Ebbe una carriera molto lunga e collaborò come psicologo alla seconda guerra mondiale. Egli nei
suoi ultimi anni di vita de nisce la sua pedagogia PEDAGOGIA NARRATIVA. Con pedagogia
narrativa si intende dare una continuità dove non c è, sapendo che la continuità non esiste.
-L attività mentale non è mai solitaria, è in interazione con persone e oggetti che ci circondano (es
scrivania);
-La specie umana è l unica che adotta una forma signi cativa di insegnamento formale: forma
so sticata di trasmissione delle informazioni;
-La vita mentale viene vissuta con gli altri e si sviluppa grazie a conoscenze culturali (il termine
cultura è molto di cile da capire, perché ci sono diverse forme di cultura e quindi non c’è un
singolo signi cato per il termine ma c’è un complesso di signi cati dal quale ognuno cerca di
estrapolare un proprio signi cato) è importante vedere la cultura come un oggetto sico e
ricordare che la mente non può esistere senza la cultura;
-Esiste anche l educazione non formale, che pero è pericolosissima perché non c’è controllo.
L opera più importante di Bruner è Process of education, del 1960. Egli fece un autocritica: dice di
essersi pentito di alcune cose che ha scritto.
La frase più conosciuta di Bruner fu quella in cui lui a erma che è possibile insegnare qualsiasi
argomento a qualsiasi bambino di qualsiasi età, purché si trovi in una forma onesta per farlo.
Onesto: onesto intellettualmente. Qui c’è una critica a Piaget e agli stadi dello sviluppo, dato che
egli sta a ermando che ad un bambino anche piccolo si possa spiegare un concetto di cile,
dandogli inizialmente il concetto in sintesi, poi ampliandolo sempre di più, man mano che va
avanti nella spiegazione.-> CURRICULUM A SPIRALE.
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CAPITOLO 1:
Ci sono 2 concezioni diverse all interno dello studio del funzionamento della mente, 2 concezioni
che rappresentano 2 ipotesi completamente diverse.
COMPUTAZIONALISMO e CULTURALISMO.
Il vantaggio di questa concezione è che i sistemi operativi sono utili e sono in veloci della mente
umana e alleggeriscono le funzioni delle essere umano, il primo svantaggio è che la memoria ne
risente, in quanto va esercitata.
Bruner a erma anche che la mente funziona in base al rapporto tra uomo e tecnologia, ma la
tecnologia orienta l essere umano, non lo determina.
Un altro limite sta nel fatto che vi è una di colta con processi disordinati, ambigui e sensibili (ad
es. Preghiera e amare e odiare una persona contemporaneamente).
3 tipi di COMPUTAZIONALISMO:
Modello molecolare: più primitivo, fondato sulla teoria dell associazione secondo cui ogni
complesso psichico viene da un associazione. Ci sono eventi psichici più semplici, si fa una
somma e si arriva a costruir venti psichici più complessi.
Modello algoritmico: consiste in una descrizione dettagliata di tutto ciò che succede dall inizio alla
ne di un azione. L algoritmo è un protocollo che comprende tutte le varie possibilità e tutto
questo deve essere riscritto in termini computazionali sui quali si può lavorare.
Modello adattivo: è il modello che ha a che fare con le strategie che l individuo utilizza per
ricordare, imparare conoscere e risolvere problemi. Noi sappiamo che ad ogni comando in input,
corrisponde un comando di risposta output, che è quello che interessa a noi in questo caso. In
questo modello si descrive l output per ridurre la complessità, rispondendo meglio all ambiente e
adattandosi meglio.
Bruner vorrebbe riuscire ad avvicinare le due concezioni per farle interagire tra loro. Bruner non
vuole arrivare all idea per cui tutto è relativo perché non si può essere relativisti in pedagogia. Per
questo motivo è importante ricordare che Bruner non parla di verità ma di verosimiglianza. Ma
come si cerca la verosimiglianza? Con la metodologia dell ermeneutica, che è l interpretazione dei
testi.
Il culturalismo è interessato all’intersoggettivita, ovvero capire come gli essere umani giungono a
capire la mente degli altri.
7_ Principio istituzionale
9_ Principio narrativo
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PRINCIPIO DELLA PROSPETTIVA:
È il principio secondo il quale il signi cato di qualsiasi fatto, proposizione o incontro è relativo alla
prospettiva da cui lo si osserva. Quindi, comprendere qualcosa in un modo non preclude la
possibilità di capirlo in altri modi. Bisogna essere consapevoli che allo stesso evento possono
essere attribuiti più signi cati. Però l’esattezza di un interpretazione non esiste a priori, dipende
da 3 regole: dimostrazione, concordanza e coerenza. Vediamo l esempio del canale i panama, che
è quello che fa Bruner nel suo libro: il canale di Panama, realizzato nel 1903 può essere spiegato a
scuola sia come episodio violento della storia dell imperialismo statunitense, sa come un episodio
chiave dell evoluzione dei trasporti transoceanici senza porre l accento sulla violenza statunitense;
si tratta di due prospettive diverse ma entrambe corrette storicamente. Questo è il principio della
prospettiva. Quindi il prospettivismo parte dal riconoscimento dei fatti che possono essere
collocati in diversi percorsi. Di per se il fatto non ha un senso, si presenta nella sua naturalità,
siamo noi ad attribuirgli un signi cato sovrapponendogli un racconto, è attraverso la narrazione
che si da la prospettiva.
È il principio secondo il quale ci sono due tipi di limitazioni: uno inerente alla natura stessa del
funzionamento della mente umana e uno inerente al funzionamento del linguaggio.
Il limite inerente alla natura del funzionamento della mente umana sta nel fatto che non siamo in
grado di non concepirci, e di non concepire, quindi, la nostra mente, come un sistema di eventi
causali, cioè come un succedersi di eventi che si veri cano come causa ed e etto. Per capire
meglio il limite possiamo dire che il limite sta proprio nel fatto che lo stato attuale sarà sempre
in uenzato da quello precedente; nonostante l evoluzione della nostra specie ci abbia dotato di
una grande immaginazione, il nostro pensiero verrà sempre condizionato da ciò che pensavamo
prima di quel momento. Bruner a erma che è compito della pedagogia, dell educazione e della
cultura far sì che si superino questo tipo di limiti, che almeno si sia consapevoli della loro
presenza.
Il secondo, il limite del linguaggio, è chiamato anche teoria di Whorf-Sapir. Secondo questa teoria
il limite del pensiero è dato dal limite del linguaggio, o, in altre parole, il pensiero rende forma dal
linguaggio. Ad esempio, un tedesco e un italiano non potranno mai comprenderei perché i
linguaggi sono incompatibili. Se dentro il linguaggio c’è anche il modo di pensare, vorrà dire che il
tedesco penserà da tedesco e l italiano da italiano. Lo stesso discorso vale, ovviamente, per tutte
le lingue, cioè ogni sistema linguistico ha al suo interno un sistema di pensiero. Per questo motivo
si parla di limitazioni imposte dal linguaggio.
Bruner non è d accordo con la teoria Whorf-Sapir, egli a erma che, nonostante i limiti linguistici, l
uomo riesce comunque a comunicare, in quanto l essere umano non può non comunicare.
Bruner prende questo principio dal losofo Nelson Goodman, secondo il quale la realtà è il
risultato di un costruzione. I signi cati che diamo la realtà sono costruiti e quindi anche i mondi
sono costruiti. In questo senso l educatore deve aiutare i giovani a usare gli strumenti per
costruire questi mondi, in modo che possano adattarsi al meglio al mondo in cui si trovano e, se
necessario, cambiarlo.
PRINCIPIO DELL’INTERAZIONE:
È il principio più importante sul piano pedagogico, perché sta alla base degli studi pedagogici
degli ultimi 100 anni. Bruner in questo principio spiega che l’apprendimento o è collettivo o non è
apprendimento. Cioè, si apprende solamente quando si apprende all interno di una sotto-
comunità nella quale si svolge un interazione.
In questo principio c’è una critica al sistema scolastico occidentale, che rende poca giustizia
all’importanza dell’Intersoggettività nella trasmissione della cultura.
Questo non vuol dire che Bruner sminuisce il ruolo del maestro, anzi, il ruolo del maestro secondo
questo principio si complica, perché lui deve orchestrare questo scambio di signi cati, queste
discussioni e si assume anche il compito di stimolare gli altri ad assumere il suo ruolo.
Per intersoggettivita di si intende qualcosa su cui siamo tutti d’accordo, ma che non combacia
con l’oggettività. La di erenza tra soggettività e oggettività la capiamo pensando al fatto che tutti
ci possiamo mettere d’accordo sulla presenza di un asino volante fuori dalla nostra classe, quindi
avremmo una coscienza Intersoggettiva, perché ce l’abbiamo in tanti, però non è oggettiva, in
quanto non ha un fondamento scienti co.
ci sono le opere maggiori, che comprendono le arti, le scienze e la mentalità, che sono dei
complessi immaginari che si creano con il tempo. Vediamo la mentalità, la mentalità è un opera
che è stata prodotta e che ha un esistenza autonoma; basti pensare che una cosa non là si deve
fare perché è così, perché è la nostra mentalità, non perché segue una regola scritta.
Ci sono poi, le opere minori, che fanno capire meglio il principio di esternalizzazione, e sono
opere che danno motivo di orgoglio, di identità, senso di comunità anche a coloro che
partecipano non direttamente alla loro creazione.
Bruner fa l’esempio della coppa di campionato. Egli pensa alla squadra della scuola o della classe
che vince un campionato sportivo e come premio ottiene una coppa. La coppa è una e la danno
alla classe o alla scuola. La coppa viene portata a scuola e viene esposta in bacheca ed è questo
che da senso alla coppa. Il fatto che venga messa in bacheca è fondamentale. È importante che
tutti la vedano e sentano un senso di compattezza, di solidarietà di gruppo. Cosa importante da
ricordare e che le opere fanno un senso di divisione del lavoro necessaria per dare vita all’opera.
Con questo concetto Bruner vuole comunicare che le attività di gruppo a scuola sono
fondamentali se danno vita a prodotti visibili ed evidenti nella quotidianità.
All inizio di questo principio Bruner speci ca che l’educazione, comunque venga impartita,
produce sempre delle conseguenze nella vita di chi ne usufruisce, non è mai neutrale e priva di
conseguenze sociali ed economiche, perciò l’educazione è sempre politica.
Inoltre Bruner a erma anche che non c’è niente di super uo in educazione, nel senso che ciò che
pare super uo spesso non è altro che raro e la rarità ha un valore.
Qualunque aspetto dell’ educazione fornisce abilità e modi di parlare e di pensare, è tutto ciò che
può essere utilizzato in cambio di distinzioni sui mercati istituzionali in una società. Nel senso che
in ogni mercato, o campo, noi possiamo utilizzare ciò che ci distingue gli uni dagli altri e in cambio
di queste distinzioni abbiamo dei riconoscimenti. Quindi l educazione non è neutrale, ha sempre
delle conseguenze socioeconomiche, e da qui si deduce che è sempre politica.
Successivamente Bruner parla di due aspetti che compongono questi principio che sono il talento
e l’occasione. Per quanto riguarda il talento Bruner ritiene che abbia molti aspetti che non
possano essere rilevati da un semplice test, come quello del Q.I. ma che abbia qualcosa di più.
Il talento è la capacità di saper distinguere i contesti in cui si parla e in cui si fa signi cato, cioè
distinguere che comportarsi a casa non è uguale a comportarsi in classe.
Questo ci porta a parlare del curriculum, che secondo Bruner deve essere uguale per tutte le
scuole, sia in un contesto ricco che in un contesto povero. Tuttavia il tema del curriculum può
diventare una questione politica, bisogna stare attenti a non incorrere nel pericolo del curriculum
clandestino, ovvero il modo in cui una scuola adatta un curriculum agli alunni che si trova davanti,
esprimendo così un giudizio sugli alunni. Dal punto di vista di Bruner ci vuole semplicemente una
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maggiore consapevolezza dell’occasione in cui ci si trova ad insegnare e adattare questa
consapevolezza in modo da venire incontro a determinare esigenze a cui non si può rispondere in
altri contesti.
PRINCIPIO ISTITUZIONALE:
Bruner precisa che la scuola in Occidente è un’istituzione. Un istituzione può essere vista come
un sistema di scambio, scambi in termini piccoli, ad esempio “tu segui per 12 anni corsi che io
impartisco e al termine ti do il diploma”. La scuola, come le altre istituzioni, presenta dei problemi,
ci sono dei rituali che si auto-riproducono e non sempre sono portati avanti coscientemente,
spesso vengono portati avanti ma non se ne conoscono le ragioni. Nelle istituzioni ognuno ha il
proprio ruolo, che non è scambiabile con altri.
Questo Bruner lo speci ca perché vuole farci capire che l’educazione non avviene in un contesto
neutro, avviene in un contesto istituzionale all’interno del quale si hanno registri, note assenze è
un sistema di valutazione. Ad una determinata prestazione corrisponde una determinata
valutazione, ed è questo il principio istituzionale, serve per ricordarci che il sistema educativo in
Occidente non è solo un processo in cui la comunicazione avviene formalmente.
Un altro punto che viene esaminato da questo principio è il fatto che un individuo può nella sua
vita essere fedele a varie istituzioni, ad esempio un docente di diritto penale può anche essere un
avvocato. Questo può far sì che si crei un con itto tra queste due istituzioni di appartenenza. Per
risolvere questo con itto deve esistere una dialettica, la dialettica della risoluzione dei con itti.
Per risolvere i vari problemi che si presentano nelle istituzioni Bruner invita ad avere una maggiore
collaborazione tra le istituzioni, dato che ritiene che il problema educativo sia troppo importa per
essere lasciato in mano ai soli educatori di professione.
Questo principio è così generale da comprendere praticamente tutti quelli precedenti. Bruner
all’inizio del principio parla del Se, come sdoppiamento del Se, e cioè spiega che noi conosciamo
il Se dalla nostra esperienza interiore e dal fatto che si sia sdoppiato e cioè che lo riconosciamo
negli altri. Ci sono due aspetti del Se che vengono considerati universali, e sono la capacità di
azione e la valutazione. La capacità di azione è la capacità di considerarsi come soggetto attivo,
cioè un soggetto che agisce, da qui deriva l’identità personale, che deriva anche dalla valutazione
della possibilità di poter iniziare delle attività autonomamente. Quindi il valutarsi come soggetti
attivi e capaci di decidere le nostre azioni.
Il Se è anche il nostro ambiente, non sta solo all’interno. Un contesto che fa parte di questo
ambiente e di cui parla anche Bruner è la scuola.
Questo ci ricollega al secondo aspetto del Se che dobbiamo analizzare che è la valutazione. Le
nostre azioni sono soggette alla valutazione, e anche ad un auto-valutazione. Dall’autovalutazione
deriva l’autostima, la quale nasce dalla nostra percezione delle nostre capacità. Il successo è il
fallimento sono, infatti, i principali elementi che nutrono lo sviluppo del Se. A scuola un bambino
incontra per la prima volta questi elementi. La scuola giudica il rendimento del bambino, e quindi
il bambino risponde giudicando le sue capacità e quindi costruendo o no la sua autostima. Un
fallimento a scuola può ripercuotersi sulla percezione che il bambino ha della sua persona e delle
sue capacità. Per Bruner la scuola dovrebbe dare i mezzi agli insegnanti per aiutare l’alloevi nella
costruzione dell’ autostima, dal momento che non è un processo semplice o scontato. Bruner da
anche alcuni suggerimenti e dice che per valorizzare l’autostima si potrebbe dare una seconda
possibilità all’alunno, apprezzare un suo tentativo e dargli anche l’opportunità di dialogo in modo
da rendergli più semplice capire perché alcune cose non sono andate nel verso giusto.
PRINCIPIO NARRATIVO:
Il principio narrativo nasce per spingere a valorizzare la narrazione nella scuola. Bruner è convinto
che la narrazione aiuti i bambini nella crescita, a crearsi un posto nel mondo. Ai ragazzi li aiuta a
creare dei signi cati che poi possono collegare alla loro vita. Nonostante questa importanza,
molte scuole trattano le arti narrative come se fossero secondarie, come qualcosa di decorativo e
non necessario. Ma Bruner a erma che non deve essere così, sono molto utili se proposte in un
altra maniera, perché non sono semplici decorazioni ma sono forme espressive molto importanti,
perché noi esprimiamo, narriamo.
Quindi il concetto fondamentale è che bisogna valorizzare di più la narrazione nella scuola.
Noi rappresentiamo la nostra vita sotto forma di narrazione e la narrazione produce un emozione,
si pensi ad esempio all’esortazione “raccontami cosa ti è successo”, suscita un interesse.
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La narrazione deve essere valorizzata in tutti gli ambiti, non solo umanistici. Per Bruner si
potrebbero rappresentare anche i manuali scienti ci in termini narrativi. La narrazione e la scienza
devono procedere insieme.
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CAPITOLO 2:
PEDAGOGIA POPOLARE
La pedagogia popolare non è semplicemente una pedagogia di tipo quotidiano e che tutti
possono impartire, ma è sinonimo di pedagogia spontanea, che prescinde dallo studio. Il
concetto base è che ciò che insegno e come lo insegno è sulla base di ciò che penso che
pensino i miei allievi.
Il primo concetto da analizzare è il concetto di tabula rasa, e cioè insegnare alle teste vuote.
È una concezione falsa, a rigettare, perché l apprendimento non deve essere mai passivo. Il
problema sta nel fatto che molti discenti continuano ad insegnare secondo questa concezione
perché l istituzione scolastica continua ad imporlo. Per risolvere questo problema bisognerebbe
cambiare l istituzione, ma ovviamente è una cosa troppo di cile da fare perché è una concezione
troppo radicata.
Chiaramente questo discorso si può fare anche in senso inverso, ovvero cosa pensano i discenti
che il docente pensi.
Quindi, possiamo a ermare che si ha a che fare non con il mondo, ma con le credenze sul
mondo, cioè su ciò che è costruito.
Bruner invita a guidare la pedagogia popolare per essere più consapevoli delle credenze a cui si è
oggetti.
Bruner parla di 4 modelli della mente dei discenti, che sono narrazioni che rievocano un certo
modo di educare, che derivano dallo studio della pedagogia popolare.
Nei primi due modelli il soggetto che impara è visto in maniera passiva, e sono
1) i bambini apprendono per imitazione: cioè basta dire di osservare come faccio una cosa per
farla imparare anche al bambino, in alcuni casi funziona ma, logicamente, non è adatto a tutti i
tipi di insegnamento perché manca la parte, spesso fondamentale, della spiegazione teorica;
2) I bambini apprendono per esposizione didattica: discorso inverso rispetto al primo, c è la sola
spiegazione della teoria, ma manca la parte, spesso fondamentale, della pratica.
Nel terzo modello si rischia di cadere nell anarchismo, ed è quello che vede
3) i bambini come pensatori: l insegnante si deve preoccupare di capire osa pensa il bambino e
anche come arriva a pensarle. Il bambino viene incoraggiato ad esprimere le s idee per poter
attuare l incontro con le menti di altri che possono avere punti di vista di erenti.
Il quarto modello è quello più apprezzato, in quanto comporta una gestione della conoscenza
obbiettiva, quindi imparare e dimostrare, utilizzare i protocolli della scienza.
4) i bambini come soggetti intelligenti: secondo questo modello l insegnante dovrebbe aiutare i
bambini a cogliere le distinzioni fra conoscenza personale e conoscenze che una cultura
considera acquisite.
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CAPITOLO 3:
Il primo problema che Bruner individua riguarda il fatto che la pedagogia è contraddittoria perché
la nostra epoca è un epoca di mutamenti , quindi vi sono delle contraddizioni, cioè delle antinomie
che sono una contraddizione tra due enunciati entrambi veri, ma contraddittori uno con l’altro.
L’educazione è favorevole all’autonomia, punta a passare dall’eterno nomina (regole imposte dagli
altri) all’autonomia (darsi le regole da soli). Quindi la funzione dell’educazione è quella di
consentire alle persone di sfruttare meglio le proprie potenzialità. Tuttavia educazione è anche
riproduzione di cultura, riproduzione di contenuti, consegna da una generazione a un’altra dei
contenuti. Quindi l’educazione ha anche un ne conservativo. C’è un ne conservativo accanto a
un ne che mira all’autonomia, pertanto siamo di fronte ad un antinomia. Per trovare il giusto
equilibrio si può cercare di muoversi con moderazione. L’individuo vive in una società, per cui non
può essere privo di leggi, e allo stesso tempo non si può accentuare neanche troppo l’altro
aspetto perché questo comporterebbe un tradizionalismo eccessivo, un immobilità. Allora
bisogna adottare una soluzione intermedia.
Qui l’antinomia è intra-psichico vs Inter-psichico, e ciò vuol dire che l’educazione è intra-psichica
ma l’educazione funziona perché funzionano bene i rapporti interpersonali. Quindi da una parte si
pone l’accento sulle motivazioni e sul talento naturale del singolo invidio, dall’altra parte si pone
l’accento sul contesto in cui questo avviene. Il talento individuale per poter prosperare deve
essere in un contesto che lo faccia rendere al meglio. Quindi dobbiamo riconoscere le di erenze
tra i talenti naturali ma dobbiamo fornire a tutti gli strumenti della cultura.
3-particolarismo vs universalismo :
Un esempio di particolarismo può essere la de scolarizzazione, che è una corrente che ritiene che
la scuola sia solo uno strumento di potere che mira all’universale.
Particolarismo e universalismo sono entrambi validi e vanno moderati, evitando entrambi gli
eccessi.
Dopo queste antinomie Bruner parla del programma Head Start. Da questo programma ebbe
origine l’ipotesi della deprivazione. Per crescere è necessario che l’ambiente ci o ra delle
opportunità. Si studiarono i neonati cresciuti in incubatrici, quindi in ambienti privi di stimoli, e si
arrivò alla conclusione che questi regredivano ancora di più quando cominciavano la scuola. La
mancanza di una buona partenza può destinare i bambini a dei futuri fallimenti.
Negli anni 60 presero avvio gli studi sulla memoria e si capì che i bambini erano molto più
intelligenti e reattivi di quanto si pensava no a quel momento. Questa scoperta sposto subito
l’attenzione sui modi in cui i bambini possono essere aiutati per sviluppare al meglio le proprie
capacità, e quindi diventare poi degli adulti e caci.
Si capì che era fondamentale l’interazione umana a doppio senso anche con i neonati.
Il programma quindi venne messo in dubbio, anche per gli alti costi che bisognava sostenere per
portarlo avanti, ma riuscì a sopravvivere perché aveva dato vita alla consapevolezza che
intervenendo presto nella sfera evolutiva dei bambini si poteva migliorare la loro prospettiva
futura. I bambini che avevano frequentato Head Start avevano maggiore possibilità di frequentare
più a lungo la scuola, di ottenere e mantenere più a lungo un laborò e meno possibilità di andare
in prigione.
Secondo Bruner questo rappresento sicuramente un grande passo avanti nell’approccio ad una
questione no a quel momento rimasta non trattata, ma allo stesso tempo non si a rontava il
fulcro del problema, e cioè la discriminazione.
La scuola stava così legittimando le disuguaglianze che il sistema sociale creava tra le classi
sociali. Il problema stava nel fatto che gli allievi venivano trattati come uguali, chiedendogli di
adattarsi a modelli culturali estranei alla loro cultura di provenienza. Per Bruner i programmi
prescolari del passato trattavano come carenze culturali quelle che erano di erenze culturali.
Quindi egli a erma che bisogna dare ai bambini una possibile via d’uscita da una cultura della
povertà e un esempio può essere quello, di cui abbiamo già parlato, della scuola di Okland, in
California. La creatrice di questo progetto scolastico è Ann Brown e ha come obiettivi il
miglioramento nella lettura, nei risultati ai test e miglioramento dei risultati nali in seguito ad una
riforma scolastica. In questo progetto è importante la collaborazione sia fra studenti che fra
insegnanti che partecipano al progetto è il fatto che le idee di ognuno venivano ascoltate ed
analizzate con lo scopo di promuovere un “insegnamento attraverso la partecipazione”. Far
sentire una persona un membro responsabile della comunità può solo portare bene ci.
Quindi la scuola deve diventare un luogo in cui viene praticata la reciprocità culturale che
presuppone che i bambini sappiano quello che fanno, come e perché lo fanno. Nelle scuole in cui
l’apprendimento è partecipativo e collaborativo si ottengono risultati migliori.
Una riforma dell’educazione, quindi, non può esserci se non si hanno insegnanti che partecipano
attivamente e che sono pronti e disponibili ad aiutare chi ha bisogno.
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CAPITOLO 4:
Il presente, il passato il possibile sono 3 saperi, ovvero le 3 P. Il presente è lo studio del presente,
più precisamente della nostra società (nella concezione delle nostre scuole non è importante lo
studio dell’attualità); il passato è la storia, che è un sapore fondamentale perché tutto parte della
storia in a bit umanistico, soprattutto in Italia, che ha tutti gli studi impostati in questo modo (non
si fa loso a ma storia della loso a), la cultura italiana è profondamente storicistica, e anche la
cultura pedagogica; il possibile è il mondo della letteratura, è ciò che non è ma che potrebbe
essere. Il presente, il passato e il possibile sono delle narrazioni.
Bruner a erma che a partire dalla stoia degli anni 70 e per tuti gli anni 80 c è stato un grande
interesse per il tema della performance, che ha portato a sottovalutare che cosa avvenga in una
classe reale.
Per Bruner bisognerebbe studiare di più la pedagogia popolare, e parlando di questo lui si
ricollega al progetto educativo di Ann Brown, nella scuola di Oakland. In questo progetto Ann
Brown ha concepito la cultura della classe in termini di intreccio tra capacità di azione e
collaborazione, in cui i bambini creano ipotesi e signi cati che negoziano con gli altri. La capacità
di costruire un interpretazione del presente, del passato e del possibile si sviluppa meglio in un
contesto collaborativo. Grazie al confronto tra idee, ipotesi e alla negoziazione dei signi cati i
bambini sviluppano la capacità necessaria per riuscire a considerare il proprio punto di vista come
uno dei possibili.
Bruner elenca 4 idee che abbiamo già visto tramite i 9 principi: l’agency(la capacità di azione, il
controllo sulla propria attività), la ri essione (il fatto che si debba dare un senso a ciò che si
apprende), la collaborazione (ci dovrebbe essere sempre tra gli allievi) e la cultura (è un concetto
complicato ma qua si intende qualcosa di più semplice, uno stile di vita e di pensiero su cui si
negozia).
Bruner vuole dimostrare che nelle materie umanistiche si può essere rigorosi come nelle materie
scienti che. Lui si interroga sul tema delle passioni e per capirlo parla della volta che due
funzionari russi gli hanno chiesto di collaborare alla riforma dei programmi scolastici in Russia
(1989) e gli hanno chiesto consiglio su cosa insegnare e in che modo della storia russa. A volte
nella storia ci sono dei traumi, il problema sta nel fatto che spesso la storia è la storia dei vincitori.
La storia scritta dai vincitori non è un fatto neutro, è un fatto densò di passioni, di emozioni e di
sentimenti : una storia neutra non esiste. In un certo senso questo l’abbiamo già detto nel
principio della prospettiva. Gli stessi fatti che vengono inseriti in una narrazione di erente
possono essere inseriti con una prospettiva di erente. Bruner esamina le di erenze tra
spiegazioni scienti che e interpretazioni storiche. A erma che le di erenze scienti che spesso
muoiono spontaneamente, vengono superate da studi che si vengono a costruire
successivamente oppure muoiono per mancanza di generalità. Però molte spiegazioni scienti che
del passato sono ancora valide. Riguardo alle interpretazioni storiche invece Bruner a erma che
nel XIX secolo era considerato valido solo il sapere scienti co, i saperi umanistici venivano
considerati superati quindi si interroga sul loro scopo e perché bisognasse la storia. Egli risponde
che serve per formare il nuovo italiano. A questo punto si domanda come si possono proporre
perché all’epoca storia e letteratura sembravano non spiegare niente, sembravano soltanto un
arricchimento della mente. Ad esempio questa considerazione ce l’ha Wilhelm Dilthey, un losofo
tedesco che conia il termine “Geisteswissenschaften” cioè scienze dello spirito, perché le
considera scienze dell’anima, per lui non sono né saperi scienti ci ne saperi umanistici, ma sono
una forma di ornamento del discorso. Dilthey è molto importante perché con la sua concezione ci
ha portato ad avere una concezione di questo tipo.
Bruner non è d’accordo con questo discorso, perché egli a erma che la narrazione non è solo
una forma di espressione della conoscenza ma è di per se una forma di conoscenza. Quindi i
saperi umanistici non è vero che non spiegano niente, portano alla compressione o all
interpretazione. Se i saperi scienti ci spiegano, i saperi umanistici interpretano, è l’obiettivo del
l’interpretazione è la comprensione non la spiegazione.
Nei saperi umanistici più si ricerca il dettaglio, meglio è. La narrazione è uno strumento della
comprensione e la di erenza tra spiegazione e comprensione consiste nel fatto che una
comprensione non ha alcun primato su altri tipi di comprensione. Un testo lo si può leggere in
tanti modi, un interpretazione narrativa non ne esclude altre.
Un altro punto di cui Bruner parla è quello della verosimiglianza. Tutte le interpretazioni per Bruner
devono essere verosimili e la verosimiglianza per è un complesso di coerenza e di utilità pratica.
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Bruner intende la coerenza in termini logici, ad esempio la maestra che dice al bambino di provare
a dire una cosa con parole sue in modo argomentativo.
BRUNER È UN RELATIVISTA?
No, Bruner non si può de nire relativista perché egli stesso a erma che in pedagogia non si può
essere relativisti. Per capirlo pensiamo alla storia: a scuola posso spiegare le guerre d’Italia
de nendole un momento di crisi del papato, dalla mia prospettiva, mentre un altro professore può
parlare di alcune battaglie e della scena politica, quindi propone una prospettiva in cui il papato
non ha grande importanza. Secondo Bruner un’interpretazione è sbagliata e l’altra è buona,
perché la prima interpretazione è radicata nei fatti e ha un articolazione migliore, per cui tutte le
ripetizioni sono uguali ma non tutte le prospettive sono uguali.
Bruner ritiene che con questi discorso ha provato che i metodi narrativi e interpretativi possono
essere insegnati con la stessa precisione dei metodi esplicativi propri delle scienze siche.
Secondo Bruner l’insegnante dovrebbe adottare una retorica imparziale e per fare questo basta
avere la consapevolezza che la storia non accade, la storia è costruita dagli storici, le narrazioni
sono delle costruzioni.
Dopodiché Bruner torna sui temi dell’agency e della collaborazione e dice che devono essere
messe al servizio della costruzione di storie , cioè l’agency, la consapevolezza dell’agire e la
collaborazione devono essere messe al lavoro nell’ambito dell’interpretazione per far capire che
l’apprendimento è un’impresa collettiva.
Poi Bruner a ronta anche il tema della costruzione della storia, ovvero di come si debba costruire
una storia, di quali siano le caratteristiche di una storia ben costruita e come insegnare ai bambini
a costruire una storia. A tal proposito fa riferimento a Vladimir Propp, un autore sovietico, e al suo
libro “morfologia della aba” perché fornisce alcuni metodi per costruire una aba, cioè ci fa
capire come le abe siano tutte costruite allo stesso modo. Egli dice che nelle abe troviamo 31
funzioni con cui l’autore può giocare, ma la storia è sempre quella. Nelle abe il protagonista è
quasi sempre un’essere umano mentre il mezzo è sempre sovrannaturale (cenerentola).
Dal punto di vista di Propp ci sono 4 fasi che caratterizzano una storia: un prologo, una crisi,
tentativi di superare la crisi, e conclusione. Il prologo è la parte iniziale, poi si presenta una crisi e
per superarla ci sono due tentativi: il primo è quello in cui si prova a tornare alle condizioni di
normalità, il secondo è quello in cui si prova a cambiare gli eventi per trovare poi un nuovo
equilibrio.
Oltre Propp nomina un altro autore Frye secondo cui esisto 4 strutture narrative: tragedia,
commedia , romanzo e ironia.
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CAPITOLO 5
Bruner parla del tema tra le di erenze tra spiegazione ed interpretazione. In generale sappiamo
che la spiegazione riguarda i saperi scienti ci e l’interpretazione riguarda i saperi umanistici.
La domanda che si pone Bruner a questo punto è: il processo di interpretazione può essere
spiegata in maniera scienti ca?
Il problema nel fare questo sta nel fatto che per spiegare l’interpretazione scienti camente
dobbiamo vederla come un fatto di natura e, facendo così, farebbe parte della scienza
tradizionale. Ciò signi cherebbe che l’uomo non sarebbe più un soggetto privilegiato dalla
conoscenza, ma sarebbe un oggetto insieme ad altri oggetti, rientrando anch’esso nella scienza
tradizionale.
Per questo motivo Bruner ri uta l’assimilazione dell’ interpretazione con la spiegazione.
L’interpretazione non è la spiegazione, sono dei modi di fare signi cato di erenti e non possono
essere ridotti l’uno all’altro. Nonostante questo, però, devono stare insieme. Per spiegare il perché
Bruner riprende lo studio della mente dei bambini. Noi sappiamo che i bambini sono mentalistici,
cioè hanno un idea molto ingenua del funzionamento della mente, pensano ad essa come un
usso di pensiero causale. Noi sappiamo, però, che la mente è un usso continuo non causale
ma casuale, e per capire questo la spiegazione non è su ciente, si rende necessario integrare la
spiegazione con l’interpretazione.
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CAPITOLO 6:
Per spiegare questo Bruner espone l’idea di curriculum a spirale, l’idea cioè che
nell’insegnamento di un argomento si debba partire da una spiegazione intuitiva che sia
pienamente alla portata dello studente, per poi risalire con il moto circolare a una spiegazione più
formale o più strutturata nché, con tutti i passaggi che possono risultare necessari , l’allievo
abbia capito l’argomento.
Il curriculum a spirale è uno strumento che permette di aiutare e incoraggiare il discendente. Esso
viene considerato una conversazione animata perché è serio, sempre vitale e richiede anche
immaginazione. Questa idea nacque da una massima loso ca di Bruner secondo cui “si può
insegnare qualsiasi argomento a qualsiasi bambino a qualsiasi età, purché sia fatto in forma
accettabile.” Qualsiasi campo di conoscenza può essere costruito a vari livelli di astrazione o di
complessità, il che equivale a dire che i campi della conoscenza si creano.
Esistono delle fasi di sviluppo, che determinano no a che livello di astrazione può arrivare un
bambino e con quanta velocità. Una buona comprensione intuitiva di un contesto porta a un
pensiero migliore, più precoce e più profondo nella fase successiva, quando il bambino incontra
nuovi problemi più impegnativi in quell’ambito. Come insegnante si deve promuovere questa
capacità del bambino. Fatta questa premessa, so ermiamoci ora sul tema della narrazione. La
narrazione comporta una sequenza di eventi, ed è dalla sequenza che dipende il signi cato. La
narrazione è discorso, e la prima regola del discorso è che deve avere una ragione d’essere. La
narrazione è giusti cata quando la sequenza di eventi che racconta narra qualcosa di inatteso o
di cui l’ascoltatore ha motivo di dubitare. L’obiettivo della narrazione è di risolvere il fatto
inaspettato, chiarire il dubbio dell’ascoltatore, oppure raddrizzare o spiegare in qualche modo lo
squilibrio che ha spinto a narrare la storia. In una storia ci sono due aspetti: c’è la sequenza di
eventi e c’è una valutazione implicita degli eventi raccontati. Gli eventi raccontanti in una storia
ricevono signi cato dalla storia del suo complesso. Una parte dalla storia è il circolo ermeneutico
che fa si che le storie siano soggette a interpretazione e non a spiegazione.
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CAPITOLO 7:
Come abbiamo già visto, Bruner sostiene che la scienza può essere anche più narrativa dei saperi
umanistici. Secondo Bruner un insegnante potrebbe e dovrebbe spiegare la sica o un’altra
materia scienti ca in termini narrativi, cioè spiegare un teorema, ad esempio, in termini di
scoperta.
Per capire questo non dimentichiamo che lo scienziato arriva a formulare una scoperta scienti ca
in seguito ad una crisi, ad un problema da risolvere. La scoperta scienti ca è una forma di
narrazione, e tutte le narrazioni, come sostiene Propp, hanno uno schema preciso, e, anche in
questo caso, vi è un prologo, una crisi e in ne una conclusione.
Bruner, successivamente, cerca di far capire che i 9 principi sono i 9 modi in cui le interpretazioni
narrative danno forma alla realtà.
1) una struttura di tempo signi cativo -> la segmentazione del tempo avviene in funzione dello
svolgersi degli eventi cruciali, il tempo viene suddiviso almeno in un inizio, uno svolgimento e una
conclusione.
2)particolarità generica -> le narrazioni si occupano di aspetti particolari che utilizzano per la loro
realizzazione. I generi generano i loro particolari. Un genere viene solitamente de nito come un
tipo di testo o come un modo di costruire un testo.
3) le azioni hanno delle ragioni -> quello che fanno le persone nelle narrazioni non avviene mai per
caso, nè è strettamente determinato da leggi di causa ed e etto, è motivato da convinzioni,
desideri, teorie, valori o da altri stati intenzionali,
5) canonicità implicita -> per meritare di essere raccontata una storia deve contraddire le
aspettative deve infrangere una sceneggiatura canonica o deviare.
7) la centralità della crisi -> le storie ruotano intorno a norme che vengono infrante, ed è ciò che
colloca la crisi al centro delle realtà narrative. Le storie che meritano di essere raccontate e
interpretate nascono tipicamente da una situazione di crisi.
8) negoziabilità inerente -> le storie sono di fondo contestabili, ed è questo che rende la narrativa
così utile nella negoziazione culturale.
9) la capacità di espansione storica della narrativa -> per Bruner la storia è piena di particolari
stravaganti che semplicemente si susseguono l’un l’altro è vengono invece visti come se fossero
collegati l’uno all’altro. Cioè, tendiamo a vedere la causalità, dove invece c’è il caso, il caos.
Siamo portati a riconoscere una determinata situazione ed inquadrarla all’Interno di un genere
letterario. Quindi siamo noi che diamo un senso agli eventi i quali sono singolari e casuali.
A tal proposito riprende la distinzione di Hayden White tra Annales, Chronique e Historíes.
Annales : sono le vecchie cronache monastiche di use soprattutto in epoca medievale in cui gli
avvenimenti sono riportati in modo particolarmente spoglio e i vari avvenimenti non hanno nessun
collegamento tra loro. Secondo Bruner queste sono l’esempio più puro della rappresentazione
della realtà.
Chronique : sono il tentativo di dare una continuità a degli eventi che non hanno di per se nessuna
continuità. Esempio: per spiegare che Pipino il breve era importante, nella Chronique si
cercherebbe di descrivere gli anni del suo regno.
Historíes : dovrebbero conferire coerenza e continuità alle cronache . Diciamo dovrebbero perché
è una cosa molto di cile in quanto la storia va oltre il tempo di una vita umana, ognuno la vede
come vuole. Il fatto di voler dare una coerenza e continuità alle cronache è, però , un irresistibile
tendenza umana, semplicemente perché siamo fatti così, non si può fare altrimenti. Tendiamo a
provare a vedere una continuità globale nelle cose quando invece viviamo in un mondo che è
discontinuo è casuale, non causale.
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CAPITOLO 8
SAPERE E FARE
Tra il sapere e il fare Bruner da più importanza al fare. Partiamo dalla frase tratta dal losofo
inglese Bacone : “né la mano, né l’intelletto da soli servono a granché; per portare a termine le
cose servono strumenti e ausili”. Gli strumenti, invece di essere oggetti di contorno, di ausilio,
sono ciò che con gura i nostri pensieri. Questo rientra nell’apprendimento collettivo attraverso ciò
che ci circonda. In questo senso, il fare precede il sapere, la pratica precede la teoria. L’esempio
del “prima la praxis poi il nomos” ci viene dato da Bruner raccontandoci l’episodio in cui con la
sua amica sulle Alpi saluta degli sconosciuti. Lo vede fare a lei e lo replica ma non sa bene il
motivo per cui lo debba fare. Solo una volta tornato in paese si domanda il perché lo abbia fatto è
la risposta che ottiene è che si usa farlo perché è una forma di rassicurazione. Questa
conclusione, però, viene tratta solo dopo. Quindi prima c’è la pratica, cioè il saluto ad uno
sconosciuto, e dopo viene la teoria, cioè la realizzazione di perché lo si è fatto.
A proposito del sapere e del fare Bruner presenta tre modi della rappresentazione della realtà, che
non sono stadiali ma coesistono.
2. ICONICO : posso rappresentare ciò che voglio mostrare attraverso una gura.
3. SIMBOLICO : rappresento ciò che voglio mostrare attraverso un richiamo simbolico che non
ha un contatto con la gura, come la scrittura. È ancora di più perché richiama una classe di
oggetti senza bisogno di far vedere questi oggetti, attraverso una rappresentazione si,bilica.
Il modo esecutivo oggi prenderebbe il nome di procedurale, in quanto le cose, gli strumenti,
diventano le procedure che vanno a costituire il pensiero.
Per quanto riguarda il modo iconico le immagini non rappresentano solo ciò che si vuole mostrare
ma costituiscono classi di immagini, un immaginario, delle idee, che agiscono come prototipi e
vanno a de nire il pensiero.
Il simbolo è un ulteriore allontanamento dalla realtà, però è una forma molto evoluta nella
rappresentazione della realtà, insomma è meglio scrivere che rappresentare con un disegno, è un
segno di maggiore intelligenza, però mentre l’immagine è una rappresentazione immediata di una
classe di eventi e di fatto, la rappresentazione simbolica è una rappresentazione mediata di una
classe di eventi e di fatti.
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CAPITOLO 9
Bruner parla del destino della psicologia. Come abbiamo già detto i nostri stati mentali non
sembrano limitati neanche dal principio di non contraddizione: possiamo amare e odiare la stessa
persona simultaneamente senza che essa sia una contraddizione (computazionalismo). Gli
psicologi di oggi fanno molto uso della matematica e Bruner critica chi decide di usare questo
metodo. Egli dice che noi oggi conosciamo molto di più delle nostre determinazioni biologiche, ad
esempio sappiamo che l’amigdala è la parte del cervello che gestisce le emozioni come la paura,
che l’ippocampo è legato alla memoria e quindi alle emozioni; quindi se si danneggiano certe parti
del cervello ci saranno delle conseguenze dal punto di vista del comportamento. Detto questo
Bruner a erma che, appunto, non si può ignorare la determinazione biologica dell’essere umano e
che il funzionamento umano è condizionato dall’utilizzo di strumenti.
Cioè l’uomo ha bisogno di strumenti, a di erenza di tutte le altre specie animali la sua intelligenza
per essere tale, cioè l’uomo per essere intelligente ha bisogno di strumenti.
Aggiunge poi che i modi di pensare, di cercare e di programmare hanno una matrice culturale.
Bruner a erma che la memoria non sta solo nel mio cervello ma sta anche nella mia agenda, la
memoria che si integra con il mio smartphone o con il mio computer diventa da questo punto di
vista sempre più fragile. Parla anche della violenza e dice che la violenza allo stato puro non
esiste perché anche la violenza è sempre disciplinata culturalmente da un insieme di regole ( Per
capirlo fa l’esempio delle regole del pugilato moderno). Anche per quanto riguarda l’alimentazione
si deve far riferimento alla cultura.
Questi sono solo esempi che però ci fanno capire che ora più di prima è impossibile studiare i
processi mentali isolandoli dagli strumenti e dalla cultura.
Alla ne di questo capitolo parla della scuola come istituzione, tornando ad uno dei nove principi.
La scuola nasce perché si è in presenza di risorse scarse, perché lo spazio è scarso e sopratutto il
tempo è scarso. L’essere umano non vive all’in nito e la sua vita ha bisogno di un periodo più
tosto lungo di preparazione. Facciamo come esempio il discorso delle disuguaglianze di
Rousseau, egli a erma che “il cane è sempre un cane, l’uomo è sempre diverso”.
Bruner ribadisce la necessità di un istruzione formale, cioè di un periodo della vita dedicato alla
forma relativamente veloce di insegnamento e di apprendimento. Da qui si deduce
un’a ermazione importante e cioè che la scuola è uno strumento, e l’educazione è uno
strumento. Apriamo una piccola parentesi su Rousseau. Ciò che Bruner chiama strumento,
Rousseau lo chiama supplement, cioè surrogato. Il termine supplement è un peggiorativo rispetto
al termine strumento perché risponde ad un allontanamento dallo stato di natura.
Quest’allontanamento ha prodotto, secondo Rousseau, un pervertimento dell’essere umano, ma
nonostante questo non possiamo tornare allo stato di natura. L’educazione è un supplement, in
natura appunti non c’è educazione ma nel momento in cui si educa si diventa esseri umani e al
contempo però ci si allontana dalla natura ma non se ne può fare a meno.
Bruner va alla radice del problema è a erma che la scuola è organizzata come un organismo in
cui gli allievi cedono il controllo della propria attenzione ad un insegnante che decide su cosa,
quando e a che scopo si dovrà concentrare.
Dopodiché si avventura in una disquisizione sull autismo che non è corretta messa in questi
termini. Scrive che il bambino autistico non dispone di comprensione partecipativa, per il bambino
autistico la narrazione, la relazione è il relazionarsi con gli altri non hanno senso. Quindi per Bruner
dal momento che se non si capisce una narrazione si è esclusi da una parte delle principali fonti
di conoscenza del mondo, i bambini autistici hanno carenze nella comprensione di narrazioni
storiche. Questa disquisizione non è corretta perché noi sappiamo che il problema dell autismo
non è psicologico ma neurologico e bisogna sempre ricordare che Bruner scrive negli anni
novanta e quindi alcune scoperte e indagini non erano state fatte.
Dopodiché parla del linguaggio come peculiarità umana e a erma che l’uomo anche se non
conosce una lingua riesce in ogni caso a capire dal momento che l’uomo apprende in modo
innato a parlare e a comunicare. Egli pone l’attenzione sulle disposizioni innate per chiarire che la
teoria della tabula rasa è errata.
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