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Per una teoria critica delle forme di vita.

Il nuovo programma filosofico di Rahel Jaeggi


di Giorgio Fazio
Nel suo ultimo libro, Kritik der Lebensformen (Critica delle forme di vita), Rahel Jaeggi
articola in forme pi sostenute e strutturate il concetto di forme di vita e sottopone
ad attenta critica il neutralismo etico della filosofia habermasiana e rawlsiana. Quel
che si riaffaccia dunque il tentativo di ripensare le forme dell'eticit moderna non
disperdendone il cospicuo potenziale normativo.
possibile criticare, facendo uso di buone ragioni e di argomentazioni condivisibili,
gli orientamenti di fondo, i valori e le corrispondenti pratiche sociali che fondano e
strutturano una forma di vita umana? Sollevare la pretesa di dare indicazioni sulle
questioni della condotta di vita, intervenendo nel delicato territorio delle domande
relative alle identit: come vogliamo intenderci, chi siamo, chi vogliamo essere?
La risposta che le correnti pi influenti della filosofia politica degli ultimi decenni
hanno dato a queste domande : no. E le ragioni che sono state avanzate per fondare
questa risposta coincidono, in buona sostanza, con il richiamo a quella serie di
principi che definiscono ci che spesso un po enfaticamente si soliti denominare il
perimetro di valori irrinunciabili della modernit occidentale: il riconoscimento
dellautonomia pratica degli individui nel dare forma alle loro vite e il rispetto del
pluralismo etico.
In un saggio degli anni ottanta, dedicato a spiegare il senso della differenza tra letica
antica e letica moderna, il filosofo tedesco Ernst Tugendhat ha sviluppato alcune
considerazioni che illustrano questo punto in un modo quanto mai chiaro ed incisivo.
Illustrando le ragioni per le quali unetica filosofica moderna irrimediabilmente
condannata ad arretrare rispetto al campo che per tempo immemorabile passato
come il campo proprio della filosofia, ossia la dottrina della retta vita per
riprendere le parole affidate da Adorno al suo melanconico incipit di Minima Moralia
1 Tugendhat osservava: la spinta politica emancipativa della concezione morale
moderna consiste nel convincimento, fondante la concezione liberale del diritto,
che a ciascuno deve essere lasciata la libert di decidere il modo in cui dare forma alla
propria vita. Questo convincimento non implica necessariamente che si debba
cessare dinterrogarsi sui principi, fondabili oggettivamente, circa la buona e la retta
vita. Esso implica per la consapevolezza che laddove si crede a questi principi, si
gi compiuto un passo nella direzione di una dittatura etica. 2
Letica moderna viene dopo la crisi del carattere universalmente vincolante dimmagini
metafisiche e religiose del mondo e della loro pretesa di fondare il modello di una vita
1
2

T. W. Adorno, Minima moralia, Einaudi, Torino 1994, p. 3.

E. Tugendhat, Etica antica e etica moderna, in Problemi di etica, trad. it. Einaudi, Torino 1987,
pp. 22-41.

giusta, di una vita modello, che deve essere imitata da tutti, sia dai singoli sia dalla
comunit politica. Essa si confronta con il pluralismo delle visioni del mondo e con la
progressiva individualizzazione degli stili di vita e muove dal fallimento e dai
pericoli - cui votato ogni tentativo filosofico e politico - di considerare come
vincolante una determinata forma di vita, imponendo il suo modello su tutte le altre
possibili forme di vita.
Proprio richiamandosi a questi principi, il filosofo tedesco Jrgen Habermas,
daccordo su questo con il liberalismo filosofico e politico di John Rawls, giunto a
tracciare nei suoi lavori una rigida linea divisoria tra teoria morale e teoria etica, tra
questioni della giustizia e questioni della buona vita: tra norme e valori. Un discorso
filosofico postmetafisico e liberale, scrive Habermas, non deve rinunciare a
considerazioni di ordine normativo. Esso deve circoscrivere per la propria
attenzione prevalentemente alle questioni di giustizia: mirare a illustrare quel
punto di vista morale con cui noi giudichiamo le norme e le azioni, cercando di
stabilire ci che sta nelleguale interesse di ciascuno e che parimenti buono per
tutti.3 Per quanto concerne invece le questioni etiche le questioni che riguardano
cio scelte esistenziali, orientamenti di valore, concezione del bene, tutto ci insomma
che rimanda al terreno irriducibilmente plurale delle forme di vita, storicamente e
culturalmente connotate - esso deve ispirarsi al principio di una giustificata
astensione neutrale. La societ giusta lascia libere tutte le persone di decidere che
uso fare del tempo della loro vita. A ciascuna essa garantisce pari libert di sviluppare
unautocomprensione etica, al fine di realizzare una concezione personale di vita
buona in base alle proprie possibilit e preferenze.4 Queste questioni si collocano
sempre nel contesto di una determinata forma di vita individuale o di una particolare
forma di vita collettiva. Sintrecciano alle questioni dellidentit. Sono quindi
questioni per le quali evidentemente non esistono soluzioni indipendenti dal
contesto, ossia risposte generali e vincolanti per tutti allo stesso modo.5 Di nuovo, e
detto con parole pi semplici: a ciascuno deve essere lasciata la libert di decidere la
propria forma di vita, purch le conseguenze di questa decisione non ostacolino il
libero perseguimento dei propri scopi da parte di tutti gli altri. Da qui limpegno di
una teoria politica normativa a stabilire quello spettro di orientamenti morali su cui
tutti, singoli e gruppi, possono e debbono trovarsi daccordo, se vogliono vivere in una
societ giusta. Da questo consenso per intersezione devono rimanere fuori, per,
quelle che Rawls chiamava le visioni comprensive del bene irragionevoli e che
Habermas chiama, appunto, questioni etiche concernenti le identit. Nei confronti di
queste questioni la critica filosofia deve arretrare: su di esse non si pu n si potr
mai raggiungere un accordo razionale, anzi, gi questa pretesa costituisce, per

J. Habermas, Il futuro della natura umana. I rischi di una genetica liberale, Einaudi, Torino

2002.

4
5

Ibidem.
Ivi, p. 7.

riprendere di nuovo le parole di Tugendhat, un passo in direzione di una dittatura


etica.
Alla domanda iniziale se sia possibile criticare, facendo uso di buone ragioni e di
argomentazioni condivisibili, gli orientamenti di fondo, i valori e le corrispondenti
pratiche sociali che fondano e strutturano una forma di vita umana, tutte queste
posizioni rispondono dunque negativamente. E con argomenti apparentemente
inappuntabili e difficilmente contestabili.
E tuttavia, a un supplemento di analisi, la questione sembra tuttaltro che cos
semplice, come del resto non hanno mancato di rilevare tutti i critici di queste
posizioni. un dato anchesso difficilmente contestabile, infatti, che sui modi in cui si
vive e si deve vivere, sui valori che orientano le nostre forme di vita e su queste stesse
forme di vita su cosa si deve intendere, per esempio, per una buona famiglia, per un
buon lavoro, per una buona societ si continua a discutere e, oggi pi che mai, si
continuano a produrre conflitti, pubblici e politici. E questo per una ragione molto
semplice: le diverse forme di vita e le diverse concezioni etiche che ne stanno alla
base non se ne stanno una accanto allaltra pacificamente, ciascuna in un recinto
privato, ma rivendicano pretese di validit, pretendono di essere migliori di altre e
come tali si propongono nella sfera pubblica. Proprio questi confitti per sollevano
prima o poi la domanda se esistano criteri sulla base dei quali sia possibile
confrontare, valutare e criticare le diverse forme di vita e le scelte etiche di singoli e di
gruppi, se non si vuole abbandonare questi conflitti ad una deriva in cui a vincere
semplicemente chi sa imporre il proprio punto di vista con pi forza. Ma non appena
si solleva questa domanda, la separazione tra questioni morali e questioni etiche e la
riduzione di queste ultime a questioni private si rivela ben pi problematica di
quello che sembrava a prima vista. E un esame attento di questa problematicit pu
alla fine persino portare a chiedersi se unastensione neutrale dalle questioni etiche
sia davvero la strategia teorica pi idonea per difendere e per promuovere quel
principio dellautonomia dei soggetti nel dare forma alle loro vite che costituisce la
spinta politica emancipativa della modernit occidentale.

precisamente muovendo da questa domanda fondamentale che prende avvio


lambizioso progetto filosofico di Rahel Jaeggi professoressa alla Humboldt
Universitt di Berlino e attualmente uno degli esponenti pi interessanti dellultima
generazione della scuola di Francoforte consegnato al suo ultimo volume, dal titolo
programmatico: Critica delle forme di vita (Kritik der Lebensformen).6 Si gi avuto
modo di parlare in questa sede del suo lavoro precedente, Alienazione (tra poco in
traduzione italiana).7 Rispetto a quel testo, che costituiva un tentativo di
6
7

R. Jaeggi, Kritik der Lebensformen, Suhrkamp, Berlin 2014.

http://ilrasoiodioccam-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2013/01/29/ildoppio-volto-dellalienazione-la-nuova-teoria-critica-di-rahel-jaeggi

riattualizzazione della critica dellalienazione di matrice marxista ed esistenzialista,


Jaeggi prova ora per cos dire ad alzare la posta. Il suo scopo in questo suo ultimo
lavoro, infatti, quello di trasferire sul piano dellanalisi dei processi collettivi di
riproduzione culturale e sociale della vita umana ci che lei denomina appunto forme
di vita quello sguardo critico-diagnostico che nel libro precedente aveva puntato
sulle forme dellalienazione individuale. E il punto di partenza di questo suo progetto
proprio una contrapposizione frontale a quello che lei denomina, facendo
riferimento esplicito alle teorie normative di Rawls e di Habermas, limperativo del
silenzio nei confronti delle questioni etiche. Rovesciando lordine del discorso della
filosofia politica che ha dominato la scena filosofica degli ultimi decenni, Jaeggi vuole
dimostrare come non solo possibile criticare, con buoni argomenti, la qualit
intrinseca di una forma di vita, senza con questo ricadere in una forma di
paternalismo e di monismo etico. Il suo obiettivo anche quello di dimostrare come
solo se la filosofia si riapre a un tipo di critica di questo tipo possibile per essa
rimanere fedele alla spinta emancipativa della modernit, ma anche non recidere la
possibilit di un collegamento produttivo con le intenzioni della prima teoria critica, a
suo dire tradite dallimpostazione di Habermas.
Ma che cos che precisamente non va nella strategia dellastensione neutrale dalle
questioni etiche? Nelle prime pagine del volume, Jaeggi muove alle impostazioni di
Rawls e di Habermas essenzialmente due critiche. In primo luogo, osserva la filosofa,
ci che questi filosofi presentano come una strategia teorica volta a riconoscere il
pluralismo e a neutralizzare i conflitti tra visioni del mondo costituisce in realt una
forma di velamento dei conflitti, che alimenta nuovi potenziali di conflitto invece di
contribuire a ricondurli al piano di un confronto razionale. In secondo luogo,
larretramento delluso pubblico della ragione e, pi specificamente, della critica
filosofica dalle questioni etiche conduce a una romanticizzazione delle forme di vita, a
una loro essenzializzazione. E ci non solo ha un risvolto tradizionalistico ma non
permette anche di riconoscere le forme di vita in cui noi stessi viviamo come
qualcosa di storicamente divenuto e di politicamente statuito, e quindi di
praticamente trasformabile. Questa impostazione finisce per piegare quindi il
discorso filosofico a una funzione ideologica: ossia, per dirla con Marx, a naturalizzare
lesistente e con ci a mettere a tacere ogni critica radicale di esso.
Per spiegare queste due critiche, Jaeggi si sofferma in apertura del testo su alcuni
esempi presi direttamente dallattualit.
Prendiamo il caso, scrive la filosofa, dei matrimoni combinati e forzati, tuttora
praticati in altre societ e facilmente riconducibili ed espressioni di tradizioni e di
radicate strutture della mentalit (astraendo per un momento dal fatto che,
naturalmente, pratiche di questo tipo sono state tuttaltro che assenti nel nostro
mondo e che concezioni patriarcali della famiglia sono da noi tuttaltro che superate).
La domanda : quando assumiamo un atteggiamento critico nei confronti di queste
pratiche, riusciamo davvero a stabilire un confine netto tra il nostro giudizio morale e
il nostro giudizio etico? realmente possibile, di fronte a casi come questo (o a casi
ancor pi gravi come quello dellinfibulazione o delluxoricidio) condannare la lesione
di principi morali universali come il rispetto universale della dignit umana e nello
stesso tempo richiamarci allobbligo di astenerci dal giudicare la determinata forma
di vita (tradizionale) e la concezione etica (patriarcale) della famiglia e del matrimonio

che stanno alla base di queste pratiche? E rovesciando prospettiva: siamo proprio
sicuri che in un ordine etico tradizionale in cui viene praticato il matrimonio
combinato, la differenza liberale tra etica e morale venga avvertita come un punto di
vista davvero imparziale e universale? O non forse pi verosimile pensare che
questa stessa differenza sia percepita come il velo dietro cui si nascondono le pretese
e il progetto egemonico di unaltra forma di vita, di unaltra concezione etica,
quella appunto occidentale, fondata sul privilegiamento dellautonomia individuale nei
confronti dei vincoli etici tradizionali? Ma se cos , non forse pi opportuno
provare a confrontarsi su un piano di parit, facendo emergere le differenze e i
contrasti tra diverse concezioni etiche della famiglia, le stereotipizzazioni e le
stigmatizzazioni reciproche, ma anche argomentando esplicitamente le pretese di
validit razionali incorporate nellideale di famiglia occidentale? Come ci ha
insegnato il femminismo, osserva Jaeggi, anche nel nostro mondo, i cambiamenti
nelle forme tradizionali della famiglia, pi che attraverso limposizione di principi
morali universalistici sono stati e sono tuttora il risultato della difficile opera di
trasformazione delle strutture della mentalit e delle pratiche di vita quotidiane, messa
in moto dalla discussione pubblica su quelle che inizialmente venivano percepite
come questioni esclusivamente private.
Ma, a veder bene, argomenta Jaeggi riferendosi alla sua seconda critica, il principio
dellastensione neutrale dalle questioni etiche proclamato da Rawls e da Habermas
incontra dei limiti anche se applicato alle nostre societ. La tesi della neutralit liberale
nasconde il fatto che la scelta privata dei possibili piani di vita e dei possibili valori,
nelle nostre societ liberali, tuttaltro che libera e priva di condizionamenti.
Listituzione del mercato nelle culture del presente, liberali sotto il profilo politico e
capitalistiche sotto quello economico, forse il migliore esempio di unistituzione che
parla e agisce come un medium neutrale, ma che ha effetti significativi sulle forme di
vita.8 Anche il mercato capitalistico, in ultima istanza, una pratica sociale che sta in
piedi grazie a un sistema organizzato di valori. anchesso, in qualche modo, una
forma di vita. La strategia dellastensione neutrale dalle questioni etiche non permette
allora di vedere questa forma di vita in quanto forma di vita. Ma proprio ci costituisce
laffossamento di quella spinta emancipativa moderna che fondata sul
riconoscimento antipaternalistico della libert dei soggetti nella formazione della
propria vita. Invece di permettere agli individui di dare forma autonomamente alla
propria vita, la strategia dellastensione neutrale nasconde i poteri che la determinano.
La spinta emancipativa della modernit si rovescia nel suo contrario.
La sfida di Jaeggi quindi quella di mostrare come lordine del discorso che
Habermas e Rawls hanno imposto alla filosofia vada ribaltato di 180 gradi: il progetto
emancipativo della modernit pu essere difeso solo facendo saltare la rigida parete
divisoria tra questioni morali e questioni etiche. Ma per Jaeggi si tratta anche di
smorzare la radicalit con cui normalmente vengono poste le questioni etiche e di
ricondurre questo piano del discorso nellalveo di un confronto razionale e
argomentativo. Il primo passo di una critica delle forme di vita deve essere quello di
spostare il fuoco dellattenzione dalle grandi domande che si affacciano normalmente
8
Ivi, p. 40.

nei dibattiti sui valori Chi siamo? Come vogliamo intenderci? Come vogliamo
vivere? alla questione di come sono concretamente strutturate le nostre pratiche di
vita e gli orientamenti normativi che stanno alla loro base. Una volta aperto il black
box delle nostre forme di vita, scrive la filosofa, ci si accorger che esse sono campi di
tensione e di contraddizioni, ma soprattutto risposte a problemi che possono
funzionare o meno, riuscire o fallire, e che come tali possono essere messe in
questione criticamente, trasformate e trascese. Gli strumenti filosofici per compiere
questo lavoro di analisi delle forme di vita Jaeggi li ricava da unoriginale rilettura in
chiave pragmatistica della filosofia di Hegel. Valorizzando in particolare la lezione di
autori come Dewey e Putnam la filosofa punta a far saltare, a partire da una
prospettiva di filosofia e ontologia sociale, lassunto secondo cui le questioni dei valori
e delle identit siano di principio impenetrabili al dibattito razionale e argomentativo,
in quanto ancorate su prese di posizione valoriali idiosincratiche e in ultima istanza
incommensurabili. Si tratta di mostrare, piuttosto, che anche i valori sorgono sempre
nel quadro di processi di vita materiali e sono sempre incorporati in concrete prassi
di vita: proprio in quanto tali, essi possono essere valutati in relazione alla loro
origine, alle sfide e ai problemi a cui rispondono ma soprattutto alle conseguenze che
essi producono e alle crisi a cui essi conducono.
Che cosa una forma di vita?
Lassunto di partenza di Jaeggi quindi che il primo passo di una critica delle forme
di vita definire cosa esse in ultima istanza sono. Qui Jaeggi parte da una
considerazione molto generale: quando si parla di forme di vita si esprime sempre
un interesse per gli orientamenti quotidiani che determinano la vita; per quei modi
informali che determinano una societ: un interesse, quindi, per il modo in cui gli
esseri umani vivono, per quello che fanno e per il modo in cui lo fanno.9 Se si
afferma, per esempio, che il movimento del 68 voleva lottare contro le forme di vita
ereditate e per nuove forme di vita, ci si vuole riferire al fatto che in gioco, in questo
movimento, non erano cambiamenti istituzionali del sistema politico, ma
cambiamenti della dimensione politica delle pratiche di vita quotidiane. La creazione
di negozi antiautoritari per bambini, la sperimentazione di nuove forme di relazione e
di nuovo modi di lavoro in comune, la deconvenzionalizzazione delle forme di
comportamento che arrivava persino ai modelli di abbigliamento, ma anche ci che
Herbert Marcuse diagnosticava e allo stesso tempo propagava come nuova
sensibilit, sono tutte istanze di tali cambiamenti.10
Da questa considerazione di partenza, Jaeggi procede per dare una prima definizione,
anchessa in realt molto larga, tale da permetterle di far convergere sotto la
denominazione di forme di vita cose e strutture sociali tra loro molto diverse: con
forma di vita va inteso un modello collettivo di condotta di vita che governa, in termini
9
10

Ivi, p. 69.
Ivi, p. 70.

per lo pi preriflessivi, le pratiche quotidiane di un gruppo umano sullo sfondo di


unautocomprensione etica condivisa. Per quanto le forme di vita siano aperte e
variabili, spiega Jaeggi, esse sono strutture che preesistono agli individui e che
condizionano e limitano le loro opzioni di azione. Sono qualcosa di diverso da
unistituzione codificata attraverso norme di diritto ma non sono nemmeno
paragonabili a qualcosa di fluttuante e di mutevole come le mode. Le forme di vita
hanno piuttosto una propria stabilit e durata, che tuttavia non chiusa di principio
alla loro messa in questione e alla loro trasformazione.
Data questa prima definizione, Jaeggi fa compiere un passo avanti alla sua analisi di
ontologia sociale sottolineando un altro aspetto: le forme di vita hanno sempre,
costitutivamente, un carattere normativo. In quanto contesti strutturati di pratiche e
di interpretazioni, esse perseguono determinati complessi di beni o di scopi.
Identificare qualcosa come una determinata forma di vita vuol dire identificare
contesti di pratiche e di atteggiamenti che costituiscono una connessione che
buona per qualcosa.11 Detto diversamente: le forme di vita offrono orientamenti di
senso, in quanto lasciano apparire diversi modelli di comportamento, in diversi
contesti, come parti di unautocomprensione di principio coerente.
Ci vuol dire che ogni forma di vita strutturata attorno ad usi, regole, prescrizioni e
norme etiche che costituiscono nel loro insieme un campo di pressioni di aspettative.
E questo campo di pressione normativa rimanda a ci che in ultima istanza
costituisce la vera e propria finalit di ogni forma di vita: padroneggiare i problemi
della vita con cui lumanit come genere, sebbene volta per volta determinato in
termini storici e culturali costretta a misurarsi. Le forme di vita sono risposte e
soluzioni a problemi, che si rapportano gi da sempre a precedenti soluzioni
storicamente e culturalmente determinate. I problemi e le crisi a cui queste danno
risposte non cominciano quindi mai da un grado zero, ma rappresentano problemi di
secondo ordine. Per questa ragione, nuove soluzioni di problemi e nuove forme di vita
hanno successo solo nella misura in cui offrono nuove e migliori risposte a soluzioni
gi preesistenti, entrando in un campo di tensione con i gradi normativi incorporati
nei modelli tradizionali di padroneggiamento dei problemi. Per tornare allesempio
del `68: se gli Hippies americani degli anni 60 e 70 o il movimento delle comuni
rurali in Europa sono stati sulla soglia di realizzare una nuova forma di vita scrive
Jaeggi - ci perch hanno avanzato la pretesa di poter concorrere con il sistema
dominante di produzione e di riproduzione. Presi sul serio, questi movimenti non
aspiravano a una forma di autarchia, ma alla generalizzazione della loro forma di vita.
Questi fenomeni di dissidenza sociale sono giunti sulla soglia di una forma di vita in
quanto, contraddicendo le forme e i valori dominanti, volevano essere unalternativa
compiuta alla cultura vigente, e puntavano alla trasformazione della cultura dominante
(..) Non si trattava della pretesa di altre forme di vita, ma di forme di vita migliori. E
questa una pretesa normativa.12

11
12

Ivi, p. 115.
Ivi, pp. 86-87.

a questo punto che Jaeggi scopre le sue carte filosofiche: il faro che guida la sua
definizione di forme di vita come risposte a soluzioni di problemi di secondo ordine
, come lei stessa afferma, Hegel. Ma un Hegel a cui vengono applicate, come si
detto, massicce dosi di pragmatismo americano. Le forme di vita, scrive Jaeggi, sono
formazioni delleticit, istanze dello spirito oggettivo, atti di realizzazione della
libert, manifestazioni della prassi umana che rimandano allesistenza di uno spazio
di riflessione e di formazione. Esse simpongono non come un improvviso
accrescimento di sapere oppure come lapplicazione di unidea normativa sospesa
per aria, ma mediante un movimento di trasformazione pratica in cui le pratiche e le
istituzioni divenute normativamente implausibili e disfunzionali vengono erose e
dissolte.13 Proprio per queste ragioni, esse possono essere criticate e sulla base di un
criterio razionale: la capacit che esse mostrano di offrire una cornice di espressione
e di realizzazione alle istanze di libert che premono sullo sfondo della crisi delle
vecchie forme di vita gi esistenti. Crisi queste che daltra parte emergono quando le
risposte ai problemi incorporate nelle forme di vita passate non funzionano pi, si
inceppano: richiedono nuove soluzioni.
In che senso, dunque, il concetto di eticit di Hegel riletto alla luce della definizione,
di matrice pragmatista, di forme di vita quali istanze di risoluzione di problemi di
secondo ordine costituisce per Jaeggi un punto di riferimento filosofico
imprescindibile per il suo progetto di una critica delle forme di vita?
Per rispondere a questa questione, la filosofa dedica alcune pagine del libro a una
rilettura di alcune parti della Filosofia del diritto di Hegel, soffermandosi in particolare
su quei passaggi della sezione delleticit che le permettono di riprendere in mano i
temi a partire dai quali aveva messo in questione la strategia liberale dellastensione
neutrale dalle questioni etiche: ossia da una parte il conflitto tra forme di vita familiari
moderne e tradizionali e dallaltra la questione dellordine di mercato capitalistico in
quanto forma di vita.
Quando Hegel elegge la famiglia a prima forma delleticit, scrive Jaeggi, egli aveva in
mente una forma storicamente determinata di famiglia: la famiglia nucleare di stampo
cristiano-borghese. Questa formazione era una forma delleticit, per il filosofo di
Stoccarda, in quanto capace di trasformare la naturalit dei rapporti di genere in
rapporti formati culturalmente e determinati in termini normativi: ossia in rapporti
voluti per se stessi, nei quali i loro membri conferiscono realt alla loro libert in
quanto libert sociale. Per Hegel, questi elementi risolvevano fondamentalmente due
problemi: da una parte il problema di dare un significato al bisogno naturale e una
stabilit etico-istituzionale al sentimento dellamore, dallaltra il problema di
temperare liperstabilit del lato istituzionale del matrimonio con il riconoscimento
dellautonomia dei singoli, tanto allinterno del rapporto quanto in rapporto alla
famiglia di origine. Il punto che questi problemi non nascevano dal nulla. Hegel
sviluppava la sua concezione sullo sfondo di alternative, delle quali comprendeva le
crisi, le difficolt e le contraddizioni. Hegel privilegiava quindi questa specifica
formazione della famiglia non perch essa fosse astrattamente giusta (o superiore dal
punto di vista morale), ma perch reagiva a conflitti sorti realmente e li risolveva
13

Ivi, p. 424.

meglio. A quali costellazioni di problemi rispondeva questo modello di eticit? A


questo proposito, continua Jaeggi, sufficiente indagare quali erano i modelli di
famiglia contro i quali Hegel implicitamente o esplicitamente argomentava. Questi
erano in primo luogo il modello patriarcale di famiglia e in secondo luogo due false
interpretazioni dellideale moderno di famiglia: lideale dellamore romantico e la
riduzione del matrimonio a mero contratto. Al primo modello Hegel obiettava
lassenza di autenticit dei sentimenti e la mancanza di autonomia dei suoi membri;
alle due false interpretazioni del matrimonio moderno, invece, una sopravvalutazione
unilaterale dellaspetto emozionale-erotico del rapporto damore e un concetto di
libert individualistico, incapace di attingere la forma di libert che si realizza in un
rapporto etico. Ma il punto che questi modelli di famiglia non erano soltanto falsi in
astratto: essi conducevano a instabilit e crisi. Da qui la superiore razionalit del
modello etico di famiglia giustificato concettualmente da Hegel. E ancora oggi si pu
osservare questa crisi, osserva Jaeggi, nei film di Bollywood: la passione per una
donna che non corrisponde ai codici di ceto o di casta costringe il figlio a separarsi
dalla famiglia, che per questo rischia di rompersi, di dissolversi in quanto unit
normativa, non reggendo alla pressione del principio dellautonomia e della libert
individuale che bussa alle sue porte. Ma utilizzando questo stesso criterio, oggi, si pu
andare oltre Hegel e criticare lo stesso modello di famiglia borghese nucleare a partire
da altri modelli di famiglia, per esempio da modelli di famiglia allargata o patchwork. Il
punto per che il criterio che una critica filosofica delle forme di vita deve utilizzare
per valutare queste nuove pretese sempre quello della loro capacit di reagire ai
problemi posti dalla famiglia borghese ma non risolti da essa. Migliori forme di vita
familiari devono dare soluzioni a quei problemi, senza disperdere i gradi normativi
del modello precedente, ma conservandoli e trascendendoli.
Lo stesso discorso pu essere fatto nei confronti della questione del mercato. Quando
Hegel lamentava nella Filosofia del diritto che, nonostante tutta la ricchezza prodotta, la
societ borghese non ricca abbastanza per risolvere i problemi della povert e della
disoccupazione, egli descriveva una crisi normativa. Ci vuol dire che anche il
problema della povert, determinato dalla disoccupazione strutturale cui mette capo lo
sviluppo capitalistico, non era per Hegel un problema morale ma un problema di
disintegrazione sociale: un problema, quindi, allo stesso tempo etico e funzionale. E
Hegel parametrava la sua diagnosi critica su quella che individuava come la pretesa
etico-normativa incorporata nel mercato moderno: la promessa cio di assicurare a
ciascun individuo, attraverso il lavoro, un posto allinterno della societ in grado di
permettergli di provvedere autonomamente ai propri mezzi di sussistenza e di
essere riconosciuto per le proprie prestazioni e capacit. L dove a causa della
disoccupazione strutturale il mercato non riesce pi a mantenere questa promessa,
esso si espone al rischio di perdere la sua funzione integrante: di cadere in una crisi
generata dalla contraddizione tra quello che il suo concetto e quella che la realt
concreta, crisi che conduce a spezzare la forma di vita che su di esso si fonda. Daltra
parte, se il mercato, come Hegel stesso aveva messo in luce, costituiva una risposta ai
problemi che avevano decretato la crisi del sistema economico feudale, qualsiasi seria
alternativa etica ad esso che tenti di risolvere i problemi a cui esso non riesce a
rispondere, deve a propria volta incorporare e trascendere i gradi normativi raggiunti
da questa istituzione e non tornare indietro. Ci vuol dire, per fare un esempio, che

unipotizzabile alternativa alla societ del lavoro che si basi su un reddito minimo di
cittadinanza deve differenziarsi chiaramente da qualsiasi derubricazione e
sottovalutazione del significato etico del lavoro in termini di riconoscimento, di
formazione e di integrazione sociale.
Una critica immanente che lavora con lo strumento della negazione determinata
Gli esempi appena fatti gettano luce su quello che in definitiva il modello di critica
cui Jaeggi guarda per fondare il suo progetto filosofico di una critica delle forme di
vita. una critica che lei definisce immanente, intendendo con ci un tipo di critica
che lavora sulle contraddizioni interne a ciascuna forma di vita, operando con la figura
hegeliana della negazione determinata. Una critica immanente, come lei spiega,
finalizzata a elaborare le contraddizioni di una forma di vita che non sono n una
semplice inconsistenza n una disunione logica, bens un campo di tensione
allinterno di una formazione che spinge questa oltre di s.14 La critica immanente
localizza la normativit delle pratiche sociali nelle condizioni di attuazione delle
pratiche stesse. Con ci essa relativizza la differenza dicotomica tra essere e dovere
essere, ma punta allo stesso tempo a trascendere lordine del discorso dato allinterno
di una singola forma di vita. La chiarificazione di quali sono le contraddizioni che
mettono in crisi una forma di vita rispetto al suo concetto finalizzata a una
trasformazione crescente del vecchio, che nei momenti di crisi cerca il principio di
uno sviluppo razionale15 e vede lesistente come non puramente negativo.
Nellesistente anche nella sua contraddittoriet presente un potenziale a cui ci
si deve collegare.16 La critica immanente, scrive Jaeggi, entra in gioco proprio
facendo leva sulle pretese di verit e di validit inscritte nel potenziale di razionalit
delle norme incorporate nelle pratiche sociali, anche nella loro figura negativa o di
crisi, perch sono le stesse aspettative normative gi incorporate che permettono di
leggere i problemi e le crisi come tali e di spingere a cercare nuove soluzioni.
Negli ultimi capitoli del volume, attraverso una lettura incrociata della filosofia di
Dewey, di MacIntyre e di Hegel, Jaeggi fa vedere come il progetto filosofico di una
critica delle forme di vita pu ambire in definitiva ad una ricostruzione e ad una
riduzione in chiave pragmatistica di due motivi centrali della classica filosofia della
storia moderna: il motivo del progresso e quello dellemancipazione. Nel quadro di un
progetto di critica delle forme di vita, come Jaeggi lo concepisce, queste idee tuttavia
perdono ogni carattere in senso forte teleologico o prometeico. In gioco, in un
progetto filosofico di questo tipo, come lei chiarisce, piuttosto un tentativo di
ridefinire cosa pu significare un processo di arricchimento e di apprendimento, un
relativo progresso nello sviluppo storico aperto e senza prospettiva centrale, che
parte dalle figure della crisi e del fallimento normativo delle forme di vita, per scorgere
14
15
16

Ivi, p. 287.
Ivi, p. 259.
Ivi, p. 303.

in queste i segni di un futuro da costruire. In altre parole: non si tratta di definire


materialmente forme di vita modello verso cui la storia tenderebbe e da imporre
queste su tutte le altre, ma di ragionare sulle condizioni di possibilit formali di
processi di apprendimento collettivi. E in definitiva, le condizioni di possibilit in cui
processi collettivi di apprendimento possono realizzarsi sono le condizioni della
democrazia e della coscienza della libert. Una coscienza della libert che tale in
quanto sa di vivere in condizioni che non sono date per natura e dalla cui dipendenza
ci si pu liberare attraverso pratiche di autodeterminazione democratica, che rendono
possibili processi di emancipazione.17
In definitiva: le forme di vita devono essere valutate sulla base della loro capacit di
apprendimento nelle costellazioni storiche contraddittorie con cui esse devono volta
per volta confrontarsi. Misurate allorizzonte di aspettativa normativo guadagnato
storicamente e al livello di pretesa raggiunto storicamente, le nuove soluzioni che si
affermano di fronte a nuove costellazioni storiche non devono essere regressive e
condurre a blocchi di apprendimento sociali, ma piuttosto compiere le aspettative
normative del passato, inventando e sperimentando soluzioni nuove.
Non c quindi (..) soltanto un progresso o soltanto una possibile storia di sviluppo
del progresso. Storicamente si possono manifestare movimenti di progresso diversi
che si intersecano e che possono persino contraddirsi. Ogni forma di vita sta
permanentemente di fronte a costellazioni di problemi. Decisivo se ciascuna di
esse, di fronte a queste costellazioni, fa progressi che possono essere identificati
come processi di apprendimento razionali. 18
Qui la filosofia si ferma e qui cominciano i compiti della prassi, di una prassi
democratica capace di dare soluzioni creative alle crisi e ai problemi che solcano il
presente a partire dalla discussione pubblica e dal confronto anche conflittuale sulle
forme di vita. Ma una cosa la filosofia la pu sicuramente affermare: la messa tra
parentesi liberale delle questioni etiche e larretramento delluso pubblico della
ragione dalle questioni dei valori contribuisce a derubare la societ di questo stesso
spazio pubblico di confronto necessario a sviluppare nuove competenze nella
soluzioni di problemi e nello sviluppo di processi di apprendimento collettivi.
indubbiamente un disegno originale e stimolante quello delineato da Jaeggi nel suo
libro. Si pu osservare, a mo di conclusione, che tra i suoi meriti fondamentali c la
capacit di rispondere a due difficolt che hanno segnato le teorie critiche degli ultimi
anni. In primo luogo, Jaeggi mostra con il suo impianto teorico che una critica delle
filosofie politiche normative dimpianto liberale - come quelle di Rawls e di Habermas
- condotta in nome dei temi del conflitto e dellegemonia, non debba necessariamente
gettare alle ortiche la dimensione normativa, ossia la discussione attorno alle pretese
17
18

Ivi, p. 343.
Ivi, p. 450.

di validit razionalmente argomentabili delle forme di vita in conflitto, come invece


tendono a fare, come lei stessa denuncia, posizioni dimpianto decostruttivista,
neomarxista oppure neogramsciane e schmittiane di sinistra come quella di
Ernesto Laclau e di Chantal Mouffe.
In secondo luogo, Jaeggi accenna con il suo impianto teorico alla possibilit di dare
articolazione ad unautocritica della modernit occidentale che, a partire dallidea che
possano darsi diverse traiettorie di emancipazione e diverse vie del progresso,
sembra essere capace di aprirsi ai temi del confronto interculturale e della critica
post-coloniale, senza per questo abbandonare, anche in questo caso, il riferimento
allesigenza di criteri normativi universali capaci di operare distinzioni e
differenziazioni tra le diverse forme di critica allOccidente e al suo modello di
modernit.

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