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Francesco Aliberti
Quasi adulti. Sé come narrazione sui social media
(doi: 10.48272/105184)
Ente di afferenza:
Società editrice il Mulino (mulino campus)
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FRANCESCO ALIBERTI
Quasi adulti
Sé come narrazione sui social media
Introduzione
In questo intervento presenterò alcuni casi etnografici con cui mi sono confron-
tato tra il 2016 e il 2020, nel contesto della città di Roma. Lo scopo è quello di
esplorare cosa un’antropologia della vita quotidiana abbia da offrire all’analisi del
ruolo dei social media nei processi con cui gli individui costruiscono le proprie
soggettività.
Partendo dal presupposto che, nel contesto di ricerca preso in analisi, l’u-
so dei media digitali sia ormai entrato pienamente a far parte delle vite delle
persone come un’abitudine, modificando i termini dell’interazione con gli altri
e con sé stessi (cfr. Biscaldi e Matera 2019), ragionerò sui modi in cui queste
pratiche, aprendo a opportunità precedentemente inedite, portino a rimodulare
la costruzione del proprio contesto quotidiano e della propria soggettività. Dal
racconto etnografico emergeranno infatti le difficoltà vissute da alcuni individui
nel districarsi tra le diverse possibilità offerte dai social media nel tentativo di
usarli «in modi creativi per darsi identità concrete in contesti concreti» (Matera
2017, 191), portandoci a ragionare su tutte quelle operazioni da bricoleur (cfr.
Matera 2013) che le persone mettono in campo per inventare la propria quoti-
dianità (de Certeau 2001).
La pluralizzazione dei mondi di vita (Berger et al. 1975) che i social media
contribuiscono a potenziare infatti non si limita a manifestarsi nell’incontro tra una
varietà di gruppi culturali, ma «si insinua nella costituzione psichica del singolo»
(Bausinger 2008, 149) che si scopre sperduto tra le svariate possibilità senza che
ci sia una tradizione univoca e indiscussa ad aiutarlo a orientarsi. D’altronde,
come ci ricorda Bausinger (2020), per essere considerata semplice e naturale la
vita quotidiana necessita del «felice oblio» di tutte quelle condizioni e acquisizioni
culturali che la rendono possibile (cfr. Dei 2007). I social media però costrin-
gono un po’ tutti allo stupore – e alla fatica – che una volta venivano legati solo
all’immaginario dell’esploratore o dell’antropologo, svelando la natura costruita
e contestuale delle nostre quotidianità. Mi riferisco, ovviamente, al facilitarsi del
confronto tra culture, classi sociali e, in generale, individui caratterizzati da modi
di fare e tradizioni diverse fra loro.
Se pensiamo la costruzione del sé e del proprio contesto quotidiano come
progetti sociali in continuo divenire, capiamo infatti il problema posto dai
social media, che forniscono molteplici e disomogenee risorse per queste pra-
tiche (Appadurai 2012), senza però proporre anche gli strumenti necessari per
comprendere l’alterità. I social media, insomma, ampliano le nostre possibilità
d’azione ben oltre quell’«orizzonte di possibilità» (De Martino 2007) che ci
appare ovvio, ponendo le basi anche per eventuali crisi della costruzione del
sé. Le tecnologie digitali però non si pongono al di fuori della vita quotidiana,
ma si propongono anzi come un nuovo (o ulteriore) contesto «naturale» per
l’azione degli individui, capace di proporre nuovi tipi di relazioni. È quindi
proprio nelle nuove routine, nelle pratiche banali, nel costruirsi di nuovi modi di
fare e tradizioni, che è possibile osservare i tentativi degli individui di risolvere
questa crisi, attraverso la faticosa declinazione della modernità all’interno di
tradizioni specifiche (cfr. Bausinger 2008, 154). Si tratta in sostanza di osservare
quelle pratiche attraverso cui gli individui riescono a «rimediare» gli scarti tra
i diversi asset culturali.
Riprendendo in senso lato il concetto coniato da Bolter e Grusin (2003)
per indicare le modalità con cui vari media interagiscono fra loro e per cui ogni
medium di diversa generazione può integrarne un altro o negoziare con esso, è
possibile osservare come diversi tratti culturali non si avvicendino necessaria-
mente attraverso forti rotture, ma anzi spesso si contattino tramite le pratiche
quotidiane che contribuiscono a costruire una certa continuità e adattamento
nell’uso, rimediando appunto nella dimensione della sfera di vita individuale «le
rotture strutturali, i salti antropologici, le discontinuità storiche prodotte dalle
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1
Ho raccontato delle caratteristiche di questi gruppi Facebook più diffusamente in Aliberti
(2021). Per dare solamente un quadro generale del rischio percepito dell’incontro fra capitali
culturali e mediatici differenti, diversi dei moderatori dei gruppi Facebook di Montesacro
mi hanno raccontato come la necessità di vietare qualsiasi genere di discussione sul versante
politico o sociale nascesse dall’esperienza di aver visto queste comunità di vicinato (che nel
contesto preso in esame raggiungono anche i quarantamila membri) venire abbandonate e
scomparire in seguito al susseguirsi di discussioni troppo accese. Per tale ragione, loro come
molti dei membri dei loro gruppi, preferiscono mantenere la discussione solo su temi di con-
fronto condivisi, quindi perlopiù quelli relativi alla fisicità dello spazio che abitano.
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Sembra chiaro che quanto più ampia è l’arena di discussione in cui ci si incontra, tanto più
si alza il rischio di incontrare persone con un capitale culturale e mediatico significativamente
distante dal proprio. Nonostante questo, anche concentrando la mia analisi sull’uso dei social
media di una zona specifica, per quanto vasta, come Montesacro, ho potuto far fronte in diverse
occasioni a simili fenomeni. Non intendo solo osservando come gli abitanti del quartiere utiliz-
zano tali strumenti per relazionarsi col mondo esterno, ma anche facendo caso a come i social
media vengano ricontestualizzati (cfr. Miller et al. 2016) all’interno del quartiere. Nonostante
la discreta omogeneità individuabile a livello di capitale economico e culturale, vi sono discrete
differenze per quanto concerne il capitale mediatico per cui l’apertura di un’arena pubblica
provoca incontri/scontri di particolare interesse. Si tratta di un tema che ci allontanerebbe dal
focus di questo intervento, ma in particolare si può fare riferimento ai dibattiti che nascono
sul tema dell’uso dello spazio pubblico (perlopiù polarizzati su parole chiave come degrado
e movida, cui vengono opposte vivibilità e cultura), spesso costruiti attraverso la narrazione
di uno scontro generazionale. In riferimento a questi ultimi mi permetto di segnalare il caso
etnografico riportato in Aliberti (2018).
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La selezione dei propri interlocutori assume caratteristiche particolari quando si fa, come
nel mio caso, campo nella propria città di nascita. Se per ovvie ragioni si semplificano diverse
questioni pratiche, diventa complesso individuare interlocutori che siano abbastanza distanti
da permetterne la «scoperta» durante il confronto etnografico. In questo senso, la scelta me-
todologica di costruzione del campo si è basata sulla strutturazione di una rete basata in parte
su contatti pregressi, in parte sul mio calarmi all’interno del quartiere Montesacro prendendo
casa al suo interno e cominciando a frequentarne gli spazi fisici e digitali.
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Incontro per la prima volta Valerio nel dicembre del 2016, quando mi invita
a salire nella sua abitazione che ha preso in affitto da poche settimane insieme
alla compagna. Come detto precedentemente, si tratta della prima «vera» casa
tutta sua e percepisco che non veda l’ora di mostrarla a chicchessia, persino a
un estraneo come me. Fino a quel momento aveva vissuto con i suoi genitori a
Monterotondo e poi per qualche anno, quando aveva provato a studiare all’uni-
versità, in una stanza nel quartiere studentesco di San Lorenzo. Arrivato quasi
ai trent’anni e dopo aver intessuto un rapporto stabile con la sua compagna da
due, ha finalmente deciso di trasferirsi nel quartiere dove aveva frequentato le
scuole superiori.
V.: «Non è una cosa da poco, perché lo sai come sono gli affitti qua, mi so’ dovuto un
po’ mettere da parte alcune cose che volevo fare, perché intanto ho bisogno di soldi».
F.A.: «Cioè, adesso cosa fai?».
V.: «Lavoro al negozio di ferramenta di mio padre, che è sempre qui a Roma, verso
san Basilio. Così intanto posso camparmi, poi vediamo».
F.A.: «Che vediamo? Vorresti fare altro?».
V.: «Boh, vorrei fa’ mille cose, a poterne fare una»5.
Che Valerio vorrebbe fare mille cose lo si capisce subito appena entrati a casa
sua. Si tratta di un appartamento al secondo piano, un bilocale di 50 metri quadri.
Il salone con angolo cottura nel quale ci si trova appena entrati è già pieno di
oggetti: in particolare la libreria che occupa tutta la parete di sinistra è impegnata
da un televisore e una Playstation nella parte più bassa, mentre i libri dell’uni-
versità sono esposti nell’angolo più vicino al muro, occupando comunque una
significativa sezione della libreria. Sopra di essi una lunga serie di altri libri, che
spazia dalla filosofia all’economia, fino alla politica. Il resto del mobile è occupato
da cd musicali più o meno di ogni genere che io conosca. Sulla parete opposta
campeggia un poster di Che Guevara, appeso sopra il divano che guarda la tv
e lo spazio viene definitivamente riempito da un tavolino che si trova davanti a
esso, al momento occupato da un portatile. Il resto della casa è il piccolo angolo
cottura alla mia sinistra mentre entro, un bagno e la camera da letto.
Notando come il mio sguardo indaga su tutta quella roba, Valerio ride diver-
tito e tira fuori il suo telefono, mostrandomi la foto di un’altra stanza, talmente
piena di oggetti, tra libri, fumetti, cd e poster, che sembra star per scoppiare.
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Riporterò testualmente quanto raccontatomi sul campo o letto sui social media in ma-
niera diretta, comprendendo quindi – nei limiti della comprensibilità del testo – gergalismi,
espressioni dialettali, frasi volgari e costruzioni non corrette.
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Intervista del 15 dicembre 2016.
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V.: Questa è camera mia a Monterotondo, ti pensavi che qui era un casino eh?
V.: La mando a dei miei amici che non sono di Roma, che gli avevo mandato le foto la
prima volta che sono venuto a vederla, così ora vedono che l’ho già fatta diventare un
casino. In realtà ho portato solo alcune cose selezionate. Alla fine fare un trasloco è
un po’ come scegliere le cose che vuoi continuare a seguire: non ti porti più i fumetti
e allora non li collezioni più, non ti porti più la chitarra, allora probabilmente non
vuoi più suonare. Devi fare delle scelte insomma.
F.A.: Quindi tu continui ad andare all’università anche se lavori?
V.: No, ho smesso. Ma non perché non capivo, è che non riuscivo a stare appresso
ai ritmi e non mi andava tanto di continuare a fare esami. I libri però mi piacevano,
quindi me li sono portati, perché comunque anche per fare altro possono essere utili.
Mi stavo laureando in scienze della comunicazione, e ora vorrei provare a vedere se
riesco a creare qualche contenuto su internet, vabbè mentre lavoro da mio padre,
quindi comunque mi torneranno utili.
F.A.: Senti, io me lo sono sempre chiesto, ma perché condividere la musica che ascolti
su Facebook?
V.: Guarda, per me ci possono essere tante ragioni. Cioè, magari, anzi sicuramente,
ci stanno le ragazzine che condividono la canzone stracciapalle per far capire quanto
soffrono [ride], io però le condivido principalmente perché sono dentro tanti gruppi
che parlano di musica, quindi condividendole magari ci confrontiamo un po’ sui
nostri gusti.
F.A.: Sei solo in gruppi sulla musica?
V.: No, cioè, sicuramente in molti, pure perché comunque un paio d’anni fa ho ini-
ziato una scuola, quindi ho conosciuto un po’ di gente e così ho trovato tutto quel
«filone» di gruppi e pagine da seguire. Però ne seguo tanti altri, quelli sulla Roma [la
squadra di calcio], qualcosa più di satira politica diciamo, sempre se fare meme è fare
satira politica. Poi vabbè, sono ancora in quelli dell’università, adesso sto entrando
in quelli sul quartiere.
F.A.: Come mai non esci da quelli dell’università?
V.: Vabbè non costa niente starci dentro, mica devo paga’ la retta. Però così ce l’ho
sempre lì, se voglio sapere che succede o semmai volessi ricominciare… insomma
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li tieni lì, rimani un po’ aggiornato pure se non ci sei più veramente dentro. Come
coi fumetti, ormai non li seguo mica più, chi c’ha i soldi o il tempo, però resto nelle
pagine, così so più o meno cosa succede, anche se non partecipo più alle discussioni…
e magari se vedo una cosa che mi interessa in particolare prima o poi mi ricompro
qualcosa… o comunque la cerco su internet per leggerla. È un po’ come con i com-
pagni di scuola, magari non li vedi più da una vita, magari manco li voi vede, però
ce li hai su Facebook, così se una resta incinta, uno si sposa o che ne so io lo vieni a
sapere… resti aggiornato, tipo con un piede nella loro vita, meno di un piede forse,
però comunque non li perdi del tutto di vista. È come le vecchie che stanno sul bal-
cone nei paesi. Che glie frega di chi passa di là? Di base niente, però meglio buttare
sempre un occhio su tutto.
Or How to Keep People at just the Right Distance, come tenere le persone
proprio alla giusta distanza è il sottotitolo di un volume di Daniel Miller, Social
Media in an English Village (2016). Al suo interno Miller cerca di descrivere
«l’inglesitudine» (Englishness) dell’utilizzo dei social media, ovvero la decli-
nazione locale dell’uso dei vari media digitali, attraverso quella che lui chiama
la «strategia di Riccioli D’Oro» (Goldilocks strategy), una maniera con cui gli
inglesi utilizzano i social media per calibrare la precisa distanza in cui porre le
varie relazioni sociali, di modo che queste siano, come per il porridge di Riccioli
d’Oro, né troppo calde né troppo fredde, ma just right.
Più che questo modo «inglese» di fare, quello che ci interessa qui è l’idea
di utilizzare un determinato media digitale in un determinato contesto al fine di
gestire delle relazioni, che possiamo individuare anche nel comportamento di
Valerio. Egli, infatti, non utilizza i social media solo per gestire le relazioni sociali,
ma anche i propri «appetiti» culturali, i suoi vari interessi. Attraverso i social
media Valerio si posiziona in maniera ben congeniata all’interno del reticolo di
habitat di significato (Hannerz 2001) in cui si trova inserito, cercando di stare
alla giusta distanza da ognuno di essi per trovare la sua posizione all’interno del
campo di forze sociali.
Questa distanza viene gestita attraverso le varie performance messe in atto
sulle diverse piattaforme, per cui quando Valerio commenta una discussione su
un gruppo piuttosto che un altro, condivide un post dove parla di musica op-
pure di politica, sta mettendo in atto un’azione performativa che gli permette di
gestire questo processo. Allo stesso tempo, questo tenersi in contatto con tutte
le sue passioni serve a Valerio anche a salvare parti della propria personalità a
cui è affezionato ma a cui non riesce a dare più la giusta importanza. Come ab-
biamo visto, la scelta di andare a vivere insieme alla compagna, dando il là alla
sua aspettativa di costruirsi una famiglia, lo costringe a lasciare l’università. Lo
studente universitario appassionato di politica e libri di filosofia deve necessa-
riamente lasciare spazio al figlio del ferramenta che lavora nel negozio del padre.
Attraverso i social media però Valerio cerca di rappresentarsi e pensarsi come
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una persona ancora piena di interessi e non piegata a un preciso destino sociale,
come d’altronde testimonia anche l’organizzazione del suo salotto.
Bisogna inoltre fare una seconda considerazione rispetto alla gestione delle
proprie relazioni sociali e al modo in cui questa aiuta Valerio a plasmare una
rappresentazione di sé stesso. Seguendo il suo comportamento sui vari social
media, ho visto confermarsi il concetto di scalable sociality (Miller et al. 2016),
potenzialità dei social media che permette di declinare lo stesso spazio per effet-
tuare comunicazioni dalla più privata alla più pubblica.
Ad esempio, Valerio come molti preferisce organizzarsi con gli amici con
messaggi come «ci vediamo stasera alle 9» su WhatsApp e non si sarebbe mai
sognato di scriverlo sulla bacheca di Facebook; anzi, ricorda spesso ironicamente i
primissimi anni di Facebook in Italia, quando nel 2008 non c’erano ancora servizi
gratuiti di messagistica istantanea, non era ancora chiarissimo cosa fosse Facebook
stesso e molti in effetti si organizzavano pubblicamente sulle rispettive bacheche
per i propri appuntamenti. Quando però ci siamo organizzati per andare allo
stadio, Valerio ha scelto di scrivere un post su Facebook dove taggava me e altri
suoi amici, «caricandoci» per la serata e, allo stesso tempo, facendo sapere a tutti
di questa sua attività. Al contrario, raramente Valerio ha commentato post miei
o di altri suoi amici, se non quando, con una battuta o un commento particolar-
mente ermetico, poteva far trasparire un livello di intimità maggiore rispetto a
quello di altre persone che commentavano in maniera più «ingenua». Insomma,
se la scalable sociality è sicuramente una potenzialità che i media digitali hanno
conferito alla comunicazione tra individui, questa non sembra muoversi esclusiva-
mente sulle due assi «dal più privato al più pubblico» e «dal gruppo più piccolo
al gruppo più grande», ma viene invece giocata attraverso delle poetiche del sé
in grado di selezionare astutamente di volta in volta il canale più adatto. Anche
il modo di gestire un commento, una condivisione, un like fa parte, insomma, di
una tattica auto-rappresentativa.
La difficoltà di costruire la propria soggettività come membri adulti della
società la troviamo anche nel caso di Elga, con connotati però ben diversi rispetto
alla vicenda di Valerio. Anche lei, quando la incontro, si è recentemente trasferita
nella sua «prima» casa. Per lei però la decisione di trovare uno spazio tutto suo
non dipende dalla volontà di progettare una nuova famiglia, ma dall’arrivo im-
previsto di quest’ultima. Nel 2011 infatti Elga rimane incinta, all’età di 21 anni.
In quel momento anche lei era iscritta all’università e cercava di portare avanti
dei progetti di vita ben determinati. Dopo aver lasciato gli studi per occuparsi
della figlia, è rimasta in casa dei suoi genitori fino a che la piccola Velia non ha
compiuto 4 anni e lo spazio della cameretta d’infanzia cominciava a essere stretto.
Dopo aver affittato casa da sola per qualche anno, Elga riesce nel 2018, a ormai
28 anni, a comprare la sua prima casa. In questo scenario non compare il padre
di Velia, figura misteriosa di cui molto poco mi è stato detto e che comunque è
sempre stato fuori dalla loro vita dal momento in cui lei ha scoperto di aspettare.
72 Francesco Aliberti
E.: Si vabbè, avrei voluto laurearmi in lettere, cioè in archivistica se ci riuscivo, perché
il sogno mio era aprire una libreria. Però, obiettivamente, mica ci sarei riuscita. Ti
immagini aprire una libreria nel 2018? Se ci pensi fa’ ride. Pure essere madre single
nel 2018 fa abbastanza ride in realtà, però per fortuna i miei mi hanno potuto dare
una mano quando Velia era appena nata, ora che va a scuola ho potuto cercarmi un
lavoro e per fortuna qua intorno la mia famiglia conosceva un sacco di gente e pure
io da ragazzina mi facevo volere bene, quindi alla fine mi hanno preso proprio alla
libreria e con un contratto vero, che mi posso permettere una casa vera per me e per
Velia, no un monolocale, che allora restavamo a casa dei miei. E alla fine una libreria
mia non l’avrei mai aperta, quindi sarei comunque arrivata a questa situazione, però
magari dopo aver perso dieci anni all’università6.
E.: No, non è che non volevo postare foto di Velia per questioni di privacy, quello non
l’ho veramente mai capito, infatti adesso le posto no? È che in quel momento… non
lo so, mi pesava? Non lei, amore mio, no, mi pesava… essere marchiata. Non volevo
che per una serie di persone che avevo conosciuto nei primi anni dell’università o che
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Intervista del 9 marzo 2018.
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conoscevo di sfuggita a scuola io diventassi «quella che era rimasta incinta». Essere
solo un pettegolezzo… «Ti ricordi Elga? È rimasta incinta a vent’anni, si vedeva che
era una facile» e tutte queste cose così e fine. Io continuo a essere una persona, anzi
forse sono anche una persona migliore adesso. E non è che se hai una figlia devi
smettere di esistere come persona o come donna e devi diventare solo una madre.
Certo, io ho potuto provare a fare altro pure perché la mia famiglia mi sostiene, fa
pari col fatto che sono sola… però ecco, volevo dire che io ero ancora io… e nel mio
piccolo che una donna non è solo una macchina per fare figli, pure se un figlio magari
ce l’ha. Ho una figlia e sono una persona, studio e lavoro, è un problema? Sono una
madre, ma non sono solo una madre.
Più avanti nella timeline su Facebook Velia compare, più o meno verso la
fine del suo secondo anno di età e in maniera molto preminente e pedissequa,
facendo poi la sua apparizione anche sul più recente profilo Instagram della
madre. Le foto della bambina o di madre e figlia insieme non sono quasi mai
semplici rappresentazioni della piccola in qualche posa dolce o carina, magari con
un vestitino nuovo o insieme alla giovane nonna. Sono invece quasi sempre foto
delle due che viaggiano insieme, della bambina che fa «la dura» con gli occhiali
da sole della madre, oppure immersa tra i mille libri della madre, tra i quali gat-
tona. Tutte queste foto sono accompagnate da lunghi racconti, sostanzialmente,
sulla loro relazione, sulle domande della bambina e sulle risposte della madre,
che quasi sempre finiscono per esprimere importanti messaggi sociali relativi alle
notizie di cronaca.
E.: L’altro giorno sono venuti a trovarmi degli amici e, visto che si avvicinava l’anni-
versario di Genova, ci siamo ritrovati a parlare di Carlo Giuliani. Velia ci ha sentito
e ha cominciato a fare domande, quelle domande che sanno fare solo i bambini, con
tutti i loro «Perché? Perché?». All’inizio gli altri cercavano di cambiare argomento,
ma poi le abbiamo raccontato un po’ la storia di quello che è successo. Da quel mo-
mento in poi ha cominciato a chiedermi sempre più dettagli, sulla storia di «Carlo»,
perché lo chiama così, come se fosse una di quelle persone che prendevano il caffè
con noi, uno di famiglia7.
Significativamente col passare del tempo Elga segue il percorso dei ragazzi
più giovani, abbandonando sempre più Facebook in favore di Instagram. Qui in
particolare Elga riscopre la sua partecipazione politica, raccontando con foto e
video del suo impegno – in cui la figlia è sempre coinvolta – in attività socialmente
utili, manifestazioni, prese di posizione sui temi del giorno, ecc.
Attraverso foto, video, racconti, Elga cerca di costruire una rappresentazione
di sé che la soddisfi. Manifesta, infatti, un certo orgoglio nell’osservare la differen-
za tra i post di altre mamme su Facebook e Instagram e i suoi. Non le interessa
7
Post scritto nel 20 luglio del 2017, giorno dell’anniversario della morte di Carlo Giuliani.
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mettere video con colonna sonora strappalacrime che ripercorrano i passi di sua
figlia, o presentarla come una principessa. Le interessa invece dichiaratamente
proporre la sua idea di genitorialità, che, venendo rappresentata nell’agone dei
social le permette di riappropriarsi della propria soggettività rispetto alle pres-
sioni della società e del caso. Tramite un uso molto preciso dei social media, che
ora andremo a definire, riesce quindi a ricucire diverse «versioni» di sé stessa,
sia quella che era prima di diventare madre, sia quella che inevitabilmente ha
dovuto diventare dopo.
Narrazioni incidentali
Attraverso questi due esempi, che come spesso accade sono da intendersi come i
casi più significativi colti tra molti incontri non dissimili fatti sul campo, abbiamo
osservato come i social media vengano utilizzati da queste persone per rimediare
le disgiunture tra le diverse possibilità a loro disposizione per pensarsi come
individui. Le loro storie, infatti, restituiscono la complessità con cui cercano il
loro modo di «esserci», di ritrovarsi, di riuscire a trovare un senso per il loro agire
che, in maniere differenti, hanno sentito sfuggirgli con il passaggio all’età adulta
e al doversi immaginare come persone indipendenti, senza avere necessariamente
costruito dei progetti personali ben precisi.
Il quadro è poi ancor più complesso dal momento che le pratiche con cui
cercano di costruire la propria soggettività sono rese particolarmente difficili da
leggere – ma al tempo stesso particolarmente efficaci – dal loro non configurarsi
come azioni circoscritte in precise ritualità o inscritte in una tradizione. Non ci
sono grandi momenti a segnare le decisioni di Elga sul suo modo di essere madre;
né Valerio, nell’andare a vivere con la propria compagna, dedica a questa occasione
un momento importante come quello del matrimonio, nonostante l’investimento
personale sia comunque parimenti importante. Non ci sono insomma occasioni
in cui queste persone possano rappresentare e raccontare esplicitamente i loro
momenti di passaggio, le loro decisioni sul futuro, la loro rilettura del passato.
Ragionando sul ruolo del racconto nella società, Bausinger sostiene che sia
importante dare spazio a quelle storie quotidiane che «si mimetizzano, per così
dire, e per questa ragione non danno nell’occhio» (2014, 98). Secondo lo studioso,
infatti, sempre più i racconti si farebbero incidentali, cioè conformati alle cornici
in cui si inseriscono per poter essere narrati. L’incidentalità per Bausinger è la
categoria definitoria (Martella 2014) dell’oralità narrativa, date le scarse possibilità
di individuare momenti organizzati appositamente per questo scopo. Martella
propone una ripresa e un aggiornamento della tesi di Bausinger alla luce della dif-
fusione dei media digitali, osservando come l’incidentalità delle storie si comporti
all’interno di quest’ultimi; ad esempio, sembrano particolarmente interessanti le
piattaforme di messaggistica istantanea, che permetterebbero di elaborare sto-
rie in modalità scritto-orale, consentendo nuove strategie di racconto. Nei due
Quasi adulti 75
E.: Io mi ricordo le prime volte che a casa ci connettevamo a internet, penso quando
avevo sette o otto anni. Il rumore della connessione… te lo ricordi anche tu no? Prima
come se venisse digitato un numero, poi una specie di rumore starnazzante… era
l’inizio di queste sessioni brevissime, ma che avevano tutta una loro ritualità. Dovevi
chiedere se a qualcuno serviva il telefono, aspettare che avvenisse la connessione
e se dovevi fare una ricerca su qualcosa dovevi avere in mente cosa volevi cercare,
perché a starci troppo partiva la bolletta… era una specie di evento del week-end,
almeno a casa mia.
F.A.: E anche per tua figlia è un evento?
E.: Ma che evento, è la cosa più banale del mondo no? Non è che mia figlia stia
sempre sul mio cellulare o tablet, però obiettivamente è uno strumento con cui ha
familiarizzato da subito. Quando non dormiva da bambina usavo YouTube per farle
sentire musica da camera, che la calmava, poi i cartoni, i giochini… penso sia anche
giusto che familiarizzi con queste cose, perché non è che può arrivare svantaggiata
nella vita, e lo sarebbe se non sapesse usare un tablet. Penso pure che quando sarà un
po’ più grande comincerò a farle usare qualche social con me, così almeno impara a
usarli responsabilmente, tanto non penso sia possibile impedire di crearsi dei profili a
una che sarà adolescente nel… 2024. Però obiettivamente per lei non ci sarà niente di
emozionante nel fatto in sé, magari le succederanno cose emozionanti usando queste
tecnologie, ma non sarà emozionante usarle per usarle8.
8
Intervista del 4 dicembre 2018.
76 Francesco Aliberti
Riferimenti bibliografici
ESTRATTO
da
LARES
Quadrimestrale di studi demoetnoantropologici
2021/1 ~ (LXXXVII)
Anno LXXXVII n. 1 – Gennaio-Aprile 2021
Leo S. Olschki
Firenze
AnnoLXXIX
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n. 1n. 1 Gennaio-Aprile
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2013
Anno LXXIX n. 1 GENNAIO-APRILE 2013
LARES
Rivista
Rivista LARES
quadrimestrale
quadrimestrale di
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studi demoetnoantropologici
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Fondata
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Antonio Fanelli, Maria CFederico,
OMITATOMariano
S Fresta,
CIENTIFICO I Costanza Lanzara,
NTERNAZIONALE
Martina Giuffrè, Maria Elena Giusti, Costanza Lanzara, Emanuela Rossi Francesco Lattanzi,
FedericoAlbera
Dionigi Melosi, (CNRS
Dario Nardini,
France), Luigigiovanni
Sergio Della Quarta, Lorenzo(Université
Bernardina Sabetta, Lorenzo Urbano.
de Bretagne
COMITATO SCIENTIFICO INTERNAZIONALE
Occidentale), Daniel Comitato Scientifico Internazionale
Fabre (CNRS-EHESS Paris), Angela Giglia (Universidad
Dionigi Albera
Autónoma (CNRS France), Sergio Della GianBernardina (Université de Bretagne
Dionigi AlberaMetropolitana,
(CNRS France), Unidad
FrancescoIztapalapa),
Benigno (Scuola Paolo Gri
Normale (Università
Superiore degli
di Pisa), studi
Alessandro
Occidentale),
Casellato (Università
di Udine), Daniel Fabre
‘Ca’ Foscari’
Reinhard (CNRS-EHESS
di Venezia), Pietro
Johler (Universität Paris), Angela
ClementeFerdinando
Tübingen), Giglia (Universidad
(Università diMirizzi
Firenze), Sergio Della
(Università
Autónoma
Bernardina
degli studi Metropolitana,
(Université
della Basilicata),Unidad
de Bretagne Iztapalapa),
Occidentale),
Fabio Mugnaini Gian PaoloUniversity),
Billy(Università
Ehn (Umeå Gri (Università
degli studi David degli Silvia
Forgacs
di Siena), studi
(New
York
di University),
Udine), Lia Giancristofaro
Reinhard Johler (Università
(Universität degli studi
Tübingen), ‘G. D’Annunzio’
Ferdinando
Paggi (Université de Nice-Sophia Antipolis), Cristina Papa (Università degli studi didi Chieti-Pescara),
Mirizzi Angela
(Università
Giglia
degli (Universidad
studiLeonardo Autónoma Metropolitana,
della Basilicata), Fabio Mugnaini Unidad Iztapalapa),degli
(Università Martina
studiGiuffrè (Università
di Siena), Silviadi
Perugia),
Parma), Maria Elena Piasere
Giusti (Università
(Università di degliGian
Firenze), studi di Verona),
Paolo Gri Alessandro
(Università di Simonicca
Udine), Reinhard
Paggi (Université de Nice-Sophia
(Università degliAntipolis),
studi di RomaCristina«LaPapa (Università degli studi di
Sapienza»).
Johler (Universität Tübingen), Ferdinando Mirizzi (Università degli studi della Basilicata), Fabio
Perugia), Leonardo Piasere (Università degli studi di Verona), Alessandro Simonicca
Mugnaini (Università di Siena), Silvia Paggi (Université di Côte d’Azur), Cristina Papa (Università di
Perugia), Leonardo (Università degli studi
Piasere (Università di Roma
Verona), «LaPlastino
Goffredo Sapienza»).
(Newcastle University),
Emanuela Rossi (Università di Firenze), Hizky Shoham (‘Bar-Ilan’ University, Ramat-Gan),
SAGGI Alessandro Simonicca (Università degli studi di Roma ‘La Sapienza’).
PIETRO CLEMENTE, L’attualità di Antonio Pigliaru: note introduttive . . . . . . . . . 5
SAGGI
GAETANO RICCARDO, Conflitto di ordinamentiMiscellanea e conflitto di paradigmi in Antonio Pigliaru . . 11
PIETRO CLEMENTE, L’attualità di Antonio Pigliaru: note introduttive . . . . . . . . . 5
COSIMO ZENE, Riflettendo su Antonio Pigliaru: tra ordinamenti e paradigmi – dono e/o ven-
FORUM . . . , Conflitto
. . . . ordinamenti
. . . . . . . .di paradigmi . . . . . . . Pigliaru . . . . 3
G detta?RICCARDO
AETANO . . . . . . di . . . . . e. conflitto . . . . . . . in. Antonio . . . . . .. .. 11
35
CLorenzo Bartalesi,
ZENE Logiche
, Riflettendo in azione:
su Antonio l’antropologia
Pigliaru:Islam del pensiero
tra ordinamenti di Carlo dono .e/o
Severi. . . 5
DOSIMO
OMENICO COPERTINO , Autorità in questione. e modelli die soggettività
paradigmi –devota nelleven-
di-
Alessandro
detta? . Lupo,
scussioni . Vestire
. . a .immateriali
in. moschea . . .. presenze:
Milano .. .. .. .riflessioni
. .. .. ..su..alcuni
.. .. oggetti .. .. otomì
.. .. rituali .. .. ..alla.. 35
45
D luce
OMENICO
LAURA deCl’Oggetto
OPERTINO
CHERUBINI ,Persona
, Arpie AutoritàdiinCarlo
dalle belle Severi
questione.
chiome. DiIslam. e. modelli
capeli e. turbini
. .difra.soggettività
. . . antico
mondo . . e .survivals
devota . di-
nelle . 17
Carlo Severi,in.L’antropologia
scussioni
moderni moschea . della
. . . a Milano . . memoria,
.. .. .. il.. Leopardo
.. .. .. Cristiano
.. .. .. e.. il bisogno .. .. .. . ..
.. .. .. di.. credere 45
31
73
Roberto
LMAURA
ARIANO Malighetti,
CHERUBINI ArpiePraticando
FRESTA,,L’identitàdalle belleilchiome.
culturale sincretismo.Trasversalità
Di dei
alla prova capeli Il casoe della
e turbini
fatti. complessità
fra mondo dell’antropologia
antico e survivals
val Germanasca 1981-82 95
moderni
culturale di. Tullio
. . Seppilli.
. . . .. .. .. .. .. .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73
39
M ARIANO FRESTA , L’identità culturale alla prova dei fatti. Il caso della val Germanasca 1981-82
Zaira
ARCHIVIOTiziana Lofranco – Federica Tarabusi, Balcanismo e costruzione sociale delle 95
migrazioni
PIETRO CLEMENTEforzate in Italia:
, Evocare esplorazioni
la «barbuira». Ritiantropologiche . . . di. ricerca
calendariali e memorie . . .. .. . . . . . 59
113
ARCHIVIO
Fulvio Cozza, Al di là dello scavo. Archeologia e pratiche del cordoglio nell’Italia contempo-
PGli ranea
autori
IETRO .. .. ,.. Evocare
CLEMENTE .. .. .la .. .. .. .. Riti
. «barbuira». .. ..calendariali
.. .. .. ..e memorie
.. .. . . di. . ricerca
. . . . .. . .. . .. . .. . .. 87
127
113
Michela Buonvino, Clifford Geertz a Sefrou: dalle «osservazioni strutturanti» all’apologia
. . . .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
del frammento
Gli autori 111
127
Francesco Aliberti, Perché postiamo? Una riflessione sul lavoro del Centre for Digital
Anthropology (UCL) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131
Antonio Fanelli, La ‘partecipazione osservante’ e la via italiana all’antropologia. Una essay
review del volume di studi L’eredità rivisitata, con Nota di replica di Antonello Ricci 147
Gli Autori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 171
Rivista fondatanel
Rivista fondata nel1912
1912
direttada
diretta da
Fabio
Pietro Dei
Clemente
Leo S. Olschki
Firenze
Tutti i diritti riservati
All’inizio degli anni Sessanta del secolo scorso Clifford Geertz era ancora
indeciso sul da farsi. Alla ricerca di un campo in cui fare etnografia, impossi-
bilitato a ritornare in Indonesia a causa dell’incerta e conflittuale situazione
politica, l’«antropologo senza popolo»,1 allora assistant professor all’Universi-
tà di Chicago, approdò finalmente, nel 1964, a Sefrou. La scelta fu dettata,
come egli stesso riferì, da una serie di motivazioni molto concrete:
[…] io sto viaggiando disperatamente per il Marocco, cercando di prendere quella
che per un etnografo è la decisione più fatidica, a parte la fuga: dove mettere bot-
tega. In effetti io mi sono già deciso più o meno per Sefrou dopo una precedente
ricognizione, ancor più a perdifiato – ventuno città in trentacinque giorni. Il pascià
è affabile, i miei figli possono viverci con un ragionevole agio, e poi vi sono berbe-
ri, ebrei, olivi e mura.2
5 Cfr. J. Bowen, The Forms Culture Takes: A State-of-the-Field Essay on the Anthropology of
Southeast Asia, «Journal of Asian Studies», vol. 54, 4, 1995, pp. 1047-1078.
6 S. Ortner, Clifford Geertz (1926-2006), «American Anthropologist», New Series, CIX,
2007, 4, p. 788. Sulle vicende travagliate concernenti la ricezione del lavoro di Geertz in Maro-
cco cfr. D.F. Eickelman, Not lost in translation: The influence of Clifford Geertz’s work and life on
anthropology in Morocco, «The Journal of North African Studies», XIV, 3-4, 2009, pp. 389-395.
7 D.F. Eickelman, Clifford Geertz and Islam, in R.A. Shweder – B. Good (a cura di), Clifford
Geertz by His Colleagues, Chicago, University of Chicago Press, 2005, p. 70.
8 Cfr. L. Addi, Deux anthropologues au Maghreb: Ernest Gellner & Clifford Geertz, Paris, Édi-
tions des archives contemporaines, 2013. La teoria della segmentarietà di Gellner si trova for-
mulata nel celebre testo Saints of the Atlas, London, Weidenfeld and Nicolson, 1969.
9 C. Geertz, Observer l’Islam. Changements religieux au Maroc et en Indonésie, Paris, La dé-
couverte, 1992.
CLIFFORD GEERTZ A SEFROU 113
gio contenuto in Meaning and Order non apparve in lingua f rancese prima
del 2003.10
Eppure è importante sottolineare che il ‘laboratorio marocchino’ ebbe,
nell’elaborazione dell’antropologia geertziana, un ruolo non meno rilevan-
te di quello indonesiano. Se si guarda alla struttura di The Interpretation of
Cultures (1973), si noterà che, sebbene rispetto all’etnografia indonesiana
quella marocchina sia presente nel testo in misura assai ridotta, nel sag-
gio cruciale Thick Description: Toward an Interpretive Theory of Culture,11 il
pretesto principale per la formulazione del concetto di ‘descrizione densa’
viene individuato da Geertz proprio in un aneddoto riguardante un fur-
to di greggi che vede coinvolti berberi, gendarmi francesi e commercianti
ebrei, avvenuto sugli altipiani del Marocco centrale nel 1912.12 Tra furti
e ammiccamenti (e ammiccamenti ad ammiccamenti), Geertz dà mostra
delle potenzialità del circolo ermeneutico, sistemando pagine memorabili
di straordinario vigore metodologico ed epistemologico.
Nel 1974 inoltre Geertz pubblica il celebre articolo intitolato «From
the Native’s Point of View»: On the Nature of Anthropological Understanding,13
nel quale, a partire dal problema epistemologico sollevato dal Diario mali-
nowskiano, sviluppa le definizioni di experience-near concept ed experience-di-
stant concept. In questo saggio l’autore si concentra sul concetto di ‘persona’
in quanto primario veicolo di significati per analizzare le forme simboliche
di presentazione e di autorappresentazione del sé. Anche in questa occasio-
ne l’etnografia marocchina si rivela fonte indispensabile di spunti teorici: in
Marocco («mediorientale e asciutto […], estroverso, fluido, attivista, ma-
scolino […] una specie di selvaggio west»)14 la persona si definisce mediante
una particolare forma linguistica chiamata nisba; una sorta di ascrizione,
un’attribuzione che specifica una relazione profonda: una correlazione che
qualifica,15 centrale nel processo di definizione del sé.
Islam Observed è, come lo definì Ugo Fabietti, «un saggio di antropologia
della religione comparata»,16 nel quale il «brillante autore»17 mette a con-
fronto gli sviluppi che l’Islam ha avuto nei due poli opposti del mondo
plicita, resistente dinamica della dominazione presente in molta etnologia sul Nord Africa (cfr.
Introduction. L’arroseur arrosé, in H. Rachik, Le proche et le lointain, cit., pp. 7-22).
23 C. Geertz, Islam, cit., p. 12.
24 Cfr. T. Asad, The idea of an Anthropology of Islam, Washington, Center for Contempo-
rary Arab Studies, 1986.
25 C. Geertz, Islam, cit., p. 94.
26 Geertz ne fornisce innumerevoli definizioni: «Letteralmente bárakāh significa benedi-
zione, nel senso di favore divino. […] racchiude un’intera serie di idee collegate: prosperità
materiale, benessere fisico, soddisfazione corporale, completamento, fortuna, pienezza e, […]
potere magico. […] è una concezione del mondo in cui il divino penetra nel mondo. Implicito,
indiscusso, e ben lungi dall’essere sistematico, anch’esso è una “dottrina”. […] è un modo di
costruire - emotivamente, moralmente, intellettualmente - l’esperienza umana, una interpre-
tazione culturale della vita. […] è presenza personale, forza di carattere, vivezza morale.», ivi,
pp. 44-45.
116 MICHELA BUONVINO
33 V. Crapanzano, Review of Meaning and Order in Moroccan Society: Three Essays in Cultural
Analysis by Clifford Geertz, Hildred Geertz, Lawrence Rosen, «Economic Development and Cultural
Change», XXIX, 4, 1981, p. 850. Traduzione dell’autrice.
34 Introduction in C. Geertz – L. Rosen – H. Geertz, Meaning and order in Moroccan society,
cit., p. 6.
35 Cfr. H. Rachik, Le proche et le lointain, cit., pp. 197-202.
36 Bled (che letteralmente significa ‘località’) è un termine utilizzato dagli abitanti di Se-
frou per riferirsi alla totalità del loro territorio. Gli autori di Meaning and Order ipotizzano che
l’uso di questa espressione denoti «a deeper sense of place than merely locational» (Introduction
in C. Geertz – L. Rosen – H. Geertz, Meaning and order in Moroccan society, cit., p. 7); in so-
stanza, la parola bled evocherebbe la stretta relazione esistente tra gruppo umano e paesaggio.
37 Ciò non significa che il riferimento all’Islam sia assente; al contrario, esso è trasversale
all’intera struttura del testo. Per gli autori l’Islam costituisce l’implicito che fonda l’identità
stessa dei marocchini e che dà vita ad un’interpretazione generale dell’esistenza concretamente
rinvenibile negli istituti quotidiani della vita economica, politica e sociale.
38 Cfr. V. Crapanzano, Review of Meaning and Order in Moroccan Society, cit., p. 849.
118 MICHELA BUONVINO
43 Ivi, p. 217.
44 Rosen suppone addirittura che i marocchini non possiedano un termine per significare
il contrario di haqq, ovvero un lemma che evochi l’idea di «gratuito» o di «atto reciproco disin-
teressato». Rachik smentisce in toto e giudica grave una tale affermazione, facendo notare che
la parola batel sta ad indicare esattamente il concetto di «lavoro senza contropartita» (ivi, p. 219).
Traduzione dell’autrice.
120 MICHELA BUONVINO
their wants. […] But Moroccans seek, too, […] to keep their relations as ill-defined
as possible for as long as possible in order not to be entrapped in a web of recipro-
cation and obligation.45
52 Ibid.
53 K. Dwyer, Geertz, humour and Morocco, «The Journal of North African Studies», XIV,
3-4, 2009, pp. 397-415.
54 Ivi, p. 404.
55 Ivi, p. 405.
122 MICHELA BUONVINO
Tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta dello scorso secolo, il Marocco
divenne la terra promessa dell’‘orientalismo hippie’.58 La ‘sporca guerra’
del Vietnam sospinse all’estero flussi di americani dalle plurime occupazio-
ni, non solo giovani ‘figli dei fiori’, ma anche imprenditori nel traffico di
stupefacenti, turisti e antropologi. I Geertz entrarono a Sefrou nel 1963 con
«la sensazione di essere giunti ormai troppo tardi e di essere arrivati troppo
presto».59 La morte inattesa dell’amatissimo Re Mohammed V e la salita al
trono di suo figlio Hassan II lasciavano il paese in uno stato di sospensione
e in un clima di turbolenze: sospetti intorno alla scomparsa del vecchio
sovrano, perplessità sulle effettive capacità del nuovo di coordinare la si-
tuazione. «A Pare o a Sefrou», scrive ancora Geertz, «nel 1952, 1958, 1963,
1964, 1966, 1969, 1971, 1972, 1976 o nel 1986, sembrava che non fosse mai il
momento giusto».60 Questo sentimento di inappropriatezza, di irrisolvibile
inadeguatezza, racconta, non lo ha mai abbandonato.
A distanza di circa cinque anni da quelle riflessioni, Clifford Geertz è in
piedi di fronte ad una schiera di studiosi riunitisi presso la sala principale
del Palais del Pasha Omar, e inizia il suo discorso in questo modo: «Why
61 Così recita l’incipit geertziano dei commenti finali alla conferenza di Sefrou del 2000;
è anche il titolo dell’articolo di S. Slyomovics, Introduction to Clifford Geertz in Morocco: ‘Why
Sefrou? Why anthropology? Why me?’, «The Journal of North African Studies», XIV, 3-4, 2009, pp.
317-325.
62 La citazione è tratta dalla trascrizione dei commenti finali di Geertz svolta da Susan
Slyomovics e da lei pubblicata nell’articolo indicato alla nota precedente.
63 C. Geertz, After the Fact. Two Countries, Four Decades, One Anthropologist, Cambridge,
Harvard University Press, 1995.
64 Id., Oltre i fatti, cit., p. 7.
124 MICHELA BUONVINO
65 Ivi, p. 21
66 Ivi, p. 20.
67 Ivi, pp. 21-22.
68 Ivi, p. 23.
69 Ivi, p. 20.
70 Ivi, p. 23.
CLIFFORD GEERTZ A SEFROU 125
approda una volta per tutte all’apologia del frammento e alla condanna
di ogni minima pretesa di oggettività per ribadire ancora l’impossibilità di
evadere dall’immediatezza situazionale della conoscenza etnografica.
Thomas Dichter, che ha avuto modo di lavorare con Geertz e dopo Ge-
ertz a Sefrou, ha sottolineato quanto fosse impellente nell’analisi culturale
geertziana la ricerca di un ‘ideale di scientificità’.71 Oltre alla teoria esposta
in Interpretazione di culture, secondo la quale lo studio della cultura dovreb-
be consistere nell’alternanza tra guessing e meanings e nel tentativo di giun-
gere alle conclusioni più esplicative possibili a partire dalla formulazione
delle supposizioni/ipotesi migliori, anche la pratica del fieldwork di Geertz
era, citando Dichter, «as scientific as it could be».72 Prosegue Dichter:
[…] a formal proposition based on carefully and systematically gathered evi-
denced, tightly wound in hypotheses and their testing. For all his occasional pro-
testations that he would really have liked to become a great novelist, this Balzac
manqué was, ‘au fond’, thorough scholar and leave-no-stone-unturned systematic
investigator – a real social scientist.73
Il Geertz di Oltre i fatti, per Dichter, sembra essere in grado, una volta
per tutte, di staccarsi da quell’ideale scientifico di cui sopra74 per giungere
ad una diversa conclusione. Riportiamo, a tale riguardo, alcune righe tratte
da Oltre i fatti:
[…] bisogna accontentarsi di vortici, di confluenze e di connessioni instabili; nu-
vole che si uniscono, nuvole che si disperdono. Non c’è nessuna storia generale
da raccontare, e neppure quadri sinottici da fare. Ciò che invece possiamo costru-
ire, se osserviamo accuratamente e se sopravviviamo, sono resoconti a posteriori
sullo stato di connessione delle cose che sembrano accadute: quadri composti di
frammenti pazientemente cuciti uno dietro l’altro, dopo i fatti. […] Che ne è stato
dell’oggettività? E poi, chi ci assicura che abbiamo fatto le cose proprio come si
deve? E la scienza, dove è andata a finire?75
71 T. Dichter, Are we there yet? Geertz, Morocco, and modernization, cit., p. 546. Traduzione
dell’autrice.
72 Ibid.
73 Ivi, pp. 546-547.
74 Ivi, p. 547.
75 C. Geertz, Oltre i fatti, cit., pp. 8-9.
126 MICHELA BUONVINO
[M]ost of that kind of problem has centered on the question we usually refer to
as ‘reflexivity.’ In Works and lives I have some sardonic things to say about some at-
tempts in that direction, though I think it’s the direction to move… [W]e are part
of what we study, in a way; we’re there… Now, I’ve never done it. Well… once
in a while I’ve done it. But I’ve never really thoroughly done it, and I’ve written
a lot of books which are written from the moon – the view from nowhere. I am
persuaded that at least for some works, for a lot of works, we’ve really got to get
our-selves back into the text, to have ourselves truly represented in the text… In
the book I’m writing now, After the fact, that’s what I’m trying to do. It’s not con-
fessional anthropology, and it’s not about what I was feeling or something of that
sort; it’s trying to describe the work I’ve been doing with myself in the picture.76
76 G.A.Olson, The social scientist as author: Clifford Geertz on ethnography and social con-
struction, in G.A. Olson – I. Gale (a cura di), (Inter)views: cross-disciplinary perspectives on rhetoric
and literacy, Carbondale, Southern Illinois University Press, pp. 203-204.
77 C. Geertz, Oltre i fatti, cit., p. 171.
CLIFFORD GEERTZ A SEFROU 127
da Re Hassan II nel 1986, poco prima delle celebrazioni in onore del ven-
ticinquesimo anniversario della sua salita al trono, divulgato dalla radio e
dalla televisione di Stato. In breve, la comunicazione reale mirava a ribadi-
re la grandiosità e l’autenticità dell’architettura marocchina, additandone
ad esempi classici gli edifici di costruzione idriside, almoravide, almohada,
sa’adiana e alawita. Per contro, si annunciava un periodo di irreparabile de-
clino, in cui volgari edifici all’europea stavano disordinatamente spuntando
intorno ai centri dell’antica civiltà. La città marocchina, nella sua forma
originaria, marchio di magnificenza culturale, periva sotto i colpi della spa-
da di una smania edilizia triviale e senza criterio. La città rappresentativa
di questa degenerazione era proprio Sefrou, sostenne Sua Maestà, prima
un «gioiello» che sfidava l’Atlante, adesso una cittadina «brutta» che non ha
saputo trovare una via nazionale e tradizionale in mezzo alla modernizza-
zione, che non è stata in grado di mantenere intatta né la conformazione
della città autentica né, di conseguenza, la propria identità spirituale e ma-
ghrebina. I vecchi sefroui, da poco tornati al potere, sollevarono non poche
polemiche contro l’operato dei predecessori, accusati di ateismo, e diede-
ro avvio ad un programma di edificazioni e di ristrutturazioni che Geertz
etichetta come «risorgimento religioso-culturale».78 Iniziò una contesa tra
nuovi e vecchi sefroui, esibita per mezzo del lessico simbolico della mor-
fologia delle strutture abitative. Alla sobria, bianca facciata delle case dei
madani (cittadini autentici), indice di una espressione moderata dello status
sociale, delegata all’interno dell’abitazione, le nuove case, sorte sregolata-
mente lungo le strade, oppongono esterni di colori audaci, come il verde,
il rosso, il blu e il giallo, «(rovesciando) la casa cittadina come un guanto
dall’interno verso l’esterno».79
È fenomeno degli ultimi quindici anni la ripresa sistematica degli studi
sull’opera di Geertz in Marocco. La University of California and Los An-
geles (UCLA) ha costituito (e costituisce tuttora) un vero e proprio epicen-
tro di dibattiti, conferenze, pubblicazioni, gravitanti attorno alla risonan-
za dell’approccio interpretativo e simbolico sull’antropologia del Medio
Oriente e del Nord Africa (MENA).80 Tra il 6 e il 9 dicembre del 2007 il Gu-
stav E. von Grunebaum Center for Near Eastern Studies si fece promotore
dell’organizzazione di una conferenza internazionale intitolata Islam Re-Ob-
served: Clifford Geertz in Morocco e di una mostra fotografica dal titolo Sefrou,
Morocco Observed: The Photographs of Paul Hyman, allestita presso i locali del
Fowler Museum dell’Università. Lo scopo principale della conferenza di
Los Angeles era quello di riunire i contributi derivanti dalla tradizione degli
78 Ivi, p. 194.
79 Ivi, p. 195.
80 Tra tutti si veda S. Hafez – S. Slyomovics (a cura di), Anthropology of the Middle East and
North Africa. Into the new millennium, Bloomington-Indianapolis, Indiana University Press, 2013.
128 MICHELA BUONVINO
Considerazioni finali
81 Intervennero alla conferenza: Susan Slyomovics, Lahouari Addi, Hassan Rachik, Mon-
dher Kilani, Dale F. Eickelman, Kevin Dwyer, Khaterine E. Hoffman, Paul Rabinow, Lawren-
ce Rosen, Paul Hyman, Susan Gilson Miller, David Crawford, Thomas Dichter, alla presenza
dell’allora sindaco di Sefrou Hafid Ouchchak e di Aziz Abbassi, un “nativo” sefroui chiamato a
raccontare la propria storia.
82 J. Isaac, The Intensification of Social Forms: Economy and Culture in the Thought of Clifford
Geertz, «Critical Historical Studies», V, 2, 2018, pp. 237-238.
CLIFFORD GEERTZ A SEFROU 129
Le due città, naturalmente, sono cambiate, per molti versi superficialmente, per
alcuni versi profondamente. Ma è cambiato, e nello stesso modo, anche l’antropo-
logo nonché la disciplina in cui l’antropologo lavora, il contesto intellettuale entro
il quale tale disciplina vive e la base etica sulla quale essa poggia. E sono cambiati
pure i paesi in cui sono situate le due città e il mondo internazionale in cui essi
sono inseriti.83
Ci sembra che questa ‘terza fase’ costituisca terreno assai fertile per ul-
teriori approfondimenti (sulla scia, ad esempio, dei contributi di Roberto
Malighetti)84 concernenti quella che può essere considerata un’altra crucia-
le lezione metodologica trasmessaci da Clifford Geertz, oltre a quella più
celebre contenuta in Interpretazione di culture e che la citazione seguente ci
consegna in maniera assai efficace:
Dibattersi in mezzo agli eventi per poi confezionare dei resoconti sul modo in cui
essi sono l’un l’altro legati è ciò in cui consistono sia l’illusione che la conoscenza.
I resoconti vengono confezionati a partire delle nozioni disponibili, dall’attrezza-
tura culturale che si ha a portata di mano. Ma come qualsiasi altra attrezzatura,
anche questa entra a far parte del compito; il valore è aggiunto, non estratto. Se si
vuole arrivare all’oggettività, alla correttezza e alla scienza non si deve pretendere
che esse siano indipendenti dal lavoro concreto che le produce o le distrugge.85
Riassunto – Summary
main critical assessments developed by scholars. The purpose is to show how and
how much the “moroccan laboratory” has been crucial for the construction and
the development of Geertz’s interpretive anthropology tout court. Lastly, in the
light of the dialogical analysis of the sources taken into consideration, the aim
is to lead the reader towards the exploration of Geertzian “reflexive turn” which
constitutes the final phase not only of the reflection in/on Morocco, but of his
entire theoretical epistemological experimentation.
Direttore Responsabile
Prof. Fabio Dei
Università degli Studi di Pisa
Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere
ESTRATTO
da
LARES
Quadrimestrale di studi demoetnoantropologici
2020/2 ~ a. 86
Economie umane economie intime. Né per Dio né per denaro
a cura di Matteo Aria
Anno LXXXVI n. 2 – Maggio-Agosto 2020
LARES
ECONOMIE UMANE, ECONOMIE INTIME
Né per Dio né per denaro
a cura di
MATTEO ARIA
Leo S. Olschki
Firenze
AnnoLXXIX
Anno LXXXVI
n. n.
1 2 Maggio-Agosto
GENNAIO-APRILE 2020
2013
Anno LXXIX n. 1 GENNAIO-APRILE 2013
LARES
Rivista
Rivista LARES
quadrimestrale
quadrimestrale di
di studi
studi demoetnoantropologici
demoetnoantropologici
Fondata nel
nel 1912
Rivista
Fondata ee diretta
diretta da
quadrimestrale
1912 L.di
da L. Loria
studi
Loria (1912),
(1912), F. Novati
F. Novati(1913-1915),
(1913-1915),
demoetnoantropologici
P. ToschiP.(1930-1943;
Toschi (1930-1943; 1949-1974),
1949-1974), G.B.(1974-2001),
G.B. Bronzini Bronzini (1974-2001),
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Fondata V.nelDi1912
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Loria (1912), F. Novati (1913-1915),
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France), Sergio Della Quarta, Lorenzo(Université
Bernardina Sabetta, Lorenzo Urbano.
de Bretagne
C
Occidentale), Daniel ComitatoOMITATO SCIENTIFICO INTERNAZIONALE
Scientifico Internazionale
Fabre (CNRS-EHESS Paris), Angela Giglia (Universidad
DionigiMetropolitana,
Autónoma Albera (CNRS France), Sergio Della Bernardina (Université de Bretagne
Dionigi Albera (CNRS France),Unidad
Francesco Iztapalapa),
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Normale (Università
Superiore degli
di Pisa), studi
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CasellatoOccidentale),
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di Udine), Reinhard Daniel Fabre
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di Venezia), Pietro
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Tübingen), Angela Giglia
(Università diMirizzi
Ferdinando (Universidad
Firenze), Sergio Della
(Università
Autónoma
Bernardina
degli studi Metropolitana,
(Université
della Basilicata), Unidad
de BretagneFabio Iztapalapa),
Occidentale),
Mugnaini EhnGian
Billy(Università
(Umeå Paolo Gri (Università
University),
degli studi David degli
Forgacs
di Siena), studi
(New
Silvia
York University),
di Udine), Lia Giancristofaro
Reinhard Johler (Università degli
(Universität studi ‘G.
Tübingen), D’Annunzio’
Ferdinando di Chieti-Pescara),
Paggi (Université de Nice-Sophia Antipolis), Cristina Papa (Università degli studi diMirizzi Angela
(Università
Giglia (Universidad
degli studi Autónoma
della Metropolitana,
Basilicata), Fabio MugnainiUnidad Iztapalapa),
(Università Martina
degli Giuffrè
studi di(Università
Siena), di
Silvia
Perugia),
Parma), Leonardo
Elena GiustiPiasere
Maria(Université (Università
(Università di Firenze),degli
Gianstudi
PaolodiGri
Verona), Alessandro
(Università Simonicca
di Udine),degli
Reinhard Johler
Paggi de Nice-Sophia
(Università Antipolis), Cristina Papa (Università studi di
(Universität Tübingen), Ferdinandodegli studi
Mirizzi di Roma
(Università «La
degli Sapienza»).
studi della Basilicata), Fabio Mugnaini
Perugia), Leonardo Piasere (Università degli studi di Verona), Alessandro Simonicca
(Università di Siena), Silvia Paggi (Université di Côte d’Azur), Cristina Papa (Università di Perugia),
Leonardo Piasere(Università
(Universitàdegli studi
Verona), di Roma
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di Antonio intime.
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note per Dio né per . denaro
. . . . . . . . 5
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Gdetta?
AETANO. RICCARDO
. . . , Conflitto
. . . .di ordinamenti
. . . . e. conflitto . . . di .paradigmi. . . in. Antonio . . .. . 35 11
. . . Pigliaru
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Autorità .
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LAURA CHERUBINI, Arpie dalle belle chiome. Di capeli e turbini fra mondo antico e survivalsdi . . . .
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Keith Hart,
scussioni
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Peter
M Geschiere,
LAURA
ARIANO FCRESTA
HERUBINI Capitalism
, L’identità andbelle
, Arpie culturale
dalle ‘Witchcraft’.
chiome.
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Di fatti.
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moderni
Serge Tcherkézoff,
ARCHIVIO FRESTA, L’identità
M ARIANO Il Saggio culturale
sul donoalla di Mauss:
prova dei unfatti.
saggio su «ladella
Il caso seconda 1981-82 247 95
fase del denaro»
val Germanasca
Marta
P Gentilucci, Dalla montagna alla miniera. La ‘sacralizzazione’ del nichel nel nord
IETRO CLEMENTE, Evocare la «barbuira». Riti calendariali e memorie di ricerca . . . . . 113
della Nuova Caledonia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
ARCHIVIO 269
JoePautori
Gli Trapido, Amore
. . ,e. Evocare
IETRO C.LEMENTE denaro
. . nella . popular
. . . music
.la «barbuira». . . . ..e memorie
congolese
. . calendariali
Riti .. .. . . di
. . ricerca
. . . . . . . . . . . . 127
289113
Cecilia Draicchio, «C’est l’argent qui parle!». Economie della salute mentale tra assistenza
autori . e .prayer
Glipsichiatrica . . camp
. . in. area
. nzema . . . . . . . . . . . . .. .. .. .. .. .. .. . . 321127
. . . (Ghana).
Angelantonio Grossi, Soldi e spiriti: alcune note dal Ghana sulle semiotiche del denaro e del
dominio spirituale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 339
Samuel Ntewusu, Co-existence in Turbulent Times: Migrants and the Making of Ghana’s
Madina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 365
Birgit Meyer, Le zone di frontiera e lo studio della religione . . . . . . . . . . 383
Gli autori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 401
Pubblicato nel mese di ottobre 2014
1 Vorrei ringraziare di cuore Matteo Aria, Elisa Vasconi e i due peer-reviewer anonimi per
i loro preziosi commenti a questo articolo. Allo stesso modo, sono molto grata ai partecipanti
alla residenza di scrittura etnografica di Vallecupa (Tamar Blickstein, Valentina Bonifacio, Giu-
lia Frigeri, Matteo Gallo, Ofer Gazit, Francesco Lattanzi, Francesco S. Longo, Stefano Portelli e
Rossella Schillaci) per l’attenzione con cui hanno letto una precedente versione di questo testo,
per i suggerimenti che mi hanno fornito e per tutte le stimolanti conversazioni di quei giorni.
2 L’area nzema è un territorio rurale costiero situato tra la Western Region del Ghana
e la regione Sud Comoé della Costa d’Avorio. Nata con l’obiettivo di studiare le relazioni tra
politiche nazionali e internazionali della salute mentale e pratiche locali, l’etnografia su cui
si fonda questo articolo si è svolta nel versante ghanese tra il 2013 e il 2020 per un periodo
complessivo di dieci mesi e si è focalizzata gradualmente sulle articolazioni tra psichiatria e
risorse terapeutiche altre. Nei miei soggiorni di ricerca ho vissuto in un villaggio combinando
la partecipazione alla vita locale con visite quasi quotidiane a un reparto psichiatrico, diversi
prayer camp e abitazioni private, dove ho incontrato infermieri/e, guaritori e guaritrici, pazienti,
ex-pazienti e familiari. Per proteggere l’anonimato di queste persone, non specifico il distretto
né le località precise dove è stata condotta la ricerca.
3 L’episodio è citato brevemente in C. Draicchio, Tra cura e mercato. La psichiatria nell’are-
na della salute mentale in area nzema, in M. Aria – P. Schirripa – E. Vasconi (a cura di), In Ghana.
Etnografie dallo Nzema, Roma, Mincione, 2019, pp. 213-246.
4 E.K. Larbi, Pentecostalism: The Eddies of Ghanaian Christianity, Accra, CPCS, 2001,
ebook, cap. 12, § 1.
322 CECILIA DRAICCHIO
5 Sul nesso tra ‘salute’ e ‘salvezza’ nelle chiese pentecostali e carismatiche contempora-
nee, si veda P. Schirripa, Salute e salvezza nei contesti pentecostali e carismatici, in Id. (a cura di),
Terapie religiose. Neoliberismo, cura, cittadinanza nel pentecostalismo contemporaneo, Roma, Cisu,
2012, pp. 11-31.
6 Dagli anni Novanta il paese è stato investito da un massiccio processo di ‘pentecostaliz-
zazione’ della sfera pubblica facilitato dal proliferare di TV e radio cristiane private (si vedano,
tra gli altri, B. Meyer, “Praise the Lord”: Popular Cinema and Pentecostalite Style in Ghana’s New Pu-
blic Sphere, «American Ethnologist», 31, 1, 2014, pp. 92-110; M. de Witte, Altar Media’s “Living
Word”: Televised Charismatic Christianity in Ghana, «Journal of Religion in Africa», 33, 2003, 2,
pp. 172-202; P. Gifford, Ghana’s New Christianity: Pentecostalism in a Globalizing African Economy,
Bloomington, Indiana University Press, 2004, pp. 30-39.
7 Cfr. J. Osafo, Seeking Paths for Collaboration between Religious Leaders and Mental Health
Professionals in Ghana, «Pastoral Psychology», 65, 2016, 4, pp. 493-508; U.M. Read, Rights as
Relationships: Collaborating with Faith Healers in Community Mental Health in Ghana, «Culture,
Medicine, and Psychiatry», 43, 2019, 4, pp. 613-635.
8 Tale volontà è esplicitata in questi termini nel testo del Mental Health Act 846 (p. 7), una
legge approvata nel 2012 con l’obiettivo di rinnovare il sistema della salute mentale nel paese
attraverso la decentralizzazione dei servizi e la promozione di un discorso sul rispetto dei diritti
umani e sulla lotta allo stigma per le persone affette da disturbi mentali.
9 Per una contestualizzazione storica del discorso della ‘collaborazione’ promosso dal
Mental Health Act 846 all’interno delle politiche sanitarie ghanesi e nel quadro della ‘salute men-
tale globale’ si rimanda a C. Draicchio, ‘Extraordinary Conditions and Experiments’ with Collabo-
ration in Zones of ‘Social Abandonment’. Mental Health Care between Psychiatry and Prayer Camps in
Rural Ghana, «Politique Africaine», 157, 2020, 1, pp. 165-182: 166-170.
10 Colloquio con Mr. Sarpong, Accra, 14 ottobre 2014. Tutti i nomi presenti in questo
testo sono pseudonimi.
11 Esofo (pl. asofo) è il termine nzema usato per indicare profeti e profetesse.
«C’EST L’ARGENT QUI PARLE!». ECONOMIE DELLA SALUTE MENTALE 323
del reparto psichiatrico presso cui ho svolto parte della ricerca. Il campo era
un ampio spazio all’aperto che ospita la casa dell’esofo, una chiesa ad aula
e un piccolo edificio basso con alcune stanze per i residenti. Molti di loro,
pazienti e familiari tenuti/e a risiedere lì durante il percorso terapeutico,
erano seduti o sdraiate all’aperto, all’ombra di un albero o sotto una tettoia
di rafia dove alcune donne erano intente a tagliare e pelare la cassava e a
cuocere una zuppa di pesce per il pranzo. Dopo essersi presentato e aver
appreso che il profeta non era in casa, Michael ha cominciato a identificare
tra i presenti, un po’ da solo un po’ con l’aiuto di una donna, le persone af-
fette da ‘malattia mentale’:12 erano sette, di cui tre incatenate a degli alberi.
Il tema della contenzione fisica ricorre spesso nei discorsi degli infermieri sui
rischi e le potenziali incompatibilità nei tentativi di collaborazione con pro-
feti e profetesse,13 ma in quella situazione Michael ha adottato un approccio
pragmatico, evitando di concentrarsi su questo aspetto, e ha iniziato a par-
lare direttamente con pazienti e familiari al fine di elaborare delle diagnosi e
prescrivere i farmaci più adatti. È stato durante uno di questi colloqui che è
arrivato, ironico e lapidario, il commento di Ama, una giovane paziente di
origine ivoriana: «C’est l’argent qui parle!», «È il denaro che parla!» ha detto
la ragazza scuotendo la testa e abbozzando un sorriso sprezzante. Proprio
come una sorta di ‘rivelazione’, le parole di Ama mi hanno spinto, nelle
successive settimane di ricerca, a vedere il coinvolgimento diretto degli in-
fermieri nella compravendita di farmaci psicotropi: una dinamica che avevo
fino a quel momento ignorato e sulle cui implicazioni intendo riflettere in
questa sede.
In linea con l’intento del numero monografico di creare connessioni tra
l’economico e il religioso e di ragionare sulle convivenze di mondi pensa-
ti come separati, in questo articolo vorrei partire dalle parole di Ama per
riflettere sul complesso ruolo che il denaro e la compravendita di psico-
12 Come ogni scelta linguistica, l’uso dell’espressione ‘malattia mentale’ non è neutro.
Non diversamente da un termine sfaccettato e sfuggente come ‘follia’, si tratta di un conteni-
tore semantico che può comprendere esperienze molto diverse. Tuttavia, essendo strettamen-
te connessa al sapere biomedico, tale espressione può produrre l’impressione di qualcosa di
netto, ben definito e facilmente riducibile a una categoria psichiatrica. Per contrastare questa
tendenza e, al contempo, per sottolineare il fatto che si tratti di un’espressione spesso utilizzata
da attori locali, in questo articolo essa è sempre posta tra virgolette in linea con la proposta
di China Mills (C. Mills, Decolonizing Global Mental Health: The Psychiatrization of the Majority
World, London, Routledge, 2014, ebook, cap. 1, nota 2).
13 Benché sia di fondamentale importanza sia nell’esperienza delle persone affette da di-
sturbi mentali sia negli attuali dibattiti nazionali e internazionali sulla salute mentale in Ghana,
non è possibile in questa sede soffermarsi sul complesso tema della contenzione. Si vedano:
U.M. Read, Rights as Relationships: Collaborating with Faith Healers in Community Mental Health in
Ghana, cit.; Id., Between Chains and Vagrancy: Living with Mental Illness in Kintampo, Ghana, tesi di
dottorato, University College London, 2012, pp. 185-208; L.A. Taylor, Reconsidering Samuel: A
Mental Health Caretaker at a Ghanaian Prayer Camp, «Perspectives in Biology and Medicine», 59,
2017, 2, pp. 263-275.
324 CECILIA DRAICCHIO
14 J. Robbins, Beyond the Suffering Subject: Toward an Anthropology of the Good, «Journal of
the Royal Anthropological Institute», 19, 2013, 3, pp. 447-462.
15 E. Krah, ‘Money Spoils the Medicine’: Gift Exchange and Traditional Healing in Northern
Ghana, «Medicine Anthropology Theory», 6, 2019, 1, pp. 55-73.
16 B. Bierlich, The Problem of Money: African Agency and Western Medicine in Northern Gha-
na, Oxford, Berghahn, 2007, pp. 164-177.
17 Cfr. J.P. Parry – M. Bloch, Introduction: Money and the Morality of Exchange, in Id. (eds.),
Money and the Morality of Exchange, Cambridge, Cambridge University Press, 1989, pp. 1-32.
18 Cfr. B. Meyer, ‘Delivered from the Powers of Darkness’. Confessions of Satanic Riches in
Christian Ghana, «Africa: Journal of the International African Institute», 65, 1995, 2, pp. 236-55;
Id., The Power of Money: Politics, Occult Forces, and Pentecostalism in Ghana, «African Studies Re-
view», 41, 1998, 3, pp. 15-37; S. van der Geest, Money and Respect: The Changing Value of Old Age
in Rural Ghana, «Africa», 67, 1997, 4, pp. 534-559; J. Comaroff – J.L. Comaroff, Occult Economies
and the Violence of Abstraction: Notes from the South African Postcolony, «American Ethnologist»,
26, 1999, 2, pp. 279-303; P. Schirripa, Salute, salvezza, resistenza. Per una lettura politica dei rituali
di guarigione nel Ghana contemporaneo, in Id. (a cura di), Terapie religiose. Neoliberismo, cura, citta-
dinanza nel pentecostalismo contemporaneo, Roma, Cisu, 2012, pp. 93-106.
«C’EST L’ARGENT QUI PARLE!». ECONOMIE DELLA SALUTE MENTALE 325
27 Ibid. Come è noto, la riflessione sul «paradosso del conservare mentre si dona» è co-
struita dalla studiosa in relazione al contesto oceaniano e in dialogo con le riflessioni di Marcel
Mauss sullo hau, lo spirito del dono maori (si veda M. Aria, I doni di Mauss: Percorsi di antropolo-
gia economica, Roma, Cisu, 2016, pp. 59-65).
28 E. Krah, ‘Money Spoils the Medicine’, cit., p. 59, traduzione dell’autrice.
29 P. Bourdieu, Per una teoria della pratica. Con tre studi di etnologia cabila, Milano, Cortina,
2003, pp. 282-284. Sul denaro come dono in contesto ghanese si veda S. van der Geest, Money
and Respect, cit.
30 Le noci di cola sono un frutto diffuso in molte zone dell’Africa occidentale, a cui è
spesso attribuito un ruolo in cerimonie e rituali.
31 E. Krah, ‘Money Spoils the Medicine’, cit., p. 70, traduzione dell’autrice.
32 J.P. Parry – M. Bloch (eds.), Money and the Morality of Exchange, cit.
33 E. Krah, ‘Money Spoils the Medicine’, cit., p. 56, traduzione dell’autrice.
«C’EST L’ARGENT QUI PARLE!». ECONOMIE DELLA SALUTE MENTALE 327
34 J. Robbins, Beyond the Suffering Subject, cit., p. 455. Pur avendo sfumature e bersagli
teorici in parte differenti, la critica di Robbins risuona con alcune delle critiche che Fabio Dei ri-
volge all’antropologia contemporanea in F. Dei, Di stato si muore? Per una critica dell’antropologia
critica, in F. Dei – C. Di Pasquale, Stato, Violenza, Libertà: La ‘Critica Del Potere’ e l’antropologia
Contemporanea, Roma, Donzelli, 2017, pp. 9-49.
35 J. Robbins, Beyond the Suffering Subject, cit., p. 457, traduzione e corsivo dell’autrice.
36 S.B. Ortner, Dark Anthropology and Its Others: Theory since the Eighties, «HAU: Journal of
Ethnographic Theory», 6, 2016, 1, pp. 47-73.
37 B. Knauft, Good Anthropology in Dark Times: Critical Appraisal and Ethnographic Applica-
tion, «The Australian Journal of Anthropology», 30, 2019, 1, pp. 3-17.
328 CECILIA DRAICCHIO
Torniamo dunque alla scena con cui si è aperto l’articolo. Come dob-
biamo interpretare la frase di Ama, la giovane paziente del prayer camp?
Cosa significa «c’est l’argent qui parle»? E come funziona il coinvolgimento
degli infermieri nella compravendita di farmaci psicotropi cui ho accennato
nell’introduzione? Per rispondere, è necessario fornire degli ulteriori detta-
gli sul contesto della ricerca.
Innanzitutto, in linea con la tendenza che si è affermata a livello globa-
le,41 anche in area nzema l’assistenza psichiatrica42 è prettamente farma-
fatto ricerca si fondano esclusivamente sul lavoro di infermieri psichiatrici e, in generale, non
vi sono psichiatri nell’area. Infatti, benché il loro numero si sia più che raddoppiato negli ultimi
anni, gli psichiatri in Ghana sono ad oggi solo 39 e principalmente concentrati nelle città, in
particolare nei tre ospedali psichiatrici del paese (Accra Psychiatric Hospital e Pantang Hospital
nella capitale Accra e Ankaful Psychiatric Hospital a Cape Coast) e in due ospedali universitari
(Korle Bu Teaching Hospital ad Accra e Komfo Anokye Teaching Hospital a Kumasi); si veda
Psychiatrists in Ghana as at 2nd December 2019, «Mental Health Authority», <https://mhaghana.
com/psychiatrists-in-ghana-as-at-2nd-december-2019/>, consultato il 2 giugno 2020.
43 B.J. Good, The Complexities of Psychopharmaceutical Hegemonies in Indonesia, in J.H. Jen-
kins (ed.), Pharmaceutical Self, cit., pp. 117-144.
44 Mental Health Act 846, p. 35.
45 Cfr. E. Vasconi, Tra Democrazia e Liberalizzazione. Un’analisi Antropologica e Comparativa
Del Sistema Sanitario in Ghana e in Uganda, tesi di dottorato, Università di Siena, 2012. Sull’im-
patto dei Piani di Aggiustamento Strutturale sulla salute pubblica si rimanda a J. Pfeiffer – R.
Chapman, Anthropological Perspectives on Structural Adjustment and Public Health, «Annual Review
of Anthropology», 39, 2010, 1, pp. 149-165.
46 Cfr. W.K. Asenso-Okyere et alii, Cost Recovery in Ghana: Are There Any Changes in Health
Care Seeking Behaviour?, «Health Policy and Planning», 13, 1998, 2, pp. 181-188.
330 CECILIA DRAICCHIO
47 In questo senso, il NHIS si è tuttavia rivelato piuttosto fallimentare a causa dei prez-
zi dell’assicurazione e dell’inefficacia dei criteri e dei processi di esenzione che continuano
a precludere agli strati più poveri della popolazione di accedere alla sanità pubblica (cfr. A.
Kwarteng et alii, The State of Enrollment on the National Health Insurance Scheme in Rural Ghana
after Eight Years of Implementation, «International Journal for Equity in Health», 19, 2019, 1,
<https://equityhealthj.biomedcentral.com/articles/10.1186/s12939-019-1113-0>, consultato
il 2 giugno 2020; J. Dixon – E.Y. Tenkorang – I. Luginaah, Ghana’s National Health Insurance
Scheme: Helping the Poor or Leaving Them Behind?, «Environment and Planning C: Government
and Policy», 1, 2011, pp. 1102-1115).
48 Cfr. K. Hart, Informal Income Opportunities and Urban Employment in Ghana, «The Jour-
nal of Modern African Studies», 11, 1, 1973, pp. 61-89; Id., The Informal Economy, «Cambridge
Anthropology», 10, 2, 1985, pp. 54-58.
49 Il costo dei farmaci prescritti a un singolo paziente può, dunque, variare sensibilmente
a seconda delle loro modalità di reperimento, della loro provenienza e della loro tipologia. Per
pazienti diagnosticati come schizofrenici, psicotici o gravemente depressi, la spesa mensile può
arrivare fino a 80-90 Ghana cedi, che corrispondono a circa 12-13 euro: una cifra davvero con-
siderevole per i budget familiari locali.
50 Mental Health Authority, Procurement and Sale of Psychotropic Drugs, 8 dicembre 2016.
«C’EST L’ARGENT QUI PARLE!». ECONOMIE DELLA SALUTE MENTALE 331
miere non era stata univoca: alcune persone avevano accettato di comprare
le medicine che Michael aveva scrupolosamente portato con sé, altre invece
avevano rifiutato, lamentandosi del loro costo proibitivo, nell’immediato e
sul lungo periodo. Da questo punto di vista, in modo paradossale – soprat-
tutto se pensiamo alle connessioni stabilite da molta letteratura tra chiese
carismatico-pentecostali e neoliberismo – l’economia della guarigione nel
prayer camp di Esofo Christ è molto più simile a quella descritta da Krah a
proposito della medicina tradizionale dagomba. Infatti, anche le cure of-
ferte nel campo non hanno un prezzo: non va corrisposta nessuna somma
di denaro per essere ammessi o ammesse, l’unico prerequisito è avere un
accompagnatore o un’accompagnatrice che si occupi di dar da mangiare
al/alla paziente nel corso della sua permanenza. Tuttavia, a guarigione av-
venuta, si fa un regalo all’esofo per ringraziarlo del suo aiuto. Questo dono
può anche essere di natura monetaria, ma proprio come nel contesto pre-
sentato da Krah, avviene in un momento successivo rispetto alla cura e non
c’è alcuna cifra stabilita, poiché deve essere «something from your heart»,
«una cosa che viene dal cuore». Anche nel prayer camp di Esofo Christ non
potrebbe esserci una retribuzione vera e propria, perché chi opera la guari-
gione non è il profeta, ma Dio stesso.
Durante l’outreach, dunque, due visioni diverse della follia, la ‘follia-ma-
lattia’ e la ‘follia-possessione demoniaca’, entrano in relazione attraverso
la possibilità (di acquisto) dello psicofarmaco, dando vita a una ‘collabora-
zione’ parziale, intermittente e asimmetrica tra profeti e infermieri psichia-
trici. Questa ‘collaborazione imperfetta’ è in effetti mediata dalla presenza
di pasticche e liquidi da iniettare, ovvero gli strumenti che gli infermieri
propongono di affiancare alla preghiera per una ‘gestione’ migliore della
‘malattia’. Nello spiegarmi perché permette agli infermieri dell’ospedale di
visitare il campo e ai propri ‘figli’ (pazienti) di prendere le ‘loro’ medicine,
Esofo Christ ha citato un passo biblico:
Dio ha detto: figlio mio, quando stai male, non fare finta di niente, prega il Signore
e Lui ti farà stare bene, confessa tutti i tuoi peccati e prometti che in futuro vivrai
una vita piena di grazia. Poi chiama il dottore51 perché è il Signore che l’ha creato,
e tienilo al tuo fianco. Ne avrai bisogno. Chiama il dottore perché il Signore lo ha
creato e tu dovrai tenerlo al tuo fianco.52
51 In area nzema, può capitare spesso che coloro che non sono membri del personale
sanitario presso ospedali e centri di salute usino indifferentemente il termine doctor o nurse per
indicare infermieri e infermiere.
52 Si veda Siracide (Ecclesiastico) 38, vv. 1-15; intervista ad Esofo Christ, 10 novembre
2014, traduzione e corsivo dell’autrice.
332 CECILIA DRAICCHIO
53 Cfr. U. Read, ‘I Want the One That Will Heal Me Completely so It Won’t Come Back Again’:
The Limits of Antipsychotic Medication in Rural Ghana, «Transcultural Psychiatry», 49, 2012, 3-4, pp.
438-460.
54 Intervista a Michael M., 22 ottobre 2014, traduzione dell’autrice.
«C’EST L’ARGENT QUI PARLE!». ECONOMIE DELLA SALUTE MENTALE 333
più diffuse nelle aree rurali – aveva talvolta destato in lui la preoccupazione
che qualcuno potesse esserne invidioso: «quello di cui ho avuto paura è che
qualcuno potesse maledirmi e causare la mia morte. In quel tipo di maledi-
zione ci credo, sì ci credo».55
Gli infermieri, dunque, pur convinti – almeno nella maggior parte dei
casi – delle cause ‘non spirituali’ della ‘malattia mentale’, non intendono far-
si portatori presso i propri pazienti e i loro familiari di una visione alterna-
tiva del mondo in cui gli spiriti, il Diavolo e Dio non esistono; e, in effetti, il
loro stesso posizionamento spirituale e religioso non glielo permetterebbe.
Quello che essi propongono attraverso i farmaci è essenzialmente «a way to
manage the illness», un modo per ‘gestire’ la quotidianità della ‘malattia’ e
in particolare i momenti di irrequietezza e ‘aggressività’ che caratterizzano
l’esperienza della ‘malattia mentale’, al di là delle convinzioni sulle sue cause.
In occasione dell’outreach descritto sopra sembra oltretutto stabilirsi una re-
lazione, o meglio emergere con più evidenza l’articolarsi di economie della
salute diverse e a loro volta sfaccettate, come si vedrà meglio nel prossimo
paragrafo.
Comprare, vendere e donare farmaci nei prayer camp: esclusione, relazioni e ‘si-
tuazioni critiche’
55 Ibid.
56 Ibid. Lett. «io non prendo niente da loro», traduzione dell’autrice.
57 E. Krah, ‘Money Spoils the Medicine’, cit., p. 65, traduzione e corsivo dell’autrice.
334 CECILIA DRAICCHIO
a comprarli noi li diamo [gratis] ai pazienti e poi… immagino che tu abbia notato
la situazione critica di prima.59
59 Intervista di gruppo con infermieri del reparto, 10 luglio 2017, traduzione dell’autrice.
60 La sigla sta per Community-based Health Planning and Service, l’omonimo programma
nazionale di decentramento approvato nel 2005 che ha previsto l’istituzione di piccole cliniche
direttamente dipendenti dai distretti sanitari locali nei villaggi più distanti dagli ospedali (si
veda E. Vasconi, Decentramento Sanitario e Medicina Tradizionale Nel Ghana Contemporaneo. Un
Sistema Esclusivo o Inclusivo?, «L’Uomo. Società Tradizione Sviluppo», 1-2, 2011, pp. 331-357).
61 Conversazione con Ernest E., 5 marzo 2020, traduzione dell’autrice.
62 Per i fini di questo articolo, mi concentro su questi aspetti, ma la vicenda è molto più
complessa e meriterebbe una trattazione a sé, poiché chiama in causa altri temi fondamentali
come il ruolo dei familiari nei percorsi terapeutici delle persone affette da sofferenza mentale,
il diritto all’autodeterminazione, la coercizione e i dilemmi etici posti da tali questioni nella
pratica della psichiatria di comunità.
336 CECILIA DRAICCHIO
63 Cfr. V.A. Zelizer, Vite economiche: valore di mercato e valore della persona, Bologna, il Mu-
lino, 2009; J. Biehl, Care and Disregard, in D. Fassin (ed.), A Companion to Moral Anthropology,
Malden, Wiley-Blackwell, 2012, pp. 242-263.
64 K. Kilroy-Marac, Of Shifting Economies and Making Ends Meet: The Changing Role of the
Accompagnant at the Fann Psychiatric Clinic in Dakar, Senegal, «Culture, Medicine, and Psychia-
try», 38, 2014, 3, pp. 427-447; cfr. anche Id., An Impossible Inheritance: Postcolonial Psychiatry and
the Work of Memory in a West African Clinic, Oakland, University of California Press, 2019.
65 K. Kilroy-Marac, Of Shifting Economies and Making Ends Meet, cit., p. 441, traduzione
dell’autrice.
66 Ivi, pp. 429-430, traduzione dell’autrice.
«C’EST L’ARGENT QUI PARLE!». ECONOMIE DELLA SALUTE MENTALE 337
Conclusione
Riassunto – Summary
In copertina: Il mago Mallam Obuafour impegnato a mostrare i suoi poteri spirtuali. Foto di
Angelantonio Grossi. Progetto grafico di Sabrina Guzzoletti.
Io, gli altri, il mondo.
Incontri, empatia e relazioni
in un manicomio criminale
L Q
Università di Pisa
Riassunto
Gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG) sono stati indubbiamente mondi sociali at-
traversati da sofferenza e silenzio. Sarebbe però affrettato immaginare questa come l’intera
cifra di quei luoghi. Essi, infatti, sono micro-cosmi sociali costruiti pazientemente da tutti
i soggetti che li abitano e che si muovono lungo molteplici (e spesso impensabili) direttrici.
Vorrei porre l’accento, allora, su una dimensione istituzionale non sempre valorizzata,
ovvero quella dell’incontro tra soggetti che, nell’articolazione pratica della loro quotidia-
nità, trasfigurano l’OPG, attraverso varie modalità relazionali, rendendolo uno spazio
esistenziale originale e plastico, anche quando sofferto. Ciò che mi interessa mostrare è che i
momenti apparentemente più insignificanti – piccoli incontri informali, interazioni quo-
tidiane, pratiche ordinarie di vita – sono strutturati dal costante esercizio etico dei soggetti
che su quel palcoscenico interrogano sé stessi e i propri Altri, mettendo a tema la propria
esistenza in quanto soggetti storici e “costruendo” i propri orizzonti morali e la propria pre-
senza. Come si vedrà, ciò che resta dell’istituzione è un fascio (o una molteplicità di fasci)
di relazioni che non hanno direzioni prestabilite e che sono funzione delle scelte valoriali e
della produzione di codici morali locali mai dati a priori ma edificati attraverso la pratica
comunitaria e intersoggettiva.
Parole chiave: ospedale psichiatrico giudiziario, gioco morale, empatia, incontro, isti-
tuzioni.
71
L Q
in this way. They are microcosmos, patiently built from all the subjects who inhabit them
and move along a multiplicity of (inconceivable) directions. I want to focus my attention
on a different nuance of relations: the encounter with the Other as a practical articulation
of own everyday life that transfigures the whole OPG through different ways of relationship.
The OPG becomes an original and plastic space, even if suffered. The moments apparently
insignificants – little informal encounters, everyday interactions, ordinary life’s practices –
are structured by a permanent subjects’ ethical practices questioning about themselves and
the Others, concentrating on their own historical existence and “building” their own moral
horizons and presence. What the institution is going to become is a beam (or a multiplicity
of beams) of relations, that have not fixed directions. These relations are function of value
choices and of the production of no apriori local moral codes, constructed by a common and
intersubjective practice.
Key words: high security hospital, moral game, empathy, encounter, institutions.
Premessa metodologica
Questo lavoro intende riflettere su alcuni tra gli aspetti relazionali – pri-
mo tra tutti, l’empatia – che costruiscono e plasmano lo spazio della sog-
gettività all’interno di un microcosmo istituzionale. Il microcosmo preso
in esame è un ospedale psichiatrico giudiziario (OPG), all’interno del
quale ho svolto una indagine etnografica durante il periodo del dotto-
rato di ricerca1. Da un punto di vista cronologico, la ricerca è durata da
settembre 2015 a dicembre 2016, mesi nei quali, potendo recarmi nella
struttura dal lunedì al sabato, ho trascorso all’interno dell’OPG circa ses-
santa ore settimanali. Quando sono entrato per la prima volta in OPG,
nella struttura c’erano circa 70 internati – termine con cui si definiscono
i soggetti ivi reclusi –, i cui reati coprivano una vasta gamma del codice
1
Per il sensato rispetto della riservatezza delle persone di cui si parla in questo lavoro,
tutti i nomi di luoghi o di persone sono opera della fantasia di chi scrive.
72
Io, gli altri, il mondo. Incontri, empatia e relazioni in un manicomio criminale
73
L Q
2
Molta parte dei dati etnografici è quindi da trattare, per ovvie ragioni, con riservatezza
e rispetto.
3
Per una descrizione più approfondita della metodologia usata e del tentativo di
produrre un regime di prossimità con i soggetti operanti nell’OPG, si veda Quarta
(2019: 137-195).
4
La descrizione più compiuta di questa realtà, nel segno dell’astuzia istituzionale e
74
Io, gli altri, il mondo. Incontri, empatia e relazioni in un manicomio criminale
della capacità pervasiva del potere coercitivo, è sicuramente quella fornita da Goffman
(1968).
5
Sui vari ordini di complessità nell’affrontare i mondi istituzionali, cfr. Fassin 2014.
6
Sull’etica come modalità pratica di stabilire un rapporto dialettico con la morale si
veda Faubion (2011) e Zigon (2011). Più in generale, la riflessione antropologica in
questione è fortemente debitrice della riflessione filosofica di Michel Foucault (2001;
2009; 2015).
75
L Q
soggetto non vada ascritta all’ordine della scelta individuale – essa non è
mai intellettualizzata. I soggetti non sono “empatici” perché vogliono es-
serlo. Lo sono perché, in modo irriflesso, strutturano le relazioni facendo
dell’incontro una possibilità etica7.
Affrontare il tema del rapporto fondativo con l’alterità, anche e soprat-
tutto in un OPG, implica, tuttavia, una caratterizzazione chiara dello spazio
di cui si discute: il “gioco morale” che è alla base della produzione di legami
affettivi non intende essere il principio di assoluzione di una istituzione
giustamente criticata per la sua storia inquietante, torbida e complessa8 né
vuole avanzare una descrizione irenica di uno spazio attraversato da pro-
fonde tensioni e contraddizioni. Perché, a voler essere sintetici, questo sono
stati gli OPG9: dei campi di battaglia, degli spazi di discorsi e pratiche con-
7
Negli ultimi quindici anni, gli antropologi si sono sempre più occupati del tema
dell’empatia in relazione all’analisi qualitativa dei mondi sociali, producendo teorie e
rappresentazioni molto articolate (Hollan 2008; Hollan, Throop 2008; Throop 2008,
2010). Come dimostrano i testi recenti di Bubandt e Willerslev (2015) e di Throop e
Zahavi (2020), legati l’uno all’altro da un confronto polemico, nella comunità non c’è
ancora un consenso ampio su cosa intendere per empatia e come lavorare su questa
dimensione relazionale. È per questo motivo che, pur appoggiandomi alla letteratura
indicata, preferisco ridefinire questo campo in termini, da una parte, demartiniani
(essere nel mondo ed esserci) e, dall’altra, bourdieusiani (articolazione pratica).
Questo per sottolineare quanto il tema dell’empatia abbia a che vedere sia con il
garantire la presenza del soggetto coinvolto sia con il rapporto pratico – e, appunto,
non intellettualizzato – che esso stabilisce con gli altri. È un tentativo di superare gli
approcci psicologici in direzione di un’analisi fenomenologica ed esistenziale dei modi
di relazione tra soggetti nel momento stesso dell’incontro, poiché l’empatia “può andare
oltre il coinvolgimento con le emozioni altrui includendo l’intera soggettività” (Kirmayer
2008: 461; cfr. Maibom 2020). Da una parte, quindi, il rapporto tra codici morali
e pratiche etiche; dall’altra, l’empatia diventa una significativa possibilità pratica di
costruire l’esperienza della soggettività propria e aliena, declinando in concrete modalità
sociali questa dialettica tra codice e pratiche: l’empatia è quindi una delle possibilità
in cui vediamo concretizzarsi attivamente il gioco morale che attraversa l’istituzione e
l’emergere di specifiche soggettività etiche. Per una recente rassegna critica di autori e
temi dell’antropologia etica e dell’antropologia della morale, cfr. Urbano 2020.
8
Per una storia degli OPG, cfr. Valcarenghi 1975; Manacorda 1982; Fornari 2005;
Dell’Aquila 2009; Catalfamo 2010; Corleone, Pugiotto 2013; Ferraro 2015; Miravalle
2015.
9
Il tempo della scrittura prescelta è sempre un tempo declinato al passato. Gli OPG,
infatti, dopo centocinquant’anni di storia, per l’applicazione della legge 81/2014, sono
stati definitivamente chiusi e superati da nuove istituzioni regionali, le Residenze per
l’Esecuzione della Misura di Sicurezza Detentiva (REMS-D). La transizione assume
grande interesse per lo studioso di scienze sociali poiché sancisce un passaggio di
paradigma, ancora tutto da approfondire. Se la ratio degli OPG era combinare due
76
Io, gli altri, il mondo. Incontri, empatia e relazioni in un manicomio criminale
istanze socialmente rilevanti, quella della sicurezza sociale e quella della cura della
sofferenza – ordine disciplinare e ordine terapeutico –, il passaggio alle nuove strutture
segna l’emersione di una spiccata sensibilità a istituire come dirimente l’ordine
terapeutico. Nelle REMS, infatti, è assente il corpo di controllo, la polizia penitenziaria,
lasciando alla dimensione sanitaria e riabilitativa l’intera gestione dell’istituzione e dei
percorsi individuali di chi in essa è internato. Tuttavia, è da notare, anche se solamente
come suggestione e in via provvisoria, che la modifica istituzionale non ha comportato
un intervento sul codice penale, lasciando invariati i dispositivi giuridici che normano
lo status dell’internato.
10
Per l’OPG come “campo di battaglia”, cfr. Quarta (2019).
11
Con “ergastolo bianco” si intende la continuatività di una pena, attraverso meccanismi
giuridici quali la misura di sicurezza e la proroga (v. nota 14), fino a coprire la durata
di un’intera vita. Il termine “bianco” sta a indicare la differenza tra la pena realmente
emanata in fase di processo penale – ad esempio, il massimo della misura di sicurezza
applicabile, cioè dieci anni – e la reale attuazione della stessa che, appunto, si tramuta
in un ergastolo.
12
Sebbene non appartenga alla specifica letteratura antropologica, credo che il riferimento
più puntuale al concetto di “zona grigia” si trovi nell’acuta e dolorosa descrizione che ne
offre Primo Levi nell’omonimo capitolo in I sommersi e i salvati (1986).
13
Utilizzo “normale” secondo un’accezione di senso comune. Intendo cioè una modalità
di relazionarsi che appartiene alla realtà del quotidiano, “naturalizzata” – in senso
bourdieusiano – secondo i codici comuni della vita sociale e contaminata il meno
possibile da forme di relazione strutturate secondo la norma vigente all’interno di
istituti di pena.
14
Non è questa la sede per entrare in modo più specifico nei meccanismi giuridici
77
L Q
che conducono una persona all’interno di un OPG. Per agevolare il lettore nella
comprensione, basti dire che, qualora sottoposti a una misura di sicurezza, a causa
di una perizia psichiatrica che ha convenuto sulla “pericolosità sociale” del soggetto,
al termine della durata della misura stessa il soggetto viene nuovamente valutato da
un’équipe di psichiatri. Qualora questi riscontrassero il perdurare della pericolosità
sociale, la misura viene prolungata ulteriormente. Questo meccanismo si chiama,
appunto, “proroga”.
15
Sulla noia come dimensione costante dell’esperienza di vita di alcune componenti delle
forze di polizia si può far riferimento ai lavori di Fassin (2011, 2014).
16
Sulla rappresentazione della realtà afflittiva degli OPG, si vedano il già citato Roba da
matti (Miravalle 2015) e il testo prodotto dalla commissione parlamentare d’inchiesta,
presieduta nel 2011 dal senatore Ignazio Marino. Per un approccio critico a queste
istituzioni si veda Colucci (2016).
78
Io, gli altri, il mondo. Incontri, empatia e relazioni in un manicomio criminale
Martedì, nel lugubre viaggio tra i relitti murari del Federiciano, ho visto la vita
abbandonata che resiste nel dominio del sesso. Non saprei dire se si trattasse di
erotismo o pornografia.
Quasi tutte le celle del secondo piano erano arredate da foto di donne, foto di
donne semi-nude, foto di donne vestite. Qualche “inquilino” coatto più capa-
ce di raffigurare il desiderio con una matita, o, ancora più semplicemente, più
caparbio degli altri, ha disegnato volti di donna, corpi di donna sulle pareti.
Altri ancora sono evasi da sé stessi e dai muri malinconici attraverso tramonti
cristallizzati. Il rifiuto della carcerazione cede al disagio della sopravvivenza: nei
limiti del possibile, c’è esigenza di domesticità18.
17
La citazione fa riferimento a un testo, molto più lungo e articolato, scritto dagli
internati per accompagnare una mostra fotografica che fu presentata in OPG durante
aprile 2016. Cfr. Quarta (2019: 165-176).
18
Dal diario di campo, 15/05/2016.
79
L Q
Un album di famiglia
Primi marcatori significativi della capacità di plasmazione dei codici mo-
rali, attraverso la dimensione emotiva, si possono intravedere nei ponti
affettivi, negli incontri che alla loro base pongono l’umana condivisione di
emozioni, di sentimenti – positivi o negativi che siano.
Un martedì di fine aprile. Tre fotografie. Sempre lo stesso protagonista.
Era una delle prime belle giornate di sole di quella primavera. Al centro
dell’OPG si imponeva un grande spazio verde, ormai perlopiù incurato.
C’era un campo da calcio in cui crescevano piante selvatiche che rende-
vano complicato il gioco del pallone; e tutto intorno una fitta sterpaglia
cresceva lussureggiante.
Quel martedì, essendo una giornata incredibilmente mite l’assistente
capo Lorenzo Novembre, che sovraintendeva a molte attività svolte dagli
internati, soprattutto quando coinvolgevano l’impegno di volontari, pro-
pose a un fotografo – che ogni settimana teneva un corso di fotografia – di
portare nello spazio aperto l’attivo gruppetto di ragazzi che partecipavano
all’attività. L’entusiasmo di tutti era palpabile.
Gli internati amavano molto questo corso perché, in una insondabile
cessione di fiducia, il fotografo portava in OPG i suoi costosi apparecchi
fotografici, li consegnava nelle mani dei partecipanti e si dava pena solo di
19
Per una lucida e profonda trattazione dei temi affrontati da Michel de Certeau, anche
in rapporto al tema dell’incontro, cfr. Sobrero 2018, 2019.
80
Io, gli altri, il mondo. Incontri, empatia e relazioni in un manicomio criminale
20
Per il già citato diritto alla riservatezza dei soggetti coinvolti – il loro diritto a non
essere offesi o disturbati da queste parole – mi è impossibile condividere il materiale
fotografico cui faccio riferimento.
21
Alessandro era uno dei pochi internati a non vivere in un contesto puramente
ospedaliero – cioè, a non condividere il reparto con altri internati. La sua cella era in
un piccolo reparto al pianterreno dove erano stati alloggiati i sette detenuti comuni
lavoranti. Convivere con queste persone voleva dire – cosa nota ai suoi terapeuti –
81
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Io, gli altri, il mondo. Incontri, empatia e relazioni in un manicomio criminale
83
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22
Dal diario di campo, 10/02/2016.
23
Cfr. Quarta (2019: 181-185; 262-274).
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24
Su questo aspetto si vedano le pagine di Pierre Bourdieu sulla conoscenza attraverso il
corpo; cfr. Bourdieu 2003: 203-210.
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Io, gli altri, il mondo. Incontri, empatia e relazioni in un manicomio criminale
Come gli stessi internati che avevano scritto questo frammento erano in
grado di notare – con anche una sottile critica a chi guarda i mondi sociali
dall’esterno, senza averli attraversati, producendo rappresentazioni man-
canti e giudicanti – esistevano in OPG delle dimensioni relazionali che non
potevano essere ridotte né alla sopraffazione e alla violenza né alla custodia
e alla cura. Erano relazioni appartenenti alla fisiologia della vita sociale,
capaci di mettere in immediata connessione quei caleidoscopi di vissuti cui
accennavo sopra. Esistevano delle distanze incommensurabili nelle storie
e nelle provenienze dei singoli individui, ognuno con i propri simboli di
identificazione: la divisa, il camice, le dita bruciate dalle sigarette, l’occhio
acquoso figlio di psicofarmaci. Tuttavia, nella comune quotidianità si met-
tevano in atto delle forme pratiche di ricostruzione degli spazi relazionali,
senza intenzionalità specifica o premeditazione. Un semplice frutto della
condivisione e sovrapposizione di frammenti di esistenza che entravano in
reciproca risonanza, in risonanza empatica, permettendo a tutti di collocarsi
socialmente all’interno di un tragitto specifico. Di definirsi, cioè, di volta in
25
Per la provenienza del testo, si veda la nota 17.
87
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26
L’articolo 148 del codice penale disponeva che la pena detentiva potesse essere differita
o sospesa, con immediato spostamento del detenuto in un ospedale psichiatrico
giudiziario o in una casa di cura e custodia, nel caso di una sopravvenuta infermità
mentale tale da rendere impossibile l’esecuzione di una pena restrittiva della libertà
personale. Con la chiusura degli OPG sono state istituite delle sezioni psichiatriche
speciali all’interno degli stessi penitenziari per l’applicazione del suddetto articolo. Era
uso comune, in OPG, differenziare gli internati, coloro cioè che erano stati prosciolti in
fase processuale, da quelli che venivano comunemente chiamati “i 148”, che, appunto,
rispondevano alla casistica appena delineata.
88
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89
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la maggior parte dei farmaci non faceva effetto su quel ragazzo così ag-
gressivo e irascibile; e, d’altro canto, la privazione dei suoi effetti perso-
nali e la sorveglianza speciale, sebbene scongiurassero eventuali rischi di
azioni suicidarie, non facevano altro che aumentare la rabbia del ragazzo,
così come i suoi gesti inconsulti. Il punto, per la dottoressa, era elemen-
tare: con Daniele bisognava parlare, pur sapendo che sulla lunga distanza
non ci sarebbe stata alcuna possibilità di fargli acquisire alcuna forma
di resipiscenza né, cosa ancora più ardua, di consapevolezza complessa
di sé e degli altri. Ne discusse lungamente con il collega, che si trovava
completamente d’accordo.
Nel frattempo, fuori dallo studio medico, andava in scena un copione
completamente differente. L’agente che aveva provveduto all’isolamento di
Daniele parlava con un’operatrice socio-sanitaria (OSS). Anche questi si
trovavano d’accordo ma su punti fondamentalmente dissimili da quelli dei
medici: la OSS sosteneva che Daniele sarebbe dovuto essere chiuso in iso-
lamento, gettando via la chiave. L’agente annuiva con un sorriso, aggiun-
gendo che fosse stato per lui avrebbe fatto anche di peggio, continuando a
definire il ragazzo con epiteti poco lusinghieri.
Intorno a questo internato “problematico” si strutturavano due discorsi
diversi, entrambi distanti dai lessici che ci si aspetterebbe debbano definire
il perimetro relazionale all’interno di un OPG: i medici non parlavano fa-
cendo riferimento al campo semantico della terapia così come l’agente e la
OSS non affrontavano la situazione secondo una logica prettamente custo-
diale. Ciò che veniva mobilitato era un lessico che faceva più propriamente
riferimento alla relazione umana dequalificata da ogni specificità di campo:
non la terapia né il lessico penitenziario ma una manifestazione puramente
affettiva che, nel caso dei medici, faceva appello a concetti come l’umana
comprensione, la pazienza, il dialogo e, nel caso dell’agente e della OSS, si
rivolgeva alle tonalità dell’odio, dell’insofferenza, del disprezzo.
Alla fine, la dottoressa Paneco decise di chiedere all’agente di servi-
zio di lasciar uscire dalla cella il giovane internato, ottenendo un secco
rifiuto. La situazione si modificò nel pomeriggio, con il cambio turno e
l’arrivo del Comandante della polizia penitenziaria. Chiara Paneco fu al-
lora messa in condizione di iniziare un’interlocuzione che, appunto, non
aveva a che vedere né con la psicoterapia né con la psicofarmacologia
ma, semplicemente, con l’incontro umano tra due soggetti di cui uno è
profondamente consapevole della storia dell’altro, delle sue vicissitudini,
del suo stato attuale e si rivolge all’altro utilizzando uno strumento non
90
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91
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27
Sul rapporto tra percezioni corporee soggettive del ricercatore e spazio sociale della
ricerca ha scritto pagine molto significative Michael Taussig (2004).
92
Io, gli altri, il mondo. Incontri, empatia e relazioni in un manicomio criminale
28
Credo sia importante notare, anche per comprendere quali importanti mutamenti
abbia comportato la riforma istituzionale degli OPG, che, dopo un lungo percorso
psicoterapeutico, una volta uscito dall’OPG ed entrato in REMS, Tancredi ha chiesto
e ottenuto di poter incontrare suo figlio con cadenza regolare.
93
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Conclusioni
Questi piccoli eventi costituiscono un materiale relativamente ridotto per
poter procedere a grandi generalizzazioni sul senso, le strutture e le funzio-
ni di certe istituzioni della contemporaneità. In essi, tuttavia, si possono
intravedere elementi utili ad ampliare l’orizzonte entro il quale riconcet-
tualizziamo il ruolo e le pratiche dei soggetti all’interno del dedalo istitu-
zionale che questi vivono nella loro quotidianità. In altre parole, ci aiutano
a ripensare il modo in cui i soggetti, ogni giorno, producono e riproduco-
no codici morali locali attraverso un esercizio etico e intersoggettivo.
Ciò che emerge è la rilevanza della dimensione relazionale nella pro-
duzione di spazi di agentività nel perimetro di un’istituzione la cui finalità
resta sempre quella detentiva e terapeutica. L’incontro, come pratica quo-
tidiana, è una delle dimensioni relazionali che è disperatamente cercata
da tutti i soggetti che popolano l’OPG. La posta in gioco di questo in-
contro è, più precisamente, l’empatia. Incontro, empatia e presenza sono
intimamente legati l’uno all’altro ed essi sono, nella pratica, alcune delle
dimensioni umane e intersoggettive che permettono ai singoli abitanti di
un’istituzione – ma, più in generale, ai singoli appartenenti a una comuni-
tà – di agire attivamente su sé stessi e sul mondo che li circonda. L’incon-
tro permette ai singoli soggetti di stabilire un rapporto dialettico, fatto di
96
Io, gli altri, il mondo. Incontri, empatia e relazioni in un manicomio criminale
97
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coinvolgono il Sé, l’altro e il mondo. Questa vita, tuttavia, non può essere
colta in una prospettiva puramente cognitiva – il soggetto “non sceglie”
la propria presenza con un atto volontaristico né con un puro moto di
intellettualizzazione del mondo; non siamo nel campo liberale della scelta
individuale – ma deve essere ripensata nell’ordine delle pratiche che fanno
del soggetto un Io per Sé e un Tu per l’Altro. Comprendere questo tipo di
esserci – ragionare cioè sull’incontro e l’empatia – vuol dire ragionare in
termini di relazioni affettive, emotive, cognitive e, certamente, politiche.
Vuol dire, cioè, comprendere che le persone “fanno” la propria empatia,
“fanno” la propria presenza.
L’empatia, tuttavia, non è una condizione permanente delle relazio-
ni. Come ben sottolinea Throop, nella dimensione dell’incontro esistono
momenti in cui la risonanza empatica diviene impossibile – in cui, cioè, la
differenza, la distanza, il limite, la frontiera prendono il sopravvento e cir-
coscrivono un nuovo contesto di scambio. Essa però resta linfa vitale, so-
prattutto in un ambiente così strutturalmente deprivativo come un istituto
pensato per la custodia di persone sofferenti; linfa vitale per poter produrre
forme di presenza salda che, come nel caso del “bagno”, danno l’avvio a
riscritture delle frontiere simboliche e spaziali o, come nel caso delle foto,
“inventano” nuove forme di umanità in comune.
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