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ANALISI CAUSALE DEL COMPORTAMENTO DEL CONSUMATORE

Il progresso tecnologico, i processi di globalizzazione, i mutamenti sociali che hanno scandito l’evoluzione della società,
hanno modificato la struttura delle preferenze dei consumatori; la complessità dei bisogni è legata a tali trasformazioni. Nella
società post-industriale, le imprese sono di fatti chiamate ad affrontare una maggiore complessità dei bisogni dei
consumatori: in questa prospettiva, l’utilità dei beni deve caratterizzarsi come capacità di rispondere a tale complessità.
Inoltre, nella società post-industriale l’utilità assume nuovi significati, andando oltre la principale funzione d’uso dei beni.
L’utilità ha una valenza economico-qualitativa, sociale e psicologica. Per quanto riguarda l’utilità economico-qualitativa,
l’enfasi è posta sul rapporto tra prezzo e qualità, dove è presente il vincolo del reddito disponibile. Per quanto riguarda l’utilità
sociale, l’enfasi è posta sul rapporto tra il bene e le figure sociali di interesse del consumatore. Infine, nell’utilità psicologica,
l’enfasi è posta sul rapporto tra il bene e taluni aspetti interni del consumatore (come il conseguimento di stati soggettivi di
benessere).
Esistono beni di consumo che possono essere:
- Beni finali, destinati cioè a soddisfare i bisogni del consumatore;
- Beni di consumo immediato, che si esauriscono con un singolo atto di consumo (prodotti alimentari, carburanti, servizi
bancari);
- Beni di consumo durevoli, si caratterizzano per uno sfruttamento ripetuto nel tempo al quale corrisponde un progressivo
deterioramento (elettrodomestici, mezzi di trasporto).
Poi vi sono i beni dei produzione: la loro funzione d’uso è strumentale alla realizzazione di altri beni, siano essi di consumo o
a loro volta intermedi (input di altri processi produttivi—> es. la farina che una volta ottenuta dalla trasformazione del grano
può essere utilizzata per la produzione di numerosi beni alimentari). Questi beni possono essere beni di produzione impiegati
una sola volta nel processo produttivo oppure beni di produzione durevoli.
Il comportamento del consumatore riflette:
- i bisogni legati al tempo libero
- Bisogni di essere piuttosto che di avere
- Forme di riparazione di determinati stati interni
- Necessità di comunicazione: i beni di consumo sono i mezzi di comunicazione e dunque possono soddisfare la necessità
del consumatore di comunicare la propria personalità
Le funzioni del consumo sono:
- l’utilizzo (immediato o ripetuto) di un bene—> ovvero un atto compiuto dall’uomo su beni e servizi provenienti dalla
produzione nella prospettiva di soddisfare i propri bisogni.
- Valutazione dell’utilità—> attraverso il consumo si attribuisce un valore all’utilità del bene, e dunque alla sua capacità di
soddisfare bisogni di diversa natura. Un importante distinzione riguarda quella tra beni economici e beni non economici:
I beni economici si caratterizzano per il fatto di essere collocati su un mercato a un determinato prezzo in ragione:
- della loro utilità, ossia dell’attitudine a soddisfare un bisogno
- Della loro scarsità, dove la quantità disponibile è inferiore a quella richiesta
- Della difficoltà dell’uomo a procurarseli individualmente senza ricorrere all’intermediazione di sistemi organizzati.
I beni non economici si caratterizzano per il fatto di non essere collocati su un mercato. Essi sono:
- disponibili in quantità illimitate
- Gli individui possono procurarseli direttamente senza ricorrere allo con specializzati
Un esempio sono i beni reperibili in natura come l’aria e la luce del sole.
La scuola psicologica di Vienna si caratterizza per aver posto l’enfasi sulla teoria psicologia del valore. Vi è l’introduzione del
termine “marginale” per indicare l’utilità di successive unità dello stesso bene: il valore di un bene è determinato
dall’importanza che il consumatore gli attribuisce. In tal modo il valore di un bene assume un carattere psicologico perché
deriva dalle valutazioni soggettive dei singoli individui. La scuola psicologica ha spostato l’epicentro dell’analisi economica
dall’offerta (imprese) alla domanda (consumatori). Il soggettivismo caratterizza fortemente la corrente di pensiero della scuola
psicologica di Vienna; attraverso il soggettivismo si distinguono le differenze metodologiche tra la scuola Austriaca e il
pensiero ortodosso degli economisti neoclassici.
La scuola psicologica si caratterizza per la sua aderenza all’individualismo metodologico: un approccio che mette al centro
dell’analisi dei fenomeni sociali il comportamento individuale: i fenomeni della società vanno pertanto analizzati come un
insieme di azioni individuali. Il punto di partenza delle teorie della scuola psicologica austriaca è l’individuo, ossia un soggetto
pensante dotato di conoscenza che agisce per raggiungere uno scopo. L’enfasi è posta sull’azione umana: un
comportamento dotato di senso. L’individualismo metodologico si contrappone alla visione sistemica e dunque alla
concezione secondo la quale un gruppo sociale è un’entità cognitiva distinta in grado di assumere decisioni. L’individuo è per
la scuola psicologia essenzialmente un homo agens che agisce in relazione ad uno scopo, impiega determinati mezzi e
decide in base alle sue conoscenze riguardo l’ambiente in cui opera. L’individuo agisce perche cerca di ottenere un
miglioramento della sua situazione—> ritiene che con l’azione può realizzare determinati fini che reputa importanti.
Il comportamento del consumatore è l’immagine di variabili di diversa specie; le variabili economiche, sociali e psicologiche
costituiscono il nucleo principale dell’analisi del comportamento. Vi è l’aspetto dinamico del comportamento in cui il
consumatore mostra una propensione a modificare le scelte fatte in ragione di una ricerca continua di differenziazione
personale o di modelli a cui conformarsi. Vi è l’inesistenza di un modello di consumatore con caratteristiche stabili; il fattore
dinamico presente nelle scelte dei consumatori obbliga le imprese ad acquisire capacità di sintonia con il cambiamento e
flessibilità nell’adattamento dei processi.
Nella prospettiva della teoria economica, il comportamento del consumatore si identifica con la sua domanda di beni
misurata in termini di quantità. Nell’analisi economica della domanda il prezza ha sempre rappresentato la principale variabile
esplicativa della quantità acquistata. L’andamento del prezzo di un bene determina un comportamento della domanda che va
nella direzione opposta; il rapporto tra domanda e prezzo è riconducibile a un modello stimolo-elaborazione-risposta
secondo il quale la domanda elabora l’informazione sul prezzo con la razionalità dell’homo economicus e adotta una risposta
comportamentale. La psicologia di questo modello di comportamento riflette un’attenzione alla spesa, tenutoénconto
dell’esigenza di disporre di altri beni e del vincolo di bilancio del consumatore.
Secondo l’ipotesi di STOTZEL, sociologo e docente di sociologia sociale, ha fornito una chiave di lettura del comportamento
del consumatore in relazione al prezzo, che si caratterizza per la considerazione di un limite minimo soggettivo per il prezzo
sotto il quale il consumatore non acquista il bene. La correzione dell’autore esalta la percezione che l’individuo ha della
qualità del bene attraverso il prezzo. L’utilizzo del prezzo come indicatore della qualità ricorre nei consumatori che hanno
scarse informazioni sul prodotto. La sua ipotesi riconduce l’analisi del comportamento del consumatore a una variabile
soggettiva che descrive la mediazione umana di uno stimolo rappresentato da un prezzo troppo basso.
Secondo la sua ipotesi una condizione economica troppo favorevole determina una percezione di scarsa qualità del prodotto;
la risposta del consumatore si traduce nella decisione di evitare l’acquisto, e con tutta probabilità, nella ricerca di un bene
sostituibile a un prezzo non inferiore alla soglia minima soggettiva. L’esito comportamentale della rinuncia dell’acquisto si
ripete dove il prezzo è basso.
La quantità domandata da un determinato bene può dipendere dalla variazione dei prezzi di altri beni; l’aumento della
richiesta di un bene può essere determinato da un flusso di domanda proveniente da un altro mercato in cui si è verificato un
incremento di prezzo. Ad es. l’incremento della domanda di biscotti può essere causato da un aumento del prezzo di altri
prodotti dell’industria e dalla conseguente sostituzione attuata da una parte di consumatori che non sono disposti a pagare
quel prezzo. La diminuzione di richiesta di un bene può essere determinata dalla riduzione del prezzo di un altro bene. Ad
esempio la diminuzione della domanda di fette biscottate può derivare dalla diminuzione del prezzo di una Marca di biscotti.
Anche il reddito del consumatore costituisce un’altra variabile che condiziona il comportamento sotto il profilo della quantità
domandata; a parità di sistema di prezzi, una variazione del reddito disponibile del consumatore può modificare il suo
comportamento di spesa.
DIFFERENZA TRA DATO E INFORMAZIONE
DATO: Elemento generato dalla codifica di oggetti, persone, manifestazioni di fenomeni, la cui portata semantica è
trascurabile: il dato di per se non veicola alcun significato.
INFORMAZIONE: viene definita come un insieme strutturato di dati, il cui contenuto ha natura semantica, descrivendo venti,
comportamenti e fenomeni. L’informazione dunque da un significato ai dato che la compongono. La conoscenza è lo stato
della comprensione può elevato rispetto a quello determinato dall’informazione. Il carattere semantico delle conoscenza
implica una visione sistemica della realtà; descrive la capacità di porre in relazione informazioni e conoscenze preesistenti.
L’informazione rappresenta un input dei processi di produzione della conoscenza.

IL MODELLO DEL’HOMO ECONOMICUS


Per lungo tempo la scienza economica ha effettuato un’astrazione del comportamento degli agenti economici costruendo la
propria teoria su una figura ideale (homo economicus) e sul suo comportamento assunto come modello. L’agente economico
sintetizza le caratteristiche rilevanti di tutti gli individui che operano nell’economia, in tal modo rappresentando una razionalità
economica che renderebbe superfluo lo studio di variabili propriamente psicologiche nell’analisi del comportamento in
economia. L’homo economicus è una semplificazione della complessa realtà umana enunciata da Mill che pone come
soggetto dell’attività economica un individuo astratto, del cui agire nella complessa realtà sociale si colgono motivazioni
economiche, legate alla massimizzazione delle ricchezze. La psicologia economica ha modificato la prospettiva di analisi dei
comportamenti in economia. Tale disciplina puo essere guardata come un’evoluzione della scienza economica che implica
una dismissione dei presupposti di razionalità assoluta per far posto alla categoria della razionalità pratica. In questa
prospettiva l’enfasi si sposta sulle scelte di matrice euristica che esprimono una capacità adattiva dell’uomo alla complessità
dell’ambiente di riferimento, descrivendo un comportamento spiegato non solo in termini di condizioni oggettive ma anche da
motivazioni, credenze, stati emozionali e instabilità delle preferenze. Il termine psicologia economica è stato attribuito al
sociologo Tarde che lo avrebbe utilizzato per la prima volta in un articolo pubblicato nel 1881 in cui illustrò i rapporti tra
psicologia ed economia politica. Dopo Tarde la psicologia economica ha continuato ad essere studiata da Louis e Raynaud, i
quali si occuparono del dinamismo della crescita economica, cercando di spiegarlo attraverso concetti legati all’energia
mentale piuttosto che a fattori quali il lavoro e il capitale, che ritenevano non sufficienti a chiarire la variabilità del fattore
umano. La psicologia economica fu introdotta da George Katona in America nel 1901-1981 che iniziò ad utilizzare teorie e
metodi della psicologia in ricerche focalizzate su problemi economici. Il suo punto di vista è espresso dall’idea che il compito
principale della psicologia nella ricerca economica sia quello di scoprire e analizzare le forze responsabili delle azioni, delle
decisioni e delle scelte economiche.
La teoria economica ha adottato modelli stimolo-elaborazione-risposta di natura assiomica. L’analisi del comportamento
nella teoria economica è ancora in buona misura influenzata dal paradigma dell’homo economicus la cui razionalità si
caratterizza come comportamento conforme a modelli predefiniti, viene esaltata la dimensione utilitaristica; gli agenti
economici ottimizzano le loro scelte in ragione di condizioni di perfetta informazione e di indipendenza dall’ambiente
circostante.

La conoscenza nella società industriale prima di Taylor


La conoscenza è una capacità legata all’esperienza pratica—> le abilità dei lavoratori non erano facilmente codificabili e
dunque non controllabili dalla governance dell’impresa. Il lavoro non costituiva l’unica forma di rappresentazione delle
conoscenze dei lavoratori dell’impresa prefordista. Il patrimonio cognitivo dell’impresa prefordista era costituito dalle
conoscenze distribuite tra i lavoratori in virtù delle quali gli stessi lavoratori disponevano di un’ampia autonomia
nell’operatività. L’organizzazione della produzione nell’impresa del prefordismo era demandata a un sistema cognitivo
decentrato in cui il lavoratore determinava le modalità di svolgimento della sua attività, mentre l’imprenditore assumeva le
decisioni sulla forza lavoro e sulle politiche di incentivazione. L’organizzazione industriale derivava da un’organizzazione delle
conoscenze rappresentate da skill espresse attraverso il lavoro. Nell’impresa prefordista i lavoratori non realizzavano prodotti
finiti ma prestavano servizi rappresentati dalle proprie abilità. Per quanto riguarda l’organizzazione della produzione
nell’impresa prefordista, il controllo e il coordinamento del processo di trasformazione delle merci non era soggetto all’azione
regolatrice dell’impresa; il principio regolatore del processo di trasformazione era rappresentato dal mestiere, vale a dire da
un patrimonio di conoscenze legate all’esperienza; conoscenze implicite nei contesti operativi delle fabbriche. Tali
conoscenze non venivano analizzate e codificate, e dunque valeva la regola che a ogni lavoratore fosse lasciata la libertà di
svolgere il proprio lavoro come meglio riteneva.

Taylorismo
Tra la fine del 19esimo secolo e l’inizio del 20esimo secolo si assiste a un’evoluzione tecnologica che, rispetto al passato,
aumenta l’automatizzazione del lavoro ma richiede anche ingenti investimenti. E’ l’epoca della seconda rivoluzione
industriale. Nell’economia industriale statunitense si assiste al dispiegarsi di processi di concentrazione dell’offerta legati a
valutazioni di efficienza rispetto all’opzione dell’approvvigionamento dell’esterno (contenimento dei costi di transazione).
Gli oligopoli industriali generati da fenomeni di contrazione hanno posto una questione di organizzazione del lavoro e delle
conoscenze. Secondo la teoria di Taylor dell’organizzazione scientifica del lavoro, un’impresa moderna non può limitarsi
all’obiettivo della produzione lasciandone l’organizzazione alla discrezionalità degli operai; si parla di standardizzazione del
lavoro—> suddivisione in segmenti specialistici e definizione dei tempi in cui svolgere le singole funzioni, adeguamento alle
norme scientifiche anche da parte del management—> la classe dirigente non doveva conformarsi alle prescrizioni
scientifiche che stabilivano i limiti oltre i quali non era possibile richiedere prestazioni incrementali alle macchine e agli operai.
La teoria dell’ingegnere statunitense era orientata all’impiego efficiente di quella conoscenza espressa attraverso procedure e
comportamenti regolari. Inoltre, l’applicazione della conoscenza nella produzione delle singole unità, comportava costi
marginali decrescenti che contribuivano alla produttività del lavoro e alle economie di scala. Vi è l’organizzazione della
conoscenza pratica dei lavoratori in chiave scientifica; tentativo di codificare le abilità cognitive dei lavoratori e inquadrarle in
una cornice temporale. Una simile trasformazione della base cognitiva dell’impresa avrebbe avuto luogo con la raccolta delle
conoscenze radicate nel lavoro esecutivo per poi assumere la forma di regole da applicare al processo produttivo.
La crescita e lo sviluppo del capitalismo industriale va di pari passo con la riduzione della dipendenza della direzione
aziendale dai saperi artigianali della classe lavoratrice attraverso la loro progressiva espropriazione da parte della stessa
direzione. Questa tendenza, che Marx denominerà come passaggio dalla sussunzione formale alla sussunzione reale del
lavoro capitale, si concretizza nell’opposizione all’idea che la scienza in quanto conoscenza sia patrimonio del lavoro
collettivo. Il processo di ridefinizione della base cognitiva dell’impresa trova il suo compimento nel modello teylorista-
industriale che si basa su una divisione del lavoro che separa e pone su due livelli gerarchici la progettazione e
l’esecuzione.L’organizzazione scientifica del lavoro sevo dunque l’obiettivo di spostare l’attività cognitiva dalla fase esecutiva
della lavorazione a quella della progettazione; in tal modo la direzione e la progettazione puntano a riunire tutti gli elementi
della conoscenza tradizionale che, nel passato, erano in possesso degli operai. Nell’epoca pre-taylorista gli operai pensavano
ed eseguivano. Con l’avvento del Taylorismo e dei principi scientific management, il management pensa e gli operai
eseguono. Nel periodo post-taylorista avanzato si assiste a un graduale riequilibri dell’organizzazione delle conoscenze in cui
la direzione aziendale torna a valorizzare le risorse cognitive del lavoro esecutivo, pur mantenendo la divisione del lavoro.

PENSIERO SISTEMICO
Un sistema è un insieme di elementi tra loro collegati in modo da costituire una entità integrata avente caratteristiche e
capacità proprie, distinte da quelle dei singoli elementi. I sistemi sono caratterizzati da complessità e dinamicità; il pensiero
sistemico rappresenta un paradigma che pone enfasi su strutture relazionali che formano un insieme avente una propria
identità. L’approccio sistemico va oltre le singole parti di un sistema e l’enfasi viene posta sulle relazioni tra le parti medesime
e sugli esiti che tali relazioni generano. Il pensiero sistemico implica una percezione unitaria della realtà, un unicum integrato
ed integrante di fenomeni. I sistemi sono in continua trasformazione; realizzano risposte adattive agli stimoli ambientali e per
questo non possono essere analizzati come sistemi chiusi (indipendenti dall’ambiente circostante).
I sistemi aperti interagiscono con l’ambiente realizzando scambi di risorse, forniscono risposte alle sollecitazioni ambientali;
in alcuni casi le risposte solino tali da determinare cambiamenti dell’ambiente. I sistemi chiusi tendono a non interagire con
l’ambiente, considerando gli stimoli esterni alla stregua di intrusioni che danneggerebbero la loro vitalità; vi è una tendenza a
mantenere il proprio stato corrente. Le interazioni tra un sistema tendenzialmente chiuso e l’ambiente non influenzano il
comportamento del sistema. I sistemi chiusi tendono a far dipendere il proprio equilibrio da variabili da essi controllabili; essi
vivono isolatamente rispetto all’ambiente in uno stato di presunta autosufficienza delle risorse. Esempi di sistemi
tendenzialmente chiusi—> sistema economico senza esportazioni e importazioni o l’industria della prima metà del
novecento.
Il pensiero sistemico ha avuto una notevole influenza nell’analisi del comportamento dell’impresa, rappresentando uno
strumento per comprendere i processi di apprendimento. L’impresa è assimilabile ad un sistema, ossia un insieme di elementi
tra loro collegati che sviluppa, nell’ambiente di cui è parte, un’attività economica il cui scopo è il conseguimento della
conservazione di un equilibrio economico per la propria sopravvivenza. Nelle società avanzate non esistono imprese
totalmente chiuse o aperte; l’impresa è selettivamente aperta agli input esterni, rispondendo solo in parte a tutte le influenza
ambientali.

DAL CAPITALISMO INDUSTRIALE AL CAPITALISMO COGNITIVO


nella prospettiva Taylorista l’impresa è un sistema cognitivo chiuso; nell’accettazione post taylorismo l’impresa agisce alla
stregua di un sistema cognitivo aperto per scopi di sopravvivenza o di controllo dell’ambiente.
Il capitalismo industriale pone enfasi sul profilo materiale della produzione; investimenti centrati sui beni materiali. Nella
prospettiva del capitalismo cognitivo si pone enfasi sulle risorse cognitive il cui impiego precede la produzione. Si
sovrappone con essa. Vi è un aumento significativo degli investimenti nell’acquisizione e nello sviluppo della conoscenza . Il
capitalismo cognitivo descrive una forma di produzione che si fonda sullo sfruttamento della conoscenza; produzione di
merci per mezzo della conoscenza. Il capitalismo cognitivo sposta l’enfasi anche su altre risorse immateriali come relazioni,
capitale sociale.
Nella prospettiva del capitalismo cognitivo, la produzione della ricchezza riposa su una prestazione lavorativa che si
caratterizza per l’utilizzo di facoltà cognitive, vale a dire di attività cerebrali; il lavoro cognitivo non è per sua natura soggetto a
processi di standardizzazione.
Nei paesi a capitalismo avanzato non esiste quasi più una prestazione lavorativa che non implichi l’utilizzo di facoltà mentali.
Sul piano della produttività il lavoro cognitivo necessita di una funzione relazionale come strumento per la trasmissione e la
decodificazione della propria attività cerebrale e delle conoscenze accumulate. Il lavoro cognitivo per diventare produttivo ha
bisogno di una rete di relazioni; se resta incorporato nella singola persona, esso potrà avere effetti di valorizzazione
individuale ma non di produzione delle ricchezze.

RAZIONALITA PROCEDURALE
L’impostazione di Simon si allontana dalla prospettiva di definire leggi economiche per abbracciare la visione pragmatica di
una ricerca di informazioni utili a orientare la scelta vero un’alternativa soddisfacente. Simon propone un approccio volto a
descrivere la scelta razionale in chiave euristica; lo spazio delle possibili alternative è limitato, e spesso non è individuato in
anticipo dal decisore, ma prende forma nel corso della sua ricerca. L’utilità che il decisore dovrebbe assegnare a ciascuna
opzione è sostituita con un algoritmo soggettivo di valutazione. La regola di selezione dell’opzione è di natura pratica anziché
matematica ed è fondata sul concetto di livello di aspirazione.
Il livello di aspirazione è un riferimento che l’agente economico assume per giudicare se un’opzione è accettabile oppure se
va rigettata; il livello di aspirazione si connota come valore obiettivo di una specifica variabile di utilità (il profitto, l’incremento
delle vendite, la spesa per consumi) con cui si confronta l’esperienza di scelta dell’agente. L’alternativa che il decisore
seleziona come soddisfacente perché compatibile con il proprio livello di aspirazione non esclude che possa esistere
un’opzione ancora più soddisfacente che tuttavia il decisore ignora per i suoi limiti cognitivi. La procedura della scelta
soddisfacente prende il posto del calcolo della scelta ottimale rappresentata dalla teoria economica dell’utilità; nell’accezione
di Simon, dunque, il decisore economico, dati i suoi mezzi cognitivi, cerca soluzioni sub-ottimali. Si tratta evidentemente di
un modello decisionale semplificato, fondato su una logica di ricerca e soddisfazione.

RAZIONALITA LIMITATA
Si deve alla scuola comportamentista americana e in particolare a Herbert Simon, l’introduzione di un concetto di matrice
psicologica volto a sostituire il modello di homo economicus. Critica di Simon alla razionalità economica riguardo l’ipotesi
dell’assenza di barriere all’accesso alle informazioni che implicherebbe una condizione di perfetta informazione. Secondo la
teoria dell’utilità attesa l’architettura cognitiva dell’homo economicus implica che il decisore dovrebbe conoscere
esattamente le alternative di scelta, le possibili conseguenze associate a ciascuna alternativa e le probabilità di realizzazione
di ciascuna conseguenza. A partire da questi elementi il decisore potrebbe valutare l’utilità attesa di ciascuna alternativa e
dunque selezionare la scelta ottimale, ossia l’opzione che da l’utilità media più elevata.
La razionalità degli esseri umani è ben diversa da quella tratteggiata dalle ipotesi neoclassiche, essendo condizionata dallo
stato informativo della capacità elaborativa, dalla presenza di altri fattori. Nell’ambiente complesso e dinamico in cui il
problema decisionale non è strutturato alla stregua della teoria dell’utilità, le alternative di scelta sono tutt’altro che oggettive
e chiare, spesso dette alternative devono esse individuate dagli agenti che, a tal fine, utilizzano metodi imperfetti, di ricerca
euristica, in un conteso di scarsità informativa e temporale di condizionamento ambientale; i metodi euristici non
garantiscono una scelta ottimale ma possono produrre esiti soddisfacenti.

PROSPECT THEORY
La teoria del prospetto messa a punto dagli psicologi Kaneman e Twersky può essere interpretata come il proseguimento
dell’analisi della razionalità limitata. La prospect theory si propone si spiegare come la razionalità sia limitata e quali
meccanismi psichici determino le effettive preferenze degli agenti. L’enfasi è posta sulla rappresentazione mentale delle
conseguenze delle scelte e sulla loro valutazione soggettiva, inoltre è posta anche sugli aspetti comportamentali correlati al
rischio. La teoria del prospetto è un modello descrittivo dei processi decisionali che inducono gli agenti ad assumere
decisioni sub-ottimali. Gli esperimenti di kaneman e twersky hanno messo in luce la tendenza degli individui a codificare gli
esiti economici che li riguardano in chiave comparativa rispetto a una condizione di riferimento; la conseguenza di una scelta
(guadagno, perdita) viene confrontata con la predetta condizione di riferimento, assumendo un significato di vincita se si
pone al di sopra di essa o di perdita se inferiore. L’origine di riferimento è definita dagli agenti in relazione alle situazioni in cui
si inquadrano le loro decisioni. Uno stesso esito, dunque, secondo i casi può essere percepito alla stregua di un guadagno o
di una perdita—> es: un individuo effettua un investimento allo scopo di pagare un mutuo immobiliare. In questa circostanza,
il rendimento finale sarà valutato in relazione al valore totale del mutuo che dunque rappresenta il riferimento per l’investitore;
sicché, il conseguimento di un profitto, pur aumentando la ricchezza complessiva, potrebbe essere percepito alla stregua di
un risultato negativo se fosse inferiore al valore del mutuo perché non consentirebbe, da solo, il suo finanziamento.
Il processo psicologico sotteso alla valutazione degli esiti si caratterizza per l’attribuzione di valori asimmetrici a guadagni e
perdite di uguale entità. Gli autori hanno osservato la tendenza ad assegnare alle perdite percepite un peso maggiore di
quello associato a un risultato interpretato come positivo; l’intensità del dispiacere derivante da una perdita di un determinato
ammontare è maggiore dell’intensità della felicità originata da un guadagno del medesimo ammontare. Inoltre, gli agenti
preferiscono a una perdita certa l’opzione di una perdita probabile anche più elevata, e preferiscono una vincita sicura
rinunciando ad alternative che prospettano guadagni maggiori ma incerti.
L’effetto framing—> nelle situazioni di scelta descritte dalla prospect theory il comportamento dei decisori si inquadra in un
contesto definito da un insieme di condizioni; il comportamento di scelta è condizionato dal framing assunto come
riferimento—> questo effetto è stato ricondotto a una situazione di lentezza cognitiva, ovvero la tendenza dei decisori a
fronteggiare i dilemmi di scelta da una prospettiva ristretta, slegata dalle esperienze precedenti e dal contesto globale. Nel
caso degli investimenti vi è la tendenza degli investitori a modificare l’origine di riferimento di un titolo; se il titolo registra un
aumento di valore, la nuova origine viene fissata nel valore finale più elevato.
TEORIA DELL ’UTILITA’ ATTESA
Il comportamento dell’individuo è orientato verso una condizione in corrispondenza della quale la propria funzione di utilità
(benessere) è massima. Il concetto di utilità è stato adottato dagli economisti come criterio di comparazione delle alternative
di scelta attraverso cui gli agenti economici esprimono le loro preferenze; l’utilità è dunque il riferimento parametrico per
l’operazione di ordinamento con cui gli individui possono manifestare le loro preferenze, e dunque possono privilegiare
un’alternativa rispetto ad altre. Nella teoria economica del consumo le alternative si riferiscono alla qualità di un bene ovvero
alla combinazione delle quantità di un paniere di beni. In una prospettiva più allargata le alternative di scelta possono riferirsi
a bene attribuiti distinti aventi una qualche utilità. L’agente assegna a ciascuna opzione di scelta una valutazione di
soddisfazione. La funzione logaritmica è il modello di utilità storico essendo stato proposto per la prima volta dal matematico
Bernoulli nel 1738. L’utilità di Bernoulli non contempla un limite superiore se pure l’incremento di utilità decresce al crescere
del livello di risorse acquisite. Una valutazione non puo prescindere dal budget di spesa che l’agente economico ha deciso di
destinare all’acquisto del bene. Le regole di valutazione dell’utilità sono rappresentate da un modello matematico; le capacità
di elaborazione dei consumatori sono tali da far scegliere le quantità di bene che massimizzano l’utilità. La valutazione
dell’utilità puo identificarsi con una procedura meno teorica senza perdere il carattere di razionalità: la razionalità del
comportamento viene definita in termini di coerenza con un proprio sistema di preferenze. Il sistema di preferenze sulle
alternative risposa su una regola di utilità personale avente cioè un profilo psicologico; la funzione di valutazione psicologica
può risentire sia delle limitazioni cognitive sia dell’influenza di determinate variabili psicologiche (es. credenze).
Sulle opzioni di scelta non sussiste incertezza circa le modalità con cui possono realizzarsi; ciascuna opzione ha un’unica
determinazione a cui corrisponde una valutazione di utilità che consente all’agente di ordinarle e di esprimere le sue
preferenze. Un’alternativa di scelta puo avere conseguenze diverse o aleatorie. La teoria dell’utilità ipotizza la conoscenza
delle possibili conseguenze di una scelta, di cui tuttavia l’agente economico ignora, in anticipo, quale si verificherà; l’agente
dispone solo di una misura di probabilità riferita a ciascuna conseguenza della scelta. Un ulteriore profilo di incertezza
riguarda anche le distribuzioni di probabilità; negli anni venti del secolo scorso l’economista Knigt teorizzò la differenza tra
una situazione in cui le probabilità sono oggettivamente mirabili (es eventi associati al lancio di un dado) e una condizione di
incertezza in cui invece la distribuzione probabilistica non è nota. Gli agenti economici assumono decisioni in condizioni di
scarsa informazione perché i fenomeni di loro interesse sono spesso irripetibili o poco frequenti; non sono dunque in grado di
ricavare stime sulle probabilità di quei fenomeni.
Secondo Neumann le probabilità oggettive sono desumibili dal calcolo in virtù dell’assunzione di un determinato modello
probabilistico (nel lancio di un dado ad es. la probabilità di ciascun risultato è 1\6). Secondo Savage vi è un estensione della
teoria anche a situazioni in cui le probabilità hanno carattere soggettivo; l’autore none esclude l0esistenza di circostanze in
cui non sia possibile attribuire probabilità oggettive agli eventi—> in tali circostanze l’utilità attesa anche essa assume un
profilo soggettivo connotando la teoria come teoria dell’utilità soggettiva attesa. I due approcci ipotizzano al conoscenza di
tutte le possibili alternative di scelta, di tutte le conseguenze di ciascuna opzione di scelta e delle probabilità delle
conseguenze.

STRATEGIA BLUE OCEAN


Non compete in un mercato nel lungo periodo—> creare nuovi mercati, inizialmente incontrastati in cui acquisire un
vantaggio nell’offerta. Bisogna proseguire la ricerca sia della differenziazione del prodotto, servizio ed efficienza. Il concetto di
strategia Oceano blu è stato coniato nel 2005 dagli economisti Kim e Mauborgne nel loro libro Blue Ocean strategy, come
creare uno spazio di mercato non conteso dove non vi è concorrenza, differenziano gli oceani blu da quelli rossi: questi ultimi
indicano mercati fortemente combattuti con reciproci attacchi dai predatori. Al contrario, i blue oceans sono intatti e
completamente privi di concorrenti. Importante è l’innovazione—> soltanto con prodotti nuovi che i consumatori ancora non
conoscono si può conquistare un mercato nuovo. Chi riesce a compiere questo passo può assicurarsi vantaggi quali:
nessuna concorrenza di prodotto (almeno nel breve periodo), nuovi target e nuova domanda e nessuna concorrenza sui
prezzi.
Il caso polaroid è un esempio. Presenta scarsa sintonia con il cambiamento dovuta al mantenimento di schemi cognitivi
preesistenti; permanenza sul mercato delle Instant cameras in fase di avanzata maturità. Nel confronto con altri competitor
Polaroid preferì continuare a produrre lo stesso prodotto—> credenza di un mercato stazionario e controllabile. Negli anni 90
la polaroid fu colpita da rapidi mutamenti di mercato (avvento della fotografia digitale, internet). Essa non percepì che le
preferenze dei consumatori stavano mutando e che tale fenomeno richiedeva uno sforzo cognitivo nella direzione di una
differenziazione del prodotto.

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