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MODA E MEDIA RIASSUNTI

1. ESIBIRE LA MODA TRA PRESENTE E PASSATO


800 - 900: inizia ad instaurarsi un forte legame tra moda e media, grazie allo sviluppo dei luoghi
del consumo e le pratiche di esposizione della moda (vetrine, s late, dispositivi e performance).

1852 Parigi
Le Bon Marsché, grande magazzino de nito “nuova tipologia di negozio” dove moda, oggetti di
design, opere d’arte ecc… occupano lo spazio espositivo. Si tratta del primo grande magazzino
al mondo inaugurato da Aristide Baucicat.
I grandi magazzini (come Bon Marché) rappresentano una vera e propria rivoluzione, non ci sono
commessi che importunano i clienti, i prezzi delle merci sono ssi e segnati su etichette e
l’ingresso è libero.

1851 esposizione universale di Londra


Il principe Alberto e Henrique Cole danno vita alla prima grande Esposizione Internazionale
(EXPO). Parteciparono 35 paesi, esponendo le proprie innovazioni l Palazzo di Cristallo (costruito
appositamente). L’esposizione ebbe un gran successo con 6 milioni di visitatori. All’interno si
trovavano macchinari, tessuti, oggetti di design moderno e Isi poteva persino osservare l’intero
processo di latura del cotone o strumenti scienti ci cime microscopi.

Passages parigini
I passages sono passaggi al coperto dove si potevano trovare le mercato e i servizi più vari.

Les grands magasins du Louvre


Si tratta di uno dei primi magazzini francesi, aperto nel 1855 in occasione della seconda
esposizione universale accanto al Louvre.

Le riviste di moda francesi


- La moda illustre 1860: è stata la prima rivista di moda settimanale francese. All’interno vi
erano consigli per arredamento, per la realizzazione di pizzi, ricami, sul bonton, era aggiornato
sulla cronaca mondana, raccontava novelle e conteneva persino cartamodelli e ricette. Si
rivolgeva ad un vasto pubblico e sopratutto alla piccola-media borghesia, anche gli abiti
proposti erano pensati per loro.

1900 Esposizione universale a Parigi


Vi partecipo anche Worth. L’attrazione principale fu pero “il palazzo dell’elettricità” che alimentava
tutti i padiglioni.

Paul Poiret
Nel 1900 lavora presso la Maison Worth, dove il suo gusto non trova approvazione. Nel 1903
avvia la sua attività indipendente e espone i suoi modelli con grandi vetrine sulla strada
(contrariamente a quanto usava al tempo). Propone una nuova silhouette, contro l’uso del busto,
si ispira al neoclassico e realizza un primo pantalone da donna. È rinomato anche per i suoi gusti
orientaleggianti e per essere stato il primo a organizzare s late promozionali all’estero.

Catturare il movimento: Étieme - Jules Marey e la cronofotogra a 1882


Marey è un medico francese che creo una serie di strumenti volti a catturare il movimento degli
animali. Una delle sue invenzioni fu il “fucile fotogra co”. Si tratta di un vero e proprio fucile con
l’obiettivo inserito nella canna di esso. Quando viene premuto il grilletto, il fucile scatta una serie
di 12 foto istantanee, grazie alle quali riesce a catturare il movimento del soggetto (una
primordiale macchina da presa). Dopodiché realizza la cronogra ca:
Si tratta di un complicato apparato fotogra co che permetteva di riunire in 1 l’asta una sequenza
di immagini successive, tutte le fasi di un movimento (in uenzò molto le opere dei futuristi).

2. IL FASHION FILM: UN MEDIUM DI MODA


Cosa sono? Filmati commissionati da una casa di moda (cortometraggi) che mettono al centro i
valori del brand e della relativa collezione. A Parigi nel 2006 è nato il primo festival interamente
dedicato ai fashion lm.

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Uno dei più rinomati oggi è il fashion Film Festival di Milano, fondato nel 2014 da Costanza cavalli
Etro in collaborazione con la Camera Nazionale di Moda Italiana. Si svolge durante la Fashion
Week di giugno e accoglie importanti case di moda e registi di fama internazionale.
ESEMPIO Chanel No. 5 (2004): è stato uno dei primi brand ad adottare il fashion lm bel 2004 con
Nicole Kidman nei panni di una donna famosa e ricca che sfugge alle sue responsabilità e alla vita
pubblica. Non è più su ciente avere un atteggiamento o mostrare una foto, è necessario allegare
una storia emotiva a questo e creare una connessione personale.

Progetto “The Fashion Body”, Londra 2009


Si tratta di una grande mostra messa in scena alla Somerset House di Londra nel 2009: Fashion
Revolution è una retrospettiva di 9 anni di invenzione e creazione online. La mostra si bada sui
temi di “Processo”, “Performance” e “Partecipazione” e mette in mostra oltre 20 progetti dagli
archivi di Showstudio con nuovi lm, opere d’arte, servizi di moda dal vivo, progetti… con questa
mostra Nick Knight vuole dimostrare che c’è stata una rivoluzione nella moda, nel modo in cui
viene comunicata, bel modo in cui viene fatto commercio e in cui le persone interagiscono con
essa.
Sezioni della mostra:
1) Processo: mostra il processo, il lavoro, dalle idee alle tecniche impiegate attraverso foto e
riprese permettendo di assistere ad ogni visitatore durante e dopo l’evento.
2) Performance: in questa parte della mostra vi è uno studio fotogra co dove ogni settimana si
svolge un servizio di moda dal vivo ad accesso libero che consente di osservare le
“performance” di tutte le persone coinvolte.
3) Partecipazione: accoglie li aspettato e lo spontaneo, l’idea del dialogo è fondamentale per un
ambiente inclusivo come questo, dove il pubblico partecipa i prima persona.

SHOWSTUDIO = è un sito web di moda d’ondata da Nick Knight nel 200 che vuole “mostrare”,
aprendo lo studio di designer e artisti, permettendo a tutti non solo di assistere ma anche di
rispondere e contribuire al processo creativo. SHOWstudio collabora con importanti artisti, registi,
icone popo e case di moda (come Margiela, Alexander McQueen, Rick Owens, Kate Moss…).

Fashion lm di celebri artisti


“A Therapy” di Roman Polanski x Prada: 2012, è stata lasciata totale libertà al regista per
realizzare questo corto di 3 minuti presentato al Festival di Cannes. Tratta di una sessione di
terapia dove la protagonista parla di un incubo col suo analista che pero non la ascolta poiché è
distratto dalla pelliccia viola della sua paziente. Al centro vi è ovviamente l’ironia.

3. IL PRIMO 900: anni 10/30


Cinegiornale di moda
Nel 1895 i fratelli Lumière organizzarono al Grand’ Café di Parigi il primo spettacolo pubblico e a
pagamento del Cinematografo Lumière, un apparecchio da loro progettato che permetteva la
proiezione di immagini in movimento.
Durante le proiezioni, prive di suoni e colori, a colpire gli spettatori era l’impressione della realtà
(durante la proiezione di “L’arrivo del treno” alcuni fuggirono temendo che il treno li investisse)
infatti i primi cineasti si occupavano di lmare “attualità”, cioè immagini dal vero.
Il cinegiornale rappresenta la forma più antica di spettacolo cinematogra co, è composto da
spezzoni documentaristici che illustrano argomenti di politica, attualità, costume (cortometraggio
proiettato nel cinema prima dello spettacolo). Nasce u cialmente nel 1907 con Pathe Journal
(produttore di cinegiornali e documentari no agli anni 70).

1920: primo numero di Vogue Francia


1910: USA, un caso di pubblicità cinematogra ca per la Warner Corset Commercial e i suoi
bustini antiruggine (durata 3 min).

Adrian Greenberg: il primo grande costumista cinematogra co di Hollywood.

I cinegiornali in Italia come strumento di propaganda


I cinegiornali nascono in Italia durante il ventennio fascista con il cosiddetto notiziario LUCE,
prodotto dall’istituto LUCE (unione cinematogra ca educativa) fondato nel 1924. Il cinegiornale

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LUCE diventa pero un e cace strumento di regime per il controllo delle masse, le notizie erano
infatti ltrate attraverso i l’occhio del regime.

ENM
L’Ente Nazionale della Moda nasce nel 1935 durante il regime fasciata, aveva il compito di
italianizzare il guardaroba degli italiano e adattarlo all’autarchia. Il popolo italiano doveva
consumare Italia e cosi anche la moda dovette rendersi indipendente dalle tendenze parigine
(indossare lana di caseina, cotone di ginestra…)

Mary Matté e Viscardi


Sartoria torinese e pellicciaio che risposero all’ordine del regime di creare una moda italiana
partecipando alla mostra autarchica di Torino.

Salvatore Ferragamo a Hollywood


Dal 1915 al 1927 Ferragamo si trova negli Stati Uniti, ad Hollywood, dove raggiunge la popolarità
collaborando con la nascente industria cinematogra ca. Diventa il calzolaio di riferimento dei divi
del cinema muto (zeppe in sughero modello “rainbow” realizzati per Judy Garland, attrice
protagonista del mago di oz nel 38).

4. IL SECONDO DOPO GUERRA: anni 50


I nuovi esponenti della moda
Italia: le sorelle Fontana
Sono 3 sorelle e sarte italiane che segneranno la storia della moda italiana. Nascono a Parma e
vengono avviate al mestiere dalla madre.
Nel 1943 aprono una sartoria a Roma, ma ottengono il loro successo solo nel 49 con la
realizzazione dell’abito da sposa di Linda Christian per il suo matrimonio con Tyron Power
(famoso attore statunitense del tempo), di cui la stampa di onde le immagini, contribuendo a far
conoscere la sartoria in tutto il mondo.
Nel 51 partecipano con successo alla prima s lata di alta moda italiana organizzata da Giorgini,
sbaragliando la concorrenza.
Nel 52 vengono convocate alla Casa Bianca come rappresentanti italiane alla conferenza La
Moda nel Mondo. Sempre nel 52 esce il lm “le ragazze di piazza di Spagna”, nel quale le 3
protagoniste lavorano come sarte nell’atelier delle Sorelle Fontana.
Lo stile Fontana era conforme alle esigenze del cinema: abiti romantici, ricchi di ricami, pizzi e ori
adatti alle storie sentimentali proposte dal cinema e che le attrici straniere decidono di adottare
anche al di fuori del set. Tra le stelle di Hollywood a frequentare l’atelier troviamo Audrey Hepburn
e Ava Gardner, ma anche Jackie Kennedy e Liz Taylor.

Anni 40
Francia, Christian Dior
Nel 47 Dior presenta la sua prima collezione con il suo rivoluzionario New Look, de nito cosi dai
18 giornalisti presenti poiché era considerato molto innovativo ed era caratterizzato da vitigni
stretti e bustini sexy. Un pezzo iconico della collezione è il tailleur Bar, modellato sulle curve del
busto e accompagnato da una gonna plissettata, guanti e cappello nero.
Lo stesso anno la rivista Elle parla del New Look di Dior indossato da una delle attrici più in voga
del momento e questo fa si che Dior diventi “il francese più conosciuto al mondo”.
Negli anni 50 la casa di moda si espanse diventando un impero.

Ferragamo in Italia
Conosciuto come il calzolaio delle stelle, dopo aver conquistato Hollywood e vestito star come
Audrey Hepburn, torna in Italia. In Italia realizza calzature come, “il sandalo invisibile” nel 47, la
mascherina era realizzata da un unico lo di nylon ottenuto dalla lenza dei pescatori e con zeppa
in legno a forma di F. Un’altra calzatura di lusso realizzata da F è il “Kimo”. Alla base delle sue
calzature vi era la ricerca della comodità, infatti nel 31 brevetto un rinforza della suola in ferro che
sostiene l’arco del piede.

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5. LA MODA AD HOLLYWOOD NEGLI ANNI 50
Audrey e Givenchy
I 2 si incontrarono per la prima volta nel 53 presso l’atelier parigino di Givenchy per errore, lo
stilista doveva incontrare un’altra Audrey. Givenchy rimase però colpito dal suo stile e cosi ebbe
iniziò la loro collaborazione. Questa collaborazione creo i look più sensazionali della storia del
cinema: l’abito da cocktail nero in “Colazione da Ti any” e gli abiti indossati in “Sabrina” e
“Cenerentola a Parigi”. Tra i due vi fu anche un bellissimo rapporto d’amicizia.

Funny face (1957)


Si tratta di uno dei primi lm dove la moda incontra il cinema. La protagonista, interpretata da
Audrey, viene fotografata da un uomo, per caso, che pensa abbia il potenziale per diventare una
modella di successo.

6. LA FOTOGRAFIA È LO SWINGING LONDON: BLOW UP


Blow up
È un lm del 1966 diretto da Michelangelo Antonini. Il protagonista è Tomassini, un fotografo
londinese di moda che annoiato dalla quotidianità fatta di shooting, gira per la città con
l’intenzione di realizzare un reportage sulle vite nelle zone più disagiate di Londra. Un giorno pero
scatta di nascosto delle foto ad una coppia in un parco, solo che la donna se ne rende conto e
sviluppa le foto. Ingrandendole si rende conto di cosa stava accadendo e decide di indagare.

7. GLI ANNI 60: dai nuovi stili alla moda x tutti


Londra
È il 1966 quando il settimanale Timer conia il termine “Swinging London”, rendendola cosi la
capitale dello stile. Negli anni 60 Londra diventa il fulcro della moda giovanile, tutto ciò che
nasceva a Londra diventava subito moda. Era la città dove tutto era possibile, fatta di libertà,
musica e look swinging. La moda come sempre rispecchia i cambiamenti sociali del tempo: un
esempio per eccellenza è la minigonna, progettata da Mary Quart come indumento peeer sentirsi
libera consentendo alle giovani donne di correre e saltare. La fece indossarle a una commessa
adolescente, che spopolò in tutto il mondo con il nome di Twiggy (grissino) diventando icona della
bellezza acerba che incarnava gli ideali estetici di questa generazione.

Moda francese anni 60


- YSL: tra i grandi stilisti del momento, introduce numerose novità come il tailleur pantalone, lo
smoking femminile (66). Nel 66 con la di usione dello stile spaziale, rende omaggio al pittore
olandese Mandrian riproducendo i suoi dipinti su abiti in Jersey. Nel 66 da vita al “nude look”,
quando fa s lare una modella con una camicia in cigalina trasparente (anche nel 68).
- Space age o stile spaziale: nel 64 nasce la collezione “space-age” per mano di Courreges,
abiti minimalisti caratterizzati dall’uso di nuovi tessuti (PVC, plastica dura, laurea, sintetici)
accompagnati dagli stivali bianchi a meta polpaccio, segno riconoscibile dello stilista.
- Paco Rabanne: inizia la sua carriera realizzando accessori di lusso per importanti case di
moda come Dior e Givenchy. Nel 66 lancia il suo brand e realizza una collezione composta da
12 abiti realizzati con materiali innovativi come metallo, plastica, alluminio, erano provocatori e
ricordavano antiche armature. La collezione fu uno scandalo nella Parigi di quei tempi e Coco
Chanel lo de nì “il metallurgie della moda”. Inoltre fu il primo ad introdurre la musica sulla
passerella.

In uenza del lm “Bonnie e Clyde”


Per il lm, la costumista, aveva ideato un “power dressing” al femminile che segnò una nuova era
nella moda. Non vi era il tentativo di apparire come un uomo ma il senso di potere nel lm si
basava sulla femminilità. Baschi, gonne a metà polpaccio, maglioncini a V andarono a ruba nel
tentativo di invitare questo nuovo power dressing che simboleggia a una donna moderna, sempre
pronta a fare i bagagli e partire.

Moda italiana anni 60


Sono gli anni del boom economico e dello sviluppo del pret-a-porter per adattarsi alle richieste
dei giovani. In Italia troviamo stilistico come Pucci, Fiorucci, Missoni e Karl Lagerfeld con Fendi.

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Il ruolo del Gruppo Finanziario Tessile du fondamentale per sostenere la produzione in massa dei
capi “pronti per essere indossati” (nata nel 1930 a Torino) e che potevano essere acquistati nei
punti vendita GFT Marus.

- Facis: veste per la prima volta gli italiani con abiti non sartoriali grazie ad un sistema di taglie
nei primi anni 50 prendendo le misure di più di 25000 italiani. Diventa cosi la più grande casa
italiana di confezioni maschili. Per quanto riguarda la pubblicità ricordiamo le pellicole per
carosello e le illustrazioni sulle varie riviste.

8. ANNI 60/70: pubblicità televisiva su “Carosello”


Il Carosello
Si tratta di un programma televisivo pubblicitario che fu trasmesso dal 57 al 77. Veniva trasmesso
tutti i giorni e consisteva in una serie di lmati seguiti da messaggi pubblicitari. Una struttura ben
de nita: “il pezzo” era la parte di spettacolo (1m45s) e “il codino” era il comunicato pubblicitario
(30s).

Novità della moda


Nasce la concezione di un guscio personale e libera scelta estetica con l’unione di vari stili.
Simbolo degli anni 70 è Fiorucci e il suo emporio-bazar, dove si può trovare di tutto; pantaloni a
zampa, shorts minuscoli e accessori stravaganti sono il simbolo di questo periodo.

Hollywood sul Tevere


Nel 1937 nascevano a Roma gli studi di Cinecittà, la risposta italiana ai sogni hollywoodiani. Dal
59 al 69 Cinecittà visse una stagione straordinaria, appassionando Roma che divenne il centro
propulsore del cinema mondiale, la città dei divi e dei grandi registi. Emblema di questo periodo di
benessere economico e sociale è “la dolce vita” di Fellini, che contribuisce a lanciare nel mondo il
mito del bel paese e della dolce vita italiana.

Emilio Schubert: il sarto delle dive.


La nascente industria internazionale della moda appro tta di questo momento: le star di
Hollywood e le nuove dive italiane entrano nei più famosi atelier, come quello di Emilio Schubert,
di ondendo a livello internazionale il loro prodotto. Spesso le sartorie confezionano i costumi dei
lm e le attrici diventano le indossatrici d’eccezione, avviando cosi un sistema dato dall’unione di
cinema, moda e mondanità.

Negli anni 30 si trasferisce a Roma e inizia a lavorare come apprendista in una sartoria.
Nel 38 decide di mettersi in proprio e ottiene da subito un grand’ successo. Il suo atelier, ricalcato
il modello francese, fu rinominato “la 5° basilica di Roma”, era arredato con grandi specchi, divani
e poltrone in velluto e con un grande ritratto di Schubert stesso. Aveva una personalità molto
eccentrica ed esuberante.

Il suo atelier era frequentato dalle dive del cinema e dalle aristocratiche, come Sophia Loren,
Brigitte Bardot e la principessa Soraya. Negli anni 50 conquista infatti il titolo di sarto delle dive e
delle principesse, ma veniva chiamato anche “Chic Sciú Scià”.

È il primo sarto, assieme alle Sorelle Fontana, a capire l’importanza comunicativa, anche a ni
promozionali, del mondo del cinema. Era più importante entrare nel giro di Hollywood che in
quello della nobiltà. Infatti le nobildonne, che prima ngevano da indossatrici, furono sostituite da
modelle o dive del cinema.

In questo contesto abbandona i panni del sarto per quelli dello “star designer”, vuole essere alla
pari delle persone che veste e cosi si fa protagonista della scena sia dentro che fuori l’atelier.
- 1949: apre le porte del suo atelier al lm “Femmina Incatenata”, dove egli stesso recita ed è
onnipresente. Grazie al lm la sua fama si estende ad un pubblico più vasto.
- 1951: partecipa al Film Italian Fashion Show di Giorgini
- 1952: per promuovete la moda alla era dei produttori italiani a NY, s la insieme alle sue
modelle.
- 1958: si esibisce in televisione durante il Carosello

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Schubert, lo stilista-divo, ha forgiato il suo mito attraverso il sapiente uso della propria immagine
creando il suo personaggio ad immagine e somiglianza dei divi di Hollywood.

RIASSUNTO “L’ ABITO NECESSARIO”


( li trame e costumi nel cinema e nella televisione) - SARA MARTIN

PARTE 1
CAPITOLO 1
La foglia di co da cui tutto ebbe inizio. L’uomo è necessariamente legato al suo abbigliamento,
poiché la nudità ad oggi è vista come una cosa immorale. L’abito è diventato un modo per
esprimere noi stessi. Agli albori della storia l’uomo era nudo (Adamo ed Eva); quando si accorge
dell’esistenza di due generi (uomo e donna) l’innocenza originaria nisce, ma hanno inizio i veri
rapporti umani. Gli abiti sono i media per la comunicazione.

CAPITOLO 2
La paura del corpo e il suo antidoto. Vestirsi è una necessità di auto rappresentazione dell’uomo,
che ha la necessità di sentire e farsi sentire. Molte persone hanno paura di non riuscire in questa
operazione*.
In ambito cinematogra co gli attori vivono doppiamente questa sensazione: sia per loro stessi,
che per i personaggi da loro interpretati. Ne è un esempio JOAN CRAWFORD, attrice
holliwoodiana che venne imitata moltissimo dalle donne del tempo e divenne simbolo di uno stile
(il suo costumista non nascose i suoi difetti, anzi li mise in risalto).
L’abito divenne la chiave del suo successo: si modi cò nel tempo e mantenne viva la sua
immagine nei decenni.
Altri esempi sono i due lm “ La forma dell’acqua” e “ Tutti a casa”, in cui l’abito e lo stile sono un
mezzo per rappresentare un personaggio.
Anche Achille Lauro a Sanremo (con la tutina di glitter di A. Micheli), attraverso i suoi look, tenta di
rappresentare un personaggio (San Francesco in questo caso).
*Questa paura in de nitiva deriva dallo scollamento tra immagine percepita e reale di sé, terrore
primordiale della perdita del proprio corpo, necessità di farsi vedere e sentire.

CAPITOLO 3
Gli abiti come racconto. In ogni lm l’attore ha una storia in cui lo spettatore è naturalmente
portato a riconoscersi. Gesti, segni e abbigliamento sono funzionali a questo (l'abito comunica
prima ancora dell’attore ed anche quando egli non parla). Talvolta, come in “La la land”, diventano
simbolo in una scena in particolare.

CAPITOLO 4
L’abito è permanenza e rimanda alla mente cose già viste (es.: Stranger things ha riferimenti a
molti lm anni '80). Il costume si costruisce attraverso la verosimiglianza, ma talvolta racconta
qualcosa di nuovo su un personaggio. L’abito quindi è somma (di esperienze e immagini passate),
segno (di un personaggio) e permanenza (qualcosa che rimane nel tempo).

CAPITOLO 6
Il sarto ha qualcosa del creatore o della divinità (non è solo colui che cuce). Es.: nel lm “il silenzio
degli innocenti” c’è un parallelismo tra il modo metodico che ha il protagonista assassino di
curare e di uccidere le sue vittime. In generale, si ha un’ambiguità tra i ruoli di sarto, stilista e
costumista (come gli attori, anche noi ci vestiamo per interpretare ruoli).

CAPITOLO 7
Soddisfare l’obiettivo: il lavoro del costumista

CAPITOLO 8
La moda è un’altra cosa.

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PARTE 2 - COSTUMI, ABITI, COSTUMISTI E SARTI
CAPITOLO 1
Il costume cinematogra co negli anni 30 sotto la lente delle rubriche di moda. Fin dagli anni '30,
grazie all'a ermazione dello star-system hollywoodiano e all'emergere della gura del costumista
cinematogra co, il cinema rappresenta il veicolo principale dell'industria della moda, dettando
leggi e stili ed in uenzando gusti e tendenze in ogni ambito sociale.
Il primo riconoscimento ai costumer designer arriva nel 1948, con l'istituzione del Premio Oscar
da parte dell'Academy. Nel cinema delle origini, le attrici provvedevano personalmente al loro
guardaroba o ricorrevano alle sartorie teatrali. Col tempo emerse la necessità di gure
professionali capaci sia di valorizzare i divi, sia di caratterizzare i personaggi del racconto anche
attraverso i loro abiti. Dalla II metà degli anni '20, costumisti come Adrian e Orry Kelly diventano i
responsabili delle tendenze stagionali (più delle maisons parigine). Nei grandi magazzini
statunitensi nascono i primi reparti cinema, dove le clienti possono acquistare copie economiche
dei modelli apparsi nei lm di successo. Adrian è il principale responsabile dell'out t delle dive
Greta Garbo e Joan Crawford (anni '30). Travis Banton, capo-costumista alla Paramount dal 1927
al 1938, è il creatore dei tailleur dal taglio maschile indossati da Marlene Dietrich.
Louis è l'arte ce dell'iconico abito di satin senza spalline indossato da Rita Hayworth in Gilda.
Edith Head, la più grande costumista di tutti i tempi, inventa lo stile esotico di Dorothy Lamour, la
quale lancia la moda dei tessuti orientali in La glia della giungla.
L'Italia a quel tempo sta a guardare e si lascia trasportare dai miti hollywoodiani. Il Duce mostra
un forte interesse per la moda e il cinema e, dagli anni '30, anche in Italia emerge la gura del
costumista (tuttavia il regime non è ancora in grado di generare gure divistiche capaci di
contrastare quelle hollywoodiane).
Jean Harlow lancia il biondo platino, mentre Greta Garbo il taglio medio alla «paggio», copiato da
milioni di donne per un decennio; Joan Crawford impone uno stile emulato in ogni dettaglio.
Al cinema italiano non resta che tentare una rincorsa. I lm dei telefoni bianchi emulano - oltre agli
impianti scenogra ci - anche i costumi di scena realizzati per le dive hollywoodiane e raccontano
un ambiente popolare, dove le donne sognano di vivere nel lusso.

Es: Contessa di Parma (1937) di Alessandro Blasetti. Contessa di Parma è interessante per il
rapporto tra industria della moda e propaganda fascista (contesto borghese dove il lusso si
alterna al calcio). Gli abiti del lm portano la rma di Mary Mattè e della pellicceria Viscardi e
hanno la marca di garanzia dell'Ente Nazionale della Moda*. Il racconto si svolge in una casa di
moda e sviluppa le vicende sentimentali tra un'indossatrice, nota come Contessa di Parma, e un
calciatore della nazionale. L'obiettivo principale, oltre a quello di promuovere l’immagine della
moda nazionale, è di ridicolizzare la moda e la lingua francese, nel tentativo di italianizzare il gusto
estetico.
*1937: viene emanato un regolamento che impone a tutte le case di produzione cinematogra che
l’adozione di modelli italiani garantiti dalla Marca di Garanzia.

Altri lm, come Mille lire al mese (1939) o La signora di tutti (1934) hanno l'obiettivo di costruire
immaginari divistici da emulare e da ritagliare dai servizi di moda realizzati all'interno delle riviste
patinate. Tentano di suggerire uno stile che in Italia è ancora da costruire e comunicare.
In questo periodo emerge un quadro che vede uno sforzo da parte della nascente industria della
moda italiana poco ripagato e, invece, un'osservazione attenta a ogni dettaglio sfoggiato dalle
dive americane. Leo Longanesi nel 1936 su «L'Illustrazione italiana»: “La donna oscilla tra la
vecchia Europa e l'America, si getta dove vede un costume ma non riesce più a farsi una
sionomia.”
I periodici di cinema e quelli di moda fungono da guida per le lettrici, supportati dall'immagine
fotogra ca che va sostituendosi a disegni e bozzetti. Tuttavia, i servizi fotogra ci di moda sono di
scarsa qualità e mancano fotogra professionisti specializzati nel settore. È spesso necessario
ricorrere a immagini provenienti dall'estero ma con le di coltà che sottopone il regime, attento a
una propaganda nazionalista che coinvolge tutti i media. Sulla rivista «Al Cinema» nel 1929,
nell'articolo La moda ad Hollywood viene tradotto un contributo scritto da Adrian:
Hollywood esercita una grande in uenza sulla moda femminile, maggiore di qualsiasi altro centro
mondiale (all'infuori di Parigi) e la moda adottata dalle stelle del cinema si spande ovunque.
Hollywood in uenza la moda attraverso la ripetizione. Quando una stessa caratteristica è ripetuta
molte volte, si imprime nella subcoscienza femminile e viene seguita dalla grande massa
femminile. È più desiderabile che la moda di Hollywood venga adattata per l'uso di ogni giorno
(prendere idee dalla moda cinematogra ca), piuttosto che nella sua interezza, perché si cadrebbe
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nell'esagerazione a scapito della vera eleganza. Consiglio alle donne: seguite la moda dell'attrice
che più si avvicina a voi, attenuandola nelle caratteristiche "teatrali"; avrete così una moda
personale, pur rientrando nel quadro della moda corrente”.

Nonostante l'attenzione crescente delle riviste cinematogra che verso la moda nel cinema, è raro
incontrare rubriche con cadenza regolare dedicate alle donne e all'in uenza che le dive esercitano
sull'immagine che danno di sé.
Caso interessante è la rivista «Cine Mondo» che pubblica una rubrica rmata da Minie Piquet, dal
titolo Eleganze femminili, in cui impartisce consigli di eleganza alle sue lettrici. Spesso, si serve
delle icone del cinema per suggerire modelli di stile da imitare, come nell'articolo La moda Brigitte
Helm, in cui annuncia l'apparire della moda «Brigitte Helm», ispirata ai più abili sarti parigini e che
si oppone a ciò che è ttizio ed eccessivamente bizzarro; ha carattere soprattutto aristocratico,
perciò mette un freno alla mania d'imitazione della classe modesta. Inoltre, dice che per adottare
qualsiasi forma d'abbigliamento bisogna essere multiformi, avere viso perfetto ed essere regine di
grazia. Nell'articolo La bellezza secondo le attrici Minie Piquet descrive alcune strategie di
bellezza in quanto a trucco e cura del corpo adottate da varie dive e si congeda così: «Chi fra
tutte avrà ragione? La scelta alle mie gentilì lettrici e al loro buonsenso».
Il dialogo cercato con le lettrici dà come risultato uno scambio di vedute e informazioni in calce a
quasi tutti i suoi articoli, in cui inserisce anche messaggi promozionali come in L'ora del tè: «Vera
Vergani, grande attrice italiana, non usa che i profumi della DITTA M. GAIA. A tutte le lettrici di
Cine Mondo imitarla!»
Ci si rivolge spesso alla moda e al costume nel cinema nel tentativo di cogliere un certo tipo di
relazione con il tempo, con l'uomo e con la società. L'indagine di questa relazione evidenzia
l'urgenza di dare risposta alla domanda: di cosa facciamo esperienza nella veste che indossiamo?
(negli ultimi decenni ogni scelta, abito e gesto sono diventati dei codici e hanno annullato lo
spazio per quest'interrogativo).

CAPITOLO 2
Moda e cinema. Specchio di un immaginario sociale del secondo dopoguerra. Il 5 settembre
2018, L'anno scorso a Marienbad di Alain Resnais, uscito nel '61, è tornato al Festival di Venezia.
È stato presentato nella sezione Venezia Classici, grazie al sostegno della Maison Chanel (erano
di Chanel gli abiti creati per l'attrice Delphine Seyrig). Con la digitalizzazione del lm, la Maison
francese ha voluto restituire alla sala una delle pellicole più importanti dal punto di vista del
rapporto tra moda e lm, tra abito e personaggio.
I personaggi che occupano gli spazi del residence in cui si svolge il loro arco narrativo, vengono
trattati come dei manichini che fungono da supporto all'abito che li veste. Nella quasi assenza di
una struttura narrativa, il lm invita lo spettatore a considerare gli oggetti e i corpi, lo spazio e il
linguaggio come elementi simili, privati di ogni forma gerarchica, come a erma la voce narrante:
«tutti i corpi si somigliano, così come tutte le vestaglie, le piume, gli alberghi, le statue, i giardini».
Moda e cinema trovano un territorio di comune eccellenza nel festival lagunare a partire dal
secondo dopoguerra, quando la moda italiana, dopo anni di crisi, torna ad esprimere tutta la
propria capacità di mobilitazione economica e culturale e conquista in breve tempo una
leadership nel mercato statunitense ed una di usione internazionale senza precedenti. Una delle
strategie messe in campo dall'haute couture italiana fu la sinergia con il cinema, il più potente
veicolo di comunicazione.
Già dagli anni '20 e '30 la moda era diventata sempre più indispensabile per il successo di un lm,
ma in Italia i primi frutti della «collaborazione» tra cinema e moda arrivano solo alla ne del
con itto bellico. Il binomio tra le due forme espressive diventa allora mezzo indispensabile per
una «promozione integrata» , che invade lo spazio pubblico (red carpet e Festival) e industriale.
Non a caso, le prime ri essioni sui rapporti tra cinema e moda sono nate nel contesto di un
Festival.
A Venezia la relazione tra le due forme espressive viene sancita nel 1949, con l’organizzazione del
primo Festival Internazionale dell'Alta moda e del Costume nel Film. L'evento, che consiste in una
serie di s late organizzate all'Hotel Excelsior e al Palazzo del Cinema del Lido è a ancato da
convegni ed iniziative pubbliche promosse dal Centro Italiano della Moda.
L'eco dell'evento rimbalza su tutti i periodici femminili nazionali, che enfatizzano la cornice storica
creando un accostamento tra abito e architetture. Questo atteggiamento è evidente nell'articolo
del mensile «Bellezza» Quattro giorni di moda a Venezia dove il corpo femminile dialoga con i
luoghi della città legati al cinema. In quella occasione gli stilisti «spingono le loro mannequins no
agli spazi della Biennale e del Festival Cinematogra co, dove è spettacolo consueto vedere
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donne scendere dalle gondole in abiti da sera. Lasciati alle spalle i luoghi dell'arte si procede per
le vie della città, dove gli abiti sono accostati ai grandi manifesti cinematogra ci: l'occhio della
lettrice è catturato in egual misura dai modelli proposti e dai titoli dei lm che occuperanno le sale
nella stagione invernale»
L'anno successivo, sempre su «Bellezza», Irene Brin ci introduce nel «Prodigioso settembre
veneziano» descrivendo un itinerario delle iniziative dedicate alla moda.
I luoghi simbolo della Mostra cinematogra ca ritornano quindi ad essere palcoscenico per i
romantici e moderni abiti Made in Italy.
Il culmine del processo di associazione tra cinema e moda si raggiunge in maniera esplicita in un
articolo del 1950, intitolato Richiamo d'ottobre. Esso si riferisce alle proposte della stagione. ma
anche al titolo italiano del lm The Return of October, il cui manifesto fa da sfondo al racconto per
immagini pubblicato dalla rivista, diventando co-protagonista della storia.
Tra i titoli sul manifesto, troviamo Cronaca di un amore di Michelangelo Antonioni (1950). Il lm,
nel lanciare l'immagine divistica di Lucia Bosè, collabora alla costruzione della permeabilità tra
moda e cinema. Inoltre, introduce una nuova rappresentazione della donna e conduce anche la
moda all'interno del plot con l'obiettivo di raccontare un paese che cerca di costruirsi una identità
rinnovata.
L'indagine psicologica della donna gioca un ruolo chiave nella poetica di Antonioni, così come
l'attenzione alla sua rappresentazione. Per esempio, nel lungometraggio Le amiche (1955), la
donna non è un corpo da contemplare, bensì un soggetto da indagare nei suoi aspetti meno
tangibili. Antonioni ambienta il racconto in una Torino grigia e anonima. È nell'ambiente urbano
che la donna trova la via per costruire il suo futuro, anche imprenditoriale. Clelia, inviata dall'atelier
romano per cui lavora, propone a Torino un nuovo modello di donna: socialmente emancipata e
portatrice della moda italiana.
In questo momento storico di rinascita del paese, sia nel campo dell'industria cinematogra ca
che in quello emergente della moda, la performatività intrinseca delle gure femminili interpreti
dell'alta moda italiana esce dagli atelier e dalle sartorie e si manifesta pubblicamente, scegliendo
come veicolo principale il cinema internazionale.

CAPITOLO 3
Quando il cinema incontra gli atelier di moda: le sorelle Fontana. Dagli anni '50, l'atelier delle
Sorelle Fontana è il luogo della messa in scena del rituale della vestizione delle attrici, di una
sintesi di cultura, moda, arte e cinema. Le Sorelle Fontana hanno l'intuizione di proporre, grazie
alla frequentazione degli ambienti alto borghesi e delle case principesche, il fascino dell'abito
ottocentesco, che suscita un fascino nel mondo del cinema.
Grazie a un forte spirito imprenditoriale diventano rapidamente le ambasciatrici di quell'italianità
che vuole dare riscatto della dignità nazionale. Zoe, Micol e Giovanna nascono a Traversatolo
(provincia di Parma) e vengono avviate al mestiere dalla madre. La maggiore, Zoe, dopo brevi
soggiorni a Milano e a Parigi dove studia i modelli di Chanel, Worth, Schiapparelli, ecc. si
trasferisce Roma, dove inizia a lavorare nella sartoria Zecca, di dichiarata ispirazione francese.
Dopo qualche anno, la raggiungono le sorelle: Micol inizia come apprendista nella sartoria
Battilocchi, mentre Giovanna cuce abiti in casa e intesse relazioni con i futuri committenti dell'alta
borghesia e dell'aristocrazia romana.
Attivano n da subito una strategia imprenditoriale vincente. Mettono in atto un processo di
identi cazione della loro immagine con i modelli di cui si fanno promotrici, costruendo per il
pubblico un quadro di riferimento che abbina il nome della sartoria a quello delle attrici nazionali e
internazionali di passaggio a Cinecittà.
Questa fortunata operazione pubblicitaria è anticipata nel 1949 dal successo ottenuto con la
realizzazione dell'abito da sposa di Linda Christian per il suo matrimonio con Tyron Power, di cui
la stampa di onde le immagini, contribuendo a far conoscere la sartoria. Grazie a quell'abito,
realizzato in raso e pizzo con un lungo strascico, le tre stiliste diventano promotrici di una moda
italiana che di li a poco occuperà la scena internazionale.
La loro notorietà cresce rapidamente, grazie alla "colonizzazione" hollywoodiana degli studi
cinematogra ci di Roma. Lo stile Fontana è conforme alle esigenze del cinema: gli abiti romantici
sono ricchi di ricami, pizzi e ori, adatti alle storie sentimentali proposte dal cinema. E le attrici
straniere adottano questo stile anche fuori dal set, coerenti alla loro immagine sul grande
schermo. Presto, tra le clienti dell'atelier ci saranno le stelle più luminose di Hollywood: Mirna Loy,
Barbara Stanwyck, Michelle Morgan, Audrey Hepburn (prima del suo sodalizio con Givenchy) e
Ava Gardner.

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Per la Gardner, oltre a diventare le stiliste di ducia in privato, le Fontana realizzano i costumi di
scena per molti lm. Sono poi le creatrici, sempre per la diva, del Pretino, un abito dalla linea
talare, in lana e seta, svasato e pro lato di bottoncini, lungo no a poco sotto il ginocchio e
completato da un cappello «saturno» in testa e un croci sso sul petto. L'abito sarà poi ripreso da
Piero Gherardi per vestire Anita Ekberg nella Dolce Vita (1960) di Federico Fellini e diventerà un
oggetto iconico senza tempo.
Le visite delle attrici nell'atelier fanno notizia. I giornali di tutto il mondo pubblicano le foto delle
stiliste al lavoro sugli abiti che la spettatrici desiderano; così, i loro capi acquisiscono una valenza
quasi mitologica.
Tra il 1949 e il 1950, le Fontana costruiscono un marchio che segnerà la storia della moda
internazionale. Il12 febbraio 1951 è la data che consacra de nitivamente le stiliste come regine
dell'Italian style. In quell'anno, a Firenze, l'imprenditore Giovan Battista Giorgini fa s lare nella sua
villa modelle in abiti di alta moda italiana. È il «First Italian High Fashion Show» e le tre sorelle
sbaragliano la concorrenza. L'evento ha forte risonanza nella stampa di settore, grazie anche a
Irene Brin (Harper's Bazaar), che pubblicizza all'estero l'evento e contribuisce a creare l'idea della
nascita di una moda italiana disgiunta da Parigi.
Nel febbraio del 1952 esce nelle sale italiane il lm di Luciano Emmer, Le ragazze di Piazza di
Spagna. La pellicola si concentra sulle vicende personali e sentimentali di tre ragazze della classe
proletaria dei sobborghi romani, che lavorano come sarte nell'atelier delle Sorelle Fontana. La
sceneggiatura non ha come obiettivo principale quello di valorizzare la nascente industria della
moda. Tuttavia, la sartoria, la nuova gura dell'indossatrice e il moltiplicarsi degli eventi dedicati
alla moda (i de lé), sono l'ambiente adatto in cui collocare le vicende, i sogni e le speranze delle
giovani generazioni. Lucia Bosè, Cosetta Greco e Liliana Bonfatti sono le protagoniste della
pellicola; Marisa, interpretata dalla Bosé, lascerà il banco della sartina per diventare
un'indossatrice.
Il lm è un esempio del rapporto che si instaura tra il sistema moda e il divismo nazionale e
internazionale nel secondo dopoguerra. Il cast ne è la prova: Lucia Bosè occupa grande spazio
nei rotocalchi popolari femminili e specializzati. L'obiettivo della moda italiana in questo periodo è
intercettare il mercato americano. Le Fontana, oltre a farsi pubblicità attraverso le star, portano
negli Stati Uniti tre indossatrici della casa, che presentano l'atelier e il lm di Emmer.
Le ragazze di Piazza di Spagna ci mostra anche il modus operandi delle Sorelle Fontana
nell'atelier. Vediamo Zoe costruire l'abito da sera di Marisa in ogni passaggio. Prima il corpetto,
poi la sottoveste e in ne la gonna ampia.
Il disegno di moda, infatti, è spesso un disegno di progetto, ma in molti casi è un lavoro a
posteriori dedicato all'illustrazione per le riviste di moda o per i rivenditori. Il disegno di moda dà
le informazioni essenziali sulla struttura dell'abito con un'attenzione particolare ai colori e alla
linea. Il corpo è proposto nella tipica forma allungata, ricurva e assottigliata, i “ gurini”. Gli atelier
come quello delle Fontana sono delle imprese e come tali si servono quasi sempre di progettisti
esterni. La costruzione dell'abito d'alta moda ad opera delle Sorelle Fontana attraversa diversi
passaggi. La sto a gessata sul tavolo e poi tagliata è la parte iniziale, e il bozzetto assume solo il
ruolo di spunto ed la testimonianza di questo processo di lavorazione, dove le varie sto e si
alternano e si strati cano con eleganza sul corpo della mannequin (dove avviene la
trasformazione).
La predilezione per il «modello-divo» è il punto strategico di questo atelier ed è strumentale a
legare l'immaginario femminile all'universo del cinema, garanzia di una visione sublime e familiare.
Divo e vestito di moda sono un'accoppiata più e cace del manichino o della modella, più adatti
questi a una s lata e le Fontana sono le prime in Italia intuirlo. Nell'immaginario collettivo il divo
gode di una seconda vita in immagine, omogenea allo statuto dell'abito tout court.

CAPITOLO 4
«CHIC SCIO SCIA». Genialità e divismo dello star-designer Emilio Schuberth. Quando nasce il
fenomeno della «Hollywood sul Tevere», ovvero quando una presenza economica, commerciale,
produttiva, istituzionale delle major americane entra nel contesto del cinema italiano rimettendo in
funzione Cinecittà e permettendo a Roma di diventare in pochi anni il centro nevralgico di
colossali produzioni cinematogra che, la nascente industria internazionale della moda se ne
appro tta: le star di Hollywood e le nuove dive italiane entrano nei più famosi atelier, come quello
delle Sorelle Fontana, di Gattinoni e di Emilio Schuberth, già frequentato dalle esponenti
dell'aristocrazia romana. Le attrici diventano presto delle fedeli clienti dei sarti italiani, di ondendo
a livello internazionale il loro prodotto. Il sodalizio tra cinema e moda oltrepassa i con ni nazionali
e consente all'Italian style di raggiungere un pubblico vastissimo e una popolarità di cui non aveva
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mai goduto; spesso le sartorie confezionano i costumi dei lm, aprendo le porte del loro atelier. Le
attrici diventano indossatrici d'eccezione come «ambasciatrici del Made in Italy», e avviano un
sistema virtuoso che si estende in vari scenari. Federico Fellini poi, con La Dolce vita, suggellerà
per sempre questa unione tra cinema, moda e mondanità.
Dentro a questo fermento culturale e industriale emerge Emilio Schuberth, una delle gure meno
indagate dell'alta moda italiana. Schuberth ha creato intorno a sé un alone di mistero e stupore
grazie alle sue creazioni sartoriali, ma soprattutto a una personalità eccentrica ed esuberante. Il
suo atelier era frequentato dalle dive del cinema e da aristocratiche (principessa di Persia Soraya,
duchessa di Windsor, Maria Pia di Savoia ed Evita Peron). Tra gli anni '40 e '50 Schuberth
ambisce ad un ruolo divistico che nasce e si sviluppa grazie ad un uso mirato e acuto del sistema
dei media: recita al cinema e davanti ai fotogra per mensili di moda e rotocalchi, e nel 1958 si
esibisce anche in televisione. Una capacità intermediale nutrita anche di un uso so sticato di
autopromozione attraverso la creazione di oggetti feticcio che dialogano continuamente con la
sua immagine.
Soprannominato «Chic Sciù Scià» - Chic, come erano le donne che indossavano i suoi abiti; Sciù
dal nome del profumo e Scià perché una delle sue clienti più a ezionate era la moglie dell'ultimo
Scià di Persia - per tutta la sua vita professionale ha in uenzato con la propria personalità ciò che
gli stava accanto. È passato da un medium all’altro con quella disinvoltura tipica della
contemporaneità, ma ancora sconosciuta al tempo.
Nei primi anni' 30 ha i primi contatti con il mondo della moda romana, quando è apprendista nella
Sartoria Montorsi. Nel 1938 apre a Roma una modisteria dove vende cappelli da lui creati,
assecondando le esigenze delle clienti. In poco tempo fonda una ditta individuale in cui realizza
abiti femminili con la collaborazione di disegnatori di alto livello. L'atelier di Schuberth è ricalcato
sul modello francese, arredato con grandi specchi, con poltrone e divani in velluto, lampade
preziose e tende. L'ambiente esprime la sua personalità eccentrica e prorompente. Un grande
ritratto di Schuberth troneggia nel lussuoso atelier, rinominato la «quinta basilica di Roma».
Nel 1951 Emilio Schuberth, assieme ad altre otto sartorie italiane, accoglie l'invito di Giovanni
Battista Giorgini a partecipare al First Italian High Fashion Show, che contribuisce in modo
decisivo all'a ermazione del Made in Italy (ma il suo nome era già ampiamente conosciuto nel
decennio precedente).
È il primo sarto, assieme alle Sorelle Fontana, a capire l'importanza comunicativa, anche a ni
promozionali, del mondo del cinema. Avverte che è più importante entrare nel giro dei divi di
Hollywood che di quello della nobiltà.
Anche nella presentazione dei modelli si nota in questi anni uno scarto rispetto al passato. Se
prima erano le nobildonne a fungere da indossatrici, ora sono sostituite da modelle professioniste
e dalle dive del cinema che s lano dentro e fuori gli atelier.
In questo contesto, Emilio Schuberth è l'unico che abbandona i panni del sarto per quelli più
glamour di uno star-designer (vuole essere star alla pari delle personalità che veste). Si fa
protagonista della scena, sia fuori che dentro il suo atelier. Apre le porte del suo atelier ad alcuni
lm, come Femmina incatenata (1949), un melodramma sentimentale che racconta le vicende
tormentate dell'aspirante scultrice Idla e del suo insegnante Manuel. Nel lm, viene mostrato sia
l'interno dell'atelier romano, dove Idla è costretta a lavorare come gurinista, sia Schuberth stesso
che supplica la ragazza di diventare la sua collaboratrice. Il momento più signi cativo è quello
della s lata nell'atelier, dove il racconto si interrompe per dare spazio alla moda e dove le vere
indossatrici di Schuberth mostrano alle signore presenti una collezione. Il sarto è onnipresente,
quando non appare incarnando se stesso possiamo vedere il suo ritratto alla parete. Grazie al
lm, la fama del suo atelier si estende ad un pubblico più vasto (della sala e dei rotocalchi del
cinema).
Il 30 maggio del 1952 un aereo parte dall’aeroporto di Ciampino per promuovere la moda alla era
dei produttori italiani allestita al Grand Central Palace di New York; a bordo ci sono sette
indossatrici accompagnate da Schuberth, ambasciatore di sé stesso (s la davanti alle telecamere
del cinegiornale e con le modelle). E proprio su un aereo, Schuberth organizzerà una s lata, con
pubblico e fotogra .
Il sarto apre le porte del suo atelier anche alle telecamere del cinegiornale, davanti alle quali si
mostra molto a suo agio, imitando le star. Recita la parte del creatore e instaura una sorta di
dialogo con le sue creazioni. A di erenza di altri couturier che si basano più sul disegno,
Schuberth segue l'ispirazione suggeritagli dal semplice tessuto. Fra le clienti italiane più famose,
le attrici Gina Lollobrigida, Sophia Loren, Anna Magnani, Silvana Mangano, Silvana Pampanini e
Valentina Cortese.

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Sulla scia del modello parigino di Dior, Schuberth diventa uno stilista-divo ante litteram (indossa
anelli vistosi, pellicce, parrucchino, fondotinta, trucco per gli occhi e unghie lunghissime).
Il grande ritratto di Schuberth troneggia nel suo atelier e moltiplica la sua immagine divistica
senza intaccarne l'aura. Si tratta di una messa in scena di sé usata come strategia comunicativa
per connettere tra loro ambiti artistici e media diversi. Il ritratto consacra la sua gura,
innalzandolo a ruolo di divo imperituro: «Il divo è un prodotto tipicamente cinematogra co, ma
non ha niente di speci camente cinematogra co» - Morin." Schuberth è il primo a intuire come
fare di sé un brand, come mettere in scena il suo personaggio, ad immagine e somiglianza dei divi
hollywoodiani: Bellezza e spiritualità diventano tutt'uno per dar vita all'essenza mitica della sua
super- personalità, la quale deve continuamente a ermarsi nelle e con le apparenze, eleganza,
amori sublimi, ricchezza, grandezza, ecc., accompagnato da semplicità e stravaganza.
Un altro elemento chiave del suo meccanismo comunicativo è l'editoria, un motore di richiamo
importante per il pubblico femminile.
Non solo le riviste di alta moda («Bellezza», «Novità»), ma anche i rotocalchi popolari («Epoca»,
«Grazia», «Annabelle») dedicano alcune pagine alla promozione del Made in Italy, grazie alla
collaborazione delle dive del cinema. Sia la Lollobrigida che la Loren vestono Schuberth. (nel '54
volano entrambe a Londra per rappresentare l'Italia davanti alla regina Elisabetta e scelgono
Schuberth; l''eco dell'evento rimbalza sui periodici femminili italiani).
Emilio Schuberth è anche il primo stilista a intuire il ruolo massmediatico della televisione e alla
ne degli anni '50 partecipa a programmi di grande popolarità. Partecipa nel 1958 a La via del
successo, programma condotto da Walter Chiari, fondato su sketch, gag comiche, musiche e
imitazioni. Nel '59 partecipa a Il Musichiere, uno dei programmi più popolari della storia della tv
italiana (un gioco musicale a premi con momenti di intrattenimento correlati alla tradizione
dell'avanspettacolo). In questa occasione svela i segreti e i retroscena del proprio lavoro e sceglie
la semplicità e la modestia per familiarizzare con il pubblico casalingo.
Se il termine «moda» è ancora legato in modo indissolubile al termine «creatività» e il «mito del
creatore è ancora un mito romantico», questo è soprattutto vero per Emilio Schuberth, il cui mito
si è forgiato attraverso il sapiente uso della propria immagine. Uno star-designer che ha fatto
scuola nell'ambito della moda, ma soprattutto in quello della comunicazione, insegnando ai futuri
stilisti l'importanza della costruzione del proprio mito.

CAPITOLO 5
Il personaggio ha alcuni colori, i suoi e non altri, i costumi di Maria De’Matteis. L'abito per Maria
De'Matteis, una delle più importanti costumiste del cinema e del teatro italiano, nasce sulla carta.
È, prima di tutto, un bozzetto, con il quale si avvicina al tempo e alla storia del personaggio da
vestire. Discendente da una famiglia di artisti, pensa attraverso la forma che prende il gurino,
mano a mano che il personaggio si svela attraverso la sceneggiatura: Quando immagino un
costume per un personaggio ne leggo attentamente la storia, cercando di conoscerlo
interiormente anche da ciò che non fa e non dice; poi lo inserisco nel suo ambiente e nella sua
epoca, ed in questo è di grande aiuto la pittura del tempo. Quel personaggio avrà i suoi colori, in
modo da essere un'individualità da non confondersi con altre. La costumista si forma prima come
illustratrice per bambini collaborando a «Il Giornalino della Domenica» e disegnando libri per
ragazzi e poi nella scuola teatrale orentina di Gino Carlo Sensani il quale la porterà con sé a
Roma per lavorare nel cinema, aprendole le porte a una carriera che la vedrà dominare l'ambiente
del costume cinematogra co per più di quarant'anni.

De'Matteis a anca inizialmente il Maestro come assistente in Orologio a cucù (1938), Il marchese
di Ruvolito (1939), La nascita di Salomè (1940). Co- rma i costumi di Piccolo mondo antico (1940)
e I pirati della Malesia (1941). Il primo lm come unica responsabile del reparto costumi è Un
colpo di pistola (Renato Castellani, 1942). Sempre per Castellani realizza i costumi di Zazà (1944),
dove dà prova di grande personalità vestendo con sfarzo lsa Miranda. Negli stessi anni Mario
Soldati la sceglie per Malombra (1942), una fra le produzioni più importanti nella storia del
costume italiano. Isa Miranda, attraverso i dettagli dei suoi abiti (grandi occhi bianchi, gonne
nere larghe), interpreta prima la fragilità femminile e poi la sua progressiva decadenza. L'anno
successivo, Luchino Visconti la sceglie per i costumi del primo lm neorealista, Ossessione
(1943). Apparentemente opposti per stile e ambientazione, le due pellicole si eguagliano per il
rigore nel dettaglio dei costumi, raccontando entrambi una storia di estrema disperazione anche
attraverso gli abiti dei personaggi.
Tra il 1951 e il 1952 realizza gli abiti per cinque opere fondamentali: La ammata (Alessandro
Blasetti), Processo alla città, Otello, Umberto D (Vittorio De Sica), La corazzata d'oro.
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La costumista, in questa fase, è in uenzata dal più innovatore stile hollywoodiano. Nei suoi esordi
il riferimento principale è il più grande costumista del cinema americano: Gilbert Adrian.
Osservando gli abiti dei due protagonisti di Un colpo di pistola, non si può non far riferimento a
costumi creati da Adrian per Greta Garbo e Fredrich March. Anche negli abiti realizzati per Isa
Miranda in Malombra, il riferimento è chiaro.
Rispetto alle soluzioni adottate dai costumisti a lei contemporanei, De'Matteis si distacca
decisamente per un senso più acuto negli accostamenti dei colori, nella scelta delle sto e e per
un perfezionismo che mira a costruire, con l'attore e il personaggio, un insieme armonico.
Lavora con pochi elementi, per lei «crear costumi è in un certo modo far pittura. È un metodo di
procedere che contempla un rigore selettivo pari a quello del pittore sulla tela»
Il sodalizio con lo scenografo Mario Chiari - «con cui darà vita a un 'marchio', un segno distintivo
dell'arte del costume» - raggiunge il risultato più importante nel primo lm di King Vidor girato in
technicolor Guerra e pace (1956). Come asserisce la De'Matteis «nel cinema dopo l'avvento del
colore, la collaborazione/ intesa tra scenografo e costumista è indispensabile, quando si voglia
raggiungere un risultato di qualche entità».
“Entrambi sono partiti dal personaggio di Natascia come centro di colore e stile: e ogni volta il
costume della protagonista ha determinato l'intonazione dell'intero ambiente” (Aldo Paladini).
De'Matteis crea 22 costumi per la protagonista del lm interpretata da Audrey Hepburn. Per
scegliere le tonalità dei suoi abiti, usa come punto di riferimento il ciclo vitale di una foglia (dai toni
teneri e pallidi del verde a un rosso antico per quando diviene donna) De'Matteis coinvolge la
stilista Fernanda Gattinoni per i realizzare vestiti.
È noto il sodalizio di Audrey Hepburn con Hubert de Givenchy che con Sabrina, Cenerentola a
Parigi, Colazione da Ti any, ha forgiato uno stile destinato a durare per sempre. Meno noto,
invece, è il lavoro compiuto da Gattinoni sulla diva, in quegli anni cruciali, dove l'attrice, grazie al
suo look, diventa un'icona imperitura della moda.
La stilista inaugura il suo atelier a Roma nel 1946, da subito frequentato sia dall'alta borghesia e
dall'aristocrazia europea che, nell'immediato dopoguerra, dalle dive del cinema che la scelgono
per prendersi cura della loro immagine privata. Gattinoni ri uta l'invito alla s lata di Giorgini, per
dedicarsi alla clientela privata a cui garantisce sempre l'esclusività dell'abito. La decisione però, la
ripaga. Il kolossal Guerra e pace è un lavoro diverso, una s da per lei: l'abito deve raccontare un
personaggio, non l'estro creativo di un couturier. Gattinoni confeziona degli abiti stile impero,
apparentemente semplici, ma espressione di un'eleganza sobria e garbata come richiede il
racconto. Il guardaroba cucito per Audrey Hepburn è un immediato successo, tanto che la stilista
proporrà una collezione ispirata alla protagonista, dai tratti classicheggianti con echi alla Roma
imperiale (uso di tessuti leggeri drappeggiati e peplo). Quell'eleganza discreta cercata per dare
forma al personaggio di Natascia caratterizzerà da li in avanti tutta la produzione di Gattinoni.
Ancora assieme allo scenografo Mario Chiari, De'Matteis, protagonista dei kolossal italo-
americani realizzati nella Hollywood sul Tevere, è responsabile dei costumi di Barabba (1961) e de
La Bibbia (1966).
I lm di ambientazione storica sono il suo territorio d'elezione anche nelle produzioni nazionali. La
commedia di Antonio Pietrangeli Fantasmi a Roma (1961) è il più suggestivo testamento della De
Matteis sul costume e sul suo ruolo. Questa commedia, dove i protagonisti sono un gruppo di
fantasmi scoloriti, appartenenti a diverse epoche e che abitano un palazzo storico di Roma, può
essere letta come un saggio metalinguistico del costume nel lm.

CAPITOLO 6
La buccia del personaggio: il Signor Max in tre epoche del cinema italiano. Il cinema americano,
durante gli anni 30, a prodotto la più ampia serie di eroi maschili a uso delle masse. Tutti i divi
americani si vestivano a Londra; di conseguenza nacque il mito della sartoria inglese, che divenne
la fonte di ispirazione per l’idea popolare di eleganza a livello internazionale. Ma in Italia, e solo a
partire dal dopoguerra che la sartoria della moda maschile comincia giocare un ruolo importante.
L’interpretazione di Vittorio De Sica nel lm di Mario camerini “il signor Marx nel 1937”, fa
dell’attore il modello di riferimento per gestualità e abbigliamento per moltissimi giovani italiani
che durante il regime formano il proprio gusto attraverso riviste.
È attraverso i capi di abbigliamento, come a erma Umberto Eco, “che l’individuo comunica se
stesso, il suo stato d’animo, i suoi desideri e il suo modo di essere: gli abiti sono macchine per
comunicare”.
Mario camerini e Mario soldati scrivono una commedia che racconta la storia di Gianni, un
giovane onesto giornalaio, che, grazie una buona rendita della sua attività, si concede di tanto in
tanto una vacanza senza badare a spese. Quando Gianni viene scambiato per errore per un
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nobile, il signor Max Varaldo, non esita a calarsi nella parte e da quel momento in poi ha inizio la
sua doppia vita sentimentale - con una cameriera e con una nobildonna- e sociale tra una cosa a
cavallo e il lavoro al chiosco.
Gli abiti sono inoltre funzionali al raggiungimento del climax della storia d’amore tra Lauretta e
Gianni: alla stazione di Termini il protagonista deve rivestire contemporaneamente il ruolo del
giornalaio Gianni e del nobile Max per non svelare l’inganno alla ragazza che l’ha quasi
smascherato. Un lussuoso cappotto di cashmere, un cappello e un amico complice sono
su cienti a far cadere la giovane donna fra le sue braccia.
La scenogra a del lm “il signor Max” è fra le più impegnative del periodo e deve essere preso in
considerazione in armonia con il costume. È caratterizzato da una serie di elementi iconici: le
porte a vetro e i motivi a grata; le pareti, i rilievi e le decorazioni rigorosamente bianchi;
l’illuminazione di usa che evita il chiaroscuro; oggetti di design per l’arredamento, che richiamano
in maniera anche molto generica, lo stile della scuola tedesca della Bauhaus.

Il lm non porta nei credits la gura del costumista ma è con tutta probabilità lo scenografo e
costumista Flavio Mogherini ad essersi occupato di entrambi i reparti.
Christian De Sica coinvolge nella realizzazione del lm parte della sua famiglia: Maria Mercader
che interpreta la madre dell’uomo che vorrebbe sposare Alfredo (il protagonista), Manuel De Sica
è autore delle musiche. Il padre Vittorio è all’origine del progetto del momento che è stato
interprete di entrambi i personaggi principali nei lm precedenti. In questa commedia il gusto e
l’abbigliamento maschile di alta sartoria non simboleggiano uno stile di vita a cui ambire o una
bandiera dell’eleganza italiana da innalzare con erezza, ma un mezzo per entrare a far parte di
una società che potrà essere girata al ne di estorcere denaro e di rendere ricchi.
Isabella, la donna di cui protagonista si innamora, è una modella (il suo lavoro è quello di
indossare abiti), ma è alla ricerca di una vita agiata attraverso il matrimonio di convenienza. Non si
intravede più l’ambizione di una scalata sociale attraverso il veicolo dell’abito come macchina per
comunicare. Il protagonista non acquisisce più un sapere attraverso i mezzi della cultura popolare
o attraverso un mentitore più esperto e anziano.

CAPITOLO 7
Il costumista e il sarto. Ordito perfetto nel Casanova di Federico Fellini. Danilo Donati e fra i più
grandi costumisti del cinema e del teatro italiano. Ha iniziato la sua carriera come scenografo e
costumista nel 1959 per la Grande Guerra di Mario Monicelli, e poi diventato scenografo
costumista, fra i tanti altri, di Federico Fellini e di Pier Paolo Pasolini. Quella di Donati è “una
concezione totalizzante del lavoro creativo sull’immagine: scenogra a, costume, arredamento,
presentazione del trucco e delle pettinature sono tasselli di un unico mosaico”.
È cosa nota che Federico Fellini ha sempre preferito mantenere un grande controllo su tutte le fasi
della lavorazione dei suoi lm, disegnando personalmente anche i bozzetti dei costumi, di trucchi
e delle acconciature dei suoi personaggi, ma quei disegni sono suggestioni da raccogliere ed
elaborare, spesso sono poco più che scarabocchi regista nota magari dopo un sogno o
un’intuizione. È al costumista che spetta la progettazione di un oggetto tridimensionale che devi
dialogare e armonizzare con lo spazio della scena. Nell’ambito delle ricostruzioni storiche, il
costume può essere realizzato schematicamente attraverso due modi di lavoro molto diversi che
indicano la personalità del costumista: la prima è la costruzione di tipo lologico del costume; la
seconda è l’aspirazione a costruire un racconto verosimile di un’atmosfera, di un personaggio, di
una situazione, attraverso una serie di riferimenti e suggestioni eterogenee. Danilo Donati e la
piena espressione di questa seconda personalità. “ il verosimile si sa è ingannatore, usa anche i
piccoli imbrogli a scapito del vero ma è così piacevoli lasciarsi sedurre dalle sue fantasie che ti
farà sempre accettare con piacere tutte le sue proposte” dice Donati. E aggiunge: il verosimile è
sempre accattivante, può essere composto a tuo piacimento mentre il vero lo devi solo subire, e
l’occhio però va bene istruito a preferire solo quello che gli dà gioia e appagamento.
Fellini vuole una copia quasi perfetta dell’originale, in contrasto Nietzsche costumi, cui
volutamente sono a dati riferimenti eterogenei, audaci. Sarto e costumista si documenta
attraverso una ricerca sulla storia degli abiti inglesi, francesi, tedeschi italiani di epoca tardo
settecentesca, dato che il racconto si sviluppa attraversando molte delle principali terre del
vecchio continente. Il racconto abbraccia lungo periodo del tardo settecento e le trasformazioni
nella moda sono rapide continue: ogni cinque anni circa il look deve cambiare radicalmente. Le
forme e i volumi degli abiti seguono generalmente lo stile dell’epoca, a di erenza dei colori, delle
sto e e dei decori usati in modo libero.

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“I costumi di Casanova” dice Farani, per quanto concerne la moda attorno al 1770, sono una
reinterpretazione della linea di quel periodo, una linea che viene quindi portava come al limite,
all’esasperazione. Possiamo so ermarci su alcuni costumi di casa nuova:
- Abito avorio e celeste: un capo fondamentale nell’economia della narrazione perché genera uno
shock romantico all’interno della scena del Castello di Dux dove tutti i personaggi sono vestiti
scuri in modo anonimo. I 19 bottoni di metallo e strass del gilè brillano ogni movimento del
corpo.
- Abito bianco: lo osserviamo nella sequenza in cui protagonista incontra Enrichetta a Parma in
una situazione che vede predominare dei colori molto chiari e luminosi. Il costume è composto
da tre pezzi in lino bianco: è inquartata con collo, gilet e pantaloni abbottonati al centro e sulla
patta, jabot di pizzo e polsi in seta bianca.
- Abito verde: viene indossato nell’episodio in cui protagonista si commuove ascoltando la
violoncellista e scappa dalla sala per nascondersi tra le siepi del giardino provando vergogna
per le sue lacrime; è composto da tre pezzi raso verde scuro. Complessivamente sono più di
100 i vestiti cuciti per il Casanova, ciascuno con una particolarità cromatica in accordo con la
scena del lm.

CAPITOLO 8
La luccicanza dei corpi vestiti da Luca Sabatelli. Nel 1981, durante la sigla di coda della
trasmissione “Millemilioni”, Ra aella Carrà canta la canzone “io non vivo senza te” indossando un
abito interamente ricoperto di cristalli Swarovski applicate a caldo su tessuto prezioso. Quando si
accendono i ri ettori su Ra aella, lo spettatore è catturato dal fascio di luce ma è una donna
impercettibile movimento del corpo del volto. Lo scintillio dei cristalli di riso lo sguardo
sull’elemento più importante: il volto incorniciato da lì con i maschi tutorato della vedette italiana
più famosi tutti i tempi. Responsabile di questa creazione è il costumista Luca Sabatelli. Tutto
intorno a Ra aele nera a nché chi guarda posso immergersi completamente lei, nella luce il suo
corpo di onde.
Anche il colore oro del caschetto di Ra aele ma la luce impone allo spettatore la sua presenza,
quella di un’icona pop consacrata a durare in eterno. Il ruolo del costumista televisivo,
responsabile degli abiti di scena, non di erisce in maniera sostanziale le forme di spettacolo quali
il cinema, il teatro e la televisione, anche se instaura una relazione uno spazio statico, a di erenza
della scenogra a cinematogra ca che è plastica per natura. Il costumista veste lo spettacolo e
con i costumi si propone di interpretare le caratteristiche dei personaggi tratteggiate dallo
sceneggiatore e regista, ma - contemporaneamente e di erentemente dal cinema e dal teatro -
deve soddisfare le esigenze dell’attore o del conduttore. Se nel cinema e nel teatro l’attore
interpreta un personaggio diverso a seconda della storia che racconta, il protagonista di uno
show televisivo vuole far conoscere se stesso. Il costume, sul piccolo schermo, de brillare, deve
mostrare il rendere inequivocabilmente riconoscibile la persona.
Grazie alla libertà accordatagli in “Ma che sera”, Sabatelli inizia a sovvertire le regole del costume
televisivo: toglie alle ballerine le calze contenitive, così da valorizzare i corpi scolpiti dalla fatica e
dall’allenamento, con le più leggere calze a rete color carne; si serve di un materiale in bra
sintetica di poliuretano che oggi chiamiamo spandex, versatile e adatto alle performance
acrobatiche delle ballerine, usa dettagli luminescenti, colori acidi sgargianti sia per gli uomini che
per le donne; studia nuove proporzioni dei costumi dei ballerini per dare maggior movimento e
dinamicità.

La Carrà indossa costumi ricchi, sfarzosi. Mai una spettatrice sognerebbe di vestire come lei.
Ra aella è consapevole che, per farsi conoscere, per alimentare la sua immagine iconica, è
necessario ricorrere alle armi più a late della sartoria.
Sabatelli osa, sperimenta forme, impreziosisce con dettagli-gioielli ogni sottrazione e valorizza i
tratti caratteristici delle show girls con l’obiettivo di rendere indimenticabile gli occhi dei
telespettatori. L’abito più irriverente e volutamente sfacciato è senza dubbio quello di Loredana
Bertè in occasione del festival di Sanremo nel 1986. Loredana Bertè è vestita con una tutina
aderente di pelle nera impreziosita di vistose borchie sulle spalle e con una palla da rugby in
grembo a simulare una gravidanza.

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PARTE 3 - FILI NASCOSTI
- Edith-Edina: uno dei personaggi più riusciti degli incredibili Edna Mode. Lei è un mentore per la
famiglia e i costumi che confeziona sono essenziali per i protagonisti perché permettono loro di
avere prestazioni incredibili. Questo personaggio è un omaggio alla più famosa costume
designer di tutti i tempi: Edith Head.
- Jonah Hill: Il giovane attore californiano, dal sico non propriamente omologato, diventa un
elemento imprescindibile della “Apatow Crew”. La sua sicità è il suo punto di forza ma lo
stesso tempo lo ingabbia e lo costringe all’interno di un cliché che chiede vendetta. É un attore
che ha la dote rara di esprimere la sua personalità o quella del personaggio che interpreta
attraverso gli abiti che indossa. Un esempio è la serie maniaca in cui il costume di scena
asseconda la schizofrenia del personaggio.
- L’Interdit: Oltre all’abbigliamento, il trucco, l’acconciatura, alla maniera in cui ci si presenta agli
altri, il profumo aggiunge la sua nota sottile a una buona messa in scena di se= è una sorta di
rma olfattiva di sé. I grandi marchi costruiscono l’immaginario attorno ai profumi che vendono:
quando senti quel profumo ti immergi in quell’immaginario. L’Interdit è il profumo inteso come
rivestimento di un corpo che cerca e ottiene a ermazione di sé. Il profumo è allora un analogo
sostituto dell’abito.
- Diana Vreeland: Diana disse “i blue-jeans sono la cosa migliore dopo la scoperta della
gondola”. Lei è una pioniera del moderno concetto di scrittura della moda e lo vediamo nel suo
documentario. Nella sua a ermazione intende trasmettere l’entusiasmo per un tessuto che ha
segnato per sempre la storia dell’abito: il Denim. Questa sto a esisteva già nel 500 ma per
osservarne un uso massiccio bisognerà aspettare la grande intuizione di Levi Strauss a metà
dell’ottocento.
- Rust Cohle: Tra le ceneri di questo pianeta è un libro di Eugene Thacker che é ormai un
bestseller, la cosa straordinaria è che è diventato addirittura una moda, un trend di
abbigliamento. J-Z nel video run assieme a Beyoncé indossa una giacca decorata con il titolo
del libro; star di Instagram, modelli, in uencer di varia natura portano T-shirt e gadget che
propongono il titolo dell’opera. Il libro è diventato così famoso perché il protagonista di Rust
indossa una giacca con il titolo scritto a caratteri cubitali sul retro.
- Russian Doll: É una serie di Net ix, tutta al femminile con protagonista Nadia, una giovane
newyorkese che muore in continuazione il giorno del suo 36o compleanno. Nadia indossa per
tutta la serie lo stesso blazer doppiopetto nero (di H&M). Il personaggio sceglie di non
scegliere: uniformi che la protegge. solo i dettagli, cioè una collana che tiene stretta al collo e i
capelli rossi ricci, la raccontano. La funzione dell’abito va cercata nell’universo del quartiere
della Lower East side.
- Fleabag: Gli show “with strong female characters” sono diventati ormai un genere a tutti gli
e etti: si pensi a The Handmaid’s Tale o The Marvelous Mrs. Maisel dove le protagoniste sono
donne sicure. Midge (mrs maisel) fa del suo look uno scudo di protezione nei confronti
dell’ambiente ultramaschilista in cui si immerge. June grazie all’uniforme che è stata costretta
ad indossare è diventata condottiera di un esercito. E poi c’è il Fleabag che scardina ogni
regola e la sua protagonista ci fa perdere letteralmente la testa, si racconta nelle sue debolezze,
perversioni e insicurezze. Il suo non essere questo forte personaggio femminile è quello che la
rende irresistibile.
- Spider Man: Spider-Man è prima di tutto un lm sui costumi del protagonista.il modello
narrativo del viaggio dell’eroe è scandito nelle sue tappe principali dai cambi d’abito di Spider-
Man.
- Storia di un matrimonio: In questo lm c’è una scena sorprendente, una scena che racconta i
due personaggi, si tratta del momento in cui Nicole vedendo Charlie giocare con il glio in
giardino nota che lui ha i capelli troppo lunghi e in disordine. In questa scena lui è seduto col
capo chino e lei rimette in ordine la sua chioma. I capelli sono da sempre circondati di un misto
tra timore e rispetto, i capelli sono una componente vitale del nostro organismo e una loro
alterazione può provocare una trasformazione dello stato psico sico energetico interiore. Agire
sull’aspetto dei capelli signi ca provocare un cambiamento della personalità di un individuo.
- Il rosso: Il rosso è il colore del Natale è un colore che esprime ricchezza passioni ma anche
sangue e potere. È il colore dominante degli abiti dei personaggi nel lm i due papi e
del’ “l’u ciale e la spia”. Non c’è il colore più forte del rosso.
- Mrs Maisel: La protagonista è la donna con il guardaroba più invidiato della televisione d’oggi.
Soprattutto la terza stagione è un tripudio di cambi d’abito. Midge ama i colori vivaci e i tagli
impeccabili e coordinati come vuole la moda a cavallo tra i Cinquanta e i Sessanta. Colore
rosa= lei ha un’ossessione per questo colore e attraverso le tonalità apprendiamo le fasi di
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emancipazione della protagonista. Esiste un rosa a prendere un rosa post. Fin quando Midge
era una donna sposata dell’alta società newyorkese amava indossare il rosa pastello. Oggi è
una donna divorziata e il rosa diventa acceso, irriverente e spregiudicato.
- Euphoria: L’elemento più importante di questa serie è che l’abito cioè l’involucro è quasi
sempre l’elemento decisivo del racconto. A un abito corrisponde un comportamento. Kat=
svolta bondage quando decide di non nascondere più il suo corpo e nisce per farne un uso
strumentale e potenzialmente deleterio, Maddy= A causa di una tutina in latex troppo audace
subisce un’aggressione dal suo danzato, questo porta il racconto verso svolti thriller. Rue= È
la protagonista e nel settimo episodio indossa i panni di un detective ispirandosi a Morgan
Freeman. Oltre all’abbigliamento bisogna so ermarsi sul make-up, i volti delle ragazze sono un
quadro su cui scatenarsi complete con glitter e colori uoro, rendendo questa serie quasi un
unicum dal punto di vista del rapporto tra moda e audiovisivo.
- Mina: Con la sua aurea di mistero e bellezza, il suo timbro di voce unico e variabile, il suo
sguardo intenso Mina si è imposta come icona di moda e di stile nella TV italiana degli anni 60.
alla creazione del mito di Mina hanno contribuito molto i suoi abiti di scena che avevano il
compito di rappresentare il personaggio nelle sue peculiarità vere e reali. Gli abiti che indossa
sono didascalici e narrativi, sono costumi che vanno oltre al personaggio per interpretare una
vera storia, un immaginario. Es. In Se telefonando è avvolta in un costume fatto di cavi
telefonici.
- Crudella: Crudelia è un lm sulla moda. La protagonista incarna il punk degli anni 70, la
creatività lanciata la Vivienne WestWood, la rivoluzione dell’abbigliamento. Le due donne
intraprendere una guerra spietata e si combatte in passerella. La creazione di punta della
stagione primaverile della Baronessa è ideato e realizzato da Estelle. Intenzionalmente decorato
da bozze di turati, momenti in cui dovrebbe fare il suo ingresso in passerella si risolve nel nulla,
svanisce rilasciando nell’aria migliaia di falene che volano via.
- Apple: Gli apparecchi tecnologici sono dovuti diventare più in fretta di quanto pensavamo una
parte integrante di noi. È necessario che si faccia una ri essione sul valore estetico ed
emozionale di questi oggetti. Non si può negare la sensualità di questi oggetti pensati da Steve
Jobs. I Mac sono lisci e quasi privi di angoli, inoltre non c’è il caso di conoscere il loro
meccanismo interno.
- SpaceX: La crew di Elon Musk è nalmente volata in cielo ed ha raggiunto la stazione spaziale
internazionale. Si sono fatti grandi passi in avanti dal punto di vista tecnologico e anche di
equipaggio, di piloti e assistenti alla missione. Ma a sedurre è il look della Crew:
nell’immaginario collettivo i piloti aerospaziali sono chiusi dentro i caschi sono go è di cile
percepire le forme dei loro corpi reali. Oggi la coppia in viaggio indossa divise leggere con un
taglio quasi sartoriale in assoluta armonia con gli spazi della navicella che abitano:
aerodinamici, privati di tutti i bottoni e cavi che conoscevamo sia nella realtà che nella nzione.
- Maradona: La maglia numero 10 di Maradona. quando è morto avevo visto sul web in
televisione ore di momenti dimenticabili. Le maglie dei calciatori sono in valore simbolico, sono
oggetti del desiderio, sono la manifestazione di una fede quella calcistica che non conosce le
battute del resto. Dietro ogni numero c’è una storia è un signi cato personale o ironico
scaramantico o religioso. Essi sono quasi oggetto di adorazione e culto.
- Puppen: Il direttore artistico di Moschino ha presentato la collezione primavera estate 2021
attraverso un fashion lm. A s lare erano delle marionette. Lo spettatore ha possibilità di
concentrarsi sui dettagli: una cucitura, una chiusura lampo, la glia di una cintura. La scelta
della maison ci porta a ri ettere sulle nuove forme di comunicazione dell’industria della moda.
Le bambole hanno ruolo speciale: sono portatrici, sono già di desiderio e contemporaneamente
oggetti su cui riversare odio.
- Cappotto: I cappotti di Grace Fraser, la protagonista di The Undoing. L’outwear dell’attrice è già
leggenda fra gli appassionati di moda. Tra i vari abiti ricordiamo un cappotto verde lungo con
cappuccio in tessuto a trama pesante, simile a una pelliccia; mantello decorato con illumina la
protagonista è un cappotto rosso bordeaux stretto da una cintura. La serie è stata criticata per
una sceneggiatura stiracchiata e prevedibile però lago il glio della costumista hanno cucito un
personaggio complesso, lo spettatore perde interesse nella storia e guarda solo Grac.

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