nel caso in cui entrambi facciano la spia.
A questo punto consideriamo il grafico di destra e nello specifico andiamo a considerare la
risposta ottima di Oscar e la risposta ottima di Ruggero. La risposta ottima rappresenta la
strategia che il nostro giocatore preferisce, data la strategia del suo avversario.
Vediamo ora la risposta ottima di Oscar. Se Ruggero decide di negare, Oscar preferirà fare la spia,
perché -1 è maggiore di -2, dunque Oscar conseguirà un payoff maggiore se fa la spia e se allo
stesso tempo Ruggero nega. Se invece Ruggero decide di fare la spia, Oscar preferirà fare la spia
anch'esso perché gli permetterà di conseguire un’utilità maggiore, in quanto -5 è maggiore di -6.
Dunque, la risposta ottima di Oscar alla scelta di Ruggero di negare è fare la spia, mentre la scelta
ottima sempre di Oscar alla scelta di Ruggero di fare la spia è sempre fare la spia. Possiamo
quindi affermare che per Oscar fare la spia rappresenta la strategia dominante, perché è la sua
scelta preferita indipendentemente da quello che decide di fare Ruggero.
Ora vediamo la risposta ottima di Ruggero. Se Oscar decide di negare la scelta ottima di Ruggero
è fare la spia (-1 maggiore di -2), mentre se Oscar decide di fare la spia la scelta per cui Ruggero
otterrebbe il maggiore payoff è sempre fare la spia. Possiamo perciò affermare che anche per
Ruggero la scelta di fare la spia è la strategia dominante, in quanto è sempre la scelta ottima per
Ruggero, indipendentemente dalla scelta di Oscar.

Strategie dominate (non dominante)


Una strategia è una strategia dominata se esiste una qualche altra strategia che dia un payoff
strettamente più alto, indipendentemente dalle scelte degli altri. Nessun giocatore ragionevole
sceglierebbe mai una strategia dominata, proprio per il fatto che ce ne sarà sicuramente un'altra
che gli darà un payoff più alto.
L'eliminazione iterata delle strategie dominate si riferisce al seguente procedimento:
1-rimuovere le strategie dominate dal gioco (ossia le strategie che nessun giocatore ragionevole
sceglierebbe mai)
2-esaminare il gioco semplificato per determinare se contenga nuove strategie dominate
3-se le contiene, rimuovere tali strategie
4-ripetere questo procedimento finché non resta alcuna strategia dominata da rimuovere.

Vediamo un esempio di questo procedimento:

Partendo dalla matrice completa si inizia eliminando le strategie dominate di Ruggero, ossia
quelle strategie che non danno a Ruggero il payoff più alto. Se Oscar nega Ruggero preferirà fare
la spia, dunque eliminerà la strategia dominata che consiste nel negare; se Oscar fa la spia
Ruggero preferirà sempre fare la spia, di conseguenza eliminerà la strategia dominata in base alla
quale Ruggero negava, perché tale strategia dà a Ruggero un payoff minore. Perciò possiamo
affermare che le strategie dominate di Ruggero sono quelle di negare. Ora esaminiamo dal lato di
Oscar, se Ruggero fa la spia (può fare solo questo visto che abbiamo eliminato le strategie
secondo le quali Ruggero negava) Oscar preferirà fare la spia, perciò eliminerà la strategia
dominata che consiste nel negare. Ne consegue che a seguito della rimozione della strategia
dominata sia per Ruggero che per Oscar (è indifferente da quale partire) otterremo un unico
quadrante, che corrisponde all'esito finale del gioco, secondo cui entrambi fanno la spia.
In conclusione, tramite l’eliminazione iterata delle strategie dominate siamo riusciti a ricavare
l'esito del gioco (dove entrambi i giocatori faranno la spia).

Strategie debolmente dominate


Una strategia è una strategia debolmente dominata se esiste una qualche altra strategia che dia
un payoff strettamente più alto in alcune circostanze e che non dia mai un payoff più basso,
indipendentemente dalle scelte degli altri giocatori. Sostanzialmente se il giocatore decide di
adottare una strategia debolmente dominata farà sempre peggio e in alcuni casi potrà fare al
massimo altrettanto bene usando altre strategie.
Può essere una forzatura sostenere che nessun giocatore sceglierebbe mai una strategia
debolmente dominata. È questa dunque la differenza tra la strategia dominata e la strategia
debolmente dominata. Per le strategie dominate è ovvio che nessun giocatore le sceglierebbe
perché esiste sempre un'altra strategia migliore, invece per le strategie debolmente dominate non
è detto che nessun giocatore le sceglierebbe mai, poiché se un giocatore è sicuro della scelta
dell'altro giocatore adottare una strategia debolmente dominata potrebbe essere perfettamente
ragionevole visto che gli dà un payoff esattamente uguale rispetto a quello che otterrebbe
utilizzando altre strategie. In sostanza, mentre per la strategia dominata vi sarà sicuramente una
strategia migliore, per la strategia debolmente dominata può esserci il caso in cui tale strategia
abbia la medesima utilità di un'altra strategia e, dunque, per il giocatore in tal caso sarebbe
ragionevole adottare una strategia debolmente dominata. Tuttavia, evitare in ogni caso una
strategia dominata (si intende anche quella debolmente dominata) sembra sempre una scelta più
"sicura" perché migliora la condizione del giocatore qualora si sbagliasse (qualora il giocatore si
sbagliasse sul fatto di essere sicuro della scelta dell'altro giocatore. Se il giocatore che sceglie
una strategia non dominata si sbaglia otterrebbe un’utilità maggiore rispetto a quella che
otterrebbe se avesse scelto una strategia debolmente dominata. Invece, se non si sbaglia, solo se
non si sbaglia, il giocatore ottiene il medesimo payoff sia con la strategia debolmente dominata
sia con quella non dominata).
Vediamo un esempio:

Susanna può scegliere tra alto e basso, mentre Marina può scegliere tra sinistra e destra.
Supponiamo che Marina scelga "destra", in tal caso Susanna preferirà basso, perché otterrà un
payoff pari a 1 invece che 0 (perché ottiene un payoff maggiore). Se invece Marina sceglie sinistra
per Susanna è indifferente scegliere alto o basso, perché entrambi le danno la medesima utilità
(0). Supponiamo che scelga basso, in tal caso, se Marina non scegliesse sinistra ma destra,
Susanna otterrebbe un’utilità maggiore (1) rispetto a quella che otterrebbe scegliendo alto (0).
Dunque, se Susanna è sicura che Marina sceglierà sinistra allora per Susanna scegliere alto o
basso è indifferente, ma nel caso in cui Susanna si sbagliasse e Marina non scegliesse "sinistra"
ma "destra" allora Susanna preferirà scegliere la strategia "basso". Perciò, possiamo affermare
che per Susanna "alto" è la scelta debolmente dominata (perché è una forzatura dire che Susanna
non sceglierà mai alto, potrà scegliere alto se è sicura che Marina sceglierà sinistra e non destra,
dunque non è vero che Susanna non sceglierà mai la strategia alto), in quanto se Marina sceglie
"sinistra" a Susanna dà la medesima utilità rispetto alla strategia "basso", però se Susanna si
sbagliasse e quindi Marina invece che sinistra scegliesse destra, preferirebbe la scelta "basso",
ecco perché possiamo affermare che "alto" per Susanna è la scelta debolmente dominata (perché
è la scelta peggiore se Marina sceglie destra Susanna preferirà basso e non alto, mentre se
sceglie sinistra per Susanna è indifferente. Ma tale scelta (alto) può essere altrettanto buona
(buona come la scelta basso) solo se Susanna è sicura della scelta di Marina di adottare la
strategia "sinistra").

Equilibrio di Nash
In un equilibrio di Nash, la strategia giocata da un individuo è la risposta ottima alle strategie
giocate da tutti gli altri individui. Dunque, nell'equilibrio di Nash ogni giocatore sta giocando la sua
risposta ottima, ciò vuol dire che ognuno anticipa correttamente ciò che farà ogni altro individuo,
per poi scegliere l'alternativa migliore.
L'equilibrio di Nash è un insieme di strategie, non un esito del gioco.
Un equilibrio di Nash è stabile, nel senso che ogni partecipante è soddisfatto della propria scelta
(e non è dunque interessato a cambiarla), data la scelta degli altri partecipanti.
Esperimenti di laboratorio hanno confermato che, per certi tipi di giochi, i giocatori esperti
tendono a scegliere strategie costituenti un equilibrio di Nash.
Oltre ad essere stabile, un equilibrio di Nash è un accordo self-enforcing, ovvero ogni
partecipante all'accordo ha un incentivo a rispettarlo, supponendo che lo facciano anche tutti gli
altri partecipanti.
A seconda del gioco, l'equilibrio di Nash può produrre esiti più o meno desiderabili.

Vediamo un esempio:

Cerchiamo di vedere quale è l'equilibrio di Nash nel gioco "dilemma del prigioniero", che abbiamo
visto all'inizio di questo capitolo. Ognuno dei due giocatori ha la possibilità o di negare o di fare la
spia. Riprendiamo le risposte ottime di ciascuno. Supponendo che Ruggero neghi, la risposta
ottima di Oscar sarebbe di fare la spia (evidenziato in azzurro), mentre se Ruggero fa la spia la
risposta ottima di Oscar sarebbe sempre fare la spia (evidenziato in azzurro). Vediamo ora le
risposte ottime di Ruggero, supponendo che Oscar neghi, la risposta ottima di Ruggero sarà farà
la spia (evidenziato in grigio), se invece supponiamo che Oscar faccia la spia la risposta ottima di
Ruggero sarà sempre fare la spia (evidenziato in grigio). Dopo aver individuato le risposte ottime
di ciascun partecipante, quale è il quadrante che è colorato sia di azzurro che di grigio, ossia
quale è il quadrante per cui entrambi i partecipanti fanno la scelta ottima? È il quadrante in basso
a destra, ossia il quadrante in cui sia Ruggero che Oscar fanno la spia. Questo quadrante
rappresenta proprio l'equilibrio di Nash, ossia il quadrante in cui tutti e due i giocatori stanno
adottando la loro scelta ottima.
Per comprendere il fatto che l'equilibrio di Nash è stabile e che comporta un accordo self-
enforcing, vediamo se uno dei giocatori ha un incentivo a cambiare la propria scelta supponendo
il caso in cui l'altro giocatore giocasse la scelta di equilibrio. Supponiamo che Ruggero faccia la
spia (scelta di equilibrio), Oscar ha un incentivo a passare da fare la spia, ossia la sua scelta di
equilibrio, a negare? No perché se nega ottiene un’utilità pari a -6 mentre se fa la spia ottiene
un’utilità maggiore pari a -5. Supponiamo poi che Oscar faccia la spia (scelta di equilibrio),
Ruggero ha un incentivo a cambiare la scelta di equilibrio con un'altra scelta? No perché
otterrebbe anche in questo caso un payoff minore (-6 invece che -5). E così anche per tutte le
altre ipotesi, possiamo quindi dire che i giocatori non hanno alcuna convenienza, non hanno alcun
incentivo a cambiare la propria scelta di equilibrio, in quanto otterrebbero sempre un payoff più
basso.
Avendo dimostrato ciò possiamo quindi affermare che si tratta di un equilibrio stabile e di un
accordo self-forcing perché se un giocatore suppone che l'altro non cambi idea (e che quindi
scelga la scelta di equilibrio) la cosa migliore per quel giocatore è non cambiare idea, cioè la cosa
migliore per quel giocatore è adottare la scelta di equilibrio.
Una domanda potrebbe sorgere spontanea: è chiaro che l'equilibrio di Nash sarebbe l’ideale per
entrambi i giocatori, ma i giocatori come ci arrivano a questo equilibrio? L'equilibrio di Nash non
dà una risposta a tale quesito, non dice come i giocatori potranno raggiungere l'equilibrio di Nash.
L’equilibrio di Nash dice soltanto che se si raggiunge tale esito del gioco, allora questo esito
rappresenta un equilibrio stabile e un accordo self-forcing, perché data la scelta dell'altro, nessun
giocatore vorrà mai adottare una scelta diversa dalla sua scelta di equilibrio.

Ci sono però casi in cui esistono più equilibri di Nash. Vediamo un esempio:
Questo gioco è chiamato la battaglia dei sessi, dove abbiamo due giocatori che devono decidere
quale film andare a vedere. Si suppone che Antonio ami i film d’azione, mentre Maria ami i film
romantici. Nel quadrante in alto a sinistra se entrambi scelgono il film d'azione, Antonio otterrà un
payoff elevato pari a 5 perché va a vedere il film che preferisce, mentre Maria otterrà comunque
un payoff positivo pari a 2 seppur non sia il film che preferisce perché comunque riesce a stare
con Antonio. Stesso discorso ma a parti invertite se entrambi vanno a vedere un film romantico.
Invece, nel quadrante in basso a sinistra abbiamo la situazione in cui Maria va a vedere il film
romantico mentre Antonio va a vedere il film d’azione, abbiamo dunque la situazione in cui
ognuno di loro va a vedere il film che preferisce. Tuttavia, il payoff di entrambi sarà soltanto pari a
1 perché seppur vadano a vedere il film che preferiscono, lo fanno senza l'altro. Infine, vi è il caso
peggiore in cui tutti e due vanno a vedere il film preferito dell'altro, dove quindi entrambi si trovano
senza l'altro e in più si trovano a vedere un film che non gradiscono, ne consegue che entrambi
ottengono un payoff negativo pari a -1.
Ora proviamo a ricavare l'equilibrio di Nash e quindi prima di tutto ricaviamo le risposte ottime di
ciascuno. Partiamo da Antonio, se Maria sceglie il film d'azione la scelta ottima di Antonio sarà
andare a vedere il film d'azione che dà un payoff pari a 5 (evidenziato in grigio). Se invece Maria
sceglie il film romantico, la scelta ottima di Antonio sarà vedere il film romantico (evidenziato in
grigio). Vediamo ora le scelte ottime di Maria, se Antonio sceglie il film d'azione, la risposta ottima
di Maria sarà andare a vedere il film d'azione (evidenziato in azzurro). Infine, se Antonio decide di
andare a vedere il film romantico, la scelta ottima di Maria sarà vedere il film romantico
(evidenziato in azzurro). Possiamo quindi concludere che le scelte ottime di ogni giocatore
corrispondono alla scelta che fa l'altro giocatore (se Antonio film d’azione allora Maria film
d’azione, se Maria film romantico allora Antonio film romantico,...). In questo caso, a differenza del
dilemma del prigioniero, non abbiamo un solo quadrante dove ci sono le scelte ottime di
entrambi, ma ne abbiamo due. Ciò significa che abbiamo due equilibri di Nash: quello in cui
entrambi vanno a vedere il film d'azione e quello in cui entrambi vanno a vedere il film romantico.
Se la scelta dell'altro giocatore è una scelta di equilibrio, l'altro giocatore non avrà alcun incentivo
a cambiare la sua scelta di equilibrio. Se Maria sceglie il film d’azione, Antonio non ha alcun
incentivo a cambiare la sua scelta di equilibrio, perché altrimenti passerebbe da un payoff pari a 5
ad uno pari a -1 (e così anche per gli altri casi...).

Equilibrio di Nash nei giochi con scelte perfettamente divisibili


Con quantità perfettamente divisibili, per ogni giocatore possiamo identificare una funzione di
risposta ottima, o funzione di reazione, che rappresenta la relazione tra la scelta di un giocatore
e la risposta ottima dell'altro.
Il punto di intersezione tra le funzioni di risposta ottima costituisce un equilibrio di Nash.
Vediamo un esempio:
Consideriamo due giocatori Salvatore e Elisabetta che devono scrivere (insieme) una relazione.
Partiamo dal presupposto che se Salvatore lavora più ore, Elisabetta potrà lavorare per meno ore.
Vediamo il grafico di sinistra, dove sull'asse delle ascisse abbiamo le ore di lavoro di Salvatore,
mentre sull'asse delle ordinate abbiamo le ore di lavoro di Elisabetta. La risposta ottima di
Elisabetta permette di rispondere alla seguente domanda "per ogni dato ammontare di ore di
lavoro di Salvatore quale è l'ammontare ottimale di ore che Elisabetta deve dedicare alla
relazione?". La risposta ottima viene rappresentata attraverso una funzione continua (in questo
caso una retta), proprio perché abbiamo a che fare con scelte perfettamente divisibili. Inoltre la
funzione di risposta ottima è negativamente inclinata, perché all'aumentare delle ore che
Salvatore dedica alla relazione, minori saranno le ore che Elisabetta dovrà dedicare alla relazione.
Perciò, se ad esempio Salvatore lavora per 5 ore, la risposta ottima di Elisabetta sarà pari a 10
ore. Se invece le ore di Salvatore aumentano e passano a 10, la risposta ottima di Elisabetta
diminuirà e nello specifico la risposta ottima di Elisabetta sarà pari a 5.
Stesso discorso per la risposta ottima di Salvatore, la quale ci dice l'ammontare ottimale di ore
che Salvatore deve lavorare per ogni dato ammontare di ore di Elisabetta. Anche la funzione di
reazione di Salvatore ovviamente è continua e negativamente inclinata per gli stessi motivi
spiegati precedentemente. Supponiamo che Elisabetta lavori per 5 ore, la risposta ottima di
Salvatore sarà pari a 10 ore. In questo caso le funzioni di risposta ottima (o funzioni di reazione) ci
vengono semplicemente date, non dobbiamo ricavarle.
Una volta ricavate le funzioni di reazione possiamo ricavare l'equilibrio di Nash, che sarà pari
all'intersezione tra le due funzioni, come possiamo vedere dal grafico di destra. Il punto N
rappresenta propio il punto di intersezione tra la risposta ottima di Salvatore e la risposta ottima di
Elisabetta, cioè rappresenta l'equilibrio di Nash. Supponendo che Elisabetta decida di lavorare
per otto ore, quale sarà la risposta ottima di Salvatore? 8 ore (funzione azzurra). Supponendo poi
che Salvatore decida di lavorare per 8 ore, quale sarà la risposta ottima di Elisabetta? 8 ore
(funzione grigia). Dunque, ogni giocatore sta giocando la sua risposta ottima, data la strategia
dell'altro giocatore. Detto ciò, possiamo dunque affermare che N, ossia il punto in corrispondenza
di 8 ore di lavoro per Salvatore e 8 ore di lavoro per Elisabetta, rappresenta l'equilibrio di Nash.

Strategie miste
Quando un giocatore sceglie una strategia in modo non probabilistico, ovvero senza
randomizzare, si dice che gioca una strategia pura. Non tutti i giochi hanno equilibri di Nash in
strategie pure. Le strategie pure sono quelle che abbiamo visto finora.
Quando invece un giocatore usa una regola per scegliere la strategia in modo probabilistico,
ovvero randomizzando, si dice che gioca una strategia mista.
In un equilibrio di Nash in strategie miste, i giocatori scelgono strategie miste, e la strategia
mista scelta da un giocatore è una risposta ottima alle strategie miste scelte dagli altri giocatori.

Vediamo ora il caso in cui un gioco non abbia l'equilibrio di Nash in strategie pure:
La strategia pura, come abbiamo visto poco fa, è una strategia che viene scelta da un giocatore in
modo non probabilistico. Tutte le strategie che abbiamo visto fino ad ora sono strategie pure, in
tutti i giochi che abbiamo visto fino ad ora i giocatori adottavano delle strategie pure. Finora
abbiamo visto i casi in cui ci fosse un equilibrio di Nash, o addirittura due, ora vediamo invece il
caso in cui non c’è nessun equilibrio di Nash con i giocatori che adottano sempre delle strategie
pure (strategie non basate sulla probabilità). Proviamo quindi a capire per quale motivo in questo
gioco, che prende il nome di "duello di intelletti", non esiste alcun equilibrio di Nash (in strategie
pure). Abbiamo due giocatori Vizzini e Wesley. Wesley deve decidere se mettere il veleno nel
calice sinistro o in quello destro. Invece, Vizzini deve decidere se bere dal calice sinistro o dal
calice destro. Innanzitutto, ricaviamo le risposte ottime per ciascun giocatore. Partiamo da Vizzini,
se Wesley decide di porre il veleno nel calice sinistro, la risposta ottima di Vizzini sarà ovviamente
bere dal calice destro (evidenziato in azzurro). Se invece Wesley decide di mettere il veleno nel
calice destro, la risposta ottima di Vizzini sarà bere nel calice sinistro (evidenziato in azzurro). In
questo caso i payoff sono o 1 o -1, perché o vince 1 o vince l'altro, non c’è una via di mezzo.
Vediamo ora le risposte ottime di Wesley, se Vizzini decide di bere dal calice sinistro la risposta
ottima di Wesley sarà mettere il veleno nel calice sinistro (evidenziato in grigio), mentre se Vizzini
decide di bere dal calice destro la risposta ottima di Wesley sarà mettere il veleno nel calice
destro (evidenziato in grigio). Una volta trovate tutte le risposte ottime di ciascun giocatore,
possiamo notare come non ci sia un quadrante che contenga le risposte ottime di entrambi i
giocatori e, dunque, possiamo affermare che non abbiamo nessun equilibrio di Nash.
Per ricavare l'equilibrio del gioco non dobbiamo considerare le strategie pure, ma le strategie
miste, ossia le strategie basate sulla probabilità. Un esempio di strategia mista per Wesley è porre
il veleno nel calice sinistro con una probabilità del 40% e porre il veleno nel calice destro con una
probabilità del 60%.
Noi ci limitiamo soltanto ad introdurre le strategie miste, mentre ci focalizzeremo sopratutto su
quelle pure.

•Riassumendo:
Nel duello di intelletti, la scelta da parte di Wesley e Vizzini di ogni alternativa con una probabilità
del 50% costituisce un equilibrio di Nash in strategie miste. In altre parole, anche se il duello di
intelletti non ha alcun equilibrio di Nash in strategie pure, esiste comunque un equilibrio di Nash in
strategie miste in cui Wesley decide di porre il veleno nel calice sinistro con probabilità del 50% e
decide di porre il veleno nel calice destro con probabilità del 50% e Vizzini, al contempo, decida
di bere dal calice sinistro con probabilità 50% e di bere dal calice destro con probabilità 50%.
Se Vizzini beve da ciascun calice (Vizzini bene da entrambi i calici) con una probabilità del 50%, il
payoff atteso di Wesley sarà 1 con probabilità 50% e un payoff pari a -1 con probabilità 50%. Di
conseguenza il suo payoff atteso sarà pari a 0 (ossia la media tra 1 e -1), indipendentemente da
quale calice decida di avvelenare. Perciò, per Wesley avvelenare ciascun calice con una
probabilità del 50% è una risposta ottima alla strategia di Vizzini.
Per ragioni analoghe, se Wesley avvelena ciascun calice con una probabilità del 50%, per Vizzini
scegliere ciascun calice con una probabilità del 50% è una risposta ottima alla strategia di
Wesley.
Ciò dimostra che nel caso del duello di intelletti, pur non esistendo un equilibrio di Nash in
strategie pure, esiste un equilibrio di Nash in strategie miste in cui ogni giocatore sceglie una delle
due possibili strategie con probabilità 50%.
(Va boh, non è troppo importante questo. Quello che interessa a noi è capire le strategie pure, per
quanto riguarda quelle miste dobbiamo sapere soltanto che esistono ma non sono troppo
importanti).

Giochi a più stadi


Nei giochi ad uno stadio, come abbiamo visto finora, ogni giocatore compie la propria mossa
simultaneamente rispetto all'altro giocatore, o comunque senza conoscere la mossa dell'altro
giocatore. Esistono però anche giochi a più stadi.
In un gioco a più stadi con informazione perfetta, i giocatori compiono le proprie scelte uno
alla volta (a più stadi appunto, uno dopo l'altro) e nulla è nascosto ad alcun altro giocatore. Ne è
un esempio il gioco degli scacchi.
Tale gioco viene rappresentato con un diagramma ad albero che identifica i giocatori e mostra
ogni possibile sequenza di decisioni, insieme ai relativi payoff. Vediamo un esempio di diagramma
ad albero:
In questo diagramma ad albero (in questo gioco a più stadi con informazione perfetta) abbiamo
due giocatori Antonio e Maria. Il gioco parte da Antonio, che è dunque il giocatore che fa la prima
mossa. Antonio può scegliere tra due azioni: andare a vedere il film d'azione o il film romantico.
Se Antonio sceglie il film d'azione, il gioco si evolve e passa dal punto A al punto B. A questo
punto tocca a Maria scegliere se andare a vedere il film d’azione o il film romantico, sapendo della
scelta di Antonio. È questa la differenza, ossia il fatto che Maria quando deve scegliere è già a
conoscenza della scelta di Antonio. Stessa logica se Antonio sceglie di andare a vedere il film
romantico. Alla fine del diagramma ad albero abbiamo i payoff, che vengono rappresentati dai
punti D, E, F e G, dopo che sia Antonio che Maria hanno effettuato la loro scelta.
Come possiamo risolvere questo gioco? Antonio nel momento in cui effettua la prima scelta può
già supporre la scelta che Maria farà. Perché? Supponiamo che Antonio scelga il film d'azione,
Maria sceglierà di andare a vedere il film d’azione, perché le dà un payoff maggiore (2 invece che
1). Se invece Antonio decide di andare a vedere il film romantico, Maria sceglierà il film romantico
(poiché le dà un payoff pari a 5 invece che -1). Ciò ci dice che Antonio, nel momento in cui prende
la sua decisione, in qualche modo deve tenere conto di quello che succederà dopo, deve tenere
conto della scelta di Maria. Dunque, Antonio per stabilire la propria scelta ottimale farà un
ragionamento a ritroso, che prende il nome di induzione all'indietro, ovvero partirà dalla fine del
gioco, ossia dalla scelta che effettuerà Maria, per poi passare all'inizio del gioco, ossia per poi
capire la scelta ottimale per lui. Vediamo ora spiegato meglio questo concetto nel paragrafo
successivo.

Induzione all'indietro ed equilibrio di Nash


Un giocatore dovrebbe ragionare a ritroso, partendo dal termine del diagramma ad albero e
risalendo al suo inizio.
Anche prima di decidere cosa fare, un giocatore a cui spetta la mossa è in grado di determinare
come reagirà un giocatore a cui spetta la mossa successiva e quindi può indovinare la scelta
migliore per lui. L'induzione all'indietro (o backward induction) è, dunque, il procedimento di
risoluzione di un problema strategico in cui si ragiona a ritroso, partendo dal termine del
diagramma ad albero ed operando all’indietro fino all'inizio del diagramma.
L’induzione all'indietro non solo ci permette di individuare gli equilibri di Nash, ma ci permette
anche di individuare gli equilibri di Nash credibili, o perfetti, del gioco a più stadi, eliminando gli
equilibri di Nash che non sono credibili.

La strategia di un giocatore è il suo piano particolareggiato (è scritto giusto) per giocare il gioco
e, per ogni situazione che potrebbe presentarsi nel corso del gioco, essa ci dice cosa farà il
giocatore (in altre parole, la strategia ci dice quello che il giocatore farà in ogni possibile
situazione). Consideriamo il gioco della battaglia dei sessi diseguale che abbiamo visto nel
precedente diagramma ad albero. Quali sono le strategie di Antonio? Scegliere tra film d'azione e
film romantico. In questo caso, le azioni corrispondono alle strategie. Più complicata è invece la
strategia di Maria, perché deve tenere conto di quello che è successo prima, ovvero deve tenere
conto della scelta di Antonio. Dunque, quali sono le strategie di Maria? Le strategie possibili di
Maria sono 4: 1) se Antonio sceglie film d'azione, scegliere il film d'azione. Se Antonio sceglie film
romantico, scegliere il film d'azione. La prima strategia di Maria quindi può essere quella di
scegliere il film d'azione indipendentemente dalla scelta di Antonio. 2) se Antonio sceglie film
d'azione, scegliere il film romantico. Se Antonio sceglie film romantico, scegliere il film romantico.
La seconda strategia perciò può essere quella di scegliere il film romantico indipendentemente
dalla scelta di Antonio. 3) se Antonio sceglie film d'azione, scegliere il film d'azione. Se Antonio
sceglie film romantico, scegliere il film romantico. La terza strategia può essere quella di scegliere
lo stesso film che sceglie Antonio. 4) se Antonio sceglie film d'azione, scegliere il film romantico.
Se Antonio sceglie film romantico, scegliere il film d’azione. La quarta e ultima strategia può
essere quella di scegliere il film diverso da quello scelto da Antonio. Sono queste le quattro
possibili strategie che Maria ha a disposizione. Da ciò quindi possiamo vedere come la strategia
di Maria sia più complicata rispetto a quella di Antonio, perché essa deve tenere in
considerazione anche della scelta dell'altro giocatore (le strategie possibili di Antonio sono 2,
mentre quelle di Maria sono 4. La strategia dunque prescrive quello che il giocatore farà in ogni
possibile situazione.

Un equilibrio di Nash per la battaglia dei sessi diseguale (il gioco che abbiamo visto rappresentato
nel diagramma ad albero) è costituito da una coppia di strategie, una per Antonio ed una per
Maria, tali che la strategia di Antonio sia una risposta ottima alla strategia di Maria e quella di
Maria sia una risposta ottima a quella di Antonio.
Utilizzando l'induzione all’indietro, la seguente coppia di strategie rappresenta un equilibrio di
Nash: 1) se Antonio decide di andare a vedere il film d'azione, Maria sceglierà il film d'azione.
Quindi Antonio già sa che se lui decide di andare a vedere il film d’azione Maria lo seguirà, ne
consegue che Antonio in tal caso otterrà un payoff pari a 5 (punto D del diagramma ad albero). Se
invece Antonio decide di andare a vedere il film romantico, Maria sceglierà il film romantico.
Quindi Antonio sa già che se lui decide di andare a vedere il film romantico Maria lo seguirà, ne
consegue che Antonio in tal caso otterrà un payoff pari a 2 (punto G). A questo punto Antonio
deve confrontare i due payoff (5 e 2) e possiamo dunque affermare che la scelta di Antonio sarà
quella di andare a vedere il film d'azione, ossia la scelta che gli permetterà di ottenere il payoff più
alto, che è pari a 5 (sapendo che Maria sceglierà anch'essa il film d'azione). Possiamo quindi
concludere che in base al procedimento di induzione all’indietro, Antonio sceglierà il film d'azione.
2) ora vediamo la strategia che adotterà Maria, ossia ciò che Maria farà in ogni possibile
situazione. Se Antonio sceglie il film d'azione, Maria, come sappiamo, sceglierà il film d'azione. Se
Antonio sceglie il film romantico, Maria sceglierà il film romantico. Dunque, la strategia di
equilibrio di Maria è la seguente: se Antonio sceglie il film d'azione, Maria sceglierà il film
d'azione; se Antonio sceglie il film romantico, Maria sceglierà il film romantico. Questa è la
strategia di Maria.
Possiamo dire che la strategia di Maria asseconda la scelta di Antonio, ecco perché il gioco si
chiama "battaglia dei sessi diseguale", perché uno (Maria) di fatto si deve soltanto limitare a
seguire l'altro (Antonio).
Riassumendo, utilizzando l'induzione all'indietro, la coppia di strategie che permette di ottenere
l'equilibrio di Nash è la seguente:

Ora verifichiamo che la coppia di strategie che abbiamo appena ricavato costituisca
effettivamente un equilibrio di Nash. Per fare ciò, adottiamo lo stesso procedimento che abbiamo
già visto in precedenza, ossia vediamo se uno dei giocatori ha un incentivo a deviare, cioè se data
la strategia di un giocatore l'altro ha un incentivo a cambiare idea. Data la strategia di Maria,
Antonio ha un incentivo a cambiare idea e a spostarsi dal film d’azione (la sua scelta di equilibrio)
al film romantico? No perché otterrebbe un payoff minore, in quanto se Antonio sceglie il film
romantico di conseguenza anche Maria sceglierà il film romantico e il payoff che otterrebbe in tal
caso sarebbe pari a 2, minore del payoff pari a 5 che otterrebbe scegliendo il film d'azione,
(consapevole che poi anche Maria sceglierà il film d'azione). Antonio dunque, data la strategia di
equilibrio di Maria, non ha nessun incentivo a deviare, a cambiare scelta. Ora vediamo il punto di
vista di Maria, se Antonio decide di andare a vedere il film d'azione (strategia di equilibrio di
Antonio), Maria ha un incentivo a cambiare idea e scegliere il film romantico anziché quello
d'azione (strategia di equilibrio di Maria)? No perché otterrebbe un payoff pari a 1 invece che 2.
Maria, dunque, data la strategia di equilibrio di Antonio (scegliere il film d'azione) non ha alcun
incentivo a deviare.

Equilibri di Nash non credibili


La battaglia dei sessi diseguale ha anche degli altri equilibri di Nash, che però non sono credibili
(o non sono perfetti).
Ad esempio la seguente coppia di strategie costituisce un equilibrio di Nash (non credibile):
-strategia di Antonio: scegliere il film romantico.
-strategia di Maria: se Antonio sceglie il film d'azione, scegliere il film romantico. Se Antonio
sceglie il film romantico, Maria sceglierà il film romantico. Ossia la strategia di Maria è quella di
scegliere il film romantico indipendentemente dalla scelta di Antonio. Maria minaccia di andare a
vedere il film romantico, qualunque cosa faccia Antonio. Tuttavia, la minaccia di Maria non è
credibile. Antonio sa che Maria, se egli ha scelto il film d'azione, preferirà il film d'azione (perché
gli darà un payoff pari a 2 invece che pari a 1), ovvero non attuerà la minaccia.
Come sappiamo, è l'induzione all'indietro che permette di individuare gli equilibri di Nash credibili
(o perfetti), è quindi attraverso l'induzione all'indietro che Antonio riesce a capire che la minaccia
di Maria non è credibile. Ragionando a ritroso, siamo in grado di identificare l'equilibrio più
ragionevole, ovvero un equilibrio in cui nessuno commette lo sbaglio di credere ad una minaccia
che non è credibile.

Cooperazione nei giochi ripetuti


La cooperazione è generalmente sostenuta dalla minaccia di una punizione per un
comportamento cattivo o dalla promessa di una remunerazione per un comportamento buono.
Un gioco ripetuto è il gioco che si forma giocando molte volte in successione un gioco più
semplice ad uno stadio.
Un gioco ripetuto per un numero finito di volte è il gioco che si forma ripetendo un numero
fisso di volte un gioco più semplice, dopodiché il gioco termina.
Un gioco ripetuto all'infinito è il gioco che si forma ripetendo infinitamente un gioco più
semplice ad uno stadio (ciò non vuol dire per forza che il gioco non finisce mai, ma
semplicemente non viene ripetuto per un numero finito/fisso di volte).
In un gioco ad uno stadio ripetuto, l'equilibrio di un gioco ad uno stadio è sempre un equilibrio di
Nash per il gioco ripetuto, indipendentemente dal fatto che questo venga ripetuto finitamente
oppure infinitamente.
Se il gioco viene ripetuto un numero finito di volte, non esiste alcun altro equilibrio ragionevole,
perché le minacce di punizione o le promesse di cooperazione non sono credibili. Consideriamo
ad esempio il seguente gioco "dilemma dei coniugi".
I due coniugi, Margherita e Omero devono decidere se pulire la casa o oziare. Ogni coniuge
preferirebbe ovviamente oziare anziché pulire la casa (1 maggiore di 0). Però entrambi stanno
meglio se puliscono ambedue la casa, invece che oziare tutti e due (2 maggiore di 1). Infine, ogni
coniuge preferisce oziare mentre l'altro pulisce (payoff pari a 3). Ricaviamo ora l'equilibrio di Nash
nel gioco ad uno stadio, ossia nel gioco con mosse simultanee. Se Omero ozia, la risposta ottima
di Margherita è oziare. Se Margherita ozia, anche la risposta ottima di Romero è oziare.
L'equilibrio di Nash è dunque rappresentato dal riquadro in basso a destra, in quanto rappresenta
la scelta ottima di ogni coniuge. Supponiamo ora di ripetere questo gioco un numero finito di
volte. Non importa quante volte il gioco viene ripetuto. Un gioco di questo tipo va risolto tramite il
procedimento di induzione all'indietro. Quale sarà l'equilibrio nel periodo finale, ossia dopo aver
ripetuto il gioco per un numero finito di volte? Quale sarà l’equilibrio se entrambi sanno che si
lasceranno quel giorno? L’equilibrio sarà sempre rappresentato dal riquadro in basso a destra,
ovvero dalla scelta per entrambi di oziare. Facciamo ora un passo indietro e consideriamo non più
il periodo finale, ma il periodo precedente. I due coniugi sanno che tra due giorni si lasceranno e
sanno anche che il giorno dopo tutti e due ozieranno. Quale sarà l’equilibrio del gioco in questo
periodo, ossia due giorni prima che si lascino? L’equilibrio sarà ancora rappresentato dalla scelta
per entrambi di oziare. Ciò perché non esiste la possibilità di punire l'altro coniuge per il fatto che
ozi o di ricompensarlo per il fatto che pulisce, ecco perché entrambi decideranno di oziare se tutti
e due sono consapevoli che si lasceranno. Possiamo portare questo stesso ragionamento fino
all'inizio del gioco, ma l'equilibrio del gioco sarà sempre il medesimo. Questo spiega perché in un
gioco ripetuto un numero finito di volte l’unico equilibrio è quello del gioco ad uno stadio/gioco
statico (ossia l'equilibrio di Nash).

Se, invece, il gioco viene ripetuto un numero infinito di volte, la cooperazione può essere
sostenuta mediante l’utilizzo di strategie che minacciano una punizione permanente del
comportamento egoista, note come strategie punitive (o grim strategies). Sempre nel "dilemma
dei coniugi", un esempio di strategia punitiva è la seguente: pulire la casa il primo giorno. Nei
giorni successivi fare le pulizie, purché il mio coniuge ed io abbiamo pulito la casa ogni giorno
precedente. Altrimenti, oziare (in pratica i due coniugi devono sempre pulire la casa assieme,
altrimenti se un coniuge decide di oziare allora l’altro deciderà di oziare per sempre). Un coniuge
sta dunque minacciando l'altro coniuge, in quanto sta dicendo che lui pulirà la casa il primo
giorno, ma nel caso in cui l'altro coniuge dovesse oziare, allora lui ozierà per sempre. Ora
dobbiamo verificare se questa strategia costituisce un equilibrio di Nash, quindi dobbiamo capire
se il coniuge ha un incentivo a deviare da questa strategia e capire se la minaccia che il coniuge
sta facendo (ossia la minaccia di oziare se l'altro coniuge ozia) sia credibile. Dalla figura
precedente rappresentativa del gioco, possiamo vedere che se entrambi puliscono la casa,
entrambi ottengono un payoff pari a 2. Dunque, se entrambi i coniugi continuano a pulire, la
strategia dà un payoff di 2 per ogni giorno che avanza. Qualora però Omero decidesse di deviare
(Margherita continua a pulire) passerebbe da un payoff pari a 2 ad un payoff pari a 3. Però se
Omero decide di deviare e dunque decide di oziare, allora Margherita, in base alla sua minaccia,
deciderà di oziare sempre. Da ciò consegue che Omero, nel momento in cui decide di deviare
otterrà un’utilità in più, perché da 2 passa a 3. Tuttavia nei giorni seguenti avrà sempre un’utilità
inferiore, perché a seguito della scelta di Omero di deviare, Margherita deciderà di oziare per
sempre. Quindi ad Omero non conviene deviare, perché ottiene un payoff maggiore soltanto il
giorno stesso, mentre nei giorni successivi otterrà sempre un payoff minore. Possiamo dunque
affermare che se i coniugi si preoccupano abbastanza del futuro, allora ad essi conviene
cooperare facendo entrambi le pulizie (possiamo quindi affermare che questa strategia costituisce
un equilibrio di Nash, perché se entrambi puliscono nessuno ha incentivi a deviare).
Però c’è un altro punto da tenere in considerazione. Omero deve capire se la minaccia di
Margherita di oziare per sempre è credibile o meno. Se Omero decide di oziare, Margherita
preferirà oziare (perché otterrà un payoff di 1 invece che 0). Uguale il contrario, se Margherita
decide di oziare, Omero preferirà oziare. Di conseguenza possiamo affermare che la minaccia è
credibile, poiché se un coniuge ozia, l'altro ha convenienza ad oziare anche lui. La minaccia è
credibile proprio perché costituisce l’equilibrio di un gioco ad uno stadio (il fatto che entrambi
oziano rappresenta l'equilibrio del gioco, ecco perché sarà credibile come minaccia).
Possiamo quindi concludere che nei giochi ripetuti un numero infinito di volte è possibile
sostenere la cooperazione tramite una minaccia. La minaccia consiste nel fatto che se uno dei
due devia (se uno dei due ozia), allora entrambi i giocatori devieranno (ozieranno, perché oziare
rappresenta l’equilibrio del gioco). Questa minaccia non si verifica mai in equilibrio, in quanto in
equilibrio entrambi i giocatori puliranno. È solamente una minaccia, la cosa importante è che
questa minaccia sia credibile, perché qualora non lo fosse l'altro giocatore deciderebbe di deviare
dalla strategia di equilibrio (pulire).
CAPITOLO 10: EQUILIBRIO ED EFFICIENZA
Quali fattori rendono un mercato concorrenziale?
Un mercato è perfettamente concorrenziale quando sia i compratori sia i venditori non
esercitano alcun effetto sul prezzo, ovvero sono price-taker (significa che considerano il prezzo
come dato, essi si considerano così piccoli che qualsiasi loro decisione non è in grado di
influenzare il prezzo di mercato). Vi sono tre fattori che caratterizzano un mercato perfettamente
concorrenziale:
1- assenza di costi di transazione: le transazioni tra compratori e venditori possono avere luogo
senza che vi siano particolari ostacoli. I costi di transazione sono i costi che i compratori e i
venditori devono sopportare al di là del prezzo d’acquisto del bene. Ad esempio nel mercato delle
telecomunicazioni, l'assenza di costi di transazione significa poter passare liberamente da un
operatore all'altro (ad esempio prima quando si decideva di cambiare operatore si doveva
sostenere il costo di transazione di dover cambiare il proprio numero di telefono, costo di
transazione che molti non volevano sostenere).
2- prodotti omogenei: i prodotti sono identici agli occhi dei consumatori (ad esempio il grano
oppure la benzina).
3- elevato numero di venditori: ciascun venditore detiene una piccola frazione dell'offerta di
mercato ed agisce da impresa price-taker (prende il prezzo come dato, senza avere possibilità di
influenzarlo) (piccola scala efficiente di produzione).
In un mercato perfettamente concorrenziale, i consumatori comprano dal venditore con il prezzo
inferiore, perché se i prodotti sono omogenei ai compratori interessa solamente il prezzo. Ne
consegue che nessuna impresa è in grado di fissare un prezzo superiore alle altre senza perdere i
clienti (sempre per il fatto che il prodotto è omogeneo e dunque identico agli occhi dei
consumatori) e, quindi, dato un elevato numero di venditori, il prezzo non varierà neanche a fronte
di un forte aumento dell’offerta di un venditore, proprio per il fatto che il venditore è così piccolo
da non essere in grado di influenzare il prezzo di mercato.

Domanda di mercato
Riprendiamo ora dei concetti che avevamo già studiato nei capitoli precedenti.
La domanda di mercato di un bene possiamo definirla come la somma delle domande individuali
di tutti i consumatori. Dal punto di vista grafico, la curva di domanda di mercato può essere
ottenuta tramite la somma orizzontale delle curve di domanda individuali.
Vediamo un esempio graficamente:

Come sempre sull'asse delle X abbiamo la quantità, mentre sull'asse delle Y abbiamo il prezzo.
Nel grafico di sinistra vediamo rappresentate due curve di domanda individuali di due
consumatori diversi: Emilia e Gianni. La curva di domanda di Emilia ci dice che in corrispondenza
di un prezzo pari a 1,50 Emilia domanderà 3 coni. Mentre la curva di domanda di Gianni ci dice
che in corrispondenza di un prezzo pari a 1,50 Gianni domanderà 4 coni. Invece, per un prezzo
superiore a 2,50 solamente Emilia avrà una domanda positiva. In corrispondenza di un prezzo pari
a 2,50 Emilia domanderà un cono, mentre Gianni 0. Ora dobbiamo ricavare la domanda di
mercato. Innanzitutto, possiamo affermare che in corrispondenza di un prezzo superiore a 2,50 la
domanda di mercato equivarrà alla domanda di Emilia, in quanto la domanda di Gianni non esiste
per quel intervallo di prezzo. Possiamo poi affermare che per un prezzo superiore a 3 la domanda
di mercato è nulla, ossia è pari a zero. Infine, per un prezzo inferiore a 2,50, la domanda di
mercato è uguale alla somma orizzontale tra la domanda individuale di Emilia e di Gianni. Ciò lo
possiamo vedere nel grafico a destra. Nello specifico, sappiamo che per un prezzo pari a 1,50 la
domanda di Emilia sarà pari a 3, mentre quella di Gianni sarà pari a 4. Di conseguenza, facendo la
somma tra le due domande possiamo affermare che la domanda di mercato in corrispondenza di
un prezzo pari a 1,50 sarà pari a 7, e così per tutti i livelli di prezzo. È così che si trova la domanda
di mercato, sommando le domande individuali appunto.
Vediamo ora un esempio analitico (coi numeri):

Offerta di mercato
L'offerta di mercato di un prodotto è la somma di tutte le offerte individuali dei venditori. Dal
punto di vista grafico, la curva di offerta di mercato è la somma orizzontale delle curve di offerta
individuali.
Vediamola graficamente:
Sull'asse delle ascisse abbiamo le quantità offerte, mentre sull'asse delle ordinate abbiamo il
prezzo. Nel grafico di sinistra abbiamo le offerte individuali di due imprese, che chiamiamo
Roberto e Anna. In corrispondenza di un prezzo minore di 0,50 Roberto non produce e non offre
nulla, la sua curva di offerta è nulla. Invece la curva di offerta di Anna sarà nulla in corrispondenza
di un prezzo pari a 1. Ora effettuando lo stesso ragionamento che abbiamo visto con la domanda
di mercato possiamo ottenere il grafico dell'offerta di mercato, ossia sommando le offerte
individuali.
Vediamolo ora analiticamente:

Nel lungo periodo, in un mercato esiste libertà d'entrata quando la tecnologia è liberamente
disponibile a chiunque desideri avviare un'impresa e l’ingresso non è limitato. Dunque, nel caso di
libertà d'entrata, il numero delle imprese potenziali è illimitato.

Vediamo ora graficamente la curva di offerta di lungo periodo con libertà d'entrata:

Nel grafico di sinistra abbiamo l'offerta individuale nel lungo periodo. La curva di offerta
corrisponde alla curva del costo marginale per livelli di prezzo maggiori del costo medio minimo.
Mentre per livelli inferiori del costo medio minimo l'offerta è nulla. Sono concetti che abbiamo già
visto nei capitoli precedenti. A questo punto partendo dall'offerta individuale di lungo periodo
dobbiamo rappresentare l'offerta di mercato nel lungo periodo. Supponiamo di avere 5 imprese,
come facciamo a determinare l'offerta di mercato di queste 5 imprese? Innanzitutto sappiamo che
per un prezzo inferiore al costo medio minimo nessuna impresa produrrà, l'offerta sarà dunque
nulla. Invece, per un prezzo superiore al costo medio minimo tutte le imprese produrranno e
l'offerta di mercato coincide con la somma delle offerte individuali, ossia coincide con la curva di
offerta S5. A questo punto vediamo cosa succede in corrispondenza di un prezzo esattamente
uguale al costo medio minimo. In tal caso le imprese saranno indifferenti tra produrre o non
produrre. Ma qualora le imprese decidessero di produrre, dovrebbero produrre alla loro scala
efficiente di produzione, ovvero in corrispondenza di 200 panchine (ossia in corrispondenza del
punto minimo della curva del costo medio). In corrispondenza di 5 imprese possiamo avere
differenti combinazioni di offerta di mercato. Nel punto A abbiamo solo un’impresa che produce
(che produce alla scala efficiente pari a 200), mentre le altre 4 non producono e dunque si ha
un'offerta di mercato pari a 200. Invece, nel punto B vi sono due imprese che producono e
dunque si ha una produzione totale (un'offerta di mercato) pari a 400 (perché ogni impresa
produce alla sua scala efficiente, ossia ogni impresa produce 200 panchine al mese), mentre le
restanti 2 non producono, e così via con la stessa logica. Quindi se tutte e cinque le imprese
producono, l'offerta sarà pari a 1000 (200x5). In sostanza nel caso di un prezzo pari al costo
medio minimo, o l’impresa produce alla sua scala efficiente o non produce.
Stesso ragionamento può essere fatto nel caso di 10 imprese (dove avremo la curva di offerta S10
se il prezzo è maggiore del costo medio minimo, ecc. ecc.).
Se consideriamo un numero infinito di imprese: se il prezzo è maggiore del costo medio minimo
l'offerta sarà infinita, mentre se il prezzo è uguale al costo medio minimo l'offerta sarà la
combinazione di tutti i possibili punti.

Una volta determinata la domanda di mercato e l'offerta di mercato possiamo ricavare l'equilibrio
di mercato, che è l’intersezione tra le due rette.

Possiamo poi determinare anche l'equilibrio di lungo periodo con libertà d'entrata.
Supponendo che l’offerta sia una retta perfettamente orizzontale, ne consegue che il prezzo di
mercato è uguale al costo medio minimo. La quantità scambiata sarà pari all’intersezione tra la
curva di domanda e la curva di offerta di lungo periodo.

Equilibrio concorrenziale di lungo periodo con libertà d'entrata


L'equilibrio concorrenziale di lungo periodo con libertà d'entrata è caratterizzato da tre proprietà:
-il prezzo di equilibrio deve essere pari al costo medio minimo (come abbiamo potuto vedere dal
grafico precedente).
-le imprese devono ottenere profitti nulli (le imprese sia se producono sia se non producono
otterranno sempre profitti nulli nell'equilibrio concorrenziale di lungo periodo con libertà d’entrata).
-le imprese attive devono produrre in corrispondenza della scala efficiente di produzione.

Vediamo ora come differiscono le risposte delle imprese alle variazioni della domanda, a seconda
che ci troviamo nel breve o nel lungo periodo:

Consideriamo nel grafico di sinistra un aumento della domanda. La domanda iniziale è


rappresentata dalla retta di colore grigio scuro. Supponiamo ora che la domanda aumenti e che
passi dalla retta di colore grigio scuro alla retta di colore grigio chiaro. Vi sono poi altre due curve:
S10, che rappresenta la curva di offerta in corrispondenza di 10 imprese e Sinf, ossia la curva di
offerta di lungo periodo in corrispondenza di un prezzo pari al costo medio minimo (100). Il punto
A è il punto in cui abbiamo un equilibrio sia nel breve sia nel lungo periodo. Infatti, il punto A è il
punto di intersezione tra la domanda D e sia l'offerta di breve (S10) sia l'offerta di lungo (Sinf).
Come abbiamo visto prima, la scala efficiente di produzione è pari a 2000, quindi la produzione in
presenza di 10 imprese attive (che decidono di produrre) sarà pari a 2000. Nel breve periodo il
numero di imprese non varia. Cosa succede quindi a fronte di un aumento improvviso della
domanda di mercato? L’equilibrio di mercato si sposterà dal punto A al punto B, ne consegue che
le nostre imprese ottengono profitti positivi, poiché il prezzo risulta essere maggiore del costo
medio minimo (punto B è maggiore del punto A).
Invece, a seguito di un aumento della domanda se passiamo dal breve al lungo periodo, il punto
di equilibrio sarà il punto C, ovvero il punto di intersezione tra la nuova curva di domanda di
mercato e la curva di offerta di lungo periodo (Sinf). In questo caso le imprese ristornano ad avere
profitti nulli, in quanto il prezzo equivale al costo medio minimo, e la produzione sarà pari a 4000,
possiamo dunque constatare che le imprese sono passate da 10 a 20 (20x200=4000).
Consideriamo ora il grafico di destra, consideriamo perciò il caso di una diminuzione della
domanda. Partiamo dal punto A, ossia il punto di equilibrio sia di breve sia di lungo periodo,
ovvero il punto in cui vi è l’intersezione tra la curva di domanda iniziale e sia l’offerta di breve che
di lungo periodo. A fronte di una riduzione della domanda, il nuovo punto di equilibrio sarà B,
ossia il punto di intersezione tra la nuova curva di domanda e l'offerta di breve periodo. In tal caso
le 10 imprese incorrono in perdite, poiché il nuovo prezzo di equilibrio è minore del costo medio
minimo. Se passiamo dal breve al lungo periodo, il punto di equilibrio sarà C, ovvero il punto di
intersezione tra la nuova curva di domanda e la curva di offerta di lungo periodo. In
corrispondenza del punto C la produzione è pari a 1000, ne consegue che il numero di imprese si
è ridotto da 10 a 5 (200x5=1000).

Vediamo ora un esercizio:


1)sappiamo che il prezzo nel lungo periodo con libertà d'entrata è uguale al costo medio. Poi per
ricavare la scala efficiente di produzione (Q) facciamo l’uguaglianza tra il costo medio e il costo
marginale. Nella parte sinistra dell'uguaglianza, il costo medio (AC) lo troviamo sommando il costo
variabile e il costo fisso e dividendo tale somma per Q. Mentre nella parte destra avremo il costo
marginale ossia la derivata dei costi. Facendo i relativi calcoli troveremo la scala efficiente di
produzione. Poi sostituiamo la scala efficiente nella funzione dei costi medi (ma avremmo potuto
farlo anche nella funzione del costo marginale, tanto è uguale) e troviamo il costo medio (11,50).
Sapendo che il prezzo è uguale al costo medio,
abbiamo ricavato anche il prezzo. Lo sostituiamo alla funzione di domanda e otteniamo la
quantità prodotta. Dividendo la quantità prodotta per la scala efficiente di produzione (perché tutti
se producono, producono alla scala efficiente) e otteniamo il numero di imprese.
2)troviamo la scala efficiente di produzione facendo sempre l’uguaglianza tra il costo medio e il
costo marginale. Però, rispetto a prima per quanto riguarda il costo medio teniamo in
considerazione solamente i costi variabili, perché i costi fissi sono irrecuperabili e quindi non
devono essere considerati nel breve periodo. Ricaviamo una scala efficiente uguale a zero. La
sostituiamo nella funzione del costo medio di breve periodo (che non tiene in considerazione dei
costi fissi) e otteniamo appunto il costo medio minimo di breve periodo. Siccome nel breve
periodo il prezzo è uguale al costo marginale, ricaviamo la funzione di offerta proprio facendo
l'uguaglianza tra il costo marginale e P (5+Q/40=P). Poi esplicitando per Q otteniamo la funzione
di offerta 40P-200. Tale funzione di offerta sarà valida solamente per i prezzi maggiori uguali a 5,
perché sappiamo che per un prezzo inferiore al costo medio minimo (inferiore a 5) l'impresa non
produce.
Infine, sapendo che le imprese sono 100, moltiplichiamo la funzione di offerta per 100 e otteniamo
così l'offerta di breve periodo nel caso di 100 imprese.
3)ora ricaviamo il nuovo equilibrio di breve periodo e lo ricaviamo facendo l’uguaglianza tra la
domanda e l'offerta ovviamente. Esplicitando poi per P otteniamo il prezzo di equilibrio.
Sostituendo poi il prezzo nella funzione di domanda (o in quella di offerta, è indifferente) otteniamo
la quantità di equilibrio. Ora calcoliamo il numero di imprese attive nel breve periodo. Nel periodo
precedente le imprese attive erano pari a 100 (esercizio 1). Per trovare la quantità che vende ogni
impresa, quindi faremo 46000 (la quantità di equilibrio) fratto il numero di imprese (100) e
otteniamo 460 (quantità che vende ogni impresa). Ora verifichiamo che ogni impresa attiva
ottenga dei profitti positivi. I profitti come sappiamo sono pari ai ricavi meno i costi. I ricavi sono
dati dal prezzo (16,5) per la quantità (460), mentre i costi sono la somma tra i costi variabili e fissi
(consideriamo anche i costi fissi irrecuperabili perché il profitto ne tiene conto, è il surplus che non
considera i costi fissi irrecuperabili). Otteniamo così un profitto positivo pari a 1800.
Ora ricaviamo il nuovo equilibrio di lungo periodo sostituendo il prezzo di lungo periodo trovato
nel primo esercizio (11,5) alla funzione di domanda. La quantità di equilibrio sarà pari a 52000.
Infine, calcoliamo il numero di imprese attive nel lungo periodo, sapendo che la scala efficiente di
produzione del lungo periodo è pari a 260 (ricavata nel primo esercizio). Facendo il rapporto tra la
quantità di equilibrio (52000) e la scala efficiente (260) otteniamo il numero di imprese attive nel
lungo periodo, che è pari a 200.

NOTA: i costi fissi nel lungo periodo sono evitabili. NEL LUNGO PERIODO TENIAMO IN
CONSIDERAZIONE DEI COSTI FISSI IRRECUPERABILI PER CALCOLARE IL COSTO MEDIO, IN
QUANTO NEL LUNGO PERIODO QUESTI COSTI NON SONO PIÙ IRRECUPERABILI. MENTRE
NEL BREVE PERIODO I COSTI FISSI IRRECUPERABILI NON VANNO PRESI IN
CONSIDERAZIONE.
Nel breve periodo il numero di imprese è fisso, perché nel breve le imprese non possono entrare
ed uscire liberamente dal mercato. Inoltre, nel breve periodo i costi fissi sono irrecuperabili,
dunque quando calcoliamo la scala efficiente di produzione non dobbiamo tenerli in
considerazione (cosa che invece facciamo nel lungo periodo).
La scala efficiente di produzione tra il breve e il lungo periodo varia proprio perché nel lungo
periodo per quanto riguarda il costo medio si tengono in considerazione anche i costi fissi (che
nel lungo periodo non sono più irrecuperabili), mentre nel breve periodo non si tengono in
considerazione i costi fissi (irrecuperabili) nel calcolo del costo medio.

Surplus totale ed efficienza economica


Il concetto di surplus lo avevamo già visto ma solamente in un'ottica individuale (o nell'ottica solo
del consumatore o solo del produttore), ora lo vediamo in un'ottima aggregata, di mercato. Quindi
ora introduciamo il concetto di surplus totale.
Il surplus totale (o surplus aggregato o surplus sociale) misura il beneficio netto generato dalla
produzione e dal consumo di un bene. Il surplus totale è uguale a:
Beneficio totale del consumo - costi totali di produzione evitabili
Ma il surplus totale può essere anche scritto come:
Disponibilità totale a pagare - costi totali di produzione evitabili
(Noi preferiamo la prima definizione)
Un sistema economico che massimizza il surplus totale genera il massimo beneficio netto. Tale
sistema economico è economicamente efficiente nel senso che qualsiasi risultato alternativo che
migliori il benessere di alcuni membri della società peggiorerà il benessere di altri membri.
Il surplus totale può anche essere scritto come:
Surplus dei consumatori + surplus dei produttori.
Il surplus del consumatore è pari alla disponibilità totale a pagare dei consumatori meno la spesa
totale (quello che effettivamente il consumatore paga). Mentre il surplus del produttore è pari ai
ricavi delle imprese meno i costi totali evitabili (senza tenere in considerazione quelli
irrecuperabili).
Se la spesa dei consumatori corrisponde ai ricavi (come è vero) allora il surplus totale non è altro
che la disponibilità totale a pagare dei consumatori meno i costi totali evitabili, proprio come
abbiamo visto nella seconda definizione del surplus totale.

Come misurare il surplus utilizzando le curve di domanda e di offerta di mercato


A questo punto misuriamo il surplus utilizzando le curve di domanda e di offerta di mercato.
Ogni volta che le unità di un bene vengono consumate dagli individui con la più alta disponibilità a
pagare, possiamo misurare la disponibilità totale a pagare dei consumatori per le quantità che
consumano calcolando l’area sottostante la curva di domanda di mercato fino a quella quantità.
A livello di consumatore individuale avevamo visto nei capitoli precedenti che il surplus del
consumatore è pari all'area sottesa alla curva di domanda inversa, più precisamente l'area
compresa tra la curva di domanda e la retta di prezzo. Ora dobbiamo estendere questo concetto
a livello aggregato e vedremo che potremo misurare la disponibilità totale a pagare dei
consumatori calcolando l'area sottostante la curva di domanda di mercato fino a quella quantità,
ovvero utilizzando lo stesso principio che abbiamo adottato a livello di consumatore individuale.

Analogamente, lo stesso discorso varrà per le imprese. A livello di singola impresa abbiamo visto
che il costo totale variabile dell'impresa non è nient'altro che l’area sotto la curva di costo
marginale. Ne consegue quindi che, ogni volta che le unità di un bene sono prodotte dalle
imprese con i più bassi costi di produzione evitabili, possiamo misurare il costo totale evitabile
delle imprese per le unità che hanno prodotto calcolando l’area sottostante la curva di offerta di
mercato fino a quella quantità (in quanto la curva di offerta è uguale al costo marginale, P=MC).
Essenzialmente possiamo applicare gli stessi concetti che abbiamo appreso a livello individuale
anche a livello aggregato.

Vediamo ora cosa succede per quanto riguarda i consumatori:

Abbiamo due consumatori, Emilia e Gianni, che hanno una certa domanda per quanto riguarda la
quantità di coni gelato alla settimana. Guardando la domanda di Emilia, possiamo notare come la
disponibilità a pagare di Emilia per il primo cono gelato è pari a 2.75, per il secondo 2.25 e così
via. Per quanto riguarda Gianni, la sua disponibilità a pagare per il primo cono gelato è pari a 2.38,
mentre per il secondo è pari a 2.13. Possiamo poi calcolare la domanda di mercato che, come
sappiamo, è pari alla somma orizzontale delle domande individuali. Guardando il terzo grafico,
ossia guardando la domanda di mercato, possiamo notare che per il primo cono Emilia ha la più
alta disponibilità a pagare, di conseguenza la domanda di mercato in corrispondenza di un cono
gelato corrisponderà alla disponibilità a pagare di Emilia (2.75). Tra i due come seconda unità nella
curva di domanda di mercato dovremo considerare il primo cono considerato da Gianni (2.38),
dopodiché si torna ad Emilia con 2.25 e poi ancora Gianni con 2.13, e così via. Per comodità
consideriamo soltanto i primi tre coni gelato della domanda di mercato e vediamo come
possiamo calcolare il surplus lordo del consumatore. Il surplus lordo del consumatore, ossia la
sua disponibilità a pagare, per i primi tre coni è pari alla somma dei relativi primi tre prezzi della
domanda di mercato (2.75, 2.38, 2.25). L’area sottostante la curva di domanda ci dice quanto i
consumatori sono disponibili a pagare in aggregato fino alla quantità che stiamo considerando,
ossia nel nostro caso fino al terzo cono gelato.
Vediamo ora di visualizzare graficamente il surplus totale e di scomporlo in surplus del
consumatore e surplus del produttore, nel caso in cui i beni sono perfettamente divisibili (i coni
gelato non erano perfettamente divisibili):

Il surplus totale è pari alla somma tra il surplus dei consumatori e il surplus dei produttori.
Partiamo dal grafico di destra, nel quale stiamo considerando il mercato del mais. Come sempre
sull'asse delle X abbiamo la quantità di mais, mentre sull’asse delle Y abbiamo il prezzo. La curva
negativamente inclinata grigia rappresenta la domanda di mercato, mentre la curva positivamente
inclinata blu rappresenta l'offerta di mercato.
Innanzitutto, calcoliamo il surplus del consumatore, che è semplicemente l’area compresa tra la
curva di domanda (inversa) e la retta di prezzo (di equilibrio), ossia il triangolo blu rappresentato
nel grafico. La base del triangolo è pari alla quantità scambiata, ossia la quantità fino al punto B,
fino al punto di equilibrio. L'altezza è la differenza tra la massima disponibilità a pagare dei
consumatori (ovvero l’intersezione della curva di domanda con l'asse delle Y) e il prezzo (di
equilibrio).
Invece, il surplus del produttore è pari ai ricavi meno i costi totali evitabili. I ricavi sono uguali al
prezzo per le quantità, ovvero all’area del rettangolo ABCD. Mentre i costi totali evitabili sono dati
dall'area sotto la curva di offerta (che come sappiamo corrisponde alla funzione del costo
marginale), ossia dal triangolo DBC. Facendo la differenza tra queste due aree, otteniamo l'area
grigia ABD, che rappresenta appunto il surplus del produttore. A questo punto sommiamo il
surplus del produttore con il surplus del consumatore e otteniamo il surplus totale, ovvero l’area in
azzurino nel grafico a sinistra, che in altre parole è l’area compresa tra la domanda e l'offerta.

Perdita secca
La perdita secca di benessere è la riduzione del surplus totale al di sotto del massimo valore
possibile. In un mercato perfettamente concorrenziale, il surplus totale viene massimizzato e
quindi la perdita secca di benessere è pari a zero.
In corrispondenza di qualsiasi quantità differente da quella che otteniamo in un mercato
perfettamente concorrenziale la perdita secca di benessere è positiva.

Vediamo ora graficamente perché il sistema perfettamente concorrenziale massimizza il surplus


totale e di conseguenza la perdita secca di benessere è nulla e vediamo perché per qualsiasi altra
quantità la perdita secca di benessere è positiva.
Nel grafico a sinistra abbiamo, come al solito, la curva di domanda negativamente inclinata D e la
curva di offerta positivamente inclinata S. In un sistema perfettamente concorrenziale, sappiamo
che il punto di equilibrio è dato dall'incontro tra la domanda e l'offerta. Di conseguenza la quantità
scambiata è pari a 10 e il prezzo di equilibrio pari a 2,50. A che cosa corrisponde il surplus totale?
Corrisponde all'area del triangolo grigia, ossia l'area compresa tra la domanda e l'offerta. Ciò lo
avevamo già visto nel paragrafo precedente (area azzurrina). Per comprendere meglio possiamo
ancora una volta suddividere tra surplus del consumatore e surplus del produttore. Il surplus del
consumatore è l’area del triangolo la cui base è la quantità scambiata (10) e la cui altezza è la
differenza tra 7,50 e 2,50. Invece, il surplus del produttore è pari alla differenza tra i ricavi totali e i
costi totali evitabili (ossia è l’area del triangolo che congiunge il punto di equilibrio, il prezzo pari a
2.50 e il prezzo pari a 0.50). Sommando il surplus del consumatore e quello del produttore
otteniamo proprio l'area grigia più un pezzettino di area blu, ossia il surplus totale in concorrenza
perfetta.
Adesso consideriamo qualsiasi altra quantità e vedremo come il surplus totale si ridurrà e,
dunque, si avrà una perdita secca di benessere positiva (e non nulla, non pari a zero).
Supponiamo (sempre in riferimento al grafico di sinistra) che la quantità scambiata invece che 10
sia 7. In tal caso il surplus totale sarà uguale alla sola area grigia. Tale area ovviamente è inferiore
rispetto all’area in corrispondenza di un prezzo di equilibrio pari a 10. Di conseguenza, possiamo
affermare che se consideriamo una quantità inferiore a 10, ossia se consideriamo una quantità
inferiore alla quantità prodotta in (in equilibrio) concorrenza perfetta, allora avremo una riduzione
del surplus totale e perciò una perdita secca di benessere positiva pari all'area di colore blu (ossia
pari al triangolo blu tra un prezzo pari a 7 e un prezzo pari a 10).
Adesso supponiamo il caso contrario, ovvero che la quantità prodotta sia maggiore di 10 e nello
specifico che sia pari a 13. A quanto sarà pari il surplus totale in tal caso? Sarà pari al surplus che
otterremmo qualora la produzione fosse pari a 10 (ossia area grigia più area azzurra) meno l'area
azzurra a destra, ossia sarà pari all'area grigia. Perché l'area azzurra a destra va sottratta e non
sommata per calcolare il surplus totale in corrispondenza di una quantità prodotta pari a 13?
Perché vengono danneggiati i consumatori. A seguito di un aumento delle quantità da 10 a 13, la
disponibilità a pagare dei consumatori è minore rispetto al prezzo che i produttori richiedono, in
altre parole c’è un eccesso di offerta.
Possiamo quindi concludere affermando che sia se consideriamo un livello di produzione inferiore,
sia se consideriamo un livello di produzione superiore alla quantità in equilibrio concorrenziale
(10), avremo sempre una perdita secca di benessere. Tale perdita secca di benessere corrisponde
all'area azzurra a sinistra nel caso in cui la produzione sia 7, mentre corrisponderà all'area azzurra
a destra nel caso in cui la produzione sia 13. Ciò lo possiamo visualizzare anche nel grafico di
destra, dove possiamo vedere che il surplus totale viene massimizzano in corrispondenza di una
quantità pari a 10 (quantità che si ottiene nell'equilibrio perfettamente concorrenziale), mentre per
qualsiasi altra quantità avremo un surplus totale più basso e quindi avremo una perdita secca di
benessere positiva. La curva della perdita secca di benessere è speculare alla curva del surplus
totale. Infatti la curva di perdita secca sarà pari a zero in corrispondenza di 10, mentre sarà
positiva per valori differenti rispetto a 10, per valori differenti rispetto alla quantità in equilibrio
perfettamente concorrenziale.

Vediamo ora un esercizio:


Il surplus del consumatore, come sappiamo, è pari all’area del triangolo avente come base la
quantità scambiata e come altezza la differenza tra l’intersezione della curva di domanda con
l'asse delle Y e la linea di prezzo (di equilibrio). Visto che il surplus del consumatore equivale
all’area di questo triangolo, possiamo calcolarlo facendo base per altezza fratto due. Quindi per
calcolare il surplus del consumatore moltiplicheremo la quantità scambiata, ossia 5 (la base), per
l'altezza, ossia la differenza tra 35 (punto di intersezione della curva di domanda con l'asse delle
Y, che possiamo ricavare ponendo la Q uguale a zero nella funzione di domanda inversa P=35-2Q)
e 25 (il prezzo di equilibrio). Il tutto diviso per due, perché è l'area di un triangolo, non di un
rettangolo (quindi base per altezza diviso due).
Stessa logica per il surplus del produttore che, come sappiamo, è pari all’area del rettangolo la cui
base è la quantità scambiata e la cui altezza è pari alla differenza tra il prezzo di equilibrio e il
punto di intersezione della curva di offerta con l'asse delle Y (surplus del produttore che puoi
vedere rappresentato attraverso l'area grigia della penultima figura prima dell'esercizio). Ne
consegue che il surplus del produttore è pari al prodotto tra 5, ossia la quantità scambiata (la
base), e la differenza tra 25 (ossia il prezzo di equilibrio) e 10 (ossia l’intersezione tra la curva di
offerta inversa e l'asse delle Y, che possiamo ricavare analiticamente ponendo Q uguale a zero
nella funzione di offerta inversa P=10-3Q). Il tutto diviso per due.
Il surplus totale poi sarà dato ovviamente dalla somma tra i due surplus.

CAPITOLO 11: MONOPOLIO


Potere di mercato
Un'impresa ha potere di mercato quando può fissare un prezzo superiore al costo marginale. Se
un'impresa non ha concorrenti, può fissare un prezzo molto superiore al costo marginale.
Un monopolio è un mercato con un solo venditore, chiamato monopolista.
Un oligopolio è un mercato con un piccolo numero di venditori, chiamati oligopolisti.
Gli economisti tendono ad includere in un mercato i beni che sono facilmente sostituibili l'uno con
l'altro.

Come fa un’impresa a diventare monopolista?


Un’impresa diventa monopolista in un mercato in diversi modi:
1) lo Stato stabilisce la posizione di monopolio (esempio concessioni alle televisioni via cavo).
2) un brevetto ad un'impresa che ha effettuato innovazioni scientifiche o tecnologiche impedisce
per 20 anni alle imprese concorrenti di vendere lo stesso bene.
3) le altre imprese non ritengono profittevole l'ingresso in quel mercato.
4) le economie di scala possono impedire che più di un'impresa consegua profitti positivi.
5) un'impresa può essere la prima a produrre un bene con successo (esempio Apple con i lettori
musicali).
6) un'impresa possiede tutti i fattori essenziali (esempio De Beers con i diamanti).

Ricavo marginale del monopolista


Come sempre sull'asse delle X abbiamo le quantità mentre sull'asse delle Y abbiamo il prezzo.
Abbiamo poi la curva di domanda negativamente inclinata. Come possiamo vedere ci sono due
aree, che corrispondono alle variazioni in termini di ricavo derivanti dalla produzione di una
quantità in più. Supponiamo che la nostra impresa decida di produrre e di vendere una quantità
ΔQ aggiuntiva, supponiamo che passi nello specifico da 9 a 10 unità. Graficamente, ciò significa
che ci spostiamo da Q - ΔQ a Q. A questo punto, come abbiamo visto nei capitoli precedenti
esistono due effetti: effetto di espansione della produzione ed effetto di riduzione dei prezzi.
L'effetto di espansione della produzione è semplicemente dovuto dal produrre e vendere un’unità
in più, ottenendo così un ricavo aggiuntivo. L'area azzurra, la cui base è ΔQ (supponiamo 1) e la
cui altezza è il prezzo (P(Q)) rappresenta il ricavo aggiuntivo che l’impresa ottiene vendendo
un’unità in più. Esiste però un altro effetto, ossia l'effetto di riduzione del prezzo, con il quale, se
l’impresa decide di vendere un’unità in più, siccome la curva di domanda è negativamente
inclinata, il prezzo si ridurrà e, nello specifico passerà da P(Q-ΔQ) - P(Q). Quindi, in questo caso
l’impresa conseguirà una perdita, proprio per il fatto che il prezzo è stato diminuito. Questa
perdita è rappresentata dall'area grigia, la cui base è pari a Q - ΔQ (9) e la cui altezza è pari alla
riduzione del prezzo (ΔP=1). Perciò, se l’impresa vende un’unità in più sarà costretta a ridurre il
prezzo, proprio per il fatto che la domanda è negativamente inclinata.
Dopo aver visto graficamente i due concetti e, dunque, dopo aver visto che l'effetto di espansione
della produzione è positivo mentre l'effetto di riduzione del prezzo è negativo, vediamolo
analiticamente:

In base anche a quanto abbiamo detto analizzando il grafico, possiamo affermare che la
variazione di ricavo (ΔR) è pari alla somma tra l'effetto di espansione della produzione (area
azzurra), che è positivo, e l'effetto di riduzione del prezzo (area grigia), che è negativo. L'effetto di
espansione della produzione è pari a P(Q) * ΔQ, dove, come abbiamo visto poc'anzi, P(Q) è
l'altezza e ΔQ è la base. L'effetto di riduzione del prezzo è pari a ΔP * (Q - ΔQ), dove ΔP è l'altezza
e Q - ΔQ è la base.
A questo punto possiamo trovare il ricavo marginale, che è pari al rapporto tra ΔR e ΔQ (ΔR/ΔQ),
ossia è pari alla variazione del ricavo fratto la variazione delle quantità. Possiamo poi esplicitare
ΔR in base alla formula che abbiamo trovato nel punto precedente (somma tra i due effetti).
Facendo i relativi passaggi e sapendo che Q - ΔQ nel caso di una produzione infinitamente
divisibile è pari a Q, otteniamo la formula finale dove il ricavo marginale è uguale al prezzo più la
pendenza della curva di domanda moltiplicata per le quantità, dove tale pendenza sappiamo
essere negativa. Ne consegue che il ricavo marginale del monopolista sarà minore del prezzo,
proprio per il fatto che la pendenza è negativa. Invece in concorrenza perfetta, il ricavo marginale
era uguale al prezzo, in quanto in concorrenza perfetta vi era solo l'effetto di espansione della
produzione. Ecco quindi la formula finale del ricavo marginale:

Nell’ultimo punto, data una funzione di domanda dobbiamo ricavare il ricavo marginale.
Innanzitutto ricaviamo il ricavo, che come sappiamo è pari al prezzo (che lo leggiamo dalla
funzione di domanda) per la quantità. Semplifichiamo poi la funzione di ricavo. Infine, possiamo
trovare il ricavo marginale facendo la derivata della funzione di ricavo (come sappiamo il ricavo
marginale è pari alla derivata della funzione di ricavo).
Graficamente possiamo rappresentare la funzione domanda e il ricavo marginale:

Possiamo vedere che il ricavo marginale sta sempre sotto la domanda, ciò perché il ricavo
marginale è sempre inferiore al prezzo. L’unico punto in cui le due rette coincidono è quando le
quantità sono pari a zero.

Cerchiamo ora di esprimere il ricavo marginale in termini di elasticità della domanda:


Innanzitutto ricordiamoci che l’elasticità della domanda ci dice di quanto varia percentualmente la
quantità domandata al variare del prezzo dell'1%. In formule l’elasticità della domanda è pari a
ΔQ/ΔP * P/Q.
Ora partiamo dalla formula del ricavo marginale. Poi modificando i termini possiamo ottenere il
ricavo marginale in termini di elasticità della domanda. Non è necessario ricordarsi tutte le
operazioni per arrivare alla formula finale, però esse aiutano a comprendere la logica. Alla fine
otteniamo che il ricavo marginale espresso in termini di elasticità della domanda è pari a:

All'aumentare dell’elasticità della domanda (che ricordiamoci che ci dice di quanto varia
percentualmente la quantità domandata al variare del prezzo dell'1%), l’impresa ha meno bisogno
di ridurre il prezzo per aumentare le vendite (perché la quantità domandata aumenterebbe di poco
al ridursi del prezzo), e di conseguenza il ricavo marginale si avvicinerà al prezzo.

Massimizzazione del profitto di monopolio


Per capire meglio è importante vedere le differenze tra il comportamento di un'impresa price-taker
e il comportamento di un’impresa monopolista. Vediamo ora la regola per massimizzare il profitto
in monopolio. Anche qui, come per l’impresa price-taker, avremo una regola della quantità e una
regola di cessazione dell’attività.
Regola della quantità—> l’impresa deve identificare ogni quantità positiva di vendite tale che MR
= MC (ricavo marginale uguale a costo marginale). Se tale condizione è soddisfatta da più di un
livello delle quantità, determinare quella che produce il profitto maggiore.
La differenza sostanziale con l’impresa price-taker è che qui il ricavo marginale non corrisponde al
prezzo, mentre per l’impresa price-taker il ricavo marginale è uguale al prezzo.
Regola di cessazione dell’attività—> l'impresa deve controllare se la scelta della quantità
individuata al punto precedente è più profittevole rispetto alla decisione di cessare l’attività. Se sì,
la quantità individuata corrisponde alla scelta che massimizza il profitto. Se no, l’opzione migliore
è quella di non vendere niente (cessare l’attività). Se entrambe le opzioni sono ugualmente
profittevoli, allora entrambe massimizzano i profitti e di conseguenza l’impresa sarà indifferente.

Se un’impresa non ha costi irrecuperabili, la regola di cessazione dell’attività si riduce


semplicemente a controllare che la nostra impresa faccia profitti non negativi (quindi o positivi o
nulli) e, dunque, la regola di cessazione dell’attività è P(Q)*Q - C*(Q) >=0 (che significa
semplicemente profitto >=0 senza i costi irrecuperabili). Dividendo per la quantità ambo i membri
otteniamo:

Dunque, la regola di cessazione dell’attività si riduce quindi a controllare che il prezzo sia
maggiore o uguale del costo medio (in concorrenza perfetta il prezzo era sempre uguale al costo
medio minimo, infatti i profitti erano sempre nulli).
Se, invece, un'impresa ha costi irrecuperabili (che sono quei costi fissi che l'impresa deve
sostenere indipendentemente dal fatto che produca o meno, quindi non vanno a influenzare le
decisioni di produzione dell’impresa, ecco perché l’impresa terrà in considerazione solo i costi
evitabili), la regola di cessazione dell’attività consiste nel controllare che il prezzo sia maggiore del
costo evitabile medio (ossia che sia maggiore dei costi totali meno quelli irrecuperabili, quindi che
sia maggiore dei costi evitabili, perché quelli irrecuperabili appunto non deve tenerli in
considerazione).

Vediamo queste due regole graficamente:


Nel grafico di sinistra abbiamo la regola della quantità. Abbiamo la funzione del ricavo marginale
che come sappiamo è minore della funzione di domanda (minore della prezzo). Abbiamo poi la
funzione del costo marginale positiva. Ora andiamo a determinare la quantità prodotta dal nostro
monopolista. Come facciamo? Applichiamo la regola della quantità, secondo cui MR=MC
(ricavo marginale = costo marginale). Dunque, la quantità che massimizza i profitti del nostro
monopolista è in corrispondenza del punto di incontro tra la funzione del costo marginale e la
funzione del ricavo marginale (4800). A questo punto come determiniamo il prezzo che
massimizza il profitto? Lo leggiamo dalla curva di domanda, quindi prendiamo il punto appena
trovato e andiamo su fino a quando incontriamo la funzione di domanda e troviamo così il prezzo
che massimizza il profitto pari a 56. In conclusione, il monopolista produce una quantità pari a
4800 che vende ad un prezzo pari a 56. Il prezzo è maggiore del costo marginale (56>32), proprio
per il fatto che siamo in una condizione di monopolio, dove quindi il monopolista ha potere di
mercato e può decidere un prezzo maggiore del costo marginale e quindi maggiore del ricavo
marginale.
Vediamo ora il grafico di destra, dove abbiamo la regola di cessazione dell’attività, ovvero il
grafico che ci permette di capire se l'impresa avrà convenienza o meno a produrre. Abbiamo lo
stesso grafico di prima con le tre rette della domanda, del ricavo marginale e del costo marginale,
e in più abbiamo la curva del costo medio (curva grigio scuro). Abbiamo visto nel grafico
precedente che la quantità che il monopolista produce è pari a 4800 (punto di incontro tra la
curva del costo marginale e quella del ricavo marginale). Vediamo ora di calcolare il profitto. Come
si calcola? Semplicemente facendo la differenza tra ricavi totali e costi totali. Il ricavo totale è pari
al prezzo (56) per la quantità (4800), che viene rappresentato graficamente dal rettangolo che ha
l'altezza che va fino ad un prezzo pari a 56 ed una base che va fino ad una quantità pari a 4800
appunto. Il costo totale è semplicemente il costo medio (36, che ricaviamo facendo l’intersezione
tra la quantità 4800 e la funzione di costo medio) per la quantità (4800), che viene rappresentato
graficamente dall'area del rettangolo che ha un'altezza che va fino a 36 e una base che va fino a
4800. Il profitto è pari alla differenza tra le due aree e otteniamo l'area di colore azzurro, la quale
rappresenta proprio il profitto del nostro monopolista. In conclusione l’impresa avrà convenienza a
produrre in quanto ottiene un profitto positivo.

Vediamo ora un esercizio:


1)per trovare il prezzo e la quantità che massimizzano il profitto dobbiamo quindi far uso della
regola della quantità, che si basa sull’uguaglianza MR=CM.
Al quarto punto ΔP/ΔQ lo abbiamo ricavato facendo la derivata della funzione di domanda
inversa. Possiamo trovare il ricavo marginale anche semplicemente moltiplicando per due il
coefficiente della funzione di domanda inversa.
Al quinto punto il costo marginale lo otteniamo semplicemente facendo la derivata dei costi
(variabili+fissi) rispetto alla quantità. Dopodiché facciamo l’uguaglianza tra il costo marginale e il
ricavo marginale e esplicitiamo per Q, otteniamo così le quantità per massimizzare il profitto.
Al sesto punto per trovare il prezzo che massimizza il profitto non ci resta che sostituire la quantità
appena ricavata nella funzione di domanda inversa.

Ora mettiamo in pratica la regola della cessazione di attività, ricaviamo quindi il profitto per vedere
se l’impresa ha convenienza o meno a produrre.

L’impresa ha convenienza a produrre perché il profitto è positivo.


Infine, calcoliamo il prezzo e la quantità in un mercato perfettamente concorrenziale. Lo facciamo
così da confrontare i due risultati. Come sappiamo in concorrenza perfetta il prezzo deve essere
uguale al costo marginale. Il prezzo già lo abbiamo, lo possiamo leggere dalla curva di domanda
inversa. Poi ricaviamo il costo marginale facendo la derivata dei costi. Eguagliando il prezzo e il
costo marginale otteniamo così la quantità e, poi, sostituendola nella funzione di domanda inversa
otteniamo il prezzo.
Notiamo come il prezzo in concorrenza perfetta sia minore del prezzo in monopolio, come è
logico che sia. Possiamo poi notare che invece la quantità in concorrenza perfetta è maggiore
della quantità prodotta in monopolio, come è logico che sia, visto che il prezzo nel caso del
monopolio è maggiore, di conseguenza la domanda è minore e quindi la quantità prodotta è
minore.

Markup: una misura del potere di mercato


Sappiamo che il monopolista ha potere di mercato, in quanto è in grado di fissare un prezzo
maggiore del costo marginale. Ora però cerchiamo anche di capire quanto è forte il suo potere di
mercato. Come facciamo a calcolare tale valore? Gli economisti hanno ideato una misura del
potere di mercato che prende il nome di markup (o margine prezzo-costo o indice di Lerner). Il
markup è un indice che è dato dal rapporto (P-MC)/P. Come sappiamo in concorrenza perfetta il
prezzo è uguale al costo marginale, ne consegue che il potere di mercato è nullo, perché il
markup sarebbe P/P. Fino a che il prezzo sarà maggiore del costo marginale, il markup (potere di
mercato) sarà positivo.
Ora analizziamo questo indice per quanto riguarda il monopolio. Per il monopolista sappiamo che
il ricavo marginale è uguale al costo marginale. Sappiamo anche che il ricavo marginale può
essere espresso in termini di elasticità (vedi formula qui sotto). Ne consegue che il markup può
essere espresso in base alla formula che segue.
In base alla formula finale (-1/E) possiamo affermare che al diminuire dell’elasticità della domanda,
il markup dell’impresa cresce in valore assoluto.

Possiamo poi affermare che il prezzo che massimizza il profitto del monopolista è in
corrispondenza di un punto dove la domanda è elastica, ossia in corrispondenza di un punto dove
la domanda è minore di -1.

Ora per convincerci di ciò, ovvero per convincerci che il monopolista produrrà nella parte elastica
della domanda, dimostriamolo per assurdo, ovvero dimostriamolo supponendo che il monopolista
non producesse nella parte elastica della domanda, ma che producesse nella parte inelastica
(facendo tale dimostrazione per assurdo arriveremo alla conclusione che il monopolista si vorrà
spostare nella parte elastica della domanda. Infatti alla fine del ragionamento diremo che il
monopolista vorrà spostarsi nella parte elastica della domanda, se decidesse per assurdo di voler
produrre inizialmente in quella inelastica):
Se il prezzo che massimizza i profitti del monopolista fosse in corrispondenza della parte
inelastica della domanda, dove quindi l’elasticità > -1, un aumento del prezzo aumenterebbe la
spesa totale dei consumatori, che coincide con i ricavi del monopolista, mentre i costi
diminuirebbero (perché la domanda è negativamente inclinata, quindi all'aumentare del prezzo si
riducono le quantità e se si riducono le quantità diminuiscono i costi). Supponiamo per assurdo
che il monopolista decida di stabilire un prezzo in corrispondenza proprio della parte inelastica
della domanda (elasticità compresa tra -1 e 0). In questo caso un aumento del prezzo
aumenterebbe la spesa totale dei consumatori, proprio perché la domanda è relativamente rigida
e quindi se il monopolista aumenta il prezzo, la riduzione della quantità è minima. La spesa totale
dei consumatori in altre parole non è altro che il ricavo del monopolista. Quindi partendo dalla
parte inelastica della domanda, se il monopolista aumenta il prezzo, aumenterà il ricavo e i costi si
ridurranno (anche se di pochissimo, perché le quantità si riducono di poco) perché all'aumentare
del prezzo la quantità si riduce (anche sei di poco, visto che la domanda è inelastica) e di
conseguenza riducendosi la quantità si riducono i costi. Ne consegue che il monopolista non
vorrà mai produrre nella parte inelastica della domanda, perché ci guadagnerà sempre quando
aumenta il prezzo, in quanto appunto all'aumentare del prezzo aumentano i ricavi e si riducono i
costi, di conseguenza il monopolista vorrà stare nella parte elastica della domanda. Ma perché se
il monopolista vede aumentati i ricavi e diminuiti i costi non vorrà mai produrre nella parte
inelastica della domanda??? Dobbiamo supporre che il monopolista decida di produrre una
quantità in corrispondenza della parte inelastica della domanda. Questa quantità massimizza il
suo profitto? No, perché se aumenta il prezzo aumentano i ricavi e si riducono i costi, quindi il
monopolista si vorrà spostare da questa parte della domanda e andare verso la parte elastica
della domanda. Perché si vorrà spostare? Perché se aumenta il prezzo aumentiamo anche
l’elasticità. Ciò vuol dire che all'aumentare del prezzo il monopolista si sposta sempre di più nella
parte elastica della domanda, che è proprio quella in cui alla fine vuole restare, perché lui ha
convenienza ad aumentare il prezzo (poiché aumentano i ricavi e si riducono i costi), quindi il
monopolista aumenterà il prezzo, e aumentandolo finirà nella parte elastica della domanda. È
questo il ragionamento che bisogna fare. Se quindi il monopolista fissa un prezzo in
corrispondenza della parte della domanda inelastica alla fine vorrà tornare ancora nella parte di
domanda elastica.
Facciamo il ragionamento opposto: se la domanda è elastica possiamo dire con certezza che lui
si vorrà spostare? No, non possiamo dirlo, perché in questo caso, da una parte, a seguito
dell'aumento dei prezzi i costi si ridurrebbero, perché se aumentano i prezzi, le quantità
domandate diminuiscono più che proporzionalmente (domanda elastica) e quindi diminuiscono i
costi. Dall'altra parte la spesa totale (ossia il ricavo del monopolista) si riduce all'aumentare del
prezzo. Quindi se siamo nella parte elastica, il monopolista vede ridursi i costi, ma anche i ricavi.
In questo caso non abbiamo la certezza che il monopolista vorrà muoversi verso la parte
inelastica della domanda. Invece, se partiamo dalla domanda inelastica sapremo con certezza
che il monopolista si muoverà verso la parte elastica. Ecco perché affermiamo che il monopolista
vorrà stare nella parte di domanda elastica (perché se è nella parte inelastica vorrà andare in
quella elastica, mentre se è nella parte elastica non è detto che voglia andare in quella inelastica).

Effetti sul benessere del prezzo di monopolio

Vediamo ora gli effetti sul benessere dei consumatori e dei produttori derivanti da una situazione
di monopolio. Nel grafico a sinistra abbiamo, come sempre, sull'asse delle X la quantità e
sull'asse delle Y il prezzo. Abbiamo poi la curva di domanda negativamente inclinata e la curva
del costo marginale positivamente inclinata. Ora vediamo gli effetti sul surplus del consumatore e
del produttore in concorrenza perfetta e poi vediamo gli stessi effetti in monopolio.
In concorrenza perfetta sappiamo che il prezzo deve essere uguale al costo marginale, di
conseguenza la quantità prodotta in concorrenza perfetta è pari al punto di incontro tra la curva
del costo marginale e la domanda, ossia 8000. Il surplus del consumatore (come possiamo
vedere anche dal grafico di destra) è l'area del triangolo compreso tra la curva di domanda
inversa e la retta di prezzo (dove il prezzo di equilibrio è pari a 40, ovvero il prezzo in
corrispondenza di una quantità pari a 8000), in altre parole il surplus del consumatore sarà pari
alla somma tra l’area A, B e F. Ora vediamo il surplus del produttore sempre in concorrenza
perfetta, che, supponendo che non vi siano costi fissi, sarà pari all’area del triangolo compreso tra
la retta di prezzo (40) e la retta del costo marginale, in altre parole sarà pari alla somma tra l'area
C, E e G, o più semplicemente è pari alla differenza tra i ricavi e i costi. La somma tra queste aree
sarà poi sottratta, qualora vi siano, dai costi fissi evitabili (che vanno considerati se ci sono,
mentre non vanno considerati i costi fissi irrecuperabili).
Il surplus totale è pari al surplus del consumatore più il surplus del produttore, ossia sarà pari alla
somma tra le aree A, B, C, E, F, G.
Ricordati che se i costi fissi evitabili (sono quelli irrecuperabili che non vanno considerati nel
calcolo del surplus) ci sono vanno sempre sottratti nel calcolo del surplus del produttore (come
puoi vedere dal grafico di destra).
Ora confrontiamo i due surplus in concorrenza perfetta con i due surplus in monopolio.
In monopolio la quantità prodotta sarà pari a 4800 (lo sappiamo dagli esercizi fatti
precedentemente), mentre il prezzo sarà pari a 56.
Il surplus del consumatore sarà sempre pari all'area compresa tra la funzione di domanda inversa
e la retta di prezzo; in questo caso corrisponderà alla sola area del triangolo A. Possiamo subito
evidenziare che i consumatori in monopolio subiscono una perdita di benessere rispetto alla
concorrenza perfetta, questa perdita è pari alla somma delle aree B ed F, ossia le aree non
comprese nel surplus del consumatore in monopolio.
A questo punto ricaviamo il surplus del produttore in monopolio, che sarà pari, come prima, alla
differenza tra i ricavi totali e i costi totali. I ricavi totali sono dati da prezzo per quantità, dunque
l'area dei ricavi sarà proprio quella compresa tra un prezzo pari a 56 e una quantità pari a 4800. I
costi totali corrispondono all'area sotto la curva del costo marginale. Ne consegue che il surplus
del produttore sarà pari alla somma delle aree B, C ed E. Ora confrontiamo il surplus del
produttore in monopolio con quello in concorrenza. Nel caso del monopolio il produttore
guadagna l'area B ma perde l'area G. L'area B però è molto più grande dell'area G, di
conseguenza il monopolista guadagnerà di più rispetto al produttore in concorrenza perfetta.
Il surplus totale in monopolio poi sarà dunque pari alla somma delle aree A, B, C, E. Confrontiamo
I due surplus e, nello e specifico, facendo la differenza tra l'area del surplus totale in concorrenza
e l'area del surplus totale in monopolio (A,B,C,E,F,G - A,B,C,E) possiamo vedere la perdita secca
di benessere del produttore in monopolio rispetto al produttore in concorrenza. La perdita secca
di benessere del monopolista è dunque pari alla somma tra le due aree F e G.

Possiamo poi calcolare in maniera analitica il surplus del produttore e del consumatore in
concorrenza e in monopolio:

Il surplus del consumatore in concorrenza perfetta lo ricaviamo facendo il prodotto tra la base e
l'altezza del triangolo, e poi il risultato lo dividiamo per due (come puoi vedere dal primo punto).
Invece il surplus del produttore è la differenza tra l'area dei ricavi totali e l’area dei costi totali
(costi variabili più costi fissi). Stessa logica per il resto... Quindi avendo i dati del grafico di sinistra
dell'immagine precedente e i dati dell'esercizio ancora prima, puoi calcolare coi numeri i vari
surplus.

Regolamentazione del monopolio


La regolamentazione dei prezzi da parte dello Stato si verifica quando esistono rilevanti
preoccupazioni di carattere economico e pressioni politiche tali da consigliare di limitare i prezzi
che risultano dal monopolio (esempio elettricità, gas naturale). In alcuni casi, lo Stato decide di
creare un monopolio e poi di regolamentarlo. Una ragione per cui lo fa è la ricompensa per
l'innovazione di successo tramite brevetti. Un'altra ragione consiste nella garanzia che i beni
vengano prodotti al costo minore.
Un mercato è un monopolio naturale quando un bene viene prodotto nel modo più economico
da un'unica impresa. Il monopolio naturale è tipicamente caratterizzato da una curva dei costi
medi decrescente. Vediamo graficamente un monopolio naturale:
La curva del costo medio è sempre decrescente. In questo caso, la curva del costo marginale sta
sotto la curva del costo medio. Possiamo notare che se una sola impresa produce, il costo medio
associato a questa produzione è più basso rispetto al caso in cui ci fossero più imprese. Lo
capiamo dal fatto che il costo medio è sempre decrescente.
Regolamentazione del prezzo: soluzione di first-best e second-best
Soluzione di first-best (soluzione migliore per la società e per i consumatori): il regolamentatore
fissa il prezzo al costo marginale dell'impresa. Ciò rappresenta il meglio perché in questo modo
cerchiamo di replicare il risultato di un mercato di concorrenza perfetta. Infatti, come sappiamo, in
concorrenza perfetta il prezzo è pari al costo marginale. La quantità prodotta in tal caso sarebbe
pari a 88, ossia il punto di intersezione tra la curva di domanda e la curva di costo marginale.
Quale potrebbe essere il problema nel caso in cui l'impresa è obbligata a fissare un prezzo uguale
al costo marginale? Andrebbe in perdita in questo caso, perché, come possiamo vedere dal
grafico, il prezzo è inferiore al costo medio minimo. Ecco perché esiste un'altra soluzione.
Soluzione di second-best: il regolamentatore fissa il prezzo al costo medio dell'impresa. Quindi
nel caso del grafico precedente si avrà una produzione pari a 80, ossia la quantità in
corrispondenza del punto di incontro tra la curva di domanda e la curva del costo medio. La
quantità (80) è inferiore rispetto a quella di prima (88), ma è comunque meglio rispetto alla
soluzione precedente, perché in questo caso l’impresa farebbe profitti nulli, ovvero
raggiungerebbe il break-event point, invece che incombere in una perdita.
Queste soluzioni rappresentano una situazione migliore rispetto a quella che si otterrebbe in una
situazione di monopolio non regolamentato, ossia rispetto alla situazione in cui l'impresa
monopolista è libera di fissare il prezzo che preferisce, senza alcuna regolamentazione.
Esistono però anche dei problemi connessi alla soluzione di second-best. Immaginiamo che ci
troviamo in un mercato in cui l’impresa ha la possibilità di fare degli investimenti per la riduzione
dei costi. Se l’impresa monopolista sa che comunque verrà obbligata a stabilire un prezzo uguale
al costo medio, essa non verrà tanto incentivata a fare questi tipi di investimenti in ricerca e
sviluppo, perché comunque in ogni caso otterrà un profitto nullo.
Per porre un rimedio a tale problema, talvolta la regolamentazione prevede che il prezzo non sarà
abbassato in risposta a future riduzioni dei costi, almeno per un breve periodo. Il che garantisce
all’impresa di guadagnare per un breve periodo, permette così all’impresa di ottenere dei profitti
positivi per quel breve periodo, perché i costi si sono ridotti grazie agli investimenti effettuati.
Questa regolamentazione prende il nome di regolamentazione incentivata, proprio per il fatto che
l’impresa viene incentivata a investire.

Fallimento della regolamentazione


Esistono in generale dei fallimenti legati alla regolamentazione, che hanno portato poi a dei
processi di deregolamentazione.
I fallimenti della regolamentazione sono ad esempio il fatto che il regolamentatore (Stato)
potrebbe decidere di perseguire obiettivi diversi dalla massimizzazione del surplus totale. Per
esempio per il fatto che il regolamentatore sia più interessato alla rielezione piuttosto che
all'efficienza economica. Inoltre, il regolamentatore potrebbe addirittura essere catturato
dall'impresa regolamentata, iniziando così a promuovere gli interessi di tale impresa in cambio di
una collaborazione dopo la fine del mandato.

Tendenza verso la deregolamentazione


Storicamente la regolamentazione del prezzo è stata un fenomeno ciclico. L'ultima parte del XIX
secolo e la prima parte del XX secolo hanno visto un significativo aumento della
regolamentazione, in particolare riguardo ai settori come le ferrovie, le telecomunicazioni,
l’elettricità e i gas mutuali. Tale tendenza verso la regolamentazione fu una periziale risposta alla
rivoluzione industriale, che aveva accresciuto notevolmente le economie di scala di molte
industrie. L'intensificarsi della regolamentazione fu anche dovuto alla perdita di fiducia nei
confronti del mercato in seguito alla Grande Depressione.
Negli ultimi 20-30 anni abbiamo assistito al fenomeno opposto, ossia alla deregolamentazione di
molti settori, quali ad esempio i trasporti, l'energia e le telecomunicazioni. In parte, questa
inversione di tendenza è riconducibile a cambiamenti tecnologici che hanno ridotto i mercati con
caratteristiche di monopolio naturale.
Tuttavia, la recente crisi economica ha prodotto una richiesta generalizzata di maggiore
regolamentazione. Ecco perché la regolamentazione possiamo definirla come un fenomeno
ciclico.

Proprietà pubblica dei monopoli


In alcuni casi, lo Stato decide di acquisire direttamente la proprietà di un monopolio. Per esempio,
lo Stato italiano è il proprietario di Trenitalia e Poste Italiane, mentre i comuni sono spesso
proprietari delle aziende municipalizzate che forniscono energia elettrica alla città.
Con la proprietà pubblica si elimina la necessità di effettuare elaborate procedure per determinare
il prezzo. Tuttavia, i politici e i burocrati che controllano l'impresa pubblica potrebbero essere più
interessati alla rielezione ed al mantenimento del controllo dell'impresa piuttosto che all'efficienza
economica.

CAPITOLO 12: OLIGOPOLIO


Oligopolio e teoria dei giochi
Nel caso del monopolio e della concorrenza perfetta non vi è alcuna interazione strategica, perché
nel primo caso vi è solo un'azienda che detiene il controllo del mercato, mentre nel secondo caso
l’azienda è così piccola che non ha il potere di stabilire il prezzo, tant’è che considera il prezzo di
mercato come dato (impresa price-taker). Caso diverso per l'oligopolio, dove vi sono più aziende,
quindi ciascuna azienda deve tenere in considerazione le strategie adottate dalle altre.
Gli economisti determinano l'esito della concorrenza oligopolistica applicando la teoria dei giochi.
In un equilibrio di Nash di un mercato oligopolistico, ciascuna impresa compie una scelta che
massimizza il proprio profitto in base alle scelte dei rivali. La scelta più profittevole di un'impresa,
date le azioni dei rivali, è chiamata risposta ottima (best reponse). In un equilibrio di Nash,
ciascuna impresa sceglie la risposta ottima alle azioni dei rivali.
Il profitto congiunto delle imprese è tipicamente inferiore al livello che raggiungerebbero se
colludessero come un monopolista. L’incentivo a praticare un prezzo più basso del rivale porta a
prezzi di equilibrio inferiori rispetto ad un mercato di monopolio.

Vediamo un esempio:
Abbiamo due imprese, Pepsi e Coca-cola, che possono decidere se applicare un prezzo basso o
un prezzo alto. È molto simile al dilemma del prigioniero. Vediamo di ricavare la risposta ottima di
ciascuna. Se la Pepsi fissa un prezzo alto, la Coca-cola deciderà di fissare un prezzo basso
(1700>1500), mentre se decide di fissare un prezzo basso la Coca-cola deciderà sempre di fissare
un prezzo basso. Possiamo quindi dire che la risposta ottima di Coca-cola è quella di stabilire un
prezzo basso, perché rappresenta la soluzione migliore sia se Pepsi sceglie un prezzo basso sia
se sceglie un prezzo alto. Se Coca-cola sceglie un prezzo alto allora Pepsi sceglierà un prezzo
basso. Se coca-cola sceglie un prezzo basso allora Pepsi sceglierà sempre un prezzo basso.
Possiamo quindi dire che la risposta ottima di ciascuna impresa è quella di scegliere il prezzo
basso. Il quadrante contenente la risposta ottima di entrambe le aziende è quello in basso a
destra, che rappresenta l'equilibrio di Nash (dove tutte e due le aziende stabiliscono un prezzo
basso).
Entrambe le imprese nell'equilibrio di Nash ottengono un profitto pari a 1000. Però qualora
potessero colludere, ossia qualora potessero mettersi d’accordo, preferirebbero entrambe fissare
un prezzo alto, in quanto entrambe otterrebbero un profitto pari a 1500 invece che 1000. Ciò dà
l’idea che in concorrenza, ossia in presenza di un oligopolio, le imprese sono spinte a fissare un
prezzo più basso, invece nel caso in cui si colludono e vadano a formare un monopolio, esse
sono spinte a fissare un prezzo più alto.

Modello di Bertrand: concorrenza sui prezzi con beni omogenei


Consideriamo un mercato oligopolistico in cui sono presenti solamente due imprese (duopolio)
che vendono prodotti identici (beni omogenei, ossia identici agli occhi dei consumatori).
Immaginiamo che le due imprese fissino i propri prezzi simultaneamente e che i compratori, dopo
aver osservato i prezzi, decidano quanto comprare da ciascuna impresa. Trattandosi di beni
omogenei, i consumatori andranno dall’impresa che fissa il prezzo più basso. Qualora le imprese
fissassero lo stesso prezzo, si suppone che la clientela venga divisa a metà.
Il modello di mercato in cui le imprese producono prodotti omogenei e fissano i prezzi
simultaneamente è denominato modello di oligopolio di Bertrand. Il nostro obiettivo è quello di
ricavare l'equilibrio nel modello di Bertrand, in base alle nozioni che abbiamo appreso nella teoria
dei giochi.

Ogni impresa è indotta a praticare un prezzo più basso del rivale per servire tutta la clientela, il
che spinge i prezzi fino al costo marginale. Infatti, se l'impresa fissa un prezzo anche di
pochissimo inferiore all’impresa rivale, essa si accaparrerebbe tutta la clientela. Quindi il prezzo di
equilibrio nel modello di Bertrand sarà pari al costo marginale. Praticamente otteniamo il
medesimo risultato che otterremmo in concorrenza perfetta (perché come sappiamo anche lì il
prezzo è uguale al costo marginale).
Per dimostrare ciò, supponiamo che entrambe le imprese fissino un prezzo pari al costo
marginale. In tal caso, il risultato è un equilibrio di Nash, in cui le imprese fanno profitti nulli.
Supponiamo che il costo marginale sia pari a 10 e che entrambe le imprese fissino tale prezzo.
Come facciamo a dimostrare che tale prezzo sia un equilibrio? Dobbiamo vedere se una delle due
imprese, data la strategia dell'altra, ha un incentivo a fissare un prezzo diverso da 10. Se una delle
due imprese fissa un prezzo maggiore, essa perderebbe tutta la clientela e dunque l’impresa non
ha incentivi a fissare un prezzo maggiore. Inoltre l’impresa non ha neanche l'incentivo a fissare un
prezzo minore, perché altrimenti incomberebbe in una perdita, visto che fisserebbe un prezzo
inferiore al costo marginale. Abbiamo dunque dimostrato che quando il prezzo è uguale al costo
marginale, esso rappresenta un prezzo di equilibrio, in quanto l'impresa, data la strategia
dell’altra, non avrà alcun incentivo a modificare il prezzo. Un equilibrio del modello di Bertrand è
quindi rappresentato dal prezzo uguale al costo marginale.
Ora dobbiamo dimostrare che questo equilibrio è unico, cioè che non esista un altro equilibrio
differente dal prezzo uguale al costo marginale.
Supponiamo che entrambe le imprese fissino un prezzo pari a 15, sempre con un costo marginale
uguale a 10. Questo è un equilibrio di Nash? No, perché le imprese potrebbero avere un incentivo
a deviare da questo equilibrio. Le imprese non hanno alcun incentivo a fissare un prezzo
maggiore, tuttavia hanno un incentivo a fissare un prezzo minore perché non andrebbero in
perdita e allo stesso tempo ruberebbero l'intera clientela all'altra impresa.
Possiamo arrivare alla stessa conclusione se un'impresa fissasse un prezzo inferiore al costo
marginale, in tal caso l'altra impresa non fisserebbe anch'essa tale prezzo, ma avrebbe un
incentivo a fissare un prezzo superiore (prezzo di break-even point), in modo tale da non
incombere in perdite.
Possiamo dunque affermare che non esiste nessun equilibrio di Nash in cui si effettuano vendite
ad un prezzo diverso dal costo marginale. L’equilibrio di Nash, per quanto riguarda il modello di
Bertrand, si ha soltanto quando il prezzo è uguale al costo marginale. Si può quindi concludere
dicendo che, in un modello di Bertrand si raggiunge lo stesso risultato che in concorrenza
perfetta, in quanto il prezzo di equilibrio è uguale al costo marginale.

Vediamo questi concetti graficamente:

Nel grafico di sinistra abbiamo la curva di domanda di mercato, di costo marginale e di ricavo
marginale. Nella situazione descritta dal grafico, quale sarebbe il prezzo di monopolio? Qualora ci
fosse una sola impresa e dunque ci trovassimo in una situazione di monopolio, il prezzo di
equilibrio sarebbe 70, ossia il punto in cui la curva del costo marginale interseca la curva del
ricavo marginale (infatti come sappiamo in monopolio la quantità si trova facendo l’uguaglianza
tra costo marginale e ricavo marginale, dopodiché andando verso l'alto troviamo il prezzo che
interseca la curva di domanda).
Ora analizziamo il modello di Bertrand e passiamo quindi al grafico di destra. Supponiamo che
un’impresa abbia deciso di fissare un prezzo pari a 70 (ossia il prezzo di monopolio). L'altra
impresa, se fissa un prezzo maggiore di 70 avrebbe una domanda nulla, perché tutti i consumatori
andrebbero dall‘impresa che offre un prezzo inferiore. Se invece l’altra impresa fissa un prezzo
uguale a 70, allora le due imprese si dividerebbero la clientela, di conseguenza ognuna di loro
produrrebbe 1500 (3000 totale, 1500 ciascuna). D'altro canto se l'altra impresa decida di fissare
un prezzo inferiore a 70, la domanda di tale impresa coinciderebbe alla domanda di mercato, in
quanto si accaparrerebbe tutta la clientela. Possiamo dunque affermare che l'altra impresa ha un
incentivo a fissare un prezzo minore di 70.

Lo stesso ragionamento vale anche se la prima impresa decida di fissare un prezzo pari a 50.
L’altra impresa avrà una domanda nulla se fissa un prezzo maggiore di 50, le due imprese si
divideranno la clientela se fissa un prezzo pari a 50, l'altra impresa avrà una domanda che
coincide alla domanda di mercato se decide di fissare un prezzo inferiore a 50 (ossia circa 5000).
Invece, se un’impresa decidesse di fissare un prezzo pari a 40, ossia pari al costo marginale,
all'impresa conviene fissare anch'essa un prezzo pari a 40, perciò la risposta ottima dell'altra
impresa è quella di fissare un prezzo pari a 40, pari al costo marginale. Abbiamo quindi dimostrato
anche graficamente perché nel modello di Bertrand l'equilibrio è rappresentato da un prezzo pari
al costo marginale. Nello specifico, se l'altra impresa fissasse un prezzo maggiore di 40 avrebbe
una domanda nulla, se invece fissasse un prezzo inferiore a 40 si accaparrerebbe tutta la
domanda di mercato ma andrebbe in perdita, ne consegue che la risposta ottima è fissare un
prezzo pari a 40, ossia pari al costo marginale (dove le imprese avrebbero una quantità di
equilibrio pari a 3000 ciascuno, in quanto 6000 è la quantità totale e esse come sappiamo si
dividono in maniera equa la clientela, dunque 3000). 40 rappresenta perciò l'equilibrio di Nash,
che è l'equilibrio unico possibile.

Modello di Cournot: concorrenza sulle quantità


Nel modello di Bertrand, se un’impresa fissa un prezzo superiore al costo marginale, l'altra
impresa le sottrarrà la clientela fissando un prezzo più basso solamente qualora sia in grado di
servire l'intero mercato. Inoltre, un'altra criticità del modello di Bertrand, è che i beni devono
essere omogenei (identici). Alla luce di queste criticità, in alcuni contesti è più appropriato
considerare il modello di Cournot, che si adatta bene a settori in cui l’impresa è in grado di
vendere solamente una quantità limitata di prodotti. Questo può essere dovuto per esempio al
fatto che le scorte di magazzino potrebbero essere limitate oppure che la capacità produttiva
potrebbe avere dei vincoli. In questo caso quindi le imprese invece di stabilire i prezzi, come
avveniva col modello di Bertrand, stabiliranno le quantità. Dopodiché i prezzi verranno determinati
attraverso l’uguaglianza tra domanda e offerta.
Dunque, nel modello di oligopolio di Cournot, le imprese scelgono simultaneamente quanto
produrre e, dato il totale delle quantità prodotte, il prezzo porta all'uguaglianza tra domanda e
offerta. Le imprese competono sulle quantità, non sui prezzi.
Potrebbe sembrare strano sentire che la concorrenza possa basarsi sulle quantità. È più facile da
comprendere che la concorrenza sia basata sui prezzi. Per capire meglio vediamo un esempio:
Pensiamo al mercato ortofrutticolo di una piccola città. Ogni agricoltore deve decidere la quantità
di prodotti da portare al mercato. Tale quantità che l’agricoltore decide di portare al mercato vorrà
anche venderla tutta. Una volta che gli agricoltori hanno preso tale decisione sulla quantità ed i
compratori sono arrivati, il prezzo dei prodotti si attesta al livello tale che domanda ed offerta si
eguagliano (in modo tale che l'agricoltore riesca a vendere tutto ciò che ha deciso di portare).
Sostanzialmente, si può dire che gli agricoltori fanno tra di loro una competizione in termini di
quantità.
Più in generale, il modello di Cournot si applica a quelle situazioni in cui le imprese prendono
decisioni circa la capacità produttiva o il magazzino, che determinano la loro capacità di vendita.
Un classico esempio è quello del settore aeronautico. È vero che le compagnie stabiliscono i
prezzi, ma le decisioni riguardano sopratutto su quanti aerei utilizzare. Qui abbiamo quindi una
decisione basata sulle quantità (e non sul prezzo).

Vediamo il modello di Cournot rappresentato graficamente:


Abbiamo la curva di domanda e la curva del costo marginale. Supponiamo che l’impresa Gianni
decida di produrre 1000 e che l’impresa Rebecca decida di produrre 3000. La quantità totale è
4000, quindi il prezzo sarà dato dall’intersezione tra domanda pari a 4000 e l'offerta. Possiamo
quindi vedere dal grafico che in corrispondenza di 4000 il prezzo di mercato è pari a 60.
In un equilibrio di Nash nel modello di Cournot, le imprese non possono mai ottenere profitti nulli.
Al contrario di quello che avviene in un modello di Bertrand. Infatti, ogni impresa potrebbe
migliorare la propria situazione riducendo la produzione in modo tale da far aumentare il prezzo in
corrispondenza del quale domanda ed offerta si eguagliano e quindi ottenere profitti positivi. Per
capirlo meglio guardiamo il grafico precedente e supponiamo che entrambe le imprese producano
3000, arrivando così ad una quantità totale pari a 6000. Dalla curva di domanda lèggiamo che il
prezzo di mercato in corrispondenza di una quantità pari a 6000 è 40, che corrisponde al costo
marginale. Quindi, qualora le due imprese producessero entrambe 3000, allora farebbero profitti
nulli. Ma questo può essere un equilibrio nel modello di Cournot? No, perché l’impresa Gianni
potrebbe decidere di ridurre la produzione, passando ad esempio da 3000 a 1000. In tal caso la
quantità totale passerebbe a 4000 e il prezzo aumenterebbe a 60, di conseguenza entrambe le
imprese farebbero dei profitti positivi. Ecco così dimostrato che non è possibile ottenere profitti
nulli nell'equilibrio di Cournot.

Per ricavare l'equilibrio nel modello di Cournot dobbiamo riprendere il concetto di equilibrio di
Nash. Qui però la scelta non riguarda il prezzo ma le quantità. In un equilibrio di Nash, quindi, la
scelta di produzione di ciascuna impresa massimizza il profitto individuale, data la scelta
produttiva dell’impresa rivale. Il primo passo da compiere per ricavare l'equilibrio nel modello di
Cournot è derivare la curva di domanda residuale di un’impresa. Tale curva mostra la relazione
tra la produzione di un'impresa ed il prezzo di mercato, data la produzione dell'altra impresa.
Vediamo come ricavare questa curva di domanda residuale graficamente:

Supponiamo che l’impresa Rebecca produca 2000. Dato che Rebecca produce 2000, quale è la
curva di domanda residuale di Giovanni, ossia quale è la relazione tra la produzione ed il prezzo,
data la produzione di Rebecca? La curva di domanda residuale si ottiene traslando verso sinistra
la curva di domanda di un'ammontare che corrisponde proprio alla produzione di Rebecca.
Perché si fa ciò? Supponiamo per esempio che il prezzo di mercato sia pari a 80, dalla curva di
domanda vediamo che la quantità domandata è pari a 2000. Ma se Rebecca produce 2000 quale
sarà la curva di domanda residuale di Giovanni? Ovviamente sarà pari a zero. Supponiamo ora
che il prezzo di mercato sia pari a 40, dalla curva di domanda ricaviamo che la quantità
domandata è pari a 6000. Se Rebecca produce 2000, quindi la curva di domanda residuale di
Giovanni sarà pari a 4000 (6000-2000). Quello che stiamo facendo è semplicemente traslare verso
sinistra la curva di domanda di un ammontare pari a 2000, ossia pari alla quantità prodotta di
Rebecca.
Stesso discorso si applica se la produzione di Rebecca fosse uguale a 4000, in tal caso per
ricavare la curva di domanda residuale di Giovanni bisognerà traslare la curva di domanda di 4000
(come possiamo vedere dal grafico di destra). Se il prezzo di mercato è pari a 60, la quantità
domandata sarà pari a 4000. Sapendo che Rebecca produce 4000, la quantità di domanda
residuale di Giovanni sarà pari a 0. E così via...

Il secondo passo da compiere per ricavare l'equilibrio di Nash nel modello di Cournot consiste nel
caratterizzare le risposte ottime (best responses) delle imprese. La risposta ottima rappresenta
la scelta di un giocatore che massimizza il proprio payoff, data la scelta dell'altro giocatore. Il
livello di produzione che massimizza il profitto di un’impresa, ossia la risposta ottima, per un dato
livello di produzione dell'altra impresa corrisponde alla quantità che eguaglia il ricavo marginale al
costo marginale.
La curva di risposta ottima (o curva di reazione) di un'impresa mostra la risposta ottima
dell'impresa per ogni possibile livello di produzione della sua rivale. Abbiamo già parlato di curve
di risposte ottime per quanto riguarda la teoria dei giochi. La curva di risposta ottima di
un'impresa ha pendenza negativa e ciò indica che, all'aumentare della produzione dell'impresa
rivale, diminuisce la quantità che l’impresa desidera produrre. Vediamo questi concetti
graficamente:

Nel grafico di sinistra abbiamo la produzione di Rebecca pari a 2000 metri cubi. Il primo passo,
ossia il calcolo della domanda residuale, è già stato svolto nel grafico precedente, quindi ci
limitiamo a riportare tale curva nel grafico. Data la curva di domanda residuale di Gianni, noi
dobbiamo ricavare la sua risposta ottima, ossia il livello di produzione che massimizza il profitto di
Gianni per ogni dato livello di produzione di Rebecca (in questo caso consideriamo il livello di
produzione di Rebecca pari a 2000). Per calcolare la risposta ottima dobbiamo quindi calcolare la
quantità che massimizza il profitto di Gianni, che sappiamo essere in corrispondenza del punto
tale che il ricavo marginale è uguale al costo marginale. Perciò, partiamo dalla curva di domanda
residuale di Gianni, che abbiamo ricavato dal grafico precedente, dopodiché calcoliamo il ricavo
marginale. Il ricavo marginale con una curva di domanda lineare è la curva che interseca l'asse
delle Y nello stesso punto in cui la curva di domanda lo interseca (in corrispondenza di un prezzo
pari a 80) e che ha pendenza doppia rispetto alla curva di domanda. Il ricavo marginale quindi si
trova sotto la curva di domanda. Supponiamo poi che il costo marginale sia costante e che sia
pari a 40. Nel punto in cui il costo marginale interseca la curva di ricavo marginale otteniamo una
quantità pari a 2000. Questa quantità ci dice proprio la produzione di Gianni che massimizza il suo
profitto, data una produzione di Rebecca pari a 2000. Abbiamo dunque ricavato la quantità che
massimizza il profitto di Gianni, dato il livello di produzione di Rebecca. Perciò, la risposta ottima
di Gianni, dato il livello di produzione di Rebecca pari a 2000, è pari a 2000 (quantità che
massimizza il profitto di Gianni, dato il livello di produzione di Rebecca pari a 2000).
Supponiamo ora nel secondo grafico che la produzione di Rebecca sia pari a 4000. Facciamo il
medesimo procedimento. Partiamo dalla curva di domanda residuale di Gianni. Otteniamo poi il
ricavo marginale nel medesimo modo di prima e la curva di costo marginale. La quantità che
massimizza il profitto di Gianni dato un livello di produzione di Rebecca pari a 4000, ossia la
risposta ottima di Gianni, è pari alla quantità che si evince dall'intersezione tra la curva del costo
marginale e la curva di ricavo marginale. La quantità di risposta ottima di Gianni, dato il livello di
produzione di Rebecca pari a 4000, è dunque pari a 1000.

Possiamo ora ripetere questo procedimento per ogni dato livello di produzione di Rebecca e
otteniamo così la curva di di risposta ottima di Gianni (indicata con l'acronimo BR= best
response). Analogamente possiamo ricavare anche la curva di risposta ottima di Rebecca. Dove
possiamo notare come se Gianni produce 4000, allora la risposta ottima di Rebecca è produrre
1000; se Gianni produce 2000 allora la risposta ottima di Rebecca è produrre 2000, e così via...
Vediamolo graficamente:

Dopodiché, l'intersezione tra le due risposte ottime ci dà proprio l'equilibrio di Nash nel modello di
Cournot:

L’equilibrio di Nash è pari, sia per Rebecca sia per Gianni, a 2000. Dimostriamo che questo
rappresenta l’equilibrio di Nash per entrambi verificando che non vi sia alcun incentivo a cambiare
scelta, data la scelta dell'altro. Data una quantità di produzione di Gianni pari a 2000, la risposta
ottima di Rebecca è proprio produrre 2000. Data una quantità di produzione di Rebecca pari a
2000, la risposta ottima di Gianni è sempre pari a 2000. Data la scelta dell'altro, l'altro giocatore
non ha alcun incentivo a scegliere una quantità diversa da quella rappresentata dall’equilibrio di
Nash.

Vediamo ora un esempio analitico:

-Terzo punto immagine sinistra—> calcoliamo la domanda residuale. Per calcolare la domanda
residuale dovremo semplicemente mettere tra parentesi la quantità prodotto dall'altra. Quindi per
calcolare la domanda residuale di Gianni, metteremo tra parentesi la quantità prodotta da
Rebecca. Mentre per calcolare la domanda residuale di Rebecca, metteremo tra parentesi la
quantità prodotta da Gianni. È importante mettere tra parentesi la quantità prodotta dall'altro
perché noi poi tale quantità la dovremo considerare come costante/variabile esogena (variabile
che consideriamo come tale) nel momento in cui andremo a determinare la risposta ottima.
-primo punto immagine destra—> dobbiamo calcolare le curve di risposta ottima (curve di
reazione).
-terzo punto immagine destra—> per trovare il ricavo marginale di Gianni dobbiamo fare P (ossia
la curva di domanda inversa, e la ricopiamo) più Delta P su Delta Q di Qg, dove Delta P su Delta Q
non è altro che la derivata di P rispetto a Qg, ovvero -0,01. Al -0,01 moltiplichiamo poi Qg. Ecco
come abbiamo determinato il ricavo marginale di Gianni. La cosa importante è che devi ricordarti
che Delta P su Delta Q è la derivata di P rispetto a Qg (quantità di Gianni, perché stiamo facendo
il ricavo marginale di Gianni). Stessa cosa faremo per determinare il ricavo marginale di Rebecca
(nella figura in basso a sinistra).

-primo punto immagine destra—> se stai calcolando Qr, Qg va via, lo sostituisci proprio con il Qg.
Se stai calcolando Qg, Qr lo sostituisci e va via. I risultati rappresentano le quantità prodotte da
ciascuno in equilibrio. La quantità di equilibrio per entrambi è pari a 2000.
-ultimo punto immagine destra—> per
trovare i profitti faremo ricavi - costi. I ricavi
sono pari al prezzo di equilibrio (60) per la
quantità di equilibrio (2000). I costi li troviamo moltiplicando il costo marginale (40) per la quantità
di equilibrio (2000).

In quest’ultima immagine confrontiamo i risultati ottenuti nell'equilibrio di Cournot con i risultati in


concorrenza perfetta e poi in monopolio.
-terzo punto—> il ricavo marginale in monopolio tiene conto solo delle quantità di un’impresa
(solo delle quantità di Gianni o solo delle quantità di Rebecca).

Ora vediamo la perdita di benessere nell’oligopolio e nel monopolio (rispetto al benessere in


concorrenza perfetta):
Sull'asse delle ascisse abbiamo le quantità, mentre sull’asse delle ordinate abbiamo il prezzo.
Abbiamo poi la funzione di domanda negativamente inclinata e la curva di costo marginale.
In concorrenza perfetta il prezzo è uguale al costo marginale, quindi in corrispondenza di un
prezzo pari a 40 avremo una quantità di equilibrio pari a 6000 (come abbiamo visto negli esercizi).
Quale è il surplus totale? È pari all'area del triangolo che ha come base le quantità fino a 6000 e
come altezza il segmento che va da un prezzo pari a 40 ad un prezzo pari a 100. In concorrenza
perfetta le imprese fanno profitti nulli, perciò vi sarà un surplus del produttore nullo, ne consegue
che il surplus totale coincide con il surplus del consumatore.
Invece, in oligopolio (equilibrio di Cournot) abbiamo visto come la quantità in equilibrio è pari a
4000, quindi il surplus del consumatore è pari all'area del triangolo che ha come base le quantità
fino a 4000 e l'altezza che va dal prezzo pari a 60 (perché in oligopolio il prezzo è pari a 60, non
40) al prezzo pari a 100. Il profitto, che coincide con il surplus del produttore perché non abbiamo
costi irrecuperabili, è dato dai ricavi - i costi. Graficamente il profitto coincide all'area del
rettangolo (rettangolo non triangolo stavolta) che ha come base le quantità fino a 4000 e come
altezza i prezzi da 40 a 60 (questa roba l'abbiamo spiegata all'inizio di questo capitolo quando
abbiamo parlato di come calcolare il profitto). Se sommiamo l'area del triangolo che rappresenta il
surplus del consumatore e l'area del rettangolo che rappresenta il surplus del produttore (profitti)
otteniamo l'area di un trapezio che rappresenta il surplus totale. Dopodiché, se facciamo la
differenza tra l'area del triangolo che rappresenta il surplus totale in concorrenza perfetta e l'area
del trapezio che rappresenta il surplus totale in oligopolio otteniamo l'area grigia, che rappresenta
la perdita di benessere in Cournot (in oligopolio).
Adesso consideriamo il caso di monopolio. La quantità in equilibrio è pari a 3000, di conseguenza
il prezzo è pari a 70. Il surplus del consumatore è l'area del triangolo compresa tra la curva di
domanda inversa e la retta di prezzo, ossia l'area del triangolo che ha come base le quantità fino a
3000 e come altezza il prezzo da 70 (prezzo di equilibrio in monopolio) a 100. Ora vediamo il
surplus del produttore, che come sappiamo in assenza di costi irrecuperabili coincide con i
profitti, che è pari all'area del rettangolo che ha come base base le quantità fino a 3000 e come
altezza il prezzo da 40 a 70. L'area di questo rettangolo è la differenza tra i ricavi e i costi, visto
che il surplus del produttore coincide con il profitto. Il surplus totale è dunque pari all'area del
trapezio che ha come base le quantità fino a 3000 e l'altezza che va da un prezzo pari a 40 ad un
prezzo pari a 100. In altre parole, il surplus totale è pari alla somma del triangolo (surplus del
consumatore) con il rettangolo (surplus del produttore). Infine, se facciamo la differenza tra il
surplus totale in concorrenza perfetta (triangolo) e il surplus totale in monopolio (trapezio)
otteniamo la perdita di benessere in monopolio. Tale perdita di benessere è rappresentata
graficamente dalla somma dell'area grigia e dell'area azzurra.
Possiamo quindi concludere che la perdita di benessere in monopolio è maggiore della perdita di
benessere in oligopolio. Questa maggiore perdita è pari all'area azzurra.

Concorrenza di prezzo con prodotti differenziati


In monopolio e in concorrenza perfetta non abbiamo interazione strategica perché nel primo
l’impresa è solo una e nel secondo vi è un numero così alto di imprese che la scelta di un'impresa
non influenza quella delle altre imprese, infatti in tal caso le imprese agiscono come price-taker
(non possono influenzare il prezzo). Invece in oligopolio vi è un'interazione strategica tra un
numero limitato di imprese. Per quanto riguarda l'oligopolio abbiamo visto la competizione sui
prezzi (Bertrand) e poi sulle quantità (Cournot).
Ora vediamo un terzo modello di concorrenza, basato sul prezzo proprio come il modello di
Bertrand. La differenza è che in questo caso i beni non sono completamente omogenei (identici),
ma sono differenziati, sono quindi quei beni che non vengono percepiti dai consumatori come
perfetti sostituti. Due prodotti che non vengono percepiti come perfetti sostituti dai consumatori
sono denominati appunto prodotti differenziati. In un mercato in cui i prodotti sono differenziati,
la corsa al ribasso dei prezzi nel tentativo di accaparrarsi la clientela dell'impresa rivale non
spinge i prezzi al costo marginale. Perché ciò non accade? Fissare un prezzo al costo marginale
significa fare profitti nulli. Se i beni non sono completamente omogenei, ma sono appunto
differenziati, quando un'impresa decide di alzare leggermente il prezzo rispetto al costo marginale
ovviamente perderà della clientela, ma non la perderà tutta, in quanto rimangono i cosiddetti
clienti affezionati al marchio. Dunque, in questo tipo di mercato caratterizzato da una concorrenza
di prezzo e da prodotti differenziati il prezzo non è uguale al costo marginale, ma generalmente
sarà più elevato (perché l’aumento del prezzo non ha come conseguenza la perdita totale della
clientela).
Vediamo ora questo concetto graficamente:
Sia nel grafico di destra che nel grafico di sinistra vediamo quale è la decisione ottima della Coca-
cola per ogni dato prezzo stabilito dalla Pepsi. Nello specifico, nel grafico di sinistra abbiamo il
caso in cui la Pepsi fissa un prezzo pari a 0.60, mentre nel grafico di destra pari a 0.40. Sull'asse
delle X abbiamo il numero di lattine della Coca, mentre sull'asse verticale abbiamo il prezzo delle
lattine sempre della Coca. Vediamo il grafico di sinistra, dove vediamo raffigurata la curva di
domanda negativamente inclinata della Coca quando la Pepsi fissa un prezzo pari a 0.60. La
curva è negativamente inclinata, perciò all'aumentare del prezzo della Coca diminuiscono
ovviamente le quantità domandate. Dalla curva di domanda inversa possiamo ricavare il ricavo
marginale, sapendo che quest’ultimo ha la pendenza doppia rispetto alla curva di domanda. Il
ricavo marginale ci serve perché la decisione ottima (la decisione relativa alle quantità da
produrre) della Coca si trova in corrispondenza dell’intersezione tra la retta del ricavo marginale e
quella del costo marginale. Da tale intersezione si ricava una quantità pari a 45. Dato questo
ammontare di quantità possiamo ricavare il prezzo andando su, fino a quando incontriamo la
curva di domanda ottenendo così un prezzo pari 0,48. Possiamo quindi concludere dicendo che
quando la Pepsi fissa un prezzo pari a 0,60 allora la Coca fisserà un prezzo pari a 0,48. La Coca
fissa un prezzo inferiore rispetto alla Pepsi, ma ciononostante non riesce a sottrarre l'intera
clientela alla Pepsi, perché i prodotti sono differenziati.
Vediamo ora il grafico di destra, dove la Pepsi riduce il prezzo a 0,40. La prima differenza è che la
funzione di domanda inversa è più bassa, ciò vuol dire che a parità di prezzo la quantità prodotta
dalla Coca si riduce. Ciò perché la Pepsi ha diminuito il prezzo, quindi la quantità domandata di
Coca è diminuita (ma non azzerata). Facciamo ora il medesimo procedimento di prima e vedremo
che la quantità ottimale prodotta dalla Coca sarà pari 25, da cui ricaviamo un prezzo pari 0,40.
Possiamo quindi affermare che se la Pepsi riduce il prezzo da 0.60 a 0.40 allora la Coca passerà
da un prezzo pari a 0.48 ad un prezzo pari a 0.40.

La curva di reazione (di risposta ottima) di un’impresa è positivamente inclinata, differentemente


rispetto a quanto abbiamo visto nel caso della competizione di Cournot. Perché in questo caso la
curva di reazione è positivamente inclinata? Perché se la Pepsi riduce il suo prezzo allora anche la
Coca ridurrà il prezzo, se la Pepsi aumenta il prezzo allora anche la Coca aumenterà il prezzo.
Vediamolo graficamente:
In questo grafico abbiamo sull'asse delle X il prezzo della Pepsi, mentre sull'asse delle Y il prezzo
della Coca. La curva di reazione della Coca è rappresentata dalla retta azzurra. Nel grafico di
prima abbiamo individuato due punti della curva di risposta ottima della Coca: un prezzo pari a
0,40 in corrispondenza di un prezzo della Pepsi pari a 0,40 e un prezzo pari a 0,48 in
corrispondenza di un prezzo della Pepsi pari a 0,60. Ricordiamoci che la curva di reazione ci dice
quale è la risposta ottima di un'impresa, in questo caso in termini di prezzo perché la concorrenza
è sui prezzi, per ogni dato livello di prezzo dell'impresa rivale. Analogamente poi possiamo
ricavare la curva di reazione della Pepsi (utilizzando gli stessi dati che abbiamo usato per la Coca).
Infine, l'intersezione tra le due rette di risposta ottima (BR=best responses) ci dà l'equilibrio di
Nash.
(RICORDIAMOCI che la differenza principale rispetto al modello di Cournot è che nel caso di
prodotti differenziati le curve di risposta ottima sono positivamente inclinate).

Vediamo ora un esercizio:

-primo punto immagine sinistra—> nella funzione di quantità della Coca i prezzi tra parentesi ci
dicono che se il prezzo della Pepsi è maggiore di quello della Coca, allora le quantità domandate
di Coca aumenteranno. Se invece il prezzo della Pepsi è minore del prezzo della Coca, allora le
quantità di Coca diminuiranno. Stesso discorso ma inverso per la funzione di quantità della Pepsi.
Già dalle funzioni di domanda si può quindi capire che i prodotti sono differenziati e non
omogenei.

I ricavi sono uguali a 0,40*25, ossia il prezzo di


equilibrio per la quantità di equilibrio.
Collusione
Finora abbiamo visto: concorrenza perfetta, monopolio, differenti gradi di oligopolio (competizione
à la Bertrand con beni omogenei, competizione sulle quantità à la Cournot, competizione sui
prezzi con beni differenziati). Ora vediamo il caso della collusione.
Si ha una collusione sostanzialmente quando le imprese fissano prezzi che sono più elevati
rispetto all'equilibrio non cooperativo, ovvero rispetto al caso in cui si facessero concorrenza tra
di loro. Quella che andremo a vedere non è una collusione esplicita in cui le imprese si siedono ad
un tavolo e si accordano sul prezzo, ma è una collusione tacita, ossia una collusione che emerge
tacitamente senza alcun accordo tra le imprese (tra l’altro la collusione tacita non è neanche
punibile).
La collusione può emergere in un contesto in cui le imprese competono ripetutamente. In questo
caso l'incentivo a ridurre i prezzi è più attenuato, perché le imprese si preoccupano anche del
futuro. Infatti, se non si preoccupassero del futuro finirebbero per avere profitti nulli (in quanto nel
modello di Bertrand il prezzo è uguale al costo marginale). Consideriamo un modello di Bertrand
ripetuto all'infinito, in cui le imprese ripetono un numero infinito di volte il gioco dei prezzi del
modello originario. Dunque, in questo caso, le imprese fissano i prezzi simultaneamente in ogni
periodo ed i consumatori acquistano dall'impresa che offre il prezzo inferiore. Alla fine di ogni
periodo, ogni impresa osserva i prezzi fissati dalla rivale.
Quando le imprese competono ripetutamente, un possibile risultato di equilibrio, conosciuto
come equilibrio non cooperativo, è caratterizzato dal fatto che in ciascun periodo si ripete lo
stesso equilibrio di Nash che emergerebbe se le imprese competessero solo una volta. Questo
equilibrio porta ad avere un prezzo uguale al costo marginale, come già abbiamo visto nel
modello di Bertrand. Infatti, se un’impresa fissa il prezzo al costo marginale, la risposta ottima
dell'altra impresa sarà di fissare il prezzo pari al costo marginale (e così possono fare all'infinito).

Noi però non siamo interessati a questo equilibrio, noi vogliamo vedere i casi in cui il prezzo è
maggiore del costo marginale. Possono quindi esistere altri equilibri.
Supponiamo che le imprese adottino entrambe la stessa strategia: fissare il prezzo di monopolio
se nessuno ha fissato (in passato) un prezzo più basso; altrimenti, fissare un prezzo pari al costo
marginale. Dunque, se nessuna impresa in passato ha fissato un prezzo più basso, allora esse
cooperano nel mantenere il prezzo di monopolio (questa cooperazione ha successo solo se le
imprese hanno cooperato negli stadi precedenti). Altrimenti, se un’impresa abbassa il prezzo,
allora le imprese iniziano una guerra di prezzi che ha l'effetto di portare il prezzo al costo
marginale. Questo è un esempio di strategia punitiva (o grim strategy) (questa strategia
corrisponde al caso del dilemma dei coniugi, soltanto che qua lo applichiamo alla competizione
tra le imprese). Se un’impresa fissa il prezzo al costo marginale, l'altra impresa farà lo stesso e
quindi possiamo dire che la minaccia è credibile.

Questa strategia abbiamo visto che ci dice che le imprese fissano un prezzo di monopolio se
nessuna impresa nei periodi precedenti ha fissato un prezzo inferiore. Abbiamo anche visto che la
minaccia di stabilire un prezzo uguale al costo marginale qualora una delle imprese riducesse i
prezzi è credibile. Ora consideriamo anche un'altra questione: l'incentivo da parte di un’impresa,
nonostante la minaccia, a stabilire un prezzo più basso rispetto a quello di monopolio. In poche
parole cerchiamo di capire se l’impresa ha convenienza a far ciò o meno, se l’impresa ha
convenienza a deviare dal prezzo di monopolio. Ora quindi vediamo i costi e i benefici derivanti
dal taglio del prezzo sotto il livello di monopolio:

(Noi qui il prezzo di monopolio e il profitto li abbiamo come dati acquisiti, però possiamo ricavare
noi stessi che il prezzo di monopolio è pari a 70 e che il profitto è pari a 9000, lo sappiamo fare
dagli esercizi fatti nei paragrafi precedenti).
Quindi se l’impresa fissa un prezzo appena sotto il livello di monopolio, nel periodo corrente
otterrà un profitto pari a 9000, ma da quel momento in avanti otterrà un profitto nullo, perché se
un'impresa abbassa il prezzo poi tutte le altre imprese sono incentivate ad abbassare anch'esse il
prezzo, fino ad arrivare ad un prezzo pari al costo marginale, dove quindi l’impresa otterrà un
profitto nullo.

Ora vediamo invece quello che succede ad un'impresa che fissa un prezzo pari al livello di
monopolio:

Noi dobbiamo calcolare il valore attuale scontato di un flusso di profitti pari a 4500 in ogni
periodo. Per capire il valore attuale scontato supponiamo di investire un euro in banca oggi, nel
periodo successivo otterremo il nostro euro più il tasso di interesse (R). Quindi domani otterremo
un ammontare pari a 1 + R. Se facciamo il ragionamento a ritroso possiamo vedere quanto vale
oggi un euro che io ottengo domani. In termini di oggi, un euro che io posso ottenere domani è
semplicemente pari a 1/1+R. Questa è la formula dell'attualizzazione (che già hai fatto in
matematica alle superiori, ma ciò che interessa a noi è capire cosa significa in termini di oggi, un
euro che io ottengo domani). Quindi se la nostra impresa decide di fissare un prezzo pari al livello
di monopolio, oggi otterrà 4500, poi domani in termini di oggi otterrà 4500/1+R, dopodomani in
termini di oggi otterrà 4500/(1+R)^2,... Da questa formula si può intuire come 4500 domani valga
meno di 4500 oggi, così come 4500 dopodomani varrà meno di 4500 domani. Perciò più si va
avanti più il risultato sarà minore del 4500 iniziale.
La formula finale (4500/R)*(1+R) ci dice il valore in termini di oggi di un flusso di profitti pari a
4500, che l’impresa ottiene da oggi in avanti.
Perché abbiamo bisogno di calcolare il valore attuale scontato? Perché la nostra impresa nel
momento in cui le altre imprese fissano un prezzo di monopolio pari a 70, deve confrontare i costi
ed i benefici dal tagliare il prezzo leggerissimamente sotto a 70. Abbiamo visto che se l'impresa
taglia il prezzo appena sotto a 70, avrà un guadagno pari al profitto di monopolio nel periodo
corrente (9000), ma otterrà zero nei periodi successivi. Però se l’impresa decide di stabilire un
prezzo pari al livello di monopolio (se l’impresa decide di colludere), otterrà in ogni periodo la
metà dei profitti di monopolio (4500). Noi poi dobbiamo calcolare in termini di oggi quanto vale
questo flusso di profitti. Ecco perché utilizziamo il concetto di valore attuale scontato.

A questo punto quello che ci resta da fare è confrontare i costi ed i benefici derivanti dal taglio del
prezzo, da cui evinciamo che:

Un’impresa non taglierà il prezzo sotto il livello di monopolio se il guadagno dal taglio di prezzo
(9000+0) è minore o uguale del valore attuale scontato dei profitti da collusione ((4500/R)*(1+R).
R <=1 lo otteniamo facendo i passaggi partendo dalla formula iniziale e poi, infine, esplicitando
per R.
Possiamo perciò affermare che se R <=1 allora la collusione può essere sostenuta. Il tasso di
interesse deve essere piccolo abbastanza per poter sostenere la collusione. Per capire ciò
supponiamo il caso in cui una banca chieda un tasso di interesse molto elevato, in tal caso
significa che la nostra banca si preoccupa più del presente che del futuro. Invece, se il tasso di
interesse è basso (<=1) significa che la nostra banca si preoccupa più del futuro. Quindi se R deve
essere minore o uguale a 1 significa che siamo in un mercato in cui ci si preoccupa di più al futuro
piuttosto che al presente. La collusione quindi può essere sostenuta solamente quando le
imprese si preoccupano sufficientemente del futuro.
Per capire ancora meglio, supponiamo che il tasso di interesse sia pari a zero. In tal caso vuol dire
che un euro oggi vale come un euro domani. Se invece il tasso di interesse è molto elevato,
significa che un euro oggi vale molto di più di un euro domani. Ciò per capire che all’aumentare
del tasso di interesse, saremo di fronte ad un mercato che si preoccupa meno del domani ma più
dell'oggi. Quindi, ritornando a noi, per sostenere la collusione, R deve essere minore o uguale a 1,
quindi per sostenere la collusione dobbiamo essere in un mercato in cui le imprese si preoccupino
sufficientemente del futuro.
L’impresa che decide di tagliare il prezzo leggerissimamente sotto il livello di monopolio, è vero
che oggi guadagnerà tutti i profitti, però allo stesso tempo è consapevole che da domani perderà
la metà dei profitti di monopolio per sempre, e se il tasso di interesse è piccolo (<=1) questa
perdita sarà molto significativa. Ne consegue che l'impresa preferirà non tagliare il prezzo oggi. La
minaccia di scatenare una guerra dei prezzi qualora l’impresa decida di tagliare il prezzo appena
sotto il livello di monopolio è credibile, funziona. Se, invece, alla nostra impresa non interessa il
futuro, allora la minaccia non funzionerà, perché preferirà stabilire un prezzo appena sotto il livello
di monopolio, così da ottenere più profitti oggi. In tal caso all’impresa non interessa se poi perderà
la metà dei profitti dopo, in quanto a lei interessa il presente e nel presente ottiene tutti i profitti.

Fattori che ostacolano la collusione


Nella realtà esistono diversi fattori che ostacolano la collusione.
Supponiamo ora che invece che esserci solamente due imprese nel mercato, ve ne siano molte
(un numero N >=2). Intuitivamente, se aumentiamo il numero delle imprese la collusione sarà più
difficile da sostenere, perché in questo caso se un’impresa decide di fissare un prezzo
leggerissimamente sotto il livello di monopolio, essa perderà non più la metà dei profitti, ma se vi
sono 3 imprese ne perderà 1/3 dei profitti di monopolio, se ce ne sono 4 perderà 1/4 dei profitti, e
così via. Ciò per dire che nel caso in cui vi siano N imprese, un’impresa avrà più convenienza a
deviare e quindi a fissare un prezzo leggerissimamente sotto il livello di monopolio, in quanto la
perdita dei profitti non sarà più pari alla metà (9000/2=4500), ma sarà pari a 1/3 o a 1/4, in
sostanza perderà meno profitti. Se ci sono tantissime imprese l'impresa avrà quindi convenienza a
deviare, perché i profitti che perde saranno pochi. Oltre poi al fatto che se vi sono tantissime
imprese sarà difficile accordarsi ad un prezzo di monopolio.
Vediamo questo concetto coi numeri:

Esistono poi altri fattori che ostacolano la collusione. Alla fine di ogni periodo, sappiamo che ogni
impresa osserverà i prezzi fissati dalla rivale. Se ogni impresa non è in grado di osservare i prezzi
fissati dalla rivale alla fine di ogni periodo, è molto più difficile sostenere la collusione. Dunque, in
molte situazioni, un’impresa osserva i prezzi dei rivali in maniera imperfetta o non li osserva affatto
e, quindi, non potrà sapere con certezza se una delle imprese rivali ha violato l’accordo collusivo
o meno. È quindi possibile attuare la minaccia solamente qualora si osservino i prezzi dei rivali.
Inoltre, in presenza di beni differenziati o di costi marginali differenti, diventa più difficile
raggiungere un accordo collusivo.
Un altro fattore è infine che la guerra di prezzi che deriva dall'abbassamento del prezzo potrebbe
non portare i profitti a zero.

Collusione tacita ed esplicita


La collusione che abbiamo analizzato fino ad adesso era una collusione tacita, perché le imprese
non devono necessariamente mettersi d'accordo, in quanto il prezzo di monopolio può
manifestarsi spontaneamente, senza un accordo esplicito.
Le imprese colludono esplicitamente quando comunicano tra di loro per raggiungere un
accordo sui prezzi, quando si scambiano informazioni via mail o per telefono. La legislazione
antitrust americana, come quella di numerosi altri Paesi (tra cui anche l'Italia), stabilisce l’illegalità
della collusione esplicita, in quanto danneggia i consumatori, che devono acquistare i prodotti ad
un prezzo più alto.
Al contrario, le imprese instaurano una collusione tacita quando colludono senza comunicare,
fissando un prezzo superiore a quello non-cooperativo. Col trascorrere del tempo, le imprese
possono aver vissuto guerre di prezzi ed avere di conseguenza attenuato il proprio spirito
competitivo. Quindi le imprese possono preferire una collusione tacita, per evitare di sostenere
altre guerre di prezzi. La collusione tacita in genere non è illegale (perché non si possono punire le
imprese che non si sono messe esplicitamente d'accordo, in quanto appunto sarebbe difficile
dimostrare il loro accordo) ma è probabile che abbia meno successo rispetto alla collusione
esplicita.

Ingresso nel mercato e concorrenza monopolistica


Continuiamo ora la nostra analisi dei mercati. Abbiamo finora visto la concorrenza perfetta, il
monopolio, Bertrand, Cournot, la collusione e ora analizziamo la situazione di ingresso di mercato
e la concorrenza monopolistica.
Finora abbiamo ipotizzato che il numero di imprese in un mercato sia in qualche modo fisso. In
realtà vi possono essere degli ingressi nel mercato. Vi sono molti fattori che influenzano il numero
di imprese che entrano in un mercato:
1) il costo fisso che un’impresa deve sostenere per entrare nel mercato (costo d'entrata).
2) la dimensione del mercato.
3) l’intensità della concorrenza (misurata dal livello dei prezzi).
Intuitivamente, se il costo fisso è sufficientemente basso da consentire l'ingresso, potrebbero
entrare troppe imprese. Ora cerchiamo di capire per quale motivo potremmo avere troppe
imprese nel mercato rispetto al numero che sarebbe ottimale dal punto di vista del benessere
sociale. La possibilità di ingresso eccessivo, ossia la possibilità che possano entrare troppe
imprese, è dovuta alla sottrazione di clientela altrui (business stealing), che emerge quando
parte delle vendite di un’impresa entrante provengono dalla clientela dell’impresa già operante sul
mercato, le cui vendite si contraggono dopo l'ingresso nel mercato della nuova impresa. La
società non guadagna molto dal fatto che un’impresa sottragga clientela ad un'altra impresa. La
società ci guadagnerebbe solamente qualora si riducessero i prezzi. Il numero di imprese che
entrano in un mercato quindi potrebbe essere maggiore di quello che la società e lo Stato
vorrebbero.
Vediamo ora graficamente quanto appena detto:

Nel grafico di sinistra vediamo cosa succede quando nel mercato entra la prima impresa. Quando
entra la prima impresa, quale è il benessere sociale dovuto dall'entrata della prima impresa? Il
benessere sociale è pari all’area del trapezio (area grigia più area azzurrina), ossia è pari alla
somma dell'area del surplus del consumatore (area grigia) e dell'area del surplus del produttore
(area azzurrina). Supponiamo ora che il prezzo di entrata sia maggiore rispetto all'area azzurra,
quindi che sia maggiore dei profitti dell'impresa al lordo del costo d'entrata, ma sia minore
rispetto alla somma tra l'area grigia e l'area azzurra. In questa situazione l’impresa deciderà di non
entrare, in quanto il profitto che ottiene al lordo del costo d'entrata è minore rispetto al costo
d'entrata. D'altro canto, visto che il costo d'entrata è minore della somma tra l'area grigia e l'area
azzurra, la società vorrebbe che l’impresa entrasse, proprio perché il benessere che otterrebbe
nel caso di entrata è positivo. Abbiamo quindi una situazione in cui la società vorrebbe che
l’impresa entrasse, ma l’impresa non ha nessun incentivo ad entrare. Quindi, quando siamo di
fronte al primo entrante si creano i presupposti per sussidiare le entrate, per dare un incentivo
all’impresa ad entrare.
Ora vediamo cosa succede con il secondo entrante (grafico di destra). Qui abbiamo il caso in cui
vi siano due imprese nel mercato e, in tal caso, il prezzo di mercato scende da 70 a 60. Adesso
vediamo quale è il guadagno che l’impresa ottiene dall'ingresso della seconda impresa e quali
sono gli incentivi di questa seconda impresa ad entrare. Innanzitutto, il guadagno che l'impresa
ottiene per il fatto che una seconda impresa entra è dato dall'area del trapezio, rappresentata
dalla somma dell'area grigia e dell'area azzurro chiaro. A questo punto, consideriamo quale è il
profitto che la seconda impresa ottiene. Supponendo che le due imprese si spartiscano il mercato
in maniera uguale, nel momento in cui la quantità totale è pari a 4000, ciascuna impresa produrrà
2000, di conseguenza il profitto della seconda impresa al lordo dei costi di entrata sarà dato
dall'area del rettangolo, rappresentata dalla somma dell'area blu e dall'area azzurro chiaro.
Se l'area grigia più l'area azzurro chiaro, ossia se il beneficio che la prima impresa ottiene
dall'entrata della seconda impresa, è minore rispetto al costo d'entrata, la prima impresa vorrebbe
che la seconda impresa non entrasse. D'altro canto, se il costo di entrata è minore rispetto ai
profitti che la seconda impresa otterrebbe, ossia se è minore della somma dell'area blu e dell'area
azzurro chiaro, allora la seconda impresa entrerà. In questo caso siamo quindi di fronte ad una
situazione in cui l'entrata della seconda impresa è indesiderata dal punto di vista sociale (la prima
impresa non vuole che la seconda entri. Per società quindi non si intendono solo i consumatori,
ma anche le imprese già operanti nel mercato), ma la seconda impresa comunque entrerà nel
mercato. L'entrata della seconda impresa nel mercato permette di ridurre il prezzo da 70 a 60
(questa è una cosa positiva per la società. Società intensa come consumatori e come imprese già
operanti), ma questo beneficio è molto minore rispetto al beneficio che la seconda impresa
ottiene, derivante dalla sottrazione della clientela altrui. Ai consumatori interessa poco che sia una
o l'altra impresa a vendere i prodotti se questi prodotti sono omogenei (non differenziati).
In conclusione, questo esempio illustra che ci possono essere troppe imprese dal punto di vista
del benessere sociale. Questo spiega anche perché in taluni casi lo Stato voglia regolamentare
l'entrata nel mercato di nuove imprese. Ciò quindi ovviamente non è per dire che è meglio il
monopolio, ma è per capire come a volte l'entrata di troppe imprese possa essere dannosa per il
benessere sociale.

Ingresso nel mercato, differenziazione del prodotto e concorrenza monopolistica


Due prodotti sono denominati prodotti differenziati quando non vengono percepiti come perfetti
sostituti dai consumatori. Le imprese cercano di differenziare il proprio prodotto proprio per
evitare la concorrenza sul prezzo. Quando le varietà di prodotti che i consumatori sono disposti
ad acquistare sono numerose, si può giungere alla situazione in cui esistono tanti prodotti
ciascuno dei quali differisce lievemente dagli altri ed è venduto al di sopra del costo marginale (ad
esempio le stazioni di benzina). Le stazioni di benzina sono differenziate le une dalle altre
solamente perché la locazione è diversa (sono quindi dei prodotti differenziati). Si suppone infatti
che i consumatori andranno nella stazione di benzina più vicina, quindi la scelta dei consumatori e
la differenziazione del prodotto è dovuta unicamente alla locazione.
In un mercato con libertà di entrata, si ha una concorrenza monopolistica quando vi è un
numero elevato di imprese, ciascuna delle quali produce un prodotto unico e differente da quello
delle altre imprese, cosicché i prezzi sono al di sopra dei costi marginali ed i profitti al netto dei
costi fissi sono (quasi) nulli. Spiegamelo graficamente:
Sull'asse delle X abbiamo le quantità, sull'asse delle Y il prezzo. La curva di domanda di ogni
impresa è negativamente inclinata. I beni sono percepiti come differenziati da parte dei
consumatori. In concorrenza monopolistica il ricavo marginale deve essere uguale al costo
marginale. Data quindi l’uguaglianza tra costo marginale e ricavo marginale abbiamo la quantità di
equilibrio. Dalla curva di domanda possiamo poi leggere il prezzo di equilibrio. L’impresa, pur
fissando un prezzo maggiore del costo marginale, otterrà profitti nulli, perché il prezzo
corrisponderebbe al costo medio. Questa è una rappresentazione di una situazione di
concorrenza monopolistica, ossia un mercato caratterizzato da libertà d'entrata, in cui però i
prezzi sono maggiori rispetto ai costi marginali, ma nonostante ciò i profitti sono nulli (perché le
imprese possono entrare liberamente nel mercato, quindi i profitti al netto dei costi fissi sono pari
a zero. Se i profitti al netto dei costi fissi sono maggior di zero entreranno altre imprese nel
mercato. Quindi le imprese entreranno fino a che i profitti al netto dei costi fissi saranno uguali a
zero). Perciò dato che ciascuna impresa vende un prodotto unico/differenziato, essa potrà fissare
un prezzo maggiore del costo marginale (ma nonostante ciò otterrà comunque dei profitti nulli, per
il fatto che l'entrata nel mercato è libera).

Pre-commitment strategico e modello di Stackelberg


L'ultima struttura di mercato che andiamo ad analizzare è il pre-commitment strategico.
Innanzitutto, questa struttura di mercato è relativa alla competizione sulle quantità, quindi il
modello di riferimento che dobbiamo avere presente è quello di Cournot. Qui però analizzeremo
una situazione in cui le imprese hanno l’opportunità di fare qualcosa prima che la competizione
abbia luogo.
Per comprende ciò, dobbiamo sapere che gli investimenti in capacità, ricerca e sviluppo,
pubblicità, e qualità del prodotto incidono sulla concorrenza futura. Di conseguenza le imprese
possono migliorare i propri profitti prendendo in considerazione gli effetti delle loro decisioni sulla
concorrenza futura. Per esempio un’impresa, in previsione della concorrenza futura, potrebbe
decidere di acquistare un grande magazzino. Si ha un pre-commitment strategico quando
un'impresa, allo scopo di modificare la concorrenza futura ed accrescere i profitti, si impegna a
compiere determinate azioni prima che i rivali compiano le loro (ad esempio acquistando un
magazzino appunto).
Nel modello di Stackelberg di concorrenza sulle quantità, due imprese (o più) scelgono quanto
produrre in maniera sequenziale. Ora andremo quindi a vedere un’applicazione dei concetti dei
giochi a più stadi che abbiamo già visto.
Consideriamo due imprese possedute da Rebecca e Gianni. Rebecca (leader) entra nel mercato
prima di Gianni (follower) e costruisce un impianto con un processo produttivo che deve essere
sfruttato a pieno regime (questa è una scelta effettuata da Rebecca prima che la competizione
con Gianni abbia inizio, questo è dunque un pre-commitment strategico, perché attraverso ciò
Rebecca sarà in grado di modificare a proprio vantaggio la concorrenza futura e accrescere i
profitti futuri). Questo equivale quindi a dire che Rebecca sceglie la quantità da produrre prima di
Gianni.
Vediamo ora quale è l’equilibrio di Nash in questa situazione. Rebecca, dovendo compiere la
prima mossa, farà una scelta che sarà almeno altrettanto vantaggiosa rispetto a quella che
farebbe se dovesse compierla insieme a Gianni. In altre parole, Rebecca dovrà ottenere un
profitto che è almeno altrettanto elevato rispetto al profitto che otterrebbe qualora considerassimo
il caso di Cournot classico in cui Gianni e Rebecca decidono contestualmente (assieme, allo
stesso tempo).
Cosa dovrà fare Rebecca per massimizzare i profitti? Riprendiamo il concetto di funzione di
reazione. Essa ci dice quanto Gianni produce per ogni data decisione di Rebecca, in modo tale da
massimizzare il proprio profitto. Quindi quello che Rebecca deve fare è trovare il punto sulla curva
di reazione di Gianni in corrispondenza del quale i profitti di Rebecca sono massimizzati. Qui
Rebecca ha il vantaggio (rispetto a Cournot) che può decidere la quantità da produrre prima di
Gianni. Vediamolo graficamente:

Nella parte di sinistra costruiamo le funzioni di reazione di Rebecca e di Gianni. La funzione di


reazione (BR=best responses) di Rebecca è rappresentata dalla retta azzurra, mentre quella di
Gianni da quella grigia. Il punto A è l'intersezione tra le due curve di reazione. Il punto A quindi
rappresenta l’equilibrio di Nash, però di Cournot, ossia l’equilibrio di Nash qualora la scelta delle
quantità avvenisse contestualmente (allo stesso momento). Ora però siamo nella situazione in cui
Rebecca è la leader del mercato. Tutte le lettere che vi sono sulla curva di reazione di Gianni sono
le decisioni di produzione di Gianni per ogni dato livello di quantità stabilito da Rebecca. Se per
esempio Rebecca decide di produrre una quantità pari a 2000, Gianni deciderà di produrre
anch'esso 2000. Maggiore è la quantità che Rebecca decide di produrre, minore sarà la quantità
che Gianni deciderà di produrre (ciò perché le funzioni di reazione sono negativamente inclinate).
Nel grafico di destra possiamo appunto vedere quale è la risposta ottima di Gianni per ogni dato
livello di produzione di Rebecca. Dalla penultima colonna, ossia dalla colonna che indica il profitto
di Rebecca se Gianni entra nel mercato, possiamo vedere che il profitto massimo che Rebecca
potrà ottenere sarà pari a 45000, in corrispondenza di una produzione pari a 3000. Quindi
Rebecca stabilirà una quantità pari a 3000, perché è questa la quantità che massimizza il suo
profitto nel caso di entrata nel mercato di Gianni.

Ora vediamo un esercizio:


Il punto chiave è che la quantità prodotta da Rebecca non viene assolutamente influenzata dalla
quantità prodotta da Gianni, perché è Rebecca che deve decidere per prima. Invece, la quantità
prodotta da Gianni viene assolutamente influenzata dalla quantità prodotta da Rebecca, perché
esso si ritrova a decidere dopo che Rebecca ha già fatto la sua scelta.

Dal punto di vista strategico, la situazione descritta nel modello di Stackelberg con riferimento a
Rebecca e Gianni equivale alla battaglia dei sessi diseguale tra Antonio e Maria. Rebecca fa il
ragionamento a ritroso, anticipando le risposte ottime di Gianni alle sue (di Rebecca) scelte
produttive e scartando le risposte non ottime di Gianni come azioni non credibili (induzione
all'indietro o backward induction).
L'equilibrio del gioco di Stackelberg è un equilibrio di Nash "ragionevole" nel senso che nessun
giocatore commette l'errore di credere ad una minaccia che non è credibile.

Confronti tra forme di mercato


Confrontiamo le seguenti forme di mercato: concorrenza perfetta, monopolio, competizione à la
Bertrand con beni omogenei, competizione à la Cournot, competizione à la Stackelberg.
In termini di quantità abbiamo che la quantità prodotta in monopolio è minore della quantità
prodotta in Cournot, quest’ultima a sua volta è minore della quantità prodotta in Stackelberg, che
è a sua volta minore della quantità in Bertrand, dove quest’ultimo è uguale alla quantità prodotta
in concorrenza perfetta.

Per quanto riguarda invece i prezzi avremo che il prezzo in concorrenza perfetta sarà uguale al
prezzo in Bertrand, e il prezzo di questi due sarà minore del prezzo in Stackelberg, che sarà a sua
volta minore del prezzo di Cournot, che sarà a sua volta minore del prezzo di monopolio. La scala
dal prezzo minore al prezzo maggiore è esattamente l'opposto rispetto alla scala dalle quantità
minori alle quantità maggiori, ciò ovviamente perché la funzione di prezzo è la funzione inversa
della domanda, quindi è chiaro che siano uno l'opposto dell'altro.

Infine, in termini di benessere sociale avremo il benessere sociale in monopolio sarà minore del
benessere sociale in Cournot, che a sua volta è minore del benessere sociale in Stackelberg, che
è a sua volta minore del benessere sociale in Bertrand e in concorrenza perfetta.

Politiche antitrust
La politica antitrust si applica in maniera piuttosto diffusa ed è orientata al mantenimento di
determinate regole di concorrenza, diversamente dalla regolamentazione di prezzo. La
regolamentazione di prezzo è un approccio invasivo da parte dello Stato, che determina
direttamente il prezzo di alcuni beni e servizi. La regolamentazione di prezzo si applica in settori
molto specifici, come il trasporto o i settori dell’elettricità e dei gas naturali.
Negli Stati Uniti, esistono tre importanti leggi antitrust:
1)Sherman Act (1890):
Sezione 1: "Ogni contratto, associazione basata sulla fiducia o altro, o cospirazione diretta
a ridurre le attività e gli scambi commerciali tra gli Stati federali, o con Nazioni
estere è dichiarata illegale..."
Sezione 2: "Chiunque monopolizzerà, o tenterà di monopolizzare, o cospirerà con altre
persone per monopolizzare qualsiasi parte delle attività e degli scambi commerciali tra gli
Stati federali, o con Nazioni estere, sarà dichiarato colpevole di aver commesso un
crimine...".
2)Clayton Act (1914) identifica alcune pratiche illegali.
3)Federal Trade Commission Act (1914) istituisce la Federal Trade Commission per far
rispettare le leggi antitrust.

Le leggi antitrust possono essere divise in due categorie:


-collaborazione tra concorrenti
-comportamenti di esclusione

Collaborazione tra concorrenti


Un primo modo in cui le imprese tentano di ridurre l’intensità della concorrenza è la collusione. Si
parla di collusione esplicita se si scopre che i concorrenti hanno raggiunto accordi sui prezzi da
fissare o sulle quantità da produrre (price fixing). Essi in tal caso verranno dichiarati colpevoli e
condannati al carcere, a multe, o a entrambi (la collusione tacita invece come sappiamo non è
illegale).
L'altra forma principale di collaborazione è la fusione orizzontale, attraverso la quale due o più
imprese che competono decidono di unire le proprie attività. Le fusioni orizzontali potrebbero
provocare un aumento dei prezzi a causa della riduzione del numero delle imprese che operano
nel mercato. Tuttavia esistono anche dei vantaggi, infatti esse possono anche portare alla
riduzione dei costi di produzione grazie alla riorganizzazione dei processi produttivi. Quindi è vero
che se due imprese si fondono tenderanno a fissare un prezzo più elevato, ma è altrettanto vero
che la fusione di due imprese potrebbe anche portare alla riorganizzazione dei processi produttivi,
che permette così di ridurre i costi e di conseguenza di diminuire il prezzo. Le agenzie antitrust
devono soppesare questi due effetti quando decidono sul se acconsentire ad una fusione o
meno. Le agenzie antitrust devono tenere in considerazione che da una parte, se l'imprese si
fondono avranno più potere di mercato e quindi saranno spinte ad aumentare i prezzi, dall'altra
parte le due imprese che si fondono saranno più efficienti e ciò potrebbe portare a ridurre i costi e
conseguentemente i prezzi. Il test per valutare una fusione potrebbe essere basato o sulla
variazione del surplus totale o sulla variazione di prezzo (nella pratica è difficile calcolare la
variazione del surplus totale, quindi si terrà più che altro in considerazione la variazione di prezzo).
Questo di fatto è ciò che viene trattato nella sezione 1 dello Sherman Act.

Comportamenti di esclusione
Ora andiamo ad affrontare la sezione 2 dello Sherman Act.
Un’impresa dominante può attuare diversi comportamenti che tendono a monopolizzare il
mercato attraverso tattiche di esclusione dei rivali. Queste tattiche di esclusione dei rivali
possono essere:
-pratiche di prezzi predatori—> consistono nel fissare il prezzo al di sotto del costo per indurre
imprese di dimensioni inferiori ad uscire dal mercato (l’impresa rischia di andare
momentaneamente in perdita, ma questo svantaggio sarà compensato dalla successiva
fuoriuscita dal mercato delle imprese di dimensioni inferiori, quindi dopodiché l’impresa potrà
rialzare i prezzi e guadagnare più di quanto ha perso).
-contratti di esclusiva—> la cui sottoscrizione impegna compratori o venditori a non avere
relazioni d'affari con terzi.
-vendita a pacchetti—> la pratica di vendere un bene concorrenziale prodotto da altre imprese
insieme al prodotto dell’impresa monopolistica in modo da impedire alle concorrenti di vendere il
proprio prodotto. Vediamone un esempio: la Microsoft è stata accusata (e trovata parzialmente
colpevole) di avere stipulato contratti con produttori di computer, siti web ed altri produttori di
software, con lo scopo di escludere dal mercato alcuni rivali, come Netscape (che poi di fatto ha
abbandonato il mercato). Inoltre, la Microsoft fu anche accusata (ma non dichiarata colpevole) di
vendite a pacchetti per il fatto di includere nel sistema operativo il proprio web browser (Internet
Explorer) per il quale vi erano ottimi sostituti sul mercato. L’aspetto problematico connesso ai casi
di esclusione è che risulta difficile impedire alle imprese dominanti di svantaggiare i propri rivali
senza limitare i benefici dei consumatori. Quindi è vero che altre imprese furono svantaggiate,
però i consumatori ne hanno tratto vantaggio, in quanto il browser della Microsoft era
(oggettivamente) più semplice da utilizzare. Confrontare questi pro e contro è una questione
complessa che ha portato a numerosi dibattiti sulla scelta delle politiche più adatte a trattare i
comportamenti di esclusione.
PARTE SECONDA:
MACROECONOMIA
CAPITOLO 13: INTRODUZIONE MACROECONOMIA
Macroeconomia
La microeconomia si occupa delle decisioni individuali delle imprese (produttori) e delle famiglie
(consumatori).
Mentre la macroeconomia è il ramo dell'economia politica che studia il funzionamento del
sistema economico nel suo insieme.
Consideriamo la seguente espressione, che mette in relazione i beni finali e i prezzi con il valore
del prodotto aggregato:

Per Z0 si intende il periodo di riferimento, che è uguale alla somma di tutti i termini sul lato di
destra. I termini sul lato di destra rappresentano il prodotto tra la quantità di un determinato bene
e il suo prezzo, avendo una quantità N di beni. Tutti questi beni (finali) sono valutati al periodo 0, al
periodo base. Infatti, con Q con 1,0 si intende la quantità del bene 1 al periodo zero.
Q e P: rappresentano rispettivamente le quantità e i prezzi degli n beni finali, che corrispondono
ai beni di consumo e di investimento in un'economia chiusa.
Z0: indica il valore del prodotto aggregato. Quindi la somma di tutti i beni finali (Z0) rappresenta il
prodotto aggregato. Dal calcolo del prodotto aggregato vanno esclusi i beni intermedi che sono
utilizzati per produrre i beni finali (si pensi alla farina per un fornaio, la farina rappresenta proprio il
bene intermedio).

Lo studioso di macroeconomia analizza la variazione del prodotto aggregato e nello specifico


analizza se tale variazione è dovuta al movimento delle quantità (che influisce sul benessere della
popolazione) o a quello dei prezzi (variazione puramente nominale). È quindi importante capire se
la variazione sia dovuta ad un movimento delle quantità o ad un movimento dei prezzi, in quanto il
primo va ad influire sul benessere sociale, mentre il secondo è una mera variazione nominale.

Prodotto reale e indice dei prezzi

Q 1,1 significa la quantità del bene 1 al periodo 1, e così via per gli altri.
Y1 è uguale a Z1, l’unica differenza è che invece di considerare i prezzi nel periodo 1,
consideriamo i prezzi del periodo 0.
Possiamo quindi dire che Z1 è il prodotto a prezzi correnti, proprio perché il prezzo è valutato
nello stesso periodo delle quantità (o prodotto nominale).
Invece, Y1 viene definito come prodotto a prezzi costanti, proprio perché viene valutato ai prezzi
dell'anno base, ossia ai prezzi del periodo zero (o prodotto reale).

Innanzitutto, la variazione del prodotto nominale è la differenza tra Z1 e Z0 (entrambe le abbiamo


viste poco fa, dove Z0 è il valore del prodotto aggregato valutato ai prezzi e alle quantità dell'anno
base, mentre Z1 è il valore del prodotto aggregato del periodo successivo, dove i beni vengono
sempre valutati ai prezzi e alle quantità correnti, solo che al posto di essere nel periodo 0 siamo
nel periodo 1).
Possiamo scindere la variazione del prodotto nominale ΔZ = Z1 - Z0 in due componenti:
•ΔY = Y1 - Y0 -–>rappresenta la componente dovuta alla variazione delle quantità.
•ΔP = Z1 - Y1 —> rappresenta la componente dovuta alla variazione dei prezzi.
È importante fare questa suddivisione tra le due componenti, perché quello che ci interessa se
vogliamo considerare il benessere di una società è la variazione delle quantità. Immaginiamo che
in un'economia da un periodo all'altro le quantità non siano variate, mentre i prezzi sono
raddoppiati. Questo ci dice che la nostra società sta meglio? No, anche se il prodotto nominale è
aumentato, in quanto si sono raddoppiati i prezzi. Se invece consideriamo il prodotto reale, e
quindi facciamo riferimento ai prezzi dell'anno precedente, il prodotto reale è rimasto inalterato in
questo caso. È dunque il prodotto reale che ci dà una misura più precisa riguardo al benessere
della società.
Avendo le due componenti, ne consegue che la variazione del prodotto nominale ΔZ può essere
scritta come:

Si parte da Z1, poi si sottrae Y1 e si somma Y1, che quindi si annulla, e poi si sottrae Y0 che
equivale a Z0, perché l'anno base è il periodo zero. Z1 - Y1 rappresenta ΔP, mentre Y1 - Y0
rappresenta ΔY, quindi ne consegue che la variazione del prodotto a prezzi correnti o prodotto
nominale (ΔZ) sarà uguale a ΔP + ΔY.

Sappiamo poi che Y1, ossia la quantità dei beni valutati al periodo 1 confrontati con i prezzi
valutati all'anno base, corrisponde al prodotto reale. Dato il prodotto reale (Y) e data la sua
variazione (ΔY) (variazione solo delle quantità, in quanto i prezzi rimangono costanti), possiamo
calcolare il tasso di variazione percentuale del prodotto reale:
Y0 è il prodotto reale nel periodo zero, che corrisponde al prodotto aggregato, proprio perché il
periodo zero è il periodo base.

Invece, per quanto riguarda la variazione dei prezzi è possibile calcolare l'indicatore
dell'inflazione:

Come abbiamo potuto vedere in questa panoramica generale, la macroeconomia si distingue


dalla microeconomia per il fatto che è interessata a variabili aggregate. Per ora abbiamo visto il
prodotto aggregato (Z0), che poi si differenzia tra prodotto nominale (Z1) e prodotto reale (Y1).

Sistema economico
Nelle convenzioni internazionali di contabilità nazionale, si utilizza il termine prodotto interno per
indicare la produzione di beni finali effettuata entro i confini di un dato Paese.
Si usa il termine prodotto nazionale per indicare la produzione effettuata in qualsiasi parte del
mondo dalle imprese che hanno la residenza in un determinato Paese.
In un'economia chiusa, il prodotto interno coincide con il prodotto nazionale. Il prodotto interno è
maggiore del prodotto nazionale se il valore della produzione delle imprese estere operanti nel
Paese (prodotto interno) è superiore a quello delle imprese nazionali operanti all'estero (prodotto
nazionale). Viceversa, il prodotto interno è minore del prodotto nazionale se il valore della
produzione delle imprese estere operanti nel Paese (prodotto interno) è inferiore a quello delle
imprese nazionali operanti all'estero (prodotto nazionale).

Politica economica: obiettivi e vincoli


In un'economia di mercato, la domanda e l’offerta dei beni sono lasciate all’iniziativa dei singoli
operatori economici, ovvero famiglie ed imprese. Per il corretto funzionamento del mercato, è
però necessario l'intervento dello Stato a cui sono affidati due compiti fondamentali:
1-creare un quadro di riferimento istituzionale (politico, giuridico, amministrativo).
2-cercare con strumenti appropriati di sopperire alle lacune ed ai limiti del mercato.
Questo secondo compito è affidato alla politica economica, che persegue due obiettivi
principali: la piena occupazione dei fattori produttivi (in particolare della forza lavoro) e lo
sviluppo economico.

Lo sviluppo economico può essere definito in senso stretto, come un processo di incremento
costante della capacità produttiva del sistema con conseguente ampliamento sia della
quantità sia della varietà dei beni prodotti (crescita economica). In senso lato, può essere
definito come miglioramento delle condizioni di vita della popolazione (durata media della vita,
stato di salute, livello di istruzione, qualità dell'ambiente).
Il perseguimento di tali obiettivi (piena occupazione e sviluppo economico) è sottoposto a tre
vincoli principali:
1)stabilità dei prezzi (i prezzi non devono oscillare eccessivamente nel tempo).
2)equilibrio del bilancio della Pubblica Amministrazione (equilibrio del bilancio del settore
pubblico).
3)pareggio tendenziale della bilancia dei pagamenti (conto che registra i movimenti di merci,
servizi, trasferimenti e capitali da e verso il resto del mondo).
Questi tre vincoli possono essere sintetizzati con l'espressione stabilità monetaria (interna ed
esterna).

Trend e ciclo economico


Si definisce ciclo economico l'alternarsi di fasi di espansione (ripresa) e di contrazione
(recessione) del prodotto reale rispetto alla sua tendenza di crescita (trend) di lungo periodo.
In prossimità del punto di massimo (o picco) di un ciclo economico, la domanda di beni è
particolarmente elevata rispetto all'offerta potenziale e quindi stimola l’inflazione. Invece in
prossimità del punto di minimo (o punto di sella), la domanda è bassa e genera disoccupazione.
Si definisce gap di produzione (o output gap) la differenza tra la produzione corrispondente al
pieno impiego delle risorse disponibili (produzione potenziale) e la produzione effettiva. Il gap di
produzione offre una misura dell’entità delle deviazioni cicliche del prodotto interno dal suo valore
di trend o prodotto potenziale.

PIL italiano a prezzi del 2005:


Fino al 2008/2009 il nostro Paese ha conosciuto un'importante crescita, dopodiché abbiamo
avuto un crollo dovuto alla crisi del 2008 negli USA.

Inflazione e ciclo economico


L’inflazione, ovvero il tasso di variazione dei prezzi, è uno dei principali problemi macroeconomici
(insieme allo sviluppo/crescita economico e al raggiungimento della piena occupazione).
L’andamento dell’inflazione è inversamente proporzionale ai gap di produzione. Infatti, in periodi in
cui il prodotto effettivo è maggiore di quello potenziale la domanda è elevata e di conseguenza i
prezzi tendono ad andare verso l'alto. Al contrario, quando il gap di produzione è negativo
(prodotto effettivo minore del prodotto potenziale) abbiamo disoccupazione e in teoria non vi
dovrebbe essere inflazione (in realtà ci sono stati periodi storici dove vi era la presenza
contemporanea di disoccupazione e inflazione).
L’inflazione viene misurata attraverso l'indice dei prezzi al consumo (IPC), che misura il costo
dei beni acquistati dalla famiglia urbana tipo. Si crea quindi un paniere, ossia un insieme di beni
che la famiglia tipo acquista, e si calcola la variazione del prezzo di questi beni nel tempo. Nel
tempo i beni all’interno del paniere possono cambiare ovviamente, ad esempio si pensi che prima
ci poteva essere la macchina da scrivere, mentre ora è stata sostituita dal computer.
I costi dell’inflazione sono meno evidenti di quelli della disoccupazione. Infatti, se ci fosse solo
una situazione di elevata inflazione ciò sarebbe meno preoccupante a livello sociale rispetto ad un
periodo in cui c’è un’elevata disoccupazione. Tuttavia, l’inflazione rende meno efficiente il sistema
dei prezzi, perché gli individui e le imprese prendono le proprie decisioni in base ai prezzi, ma se
questi prezzi continuano a variare nel tempo ne consegue che queste decisioni saranno distorte/
sbagliate.

Macroeconomia in tre modelli


I tre principali oggetti di studio della macroeconomia sono:
1)crescita economica
2)inflazione
3)disoccupazione
Per considerare questi tre oggetti di studio considereremo tre modelli, ciascuno dei quali è riferito
ad un determinato orizzonte temporale e che consente così di affrontare in modo approfondito un
tema alla volta (prima la crescita economica, poi l’inflazione e infine la disoccupazione).

Breve periodo: capacità produttiva data e prezzi fissi


Nel breve periodo, la capacità produttiva del sistema economico ed il livello dei prezzi sono
ambedue dati. L’obiettivo del modello è di spiegare i fattori che determinano il livello del prodotto
effettivo, il grado di utilizzo della capacità produttiva, il livello dell’occupazione e quindi il tasso di
disoccupazione, data la forza lavoro. L’attenzione è concentrata sulla domanda aggregata.
Il prodotto potenziale è fisso nel breve periodo perché è necessario progettare e realizzare gli
investimenti per aumentare la capacità produttiva, il che richiede tempo. Un ragionamento
analogo vale per la forza lavoro.
I prezzi sono rigidi nel breve periodo (soprattuto verso il basso) perché essi sono legati ai costi e
in modo particolare alle retribuzioni (oggetto di contratti a medio termine) e perché le imprese
stabiliscono i prezzi in base a considerazioni strategiche di medio periodo.

Medio periodo: capacità produttiva data e prezzi variabili


Nel medio periodo, la capacità produttiva rimane fissa, ma prezzi e salari diventano flessibili. Se
la domanda aggregata eccede il livello del prodotto potenziale, si avrà inflazione. Disoccupazione
ed inflazione possono coesistere per due motivi principali:
-imperfezioni nel mercato del lavoro che rendono difficile un perfetto incontro della domanda e
dell'offerta.
-esistenza di un conflitto distributivo che sfocia in richieste di aumenti salariali (e quindi dei prezzi)
anche in presenza di disoccupazione.

Lungo periodo: capacità produttiva variabile


Nel lungo periodo, la capacità produttiva è in grado di aumentare, e i prezzi e i salari raggiungono
il livello di equilibrio compatibile con il pieno impiego dei fattori produttivi.
Il comportamento del sistema economico nel lungo periodo è oggetto di analisi da parte della
teoria della crescita che si propone di spiegare i fattori che determinano il tasso di incremento
del prodotto potenziale nel lungo periodo.
In questo modello non si tiene conto delle fluttuazioni di breve periodo della domanda aggregata.
Il livello dei prezzi dipende dal rapporto tra domanda e offerta.
CAPITOLO 14: CONTABILITÀ NAZIONALE
PIL
Il prodotto interno lordo (PIL) è il valore di tutti i beni e servizi finali prodotti nel Paese in un certo
periodo di tempo. Nel calcolo del PIL rientrano sia il valore dei beni materiali (esempio case o
computer) sia il valore dei servizi (esempio viaggi aerei).
Il PIL pro capite è il PIL a persona.
Il prodotto nazionale lordo (PNL) è una misura del valore di tutti i beni e servizi prodotti dai
fattori di produzione di proprietà nazionale.

Produzione e remunerazione dei fattori produttivi


In un sistema economico, gli input (quali lavoro e capitale) vengono trasformati in prodotti, ovvero
in componenti del PIL. Il lavoro e il capitale sono definiti fattori produttivi ed i redditi percepiti da
tali fattori vengono definiti remunerazione dei fattori produttivi.
In un'economia chiusa e senza Stato, gli operatori sono famiglie ed imprese. Le famiglie
posseggono i fattori produttivi e la produzione di beni e servizi serve a soddisfare i loro bisogni. La
produzione è realizzata dalle imprese che acquistano i servizi dei fattori produttivi dalle famiglie e
pagano in cambio salari, profitti, interessi e rendite. Dopodiché le famiglie acquisteranno i prodotti
con i redditi che hanno percepito. Questo processo prende il nome di flusso circolare del
reddito. Vediamolo graficamente questo flusso:
I due operatori economici in un'economia chiusa, come sappiamo, sono la famiglia e le imprese.
Sopra abbiamo il mercato dei fattori produttivi, sotto vi è il mercato dei beni e servizi finali. Le
linee continue rappresentano i flussi reali, mentre quella tratteggiata i flussi monetari.
Nel mercato dei fattori produttivi (sopra) vi sono le famiglie che erogano servizi dei fattori
produttivi, ossia lavoro e capitale. Infatti la freccia continua parte dalle famiglie e arriva alle
imprese. Cosa fanno poi le imprese? Le imprese devono pagare questi fattori produttivi, infatti
abbiamo la freccia tratteggiata che va appunto dalle imprese alle famiglie, che rappresenta il
flusso in termini monetari.
Nel mercato dei beni e servizi finali succede esattamente l'opposto. La freccia continua parte
dalle imprese e va alle famiglie, proprio perché le imprese producono questi beni e servizi finali. Le
famiglie poi come corrispettivo pagano le imprese tramite la remunerazione che hanno ottenuto, e
ciò viene rappresentato dalla linea tratteggiata che va dalle famiglie alle imprese (flusso
monetario).

Le cose in realtà sono molto più complicate rispetto a quanto abbiamo visto in questo schema del
flusso circolare del reddito. Le cose sono più complicate perché nella realtà si ha un'economia
aperta, quindi dobbiamo aggiungere almeno altri due attori, che sono il resto del mondo (che
indichiamo con RdM) e lo Stato (che indichiamo con politica fiscale).

Le entrate del bilancio dello Stato sono costituite da tre voci:


-imposte dirette che colpiscono il reddito ed il patrimonio dei soggetti (IRPEF, IRES, IRAP).
-imposte indirette che comprendono i contributi a carico delle unità produttive sulle produzioni e
sulle importazioni di beni e servizi (IVA, imposta di registro, accise).
-contributi sociali che corrispondono ai versamenti effettuati dai datori di lavoro e dai lavoratori
agli enti di previdenza.
Dal lato delle uscite, lo Stato interviene nel flusso circolare del reddito in due modi:
-acquistando beni e servizi finali da imprese private per metterli a disposizione dei cittadini
(esempio acquisto dei vaccini da case farmaceutiche) o producendoli direttamente (esempio
servizi ospedalieri).
-erogando trasferimenti a famiglie ed imprese sulla base di requisiti prestabiliti (esempio pensioni
e sussidi di disoccupazione).
In un'economia aperta, le unità di produzione possono domandare i servizi dei fattori produttivi
anche a famiglie estere. La spesa per consumi delle famiglie è in parte diretta all'acquisto di beni
di consumo prodotti dal resto del mondo. Con la parte di reddito risparmiata, le famiglie
acquistano strumenti finanziari (esempio azioni, obbligazioni) emessi dalle imprese (per finanziare
gli investimenti) o dallo Stato (per finanziare il deficit di bilancio).
Diamo un'occhiata molto veloce ad una rappresentazione grafica del flusso circolare del reddito
nel caso in cui abbiamo un'economia aperta (ossia nel caso in cui vi è sia lo Stato che il resto del
mondo):

Conti economici del Paese


Vediamo ora nello specifico un po’ di contabilità nazionale.
I conti economici sono costituiti da due sezioni: uscite e entrate.
La registrazione dei flussi segue le regole della partita doppia, secondo cui ciascun flusso viene
registrato una volta in uscita in un conto ed un'altra volta in entrata in un altro conto.
Vediamo un esempio del conto economico dell'Italia nel 2012:

•conto delle risorse e degli impieghi—> rappresenta il mercato dei beni e servizi finali e ne
mette in evidenza l'offerta aggregata (risorse) e la domanda aggregata (impieghi).
-l'offerta aggregata (le uscite) corrisponde ai beni e servizi finali prodotti nel Paese, ovvero
il PIL ai prezzi di mercato (PILpdm) più le importazioni.
-la sezione delle entrate specifica come sono utilizzate le risorse: consumi da parte di
famiglie e Pubbliche Amministrazioni; investimenti lordi che si compongono di investimenti
fissi lordi (esempio macchinari, attrezzature, fabbricati) e variazione delle scorte (materie
prime, semilavorati, prodotti finiti); esportazioni, ovvero beni e servizi venduti al resto del
mondo.
•conto della distribuzione del PIL—> mette in evidenza come il valore dei beni e servizi finali si
trasformi in redditi dei fattori produttivi.
-parte dal PILpdm, aggiunge poi i contributi alla produzione e sottrae le imposte indirette,
ottenendo il PIL al costo dei fattori (PILcdf).
-distingue tra redditi interni da lavoro dipendente e risultato lordo di gestione (interessi,
profitti, rendite, redditi da lavoro autonomo).
•conto del reddito—> si propone di determinare il reddito nazionale, ovvero la somma dei
redditi delle famiglie residenti e delle entrate delle PA.
-il punto di partenza è costituito dai redditi interni da lavoro dipendente a cui vanno
sottratti i redditi da lavoro dipendente verso l'estero (di immigrati stagionali, frontalieri,...)
ed i redditi da capitale verso l'estero ed a cui vanno sommati i redditi da lavoro dipendente
e da capitale dal resto del mondo.
-le imposte indirette vanno aggiunte alle componenti positive del reddito nazionale in
quanto erano state scorporate nel conto della distribuzione del PIL.
-i contributi alla produzione pagati dalle PA devono essere sottratti perché sono stati
considerati come una componente positiva nel conto della distribuzione del PIL.
-i trasferimenti correnti da e verso il resto del mondo sono versamenti in denaro od in
natura tra Stati o da parte di privati (aiuti internazionali, rimesse degli emigrati,...).

Adesso consideriamo gli altri tre conti del conto economico: conto dell'utilizzazione del reddito,
conto della formazione di capitale, conto delle transazioni internazionali.
•conto dell'utilizzazione del reddito—> mette in evidenza come il Paese utilizza il reddito
disponibile.
-la decisione fondamentale che le famiglie e lo Stato devono prendere è quanta parte del
reddito destinare al consumo e quanta al risparmio.
•conto della formazione di capitale—> mette in evidenza come vengono finanziati gli
investimenti.
-la principale fonte di finanziamento è costituita dal risparmio nazionale lordo a cui vanno
aggiunti i trasferimenti dall'estero per gli investimenti.
-gli impieghi del risparmio sono dati da: investimenti fissi lordi che si compongono di
ammortamenti (beni capitali che vanno a rimpiazzare il valore stimato dello stock di
capitale consumato) e di investimenti fissi netti (aggiunta netta allo stock di capitale);
variazione delle scorte; trasferimenti verso il resto del mondo per gli investimenti.
•conto delle transazioni internazionali—> riepiloga le transazioni tra l'economia nazionale ed il
resto del mondo.
-il conto è costruito dal punto di vista del resto del mondo.
-le esportazioni (un impiego per la nostra economia) sono una risorsa per il resto del
mondo e determinano un flusso monetario in uscita.
-il pagamento delle nostre importazioni rappresenta un'entrata per il resto del mondo.

Misurazione del PIL e degli altri aggregati dei conti nazionali


Nel calcolo del PIL si considerano solamente i beni e servizi finali. I beni intermedi vengono
esclusi dal calcolo del PIL. In ogni fase di produzione quindi si considera solamente il valore
aggiunto al bene in quella fase. Il valore aggiunto è la differenza tra il valore della produzione ed il
costo dei beni intermedi.
Supponiamo che la produzione di pane avvenga con il concorso di tre imprese, una agricola (A),
una industriale (I) ed una commerciale (C):
La principale componente della domanda è la spesa delle famiglie residenti che comprende
l'acquisto da parte delle famiglie di qualunque bene o servizio.
La seconda componente della domanda è la spesa delle Pubbliche Amministrazioni in beni e
servizi (difesa nazionale, manutenzione delle strade, stipendi pubblici,...).
La spesa pubblica comprende gli acquisti pubblici di beni e servizi ed i trasferimenti della PA.

Gli investimenti lordi indicano gli acquisti di beni di durata pluriennale destinati alla produzione di
altri beni. Per essere considerati investimenti i beni devono avere le seguenti caratteristiche:
-essere materiali, ovvero avere una consistenza fisica (il che esclude i servizi).
-essere riproducibili, ovvero suscettibili di essere prodotti (il che esclude la terra).
-avere durata pluriennale, ovvero capacità di essere impiegati in più cicli produttivi (il che li
differenzia dai beni intermedi).
-essere utilizzati per una produzione destinata al mercato ed allo scambio (il che li differenzia dai
beni durevoli).
Le esportazioni nette, ovvero la differenza tra esportazioni ed importazioni, rappresentano
un'altra voce importante della domanda aggregata.

PIL nominale e PIL reale


Il PIL nominale (o a prezzi correnti) indica il valore della produzione di un determinato anno ai
prezzi di quell'anno, ovvero in moneta in valore corrente. Il PIL nominale varia da un anno all'altro
in seguito alla variazione della quantità di beni e servizi prodotti ed a seguito del cambiamento dei
prezzi.
Il PIL reale indica il valore assunto nel corso del tempo dalla produzione di beni e servizi finali,
valutati in anni diversi agli stessi prezzi, ovvero in moneta a valore costante.

Inflazione e indici dei prezzi: indici a base fissa


Abbiamo già introdotto il concetto di inflazione, che rappresenta il tasso di variazione dei prezzi
nel tempo. Esistono differenti indici attraverso i quali l’inflazione può essere valutata. Uno di
questo è l'indice dei prezzi di Laspeyres, che è dato da:

Dove il primo pedice indica il bene i ed il secondo pedice indica l'anno di riferimento per le
quantità ed i prezzi. Il denominatore rappresenta la spesa per l'acquisto del paniere nell'anno zero
(anno base). Mentre il numeratore è la spesa che si sosterrebbe nell'anno t se si acquistassero le
stesse quantità di beni dell'anno zero.
Proviamo a vedere come i prezzi sono cambiati dal 2020 al 2021 utilizzando l’indice di Laspeyres.
Manterremo fisse le quantità, supponiamo quindi che i consumatori acquistino le stesse quantità
del 2020, ma considerando i prezzi del 2021. Sostanzialmente se questo indice è maggiore di 100
allora c’è stata inflazione, in caso contrario c’è stata deflazione. L’unico motivo per il quale il
numeratore può essere differente dal denominatore è che ci sia stata una variazione dei prezzi.
Il problema dell'indice di Laspeyres è però che tende a sovrastimare l'inflazione perché non tiene
conto degli effetti di sostituzione, nello specifico il problema è il fatto che la quantità è fissa
mentre nella realtà la quantità non è fissa.

Vi è poi l'indice dei prezzi di Paasche che è dato da:


Il numeratore rappresenta la spesa per l'acquisto del paniere nell'anno t, dove sia la quantità che
il prezzo fanno riferimento all'anno t. Il denominatore rappresenta invece la spesa che si
sosterrebbe nell'anno t se si acquistassero le stesse quantità di beni al prezzo dell'anno zero.
Con questo indice quindi la quantità si riferisce all'anno corrente (sia al numeratore che al
denominatore), poi mentre i prezzi al numeratore sono quelli correnti, quelli al denominatore sono
quelli dell'anno di riferimento (0). Perciò se il numeratore è maggiore del denominatore, l'indice
sarà maggiore di 100 e quindi ci sarà inflazione.
Il problema dell’indice di Paasche è che tende a sottostimare l'inflazione perché prende in
considerazione le quantità dei beni dell'anno t, quando i consumatori hanno già aggiustato i loro
acquisti per tenere conto del fatto che i prezzi sono aumentati. Quindi sostanzialmente ha il
problema opposto rispetto all'indice di Laspeyres.

Indici a catena
Gli indici a base fissa (i due indici che abbiamo appena visto) presentano altri problemi:
-se si tiene fermo l'anno base per un lungo periodo di tempo, diventa difficile tenere conto dei
beni che nell'anno base non esistevano ancora o di quelli che nel frattempo sono usciti dal
mercato (esempio macchine da scrivere).
-risulta difficile tenere conto dei miglioramenti qualitativi (ad esempio per quanto riguarda la
rapida evoluzione dei computer).
Per evitare questi problemi si sta diffondendo la pratica di modificare l'anno base in ogni periodo.
Per esempio se dovessimo considerare un indice di tipo Laspeyres, in tal caso per ogni coppia di
anni consecutivi l'anno base è l'anno iniziale. Questo permette di adeguare continuamente sia il
paniere (lista dei prodotti) sia i pesi (le quantità con cui i prodotti partecipano al calcolo degli
indici).
A questo punto è possibile creare un indice dei prezzi concatenato, che è dato:

Esistono diversi indici che vengono utilizzati per il calcolo dei prezzi. Tra questi vi è l’indice
Nazionale dei prezzi al consumo per l'Intera Collettività (NIC), che è un indice calcolato con
riferimento all'insieme di tutti i beni e servizi acquistati dalle famiglie ed aventi un prezzo di
mercato (utilizzato per misurare l’inflazione a livello del sistema economico).
[QUESTI INDICI A CATENA SECONDO ME NON SONO TROPPO IMPORTANTI, LI HA DETTO
MOLTO VELOCEMENTE LUI].
Vi è poi l'indice Nazionale dei prezzi al consumo per le Famiglie di Operai e Impiegati (FOI),
ossia l'indice che si riferisce ai consumi delle famiglie che fanno capo ad un lavoratore dipendente
(utilizzato per l’adeguamento degli affitti).
L'indice dei Prezzi al Consumo Armonizzato per i Paesi membri dell'Unione Europea (IPCA),
ossia l’indice calcolato in relazione ad un paniere di beni e servizi costruito tenendo conto sia
delle particolarità nazionali sia di regole comuni per la ponderazione dei beni che compongono il
paniere (utilizzato per verificare la convergenza dei Paesi dell'UE).
Infine, l'indice dei Prezzi alla Produzione dei Prodotti Industriali (IPP), ovvero l'indice che
misura le variazioni nel tempo dei prezzi che si formano nel primo stadio di commercializzazione
dei beni.

Deflatore del PIL


Vengono anche utilizzati degli indici che fanno riferimento al PIL. Per comprendere come calcolare
l’inflazione tramite il PIL sono necessarie alcune definizioni.
Innanzitutto, il PIL dell'anno t a prezzi correnti è dato dalla sommatoria per i che va da 1 a N del
prezzo che moltiplica la quantità per ogni bene nell'anno corrente t.
Il secondo si differenzia dal primo unicamente per il fatto che i prezzi sono calcolati all'anno
precedente t-1 invece che all'anno t.

Economia semplificata
Consideriamo un'economia semplificata in assenza di PA e in assenza di scambi con l’estero
(consideriamo quindi un'economia in cui operano solo famiglie e imprese). L'ammontare della
produzione (o PIL) Y deve essere pari all’ammontare delle vendite, che sono date dalla somma
delle componenti della domanda, ovvero consumo C ed investimenti I.
Y=C+I
Il reddito (che coincide con la produzione o PIL) viene in parte destinato al consumo C ed in parte
al risparmio S.
Y=S+C
Riformulando queste identità otteniamo che l'investimento è esattamente pari al risparmio.
I=Y-C=S
Infatti, i soggetti che intendono effettuare investimenti devono prendere a prestito dai
risparmiatori.

Introduzione del settore pubblico e del commercio estero


Le identità viste finora riguardano un'economia semplice. Ora vediamo le identità in un'economia
aperta, dove quindi introduciamo anche il settore pubblico (lo Stato) e il commercio estero (resto
del mondo).
Indichiamo con:
-G—> gli acquisti pubblici di beni e servizi.
-TA—> le imposte.
-TR—> i trasferimenti pubblici al settore privato.
-NX—> le esportazioni nette.
Ne consegue che l’identità tra produzione e vendite diviene:
Y = C + I + G + NX

Il reddito disponibile sarà dato da:


YD = Y + TR - TA

Il reddito disponibile viene poi ripartito tra consumi e risparmio:


YD = C + S

Da queste identità, scambiando i fattori riusciamo poi ad ottenere queste altre identità:

L'eccesso di risparmio rispetto agli investimenti S - I è pari alla somma del disavanzo del bilancio
pubblico BD = G + TR - TA e le esportazioni nette (avanzo commerciale) NX.
Esistono tre modi in cui le famiglie possono impiegare il proprio risparmio:
-concedendo prestiti al settore pubblico (da cui deriva il disavanzo del bilancio pubblico).
-concedendo prestiti agli stranieri che acquistano nel nostro Paese (da cui derivano le
esportazioni nette)
-prestando denaro alle imprese (che poi investiranno).
Possiamo quindi concludere dicendo che la relazione tra risparmio ed investimento in
un'economia chiusa è molto semplice, in quanto il risparmio coincide con l’investimento. Invece in
un'economia aperta (dove vi è anche il settore pubblico e il commercio estero), la differenza tra il
risparmio e l’investimento non è pari a zero, ma è pari al disavanzo del bilancio pubblico più le
esportazioni nette. Il significato di ciò (che S-I non dà zero) è che le famiglie impiegano il proprio
risparmio nei tre modi differenti che abbiamo visto.

CAPITOLO 15: SVILUPPO, DISOCCUPAZIONE E


INFLAZIONE: I FATTI PRINCIPALI
Crescita economica
La contabilità della crescita misura la correlazione tra l'accumulazione dei fattori produttivi e la
dinamica del PIL.
La crescita economica di un Paese può essere definita come un aumento sostenuto nel tempo
della capacità di fornire beni economici sempre più differenziati alla popolazione. Questa
crescente capacità si basa sul progresso tecnologico e sugli adattamenti istituzionali ed ideologici
che esso comporta. L’aumento dell'offerta dei beni è quindi il risultato della crescita economica. Il
progresso tecnologico però è il fattore permissivo e rappresenta una condizione necessaria ma
non sufficiente. Perciò, per sfruttare appieno le opportunità offerte dal progresso tecnologico, la
società deve continuamente adattare le proprie istituzioni.

Caratteristiche quantitative
La prima caratteristica distintiva (quantitativa) è l'accelerazione della crescita del PIL pro capite,
che si è verificata a partire dal secondo dopoguerra. La crescita del PIL pro capite è stata
accompagnata in tutti i Paesi da un forte aumento della popolazione, anche se si è verificata negli
ultimi decenni una decelerazione.
La seconda caratteristica quantitativa è la crescita della produttività, ovvero dell'output per unità
di input. L’input di lavoro, inteso come ore mediamente lavorate per abitante, mostra invece una
tendenza continua alla diminuzione.
Vediamo ora un grafico rappresentante i livelli di PIL pro capite nel corso degli anni:
Grafico del PIL per ora lavorata (la produttività):

Caratteristiche strutturali
La crescita economica moderna comporta delle profonde trasformazioni della struttura
economica. Quali ad esempio la diminuzione della quota dell'agricoltura a favore dell’industria ed
in seguito dei servizi. Oppure il passaggio da piccole imprese di carattere familiare a grandi
società di capitali. O, ancora, il fenomeno dell'incremento del lavoro dipendente rispetto a quello
autonomo, o l'espansione dei servizi di istruzione, di sanità e di servizi alla persona.
Inoltre, vi sono stati anche dei significativi mutamenti delle strutture sociali. Si pensi al passaggio
dalla famiglia patriarcale alla famiglia nucleare o al mutamento del ruolo delle donne.

Input di lavoro e disoccupazione


La legge di Okum è una legge empirica che mette in relazione la crescita del PIL alle variazioni
della disoccupazione. Essa afferma che, per ogni punto di aumento della disoccupazione, il PIL
diminuisce del 2%. Questo è quello che è stato provato empiricamente, con l’utilizzo dei dati.
Questa legge sottolinea inoltre che una delle principali conseguenze della disoccupazione è la
perdita di produzione. Ciò lo possiamo vedere dal seguente grafico:

Sull'asse delle Y abbiamo il tasso di crescita del PIL reale, mentre sull'asse delle X abbiamo la
variazione del tasso di disoccupazione. Come si può evincere dal grafico, esiste una relazione
inversa tra il tasso di crescita del PIL reale e la variazione del tasso di disoccupazione.
All'aumentare del tasso di disoccupazione si riduce il tasso di crescita del PIL. Quindi dal grafico
abbiamo dimostrato come all'aumentare della disoccupazione si riduce la produzione (ossia il
PIL).
La disoccupazione poi incide notevolmente anche sulla distribuzione del reddito, in quanto i costi
di una recessione ricadono sopratutto sulle persone che non hanno un lavoro e ciò non fa altro
che aumentare il divario sociale. Quindi un periodo di recessione avrà come conseguenza una
distribuzione poco equa del reddito.

Input di lavoro e disoccupazione


Quando parliamo di input di lavoro è importante dare alcune definizioni importanti in modo tale da
comprendere come la disoccupazione viene calcolata.
L’entità della forza lavoro viene determinata mediante indagini statistiche trimestrali ed è data dal
numero di persone che dichiarano di essere occupate e di quelle che dichiarano di essere alla
ricerca di un lavoro (disoccupati). Quindi possiamo dire che la somma tra occupati e disoccupati
(persone attive, che hanno l’età per lavorare ma che non hanno un lavoro) costituisce la forza
lavoro.
Il tasso di attività è il rapporto tra le forze di lavoro (somma tra occupati e disoccupati) e la
corrispondente popolazione di riferimento.
Vi è poi il tasso di occupazione, che è invece il rapporto tra gli occupati di 15 anni e più e la
corrispondente popolazione di riferimento.
Al contrario, il tasso di disoccupazione è il rapporto tra le persone in cerca di occupazione che
abbiano almeno 15 anni (disoccupati) e la corrispondente forza lavoro (somma tra occupati e
disoccupati). Il tasso di disoccupazione varia non solo in base alle persone in cerca di
un’occupazione, ma anche in base alla variazione dell'ammontare di forza lavoro.
Infine, vi è il tasso di inattività, che è il rapporto tra le persone non appartenenti alla forza lavoro
di 15 anni e più (persone minori di 15 anni e persone che non hanno intenzione di cercare lavoro
seppur siano nella fascia d’età per poterlo fare) e la corrispondente popolazione di riferimento.
In qualunque momento esisterà un determinato numero di persone disoccupate che costituiscono
il bacino della disoccupazione.

Quando parliamo di disoccupazione è anche importante fare riferimento alla cosiddetta


disoccupazione frizionale, ossia la disoccupazione dovuta alle rigidità ed alle imperfezioni del
mercato del lavoro e che non può essere ridotta nel breve periodo. La disoccupazione frizionale
dipende dalla struttura del mercato del lavoro, ovvero dalle informazioni disponibili sui posti di
lavoro vacanti, dalle convenzioni sociali, dalla mobilità geografica e professionale e dalla
normativa esistente. Il tasso di disoccupazione frizionale è anche chiamato tasso naturale di
disoccupazione.
Esiste poi una disoccupazione ciclica, ossia la disoccupazione che risulta dalle fluttuazioni del
ciclo economico.

I fattori che determinano il tasso di disoccupazione frizionale (ossia la disoccupazione dovuta alla
rigidità ed alle imperfezioni del mercato del lavoro e che risulta essere difficilmente migliorabile nel
breve periodo) sono la durata e la frequenza della disoccupazione.
Per durata della disoccupazione si intende il tempo medio nel quale ciascun individuo rimane
disoccupato. La durata della disoccupazione è normalmente associata al suo livello, perciò in
Paesi con un elevato tasso di disoccupazione vi sarà una durata della disoccupazione maggiore.
Inoltre, la durata della disoccupazione dipende essenzialmente dalle caratteristiche del mercato
del lavoro. Nello specifico dall'organizzazione del mercato del lavoro (agenzie di collocamento,
centri per l'avviamento dei giovani,...), dalla composizione demografica e dalla dislocazione
geografica della forza lavoro, dalla possibilità e volontà dei disoccupati di continuare a cercare un
impiego migliore (sussidi di disoccupazione).
Per frequenza della disoccupazione invece si intende quante volte in media in un dato periodo di
tempo i lavoratori rimangono disoccupati. La frequenza dipende dalla variabilità della domanda di
lavoro da parte delle imprese e dal tasso di crescita della forza lavoro.

Analizzando l’andamento della disoccupazione in Europa e negli Stati Uniti, si possono trarre
alcune importanti conclusioni:
-l'elevata disoccupazione in Italia è un fenomeno comune anche agli altri Paesi europei.
-il tasso medio di disoccupazione ha mostrato un incremento generalizzato dalla metà degli anni
Settanta ai primi anni Ottanta.
-la disoccupazione statunitense sino all'inizio degli anni Ottanta ha seguito lo stesso andamento
di quella italiana ed europea, ma da quella data ad oggi si è assestata ad un livello sensibilmente
più basso.
La crescita del tasso di disoccupazione è imputabile alla crisi petrolifera degli anni Settanta e
all’introduzione di meccanismi di protezione del posto di lavoro che hanno reso più rigido il
mercato del lavoro.
Successivamente, alla fine degli anni Novanta, diversi Paesi europei (Italia e Spagna) hanno varato
riforme del mercato del lavoro mirate ad aumentarne la flessibilità, il che si è tradotto in una
diminuzione del livello medio di disoccupazione.
In questo grafico possiamo vedere l'andamento della disoccupazione in alcuni Paesi europei e
negli Stati Uniti:

Inflazione
Vediamo ora alcuni fatti rilevanti legati all’inflazione.
Come sappiamo, l'inflazione è il tasso di aumento del livello generale dei prezzi. Il tasso di
inflazione può essere espresso come:

Nel grafico seguente possiamo vedere il livello di inflazione in Europa e negli Stati Uniti:

Si può notare come vi sia stato un innalzamento dell’inflazione nel periodo corrispondente alla
crisi petrolifera.
Quando parliamo di inflazione è importante fare una distinzione tra inflazione perfettamente
attesa di cui si tiene conto nelle transazioni economiche, ed inflazione imperfettamente attesa
o inflazione inattesa. Si supponga ad esempio che negli ultimi anni si sia verificata un’inflazione
intorno al 2%, allora gli operatori economici si aspetteranno un'inflazione del 2% anche nei
periodi successivi, si parla dunque in questo caso di inflazione perfettamente attesa.
Il costo del detenere moneta cresce all'aumentare del tasso di inflazione, ciò perché con la stessa
somma di denaro a seguito di un'inflazione il consumatore potrà acquistare meno beni rispetto a
prima (perché i prezzi sono aumentati), quindi si dice che il costo del detenere moneta è
aumentato.
Esistono poi altri costi legati all’inflazione, come i costi di listino. I costi di listino sono i costi
sostenuti per l’aggiornamento dei prezzi nominali di un bene (ad esempio il costo di ristampa del
menu di un ristorante). Questi costi però possiamo dire che sono abbastanza trascurabili.
L'inflazione inattesa si dice che trasferisce ricchezza dai creditori ai debitori, perché se un
operatore contrae un debito con un altro operatore pari a 100 euro nel momento in cui si
prevedeva un'inflazione nulla, ne consegue che in caso di inflazione, ossia in caso di aumento dei
prezzi, ciò va a vantaggio del debitore, perché si ritrova a pagare un debito che in realtà in quel
momento varrebbe di più. Quindi, una variazione del livello dei prezzi porta ad una sensibile
redistribuzione di ricchezza tra gli individui ed i settori di un sistema economico. Abbiamo visto
come ci potrebbe essere una redistribuzione di ricchezza tra creditore e debitore (in caso di
inflazione ci guadagna il debitore). Poi nel caso in cui il settore pubblico sia il maggiore debitore in
termini nominali, la redistribuzione principale avviene tra il settore pubblico e quello privato e ad
avvantaggiarsi sarebbe proprio il settore pubblico.

È possibile effettuare la cosiddetta indicizzazione del debito pubblico, che prevede che il
pagamento degli interessi venga rivisto all’insù ogni anno per tenere conto dell’inflazione. È
previsto anche l’adeguamento automatico delle retribuzioni al costo della vita, per cui i salari
vengono indicizzati al tasso di inflazione. Quindi se ad esempio vi è un’inflazione del 2%, anche i
salari verranno aumentati del 2%. Perciò queste clausole consentono ai lavoratori di recuperare il
potere d'acquisto perso.
Supponiamo ora che le imprese aumentino i prezzi in seguito ad un aumento dei costi di
produzione. I salari indicizzati saliranno e ciò porterà ad un ulteriore incremento dei costi di
produzione, perché i salari rappresentano un costo di produzione, e ciò si rifletterà ancora una
volta sui prezzi e sui salari che andranno ancora ad aumentare, andando così a creare una spirale
inflazionistica. Nel caso di uno shock negativo dal lato dell'offerta, ovvero nel caso di un
aumento dei costi di produzione, allora i salari reali dovrebbero diminuire in concomitanza con
l’aumento dei prezzi, proprio per evitare che si crei questa spirale inflazionistica. Perciò, per
contenere l'inflazione talvolta è necessario che i salari aumentino di una percentuale inferiore
rispetto alla percentuale di aumento dei prezzi. Se ad esempio i prezzi aumentano del 10%, i
salari aumenteranno ma meno del 10%, così si va ad evitare una spirale inflazionistica.
CAPITOLO 16: REDDITO E SPESA
Offerta aggregata, domanda aggregata e prodotto d'equilibrio
Il modello keynesiano suppone che nel breve periodo i prezzi rimangano invariati e le imprese
siano disponibili a vendere qualsiasi quantità prodotta (curva di offerta aggregata orizzontale). Il
prodotto Y dipende dai fattori produttivi, ovvero il lavoro N ed il capitale K, e dallo stato di
tecnologia T.
Y = F (K,N,T)
Il prodotto potenziale (o prodotto di pieno impiego dei fattori produttivi) Y* è il massimo
prodotto che è possibile ottenere quando tutti i fattori prodottivi sono pienamente impiegati. Nel
breve periodo, Y* è dato.
La domanda aggregata è la quantità totale di beni richiesti dal sistema economico, ovvero la
somma di consumi C, investimenti I, spesa pubblica G ed esportazioni nette NX.
AD = C + I + G + NX

Il prodotto Y si trova al livello di equilibrio quando la quantità di beni offerta è uguale a quella
domandata
Y = AD

Quando la domanda non è uguale all'offerta si verifica una variazione non programmata delle
scorte.
IU = Y - AD (dove IU sono le scorte non programmate)

Se la produzione è maggiore della domanda ovvero Y>AD, le scorte aumentano, il che induce le
imprese a ridurre la produzione finché la produzione e la domanda non sono di nuovo in equilibrio,
ovvero Y=AD. Stesso ragionamento al contrario, perciò se la produzione è minore della domanda,
ovvero Y<AD, le scorte diminuiscono, il che induce le imprese ad aumentare la produzione finché
la produzione e la domanda non sono di nuovo in equilibrio, ovvero Y=AD.
Inizialmente tralasciamo il settore pubblico ed il commercio estero (G=NX=0), quindi prima
consideriamo un'economia chiusa più semplificata, poi aggiungeremo anche queste variabili.

Funzione del consumo


Il nostro obiettivo a questo punto è di ricavare le principali componenti della domanda e
dopodiché derivare l’equilibrio di questo modello (modello keynesiano).
Sapendo che AD=C+I+G+NX e visto che per il momento non consideriamo G e NX, dovremo
studiare il consumo e gli investimenti. Iniziamo dal consumo.
La funzione del consumo mette in relazione il consumo con il reddito disponibile, ovvero il
reddito che resta al settore privato dopo che lo Stato ha prelevato le imposte ed effettuato i

trasferimenti (già sappiamo che il reddito disponibile è uguale al consumo più i risparmi YD=C+S.
Ne consegue che il consumo sarà uguale al reddito disponibile meno i risparmi C=YD-S).
In assenza del settore pubblico, il reddito disponibile è pari al reddito totale che a sua volta in
equilibrio deve essere pari al prodotto, ovvero YD=Y.

Supponiamo ora che la funzione del consumo abbia la seguente forma lineare:

Dato che il reddito disponile (YD) è uguale al prodotto (Y), le due equazioni sono uguali.
Ć è una variabile esogena, che ci viene data dal testo, che abbiamo già. Più precisamente è la
componente del consumo che non dipende dal reddito.
Se facciamo la derivata di C rispetto a Y otteniamo esattamente c piccolo. Ecco cosa è c piccolo,
è la derivata di C rispetto a Y.

Vediamolo graficamente:

Sull'asse delle ascisse abbiamo il reddito o prodotto o PIL (remunerazione dei fattori produttivi)
(Y), mentre sull'asse delle ordinate abbiamo la domanda aggregata (AD). La retta a 45° indica la
condizione di equilibrio, ovvero la retta in cui il prodotto è uguale alla domanda aggregata (Y=AD).
In ogni punto appartenente a tale retta ci troviamo in equilibrio.
A questo punto disegniamo la funzione di consumo C=Ć+cY, che è una retta che avrà l'intercetta
verticale (punto in cui la retta interseca l'asse delle ordinate) pari alla componente autonoma (Ć) e
che è positivamente inclinata (perché all’aumentare del reddito aumentano i consumi). Il
coefficiente angolare di questa retta è c piccolo (ossia la propensione marginale al consumo).
Per ora basta, poi vedremo cosa succede quando la domanda aggregata aumenta.

Domanda aggregata, reddito e prodotto d’equilibrio


Ora consideriamo il secondo componente della domanda aggregata, ossia l’investimento.
Supponiamo che la spesa per investimenti sia autonoma (sia esogena, ci viene data, non dipende
da nessun'altra variabile) e quindi indipendente dal livello del reddito.
I=Ī
(Quindi ogni volta che troviamo una lettera con la barra sopra vuol dire che è una variabile
esogena, che non dipende da nient'altro, ci viene data dal testo).
Per derivare la soluzione del modello reddito-spesa, sostituiamo la spesa per consumo C e la
spesa per investimenti I nella domanda aggregata (sempre considerando G=NX=0) ed otteniamo:
(C con la barra sopra lo indicheremo con Ć)
Se per semplicità imponiamo che Ć + Ī = Ā, abbiamo che AD = Ā + cY

Formula del prodotto di equilibrio


Ora per ricavare la soluzione del modello reddito-spesa dobbiamo inserire la condizione di
equilibrio, seconda la quale la produzione deve essere uguale alla domanda aggregata. Quindi,
utilizzando la condizione di equilibrio Y = AD, otteniamo Y = Ā + cY.
Risolvendo per Y, otteniamo il reddito di equilibrio Y0, che è dato da:

(Questa formula la troviamo esplicitando per Y l’equazione Y = Ā + cY)


Intuitivamente il livello di prodotto di equilibrio è tanto più elevato quanto maggiori sono la
propensione marginale al consumo (c piccolo) e la spesa autonoma Ā.

Ora riprendiamo il grafico di prima e vediamo come rappresentare questo equilibrio:

Sappiamo già che la retta inclinata a 45° indica la condizione di equilibrio. Consideriamo ora la
domanda aggregata così come l'abbiamo considerata poco fa, ossia come AD = Ā + cY.
L'equilibrio sarà nel punto di intersezione tra la retta di domanda aggregata e la retta che
rappresenta la condizione di equilibrio. L'equilibrio sarà dunque rappresentato dal punto E.
Se ci troviamo a sinistra di E abbiamo che il reddito è minore rispetto al suo livello di equilibrio Y0,
quindi la domanda aggregata (AD) risulta essere maggiore rispetto al reddito (Y) (retta di 45°). In
questo caso ne consegue che avremo una riduzione delle scorte, in quanto la domanda è
maggiore della produzione.
Vediamo ora invece cosa succede se il reddito è maggiore del reddito di equilibrio Y0.
Contrariamente a prima, in tal caso avremo un aumento delle scorte.
Se poi mettiamo in relazione la retta del consumo con la retta della domanda aggregata, notiamo
che la retta della domanda aggregata non è altro che una traslazione della retta di consumo verso
l'alto. La differenza tra le due rette è data semplicemente (e ovviamente) dall’investimento I (in
quanto consideriamo nulli G e NX).

Risparmio e investimento
Rivediamo ora la relazione tra risparmio e investimenti (l’avevamo già vista nei capitoli precedenti).
Innanzitutto dobbiamo ricordarci che il reddito disponibile YD può essere consumato o
risparmiato. Ci troviamo sempre in una situazione senza Stato e senza scambi con l'estero, quindi
YD=Y, di conseguenza abbiamo che Y = C + S.
Data la domanda aggregata AD = C + I e la condizione di equilibrio Y = AD, otteniamo che il
risparmio deve essere uguale all’investimento S = I.
Queste cose le avevamo già viste nel capitolo precedente.
Utilizzando poi la funzione del consumo, possiamo scrivere:

L’ultima parte dell’identità la otteniamo semplicemente scrivendo in modo diverso l’identità di


prima, infatti se risolviamo l’ultima identità troviamo esattamente la penultima identità.

Moltiplicatore dinamico —> è importante


A questo punto vediamo di analizzare ancora più nel dettaglio cosa succede in equilibrio.
Per far ciò supponiamo che vi sia un incremento esogeno della spesa per investimenti, cioè
supponiamo per esempio che le imprese siano più fiduciose riguardo al futuro e che decidano di
aumentare la spesa per investimenti. Se la spesa per investimenti aumenta cosa succederà alla
domanda autonoma? La domanda autonoma aumenta, perché la domanda autonoma si
compone di due parti: consumo autonomo più spesa per investimenti. Quindi se la spesa per
investimenti aumenta, allora la domanda autonoma aumenta. Ma se la domanda autonoma
aumenta cosa succede in equilibrio alla produzione? Aumenta anch'essa. Ma noi sappiamo che la
produzione coincide con il reddito (remunerazione dei fattori produttivi). Ma se il reddito aumenta
cosa succede al consumo? Aumenta. Ma se il consumo aumenta vuol dire che aumenterà la
domanda aggregata e quindi aumenterà di nuovo la produzione. Questo è per dare l'idea di quello
che succede nel momento in cui abbiamo un aumento esogeno nella spesa per investimenti.
Quindi non è che se aumenta la spesa autonoma (spesa per investimenti) di un euro allora il
reddito aumenta di un euro, ma si va a creare un processo. Ricapitolando: quando aumenta la
spesa per investimenti aumenta la spesa autonoma di pari ammontare e di conseguenza aumenta
la domanda autonoma. La maggiore domanda autonoma (ad esempio spesa per investimenti
appunto) comporta perciò un aumento della produzione, che equivale ad un aumento del reddito,
che comporta una maggiore spesa in beni di consumo in una frazione pari a c piccolo, ossia pari
alla propensione marginale al consumo.
Definiamo poi come spesa indotta questo secondo flusso di spesa originato dall’impulso
autonomo iniziale. Analizziamo ora fase per fase cosa succede quando abbiamo un aumento
della spesa autonoma.
La prima fase inizia con un aumento della spesa autonoma ΔĀ (dovuto ad esempio ad una
maggiore fiducia delle imprese nel futuro) che determina un aumento della produzione e quindi del
reddito pari a ΔĀ. Quindi se la spesa autonoma aumenta di un euro, la produzione e quindi il
reddito aumenta di un euro.
Ora è il consumo ad entrare in gioco, perché se aumenta il reddito aumenta anche il consumo.
Siccome il consumo è una parte della domanda aggregata, un aumento del consumo va ad
aumentare la domanda aggregata. La domanda aggregata a sua volta va ad aumentare la
produzione e il reddito, e così via.
Nello specifico, nella seconda fase l'incremento di reddito che abbiamo visto nella prima fase
genera, attraverso la propensione marginale al consumo c, una spesa indotta pari a cΔĀ (delta A
con la barra sopra, ossia l'aumento della spesa autonoma, che moltiplica la propensione
marginale al consumo), che a sua volta determina un aumento della produzione e del reddito pari
a cΔĀ.
Nella terza fase, l’aumento di reddito che abbiamo appena visto pari a cΔĀ (che supponiamo
essere 90 centesimi, ossia ΔĀ=1 * c=0,90) genera attraverso la propensione marginale al
consumo c, una spesa indotta pari a c * cΔĀ che determina un aumento della produzione e del
reddito pari a c * cΔĀ (c^2*ΔĀ).
E così via... tutto ciò è importante per capire che un aumento della spesa autonoma non
comporta semplicemente un aumento di un euro della produzione, ma comporta un aumento
della produzione e quindi del reddito superiore a un euro (superiore a ΔĀ).

Vediamo questo concetto di moltiplicatore dinamico analiticamente:

In equilibrio la variazione della domanda aggregata (ΔAD) deve coincidere alla variazione di
reddito (ΔY).

Ora vediamo anche una rappresentazione grafica del concetto di moltiplicatore:

Sull'asse orizzontale abbiamo il reddito o produzione, mentre sull’asse verticale abbiamo la


domanda aggregata. Cominciamo col disegnare la retta di 45° che rappresenta la condizione di
equilibrio in base alla quale il reddito è uguale alla domanda aggregata (AD=Y). Dopodiché
disegniamo la domanda aggregata che già abbiamo visto prima. Essa è una retta positivamente
inclinata, il cui coefficiente angolare è pari alla propensione marginale al consumo e la cui
intercetta è pari alla spesa autonoma (Ā). Quale è il punto di equilibrio? Il punto di intersezione tra
la retta di 45° e la domanda aggregata, ossia il punto E, a cui corrisponde un livello di reddito pari
a Y0.
Supponiamo ora che vi sia un aumento della spesa autonoma (ad esempio la spesa per gli
stipendi o la spesa per investimenti), cosa succede graficamente? La retta della domanda
aggregata trasla verso l'alto di un ammontare pari a ΔĀ (variazione della spesa autonoma).
Disegniamo così la nostra nuova retta di domanda aggregata, e a questo punto il nuovo punto di
equilibrio sarà pari E', in corrispondenza del quale avremo un livello di reddito pari a Y0'.
Come possiamo renderci conto della presenza del moltiplicatore? Per renderci conto che vi è
l'effetto del moltiplicatore, confrontiamo l’aumento iniziale della spesa autonoma (ΔĀ), ossia la
differenza tra Ā' e Ā, e la variazione finale del reddito (ΔY0), ossia la differenza tra Y0' e Y0.
Questa differenza si può leggere sia orizzontalmente, sia verticalmente in quanto la retta è di 45°.
Quindi ora confrontiamo la lunghezza del segmento ΔĀ, ossia la variazione della spesa autonoma,
con la lunghezza del segmento ΔY0, ossia la variazione del reddito, e notiamo come il secondo
segmento sia molto più lungo del primo segmento. Ecco come possiamo renderci conto
dell'effetto moltiplicatore. Dunque, a fronte di un aumento della spesa autonoma pari a ΔĀ (ad
esempio 1 euro), la produzione e quindi il reddito alla fine è aumentato di un ammontare che è
maggiore di ΔĀ (maggiore di 1). Più precisamente il reddito alla fine sarà aumentato di
(1/1-c) * ΔĀ (un numero maggiore di 1).

Settore pubblico
Ora complichiamo leggermente il nostro modello ed introduciamo il settore pubblico. Il settore
pubblico esercita un’influenza diretta sul livello di equilibrio del reddito attraverso diverse variabili:
la spesa pubblica G che è una componente della domanda aggregata e attraverso le imposte TA
(che vengono prelevate dai soggetti economici) ed i trasferimenti TR (che vengono erogati ai
soggetti economici) che incidono sul reddito disponibile YD.
Quindi il reddito disponibile è dato da:
YD = Y + TR - TA
Perché ci interessa tanto questo reddito disponibile? Perché la funzione di consumo dipende dal
reddito disponibile, che in precedenza coincideva semplicemente al reddito Y, mentre ora
coincide al reddito Y più i trasferimenti TR meno le imposte TA.
Ora quindi dobbiamo riscrivere la funzione del consumo, che diventa:
C = Ć + cYD = Ć + c * (Y + TR - TA)
(Dove Ć rappresenta sempre una variabile autonoma)

A questo punto per semplificare le cose imponiamo le seguenti due ipotesi sulla politica fiscale,
intesa come la linea d'azione adottata dallo Stato riguardo la spesa pubblica, l’ammontare dei
trasferimenti ed il sistema delle entrate fiscali:
-la spesa pubblica ed i trasferimenti sono costanti (dipendono da variabili esogene rispetto al
modello), ciò significa che G = G con barra sopra e TR = TR con barra sopra.
-l'imposta sul reddito è proporzionale secondo un'aliquota t sul reddito che è compresa
nell'intervallo tra 0 e 1, ovvero TA = tY (l'ammontare delle imposte è uguale al reddito Y che
moltiplica l’aliquota fiscale t).

Avendo ipotizzato ciò, possiamo riscrivere la funzione del consumo come:

Reddito di equilibrio

Cerchiamo di comprendere quale è l'impatto del settore pubblico sul reddito d’equilibrio.
Sostanzialmente lo Stato interviene attraverso tre voci: la spesa pubblica G, i trasferimenti TR e
l'aliquota fiscale t. Cosa succede al nostro reddito di equilibrio? Se aumenta la spesa pubblica o
se aumentano i trasferimenti si ha un aumento della spesa autonoma, e ciò come sappiamo va ad
aumentare la produzione e quindi il reddito. Cosa succede però per il fatto che lo Stato imponga
anche un'aliquota fiscale? All'aumentare dell'aliquota fiscale il rapporto (l'equilibrio) di riduce (1/1-
c(1-t)). Quindi se l’aliquota fiscale aumenta, il reddito disponibile si riduce e ciò va a ridurre
l'effetto moltiplicatore. Questo suggerisce anche che l'imposta proporzionale sul reddito, ovvero
la nostra aliquota t, agisce in qualche modo da stabilizzatore automatico. Cosa significa
stabilizzatore automatico? Senza il bisogno di alcun intervento di politica economica l'imposta
proporzionale è in grado di attenuare le fluttuazioni del prodotto derivanti da variazioni della
domanda aggregata. Per capire cosa significa ciò supponiamo di tornare al caso precedente in
cui l’aliquota fiscale è nulla, dove la propensione marginale al consumo c è 0,90. In questo caso
se la spesa autonoma aumenta di un euro, la produzione e quindi il reddito aumenteranno di un
euro, e ciò determinerà un aumento di 90 centesimi nel consumo, e ciò a sua volta impatterà
positivamente sulla domanda aggregata, sulla produzione, sul reddito, e così via. Se adesso
supponiamo che l'aliquota fiscale sia positiva, ad esempio del 30%, allora se la spesa autonoma
aumenta di un euro e quindi la produzione e il reddito aumentano di un euro, a questo punto al
nostro individuo non andrà più in tasca un euro ma andrà il 70% di un euro (1-0,30). Quindi, in
base alla sua propensione marginale al consumo, tale individuo non andrà più a spendere 90
centesimi, ma andrà a spendere il 70% di 90 centesimi, ossia di meno. Questo perciò possiamo
dire che in qualche modo attenua le fluttuazioni del prodotto/reddito derivanti dalla domanda
aggregata, proporzionale perché maggiore è l'aliquota fiscale, minore sarà l'effetto moltiplicatore.
Questo vale sia quando la spesa autonoma aumenta sia quando si riduce. Sostanzialmente, la
semplice imposizione di un'aliquota fiscale va a ridurre le fluttuazioni del reddito, perché va a
ridurre l'effetto moltiplicatore. Infatti il moltiplicatore si riduce all'aumentare di t (il moltiplicatore
non è nient'altro che il rapporto dell’equazione, ossia 1/1-.......).

Conseguenze di una modifica della politica fiscale


Questo è il caso in cui lo Stato decida di aumentare la spesa pubblica (ad esempio la spesa per le
infrastrutture) di un ammontare pari a ΔG con la barra sopra.
In equilibrio la variazione del reddito deve essere uguale alla variazione della domanda aggregata.
Per vedere come varia la domanda aggregata riprendiamo la domanda aggregata nel settore
pubblico. La variazione della domanda aggregata sarà uguale alla variazione del consumo più la
variazione della spesa pubblica (supponendo che gli investimenti rimangono invece invariati) (sarà
uguale alla variazione del consumo e della spesa pubblica perché noi sappiamo che la domanda
aggregata è uguale a C + I + G, però I non varia).
Come possiamo vedere dall'immagine sopra, la variazione della domanda aggregata è quindi
uguale alla variazione del consumo più la variazione della spesa pubblica. Viene poi riscritto in un
altro modo la variazione del consumo (tale diverso modo lo abbiamo visto nel settore pubblico).
Nel settore pubblico abbiamo visto la formula della funzione di consumo, ma per la variazione del
consumo a noi interessa solo la seguente parte della funzione del consumo—> c(1-t)Y (solo
questa parte, perché l’altra parte sono variabile esogene, che non variano).
Mettiamo poi in uguaglianza la variazione del reddito con l'ultima formula, esplicitiamo per ΔY0 e
otteniamo la formula che vediamo al terzo punto. Nella formula finale abbiamo 1/1-c*(1-t), e in
base a quanto abbiamo visto in questo capitolo sappiamo che ciò rappresenta il moltiplicatore.
Quindi questo sarà un altro moltiplicatore in presenza di pubblica amministrazione (Stato). Questo
moltiplicatore lo indicheremo con alfa G, proprio per sottolineare che è il moltiplicatore che si ha
in presenza dello Stato (G).
Ora potremmo confrontare il moltiplicatore in presenza dello Stato con il moltiplicatore in assenza
dello Stato. Che conclusioni potremmo trarre? Intuitivamente, ci aspettiamo che sarà più grande il
moltiplicatore in assenza di Stato, perché le tasse (t) vanno a diminuire la c, vanno a diminuire la
propensione al consumo, quindi le tasse vanno ad aumentare il denominatore e di conseguenza il
moltiplicatore/il rapporto sarà inferiore. In conclusione, il moltiplicatore in presenza delle imposte
sul reddito (in presenza dello Stato) sarà minore del moltiplicatore in assenza delle imposte sul
reddito. Abbiamo così visto le conseguenze di una modifica della politica fiscale.

Lo Stato poi può erogare anche dei trasferimenti, quale sarà l’effetto di questi trasferimenti? Se lo
Stato decide di erogare un euro in più in termini di trasferimenti, cosa succederà? Intuitivamente,
gli individui avranno più soldi da spendere, quindi si creerà un circolo virtuoso di aumento della
domanda aggregata, di aumento della produzione e quindi di aumento del reddito. Quanto in più i
consumatori consumeranno? Consumeranno in più in base alla loro propensione marginale al
consumo. Perciò, se lo Stato aumenta i trasferimenti di un euro (ΔTR con barra sopra) allora la
spesa autonoma non aumenterà di un euro, ma aumenterà in proporzione alla propensione al
consumo, quindi aumenterà di c * ΔTR con la barra sopra. Quale sarà infine l’impatto sulla
variazione del reddito? Sarà pari a alfa g per c * ΔTR con la barra sopra. Quindi il moltiplicatore
alfa G moltiplica la variazione di trasferimenti pesata per la propensione marginale al consumo.
Quindi, se aumento i trasferimenti di un euro, la spesa autonoma aumenterà di un importo pari a c
(ad esempio 0,90) per la variazione dei trasferimenti (un euro), poi ciò determinerà una variazione
del reddito pari al moltiplicatore per c * ΔTR con la barra sopra.
Possiamo concludere dicendo che una variazione dei trasferimenti (ΔTR con barra sopra) è meno
incisiva rispetto ad una variazione della spesa pubblica (ΔG), perché i nostri consumatori non
andranno a consumare tutto il trasferimento aggiuntivo, a meno che vi sia un propensione
marginale al consumo pari a 1 (ma è impossibile).

Vediamo ora cosa succede graficamente a seguito di una modifica della politica fiscale:
Sull'asse delle ascisse, come sempre, abbiamo il reddito, mentre sull'asse delle ordinate abbiamo
la domanda aggregata. Abbiamo poi sempre la retta di 45° che indica la condizione di equilibrio e
poi disegniamo la funzione della domanda aggregata (con la formula che abbiamo visto poco fa,
ovvero con la formula che tiene in considerazione anche il settore pubblico). L'equilibrio iniziale si
trova nel punto E, ossia il punto di intersezione tra la retta di equilibrio e la domanda aggregata. In
corrispondenza del punto E abbiamo un reddito pari a Y0. A questo punto supponiamo che vi sia
un aumento della spesa pubblica. Cosa comporta ciò? Avremo una traslazione verso l'alto della
funzione di domanda aggregata, per un ammontare pari a ΔG con la barra sopra. Il nuovo punto
di equilibrio sarà E' e il nuovo reddito di equilibrio sarà Y".
Anche qui poi possiamo vedere l’effetto del moltiplicatore. Sappiamo che la domanda aggregata
aumenta di ΔG con barra sopra, poi a seguito di tale variazione avremo la variazione di pari
ammontare della produzione, questo variazione porterà poi ad un ulteriore incremento della
domanda aggregata tramite i maggior consumi, a cui seguirà ancora un aumento della produzione
o reddito, ciò fino a quando non raggiungeremo il nuovo punto di equilibrio (E").

Bilancio pubblico
L'avanzo di bilancio (budget surplus, BS) è l’eccedenza delle entrate dello Stato, derivanti dalle
imposte, sulle uscite complessive, costituite dagli acquisti di beni e servizi e dai trasferimenti.
L'avanzo pubblico sarà quindi pari a (dove TA sono le imposte):

TA = tY perché le imposte sono proporzionali al reddito.


Che impatto ha una variazione della spesa pubblica sul saldo di bilancio? Si potrebbe pensare
che se lo Stato aumenta la spesa pubblica (un’uscita per lo Stato), ovviamente l'avanzo di bilancio
si ridurrà. In realtà questo ragionamento non è completo, poiché se aumenta la spesa pubblica
aumenta anche il reddito, e se aumenta il reddito aumenteranno le imposte (perché le imposte
sono proporzionali al reddito). Quindi quale effetto prevarrà? L'effetto negativo comunque
prevarrà sull'effetto positivo. Qualora lo Stato deciderà di spendere un euro in più in spesa
pubblica, l'avanzo di bilancio si ridurrà, perché l'effetto negativo prevale su quello positivo
(l'effetto sull’aumento della spesa pubblica, effetto negativo per lo Stato, prevale sull’effetto
dell’aumento delle imposte, effetto positivo per lo Stato).
Ciò si può dimostrare coi numeri attraverso le formule qui sopra.

Vediamo graficamente la rappresentazione dell'avanzo di bilancio:


Sull'asse delle ascisse abbiamo il reddito, mentre sull'asse delle ordinate abbiamo proprio
l'avanzo di bilancio (BS). Come rappresentiamo graficamente l'avanzo di bilancio? L'avanzo di
bilancio è una retta, il cui coefficiente angolare è pari a t, ossia l'aliquota fiscale (la derivata di Yt
rispetto a t). Se Y=0 abbiamo che l'avanzo di bilancio sarà esattamente pari a -(G+TR) (facilmente
intuibile guardando la formula dell'avanzo di bilancio). Dopodiché all’aumentare del reddito
l'avanzo di bilancio aumenta e, presumibilmente, ci sarà un punto di intersezione tra l'asse
orizzontale e l'avanzo di bilancio, tale che l'avanzo di bilancio è nullo. Per valori di Y sotto questo
punto di intersezione, avremo un deficit di bilancio, invece per valori del reddito superiore a
questo punto di intersezione, avremo un avanzo di bilancio.

L'avanzo di bilancio di piena occupazione (o avanzo strutturale) misura il saldo positivo di


bilancio che si avrebbe se il reddito fosse pari al livello di piena occupazione, ovvero fosse pari al
prodotto potenziale. Possiamo definirlo come un avanzo di bilancio fittizio, perché nella realtà il
reddito non sarà mai pari al livello di piena occupazione. Quindi avremo:

Risparmio, investimento e bilancio pubblico


CAPITOLO 17: MONETA, INTERESSE E REDDITO
Mercato dei beni e curva IS
Finora abbiamo analizzato la funzione di domanda aggregata supponendo che gli investimenti
fossero una variabile esogena, data così per acquisita, che non dipendeva da nessun'altra
variabile. Questo è un forte limite perché non permette di rappresentare la domanda aggregata in
modo realistico, in quanto anche gli investimenti dipendono da delle variabili. Ora quindi
cominciamo a considerare anche gli investimenti come una variabile endogena (non esogena).
La curva IS (chiamata così perché riguarda gli investimenti, investment, e il risparmio, savings)
mostra tutte le combinazioni tra tasso di interesse e livello di produzione per le quali il mercato dei
beni è in equilibrio. Come facciamo a ricavare la curva IS? Il procedimento si articola attraverso i
seguenti due passaggi:
1-mostrare che l'investimento dipende dai tassi di interesse (vedremo subito come).
2-inserire la funzione di domanda di investimento nella domanda aggregata e trovare le
combinazioni di reddito (livello di produzione) e tassi di interesse tali che il mercato dei beni è in
equilibrio.

Funzione di investimento
Al fine di rendere il nostro modello macroeconomico più completo, introduciamo, come anticipato
precedentemente, il tasso di interesse cosicché la spesa per investimenti divenga una variabile
endogena (che dipende da altre variabili). Come è la relazione tra la spesa per gli investimenti e il
tasso di interesse? È una relazione inversa, nello specifico l’investimento diminuisce all'aumentare
del tasso di interesse perché le imprese generalmente prendono a prestito per acquistare beni di
investimento.
Consideriamo la seguente funzione di spesa per investimenti:
I = Ī - bi
-i piccolo rappresenta il tasso di interesse,
-Ī è maggiore di zero (Ī > 0) e rappresenta il livello della spesa autonoma per investimenti (Ī quindi
dipende da variabili esterne al modello).
-b è maggiore di zero (b > 0) e misura la sensibilità degli investimenti al tasso di interesse. Ci dice
quanto variano gli investimenti al variare del tasso di interesse. Se b è uguale a zero, gli
investimenti non variano al tasso di interesse, perché si considera solo la variabile esogena Ī. Se b
è molto elevato, significa che una piccola variazione del tasso di interesse comporta una grande
variazione negli investimenti. Ad esempio un piccolo aumento del tasso di interesse comporterà
una grande diminuzione degli investimenti. Vediamolo graficamente:

Sull'asse delle X abbiamo l’ammontare degli investimenti, mentre sull'asse delle Y abbiamo il
tasso di interesse. Semplicemente abbiamo una retta negativamente inclinata, che indica appunto
la relazione inversa tra spesa per investimenti e tasso di interesse. All'aumentare del tasso di
interesse diminuiscono gli investimenti.
Tasso di interesse e domanda aggregata: la curva IS
Ora non ci resta che arricchire la nostra funzione di domanda aggregata, aggiungendo quanto
abbiamo appena visto riguardo gli investimenti. La domanda aggregata AD può essere così
riscritta:

Per ottenere l’equazione finale raggruppiamo tutte le componenti autonome/esogene (che


dipendono da variabili esterne al modello) e le indichiamo con Ā.
A questo punto possiamo ricavare la curva IS, che rappresenta la curva di equilibrio del
mercato dei beni e mostra tutte le combinazioni tra tasso di interesse e livello di produzione per
le quali il mercato dei beni è in equilibrio. Ora proviamo a vedere come rappresentare
graficamente la nostra curva IS:

Nel grafico più in alto, sull'asse orizzontale abbiamo il reddito mentre sull’asse verticale abbiamo
la domanda aggregata. Come facciamo a determinare il reddito di equilibrio? Noi sappiamo che il
reddito di equilibrio è dato dall’intersezione tra la domanda aggregata (la prima retta
positivamente inclinata) e la retta di 45°. Ora dovremo costruire la domanda aggregata per una
serie di valori del tasso di interesse. Incominciamo a considerare un tasso di interesse che
chiamiamo i1. Dato questo tasso di interesse i1 possiamo tracciare la funzione di domanda
aggregata (la prima retta positivamente inclinata). L’intersezione con l'asse verticale è data da Ā -
bi1. In corrispondenza di questo tasso di interesse i1 abbiamo il punto di equilibrio E1 e il reddito
di equilibrio Y1. Possiamo così riportare nel grafico di sotto questa coppia di valori (E1) che è data
da un tasso di interesse i1 e un reddito di equilibrio Y1. Abbiamo così individuato il primo punto
sulla nostra curva IS, ossia il punto indicato con E1 nel grafico di sotto. Come sappiamo, la curva
IS mette in relazione il tasso di interesse con il reddito prodotto nell'equilibrio del mercato dei
beni, ossia quando vale la condizione che il reddito prodotto è uguale alla domanda aggregata.
Come facciamo ora a ricavare un secondo punto per tracciare la nostra curva IS? Torniamo sul
grafico sopra e consideriamo un altro livello di tasso di interesse che chiamiamo i2, che è più
piccolo di i1. Se i2 è più piccolo di i1 allora l'intersezione della retta di domanda aggregata con
l'asse verticale aumenterà, ne consegue che vi sarà una traslazione verso l'alto della curva di
domanda aggregata. Ciò perché se si riduce il tasso di interesse aumenta la domanda aggregata
(aumentano gli investimenti). Il nuovo punto di equilibrio è dato da E2 e in corrispondenza di tale
punto abbiamo un reddito di equilibrio pari a Y2 ed un tasso di interesse pari a i2. Perciò ora
possiamo tracciare un nuovo punto della curva IS nel grafico sotto. Avendo trovato due punti
siamo così in grado di tracciare la curva IS (sono sufficienti due punti per disegnare una retta).
La curva IS ha pendenza negativa, in quanto un aumento del tasso di interesse riduce la spesa
per investimenti e quindi la domanda aggregata, il che implica una riduzione della produzione/
reddito. La curva IS rappresenta tutte le combinazioni di tasso di interesse e reddito tale che il
mercato dei beni è in equilibrio (infatti E1 e E2 sono punti di equilibrio).

Ora cerchiamo di essere più analitici e consideriamo quindi l’espressione (equazione) della curva
IS. Sappiamo che la curva IS costituisce la curva di equilibrio del mercato dei beni e mostra tutte
le combinazioni tra tasso di interesse e livello di produzione/reddito. Cosa ci manca dal punto di
vista analitico per determinare la curva IS? Dobbiamo imporre la condizione di equilibrio, ossia
dobbiamo imporre che Y sia uguale ad AD, così da calcolare analiticamente la curva IS. Quindi
per calcolare la curva IS coi numeri dovremo porre l’equazione del reddito/della produzione
uguale all’equazione della domanda aggregata.

Anche da questa espressione possiamo affermare che se il tasso di interesse aumenta, il reddito
di equilibrio si riduce.

Pendenza della curva IS


A questo punto possiamo esprimere il tasso di interesse come funzione del livello di reddito
nell'equazione della curva IS (in poche parole quello che facciamo è esplicitare per i l’espressione
appena trovata nel paragrafo precedente), e otteniamo:

Vediamo ora come varia la pendenza della curva IS, ossia vediamo quali sono i parametri che
determinano se la nostra curva IS è più o meno inclinata:
Consideriamo innanzitutto la sensibilità della spesa per investimenti (b), che ci dice quanto la
spesa per investimenti è sensibile al tasso di interesse, o in altre parole, di quanto variano gli
investimenti a seguito di una variazione del tasso di interesse. Se il parametro b è piccolo,
significa che gli investimenti sono poco sensibili al tasso di interesse. Viceversa, se il parametro b
è grande, significa che anche una piccola variazione del tasso di interesse comporta una grande
variazione degli investimenti. Prima di vedere come varia la pendenza della curva IS, vediamo
come la curva di investimento varia al variare di b. Cosa succede alla pendenza della curva di
investimento se b diventa più piccolo? Al ridursi di b, la curva di investimento diventa più
verticale.
Una volta che abbiamo compreso come si muove la curva di investimenti al variare di b, vediamo
come varia la pendenza della curva IS sempre al variare di b. Considerando l’espressione qui in
alto (quella esplicitata per i), se b si riduce aumenta la pendenza. Quindi se b si riduce aumenterà
la pendenza della curva IS. In altre parole, minore è la sensibilità della spesa per investimenti al
tasso di interesse (b diminuisce), maggiore sarà la pendenza della curva IS. Come anticipato
prima, se b ha un valore basso, una data variazione del tasso di interesse comporta una piccola
variazione della spesa per investimenti, ne consegue una piccola variazione del reddito di
equilibrio. Più b ha un valore basso, più la curva IS sarà verticale.
Ora vediamo quale è l'impatto di una variazione del moltiplicatore sulla pendenza della curva IS.
Guardando sempre l’espressione, intuitivamente possiamo affermare che se riduciamo il
moltiplicatore, la pendenza aumenta (proprio come avveniva per b, in quanto entrambi
nell'espressione si trovano al denominatore). Dunque, se il moltiplicatore αG (alfa G) ha un valore
basso, la variazione della spesa per investimenti dovuta ad una data variazione del tasso di
interesse comporterà una piccola variazione del reddito di equilibrio (proprio perché il
moltiplicatore è basso).
Possiamo quindi concludere che al ridursi di b e al ridursi del moltiplicatore, aumenta la pendenza
della curva IS (la curva IS diventa sempre più verticale, quindi una data variazione del tasso di
interesse si traduce in una variazione del reddito più ridotta). Però la pendenza della curva IS
aumenta per due ragioni differenti. Nel primo caso, al ridursi di b significa che la spesa per
investimenti è meno sensibile al tasso di interesse, quindi se b ha un valore basso una data
variazione del tasso di interesse comporta una piccola variazione della spesa per investimenti, il
che ha come conseguenza una piccola variazione (della domanda aggregata e) del reddito di
equilibrio. Invece, se il moltiplicatore ha un valore basso significa che la variazione della spesa per
investimenti dovuta ad una data variazione del tasso di interesse comporta una piccola variazione
del reddito di equilibrio (proprio perché l'effetto del moltiplicatore è ridotto).

Effetto del moltiplicatore sulla pendenza della curva IS


Possiamo vedere graficamente quale è l'effetto del moltiplicatore. In questo grafico ipotizziamo
che il moltiplicatore varia perché varia la propensione marginale al consumo (c piccolo).

Nella parte sopra, come sempre, abbiamo sull'asse orizzontale il reddito e sull'asse verticale la
domanda aggregata. Abbiamo dunque nel grafico sopra la rappresentazione della domanda
aggregata. Invece, nel grafico sotto abbiamo la rappresentazione della curva IS, dove quindi
sull'asse orizzontale abbiamo il reddito mentre sull'asse verticale abbiamo il tasso di interesse.
Partiamo dal grafico sopra, dove oltre alla condizione di equilibrio (retta di 45°) abbiamo 4 curve di
domanda aggregata. Incominciamo a considerare le prime due: quella continua e quella
tratteggiata. La differenza tra queste due funzioni di domanda aggregata è che è cambiata la
propensione marginale al consumo. Nello specifico, per la retta tratteggiata la propensione al
consumo è più elevata e quindi il coefficiente angolare è più elevato. Ne consegue che la retta
continua avrà un reddito di equilibrio minore della retta tratteggiata. Cosa implica che la
propensione marginale al consumo sia più elevata? Implica che il moltiplicatore sarà più elevato,
in quanto, come abbiamo visto nei capitoli precedenti, all'aumentare della propensione marginale
al consumo il moltiplicatore aumenta.
A questo punto, sulla base di queste due curve di domanda aggregata possiamo ricavare la curva
IS. Come facciamo? Proprio come prima. Consideriamo prima la retta continua (quella più in
basso). Stabiliamo un dato tasso di interesse che ipotizziamo essere i1 (questo ci dà l'intersezione
della retta sull'asse verticale). A questo punto proprio come prima, troveremo un punto sulla curva
IS che è dato dalla coppia di valori tasso di interesse i1 e reddito Y1. Facciamo poi la stessa cosa
per l’altra curva di domanda aggregata (quella tratteggiata), che ha lo stesso tasso di interesse di
quella prima (infatti entrambe intersecano l'asse verticale nello stesso punto). Però i due punti che
abbiamo trovato si trovano su due curve IS differenti, in corrispondenza di due differenti livelli
della propensione marginale al consumo e quindi del moltiplicatore e quindi del reddito. Poi, come
prima, per ricavare almeno un altro punto delle due curve IS supponiamo che vi sia una riduzione
del tasso di interesse, che come sappiamo provocherà una traslazione delle due curve di
domanda aggregata verso l'alto.
Si può notare poi come la curva IS sia più inclinata della curva IS'. Ciò è coerente quindi con
quanto detto prima, perché se noi riduciamo il moltiplicatore (a causa della riduzione di c piccolo)
allora la curva IS è più inclinata. La curva continua aveva una propensione al consumo inferiore
rispetto alla curva tratteggiata, quindi aveva un moltiplicatore inferiore. Se il moltiplicatore è
inferiore, la curva IS di tale domanda aggregata sarà più inclinata. D'altro canto se noi
aumentiamo la propensione marginale al consumo e quindi aumentiamo il valore del
moltiplicatore, allora la curva IS sarà meno inclinata, la pendenza si ridurrà.

Posizione della curva IS


Ora dall'analisi della pendenza della curva IS passiamo all'analisi della traslazione (posizione) della
curva IS, ossia di come varia la sua posizione. Per fare ciò consideriamo una variazione nella
spesa autonoma (per esempio una variazione della spesa pubblica o dei trasferimenti).
Un incremento della spesa autonoma (spesa pubblica o trasferimenti) determina uno
spostamento verso destra della curva IS. Viceversa, una riduzione della spesa autonoma
determinerà uno spostamento verso sinistra della curva IS.
Una variazione della spesa autonoma sposta la funzione di domanda aggregata a parità di tasso
di interesse, il che determina uno spostamento della curva IS.

Vediamolo graficamente:

Nel grafico di sopra, abbiamo come sempre sull'asse delle ascisse il reddito mentre sull'asse delle
ordinate la domanda aggregata. Abbiamo poi come al solito la condizione di equilibrio (retta di
45°). Partiamo da una funzione di domanda aggregata che ci dà un reddito di equilibrio Y1. Nel
grafico di sotto otterremo il punto E1 appartenente alla curva IS (dando per scontato che abbiamo
trovato un altro punto per poter disegnare la curva IS, diamo per scontati i soliti passaggi che
sappiamo già). Ritornando al grafico di sopra, ora supponiamo che la spesa autonoma aumenti.
Questo aumento provoca una traslazione verso l'alto della domanda aggregata. Tale traslazione
verso l'alto però non è imputabile ad una variazione dei tassi di interesse, come invece avveniva
nei casi precedenti, ma ad un variazione della spesa autonoma. Dalla curva di domanda
aggregata traslata otteniamo un nuovo punto di equilibrio E2, che è stato ricavato per lo stesso
tasso di interesse della domanda aggregata di prima, quindi non è il tasso di interesse a variare,
ma appunto la spesa autonoma (Ā). Nel grafico di sotto poi ricaveremo la seconda curva IS.
Possiamo quindi affermare che un aumento della spesa autonoma comporta una traslazione della
curva IS verso l'alto (verso destra). Se la spesa autonoma aumenta, a parità di tasso di interesse,
la domanda aggregata aumenta, quindi aumenta anche il reddito di equilibrio che si sposta da Y1
a Y2. Abbiamo quindi una traslazione verso l'alto (verso destra) della curva IS.

Ora ricaviamo questa traslazione/questa variazione della posizione della curva IS da un punto di
vista un po’ più analitico.
Una variazione del reddito (Delta Y) è uguale al moltiplicatore moltiplicato per la variazione della
spesa autonoma. Il tasso di interesse non è variato. Se noi aumentiamo la spesa autonoma di un
euro, di quanto aumenterà il reddito? Aumenterà di un ammontare pari al prodotto tra il
moltiplicatore (alfa G) e la spesa autonoma. Ciò lo possiamo affermare avendo come base che
Y0 = (1/1 - c * (1 - t)) * Ā, ossia che il prodotto tra il moltiplicatore e la spesa autonoma è uguale al
reddito di equilibrio.

Quali sono i punti fondamentali che ci dovremo ricordare riguardo la curva IS?
-la definizione
-introdurre la spesa per investimenti nella domanda aggregata
-costruzione della curva IS
-pendenza della curva IS
-posizione della curva IS

Moneta e sue funzioni


La moneta è un bene comunemente accettato come mezzo di scambio e di pagamento.
Esistono quattro funzioni tradizionali della moneta:
1-mezzo di scambio—> attività utilizzata per effettuare pagamenti.
2-riserva di valore—> attività che conserva il proprio valore nel tempo.
3-unità di conto—> unità in cui si indicano i prezzi e si tiene la contabilità.
4-mezzo di pagamento differito—> attività normalmente utilizzata per effettuare pagamenti
dovuti in un'altra data.
La moneta è accettata come mezzo di pagamento solo sulla base della convinzione che
successivamente verrà accettata in pagamento anche da altri soggetti.

Domanda di moneta
Esistono tre motivi che spingono gli individui a detenere moneta:
-motivo transazionale—> un individuo detiene moneta perché ha bisogno di acquistare beni o
servizi. È possibile dimostrare che senza sistema bancario, la domanda di moneta per transazioni
aumenta in proporzione al reddito.
-motivo precauzionale—> un individuo detiene moneta per poter poter affrontare situazioni
impreviste. Maggiore incertezza fa aumentare la domanda di moneta.
-motivo speculativo—> incertezza sul valore monetario di altre attività (azioni, obbligazioni) che
un individuo può detenere. Nel momento in cui un individuo detiene moneta sicuramente non
percepisce alcun tasso di interesse. La possibilità di ottenere un tasso di interesse influenza la
quantità che l’individuo vorrà detenere. Un individuo infatti potrebbe decidere di detenere meno
moneta, acquistando azioni o obbligazioni che fruttano invece un interesse. Tuttavia queste
attività sono incerte, di conseguenza ogni individuo deve tenere in considerazione anche del
rischio che ne deriva (ogni individuo deve tenere in considerazione questo trade-off). In sostanza,
ogni individuo deve decidere come ripartire la propria ricchezza tra titoli e moneta, queste
decisioni prendono il nome di decisioni di portafoglio. L'individuo è consapevole che un
aumento del tasso di interesse accresce il rendimento dei titoli e riduce la domanda di moneta.
Gli individui quindi attuano un compromesso (trade-off) tra i benefici di una quantità maggiore di
moneta ed i costi in termini di rinuncia ad un interesse.
Il costo opportunità della moneta è la differenza tra il rendimento di attività comparabili (esempio
deposito a risparmio) ed il tasso di interesse sulla moneta o tasso proprio (spesso pari a zero).

Domanda di moneta: una trattazione formale


La domanda reale di moneta (domanda di saldi reali) è la quantità di moneta che gli individui
desiderano detenere (prima abbiamo visto che ci sono tre motivi per cui un individuo vorrebbe
detenere moneta), determinata dal rapporto tra la domanda nominale di moneta ed il livello dei
prezzi (domanda reale di moneta = domanda nominale / livello dei prezzi).
Quello che interessa a noi è vedere come varia la domanda reale di moneta. La domanda reale di
moneta cresce con il livello del reddito (motivo transazionale) e diminuisce all’aumentare del tasso
di interesse (motivo speculativo). Nello specifico, all’aumentare del reddito gli individui avranno
bisogno di più moneta per far fronte all’acquisto di una maggiore quantità di beni e servizi, quindi
la domanda reale di moneta aumenta. Inoltre, se il tasso di interesse aumenta gli individui
preferiranno detenere meno moneta, in quanto preferiranno investirla in altre attività (azioni e
obbligazioni), in quanto fruttano un rendimento più elevato.

Cerchiamo ora di formalizzare quello che abbiamo detto finora. La domanda totale di moneta è
data dalla somma della domanda di moneta per transazioni Lt (motivo transazionale) e la
domanda di moneta speculativa Ls (motivo speculativo).
L = Lt + Ls

Supponiamo che la domanda di moneta per transazioni Lt e la domanda di moneta speculativa Ls


siano pari rispettivamente a Lt = kY e Ls = L con la barra - hi

Abbiamo detto poco fa che per il motivo transazionale all'aumentare del reddito aumenta la
domanda di moneta. Di quanto? Secondo un parametro k. Questo parametro k ci dice la
sensibilità della domanda di moneta al reddito. Se k=0 la domanda di moneta non è affatto
sensibile al variare del reddito. D'altro canto se k è molto grande, anche una piccola variazione del
reddito provoca una grandissima variazione della domanda di moneta per transazioni e
conseguentemente della domanda reale di moneta.
Invece, per quanto riguarda la domanda di moneta speculativa Ls, abbiamo detto che esiste una
relazione inversa tra la domanda di moneta e il tasso di interesse. Infatti, se il tasso di interesse
aumenta allora gli individui preferiranno detenere meno moneta, ma più titoli. Quindi a cosa sarà
pari la domanda di moneta speculativa Ls? Sarà pari ad una componente esogena (L con barra
sopra) meno il tasso di interesse i che moltiplica il parametro h. h rappresenta la sensibilità della
domanda di moneta al variare del tasso di interesse (h segue quindi la stessa logica del parametro
k). Quindi se h=0 allora la domanda di moneta speculativa non dipende assolutamente dal tasso
di interesse. Invece, quando h è grande, anche una piccola variazione del tasso di interesse
comporta una grande variazione (diminuzione in questo caso) della domanda di moneta a fini
speculativi. Qui abbiamo un meno, perché all'aumentare del tasso di interesse si riduce la
domanda di moneta a fini speculativi. Inoltre, per determinare la domanda di moneta speculativa
Ls dobbiamo tenere in considerazione anche L con la barra, che rappresenta la domanda
speculativa di moneta in corrispondenza di un tasso di interesse nullo. L con la barra è dunque la
variabile esogena.
Abbiamo quindi introdotto due parametri: k e h. Il parametro k rappresenta la sensibilità della
domanda di moneta al variare del reddito, mentre il parametro h rappresenta la sensibilità della
domanda di moneta al variare del tasso di interesse e implica, visto che vi è un segno meno, una
relazione inversa tra il tasso di interesse e la domanda di moneta a fini speculativi. Un aumento di
h quindi significa che la domanda reale di moneta è più sensibile al tasso di interesse, ovvero un
dato aumento del tasso di interesse comporta una riduzione più pronunciata nella domanda reale
di moneta per scopi speculativi.

Mettendo insieme tutto, otteniamo che la domanda totale di moneta è data da:
Possiamo affermare che la domanda totale di moneta dipende positivamente dal reddito, in
quanto all'aumentare del reddito essa aumenta (all'aumentare del reddito di un euro, la domanda
totale di moneta aumenta di k euro), ma dipende negativamente dal tasso di interesse, poiché si
riduce all'aumentare del tasso di interesse appunto.

Vediamo graficamente la domanda reale di moneta:

Sull'asse delle ascisse abbiamo la domanda di moneta, mentre sull'asse delle ordinate abbiamo il
tasso di interesse. Che relazione vi sarà tra le due variabili? Ovviamente inversa, perché
all'aumentare del tasso di interesse diminuisce la domanda reale di moneta. Però noi dovremmo
tenere in considerazione non solo come varia la domanda reale di moneta al variare del tasso di
interesse, ma anche come varia al variare del reddito. In teoria quindi dovremmo avere un grafico
tridimensionale, ma è sufficiente rappresentarla con il grafico appena visto e vedere poi come la
curva di domanda reale di moneta varia al variare del reddito per un dato tasso di interesse.
Abbiamo quindi una retta negativamente inclinata (per le ragioni viste prima). Cosa succede se
aumenta il reddito da Y1 a Y2? Come sappiamo, la domanda reale di moneta aumenta. Di quanto
aumenta? Se la variazione del reddito è di un euro, la domanda reale di moneta aumenta di k
euro, l'aumento è quindi pari a k*ΔY. Graficamente quindi avremo una traslazione verso destra
della curva di domanda di moneta.

Domanda reale di moneta


Prima di addentrarci nell'analisi del mercato della moneta (dopo aver parlato della domanda di
moneta, intuitivamente parleremo successivamente dell'offerta di moneta), vediamo la relazione
esistente tra il mercato della moneta e il mercato dei titoli (alla fine capiremo il perché). Esiste un
vincolo di bilancio patrimoniale tale che la somma della domanda reale di moneta L e della
domanda di titoli in termini reali DB deve essere pari alla ricchezza finanziaria reale WN/P (ovvero
il rapporto tra la ricchezza nominale WN ed il livello dei prezzi P). Avremo quindi che:
L + DB = WN / P

L'ammontare della ricchezza reale WN/P è costituito dalla quantità reale di moneta M/P (in altre
parole offerta di moneta) (ovvero il rapporto tra la quantità nominale di moneta M ed il livello dei
prezzi P) più i titoli in termini reali SB offerti dagli operatori pubblici e privati (in pratica l'offerta dei
titoli in termini reali). Quindi avremo:
WN / P = M / P + SB

Date queste due espressioni, il nostro obiettivo è creare una relazione tra il mercato della moneta
e quello dei titoli. Nello specifico, se il mercato della moneta è in equilibrio allora anche il mercato
dei titoli lo sarà.
Possiamo poi affermare che scrivere WN/P = M/P + SB è uguale a scrivere L+DB = M/P + SB. Ciò
lo possiamo fare se supponiamo che il mercato della domanda reale di moneta sommato al
mercato dei titoli è uguale all'ammontare della ricchezza reale.
Risolvendo l’espressione quindi otteniamo: (L - M/P) + (DB - SB) = 0
Questa espressione ci dice che la differenza tra la domanda di moneta (L) e l'offerta di moneta (M/
P) più la differenza tra la domanda di titoli (DB) e l'offerta di titoli (SB) deve essere uguale a zero.
In termini pratici, questa espressione ci dice che se il secondo termine in parentesi è zero, ossia
se il mercato dei titoli è in equilibrio (domanda di titoli uguale ad offerta dei titoli), allora anche il
mercato della moneta deve essere in equilibrio (deve essere uguale a zero, quindi domanda e
offerta di moneta devono essere uguali). Questo per sottolineare che esiste una relazione stretta
tra il mercato della moneta e il mercato dei titoli. Nello specifico, nel momento in cui il mercato dei
titoli è in equilibrio allora anche il mercato della moneta lo dovrà essere.
Si potrebbe però creare una situazione di disequilibrio. Ad esempio supponiamo di essere in una
situazione dove vi è un eccesso di domanda nel mercato della moneta, ovvero in una situazione in
cui L > M/P. Possiamo affermare che se ci troviamo in una situazione di eccesso di domanda nel
mercato della moneta allora si dovrà verificare anche una situazione di eccesso di offerta di titoli,
ovvero si dovrà verificare una situazione in cui DB < SB, altrimenti l’espressione non potrà
risultare zero.
In pratica, per procurarsi delle scorte monetarie, gli operatori vendono titoli, il che ne riduce il
prezzo e quindi aumenta il tasso di interesse dei titoli, di conseguenza ciò disincentiva la
domanda di moneta e così vengono riportati in equilibrio i due mercati.

Mercato monetario e curva LM


Dopo aver sottolineato che esiste una relazione stretta tra mercato della moneta e mercato dei
titoli, passiamo dalla domanda di moneta ad analizzare l’offerta di moneta.
La quantità nominale di moneta M, ossia l'offerta di moneta è controllata dalla Banca Centrale. In
altre parole supponiamo che l'offerta di moneta sia una variabile esogena, in quanto controllata
dalla Banca Centrale. Supponendo che la quantità nominale di moneta M (offerta di moneta) ed il
livello dei prezzi P siano dati, l'offerta reale di moneta risulta pari a M / P (dove sia M che P sono
con la barra sopra, in quanto variabili esogene).

Dopo aver parlato della domanda di moneta e dell'offerta di moneta, possiamo descrivere la
curva LM (L sta per liquidity e M sta per Money, nello specifico si intende la quantità offerta di
moneta). La curva LM costituisce la curva di equilibrio del mercato monetario e mostra tutte le
combinazioni tra tasso di interesse e livello di produzione/reddito per le quali la domanda reale di
moneta è uguale all'offerta. La differenza rispetto alla curva IS è che in questo caso siamo
interessati all'equilibrio del mercato monetario, invece prima ci riferivamo all'equilibrio del mercato
dei beni. Quando si ha l'equilibrio nel mercato monetario? L’abbiamo appena visto, quando la
domanda reale di moneta è uguale all'offerta di moneta (kY + L - hi = M / P).

Ora vediamo come costruire graficamente la curva LM:


Anche in questo caso abbiamo due grafici. Non avremo più la domanda aggregata, ma la
domanda di moneta. Nel grafico in alto, sull'asse orizzontale abbiamo i saldi monetari reali, ovvero
sia la domanda sia l'offerta reale di moneta, mentre sull'asse verticale abbiamo il tasso di
interesse. Cominciamo a disegnare la domanda di moneta per un dato livello del reddito. In
corrispondenza di un reddito Y1 disegniamo la domanda di moneta negativamente inclinata
(quella più in basso). Negativamente inclinata perché esiste una relazione inversa tra il tasso di
interesse e la domanda di moneta. La retta verticale rappresenta l'offerta di moneta, che
supponiamo essere determinata esogenamente dalla Banca Centrale, quindi non dipende dal
tasso di interesse. Cosa rappresenta E1? Rappresenta il punto di intersezione tra la domanda di
moneta e l'offerta di moneta, ossia rappresenta il punto di equilibrio del mercato monetario. Il
punto di equilibrio E1 individua una coppia di valori data dal tasso di interesse i1 ed un livello del
reddito Y1 (che, attenzione, non leggiamo dall'asse delle X, ma lo leggiamo sulla domanda di
moneta), che leggiamo dalla domanda di moneta. Abbiamo quindi ricavato il primo punto della
nostra curva LM, tale punto quindi lo andremo a rappresentare nel grafico sotto. È importante
specificare che andiamo a disegnare la curva LM nello stesso grafico in cui avevamo già
disegnato la curva IS, è importante sottolinearlo perché poi andremo ad analizzarle assieme. Per
disegnare la curva LM però ci serve un altro punto. Allora supponiamo che vi sia un aumento del
reddito, che come sappiamo causerà una traslazione verso destra della domanda di moneta
(come sappiamo esiste una relazione diretta tra domanda di moneta e reddito). Otteniamo così un
nuovo punto di equilibrio E2. Ora possiamo così disegnare la nostra curva LM e possiamo notare
come la curva LM, al contrario della curva IS, abbia pendenza positiva (positivamente inclinata).
Per quale motivo all'aumentare del reddito il tasso di interesse deve aumentare? Innanzitutto,
dobbiamo ricordarci che stiamo considerando l’equilibrio nella domanda di moneta, ciò significa
quindi che la domanda di moneta deve essere uguale all'offerta di moneta. L'offerta di moneta è
esogena, ci è data, quindi quella che varia è la domanda di moneta. Se noi decidiamo di
considerare un aumento del reddito, la domanda aumenta. Però se la domanda aumenta,
significa che il mercato monetario non è più in equilibrio, perché l'offerta rimane invariata. A
questo punto per tornare in equilibrio, dobbiamo aumentare il tasso di interesse, perché
aumentandolo la domanda di moneta si riduce e così ritorna al livello di equilibrio. Ecco perché a
fronte di un aumento del reddito, il tasso di interesse aumenta (come possiamo vedere dal grafico
della curva LM). Questo spiega anche perché la curva LM è positivamente inclinata. Infatti, nel
momento in cui consideriamo un aumento del reddito, ciò come sappiamo provoca l’aumento
della domanda di moneta e di conseguenza vi sarà un aumento del tasso di interesse per riportare
il mercato della moneta in equilibrio. Possiamo anche ragionare partendo dal tasso di interesse
invece che dal reddito. Se il tasso di interesse aumenta, la domanda di moneta si riduce, quindi
per tornare alla situazione di equilibrio il reddito deve aumentare così da far aumentare la
domanda di moneta. Questo spiega perché la curva LM è positivamente inclinata.

Dopo aver introdotto la curva LM, possiamo essere un po’ più analitici e, proprio come abbiamo
fatto per la curva IS, derivare formalmente la curva LM coi numeri.

Partiamo dalla condizione di equilibro e poi esplicitiamo per il tasso di interesse i, in quanto
sull'asse delle ordinate abbiamo proprio il tasso di interesse (ecco perché esplicitiamo per i).

Pendenza e posizione della curva LM


Ora vediamo, come abbiamo fatto per la IS, come la curva LM si muove al variare dei parametro k
e h e dell'offerta reale di moneta M/P.
Vediamo innanzitutto cosa succede quando k aumenta. Se k aumenta vuol dire che la domanda
di moneta diventa più sensibile al reddito. Che impatto ha ciò in termini di pendenza della curva
LM? Se k aumenta significa che il coefficiente che moltiplica il reddito Y aumenta e, quindi, la
curva LM diventa più inclinata, più verticale. Vediamo perché. Se k è alto significa che è alta la
sensibilità della domanda di moneta al reddito, ciò significa che anche una piccola variazione del
reddito comporta una grande variazione del tasso di interesse per mantenere l'equilibrio nel
mercato monetario. Quindi possiamo affermare che maggiore è la sensibilità della domanda di
moneta al reddito, ossia maggiore è k, maggiore sarà la pendenza della curva LM.
Vediamo ora cosa succede al variare di h. h rappresenta la sensibilità della domanda di moneta al
tasso di interesse. In tal caso abbiamo l'esatto opposto. Se h aumenta, il coefficiente che
moltiplica il reddito Y si riduce, quindi la pendenza si riduce. Dunque, minore è la sensibilità della
domanda di moneta al tasso di interesse, ovvero minore è h, maggiore sarà la pendenza della
curva LM (l'opposto rispetto a prima). Quindi se h è basso, una data variazione del reddito
richiede una grande variazione del tasso di interesse per mantenere l'equilibrio nel mercato
monetario.
Riassumendo: all'aumentare di k, ovvero all’aumentare della sensibilità della domanda di moneta
al reddito, e al ridursi di h, ovvero al ridursi della sensibilità della domanda di moneta al tasso di
interesse, la curva LM diventa più inclinata (maggiore sarà la pendenza). Per non sbagliare,
chiediamoci cosa succede al tasso di interesse nel momento in cui consideriamo una variazione
del reddito. A fronte di una data variazione del reddito cosa succede al tasso di interesse?
Innanzitutto se il reddito aumenta, il tasso di interesse deve aumentare. Inoltre, se si considera
una variazione di h o di k, che impatto ha ciò sul tasso di interesse? Se k aumenta, una data
variazione del reddito comporterà una grande variazione della domanda di moneta, quindi avremo
bisogno di un grande aumento del tasso di interesse per riportare il mercato monetario in
equilibrio. Quindi se k aumenta la nostra curva LM sarà più inclinata (perché si ha un aumento del
tasso di interesse).
Infine, l'ultimo punto da analizzare è capire come si sposta la nostra curva LM. Se noi variamo
l'offerta di moneta, la pendenza della curva LM non cambia, in quanto la pendenza varia solo se
variamo i parametri h o k. Ad esempio, come cambia invece la curva LM se consideriamo una
variazione dell'offerta di moneta? Vediamolo graficamente:

Vediamo nello specifico come varia la curva LM se consideriamo un aumento dell'offerta di


moneta. Partiamo dal punto di equilibrio E1, ossia il punto di intersezione tra l'offerta di moneta e
la domanda di moneta in corrispondenza di un livello di saldi monetari pari a M/P. Se l'offerta di
moneta aumenta significa che abbiamo una traslazione verso destra dell'offerta di moneta (retta
verticale), che passa dal livello di saldi monetari M/P al livello di M'/P. Il punto di equilibrio si
sposta da E1 a E2. Come varia il tasso di interesse? Si riduce, passa da i1 a i2. Se l’offerta di
moneta aumenta, cosa deve succedere alla domanda di moneta? Deve aumentare anch'essa per
restare in equilibrio. Sapendo che il reddito non è cambiato, l’unica cosa che può cambiare per
riportare il mercato in equilibrio è proprio il tasso di interesse. Questo tasso di interesse per far
aumentare la domanda di moneta si deve ridurre (passa da i1 a i2). A seguito di ciò cosa succede
alla nostra curva LM? Vediamolo nel grafico di sotto. Partiamo da una data LM, partiamo da
quella più in alto. A seguito di una riduzione del tasso di interesse (che passa da i1 a i2) possiamo
notare come la curva LM sia traslata verso il basso (verso destra). Quindi ciò ci dice che la curva
LM si sposta verso destra (verso il basso) a seguito di un aumento dell'offerta di moneta. Se
l'offerta di moneta aumenta, deve aumentare anche la domanda di moneta, quindi a parità di
reddito, il tasso di interesse si deve ridurre (altrimenti il mercato monetario non riesce a tornare in
equilibrio). Possiamo vederlo anche dal lato del tasso di interesse: supponiamo che l’offerta di
moneta aumenti. La domanda di moneta dovrà aumentare e, a parità di tasso di interesse, per
riportare il mercato monetario in equilibrio il reddito dovrà aumentare, perciò avremo uno
spostamento della curva LM verso destra.

Equilibrio del mercato dei beni e del mercato monetario


A questo punto, dopo aver trattato la curva IS e la curva LM, possiamo combinarle e ricavarne
l'equilibrio nel mercato dei beni e nel mercato monetario.
L'intersezione tra la curva IS (negativamente inclinata) e la curva LM (positivamente inclinata)
determina il tasso di interesse ed il livello di reddito in corrispondenza dei quali il mercato dei beni
ed il mercato monetario sono simultaneamente in equilibrio.
Vediamolo graficamente:

Sull'asse delle X abbiamo il reddito, mentre sull'asse delle Y il tasso di interesse. Il punto E
rappresenta quindi l'equilibrio simultaneo del mercato dei beni e del mercato monetario.

Ora ricaviamo l'equilibrio analiticamente:

La prima equazione al primo punto è l’equazione della curva IS, la seconda della curva LM. Per
trovare il punto di equilibro dovremo fare l'uguaglianza tra le due equazioni.
L’ultima equazione rappresenta la curva di domanda aggregata che mette in relazione il livello di
produzione/reddito Y con il livello dei prezzi P. Esiste una relazione negativa tra il livello del reddito
e il livello dei prezzi. Per i nostri fini è sufficiente sapere che una volta ricavata l’equazione finale,
tale equazione rappresenta la curva di domanda aggregata che mette in relazione il livello di
produzione con il livello dei prezzi. Inoltre, questa espressione, oltre a rappresentare la curva di
domanda aggregata, ci dice che il reddito di equilibrio è tanto più elevato quanto più elevati sono
il livello della spesa autonoma (Ā) e la quantità reale di moneta (M/P).

A questo punto analizziamo l'impatto della spesa autonoma sul reddito e l'impatto della quantità
reale di moneta sul reddito (offerta di moneta).
Cominciamo con l'impatto della spesa autonoma sul reddito, nello specifico cominciamo a vedere
il coefficiente gamma γ. Per capire ciò dobbiamo introdurre il moltiplicatore della politica fiscale.

Moltiplicatore della politica fiscale


Il moltiplicatore della politica fiscale indica l’entità della variazione del livello di equilibrio del
reddito prodotta da un aumento della spesa pubblica, mantenendo costante l'offerta di moneta.
In sostanza, quello che noi facciamo è prendere l’equazione finale di prima e vedere di quanto
cambia il reddito a seguito di una variazione della spesa autonoma Ā, mantenendo costante
l'offerta reale di moneta. Gamma (γ) rappresenta proprio il moltiplicatore della politica fiscale. Ci
dice di quanto varia il reddito a seguito di una variazione della spesa autonoma.
L'effetto sul reddito prodotto da una variazione della spesa pubblica è dato da ΔY = γΔG
(moltiplicatore gamma per la variazione di G con la barra sopra).

Il moltiplicatore, ossia γ, è uguale a quel rapporto lì. Boh tosto questo. Rapporto che avevamo già
visto nell'immagine precedente.

Un aumento della sensibilità della spesa per investimenti al tasso di interesse (quindi b aumenta)
riduce l'effetto espansivo di un incremento della spesa pubblica (γ (gamma) diminuisce) perché
maggiore è l'impatto negativo sugli investimenti associato ad un aumento dei tassi di interesse
per mantenere l'equilibrio nel mercato monetario (lo capisci dalla formula, se aumenti b
diminuisce il moltiplicatore gamma). Se noi aumentiamo la spesa pubblica, sappiamo che
aumenta la domanda aggregata e quindi il reddito, ma nel momento in cui gli investimenti sono
più sensibili al tasso di interesse (b aumenta) significa che l'impatto negativo sugli investimenti
derivante da un aumento dei tassi di interesse sarà più grande. L’aumento dei tassi di interesse
avviene proprio per mantenere l'equilibrio nel mercato monetario (perché all'aumentare del reddito
i tassi di interesse devono aumentare per far sì che vi sia l'equilibrio nel mercato monetario,
mantenendo l'offerta di moneta invariata).
Ora vediamo cosa succede al nostro moltiplicatore γ quando variamo k (anche questo lo capisci
dalla formula). Un aumento della sensibilità della domanda di moneta al reddito (k aumenta)
riduce l'effetto espansivo di un incremento della spesa pubblica (γ diminuisce) perché maggiore
sarà l'incremento dei tassi di interesse necessario per mantenere l'equilibrio nel mercato
monetario.
Infine, vediamo come gamma varia al variare di h (lo capisci come sempre anche dalla formula).
Un aumento della sensibilità della domanda di moneta al tasso di interesse (h aumenta) accresce
l'effetto espansivo di un incremento della spesa pubblica (γ gamma aumenta) perché minore sarà
l'incremento dei tassi di interesse necessario per mantenere l’equilibrio nel mercato monetario.
Riassumendo: il moltiplicatore della politica fiscale (γ gamma) rappresenta l’impatto di una
variazione della spesa autonoma (ad esempio la spesa pubblica) sul reddito. Questo
moltiplicatore della politica fiscale non va confuso con il moltiplicatore keynesiano. È infatti
possibile dimostrare che il moltiplicatore della politica fiscale è minore del moltiplicatore
keynesiano (alfa g). Abbiamo poi visto cosa succede al moltiplicatore della politica fiscale al
variare di una serie di parametri.

Moltiplicatore della politica monetaria


Il moltiplicatore della politica monetaria indica l’entità della variazione del livello di equilibrio del
reddito prodotta da una variazione dell'offerta reale di moneta, mantenendo costante la politica
fiscale (ossia la spesa autonoma). L'effetto sul reddito prodotto da una variazione dell’offerta di

moneta è dato da:

Quindi γ*b/h, ovvero gamma che moltiplica b fratto h, rappresenta il moltiplicatore della politica
monetaria. Mentre il moltiplicatore della politica fiscale ci dice di quanto varia il reddito a seguito
di una variazione della spesa pubblica (più genericamente della spesa autonoma), invece il
moltiplicatore della politica monetaria ci dice di quanto varia il reddito a seguito di una variazione
dell'offerta reale di moneta, considerando l'equilibrio simultaneo nel mercato dei beni e nel
mercato monetario.
Poi una volta visto cosa succede al variare del moltiplicatore keynesiano (come si può anche
vedere dalla formula, un aumento del moltiplicatore keynesiano porta ad un aumento del
moltiplicatore della politica monetaria), vediamo cosa succede al variare degli altri parametri,
proprio come avevamo fatto per il moltiplicatore della politica fiscale.
Un aumento della sensibilità della spesa per investimenti al tasso di interesse (b aumenta)
accresce l'effetto espansivo di un incremento dell'offerta di moneta (γ*b/h aumenta) perché sarà
maggiore la riduzione dei tassi di interesse necessaria per mantenere l'equilibrio nel mercato
monetario. Quindi all'aumentare di b, aumenta il moltiplicatore della politica monetaria (γ*b/h).
Un aumento della sensibilità della domanda di moneta al reddito (k aumenta) riduce l'effetto
espansivo di un incremento dell’offerta di moneta (γ*b/h diminuisce) perché sarà minore la
riduzione dei tassi di interesse necessaria per mantenere l'equilibrio nel mercato monetario. Se k
aumenta implica che, se abbiamo un aumento dell'offerta di moneta, avremo una riduzione dei
tassi di interesse. A questo punto, dobbiamo capire di quanto questi tassi di interesse si riducono.
Se la domanda di moneta diventa più sensibile al reddito, abbiamo un altro effetto che porta
invece nella direzione opposta, ovvero porta all'aumento dei tassi di interesse (proprio perché
all'aumentare dell'offerta di moneta aumenta il reddito, quindi aumenta la domanda di moneta.
Sarà quindi necessario un aumento dei tassi di interesse per riportare la domanda di moneta
all'offerta di moneta). Ci sono quindi due effetti: uno che porta all'aumento dei tassi, uno alla
riduzione. Il primo effetto è più forte, ma è attenuato dal secondo effetto, ecco perché abbiamo
una minore riduzione nei tassi di interesse.
Un aumento della sensibilità della domanda di moneta al tasso di interesse (h aumenta) riduce
l'effetto espansivo di un incremento dell'offerta di moneta (γ*b/h diminuisce) perché sarà minore la
riduzione dei tassi di interesse necessaria per mantenere l'equilibrio nel mercato monetario.
Anche qui come prima, dobbiamo capire di quanto si riducono questi tassi di interesse. La
riduzione dei tassi di interesse sarà tanto minore quanto più sensibile è la domanda di moneta al
tasso di interesse (tanto più la domanda di moneta è sensibile al tasso di interesse, tanto meno
sarà necessario ridurre tali tassi di interesse per mantenere l'equilibrio nel mercato monetario).
Tale minore riduzione nei tassi di interesse si ripercuote in un effetto espansivo di un incremento
dell'offerta di moneta più ridotto. Questo spiega perché il moltiplicatore della politica monetaria si
riduce.

Esercizio
-seconda immagine, primo punto—> YD, ossia il reddito disponibile, è uguale al reddito Y più i
trasferimenti (40) meno le imposte (0,25Y).

-ultima immagine (punto d)—> supponiamo che lo Stato voglia mantenere lo stesso tasso di
interesse. Vogliamo sapere di quanto l'offerta di moneta deve variare per mantenere lo stesso
tasso di interesse originario, ossia 0,25. Come possiamo ottenere la situazione per cui il tasso di
interesse sia al livello originario? La curva LM deve variare, nello specifico dovrà traslare verso il
basso. Non sappiamo però di quanto. Dato che la curva LM dovrà traslare verso il basso (verso
destra), l'offerta di moneta dovrà aumentare. Allora per risolvere l'esercizio quindi la nostra
incognita è l’ammontare dell'offerta di moneta, perché dobbiamo trovare di quanto l'offerta di
moneta deve aumentare per mantenere il tasso di interesse originario.
Innanzitutto nel primo punto calcoliamo il livello di reddito dato il tasso di interesse originario 0,25
e la nuova curva IS (partendo dalla curva is nell'immagine a sinistra). Troviamo così il livello di
reddito (710) che garantisce l'equilibrio nel mercato dei beni quando il tasso di interesse è 0,25.
Ora nel punto 2, prendiamo la domanda di moneta che ci viene fornita dal problema e la poniamo
uguale all'offerta di moneta, in modo tale da ricavare l'equilibrio del mercato della moneta.
L'offerta di moneta la indichiamo con un generico M e la dividiamo per P. Però P non è la nostra
incognita, la nostra incognita è M, quindi sostituiamo P, ossia il livello dei prezzi, con 10. Alla fine,
risolvendo l'equazione otteniamo che M, ossia la quantità di offerta nominale, è uguale a 2800.
L'offerta nominale di moneta originaria era pari a 1000, come possiamo vedere dai dati
dell'esercizio, ora è pari a 2800. L'offerta nominale di moneta deve aumentare proprio perché la
curva LM si deve spostare verso destra in modo tale da far rimanere invariato il tasso di interesse.
Quindi quello che interessa trovare a noi è di quanto la curva LM varia. Quanto LM varia dipende
proprio dall'ammontare di offerta nominale di moneta, ovvero da M. Ecco perché la nostra
incognita è M!!!
CAPITOLO 18: POLITICA MONETARIA E POLITICA
FISCALE
Equilibrio IS-LM
Come sappiamo, l'intersezione della curva IS e della curva LM rappresenta l'equilibrio simultaneo
del mercato dei beni e monetario (breve periodo).
Una politica monetaria espansiva (aumento dell'offerta di moneta) sposta la curva LM verso
destra, il che determina un aumento del reddito ed una riduzione dei tassi di interesse (ciò lo
possiamo vedere dal grafico seguente).
Una politica monetaria restrittiva (riduzione dell'offerta di moneta) sposta la curva LM verso
sinistra, il che determina una riduzione del reddito ed un aumento dei tassi di interesse.
Una politica fiscale espansiva (aumento della spesa pubblica) sposta la curva IS (NON PIÙ LA
CURVA LM, ora ci si riferisce alla curva IS) verso destra, il che determina un aumento del reddito
ed un aumento dei tassi di interesse.
Una politica fiscale restrittiva (riduzione della spesa pubblica) sposta la curva IS verso sinistra, il
che determina una riduzione del reddito ed una riduzione dei tassi di interesse.
Questi movimenti possono essere rappresentati avendo come base il grafico dell’equilibrio IS-LM:

Politica monetaria
Negli Stati Uniti, il responsabile della politica monetaria è il Federal Reserve System. Nell’Unione
Economica e Mometaria (UEM), invece, il responsabile della politica monetaria è la Banca
Centrale Europea (BCE).
Con un'operazione di mercato aperto, la Banca Centrale acquista titoli in cambio di moneta (cede
moneta), aumentando in tal modo lo stock monetario. Al contrario la BCE vende titoli in cambio di
moneta (ritira moneta), riducendo in tal modo lo stock monetario.
Consideriamo ora un'operazione di acquisto sul mercato aperto. Cosa significa che lo stock
monetario aumenta? Significa sostanzialmente che l'offerta reale di moneta aumenta. Ma che
cosa significa che l'offerta reale di moneta aumenta? Significa che la curva LM si sposta verso
destra. Come sappiamo, lo spostamento verso destra della curva LM, ossia un cambiamento
dell'equilibrio dal punto E al punto E', poi comporta un aumento del reddito e una riduzione del
tasso di interesse.
A questo punto cerchiamo di comprendere ancora più nel dettaglio che cosa succede passo a
passo, attraverso il seguente grafico:
Nel grafico possiamo vedere che la curva IS è invariata, mentre la curva LM a seguito di un
acquisto di titoli sul mercato aperto si sposta da LM a LM', quindi l’equilibrio si posta da E a E'.
Ora vediamo i passaggi che portano a ciò. Nel momento in cui la Banca Centrale effettua
un'operazione sul mercato aperto, che consiste nell’acquisto di titoli in cambio di moneta, l'effetto
immediato è quello di una riduzione dei tassi di interesse. La riduzione dei tassi di interesse è
necessaria al fine di mantenere l'equilibrio nel mercato monetario (perché se l'offerta di moneta
aumenta anche la domanda di moneta deve aumentare, quindi per permettere ciò i tassi di
interesse si devono ridurre). A seguito della diminuzione dei tassi di interesse troviamo il punto E1.
Però questo rappresenta solo un passaggio intermedio. Nel momento in cui ci spostiamo dal
punto E al punto E1, siamo in equilibrio nel mercato monetario, in quanto ci troviamo sulla nuova
LM, ma non siamo più in equilibrio sul mercato dei beni (IS). Perciò, a seguito di una riduzione dei
tassi di interesse, la spesa per investimenti aumenta e di conseguenza aumenta la domanda
aggregata, quindi aumenta anche il reddito e, perciò, ci spostiamo dal punto E1 al punto E'.
Raggiungiamo così di nuovo l'equilibrio sia nel mercato dei beni sia nel mercato monetario.

Meccanismo di trasmissione
Il meccanismo di trasmissione della politica monetaria è il processo mediante il quale la politica
monetaria influenza la domanda aggregata. Tale processo si compone delle seguenti fasi:
1-variazione dell'offerta reale di moneta (ad esempio la Banca Centrale effettua un'operazione di
mercato aperto. Supponiamo ad esempio una politica monetaria espansiva, quindi supponiamo
che la BCE acquisti titoli in cambio di moneta. Ciò porta ad un aumento dello stock monetario e
quindi un aumento dell'offerta reale di moneta).
2-gli individui aggiustano le proprie scelte di portafoglio e ciò comporta una variazione dei prezzi
delle attività e dei tassi di interesse (a seguito di un aumento di offerta reale di moneta).
3-la spesa, soprattuto per investimenti, si adegua alla variazione dei tassi di interesse (se i tassi di
interesse si riducono, la spesa per investimenti aumenta).
4-la domanda aggregata ed il prodotto si adeguano alla variazione della domanda di beni di
investimento (se gli investimenti aumentano di conseguenza aumenta la domanda aggregata e
perciò aumenta il reddito/produzione).

Trappola della liquidità: LM orizzontale


Quando parliamo della politica monetaria ci sono due casi limite che vanno segnalati: LM
orizzontale (trappola della liquidità) e LM verticale (caso classico).
Innanzitutto siamo in una situazione di trappola della liquidità quando la curva LM è perfettamente
orizzontale e, in generale, in tal caso la LM dovrebbe coincidere con l'asse orizzontale. La
trappola della liquidità è la situazione in cui, ad un determinato tasso di interesse, il pubblico è
disposto a detenere qualsiasi quantità di moneta offerta (h tende a infinito). Gli individui saranno
disposti a detenere qualsiasi quantità di moneta che la BCE immette nel mercato. In altre parole, è
la situazione in cui gli individui non detengono titoli. Quando può accadere che gli individui non
detengano titoli? Quando il tasso di interesse è molto basso, quando è tendente a zero. Quando il
tasso di interesse tende a zero? Quando h, ovvero la sensibilità della domanda di moneta al tasso
di interesse, tende a infinito. Quindi quando h tende a infinito, i tenderà a zero (perché anche una
piccolissima variazione del tasso di interesse è in grado di influenzare notevolmente il reddito).
Nella situazione della trappola di liquidità, variazioni della quantità di moneta non provocano
alcuno spostamento della curva LM, proprio perché gli individui sono disposti a detenere qualsiasi
quantitativo di moneta immesso nel mercato. Ciò significa anche che la politica monetaria non ha
alcun effetto sull'economia. Al contrario, in tale situazione la politica fiscale avrà massima
efficacia, nello specifico la politica fiscale porterà ad una variazione del reddito senza alcun
cambiamento del tasso di interesse. Vediamolo graficamente:
Nel grafico abbiamo sull'asse delle X il reddito mentre sull'asse delle Y il tasso di interesse.
Abbiamo la curva IS originaria, indicata con IS0. Consideriamo poi un aumento della spesa
pubblica, che comporta una traslazione della IS verso destra, nello specifico da IS0 a IS1. Se la
curva LM è perfettamente orizzontale, possiamo vedere che il reddito varia da Y0 a Y1 senza
alcuna variazione del tasso di interesse (che rimane uguale a k). Quindi, in questa economia la
curva IS trasla verso destra a seguito di una aumento della spesa pubblica, il tasso di interesse
però non aumenta (come invece dovrebbe aumentare se la LM fosse positivamente inclinata)
siccome la LM è orizzontale e perciò possiamo dire che la politica monetaria non ha alcuna
efficacia, mentre la politica fiscale ha efficacia massima.
Come anticipato prima, la politica monetaria non ha alcuna efficacia e, quindi, si verifica la
trappola della liquidità in corrispondenza di bassi tassi di interesse. Inoltre un'altra situazione in
cui la politica monetaria ha un impatto limitato sull'economia si ha quando le banche sono
riluttanti a concedere prestiti, in particolare in periodi di crisi.

Caso classico: LM verticale


Il caso classico è la situazione in cui la domanda di moneta è completamente insensibile al tasso
di interesse (h=0). Ponendo h=0 nella condizione di equilibro del mercato monetario (con L con la
barra=0 per semplicità), otteniamo:

La parte del reddito (kY) non cambia, nel momento in cui h è uguale a zero la domanda di moneta
è rigida rispetto al tasso di interesse. Poi esplicitiamo per Y.
In tal caso quindi la curva LM è verticale.
Questa viene chiamata teoria quantitativa della moneta, secondo la quale il livello di reddito
nominale è determinato esclusivamente dalla quantità di moneta. Ciò perché se noi
moltiplichiamo ambo i lati della formula finale per il livello dei prezzi otteniamo che YP= (1/k)*M.
Ecco perché si dice che il reddito nominale (YP) è determinato esclusivamente dalla quantità di
moneta, in quanto il tasso di interesse non gioca nessun ruolo secondo la teoria quantitativa della
moneta. Tale teoria si fonda sulla convinzione che i cittadini detengano una quantità di moneta
proporzionale al volume complessivo delle transazioni da effettuare, indipendentemente dal tasso
di interesse.
La politica monetaria attuata mediante operazioni di mercato aperto ha efficacia massima sul
livello di reddito, mentre la politica fiscale ha un effetto nullo.

Politica fiscale
Passiamo ora alla politica fiscale e consideriamo un aumento della spesa pubblica ΔG.
Partiamo ad analizzare la curva IS e, già sappiamo, che a seguito di un aumento della spesa
pubblica la curva IS si sposta verso destra, perché all'aumentare della spesa pubblica aumenta la
domanda aggregata e di conseguenza aumenta il reddito o produzione. Di quanto si sposta la
curva IS? Si sposterà di un ammontare pari al prodotto tra la variazione (aumento) della spesa
pubblica (ΔG) e il moltiplicatore keynesiano (alfa g).
Vediamo il grafico qui sotto:
A parità di tassi di interesse, ovvero qualora il tasso di interesse rimanesse costante, l'economia si
sposterebbe dal punto E al punto E", questo è quello che abbiamo già visto nell'analisi del
modello reddito-spesa. Tuttavia, a seguito dell’aumento del reddito si ha un eccesso di domanda
di moneta (se aumenta il reddito aumenta anche la domanda di moneta) che induce un aumento
dei tassi di interesse per mantenere l’equilibrio nel mercato monetario. Quindi noi ora dobbiamo
anche considerare l'equilibrio nel mercato della moneta. Cosa succede se il reddito aumenta? Se
il reddito aumenta, aumenta anche il tasso di interesse (per riportare la situazione in equilibrio). Se
aumenta il reddito, aumenta la domanda di moneta e quindi per riportare l'equilibrio nel mercato
della moneta il tasso di interesse deve aumentare (così da ridurre la domanda di moneta). Di
conseguenza cosa si verifica in questa economia? Il punto di equilibrio finale non sarà E" ma E',
ossia il punto di intersezione tra la nuova curva IS (IS') e la curva LM. Quindi, nel momento in cui
abbiamo un aumento della spesa pubblica, è vero che il reddito aumenta perché è aumentata la
domanda aggregata, ma nel frattempo contestualmente all'aumento del reddito l'economia,
spostandosi da E a E' subisce anche un incremento dei tassi di interesse, e questo incremento
dei tassi di interesse va ad impattare sulla spesa per investimenti, riducendola. Ciò spiega che
l'aumento complessivo del reddito non è semplicemente il moltiplicatore alfa g che moltiplica la
variazione di spesa pubblica, ma è un po’ meno, proprio perché contestualmente si è verificato un
aumento dei tassi di interesse che ha avuto un impatto negativo sulla spesa per investimenti,
quindi la domanda aggregata si è leggermente ridotta. Complessivamente dunque la domanda
aggregata aumenta (e quindi aumenta il reddito), ma vi è questo secondo effetto che comporta
una leggera diminuzione della domanda aggregata (e del reddito).

Spiazzamento della spesa privata


Ci troviamo nella situazione che viene definita spiazzamento degli investimenti. L’aumento del
tasso di interesse necessario per mantenere l'equilibrio nel mercato della moneta, come abbiamo
detto, riduce la spesa per investimenti e ne produce uno spiazzamento. Nello specifico, il
confronto tra i punti E' e E" indica che l'aggiustamento dei tassi di interesse attenua l'effetto
espansivo di un incremento della spesa pubblica, comportando un aumento del reddito fino a Y'0
anziché Y". Il motivo è che l'aumento del tasso di interesse riduce la spesa per investimenti,
producendo uno spiazzamento degli investimenti.
L'effetto spiazzamento ha luogo quando una politica fiscale espansiva fa salire i tassi di
interesse, riducendo la spesa privata, in particolare la spesa per investimenti.

Vediamo come l'effetto spiazzamento si manifesta nei casi limite, ovvero nel caso di trappola della
liquidità e del caso classico.
Se l'economia si trova in una situazione di trappola della liquidità (tasso di interesse non cambia)
(curva LM orizzontale), un aumento della spesa pubblica esercita il suo completo effetto
moltiplicatore sul livello di equilibrio del reddito, lasciando invariato il tasso di interesse. Infatti,
quando la LM è perfettamente orizzontale, nel momento in cui la IS si sposta verso destra a
seguito di un aumento della spesa pubblica, il tasso di interesse non cambia, mentre il reddito si
sposta da Y0 a Y1, e questa variazione del reddito corrisponde esattamente al prodotto tra il
moltiplicatore keynesiano (alfa G) e la variazione della spesa pubblica (ΔG). In tal caso non
abbiamo alcun effetto di spiazzamento sugli investimenti, proprio perché il tasso di interesse
rimane invariato.
Invece, nel caso classico (curva LM verticale), un aumento della spesa pubblica ha un impatto
nullo sul livello di equilibrio del reddito e comporta solo un aumento del tasso di interesse.
Vediamolo graficamente nel grafico qui sotto:
Nel grafico sopra, come sempre sull'asse orizzontale abbiamo il reddito prodotto mentre sull'asse
verticale il tasso d’interesse. Supponiamo che si verifichi un aumento della spesa pubblica, se la
spesa pubblica aumenta la curva IS trasla verso destra, perché a parità di tasso di interesse la
domanda aggregata aumenta. Se la LM è perfettamente verticale (caso classico), a fronte di una
traslazione verso destra della IS il reddito prodotto non cambia (rimane sempre pari a Y0). Ciò
significa che siamo di fronte ad uno spiazzamento completo. Se la domanda aggregata aumenta,
ma alla fine il reddito prodotto non varia, vuol dire che la domanda aggregata si riduce a causa
dello spiazzamento completo degli investimenti. Quello che succede in questa economia è che
una traslazione della IS verso destra comporta un aumento del tasso di interesse che va a ridurre
gli investimenti e compensa esattamente l'aumento iniziale della domanda aggregata (imputabile
ad esempio ad un aumento della spesa pubblica).
Nel grafico sotto viene visualizzata la riduzione negli investimenti, che dal punto I0 passano al
punto I'. La riduzione degli investimenti è quindi dovuta all'aumento del tasso di interesse.
Dunque, l’aumento del tasso di interesse spiazza (riduce) la spesa privata (sopratutto quella per
investimenti) di un ammontare pari all'aumento della spesa pubblica (spiazzamento completo).
(Perché un aumento del tasso di interesse va a ridurre gli investimenti? Perché ovviamente le
imprese saranno meno incentivate ad investire se il finanziamento ottenuto ha un tasso di
interesse elevato).

A seguito di un’espansione fiscale (aumento della spesa pubblica o riduzione delle imposte)
possiamo avere una contestuale operazione di politica monetaria espansiva, che viene
denominata accomodamento monetario dell'espansione fiscale. Vediamo cosa succede in tal
caso partendo dal grafico:

Partiamo dall’equilibrio iniziale E, ossia il punto di intersezione tra la curva IS originaria e la LM


originaria. Supponiamo poi che vi sia un’espansione fiscale, un aumento della spesa pubblica ad
esempio, che abbiamo visto che comporta una traslazione verso destra della IS, che quindi passa
a IS'. L'equilibrio quindi si sposta dal punto E al punto E". Nel punto E" abbiamo sia un reddito
più elevato sia un tasso di interesse più elevato. Un tasso di interesse elevato come abbiamo
visto prima va a spiazzare la spesa per investimenti, quindi quello che si può fare è accompagnare
l’espansione fiscale con una politica monetaria espansiva, che va ad aumentare lo stock
monetario. Noi sappiamo che a seguito dell'aumento dell'offerta reale di moneta, la LM trasla
verso destra, spostandosi così da LM e LM' (se aumenta l'offerta di moneta, a parità di reddito, il
tasso di interesse si deve ridurre proprio perché anche la domanda di moneta deve aumentare per
tornare in equilibrio). Nel caso in cui il policy maker voglia un’espansione fiscale e nel contempo
nessuna variazione del tasso di interesse allora lo stock monetario deve aumentare, in modo tale
da portare l'economia al punto E'. Nel punto E' abbiamo un ulteriore incremento del reddito
(dovuto all"espansione monetaria), che da Y" passa a Y', e un ritorno al tasso di interesse
originario i0.

Effetti delle politiche economiche


Facciamo ora un riassunto:
Vediamo quali sono gli effetti sul reddito di equilibrio e sui tassi di interesse di un’espansione
monetaria, ossia di un aumento dello stock monetario, e di un’espansione fiscale.
Iniziamo dall'espansione monetaria. Nel caso di un’espansione monetaria vuol dire che l'offerta
reale di moneta aumenta. Se l'offerta reale di moneta aumenta deve aumentare anche la
domanda reale di moneta per garantire l'equilibrio del mercato monetario. A parità di reddito il
tasso di interesse si deve ridurre (-). Questa riduzione del tasso di interesse comporta un aumento
della spesa per investimenti, ovvero un aumento della domanda aggregata e conseguentemente
un aumento del reddito prodotto (+).
Vediamo ora il caso di un’espansione fiscale, dove supponiamo un aumento della spesa pubblica.
Se la spesa pubblica aumenta, aumenta la domanda aggregata e aumenta il reddito (+).
All'aumentare del reddito il tasso di interesse deve aumentare (+) per mantenere l'equilibrio nel
mercato monetario, infatti se il reddito aumenta, aumenta la domanda di moneta e
conseguentemente, dato che l’offerta di moneta è rimasta costante il tasso di interesse deve
aumentare per garantire l'equilibrio (per ridurre la domanda di moneta). A seguito di un aumento
dei tassi di interesse abbiamo un ulteriore effetto, ossia l'effetto di spiazzamento sugli
investimenti. All'aumentare del tasso di interesse la spesa per investimenti si riduce e questo va a
ridurre la domanda aggregata e quindi il reddito. Questo secondo effetto è però meno importante
rispetto a quello determinato dall'espansione fiscale. Quindi in aggregato il reddito aumenta, però
è importante anche sottolineare che esiste anche un effetto spiazzamento.

Effetti di politiche fiscali alternative e mix di politica economica


Vediamo ora un po’ più da vicino quali sono gli effetti di politiche fiscali alternative e poi parleremo
di mix di politiche economiche.

Consideriamo innanzitutto una riduzione dell'imposta sul reddito. Se l'imposta sul reddito si
riduce chiaramente aumenterà il reddito disponibile. All'aumentare del reddito disponibile
aumenta il consumo (+), all'aumentare del consumo aumenta la domanda aggregata e
all’aumentare della domanda aggregata aumenta la produzione o reddito, ossa il PIL (+).
All'aumentare del reddito prodotto (PIL) il tasso di interesse aumenta (+), perché per garantire
l’equilibrio nel mercato monetario all'aumentare del reddito il tasso di interesse deve aumentare
(così da ridurre la domanda di moneta e ritornare così all'equilibrio nel mercato monetario). Infine,
all'aumentare del tasso di interesse l’investimento si riduce, per l'effetto spiazzamento (-).
Ora vediamo cosa succede a seguito di un aumento della spesa pubblica. Se aumenta la spesa
pubblica chiaramente aumenterà il reddito/PIL (+). Se il reddito aumenta, aumenterà poi anche il
consumo (+). Inoltre, se il reddito aumenta, anche il tasso di interesse dovrà aumentare per
mantenere l’equilibrio del mercato monetario (+). Infine, all'aumentare del tasso di interesse
diminuisce la spesa per investimenti (-).
Per ultimo vediamo il caso di una sovvenzione agli investimenti, che significa per esempio una
riduzione delle imposte sotto forma di sgravi fiscali per le imprese che investono. Una
sovvenzione agli investimenti chiaramente andrà innanzitutto ad aumentare gli investimenti (+), in
quanto le imprese troveranno più conveniente investire. Se la spesa per investimenti aumenta,
aumenta la domanda aggregata. All'aumentare della domanda aggregata poi aumenterà il reddito/
PIL (+) e di conseguenza aumenteranno i consumi (+). Infine, se il reddito aumenta, il tasso di
interesse dovrà aumentare (+). per mantenere l’equilibrio nel mercato monetario. In tal caso ci
potremmo chiedere come mai in tal caso a seguito di un aumento del tasso di interesse gli
investimenti aumentano, mentre fino a prima abbiamo visto che si riducevano? Per spiegare ciò
dobbiamo sapere che esistono due effetti: l'effetto dominante che è dovuto alla sovvenzione agli
investimenti che fa aumentare gli investimenti appunto, e l'effetto più piccolo, ovvero l'effetto di
spiazzamento, che a seguito dell'aumento dei tassi di interesse la spesa per investimenti si ridurrà
un po’. Quindi il primo effetto di aumento degli investimenti più che compensa il secondo, quindi
in aggregato la spesa per investimenti aumenta. Ecco spiegato il motivo.

Nella realtà, i responsabili delle politiche economiche scelgono un mix di politica economica
(combinazione di politiche fiscali e monetarie) per raggiungere l'equilibrio desiderato.
Generalmente, i liberali propongono una riduzione della pressione fiscale durante le recessioni
(politica fiscale espansiva) ed una diminuzione della spesa pubblica durante le espansioni (politica
fiscale restrittiva). Invece, i sostenitori del ruolo dello Stato preferiscono un aumento della spesa
pubblica (istruzione, ambiente,...) (politica fiscale espansiva) durante le recessioni ed un aumento
dell'imposizione fiscale durante le espansioni (politica fiscale restrittiva).
Vediamo ora graficamente gli effetti di differenti mix di politica economica:

Partiamo dal punto di equilibrio E, ossia il punto di intersezione tra la curva IS e la curva LM.
Supponiamo che in corrispondenza di questo punto E, il livello di reddito Y0 sia inferiore rispetto a
Y*. Da ciò possiamo intuire che siamo in un'economia con disoccupazione, in quanto il reddito
non è al suo massimo.
Se i responsabili della politica economica vogliono raggiungere il livello di piena occupazione, ci
sono diversi mix di politica economica che possono utilizzare.
Per esempio, si potrebbe raggiungere il punto E1 mediante un aumento della spesa pubblica.
Infatti, se la spesa pubblica aumenta, la curva IS trasla verso destra e nel punto E1 avremo il
raggiungimento del pieno impiego (il reddito raggiunge il suo livello potenziale) e avremo un
aumento dei tassi di interesse.
Il livello di pieno impiego poi si può anche raggiungere con una politica monetaria espansiva che
fa traslare la LM verso destra, raggiungendo il punto E2. In questo caso il reddito aumenta e il
tasso di interesse si riduce. Noi sappiamo già che a seguito di un aumento dell'offerta di moneta i
tassi di interesse si riducono per garantire l'equilibrio nel mercato monetario (a parità di reddito, il
tasso di interesse si deve ridurre così da far aumentare la domanda di moneta e ritornare così in
equilibrio nel mercato monetario).
I responsabili della politica economica però potrebbero anche decidere un mix tra le due politiche
così da raggiungere il punto E3. Questo punto di equilibrio potrebbe essere raggiunto tramite una
combinazione di espansione fiscale, mediante un aumento della spesa pubblica o una riduzione
delle imposte, che fa traslare la IS verso destra e, contestualmente, tramite una politica monetaria
che fa traslare la LM verso il basso. In tal caso non vi è alcuna variazione del tasso di interesse
rispetto al punto iniziale E. Ciò perché l'aumento dei tassi di interesse indotto da una politica
fiscale espansiva sarebbe esattamente compensato da una riduzione dei tassi di interesse
associato ad una politica monetaria espansiva.
CAPITOLO 19: LEGAMI ECONOMICI INTERNAZIONALI
Commercio internazionale
Ogni economia è legata al resto del mondo attraverso due modalità: commercio in beni e servizi
e finanza.
Nell'ambito del commercio internazionale, il legame consiste nel fatto che parte della produzione
di un Paese viene esportata in altri Paesi e parte dei beni consumati od investiti in patria viene
importata. Un calo dei prezzi in valuta locale praticati dai produttori stranieri aumenta le
importazioni (perché diventerà più conveniente acquistare prodotti stranieri). D'altro canto, un
aumento dei prezzi in valuta locale praticati dai produttori stranieri aumenta le esportazioni (e
riduce le importazioni), proprio perché i residenti nel Paese straniero preferiranno acquistare
prodotto da noi, quindi noi vedremo aumentate le esportazioni.
Esistono forti legami internazionali anche nel settore della finanza.
Dobbiamo poi sapere che i gestori di portafogli vanno alla ricerca dei rendimenti più appetibili nei
diversi Paesi (vanno alla ricerca di titoli che garantiscono i rendimenti più elevati).

Bilancia dei pagamenti


Quando parliamo di commercio internazionale è importante introdurre la bilancia dei pagamenti.
La bilancia dei pagamenti è il conto in cui vengono registrate le transazioni che intercorrono tra i
residenti di un Paese ed il resto del mondo. Nello specifico, ogni transazione che dà luogo ad un
pagamento da parte dei residenti (per esempio il pagamento per i beni importati) costituisce una
voce passiva. Mentre ogni pagamento ricevuto dall'estero (per esempio per le esportazioni)
costituisce una voce attiva.
La bilancia dei pagamenti si suddivide in tre conti principali:
1)conto corrente (o partite correnti)—> è costituito dal commercio in merci (bilancia
commerciale), servizi (pagamenti di royalties, viaggi), redditi (da lavoro e capitale) e trasferimenti
(rimesse degli emigranti, donazioni). Il saldo del conto corrente è la somma del saldo della
bilancia commerciale (differenza tra esportazioni e importazioni di merci), dei pagamenti per
servizi, dei redditi netti e dei trasferimenti netti dall'estero.
2)conto capitale—> si riferisce ai trasferimenti di attività intangibili (brevetti, diritti d'autore) e di
attività finanziarie e reali in contanti.
3)conto finanziario—> acquisti e vendite di attività (azioni, obbligazioni) da parte di privati e
variazione delle riserve ufficiali di oro, valuta estera ed altre attività della Banca Centrale.

I conti con l'estero devono essere in pareggio


L’idea alla base della bilancia dei pagamenti è che gli individui e le imprese devono pagare ciò che
acquistano all'estero. Ciò significa che il saldo del conto corrente più il saldo finanziario deve
essere pari a zero. Quindi, se il saldo del conto corrente è negativo, questo deve essere finanziato
mediante un saldo positivo del conto finanziario. Qualora per esempio le importazioni fossero
maggiori delle esportazioni e quindi avessimo un disavanzo nel conto corrente, questo deve
essere finanziato mediante un avanzo finanziario (contrazione di debiti con l'estero o vendita di
attività all'estero o vendita di valuta estera da parte della Banca Centrale).
L'avanzo della bilancia dei pagamenti corrisponde all’aumento delle riserve ufficiali ed è dato
dall’avanzo di conto corrente più l'afflusso netto di capitali privati. Ne consegue che se l'avanzo di
conto corrente più l'afflusso netto di capitali privati è nullo, allora vuol dire che la bilancia dei
pagamenti è in pareggio. Se invece tale somma (avanzo di conto corrente più afflusso netto di
capitali privati) è positiva siamo nella situazione di avanzo della bilancia dei pagamenti e, quindi,
nella situazione di un aumento delle riserve ufficiali. Qualora, invece, il conto corrente sia in
disavanzo e vi sia un afflusso netto negativo di capitali privati, allora siamo in una situazione di
disavanzo della bilancia dei pagamenti e, quindi, in una situazione di diminuzione delle riserve
ufficiali.
Riassumendo—> avanzo della bilancia dei pagamenti = aumento delle riserve ufficiali =
avanzo di conto corrente + afflusso netto di capitali privati

Tasso di cambi fissi


Quando parliamo di commercio internazionale ovviamente dobbiamo fare riferimento al concetto
di tasso di cambio.
Il tasso di cambio indica il prezzo di un’unità di valuta straniera in termini di valuta nazionale, per
esempio in questo periodo dobbiamo spendere circa 80 centesimi per ottenere 1 dollaro. Il tasso
di cambio euro-dollaro è quindi l'ammontare di Euro (ammontare di valuta nazionale) che è
necessario per l’acquisto di un Dollaro (un’unità di valuta estera). Dunque, il tasso di cambio è
l'ammontare di valuta nazionale che è necessario per l’acquisto di un’unità di valuta estera.

Tassi di cambio fissi


Quando parliamo di tassi di cambio, distinguiamo tra un sistema di tassi di cambio fissi e un
sistema di tassi di cambio flessibili.
In un sistema di tassi di cambio fissi, le Banche Centrali sono pronte ad acquistare o vendere
qualsiasi ammontare di valuta estera ad un prezzo fisso in rapporto alla moneta nazionale. Le
Banche Centrali si impegnano a mantenere il tasso di cambio fisso, ovvero si impegnano a
mantenere un determinato rapporto tra due valute e intervengono quando ci sono pressioni da
parte del mercato in modo tale da evitare che il tasso di cambio vari. Per mantenere i tassi di
cambio fissi, le Banche Centrali devono detenere riserve (in termini di scorte in oro, dollari ed altre
valute) da vendere quando desiderano o sono costrette ad intervenire sul mercato dei cambi. Per
intervento sul mercato dei cambi si intende l’acquisto o la vendita di valuta estera da parte della
Banca Centrale, in modo tale da garantire che il tasso di cambio non vari. Quindi, per garantire
che il tasso di cambio rimanga stabile, la Banca Centrale deve fornire qualsiasi ammontare di
valuta estera che si renda necessario per finanziare gli squilibri della bilancia dei pagamenti.
Come mai il tasso di cambio può variare? Vediamo un esempio. Supponiamo che il Giappone
registri un avanzo della bilancia dei pagamenti rispetto agli Stati Uniti. Ciò significa che abbiamo
un eccesso di domanda di yen (moneta giapponese), ovvero la domanda di yen in cambio di
dollari da parte degli operatori statunitensi supera l'offerta di yen in cambio di dollari da parte
degli operatori giapponesi (avere un eccesso di domanda di yen equivale a dire avere un eccesso
di offerta di dollari). Se esistesse un sistema di tassi di cambio fissi, la Banca Centrale giapponese
interverrebbe acquistando l'eccesso di dollari offerti in cambio di yen (così da far rimanere fisso il
tasso di cambio). Il problema è che se un Paese continua a registrare disavanzi nella bilancia dei
pagamenti, la Banca Centrale finirà per esaurire le riserve in valuta estera e procederà a svalutare
la moneta.

Tassi di cambio flessibili


In un sistema di tassi di cambio flessibili (fluttuanti), le Banche Centrali si astengono
dall'intervento sui mercati e lasciano che il tasso di cambio si adegui in modo tale da equilibrare
domanda ed offerta di valuta estera. Quindi, mentre in un sistema di tassi di cambio fissi, le
Banche Centrali intervengono nel mercato, in tal caso invece esse si astengono dall'intervenire.
Riprendiamo l'esempio precedente riguardante un aumento delle esportazioni giapponesi verso
gli Stati Uniti, ma ora supponiamo che esista un sistema di tassi di cambio flessibili. In un sistema
di tassi di cambio flessibili, la Banca Centrale giapponese si asterrebbe dall'intervento sui mercati,
lasciando che il tasso di cambio si aggiusti da solo. Quindi se supponiamo che vi sia un avanzo
della bilancia dei pagamenti giapponese rispetto agli Stati Uniti, prima abbiamo visto che nel caso
di un sistema a tassi di cambio fissi la Banca Centrale giapponese interverrebbe acquistando
l'eccesso di dollari offerti in cambio di yen (determinato dall’avanzo della bilancia dei pagamenti).
Invece, nel caso di un sistema a tassi di cambio flessibili, la Banca Centrale giapponese si
asterrebbe dall'intervento sui mercati, lasciando che il tasso di cambio si aggiusti. Nello specifico
cosa succede in tal caso? L'eccesso di domanda di yen, determinato dall'avanzo di bilancio,
determinerebbe un apprezzamento del tasso di cambio, proprio perché gli operatori
domanderebbero più yen rispetto a quelli offerti. Questo tende a rendere lo yen più costoso,
proprio per la maggiore domanda di yen. Questo apprezzamento del tasso di cambio renderebbe
i prodotti giapponesi più costosi, si riduce quindi la domanda da parte degli statunitensi,
riportando così in equilibrio la bilancia dei pagamenti.

Fluttuazione "pulita" e fluttuazione "sporca"


Quando parliamo di tassi di cambio flessibili facciamo distinzione tra fluttuazione "pulita" e
fluttuazione "sporca".
In un sistema caratterizzato da fluttuazione "pulita", le Banche Centrali si astengono
completamento dall'intervento e quindi lasciano che i tassi di cambio siano determinati
liberamente sui mercati dalla domanda e dall'offerta.
Questo però nella realtà non avviene, nella realtà esiste piuttosto una fluttuazione manovrata o
"sporca", dove le Banche Centrali intervengono per acquistare e vendere valute estere nel
tentativo di influire sui tassi di cambio, il che comporta transazioni riguardanti le riserve ufficiali. Se
le Banche Centrali si astenessero completamente dall'intervenire, i tassi di cambio subirebbero
delle forti variazioni, anche in periodi di tempo limitati, il che danneggerebbe gli operatori
economici. Ecco perché nella realtà avviene una fluttuazione manovrata o "sporca". Quindi la
fluttuazione manovrata possiamo definirla come una via di mezzo tra i tassi di cambio fissi, in cui
le Banche Centrali intervengono per mantenere il tasso di cambio invariato, e una fluttuazione
"pulita", in cui le Banche Centrali non intervengono affatto.

Terminologia
Facciamo ora dei chiarimenti riguardanti la terminologia.
-rivalutazione—> è l’aumento del valore della moneta interna rispetto alle monete di altri Paesi in
un sistema di tassi di cambio fissi. Ad esempio una rivalutazione consiste nel passaggio del tasso
di cambio euro/dollaro da 0,8 euro per dollaro a 0,6 euro per dollaro. Ciò vuol dire che l'euro è
stato rivalutato, è aumentato di valore, vale di più del dollaro, quindi in questo caso diciamo che
l'euro si è rivalutato (anche se non sarebbe corretto, visto che con rivalutazione ci riferiamo ad un
sistema di tassi di cambio fissi, invece tra euro e dollaro nella realtà c’è un sistema di tassi di
cambio variabili. È giusto per avere un'idea).
-svalutazione—> al contrario, è la diminuzione del valore della moneta interna rispetto alle
monete di altri Paesi in un sistema di tassi di cambio fissi (ad esempio il passaggio da 0,6 euro
per dollaro a 0,8 euro per dollaro)
-apprezzamento—> è l'aumento del valore della moneta interna rispetto alle monete di altri Paesi
in un sistema di tassi di cambio flessibili (stavolta flessibili). In tal caso l'esempio precedente può
essere utilizzato correttamente. Quindi un apprezzamento ad esempio è il passaggio del tasso di
cambio euro/dollaro da 0,8 euro per dollaro a 0,6 euro per dollaro.
-deprezzamento—> è la diminuzione del valore della moneta interna rispetto alle monete di altri
Paesi in un sistema di tassi di cambio flessibili. Ad esempio per deprezzamento si intende il
passaggio dal tasso di cambio euro/dollaro da 0,6 euro per dollaro a 0,8 euro per dollaro.
In sostanza, rivalutazione e apprezzamento, così come svalutazione e deprezzamento, indicano la
stessa cosa, solo che la rivalutazione e la svalutazione riguardano un sistema di tassi di cambio
fissi, mentre l'apprezzamento e il deprezzamento riguardano un sistema di tassi di cambio
flessibili.

Tasso di cambio nel lungo periodo


Nel lungo periodo il tasso di cambio tra due nazioni è determinato dal potere d'acquisto relativo
delle due valute nei Paesi in cui circolano. Due valute si trovano al livello della parità dei poteri
d’acquisto (purchasing power parity, PPP) quando un’unità della moneta nazionale può
acquistare lo stesso paniere di beni nel Paese in cui circola o all'estero.
Il tasso di cambio reale è il rapporto tra i prezzi esteri (ad esempio i prezzi statunitensi espressi in
euro) ed i prezzi interni (ad esempio i prezzi europei espressi in euro), calcolati nella stessa
moneta (l'euro):

-e rappresenta il tasso di cambio nominale, che ci dice di quanti euro ho bisogno per l’acquisto di
un dollaro, ossia di quanta moneta nazionale ho bisogno per l’acquisto di un’unità di moneta
estera. Indica quindi il prezzo della valuta estera nella moneta nazionale (esempio 0,70 euro per
dollaro).
-Pf rappresenta il livello dei prezzi esteri (price foreign)
-P rappresenta il livello dei prezzi interni.
Il tasso di cambio reale misura la competitività di una Nazione nel commercio internazionale.
Supponiamo ad esempio che il tasso di cambio reale sia molto alto. Ciò potrebbe essere causato
da un livello molto alto dei prezzi esteri (Pf). Questa informazione ci dice che l'Europa è
competitiva rispetto agli Stati Uniti, in quanto gli Stati Uniti hanno livelli di prezzi interni molto
elevati. Quindi un aumento del tasso di cambio reale implica un aumento della competitività di
una nazione nel commercio internazionale.

Se il tasso di cambio reale è pari a 1 significa che le monete si trovano al livello di parità dei poteri
d’acquisto (PPP).
Quando invece il tasso di cambio reale è maggiore di 1 significa che i beni esteri sono più costosi
di quelli nazionali. Ciò potrebbe essere imputato ad un livello molto elevato dei prezzi esteri (Pf),
come abbiamo detto prima. Ora vediamo nello specifico cosa succede quando il tasso di cambio
reale è maggiore di 1. Innanzitutto sappiamo che in tal caso i beni esteri sono più costosi dei beni
nazionali. Questo implica che la domanda di beni nazionali aumenta (proprio perché i beni
nazionali sono più economici) e ciò comporta un incremento dei prezzi nazionali (perché la
domanda di beni nazionali aumenta) oppure potrebbe comportare anche un calo del tasso di
cambio. Un calo del tasso di cambio, come sappiamo, implica una rivalutazione o
apprezzamento. Infatti, se abbiamo un calo del tasso di cambio significa che occorre meno
moneta nazionale per acquistare un’unità di moneta estera, perciò abbiamo una rivalutazione o
apprezzamento (della moneta nazionale).

Vi sono delle pressioni da parte del mercato affinché le valute si avvicinino al livello di parità dei
poteri d'acquisto (livello del tasso reale di cambio pari a 1). Nella realtà però tali pressioni
agiscono lentamente, per diversi motivi: i panieri di beni sono diversi da Paese a Paese, esistono
numerose barriere al movimento delle merci tra i vari Paesi (spese di trasporto, dazi doganali,...),
molti beni sono "non commerciati" e non possono essere spostati (esempio la terra). Quindi, un
avvicinamento al livello di parità dei poteri d’acquisto viene rallentato da tutte queste motivazioni
e tale avvicinamento può verificarsi solamente qualora queste barriere vengano rimosse.

Spesa nazionale e spesa in prodotti nazionali


Ora integriamo il commercio internazionale nel nostro modello IS-LM.
In un'economia aperta (ovvero un'economia che considera il commercio internazionale), parte
della produzione nazionale viene venduta all'estero (esportazioni) e parte della spesa dei residenti
è destinata all'acquisto di prodotti esteri (importazioni).
Sapendo ciò, la domanda aggregata di prodotti nazionali diventa:
AD = C + I + G + (X - Q)
Quindi, alla classica formula della domanda aggregata aggiungiamo le esportazioni e sottraiamo
le importazioni.
La differenza tra le esportazioni e le importazioni, ossia X - Q, rappresenta le esportazioni nette o
avanzo commerciale.
Noi sappiamo che in equilibrio la produzione deve essere uguale alla domanda aggregata (Y=AD).
Possiamo esprimere tale condizione di equilibrio in termini monetari come:
Y * P = (C + I + G) * P + X * P - Q * Pf * e
Il reddito nominale (o PIL in termini nominali o produzione in termini nominali), ovvero Y * P, deve
essere uguale alla domanda aggregata in termini nominali, ovvero (C + I + G) * P + X * P - Q * Pf *
e. Quello che facciamo è semplicemente moltiplicare le variabili della domanda aggregata per P e
le importazioni per Pf*e.
Dividendo per P otteniamo:
Y=C+I+G+X-Q*R
Pf*e/P sappiamo da prima che rappresenta il tasso di cambio reale, che indichiamo quindi con R.
Ecco da dove esce fuori R.

Esportazioni nette
Le esportazioni nette in termini reali possono essere scritte come:

-Le esportazioni X possono essere scritte come Fx (Yf,R). Le esportazioni dipendono da tanti
parametri, ma noi ci focalizziamo su due: il reddito estero Yf e il tasso di cambio reale R. Quindi le
esportazioni X sono pari ad una funzione Fx che dipende dal reddito estero Yf e dal tasso di
cambio reale R. Possiamo poi dire che all'aumentare del reddito estero Yf le esportazioni
aumentano, perché se i Paesi esteri sono più ricchi domanderanno più quantità dei nostri beni,
perciò le nostre esportazioni aumenteranno. Inoltre, sappiamo che un aumento del tasso di
cambio reale R significa che i nostri beni sono più competitivi, costano di meno, di conseguenza
aumentano le esportazioni ((rappresenta un deprezzamento reale (della nostra moneta nazionale)
e quindi un aumento della competitività del Paese (estero), perché la loro moneta vale di più)).
Quindi anche un aumento del tasso di cambio reale R va ad aumentare le esportazioni (perché i
nostri beni sono più economici). In conclusione, le esportazioni X dipendono positivamente sia dal
reddito estero Yf sia dal tasso di cambio reale R.
-Le importazioni Q possono essere scritte come Fq (Y,R)*R. Le importazioni dipendono anch'esse
da due variabili: il reddito interno Y e il tasso di cambio reale R. Quindi le importazioni Q sono pari
ad una funzione Fq che dipende dal reddito interno Y e dal tasso di cambio reale R. Poi dobbiamo
ricordarci che dobbiamo moltiplicare il tutto per R. Possiamo poi dire che all'aumentare del
reddito interno Y le importazioni aumentano, perché significa che gli operatori economici di un
Paese sono più ricchi, così domanderanno più beni e perciò aumentano le importazioni. Invece,
all'aumentare del tasso di cambio reale R (che implica un deprezzamento reale) i beni esteri
saranno più costosi (perché ci vogliono 0,80 invece che 0,60 per un’unità di dollaro), quindi le
importazioni si ridurranno. In conclusione, possiamo dire che le importazioni Q dipendono
positivamente dal reddito interno Y e negativamente dal tasso di cambio reale R.
-Riassumendo, le esportazioni nette NX dipendono da tre fattori: il reddito interno Y, il reddito
estero Yf e il tasso di cambio reale R. Possiamo quindi scrivere NX = NX (Y, Yf, R).
Nello specifico un incremento del reddito estero Yf va ad aumentare le esportazioni senza incidere
sulle importazioni, quindi migliora la bilancia commerciale e quindi aumenta la domanda
aggregata.
Un deprezzamento reale della valuta nazionale, ossia un incremento di R, va ad aumentare le
esportazioni e va a ridurre le importazioni (perché i nostri beni sono più economici), di
conseguenza migliora la bilancia dei pagamenti ed aumenta la domanda aggregata.
Infine, un aumento del reddito interno Y va a peggiorare la bilancia commerciale e a ridurre quindi
la domanda aggregata, in quanto le esportazioni non variano mentre le importazioni aumentano.

Equilibrio del mercato dei beni


Ora vediamo come le famiglie reagiscono in termini di acquisto di beni e servizi ad un aumento
del loro reddito, introducendo il commercio internazionale nel modello IS-LM. Se introduciamo il
commercio internazionale, le nostre famiglie se diventano più ricche non compreranno soltanto i
beni nazionali, ma anche i beni esteri, di conseguenza dobbiamo introdurre il concetto di
propensione marginale alle importazioni.
La propensione marginale alle importazioni (m) misura la frazione di 1 euro aggiuntivo di
reddito che verrà spesa in beni d'importazione. Se ad esempio una famiglia è più ricca di 1 euro,
dobbiamo vedere quanto reddito sarà risparmiato, quanto reddito sarà consumato per beni
prodotti all'interno del Paese e quanto reddito sarà consumato per i beni importati. La
propensione marginale alle importazioni ci dice quindi quanto verrà speso in termini di
importazioni (quanto verrà speso per i beni importati) su ogni euro in più che le famiglie hanno a
disposizione.
La curva IS in un'economia aperta diviene più inclinata rispetto ad un'economia chiusa. Per capire
ciò ricordiamoci cosa è la IS in un'economia chiusa: la curva IS è la combinazione del tasso di
interesse e del reddito tale che il mercato è in equilibrio. La IS è negativamente inclinata, quindi se
noi riduciamo il tasso di interesse, il reddito aumenta. Nello specifico, se il tasso di interesse si
riduce allora la spesa per investimenti aumenta, aumenta la domanda aggregata e, infine,
aumenta il reddito. Come cambiano le cose in un'economia aperta? Se la domanda aggregata
aumenta non andrà ad aumentare soltanto il reddito/la produzione interna, ma anche la
produzione estera. Di conseguenza, data una certa riduzione dei tassi di interesse, una parte
dell'incremento della domanda aggregata andrà a stimolare le importazioni, riducendo l'aumento
del reddito interno. Ad esempio, se il tasso di interesse si riduce aumenta la spesa per
investimenti da parte delle imprese, ma tale spesa per investimenti non è detto che sia rivolta solo
per beni prodotti all'interno del Paese. Perciò, in un'economia aperta a seguito di una riduzione
del tasso di interesse si avrà sempre un aumento del reddito (produzione), ma tale reddito sarà più
ridotto, in quanto una parte di questa domanda aggregata si rivolgerà alla produzione estera. Ne
consegue poi che la nostra curva IS in un'economia aperta sarà più inclinata, proprio perché la
variazione di reddito in corrispondenza di una data variazione del tasso di interesse sarà più
piccola.
La curva IS può essere scritta come (ricordiamoci che la curva IS rappresenta l'equilibrio nel
mercato dei beni, quindi la produzione interna Y deve essere uguale alla domanda aggregata AD):
Y = C + I + G + NX = F (Y, i, Yf, R)
Vi sono quindi quattro variabili che determinano la nostra condizione di equilibrio: reddito interno
Y, tasso di interesse i, reddito estero Yf e tasso di cambio reale R.

Vediamo ora graficamente l'effetto di un aumento del reddito estero o del tasso di cambio reale:
Come sempre, sull'asse delle ascisse abbiamo il reddito/prodotto mentre sull'asse delle ordinate il
tasso di interesse. Abbiamo la nostra curva IS in un'economia aperta, che è più inclinata rispetto a
quella in un'economia chiusa (a seguito di una data variazione del tasso di interesse l'incremento
di reddito che si verifica in un'economia chiusa è maggiore rispetto all'incremento di reddito che
si registra in un'economia aperta, perché in un'economia aperta parte della domanda aggregata
va all'estero in termini di importazioni). Vediamo come la IS si muove a seguito di un aumento
delle esportazioni nette: per esempio perché aumenta il reddito estero o perché siamo di fronte ad
un deprezzamento reale (Paesi esteri più "ricchi"), ossia ad un aumento del tasso di cambio reale.
Come si può vedere dal grafico (a seguito di un aumento del reddito estero o del tasso di cambio
reale) la curva IS si sposta verso destra, passa da IS a IS', in quanto a parità di tasso di interesse
la domanda aggregata aumenta, visto che le esportazioni nette aumentano, di conseguenza
aumenterà anche il reddito (curva IS si posta verso destra <—> aumenta il reddito). Riassumendo:
un aumento del reddito estero o un deprezzamento reale (aumento del tasso reale di cambio)
fanno salire le esportazioni nette e la domanda aggregata, spostando la curva IS verso destra.
Vediamo questi concetti dalla seguente tabella:

-Supponiamo che la spesa pubblica (spesa interna) aumenti, cosa succede al reddito e alle
esportazioni nette? Se aumenta la spesa pubblica aumenta la domanda aggregata, se aumenta la
domanda aggregata aumenta il reddito (+). Dopodiché, se il reddito interno aumenta, le
esportazioni non variano, ma le importazioni aumentano, di conseguenza le esportazioni nette si
riducono (-).
-Vediamo ora cosa succede nel caso di un aumento del reddito estero. Se il reddito estero
aumenta le esportazioni nette aumentano (+), in quanto le esportazioni aumentano mentre le
importazioni rimangono invariate. Se aumentano le esportazioni nette, aumenta la domanda
aggregata e perciò aumenta il reddito (+). Potremmo poi affermare che se aumenta il reddito
aumentano poi le importazioni, di conseguenza si dovrebbero ridurre le esportazioni nette. Perché
allora diciamo che le esportazioni nette aumentano a seguito di un aumento del reddito estero?
Perché questo secondo effetto (aumento delle importazioni) generalmente è più piccolo rispetto al
primo effetto (aumento delle esportazioni), di conseguenza a seguito di un aumento del reddito
estero le esportazioni nette aumentano.
-Infine vediamo cosa succede nel caso di un deprezzamento reale. Se vi è un deprezzamento
reale (aumenta il tasso di cambio reale), significa che i prezzi dei beni statunitensi in dollari
aumentano (da 0,60 per dollaro a 0,80), quindi la competitività dell'Europa aumenta (è più
conveniente per gli statunitensi acquistare i nostri beni europei). Quindi, se vi è un deprezzamento
reale, ossia un aumento del tasso di cambio reale R, le esportazioni nette aumentano (+), in
quanto le esportazioni aumentano (perché i Paesi sono più "ricchi") mentre le importazioni si
riducono (perché prima il tasso di cambio era 0,60 per dollaro mentre ora è 0,80, quindi noi ora
spendiamo di più per importare, quindi le importazioni si riducono). Dopodiché, se le esportazioni
nette aumentano, la domanda aggregata aumenta, quindi infine aumenta anche il reddito (+).
Modello in forma esplicita delle esportazioni nette
Vediamo ora un modello in forma esplicita delle esportazioni nette. Il nostro scopo in pratica è
quello di derivare il nostro moltiplicatore keynesiano in economia aperta (noi abbiamo determinato
il moltiplicatore keynesiano in un’economia chiusa, ora vediamo come varia in un'economia
aperta). Innanzitutto, per arrivare a ciò prima determiniamo le esportazioni nette, ovvero prima
determiniamo le esportazioni e le importazioni:

Ora possiamo ricavare le esportazioni nette:

Nel secondo punto abbiamo la formula finale della domanda aggregata, ovvero la formula estesa
dei consumi più gli investimenti più la spesa pubblica più le esportazioni nette.
Nel terzo punto spostiamo tutti i termini che contengono la Y a sinistra. Ā rappresenta: Č, cTR, Ī,
G (tutte le componenti con la barra sopra a parte la X). Alla fine otteniamo la formula della curva
IS. La funzione IS in economia aperta è quindi uguale alla formula che si legge nel terzo punto.
Ciò che interessa a noi però è il moltiplicatore (alfa per m). Il moltiplicatore alfa per m, ossia il
moltiplicatore in un'economia aperta, è minore del moltiplicatore alfa per g, ossia il moltiplicatore
in un'economia chiusa. Per ottenere il moltiplicatore in un'economia chiusa (quello che avevamo
già trovato) basta porre m=0, poiché in un'economia chiusa la propensione marginale alle
importazioni (m) è nulla. Il moltiplicatore in un'economia aperta si differenzia dal moltiplicatore in
un'economia chiusa per avere +m al denominatore, quindi ne consegue che il moltiplicatore in
un'economia aperta sarà minore del moltiplicatore in un’economia chiusa. Possiamo poi dire che
esiste una relazione inversa tra m e alfa per m, in quanto all'aumentare della propensione
marginale alle importazioni il moltiplicatore si riduce. Infatti, se la propensione marginale alle
importazioni aumenta, gli individui tenderanno ad acquistare di più i beni esteri, quindi l'effetto
moltiplicatore sulla produzione nazionale si ridurrà (eccolo spiegato contestualmente e non
tramite la formula). Se il moltiplicatore si riduce, la IS diventa più inclinata: infatti in un’economia
aperta la IS è più inclinata rispetto alla IS in un'economia chiusa, proprio perché il moltiplicatore
alfa con m è più piccolo rispetto al moltiplicatore alfa con g.

Bilancia dei pagamenti e flussi di capitali


Ai fini dell'analisi del nostro modello in un'economia aperta è importante introdurre i flussi di
capitale. Quando abbiamo parlato della bilancia dei pagamenti abbiamo detto che esiste un conto
corrente, un conto finanziario, ma anche un conto capitale. Adesso vediamo di formalizzare cosa
succede nel nostro modello quando introduciamo i flussi di capitali.
Si parla di perfetta mobilità dei capitali quando i capitali hanno la capacità di spostarsi,
istantaneamente e con costi di transazione minimi, attraverso i confini nazionali in cerca del
rendimento più elevato.
A questo punto come misuriamo l'avanzo della bilancia dei pagamenti? L'avanzo della bilancia
dei pagamenti BP è dato dalla somma dell'avanzo commerciale NX e dell'avanzo in conto
finanziario CF. Abbiamo visto come l'avanzo commerciale NX, ossia le esportazioni nette,
dipendano da tre variabili: il reddito Y, il reddito estero Yf e il tasso dei cambi reali R—>NX(Y,Yf,R).
Il conto finanziario CF (che non avevamo già visto) invece dipende dalla differenza tra i tassi di
interesse interni (i) e esteri (if)—> CF (i - if). Possiamo quindi affermare che se il tasso di interesse
interno è più alto di quello estero, nel Paese si verifica un afflusso illimitato di capitali, perché tutti
capitali del mondo vorranno spostarsi verso il nostro Paese. Viceversa, se il tasso di interesse
interno è più basso di quello estero, nel Paese si verifica un deflusso illimitato di capitali, perché
tutti i capitali vorranno spostarsi, vorranno abbandonare il nostro Paese.
In conclusione, l'avanzo della bilancia dei pagamenti è dato dalla seguente formula:

Equilibrio della bilancia dei pagamenti


Per arrivare all'equilibrio della bilancia dei pagamenti, ricordiamoci che le esportazioni nette sono
date da:

(Il simbolo lì strano si legge "fi" se non ho capito male)


La condizione di equilibro della bilancia dei pagamenti si ha quando essa è pari a zero, ovvero
quando l'avanzo commerciale è uguale all'avanzo in conto finanziario.
Ora vediamo graficamente l'equilibrio nella bilancia dei pagamenti:

La condizione di equilibrio della bilancia dei pagamenti è BP=0 e viene rappresentata da una retta
di 45°. Sull'asse delle X come sempre abbiamo il reddito mentre sull'asse delle Y abbiamo il tasso
di interesse. Il coefficiente angolare di questa retta è il parametro che moltiplica Y nella formula
finale, ossia m fratto fi (si legge così a quanto pare). Questo ci serve per considerare due casi
estremi: il caso di assenza di mobilità dei capitali e il caso di perfetta mobilità dei capitali.

Vediamo cosa succede nel caso di assenza di mobilità di capitali. In tal caso il parametro fi è
uguale a zero. Quando fi è uguale a zero allora non esiste alcuna relazione con l'estero in termini
di capitali (i capitali non possono né uscire né entrare), quindi abbiamo solamente la parte che
riguarda l'avanzo commerciale. Perciò, se noi poniamo fi uguale a zero, nella formula
dell’equilibrio della bilancia dei pagamenti avremo che l'avanzo commerciale deve essere uguale
a zero (solo l'avanzo commerciale in quanto non viene considerato il conto finanziario, visto che è
nullo). Graficamente ciò significa che la nostra condizione di equilibrio della bilancia dei
pagamenti (BP=0) è una retta verticale, proprio perché il reddito non dipende dal tasso di
interesse (infatti nella condizione di equilibrio non avremo più la variabile del tasso di interesse in
tal caso):

Ora vediamo il secondo caso estremo (a noi interessa soprattutto questo) ossia quello della
perfetta mobilità dei capitali. Perfetta mobilità dei capitali significa che fi tende a più infinito, ciò
vuol dire che i capitali sono estremamente sensibili al differenziale tra i tassi di interesse (i - if).
Cosa succede se poniamo fi che tende a infinito nella formula dell'equilibrio della bilancia dei
pagamenti? Tutti questi termini scompaiono, perché tutti quei termini tenderanno a zero visto che
fi tendente ad infinito è al denominatore. La formula di cui sto parlando è questa:

Quindi se tutti gli elementi in cui c’è fi scompaiono, vuol dire che il tasso di interesse interno è
uguale al tasso di interesse estero (i = if). Se i capitali sono perfettamente mobili, l'unica
condizione di equilibrio per la bilancia dei pagamenti è tale che il tasso di interesse interno deve
essere uguale al tasso di interesse estero, perché basta un tasso di interesse leggerissimamente
più elevato rispetto a quello estero per far fluire i capitali in maniera illimitata. Lo stesso si verifica
nel caso di un tasso di interesse leggerissimamente più basso. Quindi nel caso di perfetta mobilità
dei capitali l’unica condizione di equilibrio è che il tasso di interesse interno sia uguale a quello

estero. Graficamente possiamo rappresentarlo così:

Quindi nel caso di perfetta mobilità dei capitali, ovvero quando il parametro fi tende a infinito,
allora l'equilibrio per la bilancia dei pagamenti si ha se e solo se il tasso di interesse interno è
uguale a quello estero, perciò avremo una retta perfettamente orizzontale. Questa, voglio
ricordare, è un'ipotesi estrema, così come la precedente.

Dilemmi di politica economica: equilibrio interno ed equilibrio esterno


Dopo aver introdotto l'equilibrio della bilancia dei pagamenti, possiamo dire qualcosa sui dilemmi
di politica economica in termini di equilibrio interno ed equilibrio esterno.
L'equilibrio esterno si ha quando il saldo della bilancia dei pagamenti è vicino allo zero (è
sostanzialmente nullo) (quando avanzo commerciale uguale ad avanzo finanziario).
L’equilibrio interno invece si ha quando il prodotto è al livello di piena occupazione.
Vediamolo graficamente:

In questo grafico abbiamo il reddito/prodotto nazionale sull’asse orizzontale mentre sull'asse


verticale il tasso d’interesse interno.
In una situazione di perfetta mobilità dei capitali sappiamo che l'equilibrio della bilancia dei
pagamenti si ha se e solo se il tasso di interesse interno è uguale al tasso di interesse estero
(quindi avremo la retta orizzontale). Ciò rappresenta quindi la situazione di una bilancia dei
pagamenti uguale a zero, ovvero rappresenta la situazione di equilibrio esterno.
Al di sopra della retta orizzontale abbiamo il surplus nella bilancia dei pagamenti, mentre al di
sotto abbiamo il deficit nella bilancia dei pagamenti. Nello spedisco, se il tasso di interesse
interno è più elevato rispetto a quello estero (i>if) allora vi sarà un afflusso infinito di capitale nel
Paese di riferimento e quindi un surplus della bilancia dei pagamenti. Se, invece, il tasso di
interesse interno è inferiore rispetto a quello estero allora si registrerà un deficit della bilancia dei
pagamenti, poiché ci sarà un deflusso infinito di capitale (tutti i capitali fuggiranno dal Paese).
Adesso vediamo l’equilibrio interno. Per introdurre l’equilibrio interno dobbiamo individuare quale
è il prodotto potenziale, ossia quale è il prodotto di piena occupazione. Nel grafico qui sopra
supponiamo che il prodotto nazionale di piena occupazione sia Y*. A sinistra di Y*, quindi per un
reddito/prodotto inferiore a Y*, abbiamo una situazione di disoccupazione, in quanto il livello del
prodotto è minore del suo potenziale. Invece, nel caso in cui il reddito/prodotto Y sia maggiore di
Y* allora avremo una situazione di sovraoccupazione.
Possiamo quindi individuare quattro differenti quadrati: 1)quando il reddito è inferiore rispetto al
suo potenziale e quando il tasso di interesse interno è maggiore di quello estero ci troviamo in una
situazione di disoccupazione e di surplus della bilancia dei pagamenti. 2)quando il reddito è
maggiore rispetto al suo potenziale e il tasso di interesse interno minore di quello estero allora
siamo in una situazione di sovraoccupazione e di deficit della bilancia dei pagamenti. 3)quando il
reddito è maggiore rispetto al suo potenziale e il tasso di interesse interno maggiore di quello
estero ci troviamo in una situazione di sovraoccupazione e di surplus della bilancia dei pagamenti.
4)quando il reddito è minore rispetto al suo potenziale e il tasso di interesse interno minore di
quello estero allora ci troviamo in una situazione di disoccupazione e di deficit della bilancia dei
pagamenti.
Perché ci interessa individuare questi 4 quadranti? Perché a seconda di dove ci troviamo, il policy
maker può capire le politiche migliori da attuare. Per esempio supponiamo di trovarci nel
quadrante 1 (in basso a sinistra) e supponiamo che venga proposta una politica monetaria
espansiva. Si potrebbe pensare che una politica monetaria espansiva, ossia un aumento dello
stock monetario in un Paese possa essere una buona idea, perché se aumenta lo stock monetario
la LM trasla verso destra, aumenta il reddito e aumentando il reddito ci si avvicina al prodotto
potenziale. Quindi sembrerebbe una buona idea. Il problema è che a seguito di un’espansione
monetaria, la LM trasla verso destra e il tasso di interesse si riduce, quindi andiamo a peggiorare
ulteriormente la bilancia dei pagamenti, in quanto diminuisce il tasso di interesse interno. Quindi
se prima i capitali erano in fuga ora lo saranno ancora di più. Perciò se ci troviamo nel quadrante
in basso a sinistra, non è una buona idea implementare una politica monetaria espansiva.
Sarebbe una soluzione migliore una politica fiscale espansiva, perché in tal caso aumenterebbe il
reddito avvicinandosi così al prodotto potenziale, e anche il tasso di interesse aumenterebbe così
da risolvere il problema del deficit della bilancia dei pagamenti.

Modello di Mundell-Fleming: perfetta mobilità dei capitali in regime di tassi di cambio fissi
A questo punto possiamo essere un po’ più precisi riguardo a quello che succede nel modello IS-
LM in un'economia aperta facendo una distinzione tra regimi di tasso di cambio fissi e regimi di
tasso di cambio flessibili.
Il modello di Mundell-Fleming analizza l'economia aperta con perfetta mobilità di capitali. In
questo caso ci troviamo in un regime di tassi di cambio fissi (ricordiamoci che in un regime di tassi
di cambio fissi la Banca Centrale si impegna a mantenere il livello dei cambi invariato, quindi
interviene direttamente, mentre in un regime di tassi di cambio variabili la Banca Centrale si
astiene dall'intervenire). Quindi vediamo cosa accade nel modello IS-LM con perfetta mobilità dei
capitali e in un regime di tassi di cambio fissi. La principale conclusione in questa situazione è che
le Banche Centrali non possono perseguire una politica monetaria indipendente. I tassi di
interesse non possono allontanarsi dal livello prevalente sul mercato mondiale. Qualsiasi tentativo
di condurre una politica monetaria indipendente determina flussi di capitali e la necessità di
intervento da parte delle autorità monetarie, fino a quando i tassi di interesse non sono
nuovamente in linea con quelli del mercato mondiale. L’impegno a mantenere un tasso di cambio
fisso fa sì che lo stock monetario sia endogeno, poiché la Banca Centrale deve fornire la valuta
estera o nazionale domandata al tasso di cambio fisso.

Espansione monetaria
Supponiamo ora che la Banca Centrale decida di attuare una politica monetaria restrittiva, ovvero
che decida di ridurre lo stock monetario nel Paese. Se lo stock monetario nel Paese si riduce,
cosa succede ai tassi di interesse? La LM si sposta verso sinistra, perché l'idea è che se l'offerta
di moneta si riduce anche la domanda di moneta si deve ridurre, quindi a parità di reddito, il tasso
di interesse aumenta. Cosa succede poi sui mercati di capitale? Vi sarà un afflusso di capitali. Il
tasso di interesse interno è aumentato, è più elevato rispetto a quello estero, quindi i capitali
affluiranno nel Paese e ciò determinerà un avanzo della bilancia dei pagamenti. Quale è la
conseguenza di un avanzo della bilancia dei pagamenti? Gli operatori stranieri domanderanno la
nostra valuta nazionale, di conseguenza ci sarà una pressione per una rivalutazione (perché siamo
in un regime di tassi di cambio fissi, altrimenti era un apprezzamento) della moneta. Ricordiamoci
però che siamo in un regime di tassi di cambio fissi, quindi la Banca Centrale si impegna a
mantenere il tasso di cambio al livello prefissato. Per contrastare queste pressioni alla
rivalutazione, cosa dovrà fare la Banca Centrale? Dovrà acquistare l'eccesso di valuta estera
offerta in cambio di valuta nazionale, ovvero immetterà sul mercato valuta nazionale. Cosa
significa questo? Significa che la banca centrale sta attuando una politica monetaria espansiva,
che è esattamente l'opposto di quello da cui siamo partiti. Ciò determina che il tasso di interesse
si riduce e quindi ritorniamo al tasso di interesse iniziale, ritorniamo poi anche allo stock di
moneta iniziale. Quindi sostanzialmente la politica monetaria restrittiva risulta essere totalmente
inefficace.
Ora vediamo il caso opposto, ossia vediamo il caso di una politica monetaria espansiva. Non
cambierà nulla, sarà ugualmente inefficace, ma vediamola comunque tramite un grafico:

Abbiamo la curva IS negativamente inclinata, la curva LM positivamente inclinata e poi l’equilibrio


nella bilancia dei pagamenti, che ci dice che il tasso di interesse interno deve essere uguale a
quello estero, in quanto ci troviamo nel caso di perfetta mobilità dei capitali. Supponiamo che la
Banca Centrale decida di attuare una politica monetaria espansiva, di conseguenza la curva LM
traslerà verso destra perché se l'offerta di moneta aumenta deve aumentare anche la domanda di
moneta e perciò a parità di reddito il tasso di interesse si ridurrà. Ci spostiamo quindi nel punto E'.
Nel punto E' in termini di bilancia dei pagamenti, siamo in una situazione di deficit della bilancia
dei pagamenti, ossia in una situazione di deflusso di capitale poiché il punto E' si trova al di sotto
della retta orizzontale che rappresenta l’equilibrio della bilancia dei pagamenti. A questo punto si
determina una pressione per la svalutazione della moneta nazionale, di conseguenza la Banca
Centrale per mantenere il tasso di cambio fisso interviene immettendo valuta estera e ritirando
valuta nazionale (perché la domanda di moneta estera è maggiore dell'offerta sempre di valuta
estera). In sostanza, la Banca Centrale reagisce attuando una politica opposta, ossia una politica
monetaria restrittiva, così da ripotare la curva LM' alla curva originaria LM. Quindi viene tutto
riportato alla situazione originale, con lo stesso tasso di interesse, con lo stesso livello di reddito e
con la bilancia dei pagamenti in equilibrio.
Ecco dimostrato quindi che anche la politica monetaria espansiva è inefficace, perciò possiamo
concludere che in una situazione di perfetta mobilità dei capitali e di tassi di cambio fissi, la
politica monetaria è totalmente inefficace. Dunque, se la Banca Centrale cercasse di intervenire
con una politica monetaria espansiva al fine di aumentare il reddito, questo risulterebbe
totalmente inutile perché la stessa Banca Centrale dovrebbe intervenire di nuovo con
un'operazione esattamente opposta, in modo tale da evitare la variazione del tasso di cambio.
Infatti, con una politica monetaria espansiva ci si ritroverebbe con un tasso di cambio inferiore, di
conseguenza poiché ci troviamo in un regime di tassi di cambio fissi la Banca Centrale deve
intervenire attraverso una politica monetaria restrittiva per riportare il tasso di cambio alla
situazione originale. Ecco perché la politica monetaria è totalmente inefficace, in quanto se la
Banca inizia una politica monetaria poi deve intervenire con quella opposta.

Espansione fiscale
Vediamo ora cosa succede nel caso di una politica fiscale espansiva (espansione fiscale). Siamo
sempre in un regime di tassi di cambio fissi e di perfetta mobilità dei capitali (modello di Mundell-
Fleming). A differenza di prima supponiamo che ora sia lo Stato ad intervenire (e non la Banca
Centrale), il quale cerca di aumentare il reddito aumentando la spesa pubblica. In tal caso la curva
IS trasla verso destra, poiché è aumentata la spesa pubblica. Ma se la IS trasla verso destra, il
tasso di interesse aumenta (perché se aumenta la spesa pubblica aumenta la domanda
aggregata, aumenta il reddito e infine il tasso di interesse deve aumentare per garantire l'equilibrio
nel mercato monetario). Se il tasso di interesse aumenta si verificherà un afflusso di capitale (i
capitali si muoveranno verso il nostro Paese), in quanto il tasso di interesse interno sarà maggiore
di quello estero. A questo punto abbiamo un avanzo della bilancia dei pagamenti a causa di tutti
questi capitali che stanno affluendo nel nostro Paese. Questo avanzo della bilancia dei pagamenti
determina una pressione per la rivalutazione della moneta nazionale. A questo punto la Banca
Centrale interviene al fine di annullare queste pressioni e acquista valuta estera in cambio di
quella nazionale, in altre parole immette sul mercato moneta nazionale (perché la domanda di
moneta nazionale è maggiore dell'offerta di moneta nazionale, quindi per pareggiare la Banca
Centrale immetterà sul mercato moneta nazionale). La Banca Centrale quindi attua una politica
monetaria espansiva, che comporta lo spostamento verso destra della curva LM. Quindi
possiamo affermare che alla politica fiscale espansiva si accompagna una politica monetaria
espansiva. Dunque, la politica fiscale espansiva risulta essere estremamente efficace (a differenza
di quella monetaria), perché a seguito di queste politiche il reddito aumenta, ma è estremamente
efficace sopratutto perché il tasso di interesse rimane invariato (perché a seguito di uno
spostamento verso destra della curva IS, avviene anche uno spostamento verso destra della
curva LM grazie alla politica monetaria espansiva, così da far rimanere invariato il tasso di
interesse), non diminuisce (resta uguale a quello originario), quindi non abbiamo neanche un
effetto spiazzamento sugli investimenti.

Perfetta mobilità dei capitali e tassi di cambio flessibili


Adesso passiamo dal caso dei tassi di cambio fissi al caso dei tassi di cambio flessibili, sempre
nell'ipotesi di una perfetta mobilità dei capitali (l’unico caso che analizzeremo).
Se i tassi di cambio sono flessibili la Banca Centrale non interviene sul mercato dei cambi. La
bilancia dei pagamenti risulta sempre in equilibrio, grazie agli aggiustamenti del tasso di cambio.
Sono quindi gli aggiustamenti del tasso di cambio che assicurano che la somma dei saldi di conto
corrente e di conto finanziario siano uguali a zero (bilancia dei pagamenti uguale a zero). Di
conseguenza, se si verifica un disavanzo in conto corrente (importazioni maggiore delle
esportazioni) ciò deve essere bilanciato per forza da capitali in entrata. Viceversa un avanzo in
conto corrente deve essere bilanciato da capitali in uscita.
Supponiamo per esempio che il tasso di interesse interno sia maggiore di quello estero, in tal
caso si ha un afflusso di capitali che determina un apprezzamento della moneta nazionale. Al
contrario, se il tasso di interesse interno è minore di quello estero, si ha un deflusso di capitali che
determina un deprezzamento della moneta nazionale. Ciò perché il tasso di cambio fluttua
liberamente seguendo la domanda e l'offerta di moneta.
Inoltre, in questo caso la Banca Centrale ha libertà d'azione nello stabilire l'offerta di moneta.
Invece nel caso di un regime di tassi di cambio fissi lo stock monetario era una variabile esogena
e la Banca doveva limitarsi ad intervenire per verificare se il tasso di cambio era al livello
prefissato. Qui invece la banca centrale non interviene sul mercato dei cambi, di conseguenza
può influenzare il reddito tramite l’offerta di moneta (ossia tramite una politica monetaria
espansiva o restrittiva). Vediamo ora un po’ meglio cosa succede sulla domanda aggregata
quando vi sono delle variazioni nei tassi di cambio.

Effetti dei tassi di cambio sulla domanda aggregata

In questo grafico abbiamo solamente la curva IS. Sull'asse orizzontale come sempre abbiamo il
prodotto/reddito mentre sull'asse verticale abbiamo il tasso di interesse. Cosa succede quando il
tasso di interesse interno è maggiore di quello estero (i>if)? Se il tasso di interesse interno è
maggiore di quello estero avremo un apprezzamento. La banca centrale non interviene, i capitali
affluiscono nel Paese e vi sarà quindi una domanda elevata di moneta nazionale che determina un
apprezzamento della moneta nazionale. Che impatto ha l'apprezzamento della moneta nazionale
sulla curva IS? L’apprezzamento sposterà la curva IS verso sinistra, in quanto un apprezzamento
comporta una riduzione delle esportazioni e un aumento delle importazioni, abbiamo dunque una
riduzione delle esportazioni nette (non ho capito perché, lo spiega meglio nel paragrafo dopo).
Cosa succede invece nel caso in cui il tasso di interesse interno è minore di quello estero (i<if)?
Avremo un deprezzamento, perché un minore tasso di interesse interno rispetto a quello estero
determina una fuga di capitali dal nostro Paese e quindi un deprezzamento della moneta
nazionale. Ciò determina un incremento delle esportazioni nette, in quanto aumentano le
esportazioni e si riducono le importazioni, perciò la curva IS si sposta verso destra.
(Apprezzamento significa una riduzione del tasso di cambio, occorrono meno euro per acquistare
un dollaro, quindi in pratica l'euro vale di più, è più apprezzato)

Aggiustamenti in seguito ad una perturbazione reale


Ora vediamo cosa succede nel caso di una perturbazione reale, che potrebbe essere dovuta ad
un aumento delle esportazioni, alla nostra economia in un regime di tassi di cambio flessibili.
Consideriamo un aumento della domanda mondiale di prodotto nazionali, ossia consideriamo un
aumento delle esportazioni. In tal caso la curva IS si sposterà verso destra (perché aumentano le
esportazioni nette a seguito di un aumento delle esportazioni), nello specifico l'economia si
muoverà da E a E', dove il tasso di interesse interno è maggiore di quello estero. Quindi se la IS si
sposta verso destra sappiamo che il tasso di interesse interno aumenta. Di conseguenza vi sarà
un afflusso di capitali che determinerà un apprezzamento della moneta nazionale. Questo
apprezzamento che conseguenze ha? Un apprezzamento della moneta nazionale implica una
riduzione delle esportazioni nette e così la curva IS ritorna al suo livello iniziale. Di conseguenza il
punto di equilibrio iniziale E coincide con il punto di equilibrio finale, si ha perciò un fenomeno di
completo spiazzamento (non degli investimenti, ma delle esportazioni nette). Al contrario di
quanto succedeva in un regime di tassi di cambio fissi, nel caso di un regime a tassi di cambio
flessibili la politica fiscale è completamente inefficace. Lo spiazzamento qui non riguarda gli
investimenti, ma riguarda le esportazioni nette. Possiamo quindi concludere dicendo che le
perturbazioni reali della domanda non influiscono sul prodotto di equilibrio. Inoltre, possiamo
notare come un disavanzo di bilancio possa essere accompagnato da un disavanzo della bilancia
commerciale (a causa dell’apprezzamento della moneta nazionale), in tal caso si tratta dei
cosiddetti twin deficit (twin vuol dire gemelli).
Vediamolo graficamente:

Come sempre, sull'asse delle X abbiamo il prodotto mentre sull'asse delle Y il tasso di interesse.
Partiamo dal punto di equilibrio E, punto in cui la IS si interseca con la LM, punto in cui la bilancia
dei pagamenti è uguale a zero e punto in cui il tasso interno è uguale a quello estero. Supponiamo
ora che vi sia una perturbazione reale della domanda, cioè supponiamo che vi sia un aumento
delle esportazioni (o della spesa pubblica). A seguito di ciò sappiamo che la IS si sposterà verso
destra. L'economia quindi si sposterà dal punto E al punto E' (la LM non si muove). A questo
punto nel caso di tassi di cambio fissi succedeva che la banca centrale doveva intervenire per
riportare la situazione in equilibro. Qui però la banca centrale non interviene, ma avviene
direttamente un apprezzamento della moneta, che comporta una riduzione delle esportazioni
nette, di conseguenza la IS tornerà al suo livello iniziale. Avremo dunque un effetto spiazzamento
completo, in quanto ritorniamo nel punto iniziale E. Possiamo dunque concludere che in questo
caso, a differenza di un regime di tassi di cambio fissi, la politica fiscale (nell'esempio quella
espansiva) non è assolutamente efficace, in quanto comporta uno spiazzamento completo delle
esportazioni.
Aggiustamento in seguito a una variazione dello stock monetario
Vediamo ora cosa succede a seguito di un aumento della quantità nominale di moneta (aumento
dello stock monetario), in altre parole, vediamo cosa succede a seguito di un’espansione
monetaria. Scopriremo che al contrario della situazione in un regime di tassi di cambio fissi, la
politica monetaria sarà estremamente valida ed efficace. Vediamo perché:
A seguito di un aumento della quantità nominale di moneta (politica monetaria espansiva) avremo
uno spostamento verso destra della curva LM, di conseguenza il tasso di interesse interno sarà
minore di quello estero. Contrariamente rispetto a prima (politica fiscale espansiva), perciò si
verificherà un deflusso di capitali che determinerà un deprezzamento della moneta nazionale. A
seguito del deprezzamento, le esportazioni nette aumentano e la curva IS si sposta verso destra,
aumentando ulteriormente il livello di reddito. Quindi, nel punto di equilibrio finale il reddito è
aumentato ed il tasso di interesse è al livello di quello estero (tasso di interesse invariato rispetto
al punto E originario). Possiamo perciò dire che la politica monetaria è estremamente valida.
Vediamolo anche graficamente:

Partiamo dal punto di equilibrio E, punto in cui il tasso interno è uguale a quello estero, quindi
punto in cui la BP è uguale a zero. La banca centrale decide di aumentare l'offerta di moneta, di
conseguenza la LM si sposterà verso destra (se aumenta l'offerta di moneta anche la domanda di
moneta deve aumentare e quindi a parità di reddito il tasso di interesse si deve ridurre), da LM a
LM'. Nel punto E' il tasso di interesse interno è minore di quello estero, quindi ci sarà un deflusso
di capitali (i capitali fuggono dal Paese) e di conseguenza vi sarà un deprezzamento della moneta
nazionale. A questo punto, il deprezzamento della moneta nazionale porterà ad un aumento delle
esportazioni nette (se la valuta nazionale si deprezza, cioè vale di meno, le nostre esportazioni
sono più convenienti quindi aumentano, mentre le importazioni costano di più quindi
diminuiscono) che causerà uno spostamento della IS verso destra, da IS a IS'. Di conseguenza si
raggiungerà un nuovo equilibrio nel punto E", dove quindi il tasso interno ritorna ad essere uguale
a quello estero. Nel punto E" abbiamo un aumento consistente del prodotto/reddito, mentre il
tasso di interesse rimane uguale a quello originario (senza alcun effetto spiazzamento sugli
investimenti, in quanto il tasso di interesse appunto non è cambiato). Possiamo quindi affermare
che la politica monetaria risulta estremamente valida.

Politica beggar-thy-neighbor e svalutazione competitiva


A questo punto cerchiamo di analizzare un po’ meglio questo caso di espansione monetaria in un
regime di tassi di cambio flessibili. Abbiamo detto che è una politica valida, in quanto aumenta il
reddito a parità del tasso di interesse. Ma è una soluzione ottima? Dobbiamo stare attenti a quello
che succede negli altri Paesi. Se noi aumentiamo l'offerta di moneta, che poi determinerà un
deprezzamento della moneta nazionale, che determinerà a sua volta un incremento delle
esportazioni nette, sicuramente il nostro Paese starà meglio poiché il reddito è aumentato, però
cosa succede agli altri Paesi? Essi subiscono un deterioramento della bilancia commerciale, in
quanto se la nostra moneta nazionale ha avuto un deprezzamento vuol dire che la loro ha avuto
un apprezzamento, di conseguenza le loro esportazioni nette diminuiranno (aumenteranno le
nostre esportazioni visto che la nostra moneta costa di meno, invece le loro esportazioni
diminuiranno). Sostanzialmente quindi il nostro Paese ottiene un vantaggio a scapito degli altri
Paesi. Ecco perché questa politica viene definita beggar-thy-neighbor, che letteralmente
significa rovina il tuo vicino. Siamo quindi di fronte ad una politica economica che porta un
vantaggio per un Paese a scapito però degli altri Paesi. Perché è importante sottolineare questo?
Perché ci dobbiamo immaginare che anche gli altri Paesi possano comportarsi allo stesso modo
nei nostri confronti. Dunque, se tutti i Paesi si comportassero in questo modo arriveremmo
sostanzialmente ad una situazione di svalutazioni/deprezzamenti competitive, in cui l'unico effetto
finale sarebbe quello di un incremento dei prezzi. Perciò, se ciascun Paese svaluta la propria
moneta per aumentare la competitività, si innescano svalutazioni competitive (sarebbe più
giusto deprezzamenti visto che siamo in un regime di tassi di cambio flessibili). Quindi alla fine
nessuno ne trarrebbe vantaggio ad adottare una politica monetaria espansiva in un regime di tassi
di cambio flessibili. Questa politica potrebbe essere utile solamente qualora due Paesi si trovino in
fasi differenti del ciclo economico (un paese in difficoltà con un'alta disoccupazione e uno in cui
l'economia va a gonfie vele con addirittura una sovraoccupazione).

Vediamo ora un riassunto riguardante la politica monetaria e fiscale sia in termini di tassi di
cambio fissi che flessibili, sempre in una situazione di perfetta mobilità dei capitali:

Analisi formale del modello IS-LM in economia aperta


A questo punto vediamo in modo più formale quello che abbiamo visto a livello teorico fino ad
ora, così da essere in grado di svolgere gli esercizi.

Vediamo ora un esercizio nel caso di tassi di cambio fissi:


Ora vediamo un esercizio nel caso di tassi di cambio flessibili:

In un regime di tasso di cambi flessibili M è esogena, perché la banca centrale può modificare
l'offerta di moneta autonomamente, ecco perché non la consideriamo come una variabile ma la
sostituiamo subito con 100 (invece in un regime di tassi di cambio fissi, M, ossia l'offerta di
moneta, è endogena, infatti la consideriamo come una variabile).

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