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Politica economica prof.Vito Moramarco

Politica Economica (Università Cattolica del Sacro Cuore)

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venerdì 13 marzo 2020

Dispensa di politica economica

Prof. Vito Moramarco


A.A 2019/2020

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venerdì 13 marzo 2020

Politica economica lez 1

Lez1 - 1.1 Equilibrio economico generale


Bisogna ripassare alcuni temi di micro e macro.

Per micro si fa riferimento ai temi su bb e si tratta di:

• Equilibrio economico generale in relazione a tempo e incertezza

• Equilibrio ed efficienza economica

• Temi delle esternalità, beni comuni, beni pubblici …

L’equilibrio economico generale

Anche detto equilibrio Walrasiano o equilibrio concorrenziale.

Si intende una situazione nella quale tutti i mercati sono simultaneamente in


equilibrio, hanno raggiunto l’insieme dei prezzi, l’insieme delle quantità domandate ,
l’insieme delle quantità offerte desiderabili da parte di tutti i partecipanti al sistema
economico.
Sistema di quantità domandate (Xi) per ciascuna merce quindi un vettore di quantità
domandate da parte di tutti i singoli individui che ha la caratteristica di massimizzare
l’utilità data la disponibilità di risorse degli individui e dati i prezzi. Nell’equilibrio
economico generale si immagina che ciascun individuo abbia le risorse e un certo
livello di reddito; sulla base della capacità di spesa di ogni individuo si effettuano
scelte (Xi* è il vettore delle n merci che vengono domandate dall’individuo i dati i
prezzi che esistono sul mercato) che massimizzano il benessere;

Equilibrio Walrasiano: abbiamo da un lato gli individui che devono compiere delle
scelte per massimizzare la loro utilità, dall’altro le imprese che effettuano anch’esse
scelte ottimali. E come per gli individui si parla di un piano di consumo Xi*
(domanda di merci ottimale) per le imprese possiamo identificare un piano di
produzione ottimale Y*.

individui: L’ipotesi è che ciascun consumatore effettui scelte ottimali. Sceglie un


punto lungo il vincolo di bilancio in cui il rapporto fra i prezzi ossia la pendenza del
vincolo di bilancio è pari alla pendenza della curva di indifferenza, il saggio
marginale di sostituzione. Quindi il saggio marginale di sostituzione (SMS) è pari al
rapporto fra i prezzi delle merci e caratterizza l’equilibrio del singolo individuo: le
persone acquistano merci quando identificano una soluzione ottimale al proprio
problema di massimizzazione dell’utilità. All’interno del vettore X avremo beni e
fattori produttivi domandati e offerti come il lavoro o il tempo libero

imprese: ciascuna effettua una scelta ottimale utilizzando fattori produttivi, tra i
quali il lavoro, che fanno parte anche della scelta ottimale delle persone. Le persone

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domandano merci e offrono lavoro. Il vettore Y* identifica sia le merci offerte sia i
fattori produttivi domandati.

L’Ipotesi è che le imprese effettuino scelte ottimali ossia scelte di massimo profitto
che richiedono che i costi siano minimizzati. Le scelte ottimali devono quindi
rispettare 3 condizioni:

1. Condizione di minimizzazione dei costi:

I. i costi sono minimi quando le imprese si collocano in un contesto in cui gli


isoquanti (quantità di fattori produttivi) di produzione sono tangenti agli
isocosti (costo dei fattori produttivi), ciò significa che quando si
stabiliscono i volumi di produzione l’impresa deve assicurarsi che tale
volume minimizzi i costi e quindi che l’isoquanto corrispondente a quel
volume sia tangente all’isocosto;

II. altra condizione di minimo costo è che il rapporto fra i prezzi dei fattori
produttivi lavoro e capitale sia pari al saggio marginale di sostituzione
tecnica, in questa condizione i costi sono minimizzati

2. Condizione di massimizzazione dei profitti:

I. Prezzo = costo marginale è condizione di massimo profitto in concorrenza


perfetta

II. Guardando la funzione di produzione in cui sull’asse orizzontale ho il lavoro


e sull’asse verticale ho la produzione, ho il massimo profitto quando quella
funzione di produzione è tangente alla retta di isoprofitto. Quindi
condizione di massimo profitto può essere anche tangenza fra funzione di
produzione e retta di isoprofitto ovvero pendenza della funzione di
produzione (prodotto marginale del lavoro, quanto varia la produzione a
variare della quantità di lavoro) = alla pendenza della retta di isoprofitto (
rapporto fra prezzo del fattore produttivo e prezzo del prodotto)

Le imprese massimizzano i profitti e quindi rispettano la condizione di minimo


costo e massimo profitto, l’esito è che questo comportamento sortisce un
equilibrio in cui le scelte degli individui e le scelte delle imprese sono tutti quanti
fra loro compatibili. Succede che esiste un insieme dei prezzi, e lo si può
provare andando a ripercorrere le caratteristiche dell’equilibrio in presenza di
preferenze che sono regolari ossia razionali, convesse e continue; quando le
funzioni di produzione delle imprese sono rendimenti decrescenti o al più
costanti un equilibrio economico generale o concorrenziale esiste sempre. Il
modello dell’equilibrio economico generale ha anche una caratteristica
particolarmente interessante: facendo un passo indietro (pag.1 basi di micro su
bb) l’ultima condizione per le caratteristiche dell’equilibrio/funzionamento del
sistema economico

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3.

Questa condizione è nota come legge di Walras: è una legge imposta


all’interno del modello di equilibrio economico generale è proprio la terza
condizione dell’equilibrio e rappresenta il fatto che il valore della domanda
aggregata è uguale al valore complessivo dell’offerta. A sinistra ho la domanda
complessiva delle singole merci fatta da tutti gli individui, a destra ho il valore
dell’offerta delle merci per quel che riguarda tutte le imprese e il fattore sulla
destra rappresenta le dotazioni a disposizione degli individui che lo offrono alle
imprese; D’altra parte gli individui potrebbero decidere di vendere sul mercato
delle dotazioni di merci/servizi che hanno a disposizione (es. se io vendo la mia
macchina fotografica aumento l’offerta di macchine fotografiche sul mercato).
Quindi a sinistra ho il valore della domanda aggregata (di tutte le merci) del
sistema economico, a destra il valore dell’offerta di tutte le merci da parte delle
imprese e degli individui. La legge di Walras richiede che il valore complessivo
della domanda sia sempre pari al valore complessivo dell’offerta; si può provare
in modo semplice che ogni volta che le famiglie massimizzano l’utilità si trovano
lungo il vincolo di bilancio e ogni volta che le imprese massimizzano i profitti si
collocano anch’esse lungo il vincolo di bilancio. Quindi in un contesto in cui le
imprese massimizzano i profitti e quindi stanno lungo la funzione di produzione
e massimizzano l’utilità e quindi stanno lungo la frontiera del vincolo di bilancio,
se tutti effettuano scelte ottimali allora il valore complessivo della domanda e il
valore complessivo dell’offerta sono sempre identici tra di loro.
L’implicazione della legge di Walras è molto importante: se n-1 mercati sono in
equilibrio è necessariamente in equilibrio anche l’ultimo, perché la somma del
valore dell’offerta deve essere uguale alla somma del valore della domanda
aggregata. Ipotizzando invece di avere un mercato in disequilibrio ad esempio
un mercato in regime di eccesso di domanda (la domanda supera il valore
dell’offerta) e deve valere la legge di Walras, l’unica possibilità è che se c’è
eccesso di domanda da una parte in un altro mercato dovrà esserci eccesso di
offerta, quindi il valore della domanda aggregata è uguale al valore dell’offerta
aggregata e se c’è domanda in eccesso da una parte dovrà esserci eccesso di
offerta da un’altra parte in modo tale che la somma dei valori dell’eccesso di
domanda e degli eccessi di offerta sia sempre uguale a 0.
C’è un caso particolare: supponiamo che ci siano n-1 mercati in equilibrio, noi
possiamo avere la possibilità che l’ultimo mercato possa essere in eccesso di
offerta NON di eccesso di domanda perché in un equilibrio economico generale
la domanda è sempre soddisfatta. Quindi c’è la possibilità all’interno di un

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equilibrio economico generale che esista un mercato in regime di eccesso di
offerta, questo è possibile a condizione che il prezzo di quella merce sia zero e
quindi il valore dell’eccesso di offerta di quella merce è nullo. Com’è possibile
che il prezzo di una merce sia zero? Pensiamo all’aria che ha un valore per
ciascuno di noi ma non si paga per l’aria, l’aria è un bene in regime di eccesso
di offerta e come tutti i beni in regime di eccesso di offerta il suo prezzo è zero.

La legge di Walras is può verificare anche attraverso le formule, ipotizziamo un


mercato con le seguenti caratteristiche

• Mercato di puro scambio all’interno del quale non c’è produzione

• All’interno del mercato ci sono solo due individui che si scambiano due sole merci,
ognuno può decidere di domandare o di offrire le due merci e ciascuno dei due
soggetti, immaginando che sia il meccanismo dei prezzi a permetterne lo scambio.

Quindi se io ho una dotazione iniziale dei due beni e voglio modificarle, non posso
consumare di più rispetto a quello che ho se non vendo qualcos’altro: se voglio
domandare una certa quantità aggiuntiva del bene X dovrò offrire una certa quantità
del bene Y. Scriviamo quindi il vincolo di bilancio del signor A che ha una certa
dotazione del bene X e una certa dotazione del bene Y.
La dotazione sarà quindi :

w= PxX + PyY (prezzo di x per la dotazione di x + prezzo di y per la dotazione di y)

Il valore della domanda complessiva ossia quello che il soggetto vuole consumare
sarà dato da:

Z= PxX + PyY (prezzo del bene x per domanda di x + prezzo di y per domanda di y)

Il vincolo di bilancio è dato da valore della dotazione = valore della spesa w=Z

La domanda del bene x sarà data:

X = xA + xB (domanda di x del soggetto A + domanda di x del soggetto B)

La domanda del bene y sarà dara:

Y = yA + yB (domanda di y del soggetto A + domanda di y del soggetto B)

Sommando il valore della domanda delle due merci otterremo il valore dell’offerta +
il valore delle dotazioni ossia la legge di Walras.

Concludendo La legge di Walras è importante perché un equilibrio economico


generale fra domanda e offerta di tanti individui e tante imprese vale solo se è
soddisfatta la legge di Walras la quale è soddisfatta ogni volta in cui gli individui si
collocano lungo il vincolo di bilancio e le imprese si collocano lungo la funzione di
produzione.

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Politica economica

Lez 1.2 - Equilibrio, tempo e incertezza


Abbiamo visto cosa si intende per equilibrio economico generale e per legge di
Walras, ora ci concentriamo su un altro argomento connesso all’equilibrio
economico generale ossia che quello che abbiamo visto fino ad ora è relativo ad
una fotografia della realtà, un istante di tempo senza riferirci al tempo. Invece le
economie reali sono caratterizzate dal tempo. Gli studi dei fenomeni economici
incastrati nella dinamica del tempo richiedono strumenti matematici complessi,
l’analisi non è più statica ma è dinamica. In realtà il modello di equilibrio economico
generale fa fatica a passare da un’analisi statica ad un analisi dinamica, il massimo
che riesce a fare l’analisi Walrasiana è quello di fare in modo di incorporare il tempo
facendo riferimento al fatto che le scelte per quello che riguarda il futuro sono
pianificabili partendo dal presente e quindi se torniamo alle nostre slides, si riparte
da pag.40-41 del “basi di micro” di bb.

Si diceva che l’unico modo di incorporare il tempo nel modello di equilibrio


economico generale è fare in modo che tutte le scelte riguardanti il futuro siano
rappresentabili nel presente, siano istantanee, ma come è possibile? Si può fare -
anche se la risposta non è del tutto soddisfacente- ci si mette al tempo 0 e si
considerano i periodi di tempo durante i quali verranno scambiate le merci e i
servizi, non si hanno solo L mercati se L sono i tipi di b/s presenti ma ne abbiamo
LxT dove L=numero merci e T=periodi di tempo, in questo modo al tempo zero
esistono tanti mercati e vanno visti come mercati spot e in parte come mercati a
termine. Se ci pensiamo, all’interno dei sistemi economici reali esistono mercati
dove si comprano merci a pronti (pago e ricevo la merce) e mercati in cui si
acquista e si vende a termine (oggi stabiliamo quantità e prezzi di una merce che
verrà consegnata in una data futura concordata). Non è ne ovvio ne scontato che
queste tipologie di mercato esistano per ogni merce e questo è un limite per quanto
riguarda la possibilità di estendere il modello dell’equilibrio economico generale in
senso intertemporale. Dall’altra parte possiamo prendere in considerazione l’altro
aspetto, quindi il tempo è un elemento importante all’interno dei sistemi economici
mentre accanto al fattore produttivo “tempo” la nostra vita è condizionata da altri
elementi come l’incertezza, infatti noi possiamo immaginare cosa possa accadere
nel futuro ma non ne abbiamo la certezza.

Se l’equilibrio economico generale non è in grado di incorporare il fattore


incertezza vuole dire che non è un buon interprete della realtà, si possono
incorporare da un lato i mercati a termine e dall’altro (per confrontarci con
l’incertezza) i mercati assicurativi, mi assicuro contro ciò che è incerto nel futuro.

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Il modello dell’equilibrio economico generale può essere esteso al tempo
introducendo i mercati a termine e può essere esteso all’incertezza introducendo i
mercati assicurativi , quindi è come se il piano di consumo, per una persona o il
piano di produzione per un’impresa, non fossero relativi ad un particolare istante di
tempo ma fossero relativi al consumo di una merce al tempo 0,1,2,3,4…. Nel caso
in cui si verifichino i diversi possibili stati della natura il soggetto deve potersi
assicurare per i diversi possibili periodi e contro i possibili stati della natura. È
evidente che nel mondo reale ci si può assicurare su moltissimi mercati a termine e
contro quasi tutti.

Politica economica lez-3

1.3 - efficienza e diagramma di Edgeworth


Equilibrio ed efficienza:

Abbiamo parlato di equilibrio ma perché mai concentrarsi su qualcosa che è difficile


osservare nel mondo reale? È perché se l’economia funzionasse come avviene nei
mercati perfettamente concorrenziali noi avremmo un risultato particolarmente
importante cioè: se tutto funzionasse come nei mercati concorrenziali l’equilibrio
che si va ad instaurare è un equilibrio efficiente in senso economico. Sappiamo che
l’equilibrio è un contesto in cui tutti effettuano scelte ottimali e le scelte ottimali
sono compatibili fra di loro e vengono mediate dal meccanismo dei prezzi, quindi
domanda e offerta sulla base dei prezzi sono compatibili fra di loro e rispondono al
meglio a quelle che sono le preferenze dei consumatori e l’obiettivo di massimo
profitto delle imprese.
Ma perché una situazione di questo tipo è efficiente nel senso di Pareto?
L’idea di efficienza paretiana è dovuta ad un economista italiano particolarmente
importante, diciamo che i 3 nomi attorno ai quali si costruisce la moderna economia
sono i nomi di Walras (che concepì il concetto di equilibrio economico generale), di
Pareto (che concepì il concetto di efficienza economica) e di Edgeworth (che
rappresentò l’equilibrio e l’efficienza in modo simultaneo, si può verificare che un
equilibrio concorrenziale è efficiente in senso di Pareto)

Ma cosa si intende per allocazione efficiente in senso di Pareto?


la parola allocazione significa un insieme di piani di consumo degli individui e un
insieme di piani di produzione da parte delle imprese che ha una ben precisa
caratteristica, la caratteristica dell’efficienza di Pareto è che data quell’allocazione,
quell’insieme di piani di consumo e di piani di produzione, non è più possibile
migliorare il benessere di un individuo senza che questo porti con sé il

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peggioramento del benessere di qualcun altro. Un allocazione efficiente in senso di
Pareto assomiglia all’esempio della coperta corta sul letto: se ho un coperta corta e
mi copro i piedi non posso coprire anche la testa, non è possibile migliorare la
situazione dei piedi senza peggiorare la situazione della testa e viceversa, quindi il
concetto di efficienza Paretiana non parte dalle imprese, implica un buon utilizzo
delle risorse da parte delle imprese ma la definizione di efficienza Paretiana di
concentra sugli individui: non è possibile migliorare il benessere di tizio senza
peggiorare il benessere di caio.

Equilibrio ed efficienza possono essere rappresentati in modo simultaneo, l’idea di


efficienza è dovuta a Pareto e un’allocazione efficiente è un’allocazione che ha una
serie di caratteristiche. Le caratteristiche di un’allocazione efficiente sono:

1. Fattibilità: per ciascun individuo e per ciascun impresa prendo i loro piani di
consumo (per gli individui X e per le imprese Y). Se l’allocazione è fattibile deve
avvenire che quello che viene domandato per ciascuna merce H non può
superare ciò che è complessivamente
disponibile.

Per ogni merce H la sommatoria di ciò


che viene domandato dall’insieme degli individui dovrà essere minore o uguale a
quello che viene offerto da parte delle imprese e se c’è una dotazione iniziale
delle merci sarà in capo ai singoli individui che potranno offrirla sul mercato.
Quindi la domanda delle merci da parte degli individui dovrà essere minore
uguale a quello che viene prodotto complessivamente, alla nuova produzione, e
alla disponibilità complessiva delle merci in questione.

2. Per ogni allocazione fattibile l’aumento del benessere di un soggetto comporta


una perdita di benessere di un’altro.

Prima di proseguire ci soffermiamo sul concetto di efficienza. L’efficienza è un


concetto molto neutro che non implica la giustizia distributiva, un allocazione può
essere efficiente e rispettare i concetti di Pareto ma garantire una distribuzione del
benessere degli individui molto sperequata, quindi paradossalmente un’allocazione
in cui tutto è in mano ad un solo individuo può essere vista come un’allocazione
efficiente perché se devo aumentare il benessere di qualcun altro il benessere di
colui che lo aveva tutto si riduce. Vedremo che esistono infinite allocazioni
efficienti.. In poche parole l’efficiente efficienza non implica equità e giustizia nella
distribuzione del reddito.

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Come è possibile caratterizzare l’efficienza economica?
Un’allocazione efficiente può essere trovata in modo semplice, ipotizziamo di avere
due individui A e B, ipotizziamo che B abbia un certo livello di soddisfazione e
benessere e lo posizioniamo lungo una curva di indifferenza; dati i due beni ossia
pane e formaggio che sono disponibili in natura in modo limitato e fissato il
benessere del Sig.B un’allocazione efficiente sarà quella che massimizza il
benessere del Sig.A.
In un’economia più complicata di produzione e scambio: se ho tanti individui devo
fissare il benessere di tutti gli individui e massimizzare il benessere di uno, nel caso
di due individui massimizzo il benessere di A che dipende dal suo consumo di X e Y
dato che il benessere di B è mantenuto ad un valore predeterminato e quello è un
primo vincolo: l’utilità di B deve essere almeno pari ad un valore predeterminato
Secondo vincolo: di bene x ne ho una quantità limitata che posso assegnare ad A e
B
Terzo vincolo: di bene y ne ho una quantità limitata che posso assegnare ad A e B

Concludendo:
Pareto Efficienza : non posso migliorare il benessere di A senza peggiorare quello di B

Walras Equilibrio : la domanda di merci è uguale all’offerta di merci (+ la dotazione


iniziale)

Edgeworth Equilibrio ed efficienza

Il diagramma di Edgeworth

Permette di verificare che l’equilibrio economico generale sia efficiente in senso di


Pareto. Per spiegarlo ipotizziamo un’economia semplice in cui vi siano due soli
individui che consumino solo due beni che sono disponibili in natura in misura
limitata e scarsa.

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Pensiamo alle preferenze dell’individuo A: prendendo in considerazione gli assi


orizzontali e verticali del diagramma cartesiano, le curve di indifferenza con la
convessità verso l’alto rappresentano le preferenze dell’individuo A, nella
rappresentazione se ne vedono due ma possono essere infinite; la cosa
interessante del diagramma di Edgeworth è che si possono rappresentare anche le
preferenze dell’individuo B, ma prima di passare alle sue preferenze ci
concentriamo sui beni: abbiamo il bene X sull’asse orizzontale e il bene Y sull’asse
verticale; di bene X ce n’è a disposizione una quantità limitata in corrispondenza del
quale si interrompe la rappresentazione del grafico e lo stesso vale per il bene Y
ponendo un limite verticale al grafico, questi limiti mi permettono di limitare il campo
di esistenza delle scelte e delle preferenze del primo individuo che dovranno restare
all’interno del rettangolo dove troviamo anche le preferenze dell’individuo B. Infatti
se entriamo nell’ottica di B vediamo che anch’esso non può consumare X e Y più di
quello che il rettangolo permette; le curve di indifferenza che rappresentano le
preferenze del Sig.B sono le convesse rivolte verso il basso.
Quindi il diagramma di Edgeworth può rappresentare le preferenze sia di A che di B,
infatti prendendo un punto qualsiasi all’interno della scatola quel punto indica una
ben precisa allocazione delle risorse fra i due individui: quanto viene assegnato al
Sig.A e quanto al Sig.B : Ad A viene assegnata Xa, a B il residuo per arrivare alla
larghezza del rettangolo ossia Xb, lo stesso ragionamento si applica per individuare
le quantità di Y, la somma di Xa e Xb rappresenta il totale di X presente in natura e
lo stesso vale per Y. Quindi un punto all’interno della scatola di Edgeworth descrive
completamente un’allocazione fattibile, una distribuzione delle risorse tra il Sig.A e il
Sig.B, che non è efficiente perché io posso migliorare il benessere di A senza
peggiorare il benessere di B o addirittura posso migliorare il benessere di entrambi,
questo è possibile se io mi muovo nell’area fra le due curve di indifferenza (dove ci
sono i puntini), quindi l’allocazione di partenza non è efficiente nel senso di Pareto.
Prendiamo ora in considerazione la curva dei contratti (CC) che è l’insieme delle
allocazioni efficienti (che sono infinite), dove non è più possibile aumentare il
benessere di tizio senza peggiorare quello di Caio, queste allocazioni hanno la
caratteristica secondo la quale le curve di indifferenza dei due individui sono fra di
loro tangenti come nel punto del grafico in basso a sinistra dove ci sono due rette
tangenti lungo la curva dei contratti.
Se io parto da un’allocazione iniziale posizionata all’interno dell’area dei puntini del
grafico precedente che non è efficiente perché le curve di indifferenza si
intersecano posso immaginare di riallocare la risorse fra i due individui fino a
quando non è più possibile aumentare il benessere di A senza peggiorare il
benessere di B. Posso riallocare risorse partendo dal punto di partenza solo fino a

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quando raggiungo un punto in cui le curve di indifferenza sono tangenti fra di loro
ovvero un punto in cui i saggi marginali di sostituzione fra le due merci x e y sono
uguali, allora nel punto di partenza le curve di indifferenza si intersecano che vuol
dire che i saggi marginali di sostituzione sono diversi ( le pendenze sono diverse),
non è un’allocazione efficiente. concludendo: un’allocazione efficiente è
un’allocazione fattibile in cui i saggi marginali di sostituzione sono uguali e le curve
di indifferenza sono tangenti fra di
loro.

Politica economica lez 4

Lez 1.4 1° teorema dell’economia del benessere


Vediamo il concetto di efficienza
paretiana da un altro punto di vista,
ripartiamo dal grafico

Partendo da una situazione iniziale abbiamo detto, che è possibile fare meglio e
quindi arrivare ad un allocazione efficiente come quella indicata nel diagramma, e
partendo da un’allocazione inefficiente come la dotazione di partenza (alfa) è quindi

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possibile giungere ad un’allocazione efficiente come beta.
Ci si può arrivare in diversi modi, per spiegarli dobbiamo definire gli strumenti per
l’allocazione delle risorse, il mercato è uno strumento per l’allocazione delle
risorse ma arriviamo all’equilibrio di mercato per gradi; il modo più semplice è quello
di un sistema di mercato un pò primitivo ossia il baratto che significa che gli
individui scambiano a due a due o a gruppi le merci che hanno a disposizione, è
facile individuarlo nel nostro diagramma dove abbiamo solo 2 prodotti e 2 soggetti,
è comunque facile immaginarlo anche considerando scambi multilaterali e cioè che
gruppi di individui possano concordare fra di loro la riallocazione, ciascun individuo
ha di fronte una proposta di allocazione e potrà accettarla o rifiutarla, potrà capire
se migliora la sua posizione di partenza, rimane indifferente o peggiora la propria
situazione. Quindi partendo dalla situazione iniziale del grafico noi sappiamo che i
nostri 2 individui potranno scambiarsi merci, ma in quale direzione? Partiamo dal
definire in quali direzioni NON andranno:
è chiaro che nessuno dei due accetterà un
peggioramento del proprio benessere quindi
una proposta da parte di A a B che vada dalla
situazione iniziale D a Z è molto conveniente
per A perché lo porterebbe su una curva di
indifferenza più lontana dall’origine degli assi
ma peggiora il benessere di B il quale non
accetterà questo passaggio. Allo stesso modo

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A non accetterà uno spostamento da D a Z’


Questo perché A nel punto Z’ che sta sotto la curva di
indifferenza. Il punto Z’ verrà rifiutato da A esattamente come il La curva dei contratti è l’insieme
dei punti in cui le allocazioni sono
punto Z viene rifiutato da B. Pareto-efficienti ossia che non si
può migliorare il benessere di A
Quali saranno quindi le allocazioni o le proposte di scambio senza peggiorare quello di B.
accettabili? graficamente è data dall’insieme
dei punti in cui le curve di
quelle che vanno nell’area a forma di lente, è quindi chiaro che i indifferenze sono tangenti.
due soggetti continueranno a farsi proposte fino a quando ne Algebricamente è data da tutti i
accetteranno una. L’esito delle possibili contrattazioni è un punti in cui SMSa=SMSb (SMST
è il saggio marginale di
punto in cui i saggi marginali di sostituzione sono uguali, come sostituzione che rappresenta la
ad esempio nel punto beta che appartiene alla curva dei pendenza degli isoquanti)

contratti dello scambio. I possibili esiti del baratto o insieme di


allocazioni di edgeworth sono quei punti che stanno nell’area a
forma di lente lungo la curva del contratti (tra le due E): lungo la curva dei contratti
perché li i saggi marginali si sostituzione sono uguali e nessun soggetto ha ulteriori
incentivi ad effettuare degli scambi, all’interno dell’area a forma di lente perché al di
fuori di essa uno dei due ci perde.

Sintesi:

- Allocazioni efficienti in senso di Pareto —> lungo la curva dei contratti dove
SMSa=SMSb

- Allocazioni di Edgeworth —> nella lente


È interessante vedere come si restringe il campo delle possibili allocazioni nel
momento in cui gli individui mettono in campo le contrattazioni, l’esito dei baratti è
più piccolo rispetto all’insieme delle allocazioni efficienti.

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Rappresentare l’equilibrio economico generale:

Lo si può fare introducendo il meccanismo dei prezzi. In un contesto di questo tipo


si può rappresentare il tradizionale vincolo di bilancio dato da una retta con
pendenza negativa pari al rapporto fra i prezzi.

Per ciascuno dei due individui rappresentati nel diagramma si parte dalle merci che
nel grafico sono rappresentate da X1 e X2, così come nel diagramma ha una certa
dotazione del primo bene W1 e una dotazione del secondo bene W2, la dotazione
iniziale del nostro soggetto è esattamente il punto di intersezione dei due vincoli di
bilancio. Ricordiamo che si tratta di un’economia di puro scambio dove non viene
considerato il lavoro che fornisce il capitale, quindi le dotazioni sono tutto ciò che il
consumatore ha a disposizione e indipendentemente dai prezzi si può consumare;
nel momento in cui introduciamo i prezzi (ipotizziamo che siano quelli indicati dal
vincolo di bilancio) il consumatore si muoverà lungo il vincolo e quindi la scelta
ottima del nostro soggetto cambierà se cambiano i prezzi, quindi per ciascun valore

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dei prezzi si può indicare la scelta ottima del consumatore. Esistono infiniti punti
che rappresentano la scelta ottimale
dell’individuo per ogni valore dei
prezzi.

Le scelte ottimali sono


rappresentate graficamente lungo la
curva “prezzo-consumo” (quella
sottolineata con evidenziatore)

La curva prezzi-consumo ci aiuta a


rappresentare l’equilibrio nel diagramma di Edgeworth;( le curve prezzo consumo
sono quelle tratteggiate con un tratto grosso che si intersecano in prossimità di
beta)

In presenza di preferenze regolari (rivedi definizione da lezioni precedenti) è


possibile dimostrare che le curve prezzo consumo si intersecano, ciò significa che il
punto di intersezione indicato da beta indica che ogni individuo effettua scelte
ottimali partendo dalle dotazioni iniziali alfa. Dal punto di vista della
rappresentazione grafica il vincolo di bilancio dei due soggetti è speculare per i due
indipendentemente dalla prospettiva dal quale lo si guarda, la pendenza dei prezzi è
identica per i due individui. Quindi ognuno dei due soggetti effettua scelte ottimali,
eguaglia il proprio saggio marginali di sostituzione al rapporto fra i prezzi (attenzione
a nono confondere le curve prezzo consumo con le curve di indifferenza). Il punto

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beta, che rappresenta l’equilibrio di mercato, ha la caratteristica di rendere la
domanda e l’offerta uguali tra loro: ciò che viene domandato dai due individui è pari
a quello che è complessivamente offerto, è pari al valore complessivo delle
dotazioni.

Concludendo:

partendo da alfa il mercato continuerà a modificare i prezzi sulla base delle legge
della domanda e dell’offerta:

• se un bene è in eccesso di domanda il suo prezzo sale, se un bene è in eccesso


di offerta il suo prezzo scende;

• i prezzi continueranno a variare facendo continuare a variare la pendenza del


vincolo di bilancio finché non si raggiunge l’equilibrio ossia il punto in cui:

- Le curve prezzo-consumo si intersecano

- Le curve di indifferenza sono tangenti tra di loro

- I saggi marginali di sostituzione sono tra di loro uguali


Abbiamo quindi scoperto che l’equilibrio è efficiente, l’equilibrio di mercato altro non
è se non un punto lungo la curva dei contratti. Gli individui continueranno a
scambiare secondo il meccanismo finché non si troverà un vettore dei prezzi e un

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vincolo di bilancio per ciascun soggetto tale per cui ciascuno effettua scelte ottimali

dato il proprio vincolo.

Un’implicazione importante di questo grafico è chiamata : 1° TEOREMA


DELL’ECONOMIA DEL BENESSERE: L’equilibrio di mercato è efficiente in senso
di Pareto perché, come si vede graficamente, l’equilibrio di mercato è un punto che
sta nelle allocazioni di Edgeworth nei punti compresi fra le due E ed è un punto
appartenente alla curva dei contratti. In sintesi: il primo teorema dell’economia del
benessere sancisce che l’equilibrio concorrenziale è efficiente in senso di Pareto,
questo è un risultato fortissimo, è la mano di Smith: se lasci fare al mercato
concorrenziale quello ti porterà ad un uso efficiente delle risorse. L’equilibro
economico generale è efficiente in senso di Pareto.

Politica economica - lez 5

Lez 5 - 2° teorema dell’economia del benessere


Abbiamo visto il 1° teorema dell’economia del benessere che ci dice che ogni
allocazione di equilibrio economico generale è efficiente in senso Paretiano

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I due teoremi dell’economia del benessere sono la base dell’intervento pubblico in
economia per ragioni collegate all’efficienza economica. Il secondo teorema
dell’economia del benessere dice che

qualunque allocazione efficiente in senso Paretiano può essere raggiunta come


stato di equilibrio economico generale a patto che venga posta in essere
un’appropriata redistribuzione delle risorse iniziali

Questo teorema condiziona il pensiero politico di molti, ci insegna come


comportarci in sede di elezione; ma cosa vuol dire il secondo teorema? Vuol dire
socialismo autopistico vuol dire che teoricamente qualunque allocazione efficiente e
giusta può essere raggiunta attraverso il mercato senza perdere in termini di
efficienza economica. Praticamente dice che si può raggiungere la giustizia
attraverso il mercato senza perdere efficienza.

1° teorema: ho una certa allocazione iniziale, lascio fare al mercato e così si


raggiunge l’efficienza che si colloca sulla curva dei contratti. Quando si intersecano
le curve prezzo consumo si eguagliano i saggi marginali di sostituzione.

Quest’allocazione efficiente può essere diversa rispetto a quello che è l’ideali di


giustizia e quindi subentra il secondo teorema dell’economia del benessere.
Ipotizziamo che l’allocazione finale da ritenersi desiderabile sia quella che nel
grafico è indicata da x*, essa non è un
equidistribuzione ma ipotizziamo che per il
governo l’obiettivo di equità distributiva sia
proprio x*. Il secondo teorema
dell’economia del benessere dice che se al
posto che partire da W si partisse da W’
poi si arriverebbe ad X*, ossia, il punto X*
che è quello desiderabile dal governo può
essere raggiunto come equilibrio
economico generale: se parto da W e
lascio fare al mercato poi l’equilibrio non
sarà X* ma sarà X con l’acc. Circonflesso.
Ma come faccio invece ad arrivare in X*? Quello che osservo è che X* è
un’allocazione efficiente e quindi di li passano curve di indifferenza tangenti tra loro
che determinano un ben preciso SMS e un ben preciso vincolo di bilancio. Per
raggiungere X* basterebbe spostarsi su un punto qualunque del vincolo di bilancio
come ad esempio W’, QUINDI se riesco a spostare l’economia da W a W’ e lascio
fare al mercato allora il mercato raggiungerà l’equità. Il socialismo autopistico
consiste nel fatto che lo stato può raggiungere la giustizia distributiva attraverso il

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mercato; non butto via il sistema di mercato ma posso perseguire gli obiettivi di
giustizia.

È evidente che il secondo teorema dell’economia del benessere non funziona in


un’economia di liberismo, per due motivi:

1. Il secondo teorema dell’economia del benessere ovvero l’ideale del socialismo


autopistico non funziona, affinché tutto quello xche il teorema descriva possa
succedere realmente bisognerebbe poter spostare risorse tra una persona e
l’altra, tra una famiglia e l’altra, infatti realmente non puoi prendere la proprietà
di una persona e darla ad un’altra!!!
La redistribuzione della ricchezza tra un individuo e l’altro attraverso la
tassazione più produrre effetti disincentivanti sulla produzione e nefasti sul PIL.

2. Il secondo motivo per via del quale il secondo teorema dell’economia del
benessere è una scatola vuota è abbastanza semplice: lo stato dovrebbe
conoscere le preferenze degli individui e poi se ampliassimo la questione
incorporando la produzione e quindi spostandoci verso un mondo reale, lo stato
dovrebbe conoscere anche tutta la tecnologia di produzione, dovrebbe essere
onnisciente e questo è veramente difficile. Questo è stato peraltro il limite del
comunismo

Politica economica lez 6

2.1 - esternalità definizione


Questa lezione:

• Cosa si intende per esternalità

• Perché è un tema importante dal quale partire nel momento in cui si discute di
intervento pubblico all’interno del sistema economico

definizione:

Per esternalità si intende l’effetto che le azioni di un agente economico


provocano sul benessere o sulla capacità produttiva di altri soggetti senza la
mediazione del meccanismo dei prezzi.

Quindi esternalità significa che io individuo/impresa pongo in essere le mie scelte, le


mie decisioni e questo può impattare sul benessere o sulla capacità produttiva di
altri senza la mediazione del meccanismo dei prezzi. L’effetto delle mie azioni
potrebbe essere negativo/positivo sugli altri, in tutti i casi parliamo di esternalità

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tutte le volte che questo impatto non è mediato dal meccanismo dei prezzi e come
vedremo il mercato Walrasiano/concorrenziale non riesce a raggiungere l’efficienza
in senso paretiano.

Seconda definizione:

Qualora l’azione di un agente imponga alla società un costo sociale diverso dal
costo privato che l’agente sostiene per la messa in pratica dell’azione stessa, la
differenza fra costo sociale e costo privato è detta esternalità.

La

rappresentazione di questa definizione si vede dal grafico:

Qui sono rappresentati i costi di produzione ossia i costi marginali di un’impresa


che produce un effetto esterno, immaginiamo un’azienda che produca prodotti
collegati al mondo della concia (pelli) e per conciare le pelli ha degli effetti
collaterali, inquina i fiumi che generano così una perdita di benessere per gli
individui o una perdita di capacità produttiva delle imprese basti pensare ad un

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pescatore che lavori in un lago inquinato dalla conceria.
Accanto ai costi marginali privati abbiamo quindi dei costi marginali sociali e la
differenza fra i due è l’esternalità marginale. L’impresa non è costretta a tener conto
del danno che provoca quindi di norma eguaglia il proprio costo marginale privato al
prezzo.
Il problema è che l’impresa genera un effetto esterno e quindi, secondo Pigou
bisogna incorporare il costo sociale all’interno del costo privato.
Marshall invece concepì l’esternalità in modo diverso, fu il primo a concepire i
cosiddetti distretti industriali: se tu sei un’impresa collocata in un distretto si
condividono economie, se in tanti producono una determinata merce e ci sono degli
Spill over (esternalità) ciascuna impresa può fruire dei benefici/effetti collaterali che
ne derivano, stare tutti insieme in un contesto territoriale può generare benefici per
le esternalità positive. Si pensi ad esempio alla Silicon Valley si ha un esempio di
macro distretto perché se tu produci informatica, software, hardware è un pò
diverso rispetto a produrli in un deserto lontano dove non si ha tutto ciò che può
servire per diffondere il sapere e la conoscenza. Quindi il concetto di esternalità
nasce da Marshall che aveva un’idea di esternalità positive e da Pigou che si è
concentrato anche sulle esternalità negative.
In tutti i casi c’è inefficienza quando i costi marginali privati divergono da quelli
sociali, come si fa a correggere l’effetto esterno? È l’unico esempio in cui la
tassazione può sortire effetti correttivi invece che effetti negativi.

La tassa di Pigou è il primo strumento correttivo delle esternalità e riguarda il fatto


che: dato che le imprese guardano unicamente i loro costi privati, bisogna spingerle
a produrre ad un livello efficiente: se un’impresa non guarda ai costi sociali che
provoca eguaglia prezzo a costo marginale e dunque genera un determinato livello
di produzione, dall’altra parte se la nostra impresa tenesse conto dei costi marginali
sociali, e quindi se li incorporasse, se "internalizzasse le esternalità” cioè guardasse
ai costi che genera sulla collettività come ad un proprio costo, se tenesse conto del
costo marginale sociale in aggiunta al costo marginale privato, allora eguagliando il
prezzo al costo marginale, il volume della produzione sarebbe quello ottimale e da
essere Ŷ passerebbe a Y*. Quindi la tassa di pigou è un concetto molto semplice:
Chi provoca un effetto negativo sulla collettività ne paga il costo, ed è quindi uno
strumento al margine (visto che l’efficienza è determinata da costi marginali sociali e
costi marginali privati), perciò per correggere l’inefficienza collegata all’esternalità si
introduce un’imposta pari al valore dell’esternalità, la quale verrebbe internalizzata
rendendo il costo marginale sociale uguale al costo marginale privato e così
l’impresa produrrà meno di quello che avrebbe fatto senza l’intervento correttivo,
senza tassazione.

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Politica economica lez 7

Lez 7 - 2.2 esternalità, classificazioni e tassa di Pigou


Abbiamo parlato di esternalità, abbiamo capito cos’è la tassa di pigou rivolta alla
correzione degli effetti esterni. In questa lezione esaminiamo i limiti della tassa di
Pigou e ora proseguiamo con gli altri temi relativi all’esternalità.

I limiti della tassa di PIgou

Calcolare la tassa di PIgou non è facile, per farlo bisognerebbe riuscire a calcolare il
valore marginale del danno/beneficio e conseguentemente introdurre
un’imposta/sussidio in funzione di quel valore marginale.
Calcolare il valore marginale di un danno/beneficio non è affatto ovvio, pensiamo
alle esternalità ambientali come l’inquinamento del motorino che genera un danno,
secondo la tassa di pigou bisognerebbe pagare esattamente per il danno che si
provoca. il problema è la misurazione, quale dovrebbe essere il valore del danno
derivante dall’inquinamento? La tassa di PIgou quindi è una bellissima idea ma è
molto difficile poter misurare un beneficio/danno in modo preciso.

Classificazione delle esternalità

Tornando alle esternalità queste possono essere classificare in base a diversi


elementi:

• Possono essere prodotte sia da famiglie che da imprese, allo stesso modo i
soggetti che subiscono le esternalità possono essere sia famiglie che
consumatori.

• Le esternalità possono essere positive (foto


1) o negative (foto 2)

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• Si possono classificare le esternalità sulla base della numerosità dei soggetti


interessati infatti ci sono anche esternalità multilaterali prodotto da più soggetti e
subite da più soggetti

Come si possono correggere le esternalità? Il contributo più importante è quello


dovuto a Ronald Coase che fu un giurista americano che in tema di esternalità fece
la più grande difesa del meccanismo di mercato e del liberismo.

Politica economica lez 8

Lez 8 - 2.3 esternalità, il contributo di Ronald Coase


Ronald Coase era convinto, come si vede dal suo grande contributo degli anni 70
(vedi nel Campiglio), che l’applicazione della tassa di Pigou come strumento volto
alla correzione delle esternalità rappresentasse un eccesso di intervento pubblico
all’interno del sistema economico. Secondo Coase i sistemi economici di tipo
capitalistico si autoregolano, l’importante è metterli nella condizione di potersi
autoregolare, a questo proposito Coase fece un esempio volto a far capire come la
tassa di Pigou rappresenti un eccesso di intervento pubblico all’interno del sistema
economico, quindi un intervento indebito, ingiustificato, per l’ennesima volta invoca
i principi del liberismo classico ossia del laissez-faire.

Vediamo l’esempio:
Immaginiamo che all’interno di un certo territorio esistano due tipi di soggetti divisi
tra di loro, quindi il territorio è diviso in due campi differenti, il campo a sinistra è
coltivato da anni e anni a e al suo interno opera un agricoltore mentre il campo a
destra è completamente incolto e non lo usa nessuno. Il soggetto del campo a
sinistra ogni anno riceve un beneficio dal suo lavoro pari a 100.000 dollari. In un
secondo tempo che chiameremo T1 (il precedente era T0) nel campo limitrofo arriva
un allevatore che ha ereditato la terra e si è trasferito li per utilizzare il suo campo e
per farlo ci mette delle mucche. Il problema è che le mucche rompono i confini e
vanno nel campo dell’agricoltore rovinandogli una parte del raccolto. l’agricoltore, in
questo nuovo contesto non è più in grado di ottenere un profitto pari a 100.000
dollari.
T0 profitto 100.000
T1 profitto 60.000
Il profitto si è ridotto perché le mandrie del vicino fanno disastri. È facile immaginare
che l’agricoltore si sia rivolto alle autorità lamentando il danno che gli è stato

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generato pari a 40.000 in termini di fatturato che diventa immediatamente perdita di
profitto. Immaginiamo quindi che il sindaco imponga una tassa di Pigou pari a
40.000. in un contesto simile potremmo dire che alla fine l’efficienza viene
ripristinata nel senso che l’agricoltore ottenendo una compensazione pari a 40.000
sommandola ai 60.000 torna al punto di partenza e quindi ottiene un beneficio della
sua attività pari a 100.000, l’allevatore ha pagato senza problemi i 40.000 di tassa e
quindi la tassa di Pigou è per il momento efficace.
Supponiamo ora che al tempo T2 i danni si raddoppino e quindi il profitto
dell’agricoltore scenda a 20.000, vengono fatti danni pari a 80.000 dollari e
ipotizziamo che a questo punto lo sceriffo ponga una tassa pari a 80.000,
ipotizziamo che per l’allevatore pagare questa somma non sia un problema e quindi
nuovamente non c’è problema perché vengono ripristinati i profitti complessivi di
100.000 di cui 20.000 effettivi e 80.000 di compensazione.
Supponiamo ora che al tempo T3 il danno sia fortissimo e sia superiore quindi ai
100.000 generando un profitto pari a -20.000 e quindi il danno in questo caso è pari
a 120.000, ora si potrebbe dire che se l’allevatore è disposto a pagare una tassa
pari a 120.000 tutto torna in equilibrio.
Questo è quello che direbbe la tassa di Pigou, ma secondo Coase perché questa
non può essere una soluzione sensata? Non può esserlo per una ragione banale e
semplice. Mettiamoci nei panni dell’agricoltore che si vede prospettare dal sindaco
una compensazione di 120.000 che lo riporterebbe ad un utile di 100.000, non ci
andrebbe bene perché quel contadino potrebbe proporre al sindaco e all’allevatore
una soluzione diversa ossia affittarli il campo a 110.000 smettendo di lavorarlo.
Quindi l’agricoltore, in sintesi, potrebbe proporre all’allevatore di affittarli il campo
ad un prezzo inferiore a 120.000 ma cessando la sua attività agricola, smettendo
quindi di lavorare e fare fatica ma portandosi comunque a casa l’utile.

Concludendo secondo Coase la tassa di Pigou genera un eccesso di intervento


dello stato nell’economia, bisogna lasciar fare al mercato che raggiunge
l’efficienza a condizione che i diritti siano ben stabiliti, a condizione che i diritti di
proprietà siano ben stabiliti. Se io ho diritto a non essere danneggiato poi posso
contrattare questo diritto a fronte del pagamento di un prezzo: “mi vuoi
danneggiare? Basta che paghi.”
C’è un limite nell’approccio di Coase; questo esempio va benissimo e funziona
bene, ha ragiona Coase ma può andare bene solo in un mercato in cui si hanno due
soggetti: uno che produce il danno e uno che lo subisce. La realtà è che i mercati
reali hanno numerosi soggetti da entrambi i lati, può essere che il danno fatto da
uno provochi conseguenze a tanti. Quindi la teoria ci Coase va bene per pochissimi
casi.

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Politica economica lez 9

Lez 9 - 2.4 il teorema di Coase


Abbiamo visto nell’ultima lezione il materiale relativo alle esternalità, abbiamo
parlato di effetti esterni e abbiamo preso in considerazione due aspetti principali:

• Da un lato il fatto che le esternalità possano essere corrette dall’imposta


Pigouiana

• Dall’altro l’intervento di Ronald Coase che invece difendeva il ruolo del libero
mercato: l’intervento pubblico può generare delle ingerenze indebite, un eccesso
di intervento e dunque è molto meglio lasciar fare al mercato. Per farlo basta
stabilire prezzi e mercati per le esternalità, stabilire con precisione diritti di
proprietà che siano ben definiti e scambiabili.

Per capire meglio il contributo di coase possiamo fare riferimento ad un risultato


ben noto nella letteratura, noto come teorema di Coase che portò ad un risultato
che ha a che fare con le esternalità ambientali. Per capirlo ci aiuteremo con una
rappresentazione grafica. Pensiamo alle nostre preferenze in materia di ambiente,
potremmo dire innanzitutto qual’è il nostro giudizio di valore sull’aria pulita, le
montagne etc e in linea di principio il valore che gli attribuiamo dovrebbe essere
indipendente rispetto al reddito che abbiamo.

Immaginiamo che X indichi il reddito del nostro individuo e Y la qualità dell’aria


ossia la percentuale di aria pulita; possiamo immaginare che sia X che Y abbiano
entrambi un limite. Reddito e aria pulita possono essere visti entrambi come beni
buoni e vale quindi il principio di non sazietà (se son più ricco e l’aria è più pulita è
meglio). Un individuo che ha un’attitudine nei confronti dell’ambiente indipendente
dal suo reddito, ha una struttura delle preferenze particolare, si tratta di preferenze
quasi lineari, significa che se ci si sposta verso destra, partendo da un certo punto
lungo una curva di indifferenza, succede che la pendenza della curva di indifferenza
non cambia, il SMS non cambia man mano che io mi sposto su una linea
orizzontale, quindi il SMS risulta costante e la pendenza spostandosi a destra non si
modifica. Ciò significa che il reddito che sono disposto a cedere per avere un’unità
in più di aria pulita è sempre lo stesso, il valore che assegno all’aria pulita è
indipendente dal livello del mio reddito e quindi le mie curve di indifferenza sono
traslazioni orizzontali l’una dell’altra.
Prendiamo l’esempio di Coase per illustrare il teorema di Coase, ho due soggetti il
Sig.A e il Sig.B, li voglio rappresentare nella scatola di Edgeworth, il particolare è
che i due individui sono asimmetrici perché nell’asse verticale avevo indicato la
quota di aria pulita, quanto maggiore è l’aria pulita, tanto più aumenta la sua

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soddisfazione. Il sig.a è un non fumatore e beneficia dell’aria pulita mentre il sig.b è
un fumatore incallito e quanto più l’aria è pulita tanto più lui non può fumare. Quindi
la soddisfazione del Sig.A aumenta quanto più l’aria è pulita mentre la soddisfazione
del Sig.B è l’opposto. Anche il sig.B ha preferenze quasi lineari, il valore che
assegna alla sua decima sigaretta non cambia se il giorno seguente esso diventa 10
volte più ricco, il suo vizio non dipende dal suo reddito ma dallo stile di vita che ha.
Quindi anche le preferenze del Sig.B sono traslazioni lineari una dell’altra.
Quali sono le caratteristiche delle allocazioni efficienti in materia di reddito e aria
pulita? Quale dovrebbe essere il livello ottimale di inquinamento?
Il livello di aria pulita ottimale o il suo complemento ossia il livello ottimale di
inquinamento è indipendente da quello che è il reddito degli individui, e quindi il
livello ottimale di inquinamento è del tutto indipendente dalla distribuzione del
reddito.

L’equilibrio di mercato coerente con l’allocazione di partenza (puntino rosso) è dato


dalla linea verde. Quando i diritti sono scambiabili il mercato raggiunge l’efficienza
lungo la curva dei contratti in orizzontale. Se lascio fare al mercato lui raggiunge
l’efficienza sulla curva dei contratti e il livello ottimale di inquinamento che è
indipendente dalla distribuzione del reddito ed è indipendente dalla distribuzione dei
diritti di proprietà.
Questo è il teorema di Coase secondo il quale l’efficienza si può raggiungere solo a
condizione che i diritti di proprietà siano ben sanciti e scambiabili tra di loro, ogni
situazione diversa sarebbe un eccesso di intervento pubblico, vietare
l’inquinamento vorrebbe dire raggiungere un equilibrio inferiore rispetto all’ottimo.

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La riduzione dell’inquinamento sarebbe invece, secondo Coase, possibile ma
prestando attenzione a non sfociare in un eccesso di intervento pubblico
nell’economia che potrebbe generare dei costi alla collettività superiori al valore
dell’inquinamento, se per correggere un fenomeno negativo io introduco dei costi
sulla collettività che hanno un valore superiore rispetto al danno provocato, “il gioco
non vale la candela". Per questo secondo Coase ha senso parlare di un livello
ottimale di inquinamento. Il limite del suo approccio rimane però il medesimo e
cioè che funziona quando si ha un mercato con due soli soggetti in cui il potere di
mercato è egualmente distribuito se sono ben sanciti i diritti di proprietà.
In un mercato con un produttore e molti consumatori l’equilibrio di mercato non
sarà più un equilibrio di perfetta concorrenza, sarà di oligopolio, monopolio o altri
ma sicuramente non sarà un equilibrio efficiente.

Politica economica lez 10

Lez 10 - 2.4 beni comuni


Chiudiamo in questa lezione il tema delle esternalità prima di spostarci ai beni
pubblici.

L’ultimo aspetto da affrontare sono i beni comuni, o beni di proprietà collettiva, che
si trovano al confine tra esternalità e beni pubblici. Spesso nella letteratura si fa
riferimento al cosiddetto dilemma dei commons ossia il dilemma delle risorse di
proprietà comune/collettiva. Che cosa si intende per risorse di proprietà collettiva?
Si intende semplicemente ciò che spesso avviene nel mondo reale ossia che più
soggetti economici possano sfruttare simultaneamente una risorsa per la quale non
sono ben definiti i diritti di proprietà, Coase ci direbbe che c’è un problema cioè che
se i diritti di proprietà non sono ben stabiliti allora si perdono i termini di efficienza
economica.
Vediamo degli esempi di beni di proprietà collettiva:

• lo sfruttamento del mare e delle risorse ittiche

• Un prato pubblico in un terreno non recintato in cui possono pascolare mucche,


pecore o animali senza nessuna limitazione.

Si può allora dimostrare che un eccesso di sfruttamento di una risorsa di proprietà


collettiva ne provoca il depauperamento, provoca un’esternalità da un individuo
all’altro. Tornando agli esempi:

• Se sfrutto troppo il mare succede che di pesci non ce ne sono più e quindi la mia
attività di pescatore provoca degli effetti negativi su altri soggetti

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• Se ci sono troppe mucche su un terreno lo rovinano (e questa è la ragione per la
quale in passato furono recintate le terre).

Limitare lo sfruttamento delle risorse di proprietà collettiva è un modo efficiente per


ridurre l’eccesso di sfruttamento. Quando parliamo di risorse di proprietà
collettiva parliamo esattamente di

Risorse per le quali non sono stabiliti con precisione i diritti di proprietà, risorse
che possono essere sfruttate simultaneamente da più soggetti, risorse che sono
parzialmente rinnovabili ma se soggette ad un eccesso di sfruttamento la loro
disponibilità si riduce a zero.

(vedi descrizione matematica e formule sui documenti)

Per spiegarle, partiamo da un esempio di sfruttamento di una risorsa comune:

Su un pozzo di petrolio in linea di principio possono operare contemporaneamente


più compagnie in concorrenza fra loro e quindi siccome la quantità di petrolio è
limitata all’interno del pozzo, immaginiamo che vi siano solo 2 compagnie che
cercheranno, ognuna, di appropriarsi della massima quantità possibile di petrolio
che c’è nel pozzo, immaginiamo che le due compagnie abbiano la possibilità di
estrarre il petrolio con due tecnologie di estrazione diverse, una veloce e una lenta.
Immaginiamo ora che le due imprese abbiano a disposizione le stesse tecniche di
estrazione e quindi siano “identiche” tra loro. Rendiamo l’esempio più
comprensibile aggiungendo un concetto: il petrolio ha una caratteristica per la quale
se tu lo estrai lentamente se ne riforma una certa dose (una piccola percentuale), e
quindi se si può ottenerne di più estraendolo lentamente questo tipo di estrazione
sarà la più conveniente. Nel mondo, a fronte di ogni barile di petrolio estratto si
paga una royalties e quindi quello che hanno più interesse all’estrazione sono i
paesi produttori.

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Questa tabella riassume le due possibili strategie per le due imprese, i numeri sono
scritti per capire ma non sono paragonabili alla realtà dei pozzi di petrolio.

• Se le due compagnie estraggono velocemente il petrolio atterrano un Pay off


/risultato pari a 90 ciascuno.

• Se ambedue si mettessero d’accorso ed estraessero lentamente si avrebbe la


soluzione migliore (100 e 100)

• Può succedere anche che una estragga velocemente e l’altra lentamente, nel
nostro esempio l’impresa A può estrarre velocemente ottenendo 140 mentre
l’impresa B estrae lentamente e ottiene poco. In questo caso la somma dei 2 non
è 200 ma è 190 che è maggiore di 180 che è quello che si può ottenere nel caso
in cui tutte e due estraggono velocemente la risorsa. Questa soluzione p una sorta
di via di mezzo.

Dicevamo quindi che la soluzione migliore sarebbe quella di estrarre entrambe il


petrolio lentamente ottenendo entrambe 100. Il problema è che non lo faranno.
Quale sarà l’equilibrio che viene alla fine effettivamente identificato? L’equilibrio che
si andrà ad osservare è quello in alto a sinistra, ambedue estraggono velocemente.
perchè? Qualunque cosa faccia la controparte, all’altro partecipante conviene
estrarre petrolio velocemente, mettiamo nei panni dell’impresa B:

• Se A estrae lentamente, B estrae velocemente e ottiene 140

• Se A estrae velocemente, B estrae velocemente ottenendo 100

• Se A estrae velocemente, B deve estrarre velocemente altrimenti ottiene solo 50

Quindi qualunque cosa faccia il competitor a B conviene estrarre il petrolio


velocemente. Non conviene mettere in atto la strategia che sarebbe la migliore se si
potesse cooperare. È un equilibrio con strategie dominanti, una situazione da
“dilemma del prigioniero”. La soluzione però non è efficiente nel senso di Pareto, le
due dovrebbero ragionevolmente cooperare, se lo facessero otterrebbero 100, ma
perché non lo fanno? Perché come due prigionieri non si fidano l’uno dell’altro (vedi
dilemma del prigioniero di micro) Come si fa quindi a raggiungere l’efficienza? Senza
entrare troppo nel dettaglio c’è un soggetto in questo gioco, dell’estrazione del
petrolio, che ha la forza di identificare la soluzione ottimale che è una soluzione
molto diversa rispetto alla soluzione di mercato. Per massimizzare le royalties se
fossimo i paesi che detengono i pozzi, dovremmo far massimizzare la produzione e
raggiungere quindi 200, per raggiungere questa produzione basta avere sul pozzo

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venerdì 13 marzo 2020


un unico soggetto, è il contrario della concorrenza, questo è l’unico esempio in cui
lo sfruttamento monopolistico di una risorsa porta all’esito finale ottimale, è un
paradosso delle esternalità e dei commons e questo è il motivo per cui si recintano
le risorse e le terre. Questo è esattamente ciò che avviene nello sfruttamento del
petrolio, i paesi dell’OPEC assegnano ciascun pozzo ad una sola impresa.

È possibile impostare il problema dello sfruttamento delle risorse di proprietà

collettiva con la seguente funzione di produzione

La produzione di un’impresa, avendo come ipotesi:

• che ci siano tante imprese

• che ciascuna utilizzi una massa di fattori produttivi Xi

la produzione complessiva sulla risorsa di proprietà comune non dipenderà da


quello che fa la singola impresa ma da quello che fa l’insieme delle imprese.
Quindi come indica la formula ciò che conta è la produzione complessiva che
dipende sostanzialmente da:

• l’uso della risorsa comune

• dalla quantità di fattori produttivi complessivamente utilizzati.

Quindi g è la funzione di produzione che dipende dalla sommatoria delle Xi è la


sommatoria dei fattori produttivi utilizzati dalle tante imprese e rappresenta la
produzione totale per quello che riguarda la risorsa di proprietà comune.
L’esempio sul testo è relativo all sfruttamento del mare quindi xi è il numero di
pescherecci utilizzati dall’impresa i e quindi la sommatoria sono i pescherecci che ci
sono sul mare: sul canale di Sicilia o sul mare del nord. La produzione dipende dal
numero di pescherecci presenti ed aumenta all’aumentare dei pescherecci ma è
chiaro che i rendimenti sono decrescenti perché se ci sono troppi pescherecci la
produzione aumenta sempre di meno perché c’è un esternalità incrociata fra i
produttori.
Quanto ottiene ciascun produttore? Qual’è la produzione dell’impresa K?
La produzione dell’impresa K è detta Yk e otterrà una frazione della produzione
totale, quindi se la produzione totale è g per la sommatoria, l’impresa k ne otterrà

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una frazione della produzione totale che è pari alla quota di pescherecci che detiene
sul mare. Se ora guardiamo al numeratore Xk è la quantità di pescherecci, quindi la
produzione totale sarà moltiplicata per la quota di pescherecci che ha l’impresa K,
quindi il primo fattore della moltiplicazione indica la quota di pescherecci che
l’azienda ha sul mare. Perciò la produzione complessiva dell’impresa sarà pari alla
produzione totale per la quota di pescherecci sul mare.
Che cosa succede nel momento in cui ciascuna impresa massimizza i profitti?

quello che si osserva è che l’equilibrio ha una caratteristica molto semplice e cioè
che la condizione di massimo profitto per un imprenditore che deve decidere quanti
pescherecci mettere sul mare dipende dalle aspettative che ha sul comportamento
degli altri partecipanti al gioco; in termini semplici se ci sono tanti pescherecci sul
mare e tante imprese tutte uguali tra di loro, l’unica possibile aspettativa che
ciascuno avrà nei confronti degli altri è che gli altri faranno le stesse cose che farà
lui perché gli altri sono identici all’impresa considerata. Il punto è che se si tiene
conto del fatto che gli altri si comporteranno ugualmente è possibile provare che
l’equilibrio ha queste caratteristiche:

• Ciascuno non eguaglierà il prezzo al costo marginale di produzione ciò significa


che non eguaglierà il rapporto tra prezzo del fattore ( r = prezzo del peschereccio)
e prezzo del bene prodotto (p), cioè non eguaglierà il rapporto fra i prezzi al
prodotto marginale del peschereccio

• ma eguaglierà il rapporto fra i prezzi a qualcosa che dipende dal prodotto

marginale ovvero g’ , ossia dal prodotto marginale e dal prodotto medio.

Quest’equazione è ancora più sintetica: ciascuna impresa eguaglia il rapporto fra il


prezzo del fattore (costo di gestione del peschereccio per una giornata) e il prezzo
che riesce ad ottenere dal pescato (prezzo dei merluzzi che pesco in una giornata) ,
quindi il rapporto fra prezzo del fattore e prezzo del prodotto non eguaglia al
prodotto marginale del fattore ( MP(Nx) ) ma eguaglia ad un n-esimo (dove n è il
numero delle imprese) del prodotto marginale del fattore + un qualcosa che dipende
dal prodotto medio del fattore, (N - 1)/N per il prodotto medio del fattore ( AP(Nx) ),

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ciò significa che non eguaglia solo il prodotto marginale ma anche dal prodotto
medio.
Concentrandoci sulla condizione del prodotto medio, dobbiamo ricordare quanto
detto per il pozzo di petrolio, che cosa succede qualora io dovessi avere una sola
impresa sul mare?
Significherebbe che N=1 e quindi il secondo addendo della formula sparisce, nel
primo addendo 1/N diventa 1 e quindi il rapporto fra i prezzi diventa uguale al
prodotto marginale, quindi se si ha una sola impresa si raggiunge la condizione di
ottimalità che si raggiungerebbe in un contesto in assenza di esternalità, quella che
garantisce l’equilibrio di concorrenza perfetta ma che in questo caso garantirebbe
anche l’efficienza.
Cosa succede se di imprese ce ne sono tante che si fanno concorrenza tra loro?
Cosa succede se N tende all’infinito?
Se N tende all’ ∞ succede che 1/ ∞ diventa zero e quindi il primo addendo va a
svanire e dunque il rapporto fra prezzo del fattore e prezzo del prodotto va ad
eguagliarsi al secondo addendo a destra ma (N-1)/N con N che tende ad ∞ è pari a
1 e quindi il rapporto fra i prezzi tende ad eguagliare il prodotto medio e ci si
allontana massimamente dall’efficienza.

Quindi:

• Si ha efficienza quando una sola impresa eguaglia il prodotto marginale al


rapporto fra i prezzi

• Se invece ci sono tante imprese ci si allontana moltissimo dall’allocazione


efficiente

• Se ce ne sono infinite ci si allontana ancora di più dall’efficienza e si avrebbe un


eccesso di sfruttamento della risorsa.
Quindi qual’è il modo per spingere il sistema economico a raggiungere
l’efficienza?
Ci sono 2 sistemi:

1. La regolamentazione: si impone un numero limitato di pescherecci, o metto


un’unica compagnia che deciderà quanti pescherecci mettere

2. Emetto un numero predeterminato di licenze: lascio che ci siano molte


compagnie ma si predetermina il numero di licenze.

Es. Se si tratta dello sfruttamento di un lago, una nazione/regione può stabilire il


numero di licenze di pesca su quel lago, al contrario questo non può essere fatto su
una risorsa di proprietà comune come il mar mediterraneo perché dovremmo
mettere d’accordo le nazioni.

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Questo è il problema dell’eccesso di sfruttamento delle risorse di proprietà collettiva
come quelle che abbiamo rappresentato.

In ogni caso abbiamo scoperto che:

- Sulle esternalità si può usare la tassa di Pigou dal materiale si vede anche come
calcolare la tassa di pigou: è data dalla differenza fra prodotto medio e prodotto
marginale e dipende anche dal numero di imprese presenti

- Quindi se non la tassa di Pigou posso usare la regolamentazione e le licenze o


utilizzare l’approccio alla Coase (molto difficile nel caso dei beni comuni perché
non si riescono a stabilire con esattezza i diritti di proprietà) per controllare le
esternalità.

Politica economica- lez 11

Lez 11 - Beni pubblici: definizione e classificazione


In questa lezione ci occupiamo di beni pubblici

Cosa si intende per bene pubblico?


Un bene pubblico può essere definito in svariati modi a seconda delle discipline e
delle scienze considerate ma dal punto di vista delle scienze economiche:

Con bene pubblico si intende un bene per il quale non vale il principio di
esclusione.
Un bene pubblico è un bene per il quale non è possibile escludere nessuno dal
consumo perché non è possibile applicare un prezzo nei confronti della persona
che usufruisce del servizio in questione. Questo è l’aspetto principale, la possibilità
o meno di applicare un prezzo e di escludere dal consumo, a fronte del fatto che la
persona interessata non paghi il prezzo.
Accanto al principio di non esclusione dal consumo ne possiamo aggiungere un
secondo:

Si parla di bene pubblico ogni volta che questo ha anche una seconda
caratteristica e cioè: il mio consumo di quel bene non riduce le possibilità di
consumo di altri soggetti. Questa seconda caratteristica ha a che fare con la
possibilità di consumo simultaneo, la non rivalità nel consumo di una merce.
In linea di massima il principio di non esclusione, che caratterizza principalmente i
beni pubblici, unito al principio di non rivalità che è una seconda caratteristica
interessante, ci permette di andare entrare più nel dettaglio nella caratterizzazione
dei beni pubblici:

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• Potremo parlare di beni pubblici puri ogni volta che valgono simultaneamente i
due principi: non esclusione dal consumo e non rivalità nel consumo
• Beni privati puri sono i beni per i quali si ha esclusione, possibilità di applicare un
prezzo e rivalità nel consumo
• Beni solo parzialmente pubblici: beni/servizi per i quali c’è la possibilità tecnica di
escludere dal consumo ma non c’è rivalità nel consumo. Ad esempio le
videolezioni, chi non è iscritto alla cattolica non può utilizzarle ma chi ne ha
accesso non riduce la possibilità che gli altri compagni possano simultaneamente
utilizzare. Si ha quindi principio di esclusività ma non di rivalità
• Beni pubblici soggetti a congestione: L’ultimo caso interessante è quello di beni
per i quali non è possibile escludere dal consumo ma c’è rivalità. Un esempio
clamoroso sono gli ospedali in questo periodo, perché se i pazienti sono troppi
non c’è più posto per nessuno. Ha quindi il principio di rivalità ma non di
esclusività.

NO ESCLUSIONE ESCLUSIONE

NO Beni pubblici puri : Beni solo parzialmente


RIVALITÀ - No rivalità pubblici:
- No esclusione - No rivalità
- Esclusione
Beni di club : palestra, golf, piscina, università privata etc.etc.

RIVALITÀ Beni pubblici soggetti a Beni privati puri :


congestione: - Rivalità
- Rivalità - Esclusione
- No esclusione


Ciò che conta in economia non è il fatto che i beni pubblici sono di proprietà dello
stato, cosa che invece interessa ai giuristi. Quello che conta è il fatto di soddisfare
un bisogno collettivo. Pubblico per l’economista non è solo un bene prodotto/di
proprietà dello stato o che viene consumato da tutti i cittadini. La definizione
economica di bene pubblico parte dal principio di non esclusione e tiene conto del
principio di non rivalità.

Abbiamo visto cosa si intende per beni pubblici e ora possiamo classificarli anche
sulla base di altri elementi:

1. Le dimensioni della popolazione interessata: si parlerà quindi di beni pubblici


a livello nazionale, regionale, provinciale e comunale. I beni pubblici, quindi,
possono essere catalogati in base alle dimensioni della popolazione interessata.

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Quindi l’intervento pubblico può essere graduato su base territoriale in funzione,
appunto, della popolazione interessata.
Es. un lampione illumina le strade di Milano e ad esserne interessati sono i
milanesi o chi si trova a Milano.
2. L’obbligo del consumo: ci sono alcuni beni pubblici per i quali il consumo è
obbligatorio e altri per i quali non lo è.
Es. il potere esecutivo dei carabinieri e il potere giudiziario sono dei beni
pubblici il cui “consumo" è obbligatorio.

Nella prossima lezione:

• Condizioni per l’efficienza in materia di produzione dei beni pubblici


• Perché è impossibile che il mercato raggiunga l’efficienza
• Cosa dovrebbe fare lo stato per perseguire l’obiettivo dell’efficienza Paretiana

Politica economica lez 12

Lez 12 - Beni pubblici - Condizione per l’efficienza


Nella lezione precedente abbiamo definito e classificato cosa sono e cosa si
intende per beni pubblici. Ora dobbiamo indagare sulle caratteristiche per
l’efficienza in materia di produzione dei beni pubblici, ovvero quale dovrebbe essere
il livello di produzione da perseguire all’interno dei sistemi economici concreti.

La caratteristica per l’efficienza in materia di beni privati è l’eguaglianza tra i saggi


marginali di sostituzione. Inoltre se affianco alla produzione aggiungiamo il consumo
quando i saggi marginali di sostituzione sono uguali tra loro e eguaglino il saggio
marginale di trasformazione abbiamo efficienza. Quindi:

• Saggio marginale di sostituzione = valore soggettivo per gli individui; quante unità
di bene x sono disposto a cedere per avere un’unità in più del bene y

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• Saggio marginale di trasformazione = valore oggettivo; a quante unità di bene x
devo rinunciare in termini di produzione se sposto i fattori produttivi e li utilizzo per
produrre un’unità in più di bene y.

La base è l’eguaglianza dei valori soggettivi per i beni privati e in più l’eguaglianza
di tutti questi valori soggettivi con il valore oggettivo ossia il saggio di
trasformazione. Per dirla in un modo ancora più semplice potremmo dire che la
disponibilità a pagare per ciascuna merce da parte di tutti gli individui è uguale al
costo marginale di produzione della merce. Sono tutti modi per dire che l’equilibrio
e l’efficienza sono raggiunti simultaneamente nel caso dell’economia privata e nel
caso dei beni privati.

Per quanto riguarda i beni pubblici le cose sono un pò più complicate, partiamo da
un esempio semplice. La rappresentazione grafica che vedremo è dovuta a
Samuelson che spiega l’efficienza in materia di beni pubblici utilizzando quel
particolare grafico.

Nel grafico di Samuelson sono rappresentate una serie di curve, innanzitutto viene
rappresentata la funzione di trasformazione ossia la curva indicata in blu. Nel nostro
esempio immagineremo che l’economia sia fatta di due soli beni ossia un bene
privato che viene usato per produrre il bene pubblico. Se la produzione di bene
pubblico è zero, non si distruggono beni privati, non si spende reddito e man mano
che aumenta la produzione di bene pubblico, la disponibilità complessiva di bene
privato si riduce e si deve dedicare sempre più reddito, più moneta, più risorse alla
produzione di bene pubblico e siccome le risorse sono limitate ci sarà un livello
massimo di produzione di bene pubblico. Ci sono poi tutte le situazioni intermedie
nella curva blu che ci dicono come trasformare i beni privati in pubblici.
Nel nostro esempio abbiamo solo due individui A e B e vogliamo capire sotto quali
condizioni un’allocazione di beni privati e beni pubblici fra i due è un’allocazione
efficiente: quale assegnazione ai due individui di beni privati e beni pubblici è
efficiente in senso di Pareto. Sappiamo che un’allocazione efficiente è quella in cui
non possiamo aumentare il benessere di un soggetto senza peggiorare quello di un

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altro. Guardando la curva di indifferenza di B (verde) che immaginiamo come
predeterminata e questo ci può aiutare perché possiamo dire che le possibilità di
produzione sono rappresentate dalla funzione di trasformazione dobbiamo tenere B
sulla curva verde e allora cosa posso fare per massimizzare il benessere di A, Dato
che se lo massimizzo quella sarà sicuramente un’allocazione efficiente? Per trovare
un’allocazione efficiente partiamo dalla curva disegnata in rosso che è la curva
residuale che è caratterizzata da due punti notevoli Y1 e Y2 che rappresentano certi
livelli di produzione del bene pubblico, i due punti hanno una caratteristica comune:
Se si produce la quantità Y1, dovremo assegnare all’individuo B una quantità di
bene privato pari al valore del punto di intersezione tra la curva di trasformazione e
la curva di utilità di B nel quale vediamo che tutta la quantità di bene privato è
assegnata a B e il residuo per A è nullo, lo stesso vale per il punto Y2 dove si
produce una quantità maggiore di bene pubblico, si bruciano più risorse di bene
privato, voglio tenere B nella curva di indifferenza verde e quindi quello che rimane
di bene privato che non è stato bruciato nel processo produttivo va tutto assegnato
a B che altrimenti dovrebbe spostare la sua curva, anche in questo caso per A
rimane 0. Si può allora guardare alla curva blu ossia la funzione di trasformazione e
la curva verde ossia la curva di indifferenza di B e calcolare la differenza.

(Prendiamo ora in considerazione la zona dove c’è la linea azzurra verticale)


Se parto da quel livello di produzione di bene pubblico, quale sarà il residuo che
rimane per l’individuo A? All’individuo B devo assegnare quanto mi dice la sua
curva di indifferenza verde, e il residuo rispetto alla disponibilità complessiva si può
assegnare all’altro individuo, il valore del residuo è proprio rappresentato dal
segmento azzurro.

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Di valori residuali se ne possono calcolare tanti, tanti quanti sono i livelli di

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produzione del bene pubblico, quindi se ne produco meno può essere così

Se invece ne produco di più il residuo che si può assegnare ad A è cosi

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Possiamo concludere che se facciamo questo ragionamento per tutti i punti tra Y1 e
Y2, così facendo otteniamo esattamente la curva rossa detta curva residuale che è
la differenza tra la curva di trasformazione e la curva di indifferenza di B. Quindi la
curva residuale rappresenta tutte le possibili combinazioni fra bene pubblico e bene
privato che possono essere conferite e assegnate ad A, la curva residuale è quindi
l’insieme delle possibilità effettive che rimangono ad A e la sua utilità sarà massima
nel punto in cui una delle sue curve di indifferenza (in questo esempio semplificato
ne abbiamo disegnata una ma sappiamo che le curve di indifferenza sono
molteplici) è tangente alla curva residuale e nel punto di tangenza ho l’ottimalità per
A.

Quindi qual’è la condizione per l’efficienza in materia di beni pubblici?


È che la pendenza della curva residuale sia uguale alla pendenza della curva di
indifferenza di B che è il saggio di sostituzione di B. Quindi il saggio di
sostituzione di B deve essere uguale alla pendenza della curva residuale.

Ma quanto è la pendenza della curva residuale?


È la differenza fra la pendenza della funzione di trasformazione e la pendenza della
curva di
indifferenza
di B.

Quindi ho
l’ottimalità
quando il saggio marginale di sostituzione per l’individuo B è uguale alla differenza
fra la pendenza della funzione di trasformazione ossia saggio marginale di
trasformazione e curva di indifferenza di B ossia saggio marginale di sostituzione.
Quando il saggio marginale di trasformazione, quanto bene privato devo rinunciare
per avere unità in più di bene pubblico, è uguale alla somma dei saggio di
sostituzione, ovvero alla somma delle disponibilità.
C’è una differenza profondissima tra beni pubblici e beni privati per i beni privati i
saggi marginali di sostituzione devono essere uguali tra di loro e uguali ai saggi di
trasformazione; se produco beni pubblici è la somma dei saggi marginali di
sostituzione che dev’essere uguale al saggio di trasformazione.

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Politica economica lez 13

Lez 13 - beni pubblici - equilibrio di sottoscrizione spontanea


Abbiamo visto nell’ultima lezione qual’è la condizione per l’efficienza in materia di
produzione dei beni pubblici.

Si può impostare il problema della ricerca delle condizioni per l’efficienza in materia
di beni pubblici, meglio nota come condizione di Bowel-Lindal-Samuelson.
Ricordiamo che attraverso il grafico di Samuelson abbiamo derivato la condizione
per l’efficienza in materia di beni pubblici: la somma dei saggi marginali di
sostituzione deve essere uguale al saggio di trasformazione, è chiaro che nel caso
in cui si guarda al bene privato come numerario, quindi come reddito o capacità di
spesa, quella stessa condizione può essere vista nel seguente modo, la somma
delle disponibilità marginali a pagare deve essere uguale al costo marginale di
produzione. Infatti i saggi marginali di sostituzione vanno intesi come disponibilità
marginale a pagare se il bene privato è numerario.
Dobbiamo ora capire se il mercato concorrenziale può raggiungere l’efficienza in
materia di allocazione delle risorse. Nel caso dei beni privati quando parliamo di
equilibrio ossia di domanda e offerta aggregate, l’equilibrio poteva essere
rappresentato graficamente sommando la domanda aggregata dato il prezzo,
quindi dato un prezzo la domanda aggregata risultava come una somma orizzontale
delle domande dei singoli individui. Se pensiamo ai beni pubblici cambia tutto,
pensiamo al numero di tribunali che esistono in Italia, questi n tribunali garantiscono
l’esercizio del potere giudiziario per tutti i cittadini e non si può sommare la
domanda di tribunale da parte di ogni individuo, si può invece sommare il valore
che gli individui assegnano alla quantità di tribunali. Dunque cosa succede parlando
di beni pubblici? Succede che non vanno sommate le quantità domandate da parte
dei singoli individui dato il prezzo che pagano, bisogna invece cercare la
disponibilità a pagare da parte dei diversi individui per il servizio collettivo che è
unico. Quello che si può fare è osservare il valore che ogni individuo assegna in
termini marginali al bene pubblico e questo valore si riduce all’aumentare della
quantità di bene pubblico. Pensiamo alle trasmissioni televisive, se ce ne fosse una

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sola quella avrebbe un immenso valore, al loro aumentare il valore che ognuno
assegna alla singola trasmissione diminuirebbe.

Si può quindi guardare a questa funzione come ad


una disponibilità marginale a pagare che si riduce
all’aumentare del volume messo a disposizione di
bene pubblico. Quindi funzioni di pseudo-
domanda o di disponibilità marginale a pagare
indicano il valore che il singolo individuo assegna a
quantità crescenti di bene pubblico.
Se io traccio le funzioni di pseudo-domanda
dell’individui A e B - posto che ce ne siano solo 2 -
come derivo la funzione di domanda aggregata?
Facciamo un esempio, immaginiamo di essere tutti in Sant’Agnese e cominciare un
corso, per farlo serve la luce nell’aula, un video lettore funzionante, l’impianto audio
etc. Concentriamoci sull’illuminazione dell’aula, ognuno di noi darà un determinato
valore alle lampadine aggiuntive ma fino a quando dovremo installare lampadine?
Fino a quando il valore che ciascuno di noi assegna alle lampadine è almeno pari al
costo di una lampadina aggiuntiva, sommiamo verticalmente le nostre disponibilità
a pagare e continuiamo ad avvitare lampadine al soffitto fino a che il prezzo che
ognuno è disposto a pagare copre il costo di una lampadina in più continueremo ad
avvitare lampadine. Abbiamo cosi descritto l’equilibrio di Lindal o equilibrio di
sottoscrizione spontanea cosiddetto perché ciascuno finanzia il costo di
produzione in base al valore che assegna al servizio collettivo. Questo equilibrio di
sottoscrizione spontanea è l’unico che si può concepire il materia di beni pubblici,
abbiamo una somma verticale di funzioni di domanda e non orizzontale come per i
beni privati, si ha un mondo in cui ciascuno paga per il bene pubblico un prezzo che
è pari al valore che gli assegna, la sua disponibilità marginale a pagare e quindi uno
strano equilibrio in cui il prezzo di equilibrio è uguale alla somma dei prezzi
personalizzati. Talvolta avviene che su base volontaristica le persone finanziano un
servizio collettivo. Questo equilibrio può funzionare in situazioni estreme in cui le
persone e le imprese sono disposte a fare ciò che ritengono utile e quindi sono
disposte a cooperare al bene comune al servizio pubblico utile per tutti (es.
ospedale alla fiera di Milano) succede però unicamente in casi straordinari, infatti la
letteratura economica ci insegna che tutto si basa sull’individualismo metodologico.
Quindi le persone non tenendo naturalmente a cooperare ma lo fanno solo in
situazioni emergenziali come la situazione attuale, è quindi molto difficile che
l’equilibrio di Lindal venga raggiunto perché in condizioni normali se ci affidassimo
alla sottoscrizione spontanea ciascuno avrebbe incentivo a pagare meno, è una

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sorta di dilemma del prigioniero, in condizioni normali pagheremmo di meno di
quanto saremmo realmente disposti a pagare in situazioni di emergenza.

Politica economica lez 14

Beni pubblici e “free rider”


Per concludere il tema relativo ai beni pubblici e alla possibilità di identificare un
livello di produzione ottimale ed efficiente in materia di beni pubblici avevamo
osservato la condizione per l’efficienza che contrariamente al caso dei beni privati
non richiede l’eguaglianza dei saggi di sostituzione fra loro ma l’eguaglianza della
somma dei saggi di sostituzione con il saggio di trasformazione, somma dei valori
soggettivi=valore oggettivo. Avevamo visto se era possibile raggiungere l’efficienza
in materia di beni pubblici facendo ricorso al mercato, quello che si può fare è
ricorrere alle funzioni di pseudo-domanda o di disponibilità marginale a pagare e
l’unico equilibrio che si può concepire è l’equilibrio di Lindal che dovrebbe essere
raggiunto attraverso i contributi spontanei degli individui e per questo è anche detto
equilibrio di sottoscrizione spontanea, ma proprio su questo punto troviamo il
problema ossia che nel momento in cui un individuo è consapevole del fatto che il
suo contributo alla produzione di bene pubblico dipende dal segnale che fornisce
ad un’autorità superiore che si occupa dell’identificazione, non solo del volume di
produzione, ma anche di coprire i costi. Allora se devo contribuire su base
volontaristica e pagherò quanto annuncio di voler pagare nasce quello che è noto
come problema del free rider (es. colui che prende un mezzo pubblico senza
pagare) questo è sempre “in agguato” perché si parla di produzione sui beni
pubblici finanziata su base volontaristica e quindi è ben difficile che il mercato
possa raggiungere l’efficienza, specie se si deve immaginare che ciascun individuo
paghi un prezzo personalizzato per il bene pubblico contribuendo su base
volontaristica. Il problema, come insegnò Vixel, è che l’equilibrio su base
volontaristica in cui ciascuno contribuisce sulla base del valore che assegna è
anche l’unico equilibrio “giusto”, perché chiedere di pagare di più ad un individuo
che assegna un valore inferiore al bene pubblico? O perché permettergli di pagare
di meno se assegna un valore superiore al bene pubblico? L’idea di giustizia del
finanziamento dei beni pubblici è esattamente quella dell’equilibrio volontaristico,
che d’altra parte è minato alla radice dal problema del free rider: se mi chiedi
quanto sono disposta a pagare per il bene pubblico, avrò tutti gli incentivi a
sottostimare la mia vera disponibilità a pagare. Il soggetto che contribuisce poco
potrebbe proprio essere quello che ottiene il beneficio derivante dal fatto che i costi
di produzione del bene pubblico sono coperti dalla contribuzione di altri,
nuovamente una sorta di dilemma del prigioniero.

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Quindi se il mercato non riesce a raggiungere l’efficienza in materia di produzione di
beni pubblici, ci resta una domanda: i beni pubblici sono prodotti dallo stato ma c’è
qualcosa che ci assicura che le scelte collettive dello stato portino ad una situazione
ottimale dal punto di vista paretiano? Per rispondere a questa domanda dobbiamo
aspettare un pò di temo e giungere al tema delle scelte collettive.

Con questa lezione abbiamo concluso il tema dei beni pubblici, parleremo ora di
rischio e incertezza e parleremo poi di informazione e asimmetrie informative che
minano all’equilibrio che si realizza nei mercati concreti provocando l’inesistenza
stessa di un equilibrio.

Politica economica lez 15

Lez 15 - comportamento nei confronti del rischio


In questa lezione tratteremo il tema delle scelte degli individui razionali in una
situazione rischiosa, si parla in letteratura di rischio ed incertezza: la differenza sta
nella misurabilità nel fatto che le probabilità che si possano assegnare agli eventi
siano probabilità oggettive o soggettive. Nel regime di massima incertezza
addirittura è quasi impossibile assegnare persino delle probabilità soggettive agli
eventi, il limite estremo di una situazione incerta di questo tipo è quella dei “cigni
neri” dei quali si parla talvolta per rappresentare le crisi economiche, in passato una
cigno nero rappresentava qualcosa che era impossibile da prevedere, in passato
per i cittadini europei tutti i cigni erano bianchi, il cigno nero è un animale che in
origine viveva in Australia, dall’altra parte del mondo, e quando quella parte del
mondo non era conosciuta i cigni neri non esistevano, quindi quella probabilità
soggettiva che esistesse un cigno nero era pari a zero. Allo stesso modo la
possibilità che scoppi una crisi sulla base di motivazioni impreviste può essere
definita come un “cigno nero”, il coronvirus ad esempio è un cigno nero, chi si
occupa di infettivologia magari si aspettava una pandemia ma per il grande
pubblico è stato assolutamente un cigno nero, ossia qualcosa che nessuno si
poteva aspettare e quindi era del tutto impossibile assegnare una probabilità ad un
evento simile. Dal rischio misurabile sulla base di parametri oggettivi ha un
incertezza via via crescente, quindi probabilità che si possono assegnare su base
soggettiva fino ad arrivare ai cigni neri, in mezzo c’è una grande varietà di eventi.
Dobbiamo prendere in considerazione il tema del rischio e dell’incertezza.
Parliamo ora dell’attitudine delle persone nei confronti del rischio, parleremo di
avversione al rischio e quindi cercheremo di capire quali sono i principi attorno ai
quali le scienze economiche hanno costruito le loro riflessioni su questo particolare

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tema. Tutto viene costruito su quello che fu un contributo di Jon Von Neumann e di
Oscar Morgernstern, tutto nasce dal concetto di funzione di utilità

•EU = paU(Ya)+ pbU (Yb)

Eu sta per utilità attesa per un individuo che è collocato in una situazione rischiosa ovvero
una situazione in cui si possono misurare in modo oggettivo le probabilità degli eventi.
Supponiamo che esistano nella natura due situazioni alternative Piove (situazione A) non
piove (situazione B), e l’individuo otterrà un reddito differente a seconda di quello che è lo
stato della natura che si manifesta. Supponiamo che il reddito dell’individuo dipenda dal
fatto che piova o non piova. L’individuo ex ante non sa se ex post si osserverà il primo o il
secondo stato della natura e dunque non può parlare di utilità ma può parlare solo di utilità
attesa che è rappresentabile dalla media utilità se si manifesta il primo stato della natura
ponderato per la probabilitàc che si manifesti quello stato della natura, quindi Pa
rappresenta la probabilità che si manifesti il primo stato della natura e U(Ya) indica l’utilità
che si osserva nel contesto in cui si manifesta il primo stato della natura, inoltre il benessere
dipenderà anche dalla probabilità che si manifesti il secondo stato della natura Pb è quindi
il complemento a 1 di Pa (Pa+Pb=1 quando ci sono due soli stati della natura). Quindi
l’utilità attesa è la media presunta delle utilità che si osserveranno nei due diversi stati della
natura ponderate per la probabilità che accada l’evento corrispondente. Inoltre la funzione
di utilità attesa può essere descritta come una funzione convessa, i requisiti rilevanti per la
descrizione di questa funzione sono

• Che la derivata prima della funzione di utilità del reddito sia positiva

• La derivata seconda sia negativa


Questi due requisiti ci dicono che l’utilità cresce ma in modo meno che proporzionale, ha

quindi una convessità verso il basso.


Possiamo quindi rappresentare la funzione di utilità attesa in questo modo, si evince che
come dicevamo è una funziona che cresce in modo meno che proporzionale e convessa.

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Possiamo qualificare ulteriormente l’attitudine degli individui nei confronti del rischio
utilizzano la funzione di Von Neumann e di Oscar Morgernstern, dal grafico troviamo
rappresentati i due esiti possibili nei casi in cui si manifestano i due stati della natura A e B:
Ya è il reddito in cui si manifesta il primo stato della natura, Yb è il reddito che si manifesta
nel secondo stato della natura. In corrispondenza dei due stati della natura il soggetto
dovrà osservare un certo valore dell’utilità, se si manifesta il primo avere U(Ya) con il
secondo avrà U(Yb).
È interessante osservate qual’è il valore dell’utilità attesa, infatti mentre ex post si
verificherà o lo stato della natura A o B, ex ante si va a cercare l’utilità attesa data da una
media fra le utilità che si osserveranno nei due stati futuri. L’utilità attesa è rappresentata in
E(U), non è L’utilità del reddito atteso ma la media delle utilità. Questo grafico ci permette di
cogliere anche il valore che l’individuo assegna alla situazione rischiosa, è abbastanza
evidente come l’essere collocati in una situazione rischiosa in cui si ha una data utilità
attesa, si osserva che l’utilità attesa nell’evento rischioso è pari a quella che si avrebbe nel
caso di un reddito certo, che nel grafico è indicato da Yc. Con un reddito certo Yc che è
minore del reddito atteso, l’utilità è pari all’utilità attesa che si osserverebbe rimanendo nella
situazione rischiosa. Per dirlo in un altro modo, l’utilità attesa nella situazione rischiosa è
identica all’utilità che osserverei in una situazione con un reddito certo. La differenza fra il
reddito atteso nella situazione rischiosa e l’equivalente certo mi da una misura
dell’avversione al rischio di un individuo, se si dice che stare nella situazione rischiosa è
equivalente ad avere un reddito Yc perchè mi da un livello di utilità identico, questa
differenza è il valore che il soggetto assegna al rischio. Possiamo definire questa differenza
anche come il premio di assicurazione che il soggetto è disposto a pagare per togliersi dalla
situazione rischiosa.

Gli individui
possono
avere
diverse

caratteristiche, possono essere:

• Avversi al rischio: Un individuo avverso al rischio è un individuo che ha una funzione di


utilità come quella indicata da Von Neumann e Morgerstern data dalla linea curva nera del
grafico. Valgono ancora le stesse condizioni/rappresentazioni del diagramma precedente:
il reddito certo equivalente è minore del reddito atteso, e quindi si è disposti a “pagare”
(Ridurre il proprio reddito) per togliere il rischio.

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• Neutrali nei confronti del rischio: l’individuo neutrale è quello che ha reddito atteso
equivalente a reddito certo, questo individuo non è disposto ne a pagare per togliersi dal
rischio ne a pagare per accettare una situazione rischiosa come chi decide di comprare
un biglietto della lotteria o di mettersi a giocare alla roulette. Nell’ambito del totocalcio,
casinò è la regola che il montepremi è sempre inferiore a quello che il gestore del gioco
paga alla fine ai vincitori, si tratta quindi di giochi iniqui.

• Amanti del rischio: D’altra parte abbiamo dei soggetti amanti del rischio che devono avere
una funzione di utilità attesa con al concavità alla rovescia, quindi che virala dalla
funzione di Von neumann e mrogersten, ha quindi derivata seconda positive (anziché
negativa) e convessità verso l’alto. Quindi nella funzione dell’amante del rischio si viola la
condizione di Von Neumann e Morgersten sulla convessità della funzione di utilità
sottostante alla funzione di utilità attesa.

come si misura l’avversione al rischio?


Ci concentriamo da ora sull’individuo avverso al rischio per semplicità, la misura
dell’avversione al rischio può essere fatta in termini grafici ossia come il premio che
l’individuo è disposto a pagare. Oppure in termini più sintetici come Arrow e Pratt si hanno
due misure di avversione al
rischio, due coefficienti che
misurano l’avversione al rischio:

Entrambi hanno a che fare con il


rapporto fra la derivata seconda e
la derivata prima della funzione di
utilità del reddito, quindi tanto più è convesso tanto maggiore è la derivata seconda tanto
maggiore sarà l’avversione al rischio. Questo coefficiente si può relativizzare tenendo conto
del reddito di partenza dell’individuo.

Com’è possibile che nella realtà si osservino persone avverse al rischio e persone favorevoli
nei confronti del rischio? Com’è possibile che ciascuno di noi, con pochissime eccezioni,
sia talvolta avversa al rischio e talaltra favorevole?
Il fatto è spiegabile anche sulla base delle dimensioni effettive del rischio:

• Piccoli rischi: si possono avere grandi fortune poco probabili come se si compra un
biglietto della lotteria italia dove se perdo ho perso il prezzo (molto contenuto) del
biglietto e se vinco mi cambia la vita.

• Grandi rischi: posso osservare grandi fortune ma anche grandi sfortune e quindi la prima
situazione rischiosa, ossia del piccolo rischio, è molto diversa dal rischio che mi si bruci la
casa o che mi rubino l’auto, e per questo ci assicuriamo contro questi rischi. Negli USA
non c’è il servizio nazionali obbligatorio come in Italia, c’è un obbligo di assicurazione ma
le persone sono assicurate a livello diverso nei confronti del rischio derivante da un
accadimento negativo. I grandi rischi possono quindi essere abbinati a grandi
sfortune/fortune. È chiaro che l’atteggiamento delle persone nei confronti della scelta di
assicurarsi o accettare scommesse dipende dall’entità di ciò che c’è in gioco, il rischio

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che tutto il nostro reddito si riduca a zero è un rischio che nessuno vuole accettare
mentre il rischio di perdere un biglietto dell’enalotto è accettabile.
Possiamo quindi continuare a spiegare come mai alcuni soggetti sono avversi al rischio e
altri no con il contributo di Friedman e Savage che può essere rappresentato da una

funzione di utilità del reddito


L’utilità cresce in modo meno che proporzionale quando si è poveri, poi esplode e poi torna
convessa. Ci vuole poco a capire come individui molto poveri non sono disposti ad
accettare nemmeno giochi equi perché non vogliono rischiare che il loro reddito vada al di
sotto di una certa soglia. Il reddito atteso è infatti minore rispetto a quello certo. Lo stesso
vale per individui molto ricchi che non hanno alcun interesse ad infilarsi in una situazione
rischiosa. Quindi sia per i ricchi che per i poveri vale la stessa condizioni: se posso evitare
una situazione rischiosa la evito e se posso assicurarmi mi assicuro.
Le cose possono essere leggermente diverse nel momento in cui un individuo anche
povero o dal reddito limitato può avere la possibilità di investire in una situazione rischiosa
perdendo una parte di reddito accettabile in termini di perdita attesa in confronto al valore
del beneficio nel caso di vincita (enalotto), questa è la situazione indicata tra Ya e Yb dove
c’è un tratto della funzione di convessità rovescia, dove la funzione di utilità ha una
convessità da risk lover e quindi capiamo come a fronte di una perdita limitata l’individuo
potrebbe osservare un grande beneficio.
Nella prossima lezione parleremo di scelte in regime di asimmetrie informative

Politica economica lez 16

Lez 16 - akerlof e il mercato delle auto usate


Nell’ultima lezione abbiamo parlato di comportamento degli individui nei confronti
del rischio, abbiamo misurato l’avversione al rischio utilizzando l’indice di Pratt e

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Arrow. Oggi ci spostiamo su un altro tema, relativo alle asimmetrie informative che
sono un capitolo particolarmente importante degli studi economici odierni.

Il primo contributo sui temi relativi alle asimmetrie informative è dovuto al premio
nobel Akerlof. Il contributo di Akerlof è diventato famoso come “il mercato dei
limoni” che in gergo americano sta a significare il mercato delle auto, usate così
tanto da diventare dei limoni spremuti, la questione dell’asimmetria informativa è
intuitiva, vado a comprare un auto di seconda mano e mi chiedo : è buona o è un
limone spremuto?

L’articolo di Akerlof è del 1970 e venne pubblicato su una delle più importanti riviste
al mondo: “ Quarterly Journal of Economics”, quel lavoro evidenzia come
l’asimmetria informativa tra domanda e offerta può minare alla radice non solo il
raggiungimento dell’efficienza paretiana da parte dell’equilibrio concorrenziale, ma
può minare persino l’esistenza stessa dell’equilibrio attraverso quello che poi è
diventato noto come fenomeno della selezione avversa: “moneta cattiva che
scaccia dal mercato moneta buona” noto in passato come Legge di Gresham, non
è esattamente così nel caso del modello di Akerlof.
Vediamo l’esempio proposto da Akerlof: Consideriamo un mercato in cui esistono
due soli gruppi di individui (se vale per due vale anche per tanti):

1. Il primo gruppo è l’unico ad avere la proprietà di N auto che sono tutte auto
usate, non c’è produzione di auto nuove, sono tutte in mano agli individui del
primo gruppo

2. Il secondo gruppo di individui non ha neanche un’auto

I termini del problema sono rappresentabili attraverso le preferenze dei due gruppi
di individui:

1. L’utilità degli individui relativi al primo gruppo è pari al reddito e dipende dalle
auto che hanno a disposizione quell’individuo che va da 1 a N auto, Xi è una
misura della qualità, la qutilità dipende dalla qualità dell’auto. Si misura l’utilità
che deriva da un auto in termini omologhi rispetto al reddito, quindi Xi sta ad
indicare la misura della qualità che viene giudicata in termini di euro che vale
quell’auto, come vedremo, ex ante o ex post. Se non ho la proprietà osservo la
qualità ex post se invece ce l’ho la osservo ex ante. Quindi l’utilità è pari al
reddito più il valore in euro che assegno alla qualità dell’auto sommando il

U1= M +∑ X
numero di auto che ho a disposizione.

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A prescindere dal numero di individui presenti nel primo gruppo le funzioni di
utilità sono tutte identiche perché tutti guardano alle auto nello stesso modo.
Quindi si ipotizza che gli individui siano identici, che guardino alle auto allo
stesso modo assegnando il medesimo valore alla loro utilità; quindi che sia 1
individui o 5.000 il problema non cambia

2. Il secondo gruppo di individui ha una sola differenza rispetto al primo gruppo e


cioè che assegna alle auto un valore più alto del 50% e quindi Xi è incrementato

U2= M +∑
3/2
del 50% e quindi x3/2 (3/2=1,5).
è chiaro come in presenza di un’informazione simmetrica riguardo alle auto,
cioè se tutti avessero le stesse informazioni sulla qualità dell’auto, quindi se si
potesse verificare la qualità prima di comprare l’auto. Se gli individui del
secondo gruppo potessero verificare la qualità delle auto, allora siccome
assegnano alle stesse auto un valore che è del 50% superiore a quello che
viene assegnato alle stesse auto da parte dei loro proprietari che sono tutti del
primo gruppo, è ovvio che c’è una possibilità di scambio per tutte le auto, e cioè
gli individui del primo gruppo potrebbero spuntare un prezzo maggiore di Xi
semplicemente perché gli individui del secondo gruppo, osservata la qualità
dell’auto in questione, osservato il fatto che la qualità dell’auto in questione è Xi
sono disposti a pagare fino a 50% in più di quel valore, fino a 3/2 di Xi. Dunque
ciascun auto verrebbe scambiata sul mercato fra i due gruppi ad un prezzo
compreso fra Xi e 3/2Xi.
In presenza di asimmetria di informazione, l’informazione non è disponibile ad
entrambi i gruppi di individui o meglio l’informazione è disponibile solo al primo
gruppo di individui ossia i proprietari dell’auto in vendita. Si deve quindi entrare
nel campo dell’ipotetico, delle aspettative sulla qualità dell’auto cioè dell’utilità
attesa. Quindi un acquirente deve formulare un’aspettativa, “Mu”, sulla qualità
dell’auto, il punto è che l’auto che gli viene proposta è nei fatti indistinguibile da
tutte le altre auto. Aggiungiamo allora altre ipotesi: la distribuzione di probabilità
della qualità sia nota a tutti, in aggiunta a tutto ciò quello che noi possiamo
immaginare per renderci le cose più semplici è che la qualità sia distribuita in
modo uniforme, indipendentemente dalla forma della distribuzione di qualità
supponiamo che il prezzo sia pari a “p”, e noi sappiamo com’è la struttura delle
funzioni di utilità del primo tipo i quali offriranno quelle auto che hanno una
qualità inferiore rispetto a p trattenendo tutte le altre auto alle quali assegnamo
un valore in termini di utilità che supera p, si offriranno quindi solo quelle auto

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che hanno una qualità inferiore rispetto a p, quindi la qualità attesa delle auto
dipenderà dal prezzo, dobbiamo metterci nei panni dell’acquirente che può
essere una famiglia del primo gruppo (magari vogliono più auto di quelle che ne
hanno) o può essere acquistata da individui del secondo gruppo. In ogni caso
sia i primi che i secondo formuleranno delle aspettative sul prezzo e sulla base
delle loro preferenze decideranno il da farsi.
Quindi qual’è la qualità attesa?
Per rispondere ci viene in aiuto l’ipotesi sulla distribuzione uniforme della qualità,
se la qualità è distribuita in modo uniforme e si offrono auto con qualità inferiore
a p, allora la qualità attesa è p/2 (p mezzi), la qualità minima sarà zero.

Ora possiamo cercare l’equilibrio, che dipenderà da N quante auto verranno


offerte, solo quelle auto che hanno una qualità inferiore a p, quindi per ogni valore
del prezzo tale per cui p è minore a 2 (ricordiamo che la qualità minima è zero e la
massima è 2), l’offerta fissato il prezzo, sarà pari a una frazione quindi a pN/2,
quindi: gli individui del gruppo 2 saranno disposti ad acquistare un auto solo se la
qualità attesa fratto il prezzo è maggiore di 1 oppure solo se la qualità attesa Mu è
maggiore di p.

μ/p≥1

Se la qualità attesa supera il prezzo comprerò un’auto altrimenti no. Il numero di


auto comprate dipenderà dal prezzo, e quindi la domanda complessiva di auto del

D1=Y1/p se μ/p≥1
primo gruppo sarò pari a reddito/p

D1=0 se μ/p<1

La domanda quindi sarà zero ogni volta che la qualità attesa sarà minore del prezzo

Ripetiamo D1= tutto il reddito/ il prezzo (perché non esistono altri beni in quali
spendere soldi) .
Allo stesso modo visto che la funzione di utilità per il secondo gruppo è quella vista
U2= M +∑ 3/2 , la domanda degli individui del secondo gruppo sarà pari a

D2 =Y2/P se 3μ/2>p
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A condizione che la qualità attesa delle auto sia maggiore rispetto al prezzo per 2/3
o come è scritto qui sia 3/2 per la qualità attesa sia maggiore del prezzo.
se la qualità attesa supera i 2/3 del prezzo, quindi basta meno rispetto agli individui
del primo gruppo perché gli individui del secondo gruppo danno un valore alle auto
che è maggiore del 50% rispetto al primo gruppo. Quindi se la qualità attesa è
maggiore del prezzo moltiplicato per 2/3 allora gli individui compreranno le auto.

D2 =0 se 3μ/2 < p
Invece la domanda del secondo gruppo di individui sarà zero ogni volta in cui il
gioco non vale la candela, se la qualità attesa è inferiore rispetto a 2/3 del prezzo.

Adesso possiamo provare a mettere insieme tutte le informazioni, la domanda


aggregata sarà pari alla domanda del primo gruppo di individui + la domanda del
secondo gruppo di individui. Quindi sarà pari a tutto il reddito dei due gruppi di
soggetti diviso per il prezzo, quindi si spende tutto il reddito disponibile per le auto
quando il prezzo è minore di 1, la domanda delle auto usate sarà pari a Y2/p nel
momento in cui la qualità è inferiore al prezzo ma il prezzo è inferiore a 3/2 della
qualità. Quindi succede che il primo gruppo di individui non vorrà comprarsi un’auto
in più perché costa di più rispetto all’utilità attesa, rispetto al valore che il primo
gruppo assegna. Quindi il primo gruppo non compra le auto, il secondo gruppo si
invece, il motivo è che anche se la qualità è inferiore rispetto al prezzo il secondo
gruppo si accontenta di auto che hanno una qualità inferiore perché assegna alla

D (p, μ ) = Y2/p se u< p < 3μ/2

qualità dell’auto un valore superiore rispetto al primo gruppo di individui.

Dunque con p compreso fra u e 3μ/2 il primo gruppo di individui non domanda

D (p, μ) =0 se p>3μ/2
niente ma il secondo gruppo di individui si compra le auto.

Infine ogni volta in cui il prezzo supera i 3/2 di μ e quindi supera la qualità in misura
maggiore del 50% allora nemmeno il secondo gruppo di individui vorrà acquistare
le auto usate.
Si verifica quindi che per qualunque prezzo, la qualità media è p/2 perché verranno
offerte solo auto con qualità inferiore a p, le altre se le tengono i proprietari, e quindi

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la qualità media è, appunto, p/2 perché andrà tra 0 e p. Il problema è che se la
qualità media è p/2 la domanda complessiva da parte del primo gruppo di individui
e del secondo è zero. Dunque non esiste un equilibrio in questo mercato sebbene vi
siano individui del primo gruppo disposti a vendere la propria auto e soggetti del
secondo gruppo di individui disposti a comprarla.

È proprio l’asimmetria di informazione, cioè che possono solo formulare


un’aspettativa sulla qualità e non la posso verificare, che fa in modo che non esista
un equilibrio di mercato. È persino peggio della legge di Gresham, non sono solo le
monete cattive che scacciano quelle buone, qui non c’è proprio nessuna auto in
circolazione.

Politica economica lez 17

Lez 17 - equilibrio ed efficienza dei mercati assicurativi


Nell’ultima videolezione abbiamo presentato il contributo di Akerlof che presenta il
ruolo delle asimmetrie informative all’interno dei sistemi economici. Quello che
avviene è che le asimmetrie informative possono minare alla radice l’esistenza
dell’equilibrio. Continuiamo sul tema delle asimmetrie informative prendendo in
considerazione il ruolo di Rotschild e Stilglitz che si occupano di asimmetrie
informative nel campo dei mercati assicurativi.

I mercati assicurativi sono mercati particolarmente importanti all’interno dei sistemi


economici reali, all’interno dei mercati assicurativi possono esistere asimmetrie di
informazione anche molto marcate fra il lato della domanda e il lato dell’offerta, fra
l’assicurato e l’assicuratore, quindi ci chiediamo che caratteristiche può avere
l’equilibrio in un contesto di questo tipo? Sempre restando in tema di attualità, un
mercato assicurativo particolarmente importante è quello relativo alle assicurazioni
sanitarie, nel nostro paese l’assicurazione sanitaria è obbligatoria ma la copertura
sanitaria è fornita dal sistema nazionale; c’è poi tutta la sanità privata che svolge un
ruolo cruciale. Nel nostro paese comunque ciascun cittadino è coperto dal sistema
sanitario nazionale. Nel mondo però esistono anche strutture differenti, negli USA
nonostante la riforma di Obama il sistema sanitario è diverso rispetto al nostro e la
copertura dei rischi è garantita dal fatto che gli individui siano assicurati, la riforma
Obama ha obbligato tutti ad assicurarsi però le persone sono assicurate a diversi
livelli c’è chi è assicurato complessivamente a fronte di qualunque rischio sanitario
e chi invece è assicurato molto poco, quindi in un mondo come quello il grado di
copertura assicurativa nei confronti degli eventi negativi in sanità può essere
fortemente asimmetrico per quello che riguarda la popolazione.

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Partiamo dal fatto che le persone che sono collocate in una situazione rischiosa
cercano di premunirsi assicurandosi ossia cercando di massimizzare la loro
funzione di utilità attesa, la scelta di un soggetto in termini di assicurazione è volta a
massimizzare la sua utilità attesa, ex ante non sa se quell’evento negativo si
manifesterà ma può decidere di assicurarsi contro l’evento negativo.

EU=p∙U( -αA-D+A) + (1-p)∙U( − )

Eu è la funzione di utilità attesa che dipende da:

• Primo addendo = utilità che si osserva nell’evento negativo. Spieghiamolo:

- A = capitale assicurato quindi il valore di spesa sanitaria coperto


dall’assicurazione ossia quello che mi verrò reso nel caso in cui la mia auto verrà
rubata

- = premio di assicurazione che pago per ogni euro assicurato

- = indica quanto pago per l’assicurazione

- = Il mio reddito nel caso in cui l’auto mi venga rubata sarà pari al mio reddito
atteso dall’attività lavorativa normale se non si manifesta nessun evento negativo
e se non si paga un assicurazione

- − = nel caso in cui il soggetto si assicura, paga un premio di


assicurazione se assicura un capitale pari ad A pagando un premio di
assicurazione per ogni euro assicurato pari ad il suo reddito si riduce del
premio complessivamente pagato ossia .

- D = il reddito si riduce ancora di più quando l’auto viene rubata, D sta per danno
e se il soggetto vuole ricomprare un auto identica a quella che aveva il prezzo
sarà pari al valore dell’auto, il danno subito è il valore dell’auto rubata. Il reddito si
riduce in misura pari al valore monetario del danno.

- A= Poi però il soggetto si è assicurato e quindi in caso di accadimento negativo


la compagnia di assicurazione lo rimborsa il valore A del capitale assicurato

- p = probabilità di accadimento dell’evento negativo


- L’utilità attesa sarà pari alla probabilità dell’evento negativo per l’utilità che
osservo in caso di evento negativo.

➡ Quindi il primo addendo dell’utilità attesa è la probabilità dell’evento


negativo per l’utilità che osservo nel caso dell’evento negativo dato
che mi sono assicurato per un valore complessivo pari ad A.

• Secondo addendo = utilità che si osserva nel caso in cui si manifesti l’evento
positivo. Spieghiamo:

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‣ 1 - p = l’utilità attesa dipende anche dal fatto che l’evento negativo
potrebbe non manifestarsi, se l’evento negativo non si manifesta lo fa
con probabilità pari a 1-p ossia complemento a 1 della probabilità
dell’evento negativo

‣ − = l’utilità che traggo dal fatto che l’evento negativo non si


manifesti dipende dal reddito lordo al netto del premio assicurativo
➡ Quindi se le cose nel futuro andranno bene, e le cose andranno bene
con probabilità pari a 1 - p, la mia utilità dipenderà dal reddito al
netto del premio di assicurazione che comunque ho pagato.
Nella funzione di utilità attesa l’unica variabile oggetto di scelta da parte
dell’individuo è il capitale assicurato, l’oggetto di scelta è solo quanto assicurarsi
quindi A è l’unico valore che posso decidere. In altre parole si tratta di massimizzare
la funzione di utilità attesa rispetto al parametro A.
Si può verificare subito qual’è ala condizione sotto al quale l’utilità attesa è
massima, per derivare la funzione di utilità attesa bisogna porre a zero la derivata
prima della funzione di utilità attesa rispetto ad A.

Condizione di ottimo:

EU ’(A)=0cioè (1-α)∙p∙U’(Y1)-(1-p)∙α∙U ’(Y2)=0

A questo punto porto a destra


(p/1-p)∙U’(Y1)/U’(Y2) = α /(1- α)

Se immaginiamo di rappresentare graficamente i due stati della natura, il reddito


nello stato Y1 e Y2, sugli assi si mette il reddito negli stati della natura (mi rubano
l’auto - non mi rubano l’auto) α /(1- α) indica la pendenza di tutte le possibili
combinazioni di reddito se il
costo di 1 euro
assicurato è pari ad .

Invertire
Y1 e Y2
nel
grafico !!

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Se l’individuo non si assicura, il punto di partenza è e poi si manifestano i


possibili stati della natura, le cose vanno male o bene e se le cose vanno male il
reddito dell’individuo sarà - D mentre se le cose vanno bene il reddito
dell’individuo sarà solo . Si può osservare che il soggetto può decidere di
assicurarsi contro il rischio che si manifesti lo stato della natura negativo. Il punto in
alto a sinistra è il punto in cui l’individuo non si assicura, se invece l’individuo si
assicura completamente allora il suo reddito sarà identico, il reddito che l’individuo
ottiene nel caso di assicurazione completa e si manifesti l’evento negativo il reddito
sarà pari a − perché il danno e il premio di assicurazione vanno a
compensarsi. A = D e quindi il reddito nel caso in cui si manifesti lo stato della
natura negativo è pari al reddito lordo meno il premio di assicurazione pagato. Se
un soggetto si assicura in toto il suo reddito netto è identico sia che si manifesti lo
stato della natura negativo che lo stesso reddito che si osserva nel caso di
accadimento dell’evento positivo perché si è comunque pagato il premio
assicurativo. Il segmento che parte dalla situazione in cui l’individuo non si assicura
in alto a sinistra e che arriva su un punto che sta sulla
bisettrice degli assi cartesiani,

che è quello in rosso sta ad indicare l’insieme dei


possibili esiti in termini di reddito per l’individuo a
seconda dei diversi livelli di assicurazione: se non mi
assicuro sono completamente esposto al rischio nel
caso in cui si manifesti l’evento negativo, se mi
assicuro in toto il mio risultato finale sarà identico sia che si manifesti l’evento
negativo sia che si manifesti quello positivo, se mi assicuro a metà mi andrò a
collocare in una situazione di mezzo come in questo
punto (puntino azzurro). Quindi i punti lungo il
segmento rosso stanno ad indicare i diversi possibili
livelli di assicurazione dell’individuo, più è in alto a
sinistra meno si assicura, più è in basso a destra più si
assicura. Quindi l’individuo sceglierà fra i diversi
possibili livelli di assicurazione quello che gli
massimizza l’utilità attesa.

Si può provare che nel caso in cui i mercati assicurativi siano concorrenziali -
caratteristica del mercato concorrenziale = le imprese osservano profitti nulli nel

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lungo periodo - quindi in un regime di concorrenza perfetta con profitti nulli, il
premio di assicurazione in linea di principio dovrebbe essere pari al grado di rischio.
Se il costo di un euro assicurato e di 20 cent vuol dire che l’evento negativo si dovrà
manifestare con probabilità pari al 20%, perché se il grado di rischio è più basso
rispetto al premio di assicurazione unitario pagato vuol dire che l’impresa effettua
dei profitti, se il premio di assicurazione supera il grado di rischio la differenza tra i
due sarà un profitto per la compagnia di assicurazione. Quindi se il mercato è
concorrenziale deve succedere che il premio unitario è pari alla probabilità
dell’evento negativo.

Nel grafico c’è rappresentata anche la funzione di utilità attesa, attraverso le curve
di indifferenze che sono rappresentate nello spazio Y1 e Y2 (vanno invertite rispetto
al grafico)

Y1 = reddito nel caso di evento negativo (asse delle Y)

Y2 = reddito nel caso di evento positivo (asse delle X)

Nel grafico è rappresentato sia l’insieme dei contratti di concorrenza/ equi, il premio
di assicurazione è pari alla probabilità dell’accadimento dell’evento negativo e
dall’altra parte rappresento le curve di livello della funzione di utilità attesa, le curve
di indifferenza, che hanno una pendenza precisa. La funzione di utilità attesa ha una
pendenza che dipende anche dalla probabilità dell’accadimento degli eventi, quindi
se disegno nello spazio Y1 e Y2 la forma della funzione di utilità attesa non dipende
soltanto dalla funzione di utilità sottostante ma anche dalla probabilità degli eventi,
quindi se io prendo la funzione di utilità attesa e la rappresento nel grafico posso
rappresentarla attraverso un insieme di curve di indifferenza che hanno una
determinata pendenza. Possiamo dimostrare che l’utilità è massima quando si
soddisfa la condizione di ottimo e questo, ma quando avviene? Nel caso in cui i
mercati assicurativi siano concorrenziali, sappiamo che = p ( premio unitario di
assicurazione = probabilità delle evento negativo ) e quindi 1- =1-p e dunque nella
condizione di ottimo e p si semplificano. Quali caratteristiche ha la condizione di
ottimo? Ha una caratteristica secondo la quale l’utilità nel caso di accadimento
dell’evento positivo è uguale all’utilità nel caso di evento negativo, quindi nel caso in
cui i mercati assicurativi siano concorrenziali, la pendenza della funzione di utilità
attesa è identica alla curva dei contratti equi, quindi l’individuo si assicura
completamente e non si va a collocare a sinistra. Se il mercato non è perfettamente
concorrenziale il soggetto invece starà a sinistra perché la curva dei contratti
cambia pendenza è più inclinata, quindi se la curva dei contratti assicurativi non è la
curva dei contratti equi allora il soggetto sceglierà di assicurarsi solamente in modo
parziale. Quindi la sua curva di indifferenza sarà tangente alla curva dei contratti
assicurativi disponibili in un punto diverso dalla completa assicurazione contro

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l’evento negativo, se fanno pagare di più la curva dei contratti assicurativi diventa
più pendente e il soggetto si assicurerà di meno, si assicurerà in toto solo se la
curva dei contratti assicurativi è una curva dei contratti equi dove il profitto atteso è
pari a zero.

Contributo di Rotschild e Stilglitz

Teniamo l’ipotesi di concorrenza perfetta e vediamo cosa succede se c’è


asimmetria di informazione tra l’assicuratore e l’assicurato e vediamo perché
l’asimmetria di informazione può minare l’equilibrio dei mercato assicurativi.
ipotizziamo che ci siano sempre due gruppi di individui:

Gruppo di Individui 1 = individui a maggior rischio

Gruppo di Individui 2 = individui a minor rischio

Se i due gruppi di individui sono identici la pendenza della curva dei contratti equi,
dovrà essere diversa, gli individui a maggior rischio dovrebbero pagare un premio di
assicurazione maggiore rispetto al prezzo corretto per gli individui a rischio minore.
Se chiamiamo P1 la probabilità relativa al primo gruppo di individui e P2 la
probabilità relativa al secondo gruppo, le due pendenze, le due curve dei contratti
equi,

dovrebbero essere differenti.

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Le curve dei contratti equi sono:

- Verde per gli individui a maggior rischio


- Rossa per gli individui a minor rischio
Gli individui a maggior rischio hanno una probabilità di accadimento dell’evento
negativo più alta, dunque hanno un numeratore più alto e un denominatore più
basso rispetto agli individui a minor rischio e dunque la loro curva dei contratti equi
è più inclinata rispetto a quella degli individui a minor rischio che hanno una curva
dei contratti più piatta. In linea di principio a ciascuno dei due dovrebbe essere
offerto un insieme di contratti di assicurazione il cui premio unitario è pari alla
probabilità di accadimento dell’evento negativo, questo è quello che succede negli
USA dove gli individui a maggior rischio pagano un premio più alto.
Il problema è che il mercato talvolta non è in grado di distinguere tra i diversi gruppi
di individui. Gli individui a maggior rischio si sposteranno dalla curva di indifferenza
passante per W, non sceglieranno di sottoscrivere il contratto più oneroso,
sceglieranno di sottoscrivere l’altro tipo di contratto, quello per il quale è proposto
un premio di assicurazione inferiore. Quindi è impossibile che esista l’equilibrio W
perché è impossibile separare i due gruppi di individui, se si propongono i due
possibili contratti equi anche gli individui a maggior rischio sceglieranno il contratto
equo per gli individui a minor rischio e quindi l’unico equilibrio possibile è Z. Questo
equilibrio non può essere un equilibrio sostenibile perché l’impresa di assicurazione
farebbe delle perdite, se tutti sottoscrivo il contratto corretto per gli individui a minor
rischio allora i rimborsi che la compagnai di assicurazione sarà chiamata a pagare
superano quello che è stato il versamento dei premi di assicurazione. Questo
equilibrio è l’unico possibile perché tutti vogliono sottoscrivere il contratto equo per
gli individui a minor rischio ma è un equilibrio insostenibile perché la compagnia di
assicurazione andrebbe in perdita. Quindi la compagnai di assicurazione può fare
due cose:

• Aumentare il premio di assicurazione Introducendo un contratto di pooling: mette


insieme gli individui a minor rischio con quelli a maggior rischio facendogli pagare

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il medesimo premio di assicurazione. Questa situazione è rappresentata in questo
grafico

Il punto Z sarebbe l’equilibrio ottimale per gli individui a minor rischio con un
insieme di contratti equi per loro ma abbiamo detto che non è possibile sperare i
due gruppi di individui facendo pagare premi di assicurazione diversi. Il punto W
sarebbe l’equilibrio per gli individui a maggior rischio se pagassero un premio di
assicurazione pari alla loro rischiosità. Quello che si può immaginare è trovare un
premio di assicurazione che sia una sorta di via di mezzo, che è pari alla media della
probabilità di accadimento dell’evento negativo per il primo gruppo e per il secondo
gruppo di individui, p/(1-p) descrive una curva dei contratti equi per la media degli
individui. In un contesto come quello appena rappresentato si può immaginare che:

- gli individui a maggior rischio si assicurino completamente, W’ è il punto in cui la


loro soddisfazione è massima. Per individui a maggior rischio si osserva che
l’assicurazione è completa, il premio di assicurazione unitario è minore rispetto al
loro grado di rischiosità.

- Gli individui a minor rischio invece, non potendo stare nel loro punto di equilibrio
equo Z, saranno chiamati a pagare un premio unitario che è maggiore del loro
grado di rischiosità. Gli individui a minor rischio comunque hanno la convenienza
ad assicurarsi spostandosi su Z’, non possono ottenere Z ma gli conviene
comunque assicurarsi almeno un pò spostandosi su Z’. Anche in questo caso
però l’equilibrio non è sostenibile perché succede che la moneta cattiva scaccia
quella buona, come nella legge di Greshiam.

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E quindi mentre gli individui a maggior rischio si assicurano in toto quelli a minor
rischio si assicurano solo in parte e i conti per la compagnia di assicurazione che
sono fatti sulla media non tornano, tornerebbero solo se gli individui a minor rischio
si assicurassero in toto, quindi anche in questo caso si va in perdita e l’unica
soluzione è aumentare continuamente i premi di assicurazione, quindi la curva
diventerebbe progressivamente sempre più inclinata estromettendo quindi
progressivamente gli individui a minor rischio che si assicurano sempre di meno.
Dunque quello che succede è che l’unico equilibrio possibile è estremamente
inefficiente ed è un equilibrio in cui progressivamente gli individui a minor rischio si
assicurano di meno fino ad arrivare ad una situazione in cui si assicurano solo i
soggetti a maggior rischio e l’equilibrio risulta estremamente inefficiente in senso di
Pareto.

Si può provare che è possibile identificare un equilibrio di separazione, quindi fatto


di contratti di assicurazione diversi per individui a diverso rischio anche se la
compagnia di assicurazione non può assicurare i soggetti a minor rischio in toto,
quindi si applicano premi di assicurazione diversi ma si propongono contratti
assicurativi in cui qualora si proponga un premio più basso, il capitale assicurato
diventa molto limitato, non ci si può assicurare completamente contro il danno. Ci si
può assicurare in toto solo pagando un premio di assicurazione molto alto, quello
corretto per gli individui a maggior rischio. Vediamo quindi due profili di contratti
assicurativi:

• Contratto per gli individui a minor rischio in cui si paga poco ma ci si può
assicurare poco
• Contratto in cui si paga molto ma ci si può assicurare in toto
In un contesto cosi si può separare gli individui come in questo grafico

Gli individui a minor rischio


avranno un incentivo almeno ad
assicurarsi mentre quelli a maggior
rischio poiché il rischio è molto
alto risultano incentivati a siglare il
contratto di assicurazione anche
se è costoso e il premio che viene
richiesto è pari all’effettivo loro
grado di rischiosità. Si può
separare i due gruppi di individui
ma anche in questo caso
l’equilibrio è inefficiente, gli individui a minor rischio non si possono assicurare in

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toto. Per questo i mercati assicurativi privati non funzionano e serve
un’assicurazione pubblica.

Politica economica lez 18

Lez 18 - funzione del benessere utilitarista


Fino ad ora ci siamo concentrati sull’efficienza economica e l’intervento dello stato
per ragioni collegate all’efficienza allocativa. Un secondo grande tema è quello
relativo alla giustizia e all’equità distributiva. Tutte le nazioni utilizzano strumenti
come il sistema dei tributi per garantire un equità distributiva.

Spesso i sistemi economici partono da una situazione iniziale non soddisfacente,


inefficiente e iniqua e poi si spostano verso una soluzione migliore sia dal punto di
vista dell’efficienza che dell’equità. L’approccio tradizionale è liberista e quindi
sostiene che il mercato raggiunge l’efficienza da se, invece l’approccio del libro di
testo è più realistico e sostiene che l’equilibrio che si osserva nei mercati reali non è
efficiente; spesso si osservano gravi crisi economiche e l’incapacità del mercato di
utilizzare le risorse al meglio. Quando il punto di partenza è inefficiente è possibile
che un intervento correttivo possa portare a miglioramenti sia dal lato dell’efficienza
sia dal lato dell’equità. Quindi partendo da un inefficienza c’è una politica
economica che può portare a miglioramenti sia dal punto di ista dell’efficienza che
dell’equità.

Le teoria della giustizia sociale

Molte scelte collettive avvantaggiano alcuni e svantaggiano altri, bisogna quindi


identificare dei principi guida affinché le scelte collettive siano razionali,
specialmente quando si osservano dei conflitti fra efficienza ed equità. I principi
fondativi per l’intervento pubblico nell’economia in funzione di giustizia sono:

Contrattualismo: Hobbes, locke e altri.

L’utilitarismo: gli utilitaristi immaginavano che l’utilità fosse qualcosa di calcolabile.


Si fonda a sua volta su diversi principi:

- Consequenzialismo: si pone in essere l’azione che dovrebbe avere la


conseguenza migliore

- Welfarismo: una situazione sociale può essere confrontata con un’altra sulla
base della misurazione dell’utilità

- Per i primi utilitaristi, come Jeremy Bentham, l’utilità può essere vista in modo
addittivo quindi le decisioni pubbliche vanno giudicate sulla base degli effetti che

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provocano sul welfare (benessere della collettività) come si misura il welfare della
collettività? In modo addittivo, sommando le utilità dei diversi individui. Quindi
secondo Bentham il benessere di una nazione può essere misurato sulla base di
quella che chiameremo funzione sociale del benessere che è la somma delle
utilità dei singoli individui. i indica i singoli individui, N indica il
numero di individui nella collettività e il
benessere collettivo può essere misurato sulla
base della somma. In linea di principio dal punto di
vista utilitarista classico il benessere
collettivo dipende dalla somma, quindi non importa come stanno i singoli ma il
risultato della sommatoria. Paradossalmente se io confronto due situazioni in cui
nella prima la sommatoria è più alta ma con una grande sperequazione (tutto
nelle mani di un individuo) che risulta però più alta rispetto alla seconda
alternativa per Bentham la prima allocazione delle risorse è preferibile alla
seconda, quindi non conta l’equità ma la somma. Bentham lavorava per il
principe e quindi ai tempi quello che contava non era il benessere dei singoli ma il
benessere del principe che veniva perfettamente rappresentato dalla sommatoria.
L’ipotesi di una funzione sociale del benessere è che le funzioni di utilità degli
individui avversi al rischio abbiano:

‣ Una funzione di utilità del reddito crescente, quindi una derivata


prima della funzione di utilità del reddito maggiore di zero

‣ Una convessità verso il basso, quindi derivata seconda minore di


zero.

Sotto queste ipotesi possiamo chiederci quale distribuzione del reddito


massimizza il benessere collettivo? Quale massimizza il valore della funzione
sociale del benessere utilitarista classica? Bisogna massimizzare l’utilità sotto il
vincolo che lo stato ottenga un dato gettito T dai tributi, per finanziare le
proprie spese, poi per semplicità immaginiamo che quel gettito derivi dal
pagamento dei tributi di n individui.

Lo stato vuole massimizzare l’utilità


complessiva che è la somma dell’utilità dei singoli individui, ma l’utilità dei
singoli individui dipende dal reddito che ottengono al netto di quello che sono
costretti a pagare come tasse a
favore dello stato.

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Quindi l’utilità complessiva, dipende dall’utilità dei singoli che a sua volta
dipende dal reddito dei singoli e dalla tassazione alla quale sono sottoposti.

La condizione di ottimo è il fatto che i tributi dovrebbero essere imposti agli


individui in modo da eguagliare le utilità
marginali.

** Ui’ (Ui primo) e Uj’ perché sono utilità


marginali**
Prendendo un qualunque individuo i e un qualunque individuo j all’interno della
società la soddisfazione è massima quando le utilità marginali sono uguali fra
di loro, il risultato è noto nella finanza pubblica come principio dell’egual
sacrificio marginale. Lo verifichiamo nel caso di due soli individui, intanto
consideriamo che l’imposta assegnata al secondo individuo è uguale
all’imposta complessiva meno l’imposta che viene assegnata
all’altro individuo.
Quindi lo stato deve decidere
solamente quale valore di T1 definire, definito T1, T2 è il
complemento a T e quindi il
benessere complessivo
è massimo

** ancora si parla di utilità marginali quindi U1 e U2 sono derivate** e


affinché l’utilità sia massima l’utilità di 1 deve essere uguale all’utilità di 2 e
deve quindi
valere anche

quest’equazione

Se le funzioni di utilità degli individui sono identiche allora la soluzione che


massimizza il benessere collettivo è l’equidistribuzione. Dicevamo che al
principe interessa massimizzare l’utilità complessiva (somma delle utilità)

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ma non gli interessa la distribuzione del reddito, però se gli individuo hanno
le stesse preferenze la distribuzione del reddito che massimizza il benessere
collettivo è l’equidistribuzione. Se le utilità marginali sono uguali allora i
redditi sono identici. C’è però un paradosso dell’utilitarismo, che cosa
succede se gli individui sono diversi tra di loro e quindi le funzioni di utilità
sono diverse? Succede che i tributi devono essere diversi e
paradossalmente dovrebbero colpire di più chi assegna un minor valore al
denaro, se si vuole massimizzare la soddisfazione complessiva si
aumentano le tasse di chi assegna minor valore al denaro e si riducono
quelle di chi gli assegna maggior valore.

Politica economica lez 19

Lez 19 - FSB Bergson Samuelson


Nell’ultima lezione abbiamo parlato della funzione sociale del benessere utilitarista
classica che ha il limite di richiedere la misurabilità delle utilità che al giorno d’oggi è
qualcosa di difficile da ipotizzare. Sul tema della funzione sociale del benessere si
sono soffermati in molti anche in temi recenti, infatti Samuelson e Bergson nella
seconda metà del 900 hanno fornito contributi in materia di funzione sociale del
benessere.

La funzione del benessere non è , secondo Samuelson e Bergson, necessariamente


di tipo addittivo, cioè in materia il benessere di tipo collettivo dipende dalle utilità
dei singoli individui ma non è necessariamente una relazione di tipo addittivo. Si
può quindi partire dalle funzioni di utilità individuali per arrivare ad una funzione
sociale del benessere, ad una funzione di utilità collettiva. In tutti i casi serve un
grado di cardinalità dell’utilità che è necessario affinché l’idea di funzione sociale
del benessere sia utilizzabile come principio guida per le scelte di politica
economica in materia di distribuzione del reddito o di tassazione. È vero che le
utilità non sono misurabili ma si può inferire quelle che sono le preferenze degli
individui in materia di reddito sulla base del comportamento delle persone riguardo
alle situazioni rischiose, le persone si assicurano nei confronti dei grandi rischi come
sanità e pensione; La funzione di utilità quindi si può stimare proprio partendo dal
comportamento delle persone nei confronti del rischio e quindi una misurabilità,
cardinalità, delle preferenze può essere dedotta partendo proprio da come le
persone si comportano assicurandosi nei confronti delle situazioni rischiose.

Funzione di Samuelson e Bergson

Atkinson che si è occupato per anni di temi relativi al welfare ha proposto un indice
della distribuzione del reddito che viene calcolato partendo da una funzione sociale

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del benessere che ha una forma particolare rispetto a quanto visto fino ad ora
parlando dell’utilitarismo classico. Si tratta di una funzione sociale del benessere
“anonima” ce tratta gli individui nello stesso modo e che rispetta una serie di altri
principi minimali

La forma è complicata perché c’è epsilon che va all’esponente dei redditi dei singoli
individui. La caratteristiche è che il benessere collettivo dipende da un solo
parametro ossia epsilon:

• Se ε=0 il benessere collettivo va a coincidere solo con la sommatoria dei


redditi/utilità,
• Se εtende a ∞ allora la funzione sociale del benessere tende a diventare identica a
quello che rende massimo il benessere dell’individuo più povero.
Le tante funzioni sociali del benessere che possiamo disegnare vanno tra un
estremo in cui conta semplicemente la sommatoria delle utilità-redditi e l’altro
estremo in cui conta il livello di benessere dell’individuo più svantaggiato all’interno
della collettività e questo ci permette di introdurre il secondo approccio alle
questioni rilevanti in funzione della giustizia distributiva cioè l’approccio
contrattualista o meglio neo-contrattualista .

Politica economica lez 20

Lez 20 - contrattualismo e funzione di benessere alla Rawls


La teoria del contratto sociale è antica, bisogna andare indietro fino a Hobbes e
Locke, ci concentriamo sull’approccio più recente ossia sull’approccio neo-
contrattualista dovuto a John Rawls che insegnava filosofia morale ad Harvard.

La teoria del contratto sociale si basa sul fatto che le società convengono di seguire
regole stabilite da un contratto, nei fatti esplicitamente o implicitamente siglato dai
cittadini. Il contratto sociale può essere qualcosa di molto particolare come “tutti
contro tutti” alla Hobbes o qualcosa di profondamente diverso come ipotizza Rawls
negli anni ’70.

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Contrattualismo e neo-contrattualismo: gli individui, secondo il contrattualismo,
acconsentono ad un contratto sociale che li obbliga tutti. Negli anni ’70, con il
neocontrattualismo, era convinto che il buon funzionamento delle moderne
economie richieda una forte cooperazione fra gli individui, se questa cooperazione
viene meno il sistema economico funziona male. Pensiamo al giorno d’oggi,
cooperiamo stando tutti in casa. In un contesto di forte cooperazione, quale
funzione sociale del benessere sceglieremmo come principio guida in funzione della
determinazione dei tributi o di contributi che ogni individuo può portare alla
collettività? Rawls introduce un’idea secondo la quale se una persona dovesse
decidere, dietro un velo di ignoranza riguardo a chi sei e chi sarai, quale struttura
della distribuzione del reddito reputeresti corretta? Se ognuno non conosce la
propria posizione sociale la distribuzione del reddito che tutti sceglierebbero
secondo Rawls è quella in cui se siamo quelli più sfortunati siamo messi nella
posizione migliore, cioè ci tuteliamo nei confronti della possibilità di andare a finire
nella situazione più difficile. Dal velo dell’ignoranza. Rawls deduce il criterio del
massimalismo ossia un criterio di scelta razionale in condizioni di incertezza,
ciascun individuo concorderà dietro il velo di ignoranza sull’adozione di principi di
giustizia come guida per le decisioni collettive:

1. Primo principio di giustizia sancisce il diritto alle libertà individuali ovvero la più
ampia libertà per ciascuno compatibilmente con la libertà degli altri. A ciascun
individuo vanno garantite tutte le libertà fondamentali che sono garantite fino al
momento in cui non entrano in conflitto con le libertà degli altri.
2. Secondo principio di giustizia ammette la diseguaglianza economica e sociale
solo se a favore dei gruppi di individui più svantaggiati. La distribuzione del
reddito dovrebbe essere tale per cui si tutela il benessere dell’individuo più
povero, la soluzione non è necessariamente l’equidistribuzione. Questo principio
quindi ammette diseguaglianze economiche e sociali a condizione che queste
diseguaglianze alla fine avvantaggino chi è più svantaggiato. Se si tassano
troppo gli individui più ricchi poi non c’è nulla da distribuire agli altri, questa è la
ragione per la quale pensando al 2° teorema dell’economia del benessere
l’equidistribuzione non può essere raggiunta. Quindi un governo che voglia
perseguire un forte obiettivo di redistribuzione deve stare molto attento a non
generare una pressione fiscale troppo elevata.
I due principi di giustizia presentati seguono un ordinamento lessicografico: il
secondo principio non può essere applicato se non è stato applicato il primo.
la combinazione del criterio del maximin (massimalismo) con il lessicografico
(principi della giustizia da applicarsi in ordine) produce il criterio del leximin in base
al quale le scelte collettive vengono prese a partire dall’obiettivo di tutelare
l’interesse alla fine degli individui più poveri/svantaggiati. Secondo Rawls il velo
dell’ignoranza può essere utilizzato come marchingegno per derivare i principi della
giustizia a prescindere dalle idee di utilità e a prescindere dalla definizione di

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probabilità oggettive quindi un velo di ignoranza nel quale non si possono
assegnare probabilità per quello che riguarda la possibilità che un individuo sia o
meno il più svantaggiato.

Politica economica lez 21

Lez 21 - paradosso del voto e teorema di Arrow


Mentre all’interno del sistema economico regolato dai meccanismi di mercato sono
i prezzi lo strumento che permette un’allocazione delle risorse e il raggiungimento
dell’equilibrio, quando si fa riferimento alla produzione di beni pubblici le scelte
sono governate da uno strumento che è diverso dallo strumento dei prezzi, quello
che serve è una regola di aggregazione delle preferenze individuali in una
preferenza collettiva. Nelle democrazie il meccanismo è quello di una democrazia
indiretta nella quale i cittadini votano i loro rappresentanti i quali prendono delle
decisioni che impattano sul benessere degli individui. La simmetria è evidente,
quando si parla di scelte di mercato queste scelte sono mediate attraverso il
meccanismo dei prezzi, quando invece si parla di scelte collettive relative a
questioni di interesse collettivo, queste decisioni sono mediate attraverso uno
strumento diverso da quello dei prezzi.

La questione interessante è cercar di capire se le scelte prese dai governi sono


scelte che rispettano i meccanismi della razionalità; talvolta il mercato non riesce a
raggiungere l’efficienza ma c’è qualcosa che ci assicura che le scelte collettive
possano portare all’efficienza economica? Il mercato non è in grado di raggiungere
l’efficienza in materia di beni pubblici e questo lascia uno spazio aperto affinché si
possa trovare una soluzione all’interno delle scelte collettive. Vediamo quali sono gli
strumenti a disposizione per le scelte collettive, quali sono i requisiti che
dovrebbero guidare i processi di decisione pubblica e perché è difficile raggiungere
scelte collettive eque e razionali.

Diverse decisioni possono garantire una razionalità collettiva.

1. Innanzitutto c’è la regola dell’unanimità che non può che portare ad esiti
soddisfacenti, è la regola di Pareto per la quale nessuno rimarrà svantaggiato e
qualcuno ricaverà un vantaggio. Il problema è che questo metodo è difficilmente
applicabile, teoricamente la Costituzione per essere modificata dovrebbe
richiedere l’unanimità ma storicamente si sono viste modifiche che non sono
state fatte all’unanimità.
2. Spesso non si può seguire l’unanimità e si usa quindi la maggioranza semplice
che richiede semplicemente l’accordo del 50%+1 dei votanti. Anche se tutti
invochiamo spesso al regola della maggioranza ogni volta che c’è discordia,
questa regola ha dei grandi pregi ed è quella sulla quale si basa la democrazia,

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però è un criterio che non sempre porta a scelte finali razionali. Prendiamo

questo esempio

Relativo alle preferenze degli individui in materia di spesa pubblica per


l’istruzione, in passato in italia gli studenti spesso andavano in piazza per
difendere la scuola pubblica. Supponiamo di essere in un contesti semplice di
una nazione fatta di 3 gruppi omogenei di individui ciascuno dei quali è
omogeneo al proprio interno, e che abbiano lo stesso peso, che devono
decidere quanto spendere per quello che riguarda l’istruzione universitaria
fornita dallo stato. Ciascun gruppo ha preferenze diverse dall’altro. Tutti e 3 i
gruppi di individui sono ragionevoli, vediamo se si vota a maggioranza cosa
potrebbe succedere:
• si confronta una situazione di poca spesa pubblica con un livello intermedio di
spesa pubblica: il primo gruppo di individui e il secondo gruppo di individui
preferiscono poca spesa pubblica ad una spesa intermedia.
• Se io vado a confrontare la spesa intermedia con una spesa elevata osservo il
primo gruppo preferisce una spesa intermedi a quella elevata e lo stesso vale per
il terzo.
➡ Quindi 2/3 preferiscono poca spesa a spesa intermedia e 2/3
preferiscono spesa intermedia a spesa elevata quindi per la transitività poca
spesa pubblica è preferita ad una spesa elevata. In questa nazione si
dovrebbe spendere poco per l’istruzione pubblica
• Se però confrontiamo poca spesa pubblica con la spesa elevata si può osservare
che la spesa elevata è preferita a poca spesa da parte del secondo gruppo e lo

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stesso vale per il terzo gruppo. Quindi il principio di transitività che vorrebbe che
poca spesa pubblica sia preferita alla spesa elevata non vale.
➡ Questo per dire che qui le preferenze collettive sono intransitive, il
voto a maggioranza porta ad un esito irrazionale, se si confrontano a due a
due le alternative si può arrivare ad una soluzione ma è una soluzione
irrazionale. Quello che succede è che le preferenze collettive in un contesto
di voto a maggioranza possono portare a scelte intransitive o cicliche.
3. Si può provare ad aggirare quello che abbiamo appena visto che è noto come
paradosso del voto o paradosso della maggioranza si può provare ad aggirare
questo paradosso assegnando un punteggio alle alternative. Assegnare un
punteggio vorrebbe dire assegnare un’intensità alle preferenze e questo modo
di scegliere introdurrebbe un qualche grado di cardinalità alle preferenze che è
quello che cercavamo di abbandonare passando dalle funzioni sociali del
benessere alle regole di scelta aggregata.
Ogni criterio di scelta, non solo il criterio della scelta a maggioranza, può incontrare
dei limiti e in questo si concentra il contributo del premio nobel Kenneth Arrow. Una
funzione di benessere sociale, ma possiamo anche chiamarla regola di scelta
collettiva, è una regola che ad ogni preferenza individuale R1,R2…Rn indica la
struttura delle preferenze individuali o una regola di aggregazione che assegna ad
ogni profilo di preferenze individuali una regola di preferenza collettiva. Kennet
Arrow ha cercato una regola di aggregazione delle preferenze che rispetti il requisito
della razionalità delle preferenze collettive e rispetti altri requisiti minali:

• Requisito di dominio non ristretto delle preferenze e cioè la regola di


aggregazione delle preferenze individuali in una preferenza collettiva. Dovrebbe
essere in grado di trattare tutti gli ordini di preferenze, il livello di aggregazione
deve essere in grado di tener conto di tutte le preferenze individuali.
• Deve rispettare tutte le regole di Pareto se tutti preferiscono un’alternativa alla
seconda, la scelta collettiva deve rispettare tale preferenza.
• Requisito di indipendenza dalle alternative irrilevanti cioè la mia scelta fra
l’alternativa A e l’alternativa B non deve dipendere da come le due alternative si
comportano nei confronti di una terza. Non si devono quindi introdurre oggetti
irrilevanti nel processo di scelta collettiva. Questo è il requisito più complicato
perché si introduce un elemento di scelta esogeno rispetto a quello che è
l’effettivo oggetto del contendere, dobbiamo scegliere tra A e B e non deve
importare come consideriamo A e B nei confronti di una terza alternativa. Si tratta
di inserire cardinalità, se assegno un punteggio alle alternative e introduco
un’alternativa irrilevante assegnare questo punteggio potrebbe portare ad una
scelta collettiva che rispetta gli altri requisiti, però vorrebbe dire introdurre un
grado di cardinalità.
• Requisito di non dittatorialità nel senso che le preferenze di un individuo non
dovrebbero rappresentare sistematicamente quelle della collettività e viceversa.

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Le preferenze collettive non devono coincidere sistematicamente con quelle
dell’ipotetico dittatore.
Il teorema di Arrow

Il teorema di Arrow afferma che non esiste nessuna regola di scelta collettiva che
sia razionale che rispetti il requisito di dominio non ristretto delle preferenze, che
rispetti la regola paretiana, che non sia dittatoriale e che infine non tenga conto
dell’intensità delle preferenze. Quindi un pessimo risultato, non c’è una regola di
scelta collettiva che tiene conto di quei requisiti minimali, In realtà nel mondo
concreto quei requisiti sono fin troppo stringenti, una similitudine nelle preferenze
esiste e in modo particolare più ci si allontana dal livello ottimale di scelta di un
individuo la soddisfazione si riduce. In un contesto come questo vince l’elettore
mediano che divide in due la distribuzione delle preferenze, non è un elettore medio,
la mediana potrebbe essere molto a sinistra o molto a destra nella distribuzione. Sia
in una democrazia diretta che in una democrazia rappresentativa per vincere le
elezioni il partito o la coalizione che le vinceranno ha bisogno di catturare fra le sue
fila almeno il 50%+1 o comunque quell’individuo che divide in due la distribuzione
delle preferenze quel “+1” mediano che in base alle proprie preferenze condiziona
sia il voto in una democrazia diretta, dove bisogna avere il voto di quell’individuo sia
le decisioni di una democrazia rappresentativa.

Concludiamo ricordando quello che afferma il teorema dell’elettore mediano


afferma che se le preferenze degli individui hanno una sola cima, l’elettore mediano
diventa decisivo per la formazione di una maggioranza.

Politica economica lez 22

Lez 22 - indice di Gini


Nelle prossime due videolezioni chiudiamo la prima parte del corso. Ci siamo
fermati la volta scorsa parlando di funzioni sociali del benessere, di scelte collettive,
di teorema di Arrow e difficoltà nelle scelte collettive. Per chiudere gli argomenti
relative alle politiche microeconomiche ci concentriamo su un approccio più
pragmatico. Quando si parla di giustizia distributiva, distribuzione del reddito,
spesso si fa riferimento a numeri indice di facile calcolo e correntemente usati per
giudicare l’andamento dell’economia reale in materia di distribuzione del reddito.

Equità distributiva e indici per la distribuzione del reddito

Ci sono moltissimi indici come lo Scarto quadratico medio, la varianza e altri. La


misura più nota è l’indice di Gini che viene usato a livello internazionale per parlare
di concentrazione nella struttura della distribuzione del reddito.

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venerdì 13 marzo 2020


come si calcola l’indice di Gini? Lo si calcola prendendo tutti gli scarti fra i redditi.
es. abbiamo 50 individui in una collettività dobbiamo prendere tutti gli scarti dei 50
individui, differenza tra A e B, B e C etc. E ottengo 50 al quadrato / 2 ( fratto 2
altrimenti confronto tutto due volte).
La formula per calcolarlo è

Prendo tutti gli individui i e j, calcolo lo scarto e chiaramente lo calcolo due volte
perché se inverto i e j calcolo due volte lo stesso scarto con segno opposto, quindi
prendo la sommatoria di tutti gli scarti fra l’individuo i e j, li sommo, ne calcolo la
media, e rapporto questa media a reddito medio degli individui. L’esito è l’indice di
Gini che quindi è dato dal rapporto fra la media degli scarti e il reddito medio.

Dal punto di vista grafico ci


possiamo aiutare
utilizzando questo grafico:

Quello che posso rappresentare per quello che riguarda la struttura della funzione
del reddito è un quadrato di larghezza 1 o 100% e di altezza 1 o 100%. Sull’asse
orizzontale troviamo la percentuale cumulata di famiglie dalla più povera alla più
ricca e su quello verticale la percentuale cumulata dei redditi detenuta da quella
percentuale di famiglie. Si ottiene una curva crescente che va da 0% famiglie che
detengono 0% reddito a 100% famiglie che detengono 100% di reddito. La
distribuzione dei ricchi e poveri viene descritta proprio dalla curva di Lorenz. Il 50%
delle famiglie non ha il 50% del reddito totale altrimenti non ci sarebbe
sperequazione che invece, ovviamente, esiste. Questa curva tende ad essere

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schiacciata verso il basso, tende a coincidere con i lati in basso a destra del
quadrato, quanto più tende ad essere schiacciata in giù tanto più è sperequata la
distribuzione del reddito, viceversa più la curva è spostata verso l’alto tanto meno è
sperequata la distribuzione del reddito. La curva di Lorenz si può collocare nel
mondo reale in diverse situazioni con due estremi:

• Curva di Lorenz che si appiattisce verso i lati in basso a destra del quadrato:
indica una fortissima sperequazione. Quando eguaglia i lati in basso a destra
indica la massima sperequazione.
• Una curva che tende ad essere vicina alla diagonale del quadrato tende a
manifestare una maggior equità distributiva nella distribuzione del reddito. In
realtà la diagonale del quadrato sta a rappresentare la perfetta equidistribuzione.
La curva di Lorenz che abbiamo tracciato ci descrive la sperequazione nella
struttura delle distribuzione del reddito, però serve un indicatore più sintetico che è
l’indice di Gini. L’indice di Gini può essere calcolato in modo più semplice rispetto
alla formule complessa che abbiamo visto ( rapporto fra la media degli scarti e
reddito medio). Cosa indica la concentrazione nella distribuzione del reddito? La
distanza tra la curva di Lorenz e la diagonale del quadrato, questa distanza è
descritta in modo semplice dall’area che sta tra la diagonale del quadrato e la curva
di lorenz. Più l’area è piccola più la distribuzione del reddito è equa. Come posso,
quindi, calcolare un indicatore della distribuzione del reddito? Posso rapportare
l’area A al valore massimo che può raggiungere dato da tutto il triangolo dato da A
+ B. Si può provare che in effetti l’indice di Gini può essere calcolato proprio come
rapporto fra l’area A e la somma fra A e B, A/(A+B). La somma fra A + B è data da
A/(1/2) e quindi l’indice di Gini è dato da 2A.

Dunque abbiamo la massima sperequazione ogni volta in cui la curva di Lorenz


di allontana dalla diagonale e l’indice di Gini è pari a 1, quindi l’area A tende a
coincidere con A+B e quindi il loro rapporto diventa pari a 1.
Quando invece la curva di Lorenz tende ad essere uguale alla diagonale del
quadrato ossia la retta dell’equidistribuzione l’area A tende a 0 e quindi 2A=0 e
l’indice di Gini è pari a 0
➡ L’indice di Gini è compreso tra 0 e 1 dove 0 è l’equidistribuzione e 1 è le
massima sperequazione
L’indice di Gini è usato in modo diffuso al fine di giudicare la distribuzione dei
redditi. Non sempre però quando si dice che l’indice di Gini è peggiorato ciò
significa che è aumentato e quindi è aumenta la sperequazione. Per spiegarlo
facciamo un esempio:

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L1 è la curva di Lorenz relativa alla distribuzione del
reddito numero 1. Quindi L1 indica la prima curva di
Lorenz ossia la curva di partenza

Immaginiamoci poi che dopo un anno la curva di


Lorenz cambi e diventi quella disegnata in rosso ossia
L2, sono disegnate in modo tale da intersecarsi. L2
interseca dall’alto L1.

Per come è disegnato l’indice di Gini collegato alla seconda curva di Lorenz è un
indice di Gini “peggiore” nel senso che la seconda curva è complessivamente più
vicina ai due lati in basso a destra. Siamo sicuri che la curva L2 alla quale è
associato un indice di Gini più alto sia più sperequata rispetto alla curva L1? I più
poveri nella prima situazione stanno meglio perché la curva L1 è sotto alla curva L2,
possiamo dire che sebbene l’indice di Gini relativo alla distribuzione L2 sia più alto e
quindi apparentemente dovrebbe essere più sperequata la distribuzione L2, i poveri
stanno meglio nella distribuzione L1, secondo Rhodes (come avevamo visto)
dovremmo misura l’equità distributiva sulla base di chi sta peggio, e dunque l’indice
di Gini ci fornisce un’indicazione fortemente distorta. Questo ci fa dire che forse
dovremmo cercare un indice diverso per la misura della sperequazione nella
distribuzione del reddito, in realtà non esiste un indicatore oggettivo ai fini della
misurazione dell’equità distributiva. Qualunque indicatore sceglieremo è collegato
ad un giudizio di valore.

Politica economica lez 23

Lez 23 - indice di Atkinson


Questa è l’ultima lezione relativa alla prima parte del corso.
Abbiamo parlato di indice di Gini, quello che possiamo fare adesso è concentrarci

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su altri possibili indicatori utili al fine di misurare la concentrazione nella
distribuzione del reddito.

Abbiamo visto una funzione sociale del benessere isoelastica ovvero ad elasticità di
sostituzione costante, ciò significa che è anonima perché non da peso ai soggetti e
per questo si parla di funzione del benessere anonima che tratta gli individui in
modo simmetrico. Con il contributo di Bergson e Samuelson abbiamo parlato di
funzione sociale del benessere isoelastica come qualcosa che può rappresentare le
preferenze dalla collettività e agli estremi di quella funzione sociale del benessere ci
stanno la funzione sociale del benessere alla Bentham e all’altro estremo alla Rawls.
Dovremmo scrivere le utilità al posto dei redditi per entrare nell’alveo stretto
all’interno del concetto di funzione sociale del benessere alla Samuelson, se usiamo
direttamente i redditi al posto delle utilità possiamo derivare a partire da questa
funzione sociale del benessere (disegnata nello spazio dei redditi al posto che delle
utilità) una batteria di indicatori relativi all’equità distributivi.
Per farlo cominciamo
rappresentando graficamente

Grafico dei
casi
intermedi
rispetto ai
due
estremi

Le curve di livello sono simmetriche rispetto alla bisettrice degli assi, trattano i due
individui allo stesso modo, la funzione isoelastica è

Dove il parametro epsilon sta ad indicare l’intento alla redistribuzione del reddito da
parte del policy maker.

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• Se epsilon= 0 l’indice del benessere collettivo è pari alla somma dei redditi, se
usassimo le utilità sarebbe la funzione del benessere alla Bentham. Non importa
come è distribuito il reddito, l’importante è la somma tra i redditi

• Se epsilon tende ad ∞ si ottiene la funzione del benessere alla Rawls. Se osservo


il punto A vedo che il benessere collettivo non si modifica se aumenta il benessere
del signor 1 che è il più ricco dei due. Se dal punto A mi muovo verso destra
aumenta il benessere dell’individuo più ricco ma non aumenta l’indice del
benessere collettivo, lo stesso vale per il punto B, e questo perché A e B sono
sulla stessa curva di livello. Affinché migliori il benessere della collettività occorre
che aumenti il benessere di entrambi.

L’indice di Atkinson

È molto utile per giudicare l’intento redistribuivo dei governi. Basta vedere la
differenza tra gli indici di Gini dei vari paesi per rendersi conto di come i governi
abbiano intenti ridistribuivi diversi l’uno dall’altro. Se proviamo ad esplicitare i giudizi

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di valore in materia di distribuzione del reddito possiamo trovare degli indici che
misurino la concentrazione coerenti
con quei giudizi di valore.

Y1° e Y2° sta ad indicare la struttura della


distribuzione del reddito fra i due individui nel contesto di partenza. Come faccio a
misurare la sperequazione? Devo partire dall’idea di funzione sociale del benessere
che può essere interpretata partendo dal grafico, quindi partendo dal valore di
epsilon. La curva disegnata è una curva di livello relativa alla funzione sociale del
benessere ed è quindi coerente con un particolare valore di epsilon. Ricordiamo che
se epsilon fosse ∞ la curva sarebbe una L se invece epsilon fosse 0 sarebbe una
retta con pendenza negativa a 45°. Questo è uno dei casi intermedi in cui la
preferenza del policy maker che vuole giudicare com’è la distribuzione del reddito.
Possiamo osservare che oltre al punto di partenza iniziale dei redditi (Y1° Y2°)
possono osservare il reddito medio che è dato da Ym. Posso confrontare questo
reddito medio con quello che chiameremo il reddito equivalente equamente
distribuito. Y* è il reddito equivalente equamente distribuito. Se confronto Y* con
Ym posso identificare un indicatore: l’indice di Atkinson dato da

È facile osservare come l’indice di Atkinson dipenda da epsilon:

• Se epsilon tende a zero l’indice di Atkinson è zero come nella funzione del
benessere alla Bentham
• Se epsilon tende a ∞ la differenza tra Ym e Y* è massima. Quindi l’indice di
Atkinson aumenta
L’implicazione è che ogni giudizio sull’equità distributiva, quindi ogni scelta in
materia di distribuzione del reddito, non è mai una scelta neutrale che deriva da una
qualche oggettività che può essere giustificata a fronte di qualunque
argomentazione. Ogni giudizio sull’equità distributiva, in materia di tassazione

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dipende dalle visioni della politica; l’economista può solo misurare la distanza tra la
situazione concreta e l’obiettivo prescelto.

Non c’è una misura assoluta della sperequazione tra i redditi.

Politica economica lez 24

Lez 24 - 6.1 il pil e le sue componenti


La macroeconomia è lo studio della produzione complessiva, dell’occupazione,
dell’inflazione, del costo del credito, delle esportazioni/importazioni, dei tassi di
cambio e più in generale di tutte le grandezze aggregate relative al funzionamento
del sistema economico.
La contabilità nazionale in particolare si occupa della misurazione del Pil, la sigla
PIL sta per prodotto interno lordo ovvero la produzione all’interno di una nazione in
un periodo di riferimento, in generale un anno, un trimestre o mese. L’economia di
una nazione e quindi il suo PIL possono essere osservate da 3 differenti prospettive:

1. Dal lato della produzione


2. Dal lato del reddito
3. Dal lato della spesa
Immaginando in modo schematico l’economia di una nazione questa include:

• l’attività delle persone e quindi delle famiglie e delle imprese


• Le persone mettono a disposizione il loro lavoro e i capitali necessari alle imprese:
detti fattori produttivi
• L’attività produttiva delle imprese genera valore aggiunto che costituisce il reddito
delle famiglie, degli imprenditori e dei lavoratori coinvolti nel processo produttivo
• Questo reddito a sua volta si trasforma in spesa per l’acquisto di beni e servizi
• Il sistema economico è caratterizzato da un flusso circolare tra reddito e spesa
Ampliando il discorso per calcolare il PIL occorre tener conto anche del settore
pubblico e dei rapporti con il resto del mondo:

- Parte della spesa è costituita da acquisti di merci prodotte nel resto del mondo ,
le importazioni

- Parte della produzione alimenta la domanda mondiale, le esportazioni


Visto dal lato della produzione il PIL può essere calcolato come somma dei valori
aggiunti prodotti dall’insieme delle imprese all’interno della nazione

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Visto dalla prospettiva del reddito è la somma fra redditi da lavoro e redditi da
capitale
La terza prospettiva che è quella più comunemente usata nei modelli economici è
relativa alla spesa aggregata sulla quale ci fermeremo. È importante fare
riferimento alla principale equazione della contabilità nazionale ovvero l’identità tra
reddito e spesa: la somma dei redditi è pari alla somma delle spese.
Per meglio comprendere la composizione della spesa ci concentriamo su 4 soggetti
che la determinano:

1. Famiglie: possono spendere tutto il reddito o risparmiarne una parte. Attraverso


il sistema creditizio/finanziario il risparmio si trasforma in capacità di spesa per
altre famiglie, imprese o soggetti pubblici nel nostro paese o nel resto del
mondo. Le famiglie spendono in beni di consumo durevoli e non durevoli e in
beni di investimento come le abitazioni
2. Imprese: acquistano beni finali che vanno ad aumentare lo stock di capitale e
sono chiamati investimenti netti, oppure rimpiazzano il capitale divenuto
obsoleto (gli ammortamenti) , il totale di questi investimenti è detto investimenti
lordi ed è quello utilizzato ai fini del calcolo del prodotto interno lordo
3. Stato: la spesa della pubblica amministrazione include gli acquisti di beni/servizi
da parte dello stato
4. Resto del mondo: le esportazioni nette sono riferite all’acquisto di beni e servizi
da e verso il resto del mondo
Il PIL può essere visto come la somma di queste 4 componenti, di conseguenza
l’aumento o la diminuzione di ognuna di queste componenti influenza l’andamento
del PIL complessivo. Ad esempio un aumento dell’investimenti delle spese
determina un aumento del PIL oppure una riduzione della spesa pubblica determina
una riduzione del PIL.

I rapporti con il resto del mondo sono anche di tipo finanziario, i due piatti della
bilancia dei pagamenti sono costituiti da:

• Bilancia commerciale: esportazioni nette


• Saldo dei movimenti di capitale: che non rientrano nel PIL
Il prodotto interno lordo è una delle misure più utilizzate per confrontare
l’andamento dell’economia di diversi paesi o per comprenderne la dimensione
relativa. Es. PIL italia 2016 = 1.672 mld ; PIL Germania 2016 = 3.134 mld ; PIL
Regno Unito 2016 = 2.367 mld.

Lo studio della contabilità nazionale ci permette inoltre di capire la relazione tra


risparmio e investimenti, immaginando una semplice economia chiusa (no
commercio internazionale) e senza una pubblica amministrazione si può
comprendere più facilmente la relazione tra risparmio e investimenti. Il reddito

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venerdì 13 marzo 2020


prodotto, cioè il PIL può essere solo consumato o risparmiato, d’altra parte se non
ci sono PA e scambi con il resto del mondo la formula del PIL ci dice che esso è
dato solo dalla somma di consumi e investimenti. Le cose si complicano
nell’economia reale introducendo lo stato e i rapporti con il resto del mondo,
accanto al risparmio del settore privato ossia risparmio delle famiglie e
autofinanziamento delle imprese dobbiamo tener conto del risparmio del settore
pubblico o del suo indebitamento nonché della posizione creditoria o debitoria del
resto del mondo:

• Il risparmio privato equivale al reddito disponibile meno il consumo;


• il risparmio del settore pubblico è dato dalla differenza frase entrate (tasse) e le
spese (costi personale pubblico, acquisti di beni e servizi, interessi sul debito) se il
risparmio pubblico è negativo si parla di deficit;
• Il risparmio del resto del mondo nei confronti del nostri paese è rappresentato dal
reddito che i paesi esteri hanno ricevuto dall’italia meno il reddito che l’italia ha
ricevuto del resto del mondo
Sommando risparmio privato, risparmio pubblico e risparmio del resto del mondo
otteniamo il risparmio aggregato, è possibile dimostrare con una serie di formule
matematiche che il risparmio aggregato coincide sempre con gli investimenti lordi.
Ecco perché è importante per uno stato tener sotto controllo i debiti pubblici. Il
deficit di uno stato si trasforma in minor investimenti da parte delle imprese. Poiché
non è immaginabile pensare che fil fabbisogno delle imprese per il finanziamento
dei progetti di investimento possa esser sistematicamente soddisfatto da parte del
resto del mondo, è chiaro che una dinamica sistematicamente negativa dei conti
pubblici riduce la crescita economica.

Politica economica lez 25

Lez 25 - 6.2 fluttuazioni cicliche


Se prendiamo in considerazione i dati storici relativi al prodotto interno lordo
vediamo come in un arco sufficientemente lungo di tempo la sua dinamica sia
caratterizzata da due elementi:

1. Un trend crescente
2. Fluttuazioni anche di ampie dimensioni
Con ciclo economico si intende il susseguirsi di tali fluttuazioni che in sequenza
sono costituite da:

• Un punto di massimo in cui la produzione è più elevata rispetto al trend

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• Una fase di recessione in cui la crescita economica rallenta e scende al di sotto
del trend di lungo periodo: in tale contesto e in casi più gravi non solo si riduce la
crescita del PIL ma può ridursi persino il suo valore assoluto
• Un punto di minimo che insieme rappresenta la fase più negativa della fluttuazione
ciclica ma anche il punto svolta
• Infine una fase espansiva di ripresa in cui il PIL progressivamente cresce fino a
raggiungere un nuovo punto di massimo relativo
Il trend di lungo periodo può essere alternativamente visto come la curva
interpolante i dati storico o come il viluppo superiore di tali grafici, in poche parole
la curva che collega i picchi del ciclo. Questa curva in ciascun momento misura il
reddito potenziale massimo dell’economia cioè il livello del reddito che potrebbe
essere ottenuto nel caso in cui tutti i fattori produttivi fossero utilizzati appieno. La
differenza tra PIL potenziale ed effettivo, denominata gap o divario del PIL misura lo
stato di salute del sistema economico. I trattati europei in particolare il trattato di
fiscal compact fanno riferimento al concetto di disavanzo nei conti pubblici corretto
per il ciclo economico, la correzione per il ciclo economico viene effettuata tenendo
conto esattamente del divario del PIL, in buona sostanza nel periodo in cui il divario
del PIL è contenuto le nazioni europee devono ridurre il rapporto tra debito pubblico
e prodotto interno lordo e contenere il disavanzo nei conti dello stato.
Il trattato di fiscal compact prevede che nei periodi in cui il PIL effettivo è prossimo
a quello potenziale, ovvero qualora il gap del pil sia trascurabile le nazioni il cui
debito pubblico eccede il 60% del prodotto interno lordo dovrebbero ridurre tale
eccedenza in misura pari a 1/20 ogni anno.

Vediamo come si muovono altre grandezze economiche rispetto alle fluttuazioni del
prodotto interno lordo:

- Consumi e investimenti si muovono nella stessa direzione, hanno un andamento


prociclico

- Anche l’inflazione ha un andamento prociclico rispetto al PIL, non c’è dubbio che
il tasso di inflazione sia fortemente influenzato, quasi totalmente determinato dalla
politica monetaria posta in essere da parte della banca centrale, ma è un fatto
che nella recente storia d’Europa l’inflazione sia rimasta contenuta nonostante le
politiche espansive poste in essere dalla BCE In un contesto di stagnazione del
PIL

- Il tasso di disoccupazione è anticiclico: quando il PIL sale la disoccupazione si


riduce, viceversa quando il PIL scende la disoccupazione aumenta.
Alcune grandezze economiche possono anticipare le fluttuazioni del PIL pertanto
sono oggetto di monitoraggio continuo da parte delle autorità di politiche
economiche, ad esempio gli investimenti in costruzioni anticipano le fasi di

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espansione del reddito nazionale, famiglie e imprese in effetti decidono di investire
solo in un contesto di aspettative positive riguardo al futuro.

Politica economica lez 26

Lez 26 - 6.3 inflazione


Con inflazione si intende un aumento continuo e generalizzato dei prezzi. Il termine
aumento continuo evidenzia il fatto che il fenomeno è dinamico, non basta che i
prezzi aumentino in un determinato momento della storia ma occorre che questo
aumento sia sistematico ovvero si ripeta in modo continuativo. In generale
l’inflazione è vista di buon grado dai debitori e male dai creditori, il valore reale dei
debiti e crediti viene ridotto dall’inflazione.
Per capire la natura del problema basta fare riferimento ai depositi bancari, le
famiglie scelgono di accantonare depositi bancari per garantirsi capacità di spesa
nel futuro, supponiamo che tutti i prezzi aumentino di misura pari al 20% in un anno
come avvenne in Italia all’inizio degli anni ’70 dopo gli shock petroliferi, se nell’arco
dell’anno solare il volume complessivo dei depositi rimane invariato il loro potere id
acquisto si riduce esattamente del 20%, la stessa massa di denaro può acquistare
solo l’80% delle merci che era in grado di acquistare l’anno precedente. In effetti
l’inflazione può essere vista come una particolare forma di tassazione della
ricchezza finanziaria.

Con imposta da inflazione o signoraggio si fa riferimento alla capacità degli stati di


finanziare il proprio fabbisogno con emissione di nuova moneta e non attraverso
l’istituzione di nuovi tributi. L’imposta da inflazione ha gli stessi effetti della
tassazione, una persona che voglia mantenere invariato il potere d’acquisto del
proprio conto corrente bancario è costretta ad incrementarne il valore in misura pari
al tasso di inflazione. Dunque deve risparmiare una parte aggiuntiva del proprio
reddito o a lavorare di più in modo tale da perseguire l’obiettivo. L’effetto è identico
a quello che si sarebbe osservato in assenza di inflazione e in presenza di un
incremento della pressione fiscale. Se le imposte aumentano il contribuente che
vuole mantenere invariato il valore del proprio conto corrente sarà costretto anche
in questo caso a lavorare di più o a consumare di meno.

All’interno dei sistemi economici moderni l’inflazione può essere calcolata seguendo
due approcci alternativi diametralmente opposti tra di loro:

• Il primo approccio consiste nell’analisi della dinamica di un costo di un paniere di


beni rappresentativi e nel calcolo di un indice dei prezzi
• Il secondo approccio si concentra su tutte le componenti del prodotto interno
lordo, parleremo di deflatore implicito del PIL come misura dell’inflazione

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In Italia, in Europa e nella quasi totalità delle nazioni industrializzate l’inflazione viene
calcolata identificando un paniere di beni rappresentativo e osservandone la
dinamica del costo complessivo. L’inflazione è il costo tra un anno e l’altro.
Osservato il costo del paniere rappresentativo in un anno di riferimento, l’anno
base, si determina l’indice del livello generale dei prezzi come rapporto far costo del
paniere nell’anno corrente e costo del paniere nell’anno base. L’inflazione viene
quindi calcolata in tutti gli anni successivi come variazione percentuale dell’indice
del livello generale dei prezzi.
Costo del paniere Indice dei prezzi

Anno 0 2.500 2.500/2.500 1

Anno 1 2600 2.60072.500 1,04

Anno 2 2750 2.750/2.500 1,1

es.

In pratica fra il tempo 0 e il tempo 1 l’inflazione sarà del 4% mentre fra il tempo 1 e il
tempo 2 sarà il 5,77% = (1,1-1,04)/1,04

È chiaro che il valore dell’indice dei prezzi e dell’inflazione dipende dalla scelta del
paniere dei beni, nel caso dell’economia italiana si calcola:

• Indice dei prezzi al consumo

• Indice sindacale del costo della vita

• Indice dei prezzi dei beni di investimento

In funzione dei soggetti di volta in volta interessati al calcolo dell’inflazione.


poiché i panieri rappresentativi sono diversi in generale risulterà diverso almeno al
margine il valore calcolato dell’inflazione.

Come anticipato è possibile procedere al calcolo dell’inflazione riferendosi al


deflatore implicito del PIL ovvero al rapporto fra PIL nominale e PIL reale
2016 2017

Quantità Prezzo Quantità Prezzo

Scarpe 30 30 euro 35 32 euro

Abiti 30 10 euro 40 11 euro

Pane 90 10 euro 100 12 euro

• Pil nominale = somma del valore netto delle vendite in ciascuno dei due anni

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- PIL nominale 2016 = 2100

- PIL nominale 2017 = 2760

- Crescita 31% data dall’aumento dell’aumento della produzione effettiva,


variazione del PIL reale e inflazione

• PIL reale 2017 = quantità del 2017 per prezzi del 2016 = 2450

• Deflatore implicito è il rapporto tra PIL nominale e PIL reale 2760/2450 = tasso di
inflazione del 12,65%

Politica economica lez 27

Lez 27 - 6.4 sistema europeo di banche centrali e BCE


Il ruolo della BCE è importantissimo all’interno dell’unione europea. In questa
lezione scopriremo come è nata, che obiettivi ha e come è organizzata la banca
centrale europea oltre che il suo ruolo all’interno del sistema delle banche centrali e
dell’eurosistema.

Il sistema europeo di banche centrali e la BCE furono istituiti con il trattato di


Maastricht quindi simultaneamente all’unione europea come previsto dall’art.8 del
trattato. La BCE costituisce il nucleo dell’eurosistema e del sistema europeo di
banche centrali. L’eurosistema è costituito dalla BCE e dalle banche centrali
nazionali dei 19 stati membri dell’unione che hanno adottato l’euro, mentre il
sistema europeo di banche centrali comprende la BCE e le banche centrali di tutti i
28 paesi dell’unione europea (- 1 che è il regno unito). L’eurosistema e il sistema
europeo di banche centrali coesisteranno fino a quando ci saranno stati membri
dell’UE non appartenenti all’area dell’euro. Secondo il trattato di Maastricht
l’obiettivo principale del sistema europeo di banche centrali è il mantenimento della
stabilità dei prezzi. Quali sono i compiti del sistema europeo di banche centrali? Li
definisce l’art.2 del protocollo sullo statuto del sistema europeo di banche centrali:

• Definizione e attuazione della politica monetaria dell’area euro


• Svolgimento degli interventi sul mercato dei cambi
• Gestione delle riserve ufficiali degli stati membri
• Promozione del regolare funzionamento dei sistemi di pagamento
La BCE è un’istituzione dotata di personalità giuridica e rappresenta il soggetto
fondamentale del sistema europeo. Nell’ambito del meccanismo di vigilanza unico
che comprende anche le autorità nazionali competenti la banca centrale europea è

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preposta alla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi dell’unione, essa contribuisce
cosi alla sicurezza e alla solidità del sistema bancario e alla stabilità del sistema
finanziario nell’UE.

Quali sono poi i compiti della BCE?

• Autorizza l’emissione di banconote nell’eurozona


• Tramite le banche centrali nazionali o attraverso gli operatori acquisisce le
informazioni statistiche necessarie ad assolvere i compiti del sistema europeo di
banche centrali
• Nell’ambito della cooperazione internazionale intrattiene relazioni operative con le
istituzione dell’unione europea e a livello mondiale ad esempio il fondo monetario
internazionale e la banca mondiale in tutti gli ambiti di competenza
dell’eurosistema
• Viene consultata in merito a qualsiasi proposta di atto comunitario rilevante per le
sue competenze
• Viene anche consultata dalle autorità nazionali suoi progetti che rientrano nelle
sue competenze entro i limiti e alle condizioni stabilite dal consiglio dell’UE
La BCE può d’altra parte formulare pareri da sottoporre a istituzioni e organi
comunitari e alle autorità nazionali sempre e solo su questioni che rientrano nelle
proprie competenze. Un aspetto fondamentale dell’assetto delle autorità monetarie
europee è la loro indipendenza sancita dall’art.7 del protocollo sullo statuto del
SEBC. In cosa consiste e come si garantisce indipendenza? Indipendenza significa
che la BCE, una banca centrale nazionale appartenente all’eurozona o un membro
dei rispettivi organi decisionali non possono ne sollecitare ne accettare istruzioni da
parte di istituzioni degli organi comunitari o dei governi degli stati membri o da
qualsiasi altro organismo. Il principale organo decisionale è il consiglio direttivo
costituito da:

- 6 membri del comitato esecutivo


- Governatori delle banche centrali nazionali dei 19 stati UE che hanno adottato
l’euro. Dal 2015 con ingresso della Lituania il numero di nazioni che esercita a
turno il diritto di voto è limitato a 15 come previsto dal consiglio direttivo nel
dicembre 2002, i governatori esercitano a turno i diritti di voto con una rotazione
mensile
Il comitato esecutivo della BCE comprende:

- Presidente
- Vicepresidente
- Altri 4 membri che svolgono i loro compiti a tempo pieno

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I membri del comitato esecutivo sono nominati dal consiglio europeo che delibera a
maggioranza qualificata, il mandato del comitato esecutivo è di 8 anni e non è
rinnovabile. La durata e la non rinnovabili rinforzano l’effettiva indipendenza
dell’autorità di politica monetaria. Se il mandato fosse rinnovabile i membri del
consiglio direttivo potrebbero avere l’incentivo a modificare i propri comportamenti
prima della scadenza in funzione di una loro nuova nomina da parte delle autorità
politiche.

Politica economica lez 28

Lez 28 - 6.5 obiettivi e strumenti della politica monetaria


Come abbiamo visto l’obiettivo primario della BCE è la stabilità dei prezzi, non è
sempre stato cosi nella storia delle banche centrali, l’obiettivo finale della politica
monetaria è stato talvolta la crescita del PIL in altri casi la riduzione del tasso di
disoccupazione o l’equilibrio dei conti con l’estero o il valore del tasso di cambio, in
altri casi ancora un mix di obiettivi che non possono essere perseguiti
congiuntamente appieno perché incompatibili come, secondo alcuni economisti,
l’inflazione e la disoccupazione, le banche centrali non potendo influenzare
direttamente queste variabili cercano di portarle verso livelli desiderati attraverso il
meccanismo di trasmissione della politica monetaria cioè un processo in base al
quale le variazioni dei tassi di interesse influenzano attraverso vari canali e passaggi
le scelte degli operatori di mercato, l’attività economica e in ultima istanza il livello
generale dei prezzi. Ad esempio variazioni della quantità di moneta impattano sui
prezzi e quindi sull’inflazione mentre variazioni del credito impattano su investimenti
delle famiglie e delle imprese e quindi in ultima analisi sulla crescita. A ciascun
obiettivo intermedio a sua volta corrisponde l’utilizzo di strumenti adeguati in
particolare per tenere sotto controllo la massa di moneta occorrerà regolare la base
monetaria, con base monetaria, talvolta indicata come M0, si intende la somma tra
circolante (monete e banconote emessa dalla banca centrale) più le passività dalle
banca centrale verso le banche (riserve) esistono altre definizioni di moneta come
M1,M2,M3. Negli anni più recenti molte banche centrali BCE compresa hanno
scelto di fissare come obiettivo finale della propria politica il tasso di inflazione, nel
caso della BCE la politica monetaria è basata di norma su due pilastri fondamentali:

• Da un lato la BCE annuncia ogni anno la crescita della quantità di moneta


coerente con l’obiettivo della stabilità dei prezzi che nel caso europeo significa
un’inflazione intorno al 2%. È una strategia di inflation targeting: la banca
centrale definisce un tasso di inflazione obiettivo e tenta di mantenere l’inflazione
obiettiva intorno ad esso.

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• Dall’altro lato le autorità monetarie tengono sotto controllo una serie di indicatori
utili a prendere l’andamento futuro del tasso di inflazione e provvedono a
modificare la massa monetaria ogni volta in cui l’inflazione tende a deviare rispetto
al valore obiettivo. Questa seconda strategia è detta di monetary targeting:
l’offerta di moneta è l’obiettivo intermedio da conseguire operando sui tassi di
interesse
In ogni caso la Banca Centrale Europea segue una regola precostituita di politica
monetaria in cui la reazione agli eventi concreti è predeterminata al fine di rafforzare
la propria credibilità. Oggi le banche centrali dei maggior paesi industrializzati
seguono regole: nel caso degli USA la politica monetaria è basata sulla regola di
Taylor ovvero nei fatti la Federal reserve modifica in modo predeterminato il valore
del tasso ufficiale di sconto in funzione degli scostamenti che si registrano tra PIL
effettivo e PIL potenziale nonché in funzione del tasso di inflazione. Poiché la
politica monetaria ha effetti asimmetrici in funzione dei due obiettivi la fissazione del
tasso di interesse avviene assegnando pesi diversi all’inflazione e alla dinamica del
reddito.

Politica economica lez 29

Lez 29 - 6.6 la relazione fra tasso ufficiale di riferimento e tassi di


interesse
La trasmissione della politica monetaria ha inizio con la gestione della liquidità e
l’orientamento dei tassi di interesse a breve termine da parte della banca centrale. Il
tasso ufficiale di sconto è il tasso di interesse secondo cui una banca centrale
concede prestiti al sistema creditizio. Variazioni del tasso ufficiale di sconto si
ripercuotono sulla struttura dei tassi di interesse praticati dalle banche ai propri
clienti e ai tassi che si applicano ai prestiti fra le banche cioè i tassi interbancari.
Incrementi del tasso ufficiale di sconto ovvero aumenti del costo del denaro
deprimono il credito, al contrario riduzioni del tasso ufficiale di sconto provocando a
cascata riduzioni nel costo dei prestiti spingono famiglie e imprese ad incrementare
gli investimenti ma anche il valore di consumi. Nell’eurozona sin dall’introduzione
dell’euro il tasso ufficiale di sconto è stato sostituito dal tasso ufficiale di riferimento
divenuto uniforme per tutti i paesi partecipanti al patto dell’euro a partire dal
1.01.2004. in Europa come nel resto del mondo le banche ricorrono al prestito da
parte di altre anche al fine di far fronte a bisogno transitori di cassa, nel mercato
interbancario le istituzioni creditizie che dispongono di un surplus di cassa possono
prestare tale eccedenza alle banche che ne fanno richiesta. Ogni mattina le 50
principali banche europee tra cui 2 istituzioni italiane sono tenute a comunicare
all’agenzia Reuters i tassi di interesse che intendono praticare alle operazioni con le
altre banche, la stessa mattina Reuters calcola la media ponderata e diffonde le

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informazioni su tali tassi noti come tassi Euribor, i tassi Euribor sono diversi in
funzione della durata del prestito, in generale il valore dei tassi cresce all’aumentare
della durata del prestito, i tassi Euribor sono particolarmente importanti per le
famiglie in quanto costituiscono la base per la determinazione del costo dei mutui
ipotecari a tasso variabile. I tassi praticati sul mercato interbancario, dunque anche i
vari euribor sono soggetti a fluttuazioni più marcate rispetto a quanto avviene al
tasso ufficiale di riferimento come si è visto in particolare durante la crisi del 2007-
2008, ma nel tempo tendono a seguire la traiettoria del tasso di riferimento.

Politica economica lez 30

Lez 30 - Debito, deficit e conti dello Stato


La legge di stabilità e il bilancio dello stato costituiscono gli strumenti attraverso cui
il governo esercita la sua attività di politica economica, ci riferiamo in questo caso
ad una definizione istituzionale di stato. Ovvero l’insieme dei ministeri e degli organi
costituzionali, quando il parlamento approva la legge di stabilità e i provvedimenti
ad essa collegati da un lato determina la struttura delle imposte e dall’altro la
composizione della spesa dei ministeri nonché l’indebitamento necessario per
finanziare la spesa complessiva non coperta dall’ammontare complessivo dei
tributi. Il bilancio dello stato approvato parallelamente alla legge di stabilità è un
bilancio preventivo, a tale documento fanno seguito il progetto di assestamento del
bilancio a metà dell’esercizio di riferimento e il rendiconto finale. Bilancio preventivo
e consuntivo vengono presentati sia come bilanci di cassa sia come bilanci di
competenza.
L’elaborazione del bilancio di previsione inizia nel mese di marzo di ciascun anno
quando la ragioneria generale dello stato invia ai singoli ministeri le istruzioni per la
sua compilazione.
Nel mese di maggio il governo presenta il documento di programmazione
economico-finanziaria, tale documento fissa gli obiettivi finali e intermedi della
politica di bilancio ed evidenzia gli strumenti e i provvedimenti coerenti con il
perseguimento di tali obiettivi.
Nel mese di luglio il governo sottopone al parlamento il disegno di legge di bilancio
a legislazione vigente. Il bilancio a legislazione vigente è un particolare bilancio
preventivo che permette di prevedere i flussi in entrata e in uscita con riferimento al
bilancio dello stato nel caso in cui la struttura delle aliquote di imposta, delle tariffe
pubbliche, dei trasferimenti e delle spese non si modificano rispetto all’anno
precedente. Sulla base di tale documento ovvero tenendo conto della dinamica dei
conti pubblici in assenza di interventi correttivi il governo elabora e sottopone al
parlamento il disegno di legge e di stabilità in funzione degli obiettivi a suo tempo

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proposti nel documento di programmazione economico-finanziario.
Nel caso in cui la legge finanziaria non venga approvata entro il 31.12 il governo può
continuare ad esercitare il suo potere di politica economica raccogliendo tributi e
generando spesa pubblica facendo ricorso all’esercizio provvisorio del bilancio, in
altri termini l’attività economica dello stato verrà svolta sulla base delle indicazioni
contenute nella legge di stabilità relativa all’anno precedente.

Con riferimento all’economia italiana negli ultimi anni i saldi del bilancio preventivo e
consuntivo sono stati sistematicamente negativi, considerando nel dettaglio il
disavanzo dei conti pubblici cioè la differenza fra le entrate e le uscite dello stato si
vede come il saldo negativo sia da molti anni sistematicamente dovuto al
pagamento degli interessi relativi al debito pubblico. Il pagamento degli interessi sul
debito pubblico nell’economia italiana corrisponde ad un valore di poco superiore al
4% del PIL. Poiché il disavanzo complessivo nei conti pubblici è inferiore rispetto al
3% previsto dagli accordi europei è possibile constatare come il saldo dei conti
dello stato al netto degli interessi sul debito sia positivo. L’economia italiana è
caratterizzata da vari anni da un avanzo primario, l’avanzo primario è la differenza
fra le entrate dello stato e le uscite al netto degli interessi sul debito. Tale avanzo
costituisce una misura sintetica della manovra di finanza pubblica, quanto maggiore
è tale valore tanto più è restrittiva la manovra. La dinamica del debito pubblico
dipende sia dal valore dell’avanzo o del disavanzo primario sia dall’onere del debito
pubblico, gli interessi pagati sui titoli in circolazione.
La storia recente del nostro paese manifesta parallelamente avanzi primari
sistematici e un debito pubblico che non si riduce.

Politica economica lez 31

Lez 31 - 6.9 bilancia dei pagamenti e tassi di cambio


I rapporti economici di una nazione con il resto del mondo sono registrati nella sua
bilancia dei pagamenti. A sua volta la bilancia dei pagamenti è costituita da 2 conti
separati:

1. I movimenti di natura reale

2. Le partite finanziarie

Parleremo dunque di:

• Saldo delle partite correnti: All’interno delle partite correnti si registrano le


transazioni internazionali in merci e servizi, nonché i redditi e i trasferimenti
unilaterali correnti da e verso il resto del mondo

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• Saldo dei movimenti di capitale: nel conto relativo ai movimenti di capitale sono
comprese tutte le partite finanziarie e i trasferimenti unilaterali in conto capitale sia
pubblici che privati.

I due saldi si compensano in modo sistematico: un ammanco nelle partite correnti


implica che direttamente o indirettamente qualcuno nel resto del mondo ci sta
concedendo credito; viceversa una posizione di avanzo delle partite correnti implica
una posizione debitoria nei confronti delle nostre imprese o istituzioni nel resto del
mondo. Supponiamo che le esportazioni nazionali superino significativamente le
importazioni, a fronte di uno squilibrio di questo tipo può costituirsi immediatamente
una situazione di credito netto diretto da parte degli operatori internazionali, oppure
può avvenire che all’interno della nazione affluisca una massa aggiuntiva di valuta
interna, riduzione delle riserve i valuta in euro dal resto del mondo, o una massa
aggiuntiva di valuta esterna, che convertito in valuta interna dalla banca centrale va
ad aumentare la massa di riserve in valuta dell’autorità monetaria. Le riserve in
valuta esterna possono essere a tutti gli effetti considerate come credito al resto del
mondo. Dunque ancora una volta si registra come a fronte di uno squilibrio nel
saldo delle partite correnti, corrisponde uno squilibrio di segno opposto nel saldo
dei movimenti di capitale, il saldo delle partite correnti sommato al saldo dei
movimenti di capitale dovrebbe essere sistematicamente pari a zero, in effetti non è
esattamente così a causa di tempi di registrazione talvolta asimmetrici e per alcune
transazioni non registrate ufficialmente. La conciliazione del conto delle partite
correnti e del conto dei movimenti di capitale avviene tramite la redazione di un
terzo conto dedicato agli errori e alle omissioni. Una variabile particolarmente
rilevante ai fini della determinazione del saldo delle partite correnti è costruita dal
tasso di cambio che può essere definito in due modi alternativi:

• L’ammontare di valuta estera necessario ad acquistare 1 unità di valuta nazionale:


denominato anche come misura “incerto per certo”

• L’ammontare di valuta nazionale necessario ad acquistare un’unità di valuta


estera : denominato "certo per incerto”, è certo il potere d’acquisto della valuta
nazionale sui prodotti interni, mentre a causa delle possibili fluttuazioni del tasso
di cambio è incerto il potere d’acquisto della valuta estera nei confronti dei
prodotti nazionali.

Dall’introduzione dell’euro usiamo l’approccio “incerto per certo”: il tasso di cambio


risponde alla domanda quanti dollari occorrono per acquistare un euro?
nel corso della storia si sono avvicendati diversi regimi di cambi: alla fine della
seconda guerra mondiale, in seguito agli accordi di bretton-woods del 1944 furono
istituiti il fondo monetario internazionale, la banca mondiale e le maggiori nazioni
industrializzate si impegnarono a tenere fisso il cambio nei confronti del dollaro

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americano, gli stati uniti a loro volta si impegnarono a garantire la convertibilità del
dollaro in oro, il pregio di un regime di cambi fissi è che garantisce a tutti gli
operatori certezza, in materia della dinamica futura del tasso di cambio, i cambi si
possono infatti modificare solo in seguito di provvedimenti posti in essere in modo
congiunto dalle autorità monetarie internazionali, al fine di permettere ad esempio la
svalutazione di una determinata moneta, mentre in un regime di cambi fluttuanti le
dinamiche di apprezzamento e deprezzamento del cambio sono continue e di
norma imprevedibili. In cambi fissi la svalutazione coincide con un provvedimento
amministrativo eccezionale e di norma prevedibile, un incremento nel valore del
tasso di cambio rende relativamente meno costose le importazioni mentre
aumentando il prezzo in valuta estera cala la competitività delle merci nazionali nei
confronti del mercato globale. Risulterà più difficile esportare. Poiché nell’orizzonte
internazionale esistono molte valute esistono anche molti tassi di cambio, per ogni
nazione sono rilevati i tassi di cambio con cui la valuta nazionale può essere
trasformata in valuta estera e viceversa.

Accanto ai tassi di cambio intesi in senso tradizionale possiamo parlare di tassi di


cambio incrociato, prendendo in considerazione il cambio dell’euro nei confronti
del dollaro e il cambio del dollaro nei confronti dello yen, il rapporto fra i due
costituisce il cambio incrociato dell’euro nei confronti dello yen. In linea di principio
cambio e cambio incrociato dovrebbero coincidere in modo sistematico, ogni
disallineamento fra i due tassi corrisponde ad una possibilità di arbitraggio che
incentiva operazioni di compravendita di valuta e di conseguenza fa convergere il
valore dei tassi.

Politica economica lez 32

Lez 32 - 6.10 le determinanti del tasso di cambio


Come tutti i prezzi il tasso di cambio si determina in base alla domanda e all’offerta,
in questo caso di valute. Il mercato ForEx (Foreign Exchange) è il mercato
telematico globale, autoregolamentato nel quale vengono scambiate le valute di
tutto il mondo, si tratta di uno dei mercati di maggiori dimensioni in assoluto. Sul
ForEx si svolgono due tipi di transazioni valutarie:

1. Spot = transazioni a pronti: le transazioni spot sono la compravendita immediata


di valute in cui il regolamento dell’operazione avviene effettivamente entro i due
giorni successivi.
2. Forward = transazioni a termine: nelle transazioni forward relative ai cambi a
termine, l’esecuzione delle operazioni stipulate viene effettuata ad un prezzo
stabilito in una data futura anch’essa concordata all’atto della stipula. Ambedue
le parti hanno l’obbligo di onorare il contratto. In generale i cambi a termine

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divergono rispetto al cambio spot in funzione dei differenziali di rendimento che
si registrano sul mercato dei titoli delle nazioni cui il tasso di cambio è riferito.
Gran parte delle transazioni in materia valutaria avviene sul mercato ForEx, tale
mercato ha 4 caratteristiche notevoli:

1. Volume delle transazioni molto ampio


2. Assenza di commissioni da parte degli intermediari finanziari che lo popolano
3. Aperto 24H dal lunedì al venerdì
4. Possibilità di amplificare anche notevolmente il rendimento e di conseguenza il
rischio delle operazioni tramite il ricorso a meccanismi di leva finanziaria
In un tale contesto i prezzi, ovvero i cambi, is aggiustano istantaneamente.

Quali sono le determinanti del tasso di cambio?


in un ottica di lungo periodo non sono concepibili squilibri della bilancia dei
pagamenti, una nazione non può manifestare un disavanzo sistematico nel saldo
delle partite correnti, costantemente finanziato da corrispondenti avanzi nel saldo
dei movimenti di capitale; i debiti prima o poi vanno saldati. Lo strumento di
aggiustamento dell’equilibrio di lungo periodo è costituito dal tasso di cambio ed è
illustrato dall’ipotesi della parità dei poteri di acquisto, ovvero dalla più semplice
legge del prezzo unico. Prendendo come riferimento un bene caratterizzato da una
qualità standardizzata a livello globale (panino McDonald) il prezzo di tale merce
dovrebbe essere identico in tutto il mondo, o meglio il prezzo di tale merce in
Europa dovrebbe essere pari al prezzo della stessa merce negli stati uniti espresso
in euro. Ovvero pari al prezzo in dollari per il cambio del dollaro rispetto all’euro.
Sostituendo al BigMac un paniere di beni rappresentativo dell’interscambio è
possibile cogliere l’ipotesi della parità dei poteri di acquisto, nel lungo periodo il
tasso di cambio nominale si adegua fino a livellare il costo del paniere. Il prodotto
fra cambio nominale e
il rapporto fra prezzi
interni ed

internazionali

È denominato ragione di scambio o cambio reale e determina la capacità


competitiva. In termini sintetici l’ipotesi della parità dei poteri di acquisto e la legge
del prezzo unico prevede che il cambio reale sia apri a 1. Nel mondo concreto non è
così, sia perché il paniere rappresentativo delle merci importate con coincide con il
paniere rappresentativo delle merci esportate, sia perché ai fini della determinazione
del tasso di cambio il ruolo rilevante viene svolto più dai movimenti di capitale

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rispetto alle partite correnti.
Variazioni del cambio nominale e degli indici dei prezzi sono d’altra parte importanti
in funzione della determinazione della competitività sui mercati internazionali. Per
questo è utile riferirsi all’ipotesi della parità dei poteri di acquisto intesa in senso
relativo. Le variazioni relative alla capacità di competere rispetto ad una nazione
estera, ovvero il cambio reale, dipende dalla dinamica del cambio nominale e dai
differenziali di inflazione. Rimane aperta la questione relativa a cosa determina il
cambio nominale per questo in un contesto di forte mobilità dei movimenti di
capitale possiamo riferisci all’ipotesi della parità dei tassi di interesse: piccoli
differenziali tra i tassi di interesse interni e internazionali in assenza di rischio di
default dei paesi trascinano ampi movimenti di capitale; la parità scoperta dei tassi
di interesse
può essere
vista come
una

condizione di non arbitraggio

Il differenziale tra i tassi di interesse vigenti in due paesi coincide con il


deprezzamento atteso del tasso di cambio che a sua volta misura la perdita in
conto capitale derivante dall’investimento, la parità coperta dei tassi di interesse
d’altra parte coincide con una diversa condizione di non arbitraggio secondo cui il
differenziale tra i tassi di interesse nominale praticati in due nazioni distinte coincide
con il premio a termine ovvero con il differenziale relativo tra tasso forward e tasso
spot. In una situazione di rischio sul mercato dei cambi , a fronte di un’operazione in
valuta estera l’operatore può tutelarsi nei confronti del rischio cambio convertendo
da subito sui mercati a termine la valuta estera in valuta nazionale.

Nel breve periodo la fluttuazioni dei tassi di cambio sono influenzate dalla dinamica
dei tassi di interesse

Politica economica lez 33

Lez 33 - 6.11 Politiche per la stabilizzazione del tasso di cambio


Fra i possibili obiettivi della politica monetaria talvolta le nazioni e le loro banche
centrali, anche se collocate in regime di cambi flessibili, possono annoverare la

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stabilità del cambio rispetto ad una valuta di riferimento. È avvenuto in italia durante
il ventennio in cui l’obiettivo fu quello di portare il cambio della lira nei confronti della
sterlina a quota 90. Avviene oggi per il Montenegro e il Kosovo nei confronti
dell’euro e per molte nazioni del Sudamerica nei confronti del dollaro. Anche
prescindendo dalle cosiddette dollarizzazioni e eurizzazioni le banche centrali
possono trovare necessario intervenire sul mercato dei cambi, la capacità di
intervenire efficacemente sul cambio dipende sostanzialmente da due set di
variabili:

1. Tasso di interesse vignette sul mercato nazionale


2. Riserve in valuta detente presso la banca centrale
A parità di rischio cambio, tassi di interesse elevati sostengono il tasso di cambio,
poiché il tasso di cambio è un prezzo determinato dall’incrocio della domanda e
dell’offerta la banca centrale della nazione può sostenere il valore del tasso di
cambio, può indurre un apprezzamento o contente la tendenza al deprezzamento
ponendo sul mercato parte delle proprie riserve ufficiali di valuta estera. In effetti la
ragione per la quale le nazioni detengono quantità anche ingenti di valuta estera
coincide con al necessità che talvolta si manifesta di porre in essere interventi volti
alla stabilizzazione del tasso di cambio. Tale stabilizzazione talvolta è problematica
se non addirittura impossibile, nel 1991 in argentina l’amministrazione Caballo
decise di dollarizzare la valuta nazionale, l’allora Austral, fissando in modo
unilaterale il cambio per un valore pari a 10.000 austral per un dollaro al fine di
combattere la piaga dell’inflazione interna, questo fu possibile sostenendo il valore
del tasso di interesse reale e ricorrendo alla vendita di riserve ufficiali, nel decennio
successivo l’inflazione fu veramente ridotta a 0 al prezzo però di un progressivo
deterioramento della crescita, penalizzata dal valore elevato dei tassi di interesse.
L’impossibilità e comunque la nono opportunità anche politica di inasprire
ulteriormente la politica monetaria e fiscale, lasciava il compito di stabilizzare il
cambio ad un unico strumento in un contesto di forte indebitamento verso l’estero
ovvero le non infinite riserve ufficiali. A cavallo del millennio le autorità argentine
decisero di abbandonare la politica del cambio fisso, dalla sera alla mattina il tasso
di cambio raddoppiò e poiché il debito verso l’estero era denominato in dollari e
non in Austral o in Pezos anch’esso raddoppio in una notte diventando insostenibile
e conducendo il paese al default. L’esempio storico considerato serve a capire
l’importanza strategica di una massa rilevante di riserve in valuta estera utile a far
fronte alle situazioni straordinarie.

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Politica economica lez 34

Lez 34 - 6.12 Bolle speculative e crisi


Il primo caso di crisi economica provocata da operazioni sui mercati finanziari è
stata la bolla dei tulipani nel 1637. Il tulipano originario della Turchia ha la
caratteristica di poter essere stoccato e conservato a basso costo e per periodi
anche lunghi. L’importazione in eEuropa di bulbi fu avviata a metà del 1500 mentre
la produzione europea iniziò in Olanda a cavallo fra il 1500 e il 1600. Alla fine del
1636 la domanda di tulipani cominciò a lievitare e molti iniziarono a prenotare i bulbi
a fronte di un anticipo sul prezzo totale da versare alla consegna determinato però
al momento della prenotazione stessa, un vero e proprio contratto future. Il prezzo
dei tulipani si impennò in maniera vertiginosa, i prezzi delle specie più rare e
desiderate del fiori raggiunsero valor astronomici, in un asta un solo bulbo venne
battuto per 2500 fiorini, più di 15 volte rispetto al reddito medio annuo di un
lavoratore. Immediatamente dopo inevitabilmente la bolla esplose quando ad
Harlem un’asta di bulbi andò deserta i prezzi iniziarono a scendere in modo
generalizzato fino al crollo totale in presenza di contratti future che vincolavano il
lato della domanda ad acquistare a prezzi molto più elevati rispetto a quelli spot. La
bolla dei tulipani costituisce il primo grande crack finanziario della storia, dal punto
di vista delle policy gli esiti dell’esplosione della bolla furono mitigati tramite la
trasformazione dei contratti future, agli acquirenti fu in sostanza permesso di non
onorare il contratto pagando solo una penalità pari a 3,5% del prezzo.
La seconda bolla finanziaria è legata a John Law, un nobile scozzese nato ad
Edimburgo nel 1671 al quale si deve l’introduzione della moneta fiduciaria ovvero
non vincolata al valore in oro e argento ma al valore dei terreni dello stato. Nel 1715
John Law conosce Luigi Filippo D’Orleans, reggente di Francia, interessato alle idee
di Law a causa dei debiti lasciati in eredità dal precedente re, il re Sole, quello
stesso anno l’economista scozzese diventò ministro delle finanze de regno di
Francia. Nel 1716 fu istituita sul principio della moneta fiduciaria la Banc Generale,
lo stesso Filippo D’Orleans decise di legare le nuove emissioni di moneta al valore
dei possedimenti reali in America: Louisiana e un ampio territorio fino al Canada, i
nobili e i latifondisti sarebbero stati i primi beneficiari del progetto. Fra il 1718 e il
1720 furono stampate una gran massa di banconote legate alo sviluppo del valore
futuro di tali terre, in due anni il loro valore si incrementò di 20 volte, la bolla scoppiò
nel 1720 acclarato l’effettivo valore die possedimenti di oltre mare, ben inferiore
rispetto alle aspettative.
In anni più recenti si sono registrate varie situazioni di crisi:

• Crollo di wall street e crisi del ’29 :

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venerdì 13 marzo 2020


• Crisi delle tigri asiatiche del ’97 originata dalla dollarizzazione della valuta
thailandese
• Crisi subprime del 2008:
1. La prima crisi fu la conseguenza dell’implosione della bolla speculativa relativa
ai mutui ipotecari negli Stati Uniti, a partire dalla fine del 2006 si osservò una
netta inversione di tendenza nei prezzi delle abitazioni e un marcato incremento
dei tassi di interesse praticati sui mutui subprime che condussero all’insolvenza
di molti debitori. La crisi dei subprime mise in ginocchio istituzioni creditizie
quali la Federal National Mortgage Association e la Federal Home Loan
Corporation . Il 26/08/2008 fallisce Washington Mutual seguita il 15/09/2008 da
Lehman Brothers. La crisi nasce dai mercati finanziari ma provoca importanti
effetti sull’economia reale, il tasso di disoccupazione pari al 4,4% del marzo
2007 aumenta fino al valore massimo del 10% nell’ottobre 2009 per poi
scendere sempre negli Stati Uniti fino al 4,7% nel dicembre 2016. La crescita
del PIL crolla dal +3,8% nel 2004 (picco di massimo relativo prima della crisi) al
-2,8% del 2009 per riportarsi a +2,6% nel 2015.
2. La seconda crisi nasce in Europa all’interno dell’eurozona, l’introduzione
dell’euro fu esito degli accordi di Maastricht sanciti il 7/02/1992, per il buon fine
dell’operazione complessiva gli accordi di Maastricht prevedevano che le
nazioni partecipanti all’unione monetaria fossero tutte caratterizzate da un
processi di convergenza relativo a diversi parametri ritenuti essenziali pena il
mancato ingresso nell’unione o implicitamente la non sostenibilità dell’accordo
nel tempo. In accordo con gli altri partner Italia e Belgio entrarono nell’Euro non
rispettano il requisito di convergenza in materia di debito pubblico. Si preferì
proseguire nel processo di integrazione europea non escludendo le due nazioni
che con Francia, Germania, Lussemburgo e Olanda ne erano state le promotrici
fin dagli accordi del ’51. All’unione monetaria partecipo dal 2002 anche la Grecia
con un valore relativo del debito pubblico rapportato al PIL di poco inferiore
rispetto all’Italia, 103,7 contro 108,3 nel 2001, mentre Spagna Portogallo e
Irlanda in origine manifestavano valori perfettamente in linea con i dettami del
trattato. In seguito al contagio innescato dalla crisi dei subprime i governi di
molte nazioni europee allentarono il controllo sull’equilibrio dei conti pubblici. I
limiti originariamente previsti dal trattato di Maastricht prima e successivamente
dal patto di stabilità e crescita del ’97 in materia di deficit e debito pubblico pari
rispettivamente a 3% e 60%, in effetti sono stati violati in molti paesi partner.
Prendendo in considerazione i valori relativi al disavanzo pubblico tra il 2007 e il
2015 nelle 19 nazioni appartenenti all’eurozona è possibile osservare come in 91
casi su 171 tale valore abbai superato la soglia del 3%. In effetti il valore medio
non ponderato è 3,2% segno che l’obiettivo in materia di conti pubblici lungi dal
coincidere con l’equilibrio è piuttosto considerato come il limite massimo
imposto dagli accordi. La problematica situazione dei conti pubblici in varie
nazioni europee costituì il movente per attacchi speculativi sul loro debito
sovrano, nel corso del 2011 alcuni grandi Hedge fund posero in essere
importanti operazioni di vendita allo scoperto di titoli del debito pubblico di
alcune nazioni europee fra cui l’Italia. La vendita allo scoperto, short selling, è
costituita dalla cessione di un bene o di un asset che non si possiede, lo

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speculatore prende in prestito l’oggetto in questione nella speranza che il suo
prezzo scenda e che possa essere successivamente riacquistato ad un prezzo
inferiore, il beneficio per lo speculatore è costituito dalla differenza fra il prezzo
di vendita ottenuto e il prezzo di riacquisto al netto del costo sostenuto per il
noleggio. L’attacco speculativo sui debiti sovrani registratori nel 2011 mise in
discussione la sostenibilità stessa della moneta unica. Alla fine di scongiurare
nuovi attacchi speculativi alcune nazioni europee (Belgio, Francia, Italia e
Spagna) vietarono per un certo periodo lo short selling di titoli del debito
pubblico. Per parte sua il 6/09/2012 la BCE annunciò la possibilità di utilizzare le
Outright Monetary Transactions ovvero la possibilità di porre in essere
operazioni di acquisto a pronti sul mercato secondario di titoli del debito
pubblico relativi a nazioni europee in difficoltà con l’obiettivo di proteggere tali
titoli da attacchi speculativi e quindi di consentire l’ordinato funzionamento del
processo di trasmissione della politica monetaria in tutta l’eurozona. Il volume
delle operazioni non è limitato a priori, tali operazioni possono essere poste in
essere solo a favore delle nazioni che hanno ottenuto un programma di
finanziamento da parte dei fondi europei salva stati.

Politica economica lez 35

Lez 35 - 7. Politica economica e stabilizzazione del reddito


Ripartiamo dal tema della crisi in quanto negli ultimi anni ne abbiamo vissute
diverse, almeno 3:

• Crisi del 2007-2008 che parte dagli USA


• Crisi dei debiti sovrani che nasce a causa de fatto che il debito pubblico in alcuni
paesi europei era molto elevato e ci furono comportamenti di tipo speculativo sui
mercati finanziari che innescarono una crisi profonda (2011)
• Nuova crisi che a differenza delle precedenti non nasce dai mercati finanziari ma
da un virus che genera effetti collaterali sulle economie. In linea di principio le
nazioni che possono reagire incrementando la spesa pubblica hanno la possibilità
di uscirne velocemente, chi invece parte da un livello di debito pubblico elevato è
in maggiore difficoltà.
La macroeconomica vedeva due grandi approcci relativamente a cosa si dovrebbe
fare nei momenti di crisi:

1. Da un lato la scuola che nasce dal pensiero Keynesiano (anni ’30) secondo la
quale lo stato deve intervenire con una politica monetaria nell’economia.
Ricordiamo che la sequenza Keynesiana è in linea di principio: nel momento in
cui si osserva un forte spostamento del PIL rispetto al reddito potenziale, nel
momento in cui si osserva un incremento significativo del tasso di
disoccupazione occorre reagire.
Si reagisce in primis con politiche monetaria espansive date da un incremento
della massa di moneta e una riduzione progressiva del tasso ufficiale di
interesse. Le politiche monetarie espansive potrebbero però non essere

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sufficienti perché il tasso di riferimento può scendere ma non oltre un certo
punto, infatti oltre una certa soglia non si può portare i tassi (Keynes parlava di
trappola della liquidità). Quindi la politica monetaria funziona solo se
l’abbattimento dei tassi dio interesse aiuta a rimettere in moto l’economia,
facendo ripartire gli investimenti e aumentando le esportazioni.
In un contesto di aspettative negative da parte delle imprese la politica
monetaria non basta più.
Sempre secondo Keynes qualora la politica monetaria espansiva non dovesse
essere sufficiente allora occorrono politiche di bilancio espansive ovvero
incremento della spesa pubblica e riduzione dei tributi. Qualche anno dopo
venne dimostrato come in un contesto Keynesiano una manovra espansiva con
bilancio in pareggio, ovvero un incremento della spesa pubblica completamente
finanziato dai tributi dovrebbe trascinare con se un pari incremento del PIL.
Keynes sosteneva che lo scostamento tra reddito effettivo e potenziale può
accadere frequentemente nel tempo, quasi che la normalità sia questo
scostamento e l’eccezione sia la coincidenza tra i due. Dal punto di vista
Keynesiano le fluttuazioni e le crisi sono deviazioni dall’equilibrio
2. Il secondo approccio è quello neoclassico secondo il quale i sistemi economici
sono sempre in equilibrio, se osservo delle fluttuazioni del reddito è l’equilibrio
che si modifica. Ci sono due motivi alla base di questa affermazione:
• Lo spostamento può essere derivante da fluttuazioni della domanda e
dell’offerta
• Possono esserci delle asimmetrie informative che portano ad una deviazione
del reddito dall’equilibrio di pieno impiego.
Il tema è come dovrebbe reagire la politica monetaria in funzione delle crisi? Come
abbiamo detto può essere generata da uno shock dei mercati finanziari o uno shock
esogeno. Lo shock esogeno può colpire le singole nazioni in modo simmetrico o
asimmetrico. Se le nazioni soffrono lo shock in modo simmetrico, può funzionare
molto bene una politica monetaria unica come avviene nel caso dell’unione
monetaria, nel caso in cui lo shock sia asimmetrico allora non è detto che una
politica monetaria unica sia l’ideale. Secondo alcuni sarebbe stato meglio avere la
possibilità di esercitare l’autorità monetaria in modo indipendente (non avere l’Euro).

Politica economica lez 36

Lez 36 - 7.1 ancora sulle crisi economiche: recenti e passate


In questa lezione parleremo di crisi nella storia. Ne abbiamo già parlato nella lezione
6.12 nella quale abbiamo visto le bolle speculative.

Nella storia ci sono state varie crisi e all’inizio del terzo millennio di crisi ce ne sono
state almeno 2 e ora siamo nel mezzo della terza che deriva proprio dal virus che
sta colpendo tutto il mondo:

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1. Conseguenza della bolla speculativa derivante dai mutui ipotecari negli USA:
verso la fine del 2006 si osservò una netta inversione di tendenza nei prezzi delle
case. I prezzi degli immobili fino alla fine del 2006 salivano in modo continuo e le
persone quindi compravano altre case nella speranza che l’incremento del
valore della casa nel giro di un anno superasse il valore degli interessi pagati sul
debito. È come una scommessa “scommetto che il valore delle case in florida
continuerà a salire e quindi mi indebito nella speranza di vincere questa
scommessa”, gli stessi istituti di credito avevano bisogno di raccogliere i
finanziamenti necessari e lo fecero emettendo obbligazioni e intrattenendo
rapporti con altre istituzioni che a loro volta finanziavano operazioni di credito
emettendo nuove obbligazioni. È un processo di cartolarizzazione dei mutui.
Particolarmente importante era il fatto che i mutui erano concessi ai peggiori
pagatori, ossia soggetti ad alto rischio, chiamati a pagare alti tassi di interesse,
questi sono i mutui subprime, in un contesto simile nel momento in cui la
crescita delle abitazioni si ferma, l’incremento del valore della casa non avviene
più ma gli interessi vanno comunque pagati. Il fatto che i soggetti non erano più
in grado di pagare gli alti interessi mise in grande difficoltà istituzioni creditizie
importanti come Fannie Mae e Freddie Mac ossia due grandi istituzioni preposte
alla concessione di mutui che furono costituite dopo la crisi del ’29, quando si
iniziò a cercare gli strumenti atti a rimettere in moto l’economia in una situazione
di grande crisi.
Come già visto in macroeconomia, il primo indicatore di una uscita dalla crisi è
l’investimento in immobili “riparte il mattone, riparte l’economia”. La crisi del
2007-08 nasce proprio sui mutui collegati al mercato delle abitazioni. Sempre in
quel periodo vanno per prime in difficoltà le istituzioni create per favorire l’uscita
dalla crisi del 1929, siamo di fronte ad un vero e proprio paradosso.
Il PIL crolla dal 3,8% negli USA al -3% del 2009 e ci vogliono anni per tornare a
valori significativamente positivi. Le previsioni per quello che riguarda il Prodotto
Interno lordo nelle economie industrializzate oggi è peggio di quello visto nel
2007-08.
2. Una seconda crisi vista nell’eurozona negli ultimi anni nasce dai mercati
finanziari ed è strettamente collegata all’introduzione dell’euro. Venne posta in
essere da attacchi speculativi ai quali la BCE ha poi risposto. Questi attacchi
speculativi si sono indirizzati nel 2011 sul debito pubblico di alcune nazioni ma
non sono una novità perché erano già stati sperimentati in Europa intorno al
1993 quando sterlina, lira e franco francese furono oggetti di potenti attacchi
speculativi che portarono ad un peggioramento del tasso di cambio di queste 3
valute nei confronti del franco tedesco e del dollaro americano in misura del 20-
30%. Gli accordi di Maastricht e la progressiva costituzione dell’euro furono
derivanti dall’intenzione di reagire ai possibili attacchi speculativi e all’instabilità
dei tassi di cambio, l’Europa decise quindi di difendersi dalle forti fluttuazioni dei
cambi costituendo una moneta unica, questo aprì la possibilità di attacchi
speculativi non più sulla moneta ma su altri elementi distintivi delle singole
nazioni come il debito pubblico; per questo motivo secondo gli euro-scettici, la
colpa della crisi del 2011 viene dall’esistenza dell’euro.
Gli accordi europei prevedevano alcuni punti fondamentali per l’entrata

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nell’eurozona da parte delle singole nazioni, quindi prima che l’euro fosse
introdotto le nazioni dovevano rispettare alcuni requisiti per l’accesso:
• I tassi di cambio dovevano essere stabili: non si poteva entrare nell’accordo
dell’euro se il tasso di cambio fluttuava oltre una certa soglia
• Non si poteva entrare nell’eurozona se i tassi di interesse erano troppo diversi da
quelli dei paesi più virtuosi.
• Non si poteva entrare nell’eurozona se la dinamica dei prezzi era troppo diversa,
quindi condizione relativa all’inflazione che doveva essere il linea con la media dei
paesi più virtuosi
• Condizione sui conti pubblici e debito pubblico: quello che avvenne fu che Italia e
Belgio adottarono l’euro non rispettando i parametri che erano stati siglati negli
accordi di Maastricht. Ai tempi si disse che quella fu una vittoria della politica nei
confronti degli economisti. Con gli anni poi si vide l’effetto di non ascoltare gli
economisti perché la crisi del 2011 è proprio associata agli alti livelli di debito
pubblico di alcune nazioni.

Debito pubblico in % del PIL


2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015
Euro area 65 68,6 78,4 83,8 86,1 89,5 91,3 92 90,4
Belgio 87 92,5 99,5 99,7 102,3 104,1 105,4 106,5 105,8
Germania 63,7 65,1 72,6 81 78,7 79,9 77,5 74,9 71,2
Estonia 3,7 4,5 7 6,6 6,1 9,7 10,2 10,7 10,1
Irlanda 23,9 42,4 61,7 86,3 109,6 119,5 119,5 105,2 78,6
Grecia 103,1 109,4 126,7 146,2 172,1 159,6 177,4 179,7 177,4
Spagna 35,5 39,4 52,7 60,1 69,5 85,7 95,4 100,4 99,8
Francia 64,3 68 78,9 81,6 85,2 89,5 92,3 95,3 96,2
Italia 99,8 102,4 112,5 115,4 116,5 123,3 129 131,9 132,3
Cipro 53,5 44,7 53,4 55,8 65,2 79,3 102,2 107,1 107,5
Lettonia 8,4 18,7 36,6 47,4 42,8 41,3 39 40,7 36,3
Lituania 15,9 14,6 28 36,2 37,2 39,8 38,7 40,5 42,7
Lussembur
7,8 15,1 16 19,9 18,8 21,8 23,5 22,7 22,1
go
Malta 62,4 62,7 67,8 67,6 70 67,6 68,4 67 64
Olanda 42,7 54,8 56,9 59,3 61,6 66,4 67,7 67,9 65,1
Austria 65,1 68,8 80,1 82,8 82,6 82 81,3 84,4 85,5
Portogallo 68,4 71,7 83,6 96,2 111,4 126,2 129 130,6 129
Slovenia 22,8 21,8 34,6 38,4 46,6 53,9 71 80,9 83,1
Slovacchia 30,1 28,5 36,3 41,2 43,7 52,2 54,7 53,6 52,5
Finlandia 34 32,7 41,7 47,1 48,5 53,9 56,5 60,2 63,6

Osserviamo questa tabella per vedere quanto è variato il debito pubblico negli anni
della crisi e in quelli immediatamente successivi.

Nel 2011 alcuni grandi Hedge fund fecero delle short-selling ossia delle vendite allo
scoperto sul debito pubblico mettendo in ginocchio il nostro paese.

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Politica economica lez 37

Lez 37 - 8. La dinamica del debito pubblico


Il debito pubblico è costituito da uno stock di disavanzi cumulati nel tempo, ciò
significa che il debito pubblico non è dato dalle decisioni di politica economica
dell’anno corrente, il debito pubblico è un eredità che in gran parte dipende dal
passato che può essere modificata in funzione del futuro sulla base delle decisioni
di politica economica
nell’anno corrente.

I titoli del debito pubblico in un determinato istante di tempo t saranno pari a quelli
che erano in circolazione nel passato incrementati del tasso di interesse che va
pagato sul debito pubblico pregresso. Immaginiamo che i conti di quest’anno senza
debito pubblico siano in pareggio, la massa dei tributi sia pari alla massa della
spesa dello stato al netto del debito pubblico, la differenza fr