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Indice:
CAPITOLO 1-
La mediatizzazione della moda e la modalizzazione dei media
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6 gennaio 2021, il Campidoglio di Washington viene assalito da una folla di sostenitori di
Donald Trump. Tra gli insorti si distingue Jake Angeli, che indossa un copricapo indiano,
corna fantasy e colori della bandiera americana dipinti sul volto: un outfit insensato che però
gli conferisce il ruolo di capo della rivolta
4 febbraio 2020, Achille Lauro si presenta sul palco di Sanremo spogliandosi di un mantello
ricamato in oro e rimanendo in tuta aderente color carne ricoperta di glitter. Il pubblico lo
eleva a icona gender fluid.
17 settembre 2019, esce nelle sale Chiara Ferragni - Unposted documentario creato dalle
storie Instagram di Chiara Ferragni e diventa il documentario-evento più visto nella storia del
cinema italiano.
Questi fenomeni e tanti altri dimostrano l’intima e reciproca relazione tra la moda e i media,
in uno scenario dominato dalla digitalizzazione e dalla circolazione massiva delle immagini
e dei discorsi. I media riservano grande attenzione alla moda perché è grazie a essa che si
producono degli shock capaci di spezzare le consuetudini.
La moda diventa il traino del mutamento perché incarna il superamento del già visto e del
già detto. Essa è anche motrice della tendenza alla spettacolarizzazione degli eventi mediali.
La televisione, i siti web, i social network diventano vetrine globali del rinnovamento di
stili e tendenze, sostituendoli ai veicoli tradizionali come le passerelle, le riviste, il cinema, la
strada. I nuovi veicoli aprono nuove forme di contatto e confronto con il pubblico,
attribuendogli anche un ruolo decisivo nell’orientamento l’evoluzione del gusto. Inoltre
rendono la moda un evento comunicativo rendendolo accessibile, democratico,
condiviso, partecipato, spettacolare.
Nascono inoltre nuove figure professionali, nuovi generi (fashion film), nuovi
testimonial, nuovi modelli di business, di marketing e di creazione del profitto.
In sostanza moda e media sono due universi espressivi che la digitalizzazione dei mercati
rende più vicini e capaci di contaminarsi a vicenda. L’idea è che la moda è essa stessa un
medium, un soggetto attivo che veicola messaggi e significati. Ha la capacità di esercitare
funzioni di un mezzo di comunicazione: esprimere l’identità individuale, espandere la
conoscenza e generare mondi immaginari abitabili.
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- La seconda accezione intende la moda come forma del cambiamento sociale,
meccanismo di regolazione di molteplici ambiti, tra cui l’abbigliamento.
William summer riconosceva che la moda controlla molti campi oltre l’abbigliamento, come il
commercio, i viaggi… diventa quindi una delle iche del comportamento collettivo, un
fenomeno sociale che opera in campi diversi. È qui che il termine moda assume come
fondamentale uno dei suoi significati: modo. Anch’esso deriva da modus ovvero “norma”,
“regola”, “limite”. Ma anche costume nel senso di usanza, maniera, oppure mezzo o
modo per il raggiungimento di un fine.
Al di fuori della logica narrativa di può concepire la moda come un campo in cui i soggetti
tendono al raggiungimento di determinati obiettivi, l’azione di essi è caratterizzata da un
dovere (ci obblighiamo a usare certi prodotti), da un volere (desideriamo esprimere la
nostra identità), un sapere (conosciamo i gusti del momento) e un potere (risorse
economiche per possedere e usare tali prodotti). Tale modello fa rendere conto del ruolo
cruciale della moda nella società.
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1. Una prima forma di questo rapporto è: la moda nei media.
La moda è un insieme di risorse materiali, simboliche, creative e umane utilizzate dai media.
Si consideri il ruolo del costume design nel cinema, nella televisione, nel videogioco, nel
fumetto. Gli abiti sono l’esito di un’attenta progettazione che ha competenze specifiche. Il
costume riflette l'interiorità del personaggio, lo descrive, lo caratterizza. Ciò vale anche in
settori editoriali e commerciali come ad esempio la musica. Il costume rappresenta una
“seconda pelle” ma per lo spettatore è una superficie primaria su cui si basa la conoscenza
e la relazione con esso.
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costitutiva delle istituzioni, capaci di imporre una logica mediale. In questo senso la
mediatizzazione è concepita come un processo macro-sociale in grado di modellare le
istituzioni sociali. Essa osserva come le pratiche di produzione, consumo, distribuzione e
diffusione della moda siano oggi articolare attraverso i media.
L’aspettò centrale è che la moda si fa attraverso i media. La mediatizzazione è un
processo duale:
1. I media sono integrati nel modus operandi delle istituzioni sociali e sfere culturali
2. Sono diventati essi stessi istituzioni sociali con carattere normativo.
Attraverso la mediatizzazione i media estendono le abilità comunicative della moda nel
tempo e nello spazio. I fashion blog, gli account di Instagram e TikTok creano uno spazio
di discussione accessibile a chiunque e ovunque.
Allo stesso tempo sotto la spinta della mediatizzazione i media sostituiscono alcune attività
sociali che prima avevano la forma dell’interazione faccia a faccia: le sfilate sono ora
transesse in streaming e accessibili a un pubblico globale.
Infine la mediatizzazione della moda spinge le persone a modificare il proprio
comportamento per adattarsi alle routine imposte dai media. L’attività dei fashion influencer
ha determinato un mutamento dei ritmi di funzionamento della comunicazione di moda,
imponendo un aggironamemto continuo.
È possibile osservare gli effetti della mediatizzazione della moda al livello degli attori, degli
oggetti e delle istituzioni. L’habitus consiste in abitudini acquisite, gusti, conoscenza tacita o
esplicita. Dal lato dei cittadini e dei consumatori la mediatizzazione dell’habitus implica
che essi facciano esperienza del mondo sociale attraverso il filtro dei media. Dal lato dei
produttori, la mediatizzazione dell’habitus implica che il tradizionale modo di produrre non è
più adeguato. Questo processo avviene attraverso una mediatizzazione del consumo: i
media contribuiscono a creare nuove comunità e diventano uno strumento di mediazione del
modo in cui impariamo, facciamo esperienza, discutiamo e consumiamo la moda.
Si nota come la mediatizzazione agisca sugli spazi della moda quale i luoghi fisic ad digitali
in cui si svolgono gli eventi del settore. Per esempio le sfilate: sono in aumento gli eventi
trasmessi in diretta streaming (eventi che prima erano nascosti), il m dono della moda inizia
a concepire il web come un’opportunità. Stanno cambiando anche gli spazi in cui si sviluppa
il discorso sulla moda: dai magazine cartacei si è passati ai fashion blog e ai profili social.
I social media diventano un agente della mediatizzazione della moda perché scardinano il
tradizionale modello di comunicazione tra la moda e i brand e i consumatori, le sfilare
perdono il ruolo di rituale riservato agli addetti ai lavori per trasformarsi in eventi globali. I
blog, i brand, gli influencers promuovo nella moda la cultura dell’immediatezza.
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con gli altri e con il mondo, ci offre un modo di vivere. La moda da il tempo alle nostre vite. È
attraverso la moda che ricaviamo un’immagine di noi stessi e offriamo un’immagine di noi
creando un equilibrio tra la necessità di esprimere la nostra identità e quella di imprimerci
nell’altro.
Il mondo è una trama intessuta con lo stesso materiale di cui è fatto il corpo. L’io e il mondo
non sono separabili perché è il corpo che vede e che vedendo si vede vedere. Che cos’è
sennò un abito se non qualcosa che tocchiamo e al contempo qualcosa da cui siamo
toccati?
Le cose che sono all’esterno del corpo, “in cerchio attorno”, ne sono un “annesso” o un
“prolungamento”. La nostra “presa” sul mondo non è limitata ai confini del corpo biologico e
agisce anche con l’ausilio di protesi tecnologiche. Il vestiario in aumento estensione della
pelle può essere visto come un meccanismo per il controllo della temperatura e come un
mezzo di definizione della persona.
Ci vestiamo sia per scaldarci e per coprirci, ma la moda trascende questi incarichi materiali e
funga da estensore del sistema nervoso al pari di altri mezzi di comunicazione.
Un abito è una protesi.
Esso apre un universo che comprende conoscenza, comunicazione, etica. La moda come
protesi e generativa di una forma incorporata ed estesa di azione sociale. Associando
all’esteriorizzazione un movimento corrispettivo di interiorizzazione è possibile che le
tecnoglice divengano abiti e vengano indossarli ovvero inglobati nell’organismo.
Le trasformazioni indotte dal digitale e la mediatizzazione del quotidiano non producono una
smaterializzaizone della corporeità. I media, e in particolare la moda, che è fra tutti il medium
più indossabile, portano il corpo nel mondo e il mondo nel corpo.
Quanto più incorporiamo una tecnologia, quanto più ci estendiamo nell’ambiente, tanto più lo
incorporiamo. La riflessione sulla moda è strategica per comprendere molti aspetti. La moda
consiste in una condizione di base dell’esperienza.
- Dalla descrizione sulla mediatizzazione della moda dovremmo passare a una
riflessione sulla modalizzazione dei media in cui il funzionando dei media segue le
logiche della moda. La moda non è qualcos che facciamo , ma qualcosa attraverso
cui agiamo nel mondo.
CAPITOLO 2-
Il fashion film: una prospettiva archeologica
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Nick Rees-Roberts lo considera la "forma visiva contemporanea per antonomasia", mentre
Adam Geczy e Vicki Karaminas lo interpretano come un'evoluzione del videoclip musicale
per lo stretto rapporto tra le immagini e la colonna sonora.
L'impatto del fashion film si deve a un trattamento degli abiti che ne esalta il fascino in
relazione al ritmo e alla metamorfosi, proprio come avveniva nei film a trucchi e nelle danze
serpentine filmate del cinema delle origini. Uhlirova ha poi ipotizzato una storia
ultracentenaria di questa forma filmica, partendo dai fashion newsreels nei primi del
Novecento, soffermandosi soprattutto su documentari e film pubblicitari realizzati per famosi
stilisti spesso in collaborazione con fotografi di spicco.
Delineata dagli studi di Siegfried Zielinski, l'archeologia dei media è una prospettiva volta
alla ricerca di un "tempo profondo" nella storia dei media. Altrettanto rilevante sarà
assumere una prospettiva che consideri la visione filmica in termini di coinvolgimento
sensibile, recuperando il concetto di "attrazione", esaltato dalle caratteristiche proprie del
fashion film.
L'impatto del fashion film si deve all'adozione e di modalità di rappresentazione non soltanto
influenzate da esperienze visive e artistiche contemporanee, ma che riecheggiano in senso
ampio l'immaginario del cinema delle attrazioni e la cultura visuale e spettacolare del XIX
secolo.
Tra i molti fashion film consideriamo due titoli emblematici: La flânerie, animato dalla volontà
di rispondere alla curiosità visiva degli spettatori e da un giocoso riconoscimento della
finzione costruita; attraverso semplici effetti speciali il fashion film attua il capovolgimento del
rapporto tra consumatori e beni di consumo, rendendo questi ultimi distratti flâneurs immersi
nella folla e generando inediti sguardi sulla società.
Il secondo titolo, Behind the curtain, esalta invece la tendenza alla spettacolarizzazione,
dove le immagini rievocano da un lato la tendenza al trucco e all'artificio tipica del XIX
secolo; dall'altro quella che è considerata un'esperienza di visione cinematica, espressa dal
fascino per i meccanismi e per l'animazione artificiale di figure statiche. Il film conduce lo
spettatore dietro le quinte, dove il backstage rappresenta l'ambientazione e il ruolo di
protagonista viene dato a modelle e professionisti. Ciò che colpisce è la logica compositiva
delle singole inquadrature, concepite come "quadri" autonomi.
Questi due fashion film si caratterizzano per le loro immagini ibride che mirano ad attrarre gli
spettatori e consumatori, alimentandosi a vicenda.
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Le due strategie ricorrono spesso negli anni seguenti in particolare per l'esibizione di
cappelli.
Un altro esempio di utilizzo del mascherino si ritrova ne La mode à Paris, dove troviamo una
sezione verticale al centro dell' inquadratura che mostra una serie di modelle con indosso
alcune creazioni che ruotano intorno al proprio asse grazie a una piattaforma mobile.
Simili strategie compositive ricorrono anche negli anni Venti, combinandosi con la
sperimentazione di tecniche di colorazione e instaurando un dialogo con altri media. Proprio
tra gli anni venti e i primi anni Trenta, un elemento attrazionale e' il colore, il quale, mediante
la tecnica del pochoir, amplifica l' impatto suggestivo dell' esibizione. Brillanti e seducenti, le
tinte non mirano soltanto a restituire ai tessuti il loro aspetto originario, bensì sembrano
staccarsi dalla pellicola come fossero esse stesse ad animarsi.
Le dinamiche tra figure umane e apparati artificiali o meccanici continuano negli anni ad
alludere a convergenze tra i relativi statuti e seppur stemperate dal punto di vista ideologico,
esse permangono nei decenni successivi, come esemplificano servizi di moda sia italiani sia
francesi sulle novità nel campo delle calzature. Quando si tratta di mostrare scarpe d'
eccezione si prediligono spesso inquadrature statiche concentrate sul supporto girevole,
quest' ultimo ora munito di una superficie riflettente che amplifica l'eleganza di esemplari
d'epoca. Gli esempi considerati hanno evidenziato come le convergenze e le ibridazioni tra
manichini e mannequins da una parte e lo sfruttamento di apparati mobili per l' animazione
dei prodotti dall'altra, declinano l'esibizione filmica di moda verso un' esperienza più
cinematica che cinematografica, in cui il movimento risulta da effetti di automatismo e la
stasi da un' esaltazione della posa.
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l'abbigliamento pronto della ditta conducendo gli spettatori dentro uno dei suoi stabilimenti,
mostrando i momenti salienti delle
fasi industriali con cui gli abiti prendono vita grazie alla sinergia di operai e macchinari.
Un'altra coppia di film attesta come l'animazione sia stata uno strumento funzionale alla
promozione delle qualità della moda confezionata. È quanto si può riconoscere in Il drop
perfetto e Vi sta a pennello realizzati rispettivamente per Marzotto e Facis da importanti
équipe di animatori nazionali. Differenti negli stili adottati, le pubblicità condividono un simile
utilizzo della figura del cerchio a scopo suggestivo, da un lato rievocando l'impatto di lontana
memoria già ricordato con l'uso del mascherino, dall'altro sintonizzandosi sul coevo
interesse per le forme geometriche promosse in vari ambiti visivi da designer e artisti.
La pubblicità dunque, bilancia molteplici sanzioni visive dando vita a immagini stratificate
dove convivono antirealismo, astrazione e trucchi.
Capitolo 3 -
Effetto speciale: il costume cinematografico digitale
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Edith Head, da molti considerata la più grande costumista del cinema americano, affermava
che la funzione primaria di un film fosse quella di narrare una storia e che il suo lavoro
consistesse nel trasporre l'attore dentro il personaggio a fini narrativi. In questo processo il
costume ricopre un ruolo fondamentale, perché la relazione costume-personag-gio è una
dimensione di per sé stratificata e complessa.
I costumi ri-assumono, rispecchiano ed evocano, per poter narrare storie, l'esistenza umana
nelle sue complesse dinamiche psico-socio-antropologiche (Morin, 1956), e possono essere
intesi come "pelle simbolica" del personaggio.
Il costume digitale è una parte integrante del design del film narrativo in particolare in generi
come il fantasy o film ispirati a videogiochi e, molto spesso, lo stesso discorso vale per le
scenografie.
Il corpo-costume digitale dei personaggi non è più una protesi scissa dal corpo dell'attore e
da adattare al suo fisico come accadeva in passato ma, grazie all’evoluzione della
tecnologia, il costume digitale è un tutt’uno con l’apparato narrativo audiovisuale. Un
esempio è il film di “Spider-man”, dove il costume digitale aumenta le potenzialità mimetiche
e di performance del corpo dell’attore.
Quando invece l'immaginario rimanda ad aspetti storici, il maggiore potenziale digitale dei
costumi è quello di consentire una ricostruzione simulata di texture e di materiali:
- se parliamo di film ambientati nel passato, il digitale permette di riprodurre materiali ormai
inesistenti, difficili da riprodurre in modo realistico nei laboratori specializzati delle industrie
tessili, sartoriali e chimiche.
- se parliamo di film futuristici, è possibile riprodurre abiti e modelli inesistenti nella storia
della moda mondiale
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rilevanti dell’attore così da acquisire un modello di movimenti fisici da poi trasferire sugli
avatar dei personaggi.
Nell'approcciarsi allo studio del costume digitale è importanie sottolineare due ambiti di
riflessione, uno esogeno e uno endogeno rispetto al cinema.
Da un lato vi è il campo della produzione di materiali digitali a servizio della punta
tecnologicamente più avanzata del sistema moda, dall'altro lato invece, vi è la ricerca
accademica che coniuga le scoperte dell'high-tech e dell'Ai alle possibilità di narrare aspetti
nuovi, in passato solo evecati o accennati nei film e oggi posti al centro della riproduzione
audiovisiva e del racconto.
Altre pratiche tipiche del cinema contemporaneo sono il live ac-tion, ovvero film adattati a
fumerti o videogiochi ma interpretati dal vero, come “Alice in Wonderland”; e il fenomeno
della gami-fication delle trame e della forma filmica, come “Final Fantasy”.
I costumi digitali ricoprono grande importanza in queste opere, specialmente perché sono in
grado di produrre effetti visivi impossibili da realizzare con i costumi dal vero (come ad
esempio il mantello dell’ invisibilità in “Harry Potter”).
In sostanza, lo spazio riservato dalla narrazione al discorso sulla produzione di costumi con
cui poter compiere azioni oltre l'ordinario, segnala l'importanza dei costumi digitali in un
contesto culturale che vede i settori della moda e dell'intrattenimento cinematografico e
transmediale sempre
più uniti nella ricerca di soluzioni tecnologiche avanzate anche rispetto all’abbigliamento.
In tutti i film in cui gli effetti speciali digitali suppliscono all'impossibilità del profilmico dal vero
di rispondere alle esigenze narrative ed estetiche, il complesso simbolismo generato dal
digitale contribuisce a coinvolgere lo spettatore in un'esperienza immersiva sul piano
bercettivo, cognitivo e affettivo.
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svariate forme della memoria, Le tecnologie digitali e informatiche ridefiniscono la relazione
tra questi 3 elementi di base, riproponendoli anche in forme interattive funzionali a una
maggiore partecipazione dello spettatore.
In prospettiva storica, Bode ricorda che inizialmente attore e truccatore erano responsabili
ognuno del proprio lavoro in modo distinto. L'unificazione estetica e drammaturgica dei due
ambiti è più evidente a partire da The Elephant Man (David Lynch, 1980), in cui il corpo del
personaggio appare consolidato con il trucco protesico. La fine dell'autonomia assoluta
dell'attore rispetto al trucco protesico avviene almeno a partire da L'alba del pianeta delle
scimmie (Rupert Wyatt, 2011).
Capitolo 4 -
Moda e serialità narrativa
Guardare le serie TV è un'abitudine condivisa dal pubblico globale. Le piattaforme di
distribuzione ampliano lo spettro di possibilità.
Mix di nuove produzioni e successi del recente passato (Sex and the City, HBO, 1998-
2004).
Le serie sono uno dei principali oggetti di discorso da parte dei pubblici e dei media stessi: le
trame occupano uno spazio di rilievo nei quotidiani, come nei magazine, insieme a
commenti sui personaggi e sempre più spesso sugli outfit.
Analisi della relazione tra le serie TV e il mondo della moda, attraverso uno sguardo
sociologico.
Il guardaroba dei personaggi riveste infatti una grande importanza nella costruzione
narrativa: gli abiti, gli accessori, le calzature non partecipano solo alla definizione identitaria
dei protagonisti ma anche verso riflessioni culturali.
L’abbigliamento produce una sotto traccia, i mutamenti dei singoli personaggi e la sua
classe sociale (Élite).
La moda partecipa alla rappresentazione (finzionale) delle dinamiche sociali: l'abito "fa il
monaco" e si evidenzia la differenza di classe.
In questa serie i diversi guardaroba non appaiono legati a riconoscibili brand di moda, o a
fogge e colori presenti nei magazine più noti.
Non sono presenti Flagship Store ( sponsorizzazione di un marcio ) o scene di acquisto di
capi.
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Dall’altro lato invece sono gli outfit a guidare lo spettatore verso la comprensione di specifici
snodi della narrazione.
L'uso di certi capi di vestiario, in specifici momenti, viene per esempio accostato a casi di
molestie. Inoltre è grazie all'atmosfera determinata dall'abbigliamento, insieme a oggetti di
design, che Sex Education propone il recupero di un'estetica del passato, capace di
indirizzare lo sguardo dello spettatore verso possibili e ulteriori livelli di significato del testo.
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- Vinili al posto del digitale
- Biciclette; Auto di un decennio fa.
- Guardaroba dei personaggi: anni 80
Recap e clip e interviste (create sia da Netflix che dai Fan) sono importanti perché
permettono la connessione con lo spettatore oltre i confini della storia
- Dettagli sulla storia
- Dettagli sulla location
- Approfondimenti sugli outfit
La complessità della serie tv da la possibilità all’oudience di reagire : creando prodotti che
richiamano la storia.
I fan che “indagano” sulla storia e sugli indizi per gli sviluppi futuri e sugli outfit indossati.
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- Definizione della personalità e del carattere ( in base a come viene indossato ) =
conferisce unicità al personaggio.
- Questione tempo : lo spettatore ne ha poco per distinguere i personaggi. Es. gli
“intoccabili” che esibiscono la loro appartenenza di classe attraverso abiti Firmati e
oggetti di status, ponendosi all'apice della scala gerarchica sociale. Al contrario ci
sono studenti collocare come outsider, sportivi, e mainstream.
Nella serie la questione “abbigliamento” non è dibattuta (come accade invece per altre serie,
per esempio Gossip Girle Emily in Paris, Netflix, 2020-in corso), sul web invece è molto
dibattuto.
Per alcuni personaggi, invece, gli outfit funzionano come discorso politico: facendo
riferimento a stili e stilemi subculturali essi rappresentano modi di definizione delle singole
personalità (Eric).
Per Meave gli outfit sottolineano l’evoluzione del personaggio: nella prima stagione ha un
estetica post punk mentre nella seconda stagione meno.
Jean (la madre di Otis), appare vestita con tute, pantaloni, colori che rimandano a una
eleganza senza tempo. L'abbigliamento è dunque un elemento determinante per la
(problematica) contestualizzazione della storia.
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4.5 La complessità fra vintage e narrazione
l'abbigliamento non rappresenta uno dei temi principali della narrazione, ma di fatto esso
riveste un ruolo decisivo: caratterizza i protagonisti ed è necessario per sottolineare alcuni
importanti passaggi della storia. - aperture e approfondimenti sui significati degli abiti e sull'
importanza che assumono rispetto al vissuto dei personaggi.
I fit richiamano un generico, recente passato. Effetto = spaesamento temporale.
La giacca di Otis, per esempio, è un capo che cita esplicitamente lo stile degli anni Ottanta. -
sembra aver acquisito una funzione di tipo metonimico - se c'è la giacca, allora c'è anche
Otis.
La forma semplice, unita all'uso dei tre colori primari (un giallo tenue, insieme a rosso e blu),
rimandano a un complesso di significati simbolici: energia, passione, ma anche calma e
affidabilità. = Otis
L'atmosfera generale dello show presenta dunque una connotazione vintage, riscontrabile
nell'abbigliamento, nel design della scenografia e nella colonna sonora. La logica che
accompagna il vintage si basa su una valorizzazione del passato associata alla ricerca del
nuovo.
Capo retrò = definisce il carattere di un personaggio e valorizza il passato.
Sfondo nostalgico ma personalità, temi e trame molto contemporanei.
Abbigliamento queer = conseguenze per Eric
Jeans stretti = abuso per Aimee
Passato e presente. Adulti che riconoscono capi della propria adolescenza e giovani che
vedono nuove e accattivanti proposte.
Capitolo 5 -
Moda, sottocultura e sperimentazioni di genere nella serie tv “Pose”
Questo capitolo indaga come la serie televisiva Pose narra la performatività artistica e di
genere nell'ambito della sottocultura house and ballroom. La domanda di ricerca alla base
dell'analisi è se Pose possa rappresentare una narrazione inedita delle comunità
LGBTQIA+, nella misura in cui ne descrive una sottocultura specifica “il ball” come spazio di
performance del genere attraverso la moda, secondo traiettorie complesse di negoziazione
simbolica con la core culture dominante.
Secondo Simmel, la moda contribuisce a definire appartenenza specifiche cerchie sociali,
permettendo di aderire a canone espressivi consolidati o di violarli. La moda diventa
metafora perfetta della cultura, intesa come eterna lotta tra vita e forme: infatti, essa si
esprime in forme passeggere e transitorie, cioè gli stili vestimentari, che si diffondono per
imitazione dei ceti elevati a quelli inferiori e vengono ciclicamente rimpiazzati da nuove
mode.
Inoltre analizza la dinamica della produzione culturale legato alla moda, identificando in issa
la coesistenza di opposte tendenze all’imitazione e alla differenziazione individuale:
imitazione perché l’individuo, attraverso la moda, aderisce a determinati canoni stilistici per
sentirsi parte di un gruppo; differenziazione perché l’attore sociale matura il bisogno di
distinguersi dalla massa, alimentando il cambiamento e la metamorfosi dello stile.
In continuità con Simmel, che concepiva la moda come spazio di socializzazione distinto per
classi, Hebdige fa riferimento a legami tra differenziazione sottocultura e moda, intesa come
medium della sovversione della norma sociale dominante. Lo stile, concepito come forma di
rifiuto della cultura dominante, è il frutto di segni, visioni, concezioni del mondo che consente
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ai gruppi di definire l’immagine di sé attraverso la moda, ribaltando canoni e convenzioni.
(Cita il punk, il mod e il reggae, come esempi di sottoculture contrassegnate da specifici
stili). Nelle culture pop degli anni 80 e 90 del secolo scorso la moda mette in campo le sue
qualità sia di medium per formativo, attraverso la messa in scena del corpo, secondo rituali
mediali, culturali e sociali (sfilate, esibizioni, flash mob) sia di medium espressivo, capaci
cioè di rimediare tutte le culture visuali.
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capacità di interpretare il modo più creativo la categoria in cui concorrono, sulla base
dell’aspetto fisico, dell’acconciatura e delle movenze.
Parte integrante della performance nel ball sono inoltre il reading (l’insultare direttamente un
rivale in maniera ironica) e lo shade (l’insulto indiretto). L’esuberanza dei costumi
artigianalmente allestiti, l’atmosfera dionisiaca delle danze, la potenza coinvolgente delle
canzoni pop contribuiscono a definire l’estetica queer dei balls.
La moda può essere concepita come un insieme di pratiche, fenomeni e rappresentazioni
riferite all’abbigliamento, ma in grado di influenzare pittura, scultura, musica, teatro,
architettura, danza e decorazione della casa. La moda è anche una potente industria
culturale capace di modellare l’immaginario iconografico di un’epoca. Le star del ball delle
varie houses, a partire dalla stessa Blanca, guardano alle modelle acclamate, alle tendenze
e agli stili del sistema della moda come modelli estetici da reinterpretare, attraverso atti
politici di rivendicazione dei propri percorsi di costruzione identitaria.
L’episodio Acting Up, ambientato nel 1990, racconta le reazioni della comunità house and
ballroom all’uscita del singolo di Madonna Vogue, prima avvisaglia di un processo di
“mainstreammizzazione” della cultura del ballroom. Nella comunità si fronteggiano due
schieramenti: da un lato quanti vedono positivamente la possibilità di una maggiore
conoscenza della sottocultura in cerchi sociali più ampie, in quanto fioriera di visibilità per le
lotte LGBTQLA+; dall’altro quanti percepiscono in tali processi rischio di una banalizzazione
della cultura queer.
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differenziazione sociale e culturale attraverso cui le sottoculture imbastiscono la sfida
all’ordine simbolico della cultura dominante.
Pose costituisce un passo in avanti nella rappresentazione mediale di personaggi trans,
evitando di schiacciare il racconto sul dramma dell’AIDS e di ripetere rappresentazioni
stereotipate. La capacità della serie nel restituire, nella sua complessità, la sottocultura
house and ballroom è stata attribuita alla stampa, la scelta di ingaggiare sceneggiatrici-
produttrici e attrici provenienti dalla comunità LGBTQLA+ statunitense.
La produzione di Pose si può collegare sia a un rinnovato interesse per le scene culturali
della New York degli anni 80, sia ad una più ampia visibilità offerta alla figura di donne e
uomini trans nelle produzioni culturali contemporanee. Pose testimonia la vitalità della
serialità televisiva contemporanea nel raccontare, in forme narrativamente coinvolgenti,
sottoculture marginali o dimenticate.
CAPITOLO 6-
Performance e identità tra orizzonte della moda e culture digitali
Una delle forme con cui la moda si comunica al pubblico è la sfilata, un evento spettacolare
organizzato da uno stilista o una casa di moda per mostrare le proprie collezioni di
abbigliamento.
6.1 Il carattere performativo della moda
Il ruolo della moda è stato centrale sia per lo sviluppo delle culture visuali, materiali e delle
arti performative, sia nella definizione delle politiche, contraddizioni e questioni sociali degli
anni '80 e '90.
Paradigmatica è stata la convergenza tra la crisi del tardo capitalismo e una concezione del
corpo veicolato dalla moda mainstream, da cui è scaturita una nuova logica estetica basata
sull'imperfezione, la diversità, e coerente con l’instabilità e la molteplicità identitaria dello
stile postmoderno. La precarietà dell'identità postmoderna è enfatizzata dalla funzione
dell'abito come 'struttura', capace di inquadrare il soggetto, etichettandolo, ma anche di
"disperderlo" su più modalità di presentazione della propria immagine.
Oggi l'identità è frammentata ed "emozionale": l'individuo si appropria delle dinamiche della
moda per ridefinirsi volta per volta. La moda contemporanea trae ispirazione da questa
condizione di instabilità collettiva: lo fa sperimentando nuovi lessici e codici, che traduce in
performance identitarie attraverso narrazioni, immaginari inediti e ideali di bellezza
alternativi.
Tale visione ha cambiato anche la presentazione degli immaginari di riferimento dei brand e
dei loro storytelling, che rimandano a scenari teatrali e a tecniche e culture digitali.
In questo quadro si inscrive il "post fashion", a proposito di tutte le esperienze che
decostruiscono la modernità e la sua idea di moda e bellezza. Espressione di un linguaggio
transcorporeo, la "fashion at the edge" è una forma di devianza rispetto alla moda intesa
nella sua funzione standard. Questa branca della moda trova le sue radici nell’haute couture
di John Galliano per Dior, nel feticismo di Mugler, Montana e Versace, e nella produzione di
McQueen. Più recenti, le collezioni di Alessandro Michele per Gucci, le visualizzazioni post-
tribali di Balenciaga e il recupero dello streetwear e delle sottoculture di Off-White (Virgil
Abloh).
Le sfilate sono mediali, concettuali e fondate più sull'esperienza emozionale e sensoriale
che sulla tradizionale comunicazione e fruizione monodirezionale di una collezione. Hanno
anche una funzionalità riflessiva: costruiscono con il pubblico un immaginario esperienziale
collettivo e condiviso e promuovono un dibattito su tematiche politiche e sociali.
6.2 Teatralizzazione della moda, media digitali e fashion performance
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Il rapporto tra moda e teatro è campo di sperimentazione artistica e sociale, soprattutto dalla
fine dell'800, quando le prime maison di moda si strutturano come teatri
Ciò porta alla creazione delle prime performance di moda teatralizzate, tra cui la sfilata
concepita da Lucile nel 1909, The Seven Ages of Women, uno spettacolo teatrale in cui
veniva mostrato il guardaroba della perfetta donna dell'epoca attraverso le varie età della
vita. Anche le feste in stile orientale di Poiret, finalizzate sia alla commercializzazione dei
prodotti sia all'intrattenimento, sfociavano spesso in eventi teatrali.
Il teatro ha trovato nella moda un luogo di dialogo:
La messa in scena della moda è essa stessa una performance, in quanto ne condivide i
simboli, i rituali, gli strumenti, le logiche di rappresentazione e le finalità.
Dagli anni '60, la moda è sempre più diventata spazio di sperimentazione performativa: le
sfilate integrano le logiche economiche dell'esposizione della merce a quelle artistiche di
produzione dell'evento scenico. Negli anni '80 ha cominciato a diffondersi la digital
performance, che integra le tecnologie informatiche agli eventi performativi.
Le fashion performances sono costituiti da un'ampia drammaturgia, in cui spazio teatrale e
performativo, moda e media digitali, entrano in contatto in modo biunivoco.
In questa categoria rientrano:
● gli eventi ad alta carica performativa, come sfilate o flash mob, che riprendono le
modalità comunicative di matrice tribale, fondate sull'appartenenza valoriale e
simbolica e sulla transitorietà (pop-up e temporary stores).
● gli spazi di produzione dell’identità in forma performativa legati all'utilizzo di abiti e
accessori all’interno di spettacoli teatrali, pop performance e performance
cinematografiche.
Le fashion performances diventano fashion experiences, basate più sulle modalità narrative
che sulle collezioni. Tali modalità si concentrano spesso su tematiche di cui la casa di moda
si fa portatrice.
Dunque, le fashion performances legano:
Questi formati sono parte integrante delle logiche di fidelizzazione della moda attorno a un
sistema simbolico di significati.
I teatri tradizionali vengono sempre più utilizzati per la messa in scena di eventi che
connettono spazio teatrale e spazio della moda. Lo spettacolo-sfilata Jean Paul Gaultier
Fashion Freak Show è costruito come un enorme circo, in cui i protagonisti sono anche gli
abiti e gli accessori, affiancati a giochi di luce e video proiezioni.
Nel medesimo ambito si interpretano le collaborazioni tra designer e registi-coreografi, come
quella tra Merce Conningham e Rei Kawakubo per i costumi dello spettacolo Scenario,
ispirati alla collezione "ready-to wear" 1997 di Comme des Garçons Body Meets Dress,
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Dress Meets Body, celebre per le distorsioni corporee e per l'indistinguibilità tra corpo e
abito.
La sfilata Voss della collezione primavera-estate 2001 di Mc-Queen è famosa per la sua
critica sociale rivolta al sistema della moda, i rimandi alla malattia mentale e i richiami del
binomio backstage/on stage. La passerella è sostituita da un box trasparente che racchiude i
mannequins, riducendo le relazioni umane a mere interazioni tra oggetti. Viene orchestrata
una rappresentazione feticista, voyeuristica e paranoide che dà l'effetto di uno spettacolo
privato delle modelle. Alla fine, un altro box rivela l'opulenza e il disfacimento del corpo
nudo, svelando l'ambiguità del binomio bellezza-orrore in un ribaltamento degli ideali estetici
più convenzionali.
6.3-Nuove tecnologie e corporeità
Nelle fashion performances la corporeità è mediata sia nell'atto performativo sia nel
processo di autonarrazione recitato dal corpo vestito, e si configura come una
rappresentazione identitara.
La moda è la «progressiva teatralizzazione che dal mondo dello spettacolo si estende alla
scena sociale, politica, culturale, investendo i corpi», che si conformano o meno a
determinati canoni sociali ed estetici. La dimensione fisica è percepita attraverso la
dimensione sociale, messa in scena grazie alla moda che veicola messaggi simbolici. Nella
moda il corpo è rappresentato attraverso un gioco di maschere il cui fine è la delimitazione di
un "corpo flusso".
Il corpo contemporaneo è senza confini, senza identità fisse, si confonde con l'esterno e si
modifica all'infinito. L'alterità tecnologica e digitale è essenziale sia nella costruzione
dell'identità, sia nell'esplorazione di traiettorie di devianza in cui la moda trova possibilità e
sviluppo.
La naturalizzazione della tecnologia nello spazio corporeo realizza l’immaginario del corpo
cyborg: la soggettività muta in un oggetto (il feticcio) dando forma a un nuovo modello
identitario su un palcoscenico fittizio (schermo o realtà virtuale). L'effetto è quello di
un'alienazione, di una de-umanizzazione che si replica in un meccanismo di produzione di
massa o di esposizione replicante del sé nei social media.
Nella sfilata primavera-estate 1999 di McQueen vengono discusse le criticità di una società
sempre più tecnologica. La modella danza come una bambola di un carillon tra due robot
metallici, tipici di uno stabilimento di produzione automobilistica; le due entità si fanno
sempre più minacciose e sporcano l'abito bianco con getti di spray. Harlow incarna la
giustapposizione tra organico e inorganico. La performance rimanda al ruolo di agency
assunto dagli abiti nella relazione tra persone, nonché alle similitudini tra le relazioni sociali e
le relazioni tra oggetti.
Il ruolo della tecnologia come matrice di una denaturalizzazione dell’identità personale,
verso l'acquisizione di una soggettività replicante, è pure oggetto delle collaborazioni di
Gareth Pugh con Ruth Hobgen per SHOWstudio. Le collezioni autunno-inverno 2009 e
primavera-estate 2011 sono rappresentazioni della tecnologia come annullamento della
distanza tra natura e artificio, tra uomo e macchina. Gli abiti sono presentati attraverso una
replica ritmica e post-tribale di movimento, in una realtà che appare aumentata. La
percezione finale è quella di una identità individuale e sociale mediata dalla pervasività
tecnologica nella vita quotidiana, (attore sociale come androide/replicante).
6.4-Corpi estesi
L'avvento del digitale apre a una serie di tecnologie indossabili, abiti dall'alto portato
tecnologico che dialogano con i corpi sino a ridefinirli.
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Fine anni '50-inizio anni '60: Alvin Nikolais, con extended body, concepisce l'abito come
un'estensione/protesi del corpo, riconoscendo nel movimento il principio che regola tale
relazione.
Il corpo diventa spazio su cui riscrivere la pelle utilizzando il tessuto. Sia l'abito che il
costume di scena sono intesi come estensioni corporee, ma la dimensione extraquotidiana
che il costume scenico condivide con alcune creazioni d'alta moda, lo differenzia dall'abito.
Sono sempre di più i vestiti realizzati con tecnologie indossabili, grazie alle quali si produce
una fashionable technology. I media e la tecnologia diventano essi stessi prodotti da
consumare all'interno del circuito della moda. Questa tendenza implica la comparsa di abiti
smart che fungono da protesi e modificano il rapporto tra corpo, abito e spazio. È il caso
della performance The Jew of Malta (2002) del collettivo Art+com, che pensa a costumi
bianchi che cambiano grazie a un sistema di motion capture live. Utilizzando i costumi come
superficie di proiezione, le emozioni e le credenze dei personaggi sono visualizzate sui loro
corpi.
Oggi la moda lavora in sinergia con la tecnologia per produrre abiti e accessori intelligenti in
grado di dialogare con il corpo di chi li indossa.
L'azienda canadese Myant ha progettato tessuti aumentati in grado di monitorare molte
funzioni vitali del corpo. Questo produce corpi ex-tesi, ossia corpi mutanti che performano il
loro rapporto con gli abiti attraverso una serie di azioni drammatiche basate su wearable
performances. I media digitali in questo spazio diventano parte integrante del corpo e sono
fondamentali nel rapporto tra attore/audience, attore sociale/spazio di produzione e
consumo della socialità.
Infine, le logiche di estensione dei corpi si traducono in spazio di sperimentazione delle
possibilità dei corpi. McQueen e Pugh inscenano un corpo esteso, differente, fatto di protesi
e riscritto dalla relazione con i media digitali.
Emblematico è il lavoro di Nick Knight del 1998 per la rivista "Dazed & Confused", curato da
McQueen: un progetto, intitolato Access-Able, sul corpo frammentato, paradigmatico di
conflitti interiori ed esteriori, con protagonisti portatori di disabilità. Per sfidare i preconcetti
su ciò che è considerato bello, Knight enfatizza un criterio di devianza estetica (corpo
mutilato o con dispositivi protesici) e quindi lo scambio dialettico irrisolvibile tra fisicità,
materialità, forza e fascino come metafora della frammentazione della soggettività
contemporanea. Pugh, invece, utilizza esoscheletri e altri dispositivi digitali per produrre
figure e corpi sempre in movimento.
Antigona, creata nel 2017 con lo studio Werkflow, è un'opera interattiva esplorabile a 360º,
che integra performance artistica, fashion performance e performance digitale.
6.5-Moda e performance dopo la pandemia
L’emergenza sanitaria della pandemia ha inciso sul sistema della moda e sulle sue
rappresentazioni. La sfilata di Gvasalia per Balenciaga della collezione autunno-inverno
2020-21 si è tenuta in un set apocalittico e i modelli hanno sfilato come sopravvissuti al
cambiamento climatico. Oggi la funzione dell'abito è anche quella di offrire una protezione. I
media digitali diventano spazio di sperimentazione di pratiche di rappresentazione e di
consumo nuove, sia per il medium scenico che per la moda stessa. Le performance
costruite online si basano su nuovi modelli di interazione tra attore e audience e si aprono ad
una nowness, ovvero alla condivisione di un tempo in uno spazio mediatizzato e
digitalizzato. Durante la pandemia, molte settimane della moda sono state organizzate
online e i brand hanno affidato le proprie creazioni a presentazioni digitali o a forme inedite
di comunicazione performativa. Con la pandemia, la moda e il teatro sono stati chiamati a
ripensarsi, anche nei loro codici comunicativi e performativi.
22
CAPITOLO 7
L'editoria di moda: dalla carta al digitale
Vogue, Vaniy Fair, Grazia, Elle; Cosmopolitan; Marie Claire: Tutti periodici dedicati alla
moda, che con la loro carta patinata, la copertina lucente e levigata che spesso ritrae
modelle e celebrità, attirano facilmente l'attenzione negli espositori delle edicole.
Nonostante i pregiudizi questi periodici svolgono alcune importanti funzioni, oltre a quella
ovvia di informazione intrattenimento: raccontano visivamente l'evoluzione dei costumi e
dell'immaginario sociale
Si tratta, da un lato, di prodotti culturali realizzati da professionisti (i giornalisti) che mirano
all'autonomia editoriale e alla costruzione di un rapporto di fiducia con i lettori, dall'altro sono
merci la cui sopravvivenza è assicurata dai brand di moda.
Che cosa sono i fashion magazine?
I fashion magazine sono pubblicazioni periodiche, a cadenza settimanale o mensile, che
hanno per oggetto principale la moda.
Oltre alla moda si occupano anche di altri topic, come bellezza e cosmesi, allargandosi a
tutti i temi catalogabili sotto l'etichetta di lifestyle, come per esempio i
viaggi, gli acquisti, la cultura, l'alimentazione.
Il sito italiano di "Vanity Fair", similmente, si propone di raccontare «tutto su celebrity,
attualità, costume, moda, bellezza, cinema, musica, TV, benessere, viaggi, food e gossip»'
Queste riviste tradizionalmente si rivolgono alle donne ma esistono anche prodotti editoriali
omologhi per il pubblico maschile, quali "L'Uomo Vogue" e "Esquire".
I magazine maschili rendono visibile la rivendicazione maschile di terreni quali moda,
esteriorità e cura di sé come ambiti non esclusivamente riservati alla donna. Ma rispetto alle
riviste femminili tendono a trattare anche argomenti riguardanti politica, tecnologia,
attualità ....
Moda, pubblicità e fotografia
Comune ai fashion magazine è la forte componente iconografica: le riviste sono occupate da
fotografie in una proporzione impensabile per il giornalismo "tradizionale" dedito alle hard
news ma anche per altri generi del giornalismo lifestyle.
Le illustrazioni sono in parte fotografie scelte e commissionate dalla redazione a corredo
degli articoli, in misura superiore, pubblicità di inserzionisti, in particolare brand di moda e
cosmesi.
Le pubblicità possono occupare un' intera pagina o intervalli di più pagine.
Ad esempio nell'edizione di "Vogue Italia" di ottobre 2021, superata la copertina che ritrae
Lady Gaga, il lettore incontra venti pagine di pubblicità dove dieci brand, quali Vuitton, Saint
Laurent, Prada e Chanel, occupano due pagine ciascuno. Le fotografie a doppia pagina non
riportano alcun testo al di fuori del nome del
brand.
Una terza forma di presenza della fotografia è l'advertorial: a metà strada tra un servizio
redazionale e una pubblicità, il contenuto testuale redato dal giornalista si mescola alle
illustrazioni di un prodotto, stile o collezione.
La fotografia domina le riviste di moda, che di fatto somigliano a libri illustrati
in cui l’abbigliamento e lo stile sono rappresentati visualmente. Si tratta in un certo senso, di
"specchi” in cui le lettrici si possono riflettere.
23
formano la triade costituiva del fashion magazine contemporanei. Il legame tra questi tre
elementi si consolida fino a raggiungere la sua massima forza negli anni Ottanta e Novanta
del Novecento, quando le aziende di moda reclutano fotografi di primo piano per creare le
loro immagini e vendere, prima ancora dei loro prodotti, uno sguardo sulla moda, uno stile di
vita: Gough Yares (2003) identifica gli anni Ottanta come "età dell'oro" delle riviste di moda
anche per l'ampliamento dell'offerta editoriale, con magazine sperimentali, di avanguardia e
interessati allo street-style in cui la moda si incontra con l'arte e la musica,
La pubblicità diventa una presenza importante a partire dagli anni Trenta dell'Ottocento: in
un contesto di sviluppo tanto del mondo tessile quanto di quello urbano, si crea un nuovo
spazio per il consumo di moda femminile e il genere dell'advertorial si afferma come
un'alternativa letteraria e artistica alla "volgare" pubblicità.
Ma il modello commerciale del magazine contemporaneo si impone solo negli anni Novanta
dell'Ottocento: alte tirature, vendita della rivista a un prezzo inferiore al costo di produzione e
profitti generati dalle inserzioni pubblicitarie.
Nel 1892 nasce l'edizione statunitense di "Vogue", che segue di un quarto di secolo il lancio
di "Harper's Bazaar" nel 1867.
Il pubblico di queste prime riviste di moda, allora settimanali, è la benestante upper-class
femminile delle tre "capitali dello stile": Parigi, Londra e New York - città che si
contendevano il titolo di centri propulsori delle tendenze prima di essere affiancati negli anni
60 del Novecento da Milano
Alla fine degli anni 2000 il mondo dei fashion media cambia. I blog conquistano
una visibilità data soprattutto dalla novità del formato.
24
Tra il 2002 e il 2003 compaiono i primi fashion blog (Sinclair, 2002; Rocamora, 2011), la cui
rilevanza diviene evidente verso la metà del decennio.
Qualche anno dopo è il turno dell'Italia: "The Blonde Salad", sin dalle origini il più popolare
blog nostrano, nasce nel 2009. Rapidamente il diario personale di Chiara Ferragni, come già
altri blog internazionali, si rivela capace di "produrre pubblico", di attrarre cioè nuovi lettori,
che di solito non acquistano riviste, soprattutto giovani donne appassionate di moda. Grazie
alla capacità di creare audience alcuni blogger si affermano come figure di rilievo nel campo
della moda. Siedono in prima fila alle sfilate, ricevono capi da recensire e indossare,
vengono coinvolti nelle campagne pubblicitarie.
Le principali testate cartacce, come "Vogue", "Elle", “Marie Claire": creano piattaforme online
in cui moltiplicano i contenuti e la varietà di temi trattati.
Gli esempi dei fashion blog (come forma di pubblicazione online non sempre inquadrabile
nell'editoria) e dei magazine di nicchia (come espressione di un rifiuto, almeno parziale,
della natura commerciale delle riviste di moda) indicano che il campo dei fashion media non
solo si amplia, ma si trasforma in modo irreversibile. Il digitale costringe l'editoria tradizionale
a rivedere i propri meccanismi di funzionamento.
I blog nascono come diari personali di giovani appassionati di moda per poi evolvere in
prodotti editoriali online che, pur mancando dei requisiti formali delle riviste (la registrazione
presso un tribunale, l'organizzazione del lavoro tipico di una redazione, la presenza di un
direttore editoriale e di giornalisti professionisti, e così via), ne insidiano il target e attraggono
investitori pubblicitari che avrebbero normalmente acquistato spazi pubblicitari sulle testate
offline.
Le differenze tra un blog e un magazine risiedono nella divisione del lavoro e negli obiettivi
perseguiti: le riviste puntano al successo commerciale, alla soddisfazione dei lettori,
all’autonomia del processo editoriale e al mantenimento dell'immagine di giornalisti
professionisti, mentre ai fashion influencer non sono richieste le competenze dei giornalisti
professionisti.
CAPITOLO 8
A cavallo tra gli anni Novanta e i Duemila nel campo della fotografia di moda si è affermata
la cosiddetta sapshot aesthetic.
Una nutrita schiera di fotografi emergenti infatti ha progressivamente riportato la vita vera
nello spazio tradizionalmente destinato all'evasione dall’ordinario, con stati d'animo e stili di
vita autentici, declinazioni non stereotipate di bellezza e una particolare ammirazione per lo
stile decadente (come quello dell’heroin chic= look che è possibile associare all'aspetto
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trasandato, sia fisico sia vestimentario, della figura del loser, giovane anticonformista e
apatico, talvolta dedito all'uso di droghe).
CAPITOLO 9-
Brand come media, consumatori come audience
Lo scopo del capitolo è mettere in risalto come i social siano un ponte tra consumatori e
brand, e come questo influisca sul sistema moda. Le marche si sono dovute adattare ad
essi, anche con le pubblicità, che devono essere in grado di comunicare in modo adeguato
stando al passo con i nuovi scenari. Il legame di un brand con i clienti non vi è solo al
26
momento dell’acquisto e uso del prodotto ma anche nel momento in cui essi interagiscono
come audience (pubblico sui social).
Capitolo 10 -
Dai fashion blogger ai fashion influencer
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A partire dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso, quando sono nati i primi blog, moda
e social si sono intrecciati in un complesso percorso di reciproca evoluzione che ha portato
alla creazione di nuove forme di comunicazione e figure professionali, fra le quali
l'influencer: un personaggio popolare in rete che ha la capacità di influenzare comportamenti
e scelte di un determinato gruppo di utenti e di potenziali consumatori.
A partire dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso, quando sono nati i primi blog, moda
e social media si sono intrecciati in un complesso percorso di reciproca evoluzione che ha
portato alla creazione di nuove forme di comunicazione e figure professionali.
Fra queste merita particolare attenzione la figura dellinfluencer, ovvero un personaggio
popolare in rete, che ha la capacità di influenzare i
comportamenti e le scelte di un determinato gruppo di utenti e, in particolare, di potenziali
consumatori, e viene utilizzato nell'ambito delle strategie di comunicazione e di marketing.
La moda è stata certamente la culla di tali figure, come per esempio Bryanboy, fra i primi
fashion blogger di fama internazionale e, nel contesto italiano, Chiara Ferragni, prima autrice
del fashion blog "The Blonde Salad", poi influencer, oggi imprenditrice e celebrità mediale.
28
La seconda ondata è caratterizzata dalla professionalizzazione dei blogger, dalla possibilità
di collaborare dietro compenso con i brand della moda e dall'accesso allo status di celebrità:
i blogger sono coinvolti in iniziative branded attraverso omaggi di capi e tramite l'invito a
scrivere per piattaforme editoriali di blog. Dalla prima alla seconda ondata si passa da un
approccio che puntava a esaltare la condivisione della creatività individuale a uno
"aspirazionale" in cui il blog diventa uno strumento di esibizione del sé e una via per ottenere
fama e prestigio.
In sintesi si possono delineare due linee evolutive dei blog nel campo della moda: da un lato
i blogger - non solo quelli di moda - hanno abbandonato l'amatorialità a favore di una
professionalizzazione della loro figura; dall'altro le aziende hanno aumentato la loro
attenzione verso i fashion blogger avviando forme di collaborazione con l'obiettivo di
intercettare nuovi target, ampliare il proprio posizionamento in interno. E in questi stessi
anni, in particolare fra il 2008 e il 2010, che si assiste a una forte crescita dei social network.
29
ed edizioni digitali. In Italia si registrano diverse sperimentazioni, fra cui spicca quella di
"Vogue", che inaugura un'enciclopedia di moda collaborativa chiamata Vogue Encyclo.
L'evoluzione dei magazine di moda prosegue tra varie contaminazioni, fra cui l'avvio di
sezioni e-commerce, il coinvolgimento di blogger in qualità di contributor e il lancio di blog di
giornalisti. L'apertura al digitale rinnova anche i cosiddetti publiredazionali, ovvero iniziative
editoriali e pubblicitarie insieme, denominate advertorial, realizzate in collaborazione con i
magazine o con gli influencer previo pagamento. I confini fra fashion insider e outsider si
fanno sfumati, perché i blogger (prima outsider) vengono inseriti nel sistema e
parallelamente i giornalisti (prima insider) si raccontano sui blog e coinvolgono pubblici
sempre più ampi adeguandosi alla velocità del web. Questo processo conosce un punto di
arresto nel 2015 quando Condé Nast, uno dei più grandi gruppi editoriali mondiali, chiude il
proprio portale di blogging.
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propria identità. Moda e narrazione di sé si fondono nella fashionable persona, in cui il
racconto del proprio stile si ispira a forme narrative già presenti nella moda o nella cultura
popolare. Nel caso dei fashion blogger il percorso di costruzione del sé si lega strettamente
al self branding. La costruzione di autenticità è parte del processo di creazione del rapporto
di fiducia con il proprio pubblico e comprende tre elementi: un contenuto veritiero e sincero,
una relazione disinteressata con l'audience e la trasparenza sui prodotti sponsorizzati o
omaggiati. Il processo di self branding e di codifica della propria identità in alcune
caratteristiche che possono essere maggiormente gradite al pubblico non è privo di tensioni,
nella misura in cui l'influencer è chiamato a bilanciare il desiderio di esaudire le aspettative
dei follower e quello di sperimentare nuovi contenuti.
Il pubblico dunque è un elemento attivo nella costruzione dello status del blogger/influencer.
I social media studies concettualizzano questa dimensione parlando di audience
immaginate, ovvero ci che non sono visibili come nella relazione interpersonale ma che si
possono intuire e costruire sulla base dell'interazione. Il processo di fidelizzazione si basa
soprattutto sulla proposta di contenuti legati alla quotidianità e alla costante presenza sui
social media, creando uno spazio di intimità con i fan/follower individuato sia dai social
media studies sia dai fashion studies. La relazione degli utenti da una parte risponde alle
logiche partecipative del web 2.0, dall'altra è stata interpretata in chiave critica come una
forma di "lavoro immateriale" non retribuito in cui gli utenti sono sfruttati in una prospettiva
neocapitalista da parte delle imprese. Si tratta di processi complessi e ambivalenti,
soprattutto quando sono portatori di messaggi connotati in modo valoriale.
Una prospettiva di analisi interessante a questo proposito emerge nella misura in cui i
fashion studies offrono letture interpretative di matrice femminista. Si tratta di una
manifestazione del commodity feminism, in cui gli ideali femministi diventano scelte
individuali di consumo.
Un terzo nucleo tematico riguarda l'istituzionalizzazione dei blogger e degli influencer
all'interno delle industrie culturali della moda e dei media.
Considerando il sistema dei media, i fashion blog si sono posti come alternativi e al
contempo complementari ai fashion magazine, anche se, i blogger di moda rispecchiano e
riproducono con maggiore ambiguità la dialettica fra contenuto editoriale e sponsorizzato
Il processo ha seguito diverse direttrici. In primo luogo è stata la relazione stessa fra
blogger/influencer e brand, a costituire un fattore indispensabile di consolidamento dello
status, costruzione di una professione e mantenimento della propria identità. Il processo
di assorbimento si è poi giocato a livello simbolico in quanto i fashion blogger sono diventati
intermediari culturali, ovvero soggetti in grado di produrre un nuovo «<immaginario di
moda». In questo movimento emerge un aspetto ricorsivo e paradossale, perché i brand si
avvicinano a nuove piattaforme user-generated per trovare nuovi linguaggi e forme
espressive che sembrino più vicine alla quotidianità. Il processo di relazione con gli utenti e
di coinvolgimento nell'industria della moda e dei media di blogger/influencer ne trasforma
però i contenuti in professionali e curati, facendo nuovamente spostare i brand su nuove
piattaforme, come sta accadendo più di recente su TikTok.
Per brand e influencer questo spostamento asseconda la necessità di mantenere l'effetto di
novità, anticipare le tendenze (come è tipico della moda), e orientare i gusti e i consumi delle
nuove generazioni. In questo discorso un interessante punto di contatto fra social media
studies e fashion studies riguarda il processo di mediatizzazione, ovvero di adattamento alle
logiche mediali. Tale riflessione sulla mediatizzazione e sull'incorporazione della media logic
fa eco agli studi sulla social media logic e sul ruolo delle piattaforme nella trasformazione
della società.
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Caldeira sottolinea ad esempio come i fashion magazine si siano adattati all'"estetica
instagrammabile" e abbiano incorporato le logiche dei social media contribuendo a
rafforzare il ruolo di Instagram come luogo in cui trovare nuove tendenze e ispirazioni.
CAPITOLO 11-
I fashion influencer tra estetica e politica
La moda è un luogo privilegiato della filosofia per riflettere sul fenomeno dell'estetizzazione,
che indica la centralità delle nostre prestazioni sensibili nei processi di attribuzione di valore,
messi in opera nella e dalla nostra esperienza. Tali ricerche si inquadrano nella
"somaestetica" (=estetica che si interessa delle prestazioni estetiche che investono la vita
del soggetto e del suo corpo).
Da un lato, il mondo della moda e del design è un punto d'intersezione con la mediasfera:
entrambi tendono sempre più a costituirsi a partire dai meccanismi dell'esperienza.
Dall’altro lato, questa situazione porta a un ripensamento delle forme dell'estetizzazione
nella moda e nel lusso, così come questi sono presentati dai media.
L'estetizzazione è un fenomeno economico, ma anche politico.
L'influencer sposta l'attenzione del consumo dalla sfera del desiderio a quella
dell'identificazione; inoltre, modella i pathos e il sostrato sensibile della comunicazione,
presentandosi come mediale dell’interazione pubblica
11.1-Influencer, immagine, media
Gli influencer hanno la capacità di catalizzare i gusti di milioni di utenti e di lanciare nuove
mode e tendenze, fino a toccare la sfera della politica e dell'opinione pubblica.
Esemplare è il caso di Feroza Aziz, che ha finto di fare un tutorial su TikTok per insegnare
come truccarsi le ciglia, denunciando in realtà la persecuzione degli uiguri. Usando come
espediente un contesto "disimpegnato", ha veicolato un messaggio fortemente impegnato.
Al contrario, 1727wrldstar/Fratellí vuole rappresentare la realtà degli emarginati delle
metropoli, ma veicola uno stile di vita fondato sullo "sballo" e sul consumismo.
Gli influencer ci parlano sia della vita quotidiana che delle situazioni eccezionali. Molti sono
testimonial di campagne civli o culturali, invitati dalle stesse istituzioni o dai singoli
personaggi.
Molti studi hanno visto nei divi e nelle celebrity il pendant delle figure politiche del proprio
tempo. Sono nuove divinità, da cui il nome di “divi-e", che abitano un olimpo moderno o
danno vita a una mitologia. Alcuni ritengono che il "culto" che i fan rendono ai divi di
Hollywood sia l'analogo o l’opposto, di quel "culto del capo" offerto da masse adoranti al
Duce o al Führer.
11.2-L'estetizzazione dell'attenzione
Negli anni '30 del '900 le masse si identificavano con il capo politico attraverso meccanismi
di adesione estetica (prima che politica): è la fascinazione per il capo carismatico, il
desiderio di unirsi a lui attraverso un uso politico dell'immagine e del suo potere sacrale.
Benjamin, "estetizzazione della politica'”: l'uso propagandistico delle immagini al cinema
crea nelle masse una disposizione d'animo tale da renderle pronte a buttarsi in imprese
suicide pur di compiacere le divinità politiche che adorano. La venerazione per i divi del
cinema porterà allo sviluppo di un simile atteggiamento politico.
Oggi il fenomeno dell'estetizzazione non sempre è accompagnato dall'elemento politico.
Lipovetsky parla di "estetizzazione" intesa come sollecitazione sensoriale ed emotiva,
aumentata del desiderio (di consumare) attraverso i canali della pubblicità e dell'immagine.
La sua funzione è soddisfare la sensibilità e toccare l'emotività del consumatore.
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Montani recupera il significato politico: l'estetizzazione è intesa come l'insieme dei processi
di "canalizzazione" della sensibilità, che possono configurarsi sia come iper-estetizzazione
che come anestetizzazione o ri-estetizzazione di un'esperienza e che rimandano alla
biopolitica, la quale controllerebbe preventivamente la vita delle masse attraverso un “soft
power” che induce preferenze e inclinazioni (invita a una riqualificazione critica del sentire
condiviso).
In questo contesto, gli infuencer sono operatori di un addestramento tecnico.
11.3-Estetiche e politiche dell'identificazione: dai divi agli influencer
La questione dell'identificazione è presente in Benjamin, nella questione del "culto del capo"
e nella sua affinità con il successo dei divi hollywoodiani. È più definita, in chiave critica, da
Horkheimer e Adorno, per cui il cinema è una forma di espropriazione dello schematismo
delle masse da parte dell'industria culturale.
Si trova in Mead, che si interessa ai meccanismi di partecipazione attivati dalla e attraverso
l'esperienza estetica e vede il cinema come un modo di promuovere la partecipazione
dell'individuo alla realtà. Recupera il concetto aristotelico di katharsis per applicarlo
all'esperienza dello spettatore cinematografico: quest’ultimo, guardando vita ed imprese
dell’eroe, si identifica con lui. In questo processo di identificazione c’è anche la scarica delle
emozioni accumulate dallo spettatore.
Un processo ammette solo passaggi graduali da una condizione a un'altra. Pertanto, nella
catarsi cinematografica non avvengono solo queste due prestazioni.
Maed: lo spettatore resta consapevole di uno scarto tra la sua vita e quella dei suoi eroi
prediletti, tra la realtà e la finzione. In questo scarto si gioca un'operazione di senso
significativa.
Jauss spiega finalità, destinazione e natura della catarsi.
La funzione catartica dell'identificazione con i personaggi ha la finalità di sospendere la
partecipazione del lettore al mondo della vita, predisponendolo a una diversa esperienza del
mondo. Tale sospensione ha la destinazione di riqualificare i valori e le norme della vita
associata, cristallizzati nelle convenzioni sociali. Attraverso l’esperienza catartica, il soggetto
può istituire un rapporto più fluido con il proprio atteggiamento verso il mondo, ridefinendo il
senso di alcune regole dell'agire pubblico e dell’essere insieme: questa è la natura della
catarsi. Senza tale principio, l’applicazione delle norme etico-politiche si ridurrebbe a
un'operazione meccanica.
Jauss associa all'esperienza estetica l'aisthesis (=la capacità di cogliere il mondo secondo
aspetti sempre nuovi) e la poiesis (=la disposizione a dare forma a un mondo altrimenti
estraneo). La katharsis riassume queste due funzioni e restituisce un godimento che sia
partecipazione al mondo nella condivisione con gli altri.
11.4-Identificazione e interazione
L'identificazione con un personaggio o una storia attraverso le immagini deve tener conto
della mediazione della macchina da presa o di altri "dispositivi d'immagine”.
Ciò che contraddistingue la situazione predisposta da un dispositivo d'immagine rispetto a
un testo letterario, è che qui la presentazione di una figura assurta a modello non può
prescindere da una considerazione ravvicinata della prestazione attoriale.
Anche l'attore teatrale, godendo della presenza del pubblico in sala, può tastarne gli umori
nel corso della performance e regolare la sua interpretazione.
Invece, l'attore di cinema ha di fronte a sé solo la macchina da presa e considera la
performance di recitazione un "test di verifica" delle proprie attitudini attoriali e fisiche.
Regista e spettatore sentono modificato il loro atteggiamento nei confronti dell'immagine e
della realtà rappresentata dall'immagine.
33
Si può applicare questa considerazione anche al momento dell'identificazione tra un
pubblico e il suo mito. L'attore o l'attrice che impersona la figura mitica al cinema deve
restituire una coerenza al personaggio che interpreta attraverso singole sequenze montate
tra loro. Per far fronte a questa frammentazione, devono accentuare il sentimento di
adesione all'identità del personaggio recitato.
Per renderli realistici e credibili, l'attore o l'attrice teatrali prestano ai propri personaggi una
personalità, mentre l'attore o l’attrice cinematografici condividono con loro un pezzo di vita.
Nel cinema più mainstream, l’identificazione "fantastica” (=il far coincidere la propria vita con
una immaginaria) è assolta dall'attore prima dell’uscita del film. La rappresentazione del
personaggio è filtrata, predisposta a un livello più elaborato di identificazione catartica, in cui
dalla mera immedesimazione psicologica si passa al riconoscimento di una forma di vita più
o meno affine alla propria. Nel cinema il processo dell'identificazione incontra e si
sovrappone all'interazione con il dispositivo stesso.
In questo intreccio va letto il successo degli influencer. È un nuovo tipo di identificazione, in
cui l'interazione negozia nuovi spazi e tempi rispetto all'immedesimazione.
Le storie d'amore inventate dei divi hollywoodiani calavano il mito in una realtà più vicina a
quella dei fan e trasfiguravano la vita ordinaria dei fan nell'olimpo mitico dei divi, offrendo
modelli di vita seducenti, a volte impossibili da applicare. Gli influencer, invece,
rарргеsentano l'ordinario, facendolo assurgere al rango d’ideale di vita buona, di modello da
raggiungere; si gioca la ricerca e l'estetizzazione dell'ordinario, che fa leva sull'immediata
associazione tra ciò che è buono e ciò che appare bello. Presentando questo stile di vita
come immagine, viene operato un trascendimento dell'immanente.
L'esibizione di gusti e tendenze sono la "materia prima" del discorso degli influencer e la loro
fonte creativa. Queste figure hanno successo nel campo del costume, della politica e
dell'opinione. Toccati questi settori, incontrano spesso una crisi di popolarità, si espongono
alla critica e smettono di essere "trasversali”. Gli influencer sono maestri dell’effimero:
danno il meglio quando comunicano valori del quotidiano e dell'ordinario e si rivelano spesso
figure caduche nelle valutazioni esemplari o che richiedono autonomia di giudizio.
La ripetitività delle fasi di ascesa, consolidamento e declino o crisi in queste parabole,
suggerisce che il centro della strategia d'immagine di queste figure vada ricercato altrove.
Dovremmo considerare gli influencer come sacerdoti di rituali di comunicazione in via di
definizione. Sono rituali effimeri, che passano da immanenza a immanenza, sancendo la
validità dell'esistente attraverso l'immissione di novità.
Gli influencer si presentano come sciamani digitali: indicano un percorso attraverso il quale è
possibile orientarsi nella rete, senza venirne intossicati. Essi riescono a passare dal puro
intrattenimento al discorso serio, data l'esigenza di seguire fasi di mitridatizzazione e
disintossicazione. Secondo Stiegler, svolgono una funzione "farmacologica”, cioè
sperimentano la doppia natura e la socialità attraverso i media e insegnano come servirsene
nel bene e nel male.
Capitolo 12-
Nuove forme di celebrità: il ruolo dei Virtual influencer
I virtual influencers e il ruolo che giocano nella relazione tra brand e consumatori. Vedremo
come i social media hanno reso possibile un coinvolgimento dei consumatori nelle strategie
delle aziende.
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I social network e negli ultimi anni hanno guadagnato una centralità nello scenario mediale.
La pervasività delle piattaforme digitali è uno strumento informativo fondamentale, oltre che
è uno spazio in cui ha luogo una parte significativa dei consumi e delle relazioni sociali. Ad
oggi ci sono 4 miliardi di utenti sui social.
Le piattaforme digitali sono lo strumento in grado di facilitare la diffusione di forme di social
brand Engagement (= creazione di connessioni e forme di comunicazione tra i consumatori
attraverso i brand). Gli utenti diventano i protagonisti e quindi si sentono più coinvolti nelle
strategie promozionali delle aziende. La crescente centralità degli utenti a quindi portato i
brand a ridefinire le proprie scelte operative dando una maggiore partecipazione ai
consumatori.
È a questo punto che si è affermato la figura di social media influencer, un consumatore
competente in grado di orientare i gusti pratiche fruitive degli utenti che scelgono di seguirlo.
Gli influencer passano da persone comuni a essere celebrità online e ci riescono grazie a
personalità attraenti. Gli influencer più popolari sono in grado di avviare conversazioni
coinvolgenti con i consumatori in merito ai brand stabilendo con questi un rapporto di
fiducia. La diffusione di queste forme di micro celebrity si basa su un lavoro di Self
branding. Il progressivo consolidamento della propria presenza in rete permette
all’influencer di acquisire una certa visibilità diventando una sorta di opinion leader digitale.
La possibilità di ricevere raccomandazioni e consigli sui prodotti da parte di figure di
riferimento come gli influencer, che sono percepiti come amici, offre ai brand una chiave di
accesso al mondo emotivo degli utenti. Questo consente ai brand di capitalizzare la
credibilità e la popolarità stessa dell’influencer.
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12.3- dall’avatar al virtual influencer
Nell’era digitale l’uso di Avatar è diventato una pratica comune. Andava in questa direzione
l’idea di Second Life: uno spazio online dove era possibile creare un Alter Ego digitale
personalizzato fin nei minimi dettagli. Oggi la rete offre la possibilità di interagire con molti
Alter Ego digitali, definiti come delle rappresentazioni grafiche degli utenti in un ambiente
virtuale. Gli Avatar variano nella loro forma, nei dettagli e nell’utilizzo e possono essere
- realistici
- astratti
- naturalistici
Vengono usati sia per rappresentazione di sé sia nei mondi virtuali, sia nelle comunità di
gioco online.sono anche utilizzati nelle aziende per raffigurare i propri venditori.
Nel corso del tempo l’utilizzo di ambienti virtuali ha portato le persone a utilizzare diversi tipi
di Avatar a seconda delle diverse piattaforme:
- social media
- gaming
- mondi virtuali come Second Life
Allo stesso tempo vengono usati anche in contesti di vendita e di marketing: il Virtual
influencer. Essi sono definiti individui virtuali creati con finalità commerciali sui social media,
questo termine è legato sia al mondo virtuale sia agli organismi viventi, questo
mette in evidenza il confine tra reale e virtuale. Essi sono degli Avatar creati
da artisti del digitale che sono molto somiglianti a influencer umani.
Un esempio è Lil Miquela una modella americana che fa la sua comparsa sui
social iniziando ufficialmente il trend di Virtual influencer.
Diventa subito testimonial di marchi famosi come Prada, UGG, Calvin Klein
Givenchy, Moschino, Gucci, Alexander McQueen…
Si fa anche portavoce di cause sociali come black lives metter e movimenti
LGBTQ. Pubblica anche un singolo su Spotify e si fa vedere mentre indossa
la mascherina durante la pandemia da COVID-19.
Oltre al fascino che deriva dalla loro immagine, costruita digitalmente per soddisfare i gusti
estetici dei fan, gli influencer virtuali hanno un passato e una storia, si impegnano in
situazioni reali facendo shopping o chiacchierando con gli amici.
Questa è un’ottima opportunità per le imprese che ricavano molti vantaggi
- il loro aspetto la loro personalità possono essere adattati alle peculiarità del settore
- rappresentano con assoluta fedeltà all’identità del marchio
- sono più facili da controllare nei test dei prodotti poiché non sono protagonisti di
scandali indesiderati
- non possono promuovere i prodotti di marche concorrenti.
In sostanza si rivelano più affidabili
In un certo senso si può dire che l’influenza ur virtuali non siano poi tanto lontani dai loro
predecessori in carne ossa poiché restituiscono un’immagine reificata della loro persona.
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- valuta la conformità di un’entità di norme nella sua categoria sociale
- si riferisce alla connessione significativa tra un’entità una persona o un luogo o un
determinato tempo.
L’autenticità si declina nel modo in cui consumatori percepiscono l’originalità e la genuinità di
un prodotto ed è diventata una delle caratteristiche principali del brand identity.
Tuttavia all’aumentare della popolarità, l’impegno degli influencer, di rimanere fedeli ai propri
gusti è sempre più difficile e si rischia di promuovere marchi di prodotti non coerenti con la
propria identità: questo mette a rischio la pretesa autenticità.
Ci sono varie tecniche che gli influencer utilizzano per rafforzare la loro autenticità:
- come selfie
- la pubblicazione di contenuti originali
- girare i video basati sull’immediatezza del dialogo e dal vivo
E poi molto importante interagire in maniera diretta con i propri follower.
Come per gli influencer tradizionali quelli virtuali l’autenticità può essere utilizzata come
chiave di lettura per comprendere la relazione con i follower.
1. personaggi come Lil Miquela che sono utilizzati per sponsorizzare molteplici brand
non sono immediatamente ricollegabili a un marchio, viene meno la coerenza con il
brand. Se la credibilità della celebrity cala diminuisce anche la sua capacità di
influenzare i comportamenti dei follower. Questo senso l’utilizzo di video Stories
appare fondamentale.
2. Altrettanto importante appare la continuità intesa come la familiarità acquisibile
attraverso una frequentazione prolungata, la loro novità può essere percepita come
sinonimo di scarsa autenticità. Si aggiunge anche il fatto che il loro entusiasmo per
un prodotto viene considerato con scettismo visto che essendo virtuali non possono
usarlo. Con il passare del tempo però le domande relative all’essere reale o virtuale
sono meno frequenti.
3. Un altro punto fondamentale è chi è il creatore del personaggio e quindi a beneficio
di chi fa l’attività delle Virtual influencer. Però nel momento in cui appare l’identità del
creatore il personaggio virtuale risulta meno reale ma in qualche modo più autentico.
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CAPITOLO 13
Moda e comunicazione musicale: la trasformazione degli artisti in fashion brand digitali
Industria musicale e industria della moda sono due mondi diversi ma inter-connessi, sia
nelle dinamiche di rappresentazione sia in quelle produttive.
L'importanza del look e del corpo ha contribuito alla nascita della musica pop nella seconda
metà degli anni '50 del '900. Nei decenni successivi le intersezioni tra moda e musica
diventano molteplici, sia a livello narrativo sia a livello produttivo e industriale.
Il rapporto con la moda e la sua industria è uno strumento sempre più centrale per
posizionare la musica e per generare introiti attraverso partnership commerciali.
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secondo piano la musica, incidendo negativamente sulla credibilità artistica)
(moda nella musica: fenomeno di "hiding in plain sight".)
La popular music ha un rapporto simbiotico con l'immagine fin dall'avvento della televisione,
che ha trasformato alcuni artisti in personaggi della cultura di massa, grazie all'uso del
fashioned body. Nel 1956, Elvis irrompe nelle televisioni statunitensi con una fisicità inedita.
Successivamente, i Beatles sfrutteranno le loro apparizioni televisive per mostrarsi
rivoluzionari e rassicuranti. L'importanza del mezzo televisivo per la musica esplode con
l'avvento del videoclip (primi anni '80). Il formato è costituito da brevi video promozionali
prodotti dalle case discografiche, che assumono pieno controllo dell'immagine dell'artista.
MTV nasce nel 1981 e diventa la vetrina principale per lanciare un artista sul mercato.
L'esplosione della televisione musicale genera due forze opposte:
- Da un lato, il videoclip rafforza l'importanza del look degli artisti come strumento di
significazione e di costruzione dell'identità narrativa.
- Dall'altro, il videoclip e l'immagine sono strumenti che permettono all'industria di "costruire"
l'artista, a prescindere dalla musica (a partire della richiesta del mercato).
L'importanza dell'immagine e del look contraddice i valori di chi presenta sé stesso e la
propria musica come autentici. (rocker compariranno su MTV con un'estetica casual, spesso
replicando la dimensione "cruda" dei concerti).
MTV e il videoclip favoriscono l'affermazione di progetti pop (operazioni di marketing visivo):
le boy band e le girl band. Nel 1966 i Beatles ispirano una serie televisiva, i cui protagonisti
erano attori scelti per formare una band: i Monkees. Successivamente, l'industria musicale
ha spesso ragionato in termini di casting, elevando l'immagine a criterio di selezione. Negli
anni Zero il fenomeno confluisce nei talent Show, dove i casting diventano oggetto di
racconto televisivo.
Tanti artisti criticano questo modello industriale focalizzato sull'immagine (un musicista
avrebbe dovuto occuparsi solo di musica). Buggles: «Video killed the radio star / Pictures
came and broke your heart», il cui videoclip fu usato da MTV per inaugurare le proprie
trasmissioni; «We got rock stars in the White House /All our pop stars look like porn» di
Sheryl Crow, sull'atteggiamento ambivalente degli artisti verso il look.
In questo periodo iniziano le prime forme di integrazione tra musica e brand (prima
partnership è sulla moda). Ad istituzionalizzare questo rapporto è la cultura hip hop. My
Adidas (1986) dei Run DMC: diventarono testimonial "totali" dell'Adidas, in un cross
marketing ante literam (ha reso la citazione una forma di product placement).
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Gli artisti hanno trasformato l'uso della propria immagine in una fonte di ricavi. Prendono
piede i "contratti a 360o”: le case discografiche si propongono sia come gestori della musica
registrata sia come agenzie che sfruttano l'artista in ogni sua manifestazione.
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identity per il fashion (definizione del brand). I social media sono spazi per creare un
racconto diretto e capace di costruire a 360o il profilo dell'artista, sia con contenuti musicali e
promozionali, sia con un racconto "dietro le quinte". Instagram è anche il luogo privilegiato
dell'autopromozione e delle partnership commerciali. Lev Manovich: Instagram ha introdotto
una forma di comunicazione iper-formale e iper-estetizzata, una combinazione di forma e
media definita instagramism, in cui l'estetica e la forma sono più importanti delle storie
raccontate. Il musical instagramism risiede nel legame tra l'estetica iperformale, dettata dalle
connessioni con il mondo fashion, e la necessità di raccontare. Su Instagram un artista
musicale è anche stilista, brand, fashion influencer, testimonial e partner di altri brand
coerenti con il suo mondo, imprenditore che sfrutta la propria immagine. La
"piattaformizzazione” della produzione culturale sta modificando le logiche di chi fa musica
usando la moda e di chi fa moda usando la musica.
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A dieci anni dalla sua fondazione il progetto è in pieno sviluppo, ed ha accumulato decine di
migliaia di materiali in una delle più grandi vetrine dedicate alla comunicazione digitale della
moda.
Altra interessante meta- risorsa è Europeana, una biblioteca digitale che raccoglie tutti i
materiali già digitalizzati di 3700 istituzioni culturali provenienti dai 28 paesi dell'Unione
europea ( tutto prevalentemente fotografico e testuale).
14.4- Il museo sui social network
Parlando di comunicazione digitale è necessario soffermarsi sull’ utilizzo delle piattaforme
social. Per garantire una comunicazione efficace i contenuti devono essere sempre chiari,
coerenti e aggiornati. Tutti i musei visti in precedenza ne fanno uso, in modo particolare di:
Facebook, Twitter, Instagram e Youtube. Instagram risulta essere il più utilizzato ed anche il
preferito dal grande pubblico, poiché grazie all'utilizzo dell’ hashtag, consente di inserire l’
immagine in flussi tematici che agevolano la ricerca e consentono di raggiungere un numero
più vasto di persone. Appare dunque evidente che una narrazione visiva di qualità possa
aiutare la diffusione della conoscenza delle collezioni e favorica il dialogo tra istituzioni e
visitatori.
Capitolo 15 -
La moda e il videogioco: una contaminazione culturale
Sommario di una serie di pratiche industriali, sociali e ludiche, utilizzabile come strumento di
orientamento per analizzare tensioni, contaminazioni e possibilità al crocevia tra pratiche
vestimentarie e pratiche ludiche.
Gli abiti e gli accessori presenti nel mondo di gioco rivestono funzioni immediatamente
riconoscibili ed enumerabili (che non richiedono, insomma, un lavoro interpretativo da parte
del lettore del discorso vestimentario), sostituendosi di fatto ai più comuni "power-up”
(ovvero un oggetto che, se ottenuto, conferisce all'avatar del giocatore facoltà aumentate. In
Super Mario Bros (Nintendo, 198s), per esempio, raccogliere un fungo rende Mario più
grande e più resistente agli attacchi dei nemici.
È evidente la matrice letteraria dal romanzo fantasy : es. anello invisibilità del signore degli
anelli.
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Nel gioco il cavaliere ha la possibilità di indossare armature di foggia e colori diversi, alle
quali corrispondono abilità specifiche. In questo senso Ghosts n Goblins stabilisce una
corrispondenza univoca tra indumento indossato dall'avatar ed efficacia delle sue azioni nel
mondo digioco, rafforzando l'impressione che, almeno a questa altezza crono-logica,
prevalgano elementi di funzionalizzazione del vestiario e degli accessori.
Esperienza videoludica e inclinazioni personali si mixano grazie alla moda. ( esisteva, meno,
già negli anni 80.
The Sims: controllare un avatar e completare obiettivi a differenza di altri giochi colmi di
strategia, questo potrebbe sembrare banale, invece attrae moltissimi giocatori per via della
possibilità di personalizzare i personaggi.
Lo Skinning, ha due notevoli ricadute sulla percezione del gioco da parte dei giocatori:
- Intrattenimento
- Creazione
«la pratica dello skinning genera un corpus di contenuti culturalmente o etnicamente
specifici di tali dimensioni da assumere il carattere di una forma di localizzazione
vernacolare»
Il successo di the sims è legato a forme di espressione di sé e, in molti casi, delle proprie
diverse appartenenze (etniche, geografiche, politiche, di genere) attraverso la creazione di
indumenti e altri accessori genericamente associabili alla moda.
è possibile restringere il campo d'indagine ai modi in cui la mimicry è attualizzata dalle scelte
che il giocatore effettua in relazione all'aspetto e, più specificamente, all'abbigliamento del
proprio avatar.
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applicano il progetto teorico di Caillois al gioco digitale articolando la categoria "dress-up" ed
equiparando quindi la personalizzazione dell'avatar a una forma di travestimento, una
pratica ludica che ha origine nell'infanzia, la cui funzione sarebbe quel di esplicitare una
serie di aspirazioni e, al contempo, di segnalare preferenze, inclinazioni e forme di
appartenenza.
La personalizzazione del proprio avatar (come nei cosplay) ha una triplice funzione
- la formazione e il mantenimento di comunità sociali e amicali - simili a quelle
analizzate nel caso di The Sims
- «identity play» : la possibilità cioè di sperimentare forme di identità alternative a
quella che si esperiscono nella vita comune, per esempio in relazione a genere
assegnato alla nascita o alle caratteristiche fisiche.
- «mastery and status» una forma di distinzione all'interno della comunità resa
evidente dall'accesso ad abiti o accessori riservati ai giocatori esperti. (Processi di
socializzazione online)
A. giochi creati per coinvolgere l'utente in una dimensione ludica connessa alla
creazione di oggetti di moda. Es: Imagine: Fashion Designer; Kim Kardashian
Hollywood
B. fashion games veri e propri, possiamo invece collocare i videogiochi nati in seno alle
maisons di moda, hanno una finalità promozionale. Es. Maison Karl Lagerfeld :
Lanciato per la promozione della nuova collezione, questo gioco permette ai giocatori
che realizzano i punteggi più alti di partecipare al sorteggio settimanale di una gift
card da utilizzare nei negozi Karl Lagerfeld in Regno Unito o in Europa. Gucci Ace;
Gucci Bee; Gucci Bloom.
4. fenomeni che coinvolgono le dinamiche di ga-meplay direttamente legate ai vestiti.
finalità pratica all'interno della strategia di gioco, assolvono quelle funzioni
dell'abbigliamento che, parafrasando Jakob-son (1966), si potrebbero definire
"poetiche" perché "producono" il personaggio stesso.
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15.5 - La convergenza tra moda e videogiochi ( non vi consiglio di leggerlo è una
ripetizione del capitolo prima )
Si riprendono le tipologie del paragrafo precedente.
1. skins : permettono al fruitore del gioco di soddisfare il proprio desiderio di
appartenenza consentendogli di modificare il suo abbigliamento digitale.
2. Dinamiche ibride prevedono alcune conseguenze esterne al gioco. Le proposte
vestimentarie disegnate e realizzate dal. le case di moda all'interno del gioco, infatti,
hanno in questo caso la possibilità di "uscire dallo schermo" riconquistando la loro
dimensione reale e concreta attraverso uno scambio di suggestioni e di citazioni che
fin dal principio, si propone come bidirezionale.
3. contaminazioni e sovrapposizioni possibili tra l'industria della moda e il settore
videoludico comprende, invece, i fashion games. All'interno di questo gruppo è
possibile distinguere due sottocategorie. Da un lato si collocano i "giochi di moda" in
senso stretto che spronano il giocatore a creare testi vestimentari dotati di una loro
simbologia interna; dall'altro lato si posizionano invece quei videogame che - creati
dalle stesse griffe con finalità evidentemente promozionali - sembrano sganciarsi
dall'ambito dei giochi di abbigliamento propriamente detti ma, con un fine allo stesso
tempo didattico e pragmatico, provvedono a educare il giocatore circa la storia (o la
filosofia) del brand, offrendogli la possibilità di fruire di vantaggi concreti nel contesto
analogico.
4. l'instaurarsi di una relazione funzionale. Qui, infatti, troviamo tutti quei fenomeni
relazionali tra moda e gioco capaci di coinvolgere concretamente le dinamiche di
gameplay direttamente legate ai vestiti. Da un lato, la tendenza dei mondi di gioco a
inglobare pratiche e relazioni sociali "reali" non può che coinvolgere anche quel
complesso sistema di significati che è la moda. articolandone le prerogative e le
peculiarità in relazione alle specifiche convenzioni che caratterizzano diversi mondi
virtuali dei videogiochi. Dall'altro, l'industria della moda sembra aver intuito le
potenzialità comunicative e, più specificamente, promozionali di videogiochi di
grande diffusione come Fortite, divenuti presto vetrine per prodot Fashion dedicati
alle fasce anagrafiche che si suppone frequentino il mondo virtuale del gioco.
La mini cry diversamente dal gioco regolato, non è sottoposta a regole imperative precise,
che vengono sostituite “ dalla dissimulazione della realtà, la simulazione di un’altra realtà.”
Capitolo 16 -
La moda e il fumetto: il costume nei manga e negli anime
Gli studi sul fumetto sono consapevoli della rilevanza del costume e più in generale della
moda nella definizione del carattere dei personaggi e nelle dinamiche estetiche e narrative.
In un contributo dedicato a questo tema, Ilaria Capasso (2007) propone una periodizzazione
per decenni, ciascuno dei quali caratterizzato da un genere predominante, per esempio il
mahò shojo (le avventure di "maghette", "streghette" e figure similari).
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I manga e gli anime sulle maghette sono i primi a conferire rilevanza al tema della moda,
dove in molte di queste opere le bambine protagoniste « si trasformano in adulte o
comunque in ragazze, in persone più compiute nel loro sviluppo fisico e in grado, per la loro
maggiore età, di gestire le cose della vita con
più disinvoltura».
Allargando lo sguardo, l'attenzione per l'abbigliamento dei personaggi emerge non solo nei
generi legati al target shojo (quello delle ragazze fra i 10 e i 18 anni) e josei (per un pubblico
femminile dai 18 anni in su), ma, seppur con differenti modalità e scopi, anche in generi
maggiormente associati a shönen (ragazzi fra i dieci e i diciotto anni) e seinen (pubblico
maschile dai diciotto anni in su) (Yukari, 2012).
I contesti storici del passato, alla base di molte di queste opere offrono in particolare lo
spunto per esplorare differenti mode e stili costumisti , come nel caso dei manga es: “Lady
Oscar, 1982-84)”. Casi analoghi sono gli anime tratti da alcuni romanzi occidentali, come
“Belle e Sebastien (1981)” e “Heidi (1974)”. Sebbene solo in alcuni casi si possa
propriamente parlare di moda, si nota un generale interesse nel presentare abiti e accessori
in linea col corrispettivo periodo storico.
In altri casi, invece, il tema della moda emerge con maggior centralità.
Si pensi a “Una ragazza alla moda (1975-77)”, e in altri casi, invece, si ha a che fare con
storie in cui la protagonista di turno sogna di diventare una stilista o una modella, come in
“Mon Cherie Coco (1972-76)”.
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Occidentale che negli anni Ottanta stava riscuotendo grande successo in Giappone.
Il gender non è l'unico elemento di sovvertimento del maho shojo: entrambi i prodotti
ripropongono tutti gli elementi caratteristici del genere, come gli alieni invasori con orde di
sgherri o le tenere mascotte che donano i poteri magici, ma con diversi ribaltamenti; la
mascotte di “Magical Girl Ore”, per esempio, è una fatina ma al tempo stesso un temibile
yakuza e lo scettro che dona alla protagonista non serve per effettuare magie ma per
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picchiare a sangue i nemici, come fosse una normalissima mazza. L'abbigliamento dei
personaggi rimane invece fortemente legato agli stilemi del genere: gonne svolazzanti,
fiocchi e fiocchetti, nastri e numerosi accessori (come i classici bracciali magici che servono
ad attivare la trasformazione).
Se, nei casi indicati fin qui, i vestiti sono la prima ed esplicita sottolineatura di una
rinegoziazione o di un interscambio effettivo nella performance del gender (Carpita, 2017), vi
sono anche situazioni in cui la mescolanza e sovrapposizione riguarda il costume di
personaggi con professioni differenti. È il caso di “La via del grembiule - Lo yakuza casalingo
(2018-in corso)” di Kösuke Öno.
La moda è stata certamente la culla di tali figure, citando ad esempio Bryanboy, fra i primi
fashion blogger o nel contesto italiano figure come Chiara Ferragni, prima autrice del fashion
blog "The Blonde Salad", poi influencer e oggi imprenditrice e celebrità mediale.
A proposito della creazione e dell'utilizzo di vestiti per il cosplay, invece, essi portano a
pratiche che almeno in parte richiamano il mondo del fashion. I cosplayer hanno adattato
tutto ciò a un loro personale stile transnazio-nale, in cui raramente sono identificabili delle
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specificità territoriali, e che si suddivide invece per aree di appartenenza - il cosplay dei
manga e anime, quello legato al fantasy tradizionale ecc. (Calorio, 2017).
Negli ultimi anni c’è stato un forte sviluppo dell’elettronica flessibile, settore che fa uso di
materiali plastici flessibili in grado di avvolgere circuiti stampati, che può essere di grande
aiuto nell’innovazione dei “dispositivi indossati” o wearables. La ricerca sulla tecnologia
indossabile sta crescendo sempre di più, coinvolgendo anche altre discipline (micro-
nanotecnologia, scienza dei materiali, medicina, elettronica, informatica, ingegneria, tessile e
telecomunicazioni).
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Le nuove tecnologie sembra che possano modificare le capacita fisiche, sensoriali e
cognitive dell’uomo e i loro stili di vita nel lavoro, tempo libero e vita sociale. La tecnologia a
contatto con il nostro corpo può cambiare anche la percezione che abbiamo di noi stessi,
basta pensare a sostanze dopanti o chirurgia plastica. Il corpo quindi viene messo in
discussione, ma per essere migliorato. Diventa quasi un mutante potenziato con l’aggiunta
di protesi esterne e interne. Nell’industria elettronica c’è una doppia tendenza verso
l’ibridazione tra corpo e tecnologia;
- Dispositivi biomedici invasivi collocati dentro il corpo,
- Dispositivi invasivi che restano fuori dal corpo.
Quindi la tecnologia potenzia il corpo. Un wearable è una sorta di seconda pelle e a seconda
di come vengono progettati, possono facilitare o difficoltare i movimenti. L’obbiettivo di un
designer è quello di definire il rapporto corpo umano-oggetto indossabile, disegnando forme
flessibili per facilitare i movimenti. Questa tecnologia innovativa pero pone delle sfide al
designer. La forma del corpo è curvilinea, ma l’elettronica per convenzione è piatta.
Possiamo indicare 2 sfide:
● MINIATURIZZAZIONE: di natura ingegneristica, ovvero il rispetto delle dimensioni e
spessori
● FLESSIBILITÀ: legata al design, cioè la necessità di disegnare dispositivi tecnologici
come veri abiti rispettando vestibilità, estetica e adattabilità.
17.3 - Wearability
Un wearable deve essere piacevole da indossare ed esteticamente apprezzabile. Un
designer deve analizzare la relazione tra wearable e corpo osservando in fase di
progettazione le caratteristiche anatomiche della forma, fisiologia e impatto psicologico
dell’utente.
In architettura esiste un principio secondo cui “la forma segue la funzione”. Infatti se
osserviamo il corpo possiamo notare che è vero (ginocchio —> movimento). È una fase
essenziale per la progettazione di un wearable. L’obbiettivo del designer è di ottenere un
design anatomicamente corretto. Le nuove tecnologie simulano le funzioni corporee e
rafforzano le caratteristiche organiche. Abbigliamento e protesi sono strumenti con i quali il
corpo ridefinisce le proprie potenzialità, per questo un wearable deve essere come un
elemento avvolgente che realizzi la cosiddetta wearability (indossabilità). La wearability
descrive il corretto rapporto tra corpo umano e forma degli oggetti indossati e riguardo il
modo in cui e forme interagiscono tra loro. Questo rapporto è anche dinamico quando
durante un movimento la forma del corpo può cambiare e a tale scopo vengono eseguiti test
e simulazioni. I parametri di indossabilità stabiliti dall’ICES (Institute for Complex
Engineering Systems) sono 4:
● Linguaggio formale: come interagiscono le forme tra loro
● Dimensione: cambiamento delle sezioni del corpo
● Movimento del corpo: come il corpo cambia durante il movimento
● Non intrusività: zone meno intrusive dove collocare i wearables (collo, parte
posteriore braccio, avambraccio, cassa toracica, vita, fianchi, coscia, stinco e parte
superiore piede).
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3. Strato protettivo esterno
Sulla base di questi studi possiamo individuare le fasi per la progettazione di questi
dispositivi indossabili:
1. Problemi fisiologici umani che influiscono sulla progettazione
2. Esigenze del corpo nella quotidianità per garantire comfort
3. Estetica adeguata riguardo misura, forma, vestibilità, postura e movimento
4. Valorizzazione e sostegno del corpo
Per lo sviluppo di questo dispositivo sono state prima valutate le problematiche funzionali e
corporee. Per il comfort del prodotto, il designer ha inserito i seguenti sensori:
- Elettronodi di cloruro d’argento (ECG, frequenza cardiaca)
- Accelerometro triassiale (frequenza passo)
- Termistore (temperatura)
Questi sensori devono essere aderenti al corpo per avere un segnale efficace e pulito.
Successivamente quindi è stato elaborato il concept del progetto che consisteva in un top
per le donne e una maglietta per gli uomini.
Le seguenti fasi vedono la realizzazione di un prototipo semi-funzionale che verrà poi testato
da 30 persone in una sessione di corsa da 30 minuti con successivo questionario. Il risultato
ottenuto è un top costituito da tre parti:
- Reggiseno
- Cintura con sensori tessili
- Scocca contenete hardware e sistema di trasmissione
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Capitolo 18
Extended mode: moda e tecnologie immersive
Negli ultimi 15 anni le tecnologie immersive stanno diventando nuove forme di media per
creare nuove esperienze nell’industria della moda. Queste tecnologie rappresentano il limite
più avanzato del cambiamento culturale, economico e sociale. Nella moda questo processo
ha portato al consumo dell’e-tailing (vendita beni/servizi su internet) e della trasmissione di
eventi in diretta streaming online. Queste tecnologie hanno la capacità di estendere
l’esperienza della moda ricreando degli ambienti virtuali o arricchendo quello reale attorno
all’utente. La realtà aumentata e virtuale sono la concretizzazione dell’idea che oggi i media
possono essere anche un ambiente in cui veniamo immersi inconsapevolmente.
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● Tasso di artificialità: registrazioni di ambienti reali, scenari totalmente digitali abitati
da avatar
● Livello di interattività.
Questi dispositivi isolano l’utente dalla realtà fisica che viene rimpiazzata completamente da
quella artificiale. La realtà virtuale illude di trovarsi in un altro luogo e di incarnare un corpo
che può interagire e ricevere feedback comunicativi e sensoriali. Nella moda l’uso del visore
permette all’utente di assistere a sfilate a bordo passerella, muoversi attorno ad essa
toccare e vedere gli abiti da vicino o esplorare i backstage delle sfidate. A marzo 2020 a
causa della pandemia, la fashion week è stata totalmente cancellata e le case di produzione
hanno dovuto trovare nuove soluzioni a questi eventi, come dirette streaming o tecnologie
immersive.
Nel 2015 Tommy Hilfiger fu il primo retailer a introdurre i visori per coinvolgere gli utenti, ma
anche Rebecca Minkoff fu la prima a filmare una sfilare in VR. Nello stesso anno Dior rese
disponibile in negozi selezionati nel mondo, un visore (Dior Eyes) per visitare i backstage.
Nel 2017 la fashion week di New York rese possibile visitare le sfilate di Milano della
settimana precedente in un ambiente immersive. Nello stesso anno Gucci girava il suo primo
fashion film in VR.
Il Virtual Reality di Prada è un caso emblematico realizzato proprio durante il lockdown, che
consente agli utenti di vedere le strade delle città in cui si trovano i propri negozi (Tokyo, NY
e LA), visitare le proprie mostre (Milano, Venezia), assistere a sfilate o scoprire come
vengono create calzature e borse toccando e ruotando i prodotti.
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mapping capace di mappare oggetti reali e proiettare su di essi immagini o info. Queste si
differenziano dalle altre forme di AR, perché non richiedono visori.La AR si limita ad
arricchirà la realtà reale con l’integrazione di segni artificiali. L’uso dell’AR nella moda è
persino superiore della VR.
Dalla meta degli anni 2010, le case di moda l’hanno messa in pratica nelle proprie
piattaforme digitali: Burberry con Google, ASOS con l’app See My Fit, Timberland con
Bering the Colour…
Queste funzioni sono oggi integrate negli smartphone, come ad esempio la funzione try on
o virtual fitting nelle app dei brand. Lo scopo è offrire ai clienti dei camerini virtuali dove
personalizzare e avere un’anteprima realistica dei prodotti. Le AR sono realizzate mettendo
in relazione diretta le ricostruzioni digitali dei prodotti e il corpo dei clienti. Questa funzione
virtuale fa accrescere la ownership, perché sentirsi a proprio agio con un prodotto senza
possederlo, incentiva all’acquisto. Questo è stato molto importante, sopratutto durante la
pandemia, ma perché la AR e VR hanno anche coinvolto e intrattenuto i visitatori in
un’attività divertente.
Infatti la gamification si può riscontrare anche nella moda, come per la boutique fiorentina
LuisaViaRoma che nel lockdown 2020 ha lanciato la game-app MOD4, gioco interattivo
dove creare avanti, collezionare articoli, socializzare e sfidare altri utenti.
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liberamente le tecnologie immersive da applicare, sia perché gli strumenti sono letteralmente
indossabili, sia perché anche abiti e accessori sono concepibili come media.
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