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Nello Barile
Brand New World
Il consumo delle marche come forma
di rappresentazione del mondo
Progetto grafico di AQ
> Introduzione 7
1. Quello gerarchico tra i due livelli, al vertice dei quali sta la pro-
duzione mentre alla base è collocato il consumo. Marx definisce que-
sto schema “sillogistico” perché la produzione corrisponderebbe al
“puro universale” mentre il consumo è il “puro particolare”. Si sta de-
finendo una relazione asimmetrica tra i due livelli che in qualche mo-
do si ritroverà in modelli organizzativi che sacrificheranno, a distanza
di pochi decenni, la dimensione del consumo come accessoria e subal-
terna rispetto alle strategie aziendali. La stessa globalizzazione, che è
un movimento centrifugo di liberazione dalle istanze localistiche2
3. È chiaro che Marx non parla di ipotesi perché l’impianto concettuale che va co-
struendo è alimentato da un necessità interna ed è mosso dalla causa prima che è la
produzione. Alla necessità deduttiva del meccanismo sillogistico, che si fonda su pre-
messe e conclusioni ineffabili, è però preferibile il ragionamento abduttivo della teo-
ria scientifica che tende a testare ipotesi ad hoc su specifici contesti esperienziali.
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2. Alla prima linea interpretativa suggerita dal testo segue una con-
statazione in parte contraddittoria: la produzione è una forma di
consumo e viceversa il consumo è una forma di produzione. Secon-
do l’autore, la produzione è già da sempre una forma di consumo, in
quanto essa ha bisogno di “bruciare” energia e materia per dare vita
a un nuovo bene, ma allo stesso tempo anche il consumo è una forma
di produzione, in quanto bruciando energie e materiali, riproduce,
come nel caso della pianta, nuova vita.
4. Si tratta di un’estensione della riflessione manageriale sulla logistica che si vede tra-
sformata da momento periferico e ancillare rispetto alla produzione, in una funzione
regolatrice dell’intera filiera produttiva.
Evoluzione del brand system
Nel finish che il consumatore assegna alla merce troviamo una forza
costitutiva dell’intero ciclo produttivo. Non è un caso, infatti, che Marx,
parlando di produzione di merci, ricorra, per descrivere la forma di pro-
duzione di consumo che è anche forma di produzione dei bisogni, alla
dimensione artistica: in essa come esperienza del consumatore come
lavoro vissuto, come forza percepita, Marx indica quanto non è fisica-
mente rappresentabile, identificabile, descrivibile nelle macchine della
mercificazione [Abruzzese 2001: 61].
Sebbene in questa fase che fa da Big Bang del sistema quelle che
saranno le distinzioni nette dello sviluppo successivo si confondono
problematicamente, già si delinea il corso che nella filogenesi assu-
merà il sistema dei consumi. Queste categorie si distanzieranno dia-
metralmente, muovendo verso poli opposti in un’asimmetria pro-
16 grammatica che verrà comunque gestita dalle esigenze della produ-
zione, capace di assoggettare le dinamiche del consumo. Da facce
speculari di uno stesso sviluppo, le due andranno incontro a una
separazione progressiva e a una sorta di lotta per la sopravvivenza
che determinerà gli sviluppi del mercato mondiale.
> Accoglienza
> 1.
> 1. > 2.
1. <
5. Si pensi al film tratto dal celebre romanzo di Philip K. Dick, Minority report di
Steven Spilberg, in cui il protagonista, interpretato da Tom Cruise, è alle prese con
superfici di prodotti che trasmettono immagini dinamiche.
6. Definizione che del resto coincide con l’analisi di Ugo Volli della marca che è ciò
che “dice la sua etimologia (dall’antico germanico markian ‘segno di confine’): una
marchiatura, un segno che indica appartenenza. Tali segni, dopo essere stati cippi di
confine, punzoni sull’argenteria, cicatrici impresse a fuoco sul bestiame, appaiono
oggi su prodotti, luoghi di servizio ecc.” [Volli 2003: 83].
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> Diffusione
7. Per una panoramica accurata sul rapporto tra luoghi e abiti da lavoro e per uno dei
rarissimi contributi della sociologia sull’abbigliamento dei lavoratori in Italia si veda
Accornero A., Luches U., Sapelli G., 1981, a cura di, Storia fotografica del lavoro in
Italia 1900-1980, Bari, De Donato.
Evoluzione del brand system
In questa fase, che dura dagli anni Venti fino agli anni Sessanta 27
negli Stati Uniti, ma che continuerà a riscuotere successo nei paesi
protagonisti del boom economico fino alla prima metà degli anni
Settanta, si raggiunge il massimo distacco tra le due categorie prese
in esame. Distacco che comporta la svalutazione della seconda ri-
spetto alla prima. Ciò per più di un motivo tra cui, non inferiore agli
altri, quello culturale. Nella codifica etica del linguaggio dell’econo-
mia politica, la produzione è puramente una funzione maschile,
mentre il consumo è una peculiarità dell’essere femminile8. L’uomo
produce, arricchisce, incrementa, la donna spende, consuma, dissi-
pa. Per questo la produzione è il lato buono della società industria-
le, ovvero quello che resta coerente con l’etica che lo ha fondato: il
protestantesimo. Il consumo invece è il lato negativo, il prodotto di
scarto, lo scotto da pagare per una società che è votata a una cresci-
ta che non è sempre intesa in modo positivo. In una società paradig-
maticamente patriarcale [Capra 1984] il maschile-produttivo coinci-
de anche con l’universale mentre il femminile-dissipativo, segno
metaforico di ogni alterità (sessuale, etnica, etica), è relegato nella
9. Alcuni manuali di pubblicità [Vecchia 2003] collocano l’opera di Calkins tra la cor-
rente degli “estetici” all’opposto di quella degli “scientifici”, in virtù della sua voca-
zione per la poesia e per lo stile con cui confezionava i messaggi. Tuttavia l’enfasi po-
sta dal celebre pubblicitario sull’aspetto “ingegneristico” esprime una fiducia nei
confronti della capacità persuasive dell’estetica che è talvolta superiore a quella degli
scientifici.
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10. Com’è noto, negli Stati Uniti la catena di montaggio viene da lontano. La produ-
zione in serie di beni durevoli nel Novecento è un processo che si innesta sul-
l’American System of Manufactures, il metodo di produzione per parti intercambia-
bili che era stato incubato dall’industria statunitense già nell’Ottocento. L’esperi-
mento della fabbrica Ford è un momento cruciale di tale produzione in serie, poiché
esso la applica a un bene durevole, l’automobile, che nei primi anni di questo secolo
appariva generalmente un oggetto di lusso anche negli Stati Uniti. Così facendo, la
Ford struttura una domanda sempre più ampia e pressante, la quale a sua volta legit-
tima presso l’opinione pubblica le misure autoritarie che sono tipiche degli stabili-
menti Ford nel periodo che va dai primi del secolo alla vigilia della seconda guerra
mondiale [Gambino 1997].
Evoluzione del brand system
11. Come si vedrà, non è solo il consumo eccezionale che spezza la routine consoli-
data nella forma dell’evento, ma anche la catastrofe, comunque metabolizzata dal si-
stema spettacolare che la trasforma in oggetto di consumo.
12. Il riferimento è chiaramente allo studio realizzato da Adorno e Horkheimer ne La
dialettica dell’Illuminismo [1966], nel quale gli autori tentano di traslare alcuni mo-
delli elaborati sulla propaganda tedesca alle routine produttive delle comunicazioni
di massa americane.
Evoluzione del brand system
1. <
> Profusione
14. […] gli individui del futuro saranno indotti a scegliere in modi nuovi. Incomin-
ceranno a “consumare” stili di vita come gli individui di un periodo precedente, meno
soffocato dalle scelte, consumavano prodotti comuni [Toffler 1981: 303].
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16. Non che nell’arco del nuovo decennio si fosse ridotta la tendenza delle aziende a
ingaggiare testimonial, ma questa era meno rappresentativa dei nuovi stili di comuni-
cazione che si sono affermati definitivamente con il passaggio al nuovo secolo.
17. Si afferma pertanto la cultura delle celebrities che è esattamente speculare a quel-
la riscontrabile nella fase successiva agli anni Novanta. Se prima erano le star che pre-
stavano la loro immagine a sostegno dei brand commerciali, oggi queste si trasforme-
ranno direttamente in brand che operano nei vari settori commerciali.
18. Il fatto che il modello di riferimento sia soprattutto Marilyn, cioè la stessa diva che
inaugura il cliché della star sofferente e insoddisfatta, può solo confermare tale pre-
supposto.
1. Alcuni frame del famoso spot di Citroën Cx.
1. <
> Diluizione
[...] può anche succedere che sia la logistica a offrire all’azienda idee per
essere (l’azienda) più competitiva: ad esempio facendo diventare il ser-
vizio al cliente migliore di quello dei concorrenti. Ecco che l’impresa
diventa competitiva per via del servizio e, dal momento che il servizio lo
offre la logistica, è la logistica stessa che diventa fattore strategico per
l’azienda [Ferrozzi, Shapiro 2000: 8].
19. Del tutto coerente con l’idea della produzione snella postfordista è l’idiosincrasia
nutrita per le scorte: “I giapponesi per primi hanno evidenziato la “dannosità” delle
scorte alte e tutti hanno seguito il loro esempio. La logistica è stata certamente la fun-
zione che si è battuta per ridurre le scorte e che ha portato i migliori contributi alla
loro effettiva riduzione” [Ferrozzi, Shapiro 2000: 7].
20. Per ultimo (quinta fase) la logistica arriva a partecipare alla definizione degli
aspetti strategici dell’impresa. Si tratta di una logistica di alto livello, che entra nelle
stanza dei bottoni e che offre alle aziende alcune leve per competere [ivi: 10].
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1., 2. La danza degli istrogrammi e degli indici della ricchezza nel videoclip Remind Me.
1. < 2. <
21. L’ironia è la pars destruens che serve a smontare le convinzioni consolidate dell’in-
terlocutore o dell’avversario nell’agone argomentativo che contrassegnava il fare filo-
sofia al tempo di Socrate. La maieutica, ossia la scienza di “far partorire il concetto”
è invece la pars construens. La fase della diluizione è dunque profondamente socrati-
ca non solo per la maieutica ma, come si vedrà tra poco, anche per l’ironia che in que-
sto caso serve a stipulare un nuovo contratto tra la marca e il consumatore.
Evoluzione del brand system
1. < 2. <
> 1.
22. A tal proposito Naomi Klein rilegge tale processo dal punto di vista di un’impo-
stazione critica: “Dopo aver etichettato tutta la cultura marginale, sembrava naturale
ai marchi occupare quella piccola, limitata fascia di cervello ancora non portata
all’ammasso del mercato, occupata dall’ironia [Klein 2001: 108].
Evoluzione del brand system
> 1.
26. È il caso degli iPod Party realizzati in Eurpa in cui ogni utente può diventare DJ
della serata, per un breve lasso di tempo, e proporre i contenuti della sua playlist.
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2. SCIVOLANDO LUNGO IL CRINALE DEL PRESENTE
richiamando l’attenzione sugli aspetti non simbolici delle attività produttive degli
uomini, sui prodotti e gli utensili nonchè sui diversi tipi di tecnica, insomma sui mate-
riali e gli oggetti concreti della vita delle società. [Bugaille, Pesez 1978: 271].
28. Mi riferisco alla concezione del posizionamento come “l’intervento sulla mente
del potenziale destinatario della comunicazione” [Ries, Trout 1984: 19].
Scivolando lungo il crinale del presente
b. Mass Customization
Agli albori degli anni Settanta, il futurologo Alvin Toffler esordì
con il libro Lo shock del futuro [1970] elencando con estrema preci-
sione i mutamenti che la tecnologia avrebbe indotto nella società e
nel mercato da lì a pochi anni. Tra queste la problematica dell’iper-
scelta era centrale per comprendere il modo in cui il nuovo capitali-
smo stesse implementando strategie di offerta altamente complesse e
diversificate che sfruttavano l’automazione e rivoluzionavano il rap-
porto tra aziende e consumatori: la sua super-industrializzazione era
allora sconosciuta in Europa ma già matura negli Stati Uniti29.
29. […] la società del futuro offrirà non già un afflusso di beni limitati e standardiz-
zati, ma la più grande offerta di beni e di servizi non standardizzati che qualsiasi
società abbia mai veduto. Stiamo andando verso una non ulteriore standardizzazione
materiale, ma verso la sua negazione dialettica […]. Stiamo in effetti correndo verso
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c. Marketing tribale 69
Lo studioso che ha inventato o che ha formalizzato in una visione
coerente il marketing tribale si è ispirato direttamente all’insegna-
mento di Michel Maffesoli [1988] in particolare riferendosi all’im-
pianto generale sulla crisi della socialità moderna, individuando nella
nascita e nel consolidamento delle nuove tribù32 la tendenza domi-
nante dei sistemi culturali occidentali. Con queste chiavi di lettura è
stato possibile identificare fenomeni eterogenei che andavano dalle
cosiddette tribù di stile ad altre forme di aggregazione riguardanti
fasce diverse di popolazione. A ben vedere il modello della neotribù
pare più congruente alla realtà delle sottoculture mentre allenta la
sua valenza euristica quando viene esteso a gruppi sociali più estesi in
quanto assume piuttosto una valenza metaforica. Questo perché gra-
zie alla funzione delle omologie [Hebdige 1979] la sottocultura tra-
dizionale (il mod, il glam, il punk) riesce a configurare un universo di
significati, valori e pratiche che è chiuso, coerente e totalizzante alla
stregua di quello di una cultura nativa33. Ma il concetto di sottocultu-
32. Secondo molti tale concezione è originariamente riconducibile all’opera di Mc-
Luhan [1964] quando considera la ritribalizzazione delle società moderne una varia-
bile dipendente dell’avvento dei media elettronici.
33. Inoltre il parallelo è rinforzato dal fatto che concetti cardine nello studio delle sot-
toculture, quali appunto lo omologie e il bricolage, sono derivati dagli studi di Levi-
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Strauss sulle culture primitive o meglio sul “pensiero mitico” [Levi-Strauss 1962]:
questione che dovrebbe far riflettere coloro che rivendicano una specificità postmo-
derna del neotribalismo.
34. Operazione coerente in quanto “Alla drammatica autenticità del sociale della mo-
dernità, Maffesoli contrappone così la tragica superficialità della socialità (qui intesa
come forma ludica di socializzazione), propria del postmoderno, che trova nell’appa-
renza, nell’estetica, un importante vettore di aggregazione, di sentire in comune, un
mezzo per riconoscersi: l’abbigliamento, l’acconciatura dei capelli, i giochi dell’appa-
renza diventano un ‘cemento societario’” [Parmigiani, 2001: 80].
Scivolando lungo il crinale del presente
d. Marketing virale.
L’espressione evoca un immaginario cupo, catastrofico, in cui l’in-
fezione si diffonde con velocità esponenziale, sfruttando la prossimi-
tà fisica dei soggetti coinvolti. Se non fosse preceduto dalla parola
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35. Si veda a tal proposito la revisione di K. Distin The Selfish Meme: A critical reas-
sessment. Cambridge University Press, Cambridge 2005.
1., 2. Il filmato virale utilizzato da Diesel per la campagna “XXX” in occasione della cele-
brazione dei trent’anni d’attività dell’azienda.
1. < 2. <
> 1.
Ai suoi albori tale dottrina è molto vicina alla visione del marke-
ting relazionale ma solo quando la visione tattica della guerriglia si fa
metafora di un movimento culturale più esteso – quello della conte-
stazione antibrand negli anni Novanta – il guerrilla marketing si tra-
sforma in un discorso molto più sofisticato e filosofico. Allora sono
nate molteplici realtà sparse nel mondo che si sono andate collocan-
do sulla linea di confine tra la logica del business e quella della con-
trocultura, senza completamente rinnegare né l’una né l’altra. Molte
di queste piccole società hanno infatti iniziato a militare nella contro-
cultura con un approccio per così dire “situazionista”, ovvero nella
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37. Il termine è coniato da Luttwak (1999) con il quale denuncia gli effetti deleteri
sulla società americana della sommatoria tra liberismo, globalismo e privatizzazioni.
Una critica che anticipa di almeno dieci anni alcuni temi che segnano il nuovo corso
della destra italiana, nella recente elaborazione di G. Tremonti.
Scivolando lungo il crinale del presente
38. In questo senso lungimirante ma fallimentare nel suo progetto, la mostra sugli anni
Settanta realizzata presso la Triennale di Milano esordisce con una promessa spiazzan-
te. Non vuole ricadere nello stereotipo dei vecchi anni di piombo per raccontare l’al-
tra faccia dei Settanta, quella colorata, ludica, espansiva. Ma la promessa è subito tra-
dita da un percorso espositivo che conduce dritti verso le foto di Moro sulla stampa
dell’epoca e verso immagini della controcultura ecc. Dall’altro lato ci si è messa la real-
tà stessa a vanificare quella promessa, dato che il ritorno degli anni Settanta non passa
tanto per i consumi vocazionali e l’estetica (come già in passato accadde) ma per le
questioni cruciali, per l’essenza plumbea di quegli anni di piombo.
39. Sul concetto di moltitudine va segnalata la differenza tra la lettura più sociologi-
ca di Aldo Bonomi [2004] e quella più filosofica di Negri, Hardt [2001] e Virno
[2003]. Da un lato un tessuto composito che popola la “città infinita” e che può esse-
re composto da capitalismo personale, imprese molla, trame di connessione, tracce di
comunità e padroni di flussi, dall’altro una entità più sfumata e localizzata in diverse
aree del pianeta che si oppone alla trascendenza dell’impero in virtù del suo caratte-
re puntiforme.
1. La copertina di Nevermind, potente metafora che racconta il grado di penetrazione del
consumo nella fase della diluizione.
2. Il manifesto di The Corporation, tra i film più significativi nel filone dei documetari di
denuncia sulla degenerazione del sistema dei consumi.
> 1. > 2.
40. Il decennio del resto si apriva con la copertina di Never mind dei Nirvana, che
ritraeva un bambino in piscina che nuotando, inseguiva una lenza alla quale era appe-
so il biglietto da un dollaro. Il commento di Cobain e compagni era che “tutti ci stia-
mo trasformando da cittadini in consumatori”.
41. È significativo il modo in cui il web ha supportato globalmente il processo di for-
mazione dell’opinione pubblica rispetto alle azioni delle corporation ma forse ancor
più sorprendente è stato lo slittamento dal web ai circuiti generalista del cinema e
della tv grazie al filone dei documentari di denuncia, che ha dato vita a lavori impor-
tanti come The corporations e Supersize me.
Scivolando lungo il crinale del presente
42. Per il capitale mobile è fatale che nei confronti di questo crescente contropotere
dei consumatori non sia possibile alcuna controstrategia. Nemmeno gli onnipotenti
gruppi industriali mondiali possono perdere clienti. La minaccia di emigrare in altri
Paesi, dove i consumatori sono ancora bendisposti, è altrettanto suicida dello sciope-
ro dei lavoratori della Opel contro la chiusura delle loro officine. Collegato in rete e
mobilitato su scala transnazionale, il consumatore può dunque trasformarsi in un effi-
cace strumento di contropotere. Poiché i margini di guadagno delle imprese dipen-
dono non da ultimo dalla globalizzazione del consumo, la fragilità della legittimazio-
ne è il tallone di Achille delle imprese transnazionali [Beck 2005].
1. Campagna contro gli OGM siglata “La Coop sei tu”.
> 1.
> 1.
43. Non facciamoci illusioni: la soluzione dei grandi problemi dell’ambiente - se essi
sono veramente così seri, come talvolta appare - esige ad esempio che noi provvedia-
mo a far sì che non si sviluppi più alcun paese in via di sviluppo, esige che noi impe-
diamo lo sviluppo piuttosto che promuoverlo. Al tempo stesso dovremmo provvede-
re a che il consumo di energia, negli Stati Uniti e in Europa, venga, diciamo così, di-
mezzato o ridotto ancora più drasticamente. Tutto ciò non si può ottenere con meto-
di democratici [R. G. Dharendorf 1989].
44. Da ricordare l’evento organizzato da Fabrica presso la Triennale di Milano che
ospitava la presentazione del video di Al Gore in apertura della mostra Les yeux ou-
verts, collegata a sua volta al numero della rivista Colors Vörland, interamente dedi-
cato all’ambiente.
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te alla causa è stato offerto da Jeremy Rifkin che aveva già affronta-
to il problema sul finire degli anni Ottanta ma che recentemente ha
assunto un atteggiamento molto più propositivo, che passa per la
promozione della nuova Economia all’Idrogeno [2002]. Punto chia-
ve del libro è il ribaltamento di paradigma che il modello del World
Wide Web dovrebbe suggerire. Da un assetto industrialista e centra-
lista si passa al modello di una erogazione, gestione e produzione
decentrata dell’energia attraverso la messa in sistema di microunità
produttive.
- la cultura dell’energia
- la sostenibilità
- l’innovazione.
46. Andare in autostrada a 110 chilometri orari piuttosto che a 130, sostituire la cal-
daia elettrica con una a gas, usare lampadine a basso consumo energetico, avviare la
lavastoviglie solo a pieno carico: l’Eni ha compilato una lista di ventiquattro compor-
tamenti “virtuosi”, quattordici dei quali a costo zero e i rimanenti dieci a un costo
definito “sopportabile e a veloce recupero”, calcolando per ognuna di queste voci la
ricaduta sul reddito di una famiglia “tipo” di quattro persone [Amato 2007].
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3. PROVE TECNICHE DI SELFBRANDING:
DAI SOCIAL NETWORK AI NUOVI PROTAGONISTI
DELLA STREET-CULTURE
47. Il tema della sofferenza è utilizzato dall’autrice come grimaldello per scardinare,
senza troppa efficacia, la concezione che Foucault espone nel testo sopra citato. Secon-
do l’autrice egli utilizzerebbe la chiave del rapporto potere/piacere come tratto domi-
nante dell’attività umana laddove tale termine – che il filosofo usa come sinonimo di
sessualità o libido – non si contrappone al dolore, bensì può sussumerlo. Le pratiche
a cui egli fa riferimento non ortodosse o devianti, come il masochismo, il sadismo o la
sodomia, si pongono al confine tra l’esperienza del piacere e quella del dolore.
1. Brook Shields durante l’Oprah Winfrey Show racconta la spirale di miseria e dispera-
zione in cui è precipitata nella fase post-parto.
> 1.
> 1.
48. Dei quasi nove milioni di residenti, circa l’85% sarebbero entrati una sola volta
in questo mondo virtuale senza tornarci più. Dei restanti bisognerebbe depennarne
almeno la metà, perché avere due o più avatar in Second Life è una pratica comune
quanto andare nei night club. Il che porta a una popolazione reale di 300 mila perso-
ne circa. Poca cosa rispetto ad altri mondi virtuali frequentati da milioni di utenti,
nulla se paragonata alle comunità che animano espressioni del Web 2.0 come You-
Tube e Flickr [D’Alessandro 2007].
1. Una schermata della mappa di navigazione in Asmallworld.
2. Una schermata dello stile di presentazione personale in MySpace.
> 1. > 2.
1. <
49. […] possiamo notare come in passato vi fossero dei gruppi ben definiti, circo-
scritti, ognuno con i suoi confini […] quando io ho preparato la mappa e ho scritto
il libro ho cercato di fare lo stesso lavoro di suddivisione in tribù anche per i movi-
menti e per i gruppi che esistono oggi e non sono riuscito nel mio intento perché
prima ho creduto di aver commesso qualche errore, ma in realtà mi sono accorto che
questi gruppi costituiscono tutti un insieme, non c’è una suddivisione ben precisa
[Polhemus 2001: 277].
1. Lo stile nero degli Zoot Suit declinato nella versione latina di un giovane “Pachuco”
mentre è arrestato dalla polizia di Los Angeles.
2. Un gruppo di Teddy Boys londinesi di prima generazione.
1. < 2. <
per essere ispirata alla particolare eleganza di Edoardo VII le cui sorti 111
non furono felici, tanto che, nel secondo dopoguerra, i teenager lon-
dinesi poterono acquistare quegli abiti sulle bancarelle dei charity
shop. I teddy boys re-interpretavano i contenuti di quella collezione
inserendo elementi mutuati dalla cultura americana come i jeans o i
cravattini di cuoio, sfidando in questo modo la cultura tradizionale
inglese che si mostrava refrattaria e preoccupata per l’invasione di
merci e di stili di vita dall’oltreoceano50. Tra questi spiccavano i cra-
vattini di cuoio, i jeans e le scarpe a coda di rondine con la suola
spessa. La giacca con il colletto in seta divenne più larga e la cravat-
ta fu sostituita dalla stringa di cuoio (boot lace). Le scarpe in camo-
scio nero dalla suola di gomma spessa, le celeberrime Brothel Creep-
er [Fiorani 2004], erano usate perché la suola garantiva maggiore
aderenza sul bagnato, specialmente in occasioni critiche come le
risse. I capelli erano lunghi e sofisticati, in opposizione netta con il
taglio corto imposto ai giovani arruolati per il servizio di leva. La pet-
50. Dopo la guerra quell’ostilità persistette e fu esacerbata da nuovi fattori: dal decli-
no della Gran Bretagna come potenza mondiale, dalla disgregazione dell’Impero bri-
tannico congiunta alla simultanea ascesa del prestigio internazionale americano e alle
prime indicazioni di ambizioni imperialistiche americane […]. In articoli di riviste e
resoconti sui quotidiani, l’austerità britannica venne spesso opposta alla rampante
economia americana e al dollaro forte [Hebdige 1991: 54].
1. Adunata di Mods inglesi seduti sull’oggetto-icona che contraddistingue quella sotto-
cultura: lo scooter italiano.
2. La stilista Mary Quant ammette all’inizio degli anni Sessanta di “muovresi al passo con
la generazione Mods”.
> 1. > 2.
> 1. > 2.
51. […] la svastica nazista rossa e nera e i distintivi sovietici in caratteri cirillici; la
croce di ferro del Terzo Reich e copie grossolane dell’ordine di Stalin; il ritratto strap-
pato e malamente rincollato della regina accanto alle immagini pornografiche […] da
crocifissi e teschi di metallo brunito, da piccoli scheletri snodati di plastica bianca e
altre lamette da barba, anelli, catene, succhiotti e spille da balia unite assieme come
in un rosario: insomma tutto e di tutto [Bollon 1990: 132].
Prove tecniche di Selfbranding
> 1. > 2.
1. < 2. <
52. Inoltre va precisato che l’attività del nuovo marchio si appoggia alle risorse già
consolidate dell’azienda di famiglia, dunque si tratta certamente di un selfbrand par-
ziale o spurio.
1. Un’immagine dal sito del progetto parallelo Angry.
> 1.
122 tario, tale oggetto assume oggi una valenza autoespressiva ancora più
forte del passato. Quindi “non dobbiamo meravigliarci, visto lo stato
d’irrequietezza in cui si trova l’umanità, se un tono polemico è torna-
to di moda. Organizzazioni, enti benefici e cause politiche hanno
sempre rifornito i loro adepti con slogan ad hoc per promuovere
determinate linee di pensiero. Adesso anche i singoli grafici usano le
t-shirt per sostenere cause e convinzioni meno specifiche” [ivi]. Ma i
prodotti delle case proposte nella rassegna vanno al di là di una sem-
plice visione settantista e utilizzano certi significati e valori per espri-
mere un elevato contenuto di coolness. È il caso di Angry (www.-
angry-associates.com) che è stato fondato da Scott Burnett e Johnny
Kelly per “poter liberamente sfogare le frustrazioni accumulate lavo-
rando in uno studio di grafica più tradizionale” [ivi] oppure No com-
pany (www.nocompany.com) sottopone un questionario psicologico
(sullo stile dei test proiettivi) ai suoi clienti, da cui si traggono indica-
zioni per la realizzazione delle magliette. Stephen Bliss (www.ste-
phenbliss.com) che lavora all’immagine coordinata di molteplici
videogame realizzando poster, packaging e altri gadget, adotta la
seguente strategia: “se è un capo che io stesso indosserei, probabil-
mente c’è qualcun altro disposto a farlo”. Mentre Cybelle (www.cy-
bellegear.com) è un altro brand streetwear che esprime una sensibili-
tà prettamente femminile ed è creato “da donne per le donne”.
1., 2. Sezioni di siti di ecommerce dedicati alla creatività diffusa di due gruppi americani.
1. < 2. <
53. Citato in N. Barile, House of love and Dissent, Next Exit, Febbraio 2007
1. Una foto segnaletica della polizia di Minneapolis tratta dalla mostra Least Wanted.
1. <
> 1.
128 ma “mancava poco perché fossi completo”. Ma sin dalle prime bat-
tute egli è afflitto da un disagio interiore imperscrutabile, un male
che tenta di curare attraverso una socialità disperata – frequentando
gruppi di malati terminali – ma che non riesce a capire o ad allevia-
re. Questo iter lo conduce verso la risposta cognitiva al problema: la
creazione di un alter ego, esatta proiezione negativa del suo ego, che
tramite i suoi precetti anticapitalistici darà vita e fondamento ideolo-
gico alla nuova comunità. La reazione al McMondo [Barber 1998]
che ha divorato ogni traccia di autenticità esistenziale passa attraver-
so una pratica arcaica – una sorta di boxe a mani nude – che con la
lotta e il dolore fa vivere agli adepti del Fight club brevi scampoli di
vita “vera”. La fissazione per il mondo Ikea altera la “grammatica
dello sfondo esperenziale” [Habermas 1993] sino a mutare la strut-
tura cognitiva del protagonista. Brad Pitt55 pertanto interpreta l’esat-
55. Già nel film L’esercito delle 12 scimmie, la scena in cui s’incontrano in manicomio
Bruce Willis e Brad Pitt, ci propone due apparenti disadattati che discutono sul rap-
porto tra pubblicità e follia. Come sostiene lucidamente Brad Pitt “[...] vedi la televi-
sione, è tutta lì la questione. Guarda ascolta inginocchiati, prega, la pubblicità. Non
produciamo più niente, non serviamo più a niente. Tutto è automatizzato. Che cazzo
ci stiamo a fare. Siamo dei consumatori. Compri un sacco di cose da bravo cittadino,
se non le compri che cosa sei? Un malato”. Si percepisce la eco deleuziana della schi-
zofrenia come fuga dal sistema del controllo paranoide e come evento creativo capa-
La transizione del branding
ta proiezione di ciò che lui non riesce ad essere ma è anche una figu-
ra contraddittoria che concilia l’avversione contro la società dei con-
sumi alla passione per i suoi prodotti più effimeri (tra cui i vivaci
abiti di Jean Paul Gaultier). Credendo di seguire il carisma dell’ami-
co immaginario (mentre in realtà segue solo se stesso) il protagonista
mette in piedi un’organizzazione policellulare dispersa per il Paese
che organizza un attentato alle sedi centrali della finanza mondiale in
quella che resta la più lucida premonizione dell’11 settembre offer-
taci da Hollywood.
Quella raccontata dal film non è solo una metafora del disagio
della civiltà contemporanea, né, come la vedrebbe qualcuno, un sem-
plice atto d’accusa contro la schiavitù del consumo. Esso racconta un
fenomeno molto più complesso e saliente. Le teorie che hanno insi-
stito sulla mutazione del consumo negli anni Novanta, partono dal
presupposto che non si può più incasellare il consumatore in griglie
sociali predefinite, e soprattutto non lo si può forzare in gabbie iden-
titarie chiuse. Sulla scia della tarda vulgata decostruzionista, il nuovo
consumatore postmoderno è per definizione multi-identitario, è un
soggetto sfumato, contraddittorio oppure un soggetto-comunità.
Tutte queste concezioni presuppongono la schizofrenia come para- 129
digma esplicativo della cultura del consumo. Tale assunto, già scoper-
to negli anni Ottanta con riferimento al consumo televisivo [Jameson
1989; Featherstone 1994], oggi ha bisogno di essere affrontato con
uno schema “operativo” che vada al di là degli entusiasmi di matrice
deleuziana e guattariana sullo schizofrenico come soggetto rivoluzio-
nario capace di combattere la paranoia del sistema di controllo
[Deleuze, Guattari 1975] A tal proposito può essere molto più utile
adottare uno schema interpretativo come quello del doppio vincolo
batesoniano, che ha avuto grande successo nella storia della comuni-
cazione [Watzlawick 1971; Volli 1994] per poi approdare alle teorie
antropologiche sul consumo che hanno insistito sulla predominanza
della cultura visuale. Come ha notato Codeluppi [2006], tale concet-
to può essere utile per rappresentare la natura paradossale del con-
ce di rinnovarne le logiche. La proiezione verso la catastrofe, vero leit motiv del film,
rappresenta una soluzione diretta alla situazione di estrema intensità emotiva nella
quale si trovano i consumatori nella nostra epoca. Il meccanismo banale di liberazio-
ne da questa dipendenza mira a eliminare uno dei termini della relazione. L’elimina-
zione del genere umano è anche eliminazione del sistema dei consumi e unico garan-
te della salvezza dell’ecosistema. Questa soluzione terminale è chiaramente frutto di
una consapevolezza latente: il consumo è inestinguibile dall’orizzonte della vita quo-
tidiana.
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coltà nell’uso dei segnali di quella classe i cui elementi assegnano tipi
logici ad altri segnali”56 [ivi: 248-249]. In tal modo si tende a margi-
nalizzare le cause che tradizionalmente erano poste alla base del-
l’etiologia dello schizofrenico (trauma infantile, eredità genetica, di-
sagio ambientale ecc.) alle quali si predilige la dinamica comunicati-
va, specialmente quando questa s’inceppa e produce un errore. Ma
la chiave di volta dello schema non è tanto il “difetto” quanto la sua
reiterazione. Gli ingredienti essenziali in una situazione di doppio
vincolo sono:
a. “due o più persone, una delle quali è riconoscibile come ‘la vitti-
ma’”
b. ripetizione dell’esperienza “[…] talché la struttura di doppio vin-
colo diviene oggetto di attesa abituale”
c. un’ingiunzione primaria negativa
d. un’ingiunzione secondaria in conflitto con la prima a un livello più
astratto
e. un’ingiunzione negativa terziaria che impedisce alla vittima di
sfuggire dal conflitto.
131
Altro elemento di distacco dalla dimensione ordinaria e fisiologi-
ca è il particolare grado di intensità affettiva che induce la vittima a
percepire tal condizione come indispensabile.
Il suo effetto più immediato è l’impasse logico e pragmatico che
mina la capacità dell’infante di poter discernere il reale dall’immagi-
nario, “l’io dagli altri”.
L’utilità di questo schema ai fini del mio discorso non è chiara-
mente analogica ma metaforica.
Lo schema batesoniano può essere molto utile a capire il motivo:
il potere del consumo diventa sempre più rilevante a dispetto dei
movimenti di contestazione, di boicottaggio o di rifiuto “luddistico”
dell’innovazione. Il presupposto fondamentale è certamente il mon-
do costruito dalla marca che offre al consumatore un sistema di si-
57. È questo l’elemento del dissenso tra il mio punto di vista e quello di C. Miles
[2004: 269] che ha scritto sul medesimo argomento con un anno di ritardo rispetto
al mio articolo del 2003 e che insiste sulla singolarità della fonte del messaggio –
appunto il brand che lega nel doppio vincolo – laddove la mia analisi riguarda più
una dinamica di sistema dato che i modi di funzionamento dei brand sono analoghi
e spesso s’ispirano ai medesimi principi.
58. Mi riferisco alle attività di sponsorizzazione di alcuni eventi planetari (campiona-
ti del mondo, Olimpiadi ecc.) in cui tutte le marche convengono sul modo in cui rac-
contare ciò che sta accadendo, oppure sulla derivazione territoriale e culturale delle
marche di un determinato paese o “made in” che sposano valori e discorsi e stereoti-
pi condivisi.
La transizione del branding
Tale passione per questa decade si estende tuttavia non solo ai vestiti e
ai dischi, bensì anche a tutti gli altri beni della casa. Emma, per esem-
pio, rivela il piacere che prova quando scopre questi articoli: “possiedo
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un vecchio nastro adesivo, plastilina degli anni Sessanta […] ogni pic-
cola sciocchezza ci dà un piacere enorme, trovare i francobolli degli
anni Sessanta è la parte migliore della giornata… e già sai che un altro
giorno l’apice sarà una cravatta” [Gregson, Crewe 2003].
> 1.
Mondo sociale
Creatore Ricevitore
Oggetto culturale
59. “The standard Lacanian notion is that of reality as Grimace of the Real: the Real
is too unattainable traumatic Kernel-Void, the blinding sun into which it is impossible
to look face to face, perceptible only if we look awry, from the side, from a distorted
ˇ ˇ 2008: XXVII].
perspective – if we look at it directly, we get ‘burnt by the Sun’” [Zizek
La transizione del branding
138 Non a caso la mostra curata da Frisa (2004) sugli anni Ottanta porta-
va il nome di Excess, chiave di volta dell’intero decennio.
Da quella crisi, che non è stata solo culturale e comunicativa ma
forse prevalentemente economica, si è generata una nuova visione
che ha ripensato la marca e la sua relazione con il contesto sociale.
Nella fase della diluizione assistiamo a una radicale mutazione della
marca che si è trasformata in un “mondo possibile” capace di inglo-
bare significati e valori provenienti tanto dalla sfera dell’immagina-
rio quanto dalla vita quotidiana. Tanto da oggettivazioni sedimenta-
te nella cultura di una dato paese, quanto dalle pratiche culturali
spontanee, localistiche, idiosincratiche. Già in passato il quotidiano
era oggetto di interesse da parte della comunicazione commerciale se
si pensa a Barilla che “mette in scena una serie di soggetti pubblici-
tari (‘Treno’, ‘Gattino’, ‘Fusillo’…) dove la pasta diviene sinonimo di
famiglia, di calore e serenità, di valori autentici da condividere”
[Musso 2003]. Tuttavia le modalità con cui esso veniva condotto nel
cuore della messa in scena erano piuttosto artificiose, faziose, affabu-
latorie, inautentiche62. Queste restituivano un’immagine edulcorata e
62. Si pensi alla fantomatica famiglia perfetta del Mulino Bianco, oppure al caffè
Kimbo ecc. tanto fustigate dai comici del periodo e in particolare dai Broncovitz nella
prima serie di Avanzi.
1. L’immaginario inquietante d’inizio anni Novanta del gruppo comico Broncovitz con la
parodia di ACE che diventa AIACE.
1. <
> 1. > 2.
63. Mi riferisco all’impatto che ha avuto sull’immaginario globale la nuova estetica del
supereroe “sfigato”, dal film Mistery man di Kinka Usher, ai protagonisti del video-
clip Sexx laws (1999) di Beck, oppure al film Unbreakable in cui Bruce Willis inter-
preta il ruolo di un comune mortale che scopre progressivamente i suoi poteri. Fino
all’impatto recente sullo stile italiano come si evince – tra gli altri esempi – dal logo e
dagli spot del canale Boing.
Tavola 2. La marca come commutatore
Fase della diluizione (anni ’90)
> 1.
142 condividono una passione segreta. Non a caso il logo che contraddi-
stingue il progetto è ricavato dalla pratica sottoculturale del bran-
ding e, alla stregua di una impressione a fuoco, evidenzia il legame
inestinguibile tra il prodotto (la Clio), il consumatore (antieroi lega-
ti da una passione che trascende le mode) e la marca che gestisce
attraverso uno stile innovativo e antipresenzialista questo mondo di
significati. Ma la necessità di irrorare il territorio della marca trami-
te contenuti e vissuti provenienti dalla vita quotidiana fa addirittura
saltare in aria il canale un tempo privilegiato dell’advertising per
indurre alla sperimentazione di nuove modalità più partecipative e
coinvolgenti di comunicazione. Da qui l’efficacia dell’organizzazione
di eventi nella gestione, da parte del brand, di una “emozione condi-
visa” [Cova 2003]. L’insieme di trasformazioni che si originano a
partire dalla fase della diluizione danno vita a un triangolo feticisti-
co composto per l’appunto da:
A leggere i retorici ci si rende conto che non arrivano mai a una defini-
zione pienamente soddisfacente della metafora, come della metonimia.
Donde risulta per esempio che la metonimia è una metafora povera. Si
potrebbe dire che la cosa è da prendere nel senso assolutamente contra-
rio – la metonimia è in principio, ed è lei a rendere possibile la metafo-
ra […]. Che cosa è più primitivo come espressione diretta di una signi-
ficazione, cioè di un desiderio, di quel che Freud riferisce della sua ulti-
ma figlia? Ecco qualcosa che ha l’aria di essere del significato allo stato
puro. Ed è la forma più schematica, più fondamentale della metonimia
[Lacan 1986].
64. Su questo punto Lacan ci sorprende con la constatazione che il bambino sia capa-
ce di comprendere e apprezzare la pittura surrealista o il cubismo di un Picasso quan-
do questi si esprimono attraverso metonimie, dato che egli non può ancora cogliere
il senso della metafora.
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1. intra mondo
- identità della marca
- nome o logo/mondo della marca
2. mondo/prodotto
3. mondo/consumatore
1. <
funzionano come schermi usa e getta che trasmettono contenuti di- 145
namici65. Sulla stessa linea l’ultima pubblicità di Estathè precipita lo
spettatore in un paradiso estivo e ludico al suono di musica reggae,
proprio attraverso l’espediente di un’etichetta che si apre all’espe-
rienza del consumatore/turista e – come forse tutte le etichette pos-
sono fare – materializza i tratti distintivi di quel mondo possibile.
Infine, come già illustrato, la relazione mondo/consumatore tende
a incorporare esperienze soggettive66, relazioni sociali profonde,
sistemi di valori e di linguaggi e talvolta sconfina nell’ambizione peri-
colosa, ma comunque presente, di un’identificazione totale tra il
sistema di valori della marca e quello dei consumatori. In altri termi-
ni si sta verificando “un passaggio dalla marca che mostra di vivere
come vorrebbe vivere il consumatore a quella che fa vedere di pen-
sare esattamente come quest’ultimo” [Codeluppi 2004: 25].
65. Anche nel videoclip di animazione Remind me dei Royksoop, dedicato non a caso
all’universo dei consumi, le confezioni si animano e intrattengono la protagonista
mentre fa colazione [Barile 2004].
66. A tal proposito è di particolare importanza l’operazione Yomango, antibrand
creato dal collettivo Las Agencias per criticare l’esasperazione del meccanismo di
identificazione coatta indotto branding, che ambisce a trasformare ogni consumato-
re in un cittadino onorario di quel dato mondo (Yo Nike, Yo McDonald’s, Yo Mtv,
… Yomango) [Barile 2005].
Tavola 3. Il circuito metonimico
Immaginario
Vita quotidiana
> Per una fenomenologia del consumo come esperienza: tra para-
digma turistico e storytelling
67. A tal proposito l’analisi di Meyorowitz [1984] sull’interazione sociale mediata dai
media elettronici parte dal presupposto che l’ambiente dove avviene l’interazione
non è delimitato tanto da barriere fisiche ma soprattutto informazionali.
La transizione del branding
Fino all’intero arco della “profusione”, tale processo resta comun- 151
que confinato all’interno dei perimetri delle aziende e delle istituzio-
ni oppure si traduce socialmente nei fantasmi della mercificazione,
dell’isolamento, della incomunicabilità, ma con la fase successiva
esso evolve sorprendentemente. Non solo grazie all’apertura delle
membrane chiuse delle aziende, ma anche tramite un concetto di
comunicazione divergente da quello maturato in fase fordista o gene-
ralista. Dapprima la scoperta dell’affettività come requisito fonda-
mentale della relazione tra marche e consumatori cambia completa-
mente le strategie aziendali, poi l’idea che la fonte della creatività e
dell’innovazione possa essere l’esperienza stessa dei consumatori e le
emozioni che al suo interno si producono [Salmon 2008]. Da una
concezione ancora tutto sommato aziendalista della marca, si passa
più recentemente alla totale disseminazione della logica del branding
negli interstizi della società. Il branding del territorio, della metropo-
li, della politica delle istituzioni non profit, il culto delle celebrities,
il selfbranding di persone comuni, marginali o disagiate, sono tutte
espressioni di questa dilatazione della marca al dì là delle logiche
aziendali. Essa si trasforma in linguaggio e metodo di gestione della
propria presenza nel mondo. Quando si parla di marketing delle
esperienze, si può dunque scomporre il macroprocesso in due sfere
distinte d’influenza: quella proveniente dal mondo delle marche
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70. Si tratta della celebre concezione del mediologo canadese che ha dato vita a innu-
merevoli dibattiti come anche a prodotti culturali, film, videoclip ecc.
1. Il sistema integrato d’esperienza dello jogging con Nikeplus.
1. <
1. <
160 Come già Jedlowski, anche Salmon individua una relazione tra la
valorizzazione narrativa delle storie di vita nella gestione delle risor-
se umane e la sua ricaduta nello spazio dei consumi e dei racconti di
marca. Se è vero che la prospettiva esperienziale presuppone la crea-
zione di una storia o di un tema (sul modello dei parchi-a-tema, ap-
punto, come Disneyland di baudrillardiana memoria) non è altret-
tanto vero che la narrazione esaurisca l’intero orizzonte di possibili-
tà d’attualizzazione della marca. Essa si spinge molto più in là del
branding comune verso una prospettiva che potemmo definire di
branding esistenziale: è il caso del cortometraggio dedicato alla per-
vasività e alla rilevanza contemporanea della storia di un font come
in Helvetica, diretto e prodotto da Gary Hustwit (2007). Ma la crea-
zione di una storia o di una mitopoiesi è difatti limitata a un tipo di
interazione classica tra fonte e destinatario e da un contratto narrati-
vo in cui le mosse del lettore sono già previste dalla mente dello scrit-
tore. In una dimensione esperienziale avanzata, la distanza che sepa-
ra i due dovrebbe essere soppressa dal primato (almeno ipotetico)
dell’esperienza vivida, o tendenzialmente autentica, dell’interazione
diretta, della condivisone non mediata dell’evento. La dimensione
dell’evento supera in fatto di efficacia quella dell’ambiente stabile
che veicola i valori della marca, come ad esempio accade con il flag-
ship store. Nella singolarità dell’evento si esprime la potenza di un
La transizione del branding
162 I negozi Vacant non restano aperti per più di quattro settimane. Ex
magazzini, spazi non convenzionali. Rifiuto delle basilari regole del retai-
ling (come ad esempio i cartellini dei prezzi) ma tanta musica, prodotti
esclusivi, progetti creativi indipendenti e serie limitate di marchi globali.
Costo dell’advertising equivalente a zero. Un database mondiale di 1,6
milioni di affezionati. Poche email e tanto passaparola [Mores 2006: 10].
74. Ben più inquietante la “leggenda metropolitana” degli snuff movie, raccontati ad
esempio nel film 8mm. Delitto a luci Rosse di Joel Schumacher, che rappresentano la
somma degenerazione della oscenità pornografica in cui l’eros depravato andrebbe a
intrecciarsi con il Thanatos.
75. In particolare nella disamina di Belpoliti individuerei due sotto filoni: uno futuri-
bile, che lavora sul corpo cyborg, l’altro neoarcaista che invece fonde elementi pop
con visioni ataviche ed esoteriche di cui è rappresentativa l’opera dell’artista america-
no Matthew Barney.
1. Matthew Barney direttore e protagonista di Cremaster 3 come versione atipica del
posthuman.
2. La memory stick della Sony come espressione del “consumatore postumano”.
> 1. > 2.
76. This paper makes a modest beginning in addressing relevant issues and examines
their implications to some new ways of constructing the consumer, or more precise-
ly the posthuman consumer [Venkatesh, Karababa, Ger 2001: 453].
La transizione del branding
77. In a one-to-one context, while one-to-one relationships are ideal, they carry the
tremendous costs of learning about the different needs of millions of individuals.
Managing individual customer relationships on a large scale places enormous
demand on managerial time. So, while the rational manager realizes that the ideal
strategy might be to manage customers one-to-one all the time, reality causes this
rationality to be bounded, and instead, managers do the best they can under the cir-
cumstances. Customers are similarly affected in their purchasing behavior by boun-
ded rationality [Watson, Leyland, Berthon, Zinkhan 2002: 131].
78. We define u-commerce as the use of ubiquitous networks to support personali-
zed and uninterrupted communications and transactions between a firm and its
various stakeholders to provide a level of value over, above, and beyond traditional
commerce. We now elaborate on each of these four features of the next generation of
commerce [ivi: 332].
1. La matrice che descrive il collegamento dinamico tra i quattro quadranti dello U-com-
merce.
1. <
base della conoscenza dei gusti del cliente, senza che questo debba
preoccuparsi di gestire tale relazione (come nel caso del WOTMC, il
Wine-of-the-Month Club in Sud Africa). La matrice proposta dagli
autori rappresenta un quadro dinamico d’interazione tra le quattro
forme citate in un contesto in cui l’informazione si è trasformata da
risorsa scarsa a risorsa abbondante, collocandosi al centro dell’attivi-
tà di business. A differenza della chiave di lettura precedente, il
postumano non è più inteso come una concezione astratta, sugge-
stionata dalla fiction e da una visione euforica, ma è la chiave di volta
del nuovo marketing in cui l’informazione non è più sinonimo di vir-
tualizzazione, bensì è la modalità fondamentale d’integrazione tra
spazio mentale e spazio fisico. Torna di urgente attualità la questio-
ne dell’ecologia cognitiva (già discussa nel paragrafo dedicato a Bate-
son), specialmente nella sua applicazione più pragmatica: la questio-
ne delle ecologie ibride.
In termini molto sintetici, si tratta dello slittamento degli studi
sulle applicazioni delle ICT da una prospettiva astratta a una concre-
ta, dall’esaltazione della virtualità come chiave di volta dell’Evo tec-
nologico e dei suoi problemi alla valorizzazione delle pratiche socia-
168 li d’utilizzo dei dispositivi tecnici. In questo senso il consumo assu-
me un ruolo ancor più importante anzi basilare. Si tratta del punto
d’intersezione tra la dimensione astratta dei flussi informativi e quel-
la concreta dell’esperienza quotidiana. Il termine ibridazione rievoca
tutta una serie di concetti molto diffusi negli anni Novanta che han-
no in realtà rinforzato la concezione astratta della comunicazione.
Ma in questo caso l’aggettivo “ibrido” individua una qualità pratica
nella relazione d’uso tra l’utente, il supporto tecnologico e l’ambien-
te che è frutto dello scostamento dall’ecologia digitale verso quella
ibrida [Crabtree, Rodden 2008]. Si tratta, in altri termini, del modo
in cui nuove tecnologie ridefiniscono lo spazio d’interazione a parti-
re dalla gestione dei flussi d’informazione. A ben vedere il concetto
non è del tutto nuovo nella ricerca mediologica contemporanea.
Partendo da Meyrowitz [1993], che riflette sul modo in cui i ruoli
sociali sono definiti dai filtri informativi che delimitano alcune “si-
tuazioni” e su cui i media elettronici possono intervenire per modi-
ficarli, fino a Reinghold [2003] che, con lo studio delle Smart Mob,
esamina attentamente il modo in cui le connessioni a distanza produ-
cono nuove aggregazioni sociali tanto intense quanto fugaci. Mc-
Luhan ha sorprendentemente previsto (insieme ad altri grandi auto-
ri come Korzibski o Borges) il modo in cui la distanza tra mappa e
territorio si sarebbe colmata grazie all’informazione che, già al suo
La transizione del branding
Lewis Carroll faceva osservare che, man mano che le carte geografiche
diventavano più particolareggiate e più estese, tendevano a soffocare
l’agricoltura e a sollevare le proteste degli agricoltori. Perché allora non
usare la terra come carta geografica di se stessa? Siamo arrivati a un
punto analogo nella raccolta dei dati quando ogni stecca di gomma da
masticare verso la quale tendiamo la mano è immediatamente annotata
da qualche cervello elettronico che traduce ogni nostro minimo gesto in
qualche curva di probabilità o in qualche parametro sociologico [Mc-
Luhan 1997: 61-62].
79. www.blasttheory.co.uk/bt/work_uncleroy.html
1. L’interfaccia per i giocatori di strda di Uncle Roy’s Office.
> 1.
80. http://ecologyofthenovel.wordpress.com/2008/03/05/peripheral-vision-traces-
and-immersive-landscapes/
La transizione del branding
81. Ad esempio lo studio di Bounker, McAfee e Lee [2002] ha come oggetto l’utiliz-
zo di sistemi di simulazione integrata per i militari che combattono sul terreno e che
possono essere classificati secondo tre tipologie d’interfaccia: a. “stand-alone”; b.
hybrid embedded simulation sistem; c. fully embedded simulation system [Ivi: 2].
82. http://it.wikipedia.org/wiki/Supranet
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