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SOCIOLOGIA PER LA MODA

CONTENUTI DEL CORSO:

 2 Temi di carattere generale


1. Principali teorie di sociologia della moda;(distinzione sociale, controllo
sociale, imitazione, strumento capitalismo consumistico (produzione in
taglie) (standardizzazione), distinzione non in base al ceto ma in base
all’individuo.
2. Abbigliamento come forma di linguaggio (attraverso gli abiti
comunichiamo) ->l’abito esprime il monaco (indica chi siamo e da dove
veniamo (+ o – possiamo camuffarci)

 6 temi specifici
1. Il sistema della moda in Italia->insieme sistema produttivo e consumatori (insieme
persone, gruppi organizzazioni, comportamenti connessi tra di loro reciproca
dipendenza tra produzione e consumo. La moda italiana è
conservatrice/saturazione semiotica/la moda non solo come industria che fa
fatturato, ma come industria culturale
2. Moda e arte->la moda produce arte?
3. La moda grassa->la moda occidentale è da sempre una moda per corpi
magri/identifica la magrezza con la bellezza, anche sacrificando il fatturato
4. Le città della moda-> Milano/Londra/N.Y./Parigi. Che legame c’è tra il luogo in cui si
crea e il prodotto che si crea?
5. La figura dello stilista->un modo particolare di fare fashion design. Lo stilismo è
nato negli anni 70 a Milano. (Armani, Ferrè, Valentino e Versace). Cosa ha
significato quel movimento?
6. Tendenze del sistema moda oggi e nel futuro

Lezione 1

Cos’è la sociologia?
Studia comportamento in quanto parte di una collettività, studia i gruppi sociali. il nostro comportamento
va visto all’interno di gruppi sociali, con cui condividiamo cose. (es. gusto)

Persone con traiettorie di vita simili hanno spesso gusti simili, dai gusti puoi risalire al passato di una
persona.

Guarda anche il comportamento dei singoli, ma studiando le dinamiche collettive che hanno portato a
determinate decisioni.

Fenomeni sociali: es. subculture(punk), la convenzione sociale del vestirsi.

Il sociologo si chiede cosa ha spinto un gruppo di persone a fare una determinata cosa- >studiando sempre il
fenomeno sociale che li ha spinti.
noi non ci rendiamo conto degli eventi pregressi che ci hanno portato ad avere un determinato
gusto/interesse.

Costrizioni formali->leggi

Costrizioni informali->dettate dal comportamento di riflesso che tengono le persone, o dal nostro senso
sociale. (norme sociali)

es. linguaggio->ci sembra esprima individualità, in realtà è frutto di un accordo tra persone.

Ci sono comportamenti che hanno senso solo collettivamente->es. mascherina->protegge i deboli, che non
riempiono gli ospedali, garantendo così il corretto funzionamento di questo (effetto sistemico).

Di cosa si occupa la sociologia nella moda?


Non si occupa di giudicare l’aspetto estetico delle collezioni, non si occupa della storia della moda,
dell’evoluzione degli stili ma della stoia dei comportamenti della moda.

La moda nella sociologia è una norma sociale, come il linguaggio. Non si deve creare sorpresa, ma
intendersi, bisogna soddisfare le aspettative. Accordi taciti. Ci consente di interagire.

Il modo in cui ci vestiamo è dettato dalle aspettative degli altri, e questo ci consente di interagire con gli
altri in maniera fluida (es. è più facile rapinare una banca in giacca e cravatta).

Ci sono delle regole che condividiamo (es. in Italia la gonna segnala il genere femminile)

Come tutte le norme sociali, viene interpretata dalle persone.

Le norme sociali sono prodotto dei comportamenti, e i comportamenti sono prodotto delle norme sociali (il
comportamento che interpreta la norma sociale in modo particolare può diventare norma).

SOCIOLOGIA DELLA MODA

Non è sempre esistita, nasce verso la fine del diciannovesimo secolo.

Ci sono due gruppi di autori distinti:

 Prima fase a cavallo tra 800 e 900


 Seconda fase negli ultimi decenni del 900

Prima non abbiamo studi sociologici sulla moda, anche se la moda e l’abbigliamento sono sempre
stati fenomeni sociali fondamentali per le relazioni sociali, come il linguaggio e il potere. (fenomeni
strutturali delle relazioni sociali)

Perché prima non si studiava?


a. Prima non esisteva la sociologia, che è nata nell’800, come tentativo di
comprendere la società di fronte ai mutamenti radicali della società moderna
(industriale, democratica, dove vige uno stato di diritto).la moda è un fenomeno
tipico della società moderna, è il cambiamento costante degli stili e degli abiti
prima che siano consumati effettivamente. Nelle società premoderne gli abiti erano
beni che entravano nei beni ereditari. Erano oggetti di valore. La moda può
affermarsi in una società ampia e complessa e che ammette una’ ampia mobilità
sociale. (COMPLESSA E FLESSIBILE) in una società semplice non si sviluppa perché
quello che sei lo sanno tutti, ci si conosce. Gli abiti così non sono strumento di
comunicazione, la moda sarebbe inutile.

b. La moda si istituzionalizza->si può far risalire la nascita della moda alle corti
dell’Europa nord occidentali, dove si svilupperà poi la borghesia pre-capitalista (es.
Medici).la moda si istituzionalizza nel fine 800 con la nascita dell’haute couture
francese.

Lezione 2

Testo:

Introduzione alle principali teorie di sociologia della moda: fine 800-inizio 900

Passaggio alla società moderna: la rivoluzione industriale ne è un elemento cardine, il secondo evento è la
Rivoluzione francese e la rivoluzione americana. Perché? perché hanno reso visibile una trasformazione che
stava accadendo nella struttura sociale da secoli in Europa. Le società sono organizzate in strutture
gerarchiche, strati sociali, in Europa nelle società premoderne (l’Ancient regime) al vertice cera
l’aristocrazia, una classe sociale che basa il suo potere sul sangue e sulla proprietà(terriera), ha tutto
l’interesse nel conservare lo status quo e non vede utilità nel cambiamento. Il valore supremo non è il
lavoro, la scoperta, ma è la tradizione, l’ozio. La società in cui governano è una società con regole stabilite
che non mutano. La borghesia è subordinata a loro, non ha potere ne politico né economico. Fin dal XIV
secolo in certe zone del mondo (Italia e poi Europa) la borghesia ha iniziato ad accumulare grandi capitali
(ampliamento commerci). La borghesia grazie al lavoro, all’attività, accumula un capitale più ampio
dell’aristocrazia. Fino ad arrivare alla Rivoluzione francese, dove la borghesia prende il potere
sull’aristocrazia. Grande simbolo, i paesi iniziano a chiedere la democrazia.

Sono cambiati i valori che guidano la società nella vita e nelle relazioni tra di loro. Hanno perso importanza
quei diritti e poteri che uno ha dalla nascita ed hanno preso potere quelli che acquisisci nella vita.

Conseguenze:

 perdita stabilità, rivoluzioni, anche dentro le società

 urbanizzazione (fino al 700 le città erano piccoli agglomerati, con l’industrializzazione


(concentrazione manodopera in un unico luogo, attraverso la produzione in serie) le città si
gonfiano, diventano metropoli-> diventa un mondo irriconoscibile rispetto a quello precedente (le
sicurezze sembrano svanite, le relazioni diventano impersonali(il tuo vicino non lo conosci più, il
sindaco non sai nemmeno chi è), nella vita urbana si incrociano un numero esorbitante di persone
che non conosciamo ogni giorno.

In una società del genere, dove si è persa la stabilità, cosa garantisce la solidarietà sociale (esistenza
legami che impediscono di farci del male)?

Siamo passati da un tipo di solidarietà basato sulla conoscenza personale, ad uno basato sulla
complementarità funzionale. (solidarietà organica)
Non ci si ascolta perché ci si conosce, ma perché troviamo utile farlo (un prof insegna perché
pagato, uno studente ascolta perché gli serve per imparare).
Legami meno evidenti, basati su relazioni impersonali ma funzionali.
Non è un caso che la moda si istituzionalizzi nella società moderna, perché in quanto stile mutevole, in
quanto scelta di capi che verranno dismessi prima di non essere utilizzabili, ci sono ideali di mobilità, di
cambiamento, di ricerca del nuovo (cultura classe borgese, vita urbana-> posso vestirmi come voglio perché
le persone non sanno chi sono io). Mobilità sociale-> oggi sono un cameriere domani potrei essere un
avvocato. (non si è più legati al mestiere del padre). Anche se le persone ti conoscono, in questa società
oggi potrei essere diverso da ieri, quindi anche chi mi conosce domani potrebbe non conoscermi.

Differenza approccio sociologico e filosofico alla moda

La filosofia non è interessata al senso della moda per i diversi gruppi sociali, ed ai dati empirici (che tu
individui usando strumenti per andare sul campo). La filosofia è più interessata a capire l’essenza ultima
dell’essere umano, non si chiede il ruolo della moda in Italia, ma negli esseri umani in generale in modo
razionale. La filosofia ha svalutato la moda, perché è futile, a prima vista, non ce né bisogno. Classificata
come curiosa ma inessenziale.

Per la sociologia non è così, non si chiede se è utile o no, sa che se c’è ha per forza una funzione.

 GABRIEL TARDE: la moda è un fenomeno di imitazione sociale


Tarde è un sociologo francese che ha lavorato principalmente verso la fine dell’800, non era
specializzato nella oda, ma voleva capire le leggi sociali, affrontando anche la moda.
Qual’ è la legge sociale che individua tarde?

L’IMITAZIONE-> come fanno persone a vivere in spazi condivisi in pace? Attraverso l’imitazione,
l’evoluzione della società è possibile nella misura in cui ci sono l’invenzione e l’imitazione.
L’invenzione è necessaria per l’evoluzione, ma anche l’imitazione, altrimenti diventerebbe un
fenomeno circoscritto (“ogni invenzione che non viene imitata è socialmente inesistente” pag.24)
Vale anche l’opposto, il principio delle profezie che si autoavverano, quando la collettività si
convince di una cosa reagisce come se questa cosa fosse vera, portando alla realizzazione.

Applicata alla moda, questa legge fa leggere la moda come una forma particolare di imitazione.
Tarde si rende conto che esistono due cose diverse:
 Moda
 Costume (abbigliamento storico)

La differenza fondamentale è che la moda è temporanea, mentre il costume dura nel tempo e nello
spazio.
Il costume è l’imitazione nel tempo, imito cose passate, prolungo ad oggi un modo di vestirsi che
era in vigore ieri
La moda è un’imitazione nello spazio, prolungo fino a qui un modo di vestirsi in vigore ora a Parigi.
Idea ripresa dallo psicologo John Carl Flugel, che definiva il costume come quel tipo di
abbigliamento che cambia lentamente nel tempo, ma varai molto nello spazio, mentre la moda
varia poco nello spazio, ma varia molto nel tempo.

Tarde indaga le caratteristiche della moda del suo tempo (pag. 25)

 Uniformazione universale-> diffusione veloce e mondiale, invade tutti i campi-> una sorta di
globalizzazione, a fine 800 la moda supera i confini nazionali, si diffonde ovunque (guardando
all’Europa e agli USA). A fine 800 abbiamo migrazioni molto imponenti, tra l’Europa e il nord e sud
America (italiani, irlandesi, tedeschi) -> diffusione comunicazione nazionale, incremento trasporti->
primo fenomeno di globalizzazione. Omologazione dei consumi->tipicamente 900, vestiario sempre
più uguale. Oggi è probabile incontrare persone con il tuo stesso abito. L’ immaginario generale
sulla moda è sempre stato verso una omologazione totale (es. nei film sul futuro) -> cosa non vera
ancora.
 Obsolescenza programmata-> riduzione qualità prodotti dovuta allo sviluppo industriale ed alla
competizione. Per risparmiare.
 Democratizzazione moda-> la storia della moda è una storia di progressiva democratizzazione,
inizialmente era elitario. Dovuto ad industrializzazione prodotto (nel secondo dopo guerra, in
Europa, negli stati uniti prima), prima erano autoproduzione e dalla sarta locale. Fino a quel
momento era limitata a certi capi. La nascita del prêt-à-porter, e poi il fast-fashion hanno
contribuito. Non guarda tanto all’alta moda, ma all’ imitazione fatta dai piccoli artigiani. ->tensione
verso l’uguaglianza (vede il trend di unificazione delle classi).

La società moderna tende all’individualismo, non vedendo le persone legate ad un luogo, una
tradizione, un gruppo. Questa tendenza può essere vista come una tendenza alla perdita delle
disuguaglianze sociali. È un cortocircuito, non è detto accada, lo vediamo oggi, semplicemente sono
meno legate alla stratificazione delle classi sociali.
Per lui l’imitazione potrebbe portare all’abbattimento delle disuguaglianze.

Sonnambulismo->Tarde vede nella moda l’effetto narcotizzante-> il fatto che deleghiamo ad altri le
nostre scelte, seguire la moda significa non scegliere più come vestirsi. -> pensiamo di essere noi a
scegliere, in realtà è il sistema che ci sta dietro che sceglie.

Le leggi di diffusione della moda: le forme in cui la moda si diffonde

 dall’interno verso l’esterno-> vuol dire che la moda si diffonde prima di tutto a proposito delle
questioni intime, esistenziali delle persone, e successivamente nelle questioni esteriori, di
apparenza. Quando un gruppo sociale imita un gruppo sociale, intuiamo che ce stata già una
imitazione anche nei modi di vivere, nei valori.

 dall’alto verso il basso-> la moda si diffonde dalle classi abbienti, alle classi inferiori. (trickle-down)
-> viene sempre attribuita a Simmel (massimo esponente), in realtà non è così, perché la teoria è
stata sostenuta da tanti anche prima di lui (il termine trickle-down è stato inventato dopo) -> la
moda nasce nell’élite, e poi si diffonde nelle classi meno abbienti.

HERBERT SPENCER-> la moda è uno strumento di controllo sociale

inglese, influenza darwinista, interpreta società in termini evoluzionistici-> singole società come
singoli esseri viventi, che si evolvono in modo dettato da leggi di selezione naturale(progresso).

 Regime militare-> tipi di società dove i comportamenti sono regolati dal potere centrale (Ancient
regime)

 Regime industriale-> società basata sulle regole dell’economia, controllo sociale reciproco tra le
persone
La moda per Spencer è uno strumento di controllo sociale, nel regime militare l’abbigliamento era
controllato centralmente (da leggi suntuarie-> leggi che gli stati promulgavano e che dicevano
come potersi e non potersi vestire). Ancora oggi (non puoi entrare in chiesa con i pantaloni corti,
oppure l’obbligo della divisa scolastica). Un tempo il colore dell’abito determinava chi fossi (es.
medico avvocato, operaio).
Nel regime industriale, non ci sono leggi suntuarie, il controllo sociale è fatto dall’autorità
dell’opinione pubblica (controllo sociale informale), esercitato tutti i giorni reciprocamente, tramite
l’approvazione e la non approvazione. Vogliamo evitare di dispiacere gli altri, creando un
conformismo trasversale diffuso. -> uso abbigliamento libero ma soggetto a controllo sociale.
Si basa sempre sull’imitazione, ma ne esistono due forme:

 Emulativa: quando imitiamo qualcuno di raggiungibile, per raggiungere un obiettivo desiderabile.

 Reverenziale: ne riconosciamo la superiorità irraggiungibile.

Pag. 31-> Spencer non è convinto sostenitore della società moderna, ne vede i vantaggi, ma ne
vede anche le difficoltà, è molto più facile vivere in un regime militare, è meno rischioso.
La moda rispetto al costume è bella ma è complicata.

GEORG SIMMEL-> la moda nasce dall’equilibrio tra le due forze psicologiche dell’imitazione e della
distinzione
Imitazione e distinzione sono due tendenze fondamentali dell’animo umano per Simmel-> gli esseri
umani cercano di far parte del gruppo, di essere accettati, ma contemporaneamente abbiamo
bisogno di non scomparire nel gruppo, di mantenere un’identità, di essere riconosciuti. Abbiamo
bisogno di emergere dalla massa come delle individualità. CONTINUA RICERCA EQUILIBRIO.

La moda per Simmel viene fuori dal fatto che queste due tendenze, nel piano della società e delle
classi sociali si manifestano in maniera diversificata a seconda delle classi sociali.
Se siamo i privilegiati, quelli che stanno meglio, abbiamo un interesse particolare a mantenere la
nostra distinzione. Se siamo in una condizione svantaggiata vogliamo cercare di integrarci di più in
classi sociali meno svantaggiate di noi.
Nel piano individuale si è guidati da entrambi, mentre nelle classi sociali si è o più guidati da uno o
dall’ altro.
Nel campo della moda, le classi sociali che si percepiscono come svantaggiate, cercano di imitare le
classi privilegiate, mentre le classi privilegiate, cercano di distinguersi dalle classi inferiori che
provano ad imitarle. Per fare questo cambiano la moda. -> ciclo infinito. -> “la moda è moda di
classi” -> non è una questione individuale.

Pag. 33 “la moda non ha quasi mai motivazioni pratiche od estetiche” -> es. motivazioni pratiche->
freddo; motivazioni estetiche-> bello o brutto, elegante.
La moda non serve né a questo né a quello, perché la funzione reale è quella di governare le
dinamiche tra le classi sociali.

Simmel abitava a Berlino, città che ad inizio 900 brulicava di gente e mezzi, cosa che lo porta a
studiare la metropoli come luogo della vita moderna-> stimoli continui.

Distinzione tra uomo alla moda, fashion victim e il demodé-> persone alla moda e fashion victim ->
differenze? una persona alla moda governa la moda, ne padroneggia le leggi, la fashion victim è
vittima delle leggi della moda. Il demodé non segue la moda, spesso per scelta, scegliere di non
seguire la moda però è un altro modo di essere assoggettati alla moda.

La questione dell’ornamento-> Simmel osserva che l’ornamento è un modo per portare l’attenzione
degli altri sulla propria individualità. -> l’ornamento porta squilibrio verso la non eleganza.

Lezione 3

WILLIAM GRAHAM SUMMER: la moda è il dominio del gruppo sull’individuo (dipende un po’ da
Spencer)

Classifica tre modi diversi in cui ciascuno subordina i suoi comportamenti alle norme sociali:
1. Mores-> conformazione a norme sociali di portata generale, valori condivisi (perché
pensiamo che sia giusto fare così).
2. Folkways ->comportamenti che teniamo perché è una tradizione, un’usanza, un’abitudine
collettiva.
3. Moda-> comportamenti che teniamo perché ci conformiamo alla coercizione della massa (è
un tutti fanno così) -> se non si fa così si subisce una sanzione-> il sarcasmo e il ridicolo
(sanzione informale)

THORSTEIN VEBLEN: la moda è un’espressione di consumo vistoso

Nella società contemporanea gli uomini hanno applicato quella che Flugel ha definito la grande rinuncia
maschile alla moda-> tra diciottesimo e diciannovesimo secolo abbiamo un grande cambiamento nell’
moda maschile-> l’uomo dell’800 rinuncia alla moda:

1. Rinuncia a colori ed ornamenti (vestiti grigi, pantaloni lineari, giacca),


2. Rinuncia alla variabilità.

La donna invece usa ancora ed estremizza l’uso degli abiti come valorizzazione della sua presenza in
pubblico. Fino a quel momento l’uomo e la donna erano al pari nella moda.
 Perché è successo questo?

La borghesia prende il sopravvento-> se prima l’aristocrazia si basava sulla proprietà terriera e sul
non lavoro, ora la borghesia basa il suo potere e la sua ricchezza sul lavoro.

Ha bisogno di più comodità e della rappresentazione che se ne fa-> gli abiti del 700 facevano
vedere agli altri che non avevano bisogno di lavorare, mentre nell’800 gli abiti facevano vedere che
non si aveva tempo per la moda e che si doveva lavorare per mantenere il proprio prestigio.

La grande rinuncia maschile indica è il passaggio dall’Ancient Regime alla società moderna. - > non
è un cambio di stile, ma un cambio strutturale.

E le donne? C’è una compensazione (teoria di Veblen)


In epoca di grande rinuncia maschile non solo rinuncia alla moda, ma rinuncia ai consumi, ai lussi
dell’aristocrazia, la realizzazione non sta nella quantità di ricchezza accumulata, ma nel successo
che hai sul campo di lavoro; quindi, la ricchezza che guadagnano lo reinvestono nella loro attività.

La cultura della classe agita prevede la divisione dei ruoli, l’uomo che deve dimostrare che lavora
con l’abbigliamento, mentre la donna deve dimostrare che non ha bisogno di lavorare, mostrando il
successo che ha avuto il marito sul lavoro (la donna trofeo).

È un’interpretazione maschilista? ignora l’interesse autentico che potrebbero aver avuto le donne
per la cura dell’aspetto e la moda?

Idea prof->Il fatto che alle donne piaceva la moda non dimostra che non ci fosse una dinamica
come quella descritta da Veblen (anche inconsciamente).

Veblen non dibatte sull’eleganza.

 Simmel non ha l’idea della donna trofeo, però per lui la donna se ne interessa perché
essendo stata espulsa dalla sede dei poteri, ha sviluppato un interesse particolare per
ambiti diversi in cui si può realizzare (es. la moda).

Veblen introduce tre concetti: vistoso (ostentato, reso palese)

1. Sciupio vistoso - > buttare ostentatamente la ricchezza (si vede nel fatto che una
quantità di denaro esorbitante viene spesa per vestirsi).
2. Consumo vistoso -> ostentato ricambio continuo delle cose di cui ti circondi per far
vedere la tua ricchezza.
3. Agiatezza vistosa

WERNER SOMBART: la moda è uno strumento di profitto del capitalismo

 Oggetto di interesse-> capitalismo maturo-> come un passaggio da società basata


sull’artigianato ad una basata sull’industria abbia cambiato la società. (industrializzazione
beni di consumo)
Lui vive nel 900, quindi si parla della seconda rivoluzione industriale, nella quale si sono
industrializzati i beni di largo consumo. (cibo confezionato, abiti, mobili, oggettistica di casa,
automobili (es. Ford)

Il design nasce in questo stesso periodo, e secondo alcuni nasce con uno scopo preciso,
relativo a questo passaggio, dalla produzione artigianale a quella industriale. Le
caratteristiche estetiche degli oggetti prodotti nei due modi sono diverse.
L’estetica caratteristica dei prodotti industriali è basata sulla leggerezza (materiali poco
resistenti, poco solidi, per abbattere i costi e facilitare le lavorazioni), non fatto per durare
nei secoli.
Il design nasce come risposta al bisogno di trovare nei prodotti industriali un’estetica
analoga a quella dei prodotti artigianali. (design= decorazione prodotto industriale al fine di
qualificarlo come se fosse un prodotto unico).

Sombart inserisce la sua idea di moda all’interno di questo contesto. Le caratteristiche che
li vede del sistema capitalistico maturo aiutano a capire l’evoluzione della moda.
Identifica tre concetti:
1. Generalizzazione-> la moda si diffonde a macchia d’olio, facilità e stimola la
diffusione come forma di consumo e relazione sociale. -> in tre direzioni 1) ……
2) generalizzazione delle categorie merceologiche-> sempre più tipi di beni;
3) generalizzazione geografica-> tocca sempre più paesi diversi ed è sempre più
permeabile alle frontiere.
2. Accelerazione -> accelerazione del ritmo di cambiamento, le mode si susseguono
con un ritmo sempre più veloce
3. Obsolescenza programmata-> Sombart osserva che la moda non è più creata
dall’élite sociale, ma è il prodotto del lavoro del sistema industriale per produrre
profitto.

Per Sombart non è più effetto di una distinzione di classe, ma il prodotto dello sforzo dei capitalisti di
aumentare la produzione, mantenendo vivo il desiderio dei consumatori di rinnovarsi -> consumatori
schiavi dei produttori.

Le teorie di fine Novecento

JEAN BAUDRILLARD: la moda è autoinganno e dominio delle apparenze

 Anni 60 -> anni di rivoluzioni giovanili, nascita prêt-à-porter (produzione in serie)

Vittima di una manipolazione dei segni (anni 60-> svolta semiotica-> studio dei segni) -> i
segni sono una parte essenziale della società umana

Guardando una lavagna con disegnata una casa, non vediamo pezzi di gesso, ma una casa->
gli esseri umani hanno la capacità di vedere delle cose in altro.
Noi non viviamo in un mondo di oggetti, ma in n mondo di significati.

Baudrillard dice che il consumatore di moda è vittima di una manipolazione sistematica dei
segni-> il sistema sociale produttivo del capitalismo industriale sfrutta la nostra capacità di
dar significato alle cose per mantenere lo status quo, per mantenere il sistema di privilegi
su cui è basato. È interessante perché contraddice l’idea della democratizzazione della
moda-> ci sembra che la moda si stia democratizzando, ma in realtà la moda serve a
mantenere la discriminazione sociale, le distinzioni di classe, perché se andiamo a vedere la
funzione degli oggetti di moda questi sono:
1. Certificazione destino sociale: da dove veniamo, di che classe sociale facciamo
parte. -> non si riesce a fingere, un conto è vestirsi come qualcun altro, un conto è
esserlo.
2. Palesa aspirazioni sociali

Per Baudrillard la democratizzazione della moda è solo apparente

Autoinganno-> La moda fa credere che ci possa essere una mobilitazione sociale che di fatto non esiste. ->
non basta cancellare le descrizioni semiotiche, per cancellare quelle reali.

Se si pensa di vivere in un sistema egualitario, la tua tensione al superamento delle disuguaglianze cala. ->
la tua voglia di lottare contro il sistema scema -> la moda favorisce l’inerzia sociale, soddisfacendo in
apparenza il bisogno di cambiamento.
HERBERT BLUMER: la moda è anticipazione del gusto collettivo

Sociologo americano che fa parte della corrente del’ interazionismo simbolico (idea che le relazioni sociali
sono processi comunicativi-> l’idea che le interazioni tra le persone sono mediate dalla capacità di
significazione).

Applicati alla moda questi concetti portano Blumer a rifiutare l’idea di moda come moda di classe-> per lui è
il prodotto di una miriade di interazioni sociali in cui ciascuno produce significati in risposta ai significati
prodotti dagli altri. -> gusto collettivo

Cos’è la moda in tutto ciò? - >

Ci sono dei professionisti che si sono specializzati a prevedere ciò che andrà di moda

Per lui la figura cardine del sistema moda è il buyer-> colui che dentro a tutte le proposte di moda seleziona
alcune cose, con il criterio di andare in contro ai potenziali clienti di domani-> prevedere il gusto collettivo

L’industria culturale (moda, testi, poster, cinema, musica) funziona normalmente come un processo
selettivo a più stadi-> la creatività è infinita, produce più prodotti di quelli che possono essere
effettivamente prodotti.

GILLES LIPOVETSKY: dalla moda dei cent’anni alla moda matura

Francese, a metà tra sociologo e filosofo, ha scritto uno dei primi libri che va veramente a fondo nella
sociologia della moda, negli anni 80. (l’impero dell’effimero)

Punto di partenza-> idea che la moda nella società contemporanea (società post-moderna), non è un
aspetto della società, ma la dorma fondamentale della società. -> da fenomeno periferico a fenomeno
egemonico.

La stessa moda ha cambiato pelle-> moda matura contro moda dei cent’anni-> cos’è la moda dei cent’anni?
1857-> apertura atelier di Worth (inizio haute couture) /1957-> prima sfilata prêt-à-porter (fine haute
couture)

Moda matura-> moda contemporanea, moda individualista-> quella dei cent’anni era una moda di classe, la
moda matura è individualista, dove ciascuno fa le scelte non per soddisfare un’appartenenza di classe, ma
per soddisfare il proprio piacere personale (motivi edonistici).

Individualismo-> caratteristica società moderna-> è una forma di eccesso di individualizzazione, perdita di


interesse per il destino della collettività, ricerca piacere, soddisfazione propri bisogni, scarso interesse
politico, perdita interesse disuguaglianze.

Nel campo della moda? Individualizzazione radicale scelte. -> soli di fronte al mondo.

La società premoderna era focalizzata sul passato (come facevano i nostri padri? Qual è la tradizione?

La società moderna era focalizzata sul futuro (dove vogliamo andare? Qual è il progetto che abbiamo?
come possiamo realizzarlo?)

La società postmoderna è focalizzata sul presente, sul godimento (vivere senza un progetto e dei valori
accumulati nel tempo, vivere alla giornata)
La moda contemporanea è governata dal continuo cambiamento-> tanto è tutta apparenza,
teatralizzazione, non ci sono usanze da perdere, una cosa vale l’altra.

Desocializzazione del consumo-> le scelte del consumo non hanno più a che fare con le dinamiche sociali,
sono scelte individuali.

Tutto ciò sembra convergere verso l’egoismo, verso lo smembramento della società, ma in realtà rende
possibile una migliore convivenza.

 Desocializzazione consumo-> acquisti sempre più slegati alle appartenenze di classe,


culturalmente, non a livello economico.

Liberazione individui dalle classi sociali.

I paradossi della società moda:

1. Nella misura in cui la società postmoderna ha dissolto nell’individualismo i legami sociali, le


conseguenze che ci si aspettava erano una disgregazione sociale. E invece è successo l’opposto, nel
senso che in qui paesi in cui di e imposto questa cultura del consumo effimero e questo narcisismo
si sono stabilizzate ed affermate le democrazie. -> si è imposta la cultura della tolleranza, più
accettazione del diverso, dove le grandi contrapposizioni tra classi, fedi religiose e stati diversi si
sono stemperati. -> per la perdita di appartenenza ad una classe.

2. L’idea dell’individuazione del consumo della moda si accompagna all’idea che gli abiti possano
essere un mezzo di comunicazione. La società moderna e caratterizzata da una crisi comunicativa
dettata dall’individualismo, siccome dell’altro ci interessa poco, mi interessa poco anche
comunicare. -> comunicazione come pura apparenza.

Lezione 4

DIANA CRANE: dalla moda di classe a quella di consumo


Anni 90
Anche lei non considera più valida la teoria di Simmel perché siamo passati dalla moda di classe a
quella di consumo-> il ciclo della moda ha perso il suo mordente-> una volta il ciclo della moda
dominava le scelte dei creatori della moda, questo con il tempo è diventato sempre meno vero,
sempre più produzione di un ambia gamma di stili che viene offerto al pubblico che sceglie. La
moda non è più una dittatura dello stile, ma ti offre più opzioni (supermercato della moda).
I consumatori sono diventati sempre più bravi a scegliere

La moda non sgocciola più dall’alto al basso, bensì è bottom up-> non riguarda più le classi sociali,
piuttosto l’appartenenza e la non appartenenza al mondo della moda.
Siccome l’abbigliamento + diventato uno strumento di identificazione di sé, il processo di diffusione
delle mode non è più un processo di classe, ma può partire da gruppi sociali marginali e poi
diffondersi. (es. Punk, hip hop)

Cambia il modo in cui vengono usati i vestiti-> diventano sempre più un mezzo di comunicazione,
man mano che la scelta diventa sempre più individualizzata l’abbigliamento diventa sempre più un
mezzo di comunicazione. Questo porta a vedere i singoli abiti e i look non più come testi chiusi (con
significato predeterminato, difficile da fraintendere o interpretare diversamente) ma come testi
aperti-> es. cilindro-> nell’800 indicava un borghese imprenditore, manager (testo chiuso) -> le t-
shirt sono un testo aperto, può indossarlo un imprenditore, un professore, un commerciante, un
operaio, uno studente.

L’abbigliamento come mezzo di comunicazione

L’ ibrido corporeo vestimentario

Il linguaggio ci porta a parlare di corpo e di abito in maniera distinta-> questo modo di parlare va
bene nella vita quotidiana, ma nasconde una realtà fondamentale, il fatto che abito e corpo si
presuppongono reciprocamente (non c’è abito senza corpo e non c’è corpo senza abito), sono due
facce della stessa medaglia.
Il corpo vestito è chiamato “ibrido corporeo vestimentario” -> insieme di corpo e abito.
Costituisce l’importanza che viene data al corpo e alle sue forme nella moda

 L’abito presuppone il corpo-> esistono in funzione ai corpi da abbigliare, anche gli accessori
si relazionano con l’intero corpo e non solo con la parte portante.

 Il corpo presuppone l’abito-> il corpo implica originariamente qualche forma di vestimento.

Originariamente significa che la vita umana è vita vestita, tutta l’esperienza di vita che facciamo è vita
vestita-> per quanto tempo si è stati nudi?

Il nudo è l’eccezione, ci si sveste->situazione eccezionale che necessita comprensione -> la nudità è una
situazione eccezionale che si giustifica in base a determinate circostanze, non è la naturalità della vita

Il corpo nudo è un prodotto culturale -> è un fatto che viene interpretato, perché dentro al corpo nudo noi
vediamo un significato.

Il corpo nudo non è naturale nell’uomo -> ci fa rivalutare l’idea contraria, perché la spontaneità ci fa vivere
vestiti.

Il corpo ha la caratteristica di essere rivestito, ad un corpo svestito manca qualcosa, e deve essere
giustificato da una situazione.

Il fatto che il corpo sia nudo gli dà un significato in quanto nudo.

Corpo e abito si co-appartengono, come il sole e la terra, noi ne parliamo separatamente, ma se non ci
fosse il sole la terra non sarebbe così-> le cose e le persone vivono di relazioni. -> es. corpo e abito

Svestire un corpo significa cambiare quello che è-> cambiano i movimenti, le posture, …

 Ciò che produce significato è sempre una coppia indivisibile di corpo e di abito sia per addizione che
per sottrazione.
L’idioma corporeo-vestimentario funziona similmente alla musica-> ci dice qualcosa perché è un
insieme di suoni e silenzi che dà il ritmo, dove i silenzi sono musica per via privativa, così il nudo è
espressione dell’idioma corporeo-vestimentario per sottrazione.

Bisogna abbandonare l’idea della distinzione tra corpo e abito:


1. Gli abiti sono attivati dal corpo -> altrimenti sono morti

2. I corpi sono attualizzati dagli abiti-> il corpo nudo o è attualizzato dalla cornice (es. spiaggia di
nudisti) interpretativa oppure è un’astrazione.
L’abbigliamento come tecnica del corpo
Se pensiamo all’abbigliamento non come un’aggiunta ma come un qualcosa di essenziale, l’abito
non ricopre il corpo ma lo estende. -> si aggiunge il corpo, lo modifica, lo estende, contribuisce a
definirlo in un contesto sociale.

Abito e corpo si co-appartengono al cospetto di una collettività, nel nostro essere al cospetto di
altre persone. L’interazione con altri presuppone il corpo vestito, se non in circoscritte situazioni.

L’abbigliamento è una “tecnica del corpo” -> le tecniche del corpo sono modi di fare prodotti
socialmente. (es. nuotare-> com’è che esistono 4 modi di nuotare standardizzati? rana, delfino, stile
libero, dorso. Noi li sappiamo identificare, esiste un codice socialmente condiviso di come si muove
il corpo quando vuoi nuotare a stile libero. Noi abbiamo imparato a farlo.
Le tecniche del corpo sono tecniche (procedure codificate) che definiscono attività quotidiana che
svolgiamo con naturalezza. (es. il modo in cui camminiamo, che passiamo tutta la vita a
perfezionare) (differenza movimento tra uomo e donna) -> le tecniche del corpo non sono naturali,
ma tecniche naturalizzate (es. modelle in passerella)

L’abbigliamento è una tecnica del corpo perché essendone parte integrante, diventa nostro
attraverso un esercizio e delle tecniche.
Oggi si preferisce definirlo pratiche e non tecniche.

L’ibrido corporeo-vestimentario come mezzo di comunicazione

Noi siamo esseri capaci di produrre significati. Quando incontriamo un'altra persona entriamo in un
rapporto di significazione reciproca. L’ abbigliamento socializza il corpo, lo rende un testo leggibile,
significativo.

Abbigliamento come mezzo di comunicazione

Senza corpo non si comunica:


 se noi pensiamo a cosa vuol dire parlare, parlare vuol dire modificare il proprio corpo in maniera di
produrre dei segnali che l’altro decifra, stessa cosa quando si fanno dei gesti. (le parole sono anche
dette gesti acustici).
 Senza comunicazione verbale ce comunque comunicazione corporea. Senza comunicazione
corporea non c’è comunicazione
 Cos’è la comunicazione mediata? Uso

Senza abito non si comunica: se ogni comunicazione presuppone il corpo, presuppone l’ibrido
corporeo-vestimentario. Questo va riferito non ad ogni modificazione del corpo, ma su quelle che
fanno leva sulla comunicazione visiva.
 È sbagliato trattare l’abito come una maschera, perché porta a separare corpo e abito.

Lezione 5

Alison Lurie: critica dell’idea di linguaggio vestimentario


Molto criticato, perché non dispone di una propria grammatica, non c’è una sintassi->Le
regole sintagmatiche, cambiano il significato della frase a seconda del modo in cui assembli
le frasi
È sbagliato dire linguaggio vestimentario, perché non ha queste regole (regole di
assemblamento). È più che altro una collezione di messaggi modello, che noi usiamo
Di fatto non esiste un codice:
 Il linguaggio dei vocaboli è ambiguo e incostante,
 La comprensione del messaggio non è lineare e sintattica, quindi non è generativa di significati
complessi,
 I significati non sono il prodotto di regole combinatorie, ma già predefiniti,
 L’abbigliamento non permette una conversazione.

Questi limiti ci fanno abbandonare la presta di considerare l’abbigliamento come un linguaggio


Allora come va compresa la comunicazione vestimentaria nella comunicazione umana?

Il modello inferenziale della comunicazione

La pragmatica linguistica-> ci mostra una dimensione del linguaggio che le altre parti non sono in
grado di mostrare
Altre parti: fonetica (studio suoni), la sintassi (studio regole sintagmatiche), la semantica (si occupa
dei significati), la pragmatica (non considera la lingua non come un insieme di regole e codici, ma
come un’azione, e le frasi come atti comunicativi. Quando noi parliamo non stiamo solo articolando
suoni, dandogli significato, ma siamo facendo un’azione concreta verso le altre persone, come
quando agiamo fisicamente verso le altre persone. Insieme di comportamenti sociali, per ottenere
certi effetti dal modo circostante.

Primo assioma della pragmatica:


non si può non comunicare, a meno che non si è da soli, che lo vogliamo o che non lo vogliamo,
perché qualsiasi nostra azione o non azione viene interpretata dagli altri.

Il modello inferenziale-> è nata negli anni 80

Prima la comunicazione era concepita diversamente-> c’è un emittente che produce un messaggio-
lo trasmette-c ’è un destinatario che lo interpreta (sistema idraulico) -> sbagliato, implica una sorta
di telepatia.

La capacità di significazione è basata

L’approccio drammaturgico

Lezione 6
Cosa vuol dire comunicare con gli abiti?
Si può comunicare senza essere fraintesi? ->
Non è possibile fissare negli abiti il loro significato, e non è possibile impedire agli altri di leggere
negli abiti che indossiamo un significato.
Il significato:
1. Non è iscritto nella materialità degli abiti,
2. Non è dato dalle intenzioni del designer,
3. Non è dato da chi indossa l’abito,
4. Si ha nell’interazione tra le persone
Il look clone-> caricatura mascolinità-> Elizabeth Wilson

Lezione 7

Quattro tesi sulla moda italiana:

1)La moda è un’industria culturale:

cosa vuol dire industria? -> produzione in serie

E la culturale? Tutto ciò che è prodotto dello spirito, della mente, ciò che ha che fare con i linguaggi di cui
l’uomo di e dotato, tutto ciò che comporta delle idee.

E l’industria culturale? Come si fa a produrre in serie le idee? -> le idee non vengono prodotte in serie, ma i
supporti in cui sono contenute (es. tot. copie di un libro).

Non è un’ovvietà che la moda sia un’industria culturale->fino a pochi decenni fa non era un’idea condivisa e
diffusa in Italia, la moda era considerata sotto il cappello del made in Italy, mettendola nella categoria dei
settori produttivi industriali al paro delle automobili, della farmaceutica. Era vista dal punto di vista della
produzione dei beni culturali, non della cultura.

Lo stilista vende indumenti o idee? -> in Italia e sempre prevalsa la convinzione che stesse vendendo
indumenti di altissima qualità, ma indumenti, non prodotti culturali. In Inghilterra da tempo la moda è stata
intesa principalmente come produzione culturale (es. Vivienne Westwood). Un esempio di questa
differenza e che in Italia non ci sono musei della moda, oppure se ci sono sono nati di recente, mentre in
Inghilterra da sempre sono presenti.

Quando è stato scritto il libro, 15 anni fa non era scontato in Italia parlare di industria culturale per la moda.

Industria culturale: espressione formulata per la prima volta da Horkheimer e Adorno, per parlare della
produzione culturale, ( fanno parte della scuola di Francoforte)-> quando sono in America si rendono conto
che la Germania era incentrata sulle tradizioni, mentre l America era molto più avanti sulla cultura di massa,
cinema e radio, e si mettono a studiare la produzione culturale in quel contesto, rendendosi conto che negli
stati uniti la produzione in serie del prodotto culturale era spinta all’estremo.

Notano impoverimento prodotti culturali, venendo dalla Germania in cui domina la musica classica, mentre
trovano in America il dominio del Jazz.

Erano abituati a musica unica riprodotta solo dal vivo, mentre il Jazz poteva essere riprodotto su disco->
impoverimento cultura = nascita cultura di massa-> cultura a disposizione di tutti.

Prodotto cultura di massa-> impoverito, banalizzato, standardizzato. -> se standardizzi i prodotti l’effetto è
che standardizzi le persone su livelli culturali bassi. -> funziona così anche per i prodotti materiali, non
culturali.

Tutti ascoltano i Maneskin-> piacciono a molti, tutti li ascoltano

Industria culturale, e non cultura di massa, per non far pensare che sia prodotta dalle masse, perché così
non è, è prodotta dall’industria per le masse.

La cultura di massa usa gli stereotipi-> perché la ripetizione facilita la comprensione.

La ripetizione aggira il problema della novità., il problema della comprensione della novità.
L’esito dell’industria cultuale è apparentemente l’adeguamento dei prodotti culturali alle esigenze del
pubblico di massa, di fatto è l’adeguamento del pubblico alle esigenze dell’industria.

L’idea dell’industria culturale della scuola francofortese è stata messa in dubbio-> è davvero tutta
spazzatura? No, molte nuove forme di cultura sono nate proprio da questo, e di arricchimento della vita
delle persone sempre si parla (musica jazz, rock, fotografia, cinema, fumetto,).

Blumer descrive il funzionamento della moda così: non è vero che la moda è prodotta dall’industria,
imposta dall’industria ad un pubblico standardizzato perché è invece vero che l’industria deve fare sempre i
conti con il consumatore. Il buyer si occupa di mediare.

Risposta insoddisfacente:

industrie culturali=ibride

1)processo creativo (produzione culturale)

Processo industriale(manifattura)

Funzionamento diverso dalle altre industrie-> l industria di solito funziona attraverso un continuo processo
di innovazione implementare (io so già mentre faccio un oggetto come dovrà essere tra due anni) -> questo
non si può sapere nella industria culturale (es. nell’industria cinematografica), perché i gusti cambiano->
non si può procedere in maniera pianificata come l’industria manufatturiera. -> allora come fa a produrre
profitto?

Paul Hirsch->

Quello che noi vedremo domani nei cinema, oggi è in costruzione non in maniera pianificata, ma attraverso
una selezione operata step by step che poco alla volta sfrondano i prodotti culturali che arriveranno al
pubblico.

Sottosistema tecnico--filtro 1--sottosistema manageriale--filtro 2--sottosistema istituzionale--filtro3—


consumatori (poi dai consumatori abbiamo i feedback che tornano all’area manageriale)

La parte del precosse industriale è importante tanto quanto la parte creativa.

Lezione 8

2)Distinzione e comunicazione non sono in alternativa

Non c’è una contrapposizione tra i due concetti.

Distinzione: la moda ha funzione distintiva

Comunicazione: la moda ha funzione principalmente espressivo-comunicativa per chi ritiene che vestirsi
secondo le tendenze serva a interagire di volta in fine 800 e inizio 900 condividevano la tesi della
distinzione, mentre alla fine del 900 condividevano quella della comunicazione questo perché la moda è
cambiata.

Non dobbiamo farci ingannare dagli aspetti storici, che si differenziano nelle diverse epoche.

Il cambio di paradigma nella sociologia della moda si ha per due ragioni

1) Idea che l’industria della moda ha gradualmente inglobato tratti culturali e subculturali,
sollecitando i consumatori i creatori di moda hanno sempre più saccheggiato la creatività delle
culture e subculture prendere ispirazione, fonti creatività.  la moda diventa sempre di più un
contenitore che raccoglie tratti di culture e subculture i consumatori di moda a loro volta sono
sempre più attratti dalla dimensione culturale, da ciò che l’abito trasmette in termini di
appartenenze culturali.
Quando parliamo di culturale, parliamo del modo in cui le persone interpretano il loro stare al
mondo, la cultura e l’insieme dei significati che diamo al mondo che ci circonda, per questo le
culture sono variabili. Siamo in grado di dare significato alle cose, il mondo non è abitato da oggetti,
ma da significati. La nostra interpretazione dipende a sua volta dalla collettività e dall’ambiente in
cui abbiamo vissuto. La cultura è l’insieme delle interpretazioni del mondo tipiche
La cultura dominante è quel linseme di significati che vengono attribuiti più frequentemente in una
società, è quella condivisa da tutti. La cultura dominante non è totalizzante. Ciascuno la interpreta
in maniera personale, adattandola alle proprie esigenze e caratteristiche personali.
Abbiamo poi le subculture, riferite ad un certo gruppo sociale circoscritto, all’interno di una società.
(es. subcultura giovanile, subcultura religiosa,).

2) Sono mutate le forme di appartenenza sociale  non sono più imposte da una generazione a
quella successiva, ma prodotte all’ interno dei gruppi e della generazione per via del
riconoscimento da parte di altri. Oggi non è più trasmesso dalla famiglia, ma dai coetanei, in modo
orizzontale. Non si manifesta più un’appartenenza di classe sociale, ma di generazione.
Non lo impariamo da qualcuno, ma lo sviluppiamo con qualcuno es. i bambini che si vestono
dall’armadio della mamma o del papà non per imitare, ma costruendo la propria identità e la
propria immagine di sé.

Questa opposizione tra comunicazione e distinzione è artefatta, questo passaggio da una moda
Simmeliana a una moda lipovetskiana non c’è, c’è un passaggio, ma non perché c’è un
ribaltamento, questi due aspetti coesistono.

Le dinamiche di classe esistono ancora:


es. i giovani immigrati della seconda generazione: non hanno risorse, entrano nella società italiana
in uno strato sociale basso, ripartono da zero. I figli che frequentano le scuole, che si trovano a
stretto contatto con i ragazzini italiani, si trovano a dover inseguire i consumi tipici dei ragazzini
italiani, per farsi accettare. La moda è ancora imposta dalle classi superiore e inseguita dalle classi
minori. Ce anche la fuga delle classi superiori, non più verso oggetti più costosi, ma fuga verso
oggetti più ricercati, che necessitano di una cultura più elevata per essere capiti e apprezzati. —>
non ostentazione ricchezza, ma ostentazione cultura superiore.
I prodotti alla moda non sono necessariamente i più costosi, non sono selezionati in base al prezzo,
ma in base al contenuto culturale. Quindi l’abito parla inevitabilmente di te.

3) La moda italiana è conservatrice


Si è sempre detto che nella moda e nel design l’Italia è innovativa ed è a capo.
Mora dice che la moda italiana è in realtà conservatrice.
Luvaas  Parigi, moda migliore, Londra, gente innovativa, smart, coraggiose, NY casual e
commerciale, Milano dimenticala, lasciala perdere Milano è il posto del vorrei ma non posso,
vorrebbe essere glamour, ma non è innovativo, fa solo cose standard.

La moda è conservatrice a tre livelli:


1) Piano istituzionale dei market player, i grandi produttori  il rafforzamento dei grandi marchi
ha spostato l’attenzione degli stilisti dal design alle politiche di immagini  man mano che i
brand sono cresciuti, hanno perso la carica innovativa, più alto è il capitale, più si è prudenti.
Hanno ridotto la capacità creativa
 Oppure creazione di seconde linee, e licenze (quello che oggi fa il fatturato della
moda) le prime linee servono solo come vetrina, e poi il fatturato è fatto da profumi,
occhiali, …
 Nelle altre capitali della moda non è successo perché c’è stato u continuo
rinnovamento dei designer, apertura ai giovani, cosa che in Italia non c’è stata, perché
si è creato un blocco di potere, una cricca, un gruppo di interessi fatto dai grandi stilisti
che mirava a tener fuori i nuovi arrivati per ridurre la concorrenza. La camera nazionale
della moda (associazione industriale della moda), fondamentalmente organizza la
fashion week, organizzando il calendario come dei buttafuori. La gestione della camera
della moda è nelle mani dei principali stilisti italiani. L’obbiettivo era quello di lasciare
fuori gli altri, mantenendo la sicurezza per questi grandi brand.

2) Piano comunicazione l’editoria di moda non è indipendente, ma è un megafono dei grandi


brand di moda da sempre ha un legame molto stretto con i produttori di moda, questo però
è diventato sempre più stretto
Negli anni 60 Balenciaga aveva addirittura estromesso i giornalisti di moda dalle sue sfilate, le
riviste di moda non erano in grado di pubblicare informazioni se non facendosele raccontare
dai buyer. Balenciaga lo aveva fatto perché non voleva che i suoi capi venissero riprodotti nei
grandi negozi. Alla fine del secolo scorso e oggi non succede più perché le riviste hanno bisogno
del sostegno e delle pubblicità delle riviste di moda; quindi, non possono non usare dei capi di
abbigliamento di determinati brand in certo servizi delle riviste. Oggi la professione del critico
di moda non esiste più, ci sono solo alcuni giornalisti che possono davvero dire quello che
pensano nella moda. Questo vale in tutto il mondo, ma in Italia per tanto tempo mancavano le
testate indipendenti che c’erano negli altri paesi. Oggi però ne sono nate un po'. Non sono
sostenute dai brand, quindi, possono esprimersi liberamente e possono utilizzare ciò che
vogliono senza curarsi dei brand. Come si sostengono? Non pagando le persone che ci
lavorano. Gli stylist lo fanno per il portfolio, dato che nelle riviste indipendenti possono davvero
esprimersi.
3) Consumatori: i consumatori di moda sono conservatori. Di conseguenza anche i produttori lo
devono essere.
I giovani, che sono una parte rilevante e che sono in genere più aperti alla novità e ai
cambiamenti, in Italia a differenza di alti paesi le scelte vestimentarie delle subculture giovanili
sono state prevalentemente conformiste rispetto alla cultura dominante, si sono adeguare
anziché rivolgervisi conto (street style in Italia alla fine del 900 solo i paninari; Regno unito
fine 900 molteplici). Rispetto ai punk i paninari erano più vicini alla cultura dominante,
riciclavano la cultura dominante. Questo fatto ha una spiegazione sociologica, nelle dinamiche
di classe le classi inferiori cercano legittimazione, un modo per farsi riconoscere, ci sono molti
modi per farlo, uno di questi è per contrapposizione rispetto alle élite (punk mondo giovanile
che trova il modo di essere protagonista sul palcoscenico del mondo sociale per
contrapposizione al gusto dominante). In Italia questo non succede, i giovani delle classi
subordinate cercano di trovare il proprio ruolo per imitazione e non per contrapposizione.
L’approccio per contrapposizione porta all’innovazione mentre l’emancipazione per imitazione
porta alla replica eterna dell’uguale, è un approccio conservatore.

4) Attraversiamo una fase di saturazione semiotica


Evoluzione del sistema moda:
 Progressiva democratizzazione moda si allarga sempre di più il bacino di coloro
per i quali la moda è rilevante,
 Diffusione sempre più ampia delle politiche di branding e identità di marca
sempre più aziende hanno investito sempre di più sull’immagine del marchio.

 Dubbio: la diversificazione non può essere infinita, la gamma delle differenziazioni


estetiche è esaurita.
I
I
V
“Saturazione semiotica” limite alle forme di comunicazione che abbiamo a
disposizione. Se la gamma di differenziazione è limitata, allora questa
differenziazione è apparente.
Perché il termine saturazione semiotica parallelismo saturazione dei mercati, per
la quale certi mercati ad un certo punto non crescono più perché il mercato è
saturo (es. tutti hanno un frigorifero e non lo cambiano fino a che non si rompe). I
prodotti nuovi si basano solo sulla stimolazione del desiderio. Per analogia Anterio
Gucci chiama la saturazione semiotica la saturazione dei segni di comunicazione,
estetici, immateriali. Il bombardamento di forme, colori, stili nel prodotto e nella
pubblicità crea nel consumatore un effetto “marmellata” in cui le diversità si
confondono, un rifiuto, quasi un’ecologia dei sensi. Le immagini non ci comunicano
più la distinguibilità tra chi li produce, non riusciamo a capire chi neanche se si
tratta di alta moda o fast fashion.
Analisi semiotica consente di

Lezione 9
Moda e arte
La moda può farsi arte?
 sì, se è vero che oggetti di case di moda sono esposti nei musei d’arte (come lo zaino di Prada al Moma)
 quando è fatta da creativi diventa una forma d’arte
 la moda può ispirarsi all’arte

Principali obiezioni che vengono mosse:


 durata: l’arte è longeva, la moda effimera dimensioni temporali molto diverse, abbiamo delle istituzioni di
conservazione dell’arte, mentre gli abiti antichi sono considerati patrimonio culturale, non opere d’arte.
 Interesse: partendo dal presupposto che la moda sia disinteressata, perché l’arte risponde all’impeto artistico, lo
scopo dell’artista non è massimizzare il guadagno, mentre quello del designer sì. In realtà spesso l’arte non è
disinteressata (es. Rubens, che aveva un’impresa con dieci dipendenti). Oggi non è tanto questo, ma più che altro è
che l’arte è un business dell’élite, mentre la moda è un business più largo.
 Autorialità l’autore dell’opera d’arte è identificato come persona fisica, nella moda c’è la celebrazione dell’autore,
ma questo è uno strumento di promozione commerciale, non l’identificazione di un creativo.
 Utilità l’opera d’arte è fine a sé stessa, la moda serve ad altro (vestirsi). Quando la moda diventa arte perde la sua
funzione vestimentaria.

In che misura questi mondi non sono completamente diversi? Cos’hanno in comune?
Bisogna storicizzare i concetti di arte e moda moda e arte non sono concetti astratti ma fenomeni sociali che
mutano nel tempo. Quello che erano la moda e l’arte 100 anni fa non sono quello che sono oggi. Dobbiamo chiederci
questa moda qui, è questa arte qui?
 Quando parliamo di creatori di moda dobbiamo capire di chi stiamo parlano:
1. il sarto-artigiano (dal 400- all’800) artigiano che eseguiva con maestria il proprio compito sulla base delle
richieste della clientela.
2. Worth non prende più ordini, apre l’atelier, fa le sue creazioni e fa scegliere tra quelle è ancora un
artigiano, ma che lavora su creazioni proprie lui si presenta come un artista.
3. Pierre cardine conserva concettualmente l’idea d’arte e moda, ma viene traslata nella produzione
industriale in serie
4. Giorgio Armani&co prêt-à-porter di lusso non è considerato artista, perché non trasforma qualcosa di
artigianale in industriale, ma progettano direttamente per l’industria.
5. Fashion designer artista certi designer che vendono poco, non hanno un vero business li, gente come
martin margiela o ussein chalaia. Sono famosi per le loro creazioni, spesso difficilmente indossabili.

Che cosa è arte?


1. Arte di bottega nel medioevo spesso si conosceva il nome del capo bottega e nulla di più
2. Epoca rinascimentale artisti importantissimi, che hanno iniziato ad acquisire senso del proprio ruolo, a
non considerarsi più di un artigiano.  emancipazione, l’artista diventa artista.
3. Ultimi 150 anni avanguardie artistiche l’artista avanguardista non si qualifica per la maestria
tecnica. Entra in scena la capacità di produrre un’esperienza nuova, di mai visto prima.
4. L’arte non è più la realizzazione ma l’idea Duchamp e l’orinatoio. Si è passati dalla maestria tecnica
all’innovazione concettuale.
5. Worrol arte come produzione in serie.
6. Performance temporanea che c’è e poi non c’è più.

L’arte è per forza unica?


No, esistono le auto-copie, le copie di scuola

La relazione tra arte e moda può essere indagata su tre diversi terreni:
1. Oggetti creazione di moda e opere d’arte le creazioni di moda possono essere considerate delle
opre d’arte? Esistono stili “di moda nell’arte”? variabili: unicità o serialità oggetti, rarità,
museificazione, autorialità, inutilità pratica
2. I soggettici sono fashion designer che possono essere equiparati agli artisti, e a quali condizioni?
Ci sono artisti che si comportano come le celebrità del mondo della moda?
3. La sfera istituzionale  che cosa rende simili e che cosa rende differenti i due campi istituzionali
della moda e dell’arte?  non ci si deve chiedere se una certa creazione di moda + un’opera d’arte,
ma chiedersi se il mondo della moda presenta caratteristiche simili o uguali al mondo dell’arte, se
include dei soggetti che sono parte anche del mondo dell’arte. Ragionare non per soggetti e oggetti
ma per mondi ci si rende conto che esistono ampie sfere di sovrapposizione tra i due mondi,
molti soggetti appartengono ad un mondo e in parte anche all’altro.

Il mondo dell’arte è fatto di  riviste, musei, gallerie, organizzazioni e associazioni degli artisti, premi e concorsi
d’arte, esposizioni d’arte.

La moda è fatta di  riviste, showroom, musei del costume, camera della moda, premi e concorsi di moda, sfilate.

Organizzano la vita al loro interno ciascuna a modo suo, avendo anche valori differenti (conservazione nell’arte e
vestibilità- uso nella moda).

I mondi dell’arte sono:


sfera di azione collettiva (Becker)
come facciamo a sapere che Modigliani e Picasso sono artisti?
C’è una collettività che è legittimata a legittimare gli altri ad essere identificati come tali questi sono gli altri artisti
(??????not sure about it????controlla il libro)
Sfere di azione collettività i mondi dell’arte sono popolati da artisti che sono le punte degli iceberg di collettività che
rappresentano (collaboratori, fornitori)
Tutti coloro che fanno parte di queste collettività si assoggettano a delle convenzioni comuni.

Bourdieu dice che i mondi dell’arte funzionano anche attraverso la lotta tra artisti la posta in gioco è il prestigio
Esiste una posta in gioco capitale simbolico
Il campo è quindi come un campo di forze dettato dalle posizioni occupate dagli agenti
L’asimmetria del campo lo rende un campo di lotta per le posizioni centrali

Moda e arte come mondi sociali:


l’approccio centrato sulle istituzioni permette di vedere la relazione tra moda e arte in modo disincantato, a
prescindere da idee precostituite di ciò che è o non è arte.
L’analisi dei singoli oggetti e soggetti porterebbe a domande che non potrebbero trovare risposta condivisa.
Ragionare in termini di sfere di produzione consente di cogliere la dimensione collettiva e relazionale sia della moda
che dell’arte.

La moda può farsi arte?


Quando ci spostiamo sul piano istituzionale la domanda cambia. La nuova domanda è “opere e attori del mondo della
moda possono far parte del mondo dell’arte?”.
Ce una contiguità data dal fatto ce questi due mondi appartengono alla stessa società, e hanno dovuto confrontarsi
con le stesse trasformazioni sociali.
1. riproducibilità tecnica degli oggetti creazione e riproduzione oggetti artistici potenzialmente illimitata grazie allo
sviluppo tecnologico indistinguibilità copia dall’originale.  accesso consumo arte a strati popolazione sempre più
ampi

la moda può farsi arte?

La risposta è complessa:

da un lato il sistema moda è molto lontano dai meccanismi dell’arte dall’altro lato però i confini tra arte e moda

i rapporti tra moda e arte possono produrre diversi effetti attraverso vari meccanismi, vari rapporti tra moda e arte:

cosa fa l’arte con la moda? Cosa fa la moda con l’arte?  producono, usano e rappresentano pezzi dell’altro mondo

1. produce la moda produce arte quando risultati del mondo della moda trovano collocazione legittima nell’ arte (per
esempio quando sono museificati nei musei d’arte).

LEZIONE 10

La moda grassa

Grasso=connotazione negativa nella società attuale.  si preferisce curvy, plus size

Il termine è offensivo solo se condividi lo stigma che l’essere grassi è una cosa negativa.  usare degli eufemismi
significa accentuare la negatività di questa parola.

Il mito della bellezza

Il corpo umano è oggetto di giudizi di valore  giusto/sbagliato, bello/brutto, …

Questi vengono espressi dalla collettività pubblicamente, spesso sono impliciti (traspaggono dai comportamenti), e
interiorizzati dai singoli.

Divaricazione tra corpo reale ed ideale corporeo  questa viene manifestata quotidianamente (trucco, parrucco,
dieta, vestiti, palestra) attraverso le modifiche al nostro corpo reale per cercare di renderlo simile all’ ideale corporeo.

Gli ideali variano a seconda delle società e anche all’ interno dei diversi contesti in una stessa società.
Nella moda abbiamo un ideale che antepone il valore della bellezza a tutto (nella medicina è la salute, nello sport è
quello legato alla prestazione)  poche cose però sono mutevoli come l’ideale della bellezza, pochi giudizi sono fragili
come quello sulla bellezza

L’ideale di bellezza femminile è aleatorio perché è storicamente contingente  perché cambia  è diventato un mito
artefatto che si impone in particolare alle donne, perché viviamo in società patriarcali.  l’ideale della bellezza è un
mito che diventa uno strumento di assoggettamento delle donne nella società patriarcale, per mantenere la
disuguaglianza.

Il mito si basa su tre assunzioni implicite:

1) la bellezza esiste davvero (non è così in realtà)


2) la bellezza è universale (la bellezza è una e vale in tutto il mondo e in tutte le epoche) (assunzione indebita)
3) l’adeguamento delle persone all’ideale di bellezza è naturale (le donne naturalmente desiderano essere belle
e che gli uomini desiderano donne belle, e questo è scritto nella biologia)  assunzione indebita  perché
nelle società matriarcali era il contrario.
l’adeguamento è infinito perché non sarà mai raggiunto, è uno strumento della società patriarcale per
mantenere le gerarchie).

Bellezza= costrutto sociale

L’ideale della magrezza

Nelle società occidentali l’ideale di bellezza femminile è quello della magrezza.


La magrezza non è un carattere naturale della femminilità  l’idea che la magrezza è la bellezza è recente
(ultimi cento anni).  è destinata a cambiare.  è socialmente e storicamente circoscritta:

1) non è comune a tutte le culture, ma solo ad alcune  nelle maggior parte delle culture, infatti, è la
donna in carne ad essere considerata bella  ad oggi si è diffuso anche nelle altre culture l’ideale di
magrezza
2) non è comune a tutte le epoche, ma solo ad alcune  costituisce l’eccezione piuttosto che la regola 
fissazione momentanea  si vede per esempio nell’ arte.
3) Lo stesso ideale di magrezza non è costante, ma ha subito progressiva radicalizzazione negli ultimi 70
anni (progressivo dimagrimento)

Il paradosso della moda

La moda è fortemente implicata nell’ideale della magrezza (“la dittatura della magrezza”) il sistema della moda
privilegia i corpi magri, a scapito dei corpi grassi e reali non solo nell’immaginario mediatico, nelle fotografie che
produce, non solo sulle passerelle, non solo negli editoriali di moda, ma anche nella creazione, produzione e vendita
dei suoi prodotti.  questo a scapito del guadagno da parte delle aziende, rinunciano a d una fetta del loro possibile
business  da qui nasce il paradosso della moda da un lato la moda prende così sul serio l’ideale da rinunciare alla
produzione e vendita di capi per donne non magre, dall’altro lato nel mondo, in particolare quello ricco, i corpi da
vestire vanno progressivamente nella direzione opposta.

Come sappiamo che la popolazione sta ingrassando? Perché è tenuto sotto controllo dall’organizzazione mondiale
della sanità per ragioni mediche (l’aumento di peso causa anche l’aumento delle spese sanitarie).

L’indice di massa corporea è reso pubblico –> indice di massa corporea mette in relazione peso e altezza

Come si stabilisce se uno è sottopeso o sovrappeso? --> ci sono dei range

C’è stata una forte crescita negli anni 70-80 si parlava di pandemia di obesità ora cresce ancora ma meno
velocemente

La popolazione potenzialmente interessata ad una moda per le taglie grandi è


in continua crescita

in percentuale rilevante

sta aumentando il proprio potere d’acquisto (il sovrappeso è più frequente nelle classi meno abbienti, ma il processo
di democratizzazione della moda sta gradualmente incorporando anche le classi meno privilegiate).

La segregazione dei corpi grassi dal mondo della moda

Segregazione  esclusione, confinamento, occultamento

Non avendo accesso a capi che le soddisfano, non possono esprimersi a pieno e non possono comunicare

È contraddistinta da una dimensione di confinamento  attraverso un’esclusione dai luoghi fisici (quanti negozi di
abbigliamento plus size ci sono in via Monte Napoleone?)

Occultamento  non vengono rappresentati sui media, vengono nascoste.

Segregazione nei diversi ambiti del sistema moda:

1) Produzione  rinunciare a vendere alla popolazione sovrappeso significa rinunciare ad una fetta di profitto
 i brand di moda non vendono taglie superiori alla 46 sono proprio politiche aziendali  non producono
neanche linee secondare plus size.
2) Creazione  i designer usano le modelle curvy per far parlare di sé nelle sfilate  generalmente i corpi grassi
vengono vestiti con cose informi, stampe non piazzate, no spacchi, giacconi, pantaloni larghi.  dissimulando
i corpi  i fashion designer mirano ad entrare nel mercato dell’alta moda per questo non sono interessati
alla moda curvy  i designer non imparano neanche a disegnare per i corpi plus size perché le scuole di
moda non insegnano a farlo. Non ci sono neanche manuali che insegnano a farlo (solo Zangrillo  che
insegna a nascondere il corpo)  lo sviluppo taglie automatico si può fare solo fino alla taglia 46, perché poi
le dimensioni sono troppo variabili si sviluppano modelli diversi per forme diverse (es. per pera, per
quadrato, …) poetica del nascondimento.
3) Distribuzione gli abiti plus size sono venduti in posti diversi rispetto a quelli di moda  negozi multimarca,
zone periferiche, città di provincia, non nelle vie della moda dislocazione geografica la competizione non
è sul contenuto moda o l’identità di brand, ma sul servizio al cliente  la forza di vendita di questi negozi è
data dall’esclusività territoriale. --> se sono vendute in negozi normali, sono spesso confinati in zone
specifiche nascoste.
4) Comunicazione nella comunicazione della moda non vedi mai pubblicità di brand plus size.  il web ha
cambiato qualcosa (blog Fat-shion) ma non basta, bisogna vedere come se ne parla poi es. di solito era ti
insegno come dissimulare, non per valorizzare.

perché si rinuncia a progettare per i corpi plus size a scapito del profitto? -->per una pratica, una serie di idee, una
routine, una serie di abitudini.

Moda grassa= ossimoro non c’è moda grassa c’è abbigliamento plus size, perché il sistema moda non risponde ai
bisogni relazionali e comunicativi della fascia dei consumatori sovrappeso e obesi, per una serie di motivi: offerta
ridotta, offerta nascosta, modulata sulla poetica del nascondimento

C’è un mercato separato--> basso investimento estetico e semantico (poca pubblicità, distribuzione decentrata, poca
focalizzazione sull’identità del brand in favore del fatto che la misura è giusta).

Le spinte al cambiamento
Alcuni fenomeni:

1) Presenza modelle curvy nelle riviste di moda


2) Presenza modelle curvy sulle passerelle della NYFW
3) Leggi che regolano la magrezza dei corpi rappresentati
4) Il movimento dei fat-shion blogger
5) Testimonial sempre più differenti (es. Kim Kardashian)

Queste cose sono più specchietti per le allodole, perché in realtà è ancora la produzione è sempre produzione per
corpi magri.

Il cambiamento ci sarà però, ma le spinte devono essere più forti:

 mutamento condizioni strutturali: cioè struttura sociale


1) Ingrassamento popolazione,
2) Democratizzazione consumi,

 innovazione tecnologica che favorisce la customizzazione della produzione sulle esigenze


dei corpi
 mutamento culturale che sembra andare verso una moltiplicazione dei tipi di corpo
accettati,” plausibili” nella nostra società
1) non la moda curvy, ma i “corpi etnici”

Le capitali della moda

Principali luoghi in cui si fa la moda?  Milano, N.Y., Parigi e Londra  la moda si fa in ambiti urbani/metropolitani 
perché? - la moda è un’attività urbana per definizione, tutto il sistema, dalla produzione al consumo. Questo ci fa
capire cosa vuol dire che la moda è globalizzata  il settore della moda ha vissuto una forte globalizzazione.  le città
della moda sono però tutte collocate nella parte occidentale del mondo (principalmente la parte creativa). ci sono
dei luoghi privilegiati, non solo tra i paesi, ma anche tra i quartieri di una stessa città. la moda non solo è fatta per i
privilegiati, ma viene pensata, prodotta e diffusa praticamente in sole 4 città e poi venduta in tutto il mondo. Le
persone che lavorano in queste città sono globalizzate, ma il sistema assorbe principalmente la cultura di queste 4
città, sparpagliandola poi in tutto il mondo  imperialismo culturale (capacità di imporre gusti, valori, credenze
attraverso lo sfruttamento del potere economico).

Perché questi 4 luoghi? Cosa contraddistingue una capitale della moda? Cos’hanno in comune?  sono i luoghi in cui
si tengono le fashion week immancabili; quelle di interesse globale; quelle in cui hanno sede i brand più importanti;
presenza professionisti della moda; presenza sedi riviste; presenza scuole prestigiose.

1) La fashion week è un elemento essenziale nell’impedire che altre città diventino capitali della moda, perché i
buyer devono stare nella città in cui si tiene per una settimana (in totale due mesi all’anno in cui i buyer sono
fuori dalla loro sede di lavoro)  questo pone un limite fisico alla possibilità che ci sia una nuova fashion
week di interesse mondiale.  anche a Shangai c’è una fashion week, ma per diventare di interesse
mondiale dovrebbe sostituire una di quelle già presenti.

Ora con le sfilate digitali potrebbero cambiare le cose, ma non è detto.

2) Le riviste le capitali della moda sono sede delle principali riviste di moda  sta diventando sempre meno
rilevante perché le riviste stanno diventando sempre meno importanti, con l’arrivo dei social, dei blog, e della
progressiva presa di posizione dei brand nei social.
Le riviste mainstream vivono della pubblicità che le case di moda pagano  questo non le rende
indipendenti, e le lega ai loro inserzionisti.
Questo è il motivo per il quale non esiste la critica di moda, o meglio non è così rilevante, perché non c’è il
luogo fisico in cui esercitare questa attività (ora nel web si), e poi perché la critica nell’arte e nella musica
viene fatta alle persone, che ha un potere limitato, nella si criticano invece brand potentissimi, anche se si fa
riferimento al designer.

3)i professionisti della moda  stilisti, designer di tessuti, analisti di tendenze, fotografi, giornalisti, stylist,
agenzie di modelle, agenzie pubblicitarie, PR sede brand o uffici stile brand  questo perché si crea un
ecosistema intorno a queste città.

4)Showroom  luoghi in cui ricevere i buyer

5) presenza scuole prestigiose  perché le scuole hanno bisogno di contatto con aziende e professionisti.

6) sono i luoghi primari di consumo della moda  sono presenti le “vie della moda”.

Esistono 4 capitali della moda:

1) ParigiDal 1856 apertura atelier Worth  data simbolica, inizio moda moderna – >Parigi è in realtà
da sempre il centro propulsore della moda, LA capitale della moda
2) New York prima metà del XX secolo si è affermata con l’industrializzazione della moda  sport
wear, moda per molti, taglio giovanile.
3) Londra anni Cinquanta  era la capitale della sartoria maschile con Napoli, è diventata capitale della
moda con l’imporsi delle subculture giovanili.
4) Milano anni Settanta  attraverso l’affermazione degli stilisti  prêt-à-porter di lusso
interamente basato sulla produzione industriale, e sulla creazione degli stilisti. --> in termini di fatturato
Milano ha scalato la classifica in fretta.  questo ha forse penalizzato la creatività per quello bisogna
andare a Parigi o a Londra.

Il contesto italiano:

anni Cinquanta  Milano non è sempre stata l’incarnazione della moda in Italia

prima della Seconda guerra mondiale a Roma si sono affermati una serie di atelier e sartorie, che si sono sviluppate
anche attraverso il supporto del regime fascista.

Dopo la Seconda guerra mondiale Palazzo Pitti diventa la sede per le sfilate.  cattura l’interesse dei buyer
americani.

Parallelamente c’è il Piano Marshall  supporto finanziario degli USA al recupero e all’espansione industriale dopo la
Seconda guerra mondiale.  in Italia viene applicata a varie settori, tra cui quello del tessile e dell’abbigliamento. 
porta all’emancipazione dell’industria verso una produzione più ricercata.

Le aziende emancipate lasciano Firenze per Milano passaggio dall’haute Couture al prêt-à-porter.

Le specificità di Milano:
1) Milano rispetto alle altre città della moda ha molti meno abitanti.  molto meno cosmopolita, tranne nella
settimana del design.

2) Milano è forte nella produzione e nella vendita, a Milano si viene per fare fatturato, ma è debole nella
comunicazione  difficilmente i professionisti della comunicazione in Italia raggiungono la notorietà.  perché l’unica
rivista internazionale in Italia è Vogue Italia.

3)forte frammentazione sistema produttivo i Italia esistono una miriade di aziende medio piccole che lavorano del
settore della moda, sia che lavorano per il loro marchio che per fornire i grandi marchi. Questo è tipico italiano, sia per
la frammentazione del settore  non esistono grandi imprese, ma di piccole medie imprese divise in distretti
merceologici. Questa frammentazione fa si che i siano una miriade di soggetti interessati ai professionisti della moda
(designer, stylist, product manager, buyer, ecc.).

La struttura del testo:

1)domanda di ricerca c’è una correlazione tra il luogo geografico e le caratteristiche della moda che vi viene
prodotta?

2)ambito in cui si cerca la risposta: il fashion design

3) risposta preliminare: abbiamo degli indizi che questo accada? si, se guardiamo a certe caratteristiche dei fashion
designer storici notiamo che esse variano su base geografica  non troviamo la risposta ma degli indizi che i fanno
dire che forse è così.  prende però in considerazione solo i designer famosi, una piccola élite di cui si ha la biografia.

4)interpretazione teorica: nella moda esistono variabili geografiche per esempio: struttura dell’industria produttiva,
caratteristiche del sistema formativo, le culture di strada, il “mondo” della moda e le culture nazionali.

Sistemi formativi Londra e Milano:

a Londra diversi corsi sono offerti dalle accademie d’arte, mentre a Milano no

La figura dello stilistaFigura particolare

Figura=tipo ideale schema, esempio.

1) l’origine storica della figura dello stilista e le ragioni del suo nome:
fine anni 60 creatori moda cominciano a chiamarsi stilisti (prima si chiamavano sarti o couturier). Perché?
Stilista in italiano è diverso da stylist in inglese  la figura della stylist è sempre stata una figura dietro le
quinte (viene usato il femminile perché nelle professioni meno prestigiose si usa così). Cosa fa una stylist? Ce
ne sono tanti tipo editor (riviste di moda), celebrity stylist, quelli delle sfilate o affiancati al designer. 
usano prodotti di moda già esistenti per costruire un immaginario. In cosa consiste il lavoro di una stylist?
Seleziona gli abiti, costruisce l’immaginario di moda che noi abbiamo in testa, sceglie la modella, a volte
sceglie il fotografo, sceglie la location, sceglie come comporre gli outfit e fa sì che fittino perfettamente,
suggerisce le pose, sceglie le foto.
La stylist non crea e progetta gli abiti, crea uno stile a partire dai prodotti che il sistema della moda gli
metteva a disposizione.

Perché ad un certo punto si è iniziato a chiamare stilisti chi crea la moda?


Anni 60/70 trasformazione sistema moda in Italia  da haute couture a prêt-à-porter  da moda
sartoriale a moda industriale. La produzione di abbigliamento era già industriale, ma non aveva contenuto
moda e stilistico. Metà anni 60 gli industriali delle confezioni cominciano a pensare di poter produrre e
vendere collezioni con contenuto stilistico (migliora il benessere collettivo e si hanno tecnologie più evolute).
--> anche in Francia succede la stessa cosa, ma con una differenza, a Parigi c’era la moda parigina, che era il
governo della moda mondiale  La Camera della moda????? impedisce agli industriali di fare moda. In Italia
non c’era la camera della moda, c’era una libertà che in Francia non c’era. Il prêt-à-porter di lusso francese
non è quindi creato dagli industriali, ma dai couturier (es. YSL o Pier Cardine) creano la collezione di alta
moda e poi trovano il modo di produrla tutta o in parte in serie. In Italia Cerruti non è un creatore di alta
moda e deve industrializzarne la produzione, ma deve stilizzare gli abiti che produce. Il meccanismo c’era già,
bastava mettere il creatore di moda.

Si ha la percezione che i beni prodotti industrialmente siano di infima qualità ci si rende conto che fino a
quel momento gli oggetti erano personali, ci si rende conto che quel mondo li sta finendo.  gli uomini di
marketing decidono di dare uno stile ai loro prodotti affinché siano riconoscibili.

Le origini del fashion styling


Inizio 900 primi stylists nell’industria americana delle confezioni

Anni 50  la Rinascente, Armani inizia come vetrinista, poi diventa coordinatore dei buyer

Anni 60 Armani viene assunto come stylist dell’azienda di Cerruti. Cerruti lo presentava come il suo stilista (da qui
nasce il termine, come una italianizzazione del termine e stylist). Tutti gli stilisti sono creatori di moda che però
cominciano come consulenti moda di aziende di produzione in serie di abbigliamento, e si portano questo nel loro
bagaglio culturale.

 le quattro caratteristiche distintive normalmente riconosciute alla figura di stilista

Caratteristiche distintive:
1) modo di svolgere la professione: creare moda per la produzione in serie per la prima volta nella storia
della moda. Le competenze dello stilista sono diverse da quelle del couturier non è necessario che
padroneggi le tecniche della sartoria. Ma sviluppa le competenze del designer, progettista passare
dall’idea creativa alla sua realizzabilità sul piano industriale.
2) Rapporto col sistema produttivo: uscire dall’atelier ed entrare nella fabbrica  il creatore di moda entra
in fabbrica, deve conoscere le macchine, quando progetta i capi pensa già al processo produttivo,
sperimenta l’uso di nuovi materiali con determinati macchinari. Era possibile perché in Italia esisteva un
sistema di produzione industriale nel campo dell’abbigliamento già ben collaudato.
3) Rapporto con il mercato: democratizzare la moda cambia il pubblico di riferimento. Non conosci più
personalmente i tuoi clienti. È un pubblico impersonale, non crei per una determinata persona, ma per
un target. L’attenzione si sposta dall’abito stesso alle situazioni di vita del consumatore, dalla perfezione
sartoriale al target, al tipo di persone e di vita a cui è diretto questo oggetto.
4) Oggetto del proprio lavoro creativo: creare uno stile, non delle mode produrre per un cliente che non
conosci ti porta a dover essere riconoscibile tu. L’interesse passa dalla moda stessa allo stile. Non è più
prioritario essere alla moda rispetto alle tendenze, quanto essere riconoscibile in quanto brand o stilista.
Bisogna costruire un’immagine riconoscibile, nella creazione e nella comunicazione.

 tre aspetti meno noti ma ugualmente distintivi della figura dello stilista
1) etnocentrismo: la moda degli stilisti non ha ancora iniziato il processo di globalizzazione.
Non esisteva una clientela medio orientale, cinese, indiana nella moda  era fatta da aziende italiane,
per l’Europa e il nord America. La moda era fondatamente Eurocentrica, era fondata sua una cultura
etnocentrica.
Prendeva ispirazione da altre culture, ma non preoccupandosi effettivamente di interfacciarsi con queste
culture (appropriazione culturale sfruttare per il profitto minoranze culturali).
2) Astrazione dal corpo: la moda degli stilisti esaspera la sottomissione dei corpi reali all’ideale corporeo
della moda. Con l’industrializzazione si è costretti ad astrarre il corpo, perché non si conosce il corpo che
si andrà a vestire. Per fare questo è stato inventato lo sviluppo taglie (anche se erano già state inventate
per l’esercito). Le taglie non sono però infinite, questo vuol dire che le taglie sono un sistema per
standardizzare gli abiti. Il capo viene prodotto e poi si chiede al corpo di entrarci dentro. Questo
processo ha prodotto la separazione del momento creativo da quello della prototipizzazione si fa un
lavoro puramente concettuale prima di proto-tipizzare il capo.
Questo ha portato alla dittatura della magrezza nella moda avendo invertito il rapporto tra abito e
corpo (chiediamo ai corpi di adattarsi agli abiti. Diventa una dittatura con il passaggio al prêt-à-porter,
anche se già prima si era sviluppata).

3) Agenzia di socializzazione alla moda: gli stilisti sono stati coloro che hanno “insegnato” ai nuovi
consumatori inesperti le regole del buon gusto e della moda. Abbandonato il lavoro di stylist lo stilista fa
il lavoro del designer, ma mantenendo comunque alcuni aspetti del lavoro precedente. Anni 70-80
forte democratizzazione moda nuovi strati sociali si affacciano al consumo di moda, periodo della
“Milano da bere” liberazione dei consumi, perché ci sono meno remore culturali e più soldi. Afflusso
nuovi strati sociali che si interessano alla moda come qualcosa che li riguarda questi nuovi arrivati non
hanno una tradizione, non hanno coltivato un gusto. Gli stilisti in quegli anni fanno gli “educatori” alla
moda. Hanno insegnato le regole della moda e del buon gusto ai nuovi arrivati attraverso la pubblicità
e il Total look i nuovi arrivati si trovano al sicuro in questo modo. In quel momento erano “arbitri del
gusto” come si definiscono oggi gli stylists.
Il pubblico ha bisogno di apprendere degli schemi di comportamento nasce così il potere dei brand e
della cura dell’immagine di brand. Nascono qui le fashion victim non sono capaci id padroneggiare la
moda, pensano di essere alla moda, ma subiscono.

Con gli stilisti nascono anche le licenze questo perché l’abito è quasi secondario, l’abito serve a far si
che il brand possa fare profitto in altro modo.

Dove sta andando la moda italiana?

Sistema mode e industria moda

Sistema moda più ampio e fatto anche di consumatori, di comportamenti non di natura economica (es. post su
Instagram) sistema complesso dove la parte economica e produttiva non è l’unico fattore, come nel sistema
industriale della moda.

specificità del sistema moda italiano commistione dimensione produttiva e colturale della moda

caratteristiche sistema moda italiano oggi:

1) Milano è la capitale del sistema tripolare della moda italiana (con Firenze e Roma).

2) Sistema frammentato in PMI (piccole, medie e microaziende), spesso anche artigianali, altamente
specializzate e molto flessibili le piccole aziende hanno lo svantaggio di avere una base economica molto
meno solida grosso vantaggio specializzazione e flessibilità livello altissimo, perché fanno poche cose
ma benissimo e sono flessibili perché essendo piccole possono avere la possibilità di cambiare a seconda
delle esigenze del mercato.--> c‘è spesso una combinazione dell’esperienza manufatturiera e di tipo creativo
spesso anche nella stessa persona.

3) “Struttura distrettuale” distretti specializzati es. Biella, Carpi, Prato, Como, ecc.--> zone geografiche
limitate in cui si sviluppano tecniche e attività particolari. --> il distratto è una cerchia sociale di persone
competenti in quella attività li.  in Italia negli ultimi 200 anni il numero di distretti è calato, ma comunque
ancora oggi l’Italia si basa suq questo.
4) Produzioni di nicchia spesso di tipo artigianale di origine regionale, ma che si sono rinnovate, rimanendo
eccellenze a livello internazionale.  caratteristica tipicamente italiana. Questo è possibile grazie a:

5) Delocalizzazione limitata i l settore del tessile è sempre stato ad alto impatto di manodopera e a basso
tasso tecnologico novecento si è cercato di abbattere i costi passando da manodopera a produzione
tecnologica.  difficile, quindi per ridurre i costi si è delocalizzata la produzione in paesi in cui la manodopera
costa meno. in Inghilterra e Francia è stata radicale, mentre in Italia è stata limitata. --> inoltre
ultimamente c’è stata una rilocalizzazione di alcune produzioni che erano state delocalizzate, perché la
qualità non era la stessa perché non c’erano i distratti specializzati. In oltre la prossimità ha un vantaggio,
perché la rete integrata di aziende che vivono nello stesso sistema economico producono dei vantaggi sul
prodotto. --> tutto questo ha reso il sistema italiano attrattivo per brand stranieri, francesi e inglesi. --> anche
se il costo è maggiore di altri paesi ma minore di Francia e Inghilterra, la qualità è più alta tutto ciò ha
contribuito a creare il brand “Made in Italy”

Negli anni 90 c’è stato un processo di concentrazione della produzione della moda nei grandi conglomerati
del lusso (es. gruppo Kering)  acquisizione azienda non brand, non hanno dismesso le aziende che stanno
dietro ai brand, ma hanno preso il “Know how” delle aziende che ci stanno dietro.

I 7 cluster del sistema moda in Italia:


1) alta moda made in italy aziende di moda degli stilisti imprenditori, da Armani a Prada
2) Pelletteria di Lusso da Ferragamo a Bottega Veneta a Gucci
3) Menswear da brioni a zegna
4) Prodotti durevoli, non di moda da marinella a cucinelli aziende di lunghissima tradizione
5) Ready to wear da benetton a max mara
6) Casu

Il sistema della moda nel mondo

Dove si trovano la mmagior quantità dia addetti alla produzione del tessile.abbigliamento

India e cina

IL SISTEMA DELLA MODA


Esistono due espressioni: sistema moda e industria della moda, quando si parla di sistema moda si fa riferimento
a qualcosa di più vasto che solo l’industria della moda. Raggruppa diversi settori. Il sistema moda è fatto anche di
consumatori, di comportamenti che non hanno una dimensione economica, es le foto su Instagram di come siamo
vestiti. L’idea sottostante al termine sistema della moda è che si tratta di un sistema molto complesso dove la
parte economico produttiva è fondamentale ma non si esaurisce li. Mentre quando si parla di industria della
moda si fa riferimento all’attività produttiva. La specificità del sistema moda italiano, per il connubio che c’è tra il
sistema moda e la parte produttiva. 
Caratteristiche del sistema produttivo della moda in Italia oggi:
 il sistema della moda italiano gira intorno a una delle quattro capitali della moda quindi Milano, molto
diverso per qualsiasi operatore del sistema moda stare e lavorare in un sistema economico dove al
centro c’è una capitale della moda. In Italia c’è una variabile: Milano capitale della moda ma a differenza
della Francia e Gran Bretagna a Milano si affiancano due altri centri rilevanti per il sistema moda: Roma
e Firenze sia per le sfilate che per il sistema produttivo. 
 Il sistema produttivo italiano è altamente frammentato e si basa su un gran numero di piccole, medie e
microaziende. Ci sono alcuni grandi produttori e grandi aziende industriali di abbigliamento, ma gran
parte della produzione viene fatta in piccole, medie aziende o addirittura in laboratori artigianali. Le
piccole medie aziende hanno un grande svantaggio, hanno una base economica molto meno solida. Le
grandi aziende solo molto più solide, non dipendono dalle personalità singole, c’è una base finanziaria
solida. I grossi vantaggi sono la specializzazione e la flessibilità , si fanno poche cose ma fatte bene. Sono
flessibili, proprio perché c’è poca gente possono cambiare velocemente e facilmente, mentre le grandi
aziende ci mettono molto tempo. Il sistema italiano fa leva sui punti di forza di queste piccole medie
imprese. C’è spesso una combinazione di competenze creative e fatturiere. Spesso coesistono grandi
competenze di tipo creativo (il designer) e grandi competenze manifatturiere (come realizzo una cosa),
spesso sono la stessa persona. Aziende in cui sono importanti i profili ibridi ovvero figure professionali
che tengono insieme la dimensione creativa e quella produttiva o che fungano da ponte tra le due parti.
Il processo di continua innovazione del prodotto non discende solo dalla parte creativa, dall’ufficio stile,
ma di fatto discende dal contributo di una molteplicità di attori. Si introduce la figura della modellista
che trasformano il figurino nel cartamodello. La creatività del sistema non scaturisce solo dall’ufficio
stile ma da tutta una serie di persone. L’innovazione può venire dal sistema produttivo stesso, dalle
fabbriche.
 Struttura distrettuale, i distretti si specializzano in qualcosa di specifico, il distretto è una cerchia sociale
di persone competenti in quelle attività li. Per i soggetti produttivi all’interno del distretto non si crea
carenza di manodopera specializzata. L’innovazione può venire da qualsiasi livello dell’azienda. Il
numero dei distretti della moda in Italia è calato negli ultimi vent’anni, resta comunque alla base del
sistema. A Como si fa la seta. Si crea un network di relazioni che poi si rivelano utili per tutto il sistema. 
 Eccellenze di produzione artigianale, sopravvivenza in Italia di produzioni di nicchia spesso di tipo
artigianale e di origine regionale e locale, che si sono rinnovate e adeguate ai tempi e quindi sono
rimaste delle eccellenze a livello nazionale. Produzioni di nicchia che costituiscono delle eccellenze
mondiali, caratteristica che non compare negli altri principali sistemi produttivi del sistema moda,
caratteristica tipica del sistema italiano. 
 Delocalizzazione limitata processo che ha coinvolto il tessile e abbigliamento quindi la moda per molto
tempo nella seconda metà del Novecento. Il settore tessile e abbigliamento, un settore a bassa
tecnologia. La macchina per cucire è stata inventata a metà dell’Ottocento ed è la tecnologia principale
del settore Moda, il tessile e abbigliamento è sempre stato un settore industriale a bassa tecnologia e ad
alto impatto di manodopera. Quando sono in competizione le aziende questa si basa su due strategie:
conquista di nuovi clienti con nuovi prodotti e l’altra è la riduzione dei costi. Nei settori a bassa
tecnologia, dove non si è stati capaci di sostituire la manodopera con la tecnologia, per abbassare i costi
si passa alla delocalizzazione. Processo seguito da tutte le aziende tessili costituite da manodopera ad
alto costo. In Francia e n Gran Bretagna è stata totale e non è tornata indietro, in Italia è stata limitata,
una fetta della produzione non è stata spostata; c’è stata anche una parziale rilocalizzazione, perché non
c’erano i distretti e perché ci si è resi conto le prossimità è un vantaggio. Si è mantenuta la filiera
completa dalla filatura al retail, tutte le attività intermedie del sistema produttivo sono ancora presenti
in Italia. Il sistema produttivo della moda italiana è divenuto attrattivo per i grandi brand francesi e
inglesi, trovano un’alta qualità a un costo maggiore rispetto ad altri paesi, ma nei loro paesi non c’è chi lo
fa, la produzione è molto ridotta. Ciò contribuisce al creare il brand Made in Italy. Negli anni ‘90
processo di concentrazione della produzione di moda nei grandi conglomerati del lusso, in Italia non
hanno acquisito il brand ma hanno fatto un’acquisizione di aziende; non hanno preso il brand per poi
dismettere l’azienda che c’era dietro e sfruttare il brand per altro, ma hanno acquisito anche l’azienda.
Può succedere se parliamo di un sistema produttivo basato su una produzione non delocalizzata, ciò
permette ai brand di rimanere leader nella loro fascia di mercato. 
I 7 cluster del sistema moda in Italia:
1. Alta moda Made in Italy: le aziende di moda degli stilisti imprenditori, da Armani a Prada
2. Pelletteria di lusso: da Ferragamo a Bottega Veneta
3. Menswear: da Brioni a Zegna 
4. Prodotti durevoli, non di moda: da Marinella a Cucinelli
5. Ready to wear: da Benetton a Max Mara
6. Casualwear e sportswear: da Fila a Stone Island 
7. New wave di imprese creative: da AI_Andrea Incontri a Pijama

IL SISTEMA DELLA MODA NEL MONDO


Grafici che rappresentano il numero di persone che lavorano maggiormente all’interno del sistema moda
primeggiano India, Cina, Bangladesh, ecc… Però la maggior parte dei ricavi va ai paesi occidentali. È diverso il
sistema della moda se lo guardiamo la punto di vista di chi ci lavora e dal punto di vista di quanti soldi produce.
La maggior parte del fatturato è fatta in India, Cina ma la parte di governo economico, culturale e di creatività è
concentrata nei paesi occidentali. 
Grafico che si riferisce all’Europa mostra il peso delle diverse nazioni sul fatturato totale della moda in Europa,
come l’Italia fa la parte del “leone” in termini di fatturato seguita da Francia, Gran Bretagna ma anche Germania e
Spagna. Appaiono anche paesi dell’Europa orientale che sono luoghi della delocalizzazione. 
Grafico del 2002 mostra la specificità del caso italiano che resta la stessa. Mostra il fatturato dei paesi dell’Unione
europea. Un terzo del fatturato totale è dell’Italia, quello della Francia è un terzo di quello italiano. Altro grafico
che mostra gli addetti al sistema moda cambia completamente aspetto, Romania e Polonia diventano i principali
protagonisti, mentre Francia e Regno Unito hanno una fetta molto bassa. L’Italia quando si passa al numero degli
addetti non regredisce in un posto di rincalzo della torta ma rimane al primo posto, in Italia c’è sia tanti addetti
che tanto fatturato. In Romania e Polonia c’è tanto lavoro ma poco fatturato quindi ci sono le attività pagate di
meno, in Italia ci sono entrambe le cose sia gli addetti al lavoro che il fatturato. 
Il sistema moda italiano ha delle sue caratteristiche particolari specialmente quella di mantenere nicchie o zone
di produzione di alta qualità . 

IPOTESI SULL’EVOLUZIONE DEL SISTEMA DELLA MODA NEL PROSSIMO FUTURO


Il sistema sembra evolversi lungo tre direzioni principali
1. La rivoluzione digitale: produce cambiamenti molto evidenti per es. nella distribuzione, nella
comunicazione, nel marketing. Anche su questo fronte il settore moda essere un settore poco
tecnologico. Le case di moda hanno impiegato parecchio tempo per capire le potenzialità del web, anche
nel campo delle tecnologie digitali del prodotto si sta lavorando con varie sperimentazioni ma le
tecnologie wearable sono ancora molto limitate rispetto alla tecnologia in altri ambiti. È arrivata la
rivoluzione digitale e sta attuando delle trasformazioni. L’ingresso dell’e-commerce sta cambiando le
modalità di acquisto delle persone, tutto il sistema del retail si sta trasformando grazie all’avvento dell’e-
commerce. La rivoluzione digitale porta modifiche anche nella comunicazione. I social hanno consentito
una comunicazione trasversale nell’ambito della moda, ogni volta che postiamo qualcosa stiamo
contribuendo alla comunicazione di moda. Non è così facile superare le strutture di potere economico, la
storia delle influencer lo dimostra, che diventano dei megafoni delle case di moda. Il fenomeno dei social
network ha trasformato il sistema di comunicazione della moda ha ridotto grandemente il potere delle
riviste e ridotto il numero delle riviste, ha cambiato aspetti del sistema professionale, le stylist non
vedono di buon occhio le influencer in quando gli stanno togliendo il lavoro. Per fare la stylist non ti puoi
inventare in quanto il lavoro si basa su una cultura della moda molto profonda, devono avere in mente
una serie di riferimenti per rendere un servizio per fatto e professionale, cosa che le influencer non
hanno. Il mondo delle professioni della comunicazione è stato stravolto dalla rivoluzione digitale, lo
stesso per il marketing. È un cambiamento nel sistema moda che lo sta trasformando. 
2. La personalizzazione: è un’inversione di tendenza, il passaggio della produzione in serie della moda ha
portato a una spersonalizzazione, lo stilista non sa niente dei suoi clienti, produce per la massa. La
tendenza alla personalizzazione è un tentativo del sistema industriale di tornare indietro e di trovare in
qualche modo nella la produzione industriale delle nicchie di produzione di eccellenza. Sta diventando
sempre più frequente anche la personalizzazione degli occhietti, es body scanner, che viene utilizzato
per creare dei prodotti ibridi. 
3. La sostenibilità : quasi un obbligo sociale. Siamo passati da diversi anni dall’idea della sostenibilità come
nicchia produttiva che era l’idea della sostenibilità come abiti di canapa, scarpe di corda, colori tenui;
idea della sostenibilità come uno statement politico. Siamo passati a comportamenti sostenibili sempre
più diffusi in tutte le aziende. Ci sono comunque casi in cui le aziende fingono di fare sostenibilità per il
marketing e per ottenere consensi. Nel sistema si notano degli sforzi delle aziende per adeguare in
qualche modo la loro attività ai principi della sostenibilità.
1. La rivoluzione digitale porterà al superamento del sistema delle fashion week e delle capitali della
moda? 
2. La personalizzazione porterà al superamento del sistema delle taglie e all’inclusione dei corpi grassi nel
sistema della moda? Potrebbe portare al superamento della dittatura della magrezza nel mondo della
moda. Terreno su cui il mondo della moda potrebbe trasformarsi anche in maniera radicale. 
3. La sostenibilità Impone di cambiare processi produttivi, materiali e questo è un fattore di
trasformazione del sistema, bisogna cambiare come funzionano le aziende, si cambia la filiera di
produzione della moda. Porta a cambiare il nostro rapporto con gli abiti. Cominciamo ad abbandonare la
leggerezza psicologica dell’uso dell’abito, cosa alla base del fast fashion. La crescita della sostenibilità
chiede al consumatore un diverso approccio, chiede la diminuzione dei consumi. 
Cosa potrebbe significare tutto questo nel campo delle professioni nel sistema moda
Di quali figure professionali ci possiamo aspettare ci sarà più bisogno?
1. Aumenta la richiesta di competenze digitali ai vari livelli. Capaci di raccogliere, analizzare i big data che il
sistema ha a disposizione per trasformarli in fonti di conoscenza nelle nuove collezioni. È passato di
moda il mondo dei cool hunter, ovvero le società che creano i quaderni di tendenza, fatti attraverso una
rete di persone sparse in giro per il mondo nelle città considerate più cool e trendy. Ogni volta che
compariva qualcosa di nuovo nelle città , questa novità veniva recepita dai cool hunter, ora non è più
nelle città ma è sui social. Le aziende di moda oggi chiedono esperti data scientist.
2. Il modo di lavorare negli uffici stile è in trasformazione. Il sistema sta diventando più vario e complesso;
si stanno inserendo delle figure nuove, sono figure di consulenza, spesso solo stylist che affiancano lo
stilista e portano una sensibilità per l’immaginario che lo stilista non sempre ha. Il problema che hanno i
marchi è che se il loro ufficio stile è composto da personale che lavora da tanto tempo è perfettamente
orientato su come lavora il brand ma corre il rischio di non rinnovarsi e produrre sempre le stesse cose.
Se l’ufficio fosse costantemente rinnovato si avrebbero sempre nuove idee ma con il grosso rischio di
tradire l’identità del marchio e perdere i clienti. Spesso, quindi, si affiancano dei consulenti provvisori
alle persone che lavorano fisse nell’ufficio stile. 
3. Crescono le richieste sulle competenze culturali dei soggetti. Le aziende della moda occidentale si
trovano a operare con paesi diversi, porta la moda occidentale a doversi confrontare con culture diverse
da quelle dell’industria d’origine. Siccome la moda è un oggetto culturale pone il problema mi capiscono
o non mi capiscono le altre culture. Richiede che il designer nel momento in cui lavora si faccia l’idea che
il mondo è variegato e richiede quindi una competenza culturale. La mancanza di queste competenze
culturali può portare a errori, es. caso Dolce&Gabbana.  
4. Si diffondono profili professionali ibridi e flessibili. Sempre più apprezzati profili professionali che
riescono a padroneggiare diverse competenze. 

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