A partire da Alberto Melucci Linvenzione del presente, Milano 9 ottobre 2008
Convegno Ais Sezione Vita Quotidiana
La spirale della riflessivit Modi di pensare, questioni di metodo e pratiche di ricerca
Gianmarco Navarini
Tema centrale di questo contributo sta nel proporre alcune riconsiderazioni critiche in merito allespressione sociologia riflessiva e, per certi versi, alla stessa nozione di riflessivit. Con ci intendo riferirmi non tanto alle piuttosto note problematiche, contraddizioni o ambiguit inerenti al mero piano linguistico-terminologico, e dunque alle altrettanto note questioni emerse con la variet delle definizioni date alla riflessivit, ma soprattutto ai vari impieghi e funzionamenti della stessa in certi ambiti della societ contemporanea: in particolare nelle modalit di conoscenza e di produzione della conoscenza, nelle pratiche sociali e nelle pratiche di ricerca, e pi in generale nei modi di pensare, di agire e di dare a questi un senso. Quando parliamo di riflessivit abbiamo a che fare con un concetto piuttosto complesso: inevitabilmente critico o che di per s invita allanalisi critica ma anche estremamente polisemico, oggi variamente diffuso fuori e dentro alla sociologia, non pi preponderante ma comunque presente, in modo pi o meno rarefatto, anche nel vocabolario della pi recente teoria sociale 1 , e di solito piuttosto frequentato soprattutto da chi, facendo ricerca sul campo, si ritrova a misurarsi con altri circa il senso e i prodotti della sua stessa pratica di ricerca. Inoltre, com noto, si tratta di un concetto che in qualche modo attraversa le stesse origini della sociologia (in quanto campo del sapere specializzato nello studio della societ, cio di un oggetto costitutivo di quello stesso campo), e che tuttavia affiora con una certa insistenza e viene esplicitamente tematizzato solo in tempi recenti, grossomodo in parallelo allemergere del post, della critica della modernit e degli sviluppi di un campo di ricerca che alcuni hanno ben indicato con il nome di sociologia delle pratiche 2 . Infine, cosa forse pi significativa, si tratta di un concetto ritenuto paradigmatico o emergente poich attraversa (e per certi versi unisce) una molteplicit di approcci disciplinari 3 , e che anche per questo deve
1 Cfr. tra gli altri D. Pels Unhastening Science: Autonomy and Reflexivity in the Social Theory of Knowledge, Liverpool, Liverpool University Press, 2003. 2 Tra le osservazioni pi recenti in merito si segnala: B. Wittrock, Sociology and the Critical Reflexivity of Modernity. Scholarly Practices in Historical and Comparative Context, in Comparative Sociology, 2, 3, 2003; R. McLain Reflexivity and the Sociology of Practice, in Sociological Practice: A J ournal of Clinical and Applied Sociology, 4, 4, 2002. 3 Per citare solo alcuni degli autori, forse i pi noti a livello internazionale, che hanno esplicitamente trattato la riflessivit come concetto emergente e paradigmatico: in antropologia G.E. Marcus What comes (just) after post? The case of Ethnography, in N.K. Denzin e Y.S. Lyncoln (eds) Handbook of Qualitative Research, London, Sage, 1994; nel costruttivismo sociale a orientamento psicologico K. Gergen The Social Constructionist Movement, in modern psychology, in American Psychologist, 40, 3, 1985, e in precedenza G.A. Kelly The psychology of Personal Constructs, New York, Norton, 1955; nellambito delle terapie familiari K. Tomm Interventive Interviewing, Part II, Reflexive Questioning as a 2 buona parte del suo successo al fatto di aver contribuito a denominare in modo nuovo e sintetico oltre che a caratterizzare ed alimentare quella situazione estremamente complessa, avvertita come transizione o pi spesso come tensione nel senso di tendere a che frequentemente stata definita come mutamento di paradigma o svolta epistemologica nelle scienze umane e sociali. Questa riconsiderazione critica in merito alla riflessivit si muove discutendo alcuni elementi di questa cornice di transizione, di tensione al mutamento o alla svolta, facendo riferimento pi che altro a come tali elementi sono stati avvertiti da Alberto Melucci in varie occasioni e in particolare nel volume Verso una sociologia riflessiva: ricerca qualitativa e cultura (Il Mulino, 1998). In tale direzione, intendo ripercorrere molto sommariamente la cornice culturale in un certo senso epocale e il framework dentro al quale Melucci si mosso al fine di collocare la riflessivit su un piano di assoluta rilevanza per quanto riguarda sia il pi generale studio della societ sia le concrete pratiche di ricerca. In relazione a quella cornice vanno tuttavia segnalati alcuni limiti, uno dei quali in parte riconducibile alla stessa tensione per una svolta che, attualmente, non sembra stare al centro dei modi di pensare e di agire di coloro che a vario titolo operano in quello che Melucci chiamava campo della conoscenza; e lo stesso vale per il mutamento di paradigma che peraltro oggi, a distanza di una decade, pare incompiuto almeno da un punto di vista formale e istituzionale. Tenuto conto che Melucci amava sottolineare come un effettivo mutamento di paradigma si potesse raggiungere lavorando seriamente sui margini, forzando i limiti di un paradigma dominante (nello specifico quello della scienza moderna o della modernit), e che in ogni caso lo stesso mutamento non mai facile da riconoscere nel suo farsi (e questo, come spesso diceva, forse perch ci siamo dentro), presumibile che oggi, se fosse tra noi, arriverebbe a domandarsi le ragioni di questa incompiutezza, o di ulteriore differimento, alimentando cos un fervido percorso di ricerca in questa direzione. Personalmente ritengo di non poter offrire delle particolari spiegazioni in merito ma solo alcune considerazioni molto sommarie. Probabilmente, quel genere di mutamento oggi avvertito da alcuni come ancora pi lontano da venire, da altri come un tema poco rilevante o di scarsa attualit, da altri ancora ignorato o non pienamente compreso, e infine da alcuni ritenuto scomodo o addirittura contrastato. Daltro canto, il ridimensionamento della tensione per la svolta pu essere spiegato con il fatto che alla stessa tensione si sostituito un effetto di normalizzazione o, forse, indagando le ragioni per cui il tema sia stato via via derubricato al di fuori delle principali attenzioni di chi per professione o come diceva Melucci per privilegio produce conoscenza e discorso scientifico nel mondo contemporaneo. In merito al framework credo sia invece importante illustrare, anche accennando al contributo di altri autori, alcuni percorsi vecchi e nuovi della riflessivit sia come categoria analitica sia nei termini di fenomeno o meccanismo intrinseco al funzionamento del sociale. In questa direzione si possono discutere alcuni ambiti oggetto di riflessivit, arrivando infine a segnalare come la sua principale caratteristica e
means to enable self healing, in Family Process, 26, 1987; nelle teorie organizzative H. Wilmott Breaking the Paradigm Mentality, in Organization Studies, 14, 5, 1993; e naturalmente in sociologia A. Giddens The Constitution of Society: Outline of the Theory of Structuration, Cambridge, Polity, 1984, e P. Bourdieu Rponses. Pour une anthropologie rflexive, Paris, Seuil, 1992. Tra i pi recenti contributi in merito al legame tra concetto paradigmatico e concetto emergente si segnala R.Holland, Reflexivity, in Human Relations, 52, 4, 1999. 3 implicazione, una volta incorporata a vari livelli nelle pratiche e nei discorsi, risieda nel suo funzionamento a spirale. Con questa metafora, giustamente molto amata da Melucci, si vuole qui non tanto giungere a una definizione ultima del concetto bens riepilogare, quantomeno per evitare fraintendimenti, che cosa la riflessivit del sociale oggi non sia o comunque non faccia. Per riflessivit del sociale si intende propriamente un fenomeno che allude alle relazioni sociali, soprattutto alle pratiche e ai discorsi, e non a una qualit dei soggetti, e in questo senso: 1) non risolve i problemi della sociologia, o almeno non tutti, e nemmeno quelli della societ; 2) non serve (necessariamente o inevitabilmente) a costruire un mondo pi buono, pi etico, pi giusto, pi vero ecc.; 3) non rende chi fa ricerca migliore o pi capace di altri solo perch questi si ritiene, si dimostra o si dichiara riflessivo. Daltro canto possiamo richiamare, sempre sommariamente, alcuni aspetti di produttivit della riflessivit osservata come una spirale. Guardando alla societ la riflessivit si presenta spesso come una spirale in termini di funzionamento poich costituita da e costitutiva di processi, strutturati e strutturanti, che tendono a riportare ordine (e tecniche di controllo) in un mondo anche quando pare che questi ne sia privo. Guardando alla sociologia, la riflessivit d luogo a una spirale senza uscita in termini analitici nella misura in cui si corre il rischio di perdere di vista le due pi importanti questioni che il suo funzionamento mette in evidenza, e in particolare quella del potere (e dei rapporti di dominio) e della legittimazione (soprattutto nellambito della produzione della conoscenza, del discorso e delle rappresentazioni). Guardando infine alle pratiche di ricerca, la metafora della spirale allude certamente al problema di avvitamento a chiusura o al cul-de-sac insito nella radicalizzazione procedurale del concetto 4 , ma oltre a questo vuole richiamare unimmagine sopra alle altre: la possibilit di fare delle stesse pratiche di ricerca un oggetto di ricerca, e quindi di discorso e di dialogo, cos da alimentare nuove conoscenze sulle relazioni sociali e forse anche nuovi modi di fare conoscenza. Tuttavia, a che cosa e a chi tutto questo servito o possa servire, ancora quasi interamente da raccontare.
1. A partire da Alberto Melucci
Iniziamo con il tentativo di rispondere a due domande preliminari, costitutive del tema che stiamo affrontando. La prima: Che cos una societ riflessiva? una societ che interviene sempre di pi su se stessa, e dove la conoscenza da intendersi in senso lato allo stesso tempo il prodotto e il mezzo di produzione di questo intervento. La conoscenza diventa parte integrante della produzione sociale in societ che [sono sempre pi riflessive perch] intervengono in modo crescente su se stesse (Melucci 1998, p. 25). La seconda: Che cos una sociologia riflessiva? Si tratta di una sociologia consapevole che la ricerca una pratica sociale tra le altre, e la cui ricerca sempre pi consapevole della propria dimensione sociale e dei processi di costruzione che la caratterizzano (ibid.).
4 Cfr. in particolare il contributo critico di E. Pollner Mundane Reason. Reality in Everyday and Sociological Discourse, Cambridge, Cambridge University Press, 1987 . Alcune interessanti vie di uscita dalla riflessivit radicale sono proposte da E. Colombo Verso una riflessivit etica e collettiva, in Animazione sociale, 5, 2003. 4 Sebbene non esaustive e del tutto preliminari, e per certi versi problematiche a causa dellambiguit intrinseca allimpiego di termini quali consapevolezza e conoscenza, queste due definizioni hanno il pregio di delimitare il campo oggetto di discussione e, di conseguenza, consentono di articolare meglio le due aree tematiche a cui possiamo dedicare una certa attenzione: i legami tra riflessivit e mutamento epistemologico, i percorsi della riflessivit nel sociale. Di seguito, riassumo i principali elementi di queste due aree cercando di mostrare alcune questioni, o domande di ricerca, che essi mettono in evidenza.
1.1 La svolta (la riflessivit) sta nel trattino
Oltre alle grandi capacit di sintesi e di muovere a un tempo molteplici piani di analisi, uno degli aspetti che caratterizzano lintuizione di Melucci sta nellaver aggiunto un ulteriore elemento al dibattito sulla riflessivit, particolarmente significativo in sociologia soprattutto nel corso degli anni Ottanta e Novanta. Molto sommariamente, possiamo dire che diversi autori soprattutto grazie allinfluenza di Bourdieu e di Giddens hanno fatto esplicito riferimento alla nozione di riflessivit per indicare un insieme di prospettive o di approcci anche molto diversi tra loro ma nel complesso caratterizzati da un orientamento comune: il tentativo di far saltare polarizzazioni o dicotomie. Com noto, sul piano teorico si tratta principalmente di superare sia lopposizione tra struttura e agente sia tra micro e macro analisi; sul piano analitico di andare oltre sia allantagonismo tra approccio soggettivistico e approccio oggettivistico sia alla separazione tra analisi del simbolico e quella del materiale; e infine, in termini di riflessione sul fare ricerca, di far saltare quantomeno la pericolosa separazione che si rischia di creare con quello che stato chiamato metodologismo. Parente non molto lontano di quel positivismo gi discusso e smontato dallanalisi dialettica 5 , il metodologismo pu essere definito come la tendenza a separare la riflessione sul metodo dalla sua effettiva utilizzazione nel lavoro scientifico e a coltivare il metodo in s 6 . Il punto principale messo in evidenza dai vari approcci che convergono in questo generale tentativo che, abbandonando o superando una concezione bipolare, per la quale si sta o di qua o di l, il fuoco e il metodo dellanalisi sociologica non scompaiono ma si rivolgono soprattutto al trattino, vale a dire a ci che lega o pu connettere due poli (pi o meno reali o immaginati) tra loro 7 . A questo generale tentativo Melucci dedica non solo particolare attenzione ma aggiunge un elemento per certi versi trascurato e dunque piuttosto innovativo e di particolare interesse: la riflessivit nel sociale in qualche modo legata alla stessa ricerca sociale, e in particolare alla ricerca qualitativa. Le ragioni di questo legame sono principalmente due. La prima si ricava dallosservare linteresse crescente e il dibattito sempre pi ampio soprattutto a partire dagli anni Settanta sui metodi della ricerca qualitativa: motivato da nuove domande teoriche, ravvivato da nuove sperimentazioni di tecniche, e che a ben guardare investe pi in generale il campo intero della ricerca sociale. Collegato a questo
5 Cfr. T.W. Adorno, K.R. Popper, R. Dahrendorf, J . Habermas, H. Albert, H. Pilot Dialettica e positivismo in sociologia, Torino, Einaudi, 1972. 6 L. Wacquant Introduzione a P. Bourdieu Risposte. Per unantropologia riflessiva, Torino, Bollati Boringhieri, 1992, p. 29. 7 Ho provato a sviluppare la questione in G. Navarini La riflessivit sta nel trattino: esercizi di confine tra centro e margine, in Animazione sociale, 8/9, 2003, pp. 11-21. 5 il dato relativo allo sviluppo di nuove pratiche di ricerca, strettamente legato con modi nuovi di porre le questioni e con nuovi soggetti o nuovi campi di ricerca, o per dirla in altri termini, con un modo diverso di affrontare oggetti gi noti o campi tradizionali. Come precisa Melucci, si parla di sperimentazioni poich si tratta di procedure pensate, create e messe in opera proprio in relazione a specifici oggetti e a specifici campi, e per i quali ci si chiede non senza qualche difficolt come si possano studiare (pensiamo ad esempio alla sociologia del corpo, delle emozioni, agli studi di genere e soprattutto sul genere, allanalisi delle rappresentazioni sociali ecc.). Di qui emerge un primo elemento importante di riflessivit: la definizione teorica di questo campo di studi (genericamente chiamato qualitativo) strettamente legata risulta impossibile da separare dalla sua costituzione pratica: cio dal fatto che il nuovo campo di studi emerge non in totale autonomia ma, al contrario, in virt di processi di interazione tra pratiche di ricerca e processi sociali che, pertanto, si costituiscono a vicenda. Soprattutto, per Melucci sono (almeno inizialmente) i processi sociali e le questioni da essi poste che in qualche modo costituiscono le nuove pratiche di ricerca 8 . Oltre a essere piuttosto affascinante, questa complessiva intuizione porta con s almeno due interrogativi di ricerca che rimangono oggi quasi totalmente aperti: come individuare, descrivere e spiegare questi processi di reciproca costituzione; in che misura (e se) si siano diffuse ricerche o indagini specificamente dedicate a questi processi. Basti pensare, ad esempio, allattuale emergenza dei fenomeni di culturalizzazione della natura che di per s invocano ricerche non solo sui processi di costituzione ma anche sullempasse politico (come ricorda Melucci, lelemento politico sta nel fatto che la natura esterna e la nostra stessa natura biologica diventano oggetto di intervento sociale, dipendono dalle nostre decisioni e dalle nostre scelte (1988, pp. 19-20). La seconda ragione sta nellemergere delle pratiche come oggetto di attenzione predominante sia nella vita sociale sia nella riflessione sulla ricerca. Per un verso, Melucci sottolinea con forza che quando parliamo di ricerca qualitativa abbiamo a che fare con un campo di pratiche sociali: siano queste le pratiche di ricerca operate da corpi istituzionali e professionali, sia che ci si riferisca alloggetto della stessa ricerca che, evidentemente, a sua volta costituito da pratiche, quelle degli attori. Per un altro, lattenzione verte anche sulle pratiche di chi consuma i prodotti della ricerca sociale in senso lato, cio di coloro che a vario titolo fruiscono di saperi e conoscenza. Il riferimento piuttosto esplicito allesistenza di un mercato della conoscenza sociale. In
8 Detto in estrema sintesi, linteresse per la ricerca qualitativa un prodotto della riflessivit del sociale. Melucci spiega questa produzione in base a quattro principali elementi: i processi di individualizzazione (che assegnano allesperienza individuale degli attori un ruolo e un valore molto importante e spingono allo studio della dimensione esperienziale del singolo individuo); la crescita di importanza della vita quotidiana come spazio in cui i soggetti costruiscono il senso del loro agire e in cui sperimentano opportunit e limiti per lazione (Melucci 1988, p.18), che spinge a studi il cui fuoco sta nei dettagli, nelle particolarit, nellunicit degli eventi dentro e con i quali si attribuisce significato allazione; la crescita di importanza delle relazioni, che fa si che il senso dellagire sia sempre di pi un prodotto di relazioni sociali, e stimola una ricerca che non solo fa delle relazioni il suo specifico oggetto di analisi, ma che si pu praticare unicamente attraverso relazioni dirette, concrete, con gli attori; la complessit del sociale, intesa come alta differenziazione (che pone laccento sullo studio delle differenze culturali, territoriali, individuali). A questi si aggiunge il meccanismo che nellapproccio di Melucci ha rappresentato una sorta di principio cardine della riflessivit: la culturalizzazione della natura e al contempo la naturalizzazione della cultura. La societ interviene sulle basi stesse della realt naturale sia in senso ecologico che in senso biologico. La natura esterna e la nostra stessa natura biologica diventano oggetto di intervento sociale, dipendono dalla nostre decisioni e dalle nostre scelte (ivi, p. 19). 6 questo senso, nelle cosiddette societ altamente differenziate e basate sullinformazione chiunque non pu evitare di risultare un attore-consumatore di conoscenza, ovvero la conoscenza ritenuta sempre pi necessaria e, di conseguenza, sempre pi incorporata nelle pratiche sociali: Siamo sempre pi orientati a incorporare nelle nostre azioni le informazioni relative alla societ stessa. Le nostre pratiche includono in misura crescente informazioni relative ai modi in cui lazione sociale si definisce, si costruisce. In un processo circolare, attraverso queste informazioni noi stessi definiamo e costruiamo la nostra azione (ivi, pp. 16-17). Da tutto questo derivano diverse cose, tra le quali un secondo importante elemento di riflessivit: le pratiche di ricerca, le pratiche sociali degli attori oggetto di studio e pi in generale le pratiche degli attori-consumatori di informazione sono tra loro reciprocamente costitutive. Ma dato che informazione un termine troppo vago, probabilmente da sostituire con commento, opinione, rappresentazione ecc. (basta guardare il contenuto effettivo dei quotidiani) si tratta, in ultima analisi, di rimettere in gioco e di prendere sul serio, nello studio della societ, la cosiddetta circolarit tra pratiche e tra pratiche e discorsi, nel senso foucaultiano del termine 9 . Di qui un altro interrogativo: in che modo si diffusa oggi questo genere di ricerca? Questo interrogativo strettamente collegato ai due precedentemente accennati, nel senso che le scelte e di conseguenza lempasse sono con tutta evidenza sempre pi costituite da una spirale creata dal discorso. La principale conseguenza di questo doppio legame a cui abbiamo accennato sta, secondo Melucci, nella perdita di significato dellopposizione tra qualit e quantit, tra ricerca qualitativa e quantitativa: in questa affermazione risiede principalmente lelemento aggiuntivo al dibattito in corso sulla riflessivit, con particolare riferimento al problema del metodologismo. Evitando in questa sede di riprendere gli argomenti con i quali viene spiegata la perdita significato dellopposizione tra i due tipi di ricerca (fondamentalmente si tratta del fatto che entrambi i campi di ricerca sono parte di un comune campo di interdipendenza e circolarit riflessiva e sia luno che laltro si pongono domande e producono risultati discorsi riconducibili a pratiche), bene sottolineare come anche questa affermazione ci abbia lasciato un interrogativo (forse meno interessante di altri se non altro perch riguarda unicamente la comunit dei sociologi): se infatti al riguardo per caso rimasta qualche genere di opposizione, si tratta di spiegarne il significato non perduto oppure di spiegare eventuali nuovi significati che sono stati creati. Decisamente pi interessante invece quello che si pu ricavare dalla spiegazione offerta per rintracciare le origini, o gli intrecci, dellopposizione quantit/qualit nella ricerca. Detto molto in breve, lopposizione sostenuta da e si intreccia con la discussione che oppone la prospettiva costruttivista al realismo ingenuo. Melucci constata che questa opposizione, gi messa in crisi dalla fenomenologia, dallermeneutica, dalletnometodologia, dallinterazionismo simbolico, dallapproccio di Goffman, dal linguistic turn, dalla svolta interpretativa di Clifford Geertz e pi in generale dai cultural studies, si ulteriormente dissolta grazie ai recenti contributi delle scienze cognitive. In questa direzione, crollata da tempo lingenua (e fuorviante) nozione di riflessivit in quanto mero meccanismo a specchio, ossia stata completamente demolita lidea o la convinzione che la mente (di chi pensa, osserva, fa ricerca) rispecchi semplicemente la realt. In questo senso, assieme al vecchio dualismo
9 Cfr. in particolare M. Foucault Il discorso, la storia, la verit. Interventi 1969-1984 (a cura di Mauro Bertani), Torino, Einaudi, 2001. 7 soggetto/oggetto, fatti/rappresentazioni, realt/interpretazione, Melucci auspica che anche la (fittizia) opposizione tra ricerca qualitativa e quantitativa sia destinata a sfumare. Tuttavia, la possibile sfumatura di tutte queste opposizioni pone nuovi problemi e, soprattutto, pone al centro dellanalisi due vecchi temi che la sociologia, se vuole evitare un avvitamento riflessivo, deve prendere in considerazione molto sul serio: il potere e la legittimazione.
1.2 Ritornare al potere
Quale elemento che pi di altri scardina i dualismi Melucci insiste sulla centralit del linguaggio. Non si conosce senza passare dal linguaggio, e il linguaggio sempre culturalizzato, di genere, etnico, e sempre situato: legato a tempi e luoghi specifici. Ma dato che ogni linguaggio non mai pari ad altri proprio perch situato, se prendiamo sul serio la centralit del linguaggio emerge un tema di riflessivit piuttosto rilevante (e per certi versi oggi trascurato): il problema della posizione da cui si parla e, soprattutto, della legittimazione dei parlanti. In questa direzione ritengo che vadano prese molto sul serio, ed eventualmente aggiornate, le riflessioni di Bourdieu in merito ai processi di costituzione di un linguaggio autorizzato (che pur essendo situato come gli altri quello che gode di maggiore legittimazione) e con riferimento, in definitiva, a ci che effettivamente costituisce e a sua volta costituito da quel tipo di linguaggio: vale a dire un principio di esclusione 10 . Insomma, se si tralascia lo studio dei fenomeni di potere lattenzione alla riflessivit del linguaggio non porta altro che a una spirale senza fine, o dove alla fine non si spiega nulla. A una medesima conclusione si giunge discutendo il problema della doppia ermeneutica, inteso da Melucci grossomodo come segue. Innanzitutto, il punto che nel nuovo quadro epistemologico non si tratta di produrre conoscenze assolute ma interpretazioni plausibili. E questo per una ragione che, tutto sommato, arriva da uno strano incontro tra letnometodologia di Garfinkel e lapproccio interpretativo di Geertz. Come sintetizza Melucci: 1) i comportamenti le pratiche dicono qualcosa su come gli attori stessi interpretano la propria azione (ovvero la reflexivity di Garfinkel); 2) la ricerca produce interpretazioni che cercano di dare senso ai modi in cui gli attori sociali cercano a loro volta di dare senso alla loro azione; 3) cos che con conoscenza sociale stiamo a tutti gli effetti parlando di resoconti di senso di resoconti di senso, o se vogliamo di narrazioni di narrazioni (ovvero lassunto interpretativo di Geertz). Al di l delle eventuali contraddizioni che qualcuno potrebbe rilevabile in questi passaggi (se non altro la distanza che letnometodologia contemporanea mantiene dallapproccio di Geertz), rimane un fatto importante e piuttosto evidente: una epistemologia della plausibilit si sostituisce a una epistemologia della verit. Di qui un problema cruciale: se abbiamo a che fare con narrazioni continua Melucci quale nozione di realt (plausibile) questa prospettiva autorizza? A questo interrogativo potremmo aggiungerne un altro, sul fronte dei criteri di fruizione e di interpretazione: plausibilit per chi? Insomma, non sono in gioco solo i criteri con cui si determina la plausibilit (tecnici, cognitivi, politici, etici) ma anche i rapporti di potere allinterno dei quali una conoscenza diventa plausibile (Melucci 1998, p. 23).
10 P. Bourdieu La parola e il potere. Leconomia degli scambi linguistici, Guida, Napoli, 1988. sul principio di esclusione il riferimento obbligatorio M. Foucault Il discorso, la storia, la verit, op. cit. 8 Infine, linvito a tornare a studiare il potere rimetterlo al centro dellanalisi sociologica emerge con insistenza in quellordine di problemi che Melucci chiama questioni aperte e che nuovamente alludono, in un modo o nellaltro, alla spirale della riflessivit. Innanzitutto, il rapporto tra realt e rappresentazione: siamo solo di fronte a rappresentazioni o abbiamo un qualche rapporto con la realt? (ivi, p. 24). Nel complesso dibattito che ruota attorno a questa domanda si presenta tuttavia un ulteriore interrogativo, un aspetto forse meno rilevante sul piano epistemologico ma che attualmente si pu dire che interpelli fortemente la ricerca sociologica (in parte tralasciato da Melucci, forse perch meno evidente negli anni Novanta): in che misura le rappresentazioni sono oggi costitutive di realt o meglio di pratiche reali? Basti pensare ai casi italiani pi significativi (e non solo in Italia) in questi ultimi anni 11 : ad esempio il caso relativo al grande frame della sicurezza, ossia quel potente fenomeno costituito dalle rappresentazioni del crimine 12 , della paura e dellinsicurezza che sono riflessive almeno nel senso che certamente portano a creare (in)sicurezza e paura, quando non violenza, e per giunta autorizzate e legittimate da un insieme di pratiche sociali e istituzionali che loro stesse hanno prodotto. Anche qui il problema della spirale non pu essere superato se non ricorrendo a una seria analisi dei meccanismi (vecchi o nuovi) di potere. Del resto, nonostante in Italia il carattere costruito di questo genere di fenomeni rappresentazioni e discorsi che intervengono nel reale sia stato molto ben illustrato e plausibilmente dimostrato 13 , bene chiedersi come mai la paura o simili percezioni (intolleranza, insicurezza ecc.), se davvero sono create da processi riflessivi (ad esempio un discorso tautologico), siano ormai diventate parte di un frame a cui gran parte delle persone (inclusi molti intellettuali) continuano a credere come reale o vero. Una seconda questione aperta riguarda il pi che mai dibattuto relativismo, il quale, come sottolinea Melucci, da un punto di vista epistemologico ripropone in forma nuova la vecchia contraddizione dello scettico. Se si entra in una pluralit di interpretazioni, di paradigmi, di punti di vista, il rischio del relativismo ben presente e il relativismo obbliga al silenzio perch, come nella classica contraddizione dello scettico, se si dice che tutto relativo o che nulla vero, non si ha pi diritto di parlare, per definizione (ivi, p. 25). Di qui la spirale, e di conseguenza una questione gi spalancata da Foucault e che nuovamente si ripropone: come sia possibile fondare unepistemologia pluralista e tollerante, capace di aprirsi a nuove interpretazioni e di mettere in discussione gli assunti consolidati dalla scienza normale, quando una comunit o una disciplina scientifica tende a trasformare il consenso interno allorganizzazione in verit ontologica (ibidem). Ma qui Melucci non poteva forse prevedere un altro rischio, o meglio il pericolo, che il relativismo avrebbe incontrato: un concetto che anzich alimentare una revisione critica e quindi un ulteriore sviluppo epistemologico nel senso da lui auspicato, stato riflessivamente incorporato da un discorso anti-relativista, oggi sempre pi dominante, autorizzato e istituzionalmente legittimato (da Bush allattuale
11 Allinterno di questo settore di ricerca andrebbe considerata con pi dettaglio la questione riflessiva della visibilit, cio di come un certo modo di pensare, ossia la rappresentazione che fa della visibilit (ad esempio televisiva) una cosa vitale per le persone, porti di effettivamente a conseguenze molto reali, sia in campo politico sia nei mondi pi ordinari della vita quotidiana e tra i giovani (basti pensare alleffetto you tube). 12 Al riguardo una interessante ricerca sulla riflessivit nel discorso sul crimine si trova in A. Edwars e P. Gill, The Politics of Transnational Organized Crime: Discourse, Reflexivity, and the Narration of the Threat, in British J ournal of Politics and International Relations, 4, 2, 2002. 13 A. Dal lago, Non persone, Milano, Feltrinelli, 1999. 9 Papa, passando dal linguaggio autorizzato di alcuni editorialisti, giornalisti e opinion leader). Qualcosa di simile sta in parte accadendo con lapproccio noto come costruttivismo (che in parte si misura con alcuni problemi epistemologici del relativismo), esplicitamente attaccato dalla buona argomentazione di alcuni filosofi che hanno ben pensato di demolirlo assieme al relativismo 14 . Melucci aveva indicato che i conflitti di interpretazione si vanno sempre pi trasformando in confronti tra processi argomentativi (ivi, p. 29), e che questo andava giustamente imputato alla svolta epistemologica in corso. Ma dato che uno dei pilastri di questa svolta sta proprio nellapproccio costruttivista, se oggi la nuova filosofia anti-relativista e contro- costruttivista o se vogliamo una certa filosofia che alimenta un ritorno al foundationalism pare funzionare ed aver successo, lunica spiegazione pu essere cercata nei rapporti di potere o di dominio che il senso ben argomentato 15 che essa produce finisce per servire (oltre al fatto che siamo ancora in attesa di una risposta argomentata da parte di chi seriamente fa ricerca nel framework del costruttivismo sociale). Unaltra rappresentazione sociale piuttosto presente nella nostra societ, stretta parente della filosofia anti-relativista, allude al fatto che alla gente non piaccia lapproccio costruttivista perch pare non dia certezze. Ma credo risieda ancora nella logica dei rapporti di potere il tentativo di spiegare, ad esempio, le ragioni per cui (anche nei telegiornali) la stessa sociologia minata nei suoi fondamenti, mentre vengono celebrati i successi dellultima scoperta della scienza biologica per spiegare (attraverso il Dna) qualsiasi cosa: dal gusto alimentare alla scelta del partner, dalla felicit sentimentale ai successi nel mondo professionale. Insomma, il punto verso cui a partire da Alberto Melucci non si pu facilmente evitare di sentirsi richiamati quello di tornare a studiare il potere. Del resto, la conoscenza diventa parte integrante della produzione sociale in societ che sono sempre pi riflessive perch intervengono in modo crescente su se stesse, ma impossibile occuparsi di conoscenza senza occuparsi delle relazioni sociali e in particolare del potere al loro interno, dato che il potere diventa sempre di pi capacit di definire in modo privilegiato i codici intorno a cui la conoscenza si organizza (ivi, p. 25). Dunque uno dei compiti emergenti della sociologia di tornare a studiare il potere. Il richiamo ad analizzare seriamente come la conoscenza passa attraverso squilibri che governano la sua produzione, e come si esercita il nuovo potere, quello di definire i linguaggi, tenendo conto che il linguaggio determina la possibilit stessa del pensiero e della comunicazione (ivi, pp. 25-26). Si torna cos allemergenza di quanto detto prima. Prestando attenzione a enunciare gli elementi della svolta epistemologica, Melucci evita di sottolineare (ma daltro canto lo fa in altri lavori) un elemento fondamentale: i linguaggi non sono tutti uguali e, se seguiamo Bourdieu, quello pi potente il linguaggio autorizzato. Dunque il problema diventa studiare come si autorizza il linguaggio autorizzato e come lo si legittima. Melucci riconosce che oggi ci sono diverse fonti di legittimazione della conoscenza: accademico-scientifiche, lite transnazionali di tipo politico ed economico, e i consumatori di conoscenza in senso lato, spiegando anche come la pluralit di fonti stia producendo una migrazione e
14 Cfr. in particolare P. A. Boghossian Paura di conoscere. Contro il relativismo e il costruttivismo, Roma, Carocci, 2006. 15 In buona sostanza, si tratta del tema dellideologia cos come trattato da J .B. Thompson, Linguaggio e ideologia, in F. Crespi (a cura di) Ideologia e produzione di senso nella societ contemporanea, Milano, Franco Angeli, 1987. 10 circolazione di concetti dalluna allaltra. Ma al di l del fatto epistemologico, la questione del potere va introdotta anche e soprattutto nel definire questa circolazione, dato che, come abbiamo visto, esistono sempre linguaggi pi autorizzati di altri (come ora sembra accadere per il linguaggio dellanti-relativismo). In questa direzione acquista ulteriore interesse una domanda che Melucci pone trattando il tema della legittimazione della conoscenza prodotta dalla ricerca: se questa sia tutta interna alla comunit scientifica o venga dallesterno, e in che rapporto possano stare i diversi tipi di legittimazione. Qui il problema molto complesso, ma per fare un esempio forse banale, oggi verrebbe spontaneo chiedersi che cosa stia accadendo (in Italia) con il taglio dei finanziamenti alle universit e il probabile passaggio al privato- fondazioni. Non un segno dei mutati rapporti di legittimazione, e con questi di un intervento plateale sul senso, direzione, utilit della scienza e della ricerca?
1.3 Ricadute sulla ricerca
Lultimo stimolo che vorrei ricordare riguarda le ricadute della riflessivit sul piano della ricerca. Come gi accennato, un importante elemento della svolta epistemologica sta nel riconoscere, puntualizza Melucci, che fare ricerca una pratica sociale tra le altre, e come tutte le pratiche anchessa caratterizzata da processi di costruzione sociale. Se preso sul serio questo riconoscimento porta a diverse implicazioni e, tra queste, ve ne sono due che forse si pongono con maggiore rilevanza. La prima sta nella difficolt (non solo cognitiva ma anche pratica) dellosservatore o di chi fa ricerca nellaccettare e di far accettare agli altri la ridefinizione del rapporto tra losservatore e il campo, e quindi di muoversi di conseguenza. Come sostiene Melucci dalla dicotomia osservatore/campo si passa alla connessione osservatore-nel-campo. In altri termini: tutto ci che osservato nella realt sociale osservato da qualcuno che si trova a sua volta inserito in relazioni sociali e in rapporto al campo che osserva (ivi, pp. 22-23). Qui il concetto di riflessivit assume un significato simile a quanto avviene in altri ambiti, ma con una implicazione inevitabilmente pi problematica, almeno per chi lo prende sul serio 16 . Si tratta infatti di riflessivit nel senso che il ricercatore-osservatore parte costitutiva del campo-realt che va osservare, che lo voglia o meno. A corollario di questo assunto ve n dunque un altro che apre a una riflessivit decisamente problematica: ogni osservazione sempre un intervento. Secondo Melucci la crescente consapevolezza che lopposizione tra osservazione e intervento decisamente superata costituisce un paletto, vale a dire un modo di delimitare nuovi percorsi di ricerca nonostante le questioni aperte dalla svolta epistemologica non siano di fatto risolvibili. In questo senso, la delimitazione implica lapertura di un nuovo spazio di sperimentazione e ricerca sul problema della verifica,
16 Intendo prendere sul serio in senso empirico, ossia non in termini di credenza ma con il preciso intento di portare il problema, nellepistemologia delle pratiche di ricerca, alle sue estreme conseguenze fenomenologiche, e questo proprio per lavorare sul senso del problema. Lestrema difficolt legata a un simile programma di ricerca sta anche, come dicevo, nellaccettazione dellassunto di partenza da parte di altri. Questo pu portare anche al problema di come farsi comprendere, o anche solo del come riuscire a farsi capire, da altri ricercatori che, per lappunto, seguono un diverso programma di ricerca o non ne hanno uno specifico. Un esempio di questa difficolt problematica si pu trovare nel mio articolo Etnografia dei confini: dilemma clinico e polisemia, pubblicato in un numero monografico della Rassegna Italiana di Sociologia (2/2001) e dove nella Postfazione, assieme ad altri colleghi, sono stato onorato del prestigioso titolo di talebano delletnografia. 11 per quanto limitata, e di un controllo, per quanto limitato, della nostra continua interferenza nel campo (ivi, p. 26). Ma questo non pu che avvenire dentro a una sorta di nuova consapevolezza, relativa al fatto che sia la verifica sia il controllo, nonostante siano elementi importanti, non servono a risolvere il problema. Al contrario, pu accadere che determinino una spirale senza fine: un ricercatore totalmente riflessivo (in senso puramente ideale) non altro che uno che non agisce non riesce pi a fare ricerca o che alla fine osserva solo se stesso. Daltro canto, in tale contesto che si presenta quella che Melucci chiama la spirale senza fine della riflessivit. Se si introducono livelli riflessivi di analisi sulle pratiche ci si domanda che cosa costituisce una pratica e che cosa abbia costituito quel che cosa la riflessivit si moltiplica, e si entra dunque in una spirale in cui difficile stabilire una fine: ad ogni livello di analisi pu sempre corrispondere un nuovo sotto livello, un meta-livello, e cos via. Dunque due problemi: quando e in che modo il ricercatore decide la fine delle sue interpretazioni? E soprattutto, chi decide quando finiscono le interpretazioni plausibili? Insomma, il problema rimane aperto, costituisce un dilemma, ma non nel senso di un rompicapo da risolvere a tavolino o con linvenzione di buone tecniche. Lequazione osservazione-intervento un dilemma da tenere aperto innanzitutto perch favorisce, nelle pratiche di ricerca, una certa creativit. Oltre a questo, pu favorire una maggiore comprensione o una migliore conoscenza di ci che in genere la sociologia vuole studiare: le relazioni sociali (abbiamo infatti detto che il senso dellagire un prodotto di relazioni). Infine, pu aiutare il ricercatore a non dimenticare di tenere conto di una domanda e di usarla mentre fa ricerca, un interrogativo per certi versi legato a un altro noto dualismo, implicazione e distacco. Tradotta ai minimi termini, la domanda questa: che rapporto hanno i ricercatori con gli attori, che tipo di relazione si stabilisce tra osservatori e osservati? La domanda non buona solo perch spinge a considerare, e a studiare nelle pratiche, la questione della partecipazione (basti pensare alla fortuna che in questi ultimi anni ha avuto questa parola, spesso abusata e non sempre impiegata con il sostegno di una seria analisi o con cognizione di causa). La domanda buona nel senso che contribuisce a ridurre alcuni rischi del mestiere molto noti: il rischio di fare i profeti (specie in certi casi, come nello studio dei movimenti sociali), pi in generale il rischio di ideologia ma anche, sul fronte opposto, il rischio di indifferenza. Oltre a questo, una domanda che risulta buona per dare attenzione, soprattutto in termini di ricerca e di studio, al tema della responsabilit. Difatti, nella misura in cui Melucci riconosce che la dimensione etica risulta sempre pi evidente nella pratica di ricerca (in quanto pratica sociale), sottolinea anche come quella dimensione sia di per s irrisolvibile sia da un punto di vista delle tecniche sia nei termini di identit professionale, cio nei modi canonici in cui si pone la posizione legittima e istituzionale del ricercatore standard. Di conseguenza, come si possono tenere insieme le due facce della responsabilit che, di solito, sono tra loro in tensione: rispondere di e rispondere a? Anche questo, possiamo dire, un buon dilemma su cui oggi ci troviamo a lavorare a partire da Alberto Melucci. Infine, possibile accennare ad alcuni sviluppi in questa direzione che vanno oltre le questioni sulla verifica e il controllo prima accennate. Oltre a cercare di controllare e di verificare linterferenza nel campo, anzi proprio per muoversi in questo senso, il ricercatore non pu evitare di rivolgersi agli attori discutendo della relazione che andata costruendosi tra lui/lei e loro, e soprattutto, come lo stesso campo stato costruito in virt di questa relazione. Ma di tutto questo, alla fine, il ricercatore deve dare conto, deve cio riportarlo nei suoi resoconti di ricerca (ad esempio spiegando la 12 posizione da cui ciascuno di volta in volta osserva-agisce, se non altro perch tali posizioni servono a spiegare le interpretazioni, che altro non sono che co-costruzioni). Questultima considerazione si lega strettamente alla seconda importante implicazione. Melucci osserva come dallidea che i risultati siano in s trasparenti (o veri) perch trasmessi attraverso il linguaggio codificato di una corporazione scientifica si passi allidea che ogni presentazione di risultati una forma di narrazione: narrazioni che evidentemente essendo resoconti di resoconti non sono oggettive, ma per le quali tutto quello che si pu fare di garantire forme solide e plausibili di argomentazione. Per quanto riguarda soprattutto la ricerca qualitativa si tratta inoltre di resoconti che anche nella forma narrativa vanno sempre pi abbandonando la connessione lineare del modello classico della ricerca scientifica (ipotesi e verifica delle ipotesi), per passare al tentativo di spiegare e descrivere gli effetti emergenti e ricorsivi nei processi di ricerca, e in particolare nei processi per i quali (si ammette che) la conoscenza prodotta come scambio tra osservatore e osservato, e la si spiega di conseguenza. Insomma, narrazioni dove la spiegazione non verifica di ipotesi ma un tentativo di produzione di una conoscenza che si data nel farsi della ricerca, costruita e aggiustata progressivamente attraverso linterazione tra osservatore e osservato. Uno dei vantaggi di questo genere di narrazioni e non poco che portano a conclusioni sempre contestabili non perch siano deboli ma per la loro complessit, e per il semplice fatto che si pongono o almeno tentano di porsi al di fuori della pretesa di verit, o meglio, degli effetti di verit 17 . E questo, a ben vedere, il presupposto minimo per un dialogo propriamente scientifico, e dunque per promuovere ulteriori percorsi di conoscenza. Va infine ricordato che proprio questa attenzione alla narrazione conduce verso una prospettiva che tende ad accogliere la polifonia, il pluralismo possibile delle forme di racconto e di argomentazione, incluse ovviamente quelle degli attori. Di qui un ultimo problema (o dilemma) di riflessivit: come incorporare nei resoconti di ricerca la polifonia, cio dando voce ad altri e quindi provando a ridurre al minimo la colonizzazione del senso degli attori da parte degli osservatori ma, tuttavia, evitando di ricadere in unaltra spirale, cio arrivando alla fine a produrre un testo che sia effettivamente leggibile e che autorizzi altri a pensare che non sia mera narrazione o romanzo bens il prodotto legittimo di una reale attivit di ricerca. Com noto, le sperimentazioni in questo campo sono state raccolte e rilanciate soprattutto grazie a certi sviluppi della cosiddetta etnografia critica o postmoderna 18 , ma con riflessi e ricadute (in sociologia e in antropologia) che sono ancora tutti, o quasi, da raccontare.
17 M. Foucault Il discorso, la storia, la verit, op. cit. 18 In particolare si veda J . Clifford e G.E. Marcus Scrivere le culture: poetiche e politiche in etnografia, Roma, Meltemi, 1997.