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ISBN 978-884675846-0
Networked brand narratives
e transmedia storytelling
Giovanni Boccia Artieri, Elisabetta Zurovac
1 In questo contesto risultano emblematici i titoli dei volumi di alcuni guru del
marketing come Ries Al, Trout Jack: Positioning: The battle of your mind, New York,
McGraw Hill (1981) e Marketing: è guerra. L’applicazione delle strategie militari per la
conquista dei mercati, Milano, McGraw Hill (1986).
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relativa autonomia di ogni narrazione, per cui non occorre aver visto
necessariamente il film per approcciare il fumetto o giocare al vide-
ogame, rendendo così dal punto di vista del consumo ogni franchise
autosufficiente. Si tratta però di un’autonomia teorica perché, nella
prassi, molte delle forme transmediali sono efficaci e hanno senso
solo se vengono collocate lungo una catena cronologica sia interna
al prodotto stesso, rispettando ad esempio una coerenza narrativa,
che esterna.
Ma se seguiamo una logica di interpretazione della transmedia-
lità orientata alla sola produzione rischiamo di restare ancorati a
modalità di lettura in cui il pubblico/fruitore si muove al massimo
attraverso testi diversi, al limite godendo dell’approfondimento che
comporta passare da un prodotto mediale all’altro, dal cogliere ci-
tazioni che solo chi segue il racconto su più media può cogliere, e
così via. Se portiamo, invece, alle estreme conseguenze il senso della
transmedialità allora dobbiamo cogliere anche l’altro lato, quello
in cui il pubblico si appropria dei contenuti delle narrazioni e le
trasforma producendo, nei casi delle più forti forme partecipative
che la letteratura mediale ci ha raccontato, fan fiction, fan fiction trai-
ler, fan art, parodie, remixando contenuti o realizzando produzioni
proprie a basso costo e impegnandosi in progetti più complessi. In
questo senso, parlare di transmedia brand significa quindi riferirsi
a un processo comunicativo in cui l’informazione del marchio viene
dispersa attraverso piattaforme multiple, diversi canali, media, con
lo scopo di creare un engagement nei propri utenti che andranno a
raccogliere questi frammenti per ricostruirli (Tenderich, 2014).
I marchi transmediali usano la narrazione per collaborare con
i nuovi utenti della rete, non solo al fine di produrre contenuti ma
anche per incentivare la percezione positiva del brand. Il prosumer,
un consumatore sempre più produttivo, reinventa e interpreta quel-
lo che il marchio dissemina per lui e riesce ad accedere a queste
disseminazioni da diverse porte di accesso (Scolari, 2009; Carmody,
2016). Validando il ruolo del prosumer il brand facilita la narrazio-
ne piuttosto che raccontarla, perché non la conclude. Facilita così
il germogliare di altre storie attraverso la partecipazione e la con-
nessione di utenti aggregati attorno alla narrazione della marca. Si
crea quindi un messaggio diffondibile non solo per le facilitazioni
di condivisione che si trovano sui media (retweet, reblog, eccetera),
ma anche perché tali informazioni vengono diffuse con una precisa
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spostare gli utenti per la rete se non tessi la trama narrativa in sintonia
con loro.
significative tanto per gli utenti quanto per il brand. Lasciare spa-
zio e libertà non basta: bisogna creare una connessione che generi
valore e che possa quindi moltiplicare questo valore tramite attività
performative all’interno di un percorso suggerito che deve essere
chiaro a sufficienza per guidare verso la direzione narrativa auspica-
bile ma allo stesso tempo essere flessibile per accogliere l’imprevi-
sto e rispondergli. Lasciare per esempio che i pubblici utilizzino gli
hashtag della marca o del prodotto per scambiare racconti legati al
brand può da un lato produrre storie intime e di grande valore emo-
tivo per il consolidamento del network, oppure può generare anche
storie ironiche di hijacking (Pegoraro et al., 2014) alle quali bisogna
saper fare fronte con il giusto tono seguendo – nei casi peggiori –
un piano ben strutturato di crisis management: dai alla tua storia la
possibilità di viaggiare di nodo in nodo e dai al tuo brand strumenti
per controllare la rotta.
discorsi e linguaggi utilizzati dagli utenti che fanno parte delle co-
munità valoriali rintracciate online, altrimenti il rischio del rigetto
per via della percepita inautenticità sarebbe molto alto. Da qui la ne-
cessità di adottare un approccio basato sull’osservazione, la ricerca
e la raccolta di quelle che Cova (2003) chiama tracce, ovvero indizi
lasciati dai raggruppamenti di utenti in diversi luoghi e in diverse
forme. Tali tracce andranno ad indicare alcuni elementi che devono
venir utilizzati nella costruzione della narrazione, che riguardano:
– linguaggio specifico: esiste uno slang? vengono utilizzati dei termini
peculiari?
– pratiche di consumo: che tipo di pratiche vengono messe in atto e in che
modo? esistono degli oggetti di culto?
– immaginario fondante: quali valori e immaginari vengono espressi? chi
sono gli influencer o micro-influencer di riferimento?
– luoghi di aggregazione (online, offline): dov’è possibile osservare l’esi-
stenza di questi raggruppamenti di utenti?
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Alessandro Innocenti
Presentazione 5
Paolo Bertetti
Transmedia: mondi, narrazioni, brand 13
Giuseppe Segreto
La transmedialità necessaria.
Il branding nell’era della convergenza mediale 33
Carlos Scolari
Il transmedia branding ai tempi della guerra 77
Giulia Ceriani
Transmedia brand fiction: gli snodi figurativi dello storytelling 115
148 Transmedia branding