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La vita a scuola - Silvia

Kanizsa e Francesca Linda


Zaninelli
Pedagogia Generale
Università degli Studi di Milano-Bicocca
41 pag.

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Silvia Kanizsa e Francesca Linda Zaninelli

LA VITA A SCUOLA
Prefazione
La scuola dovrebbe assicurare la libertà necessaria per l’espressione delle differenze.
La scuola potrebbe essere definita come lo spazio dedicato alla formazione, in cui è presente un
insegnante, intorno al quale ci sono dei bambini e deve aiutarli ad apprendere ma non è solo
questo.

Sembrano tutti convinti che i docenti siano liberi nelle scelte contenutistiche e didattiche. Se i
risultati sono buoni o meno soddisfacenti viene tutto addebitato al singolo insegnante o al singolo
alunno senza considerare il sistema complesso in cui sono inseriti e la reciprocità che li unisce.

La scuola quindi è un’istituzione, un luogo sociale e culturale che van ben oltre il rapporto
insegnante-alunno ed insegnante-classe. Il suo compito va al di là della trasmissione di contenuti,
ad essi, infatti, si intrecciano componenti relazionali, sociali e culturali. Inoltre, opera su vari livelli:
organizzativo, pedagogico, gestionale e normativo tra loro interconnessi e interdipendenti. Agli
insegnanti viene dato anche il compito di dotare i giovani cittadini di strumenti per agire nella
società del futuro in modo da migliorarne gli aspetti.

È necessario che tutti gli insegnanti siano in grado di intrattenere rapporti positivi, non sono con i
piccoli, ma anche con gli adulti e che siano in grado di superare le discussioni e difficoltà. Essi non
lavorano mai da soli ma sono sempre inseriti in un team docente. Inoltre, bisogna considerare che
anche i genitori partecipano alla vita della scuola.

La scuola è composta di diversi fattori: personalità, caratteri, idee, storie, esperienze precedenti.
C’è quindi eterogeneità, come un insieme di fili diversi che la compongono ed è un intreccio
potenzialmente ricco in grado di creare occasioni.

La scuola è parte integrante della società e della comunità. È un contesto sistemico che
comprende tutte le connessioni di cui si compone l’esperienza dei bambini e dei ragazzi in un
contesto in continuo mutamento, nonostante i cambiamenti deve essere inclusiva.

Il bambino dovrebbe essere al centro del processo educativo, gli insegnanti vengono sollecitati a
personalizzare e individualizzare il lavoro, cosa non semplice da fare, in quanto, all’interno di un
gruppo classe i bambini possono essere omogenei solo come età per il resto sono eterogenei. Gli

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insegnanti dovranno ascoltarli e sfruttare al meglio le possibilità offerte. Più il clima sarà disteso e
accogliente meno i bambini avranno difficoltà nel seguire il percorso scolastico. La valutazione
scolastica positiva o negativa interviene sull’immagine del sé del bambino, sul suo futuro percorso
scolastico e sul suo inserimento lavorativo.

Secondo l’ultima legge di riforma la scuola: “è una scuola aperta, quale laboratorio permanente di
ricerca, di sperimentazione e innovazione didattica, di partecipazione e di educazione alla
cittadinanza attiva, per garantire il diritto allo studio, le pari opportunità di successo formativo e di
istruzione permanente dei cittadini.”

CAPITOLO 1 – LA SCUOLA COME CONTESTO


SOCIOCULTURALE DI APPRENDIMENTO-

PREMESSA

La scuola è un’istituzione1formativa pubblica, deputata alla trasmissione culturale e


all’introduzione ai valori sociali etici, connotata da un alto livello di complessità organizzativa e
relazionale, in cui sono rilevabili differenti processi formali e informali, espliciti ed impliciti, in cui si
assiste quotidianamente a una fitta trama di interazioni tra soggetti diversi.

Come ogni istituzione la scuola ha alle sue spalle una storia politica sociale, ed è profondamente
immersa nei cambiamenti e nelle continuità della comunità di cui è espressione e che contribuisce
a cambiare. La scuola è in costante e continuo cambiamento.

La scuola è ambiente di socialità, luogo di pari opportunità e di giustizia sociale in cui bambini e
bambine costruiscono la propria identità. Importante è il legame tra scuola e cultura di cui è
espressione.

LA SCUOLA COME CONTESTO SOCIOCULTURALE

Le scuole sono contesti che riflettono nel profondo la cultura e la vita della comunità di cui sono
espressione, risentono quindi della situazione socioculturale determinata dalla posizione
geografica sul territorio e dalle riforme e norme istituzionali che le regolamentano insieme alle
politiche scolastiche. La scuola allo stesso tempo è espressione della comunità in cui risiede ed è
anche motore di cambiamento della stessa comunità. Infatti, la scuola trasmette, costruisce e
genera cultura.
1
Apparato o gruppo organizzato preposto allo svolgimento di funzioni e compiti di pubblico interesse che segue delle
regole determinate e procedure prefissate.

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Joseph Tobin ha svolto ricerche in ambito etnografico ed egli ha espresso l’intreccio tra tre aspetti
che determinano il tratto locale di ciascuna delle istituzioni educative:

 Mondo delle istituzioni educative,


 Momento storico
 Struttura culturale di una collettività.

Sempre Tobin ha analizzato delle strutture prescolastiche in Cina, Giappone e Stati Uniti, dopo 20
anni è tornato in quelle strutture per svolgere ulteriori indagini. Egli ha appreso che i contesti e
dunque le culture che rappresentano si modificano e si sviluppano con il passare del tempo.

La scuola è una comunità di pratiche dotata di significati condivisi da tutti coloro che si trovano
quotidianamente a frequentarla. Gli aspetti organizzativi, i valori, le rappresentazioni, espressione
della cultura di riferimento, hanno notevoli conseguenze sui processi di apprendimento.

La complessità della scuola è data dalla compresenza e dall’intreccio di più componenti, funzioni e
dimensioni. Tutti gli aspetti da quelli organizzativi a quelli pedagogici sono interdipendenti.

Quindi la scuola è un contesto determinato dall’insieme di norme, valori, ideologie, visioni


individuali, sociali e istituzionali che determinerà il modo in cui quella particolare attività sarà
svolta tenendo in debito conto sia la dimensione temporale che quella spaziale del contesto.

Nelle scuole si fanno esperienze di vita, si cresce, ci si relaziona, si trasmette e si produce cultura,
in cui circolano conoscenze, in cui si apprende e il tutto in modi e forme differenti a seconda dei
metodi, delle prospettive e delle aspettative, idee e rappresentazioni di quanti ne hanno la
responsabilità educativa, di quanti, insegnanti ed educatori sono chiamati a svolgere il proprio
ruolo formativo con alunni e bambini.

Con il passare del tempo e degli eventi che riguardano ogni singola collettività, mutano i valori
generazionali, si palesano nuove sfide e di conseguenza mutano, facendosi via via più complessi, i
compiti che la collettività attribuisce alla scuola e all’educazione.

Bruner afferma che nella scuola avviene un processo di significazione del mondo, ovvero,
quest’ultima è istituzionalmente incaricata di trasmettere concetti e strumenti per la costruzione
ed elaborazione della conoscenza e di equipaggiare i giovani con competenze tali da poter
attivamente dare senso e forma al mondo ed evolvere un senso sempre più sofisticato del sé.
Strumenti, tecnologie e libri sono amplificatori di potenzialità e capacità degli alunni e dei bambini.

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Teoria dell’attività (Activity Theory) di Cole e Wertsch affermano che l’azione in contesti
significativi di sviluppo è l’espressione primaria di una comunità costruita da individui e gruppi che
condividono una storia di interazioni tra loro e sono, dunque, socialmente legati, che coproducono
ripetutamente pratiche concrete nei contesti della vita quotidiana e che scambiano in maniera
intersoggettiva parole e discorsi utili per fornire ai membri della comunità gli elementi culturali di
interpretazione relativi a queste pratiche. Tutte le comunità scolastiche e educative rispondono a
pieno titolo a queste tre condizioni e possono pertanto essere considerate delle comunità di
pratiche sociali e culturali, collettivamente costruite e condivise.

Nella scuola convivono, alcune volte in contraddizione, elementi conservativi ed elementi di


innovatività.

La dimensione culturale dell’educazione

Howard Gardner afferma che la scuola è il tempo e lo spazio educativo in cui si assiste ai processi
che riguardano le quattro componenti dell’educazione:

 Trasmissione dei ruoli


 Perpetuazione dei valori culturali
 Alfabetizzazione
 Comunicazione dei contenuti disciplinari e di modalità di pensiero

Bruner parla di “coppie di verità”, ovvero, da un lato la funzione dell’educazione è quella di


consentire alle persone di operare al meglio delle loro potenzialità e dall’altro ha la funzione di
riprodurre la cultura che le fa da supporto. Sempre secondo lo psicologo l’educazione cambia in
base alle generazioni, è un processo di continuità e cambiamento. L’educazione è una sfida molto
complessa, che va oltre la trasmissione delle conoscenze a livello intergenerazionale, si propone di
adattare la cultura alle esigenze dei suoi membri e di adattare i suoi membri e i loro modi di
conoscere alle esigenze della cultura.

Dewey afferma l’educazione è l’impresa di fornire le condizioni che assicurano la crescita o


l’adeguatezza alla vita, a prescindere dall’età.

La cultura ha in sé un ruolo formativo, è il fattore principale che dà forma alla mente di coloro che
ne sono partecipi: vi è un processo circolare e dinamico, secondo Bruner, tra la cultura data in un
contesto e il soggetto in sviluppo poiché la cultura non è qualcosa che influenza gli individui, ma

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sono piuttosto gli individui che contribuiscono a organizzare i processi culturali, e tali processi
concorrono a formare le persone.

Il continuo confronto con azioni condivise, con parole e altre mediazioni simboliche, con pratiche
socialmente definite, ricordi e sentimenti contribuisce ad equipaggiare l’individuo degli strumenti
per pensare. Secondo Perret Clermont ci sono quattro livelli di spazio del pensiero:

 Individuo con le sue predisposizioni cognitive ed emotive


 Le relazioni interpersonali
 Le appartenenze sociali, il gruppo sociale, culturale
 I sistemi simbolici, le rappresentazioni e i valori

L’apprendimento di sviluppa in un contesto che è luogo di incontro e delle interazioni sociali, dei
processi educativi e dei modelli e valori culturali, ci sono modi e forme con cui sostenere i bambini
e i ragazzi nel loro crescere e nei loro percorsi di apprendimento, nel loro conoscere e
comprendere il mondo che li circonda e diventare membri attivi.

LA SCUOLA COME CONTESTO DI APPRENDIMENTO

Secondo Rogoff ci si aspetta che un bambino apprenda a scuola tutte le abilitò considerate
fondamentali dalla comunità, ovvero, obiettivi locali dello sviluppo.

Francesca Emiliani afferma che le idee sono il contesto, l’ambiente in cui si sviluppa e apprende un
bambino, che le idee intese come contesto e ambiente diventano uno strumento per analizzare la
relazione fra individuo e ambiente.

Nelle scuole d’infanzia possiamo assistere a pratiche educative e didattiche caratterizzanti che
vengono quasi tramandate da insegnante a insegnante. Le insegnanti replicano formule routinarie
o di attività di apprendimento e alcune strategie pedagogiche ritenute collaudate. Secondo Anna
Bondioli il gruppo delle insegnanti utilizza le risorse disponibili per rendere l’ambiente di vita
infantile sereno, stimolante, efficace dal punto di vista educativo.

Per parlare di contesto di apprendimento bisogna tenere in considerazione i diversi fattori che
sono messi in campo nel progettare e dare forma a esperienze di apprendimento:

 Spazio nelle sue caratteristiche fisiche


 Tempo  come scansione della giornata
 Numero dei bambini e degli alunni

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 Età
 Livelli evolutivi
 Competenze

La scuola, quindi, oltre che essere caratterizzate dai fattori sopra indicati, si caratterizza anche
perché il bambino vive parallelamente altre esperienze che gli derivano da situazioni di
apprendimento dal mondo adulto. Apprendimenti che possono entrare in conflitto, anche perché i
bambini apprendono molto di più di quello che gli viene insegnato. Secondo Dewey l’esperienza
scolastica dei bambini dovrebbe mantenere un significato e un alto grado di continuità con la vita
del mondo adulto.

Apprendere a scuola

L’apprendimento a scuola è di tipo formale, è un’organizzazione finalizzata a promuovere


apprendimenti negli allievi grazie al fatto che adulti specializzati, gli insegnanti, svolgono
un’attività, definita insegnamento, che si traduce nella messa a punto di percorsi di efficace
incontro con aspetti rilevanti della nostra cultura.

Con apprendimento di intende il processo di acquisizione delle conoscenze a livello cognitivo,


comportamentale, emozionale e sociale tramite cui facciamo nostre conoscenze, informazioni,
nozioni e abilità così come atteggiamenti, comportamenti e abitudini. Si apprendono i valori della
nostra comunità, come esprimere e quale nome dare alle emozioni, si impara a comprendere i
nostri sentimenti, le regole sociali ecc.

I bambini sono apprendisti del pensiero, apprendono attraverso l’osservazione e la partecipazione


con i pari e i membri più esperti della loro comunità o gruppo sociale. Essi apprendono le abilità
necessarie per risolvere i problemi culturalmente definiti con gli strumenti disponibili e di lavorare
a partire da questi dati per costruire nuove soluzioni all’interno del contesto dell’attività
socioculturale. Si ha apprendimento quando si ha un cambiamento relativamente stabile del
comportamento di un soggetto di fronte a una specifica situazione sperimentata ripetutamente.
Inoltre, qualunque cambiamento relativamente stabile e permanente del comportamento è
attribuibile all’esperienza e l’apprendimento è sempre esperienziale. Di conseguenza il legame tra
apprendimenti e le esperienze è molto stretto, perché i primi sono i risultati di modificazioni del
comportamento che si danno attraverso le seconde; è il legame messo in evidenza da Dewey di
esperienza ad educazione. Secondo lo psicologo ogni esperienza fatta e subita modifica chi agisce
e subisce e al tempo stesso questa modificazione influenza la qualità delle esperienze seguenti, e

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dunque, ogni esperienza riceve qualcosa da quelle precedenti e modifica in qualche modo la
qualità di quelle che seguiranno.

Apprendere è un processo socioculturale: si apprende in un luogo e in un tempo e con gli altri.


Bruner afferma che l’apprendimento è un processo di conoscenza collaborativo che si svolge in
luoghi e tempi ricchi di rapporti sociali e interpersonali in cui si snodano esperienze che
consentono ai bambini di elaborare competenze via via più complesse.

L’apprendimento è acquisizione e sviluppo di conoscenze e di consapevolezze, secondo Bateson si


apprende ad apprendere, si diventa capaci di risolvere problemi in generale, acquisendo quella
classe di abitudini mentali astratte.

SCAFFOLDING (scaffalatura) è il processo attraverso al quale si offrono ai bambini quegli aiuti


necessari affinchè essi siano attivamente impegnati nel processo di costruzione delle proprie
conoscenze e apprendimenti, un processo in sé dinamico e dialettico, non unidirezionale. Ciò che è
detto e fatto da ciascuna persona nel corso di una interazione non prescinde mai da ciò che l’altra
fa o dice, è un’interazione socialmente costruita e individualmente trasformata. Lo scaffolding è un
processo essenziale dell’apprendimento, quest’ultimo non è più pensabile con una linea
individuale ma come una linea socioculturale.

L’apprendimento non può essere pensato in termini di accumulo della conoscenza. I bambini e gli
altri sono co-costruttori di un processo che, partendo da forme iniziali di sostegno che l’adulto
fornisce al bambino, arriva alla piena competenza del piccolo e alla sua partecipazione attiva alle
situazioni di apprendimento.

Le parti in causa della dinamica dell’apprendimento e di sviluppo sono: esperienze, soggetti,


contesti e contenuti.

L’apprendimento implica un atto di fiducia che consiste nel trovare il coraggio di affrontare ciò che
è ignoto e incerto, rappresenta una sfida, un’avventura.

I bambini si adattano al contesto e al pari lo creano e lo modificano, lo adattano a sé, e questo


avviene anche nel contesto scolastico.

Nel processo di apprendimento-insegnamento sono cruciali le idee e le rappresentazioni che gli


adulti hanno di come apprende un bambino, di come funziona la mente di un alunno, di che cosa è
l’apprendimento e di quanto ha appreso.

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Molinari metto in luce che gli insegnanti, ricercando una spiegazione delle differenze, alla
variabilità individuale che riscontrano tra quelli che possiamo definire bravi scolari e quelli
cosiddetti in difficoltà, fanno ricorso a credenze e concezioni dell’apprendimento innatiste o
costruttiviste. Nelle spiegazioni espresse si intravede la ricerca di una giustificazione del proprio
ruolo, i fattori che possono incidere non rientrerebbero nella sfera del loro potere.

La responsabilità educativa degli adulti risiede nel loro riflettere e interrogarsi circa le esperienze
educative che quotidianamente vengono offerte o non offerte ai bambini e agli scolari.
L’educatore- insegnante è chiamato a una responsabilità di ruolo che si esprime nel suo essere in
relazione con l’altro e gli altri nell’azione quotidiana.

Un gruppo si caratterizza per la condivisione di un obiettivo, un rapporto di interdipendenza tra i


soggetti che lo compongono, di qui discende la consapevolezza che il successo del singolo
individuo dipende strettamente dal successo collettivo. La cooperazione tra bambini e alunni non è
sempre valutata positivamente per il disturbo che secondo alcuni può arrecare al lavoro in classe.
Rispetto all’esperienza nella scuola primaria è emerso che sia il gruppo classe inteso come gruppo
di apprendimento sia il lavoro di gruppo come metodologia didattica ritenuta efficace per
garantire la costruzione della conoscenza non siano unanimemente stimati. Il lavoro in gruppo è
cruciale nel processo di apprendimento-insegnamento quanto il lavoro individuale.

Il senso profondo dell’esperienza formativa della vita a scuola è progettare contesti in cui sia
possibile integrare e mettere in comunicazione punti di vista diversi, pluralità di intelligenze e
motivazioni con una varietà di strumenti a disposizione.

CAPITOLO 2 – LA SCUOLA ITALIANA: NORME,


CONSUETUDINI E ATTUALITA’

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Premessa

La scuola contemporanea si presenta come un’organizzazione formale, un’istituzione pubblica


educativa che ha obiettivi formativi e democratici, che investono la società nel suo complesso,
un’architettura in cui si muovono figure professionalmente preparate che danno vita a contesti ad
alta densità relazionale, in cui si garantiscono la trasmissione culturale, la socializzazione e la
formazione individuale. L’idea è che la scuola sia l’istituzione per eccellenza, garantendo a tutte e
tutti di raggiungere pari opportunità e conoscenze utili per essere al passo con il proprio tempo,
per vivere nel sistema e lavorare a un suo cambiamento sempre più democratico. L'idea è che la
scuola esista e sia chiamata svolgere il proprio ruolo perché è importante che una certa
percentuale di giovani si impadronisca delle abilità necessarie e le trasmetta alle generazioni
successive.

Il sistema di educazione e di formazione si inserisce l’interno di un quadro istituzionale e di un


ordinamento ben definito che ne mette in luce i tratti fondativi e sostanziali a cui si aggiungono
leggi, decreti, riforme insieme a circolari e documenti orientativi e linee guida che ne definiscono
le caratteristiche pedagogiche, organizzative e gestionali. È un quadro normativo molto
complesso; è il frutto di una storia di politica nazionale e di scelte di politica scolastica. È un
sistema che vede diversi livelli istituzionali interagire in specifici ruoli e funzioni a loro volta in
cambiamento, che dialoga con il mondo della ricerca e che assume a riferimento raccomandazioni
nazionali ed europee.

Iniziare a frequentare la scuola vuol dire entrare in questo sistema e diventarne parte. Per tutti i
soggetti presenti nella scuola è fondamentale avere conoscenza di come il sistema di istruzione di
formazione italiano è strutturato per avere il quadro di insieme che consente poi di comprendere
come funzionano le singole realtà educative e da cosa dipende il loro funzionamento.

Istituzione scuola e le sue norme

Scuola paritaria: la gestione è affidata a soggetti diversi da quelli statali. I titoli di studio hanno lo
stesso valore legale dei titoli rilasciati dalle scuole statali.

Scuola privata: non possono rilasciare titoli di studio aventi certificazione legale, né attestati
intermedi o finali con valore di certificazione legale. Ciò significa che gli studenti delle scuole
private, per veder riconosciuti i loro titoli, devono sostenere un esame di idoneità.

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La scuola italiana, statale e paritaria, svolge l’insostituibile funzione pubblica assegnatale dalla
Costituzione della Repubblica, per la formazione di ogni persona e la crescita civile sociale del
paese e la svolge in collaborazione con la famiglia che ha il diritto-dovere di istruire i propri figli.

È un percorso di istruzione obbligatoria che dura 10 anni. Gli enti privati hanno il diritto di istituire
scuole e istituti d’educazione senza oneri per lo stato. Il battito sempre acceso e articolato sulla
scuola riguarda quanto e come lo stato sceglie di investire sulla scuola; ci sono problematiche su
singole questioni come compiti a casa durante le vacanze, la selezione dei docenti sempre meno
attenta a mettere in ruolo personale realmente qualificato e preparato per relazionarsi con
bambini, giovani ragazzi, la questione dell’ingiustizia o dell’eguaglianza che a scuola non c’è, Ci si
domanda se una scuola diversa, migliore, sia possibile.

Per Philippe Meirieu la scuola è chiamata a formare futuri cittadini capaci di costruire il bene
comune. La scuola non è e non può essere una macchina per insegnare e apprendere. La scuola è
un servizio pubblico e istituzione democratica a cui sono affidati compiti e funzioni crociali, per
comprendere i quali, è importante saper distinguere le tra le sue modalità di funzionamento e le
sue finalità. La classe così composta è uno degli aspetti che profilano il funzionamento della scuola
e rappresenta la traduzione organizzativa e pratica dei valori educativi. La scuola è un’istituzione
chiamata a operare sul lungo periodo e ha bisogno di finalità stabili e continuative, deve essere
fondata sull’uguaglianza di tutti, sull’accesso universale alle conoscenze.

Bisogna educare insegnare ai giovani in modo che possano prendere parte alla vita democratica.
La scuola è chiamata a costruire lo spazio comune in cui gli individui e i gruppi possano
riconoscersi come partner di un’avventura comune, deve permettere a ogni cittadino di
comprendere il mondo che lo circonda e di prendere parte alle discussioni che decideranno il suo
futuro. La scuola è un’istituzione che fa del futuro il suo principio. Per preparare il futuro essa si
attribuisce la missione di trasmettere passato. L’educazione è la preoccupazione della scuola, ha
bisogno di uno sguardo attento sia ai mutamenti in atto sia ai bisogni vecchi e nuovi di tutta la
società civile.

L’ordinamento scolastico di educazione e formazione pubblico è regolato, normato e informato da


leggi, decreti, circolari e linee guida. Esso dipende da diversi livelli istituzionali che ricoprono al
suo interno specifici ruoli interagenti:

 lo Stato: detta norme generali, obiettivi formativi, traguardi di apprendimento e i contenuti


di insegnamento.

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 Regioni e enti locali: provvedono all’organizzazione e alla gestione del sistema nei singoli
territori locali e regionali.

Con la riforma del Titolo V della Costituzione del 2001 Stato e Regioni concorrono nella definizione
delle funzioni che riguardano il sistema di educazione, di istruzione e anche di formazione a livello
professionale aprendo la strada l’autonomia scolastica. L’autonomia scolastica viene introdotta a
seguito della riforma Titolo V con la legge Bassanini. Questa legge riconosce le scuole come
soggetti pubblici distinti dallo Stato con la finalità di consentire maggiore flessibilità,
diversificazione, integrazione e un più efficace ed efficiente utilizzo delle risorse e strutture rispetto
al contesto territoriale. Consente anche l’autonomia didattica che persegue gli obiettivi generali
del sistema nazionale di istruzione regolando tempi e medi dell’insegnamento, dello svolgimento
delle discipline e delle attività scolastiche. La legge Bassanini ha comportato la nascita di Uffici
scolastici Regionali. Lo Stato ha via via decentrato i propri poteri e funzioni, mettendo la scuola
sotto la responsabilità delle istituzioni e degli enti territoriali. Tutto ciò però non si traduce in
autonomia finanziaria, in quanto i finanziamenti sono erogati dallo Stato.

L’autonomia scolastica ha permesso alle scuole di predisporre percorsi più centrati sui loro allievi,
più efficaci, più legati ai loro bisogni. Non è riuscita però a garantire tutti gli obiettivi per la quale
era ed è sostenuta, visto che la disuguaglianza tra scuole, anche nella qualità della loro offerta
formativa, resta ampia. Parte del problema è insito nel modello stesso di scuola e nelle
competenze delle figure dirigenziali capaci di intercettare finanziamenti, opportunità e riconoscere
risorse, di sostenere e valorizzare innovazioni, in parte è dovuto alla formazione e al reclutamento
del personale docente. Un altro aspetto del problema è la diminuzione progressiva di
finanziamenti statali.

Se ci mettiamo in dialogo con i sistemi scolastici di altri paesi europei vediamo che siamo collocati
nel profilo del modello scolastico del “tronco comune”, con questo termine si intende il sistema a
ciclo uniche che prevede una scuola unica che comprende sia la formazione primaria che la prima
parte di quella secondaria. L’ordinamento dell’istruzione è pertanto strutturato da decenni
secondo la scansione 3+5+3+5 in cui la scuola dell’infanzia è parte integrante del sistema e
rappresenta il punto di partenza per conoscere e comprendere la storia della scolarità italiana e la
sua evoluzione. Nel nostro modello scolastico l’istruzione è obbligatoria nella fascia dai 6 ai 16
anni, segue poi una istruzione superiore di 3 o cinque anni. È un modello orientato alla
trasmissione dei saperi e delle conoscenze, è forte l’attenzione ai contenuti degli insegnamenti e la

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continuità educativa è interpretata quale raccordo tra gli ordini e i gradi della scuola. Il principio di
continuità educativa è finalizzato a prevenire i possibili salti o attriti che in coincidenza dei passaggi
scolastici da un grado scolastico all’altro possono verificarsi.

Una particolarità ulteriore del nostro modello scolastico è ravvisabile nella frequenza con cui si
svolgono le valutazioni e le verifiche delle conoscenze. La valutazione così concepita è la
traduzione di un modello formativo poco orientato alla valorizzazione dei talenti individuali.

Guardarsi attraverso il confronto con gli altri sistemi, vedere e cercare di leggere il proprio modello
è illuminante e formativo. Il nostro sistema di educazione e di istruzione è un ordinamento in cui la
scuola dell’infanzia, la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado costituiscono il primo
segmento del percorso scolastico e contribuiscono in modo determinante a l’elevazione culturale,
sociale ed economica del paese e ne rappresentano un fattore decisivo di sviluppo ed innovazione.

La libertà di insegnamento è sicuramente uno dei tratti fondanti dell’idea di scuola democratica
proprio perché riconosce il diritto agli insegnanti di scegliere metodi, strumenti e strategie
didattiche nel rispetto delle norme che regolano il contesto scolastico.

Il sistema è il suo interno caratterizzato da scuole statali e non statali tra cui molte paritarie,
insieme a private, e si basa sul principio della parità scolastica.

Le scuole paritarie, come le scuole dell’infanzia comunali, hanno piena libertà di orientamento
culturale oltre che di indirizzo pedagogico didattico e questo perché tutte le scuole svolgono un
servizio pubblico, accolgono chiunque, accettandone nel progetto educativo, compresi gli alunni e
studenti con handicap. Il progetto educativo indica l’eventuale aspirazione di carattere culturale e
religioso. Non sono comunque obbligatorie per gli alunni le attività extracurricolari che
presuppongono l’adesione a una determinata ideologia o confessione religiosa.

La scuola: organizzazione e regole.

La scuola è un costrutto, una parola, che ha nel parlato una significativa connotazione affettiva,
una parola che è parte importante della vita di ogni cittadino, del discorso e dei ricordi famigliari
che la accompagnano. Gli anni che trascorriamo a scuola sono quelli della nostra formazione

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individuale e sociale. La scuola è l’istituzione con cui i bambini entrano in interazione diretta, della
quale, in modo precoce e diretto si costruiscono una idea e una rappresentazione.

Tallandini e Valentini Hanno dimostrato tramite la loro ricerca che la scuola entra direttamente e
precocemente nell’esperienza di vita dei bambini e vi resta per anni quale luogo unico e
previlegiato di incontro e di confronto con il mondo e la realtà sociale e culturale. Dalla loro ricerca
emerge che per i bambini la scuola, dall’infanzia seguire, è come una casa, è un luogo dove si
impara a studiare e a fare delle cose, per dopo avere un futuro.

Le scuole hanno delle tradizioni, hanno regole che sono espressione di una cultura educativa un
misto tra regole generali e locali. Esse sono organizzazioni complesse in cambiamento continuo.

Il nostro sistema è prima di tutto contraddistinto da una spaccatura che ha influito e influisce sulle
esperienze dei bambini come scolari, soprattutto nel passaggio dalle istituzioni educative alle
situazioni scolastiche. Non abbiamo ancora l’unitarietà e la continuità del progetto educativo nella
fascia prescolare, tra nidi d’infanzia e scuole dell’infanzia. Il salto successivo è tra la scuola primaria
e la scuola secondaria di primo grado: in questa fase molti ragazzi e le loro famiglie vivono il
passaggio in modo complesso. Nei fatti questa segmentazione corrisponde ai percorsi di studio che
il nostro sistema prevede per la formazione di base di educatore d’infanzia, insegnanti di scuola
dell’infanzia e primaria e, infine, i percorsi e le lauree previste per i professori delle secondarie che
conoscono continue proposte e riforme e che ancora non rispecchiano la preparazione e la
qualificazione necessaria. La frammentazione tra percorsi formativi creano ostacoli interni al
sistema e salti importanti sia per i bambini che per i loro genitori.

La continuità ed eterogeneità del gruppo classe

Nella consuetudine della scuola italiana la continuità è individuabile nell’idea di gruppo classe e
delle figure dei docenti. Non solo il gruppo classe è nella scuola primaria costituito da individui
della stessa età e dello stesso livello ma esso è identico a se stesso per tutti gli anni scolastici. È
piuttosto frequente che il gruppo di bambini che si è costituito come gruppo sezione della scuola
dell’infanzia sia quasi lo stesso che come classe prosegue nella sua esperienza di alfabetizzazione
alla scuola primaria. Il gruppo stabile insieme alla continuità della figura di insegnanti ed educatori
è tendenzialmente molto apprezzato dalle famiglie. Gli insegnanti per molti rappresentano uno, se
non il principale, indicatore di qualità dell’offerta educative formativa. Non possiamo immaginare
l’esperienza scolastica di nessun alunno senza fare riferimento al gruppo che ha condiviso con lui
una lunga storia collettiva.

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La composizione del gruppo classe

I gruppi sezione classe sono composti da numeri diversi di bambini e bambine a seconda del
segmento e delle norme che lo regolamentano.

 I nidi d'infanzia possono essere sia misti per età e sia omogenei.
 Nella scuola dell'infanzia le sezioni sono costituite di norma con un numero minimo di 18
bambini e numero massimo di 26. Se accolgono alunni con disabilità non devono essere più
di 20 alunni nella classe.
 Nella scuola primaria le classi sono costituite con un numero minimo di 15 bambini e con
un numero massimo di 26. Se il numero delle iscrizioni non consente di formare una classe
di 15 alunni è possibile attivare le pluriclassi (sono delle sezioni con alunni che frequentano
differenti anni di corso) che devono accogliere tra gli 8 e 18 alunni. Nelle classi di scuola
primaria che accolgono alunni con disabilità in situazione di gravità il numero degli alunni
non deve superare 20. In tali classi devono essere assicurate le forme particolari di
sostegno secondo le rispettive competenze dello Stato degli enti locali proposti, devono
creare reali condizioni di benessere di apprendimento per tutti.

Per quanto riguarda l'integrazione scolastica dei minori stranieri qualunque sia loro posizione
di regolare o meno, i minori sono soggetti all'obbligo scolastico e la loro presenza nelle singole
classi fissato di normale il 30 % del totale. Questa è una percentuale che può variare in base
anche alle competenze linguistiche del bambino. Il principio fondamentali della scuola italiana
è quelli dell’integrazione scolastica. Ogni alunno con continuità o per determinati periodi può
manifestare i bisogni educativi speciali rispetto ai quali è necessario che scuole offra una
personalizzata risposta. È stato scelto di non prevedere classi speciali riservate.

Il tempo scuola

Il tempo a scuola è il tempo di suddivisone gli orari, della giornata a scuola quindi l’orario
giornaliero e nel caso della scuola primaria potremmo dire l’orario delle lezioni, di laboratorio e
altri progetti. La scuola è fatta di tanti diversi tempi e alcuni di questi tempi sono fissati per legge. Il
tempo scuola:

 Nido: 8 -10 ore al giorno.


 Primaria: solo il mattino o con 2 rientri pomeridiani o, come nel caso del tempo pieno,
giornate che vanno dalle 08:30 del mattino alle 16:30 del pomeriggio. Nelle Indicazioni

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Nazionali è espresso che il tempo a scuola deve essere 27 ore settimanali per classe
normali, di 40 ore settimanali del tempo pieno.

Al tempo scuola settimanale e giornaliero fa da cornice il tempo dell'anno scolastico. Nel caso della
scuola d'obbligo il calendario viene inviato dal MIUR e le regioni fissano di anno in anno il proprio
calendario scolastico stabilendo il primo e l’ultimo giorno di scuola, i vari ponti, vacanze in
occasione di festività. Adattamenti ulteriori sono lasciati alle singole scuole che genera differenze a
livello nazionale. La riforma del titolo V riconosce l’autonomia delle istituzioni scolastiche, le quali
hanno la facoltà di anticipare o ritardare l'inizio delle lezioni nel rispetto del limite di 200 giorni di
lezione all'anno. Le scuole hanno anche la facoltà di procedere alla distribuzione delle ore di
lezione anche settimanale nel rispetto del vincolo in questo caso del monte ore annuale.

Il tempo di lavoro degli insegnanti

Anche le ore delle figure delle insegnanti dedicate alla loro compresenza, al lavoro a diretto
contatto con bambini, alla formazione, al colloquio genitori, al lavoro nel collegio hanno
conosciuto e conoscono cambiamenti periodici e sono normate. Il profilo dell'insegnante di classe
e di sostegno sono entrambi destinati alla classe e devono essere capaci di rispondere ai bisogni
educativi speciali attraverso anche i cosiddetti PEI (piano educativi individualizzato). Con la riforma
introdotta, dal ministro Gelmini nel 2009, si è passato dalle 3 insegnanti presenti su 2 classi
all'insegnante unico, quindi un prevalente insegnante curricolare affiancato poi dagli insegnanti
speciali (inglese e religione). I docenti di sostegno sono passati recentemente, con la legge numero
107/2015 da “ruoli speciali” alla categoria “organico di fatto” entrando a fare parte integrante
dell’organico. Tra gli insegnanti delle scuole comunali paritarie, delle scuole dell'infanzia statali si
registra la differenza significativa di contratti di lavoro; nel primo caso le ore dirette con i bambini
raggiungono quasi le sei al giorno contro le 4 ore e mezzo degli insegnanti statali che percepiscono
però uno stupendo superiore. Diverse anche le ore dedicatela progettazione. Sono tutti aspetti tra
loro intrecciati che comunicano chiaramente che ci troviamo di fronte offerte diverse, a qualità
non di pari livello proprio perché il tempo è la variabile che forse più di altre indica la qualità. Si ha
una non equa distribuzione o della disuguaglianza territoriale fatta dalle ore destinate alla
formazione dei docenti: essi hanno una formazione di base universitaria ma anche continua in
servizio che nel caso delle monte ore delle insegnanti comunale, paritarie e delle scuole
dell'infanzia è sufficiente, nel caso delle insegnanti statali, essendo più ridotte, porta a interventi
formativi non sempre molto efficaci.

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Il rapporto scuola famiglia

La scuola e la famiglia sono le 2 agenzie educative per eccellenza e dalla loro connessione e stretta
collaborazione dipende l'esperienza educativa e scolastica dei bambini e degli scolari, si ha quindi
una corresponsabilità educativa. La relazione scuola famiglia è un tema da sempre centrale per la
vita della scuola e per il dibattito pedagogico in generale. Il rapporto scuola-famiglia è un legame e
una connessione cruciale non solo in termini funzionali alla vita a scuola ma determinante per la
formazione integrale della persona. L’azione della scuola si esplica attraverso la collaborazione con
la famiglia nel reciproco rispetto dei diversi ruoli e ambiti educativi, non che con le altre formazioni
sociali ove si svolge la personalità di ciascuno. Le famiglie sono portatrici di risorse che devono
essere valorizzate nella scuola. Famiglie e genitori sono cambiati e continuano a cambiare con le
loro idee, i bisogni, gli stili educativi e si sono moltiplicate le provenienze culturali.

A scuola si va a ..?

Alla scuola dell’infanzia e alla scuola primaria si può accedere come anticipatori, ovvero, attraverso
anticipi di iscrizione. Secondo l’articolo 2, comma 2 del DPR 89 del 2009 possono essere ammessi:

 alla scuola dell’infanzia i bambini che compiono 3 anni entro 30 Aprile dell’anno scolastico
di riferimento. La frequenza anticipata è condizionata dalla disponibilità di posti e
dall’esaurimento della lista d’attesa.
 Alla scuola primaria possono essere ammessi i bambini che compiono sei anni entro 30
Aprile dell'anno scolastico di riferimento.

Gli anticipi sono un oggetto di discussione accese:

 i contrari  affermano che si tratta di scelte che possono compromettere lo sviluppo


psicofisico dei bambini. E’ inutile e pericoloso precocizzare gli apprendimenti
 i favorevoli affermano che alla scuola dell'infanzia nel corso dell'ultimo anno molti
bambini si annoiano.

Le sezioni primavera sono state istituite nel 2006 e costituiscono un servizio educativo per i
bambini in età compresa tra e 24 e 36 mesi da intendersi come servizio educativo integrato e
aggregato alle scuole dell’infanzia.

L’insegnamento della religione cattolica

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Insegnamento della religione cattolica è normato dell'Intesa per l'insegnamento della religione
cattolica nelle scuole pubbliche siglata nel 2012 e costituita su altri accordi precedenti. Decade
l’obbligatorietà dell'insegnamento della religione cattolica e si passa alla scelta di avvalersi
dell'insegnamento. Non deve determinare una forma di discriminazione dei criteri di composizione
delle classi, dell'orario scolastico giornaliero o nella collocazione dell’insegnamento del quadro
orario delle lezioni. Gli insegnanti di religione cattolica non hanno conseguito la stessa formazione
degli altri, l’idoneità di cui sono in possesso è diversa da quella degli insegnanti curricolari ed è
riconosciuta dall’ordinario diocesiano. Ai bambini e ragazzi che scelgo di non avvalersi di questo
insegnamento la scuola è obbligata a proporre attività didattiche formative alternative o di dare
loro modo di utilizzare l’ora per lo studio di altre materie.

CAPITOLO 3 – L’INSEGNANTE IN CLASSE: LA


GESTIONE E IL RUOLO

Premessa

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Insegnante deve lavorare su 2 livelli: contenutistico e relazione che sono strettamente intrecciati.
L’insegnante deve essere colto e allo stesso tempo deve essere capace di porgere i contenuti in
modo da stimolare l’interesse e la curiosità dei bambini.

Chi comanda in classe

In classe coesistono 2 ruoli quello: di insegnante e quello di allievo. Il primo ha il compito di


trasmettere delle conoscenze all'altro che ha il compito di apprenderle. È anche vero che maestri e
allievi apprendono gli uni dagli altri ma la centralità, la direzione del lavoro in classe deve essere
del maestro Ciò viene fatto l'interno di un quadro più generale che tiene conto dell'età dell'allievo,
delle sue conoscenze pregresse e di quelle che si vogliono stimolare. Maria Montessori dà al
maestro una funzione di sostegno di guida nella scelta dei materiali. La figura dell'insegnante è
centrale perché è lui quello che in realtà decide le modalità della trasmissione dei contenuti. Il
rapporto educativo è sempre un rapporto asimmetrico in cui gli attori giocano su 2 piani diversi
che è bene non vengano mai confusi pena il mancato apprendimento degli allievi. Una ricerca ha
dimostrato quanto le scelte dell'insegnante in materia di conduzione del lavoro di classe
determinino le relazioni fra allievi e la resa dell'apprendimento. Questa ricerca è stata condotta da
le Lewin, Lippit e White su gruppi di bambini in cui si alternano insegnante addestrati a ricoprire
un ruolo “autoritario”, “democratico” o “laissez-faire”. I gruppi furono osservati quando dovettero
continuare il lavoro da soli:

 i gruppi condotti in maniera “autoritaria” ebbero difficoltà a continuare il lavoro da soli


 In modo democratico ebbero meno difficoltà
 I gruppi “laissez-faire” continuarono a cercare di fare da soli, spesso con poco costrutto.

L’aspetto interessante fu costituito dal fatto che i gruppi nel momento in cui cambiava
l'insegnante, e quindi la modalità di conduzione, il loro comportamento variava adattandosi alle
modalità proposte; per cui bambini che avevano collaborato fra loro in modo costruttivo quando
erano condotti da maestro democratico, diventavano incapaci di collaborare fra loro. È stato
dimostrato da questo esperimento che capacità e incapacità di lavorare insieme sono legate ai
comportamenti e alle richieste dell’insegnante. L’insegnante è il perno del lavoro e che tutto ciò
avviene in classe è legato a come e interpreta il suo ruolo. Il modo in cui due attori reagiscono all’
interno della situazione scolastica è legato alla cultura dell’ educazione scolastica che regola i
possibili comportamenti di entrambi: in classe alcune azioni sono permesse e altre no.
L’insegnante con il suo lavoro tende a modificare le conoscenze e le esperienze dello studente e

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richiede che questi si adegui alle sue richieste; e dal canto suo lo studente con i suoi
comportamenti dimostra di volere o non volere adeguarsi a quanto richiesto. La riuscita
dell’insegnamento è legata anche a ciò che gli studenti pensano della scuola stessa, per cui
studenti più motivati in senso accademico possono più facilmente riconoscere le autorità
dell’insegnante e l’intenzionalità academica. L’essere apprezzati e supportati dagli insegnanti che
creano un clima di classe piacevole è importante. L’immagine che gli studenti hanno della scuola
peggiora inesorabilmente di anno in anno e che anche bambini col passare degli anni sono sempre
meno disposti a ritenerlo un luogo gradevole.

Gli stili di insegnamento e il rendimento scolastico

Un correlato dell’esperimento di Lewin, Lippit e White è legato anche al gradimento della materia
insegnata, all’apprendimento e di conseguenza al rendimento scolastico.

Il lavoro degli studenti condotti con:

 Stile autoritario progrediva più velocemente


 Stile democratico  inizialmente più a rilento ma alla fine i risultati erano identici a quelli
del gruppo autoritario.
 Stile laissez-faire clima più disteso e amichevole ma la produttività ne risentiva.

Gli studi successivi si sono concentrati solo sullo stile autoritario (tradizionale o formale) e
democratico (non tradizione o informale).

 Formale insegnante ha una posizione centrale e dirige la classe decidendo contenuti,


tempi e modalità di valutazione mentre gli studenti sono passivi ascoltatori.
 Informale l’allievo è centrale e l’insegnante funge da stimolo dell’apprendimento degli
allievi, sono spinti a ricercare la collaborazione con i compagni.

Dati che emergono da una ricerca proposta da Bennet (1976) su tutte le scuole elementari
scozzesi:

 Gli insegnanti formali affermano che la scuola primaria è un percorso di formazioni in


preparazione alle scuole superiori. Gli insegnanti informali sostennero che la scuola
elementare è un ciclo a sé stante.
 Si pensa che una stile formale sia più utile per materie considerate “alte” (lingua-
matematica), mentre uno stile informale sia migliore per materie meno impegnative (arte,

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musica). Dalle ricerche condotte da Bennet evinse che i bambini con insegnanti più formali
in media erano più abili nelle materie “alte”, mentre quelli condotti in modo informale in
quelle meno impegnative. Vi fu un’eccezione: una classe “informale” aveva ottenuto dei
punteggi eccellenti in matematica, risultò che il tempo dedicato alla matematica era
superiore a quello dedicato alla stessa materia nelle altre classi. Quindi anche il tempo che
si dedica all’insegnamento delle materie è molto importante.

Sono state fatte numerose ricerche per comprendere quale metodo di insegnamento sia migliore.
Nei primi anni della scuola primaria i bambini condotti in modo informale erano effettivamente
meno abili nelle materie alte ma, alla fine del percorso, erano alla pari con quelli condotti in modo
formale con alcune acquisizioni ulteriori (abilità sociali e la capacità di autogestire il proprio
percorso). Non è facile comperare i risultati prendendo come unico punto di riferimento lo stile
adottato dall’insegnante perché nella realtà è difficile trovarsi di fronte a uno stile puro. Per poter
supportare un metodo che permette agli studenti di agire in prima persona, di arrivare alla
soluzione attraverso tentativi ed errori e di fare molto lavoro cooperativo, il maestro deve sentirsi
sicuro di poter intervenire per aiutare gli studenti e di tollerare l'inevitabile confusione. La
personalità e i tratti caratteriali degli allievi giocano anche un ruolo determinante nella riuscita
scolastica.

Il clima di classe e la relazione insegnante-allievi

Il clima che si respira in classe è senz’altro determinato da:

 STILE DI INSEGNAMENTO ADOTTATO: Diversi studi hanno dimostrato che paragonare


continuamente bambini fra loro li stimola a essere competitivi In una classe di questo tipo
in cui vengono esaltate le differenze fra i bravi e cattivi i rapporti fra gli allievi sono meno
amichevoli di quanto avvenga in una classe condotta con uno stile informale se la
cooperazione diventa la modalità di lavoro perché l’insegnante di spingerà lavorare
insieme e probabilmente li valuterai insieme. Per far sì che non si creino fenomeni di
competitività o divisioni non bisogna operare confronti ma spingere ciascuno a competere
con sè stesso per migliorarsi.
 MODALITA’ DI VALUTAZIONE: Sono uno degli elementi che connotano il clima di classe
perché possono spaccare il gruppo o unirlo. La solidarietà aiuta tutti ad avere un’immagine
di sè positiva e a contare sul gruppo. Un insegnante formale tenderà a rendere gli allievi
dipendenti, subordinati ciò si ripercuoterà anche nella vita adulta. Un po' di pendenza di

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subordinazione ci sarà anche in una condizione informale, i bambini hanno bisogno di
avere la figura adulta di riferimento che gli aiuti. Non è detto che è una maestra che
utilizzano stile tradizionale sia più fredda di una che utilizza uno stile non tradizionale.
 L’IMMAGINE CHE IL MAESTRO HA DI SE’ COME INSEGNANTE EFFICACE: Un insegnante che
si senta o che sappia di essere un buon insegnante avrà nei confronti della classe un
atteggiamento più tranquillo e positivo.
 ANZIANITA’ DI SERVIZIO DEGLI INSEGNANTI E L’IMMAGINE CHE SI SONO FATTI DEI
BAMBINI DI “OGGI” CONFRONTATI CON QUELLI DI IERI: Da una ricerca condotta da
D’Alonzo, Maggiolini e Zanfroni su 754 docenti italiani di scuole di ogni ordine e grado,
tendente a sondare quali fossero le difficoltà o peculiarità delle classi di “oggi” rispetto a
quelle di “ieri”. E’ emerso che un primo problema rilevato da tutti gli intervistati è quello
della maggiore difficoltà del lavoro in classe dovuto un atteggiamento irrispettoso verso le
regole, alla maggiore fragilità emotiva dei ragazzi, alla disattenzione e irrequietezza. Gli
insegnanti intervistati avevano un’anzianità di servizio dai 5 ai 20 anni. Questa
considerazione di una crescente difficoltà a lavorare con i ragazzi rende faticoso e
tempestoso il rapporto e quindi il clima di classe. Già nel 2005 Mariani affermava che di
anno in anno le classi erano sempre meno gestibili e che questo è il frutto dell’educazione
del nostro tempo che non dà limiti ai bambini e non permette loro di scontrarsi con
eventuali difficoltà. L’età ha poi un suo peso nel momento in cui ci sia troppo distacco fra
alunni e docenti perché gli uni faranno veramente fatica a vivere insegnante come
qualcuno di diverso da un genitore o dal nonno e gli altri difficilmente riusciranno a capire
le esigenze l’esperienza dei loro allievi.
 IL GENERE DELL’INSEGNANTE: dipenderà l’immagine che il maestro ha delle differenze fra
maschi e femmine e che i bambini hanno degli insegnanti maschi piuttosto che insegnanti
femmine.
 CARATTERISTICHE DI PERSONALITA’ DI INSEGNANTI E ALLIEVI: In generale è emerso che
insegnanti estroversi tenderanno ad apprezza allievi estroversi e viceversa insegnanti
introversi potrebbero trovare irritanti studenti estroversi e apprezzare quelli introversi. Ma
possiamo dire che gli studenti si dividono in due categorie: quelli che preferiscono
apprendere attivamente e quelli che preferiscono apprendere passivamente. Ciascuna
categoria preferisce una conduzione della classe diversa.

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 FAMIGLIE: Il bambino riporterà nella classe l’idea che la sua famiglia avrà di cosa sia in
generale una “buona scuola”

L’immagine degli allievi

Per poter insegnare bisogna che il maestro sia convinto della possibilità che i suoi alunni siano tutti
in grado di imparare.

Gilly nel 1980 ha condotto delle osservazioni e ha constatato che i bambini e le bambini della
scuola dell’infanzia se ritenuti più “dotati” saranno invitati a partecipare più spesso ad attività
logico- matematiche e linguistiche, o a quelle attività che si ritenga che costituiscano le basi di una
carriera scolastica di successo, invece verranno lasciati liberi di scegliere attività di loro gradimento
se ritenuti scolasticamente meno promettenti.

Lorenzoni afferma che: “se ho scelto il mestiere dell’educatore, ho il compito di aiutare bambini e
bambine a tirare fuori e riconoscere ciò che hanno dentro. Ho il dovere di aprire porte, spalancare
finestre ma ciò è possibile solo se accolgo tutti i punti di vista cercando di attenuare i miei
inevitabili pregiudizi”.

L’insegnante che pensa che l’intelligenza di un bambino sia immodificabili utilizzerà uno stile più
formale; mentre una che pensa che sia modificabile utilizzerà più facilmente uno stile informale o
comunque tenderà a cercare la modalità di insegnamento- apprendimento più adatte per ciasun
allievo.

Ciascun maestro ha l’immagine di un bambino ideale, il problema è che l’insegnane una volta che
ha inquadrato un bambino difficilmente cambierà idea e si comporterà con lui di conseguenza.

In una ricerca condotta da Gilly e Farioli fu chiesto a un gruppo di insegnanti divisi fra “
conformisti” e “non conformisti” di valutare dei temi cui erano abbinate le foto degli estensori. Fu
chiesto di valutare oltre che il tema anche la bellezza e l’intelligenza degli alunni ma la foto
abbinata non era quella del bambino che aveva svolto il tema. Nessuna insegnante si rifiutò di
evincere da una foto l’intelligenza dell’allievo. L’abbinamento con il tema aiutò o penalizzò la
valutazione della bellezza e dell’intelligenza a seconda che la valutazione dell’elaborato fosse
positiva o negativa. Dimostrando così i loro pregiudizi e anche la loro immagine di studente ideale.

La motivazione ad apprendere.

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Imparare è faticoso e per mantenere il desiderio di apprendere serve la motivazione che aumenta
se sostenuti dalla famiglia, dall’insegnante e dai risultati positivi/successo.

Le aspettative dell’insegnante influenzano l’immagine del bambino a tal punto da determinare un


miglioramento o peggioramento. Dopo un esperimento in una scuola americana condotto da
rosonthal e jacobson si dimostrò che:

 Un’immagine positiva dell’allievo crea miglioramento


 Un’immagine negativa dell’allievo crea un peggioramento.

Le motivazioni per lo studio possono essere:

 Intrinseche: nascono dal desiderio di apprendere e si sviluppano nei primi anni di vita.
 Estrinseche: provengono da stimoli esterni come il voto e i riconoscimenti.

C’è anche la demotivazione: intenzione di non agire. L’alunno è frustrato dai brutti voti e
rimproveri e si rassegna. Sono i predestinati ad abbandonare a meno che non trovino
un’insegnante che riesca a dargli nuove motivazioni.

L’intenzionalità è il movimento con cui la persona si impegna e si da delle sfide.

Partire dagli esercizi e passare poi alla teoria permette di lavorare sulle motivazioni intrinseche e
sviluppare la curiosità e il desiderio di apprendere.

Come si spiegano i buoni o i cattivi risultati dell’apprendimento?

La spiegazione del successo o insuccesso diverge tra alunno e maestro.

Secondo Weiner ci sono 4 cause del successo/insuccesso:

 Abilità/non abilità
 Sforzo/ non sforzo
 Difficoltà del compito
 Fortuna/sfortuna

Le cause possono essere:

 Interne (abilità, sforzo umore), esterne (fortuna, difficoltà dei compiti, atteggiamento
dell’insegnante.
 Stabili o instabili: derivano dalla visione soggettiva.
 Controllabili (sforzo), non controllabili (stanchezza, abilità, fortuna, umore).

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I bambini vano in ansia per un possibile voto negativo in quanto hanno cause esterno non
controllabili.

Teoria d’Alonzo 2012: spesso si sceglie una strada di media/bassa difficoltà per tenere lontana la
possibilità di insuccesso. L’insuccesso da un compito complicato è causato dal compito difficile e
non dalla propria abilità.

Il successo/insuccesso provano emozioni diverse se la causa è interna o esterna. Nel caso della
causa interna il successo comporta ad avere un’immagine di se competente e genera un senso di
orgoglio; l’insuccesso invece genera un senso di colpa e vergogna. Per quanto riguarda le cause
esterne il successo genera sorpresa ma anche incertezza delle proprie capacità; insuccesso crea
frustrazione.

Ci sono dei segnali che permettono di capire che un insuccesso ha inciso sul bambino:

 Svilcola le richieste
 Si tira indietro alle difficoltà
 È aggressivo

La reazione dell’insegnante di fronte al successo/insuccesso ne condizionano l’immagine


dell’alunno stesso.

La classe e le sue dinamiche

La classe ha una frequenza obbligatoria con la presenza di un insegnante. È un gruppo che ha coe
scopo l’apprendimento in cui interagiscono alunni e insegnanti. È un’istituzione sociale complessa
con affetti significativi sullo sviluppo sociale dei bambini. È un gruppo che non è coeso inizialmente
ma a cui si chiede di diventarlo. Non esistono momenti privati perché tutto si svolge in pubblico,
anche i colloqui singoli non sono privati perché il contenuto verrà rielaborato e riferito alle
colleghe.

L’insegnante deve aiutare a far nascere il gruppo e questo può avvenire se valorizza tutti.

Le fasi per diventare un gruppo di classe unito sono:

1. Iniziano a conoscersi ma qualcuno è dipendente dall’insegnante


2. Si stabiliscono i ruoli dei bambini
3. Il gruppo è coeso e l’insegnante sarà mediato dal gruppo

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Ogni parola dei singoli dovrà essere letta tramite le dinamiche del gruppo. Il bambino agisce in
modo disinteressato o interessato in base a come si sente giudicato dal gruppo. Un gruppo coeso e
strutturato ha una gerarchia e dei legami affettivi ma anche una cultura dei coetanei questo
favorisce lo scambio di informazioni tra i bambini e aiuta il singolo a inserirsi e vivere il gruppo. Il
non sentirsi solo aiuta ad avere forza di discutere con l’autorità. Il gruppo è normalmente formato
da gruppi e sottogruppi, i leader e gli emarginati sono in continua variazione.

Insegnante: deve approfondire il gruppo con un’analisi sistematica e capire il ruolo di ogni
bambino.

I conflitti e la disciplina

In classe le dinamiche relazionali sono molto vivaci e si formano conflitti. Non è sempre facili per
l’insegnante venire a conoscenza dei motivi per cui scoppia un litigio. I conflitti rendono più
complesso il processo di apprendimento.

Per la risoluzione dei conflitti per far lavorare bene il gruppo è necessario:

 Far emergere le ragioni del conflitto


 Provare a proporre negoziazioni
 Sedare la situazione

Ma prima di intervenire è necessario che il maestro sia sicuro di avere ben chiaro che cosa stia
succedendo. È bene che capisca come ogni bambino interagisce con gli altri.

Disciplina è il mantenimento dell’ordine e delle regole. È la base per un lavoro didattico efficace.
Disciplina e regole sono collegati alle modalità in cui è organizzato il lavoro in classe, allo stile di
insegnamento e al tipo di relazione tra maestro e allievo.

Le regole sono importanti per la vita di classe, vanno stabilite e mantenute, devono essere stabilite
con i bambini, devono essere poste in modo positivo “alzare la mano per parlare” e non “non
parlare tutti insieme”. Comportamenti inadeguati possono essere scaturiti da meccanismi di
difesa, cause personali, malessere per la scuola o per la famiglia.

CAPITOLO 4 – GLI STRUMENTI DELL’INSEGNANTE


EFFICACE

Una relazione professionale.

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Si pensa che una buona o cattiva relazione con i bambini dipenda da fattori
innati come l’empatia. Secondo le neuroscienze l’empatia è:

 Una caratteristica dell’homo sapiens


 È in grado di sentire e vivere nei panni dell’altro
 Non ha una connotazione positiva o negativa.

La propria cultura e l’educazione ricevuta ci rende più o meno empatici.

Un’insegnante professionale ha delle caratteristiche: ha la capacità di ascolto e


un atteggiamento empatico. Tutte le persone, sia quelle empatiche sia quelle
non empatiche, dopo il percorso di studi arrivano a padroneggiare
atteggiamenti professionali.

In base ai ruoli si hanno relazioni diverse: un amico avrà una relazione non
professionale, invece un maestro ne avrà una professionale. Nella relazione
maestro- alunno il maestro ha il dovere di lavorare aiutando il bambino,
l’alunno ha il diritto di essere ascoltato e aiutato.

Ogni bambino è unico e irrepetibile per la sua storia, cultura, educazione,


famiglia, personalità, carattere. In una classe l’unico elemento uguale è l’età.
Per poter lavorare bene con tutti, l’insegnante deve capire le particolarità di
ognuno e provare empatia. Il compito di chi insegna è di aumentare la
disponibilità mentale. Un lavoro di apprendimento efficace produce un
cambiamento nel modo di essere.

Gli strumenti per un insegnante efficace sono:

 Ascoltare Bisogna prestare attenzione in modo caldo, atteso e


interessato. Bisogna fare sentire al bambino che è veramente
importante. Spesso non ascoltiamo veramente perché abbiamo già dei
pregiudizi e quindi ciò che viene detto è reinterpretato. Noi ascoltiamo
veramente quando distinguiamo l’evento visto dai nostri occhi a quello
visto da chi parla.
 Congruenza Il voler essere e l’essere devono combaciare, altrimenti gli
alunni si accorgeranno delle incongruenze del maestro. Spesso il troppo
rumore, caos, disordine sono parametri valutati in base alle convinzioni e
capacità di sopportazione del maestro. Il maestro congruente vede le

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percezioni di entrambi (alunno e maestro) e cerca una soluzione insieme
agli alunni che possono trovare una soluzione diversa da quella che
aveva in mente il maestro, ma l’importante è avere capito il problema e
trovato un modo per superarlo.
 Empatia è la capacità di immedesimarsi dell’altro, sentire quello che
sente lui. È un sentimento che nasce dall’interesse per ciascuno. Significa
quindi capire il perché degli atteggiamenti (gioia, pianto, dolore, riso) dei
bambini senza aggiungere una propria interpretazione. Il sentirsi ascoltati
empaticamente crea nei bambini un senso di libertà di espressione.
Fasi:
1. Osservo in modo empatico il bambino.
2. Noto delle problematiche del bambino.
3. Chiedo conferma al bambino in forma dubitativa (forse, magari…)

L’osservazione a scuola.

Osservare è importante se fatto con metodo, con strumenti per raccogliere dati
e distinguere fatti con interpretazioni. È difficile valutare in modo oggettivo
comportamenti che si guardano tutti i giorni. Succede che i più “irrequieti”,
“problematici” e “in difficoltà” sono più seguiti dall’insegnante. È invece
importante che a tutti venga posta la stessa attenzione. È indispensabile
osservare il bambino in situazioni diverse per non giudicarlo dopo un singolo
episodio.

Osservare, guardare e vedere sono 3 concetti diversi:

 Osservare: esaminare con attenzione allo scopo di ottenere una visione


completa dell’oggetto.
 Guardare: soffermare lo sguardo su qualcosa o su qualcuno.
 Vedere: percepire con gli occhi.

È impossibile raggiungere un’osservazione obiettiva perché solitamente è


influenzata da fattori come i pregiudizi e il paradigma teorico. Il paradigma
teorico si intende che in base al paradigma teorico oriento la scelta di ciò che
osservo. Ad esempio se la cornice di riferimento è rappresentata dalla teoria
piagetiana l’attenzione si concentra sul comportamento del bambino, se invece

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è quella psicoanalitica l’osservazione si concentrerà sulle caratteristiche della
relazione adulto-bambino e le risonanze emotive provocate nell’osservatore.

L’obiettivo dell’osservazione orienta lo sguardo dell’osservatore, deve


consentire di separare percezioni soggettive da dati oggettivi.

Interosservazione E’ una discussione analitica tra più osservatori che elimina


il problema della soggettività. Permette di sospendere il proprio punto di vista e
di considerare quello dei colleghi. Non vuol dire negare il soggettivo ma è dare
un arricchimento.

Il protocollo è il testo scritto sulle proprie osservazioni, non bisogna riportare


delle espressioni ambigue e generiche. Il linguaggio deve essere descrittivo e
non valutativo. L’obiettivo è quello di registrare le situazioni da cui derivano le
valutazioni dell’insegnante. Può essere scritto in contemporanea o a posteriori
del comportanto. Nel protocollo bisogna scrivere:

 Data
 Orario di inizio e di fine.
 Luogo.
 Informazioni sul/i bambino/i, adulti presenti e osservatore.
 Contesto.
 Interventi e non interventi dell’osservatore.

Gli strumenti che aiutano a riflettere sono: protocollo e videoregistrazione. La


videoregistrazione è usata per osservare il singolo, il gruppo, gli insegnanti ed
educatori. Permette di far vedere l’azione a più persone facendo emergere
anche mimica facciale, tono di voce e la postura. È una descrizione più
completa del protocollo ma la presenza di videocamere potrebbe provocare
una distorsione dei dati e comportamenti.

I media nella pratica didattica della scuola dell’infanzia e primaria


(guardo libro per esempi)

Per fare scuola un insegnante deve conoscere la cultura dei bambini che ha in
classe. È bene conoscere potenzialità e limiti dei media che possono
sperimentare situazioni che non erano sperimentabili senza tecnologia a causa

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di disabilità. La tecnologia è stata inserita come supporto dell’apprendimento
attraverso vari aspetti:

 Robotica educativa e pensiero computazionale processo mentale che


consente di risolvere i problemi di varia natura. Contribuisce alla
costruzione di competenze matematiche, scientifiche, tecnologiche,
spirito di iniziativa e linguistiche. Le diverse attività hanno messo in
evidenza diversi modi per affrontare l’errore. L’errore è una risorsa
fondamentale per imparare e non come elemento da sanzionare. Le
condizioni fondamentali per arrivare alla soluzione sono: motivazione,
attenzione, impegno e collaborazione.
 Scrittura collaborativa Serve per incoraggiare l’apprendimento
collaborativo con gruppi di lavoro interni ed esterni alla classe, anche con
tecnologie. La scrittura deve essere utilizzata anche in scopi pratici e non
solo come metodo di valutazione.
 Digital storytelling E’ stato ideato nel 1998 da Lambert e Atchley. È
un’attività didattica di narrazione digitale composta da 3 fasi:
1. Definire l’argomento e gli obiettivi, definire il pubblico a cui si
rivolge.
2. Creare uno storyboard
3. Editing e montaggio
 Ricerca in rete non è mai indicato lasciare il minore solo di fronte al
compito di ricercare nel web informazioni. Ad esempio: l’insegnante può
fare ricerche insieme ai bambini, ragionando con loro e diventando un
esempio.
Webquest è una ricerca in rete guidata dall’insegnante che ha già
validato e scelto i siti che serviranno ai bambini.

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CAPITOLO 5 – TEMPO E SPAZIO A SCUOLA

Tempo e spazio: dimensioni culturali.

“Educazione e apprendimento sono da considerarsi nel loro particolare


contesto culturale” – Bruner.

Il successo o meno dello studente dipende dall’efficacia degli strumenti che


l’insegnante gli fornisce. Il progetto architettonico deve coincidere con il
progetto educativo e devono considerare:

 Lo spazio educativo campo disponibile per gli oggetti che hanno una
collocazione e volume suscettibili di spostamento. Ma in senso stretto è
un ambiente destato a manifestazioni di carattere tecnico e culturale. Lo
spazio assume la connotazione del contesto e determina il nostro viverlo.
L’ambiente medio è quello costituito da fattori generali, l’ambiente
individuale da senso al comportamento individuale.
C’è una diversità tra luogo e non luogo; con luogo si intende un posto con
una storia, mentre con non luogo si intende uno spazio senza identità. Le
non scuole non hanno l’aspetto di una scuola e hanno edifici scadenti con
materiale scadenti.
Luogo in sociologia- ha una valenza simbolica e sociale, è uno spazio
che prevede una precisa organizzazione che definisce ruoli e funzioni,
comportamenti consoni con regole implicite ed esplicite.

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Lo spazio è leggibile, parla di sé.
Secondo Lewin lo “spazio vitale” è un campo non neutrale, un sistema di
relaziono tra soggetto e ambiente.
L’architettura dello spazio offre un’immagine della cultura dell’epoca.
Dopo i decreti del 1974 gli edifici devono rispecchiare l’uso dell’ambiente
e non devono essere tutti uguali come nel periodo fascista.
Maria Montessori dice che l’ambiente deve essere adatto ai bambini, su
misura di bambini e i materiali devono essere leggeri e adatti. Sempre
secondo la pedagogista “nell’ambiente c’è un potere educativo”.
Si investe poco economicamente, in ambito di pensiero e progetto sullo
spazio in cui i bambini crescono e vengono educati.
Il modo in cui lo spazio è suddiviso ci dovrebbe fare capire in che grado di
scuola siamo.
Tutti gli spazi sono importanti, anche la mensa, il bagno e la sala del
riposino.
Ogni spazio è lo specchio delle idee dell’organizzatore. È il centro nei
processi di crescita che avvengono nel tempo e nello spazio secondo
Dewey.
I materiali sono scelti per quantità e qualità in base all’età e interessi
dei bambini.
L’outdoor education (learning outside the classroom manifesto – 2011
UK) afferma che si apprende meglio all’esterno facendo esperienza
diretta. Sono delle pratiche educative che sostengono le potenzialità
dello spazio esterno. Si sono ispirate all’attivismo del 1900. Si sono
sviluppate prima nel nord europa ora anche in Italia e comportano un
benessere educativo.

 Tempo educativo In ambito sociologico e psicologico il tempo può


essere: sociale e biografico.
È il risultato dei processi di relazione tra persone che riflettono sul proprio
passato e si proiettano nel futuro.
In pedagogia: il tempo viene diviso tra esterno e interno.
 Esterno: non dipende da noi, come le ore del giorno.

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 Interno: è legato alla nostra memoria, serve per stabilire una
continuità tra passato, presente e futuro. A questo si intreccia poi
anche il tempo sociale che sono i rapporti sociali. “Il tempo sociale
è alla base della categoria del tempo” – Durkheim.
La percezione del tempo è determinata dal contesto storico e culturale in
cui viviamo ma anche dalla nostra memoria.
Oggi ci sembra che il tempo si sia messo a correre, ne comprendiamo il
valore e ne sentiamo il fluire.
Il tempo è onnipresente, diversamente percepito è vissuto, struttura la
nostra vita sociale.
Il tempo a scuola:
 È una dimensione istituzionale dell’organizzazione
 È un incalzare di eventi
 È una transizione di attività e il loro fluire
 È una dimensione soggettiva.
È onnipresente nella crescita e nell’apprendimento, infatti, si parla
spesso di tempo come scansione oraria e meno della dimensione
soggettiva e istituzionale scolastica.
Concludere il programma lasciando indietro qualche studente per
mancanza di tempo è una insensatezza formativa. M. Auge afferma che
dobbiamo ripensare l’educazione in rapporto al tempo, la spontaneità
ignora il tempo.
Ci sono tanti tempi inscritti nel tempo a scuola, spesso non indagati.
Andare a scuola vuol dire entrare in una organizzazione oraria.

L’esperienza quotidiana di spazio-tempo a scuola

Tempo e spazio si includono a vicenda. Lo spazio è la prima dimensione con cui


entra in contatto il bambino. È normato e regolato da consuetudini e obblighi in
cui i bambini riconoscono se stessi e gli altri. Deve essere allestito in modo che
si riconosca il ruolo di tale spazio (infanzia/primaria…) e deve essere
accessibile a tutti. In italia non esiste il concetto di tempo extrascolastico.

Nelle scuole innovative non ci sono aule o hanno un approccio diverso alla
didattica.

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Vivere a scuola vuol dire vivere i un contesto con determinate regole, spazi e
tempi. La dimensione di quotidianità/ famigliarità a scuola è lo spazio in cui il
bambino trascorre la maggior parte del tempo. Cioè la sezione classe che è uno
spazio in cui si identifica.

Il contesto educativo ha delle funzioni:

 Estetica: bello, colorato, pulito


 Narrativa: parla di sé e dei bambini
 Relazionale: emoziona e favorisce interazioni

Lo spazio è pensato a favorire comunicazioni, scambi culturali, e relazioni. È


costruito per supportare i bambini nelle loro scoperte e apprendimenti.

Si apprende NELLO spazio DALLO spazio.

Il tempo di un bambino nell’infanzia è diverso da quello di una primaria che è


diverso da quello delle medie.

Addensare in poche ore del mattino tutte le materie rende il tempo pesante e
fa sentire che non basta. Spesso l’orario è scandito dagli impegni dei professori
e non sa un susseguirsi logico delle materie.

CAPITOLO 6 – LA SCUOLA IL LAVORO NEL COLLEGIO

Il valore della collegialità

Il confronto con gli altri colleghi permette di riconoscere le proprie competenze


e una maggiore consapevolezza del ruolo ovvero conoscere i limiti della propria
professione. Il piano individuale rimane intrecciato a quello collegiale per
garantire qualità e unitarietà degli interventi educativi.

Appartenere ad un gruppo offre anche un sostegno di fronte alle incertezze, ai


comportamenti e alle sollecitazioni. Ogni apprendimento è significativo se è:

 Attivo
 Costruttivo
 Collaborativo
 Intenzionale

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 Conversazionale
 Contestualizzato
 Riflessivo

Condividere le responsabilità e le pesanti richieste crea un efficace contesto


protettivo. Il professionista ha anche bisogno di appartenenza e
riconoscimento, i bambini imparano anche dalle relazioni degli adulti.

Costruire la disposizione a lavorare in modo collegiale

L’apprendimento dipende anche dai rapporti:

 Insegnante-alunno
 Alunno-alunno
 Insegnante-insegnante

Spesso la relazione insegnante-insegnante è prettamente fondata sulle


problematiche della classe mettendo in secondo piano le relazioni e occasioni
comunicative. È essenziale impegnarsi negli obbiettivi scolastici tanto quanto
aver cura dei processi relazionali.

Saper lavorare in gruppo è l’esito di un processo formativo. È un continuo


confronto con gli altri e credere in un modo di lavorare condiviso,
corresponsabile e innovativo ma mette in risalto le differenze.

Dai conflitti possono nascere dialoghi costruttivi se ci interroghiamo sui motivi


del conflitto ponendoci domande in modo riflessivo. Senza rifiutare le riflessioni
altrui. Mettere in campo empatia, collaborazione, problem solving, chiarezza
espositiva per “lavorare insieme” per educare insieme.

Come lavorare bene in gruppo?

Esistono diversi gruppi di lavoro ma collaborano per progetti comuni. Nella


strategia collaborativa ognuno deve concorrere al funzionamento del gruppo. I
rischi del gruppo devono diventare occasione per accogliere la diversità e
conoscere le identità degli altri.
Il luogo del gruppo di lavoro deve essere frequentato per sistemare le attività, i
bisogni ma anche per autorilevarsi.

Il gruppo ha diverse dimensioni:

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 Fiducia necessaria per promuovere il sapere investendo sulle relazioni.
Per avere fiducia è indispensabile un impegno costante e quotidiano.
 Cambiamento esperienza formativa e trasformativa. È fondamentale in
un gruppo aprirsi alle diversità e lasciarsi interpellare sulle varie
differenze.
 Responsabilità nasce quando ci si sente parte del sistema e si risponde
di se stessi “sentirsi parte” = “fare la propria parte”.
 Riflessività collaborare con gli altri è uno specchio che riflette i propri
saperi e comportamenti. Aiuta a trovare nuovi stimoli per crescere come
singoli e come gruppo.

Il lavoro di gruppo per fare progetti a scuola

Il progetto e la sua efficacia si dimostra con l’atto educativo, esso è infatti un


modo di apprendimento collettivo perché dai colleghi si possono imparare
diversi modi di problem solving.

La libertà di insegnamento individuale si completa nel lavoro coordinato senza


annullare le individualità.

Buona efficacia di progettazione deriva da un buon clima di collaborazione.

Co-teaching: è una forma di collaborazione dei docenti nelle ore di


compresenza ma anche in fase di progettazione, analisi e monitoraggio delle
pratiche didattiche.

Ogni gruppo è convocato in un gruppo che poi viene valutato. La valutazione e


il lavoro collegiale mandano la riflessione al centro della professionalità del
docente.

Il ruolo del dirigente/coordinatore

Ogni gruppo deve essere condotto da un coordinatore:

 Interviene per accompagnare le dinamiche, per facilitare il lavoro e


renderlo più produttivo.
 Motiva i singoli a lavorare in gruppo che spesso è istituzionalizzato
(formato da e nella scuola)
 Affianca il dirigente nella leadership.

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Nella vita di un gruppo sono inevitabili i conflitti, spesso dovuti da pareri e
vissuti diversi ma è compito del coordinatore gestire le difficoltà.

Il ruolo del coordinatore è sia di tipo operativo che relazionale. Ma tale ruolo
richiede anche un controllo su se stessi.

Il compito del dirigente scolastico è:

 Avere il potere di valorizzare le risorse umane


 Garantire la validità dell’offerta formativa
 Motivare e responsabilizzare il collegio docenti

Però spesso le difficoltà dell’agire in gruppo derivano dal dirigente stesso che
non possiede una formazione adeguata. È fondamentale che il dirigente operi
su più livelli per favorire la collegialità:

 Sviluppando precise strategie di organizzazione


 Individuando i compiti chiari e azioni concrete
 Monitorando i processi

“far parte di un gruppo di lavoro collaborativo fa crescere le persone e i


contesti”.

CAPITOLO 7 – VALUTARE E PROMUOVERE IL


BENESSERE A SCUOLA

La valutazione e il successo scolastico

L’ingresso a scuola è la prima occasione di essere valutati da persone fuori


dalla cerchia familiare.

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Pedagogie implicite cosa un bambino deve saper fare secondo i filtri degli
adulti che leggono e interpretano il modo di essere di un bambino.

Spesso due maestri valutano in modo diverse perché entrano in gioco la


soggettività oltre che l’oggettività. La valutazione implica che emergono alcuni
valori considerati prioritari per decidere che giudizio formulare. La valutazione
ha assunto valori come universalità e uguaglianza tralasciando differenze
riscontrabili negli allievi che hanno assunto valore negli anni ’70.

Il successo o insuccesso scolastico determina le future scelte degli studenti.


Valutare è un atto di responsabilità perché bisogna tenere conto che influisce
sul modo di vivere a scuola e nella vita.

La valutazione può essere:

 Formale: voto è stabilito da norme ministeriali.


 Informale: sguardo di approvazione o disapprovazione.

La valutazione non è solo una misura dell’apprendimento ma è un processo


relazione e interattivo. Da pochi anni la valutazione interessa anche l’infanzia
per via delle schede pre-scrittura, pre- calcolo per rilevare il grado di sviluppo
cognitivo.

Le modalità di comunicazione e di ascolto caldo e accogliente degli insegnanti


generano prestazioni migliori. Al contrario, atteggiamenti inadeguati e poco
rispettosi generano negli allievi fallimento e il non accettare di apprendere.

La valutazione ha due funzioni:

 Sommativa: se fatta in fase conclusiva del processo di apprendimento.


 Formativa: regola le modalità didattiche scelte dall’insegnante, si chiede
ai bambini di autovalutarsi.

In generale la valutazione serve per capire se e come gli alunni hanno acquisito
le abilità necessarie al successo scolastico.

Per capire le potenzialità e i limiti degli allievi l’insegnante deve:

 Predisporre contenuti che valorizzano le capacità di ogni allievo.

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 Farsi carico dei propri errori mettendo in dubbio, se necessario, i metodi
e le strategie utilizzate.

Fare scuola tutti coloro che vivono nel contesto scolastico devono poter
riflettere e condividere i propri interessi.

Funzione di controllo: quanto i bambini hanno imparato rispetto gli obiettivi che
ogni insegnante si era prefissato.

Funzione di “tribunale” sancire meriti e demeriti di dominio di tutta la classe.


In questo caso la valutazione è vista come una pratica pubblica.

Curriculum nascosto: a scuola si individuano i ruoli che gli alunni avrebbero


ricoperto in società spesso se venivi da una famiglia povera avevi voti negativi
o gli si consigliava di abbandonare gli studi. Quindi in base al proprio ceto
sociale si scriveva il futuro, era una “scuola di classe”.

Ma dall’art. 34 la scuola iniziò a essere aperta a tutti e in nome del principio di


uguaglianza tutti avevano le stesse condizioni sociali. Prima era “scuola di
classe” ora “scuola di merito”. Infatti, la scolarizzazione di massa cambiò i
criteri di valutazione creando uguaglianza e pari opportunità passando da
scuola di classe a scuola di merito. La promozione sociale non è solo per ceti
alti ma per i meritevoli di qualsiasi ceto.

Uno studio sociologico ha messo in luce che i voti dipendono anche dalle origini
etniche e sociali, spesso i bambini immigrati prendono voti insufficienti.

Le insegnanti devono valorizzare le potenzialità degli allievi, la valutazione non


è un intervento sanzionatorio ma un’occasione per promuovere
l’apprendimento.

La scuola deve essere un’istituzione inclusiva, ovvero, aperta e uguale per


tutti. Al centro ci deve essere il bambino e le sue capacità, c’è uno scambio
reciproco tra alunni e maestre.

Una valutazione proattiva e formativa tende ad aumentare l’autostima di


ciascuno.

Spesso il fallimento è dovuto anche da situazioni familiari che non sostengono


gli studenti e pensano che terminare gli studi sia la soluzione.

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Tra i bambini ci sono delle differenze è anche una questione culturale e non
solo sociale. I bambini che crescono in una famiglia molto vicina alla cultura e
che desidera trasmettergliela creerà un successo scolastico. I bambini che
crescono in una famiglia culturalmente attiva devono affidarsi alle insegnanti
che formeranno un dialogo costruttivo tra scuola e famiglia.

Le idee e le immagini di valutazione

Politiche valutative personalizzate: sono utilizzate da chi valuta inserendo


anche la soggettività attraverso le proprie filosofie educative.

La qualità della valutazione dipende da fattori come: caratteristiche degli


insegnanti, contesto lavorativo e caratteristiche degli allievi.

I metodi di lavoro possono essere:

 Tradizionale: minore responsabilità agli allievi sul loro percorso di


apprendimento.
 Progressivo: metodo di insegnamento meno tradizionale (con nuove
tecnologie)

Gli studenti sono soggetti attivi e responsabili.

Le rappresentazioni sono i modi con cui l’individuo conosce e interpreta la


realtà, sono dei momenti dinamici ed evolutivi. Lo scopo è comprendere e non
agire, rendere l’ignoto familiare.

Le maestre valutano non sono tramite un test ma osservando l’alunno e


l’impegno e lo sforzo impiegato. La valutazione è quindi inquinata da elementi
di soggettività, quindi le maestre valutano in modo diverso in base a quello che
ritengono più importante. Gli insegnanti tendono a sopravalutare un alunno
forte e sottovalutare un alunno debole. Si ha l’idea che un bambino brillante in:

 Matematica sia intelligente e rispettoso delle regole.


 Lingue abbia competenze logiche e creative- sociali
 Arte scarsi risultati nelle altre materie.

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I compiti cognitivi sono diversi dalle qualità morali. I primi sono valutati
attraverso la valutazione delle competenze mentre le qualità morali sono
valutate davanti ad uno scarso rendimento scolastico.

Rappresentazioni ed aspettative sono correlare. Se vengono superate


l’insegnante sottovaluta l’alunno e il risultato conseguito.

La presenza di un consulente rende le rappresentazioni più flessibili, permette


di contestualizzare le rappresentazioni e far notare come influisce il
comportamento delle insegnanti sui bambini. Quindi si crea un modello
relazionale più aperto alle nuove informazioni.

Far luce sulle teorie implicite con confronti collegiali fa comprendere le


difficoltà e incoraggia una conclusione del programma ministeriale.

Secondo il punto di vista degli allievi essere valutati non è semplice e questo
dimostra che il voto è un elemento essenziale della esperienza scolastica.

La valutazione è un giudizio di valore individuale. Non esprime solo


un’informazione tecnica ulla quantità e qualità delle conoscenze. I voti
determinano i successi/insuccessi e questa concezione aumenta all’aumentare
del grado scolastico. I bambini apprendono sin da subito cosa gli insegnanti si
aspettano da loro e come rispondere alle loro richieste. Uno studio afferma che
gli elementi importanti per gli alunni riguardo la valutazione sono: impegno e
sforzo dimostrato durante l’acquisizione di competenze.

Alcuni studi affermano che essere valutati è necessario per migliorarsi. È


necessario riflettere sui propri errori.

I bambini non tollerano essere trattati in modo diverso dai propri compagni.

Gli strumenti della valutazione dei sistemi educativi e formativi

Con l’affermarsi delle autonomie scolastiche si è verificato un grande interesse


per la valutazione in modo da individuare le forze e le criticità delle istituzioni
scolastiche. Le valutazioni analizzate sono l’autovalutazione dell’istituto e la
comparazione tra istituti e territori.

Compito dell’invalsi è quello di monitorare questo duplice processo di


valutazione.

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Dal 2015/2015 le scuole devono compilare il RAV che è un rapporto di
autovalutazione.

Lo scopo di questi test è se gli studenti riescono a risolvere i problemi delle


situazioni di tutti i giorni e se riescono continuare ad apprendere. Tutti questi
sono strumenti di valutazione degli allievi ma anche della scuola. Quindi gli
insegnanti spingono gli allievi a rispondere in modo corretto alle domande delle
prove.

L’efficacia dell’insegnamento non si vede solo dai voti degli studenti ma anche
dalle capacità di predisporre un’ambiente adatto a tutti.

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