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Rileviamo poi come lo stesso autore, ormai piu’ di dieci anni fa, abbia fatto emergere il sense, ossia
la dimensione intangibile della percezione, rimasta, fino a qualche tempo fa, invisibile alla teoria
del marketing. Si pensa che, in definitiva, non si sia rinnovato il modus operandi della disciplina,
troppo legata all’impianto concettuale e metodologico classico-tradizionale. Sostanzialmente, la
sovranità del consumatore a cui spesso si riferiscono gli uomini del marketing è ancora collegata a
una figura di homo oeconomicus: un soggetto idealtipico, utopico e universale, la cui azione è
basata su principi di razionalità strumentale, e quindi prevedibile e stabile, anche nelle sue scelte di
consumo. L’insieme di queste tendenze sta alla base del cosiddetto marketing di massa, in cui i
consumatori sono considerati come un complesso indefinito di soggetti, che presenta una serie di
bisogni ed esigenze simili. Questo è un punto di vista molto radicato e diffuso, per quanto i mercati
vengano segmentati, i consumatori sono sempre osservati come un gruppo sociale che presenta
bisogni estesi e stereotipati, in cui è piu’ rilevante rivolgersi al consumatore medio che ai singoli
individui. Al di la delle specifiche proprie dei diversi criteri di segmentazione adottati, è importante
rilevare che il canonico concetto di segmentazione si fonda su un modello ben definito di
stratificazione sociale e di identità individuale, proprio, ancora una volta, della società industriale.
La teoria della stratificazione , graficamente rappresentata come una piramide, ordinava le
differenze sociali secondo indicatori comuni. L’assetto piramidale, in base a cui, ancor oggi, si
ordinano i gruppi di riferimento (target), è fondato, principalmente, sul presupposto della logica
dello status symbol e del conseguente trickle down effect. La valenza di status, concepita come
riferimento per i comportamenti di consumo, motiva l’acquisto di alcuni beni, piu’ che nella loro
utilità oggettiva, per la loro capacità di assegnare e comunicare prestigio, divenendo simboli
dell’appartenenza a un preciso status sociale. Il trickle down effect indica il modo e l’indirizzo di
diffusione della moda e dell’innovazione, cioè per gocce dall’alto verso il basso della piramide
sociale. Con questo processo, i beni degli appartenenti a una classe al vertice della scala sociale
divengono punti di riferimento e oggetto di desiderio per gli appartenenti a una classe sottostante,
secondo le logiche di emulazione e ostentazione che si ritiene guidino il consumo. Questo modello
assicura così un metodo certo di stratificazione sociale e ne emerge una visione unitaria della
società e una sostanziale visione unitaria dell’identità umana, dal momento che anche le differenze
sociali sono ordinate secondo criteri univoci. È un’identità unitaria, stabile e coerente a se stessa.
Nel passaggio dalla società industriale a una post industriale si assiste, però, al progressivo processo
di diversificazione dei riferimenti simbolici, alla perdita di efficacia dei luoghi si socializzazione
tipici della modernità, avente come conseguenza la frammentazione della sfera sociale e la
pluralizzazione dei contesti di vita a cui il singolo si trova a partecipare. Le stesse caratteristiche
intrinseche della società post-moderna, arrivano a mettere in crisi l’efficacia dei concetti di classe e
di stratificazione per indicare e catalogare le differenze sociali. Viene meno così il ruolo di
riferimento identitario della classe, i ceti sociali risultano sempre piu’ vaghi nei loro confini,
tendono a sovrapporsi e a perdere la loro distinzione. Per conoscere in profondità il consumatore
appare, così, necessario riconsiderare i criteri di classificazione abituali che, pur essendo di facile
rilevazione, si rilevano di scarsa efficacia e interesse. La valenza dello status appare sempre meno
rilevante per il consumatore postmoderno, che tende sempre meno ad acquistare dei prodotti sulla
base del prestigio sociale; i beni e i servizi indicano, invece, la condivisione di un certo orizzonte di
sensibilità, comunicano aree di interesse e di appartenenza socioculturale, esprimono una
particolare visone della vita. La crescente complessità della società non può essere interpretata
secondo un modello unitario, che organizzi le differenze secondo criteri standard. La conoscenza
del consumatore viene così affidata alla psicografia, che si occupa degli studi sulla segmentazione
per atteggiamenti valoriali. Si cercano così di interpretare i comportamenti di consumo affidandosi
agli studi sulla personalità. La segmentazione effettuata per stili di vita crea gruppi omogenei,
fondati sulla somiglianza delle personalità dei soggetti e sulla condivisione di valori. Il consumo,
rivestito ora da significati autodiretti, esprime la tensione a meglio interpretare il proprio progetto di
vita individuale, che si rivolge così a prodotti connotati dall’elevata qualità percepita, piu’ che dal
prestigio. Acquista rilevanza, attraverso il consumo, esprimere la partecipazione a valori sociali
egemoni e l’appartenenza a tendenze socioculturali diffuse. L’influenza nei consumi non avviene
piu’, infatti, secondo le logiche imitativo/ostentative del trickle down effect, ma per contagio sociale
in senso orizzontale, attraverso il demonstration effect, prodotto dalla percezione della qualità dei
beni. Gli style simbol vanno quindi a sostituire, in modo sempre piu’ definito, gli status symbol. In
questo senso si mette in dubbio il fondamento di qualunque metodo di segmentazione, cioè il fatto
che i consumatori si comportino in modo coerente rispetto alle variabili prese in considerazione e
che mantengano in un questi comportamenti una certa stabilità temporale. La crescente
entropizzazione, che ha coinvolto evidentemente anche gli stili di vita, li ha resi un complesso
concettuale troppo eterogeneo e incoerente per pter spiegare con precisione i processi e le
dinamiche del consumo contemporaneo. Oggi si rende evidente la necessità di introdurre anche la
dimensione sociale come fattore importante nel processo di scelta, che non può piu’ essere avulso
dal contesto in cui avviene, dai codici e dai valori condivisi. A un soggetto che si comporta in modo
strettamente razionale, coerente con le sue scelte e costantemente teso alla massimizzazione del suo
interesse, si va contrapponendo un individuo, inserito nel contesto sociale da cui è influenzato,
mosso da bisogni non sempre coerenti tra loro e capace di comportamenti, quindi, poco spiegabili
seguendo una logica univoca. Il contesto di riferimento: new internet e fine delle grandi narrazioni
La fase storica in cui ci troviamo è segnata dalla penetrazione sempre piu’ forte dell’uso della rete
internet nella vita dei singoli individui e delle aziende. Questi ultimi dieci anni sono stati, infatti,
caratterizzati, oltre che dalla crisi economica partita nel luglio 2007, dalla massiccia diffusione di
internet che ha modificato, talora trasformandole, numerose attività in tutti i paesi. Questo
fenomeno ha avuto una forte incidenza sulla società e ha cambiato la modalità di fruizione dei
contenuti mediali, dei comportamenti di consumo, delle abitudini sociali, condizionando pertanto le
strategie di marketing e comunicazione delle aziende. La dinamica evolutiva della rete internet, ha
infatti aumentato la possibilità per gli utenti di accedere direttamente alle informazioni,
incrementando la libertà di espressione e dando la possibilità di entrare in relazione con un numero
vastissimo di persone. Questo ha portato a una maggiore consapevolezza dell’utente e a un
cambiamento nei comportamenti del consumatore, che, oltre a raggiungere una maggiore
consapevolezza delle tattiche aziendali relative al marketing e alla pubblicità ha comunicato,
con frequenza maggiore e sempre crescente, i propri desiderata nei confronti delle aziende. Questo
accade, si ricordi, in una cultura ipermoderna, in cui si assiste a un indebolimento dell’identità e al
manifestarsi della conseguente necessità, per l’individuo, di cercare di definirsi (e al contempo
differenziarsi) attraverso i consumi o il possesso di determinati beni. A tal proposito è utile
ricordare il concetto di beni di cittadinanza, elaborato da Francesco Alberoni, già nel 1964, si tratta
di oggetti che definiscono la piena inclusione da cittadini nella confusa società contemporanea.
L’esempio di Alberoni riguardava la televisione, ma oggi ci si può tranquillamente riferire ad un
telefono cellulare o smartphone, socialnetwork. Il nuovo consumatore, cominciando a sfruttare le
nuove possibilità offerte dalla rete internet per esprimere la propria sensazione, va a potenziare in
tal modo la dinamica del word of mouth, da sempre esistita, ma che ora trova un ambiente molto
favorevole alla relativa diffusione; luoghi di incontro virtuali in cui confrontarsi e comunicare le
proprie opinioni e i propri stati d’animo, contribuendo al rafforzamento di una propria identità.
All’evoluzione e al mutamento della società consegue, una trasformazione negli atteggiamenti di
consumo e, quindi, un cambiamento dei relativi approcci di marketing. In particolare si instaurano
dinamiche competitive, condizionate dall’aumentato potere negoziale dei clienti, sempre piu’ attivi
nei processi d’acquisto, in mercati che vanno progressivamente a saturarsi. La nuova, pervasiva,
dinamica della rete, cosiddetta web 2.0, potenzia infatti l’attivismo del consumatore con lo sviluppo
di strumenti applicativi in continuo aggiornamento, che consentono una sempre maggiore
interazione e una sempre maggiore condivisione di informazioni e servizi. Grazie all’interattività
conversazionale i nuovi utenti diventano partecipativi, contribuendo, con il loro operato, a creare
valore sul web. La progressiva adozione di massa dei media social, determina il grande
cambiamento del ruolo dell’utente, che da semplice destinatario e fruitore diviene produttore e
distributore di contenuto. Torna utile citare il Cleuetrain Manifesto, scritto da Searls, Weinberger,
Locke e Levine nel 1999, con l’obiettivo di spronare le imprese statunitensi a un cambiamento di
strategia per rinnovare i motivi di ingaggio con il proprio pubblico, sempre piu’ abituato a interagire
sul web. Una delle tesi principali del testo è, infatti, che nei mercati siano sempre meno rilevanti le
dimensioni fisiche e spaziali, iniziando a trasformarsi in luoghi di conversazione. Presupponendo
che, inevitabilmente, sia i gruppi imprenditoriali sia i gruppi di consumatori siano costituiti da
individui, ne consegue che, per dialogare e stabilire una relazione, è necessario utilizzare lo stesso
linguaggio. Gli strumenti messi a disposizione della nuova internet forniscono ai consumatori
maggiori quantità di informazioni su prodotti e aziende: per questo motivo essi sono meno disposti
a interagire con imprese che non si pongano sul loro stesso piano. Ciò è centrale per le aziende che,
devono essere sempre piu’ consapevoli del fatto che i consumatori tendano ad acquistare soprattutto
marche che promettono esperienze: questo si dovrà esplicare un contatto nuovo con il consumatore,
fondato essenzialmente sul dialogo e non su uno schema ormai passato di rapporto di tipo top-
down, dove le aziende si riferivano agli acquirenti per convincerli della bontà dei loro prodotti.
Instaurando un rapporto dialogico con i consumatori è possibile monitorare rapidamente ed
efficacemente i bisogni e le esigenze del mercato, prestando, certo, il fianco alle critiche del
pubblico. In questi ultimi anni, a partire dall’esperienza in rete, si sono sviluppati nuovi modelli di
marketing, basati su diversi approcci e visioni strategiche, quali, il viral marketing o il buzz
marketing. Essi però, se non pongono come fondamento, il concetto che il consumo va inteso non
solo come agire economico ma anche come agire sociale, corrono il rischio di essere considerati
come fossero delle panacee del marketing pianificatorio e quindi, come tali, non in grado di
compensare il crollo delle certezze su cui si basavano i modelli classici della disciplina. Il motivo di
fondo per cui questo avviene non crediamo stia nell’evoluzione e nella diffusione di internet, ma,
piuttosto, perché è definitivamente tramontato il quadro organico e unitario della modernità e dei
suoi miti fondanti, come osservato già da Lyotard nel 1979. Già allora i “grandi racconti”, sono
sembrati aver irrimediabilmente perso la loro attualità culturale. L’emergere dell’esigenza di nuove
logiche e di nuovi paradigmi ha segnato la crisi delle narrazioni che legittimavano la modernità, il
progetto della modernità è infatti strettamente correlato ai processi di razionalizzazione della realtà,
che hanno dato all’individuo un senso di onnipotenza. Da allora, quindi, iniziano a prendersi le
distanze da una concezione forte della personalità, ispirata dall’ideologia e dai valori della
modernità, dall’immagine di un homo faber, deciso costruttore del suo destino, creatore di ricchezza
e capace di una visione prospettica che promuova il benessere della collettività. Il tempo del
moderno Prometeo è, infatti, il futuro, il tempo della progettualità, del suo avvenire, la cui
realizzazione può contare su un presente a esso funzionale e percepito come il risultato lineate e
causale del passato. Alla crisi dei meta-racconti, si accompagna una crescente rilevanza del
quotidiano, come sfera significativa della produzione di senso per l’individuo post-moderno. Si è
passati a un ancoraggio forte al presente quotidiano, che ingloba in se un sociale frammentato e
spesso contraddittorio, si valorizza una dimensione di presente dilatato, percepito come denso di
potenzialità in ogni direzione. L’io postmoderno è, dunque, concentrato su se stesso, impegnato
nella valorizzazione della propria identità, ancorato al presente piu’ che in una coattiva proiezione
nel futuro, poco incline alla rinuncia e al sacrificio in vista di una progettualità ritenuta strumentale
e svuotata ormai di significato. Esso non è perciò disposto all’adesione a un ordine, che chiede
modelli pratico- razionali di comportamento e un atteggiamento metodico di vita.
Occorre anche in questo caso cambiare prospettiva e adottare una nuova chiave di lettura, suggerita
dal paradigma post moderno, e passare ai desideri. Il consumo, infatti, va a immettersi in percorsi di
vita ispirati dal gioco, dall’espressività, dalla ricerca del piacere e del benessere, in un clima di
disincanto. Il consumo, quindi, segue lo stimolo dei desideri e non dei bisogni, dell’istinto e non del
calcolo, dell’estetica piu’ che dell’etica. Si rivela così la capacità del consumo di attivare delle
pratiche immateriali, tra cui quelle legate al sogno e all’immaginazione. Lo stesso oggetto assume
valore in quanto capace di rimandare al mondo del possibile e dell’ideale, stimolando la proiezione
e l’identificazione del soggetto. In questa nuova prospettiva, perde anche di potenza esplicativa la
contrapposizione tra razionalità e irrazionalità, adottata tradizionalmente in riferimento ai
comportamenti di consumo. L’intervallo, concreto e simbolico, frapposto fra la nascita del desiderio
e la sua gratificazione attraverso l’acquisto effettivo consente all’individuo di proiettare l’oggetto e
la sua carica simbolica all’interno del suo mondo quotidiano e immaginarlo/immaginarsi diverso
grazie a questo. Il processo di consumo mosso dai desideri assume così valore in sé, rimandando
alla dimensione della fantasia, e caricandosi di emozione e significato agli occhi del consumatore.
Appare, in questo modo, in grado di incarnare un “potenziale trasformativo”, che lo rende una
pratica estremamente ricca e generatrice di senso per l’individuo postmoderno. Il soggetto
razionale, portatore di regolarità e dominato da leggi, proteso alla massimizzazione dell’utilità, che
opera scelte indipendenti tra loro e non influenzate da fattori esterni, se ma è esistito, sicuramente
ora non esiste piu’. Il consumo va così assumendo sempre piu’ un ruolo inedito e centrale,
divenendo una dimensione pervasiva delle società contemporanee. Il consumo ha un ruolo sempre
crescente nelle vite delle persone, il consumo adotta schemi propri, sfruttando la possibilità di
allargare il proprio potenziale di autonomia, si allontana dalle dinamiche della produzione, guidate
dal modello della razionalità strumentale, e si propone come linguaggio di se stesso, caricandosi di
significati espressivi e simbolici. Una vera e propria rivoluzione copernicana, dunque, che rende
necessario ricorrere a un nuovo paradigma per descrivere, interpretare e attribuire un senso ai
fenomeni di cambiamento e transizione in atto. Certo, l’epoca della modernità continua a permeare
ancora molte nostre scelte e permarrà a lungo, e non ha certo esaurito il suo potenziale di
progettualità e razionalità. Per conoscere il consumatore in mercati complessi e iperframmentati,
quindi, appare necessario partire da nuove premesse. Innanzitutto, riaffermare la natura, non
soltanto economica, ma soprattutto umana del consumo, considerando il consumatore come attore
sociale. Appare definitivamente superata la teoria che colloca automaticamente i comportamenti di
consumi, in un area delle attività umane propria e distinta dalle altre, dominata esclusivamente da
razionalità e massimizzazione dell’utilità personale. L’attività di consumo ha un significato
soprattutto culturale, sociale, psicologico, dato che, come tutte le altre aree della nostra esistenza
quotidiana, mobilita emozioni, sentimenti e valori. Occorre, dunque, ricostruire il valore
antropologico dell’esperienza di consumo per comprendere il consumatore post moderno,
rispondere ai suoi desideri e, per quanto possibile, prevederli ed anticiparli. Questo comporta anche
il prendere le distanze da una concezione del consumatore come target, da aggredire, da colpire, con
piu’ precisione possibile, secondo le modalità di una strategia militare. I soggetti economici e lo
stesso marketing non possono piu’ essere pensati come agenti esterni, che osservano il mercato dal
di fuori con lo scopo di raccogliere le informazioni necessarie per le proprie azioni strategiche, ma
vanno considerati come facenti parte dei sistemi su cui intendono operare. Il loro punto di vista è,
quindi, necessariamente interno al mercato e condizionato da molteplici fattori. Percorrere la strada
della consapevolezza appare, dunque, necessario per il marketing che vuole continuare a
comprendere e intervenire efficacemente nella società contemporanea. Occorre, quindi, indossare
un “nuovo paio di occhiali”, per leggere la complessità attuale e guardare ai nuovi orizzonti, che la
turbolenza del mercato e la fluidità del consumatore ormai richiedono. A tal proposito, i sociologi
Badot, Bucci e Cova hanno presentato il termine societing come il piu’ adatto a descrivere il nuovo
stato del marketing, che necessita della sociologia per comprendere il consumatore e le dinamiche
sociali. È un neologismo, formato da una crasi tra il termine “marketing” e il termine “società”,
l’espressione fa parte pertanto sia dei vocaboli propri della disciplina del marketing che di quelli
della sociologia. L’aver coniato e utilizzato questo vocabolo consente di vedere il processo di
trasformazione nella sua gradualità, dal momento che questo momenti di rottura sono ricomposti in
un quadro piu’ ampio. È una conseguenza del fatto che i consumatori oggi appaiono piu’ attivi, piu’
partecipativi, piu’ orientati al ludico, al sociale e alla comunità di quanto lo siano mai stati o del
fatto che comprendono sempre piu’ i propri atteggiamenti di consumo nel quadro piu’ ampio degli
atteggiamenti individuali. Ne deriva che l’impresa non può essere piu’ considerata un semplice
attore che si adatta al mercato, ma un attore sociale inserito nel contesto sociale. Giampaolo Fabris
ha ripreso il termine societing sottolineando che si è passati da una filosofia verso il mercato, in cui
i consumatori vengono individuati, mirati e colpiti, a una filosofia con il mercato, in cui i
consumatori e fornitori collaborano all’intero processo. Paltrinieri e Parmiggiani sottolineano come
nella prospettiva del societing, impresa e consumatore non sono attori antagonisti, al contrario
cooperano poiché lo scambio economico non implica unicamente un trasferimento, ma produzione
di valore, e il consumatore non è un soggetto passivo, ma un interlocutore attivo, partecipativo per
meglio dire. Per continuare, ancora, a ritenere la disciplina del marketing efficace nel nuovo
contesto sociale, è, quindi necessario rivedere i presupposti su cui si fonda la disciplina medesima e
contestualizzarli nella società nuova e mutevole in cui viviamo. Il presupposto è un rilevante
cambio culturale: dall’immaginare un consumatore come un bersaglio da piegare e vincere,
all’immaginarlo come un soggetto con cui intessere un dialogo e una relazione. Il consumatore, è
oggi abituato a creare contenuti, a dialogare, e non può piu’ accettare che l’azienda lo consideri un
semplice ricettore e tenti di imporre il proprio messaggio senza ascoltare la sua opinione, tu temi
generali oltre che in merito al prodotto o alla marca. Dall’altro lato oggi, oggi i consumatori, sono
piu’ attenti, tecnologicamente avanzati e con poco tempo disposizione, hanno un grande desiderio
di interagire con le marche e reclamano un marketing che mostri maggiore rispetto e piu’ attenzione
per il loro tempo. Necessità di differenziazione e marketing esperienziale
Il consumatore postmoderno, appare ipercritico, selettivo ed esigente nelle proprie scelte, colpevole
del proprio potere e deciso a usarlo. Un vero e proprio buyer professionale, capace di destreggiarsi
nell’immensa varietà di offerta e nel moltiplicarsi dei canali distributivi, abile nel trovare l’offerto
piu’ vantaggiosa, elevando così anche la propria autostima. Si assiste, infatti,, in questo periodo
all’affermarsi dello shopping bargain, la ricerca dell’affare, dell’acquisto vantaggioso. A questo si
aggiunge il fenomeno dell’ autopricing per cui il consumatore è disposto a spendere per un bene
solo quello che ritiene personalmente giusto. Stimolato in questa direzione dalla diffusione degli atti
di acquisto in rete, il consumatore tende sempre piu’ a non considerare il prezzo come un qualcosa
di stabilito a priori: esso, da variabile indipendente, sta perciò diventando variabile dipendente,
imprimendo, tra l’altro, modifiche al comune medo di valutare l’elasticità della domanda al prezzo.
L’every day low price si presenta come la nuova sfida lanciata alle imprese: che ha eroso il reddito
disponibile e generato profonde insicurezze. La mutevolezza e l’infedeltà caratterizzano l’individuo
contemporaneo e la sua relazione al consumo. Davanti a questa crescente poligamia del
consumatore, le imprese hanno cercato di correre ai ripari con offerte speciali, promozioni, concorsi
a premi. La varietà del marketing mix sembra così appiattirsi su una sola variabile, il prezzo, con l
coscienza della popolarità del prezzo basso. La competizione basata sul prezzo si rivela, infatti,
un’arma a doppio taglio, un a tattica pericolosa per le imprese. Pur riuscendo ad attrarre piu’ clienti
e a incrementare le vendite nel breve termine, non appare una strategia efficace nel lungo tempo, in
quanto non è in grado di sostenere la crescita e il profitto dell’impresa. Il rischio è di incoraggiare
un atteggiamento indifferente nel consumatore, che riconosce il prezzo dei beni come unico aspetto
determinante nelle proprie decisioni di acquisto. In questo senso, si potrebbe parlare di
massificazione, un generale livellamento verso il basso, provocato dalla scomparsa delle differenze
percepite come significative del consumatore, e dalla conseguente riduzione dei margini di
guadagno per le imprese. Davanti alla crescente complessità del mercato, all’aumento esponenziale
del numero di marche presenti in ogni settore, emerge così la necessità imprescindibile della
distinzione nella forte competizione attuale, l’alternativa alla differenziazione appare, infatti, la
morte della marca: “differentiate or die”. Appare difficile credere che il consumatore fondi la
propria identità sulla sua capacità di trovare le occasioni piu’ vantaggiose e sull’abilità di
approfittare delle numerose promozioni, che sostanzialmente significa comprare quello che c’è e
non quello che si vuole. Alla lunga si corre il rischio di rompere l’incanto del consumo, proponendo
pratiche di consumo frustrati. Il consumatore può oggi essere considerato come un edonista
virtuoso, che intende essere partner di chi produce piuttosto che semplice cliente, compiaciuto di
poter partecipare da protagonista a una partita che lo aveva visto finora in posizione marginale.
Oltre al value for money, sono, quindi, necessarie sensazioni, emozioni, esperienze. E solo
concentrandosi sulla propria identità, rafforzando la propria immagine e i propri valori, una marca
può offrire esperienze coinvolgenti. Bisogna, quindi, intraprendere una nuova direzione, puntare su
qualcosa d’altro e attribuire alla propria marca delle caratteristiche che la rendano unica e
soprattutto memorabile, in modo da riuscire a emergere in un panorama commerciale sempre piu’
affollato e indistinto. La marca viene vista alla stregua di un amico, di un aiutante nei momenti di
vita quotidiana sempre piu’ valorizzati e sempre piu’ complessi da affrontare. Il mondo cui la marca
dà vita è un mondo possibile, che si pone come un’alternativa al nostro, l’obiettivo che si persegue
non è piu’ creare un mondo della marca, ma un intero universo simbolico in cui tutto è finalizzato a
mettere in scena quella marca. Su queste basi si sviluppa il marketing esperienziale. Esso ha come
obiettivo la messa a punto di un mix di diversi elementi che, siano in grado di trasformare un
semplice e banale atto d’acquisto in un’esperienza coinvolgente. Sulla base di questo assunto, l’atto
di acquisto in un’esperienza coinvolgente. Sulla base di questo assunto, l’atto di acquisto è guidato
da logiche di tipo emotivo- relazionale e non razionale-funzionale come avveniva nel tradizionale
approccio features&benefits. È una sfida indubbiamente stimolante, ma non è certo facile cogliere e
captare le emozioni e il vissuto passionale della societ nell’attuale momento storico e soprattutto
potrebbe essere pericoloso, quando non moralmente deplorevole, cercare di vendere emozioni
fittizie e messinscene per parlare di una marca a chi vive realmente emozioni forti e ben piu’ serie.
Generalmente, nell’attuare un simile approccio, le aziende tendono a perseguire la realizzazione di
un’esperienza perfetta, ma ognuno di noi sa perfettamente che la realtà è ben diversa. Per quanto si
possa scegliere di continuare la simulazione, arriva il momento in cui la realtà irrompe con tutta la
sua potenza all’interno delle nostre vite potenzialmente asettiche, turbando il nostro stato di quiete.
È esattamente quanto accaduto l’11 settembre 2001, è quanto sta accadendo in questi ultimi anni di
crisi economica e sociale. Ricerca di senso: la trasformazione a seguito dell’esperienza Il
consumatore odierno ha le medesime caratteristiche dello spettatore critico che assiste allo
spettacolo con uno sguardo disilluso, uno spettatore che non è mai completamente calato nello
spettacolo e da esso coinvolto, che non sospende mai completamente la propria incredulità. In
termini simbolici, cioè culturali, il consumo sta così gradualmente smarrendo la capacità di
motivazione. Il rischio è che tutto precipiti nell’indifferenza, con la definitiva cancellazione di ogni
ritualità legata al consumo. Non è di esperienze in generale che il consumatore postmoderno ha
bisogno, ma di risposte alle migliaia di domande che affollano la mente, questioni irrisolte che
tuttavia non possono piu’ essere rimandate, questioni che riguardano il futuro che ormai sembra
svanire sotto i nostri occhi, che riguardano in ultima istanza, la nostra stessa essenza. In questo
scenario le aziende, si chiedono esperienze dotate di senso, esperienze “ricche”, “piene”, capaci di
colmare il vuoto esistenziale, dei punti di riferimento, per riuscire a sopravvivere nel confuso e
disordinato flusso del reale. Crollata la fiducia nelle istituzioni, caduta la fede nelle ideologie,
cittadino-consumatore inizia a chiedere al consumo, e alle marche che lo promuovono, indicazioni
di senso. È così che il marketing si trova costretto a rivedere le proprie strategie, per fare in modo
che il consumo torni a essere un’azione dotata di senso nell’accezione piu’ nobile possibile e che,
parimenti, torni a essere del progetto di vita individuale. È su questi presupposti che si assiste a un
paggio dal marketing dell’esperienza a quello dell’esistenza.
Il carattere personalizzato dell’esperienza, auspicato da joseph pine e james gilmord, non pare così
facilmente raggiungibile. Innanzitutto, si scontra con le esigenze di razionalizzazione necessarie per
avere successo dal punto di vista economico e trarre profitto da esperienze di questo tipo. Anche
l’incanto deve essere sistematizzato, per continuare ad attrarre e riuscire a gestire un numero
crescente di consumatori. Le esperienze così realizzate tendono a perdere agli occhi dell’individuo
l’atmosfera di incanto e meraviglia, suscitando noia e, alla lunga, un senso di disillusione e fastidio,
per il loro carattere di fredda efficienza meccanica e di razionalizzazione industriale, di prevedibilità
e controllo tramite la tecnologia. Perdono così la capacità di suscitare sensazioni di imprevisto e
sorpresa nel visitatore, la tensione emotiva legata alla spontaneità e alla genuinità della “prima
volta”. Le esperienze così riproposte perdono, infatti, rapidamente appeal, creando un effetto di deja
vu, in un consumatore ormai sempre piu’ saturo e disilluso. Considerando tutto quello che abbiamo
detto finora, non appare scontato che la ridefinizione dell’offerta economica attorno a esperienze
garantisca la soddisfazione del cliente. Il marketing dell’esperienza spesso si è, infatti, concentrato
esclusivamente sulla costruzione di un’efficace personalità di marca, trascurando il punto di vista e
la sensibilità dell’individuo. Proporre esperienze programmate, che appaiono il piu’ delle volte
prodotte in serie, lascia, sempre meno spazio all’appropriazione individuale e porta alla rinuncia ad
attribuire un senso soggettivo all’esperienza che si sta vivendo. Davanti a esperienze predeterminate
e preconfezionate, si sviluppa così un sentimento di spoliazione e di progressiva perdita della
propria individualità. L’individuo che consuma non desidera, infatti, solo essere parte di
un’esperienza, ma vuole esserne ideatore e il produttore attivo. L’appropriazione dell’esperienza
avviene quando il consumatore percepisce se stesso come attore centrale e attivo della propria
pratica di consumo, quando percepisce la concreta possibilità che sia lui stesso a indirizzare i propri
atteggiamenti, senza sentirsi costretto a muoversi su percorsi precostituiti dalle aziende. In questo
modo, l’individuo partecipando al processo di consumo, può costruire personali percorsi di senso,
mettendo alla prova le proprie sensazioni ed emozioni. Il prodotto del consumo diviene così unico,
personale e profondamente significativo: a possibilità di sperimentare la propria identità, in un
quadro favorevole e rassicurante in cui la marca è percepita come garanzia non costrittiva. Questo
per il marketing dell’esperienza, significa ripensare in modo piu’ modesto la propria attività e la
gestione delle relazioni con i consumatori, riconoscendo pari importanza al ruolo dell’impresa e a
quello dei clienti. Solamente eliminando i muri di incomunicabilità tra azienda e clienti si
svilupperà, quindi, la migliore opportunità per l’impresa: quella di offrire una sorta di potenziale di
esperienza, un numero di stimoli esperienziali, variegati e numerosi, che lo stesso cliente porrà in
atto dandogli un personale indirizzo. Il nuovo nobile ruolo della marca è quello di garante e tutore,
con il compito di facilitare il consumatore nella costruzione della propria esperienza. Questa
funzione di orientamento sta divenendo fondamentale nella situazione di complessità attuale, che
appare sempre dominata dall’imprevedibilità, da una sensazione di un vissuto confuso, indistinto.
Annebbiato. I brand assumo così il ruolo vitale di guida, di fonti di conoscenza e di idee in una
realtà complicata, quasi indecifrabile. Divengono mezzi di connessione per i consumatori, creando e
supportando un valore di legame, concereto e ideale, tra gli individui, diventando luogo di
protezione e rifugio o, anche, di fuga e evasione. Criticità delle esperienze di flusso Abbiamo visto
come sia quantomeno ingenua la convinzione di poter realizzare esperienze di consumo che siano
sempre emozionati, coinvolgenti e indimenticabili. Lo stesso Bernd Schmitt sostiene che nella gran
part dei casi, la maggior parte delle azioni di marketing non sono in grado di procurare esperienze di
flusso, neppure temporaneamente. E continuando sembra sminuire il versante attrattivo, sostenendo
che il nostro organismo non è fatto per vivere in modo continuativo esperienze intense e
coinvolgenti a livello personale. In qualche modo, le esperienze banali di scarsa intensità, possono
essere delle pre-condizioni alla felicità. In quanto tali, possono avere un ruolo importante per
arricchire la nostra vita quotidiana. Colin Campbell parla delle radici romantiche del consumo
esperienziale, evidenziando la progressiva presa di distanza da un consumo meramente funzionale e
di tipo utilitaristico, e il privilegio dato alle dimensioni edonistiche ed emotive del consumo. La
ricerca costante della straordinarietà dell’esperienza, della tensione al divertimento e all’euforia,
all’immersione in mondi affascinanti e memorabili, che il marketing ha proposto come modello di
riferimento per il consumo contemporaneo ha quindi origini in un tempo ormai remoto. Non sono
tempi facili, il momento storico appare confuso, vivendo un presente precario e immaginando un
futuro ancora piu’ incerto. Ma soprattutto per l’individuo contemporaneo diviene sempre piu’
difficile riuscire a orientarsi in un mondo in cui la crescente complessità del sociale non viene piu’
percepita come moltiplicazione delle possibilità a disposizione, ma come caos generalizzato. È nel
presente dunque che bisognerà cercare di trovare un balsamo che lenisca la ferita collettiva, e aiuti a
diluire il sentimento di precarietà e di incertezza dilagante. Ricerca di esperienze olistiche Emerge
così l’esigenza di riformulare il concetto di esperienza di consumo, in modo piu’ completo e
profondo, partendo dal recupero del quotidiano come materia per la realizzazione di esperienze
meno superficiali e piu’ autentiche. L’immaginario sociale dominante oggi si fonda sull’ideale della
felicità intesa come sazietà, gratificazione immediata e rifiuto di ogni forma di rimando,
differimento dell’appagamento dei desideri. L’insuccesso o gli eventuali ostacoli che si
frappongono tra il desiderio e il suo oggetto divengono, infatti, fonte di ansia e frustrazione. Il
consumo contemporaneo appare così sempre meno capace di interpretare e dare disposta alle ansie e
alle frustrazioni dell’individuo, rivelando la sua perdita di rilevanza nel mediare il rapport tra
identità del soggetto e società. Nonostante la soddisfazione di tutti i bisogni e l’appagamento
immediato dei desideri, non pare sia stata mantenuta la promessa di una felicità sicura e garantita
per tutti, nemmeno per quei pochi che possedevano tutte le risorse per essere fiduciosi. L’odierna
inquietudine pretende ben altri progetti, per l’individuo e la società. Siamo infatti in
presenza dell’ormai diffusa impressione che il sistema non sia piu’ in grado di garantire quella
specie di cittadinanza che va promettendo da almeno due decenni. Emerge, infatti, l’inadeguatezza
del consumo a far fronte alle domande eisstenziali, che divengono sempre piu’ pressanti per l’uomo
postmoderno: domande di senso, nella duplice accezione del significato e direzione. Oggi occorre
scendere a un livello piu’ profondo, offrendo “risorse di trascendenza”, che sappiano dare
orientamento sul piano esistenziale, caricando di senso le singole storie di vita. Occorrono risposte
che tengano conto dell’ambivalenza ormai costruttiva della società e dell’individuo contemporaneo,
e, soprattutto, che non abbiano paura di affrontarne gli aspetti piu’ cupi e dolori, non limitandosi a
distribuire anestetizzanti e antidolorifici. Ciò che ormai non si può piu’ sottovalutare è la crescente
riflessività che accompagna l’individuo postmoderno, che deve imparare a confrontarsi con gli
aspetti rimossi della propria cultura, come il fallimento, la sofferenza, la morte. La rimozione è,
infatti, una scommessa persa in partenza, in quanto il rimosso e il ritorno del rimosso non sono altro
che due momenti dello stesso movimento.
Rifondare il rapporto con il consumatore Rifondare il rapporto con l’individuo significa, quindi per
le attività aziendali e produttive porlo definitivamente al centro, con le sue luci e le sue ombre, per
una selezione dei processi comunicativi ce siano compatibili con questa nuova ridefinizione. Sarà
premiata l’impresa recettiva e consapevole, in grado di cogliere e interpretare i mutamenti sociali, in
cui le strategie di marketing non sono, come detto, all’insegna dell’aggressione e della conquista del
mercato, ma della condivisone, intesa come capacità di creare partecipazione e legame. Emerge il
bisogno di un nuovo rapporto fondato sullo scambio di opinioni, valori, sensibilità, in cui le marche
si fanno responsabili, credibili, garanti affidabili. Il marketing, divenendo meno invasivo e
ripetitivo, deve sforzarsi di comprendere e condividere la sensibilità. È in questa prospettiva che
avviene gran parte del marketing relazionale. Si tratta di una relazione tra consumatore e impresa
che non si limita solo all’implementazione di progetti di natura tattica, ma concerne l’instaurarsi di
un legame basato sulla condivisione di tensioni valoriali comuni. Al marketing in quanti funzione di
raccordo fra l’impresa e la realtà sociale in cui opera, spetta, un nuovo ruolo di particolare
rilevanza. L’obiettivo del marketing economico-sociale diviene così trovare la mediazione
equilibrata tra finalità aziendale e benessere del consumatore. Si avverte la necessità di rifondazione
del rapporto con il consumatore che, parta dal riconoscimento della centralità dell’individuo,
l’individuo sarà portato a riflettere su se stesso, sul senso della propria vita e sul rapporto con gli
altri. Aumenta così la richiesta di esperienze che siano capaci di fornire risposte al bisogno di senso
dell’uomo contemporaneo, che partano dal rispetto della sensibilità e cerchino di aiutarlo ad
affrontare la realtà, offrendo spunti di significato e chiavi di interpretazione. Esperienze che
favoriscano una riflessione dell’individuo su se stesso, sulle proprie potenzialità e sui propri limiti,
che sviluppino una profonda consapevolezza sulla propria identità e sulla dimensione della
relazione con l’altro. L’esperienza di consumo diviene capace di produrre senso se genera un
divario potenziale tra ciò che si è e ciò che si potrebbe divenire, una condizione di apertura per le
possibili prospettive di vita, e, dunque, uno stimolo concreto alla trasformazione. Si tratta dunque di
un esperienza dal valore maieutico, che genera una riappropriazione da parte dell’individuo del
significato profondamente identitario del consumo, capace di metterlo in relazione con le sue
dimensioni piu’ autentiche e di promuovere così un’assunzione creativa del futuro. Il brand come
fonte i legame comunitario Mediante la relazione con l’altro, l’individuo scopre il fondamento della
propria identità, e con il riconoscimento della propria mancanza si afferma la possibilità della
comunità, intesa come condivisione, messa in comune dalla propria insufficienza. Creando e
fortificando la comunità non si tende a ridurre l’incertezza, ma a trasformarla in valore. L’io investe
la parte mancante del proprio desiderio per ristabilire un legame. Il riattivarsi del desiderio di
legame e la sua traduzione in atti concreti possono essere efficacemente simboleggiati dal
paradigma del dono, dal potenziale altamente coesivo e creativo. Colui che dona ogni volta torna a
inaugurare un ciclo vitale nel quale trasforma la propria insufficienza in un atto di nuova creazione.
Si sente anche il bisogno di diffondere competenze, difendere i consumatori da truffe, da un
servizio utile agli altri utenti e anche di partecipare al successo di un brand o di un prodotto,
facendone esperienza e favorendone il compimento al resto della comunità online, con cui
l’individuo è in contatto e di cui si sente parte. Oggi il vivere in una società molteplice in cui l mole
di dati e esperienze cresce continuamene e in cui non ci sono punti fissi o valori universali, ha
portato l’individuo a perdere la propria soggettività e fiducia in se stesso e nella propria identità. Per
questo l’uomo post moderno si sta servendo di queste aggregazioni per costruire, ma soprattutto per
rafforzare la propria identità e sentirsi parte di qualcosa di piu’ grande e condiviso. In primo piano
non viene posto piu’ il soggetto, ma la sua partecipazione a qualcosa di collettivo. L’individuo
ricerca nuove forme di ricomposizione sociale, di ri-radicamento come conseguenza della
condivisione di emozioni e sentimenti, passioni e affetti. La dicotomia fondamentale dell’individuo
postmoderno è, quindi, quella tra due sistemi di bisogni: da un lato l’ebbrezza della libertà,
dell’autonomia, della discrezionalità, del poter essere veramente se stessi, che al tempo stesso è
causa ed effetto dell’individualismo, dall’altra il bisogno di protezione e du comunità per la forte
incertezza insita in tutti i campi della vita, dal sociale all’economico.
Il web può essere visto come marketplace dell’esperienza, dove ognuno va a prendere dei pezzi di
esperienza, li trasforma in risorse per la propria vita e li scambia. Questo spiega il motivo per cui
sempre piu’ persone decidono di far parte dei microgruppi, delle neotribu’, all’interno della rete, di
partecipare, per esempio, a forum e newsgroup tematici. Così si va verso la tribalizzazione del
marketing, grazie a cui è soprattutto valorizzata una forma primordiale di comunicazione
pubblicitaria quale il passaparola, la cui efficacia è di molto aumentata dalle potenzialità di rapida
diffusione create da internet e in particolare dai social network. Il racconto di marca per la creazione
della comunità La comunità di user che si aggregano intorno al brand sotto il mezzo attraverso cui
rinnovare continuamente il marchio e i prodotti, nutrendoli con nuova linfa vitale: in un certo senso,
i consumatori sono investiti di un ruolo piu’ simile a quello dei consulenti che non a quello del
mero acquirente passivo. Il discorso costruito attorno al brand, all’azienda e al prodotto è occasione
di stimolo per le nuove evoluzioni e spunto per il futuro. In tale ottica, l’uso comunitario della
marca diviene il punto di incontro ed equilibrio tra le logiche di marketing esperienziale e quelle di
marketing tribale. Le brand communities, ovvero gli spazi che le aziende mettono a disposizione dei
propri clienti, agevola lo scambio di informazioni e opinioni. Tra i benefici derivanti dall’utilizzo di
questa tecnica vi è sicuramente l’instaurarsi di uno stretto legame con il brand, l’arricchimento
derivante dalla diretta interazione con i suoi clienti e l’attrazione che una community di user può
esercitare presso altri consumatori. Tra i rischi, però, vi può essere una eventuale distorsione del
brand , l’eccessività di presa di potere del gruppo, che rischia di diventare un clan e il rischio che un
simile strumento autogestito si riveli addirittura deleterio per la marca. Tali dinamiche danno forma
ad una nuova forma di mercato, in perenne evoluzione, che nasce e si rigenera con nuovi stimoli. Il
marketing non guarda piu’ al prodotto o all’esperienza che ne deriva, ma si concreta sul modo in cui
la mere si inserisce nel flusso relazionale dei consumatori. Non è piu’ la tradizionale relazione
diadica tra cliente e azienda, bensì un nuovo paradigma che vede la relazione tra cliente e cliente, al
cui interno si colloca, variamente, il prodotto. L’agire di consumo diviene, il mezzo attraverso cui
instaurare un legame con gli altri, mediante cui si realizzano l’interazione e la relazione. In tal modo
il prodotto smette di essere il fine e diventa il tramite. Le esperienze, dunque, non devono limitarsi a
mostrare la possibilità di vivere con gli altri, ma insegnare come vivere per prendersi cura dell’altro.
Vengono cercate risposte sul piano esistenziale, che rendano gli individui capaci di ritrovare nel
rapporto con se stessi e gli altri equilibrio e consapevolezza, in grado di partecipare allo sviluppo di
una società piu’ etica costruita dal basso, connotata da atteggiamenti altruistici e solidali, orientati
all’ascolto e alla cura. La comunità deve, almeno simbolicamente, rappresentare il clinamen
dell’individuo. Baumann a ritenere che le società di consumatori tendono verso la disgregazione dei
gruppi a vantaggio della formazione di sciami perchè il consumo è un’attività solitaria anche
quando avviene in compagnia. Quindi non è il consumo in sé a tenere unito un gruppo sociale e a
indirizzare la relativa azione collettiva, ma anzi, secondo il filosofo, sviluppa l’azione opposta. È la
narrazione legata al bene di consumo, per meglio dire il racconto condiviso dal gruppo, che può
favorire il clinamen. Lì può esservi la canalizzazione delle potenzialità positive ce albergano in
questo nuovo contesto sociale, influenzato dalla multimedialità, in cui siamo immersi. Henry
Jenkins in Cultura Convergente, si sofferma piu’ volte sul tema, considerato come l’espressione
vitale delle comunità virtuali che meglio rispecchiano il nuovo spirito della modernità telematica. In
particolare pone l’accento sull’aspetto della convergenza. Questa nuova espressione attiva e
partecipativa dei consumatori, non potrebbe esistere senza le narrazioni comuni. La merce, il bene
di consumo deve diventare: cult, deve diventare un operatore di convergenza, ovvero in grado di
richiamare racconti mitici, profondamente identitari, di evocare, di conseguenza precisi riferimenti
valoriali e innescare meccanismi di ritualità particolarmente intensi, nei relativi comportamenti di
consumo. È importante, però, che in questa struttura comunicativa ci sia sempre un residuo, uno
spazio semantico opaco: la presenza dell’oggetto e il significato non devono essere completi devono
avere enigmi e interrogazioni per poter suscitare l’engagement del consumatore. In questa
prospettiva è ancor piu’ chiaro che l’oggetto di attenzione non è il bene di consumo, ma piuttosto la
relazione tra consumatore e oggetto, una relazione che comporta un qualche livello di
coinvolgimento emotivo del consumatore con l’oggetto . il coinvolgimento aumenta se aumenta
l’importanza attribuita all’oggetto (o attività) e se è intenso l’entusiasmo che deriva da questa
importanza attribuita.
fruitore del servizio sia sempre meno evidente e anzi risulti totalmente mescolata e legata in una
relazione equivalente, armonica e fruttuosa. Partendo da queste considerazioni è quindi possibile
ipotizzare un nuovo modello di esperienza, la cui costituzione avviene attraverso un vero e proprio
processo narrativo, che, distaccandosi dalle modalità del passato, riesca a coinvolgere i nuovi
consumatori, anche sfruttando l’apporto delle nuove tecnologie. Il marketing, come detto, da
esperienziale dovrebbe tentare di diventare esistenziale, cioè offrire una reale risposta di senso per i
propri consumatori. Va evitata la proposta di una promessa non mantenuta, ovvero il tradimento
delle aspettative iniziali del cliente ce si aspetta una trasformazione derivante dall’esperienza di
consumo, o perlomeno un racconto o una narrazione avvincente. È fondamentale in questo caso
riuscire a discernere cosa il consumatore vuole, ma soprattutto come lo voglia raccontato: offrire
esperienze non trasformative porta quasi inevitabilmente verso un fallimento dell’intera strategia di
ingaggio esperienziale, soprattutto se viene alimentata una sorta di emarginazione, un senso di
allontanamento dai valori espressi nel corso della narrazione. Respingere gli ideali e i messaggi
proposti dall’azienda a causa di una sfortunata distonia di linguaggio tra consumatore e coloro che
sono adibiti alla creazione e realizzazione dell’esperienza può provocare un rigetto reiterato e
prolungato di ogni prodotto, evento o promozione lanciati in futuro dall’azienda stessa. Oggi siamo
in una fase dove il consumo in sé non conduce a trasformazioni: a esso è associata una ritualità
liminoide, incapace, quindi, di orientare le nostre azioni. Pur avendo vaste condizioni di
accessibilità, l’atto di consumo è un’esperienza carente di significato. Paradossalmente, però, il
consumo in questi ultimi anni ha aumentato la propria valenza simbolica, anche in assenza di un
legame con un iter evolutivo personale e sociale. Per meglio comprendere adottiamo la
considerazione di Massimo Ilardi, il primo a sottolineare il fatto che dagli anni settanta l’evoluzione
del consumo è sempre piu’ slegata da una evoluzione sociale. Questo perché, a partire da quegli
anni, si abbandona l’ideale del sogno del successo, con i suoi traguardi individuati figurativamente
dal possesso di determinati oggetti, ma si aderisce al successo del sogno. Così che oggi siamo
orgogliosi dei nostri sogni e desiderosi di manifestarli simbolicamente tramite il consumo o, per
meglio dire, attraverso la piena immissione nei percorsi di consumo. Talmente desiderosi che non
abbiamo voglia di aspettare momenti opportuni o, addirittura, di compiere rinunce per arrivare al
traguardo. Siamo, per questo, ansiosi, anche perché abbiamo profili identitario è giunto a essere
multiforme, disorganico e contrattabile durante il percorso di vita. Tale stato di necessità è stato
comparato da Bauman a una situazione di soggezione individuale, alla luce dell’incontro avutosi tra
consumo e una cultura finanziaria contemporanea che privilegia trattare con persone eternamente
debitrici, piuttosto che con persone momentaneamente debitrici. Lo stato di necessità relativo al
consumo, di conseguenza, può causare problemi politici e di gestione della concordia sociale. Ciò,
inoltre, oltre a essere un aspetto assai rilevante per la comprensione dell’attuale situazione
socioeconomica, può essere considerato un problema per gli equilibri di natura economica. Si può
immaginare di iniziare a lavorare sul piano estetico, il piano che maggiormente motiva i
comportamenti individuali di consumo. Si può infatti privilegiare un’estetica di durata, invece che
un’estetica dell’effimero. In tal modo si indirizzerà l’individualismo dominante verso una
dimensione personalistica, foriera di una maggior apertura sociale e comunitaria, avente con sé una
maggiore attenzione al senso di responsabilità. È da qui che si può incominciare a dare risposte
anche sul piano esistenziale. È una missione che chiama in causa soprattutto le aziende, che, così
facendo, ritroverebbero o rafforzerebbero la loro rilevanza sociale, oltre che economico-produttiva.
L’esperienza di consumo andrebbe così a ricostruire la sua progettualità, riaffermando la relativa
forza emotiva e di significato per l’individuo e riattivando il meccanismo del desiderio e la sua
dimensione immaginativa. Il processo immaginativo è il presupposto indispensabile al fatto che il
consumo sia ancora vissuto come un fattore identitario. Il rapporto tra i consumatori e il consumo si
è insterilito. I servizi ancorchè “personalizzati”, e gli oggetti, pur se innovativi, non mostrano piu’ la
solidità di un tempo, il relativo acquisto e la relativa ostentazione rafforzano sempre meno l’identità
dei consumatori. Può anche darsi che ciò possa non influire sui volumi di fatturato aziendale legati
alla vendita di tali beni, laddove però i recenti dati economici sembrerebbero andare in
controtendenza rispetto a questa ipotesa. In ogni caso, in termini simbolici, cioè culturali, possiamo
avere la dimostrazione che il consumo stra gradualmente smarrendo la propria capacità di ingaggio
nei nostri confronti. Esso non ci descrive piu’, non ci consola, non ci esalta, non rappresenta piu’ un
traguardo, non enfatizza piu’ la nostra appartenenza a determinate classi sociali, professionali o
genericamente gruppi collegati alla modernità e al benessere collettivo. In prospettiva, il rischio è
che tutto precipiti nell’indifferenza con il definitivo annullamento di ogni ritualità legata al
consumo. La ritualità, lo riaffermiamo, è la sola condizione che dia un senso al consumo. La
scomparsa del rito legato al consumo porta il medesimo a essere vissuto alla strega di un’azione
semplicemente automatica. Certamente l’aspetto maggiormente problematico della società dei
consumi è ancora lo spreco collegato alla percezione di scarsa utilità della maggior parte delle cose
che si comprano. L’esperienza è dunque sia un vivere attraverso sia un pensare all’indietro. Ed è
anche un volere o desiderare in avanti, cioè uno stabilire mete e modelli per l’esperienza futura,
nella quale si spera che gli errori e i rischi dell’esperienza passata saranno evitati o eliminati. Se
quindi l’esperienza è un ripercorrere mentalmente un evento, le modalità piu’ comune con cui si
manifesta questo procedimento è il racconto. Per la loro capacità di sedimentarsi nella nostra
cultura, nasce quindi la necessità di offrire esperienze che vadano a intersecarsi al nostro vivere
quotidiano. Da queste riflessioni emergono due considerazioni: la prima è l’attitudine o meno di
certi discorsi ad aprire spazi dove il dubbio possa introdursi, possa essere elaborato e attraverso
questo processo inizi a entrare nelle narrazioni, e la capacità di una forma espressiva di aprire nuove
situazioni in grado di innescare riflessioni che non siano scontate e su cui, quindi, la nostra mente
non è per abitudine adagiata. La seconda è la capacità di costruire un’esperienza coinvolgente
affinché il destinatario sia in grado di mettere in gioco la propria “responsabilità morale”. La
liminabilità in ambito narrativo risiede nella condizione di sospensione tra due diverse realtà che è
propria dei partecipanti di uno scambio narrativo, come nella fase di transizione dei riti di
passaggio, infatti, che racconta e chi ascolta un racconto appartiene a due contesti: quello fisico in
cui avviene effettivamente la narrazione e quello immaginario in cui si sviluppa la storia.
La contemporaneità vede allora riscattarsi la centralità della narrazione che, contro ogni aspettativa
moderna, diventa un ottimo strumento per interpretare il mondo. Lo storytelling come condizione di
partenza Alla luce di quanto detto possiamo affermare che uno degli aspetti fondamentali nell’abito
della costruzione di un’esperienza è il raggiungimento di un intreccio narrativo pianificato, definito
e coerente. Nello specifico, la strutturazione di una storia in modo conseguente all’obiettivo
strategico prefissato fa sì che il messaggio e le informazioni trasmesse nel corso dell’esperienza
siano ricordate piu’ facilmente e con maggior nitidezza nel corso del tempo. Pertanto, l’adozione di
tecniche relative al cosiddetto storytelling può risultare fondamentale nel momento in cui si decide
di adottare una strategia di comunicazione di marketing: tale metodologia infatti è particolarmente
utile per suscitare il coinvolgimento e l’engagement del consumatore, causando in lui emozioni
memorabili. Fontana, sasson e soranzo parlano a tal proposito di memoria emozionale, formata da
processi subconsci a basso coinvolgimento che tuttavia si dimostrano fondamentali nei processi di
scelta di acquisto di un particolare marchio o brand. L’obiettivo fondamentale di una qualsiasi
narrazione esperienziale consta nella ricerca di un coinvolgimento emotivo positivo del su fruitore.
Tale risultato si può ottenere seguendo procedure codificate, che fungono da capisaldi
imprescindibili nl costruire un percorso narrativo efficace. Fontana considera, al riguardo,
soprattutto tre fattori: razionalità, ripetizione e commento e rituali. Particolarmente degno di nota
appare il secondo aspetto, riguarda il marketing e la vendita di un prodotto o servizio. La
reiterazione è quindi una modalità frequentemente adottata per poter imprimere meglio un concetto
o un’idea nella mentalità del consumatore e renderlo piu’ incline all’acquisto. Considerando ancora
i modi di strutturazione di un’esperienza mediale, alcuni studiosi suggeriscono come in realtà
l’impostazione predefinita da seguire debba essere indirizzata verso un lato performativo e
spettacolare. La ricerca di un’espressione dell’esperienza come performance si incentra
particolarmente sulla creazione di un plot, il cui punto cardine sia il raggiungimento di un climax
seguendo una progressione narrativa del ritmo ascendente, obiettivo che si ottiene mediante la scelta
strategica di cosa mostrare al consumatore durante la performance e di cosa invece tenere celato per
mantenere viva l’atmosfera teatrale dell’esperienza. Ovviamente questo tipo di schema non è da
seguire con cieca linaearità. Si possono creare giochi di intreccio mediante un uso intelligente di
ellissi o sommari, flashback o flashforward, senza tuttavia eccedere nell’uso per non provocare
scompensi nel fruitore dell’esperienza. Altro aspetto fondamentale di un’esperienza mediale o di
una narrazione è la possibilità di condivisione della emozioni e sensazioni provate con altri possibili
utenti e, di conseguenza, dei processi di confronto sociale che ne derivano. È importante essere in
grado di monitorare i processi che si svolgono prima, durante e dopo la fruizione dell’esperienza,
l’esigenza di conoscere piu’ feedback possibili appare, piu’ che giustificata, necessaria per la
sopravvivenza di un brand che si fonda sulla proposta di esperienze trasformative in un contesto
instabile e in continuo mutamento. Un aspetto che rende lo storytelling affascinante, per certi versi,
è dato dalla sua versatilità strumentale praticamente infinita. L’avvalersi di ogni possibile tecnica o
artifizio per poter conquistare l’interesse del consumatore impone un dispiego di materiale il piu’
possibile eterogeneo e tendente a sfruttare le innovazioni di linguaggio. È da tenere in
considerazione, come l’avvento delle nuove tecnologie abbia radicalmente trasformato anche
l’approccio adottato dal consumatore, conferendogli una visione multilaterale e veicolata a
osservare non solo le caratteristiche puramente funzionali di un prodotto, bensì anche a coglierne
aspetti estetici, difetti, pregi. Per sintetizzare tale processo si è data la definizione di prosumer
moderna combinazione fra la figura del consumatore storico e di un nuovo e produttivo individuo
capace di plasmare, oltre alla sua rinnovata coscienza, anche il prodotto stesso o la personalità del
brand preso in considerazione. A causa dunque di questi due fattori, che consistono in primo luogo
nella ricerca di una nuova e brillante identità da parte delle aziende e secondariamente nella
maturità decisionale raggiunta dagli attuali consumatori, si è giunti all’evoluzione dello stesso
mezzo dello storytelling. La fusione di quest’ultimo con le piu’ avanzate tecniche grafiche e
multimediali ha infatti portato alla creazione del cosiddetto digital storytelling. Come sostiene
Cataldo il digital storytelling si basa su un principio semplice: la parola amplifica il suo senso se la
si combina alle immagini. La visione si basa sul montaggio analogico delle associazioni, un
procedimento piu’ fluido, tendenzialmente automatico da parte delle nuove generazioni affinate al
rapporto con lo schermo del computer. In tal modo si rafforza il ruolo da protagonista del racconto
audiovisivo, estremamente efficace nel contesto sociale e tecnologico. In un contesto di esperienza
mediale condivisa si può quindi considerare il digital storytelling come una modalità narrativa,
avente ampi margini di intenzione, che consente al consumatore di esprimere se stesso, creando
relazioni con altre persone facenti parti di diversi gruppi sociali e al contempo una rinnovata e
reciproca relazione di vicinanza con il brand e la sua personalità. Il digital storytelling può creare
quello spazio che consente l’inserimento de dubbio che permette uno scarto dal senso comune e il
rilancio della narrazione. Sostanzialmente, dunque, questa moderna tecnica narrativa può essere alla
base del sorgere di una genuina spinta di rinnovamento del mondo del consumo e non limitarsi a
indirizzare uno sviluppo commerciale, magari in termini politicamente corretti.
Il contenuto passante finalizzato consente la relazione Risulta molto interessante, ai fini della nostra
riflessione, osservare l’immagine che wind e mahajan dipingono del moderno consumatore. Lo
paragonano infatti all’essere mitologico dotato di corpo equino e di torso umano, emblema della
fusione di caratteristiche diverse fra loro ma allo stesso tempo perfettamente interagenti, come per
esempio la velocità e la potenza del cavallo e la profondità di pensiero e manualità dell’essere
umano. Probabilmente tale descrizione è davvero in grado di offrire un ritratto completo e fedele di
quello che in concreto oggi è il consumatore: un’entità mutevole e imprevedibile, totalmente
immersa
possono sempre toccare l’anima dell’uomo. Se questo è il livello a cui tendere, è evidente che
rispondere all’emergente bisogno di senso e riportare all’azione l’uomo, riattivandone le speranze,
non è sicuramente una facile impresa: vi à una difficoltà intrinseca nel realizzare questi nuovi
racconti, proporzionata all’apatia da cui deve essere scosso il pubblico. Archetipi per formare
comunità di destino, in gruppi identitariamente deboli Formare comunità di destino in gruppi
identitariamente deboli è un compito difficile, dal momento che sono necessarie grandi narrazioni
capaci di interagire con l’uomo contemporaneo in modo coinvolgente, senza risultare elitarie o
lontane. Queste, poi, stimolando la “trance narrativa”, inserendo l’individuo nell’ampio contesto del
legame sociale, devono cercare un meccanismo di ingaggio che possa portare le persone a percepire
la propria situazione esistenziale e a fornire spunti per un’azione che possa farle uscire da una
prolungata apatia esistenziale. I racconti di massa odierni non razionalizzano gli itinerari di vita,
non rispondono alle domande ultime della nostra esistenza. Le aziende non devono temere di
cambiare la propria strategia di comunicazione, dato che è piu’ che mai necessario che sia
rispondente alla situazione attuale, sia del contesto sociale, che del disagio esistenziale del
consumatore. È evidente, quindi, la necessità di attivare narrazioni e il ricorso a racconti che
chiamino in causa il consumatore e che lo trasformino, attraverso la trance narrativa, in un vero e
proprio eroe ipermoderno. Solo a partire da questo fatto, dal sentirsi appartenente a un mondo
valoriale condiviso, in cui l’io s’incontra con il noi, in cui vengono vissute esperienze appagante e
profonde.