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MANUALE DI PSICOLOGIA DELLEDUCAZIONE-Pontecorvo

CAP1. LA PSICOLOGIA DELLEDUCAZIONE OGGI. UNA NUOVA CONCEZIONE


DELLAPPRENDIMENTO E DELLINSEGNAMENTO.
La tematica centrale della psicologia delleducazione quella dellapprendimentoinsegnamento. Negli anni 40-50 la psicologia delleducazione era dominata dal
comportamentismo, che considera lapprendimento come il consolidamento di un
risposta che viene rinforzata e quindi appresa attraverso una opportuna
somministrazione di contingenze di rinforzo. Tra la fine degli anni 50 e la fine degli anni
60 c un primo affermarsi del cognitivismo e la progressiva considerazione del
contenuto dellapprendimento e del ruolo del contesto in cui <si elabora e si
immagazzina linformazione>(Neisser). In particolare, nel 1968 Ausubel(considerato un
precursore del cognitivismo) pubblica il testo Educational Psychology. A cognitive View,
il cui motto iniziale <valuta che cosa uno studente gi sa e agisci di conseguenza>.
Secondo Ausubel, le conoscenze precedenti di un soggetto sono un fattore
determinante rispetto alle modalit in cui si comprende e si apprende un argomento
nuovo. Negli anni 60 va diffondendosi anche la concezione di Vygotskii elaborata nel
1934 che considera lapprendimento delle <funzioni psichiche superiori> come frutto
dellinteriorizzazione di ci che in primo luogo si manifesta nellinterazione sociale, cio
nello scambio che ha luogo tra un soggetto meno competente (per lo pi un bambino) e
un soggetto pi competente (un coetaneo o un adulto che pu essere anche un
insegnante). Quindi linterazione sociale crea le condizioni per linteriorizzazione.
Lapprendimento non pi al momento attuale riportabile ad una teoria o ad un
modello unitario, perch non tutto si apprende nello stesso modo e nelle stesse
condizioni. Sono molto importanti i fattori di contenuto, di situazione oltre che la
cultura, il contesto relazionale, lattivit. Lapprendimento per qualcosa che resta:
un processo che ha avuto luogo quando qualcosa che un individuo ha ascoltato,letto,
fatto, detto, scritto, resta nella sua memoria per essere recuperato in un momento
successivo.
PROSPETTIVA COGNITIVISTA E SOCIOCULTURALE: RAGIONI DI UNA SCELTA
La posizione sostenuta in questo testo quella di chi ritiene che la psicologia
delleducazione si debba connotare come una psicopedagogia dello sviluppo
culturale, come punto dincontro cio tra modelli dello sviluppo e modelli della
socializzazione e dellistruzione. Tale prospettiva d importanza alla cultura e al
contesto. Si venuta dunque sviluppando una impostazione di psicologia culturale, in
cui si verificata la convergenza di vari studiosi, anche per linfluenza delle prospettive
della scuola storico-culturale russa che cominciano a far sentire linfluenza sullo
sviluppo della psicologia occidentale, a partire dagli anni 60. uno di questi studiosi e
stato Bruner, che fin dagli anni 60 ha sostenuto che lo sviluppo psicologico di un essere
umano non pu avvenire al di fuori di una cultura e ha capito come questa influenza
non poteva riguardare solo le ricerche interculturali o transculturali, cio il confronto tra
culture diverse, ma tutte le ricerche evolutive-educative. tuttavia vero che proprio il
recente afflusso di nuove etnie molto varie anche nel nostro paese e linserimento di
bambini di cultura non italiana nel sistema educativo che ha portato alla luce le
molteplici componenti culturali dello sviluppo e dellapprendimento.
Lo scopo essenziale di una psicologia culturale, dice Bruner, quello di reintrodurre
la psiche nella cultura e la cultura nella psicologia. Diventa pertanto centrale attribuire
un significato agli eventi, in quanto incontri con il mondo e scambi con gli altri. La
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cultura diventa linsieme dei significati di sfondo condivisi da un gruppo umano che si
manifesta essenzialmente nella conversazione quotidiana. Secondo Cole, gli antefatti
della psicologia culturale si trovano al momento stesso della nascita della psicologia con
Wundt che sosteneva la necessit di due tipi di ricerca psicologica, una di tipo
sperimentale per lo studio delle leggi elementari della psicologia fisiologica ed una
seconda di tipo descrittivo per studiare la genesi delle funzioni psichiche superiori,
considerando che la gamma delle esperienze di vita che produce le differenze tra le
societ umane.
SOCIALIZZAZIONE E APPRENDIMENTO
La famiglia considerata la prima sede di socializzazione; gli altri contesti come sedi
secondarie di socializzazione ma sempre molto decisive, come il caso della
socializzazione lavorativa. E preferibile parlare di socializzazione anzich di
apprendimento perch il termine <socializzazione> include una molteplicit interrelata
di conoscenze, tecniche, linguaggi, atteggiamenti, relazioni interpersonali: di modi di
fare e di essere di un interlocutore (cio di uno che parla e che ascolta in una
conversazione a pi partecipanti) in un contesto sociale, definito anche da norme e
valori. Quindi non una socializzazione che si risolve nelladattamento a ci che
preesiste, quanto piuttosto un processo interattivo multidirezionale, in cui chi ancora
non sa svolge un ruolo progressivamente pi attivo e creativo che produce innovazione
nel contesto. In altri termini, si apprende in quanto si produce qualcosa di nuovo, che
induce cambiamento anche negli altri partecipanti.
VYGOTSKIJ E DINTORNI
La teoria vygotskiana ha apportato un notevole contributo alla psicologia culturale. La
teoria interazionista, come del resto quella di Piaget: lo sviluppo nasce
dallinterazione tra individuo e ambiente. La differenza tra i due studiosi riguarda la
definizione di ambiente: per Piaget prevalentemente la realt naturale e artificiale,
vista per lo pi nei suoi aspetti fisici e matematici; per Vygotskij si tratta invece del
mondo sociale e culturale, in cui entrano le relazioni umane e sociali, le mediazioni
linguistico-discorsive, gli artefatti culturali. Lapprendimento non visto come un
passaggio di nozioni ma una costruzione sociale che si produce nei soggetti che
apprendono attraverso la mediazione dallinsegnamento in contesti specifici e
attraverso sistemi di segni e simboli, di amplificatori culturali diversi, tra i quali oggi
molto importante il computer. Gi tempo fa Olson e Bruner contrapponevano
lapprendimento che avviene per esperienza diretta (come nelle attivit motorie e
manuali) a quello che avviene per esperienza mediata, che include la massima parte
degli apprendimenti scolastici. Bruner concepisce la cultura come un sistema di segni
che si serve di una serie complessa di amplificatori o di artefatti culturali, a partire dai
sistemi di scrittura, dai modi di contare e di quantificare, dalle rappresentazioni
geografiche, dalle narrazioni e dalle storie. Uno dei compiti delleducazione far entrare
bambini e ragazzi nel mondo dei sistemi simbolici, nei modi che sono stati elaborati e
valorizzati nella cultura di appartenenza, ed una componente fondamentale di una
prospettiva psicologico-culturale. A Vygotskij si deve il concetto di <zona di sviluppo
prossimale>, cio quellarea che misurata da un testing che non si limita a misurare
solo le capacit attuali quelle che un soggetto sa fare da solo- ma anche quelle
prossime e potenziali misurate in relazione allentit dellaiuto fornito da un altro pi
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a)
b)
c)
d)
e)

competente. Ad esempio il gioco unattivit in cui il bambino spesso opera nella sua
area di sviluppo prossimo, andando cio al di l delle sue capacit attuali, perch
lattivit di gioco, il materiale che ha a disposizione, la presenza degli altri servono
proprio da supporto <esterno>. La zona di sviluppo prossimo un buon modello della
socializzazione e dellapprendimento che si realizza nei contesti naturali della famiglia,
del gruppo dei pari, della scuola. Gli adulti spesso offrono ai bambini quello che stato
definito come scaffolding, cio come limpalcatura di sostegno che offerta al bambino
e poi progressivamente smantellata man mano che egli diviene capace di svolgere
autonomamente parti dellattivit fino a riuscire a padroneggiare interamente tutta
lattivit che stata inizialmente condivisa e guidata dalladulto. Le componenti
principali dello scaffolding sono:
reclutare il bambino al compito;
mantenere la direzione dellattivit verso il problema da risolvere;
semplificare le componenti del compito;
mostrare le possibili soluzioni;
ridurre i gradi di libert della soluzione.
APPRENDIMENTO E COLLABORAZIONE: CONFLITTO E CO-COSTRUZIONE
Oggi si parla sempre pi di apprendimento collaborativi, in cui ciascun partecipante
studia un aspetto diverso del problema comune, che viene elaborato a parte o in
precedenza, e i contributi vengono poi messi insieme. Nellapprendere in gruppo si
evidenziano forme di <condivisione della conoscenza> in cui il linguaggio-discorso
utilizzato dai partecipanti nellinterazione svolge un ruolo sempre pi rilevante per la
costruzione dei significati e delle nuove conoscenze. Durante la collaborazione tra
coetanei pu sorgere un conflitto produttivo, in parte regolato dallinsegnante che
svolge un ruolo decisivo fino a che la conversazione generale ha bisogno di un sostegno
per raccogliere e rilanciare, accettandolo, il discorso dellaltro. Ma quando si innescano
le sequenze conflittuali di disputa, il ruolo dellinsegnante non pi rilevante e la
contrapposizione tra bambini si alimenta da sola. E allinterno della disputa che si
elaborano le spiegazioni pi raffinate come strumento di risposta alle obiezioni dellaltro
che nello stesso tempo fanno procedere, nello scambio sociale, lapprendimento.
APPRENDIMENTO E CONTESTO
Ogni apprendimento o conoscenza sono situati, in quanto non esistono
indipendentemente dal modo in cui i partecipanti la contestualizzano. Duranti e
Goodwin definiscono il contesto come il quadro culturale entro cui ha luogo un
particolare evento interattivo e che offre risorse (e vincoli) per la sua realizzazione e
interpretazione ed a sua volta arricchito e cambiato dalle azioni e dalle parole di tutti i
partecipanti. Bachtin ad esempio sostiene che ogni discorso allaccia un dialogo con i
discorsi gi tenuti sullo stesso oggetto nonch con i discorsi futuri. Lapprendimento
collaborativi si presenta in una forma sia consensuale sia oppositiva, la modalit
oppositiva quella in cui il ruolo dellinsegnante non rilevante rispetto allinterazione
tra bambini, i quali nelle dispute possono procedere nel ragionamento senza aver
bisogno del sostegno adulto.
APPRENDIMENTO COME PARTECIPAZIONE
La metafora della partecipazione comporta che la situazione di apprendimento sia
organizzata in modo tale da consentire ai discenti di partecipare in forma
progressivamente sempre pi centrale ad un sistema di attivit. Si tratta di una
concezione che pu guidare anche lorganizzazione di ambienti per lapprendimento
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o comunit di discorso o di discenti, perch oltre ad apprendere conoscenze,


tecniche e procedure, si instaurano anche delle reti interpersonali di comunicazione, si
apprendono modi e relazioni sociali.
I RISULTATI DELLAPPRENDIMENTO: LE COMPETENZE TRASVERSALI
Listruzione obbligatoria deve garantire a tutti le seguenti competenze:
comprendere testi;
comunicare ad altri idee e dati;
elaborare ed interpretare dati quantitativi usando tecniche di tipo matematico;
impostare e risolvere problemi;
lavorare e collaborare con gli altri;
disporre di strumenti e pratiche di fruizione e produzione di arte, musica,
teatro, poesia, letteratura
imparare a imparare.
SISTEMI DI ATTIVITA E CONOSCENZA SITUATA
La teoria utilizzata come riferimento per qualsiasi attivit umana allinterno della quale
sono possibili modalit di apprendimento la teoria dellattivit di Leontev, secondo
la quale unattivit situata quella in cui sono presenti dispositivi, materiali, forme di
conoscenza storicamente costituite e socialmente distribuite, processi di interazione
sociale, modi di azione e rappresentazioni mentali. Per questo oggi si considera
lapprendimento come situato, in quanto avviene sempre in una particolare situazione
contestuale ed distribuito perch si distribuisce su di una serie di supporti e di
strumenti. Ne deriva che la conoscenza non pi definita come verit assoluta ma
come credenza localmente accettata. Oggi si guarda, forse, con maggior interesse, alle
forme di apprendimento e conoscenza che hanno luogo al di fuori delle istituzioni
formative. E quello che Collins ha chiamato <apprendistato cognitivo> per sottolineare
che le conoscenze sono apprese in relazione ai loro usi nei diversi contesti e attraverso
lesperienze guidata.
N.B.: Principi condivisi di una psicologia culturale:
1. Sottolinea unazione mediata in un contesto.
2. Insiste sullimportanza di un metodo genetico che include livelli di analisi storici,
ontogenetici e microgenetici.
3. Cerca di basare la sua analisi su eventi quotidiani.
4. Assume che lattivit mentale emerge nellazione mediata e congiunta di pi
persone. La mente co-costruita e distribuita.
5. Assume che gli individui sono agenti attivi del loro sviluppo, ma non agiscono in
situazioni di loro completa scelta.
6. Respinge spiegazioni scientifiche di tipo causa-effetto o stimolo-risposta a favore
di spiegazioni che sottolineano la natura emergente della mente inattivit e riconoscono
un ruolo centrale allinterpretazione.
SIGNIFICATO E PROSPETTIVA DIALOGICA
La creazione in una situazione scolastica di una intersoggettivit collettiva, nella
quale insegnanti e studenti possano condividere loggetto del discorso problematico,
la condizione necessaria affinch si possa creare una situazione di reale insegnamentoapprendimento. Pertanto, il significato non risiede nella mente del singolo individuo, ma
il risultato di una negoziazione sociale e culturale. Lattivit di conoscenza e di
apprendimento ha bisogno di attivit sociali concrete in cui svolgersi e comporta
sempre il rapporto con gli altri, la negoziazione di significati, luso di artefatti,
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strumenti, procedure e quadri concettuali. E una concezione che da rilievo


allaprrendimento nei suoi aspetti processuali, esterni, prevalentemente discorsivi e
comunque osservabili, piuttosto che ai risultati, mirabili solo con prove ad hoc, in cui
invece si assume che lapprendimento pu darsi solo come risultato di unattivit di
studio individuale. Quindi, lapprendimento deve partire e tornare nel suo contesto
naturale che quello scolastico ed accademico, rispetto a cui il lavoro individuale
(svolto a casa) pu essere solo il complemento e non il fulcro.
IDENTICITA ED ETICITA
Si apprende e si ricorda ci che funzionale alla costruzione della propria identit
personale, ed esiste un rapporto tra apprendimento e crescita psichica. Come noto il
senso che ogni individuo ha di s il prodotto dinamico emergente dalle sue
relazioni interpersonali. Come ognuno di noi si pone nellinterazione strettamente
connesso alle modalit con cui gli altri ci vedono e al modo in cui noi stessi affrontiamo
la relazione. Ne consegue che lidentit personale viene continuamente elaborata,
ridefinita, negoziata nello scambio con laltro. In questa costruzione svolge un ruolo
determinante lidentit di genere, cio il progressivo costruirsi come maschio e come
femmine. Anche la scuola svolge un ruolo importante nella costruzione dellidentit,
perch gli insegnanti sono figure identitarie importanti per bambini/e e ragazzi/e, i
quali trascorrono a scuola la maggior parte del loro tempo in et evolutiva. Gli
insegnanti costituiscono non solo dei modelli per lapprendimento, ma anche delle
figure di identificazione, aggiuntive e in qualche caso alternative a quelle genitoriali.
Possono infatti rappresentare delle opzioni di vita diverse, dei modi di pensare, che non
hanno solo la funzione di trasmettere conoscenze, ma sono anche dei modi di essere e
di stare nel mondo. Tutti i rapporti educativi, con le loro asimmetrie, cos come i
rapporti paritetici di amicizia e di collaborazione, sono strumenti essenziali per la
costruzione e la ricostruzione di s, in quanto tutto ci consente ai singoli soggetti di
costruirsi una immagine di s come persona, ma anche come allievo che pu (o
non pu) imparare; conseguentemente ci si pu costruire anche una stima di s che
determinante per la motivazione e la riuscita negli apprendimenti. Sono le narrazioni e
i discorsi quotidiani il mezzo attraverso il quale gli individui co-costruiscono la
conoscenza, lidentit, la realt stessa. Lidentit oggetto di costruzione e di
ricostruzione narrativa, in cui gli scambi con gli altri significativi, e il contesto
culturale e relazionale in cui avvengono, giocano un ruolo determinante, in una
prospettiva di notevole interdipendenza. Una tale interdipendenza interpersonale
anche quella che sta alla base della costruzione della propria eticit. Listanza etica si
manifesta innanzitutto nel riconoscimento dellaltro e dei suoi bisogni, analoghi ai
nostri. Il fatto che i nostri diversi s abbiano sempre bisogno degli altri per essere
ridefiniti la base per realizzare la collaborazione, lo scambio e la convivenza tra
diversi. A tal fine la scuola pu creare occasioni per la realizzazione di questi principi e
modalit di funzionamento conseguenti. Allinizio dando <diritto>alla parola e
allascolto attento affinch i bambini possano pensare sulle attivit, su se stessi e sugli
altri, parlando e interagendo nelle attivit educative e ludiche. Bachtin a riguardo
dice:<La vita per sua natura dialogica. Vivere significa partecipare ad un dialogo:
interrogare, ascoltare, rispondere, consentire>. E su base dialogica che si possono
costruire, con bambini e ragazzi, innanzitutto delle modalit di convivenza basate sul
rispetto reciproco e sul riconoscimento <dialogico> dellaltro e sui principi etici per
divenire adulti, cio lautonomia e la responsabilit.
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CAP.2LA
PROSPETTIVA
PSICOSOCIALE:INTERSOGGETTIVITA
E
CONTRATTO DIDATTICO
LEREDITA PIAGETIANA
Piaget ha sempre dato molta importanza alla tesi secondo la quale il bambino
costruisce da solo le proprie conoscenze. Questa tesi forte ha mostrato, nel corso dei
decenni, molte lacune. E tuttavia il grande merito di Piaget stato quello di
sottolineare, in unepoca di predominante comportamentismo, le necessit della
partecipazione attiva del bambino nellavventura della costruzione e trasmissione
delle conoscenze; in particolare, si sempre pi consolidata la tesi secondo la quale
non ci pu essere apprendimento se il bambino non lautore del proprio sviluppo. Un
argomento di discussione della teoria piagetiana se il bambino lartefice del proprio
pensiero, come costruir lo stadio pi avanzato di esso?
Un altro punto importante il rapporto con lautorit. Piaget ha sempre considerato
linterazione tra compagni una fonte fondamentale dello sviluppo, mentre il rapporto
con lautorit descritto come un fattore di fatto ostacolante. Una delle conseguenze
pedagogiche di questa posizione stata che una minoranza di insegnanti ha cercato di
utilizzare questa visione come fonte di ispirazione per organizzare una <scuola attiva>.
Essi pensavano di dover lasciare che il bambino imparasse da solo, opponendosi
allideologia dominante dellepoca (si tratta in particolare degli anni 60 e 70), ideologia
secondo la quale si dovevano insegnare delle nozioni in modo sistematico, poich i
bambini avrebbero appreso per imitazione di modelli corretti. Osservando cosa
accadeva nelle classi ginevrine in quegli anni, si vide un fenomeno specifico: gli
insegnanti, desiderosi di essre <piagetiani>, sembravano obbligati a <restare sullo
sfondo>. Essi sapevano per esperienza diretta che tutto doveva essere organizzato
affinch lambiente scolastico fosse interessante per il bambino ma, per formazione
intellettuale <piagetiana>, essi credevano che, al contrario, tutto provenisse dai
bambini e che linsegnante dovesse tenersi nellombra affinch la sua autorit e il suo
sapere non ostacolassero lalunno. Essi vivevano cos una tensione che era anche negli
alunni, i quali si chiedevano:<Ma allora, se linsegnante conosce la risposta, perch non
ce lo dice? Perch vuole che noi la scopriamo?>. Al contrario, con gli insegnanti che
conducevano le classi in modo tradizionale, si aveva a volte limpressione che essi
fossero onnipresenti, cominciando spesso le frasi che gli alunni dovevano terminare
(una modalit ritenuta utile per farli partecipare). Se lalunno terminava correttamente
la frase, poteva ottenere un buon voto. In questa maniera i momenti di valutazione e i
momenti di apprendimento erano poco differenziati.
ALTRE EREDITA TEORICHE: VYGOTSKIJ E G.H. MEAD
La teoria di Vygotskij mette in evidenza limportante ruolo delle interazioni adultobambino e della trasmissione inter generazionale. Egli mostra come il bambino
apprende se gli si forniscono gli strumenti simbolici che gli permettano di progredire.
Nel modello di Vygotskij la cultura occupa un ruolo centrale cos come linsegnante, il
quale assume il ruolo di tutore che <getta dei ponti> verso le modalit di pensare del
bambino, cercando di operare nella sua zona prossimale di sviluppo e guidando
verso forme di sapere pi evolute. E una teoria dellapprendimento, ma non
particolarmente soddisfacente come teoria dello sviluppo poich si limita a spiegare
come si diventa come il proprio insegnante. In Vygotskij si ha uno sviluppo socialmente
<teleguidato>, mentre in Piaget si ha uno sviluppo del tutto endogeno che sembra
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portare sempre alla sua massima espressione e, cio, al pensiero logico-formale. Dal
punto di vista della sociologia dello sviluppo si resta del tutto delusi.
Anche un altro autore, G.H. Mead sostiene ed argomenta la tesi dellorigine sociale
delle attivit mentali, pur provenendo da un contesto culturale molto differente.
Mead parte dalla nozione della conversazione di gesti: prima ancora che la coscienza
di s o il pensiero propriamente detto siano manifesti, le azioni scambievoli fra due
individui forniscono una base per la costruzione del pensiero simbolico. Un esempio
quello fornito da due cani. Quando stanno per affrontarsi, essi possono evitare la lotta
vera e propria, sospendendo lazione e <imitando>, ovvero facendo finta di agire,
ciascuno a turno, uno scontro di comportamenti effettivi. Facendo dei gesti, che
indicano ciascuno allaltro o anticipano lavvio della lotta, essi si saggiano e <prendono
le misure> prima di una eventuale lotta; non hanno sempre bisogno di passare
allazione diretta e completamente agta per sapere chi il pi forte: essi agiscono una
vera e propria conversazione attraverso i gesti. Mead ritiene che lo sviluppo del
pensiero inizia proprio in questo momento. Nelluomo, il quale possiede una capacit di
costruire e interpretare simboli ben maggiore rispetto allanimale, questo linizio di
una grande avventura psichica. Mead sostiene che la genesi delle attivit intellettive sta
proprio nellinteriorizzazione della conversazione attraverso i gesti, prima non verbali
poi verbali. I gesti interiorizzati costituiscono dei simboli significativi, in quanto essi
assumono i medesimi significati per tutti gli individui di una data comunit culturale. La
riflessione di Mead ha dato luogo ad uninteressante corrente di studi sia teorici sia
empirici che ha assunto la denominazione di interazionismo simbolico.
NUOVE RICERCHE EMPIRICHE: INTERAZIONI SOCIALI E SVILUPPO DEL
PENSIERO.
A partire dagli anni 70, ricerche empiriche hanno dimostrato la capacit che hanno
bambini, ma anche adolescenti e adulti di trarre profitto da situazioni di interazione
dove viene loro richiesto di risolvere compiti cognitivi. Inizialmente i bambini
coordinano le proprie azioni con quelle di altri soggetti, anche coetanei, anchessi
incapaci di risolvere da soli i compiti loro proposti. In seguito, i bambini che hanno
partecipato a certi tipi di interazioni sociali diventano capaci, anche a breve distanza di
tempo, di eseguire da soli compiti di difficolt analoga. Ci significa che questi bambini
hanno effettivamente costruito strumento cognitivi per risolvere compiti e li
padroneggiano come strumenti cognitivi personali. Inoltre, questi strumenti che sono
impiegati su un materiale dato ed in una situazione specifica hanno un carattere di
stabilit e sono spesso utilizzati con successo in altre situazioni e con materiali diversi.
Ne deriva che i soggetti non soltanto hanno risolto un certo compito ma hanno costruito
una regola pi generale di soluzione di compiti.
Lipotesi <forte> che ha guidato queste ricerche che le interazioni sociali diventano
fonti di progresso cognitivo attraverso i conflitti di comunicazione che si stabiliscono fra
i partner. Infatti, proprio quando i punti di vista diversi emergono con chiarezza nel
corso della discussione, le soluzioni finali costruite insieme sono le pi elaborate e
spesso addirittura corrette. E stato definito conflitto sociocognitivo la dinamica di
costruzione in comune delle risposte attraverso la messa in discussione dei rispettivi
punti di vista, proprio per sottolineare la funzione cruciale della comunicazione
interpersonale e del conflitto fra partner chiamati a fornire una solo risposta al compito.
E stato per osservato che il conflitto di comunicazione fra partner viene risolto
attraverso lelaborazione di soluzioni cognitivamente migliori soltanto nei casi in cui il
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conflitto non possa essere regolato secondo modalit esclusivamente relazionali: ad


esempio la compiacenza, la condiscendenza, il conformismo di un partner verso laltro,
accettandone cio acriticamente la soluzione, imitandola, rinunciando in pratica a
integrare i due punti di vista in un unico schema cognitivo: in tutte queste circostanze,
nessuno dei due partner progredisce.
IL CONTRATTO DIDATTICO: UNO STRUMENTO PER COMPRENDERSI A SCUOLA
A partire dagli anni 80 sono state studiate le relazioni tra contesto, insegnanti, alunni e
contenuti disciplinari, introducendo il concetto di contratto didattico inteso come
linsieme delle regole e dei comportamenti abituali che insegnanti e alunni mettono in
atto reciprocamente, a proposito di un sapere definito dai programmi scolastici. Il
contratto didattico riassume tutti i comportamenti ritenuti idonei per consentire la
prosecuzione dei processi di insegnamento-apprendimento. In questa prospettiva i
contenuti disciplinari sono per linsegnante un sapere da insegnare e per gli alunni un
sapere da apprendere; la comunicazione interpersonale il mezzo principale
tramite il quale avviene questa trasformazione. In questo contratto i ruoli sono chiari:
c linsegnante, che conosce e pu chiedere e c lalunno, che deve rispondere in
modo corretto, ponendo eventuali domande solo se pertinenti.
DALLINTERPRETAZIONE DEI COMPITI ALLA LORO NEGOZIAZIONE
I bambini di fronte ad un compito utilizzano come prima strategia la costruzione del
significato del compito stesso e delle relazioni sociali in gioco e cercano di individuare
quale possa essere la risposta che ladulto si aspetta da loro. Ad esempio, la ripetizione
di consegna da parte delladulto influenza il tipo di risposta prodotto dai bambini. La
strategia in gioco qui sembra essere:<Se ladulto mi fa due volte la stessa domanda,
vuol dire che la prima risposta che ho dato sbagliata>. E questo il caso dei giudizi
circa la conservazione della lunghezza oppure del numero: se la domanda posta una
sola volta, soltanto dopo la trasformazione spaziale degli oggetti, allora i bambini pi
frequentemente forniscono un giudizio di conservazione, mentre se le domande sono
due, una prima della trasformazione ed una dopo la trasformazione, i bambini pi
frequentemente forniscono alla seconda domanda giudizi di non conservazione. Il modo
in cui i bambini e gli alunni strutturano i contesti sociali in cui sono posti e
lelaborazione delle risposte fortemente legata alle rappresentazioni che essi formano
per dare un senso alle situazioni stesse. La risposta logica (ovvero il sapere scolastico)
che essi forniscono a colui che interroga costituisce cos il risultato di una negoziazione
della situazione che vede coinvolti attivamente ladulto (o il partner coetaneo) che
propone il compito, il bambino che chiamato a rispondere e la situazione complessiva
in cui entrambi sono collocati.
VERSO UNA PSICOLOGIA DELLA VITA QUOTIDIANA A SCUOLA
-La costruzione dei significati attraverso la conservazione in classe. E ben noto il
ruolo che la conversazione svolge nella costruzione dei significati scolastici e nei
processi di insegnamento-apprendimento. Insegnanti e alunni, pur condividendo la
stessa lingua, parlano un linguaggio diverso da quello di situazioni extrascolastiche,
poich quella di classe una situazione asimmetrica soprattutto in funzione delle
conoscenze possedute dagli interlocutori. Le conversazioni tra insegnanti ed alunni si
strutturano in modo molto diverso da quelle che avvengono in altri contesti della vita
quotidiana; infatti, un presupposto implicito, che regola lattivit di classe, il
seguente: linsegnante pone le domande e ne conosce le risposte; su questa base egli
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valuter le risposte date dagli alunni ed in seguito utilizzer queste informazioni per
dare un giudizio sul loro rendimento.
-Mediazione simbolica, contratti didattici e apprendimento. Compito della scuola, e
quindi dellinsegnante, di offrire allalunno modalit di apprendimento che gli
consentano di operare un cambiamento nel proprio modo di pensare, integrando ci
che gi conosce in nuove forme di conoscenza. Appare qui utile il riferimento a
Vygotskij, secondo il quale la funzione dellinsegnante si esplica nella zona prossimale
di sviluppo, una nozione che individua la differenza tra il livello di risposta ad un
problema che il bambino elabora da solo ed il livello di risposta che il bambino in
grado di elaborare con laiuto e la guida delladulto. Il linguaggio lo strumento
principale che consente questa interazione asimmetrica. La natura di queste interazioni
sociali implica fondamentalmente la diversit tra gli interlocutori, caratteristica che nel
caso dellinsegnante ha una funzione intenzionalmente educativa, mentre negli scambi
tra coetanei rappresenta lesistenza di punti di vista alternativi al proprio, favorendo in
questo modo la riflessione sulle proprie idee e su quelle degli altri; quindi, discutere
significa assumere il punto di vista dellinterlocutore, alternando i turni di conversazione
e riprendendo le argomentazioni dellaltro per sostenerle e confutarle. In realt in
classe molte situazioni interattive, soprattutto quelle in cui interviene linsegnante, non
possono essere intese come vere e proprie discussioni, pur presentandosi
apparentemente come tali, perch gli alunni possono essere indotti a fornire alcune
risposte solo in relazione al comportamento verbale e non verbale delladulto. Per
esempio, un silenzio dellinsegnante, che fa seguito allintervento si un bambino, fa
intendere un disaccordo, che lalunno pu superare solo modificando quanto detto in
precedenza e questo cambiamento pu essere dovuto non tanto ad unulteriore
riflessione, quanto alla necessit di trovare <la risposta giusta>.
Lazione educativa centrata sullo sviluppo nei bambini, diretta a produrre un
cambiamento concettuale rispetto alle conoscenze di partenza, richiede innanzitutto che
ladulto accetti le idee dei bambini, per trasformarle in oggetto del discorso, costruendo
cos una conoscenza condivisa tra i partecipanti allinterazione, avvicinandosi al modo di
pensare degli alunni non per guidarli su di un percorso gi precostituito nella sua mente
di adulto, ma per favorire in loro lelaborazione di un processo cognitivo che li porter
ad appropriarsi di nuove conoscenze.
UNA RELAZIONE TRIANGOLARE: INSEGNANTE-OGGETTI DEL SAPERE-ALUNNI
Risulta sempre pi indispensabile studiare il triangolo concettuale che lega insegnante,
alunni e le conoscenze individuate dalla programmazione didattica e come circoli
linformazione fra questi tre attori. E del tutto plausibile che a scuola, ad esempio,
quando si studiano le proporzioni, gli alunni si aspettino che esse debbano essere
utilizzate in un compito successivo. Esiste una specie di contratto implicito: linsegnante
propone dei compiti che corrispondono a ci che egli suppone sappiano gli alunni.
Quindi, sapendo ci che essi sono tenuti a sapere, gli alunni, diligentemente, si
spettano gli esercizi che saranno loro dati, e quindi si prepareranno allo scopo di
cercare di superare quella certa prova. Si pu a ragione parlare di una vera e propria
microcultura della classe, che presenta anche dei risvolti etici; le aspettative,
consolidate nel corso delle routine quotidiane diventano regole e norma sanzionate da
criteri di giustizia e legittimate sul piano didattico:<si deve fare cos per avere una
buona valutazione>; <se si fa cos, significa che si capito>; <possono essere proposti
dei compiti soltanto su argomenti che sono stati insegnati>. In altri termini, le
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1)
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3)
4)
5)
6)
7)

aspettative non sono costruzioni spontanee ed estemporanee, bens il frutto delle


pratiche di insegnamento tipiche degli insegnanti. Il sistema scolastico e la vita di
classe sono costituiti da condotte di routine, affinch gli alunni rispondano spesso
correttamente, pur senza aver compreso realmente!Diverse ricerche hanno mostrato
che gli alunni non credono (almeno in alcune circostanze) che il fine del lavoro
intellettuale scolastico sia la comprensione. Molto spesso, il fine , secondo loro,
superare le prove; lessenziale nel mestiere di alunno avere un voto sufficiente nei
compiti; rispondere correttamente secondo le attese dellinsegnante. Capire un
<optional>!
Insegnare ed apprendere appaiono cos dei compiti non soltanto cognitivi ma sociali al
tempo stesso. Insegnanti ed alunni sono i partner in dinamiche di comunicazione pi
complesse, in quanto esse interpellano le esperienze dei singoli partner, la loro
specifica identit sociale e le attese reciproche.
CAP.3 DISCORSO E ISTRUZIONE
Flanders ha sviluppato un sistema di categorie dellinterazione in classe,
distinguendo tra influenza diretta ed indiretta dellinsegnante, intendendo per influenza
indiretta quella che aumenta liniziativa e lindipendenza della studente.
Successivamente si sono aggiunti molti altri sistemi elaborati da altri ricercatori, tra cui
Amidon e Hunter, che hanno proposto uno sviluppo del sistema di Flanders nello SCIV:
un sistema di dodici categorie che distingue tra interventi introduttivi e risposte,
rispettivamente dellinsegnante e dellallievo. Laspetto interessante di questo sistema
la sua finalizzazione al miglioramento delle pratiche interattive degli insegnanti.
IL SISTEMA DI ANALISI DELLE INTERAZIONI IN CLASSE DI N. FLANDERS
La prima distinzione tra discorso dellinsegnante e discorso dellallievo. Nella prima
area si distingue tra categorie di risposta e di inizio.
DISCORSO DELLINSEGNANTE
Accetta i sentimenti: accetta o chiarifica un atteggiamento o una modalit emotiva di un
allievo in modo non minaccioso.
Loda o incoraggia: loda o incoraggia unazione, un discorso o un comportamento di un
allievo. Scherza per rilasciare la tensione ma non a spese di qualcuno.
Accetta o utilizza le idee degli allievi: chiarifica o sviluppa idee suggerite dagli allievi.
Formula domande
Fa lezione: espone opinioni, dati o fatti su contenuti o procedure; esprime le proprie idee,
d sue spiegazioni, cita qualche autorit.
D direttive: impartisce direttive e ordini, a cui gli allievi devono attenersi.
Critica o si appella allautorit: dichiarazioni finalizzate a cambiare il comportamento
dellallievo in un comportamento accettabile; espelle qualcuno dalla classe; si appella alla
propria autorit.

DISCORSO DELLALLIEVO
8) Discorso dellallievo in risposta allinsegnante. Linsegnante inizia il contatto o sollecita
lintervento dellallievo o struttura la situazione. La libert di esprimere le proprie idee
limitata.
9) Il discorso avviato dagli allievi. Essi esprimono le loro idee: iniziano un nuovo argomento;
libert di esprimere opinioni e una linea di pensiero, con la possibilit di porre domande
pensate e di andare al di l della struttura esistente.
10) Silenzio o confusione: pause, periodi brevi di silenzio o di confusione.
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IL SISTEMA SCIV DI AMIDON E HUNTER


Il sistema finalizzato alla formazione degli insegnanti
INSEGNANTE:INTERVENTI INTRODUTTIVI
1) D informazioni o riferisce opinioni: illustra un argomento, spiega, orienta, pone domande
retoriche.
2) D istruzioni: dice allallievo di fare una determinata cosa; impartisce ordini
3) Pone domande circoscritte: pone domande che servono a far ripassare un argomento o a
far esercitare gli allievi, che richiedono risposte brevi, si o no.
4) Pone domande aperte, di cui non possibile prevedere la risposta e che sollecitano
risposte pi lunghe rispetto a 3.
INSEGNANTE: INTERVENTI DI RISPOSTA
5) Accetta dellallievo: a. le idee, b. il comportamento, c.i sentimenti
6) Rifiuta dellallievo: a.le idee, b.il comportamento, c.i sentimenti
ALLIEVI: RISPOSTE
7) Allinsegnante: a. risposte prevedibili, di solito brevi (seguono categorie 2 o 3); b. risposte
non prevedibili: pi elaborate, seguono alla categoria 4.
8) A un compagno: scambio tra allievi.
ALLIEVI:INTERVENTI INTRODUTTIVI
9) Rivolge la parola allinsegnante, non sollecitato.
10) Rivolge la parola a un compagno, non sollecitato.
VARIE
11) Silenzio
12) Confusione
GLI STUDI DI MATRICE LINGUISTICA E DISCORSIVA
La prima teorizzazione, con le sue applicazioni pratiche, aveva cercato delle relazioni
tra le modalit del discorso dellinsegnante e i risultati dellapprendimento degli allievi.
Infatti quei primi studi dellinterazione in classe sono stati anche definiti come studi
<processo-prodotto>, in quanto si cercato nelle loro applicazioni di trovare una
relazione tra i processi realizzati in classe e gli esiti dellapprendimento degli allievi. Il
grande cambiamento nello studio del discorso in classe avvenuto attraverso il
contributo della sociolinguistica e delletnografia della comunicazione che fin dai loro
inizi hanno considerato la classe scolastica come una situazione particolarmente utile
per lo studio delleffetto dei fattori socioculturali sulle pratiche e i risultati
dellistruzione. La sociolinguistica considera la scuola come una istituzione sociale
significativa, in cui le pratiche discorsive degli insegnanti servono ad assegnare il potere
e a costruire (o meno) lautonomia e liniziativa degli allievi. Uno dei contributi pi noti
che la prospettiva sociolinguistica ha apportato allinterpretazione delle pratiche
scolastiche stato quello di identificare la struttura tipica del discorso in classe, anche
se questo ha riguardato per lo pi la cultura scolastica inglese e americana. Il primo
studio stato compiuto da Sinclair e Coulthard [1975], due linguisti inglesi che, a
partire dalla teoria degli atti linguistici di Austin [1962] e distinguendo tra forma e
funzione del linguaggio parlato hanno identificato uno schema ripetuto nel discorso
scolastico, che hanno chiamato IRF come acronimo di una tripletta di atti comunicativi:
Inizio dellinsegnante, Risposta dellallievo, Follow up dellinsegnante. Si tratta di
quelle situazioni in cui linsegnante controlla lo sviluppo di un argomento e guida la
presa di turno, dando la parola agli allievi. Lezioni italiane di scuola secondaria non
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hanno la sequenza a tre con la stessa frequenza di apparizione delle ricerche inglesi o
americane. Successivamente altri ricercatori statunitensi hanno ritrovato lo stesso
pattern interattivo. Mehan lo ha chiamato IRE, che sta per: Inizio dellinsegnante,
Risposta dello studente, Valutazione dellinsegnante. Laspetto pi interessante dello
studio di Mehan il fatto che la struttura IRE di base inserita in unit pi ampie da lui
denominate Topically Related Sets (TRS), a loro volta parte dellorganizzazione
gerarchica della lezione.
Lanalisi della conversazione un paradigma di ricerca nato in sociologia che ha
identificato nelle interazioni verbali il processo fondamentale per la costituzione della
realt sociale. Negli scambi tra due o pi persone vige un sistema di presa di turno di
parola che consente ad ogni partecipante di intervenire nel discorso. La gestione degli
scambi di tipo locale, ovvero il senso del discorso si stabilisce turno dopo turno, a
meno che non ci si trovi in presenza di una sequenza strutturata come una narrazione.
Leffetto della sequenza triadica (tripletta) modifica questo sistema perch dopo
lintervento di un alunno la presa di turno non affidata alla libera iniziativa, ma torna
regolarmente allinsegnante, che pu ridare la parola allo stesso alunno, o ad un altro,
oppure mantenere per s il turno senza il rischio di interruzioni. Eventuali candidature
al discorso devono di solito essere precedute da un turno preliminare (anche non
verbale, come lalzata di mano) di richiesta di parola. In queste condizioni, landamento
del discorso a livello dei contenuti fortemente controllato dallinsegnante, che pu
accettare, correggere o ignorare il contributo di ciascuno. Il senso del discorso non
perci negoziabile, se non in minima parte, e sta agli alunni cercare di seguire lo
sviluppo impresso dallinsegnante allargomento trattato.
LA VARIABILITA CULTURALE NELLINTERAZIONE IN CLASSE
Una problematica nuova per il nostro paese relativa alle grandi differenze di
provenienza culturale che si trovano nelle classi scolastiche e che incidono fortemente
sulle pratiche discorsive attivate dagli insegnanti e richieste ai bambini. Un classico di
questa problematica la ricerca antropologica di Philips [1972] che ha denominato
<struttura di partecipazione> quella struttura implicita che senza bisogno di
dichiarazioni formali regola le interazioni quotidiane in classe. In generale, si pu dire
che il registro, in senso linguistico, del discorso in classe molto vicino allo stile che gli
adulti accudenti usano con i figli piccoli durante le attivit di gioco, di soluzione di
problemi, di lettura di libri. Tutto ci stato definito come curricolo nascosto.
APPRENDIMENTO, APPRENDISTATO E SOCIALIZZAZIONE DISCORSIVA
Le definizioni usate in psicologia relativamente allacquisizione di informazioni sono
diverse: si parla di <formazione> degli adulti sul luogo di lavoro relativamente a
conoscenze concettuali, di <apprendistato> per lacquisizione di capacit lavorative
pratiche, di <memorizzazione> o <persuasione> se si analizza la comunicazione di
massa, di socializzazione nei contesti informali in cui crescono i bambini e di
<apprendimento> per quanto riguarda lacquisizione di informazioni offerte dalla
scuola. Correlativamente variano i metodi con cui si verificano gli esiti di questi
processi. Quale rapporto c tra la tripletta IRF/IRE e gli attuali modelli
dellapprendimento? Di recente, mentre alcuni ricercatori hanno ribadito il rischio che
la tripletta sia abbinata a modi meccanici di istruzione (in cui feedback o valutazione
funzionano da semplice rinforzo della risposta corretta) e alla riduzione della libert di
pensiero e di parola dello studente, altri invece hanno parzialmente rivalutato la
sequenza IRF, in quanto il modo di istruzione trifasico pu essere combinato a una
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modalit aperta di discorso istruttivo. E probabile che tale visione pi positiva sia
influenzata da una prospettiva vygotskiana che ha sottolineato il ruolo positivo di un
adulto competente nellindirizzare efficacemente lapprendimento di chi meno
competente attraverso lappropriazione della prospettiva corretta. Questultima la tesi
sostenuta da Newman per cui la comprensione fra insegnante e allievo passa attraverso
lappropriazione reciproca di ciascuno del punto di vista dellaltro. Un concetto
sviluppato a partire da Leontev e dalla sua concezione dellapprendimento allinterno di
una teoria dellattivit.
Anche se il modello di interazione che sta alla base del <discorso costruttivista> ha
premesse teoriche diverse rispetto al modello interattivo del rinforzo sociale di matrice
comportamentista (di Flanders, Amidon), essi condividono lidea di apprendimento
come <rinforzo della risposta>, per cui si apprende in quanto si enuncia la risposta
corretta. La differenza sta nel fatto che per i comportamentismi la risposta (comunque
ottenuta) deve ricevere un rinforzo positivo, per i costruttivisti, invece, basta che la
risposta sia <spontaneamente ricavata> dal soggetto. Una combinazione delle due
impostazioni quella messa in atto da Palincsar e Brown nella ricerca sul <reciprocal
teaching>: unorganizzazione didattica messa in atto per promuovere la comprensione
della lettura in gruppi di studenti di scuola media di bassa abilit. Le strategie per la
comprensione della lettura- prevedere il seguito, fare domande, riassumere,
chiarificare- sono prima messe in atto dallinsegnante e poi dai singoli studenti, i quali a
turno imitano il lavoro di monitoraggio dellinsegnante, mentre questi a sua volta
modella e rinforza il comportamento richiesto ai tutori e ai tutorati. Il fatto rilevante
che nelle prove standard finali migliorano le capacit individuali di comprensione dei
singoli studenti.
DISCORSO E NUOVI MODELLI DI APPRENDIMENTO
Il discorso in classe si configura essenzialmente come esercizio di pratica discorsiva di
un dominio di conoscenza, ma necessario cambiare le regole del gioco di questo
discorso. Limpostazione di fondo che il discorso collettivo deve essere funzionale alla
pratica e allapprendimento di strategie di argomentazione e di ragionamento e di
procedure epistemiche di ambiti specifici. Per far ci necessario che diminuiscano il
potere e il controllo dellinsegnante sul pensare e sul parlare degli studenti. In una
ricerca stato dimostrato che cambiando le modalit conversazionali
usuali
dellinsegnante, attraverso la sostituzione della valutazione con ripetizioni o con
riformulazioni o producendo domande contingenti, cio semanticamente connesse ai
turni precedenti dei bambini, si favorisce il discorso esplicativo, conflittuale e
argomentativi degli allievi. A parte le strategie interattive dellinsegnante, si ritiene che
il cambiamento che sta avvenendo in questi anni rispetto al ruolo del discorso in classe
laffermarsi di un approccio semiotico, in cui la negoziazione di significati condivisi
considerata come una condizione necessaria per lapprendimento di nuove forme di
discorso. Le modificazioni dellorganizzazione discorsiva in classe possono essere intese
come tentativi di restituire allattivit verbale in classe alcune delle caratteristiche del
discorso quotidiano che lo rendono interessante per chi vi partecipa e che permettono
di distribuirne il controllo fra tutti i partecipanti, pur nel mantenimento di una
finalizzazione legata allo scopo istruttivo. Ad esempio, le modificazioni introdotte
permettono che il discorso si dipani attraverso interventi collegati degli alunni piuttosto
che frammentato in cicli di triplette in cui la persona interpellata pu prendere il turno
solo una volta; e ancora permettono che le domande siano fatte da tutte e due le parti.
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Sebbene la ricerca centrata sullinterazione discorsiva abbia messo in luce da tempo le


potenzialit del lavoro di gruppo a scuola, questo metodo di lavoro stenta ad
affermarsi. E comune che le insegnanti dichiarino che la situazione sociale ideale per
lapprendimento sarebbe quella diadica, con linsegnante e lallievo a tu per tu. Si
assume che allieve e allievi debbano essere esposti alla maggior quantit possibile di
conoscenze nuove, da cui discende necessariamente limpossibilit che questi
<oggetti> di apprendimento possano scaturire dai discenti stessi. Questa teoria
implicita dellapprendimento d luogo ad un tipo di discorso scolastico dalla
struttura piuttosto rigida, allinterno del quale gli interventi degli alunni sono sospinti
verso una forma ideale, in cui gli interventi non adeguati sono corretti o ignorati.
Insegnanti e studiosi che promuovono invece il lavoro di piccolo gruppo ritengono che
le conoscenze <rifinite> costituiscano solo una parte del processo di apprendimento, e
che limitarsi allattivit che le produce significa correre il rischio di creare conoscenze
<incapsulate>e statiche, non utilizzabili cio per risolvere nuovi problemi o per
organizzare nuove conoscenze. Linterazione di gruppo costituisce un possibile antidoto
allincapsulamento delle conoscenze. Il carattere paritario dellinterazione e la natura
aperta del compito spingono ad esplorare nessi e a immaginare soluzioni alternative.
Tra loro, le allieve e gli allievi non si accontentano di non capire, non lasciano passare
facilmente asserzioni su cui non sono daccordo ed espongono pi facilmente idee solo
parzialmente elaborate e sicure.
IL DISCORSO ALLINTERNO DEL PICCOLO GRUPPO
Laspetto forse pi decisivo del lavorare in gruppo lo stabilirsi di un pubblico
significativo per chi parla: Leffetto di un pubblico che ancora non sa e che non ha
autorit sul parlante genera un tipo di apprendimento e di ragionamento molto pi
estesi e articolati che non la prospettiva di riferire ad un pubblico che gi al corrente
di ci che si dir e che in pi ha il potere di giudicarlo. Questultimo caso naturalmente
corrisponde al tipico ruolo di insegnante. Il confronto con il gruppo dei pari, costituendo
invece un caso del primo tipo, rende possibile il coinvolgimento affettivo e lattivazione
di scopi personali dellalunno, probabilmente condizioni indispensabili di un reale
apprendimento. La situazione paritaria consente una modalit di discorso chiamata
da Barnes ipotetica, perch caratterizzata da supposizioni, tentativi di mettere alla
prova una certa asserzione, esplorazioni in diverse direzioni. Un ruolo cruciale stato
attribuito allopposizione discorsiva nel produrre buoni risultati nel gruppo, a partire
dalla teoria di Piaget sullutilit del conflitto sociocognitivo nello stimolare levoluzione
dei processi di pensiero. Le caratteristiche discorsive delle sequenze di opposizione
generano operazioni di riflessione sulle conoscenze per poterle organizzare e presentare
in modo convincente. Lopposizione produttiva solo per quando si basa su scopi
condivisi di realizzazione dellattivit.
LAVORO DI GRUPPO E DOMINIO DI ATTIVITA
Il lavoro di gruppo viene considerato il alcuni paesi (ad esempio lInghilterra) la
situazione ideale per lapprendimento di concetti scientifici. Questo perch la natura
investigativa della conoscenza scientifica troverebbe un terreno ideale nel carattere
esplorativo del lavoro di gruppo, che consente meglio di comprendere il ruolo giocato
dalle <prove> nella presa di decisione scientifica. Perch i processi e gli apprendimenti
sperati si verifichino necessario che per i ragazzi siano coinvolti in attivit scientifica
autentica, altrimenti si resta nellambito di quelle conoscenze destinate
allincapsulamento allinterno dellambito della scuola.
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CAP.4 ACQUISIRE IL LINGUAGGIO: COMPETENZE DI BASE E DIFFERENZE


INDIVIDUALI
Lo sviluppo considerato come un continuum, e conoscere il <prima> fondamentale
per interpretare le competenze presenti e per dirigere lo sviluppo futuro. E dunque
essenziale imparare ad osservare il cambiamento, per intervenire nei tempi e nei modi
pi opportuni per favorire il realizzarsi delle potenzialit di tutti i bambini. I bambini
imparano a comunicare in tempi straordinariamente rapidi, prima con lo sguardo, le
azioni, i gesti e poi con il linguaggio, o meglio la lingua parlata nellambiente che li
circonda. Comunicando, il bambino entra nella comunit di cui fa parte. Esiste una
grande variabilit nei tempi e nelle modalit delle acquisizioni. Ci sono bambini molto
precoci, altri pi lenti, altri che dopo aver fatto rapidamente alcune conquiste,
sembrano continuare pi lentamente il loro sviluppo.
TANTI MODI PER COMUNICARE
Gi dai primi momenti di vita il bambino capace di comunicare i suoi bisogni e i suoi
stati agli adulti che si prendono cura di lui. E questi divengono via via pi esperti
nellinterpretare i segnali comunicativi del neonato. Intorno agli 8 mesi il repertorio dei
comportamenti comunicativi intenzionalmente prodotti dai bambini si arricchisce
attraverso luso di gesti: il bambino si tende verso un oggetto, talvolta con un gesto
ritmato di apertura e chiusura del palmo della mano (un gesto denominato RICHIESTA
RITUALIZZATA); tende loggetto verso ladulto, del quale vuole attirare lattenzione
(MOSTRARE); lascia andare un oggetto nelle mani delladulto (DARE). Infine, il
bambino INDICA con il braccio teso e/o con lindice puntato in una certa direzione.
Questi gesti sono stati classificati come <deittici> o <performativi> poich esprimono
lintenzione comunicativa e il referente di tale comunicazione fornito dal contesto in
cui avviene lo scambio.
Verso la fine del primo anno di vita, compare nei bambini un secondo tipo di gesti,
chiamati <referenziali> o <simbolici>, attraverso i quali il bambino dimostra di poter
usare un comportamento non verbale per nominare o raccontare o chiedere qualcosa,
ad esempio il bambino porta un bicchiere vuoto alla bocca per chiedere da bere. I
bambini inizialmente usano pi gesti che parole: a 12 mesi conoscono in media 29 gesti
ma producono in media solo 8 parole. Inoltre, il numero di parole prodotte
notevolmente inferiore rispetto a quello delle parole comprese. Le differenze individuali
sono per altissime.
INSIEME PER PARLARE
Lambiente linguistico in cui i bambini nascono e crescono determinante per
lacquisizione del linguaggio. Ma non sufficiente che il bambino sia <ascoltatore>
perch impari a parlare: il processo di acquisizione di una lingua, pur avendo le sue
basi nel sistema biologico delluomo, si realizza pienamente solo attraverso e allinterno
di un contesto comunicativo, affettivo e relazionale. Inizialmente i bambini
vengono frequentemente sollecitati dalladulta a parlare: lui che dirige la
conversazione e mantiene attivo linteresse del bambino verso il linguaggio. Non tutti
gli adulti interagiscono allo stesso modo con un bambino: sono stati individuati diversi
stili di interazione comunicativa che, insieme alle caratteristiche individuali proprie di
ciascun bambino, influenzano il modo e i tempi in cui si realizza lo sviluppo. Questo si
modella allinterno di una relazione ed il risultato di fattori biologici e culturali.Una
ricerca ha messo in evidenza la stabilit dellatteggiamento materno per quanto
riguarda luso del linguaggio, le modalit di cura del bambino e la capacit di rispondere
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in modo adeguato ai bisogni del bambino. Questi comportamenti sarebbero dunque


legati a fattori biologici e cambiamenti nella forma e nei contenuti delle interazioni si
verificherebbero con laumentare dellet del bambino in funzione delle caratteristiche
culturali in cui la coppia madre-bambino vive. In et precoci sembra maggiore
linfluenza della componente biologica, in seguito i fattori culturali diventano
estremamente importanti. Ma se questo vero per le madri di molte culture, per i padri
le modalit di interazione con il figlio piccolo appaiono fin dallinizio fortemente
dipendenti dal contesto culturale e familiare di appartenenza, e scarsamente collegati a
fattori biologici. Alcuni studi hanno evidenziato che, in diverse culture, uno stile troppo
direttivo da parte delladulto non favorisce lacquisizione del linguaggio nel bambino e,
al contrario, uno stile centrato sul bambino, promuove nelle primissime fasi, lo sviluppo
comunicativo e linguistico. In questultimo tipo di interazione ladulto riprende spesso
ci che il bambino dice ed esplicitamente interpreta, amplia e arricchisce linformazione
spesso parziale e confusa prodotta dal bambino stesso.
SEMPRE PIU ESPERTI
Attraverso questo processo di co-costruzione del linguaggio i bambini imparano a
comunicare in modo sempre pi raffinato. Se a 17-18 mesi i bambini producono in
media 54 parole, a 19-21 mesi questo numero pi che raddoppiato (circa 130 parole)
e, a 2 anni e mezzo, usano un vocabolario di pi di 400 parole. Anche a questa et le
differenze individuali sono molto vistose. Prima dei 2 anni, il numero di parole prodotte
dal bambino ha un incremento cos marcato da far parlare di una vera e propria
esplosione del vocabolario. Il fenomeno dell<esplosione> oggi molto discusso.
Nellambito di alcuni modelli teorici (quello modulare, ad esempio) si ipotizza fin dalla
nascita unalta specificit del sistema linguistico, unindipendenza reciproca dei
sottosistemi che lo compongono (ad esempio, lessico,morfologia, sintassi) e rigide e
universali tappe di sviluppo. In contrapposizione, pi recenti modelli sullacquisizione
del linguaggio (di tipo cognitivista e funzionalista) sostengono una continuit nello
sviluppo, in cui le fasi e i tempi non sono rigidamente prefissati ma variano da un
individuo allaltro; si ipotizza inoltre una stretta connessione fra le abilit linguistiche e
quelle cognitive pi generali. Questa visione, dunque, interessata a mostrare la
gradualit nello sviluppo e la variabilit fra i soggetti. Nellambito dellapproccio
cognitivista non si nega la possibilit che si verifichi un fenomeno di <esplosione> del
vocabolario e di rapida acquisizione di parole nuove; si sottolinea invece che questo
pu verificarsi in tempi e fasi di sviluppo anche molto diversi da bambino a bambino.
Daltro canto, non necessario considerare questa una tappa obbligatoria e quindi
universale: alcuni sembrano procedere nellacquisizione di un nuovo lessico in modo
molto graduale, senza mai presentare unaccelerazione brusca nello sviluppo del
linguaggio.
I bambini verso i 2 anni sono particolarmente interessati a imparare vocaboli nuovi e a
<giocare con le parole>. Lopportunit di fornire al bambino occasioni e contesti per
promuovere larricchimento del lessico, sfruttando le sue straordinarie capacit di
apprendere con rapidit e facilmente parole nuove, era gi stata sostenuta da una
grande pedagogista come Maria Montessori. La Montessori aveva suggerito di proporre
al bambino fra i 3 ei 6 anni un tipo di nomenclatura specifica, ad esempio quella
relativa alle piante o agli animali.
TEORIA MODULARE E FUNZIONALISTA
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Riguardo allacquisizione della lingua sono state formulate due teorie opposte. Secondo
la teoria della modularit, il linguaggio viene acquisito e mantenuto grazie ad una
capacit specifica indipendente dalle altre facolt mentali; al contrario, secondo la
teoria cognitivista-funzionalista, il linguaggio viene acquisito e mantenuto attraverso
processi mentali/neurali che esso condivide con altri domini percettivi, cognitivi ed
affettivi. Relativamente allorigine ed evoluzione del linguaggio, secondo i sostenitori
del primo punto di vista, il linguaggio sarebbe lesempio classico di una improvvisa
comparsa o mutazione che ha portato ad una nuova abilit complessa. Al contrario, i
sostenitori del secondo punto di vista affermano che il linguaggio si evoluto
gradualmente da abilit preesistenti in parte condivise con i primati non umani. La
teoria modulare afferma quindi che le abilit linguistiche sono innate e specifiche,
mentre la teoria funzionalista sostiene che lacquisizione del linguaggio si basa su
abilit cognitive e percettive pi generali. Infine, la teoria modulare ha avuto come
obiettivo primario, soprattutto nel passato, lidentificazione di fasi e processi comuni a
tutti gli individui e a tutte le lingue, al contrario la teoria funzionalista stata sempre
interessata a studiare le differenze fra le lingue e, allinterno della stessa lingua, le
differenze fra gli individui.
LA NASCITA DELLA FRASE
Poco prima dei 2 anni il bambino comincia a mettere insieme due o pi parole formando
cos le prime frasi. Alcuni bambini, con un numero di parole anche molto limitate tra le
30 e le 50-, producono enunciati di pi parole, si tratta in genere di <frasi congelate>
(come <va-via>), che sembrano riproduzioni memorizzate per intero. Si dice che questi
bambini imparano a parlare seguendo uno stile solistico.
Al contrario, altri bambini iniziano a produrre frasi quando il loro vocabolario
numericamente pi ampio circa 100 parole-; gi dallinizio le loro combinazioni non
sono rigide, possiedono una grande ricchezza informativa e comunicativa. Per le loro
capacit di scomporre e ricomporre parti, lo stile di acquisizione del linguaggio di tipo
analitico. Il processo di acquisizione del linguaggio molto graduale. Nelle prime frasi,
il bambino tende ad esprimere solo gli elementi maggiormente informativi del
messaggio che tende trasmettere ma, malgrado lomissione di un certo numero di
elementi, quasi possibile interpretare correttamente il significato di queste frasi. Il
linguaggio del bambino si appoggia, infatti, ancora molto al contesto situazionale. Le
prime frasi sono formate dalla giustapposizione di due nomi (<chiavi pap) o da un
predicato con il soggetto e/o un complemento (sono frasi nucleari come <d
brumbrum>) Successivamente gli enunciati, pur restando di due o pi elementi,
possono complicarsi da un punto di vista sintattico con luso di parole (aggettivi o
avverbi) che portano informazioni aggiuntive:<d brumbrum rossa>; si parla allora di
frasi ampliate. Infine sono usate frasi complesse (<prendili gioco che mi piace tanto>)
o due frasi unite da un rapporto di coordinazione (<il bimbo prende la palla e la
butta>) o di subordinazione (<quando torna pap mangiamo la pappa>). Levoluzione
della struttura della frase strettamente collegata alla sua lunghezza. Questa
considerata una misura affidabile dello sviluppo del linguaggio ed spesso utilizzata
come un indice della maturit linguistica di bambini con problemi. In genere, verso i 34 anni i bambini possiedono molte di queste strutture anche se alcune di esse sono
usate poco frequentemente.
LO SVILUPPO MORFOLOGICO
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Per ci che riguarda la morfologia dellacquisizione della morfologia della lingua, le frasi
dei bambini di 2-2anni e mezzo, sono in uno stile <telegrafico>: articoli, preposizioni e
copula cominciano ad essere usati a partire dai 3 anni e si consolidano nelluso alcuni
mesi pi tardi. In particolare Pizzuto e Caselli hanno esaminato lo sviluppo di alcuni
aspetti morfologici nel linguaggio spontaneo di tre bambini seguiti longitudinalmente fra
i 18 ei 36 mesi cercando di mettere in evidenza la gradualit del processo di
acquisizione. Un risultato rilevante di questo studio che se vero che molti morfemi
grammaticali sono presenti nel linguaggio dei bambini fin da et molto precoci, solo
in periodi successivi che possibile parlare di una vera e propria acquisizione. Mettendo
a confronto i dati relativi allacquisizione della morfologia legata (genere e numero,
flessioni verbali, regole di accordo), con quelli della morfologia libera (ad esempio uso
di articoli, pronomi clitici) emerge che le flessioni e laccordo sono prodotti prima e con
una percentuale pi alta rispetto ai morfemi grammaticali liberi. Il padroneggiamento di
molti aspetti morfosintattici sembra raggiunto intorno ai 4 anni, e gradualmente gli
errori sono sempre molto frequenti. Nel controllo degli elementi <liberi>, come articoli,
pronomi e preposizioni, gli errori consistono essenzialmente in omissioni; nelluso di
elementi legati (flessioni verbali, accordi, plurali) i bambini possono invece produrre
degli <ipercorrettismi>: il caso di <piangio> anzich <piango>. In questi casi sar
opportuno non correggere direttamente lerrore, ma proporre al bambino la forma
corretta in contesto di frase e di discorso. Particolarmente importante esporre il
bambino, fin da piccolo, al racconto di fiabe. Queste rappresentano infatti degli
strumenti comunicativi, linguistici e psicologici fondamentali per la sua crescita. Sul
piano comunicativo, rappresentano un momento magico di condivisione fra adulto e
bambino; sul piano linguistico proprio nel racconto di favole che i bambini possono
sperimentare forme linguistiche pi complesse.
OSSERVARE LA VARIABILITA
Il linguaggio non una capacit univoca ed omogenea, poich possibile riconoscere
allinterno di questa competenza diverse componenti. Inoltre, i bambini manifestano
una grande variabilit individuale nello sviluppo. Tutte le componenti agiscono insieme
e se non funziona qualcosa in una di esse vi sar un effetto negativo sulle altre.
Fondamentale ricordare sempre che il bambino non un adulto piccolo: esso non
ragiona o non parla di meno o in modo difettoso, ma in un modo che ha una sua logica.
Le sue competenze sono organizzate ad un diverso livello. E assolutamente necessario
dunque elaborare modelli dinamici dello sviluppo dei bambini che siano indipendenti da
quelli delle teorie sul funzionamento della mente e del comportamento dellet adulta.
Oggi si ritiene che la capacit di acquisire un linguaggio si basi su predisposizioni
biologiche innate, ma che non sia necessariamente specifica e indipendente da altre
capacit. Si ritiene, infatti che, almeno inizialmente, sia strettamente collegata a
meccanismi percettivi e cognitivi pi generali, quali la maturazione del sistema visivo,
acustico e articolatorio, lo sviluppo motorio, la memoria, la capacit di
rappresentazione, lo sviluppo affettivo-relazionale. Un contributo importante alla
comprensione dei processi implicati nellacquisizione del linguaggio viene soprattutto
dai bambini con disturbi di acquisizione rispetto ai bambini <normali>. Ad esempio, i
bambini con sindrome di Down hanno spesso delle competenze linguistiche inferiori a
quelle che ci si potrebbe aspettare in base alla loro et mentale; inoltre, hanno
difficolt nellimparare correttamente gli aspetti fonologici e morfologici della lingua.
Sono per dei buoni comunicatori e suppliscono alle carenze sul piano dellespressione
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verbale con luso di una ricca gestualit. Al contrario, i bambini con sindrome di
Williams (una sindrome genetica pi rara rispetto a quella Down, che comporta
anchessa ritardo mentale) sembrano presentare un profilo diverso: Pur avendo un
ritardo di linguaggio rispetto ai bambini di pari et cronologica, sembrano, in alcuni
aspetti dellarea linguistica, pi bravi rispetto alla loro et mentale. Hanno, in genere,
una buona fluenza verbale, unottima pronuncia e padroneggiano abbastanza bene gli
aspetti morfologici. Per, sul piano semantico utilizzano parole inappropriate rispetto al
contesto situazionale e linguistico, e sul piano della narrazione appaiono spesso in
difficolt nel raccontare una storia in maniera coerente. Assolutamente diverso il caso
dei sordi. La maggior parte di questi bambini, laddove non siano documentati altri
deficit, sono assolutamente normali sul piano cognitivo. Se esposti fin da piccoli ad una
lingua dei segni (che utilizza la modalit visivo-gestuale integra) la impareranno in
modo naturale e spontaneo. I bambini sordi, e in particolare quelli con una perdita
uditiva <grave> o <profonda>, anche se protesizzati precocemente ed avviati ad un
lavoro specifico sul linguaggio (logopedia), possonoavere invece molte difficolt ad
apprendere spontaneamente la lingua parlata perch essa viaggia sulla modalit
acustica deficitaria.
Questi tipi di bambini hanno patologie ben chiare, per ci sono altri casi in cui genitori,
pediatri, educatori o insegnanti intuiscono che c <qualcosa che non va> senza saper
riconoscere di cosa si tratti. In alcuni casi a questi bambini viene diagnosticato un
Disturbo Specifico di Linguaggio (o DSL), poich sembrano mostrare un profilo
adeguato su tutti gli aspetti (ad esempio sul piano motorio, cognitivo, affettivorelazionale) tranne che sul linguaggio. Ma quando e su che basi e a che et possibile
identificare bambini a rischio o con problemi di linguaggio?
Lavori recenti sostengono che si possa parlare di <ritardo> se si osservano: prestazioni
qualitativamente sovrapponibili a quelle di bambini pi piccoli normali; una sequenza
nelle tappe di sviluppo ed acquisizione del linguaggio analoga a quella con bambini
normali; un ritardo nella prima comparsa del linguaggio e un rallentamento nel ritmo di
sviluppo, ma con una certa plasticit nella prestazione e una buona modificabilit.
Si parla invece di <devianza> quando si riscontrano un ritmo di acquisizione molto
rallentato; un cambiamento molto lento; lassenza di una chiara sequenza di fasi; una
dissociazione tra diverse componenti del sistema linguistico e allinterno delle singole
componenti (ad esempio, dissociazioni tra sintassi e morfologia, oppure tra morfologia
verbale e nominale).
Grazie alla messa a punto di nuovi strumenti di valutazione e alla disponibilit di nuovi
riferimenti normativi, oggi considerata <anomala> ogni condizione di ritardato
sviluppo del linguaggio che comporti:
prestazioni inferiori a quelle della media dei bambini normali di almeno due deviazioni
standard;
una produzione inferiore a 50 parole a 2 anni;
lassenza di combinazioni a 3 anni;
una lunghezza media degli enunciati inferiore a 3 parole a 3 anni e mezzo (dallICD10, cio
la classificazione internazionale delle sindromi e dei disturbi psichici proposta nel 1992
dalla World Health Organization).
Let tra i 24 e i 42 mesi la migliore per identificare i bambini con problemi di sviluppo
linguistico-comunicativo e mettere in atto interventi educativi, psicologici e riabilitativi
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in grado di prevenire disturbi futuri. Un intervento educativo o riabilitativo precoce pu


rappresentare un effettivo miglioramento della qualit di vita per tali bambini.
A SCUOLA CON UN BAMBINO <PORTATORE DI HANDICAP>
Il problema dellintegrazione dei bambini portatori di handicap fu affrontato per la
prima volta in Italia a livello statale nel 1974, periodo in cui il ministero della Pubblica
Istruzione inizi i lavori che portarono poi allemanazione di leggi, decreti e circolari che
avviavano gradualmente il processo integrativo di molti di quei bambini la cui istruzione
era affidata fino ad allora a scuole speciali. Nel 1977 fu emanata la legge 517; questa
sanciva la possibilit dellinserimento dei bambini portatori di handicap nella scuola di
tutti, regolamentava il numero degli alunni per classe, asseriva che lattivit di sostegno
doveva essere svolta da insegnanti specializzati e prevedeva, intorno a ciascun
soggetto, lattivit di equipe specialistica dei Servizi Materni Infantili del territorio. Nel
1982 la legge 270 prevedeva linserimento scolastico anche nella scuola materna
statale. Nel 1992, la legge-quadro 104 sancisce il diritto allo studio e lintegrazione in
tutti i gradi di istruzione: asili nido, scuola materna, scuola dellobbligo, scuola
superiore ed universit. Questa legge molto importante perch afferma che il diritto
allo studio deve essere garantito senza limiti e che lintegrazione scolastica ha come
obiettivo lo sviluppo di tutte le potenzialit della <persona con handicap>. Ma affinch
il progetto educativo e riabilitativo che viene attivato intorno al bambino funzioni,
necessaria la collaborazione dei terapisti della riabilitazione, scuola, genitori e strutture
sanitarie. Tale collaborazione molte volte resta sulla carta e non riesce a concretizzarsi
nella realt quotidiana. Finisce cos che molto spesso venga demandato esclusivamente
alla scuola il compito di realizzare lintegrazione del bambino <portatore di handicap>
nei suoi diversi ambiti. Nella pratica, gli insegnanti si sentono soli e impreparati a
gestire problematiche che spesso non sono di loro esclusiva competenza.
In sintesi, il bambino con deficit un bambino con le sue potenzialit e i suoi limiti, con
i suoi bisogni e i suoi diritti che sono quelli di tutti i bambini. In questo senso
importante distinguere tra deficit e handicap come due facce di una stessa realt: - il
deficit riguarda laspetto fisico (disabilit motoria, cecit, sordit ecc); - lhandicap
riguarda invece laspetto sociale, linsieme dei luoghi e delle attivit sociali (come
listruzione, il lavoro, lo sport, il tempo libero) dai quali un individuo o una categoria di
individui si trovano esclusi a causa di un deficit fisico. E dunque nella scuola
necessario non assumere unottica medica che spesso mira a <normalizzare> il
bambino e che si occupa di <riparare> o <ricostruire> le funzioni compromesse, per
ridurre il deficit. La scuola dovr invece, con i mezzi e le competenze che le sono
propri, preoccuparsi principalmente di ridurre lhandicap del bambino, considerando
prioritario lapprendimento delle conoscenze e potenziando gli scambi interattivi e
comunicativi con coetanei e adulti in contesti naturali.
ALTRE LINGUE, ALTRE CULTURE
Anche i fattori socioculturali possono influenzare lo sviluppo del linguaggio nella prima
infanzia. Attualmente molti bambini che frequentano il nido o la scuola materna
provengono da famiglie non italiane con culture e tradizioni molto lontane dalle nostre e
sono esposti fin dalla nascita ad unaltra lingua. E importante infatti che il o i genitori
utilizzino con il proprio figlio/a la lingua con cui si sentono pi a loro agio e attraverso la
quale sono in grado di trasmettere sentimenti e valori. Purtroppo esiste il pregiudizio
che i bambini bilingui siano pi lenti nel processo di acquisizione del linguaggio e questo
pregiudizio spesso condiviso da pediatri, educatori e operatori sanitari (logopedisti,
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psicologi, terapisti della riabilitazione). Non c alcun motivo a priori per pensare che
lacquisizione simultanea di due lingue possa rallentare lo sviluppo lessicale e/o
grammaticale e non vi alcuna ricerca che supporti questa conclusione. Invece stato
dimostrato che il bambino allevato il un ambiente dove vengono parlate due lingue le
impara entrambe negli stessi tempi e seguendo tappe analoghe a quelle dei bambini
monolingui, a patto che vengano rispettate alcune condizioni. Soprattutto nelle prime
fasi di acquisizione importante rispettare il principio <una persona, una lingua> ed
evitare quindi che ladulto passi improvvisamente da una lingua ad unaltra
nellinterazione con il bambino. Inoltre, mentre fino ai 3 anni pu essere sufficiente un
solo interlocutore nella lingua straniera, ad esempio una madre che parla inglese,
mentre lambiente circostante parla italiano, pi tardi fondamentale che il bambino
abbia anche altri interlocutori e soprattutto sperimenti luso di entrambe le lingue con
dei coetanei. Fin dalla scuola materna e per tutto il ciclo dellobbligo la scuola deve
illustrare e far conoscere sia al bambino bilingue che ai suoi compagni di classe il
maggior numero possibile di informazioni sulla nazione e cultura di provenienza.
CAP.5 SISTEMI SIMBOLICI E NOTAZIONE FIGURATIVA
LINGRESSO NEL MONDO DEI SEGNI
Nella nostra cultura lingresso dei bambini nel <mondo dei segni> avviene
precocemente. Durante il secondo anno di vita, se un bambino ha a disposizione carta e
matita, sar facile vederlo impegnato a scarabocchiare: gli scarabocchi non sono n
disegni n scrittura, ma gesti che il bambino compie per il piacere di lasciare una
traccia sul foglio. In uno studio basato su 8000 disegni, Rhoda Kellogg [1969] ha
identificato venti diversi tipi-base di scarabocchi, come linee,spirali,circoli,croci. Questa
sorta di alfabeto del lessico grafico, inizialmente polivalente, destinato a prendere
strade diverse, che conducono alla simbolizzazione iconica da un lato, e ai sistemi
rotazionali linguistici e numerici dallaltro. Ma affinch il bambino rappresenti la realt
con figure, parole e numeri, lattivit puramente motoria del tracciare segni dovr
trasformarsi in unattivit che stabilisce una relazione specifica tra segni e mondo, cio
arricchirsi di quella che, seguendo Piaget, si definisce come <funzione simbolica>. Per
Piaget la funzione simbolica coincide con la capacit rappresentativa, ossia la
possibilit di richiamare alla mente oggetti non percettivamente presenti (i
<significati>) grazie a indici, simboli o segni che ne evocano le caratteristiche (i
<significanti>). Piaget distingue tra indici, simboli e segni, in base al diverso tipo di
referenzialit. Gli indici, i pi primitivi dal punto di vista evolutivo, sono concepiti come
semplici <indizi> di qualcosa nel mondo esterno, con cui sono uniti in unesperienza
sincretica; nei simboli e nei segni invece significante e significato sono distinti, ma i
primi conservano qualche affinit concreta con ci che rappresentano (ad esempio, una
somiglianza visiva come quella tra un cerchio disegnato ed una palla) mentre i segni
possono essere anche del tutto convenzionali, come i suoni delle parole che non hanno
in genere alcuna affinit con ci che denotano. La capacit rappresentativa si esprime
attraverso svariate condotte: limitazione, il gioco simbolico, la produzione di immagini
mentali, il linguaggio e il disegno. Lesistenza di affinit visive tra disegno e mondo non
implica che il bambino sia da subito capace di leggere e di produrre simboli iconici. Il
prerequisito per passare dallo scarabocchio al disegno acquisire uno specifico sistema
di simbolizzazione. Ci inizia relativamente tardi nel corso dello sviluppo, quando il
bambino gi capace di servirsi, anche se non compiutamente, di altri mezzi simbolici
come i gesti comunicativi, il gioco di finzione, il linguaggio parlato. Non bisogna in
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effetti dimenticare che, mentre il linguaggio si sviluppa a partire da una base innata, il
mondo dei segni scritti assai pi fortemente determinato dalla trasmissione culturale.
DISEGNO E SCRITTURA
La scoperta infantile dei segni non iconici- numeri e parole scritte- stata molto meno
studiata dagli psicologi dello sviluppo, nellimplicita presupposizione che essa dipenda
esclusivamente dallistruzione formale. Il primo a discostarsi da questa prospettiva
stato Lurija il quale, in un lavoro degli anni 20 escogit la procedura di <far scrivere>
a bambini prescolari delle frasi per aiutarsi a ricordarle. In una prima fase
<prestrumentale> i bambini producono scarabocchi, linee o zig-zag che imitano la
scrittura adulta, senza per alcuna relazione con le frasi udite. Successivamente appare
una <scrittura pittografica>, in cui i segni si differenziano per forma e numero, ma
secondo modalit non alfabetiche. Molti bambini non esplorano le possibilit della
scrittura pittografica perch a 5-6 anni vengono gi introdotti al principio alfabetico; ma
secondo Lurija ci non d luogo allimmediata acquisizione delle tecniche di scrittura
culturalmente corrette, quelle basate sulla corrispondenza grafema-fonema: vi una
transizione nel corso della quale i bambini tornano alliniziale scrittura indifferenziata, in
cui le lettere apposte sul foglio non hanno alcun legame con il significato delle frasi.
Il problema della distinzione tra disegno e scrittura stato ripreso negli anni 70 da
Emilia Ferreiro che, partendo da una prospettiva piagetiana, ha mostrato come i
bambini giungano a distinguere tra il segno pittorico e quello rotazionale (lettere,
numeri) tramite un processo attivo di scoperta che precede il larga misura la
scolarizzazione. Secondo Ferreiro e Teberosky, i bambini sotto i 4 anni non distinguono
pienamente disegno e scrittura. Successivamente la scrittura viene considerata come
analoga degli oggetti che designa: cos, taluni bambini sono convinti che nella
didascalia di una illustrazione ci debba essere scritto il nome di ci che raffigurato
nellimmagine. Infine il bambino giunge alla progressiva scoperta della funzione
puramente simbolica della scrittura convenzionale, della sua natura astratta e
svincolata dallimmagine.
Il percorso che porta dunque il bambino ad impadronirsi del sistema di denotazione
grafica molto lungo. Il bambino incomincia a esplorare attivamente il mondo dei
segni in concomitanza con la sua capacit di tracciare linee, punti, macchie su un
foglio; in seguito tali segni acquistano il carattere della rappresentativit.
LE TAPPE DELLA RAFFIGURAZIONE PITTORICA
Georges-Henry Luquet descrive le tappe attraverso le quali il bambino progredisce dagli
scarabocchi alluso dei segni per rappresentare la realt. La prima fase, intorno ai 2
anni, quella del realismo fortuito: il bambino, dopo aver tracciato dei segni, li
<interpreta> come rappresentativi di questo o quelloggetto in base a somiglianze
anche fragili (una forma circolare pu essere etichettata come <un sole>o anche <un
camion>). Successivamente il bambino si pone pi chiaramente degli intenti figurativi,
ma spesso non riesce a raggiungerli; e la fase del realismo mancato, che va dai 2
anni e mezzo ai 4-5 anni:<volevo fare un topo, ma mi uscita una pizza>. Una tipica
difficolt di questo periodo coordinare le diverse parti di un disegno (incapacit di
sintesi), cosicch in taluni casi il bambino si limita a giustapporre vari elementi senza
rispettarne le relazioni spaziali. Nel periodo che va dai 5 agli 8 anni, chiamato stadio del
realismo intellettuale, il bambino diviene molto pi abile nel riprodurre laspetto di
ci che disegna. Il bambino sembra preoccuparsi solo di rendere riconoscibile ci che
disegna, <seguendo il concetto di esemplarit e non quello di prospettiva>. Il
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predominio dellesemplarit sulle prospettiva si pu cogliere anche nelle trasparenze e


nei <ribaltamenti>, per cui alcune figure sembrano stese in un panorama visto
dallalto. Invece, nellultima fase (dagli 8 anni alladolescenza) il cosiddetto realismo
visivo si manifesta nel predominante interesse per la raffigurazione prospettica entro e
tra gli oggetti disegnati.
IL DISEGNO COME TEST DI INTELLIGENZA: LA FIGURA UMANA
Il disegno considerato un indicatore delle capacit intellettive del disegnatore. Negli
anni 20 comparso il Test della Figura Umana, nel quale la numerosit e
lappropriatezza con cui, et per et, le varie caratteristiche costitutive della figura
umana appaiono nel disegno vengono assunte a indici dello sviluppo intellettuale
generale. In effetti, il disegno della figura umana un discreto predittore del successo
scolastico.. Nella versione originale il test richiedeva di disegnare la figura di un uomo
(Goodenough); nella versione rivisitata da Harris, agli inizi degli anni 60 si chiede di
disegnare una figura maschile e una femminile.
LAPPROCCIO STORICO-CULTURALE
Per la concezione storico-culturale lo sviluppo delle funzioni psichiche superiori deve
essere sempre considerato da un duplice punto di vista: da un lato vanno studiati i
processi di acquisizione degli strumenti esteriori del pensiero (lingua scritta e parlata,
calcolo, disegno); dallaltro vanno esaminate le trasformazioni che tali strumenti
apportano alle strutture stesse del pensiero, e che consistono sostanzialmente
nellacquisizione di qualit superiori quali lattenzione volontaria, il pensiero concettuale
ecc.
Bruner, nello sforzo di integrare lapproccio studiale e strutturalista di Piaget con quello
socioculturale di Vygotskij, ha posto laccento sulla centralit dei mezzi con i quali ci si
rappresenta lesperienza del mondo. Per Bruner il sistema cognitivo si articola in tre
sistemi diversi ma collegati tra loro (attivo,iconico,simbolico) grazie ai quali la
conoscenza del mondo viene rappresentata in molteplici modi, che vanno dallazione,
alla raffigurazione di eventi e situazioni in forma di immagini, alluso di sistemi simbolici
convenzionali, come il linguaggio, la notazione matematica ed ogni altro tipo di segni. Il
processo di crescita consiste nellinteriorizzazione dei modi di conoscenza presenti nella
cultura di appartenenza, inclusi i modi di rappresentazione iconica.
DAL PRODOTTO PITTORICO AL PROCESSO DEL DISEGNARE
Dagli anni 70 in poi, linsoddisfazione nei confronti dellapproccio studiale conduce
alcuni studiosi a riesaminare il disegno infantile nel quadro dellapproccio HIP (Human
Information Processing, o teoria dellelaborazione dellinformazione), proponendo di
considerare il disegno come una forma di problem-solving. Per trasporre su una
superficie piatta lapparenza visiva di oggetti solidi, disposti nello spazio nei modi pi
vari, i bambini vanno incontro a numerosi problemi: come <rendere> la corrispondenza
tra oggetto e raffigurazione? Il bambino deve dunque costruire un sistema di
denotazione (il termine <denotazione> designa qui la referenza ad un oggetto,
mentre <connotazione> si riferisce a propriet pi specifiche; cos una faccia
denotata pittoricamente da un cerchio che contiene dei segni per occhi e bocca, ed
connotata come <felice> se la linea che indica la bocca ha gli angoli allins). Possiamo
considerare una delle figure che compaiono per prime nel repertorio pittorico infantile:
lomino testone. Per raffigurare lessere umano il bambino di 3 anni pu usare solo due
tipi di segni: dei cerchi di diversa misura per denotare sia la testa che gli occhi e delle
linee per gli arti e il tronco. Intorno ai 4-5 anni il bambino giunge alla <figura
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convenzionale>, in cui testa, tronco e arti sono denotati da regioni distinte; a questi
elementi si aggiungeranno ben presto mani, piedi e dettagli del volto. Fino agli 8-9 anni
circa il bambino continua di solito a comporre la figura <a blocchi>: un tondo per la
testa, un ovale o un rettangolo per il tronco, delle strisce per gli arti e cos via. Solo al
termine della fanciullezza diverr pi frequente luso di un contorno continuo che
delimita pi parti. C da considerare che i bambini devono fare i conti con numerose
difficolt esecutive e progettuali. Limpegno che un bambino deve porre per guidare
una matita sul foglio nel modo voluto pu fargli perdere di vista altri aspetti del suo
piano di lavoro. Accade cos che i bambini piccoli, la cui capacit di memoria limitata,
non sempre tengano a mente le varie componenti da rappresentare per tutto il tempo
necessario ad eseguire il disegno. Nel caso di un oggetto complesso come la figura
umana, stato dimostrato che i bambini di 3 anni sanno modellare con il pongo tutte le
parti principali del corpo umano e porle nelle relazioni appropriate, mentre quando
disegnano omettono il tronco e attaccano gli arti direttamente alla testa. Ci dovuto
al fatto che, lavorando con il pongo, i pezzi via via costruiti indipendentemente luno
dallaltro possono essere poi messi insieme alla fine, mentre nel disegno si deve
<costruire> la figura in una precisa sequenza, pianificata fin dallinizio. Dunque
sembrerebbe che lefficacia rappresentativa verrebbe raggiunta in maniera diversa a
seconda del mezzo simbolico impiegato, ed in stretto rapporto con la variet di
caratteristiche che ogni compito presenta. Anche qui si riscontra la diversit
dellapproccio cognitivista da quello studiale tradizionale: se i modi di disegnare fossero
esclusivamente o principalmente espressione di caratteristiche strutturali generali di
pensiero, essi dovrebbero essere abbastanza costanti anche al variare delle circostanze
in cui il soggetto disegna e degli strumenti di cui dispone. Ma ci non vero. Il bambino
non disegna ci che sa (realismo intellettuale) a spese di ci che vede (realismo visivo):
egli piuttosto <disegna ci che pu>.
I bambini, durante la fanciullezza, giungono a definire un repertorio di forme canoniche
alle quali si attengono di preferenza. Una caratteristica delle figure canoniche di
essere <centrate sulloggetto>, cio di rappresentare ci cui si riferiscono dal punto di
vista che meglio ne mostra le caratteristiche: cos un pesce sar raffigurato di profilo,
in modo da coglierne pi facilmente la forma allungata, mentre un volto sar di solito
frontale, cos da evidenziare la disposizione si tutti i tratti facciali. Secondo Luquet
[1927] lattivit pittorica infantile sarebbe guidata da un <modello interno> della realt
astratto e universale, pi che da unosservazione del mutevole apparire degli oggetti in
relazione al volgersi dello sguardo: ma se fosse cos il bambino non potrebbe mai
scostarsi dalla canonicit, e ci non vero. Infatti, allinizio della fanciullezza il bambino
predilige forme esemplari degli oggetti, che pur essendo relativamente semplici da
eseguire e ben padroneggiate grazie al loro uso ripetuto, rivelano le componenti
costitutive di ci che si vuole rappresentare trascurando le caratteristiche individuali e
le informazioni prospettiche: ma quando individualit e/o disposizione spaziale
divengono salienti, molti bambini gi in et prescolare si scostano dalla canonicit.
I TEST NEUROPSICOLOGICI
Il disegna compare anche in alcune prove neuropsicologiche. Questi test sono nati nel
quadro della teoria gestaltista e si basano sulle documentate difficolt grafiche di
pazienti neurologici e psichiatrici, oltre che sul progressivo incremento delle capacit
dei bambini. Tra i tanti si possono ricordare i Labirinti, in cui il soggetto deve
rintracciare luscita; il Test del Disegno Geometrico per bambini dai 3 agli 8 anni, il Test
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di Rey della grande e piccola figura complessa, il Test di Bender, il Test di Benton. Tutti
questi test, oltre ad essere ritenuti buone misure di intelligenza generale, sono stati
validati rispetto alla capacit di evidenziare differenze tra soggetti cerebrolesi e
normali. Si prestano ad un uso prevalentemente clinico.
IL DISEGNO COME MEZZO DI COMUNICAZIONE
Il disegno ha un carattere comunicativo, in quanto oltre ad un autore ha sempre uno
spettatore. I vantaggi offerti dalla rappresentazione grafica vanno dalla maggiore
libert comunicativa che essa consente, nella sua validit interetnica, e nella possibilit
intrinseca che ha di far emergere aspetti peculiari del pensiero, difficilmente esprimibili
a parole. Il disegno come comunicazione alla base di almeno due tipi di applicazioni.
Una costituita dai classici strumenti proiettivi, in cui il disegno visto come una ricca
opportunit di espressione di s e dei propri affetti. Lassunto di base che il
disegnatore riversi inconsapevolmente in ci che disegna aspetti del suo mondo
interiore. Il bambino trasporr in forma simbolica i suoi vissuti sul tema disegnato
(come nel caso del test della famiglia); oppure, rappresentando un oggetto
apparentemente neutro e ritenuto invece portatore di una valenza espressiva
particolare (ad esempio, lalbero), riveler aspetti nascosti di s e dei propri rapporti
con il mondo. Un diverso approccio al disegno come comunicazione ha invece guidato il
lavo sulla rappresentazione di relazioni interpersonali. Nella consegna ai bambini si
chiede di <disegnare per far sapere> allinterlocutore adulto qualcosa di s e dei propri
rapporti con gli altri (amici, fratelli e altri). La codifica dei disegni di s con un partner
significativo avviene in base alle Scale di Somiglianza, Valore, Coesione e di
stanziamento. Grazie ad un manuale di codifica, laccordo tra i codificatori risulta
elevato. E utile anche nellapplicazione transculturale, dove il disegno supplisce alle
ovvie difficolt della comunicazione verbale.
DISEGNO E CULTURA
Negli studi sullo sviluppo del disegno si possono individuare due linee di pensiero, una
universalistica e una <situazionistica>. La posizione pi tradizionale e diffusa quella
che ascrive un carattere universale alle rappresentazioni pittoriche. Un argomento a
favore delluniversalit sarebbe la loro riconoscibilit: un individuo cresciuto senza mai
vedere dei disegni pu immediatamente identificare il contenuto delle rappresentazioni.
Alluniversalismo si oppongono invece quanti ritengono che vi sia una inevitabile
mediazione dellazione e del giudizio sociale sul grafismo infantile. In effetti, il marchio
della cultura riconoscibile sia nella scelta preferenziale di taluni temi sia negli stili
pittorici adottati dai bambini dai diversi paesi. Questo dibattito teorico ha stimolato un
certo numero di ricerche transculturali sul disegno, e in particolare sulla figura umana,
un tema che ricorre nei disegni infantili. Non si pu negare che il disegno della figura
umana presenti numerose somiglianze da una cultura allaltra, ma vi sono anche delle
differenze, che consistono non solo nella precocit con cui i bambini giungono a
rappresentare la figura convenzionale, ma anche nella scelta delle parti componenti e
nel modo in cui queste parti sono denotate e connesse le une alle altre. Un caso limite
il modo in cui i bambini Walbiri (aborigeni australiani) disegnano di solito le persone,
ossia mediante un semicerchio: un semicerchio grande con uno pi piccolo inscritto
allinterno rappresenta una madre con un bambino in braccio!
IL DISEGNO INFANTILE COME ARTE
La scelta che il bambino fa del disegnare dipende in parte dalla scoperta dovuta
allesercizio dellattivit grafica stessa e in parte effetto di una trasmissione sociale. E
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verso la met dell800 che pedagogisti e letterati cominciano a mostrare interesse per il
grafismo dei piccoli, ma soprattutto a partire dagli anni 30 e sino allimmediato
dopoguerra, limportanza attribuita alla creativit e allespressione artistica nello
sviluppo e nelleducazione del bambino ha portato educatori e psicologi a porre
laccento sulle potenzialit artistiche della pittura infantile. Le valenze artistiche delle
prime forme di disegno e il minore appello estetico delle figurazioni successive hanno
portato alcuni autori a parlare di una <curva a U> nello sviluppo artistico: ci sarebbe
una fase iniziale in cui il talento artistico si manifesta con vigore, seguita da un
affievolimento, cui eventualmente fa seguito, dalladolescenza in poi, il dispiegarsi del
talento maturo. Non si deve per credere troppo ingenuamente alla naturalit dellarte
infantile. Il passaggio dallo scarabocchio incontrollato alle forme proto-figurative che
tanto ci colpiscono per la loro ingegnosa essenzialit e libert formale avviene entro un
contesto culturale in cui i bambini hanno ampio accesso ad immagini semplificate (si
pensi alle figure dei primi libri illustrati o ai cartoni animati), e gli adulti intervengono
anche esplicitamente lodando questa o quella attivit grafica. Insomma, quello che
sembra emergere da una disposizione naturale del bambino in realt il frutto
dellinterazione tra i vincoli cognitivi, procedurali e motivazionali del bambino e una
serie di influenze culturali e pedagogiche, di cui gli adulti sono solo in parte
consapevoli.
Fondamentale importanza riveste la scelta di intervenire o meno nel processo di
costruzione del sistema iconico da parte del bambino proponendo esplicitamente dei
modelli e incoraggiando i bambini a copiarli. Lesercizio del copiare assai poco
popolare nella nostra scuola, mentre in Cina, dove il disegno molto valorizzato anche
in vista della destrezza esecutiva necessaria alla scrittura ideografica, gli insegnanti
effettuano a tuttoggi un vero e proprio lavoro di modellamento, facendo riprodurre,
parte per parte, una serie di equivalenti pittorici atti a raffigurare animali e oggetti. E
interessante rilevare come, nonostante ci, i bambini cinesi non si tirino indietro al
momento di abbandonare i modelli e di rappresentare oggetti inusuali.
Lo studio delle idee infantili sul disegno assai recente e purtroppo le opinioni dei
bambini sui requisiti che un disegno deve avere per essere ben fatto, o sulle regole da
seguire nel disegnare, sono state scarsamente indagate. In una recente ricerca
condotta con interviste semi-strutturate a bambini fra i 5 e gli 11 anni si cercato di
appurare le modalit adottate nel disegno, il controllo esercitato sul prodotto, i giudizi
sulla propria e altrui abilit grafica e sulle immagini realizzate, le variazioni e modifiche
eventualmente apportate. Lanalisi delle risposte ottenute mostra che le idee circa le
strategie necessarie per disegnare variano con let: a 5 anni i bambini credono che per
disegnare sia sufficiente farlo <cos come viene>, a 7-8 anni riconoscono limportanza
di una pianificazione anticipata, e solo intorno agli 11 anni individuano il concorso di pi
strategie (progettare, confrontare il disegno con la realt esterna, correggere ci che si
viene disegnando).
E per necessario accostarsi allo sviluppo del disegno infantile con pi consapevolezza
delle influenze sociali esercitate da genitori, educatori e mezzi pittorici sulla scelta di ci
che conta rappresentare e del modo in cui ci deve preferibilmente avvenire. Questo
permetterebbe di programmare pi adeguatamente degli interventi formativi mirati a
favorire la soluzione dei problemi progettuali, procedurali ed esecutivi che il bambino
incontra nella sua acquisizione del sistema di rappresentazione pittorico.
CAP.6: IMPARARE A LEGGERE
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I pi antichi esempi di scrittura sono datati intorno al IV millennio avanti Cristo. Si


tratta di sassi o tavolette di argilla con incisioni geometriche che elencano sassi di
grano o capi di bestiame. La storia della scrittura e della lettura comincia cos con il
calculus, parola che originariamente designa il sasso, o pietruzza, e le sue scritte
utilizzate per contare. Leggere significa dire alla propria mente le parole di un testo.
Ricevendo queste parole la mente di chi legge pu ricreare il pensiero di qualcuno che
non presente. Conviene dunque distinguere il <leggere> dal <comprendere il testo>.
Il leggere ha a che fare con il riconoscere le parole e i loro significati. La comprensione
del testo utilizza queste parole per costruire immagini, pensieri e ragionamenti. Le
ricerche psicologiche hanno mostrato che il riconoscimento delle parole scritte e la
comprensione del testo utilizzano meccanismi mentali e apparati di conoscenze di
natura in parte diversa. Per riconoscere le parole scritte utilizziamo un insieme
molto vasto di conoscenze, prevalentemente di natura linguistica: conoscenze
ortografiche (la memoria di sequenze di lettere) e fonologiche (la struttura dei suoni
delle parole); conoscenze sintattiche (le relazioni che la parola ha con altre categorie di
parole) e semantiche (i diversi significati che la parola pu avere). Per conoscere un
testo utilizziamo sia conoscenze linguistiche (in particolare quelle sintattiche) sia
conoscenze <sul mondo>, che ci permettono di costruire unimmagine mentale dei fatti
descritti e di ragionare sulle affermazioni contenute nel testo. Anche imparare a leggere
il risultato di meccanismi e processi di apprendimento diverso. Il riconoscimento delle
parole scritte si fonda solo in parte sulle conoscenze che il bambino ha gi acquisito
attraverso la lingua parlata; richiede invece nuovi meccanismi di accesso alle
conoscenze linguistiche, e nuove modalit di rappresentazione delle parole. La
comprensione del testo si fonda invece su un insieme di processi che il bambino mette
in atto anche quando comprende i discorsi e le narrazioni orali.
SENTIRE PAROLE
Immaginiamo di trovarci in un paese straniero, dove si parla una lingua che
conosciamo a malapena. Passeggiando superiamo una coppia di persone e
improvvisamente sentiamo parlare la nostra lingua. Non possiamo fare a meno di
riconoscere le parole senza prestarvi tuttavia attenzione. Quali meccanismi mentali
determinano la facilit della percezione delle parole nella lingua nativa? Gli studi
psicolinguistici hanno iniziato a porsi questa domanda negli anni 80 utilizzando diversi
tipi di metodologie sperimentali, come il gating task, che propone al soggetto di
ascoltare frammenti di parola di durata via via crescente. Ad esempio, il soggetto
ascolta i primi 100 millisecondi (ms) di una parola, poi i primi 150 ms, poi i primi 200, e
cos via. Dopo ogni frammento ascoltato, lo sperimentatore chiede al soggetto di
ipotizzare di quale parola si tratti. Usando questa tecnica si trovato che le persone
riconoscono parole utilizzando uninformazione acustica parziale. I primi 200-300
millisecondi dello spettro acustico (londa sonora prodotta dalla pronuncia della parola)
sono in genere sufficienti per attivare nella mente dellascoltatore un insieme di parole
compatibili con linformazione acustica, e per far emergere una parola come lunico
candidato possibile. Linput acustico in grado di attivare memorie lessicali di tipo non
solo acustico-fonetico ma anche semantico. Nella percezione del linguaggio parlato,
lelaborazione dellinformazione acustica avviene parallelamente allattivazione delle
memorie fonetiche e semantiche nel lessico mentale. Non c una fase in cui sentiamo il
suono della parola e una fase in cui attribuiamo a questo suono un significato. Nel
momento in cui linput uditivo <mette in risonanza> le memorie lessicali, si attivano sia
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forme fonetiche sia contenuti semantici. Quando una parola viene finalmente
riconosciuta, forma fonetica e contenuto semantico sono ambedue attivi nella mente, e
utilizzabili per altri processi. La forma fonetica utilizzabile per processi fonologicoarticolatori (quando un soggetto ripete ci che ha sentito), e il contenuto semantico
utilizzabile per integrare la singola parola nel contesto complessivo del messaggio.
Lapparente naturalezza e facilit della percezione delle parole nella lingua nativa il
risultato di due diversi meccanismi. Il primo un meccanismo di processing del suono
linguistico: lelaborazione fonetica del segnale acustico molto rapida, non dipende da
una segmentazione in unit fonetiche e non richiede un particolare insegnamento.
Labitudine alle caratteristiche acustiche pi rilevanti per il riconoscimento delle parole,
e lautomaticit con cui la nostra attenzione si concentra su di esse, rende
lelaborazione fonetica un processo estremamente <naturale> e rapido. Il secondo un
meccanismo di accesso alle memorie lessicali: riconoscere una parola del linguaggio
parlato non richiede lascolto di tutta linformazione che la caratterizza; le memorie
lessicali si attivano anche con informazioni acustiche parziali.
VEDERE PAROLE
Le linee tracciate dalle lettere non sono in grado di evocare nel lettore alcunidea
sulloggetto che la parola designa, bens <disegnano> un sistema di rappresentazione
scritta. La ridondanza delle caratteristiche visive, e la probabilit dei loro modi di
combinazione, rende il riconoscimento delle lettere un processo per certi versi
<probabilistico>. Non necessario aver visto tutta la lettere per identificarla: la
rilevazione di una o pi caratteristiche visive pu attivare la memoria di una o pi
lettere. Ma attraverso quale meccanismo le lettere diventano parole?
Il modello di McClelland e Rumelhart [1981] simula i processi coinvolti nel
riconoscimento delle parole scritte, e ipotizza che questi processi siano di natura
parallela, e non sequenziale. La natura parallela dellelaborazione dellinformazione ha
due implicazioni. Primo, tutta linformazione sensoriale disponibile elaborata
simultaneamente: se lo sguardo del lettore si brevemente fissato su tre lettere, le
caratteristiche visive di queste tre lettere saranno tutte elaborate nello stesso tempo.
Secondo, il processo di riconoscimento delle lettere e delle parole interattivo: se nella
mente del lettore si attiva una parola (es. vedendo CAP si attiva CAPITALE), il
riconoscimento delle successive lettere di quella parola sar facilitato. Il modello di
McClelland e Rumelhart riproduce un aspetto importante del processo di lettura: il
riconoscimento delle parole <passa> attraverso il riconoscimento delle lettere; la
preattivazione delle parole nel lessico, daltra parte, facilita il riconoscimento delle
lettere. C da dire che svariate ricerche hanno confermato che i lettori, anche quando
sono molto esperti, elaborano ogni lettera delle parole che stanno leggendo,
indipendentemente dal grado di familiarit o di prevedibilit della parola. Unaltra
caratteristica del modello di McClelland e Rumelhart la connessione diretta tra lettere
e lessico: il riconoscimento di singole lettere pu attivare in maniera diretta la memoria
ortografica delle parole senza che ci sia bisogno di utilizzare unassociazione tra unit
ortografiche e unit fonologiche. Per questa ipotesi sembra scontrarsi con unevidenza
piuttosto semplice: anche un lettore esperto ha talvolta occasione di incontrare parole
nuove, mai incontrate in precedenza. Pur non avendo una memoria ortografica di
queste parole, egli pu tuttavia leggerle. Alcune ricerche mostrano che anche le parole
nuove, o le non-parole possono essere lette e pronunciate ad alta voce per analogia
visiva con parole gi note. Tuttavia, un processo di analogia non sempre facilmente
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applicabile; per leggere parole nuove abbiamo bisogno di <assemblare> la pronuncia.


In altri termini, abbiamo bisogno di stabilire unassociazione tra unit ortografiche
(singoli grafemi o stringhe di lettere) e unit fonologiche (fonemi e sillabe), e poi di
assemblare queste unit fonologiche in un pattern articolatorio. Lipotesi di una
connessione diretta tra lettere e lessico pu dunque spiegare il riconoscimento di parole
familiari, di cui il lettore ha memoria ortografica, ma non riesce a spiegare come sia
possibile la lettura di parole nuove.
LETTERE COME <EVOCATORI> DI SUONI E SIGNIFICATI
Un modello psicologico noto come <modello a due vie> prevede che nella lettura ad
alta voce la pronuncia delle parole possa essere attivata da una via visivo-lessicale
oppure da una via fonologica.
-Nella via visiva o lessicale il riconoscimento delle lettere attiva una rappresentazione
ortografica della parola, che a sua volta permette al lettore di recuperare il significato e
la pronuncia della parola. Attraverso la via visivo-lessicale il lettore recupera un pattern
articolatorio (la pronuncia della parola nella sua interezza) memorizzato in maniera
stabile nel lessico, e che non deve ogni volta essere ricreato convertendo singole lettere
in singoli fonemi. La via visivo-lessicale permette la lettura corretta di parole inglesi a
pronuncia irregolare (es. HAVE, dove la stringa AVE si legge [v] e non [eiv] come in
GAVE). In italiano, permette di distinguere il significato di LAGO e LAGO.
-Con la via fonologica o extralessicale il riconoscimento delle lettere attiva un codice
fonologico, che pu consistere in un fonema o in una sillaba. La pronuncia della parola
viene dunque assemblata a partire da queste unit fonologiche. La via <extralessicale>
opera nello stesso modo sia per sequenze familiari di lettere, sia per sequenze non
familiari. Non sensibile alla frequenza duso della parola, e risente soltanto della
regolarit e prevedibilit della conversione ortografia-fonologia.
La lettura visivo-lessicale risultata, in alcuni studi, una <via< molto pi veloce di
quella fonologica. Solo quando le parole sono poco familiari al soggetto, la via
fonologica prevale.
I sostenitori del modello a <doppia via> argomentano che lattivazione di un codice
fonologico si verifica nella lettura soltanto in alcuni casi particolari. Viene utilizzato solo
quando la stringa ortografica non riesce ad attivare velocemente nessuna memoria
lessicale. Solo le parole a frequenza estremamente bassa (e che utilizzano pattern
ortografici con pronuncia regolare) sarebbero lette attraverso una via fonologica. Negli
altri casi si utilizzerebbe invece unelaborazione soltanto ortografica, in cui il
riconoscimento di lettere conduce direttamente allattivazione di parole nel lessico. La
via ortografica, essendo la pi veloce, quella preferibilmente utilizzata. Questo
argomento tuttavia messo in crisi da alcune evidenze empiriche. Alcuni esperimenti di
Van Orden chiedono ai soggetti se la parola scritta che compare sullo schermo di un
computer un esemplare di frutta oppure no. Van Orden trova che i soggetti fanno
molti errori quando la parola scritta (PAIR, che si pronuncia [pr], significa coppia e
non un tipo di frutto) omofona con il nome di un frutto (pera, in inglese, si dice
[pr] e si scrive PEAR). Questo risultato indica che il codice fonologico attivato nella
lettura contribuisce allaccesso lessicale e interferisce con la decisione semantica
richiesta ai soggetti. Ulteriori ricerche confermano questo risultato ma trovano che se la
parola target ha una frequenza duso molto pi bassa della parola omofona, leffetto
interferenza non si verifica: MEET ([miit]) che significa incontrarsi non viene mai
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scambiato per MEAT ([miit]) che significa carne ed una parola ad alta frequenza
duso.
Le evidenze dunque suggeriscono che lettere e stringhe di lettere possono funzionare
come evocatori di significati.
SENTIRE E VEDERE PAROLE: DUE DIVERSI PASSAGGI VERSO IL SIGNIFICATO
Lesame dei modelli teorici considerati fino a questo punto suggerisce che il
riconoscimento delle parole <parlate> e scritte si fonda su meccanismi in parte simili e
in parte diversi. Comune alle due modalit (parlato e scritto) che i processi percettivi
si svolgono parallelamente allattivazione del lessico. Non c un momento in cui
riconosciamo la forma fonetica o ortografica- delle parole, e un momento in cui ne
comprendiamo il significato. Nellascoltare i suoni della lingua nativa, cos come nel
vedere le lettere di una lingua conosciuta, non possiamo fare a meno di sentire o di
vedere <parole>, e dunque di cogliere significati (vi sono tuttavia pazienti con dislessia
acquisita che sembrano poter riconoscere e pronunciare ad alta voce le parole scritte
senza accedere al contenuto semantico).
Il riconoscimento delle parole scritte utilizza tuttavia rappresentazioni intermedie, che
collegano la percezione visiva al lessico. Queste rappresentazioni sono costituite da
singole lettere, o da stringhe di lettere, probabilmente associate a unit fonologiche. Il
riconoscimento delle parole parlate non utilizza invece alcuna unit intermedia;
lelaborazione percettiva del suono non <passa> attraverso lidentificazione di singoli
fonemi o di singole sillabe. Insomma, non segmentiamo il segnale acustico quando
riconosciamo parole nel parlato. Questa differenza tra parlato e scritto ha
importanti implicazioni sul piano dellapprendimento. Per imparare a riconoscere le
parole scritte i bambini non possono utilizzare gli stessi meccanismi di elaborazione
linguistica che utilizzano nel parlato. Debbono <accedere> al significato delle parole
attraverso un nuovo meccanismo, costituito dal riconoscimento di lettere.
APPRENDERE A LEGGERE
I primi apprendimenti della lettura sono inseparabili dallattivit dello scrivere. Non solo
perch attraverso la scrittura il bambino costruisce le prime idee sul funzionamento
della lingua scritta, ma anche perch attraverso la scrittura si stabiliscono le prime
conoscenze sulle lettere e sulla loro pronuncia. Alcuni ricercatori ipotizzano che in una
fase iniziale di contatto con la lingua scritta i bambini riconoscano parole in base a indizi
visivi. La lettera iniziale, un gruppo di lettere, oppure alcune caratteristiche globali della
scritta (es. la sua lunghezza) vengono utilizzate per riconoscere la parola e rievocarne il
significato. Dopo questa fase, detta <logografica>, seguirebbe una fase di lettura
alfabetica, in cui i bambini individuano le singole lettere e la pronuncia-suono ad esse
corrispondenti. Infine vi sarebbe una terza fase, definita <ortografica>, in cui i bambini
hanno stabilito una memoria per stringhe di lettere. Nella fase ortografica le parole
possono essere di nuovo riconosciute <a vista>, utilizzando tuttavia non semplici indizi
visivi, ma una dettagliata memoria ortografica della parola e delle sue sottoparti, in
particolare di quelle morfologiche (es. riconoscimento di suffissi e prefissi).
Lemergenza di una fase <ortografica>, in cui si costituisce e consolida una memoria
ortografica per parti delle parole un aspetto importante nellapprendimento della
lettura.
LETTORI <A RISCHIO>
Limparare a leggere per alcuni bambini pi difficile che per altri. Utilizzando test
standardizzati, gli psicologi possono verificare che un bambino impiega un tempo
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eccessivamente lungo per leggere liste di parole e di non-parole e se la lentezza nel


processo di riconoscimento si accompagna ad errori. Molti ricercatori hanno ipotizzato
che i bambini lenti nellapprendimento della lettura hanno una scarsa consapevolezza
fonologica. Un bambino che ha buona consapevolezza fonologica, vedendo D, potr
cominciare ad attivare nella sua mente diverse possibili parole che iniziano tutte con D.
Un bambino che ha scarsa consapevolezza fonologica, vedendo D, rievocher solo le
parole che gli sono state insegnate come inizianti con D (es. DADO), e non sar in
grado di generalizzare a parole nuove. I compiti con cui possibile stabilire il grado di
consapevolezza fonologica di un individuo sono compiti che richiedono di compiere
qualche operazione (analisi, confronto, giudizio di somiglianza) sulla forma fonetica
della parola. Il soggetto deve tenere in memoria questa forma (ad esempio ripetendosi
la parola) e deve contemporaneamente compiere loperazione richiesta; ad esempio
deve giudicare se due parole iniziano con lo stesso suono. Molte ricerche hanno trovato
che, a parit di livello cognitivo, i <cattivi lettori> hanno anche molte difficolt nei
compiti di consapevolezza fonologica. Inoltre, la prestazione nei compiti di
consapevolezza fonologica il miglior predittore della facilit con cui i bambini
impareranno a leggere. Dunque, la consapevolezza fonologica un <prerequisito> per
lapprendimento della lettura. Per ricerche hanno mostrato che adulti di intelligenza
normale,e che tuttavia non hanno familiarit con la lettura e la scrittura, hanno un
livello di consapevolezza fonologica simile (o talvolta peggiore) a quello dei bambini che
sono cattivi lettori. Questo dato indica che la consapevolezza del fonema non emerge
naturalmente nelle persone, ma una conseguenza dellimparare a leggere e scrivere.
Sembra che allora ci sia un terzo fattore, sottostante sia ad una difficolt
nellapprendimento di patterns ortografico-fonologici nella lettura, sia a una difficolt
nei compiti di consapevolezza fonologica. Questo fattore lo stato delle
rappresentazioni fonologiche dellindividuo. Alcuni bambini sembrano avere difficolt a
tenere a mente <pezzi< di pronuncia delle parole. Nel momento in cui hanno letto e
pronunciato PI, la traccia di memoria di [pi] scompare velocemente quando leggono la
stringa successiva NOC, la pronuncia [pinoc] non riesce cos a comporsi nella mente, e
ad attivare la parola PINOCCHIO. Altri bambini sembrano aver una memoria fonologica
a breve termine normale. In questi bambini sembra verificarsi, pi semplicemente, una
lentezza nel processo di riconoscimento delle parole, e una certa facilit di errore con
parole che sono poco frequenti. Le cause di una lentezza nellapprendimento della
lettura sono ancora poco chiare. In conclusione, il rapporto tra consapevolezza
fonologica e lettura meno lineare di ci che pu sembrare. I bambini che
riconoscono le parole a fatica e con molti errori, sono in genere anche bambini che
hanno difficolt nellindividuare e categorizzare unit fonologiche interne alle parole. Il
rapporto che lega i due tipi di difficolt non tuttavia un rapporto di causa-effetto, ma
un rapporto di comune dipendenza dal buono stato delle rappresentazioni fonologiche
dellindividuo, e forse dallefficienza dei meccanismi di accesso lessicale.
COMPRENSIONE DEL TESTO COME RAPPRESENTAZIONE SEMANTICA E COME
COSTRUZIONE DI UN MODELLO MENTALE
La lettura unattivit impegnativa, che richiede esercizio, disciplina, dedizione. La
fatica di un lettore adulto non deriva tanto dal riconoscimento delle parole, quanto dal
capire. Che cosa significhi <comprendere un testo>, dal punto di vista psicologico,
ancora poco chiaro. In larga misura, gli psicologi si sono limitati a indagare laspetto
che gli antichi definivano <interpretazione letterale>: capire gli eventi che si sono
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prodotti, quando, dove, e a opera di chi. Anche questo basilare aspetto della
comprensione ha dato luogo a diverse ipotesi e modelli, che hanno oscillato tra due
punti di vista.
Il primo punto di vista, incentrato sul rapporto tra memoria e comprensione, ha
cercato di individuare le operazioni mentali che permettono al lettore di selezionare e
ritrovare in memoria le informazioni centrali del testo.
Il secondo punto di vista, interessato al rapporto tra linguaggio e cognizione, ha
indagato sulle conoscenze che permettono al lettore di dare un senso alle parole del
testo.
La lettura di un testo unattivit di natura sequenziale. Linformazione semantica
veicolata dalle parole viene estratta, elaborata, e mantenuta nella memoria a breve
termine; la lettura successiva aggiunge nuove informazioni semantiche, che si
collegheranno a quelle precedenti con legami pi o meno forti. Secondo Kintsch e van
Dijk, le proposizioni, una volta <estratte> dalla frase, vengono collegate tra loro nella
memoria a breve termine formando una rappresentazione semantica coerente ed
integrata. Le proposizioni <centrali> del testo, che hanno numerosi collegamenti con le
altre proposizioni, tendono ad essere pi a lungo presenti nella memoria a breve
termine e sono perci rievocate con maggiore probabilit. Cos la rievocazione delle
informazioni del testo funzione sia dei collegamenti che il lettore stabilisce tra le
diverse proposizioni, sia del tempo di permanenza delle proposizioni nella memoria a
breve termine.
Il modello di Kintsch e van Dijk non coglie per un aspetto importante della
comprensione: la continua interazione, nel corso della lettura, tra conoscenze
linguistiche e conoscenze sul mondo. Questo aspetto invece preso in considerazione
da altre teorie che ipotizzano una continua e veloce interazione, nel corso della lettura,
tra rappresentazioni semantiche e cognitive. Comprendere significa costruirsi un
modello mentale della situazione di cui tratta il testo. Immaginare eventi e intenzioni
dei personaggi, costruire un ragionamento, pensare a un mondo possibile. Per
comprendere ci che si legge non bastano dunque le conoscenze linguistiche (pronomi,
sinonimie, ecc.); la situazione di cui tratta il testo, cos come viene immaginata dal
lettore, orienta linterpretazione delle parole e delle frasi, permettendo al lettore di
compiere inferenze. Le inferenze sono ragionamenti che partono da alcuni dati del testo
e assegnano un particolare senso alle parole del testo. Le inferenze aiutano il lettore ad
assegnare referenti alle parole, stabilire relazioni tra concetti, precisare significati
ambigui, esplicitare qualcosa che nel testo solo accennato.
LE DIFFICOLTA DEI BAMBINI NELLA COMPRENSIONE DEI TESTI
I bambini con una bassa comprensione dei testi scritti tendono a ricordare i dettagli
linguistici di ci che hanno letto, piuttosto che a rievocare il senso e le informazioni
centrali del testo. I bambini con una bassa comprensione del testo compiono meno
inferenze e hanno difficolt ad integrare informazioni linguistiche e conoscenze sul
mondo. Un lettore esperto ha una qualche consapevolezza delle strategie che si
possono usare per migliorare la comprensione di un testo. Chiarirsi lo scopo della
lettura, identificare i contenuti importanti di ogni paragrafo, porsi alcune domande sul
testo possono costituire strategie per rendere pi efficace la comprensione. I bambini
con una bassa capacit di comprensione del testo sono molto carenti in termini di
abilit metacognitive. Spesso questi bambini indicano nella decodifica laspetto pi
importante della lettura, e sono meno consapevoli, durante il processo di lettura, di
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eventuali difficolt di comprensione. Si visto ad esempio che quando viene letta una
frase il cui senso incongruente con la parte precedente del testo, i bambini che sono
buoni lettori tendono a rallentare notevolmente il tempo di lettura. Evidentemente,
lincongruenza e la conseguente difficolt di comprensione rallentano il processo di
decodifica. I bambini con bassa capacit di comprensione del testo non sono invece
rallentati dalla fase incongruente, essendo meno influenzati, nel processo di lettura, dal
senso di ci che leggono. Una scarsa capacit di comprensione del testo viene spesso
caratterizzata come un approccio <passivo> al leggere. Il rileggere, il fermarsi, il porsi
domande, sono strategie metacognitive che caratterizzano invece un approccio attivo.
Non chiaro se lassenza di strategie attive di lettura sia la causa di una cattiva
comprensione del testo, oppure se, in un certo senso, sia una conseguenza. Strategie
attive di lettura possono forse essere acquisite quando il lettore ha familiarit con i testi
e ha esperienza del leggere come attivit significativa, che non si limita al
riconoscimento delle lettere e alla pronuncia delle parole scritte. Ricerche hanno
dimostrato che le capacit di comprensione di racconti presentato oralmente sono
altamente correlate al livello di comprensione della lettura. Questo pu indicare che la
comprensione del testo scritto e dei racconti orali utilizzano meccanismi in parte
comuni. La comprensione del testo non una semplice conseguenza dellimparare a
leggere. E piuttosto una conseguenza dellimparare a pensare con le parole dei testi,
anche con quelli che ci vengono letti da qualcun altro.
CAP.7: APPRENDERE UN SISTEMA DI SCRITTURA, APPRENDERE UNA
LINGUA SCRITTA
Per scrivere si deve padroneggiare un sistema di scrittura, ma si deve anche
conoscere una lingua scritta e una forma testuale. Per anni la discussione sul tema
dellapprendimento della scrittura ha riguardato i metodi dinsegnamento del leggere
e scrivere. Si sono cos contrapposti metodo fonico e metodo globale, metodo analitico
e metodo sintetico. E solo da pochi anni, con laffermarsi dellapproccio cognitivista,
che leggere e scrivere, nellordine, sono diventati oggetto di studio e di interesse nella
ricerca psicologica. Per lungo tempo gli unici contributi costruttivi per un buon
insegnamento della scrittura sono stati quelli apportati dal Movimento di Cooperazione
Educativa (MCE) che, in Francia prima e poi in Italia, attraverso una diffusione capillare
tra maestri, ha insistito sulla necessit di lavorare sulla motivazione infantile a scrivere
cose significative per il singolo e per il gruppo e quindi sulla produzione di testi. In tale
impostazione pedagogica, luso della tipografia scolastica finalizzato alla produzione di
un giornalino diffuso anche allesterno della scuola un essenziale strumento per lo
sviluppo di un atteggiamento analitico nei confronti di quello che si compone per essere
stampato e dello sviluppo di una utile capacit metalinguistica quando si effettua la
revisione/correzione del testo, proprio e altrui. Tale impostazione ha preso decisamente
la distanza da una visione tradizionale dello scrivere come puro trascrivere. Gli inizi
dello scrivere sono invece diventati in questi anni un rilevante campo di studio della
psicologia. La psicogenesi della scrittura, inaugurata nel 1979 dalla fondamentale
ricerca di Ferreiro e Teberosky una delle pi importanti acquisizioni teoriche ed
empiriche della psicologia infantile degli ultimi anni.
IL BAMBINO DI FRONTE ALLA SCRITTURA
Il mondo attuale marcato da una molteplicit di scritte e i bambini anche piccoli sono
motivati a riconoscerle e a interpretarle, senza lintervento intenzionale degli adulti. C
poi un effetto socioculturale specifico che costituito dalle attivit di lettura e di
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scrittura che sono presenti, anche se in modo assai differenziato, nella vita familiare,
oltre che in quella delle scuole per linfanzia. Studi evolutivi sullinterazione madrebambino, inaugurati da Bruner e proseguiti da molti altri autori, hanno considerato la
situazione di lettura del libro con la madre o con ladulto che ha cura del bambino come
una situazione tipica in cui ladulto offre un supporto interattivo (scaffolding) allattivit
linguistico-cognitiva del bambino piccolo, preparandolo anche in qualche modo a quello
che il linguaggio dellistruzione.
CARATTERI DEI SISTEMI DI SCRITTURA
I pi recenti studi di storia, archeologia e antropologia della scrittura hanno totalmente
modificato la visione evoluzionistica presente nella storia della scrittura di Gelb[1963],
il quale prospettava una evoluzione delle scritture umane nel passaggio da una fase
iniziale pittografica e ideografica, seguita da una fase sillabico-consonantica per poi
pervenire al sistema alfabetico. Michalovsky, uno studioso di culture mesopotamiche
[1994] toglie di mezzo questa visione presuntivamente evoluzionistica. Oggi si ritiene
che la scrittura nasca in modo indipendente, anche se in tempi diversi, in quattro
regioni del mondo: in Cina, in Egitto, tra il Tigri e lEufrate nella cultura numerica, e in
Mesoamerica. Avvengono molteplici trasformazioni interne ai quattro sistemi originari e
le pi importanti sono dovute allinterazione e allo scambio che si verifica quando un
sistema di scrittura che stato inventato per una specifica lingua, viene a contatto e si
deve adattare ad una lingua completamente diversa. Un contributo di ricerca assai
importante venuto da quegli studiosi della cultura che hanno insistito sul carattere di
sistema di un qualsiasi tipo di scrittura. Ogni sistema di scrittura si distingue da un
qualsiasi altro per i suoi principi interni. Ogni sistema di scrittura ha una sua coerenza
interna, che corrisponde alle caratteristiche di una lingua, alla sua evoluzione storica e
a un punto di equilibrio tra esigenze di corrispondenza tra lingua parlata e lingua
scritta. Queste esigenze trovano un limite nel fatto che non tutto quello che c in una
lingua parlata si pu rappresentare per iscritto (lintonazione, lenfasi, la variazione di
volume, di tono, o di timbro, la velocit del flusso).
I SISTEMI DI SCRITTURA NELLO SVILUPPO DEL BAMBINO
Partendo da una prospettiva piagetiana, che riconosce al bambino un ruolo attivo nella
costruzione delle conoscenze e ai suoi <errori> un valore informativo per ladulto e
costruttivo per il bambino, Ferreiro e Teberosky [1979] hanno individuato le fasi
principali del processo di costruzione della lingua scritta nel bambino. La ricerca di
Ferreiro e Teberosky, che ha riguardato prevalentemente bambini argentini (ispanofoni)
e bambini francofoni di Ginevra, ha notevolmente influenzato la ricerca successiva in
altre lingue romanze: italiano, catalano, portoghese. Importante stata la scoperta
della somiglianza nei livelli di sviluppo riscontrati nelle scritture infantili in diversi
sistemi di scrittura. Dal punto di vista evolutivo ogni bambino elabora le sue ipotesi di
funzionamento della scrittura a partire dal sistema con cui entra in contatto _un
contatto che innanzitutto visivo e grafico- e attraverso il quale elabora delle ipotesi
che in parte sono ricorrenti in pi sistemi, in parte sono legate alle peculiarit del
sistema di scrittura. Ad esempio, stata ritrovata in modo costante la presenza di una
ipotesi sillabica, cio della scrittura di un segno per ogni sillaba in bambini che vivono in
contesti linguistici assai diversi. Unaltra ipotesi infantile riguarda la <quantit
minima>. La grande maggioranza dei bambini non usa mai un solo segno per
rappresentare una parola, anche se la parola un monosillabo. La gamma preferenziale
per una quantit minima accettabile per i bambini di tre, quattro o cinque segni; i
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bambini non scrivono e non accettano scritte pi brevi, composte solo da una o due
lettere, perch dicono che <non si possono leggere>. Unaltra ipotesi infantile quella
della <variet interna>. Agli inizi della scrittura, quando le marche infantili sono ancora
non convenzionali, si osservato il rifiuto per sequenze contigue di lettere uguali, se
queste vengono sottoposte loro chiedendo se si possono leggere.
La distinzione tra sistema grafico e sistema ortografico stata introdotta per la prima
volta da Gak [1976] per il francese. Nel primo caso ci si riferisce ai mezzi con cui una
lingua stabilisce le relazioni astratte fra suoni e lettere, mentre, nel secondo caso, ci si
riferisce alle regole che governano <luso delle lettere a seconda delle circostanze>.
Assai raramente i bambini violano i principi che sono alla base del sistema grafico della
scrittura della loro lingua, anche quando non padroneggiano del tutto il sistema
ortografico.
FASI DI CONCETTUALIZZAZIONE DELLA LINGUA SCRITTA
In base al modello teorico di Ferreiro e Teberosky [1979] i bambini sono precocemente
impegnati in un processo di concettualizzazione della lingua scritta. I temi e le modalit
di tale processo variano da bambino a bambino, ma stato possibile individuare alcuni
livelli uguali per tutti. Dopo una prima fase di differenziazione fra il disegno e la
scrittura, che in genere si completa non prima dei 4 anni, si possono distinguere i
seguenti livelli di concettualizzazione.
Livello presillabico. Questo livello caratterizzato dalla preoccupazione di
distinguere, sul piano grafico, il disegno dalla scrittura. Parallelamente i bambini
elaborano e applicano alle loro scritture i criteri della quantit minima e della variet
interna dei segni utilizzati.
Livello sillabico. I bambini stabiliscono una corrispondenza importante: i segni sulla
carta stanno al posto delle parole dette! I segni scritti rappresentano sillabe , e segni in
eccesso possono venire interpretati e giustificati (ad es. i segni eccedenti del proprio
nome possono essere interpretati come il cognome).
Livello sillabico-alfabetico. Si tratta di un livello intermedio fra il livello sillabico e il
livello alfabetico. I bambini producono esempi di scrittura mista in cui spesso il valore
sonoro assegnato a ciascun segno non stabile.
Livello alfabetico. A questo livello i bambini stabiliscono una corrispondenza biunivoca
fra le lettere e i suoni della lingua parlata. Le scritture non sono ortografiche ma
comprensibili.
APPRENDERE UNA LINGUA SCRITTA: ORALITA E SCRITTURA
La lingua scritta non una semplice trascrizione di quella orale, ma ha sue specifiche
caratteristiche di elaborazione mentale, di struttura, di comunicazione. E ormai
disponibile una vastissima letteratura storica e antropologica relativa al passaggio
dalloralit allalfabetismo, da una cultura orale ad una cultura scritta. Due autori
soprattutto hanno segnato linizio per un interesse diffuso a questa problematica: uno
Havelock, storico della cultura, il quale ha ritrovato nella <scoperta> dellalfabeto e
nella conseguente diffusione dellalfabetismo lelemento motore che avrebbe fatto
nascere filosofia e scienza nella Grecia del IV secolo. Laltro autore Goody, un
antropologo culturale, che ha attribuito alla literacy, alla cultura scritta,
<laddomesticamento del pensiero selvaggio>.
Tali acquisizioni storiche e antropologiche hanno costituito la base per riflessioni e
ricerche di carattere psicologico. Olson ne stato uno dei pi illustri rappresentanti,
sottolineando le differenze fra rappresentazioni del mondo <orali> e <scritte>. Gli
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studiosi del campo non considerano pi lalfabeto come il massimo punto di sviluppo dei
sistemi di scrittura. Lo stesso Olson ha profondamente modificato la sua concezione
iniziale e in unopera pi recente [1994] sostiene che scrivere (e imparare a scrivere)
ha la funzione di focalizzare diversi aspetti del linguaggio che viene scritto e di
svilupparne una consapevolezza metalinguistica. Il contrasto tra oralit e scrittura in
termini di differenza di mezzo o di canale ha ormai perso molta della sua importanza,
oggi si considera la realt linguistica come un continuum che si sviluppa su varie e
diverse dimensioni.
LITERACY: ALFABETISMO E ALFABETIZZAZIONE
Uno dei termini ricorrenti nella letteratura anglosassone sulla scrittura il termine
literacy. Il termine literacy, utilizzato a partire dalla seconda met dellOttocento e
derivato dal pi antico illiteracy (1660), si riferisce ad una molteplicit di significati che
difficilmente possono essere resi nella traduzione italiana. Infatti, con tale termine ci si
riferisce sia al fatto di possedere una certa familiarit con la lingua scritta, sia ai modi
con cui si stabilisce tale familiarit. Esso fa anche riferimento alla padronanza di diverse
pratiche di scrittura nei contesti culturali evidenziandone anche gli aspetti funzionali. I
corrispettivi termini italiani di alfabetismo (per la condizione di diffusione sociale della
scrittura e della lettura) e di alfabetizzazione (per il processo di acquisizione
individuale) sembrano fare riferimento a una visione pi tradizionale dei rapporti con la
lingua scritta. Si riferiscono cio alla padronanza del codice implicato nei processi di
codifica (dei suoni in lettere) e di decodifica (delle lettere nei suoni corrispondenti).
LA PAROLA <TESTO>
In un senso molto generale, con il termine testo ci si riferisce ad una <tessitura> di
significati. Nellambito dellanalisi letteraria il testo coincidente con il testo scritto, ma
se guardiamo al testo come ad una forma di discordo fissa, ripetibile e citabile, allora
possiamo parlare di testi anche nelle culture orali. La coesione e la coerenza sono i
principi costitutivi che devono essere soddisfatti perch un testo possa essere definito
tale.
APPRENDERE UNA LINGUA SCRITTA: LE FORME DEL DISCORSO SCRITTO
Numerose ricerche in varie lingue e culture hanno esplorato <lo scritto nellorale>. I
bambini sono precocemente sensibili gi a 4 anni- ai modi in cui si deve dire una
storia che viene scritta. E stato mostrato come i bambini cerchino di introdurre, nella
loro dettatura, formule standard, tipiche delle favole lette o raccontate dagli adulti,
anche se poi il racconto spesso costruito sulla base di coordinazioni paratattiche (<e
poi>, >e allora>). In seguito, avvengono dei cambiamenti nei bambini a 5 e a 8 anni. A
distanza di tempo, infatti, i bambini usano un registro pi formale, sono maggiormente
in grado di adeguarsi ai ritmi di chi scrive e usano diversi tipi di strategie coesive. I
bambini poi usano la punteggiatura, spesso in modi non convenzionali, per delimitare
chi dice da ci che viene detto e talvolta per distinguere i diversi interlocutori. Alcuni
tipi di ripetizioni lessicali, poco amate in generale dagli insegnanti nei testi infantili,
svolgono invece unimportante funzione testuale: delimitare porzioni di testo, e in
particolare di discorso diretto, prima di aver scoperto le funzioni della punteggiatura. Le
ripetizioni costituirebbero cos un indizio dellintenzione del bambino di produrre un
testo scritto, anzich unintrusione delloralit nella scrittura.
LA STRUTTURA DEI TESTI NARRATIVI ED ESPOSITIVI
La prima forma di testo, orale e scritto, con cui viene a contatto il bambino la
narrazione. La narrazione stata posta al centro dellattenzione degli psicologi a partire
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dalla distinzione proposta da Bruner tra pensiero narrativo e pensiero scientifico e dal
rilievo che un tale pensiero narrativo risulta avere come fondamentale strumento per la
costruzione e la trasmissione di quella psicologia del senso comune, con la quale gli
esseri umani costruiscono e mantengono le relazioni con gli altri. Ultimamente stato
preso in esame anche il testo espositivo vero e proprio, che quello che riporta
conoscenze di tipo scientifico. Analogamente stata dedicata attenzione al testo
argomentativi. Infatti, dato che anche i bambini piccoli iniziano ad argomentare sia a
scuola che in famiglia, possibile indirizzare la loro produzione scritta verso testi in cui
debbono prendere posizione rispetto a una questione problematica che li riguarda e di
cui possono capire le ragioni pro e contro.
CAP.8: SCRIVERE TESTI
La scrittura diventata oggetto di ricerca psicologica e psicoeducativa solo in tempi
recenti. Gli studi su questo tema, infatti, iniziano nella seconda met degli anni 70.
<Psicologia della scrittura> unespressione generica in cui si compendiano due modi
di intendere la scrittura, con relativa strumentazione teorica e metodologica e
implicazioni per la scrittura. Da un lato, il cognitivismo, cui si deve la <scoperta>
dello scrivere come attivit cognitiva complessa; dallaltro un approccio
socioculturale, o di costruttivismo sociale, che d rilievo agli aspetti comunicativi e
partecipativi dello scrivere. La prospettiva cognitivista si affermata negli Stati Uniti
alla fine degli anni 70, mentre lo sviluppo di quella socioculturale si colloca nel
decennio successivo. In Europa lapproccio cognitivista alla scrittura sembra essere
ancora dominante, ma in America esso fortemente criticato e contrastato dalla
prospettiva socioculturale.
LA SCRITTURA COME ATTIVITA COGNITIVA

Quando si parla di approccio cognitivista alla scrittura viene immediato il


riferimento al modello di Hayes e Flower [1980]e cio a quel felice risultato della
collaborazione tra uno psicologo cognitivista (J.R. Hayes) e una linguista (L.S. Flower)
che ha grandemente influenzato la ricerca e la concettualizzazione di questi ultimi
ventanni, almeno in Europa. Va precisato che sotto lespressione <approccio
cognitivista alla scrittura> si raccolgono alcuni tratti o caratteristiche della prospettiva
dellinformation processing e del costruttivismo cognitivo:
- la processualit, cio lattenzione ai processi cognitivi implicati nelle operazioni dello
scrivere, che riguardano sia ci che viene prima (ad esempio la ricerca delle
informazioni, la produzione di idee) sia quello che viene dopo ( la revisione del prodotto
scritto);
- il carattere costruttivo della composizione scritta, secondo cui ci che si scrive una
elaborazione di conoscenza e mediante la conoscenza (concetti, regole, schemi);
la scrittura intesa come soluzione di un problema.
Col modello di Hayes e Flower inizia un nuovo modo di considerare la produzione
scritta: non in termini di qualit del prodotto scritto, bens dei processi della sua
produzione. Il modello si articola in tre blocchi: lambiente del compito, la memoria a
lungo termine di chi scrive e il processo di scrittura. La memoria a lungo termine
indipendente dallambiente del compito, ma entrambi influenzano i processi di scrittura.
Infatti, per scrivere lindividuo deve accedere alle informazioni contenute nella
memoria; e, daltra parte, ci che scrive condizionato dai vincoli posti dallambiente
del compito.
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Lambiente del compito comprende tutti gli elementi esterni allo scrittore che possono
influenzare la sua prestazione di scrittura.
La memoria a lungo termine contiene sia conoscenze dichiarative che procedurali. Le
prime sono i concetti e le informazioni che lindividuo possiede circa largomento e circa
il tipo di testo da scrivere. Le seconde riguardano il <come> si scrive un determinato
testo.
Infine, il blocco fondamentale- il processo dello scrivere- che si articola in tre processi
pi specifici: pianificazione, traduzione e revisione.
Pianificare un testo significa considerare lobiettivo, cio il testo che si vuole o deve
scrivere per un certo scopo e a un certo destinatario, ma prevedere anche i mezzi per
raggiungere tale obiettivo.
Nella fase di pianificazione vanno considerati tre sottoprocessi:
il recupero dalla memoria di informazione ed eventi pertinenti allargomento della prova
scritta;
la disposizione o sequenza di questo materiale secondo un criterio logico o cronologico o
dimportanza;
gli obiettivi dello scrittore.
Nella fase di traduzione lo scrittore trasforma il piano in un testo scritto.
La revisione, infine, serve a migliorare la qualit del testo scritto e consiste di due
momenti: lettura e correzione. In un nuovo modello della revisione acquista importanza
la valutazione: lo scrittore, quando rilegge il proprio testo, mira allindividuazione di
problemi specifici (lacune, scorrettezze, errori).
La complessit dello scrivere comporta problemi ai soggetti in et evolutiva che spesso
non dispongono di strategie adeguate per affrontare con successo le difficolt che la
composizione di un testo comporta. Bereiter e Scardamalia muovono da una teoria
neopiagetiana che considera lo sviluppo cognitivo in termini del progressivo aumento
della capacit di coordinare simultaneamente idee, concetti, schemi. Mentre il modello
di Hayes e Flower riguarda la scrittura adulta, esperta o meno, in cui pianificare e
rivedere sono processi basilari e ineliminabili dello scrivere; Bereiter e Scardamalia ne
sottolineano la funzione regolativi, che presente nello scrittore esperto e che
linesperto deve imparare.
I nome di Bereiter e Scardamalia restano indissolubilmente legati alla distinzione da
essi introdotta tra due strategie, o modelli, di scrittura: quella di chi si limita a <dire
tutto quello che sa> sullargomento della composizione scritta (knowledge telling), e
quella di chi sa trasformare la propria conoscenza per raggiungere un obiettivo
comunicativo complesso (knowledge trasforming ). La strategia del knowledge
telling viene utilizzata da molti studenti di tutti i gradi di scolarit perch, se da un lato
non pu offrire che risultati modesti, dallaltro presenta il vantaggio di richiedere scarso
impegno cognitivo. Lo scrittore esperto, invece, adatta le sue conoscenze su un
argomento allobiettivo comunicativo soggiacente al tipo di testo richiesto
(knowledgetrasforming) . E da notare che il modello di knowledgetrasforming non
esclude luso del knowledge telling. Lo scrittore competente non quello che usa
sempre la strategia di trasformazione della conoscenza, ma quello che la sa alternare o
abbinare ad altre meno impegnative e pi economiche, in relazione agli obiettivi e al
contesto della comunicazione scritta.
Nonostante il successo indiscutibile del modello di Hayes e Flower, vi sono state molte
critiche che hanno portato Hayes a modificare il modello senza la collaborazione di
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Flower, ormai passato al campo avversario, e cio a quellapproccio socioculturale che


non risparmia strali al cognitivismo.
Vi sono alcune fondamentali differenze tra le due versioni, e precisamente:
1) il ruolo attribuito alla memoria di lavoro in aggiunta a quella a lungo termine, lunica
considerata nel modello del 1980. La memoria di lavoro consiste in un esecutivo centrale
con due memorie specializzate: un loop fonologico, che immagazzina linformazione
codificata a livello fonologico, e un <taccuino> che immagazzina quella visuo-spaziale.
Lesecutivo centrale svolge compiti cognitivi quali il calcolo aritmetico e il ragionamento
logico, ma anche funzioni di controllo, che comprendono il recupero dellinformazione dalla
memoria a lungo termine e la gestione di compiti non pienamente automatizzati. Secondo
Kellogg, il ruolo della memoria di lavoro nella scrittura riguarda tre sistemi: la
formulazione, lesecuzione e il monitoraggio. Lazione di questi tre sistemi richiama le fasi
(pianificazione, trascrizione, revisione) del modello di Hayes e Flower [1980]: infatti, la
formulazione consiste nel pianificare le idee e tradurle in frasi, lesecuzione comprende i
processi grafo-motori, mentre il monitoraggio riguarda la lettura del testo scritto e la
correzione. Tutti e tre i sistemi utilizzano la memoria di lavoro, e in particolare il sistema
della formulazione. Infatti, la pianificazione richiede la visualizzazione di idee e schemi, che
riguarda il taccuino visuo-spaziale, mentre i processi di pensieroche accompagnano la
composizione riguardano direttamente lesecutivo centrale. La traduzione di unidea in un
periodo accettabile coinvolge il loop fonologico: ci avviene quando lo scrittore <parla a s
stesso> nel momento in cui produce i periodi. In aggiunta al loop, la traduzione chiama in
campo anche lesecutivo centrale, quando chi scrive cerca di individuare le parole e la
struttura del periodo adeguate. Lesecuzione coinvolge poco la memoria di lavoro, se lo
scrittore abbastanza esperto, mentre gli schemi motori usati da un principiante
richiedono un maggior controllo da parte dellesecutivo centrale. Infine, il monitoraggio
coinvolge sia lesecutivo centrale che il loop fonologico: in particolare la correzione
(editing) che grava sullesecutivo centrale.
2) La diversa concettualizzazione dei processi cognitivi implicati nello scrivere, rispetto alla
tripartizione del 980. Nella nuova versione Hayes [1996] ipotizza tre funzioni primarie:
- linterpretazione del testo che crea rappresentazioni interne. I processi cognitivi connessi a
questa funzione comprendono la lettura, lascolto e la percezione di grafici;
- la riflessione, che opera sulle rappresentazioni interne per produrne altre;
- la produzione del testo, che, in base alle rappresentazioni interne, produce un output
linguistico orale, scritto o grafico.
Le novit di questa formulazione rispetto alla precedente sta nel deciso nesso tra scrittura e
altre attivit di produzione, quali il disegno e il linguaggio orale, ma anche tra processi di
comprensione del materiale orale/scritto e la scrittura. In questo senso, Hayes afferma la
centralit del processo di lettura nello scrivere, in particolare per quanto riguarda la revisione
del testo. Va rilevato che lo stretto legame tra le attivit discorsive (parlare, leggere, scrivere)
sottolineato dallapproccio socioculturale, che vede in esse la possibilit dellindividuo di
partecipare a una <comunit di discorso>. Questa dimensione partecipativa, per, sembra
sostanzialmente assente in Hayes.
3) Nel nuovo modello Hayes tiene conto di numerosi studi sugli aspetti motivazionali condotti
a partire dagli anni 80: ad esempio, le convinzioni (beliefs) sulle caratteristiche di un buon
testo, il grado di consapevolezza (self-efficacy) di riuscire o meno a superare le difficolt di
un testo scritto, lansia connessa a un compito cognitivamente complesso e soggetto a
valutazione, il grado di interesse connesso allargomento del compito di scrittura.
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INSEGNARE A SCRIVERE.
1) Linsegnamento fondamentale dellapproccio cognitivista che la scrittura comincia ben
prima di quando si tracciano le parole sul foglio, e si conclude pi tardi, con un atto di
lettura e di correzione. Se la produzione di un testo un processo complesso, che si
articola in sottoprocessi, lallievo va aiutato nella gestione di tali processi: per esempio, a
fare un piano mettendo in ordine le idee raccolte.
2) Laiuto da dare agli allievi pi giovani e inesperti si esplica in due modi strettamente
connessi: riducendo la complessit del compito e dotando gli allievi di strumenti cognitivi
(strategie) per affrontarlo adeguatamente.
3) Lo scrittore esperto uno scrittore strategico, che sa far uso di strategie per risolvere il
problema rappresentato dal testo da scrivere. Insegnare la composizione scritta vuol dire
aiutare lallievo a padroneggiare strategie efficaci.
N.B.: Lelemento che caratterizza maggiormente lapproccio cognitivista la
considerazione della scrittura come abilit: che si apprende, si sviluppa, si affina e
specializza in relazioni a situazioni e media diversi. Altra ottica , invece, quella
socioculturale, secondo cui scrivere una pratica di discorso, unattivit di interazione
sociale.
LAPPROCCIO DEL COSTRUTTIVISMO SOCIALE
Lapproccio socioculturale si presenta assai articolato perch in essi convergono filoni di
ricerca e settori disciplinari diversi. Il cognitivismo assimila la composizione scritta a un
processo di soluzione di problemi, processo che lindividuo tanto meglio esegue in
quanto riesce a gestirne autonomamente la complessit cognitiva e comunicativa.
Nellapproccio socioculturale lattenzione agli aspetti cognitivi muove da una
prospettiva: i processi cognitivi non sono ignorati, a vengono considerati nelle loro
interazioni con i contesti culturali, storici e istituzionali in cui gli individui agiscono,
studiano e lavorano. Anche se il costruttivismo una reazione innegabile al
cognitivismo, esso ha origini lontane, riconducibili allimportanza che, dopo Chomsky,
assume nei primi anni 70 la dimensione sociale del linguaggio. Sul piano psicologico, il
pensiero di Vygotskij e della scuola sovietica si rivela ricco di implicazioni per una
nuova concezione della scrittura. Vygotskij rivendica il carattere profondamente
<culturale> della lingua scritta e sottolinea la complessit del suo sviluppo nel
bambino. In seguito, uno studio di due psicologi particolarmente influenzati da
Vygotskij, M.Cole e S.Scribner, presso la popolazione dei Vai della Liberia, dimostra che
le conseguenze cognitive dellalfabetizzazione passano attraverso gli specifici usi e
situazioni in cui si scrive e che la scrittura dunque unattivit fortemente
contestualizzata: lalfabetizzazione un sistema di abilit e significati culturalmente
organizzato e appreso in contesti specifici. Vi dunque una concezione <situata> dello
scrivere. I caratteri fondamentali dellapproccio socioculturale alla produzione scritta: lo
stretto legame di questa con la lettura e, in generale, con le attivit che utilizzano la
lingua scritta; laccentuazione della dimensione sociale dello scrivere.
Fish parla a riguardo di <comunit di discorso>. Una comunit un gruppo di
persone tenute insieme da un comune interesse per certi argomenti e vincolate da
certe convinzioni. Col tempo lindividuo impara ad adottare i tipo di discorso, orale e
scritto, della comunit e a partecipare alle sue pratiche. Questa partecipazione pu
essere paragonata a una conversazione, che si estende nel tempo e nello spazio, in cui
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i testi rappresentano risposte ad altri testi. Per il costruttivismo sociale, scrivere


unattivit sociale perch strettamente dipendente da un contesto socioculturale. Chi
scrive non lo fa in isolamento, ma come membro di una comunit di cui condivide le
<pratiche> alfabetizzate, e cio le modalit, funzioni, condizioni e limiti dei tipi di testi,
o generi, e dei significati che questi assumono nei contesti in cui vengono scritti, letti
ed interpretati. Si parla dunque di costruttivismo sociale perch la conoscenza viene
organizzata, elaborata e negoziata attraverso uninterazione sociale della cui ampiezza
lindividuo pu non essere consapevole.
La dimensione sociale dello scrivere riguarda fondamentalmente 3 aspetti: il rapporto
autore-destinatario, lintertestualit e la co-costruzione.
Per quanto riguarda il primo aspetto, numerose ricerche hanno mostrato che col
progredire della scolarit che scrive diventa capace di rispettare le convenzioni della
comunicazione scritta necessarie alla comprensibilit di un testo, cos come di adeguare
il livello di complessit lessicale e sintattica e di informativit del testo alle esigenze del
destinatario. Il significato viene dunque a configurarsi come un costrutto sociale
negoziato da lettore e scrittore attraverso il medium del testo.
La seconda dimensione riguarda lintertestualit. Questo termine stato introdotto
dalla semiologia francese Julia Kristeva a proposito dello studioso sovietico che ha
grandemente influenzato lapproccio socioculturale, Michail Bachtin. Secondo Bachtin
[1986], un testo non un prodotto statico, ma un punto di incontro, un <dialogo> tra
diverse scritture. Molto di quello che un lettore ricava dalla lettura di un testo si integra
con le conoscenze ricavate da altri testi: nel leggere si fanno confronti, si rilevano
analogie, si colgono riferimenti espliciti o semplici allusioni ad autori e libri.
Lintertestualit non riguarda solo la lettura ma anche lo scrivere, perch lautore
spesso richiama altri testi.
Infine, la co-costruzione di un testo pu avvenire sia in forma collaborativa, sia
attraverso il lavoro di correzione, commento e revisione di un testo. Nel primo caso i
componenti di un piccolo gruppo collaborano alla stesura di un testo: si tratta di
unattivit complessa, che pu avere un carattere gerarchico o dialogico. La
collaborazione gerarchica si caratterizza per una forte ristrutturazione e scarso dialogo:
nel gruppo qualcuno pianifica e sostanzialmente stabilisce le cose da dire, che altri
scrivono. La modalit dialogica caratterizzata dalla mancanza di una struttura rigida e
da un alto grado di interazione tra i membri.
I GENERI DI DISCORSO
Nellapproccio socioculturale il concetto di tipologia testuale meglio, di genereperde il carattere astratto e <ideale> e ne assume uno fortemente contestualizzato.Il
genere non una struttura o schema, ma il modo o insieme organizzato dei modi in
cui una comunit linguistica risponde a tipi di situazioni che sono costruiti culturalmente
o socialmente come ricorrenti. In questa prospettiva la scrittura assume un carattere
contestualizzato, o situato. Scrivere dunque una pratica specializzata in genere
diversi, ciascuno dei quali esprime e rappresenta un determinato contesto, inteso come
interazione di persone. Per Bachtin il genere una modalit socialmente costruita che
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consente al parlante/scrittore cos come allascoltatore/lettore di comprendere e


interpretare, e dunque di contribuire a una specifica interazione comunicativa.
Chapman, attraverso uno studio sullo sviluppo dei generi in et evolutiva effettuato
osservando una classe di prima elementare, arrivata ad una classificazione divisa in
due categorie fondamentali: tipi di scrittura orientati allazione e tipi di scrittura
orientati agli oggetti.
Nei primi i bambini scrivono di azioni o eventi veri o immaginari: questi generi hanno
riferimenti temporali e contengono verbi di azione.
Nei generi orientati agli oggetti i bambini si riferiscono a cose del loro mondo e della
loro fantasia. La categoria comprende due sottocategorie: le descrizioni e i giochi di
parole. Le descrizioni riguardano persone, animali e cose vere o immaginarie. I giochi di
parole comprendono elenchi di parole, numeri o lettere, e anche brevi filastrocche.
E emersa, inoltre, una sottocategoria comune sia alla categoria orientata agli eventi
che a quella orientata agli oggetti: le interazioni, cos chiamate perch il linguaggio vi
usato per interagire. Ne sono esempi il dialogo scritto e le <dediche>, brevi espressioni
di saluto e di affetto. Il carattere misto delle interazioni dovuto al fatto che esse
contengono spesso verbi di azione, come le cronologie, e tuttavia non presentano nessi
di tipo cronologico tra le frasi.

LE IMPLICAZIONI DELLAPPROCCIO SOCIOCULTURALE PER LINSEGNAMENTO DELLA


COMPOSIZIONE SCRITTA
Le implicazioni dellapproccio socioculturale riguardano essenzialmente la costruzione
nellallievo di un diverso modo di intendere la scrittura: non dunque il miglioramento
dei processi e delle strategie suggerito e sostenuto dal cognitivismo, ma lenfasi sul
significato della scrittura come attivit legata a un contesto sociale e culturale.
1) La prima implicazione che se scrivere unattivit situata, essa non va limitata a una
disciplina, litaliano, ma dovrebbe permeare tutto il curricolo.
2) La seconda implicazione riguarda gli aspetti collaborativi della scrittura. La scrittura non
deve essere solo un momento di elaborazione individuale, ma che gli allievi vanno resi
consapevoli che scrivere unattivit sociale, sia nel senso della comunicazione che della
co-costruzione.
3) La terza implicazione riguarda la tradizionale separatezza della scrittura nei confronti di
altre attivit alfabetizzate, in particolare la lettura. I testi prodotti non sono attribuibili
soltanto ai singoli autori, ma alle strutture di interazione e ai modi di comunicare nella
classe. Intertestualit anche quando ci che un ragazzo scrive viene letto a scuola ed
entra a far parte del materiale di riflessione e discussione comune.
4) Infine, linsegnare a scrivere come avvio a una comunit di discorso.
IL COGNITIVO E IL SOCIALE: CONSIDERAZIONE CONCLUSIVA
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La scrittura come attivit situata richiede pur sempre processi cognitivi per realizzarsi;
e il prendere atto della vacuit dei generi scolastici in favore di una scrittura che abbia
senso non significa dimenticare i processi e le difficolt cognitive che lo scrivere
individuale e collaborativi comporta.
CAP.9: LE CONOSCENZE MATEMATICHE
In passato, le conoscenze matematiche sono state sempre indagate come sviluppo di
abilit di calcolo aritmetico, piuttosto che concetti utili per individuare, comprendere e
risolvere problemi. Gli stessi metodi di insegnamento si sono ispirati, spesso
inconsapevolmente, a principi psicologici che valorizzavano eccessivamente la
riproduzione meccanica di procedimenti e formule, dando spesso luogo ad abilit
automatiche prive di adeguati riferimenti concettuali. Oggi si riconosciuto che il cuore
del pensiero matematico sta nella capacit di attribuire significato a formule e
procedimenti, nel saper cogliere e comprendere situazioni problematiche e
nellimpostare strategie di soluzioni valide e feconde per i problemi identificati. A partire
dalla fine degli anni 70, si accentuata lattenzione anche per i processi psicologici
connessi con la sfera affettiva, sia emozionale che motivazionale. La constatazione che
gli atteggiamenti positivi verso la matematica e il suo apprendimento decrescevano
con lo svilupparsi dellesperienza scolastica, aveva sollecitato una presa di coscienza pi
puntuale sul ruolo delle emozioni e delle motivazioni in tale contesto.
Anche se la natura del processo matematico costituita soprattutto da processi di
soluzioni di problemi, tuttavia la ricerca psicologica ha evidenziato il ruolo centrale che
in tali processi giocano le conoscenze di natura concettuale e la qualit della loro
organizzazione interna. Queste infatti permettono a chi deve affrontare un problema di
poterlo comprendere e inquadrare in un contesto concettuale specifico.
LA SOLUZIONE DI PROBLEMI
Il primo passo nella soluzione di problemi matematici consiste nella codificazione
delle informazioni da parte della memoria di lavoro del soggetto.
-

Il processo di traduzione si riferisce alla lettura e comprensione del testo del problema.
Il secondo processo, quello di integrazione, diretto a mettere insieme le informazioni cos
raccolte in una struttura o schema coerente che permette di individuare con chiarezza la
natura del problema e lobiettivo che si deve raggiungere. Si costruisce cos quello che
stato definito lo spazio del problema.
Poi c la pianificazione, cio il recupero nella propria memoria o della elaborazione
originale di una strategia che consenta di raggiungere lobiettivo risolutivo individuato.
Il quarto processo quello esecutivo, che consiste nellindividuare la successione delle
operazioni matematiche per raggiungere la soluzione cercata, e nelleseguirle
correttamente, cosa che implica una conoscenza significativa degli algoritmi di calcolo
necessari e una valida abilit operativa nelleseguirli.
Complessivamente entrano in gioco vari fattori di natura sia cognitiva, sia affettiva,
che, se non adeguatamente sviluppati, possono costituire fonti di difficolt.

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LA BASE CONOSCITIVA. Nella soluzione di problemi giocano un ruolo essenziale sia il


possesso significativo, stabile e fruibile di concetti, principi, regole e procedure ben
organizzati e facilmente accessibili, sia linsieme delle strategie sviluppate sulla base
dellesperienza e strutturate secondo categorie e schemi generali.
LA QUESTIONE DEL TRANSFER. Una delle questioni pi dibattute nel corso dei decenni
del XX secolo stata quella relativa ai processi di transfer, cio lattivazione e
applicazione delle conoscenze gi possedute a nuove situazioni, in particolare delle
strategie risolutive di problemi gi familiari a nuovi problemi. Poich un ragionamento
per analogia si attivi occorre che il soggetto possieda una buona padronanza
concettuale e risolutiva in un ambito specifico di problemi e che riesca a collegare gli
elementi fondamentali di una nuova situazione problematica a quelli caratterizzanti gli
schemi concettuale e risolutivo gi familiari.
LE STRATEGIE EURISTICHE DI SOLUZIONE. Esse sono: scomporre il problema in
questioni pi semplici; specializzare il problema studiandone un caso particolare, per
poi cercare di generalizzare la soluzione trovata; riformulare il problema stesso. E stato
per constatato che si ottengono risultati abbastanza modesti. La strada maestra
sembra essere quella di sviluppare nella classe un vero e proprio laboratorio dove si
attivano forme di apprendistato cognitivo; dove, cio, linsegnante, o qualche allievo
pi sveglio, funge da esperto che si impegna a risolvere problemi che non ha mai
risolto e spiega ad alta voce come fa; quindi guida gli altri ad esercitarsi in problemi che
presentino un moderato livello di sfida alla loro competenza, seguendoli inizialmente
pi da vicino, poi a poco a poco lasciandoli pi autonomi e stimolandoli a discutere della
qualit delle soluzioni trovate tra di loro. Tutto questo in un contesto laborioso, ma
sereno, non minaccioso.
GLI ASPETTI METACOGNITIVI. In generale si accenna oggi a quattro componenti
metacognitive fondamentali del pensiero, incluso quello matematico: la conoscenza
dei propri processi cognitivi; le competenze strategiche riferibili al controllo e alla
gestione dei pocessi cognitivi in vista del conseguimento di obiettivi prefissati; la
conoscenza dei propri processi affettivi; le competenze strategiche riferibili al controllo
e alla gestione dei propri processi affettivi per favorire il raggiungimento degli obiettivi
intesi.
CONVINZIONI, MOTIVAZIONI ED EMOZIONI. Nellattivit matematica scolastica le
emozioni negative in genere costituiscono circa il doppio di quelle positive e crescono
visibilmente nel tempo. Si arriva dopo alcuni anni a consolidati atteggiamenti negativi
verso la matematica, quando non veri e propri sentimenti stabili di odio e di rifiuto.
LE PRIME FORME DI MATEMATIZZAZIONE
I primi concetti matematici si fondano su due intuizioni fondamentali: quella di
numero e quella di spazio. Linterazione culturale guida il bambino a interiorizzare lo
strumento linguistico che consente di realizzare tale valutazione: il contare. Si possono
distinguere 4 livelli iniziali di sviluppo del contare:
1) la sequenza numerica come cantilena indifferenziata (unoduetrequattro);
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2) la sequenza numerica come successione di parole staccate tra di loro (uno-due-trequattro)


3) lassociazione corretta tra passi successivi del contare e oggetti che vengono contati
(numero ordinale);
4) il numero associato allultimo oggetto da contare indica la quantit totale degli oggetti
(numero cardinale).
La ricerca conferma il ruolo del contesto socioculturale e delle attivit strutturate che in
esso si svolgono anche nel caso della costruzione delle conoscenze e delle competenze
matematiche.

LACQUISIZIONE DELLE CONOSCENZE DI NATURA DICHIARATIVA


I processi e le strategie di acquisizione delle conoscenze matematiche di natura
concettuale, dette anche dichiarative, implicano che queste siano costruite in maniera
significativa, stabile e fruibile. Per queste sono necessarie:
1) unadeguata comprensione dei concetti e degli schemi concettuali proposti;
2) una loro valida strutturazione interna, sviluppata personalmente anche se sotto la guida
dellinsegnante;
3) una loro stabilizzazione consistente nel tempo;
4) una loro significativa fruibilit nellapprendimento di altri concetti e procedimenti
matematici e nella soluzione di problemi.
In questo lavoro sono coinvolti i seguenti processi cognitivi: processi di natura
elaborativa per ci che riguarda la comprensione; nella prospettiva di una valida
strutturazione interna, i processi organizzativi; per la stabilizzazione delle conoscenze
nel tempo, lutilizzazione di adeguate teniche di memorizzazione; la capacit di
inquadrare correttamente i problemi nel contesto delle conoscenze personalmente
organizzate e una certa pratica operativa da acquisire sotto la guida di persone pi
esperte.
a) I processi elaborativi pi impegnativi riguardano la costruzione di nuove relazioni e
collegamenti a partire dagli schemi concettuali gi posseduti. Si possono verificare
due situazioni assai diverse tra loro. Nel primo caso le conoscenze di appoggio, cio
quelle gi possedute, costituiscono una buona base per capire e acquisire le nuove
conoscenze proposte. E la prospettiva presa in causa da Piaget quando parlava di
assimilazione. Nel secondo caso emerge invece una situazione conflittuale tra
quanto gi posseduto e quanto viene proposto, nel senso che le nuove informazioni
tendono a contrastare le elaborazioni precedentemente sviluppate. E quanto nella
prospettiva piagetiana viene denominato accomodamento. In questo secondo caso
emerge una situazione che implica, per procedere in maniera valida e feconda, la
necessit di una valida ristrutturazione interna. E in questa situazione possono
emergere tensioni a livello emotivo.
b) I processi di natura organizzativa tendono a strutturare le diverse parti o i differenti
elementi informativi in unit pi comprensive o in totalit pi vaste ed integrate. Ai
processi organizzativi appartengono anche quelli di selezione e cancellazione, che
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portano a distinguere tra le informazioni e gli elementi conoscitivi pi importanti e


quelli meno importanti.
c) Nel memorizzare una definizione, una formula, un procedimento, che siano gi stati
compresi in maniera significativa, possono essere messi in azione processi di
stabilizzazione di vario tipo. Le pi conosciute sono quelle che suggeriscono di
collegare i vari elementi da ricordare a una successione di oggetti presenti nella
proprio memoria iconica o a passi di un percorso gi familiare.
d) Dal punto di vista dello sviluppo di competenze strategiche non basta conoscere
questi processi, ma occorre anche saperli riconoscere nella propria attivit
intellettuale ed essere capaci di gestirli in maniera da favorire lacquisizione
significativa, stabile e fruibile di concetti e procedimenti e la loro utilizzazione
feconda nella soluzione di problemi. La competenza strategica implica la capacit di
discernere un problema e di come procedere nellaffrontarlo tenendo conto dei
processi cognitivi che sono coinvolti in tale impresa.
LACQUISIZIONE DI TIPO PROCEDURALE
Lacquisizione delle conoscenze di natura procedurale legata a due processi
interconnessi: la costruzione o, almeno, la comprensione di algoritmi matematici; lo
sviluppo di abilit nellutilizzarli correttamente e velocemente. Secondo Anderson, a
livello elementare stanno le procedure di classificazione degli enti matematici,
soprattutto di tipo geometrico. Tali procedure da un punto di vista psicologico non
implicano solo le operazioni da compiere, ma anche quando e perch essi possono o
debbono essere eseguite. Una volta costruita e compresa una procedura e individuate
le condizioni di utilizzazione possibile sviluppare labilit necessaria per eseguirla
correttamente e rapidamente. Per giungere a questo necessario trasformare le
singole istruzioni in operazioni eseguite effettivamente. Ad esempio, con i bambini si
usano procedure di tipo audioverbale: si fa memorizzare un procedimento oralmente e
si fa associare a ogni passaggio verbale la relativa operazione. Una volta automatizzati
gli algoritmi pi semplici, possibile comporli tra di loro, giungendo alla capacit di
eseguire automaticamente algoritmi assai pi lunghi e complessi. I pericoli insiti i
questo percorso formativo stanno nella possibilit di costruire, ma soprattutto di
automatizzare procedure errate. Queste, una volta rese automatiche, rimangono
saldamente nella memoria a lungo termine e, una volta attivate, vengono eseguite
come tali, senza riuscire ad accorgersi della loro erroneit. E necessario, dunque, da un
lato automatizzare procedure corrette, dallaltra sviluppare indicatori specifici, che
permettano di riconoscere situazioni a rischio, per evitare di mettere in moto procedure
errate e affidarsi invece a procedure corrette.
LO SVILUPPO DI COMPETENZE STRATEGICHE E AUTOREGOLATIVE
Per promuovere lo sviluppo di competenze strategiche negli alunni occorre in primo
luogo renderli coscienti della natura e del valore di tali processi; in secondo luogo,
occorre guidarli nello sviluppo della capacit di saper gestire in maniera produttiva i
processi disponibili, selezionando quelli che nello specifico contesto appaiono come i pi
opportuni e necessari. Si tratta di un passaggio formativo essenziale per promuovere
un livello adeguato di autonomie e autoregolazione nello studio. Le competenze di
natura strategica e autoregolative sono intimamente collegate con un livello di
funzionamento cognitivo che stato denominato da Flavell negli anni 70 come
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metacognizione, cio sapere quali conoscenze e strategie intellettuali attivare nei


diversi compiti, come, quando e perch. Oggi vengono esplicitati due ambiti specifici
connessi con il livello di funzionamento metacognitivo: a) la consapevolezza delle
conoscenze e capacit possedute; b) la capacit di autoregolazione o di controllo dei
processi e delle strategie cognitive implicate nel compito da affrontare. I processi
metacognitivi risentono di componenti di natura motivazionale e volitiva. Infatti, non
basta conseguire buoni livelli di competenza strategica, occorre anche: a) percepire ed
essre convinti che quelli che possediamo sono adatti e sufficienti per conseguire buoni
risultati sul piano dellapprendimento e della soluzione di problemi in situazioni
specifiche; b)utilizzare opportune strategie di natura volitiva, che consentano di
superare stati emozionali negativi, interessi obiettivi contrastanti, difficolt e disturbi di
varia natura.
LA DIMENSIONE AFFETTIVA
Lo sviluppo di un atteggiamento negativo verso la matematica stato studiato a lungo
perch esso trova le sue radici abbastanza presto nellesperienza scolastica egli allievi.
Sono stati individuati due momenti cruciali: lintroduzione dei numeri decimali e linizio
dellalgebra. Si tratta della mancanza di comprensione di ci che si studia, di
disorientamento e confusione, associati a emozioni negative. Tutte le ricerche
concordano nel constatare la diminuzione di interesse e di coinvolgimento personale nel
corso dellesperienza matematica scolastica e la crescita di uno stato di disagio, quando
non di indifferenza o di avversione profonda. La base fondamentale dello sviluppo degli
atteggiamenti sono le emozioni provate nel contesto dellesperienza scolastica. Uno
stesso stimolo per pu dare origine a ben differenti reazioni emozionali, a seconda
della valutazione che a livello personale ne viene fatta. Infatti, la percezione della
difficolt di un problema matematico pu costituire una sfida che stimola linteresse,
mentre per un altro pu essere fonte di panico. Si riscontrato da pi parti come le
reazioni emozionali siano presenti in maniera incisiva e svolgano un ruolo essenziale nel
corso delle varie attivit matematiche. Quanto alle ragioni di tali reazioni emozionali,
confusione e mancanza di comprensione sono quelle pi diffusamente citate, seguite
dalla percezione di non avere tempo a sufficienza e ansiet per laccuratezza dei calcoli
e del modo di scrivere. Lo sviluppo di stati di ansia relativi allo studio e allesperienza
scolastica della matematica notevolmente correlato al procedere nei diversi gradi
della carriera scolastica. Studi sistematici sono stati condotti negli Stati Uniti [Carpenter
1981] in base ai quali stato evidenziato come alunni di 9 anni mettessero la
matematica al primo posto come materia preferita, a 14 anni questa materia era gi al
secondo posto, ma a 16 anni essa era collocata allultimo posto. Per Lazarus [1975] la
ragione principale di questo declino sta nella mancanza di comprensione, nel sentirsi
incapace, nellattribuire gli insuccessi alla mancanza di capacit e a cause esterne
incontrollabili, allansiet e ad altre emozioni negative. Lansiet si sviluppa
particolarmente durante ladolescenza.
CONVINZIONI E MOTIVAZIONI
Un ruolo non indifferente nei processi di apprendimento e di attivit matematica viene
svolto dalle convinzioni possedute e dagli stati motivazionali presenti. In particolare
svolge un ruolo importante la concezione della matematica intesa come disciplina
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scolastica e il concetto di s in relazione alla matematica e al suo apprendimento.


Infatti le convinzioni personali circa la capacit di affrontare la soluzione di problemi il
risultato di una interazione tra precedenti esperienze, concezioni di s nei riguardi della
matematica, percezioni dellutilit della matematica e prestazioni ottenute.
Strettamente collegato con il sistema di convinzioni personali il sistema di valori
soggettivamente elaborato. Questi possono essere definiti come disposizioni interne di
natura generale che fanno da fondamento agli stati motivazionali che emergono in
contesti specifici. Per attribuire valore a un tipo particolare di impresa matematica,
come risolvere problemi non di routine, lo studente deve riuscire a comporre esperienze
emozionali positive in tale attivit. Il valore attribuito alla matematica, al suo
apprendimento e alla riuscita personale in specifici compiti a questi connessi
costituiscono un costante riferimento interiore che influisce sugli stati motivazionali,
sulle scelte personali e sulle esperienze emozionali provate. La motivazione, in questo
contesto, definita come uno stato interno, nato dallimpatto del proprio sistema di
valori e di convinzioni che li esplicitano e la situazione come essa percepita, che
attiva, dirige e sostiene lazione di apprendimento.
Le convinzioni personali relative alle cause del proprio successo e fallimento sono
particolarmente sottolineate nella teoria attributiva di Weiner, che distingue tra cause
interne (come capacit e impegno) ed esterne (come difficolt del compito e fortuna),
stabili e instabili, controllabili e incontrollabili. Un risultato scolastico pu essere cos
attribuito a una causa interna come la capacit e questa essere considerata come
stabile e non controllabile. Ci avviene abbastanza frequentemente nel contesto
matematico. Uno studente, per esempio, pu essere convinto di non essere capace di
comprendere e risolvere problemi matematici la cui strategia di soluzione non sia stata
ben spiegata prima dallinsegnante. Bandura insiste invece sullimportanza delle
convinzioni personali relative alla propria efficacia nellassolvere ad un compito.
La motivazione anche fortemente influenzata dagli obiettivi che gli studenti si
pongono mentre svolgono le loro attivit scolastiche. C infatti differenza tra il voler
soltanto superare uninerrogazione e il padroneggiare un certo argomento o specifica
competenza. Nel primo caso si cerca spesso solo di apparire bravi e di superare i
compagni, nel secondo caso interessa soprattutto apprendere e si fa fronte in maniera
pi agevole e persistente alle difficolt incontrate.
Gli insuccessi sono spesso, soprattutto se ripetuti, attribuiti a una debole capacit nel
settore e a doti intellettuali modeste. Questo non solo da parte degli allievi, ma anche
degli insegnanti. Ci porta non solo a frustrazioni e tristezza, ma anche allo sviluppo di
atteggiamenti negativi e alla rinuncia ad impegnarsi in maniera adeguata. Tutto questo
favorisce inoltre una percezione di s negativa quanto a capacit e competenza nel
settore. Diventa cos essenziale promuovere attribuzioni causali riferite a fattori
modificabili e controllabili, incoraggiare una concezione dellintelligenza matematica
flessibile e migliorabile, impostare programmi didattici che permettano un aumento
della percezione della propria competenza nel portare a termine gli impegni scolastici.
CONCLUSIONI

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Dal punto di vista educativo necessario che gli insegnanti promuovano non solo lo
sviluppo dei processi che stanno alla base della comprensione, come quelli elaborativi e
organizzativi, bens anche le competenze strategiche che consentono di utilizzare le
conoscenze gi acquisite poter apprendere in maniera significativa e stabile altre
conoscenze concettuali e procedurali e per risolvere in maniera feconda i vari problemi.
A tal fine occorre che essi per primi conoscano e siano capaci di gestire i processi e le
strategie di natura cognitiva e affettiva utili o necessari. Per promuovere le competenze
strategiche fondamentali richieste non basta, per, descriverle solo a parole, occorre
anche farle sperimentare.
CAP.10: CONCETTUALIZZAZIONE E INSEGNAMENTO.
Lo studio delle concettualizzazioni scientifiche si pone come studio del cambiamento
delle rappresentazioni in campi specifici dellesperienza a vari livelli di et e per effetto
dei processi di insegnamento. Sono necessarie 2 precisazioni: a) la ricerca sul
cambiamento concettuale ha sempre riguardato quasi esclusivamente le scienze
naturali e fisiche; b) la ricerca in questione stata condotta nellambito della
prospettiva costruttivista, partendo dallassunzione che un individuo, nel tentativo di
dare significato al mondo naturale e sociale, costruisce la propria conoscenza
connettendola ai dati gi presenti nella memoria a lungo termine.
Secondo poi lapproccio socioculturale di matrice vygotskijana, la cognizione si
manifesta sempre in contesti di attivit e pratiche in cui gli individui interagiscono tra
loro e con gli strumenti della propria cultura per conseguire i propri obiettivi. Si tratta
dunque di processi di carattere intersoggettivo, organizzati socialmente e propri di un
contesto.
IL PARADIGMA DELLA SPECIFICITA DI DOMINIO
Secondo il paradigma del domain-specificity (anni 80), lo sviluppo cognitivo va
considerato come ristrutturazione delle conoscenze in unarea caratterizzata da una
specifica organizzazione concettuale. Lenfasi su questo nuovo paradigma trova
riscontro coerente in tre risultati della ricerca attuale sullo sviluppo e lapprendimento,
ossia:
1) la mente umana funziona come un sistema modulare [Fodor] piuttosto che come un
elaboratore generale di informazioni. Nel corso dellevoluzione tale sistema ha sviluppato
dei meccanismi cognitivi specializzati a <trattare> tipi differenti di informazioni.
2) Le prestazioni degli esperti in un determinato campo- che sia quello del gioco degli scacchi
oppure quello della fisica, della chimica o delle scienze sociali- si diversificano non tanto
per limpiego di strategie generali quanto per lorganizzazione e il contenuto delle
informazioni presenti nella loro base di conoscenza.
LA RICERCA SULLO SVILUPPO DELLE STRUTTURE DI CONOSCENZA
La ricerca sul cambiamento concettuale rappresenta il tentativo di combinare la visione
costruttivista piagetiana con il fatto che i bambini piccoli, di et prescolare, sono ben
pi capaci cognitivamente di quanto sostenuto da Piaget, e che le strutture concettuali
iniziali sono sottoposte a ristrutturazione radicale nel corso dello sviluppo. E vero che
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lacquisizione di conoscenze inizia molto presto ed regolata da alcuni principi o vincoli


di natura generale. Ma anche vero che le strutture concettuali iniziali possono
facilitare ma allo stesso tempo ostacolare la costruzione di conoscenza successiva. Nei
vari domini possono verificarsi 3 tipi di cambiamento: laccrescimento, la
ristrutturazione debole e la ristrutturazione radicale. Laccrescimento consiste
nellaggiunta di nuove informazioni nelle strutture concettuali gi esistenti senza alcun
loro mutamento. E pertanto paragonabile al meccanismo dellassimilazione piagetiana.
La ristrutturazione, sia debole che radicale, corrisponde invece al meccanismo
dellaccomodamento piagetiano in quanto implica una riorganizzazione delle strutture
concettuali di un determinato dominio. Nel caso di uno scienziato, la ristrutturazione
riguarda la scoperta di un paradigma nuovo e coerente. Nel caso di un bambino,
diversamente dallo scienziato, il problema non consiste nella scoperta di un diverso
paradigma, bens nellintegrare le visioni scientifiche accreditate con le teorie intuitive
che ha elaborato sulla base dellesperienza.

Esempio: le concezioni biologiche. Carey, attraverso pi metodi di indagine, ha studiato


lo sviluppo di concezioni riguardanti gli esseri viventi. Il concetto di animale
rappresentato nei bambini piccoli con la stessa estensione di quello adulto, intendendo
per estensione linsieme dei <soggetti> a cui il concetto si pu attribuire. A 3-4 anni,
infatti, essi distinguono tra animali, come categoria, e non animali, attribuendo solo ai
primi, e non a oggetti come le bambole e i giocattoli di peluche, determinate propriet
e organi. Tuttavia, lintensione del concetto di animale, ossia il particolare e preciso
contenuto determinato dalle propriet specifiche del concetto, risulta diversa da quella
di un adulto. Prima dei 10 anni, i bambini non concepiscono che tutti gli animali si
nutrano, respirino e si riproducano. Secondo Carey, il bambino piccolo vede gli animali
come esseri che hanno un comportamento, ossia in termini essenzialmente psicologici,
mentre ladulto li concettualizza come esseri biologici. Per quanto riguarda il concetto di
essere umano, gli studi hanno messo in luce che i bambini pi piccoli si rappresentano
la morte, la crescita, la riprdduzione e la nutrizione in termini di comportamento delle
persone (quindi psicologici), non del funzionamento delle parti interne del corpo. A 10
anni viene invece costruito un modello del funzionamento integrato degli organi interni.
In sintesi, secondo Carey, una teoria biologica intuitiva emerge da una teoria
psicologica intuitiva nellet che va dai 4 ai 10 anni. La ricerca ha spesso trascurato le
variabili culturali e contestuali legata alle trasmissioni delle conoscenze. Laddove
stato indagato il ruolo di determinate esperienze domestiche sullacquisizione di
conoscenze biologiche a scuola, emerso che bambini coinvolti direttamente in attivit
di allevamento di piccoli animali domestici, ad esempio di pesci rossi, per un certo
periodo di tempo, mostravano di possedere conoscenza concettuale pi ricca dei
coetanei che non avevano avuto la possibilit di contatto con gli animali.
IL CAMBIAMENTO CONCETTUALE NELLA RICERCA SULLINSEGNAMENTO DI
CONCETTI SCIENTIFICI
Fin dagli inizi degli anni 70, coloro che erano interessati allinsegnamentoapprendimento di concetti scientifici in classe hanno compiuto studi volti ad individuare
le misconceptions degli studenti. Le misconceptions sono quelle conoscenze
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alternative (ingenue, difettose, deformate, distorte, ecc) elaborate dallindividuo per


effetto della sua esperienza con la realt e degli stessi interventi di istruzione formale,
che appaiono molto spesso in forte contrasto con le conoscenze accreditate. A tutte le
et, anche se in misura differente, gli individui possiedono in genere concezioni
divergenti da quell accreditate scientificamente; concezioni definite di <senso
comune>, o anche <ingenue>, che possono essere il frutto dellesperienza personale
diretta con la realt, di idee e convinzioni elaborate in famiglia o di cui si sentito
parlare casualmente.
Agli inizi degli anni 80 sono stati proposti dei modelli che intendevano precisare i
componenti el cambiamento concettuale e prospettare linee adeguate di intervento
finalizzate a far superare le concezioni alternative alquanto resistenti alla
ristrutturazione. Poster ha elaborato uno dei modelli pi rilevanti per lesplicitazione
delle condizioni necessarie alla revisione delle conoscenze:
1) bisogna essere insoddisfatti delle proprie idee, dei propri modi di interpretare la realt e
percepirne i limiti;
2) una concezione nuova deve risultare intelligibile, cio lo studente deve poterne
comprendere il significato e farsene una rappresentazione coerente;
3) la concezione nuova deve risultare anche plausibile, non deve apparire in netto contrasto
con le altre sue concezioni;
4) la concezione nuova deve infine essere vantaggiosa, dimostrandosi utile a risolvere i
problemi rimasti sospesi.
Altri studiosi hanno indicato che bisogna:
-

far esplicitare innanzitutto agli studenti le proprie concezioni sollecitando interpretazioni di


un determinato fenomeno;
affinare la loro consapevolezza delle proprie concezioni e di quelle altrui attraverso
discussioni;
creare conflitto concettuale chiedendo loro di spiegare un evento discrepante, cio non
interpretabile attraverso le concezioni possedute;
incoraggiare laccomodamento cognitivo e lelaborazione di un nuovo modello concettuale
coerente con la concezione scientifica accreditata.
La strategia del conflitto concettuale si per mostrata non sempre efficace in quanto
non risulta automatico il riconoscimento di un conflitto tra le proprie concezioni e
unevidenza empirica anche palesemente contraria.
INTERPRETAZIONI RECENTI DEL CAMBIAMENTO CONCETTUALE
Il processo di cambiamento concettuale stato oggetto di teorizzazioni diverse. I primi
due approcci sono essenzialmente centrati sulla descrizione e spiegazione del tipo di
rappresentazioni mentali che vengono elaborate nelle menti dei singoli soggetti in base
a processi cognitivi interni. Il terzo approccio, invece, sottolineando come il
cambiamento non sia da vedere in termini di abbandono, il pi rapido possibile, di
concezioni alternative, porta a considerare il rapporto tra conoscenze e contesti
concettuali e di discorso al fine di capire lorigine delle difficolt di comprensione
disciplinare da parte degli studenti. In prospettiva socioculturale, il quarto approccio
sposta loggetto di indagine dalle rappresentazioni individuali alle azioni sociali.
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TEORIE SPECIFICHE E TEORIE CORNICE


Vosniadou ha proposto uninterpretazione dei meccanismi sottostanti al cambiamento di
conoscenze in domini delle scienze fisiche. La studiosa concepisce la conoscenza
intuitiva costituita da teorie che distingue in 2 tipi: teorie specifiche e teorie
cornice. Le teorie specifiche, che descrivono le propriet e il funzionamento di oggetti
e fenomeni, sono vincolate dalle teorie cornice, in quanto queste ultime sono formate
da presupposizioni ontologiche ed epistemologiche sulle quali vengono elaborate le
teorie specifiche che portano alla costruzione di modelli mentali.
In studi transculturali, le teorie cornice sono risultate presenti anche in bambini
appartenenti in culture diverse da quella euro-americana, proprio perch le
presupposizioni radicate che le costituiscono sono le stesse, ossia aspetti <universali>,
in quanto interpretazioni da parte dei bambini della loro esperienza del mondo fisico,
esperienza trasversale alle differenti culture. Ci che varia invece il tipo specifico di
<modello sintetico> (misconception) che i bambini si costruiscono anche rispetto a
miti, storie e racconti cosmologici che vengono tramandati nel loro particolare contesto
culturale. Il cambiamento di una teoria cornice, proprio perch implica che mutino
presupposizioni e credenze radicate da tempo, basate su innumerevoli osservazioni ed
esperienze, si presenta quindi particolarmente lungo e difficile. Come pu essere
stimolato e sostenuto? Nel nostro paese sono state sostenute delle ricerche sulle teorie
cornice riguardanti il dominio economico. Berti ha messo in evidenza come a
determinate condizioni si possano manifestare ristrutturazioni (anche radicali) stabili in
un arco di tempo piuttosto limitato. Secondo Berti, se i bambini possiedono le
conoscenze di sfondo e le loro condizioni non sono particolarmente radicate- ossia non
hanno teorie cornice che fanno da ostacolo- e vengono loro presentati concetti
riguardanti sottodomini specifici, ad esempio il funzionamento di un negozio o di una
banca e i loro profitti, possono giungere a concettualizzazioni altrimenti raggiungibili
solo ad et pi avanzate. Una possibile fonte di teorie cornice deriva dalla concezione
che hanno i bambini che il principio di uguaglianza e <reciprocit stretta> che si
applicano nei rapporti interpersonale varrebbero anche per la banca, per cui pensano
che si debba restituire esattamente quello che si ricevuto. Realizzando in classi di
terza, quarta e quinta elementare degli appositi curricoli di diversa durata per
linsegnamento-apprendimento di concetti legati alla comprensione del funzionamento
della banca, Berti e collaboratrici hanno rilevato che in presenza delle condizioni sopra
menzionate, i bambini potevano produrre cambiamenti stabili, almeno nel senso di una
ristrutturazione debole.
A partire dagli 8-9 anni i bambini non possiedono teorie cornice sul comportamento
umano che possono impedire la concettualizzazione corretta delle operazioni svolte
dalla banca. Se a questo si aggiunge il fatto che dispongono della conoscenza di sfondo
necessaria, si spiega come si possano conquistare livelli progrediti di comprensione in
un arco di tempo piuttosto limitato. Berti ha pertanto concluso che le teorie cornice
possono ostacolare la comprensione di concetti riguardanti il mondo fisico ma non
quello economico. Ci di cui hanno bisogno i bambini per comprendere concetti
fondamentali di questultimo dominio la conoscenza di alcune nozioni, quali
produzione di beni, lavoro come attivit retribuita ecc.
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CATEGORIE ONTOLOGICHE E CAMBIAMENTO CONCETTUALE


Chi e collaboratori [1992] hanno proposto uninterpretazione del cambiamento
concettuale basata sulla mozione di categoria ontologica. Le categorie ontologiche
sono intese da questi studiosi come poche basilari categorie della realt,
ontologicamente distinte a livello fisico e a livello psicologico adulto. Tre categorie
ontologiche essenziali sono quelle delle sostanze materiali, dei processi e degli stati
mentali. Il cambiamento concettuale pu essere di due tipi: allinterno (within) di una
categoria ontologica e tra (across) categorie ontologiche. Il cambiamento allinterno di
una categoria avviene per mezzo dei meccanismi di discriminazione, aggiunta o
eliminazione di caratteristiche, generalizzazione, strutturazione, individuazione di
analogie.
Il cambiamento tra categorie consiste nella rassegnazione di un concetto ad una
categoria diversa da quella a cui era stato gi attribuito. Secondo Chi e collaboratori,
molte delle misconceptions sono dovute al fatto che si attribuiscono i concetti alle
categorie ontologiche errate.
Vosniadou e Duit hanno sottolineato larbitrariet della distinzione tra categorie,
chiedendosi perch i <processi> siano considerati una categoria ontologica, e
considerando inadeguata la spiegazione del cambiamento concettuale fatta solo in
termini di rassegnazioni concettuali. Vosniadou ha proposto una spiegazione di sintesi
tra la sua interpretazione e quella di Chi e collaboratori: la difficolt di
concettualizzazione in campo scientifico e la creazione di misconceptions va rapportata
alle incongruenze che esistono tra i sistemi di presupposizioni e credenze
fondamentalmente contraddittorie che sottostanno alle diverse categorie ontologiche.
CAMBIAMENTO CONCETTUALE COME CONTESTUALIZZAZIONE
Secondo Halldn, le difficolt incontrate nella comprensione di concetti scientifici sono
da mettere in rapporto a un problema di contestualizzazione, visto da tre piani
diversi:
1) la contestualizzazione di un concetto nellambito di un pi ampio quadro concettuale;
2) la contestualizzazione di spiegazioni che possono risultare pi o meno rilevanti in situazioni
differenti;
3) la contestualizzazione di descrizioni o spiegazioni allinterno di un determinato genere di
discorso.
Riguardo al primo tipo di contestualizzazione, Halldn ha fatto riferimento alla nozione
di contesto cognitivo. Si tratta di un paradosso dellapprendimento: per comprendere
concetti subordinati necessario possedere gi il concetto superordinato che forma il
contesto di riferimento, ma una condizione per possedere quel concetto superordinato
richiede che i concetti subordinati siano gi compresi.
Riguardo al secondo tipo, Halldn parla di contesto situazionale. Quando nello spiegare
fenomeni di vita quotidiana i concetti scientifici competono con quelli di senso comune,
non affatto scontato che i primi prevalgano sui secondi. Pu essere una libera scelta
degli studenti quella di non usare il ragionamento <accademico>, in quanto situano un
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problema specifico in un contesto quotidiano, giudicando inappropriato quello della


spiegazione scientifica.
Per quanto riguarda il terzo tipo di contestualizzazione, Halldn parla di contesto
culturale, precisando come sia essenziale, per diventare esperti in un campo, essere
socializzati a un modo particolare di vedere il mondo, proprio di un contesto
disciplinare, con le sue modalit di pensare e di parlare.
CAMBIAMENTO CONCETTUALE COME PRATICA SOCIALE
Nellambito della prospettiva socioculturale, cos intesa la ristrutturazione concettuale:
-

le pratiche discorsive sono strumenti culturali utilizzati da un gruppo per costruire


conoscenza;
attraverso pratiche e processi di discorso, i membri costruiscono gli eventi della vita
quotidiana con ruoli e relazioni, norme e aspettative, doveri e obblighi che definiscono
lappartenenza ad un gruppo;
la produzione di significati di gruppo, non individuale, in quanto sono i suoi membri ad
assegnare significato a processi, artefatti, pratiche, ecc. nel corso della loro attivit
quotidiana;
le azioni e interazioni allinterno di un gruppo sono lette e interpretate dai membri al fine di
partecipare in modi socialmente appropriati;
le modalit di conoscere, fare, interpretare e comunicare il sapere da parte di membri di un
determinato gruppo possono essere in contrasto con quelle di altri gruppi.
Da questa prospettiva il cambiamento concettuale un processo di gruppo. Il gruppo
viene considerato come unecologia concettuale locale, che si costituisce attraverso
le interazioni tra i membri ed unentit dinamica. Di conseguenza, la questione
educativa riguarda il mutamento delle pratiche della vita di una classe scolastica.
Ne derivano 2 importanti implicazioni. La prima che ci che si apprende
situato,ossia strettamente legato ai contesti in cui si manifestano le azioni sociali e le
pratiche culturali di un gruppo. La seconda implicazione che ci che si apprende
anche distribuito tra i membri del gruppo, ossia non esiste- o non esiste solo- <nella
testa> dei singoli individui ma anche nella rete di interazioni e di strumenti attraverso
cui la conoscenza situata e condivisa.
OLTRE LA CONCETTUALIZZAZIONE <FREDDA>: LINFLUENZA DELLE CREDENZE
EPISTEMOLOGICHE
In un articolo, Pintrich ha usato la metafora del <freddo> per riferirsi agli studi condotti
sul cambiamento concettuale senza tener conto delle variabili di tipo epistemologico,
motivazionale e situazionale come risorse e vincoli della ristrutturazione di conoscenze.
Interessarsi alla concettualizzazione <calda> significa invece considerare il ruolo che
nella comprensione della realt giocano le idee elaborate dallo studente sulla natura e
sullacquisizione della conoscenza, il suo orientamento motivazionale e i fattori
contestuali della classe. Con lespressione credenze epistemologiche ci si riferisce
alle assunzioni sulla conoscenza e sul conoscere. Per valutare pi adeguatamente cosa
e quanto uno studente acquisisce, bisogna anche domandarsi quali siano le convinzioni
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che egli ha elaborato nei confronti del sapere e di comici si appropria di esso, in quanto
proprio queste convinzioni possono influire, pi o meno direttamente, sui risultati
dellapprendimento. Schommer propone 5 fattori indipendenti o dimensioni
epistemologiche:
1) la certezza della conoscenza: dallidea che la conoscenza certa e assoluta a quella che la
conoscenza in costante evoluzione;
2) lorganizzazione della conoscenza: dallidea che la conoscenza compartimentalizzata
allidea che la conoscenza integrata e interconnessa;
3) la fonte della conoscenza: dallidea che il sapere posseduto e trasmesso da autorit
onniscienti allidea che la conoscenza elaborata sia oggettivamente che soggettivamente;
4) il controllo dellapprendimento: dallidea che labilit ad apprendere geneticamente
predeterminata e perci piuttosto stabile allidea che labilit ad apprendere acquisita
attraverso lesperienza e quindi modificabile;
5) la velocit dellapprendimento: dallidea che lapprendimento avviene velocemente o non
avviene affatto allidea che lapprendimento un processo graduale.
La ricerca sistematica di Schommer ha messo in luce che le convinzioni epistemologiche
influenzano vari aspetti dellapprendimento. Il credere che la conoscenza sia semplice e
certa correlato negativamente con la ristrutturazione di conoscenze: in uno studio,
pi gli studenti di scuola superiore erano convinti del carattere semplice, assoluto e
definitivo del sapere, meno erano portati a ristrutturare le proprie concezioni in fisica.
Si pu sostenere che lo studente convinto che la conoscenza venga trasmessa da
autorit indiscutibili, quali insegnanti, libri, tenda ad accettare una data risposta senza
riflessione, e che uela informazione, molto probabilmente, sar destinata a rimanere
inerte in quanto non oggetto di elaborazione e integrazione. Al contrario, si pu
sostenere ce lo studente che adotta una visione pi costruttivista secondo cui il sapere
pu essere generato e costruito, tenda a interrogarsi sulle proprie concezioni e
convinzioni, sperimentando maggiormente il bisogno di rivederle.
Gli studi sullo sviluppo delle credenze epistemologiche hanno sottolineato che quelle pi
sofisticate, implicanti una visione costruttivista, si sviluppano piuttosto tardi, cio
durante ladolescenza e let adulta. Si pone dunque il problema di come aiutare lo
sviluppo del pensiero epistemologico in soggetti giovani. Studi recenti hanno
evidenziato che si possono portare studenti di scuola media a progressi significativi per
quanto riguarda lepistemologia scientifica, ossia la visione della scienza e
dellattivit scientifica. Anche per quanto riguarda lepistemologia storica, la ricerca
nel nostro paese ha messo in luce come bambini di scuola elementare in contesti di
apprendimento significativi possono comprendere e imparare a padroneggiare le
procedure metodologiche, metacognitive e di spiegazione necessarie allinterpretazione
di eventi storici.
AMBIENTE DI APPRENDIMENTO PER FAVORIRE LA CONCETTUALIZZAZIONE
Lambiente di apprendimento la situazione in cui si situano e distribuiscono i
processi cognitivi (e non solo) coinvolti nelle varie attivit, e intreccio di relazioni sociali
che sostiene il mutamento <caldo> di rappresentazioni e credenze a scuola. Tale
concetto fa riferimento alla prospettiva socioculturale secondo cui la cognizione si
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manifesta sempre in contesti di attivit e pratiche in cui gli individui interagiscono tra
loro e con gli strumenti propri della cultura, senza negare importanza agli aspetti
individuali dellapprendimento. Gli approcci allo studio del cambiamento concettuale
centrati sul cambiamento di rappresentazioni a livello individuale, e i due approcci che
evidenziano rispettivamente il ruolo dei contesti e delle pratiche sociali nella costruzione
di conoscenza, possono essere considerati complementari. Bisogna infatti tenere conto
che le acquisizioni concettuali dello studente non possono essere considerate in
assoluto, bens in relazione a una situazione costituita da processi di discorso, azioni
sociali e pratiche culturali, ma, daltra parte, considerare il contesto e ci che si
manifesta in esso, non significa trascurare cosa uno studente apprende in termini di
concetti, credenze, abilit, da rendere il pi possibile flessibili e generalizzabili ad altri
contesti. E la relazione individuo-cultura-contesto che costituisce quindi loggetto di
interesse e analisi.
Lambiente che a scuola pu meglio contribuire a produrre cambiamento concettuale
potrebbe essere definito <metacognitivo> in quanto caratterizzato dal concetto di
riflessione al secondo ordine: tutte le attivit svolte diventano per gli studenti occasioni
di monitorare la propria comprensione e quella degli altri in un processo si
apprendimento autoregolato.
ESPLICITAZIONE DI CONOSCENZE. Una prima condizione imprescindibile riguarda
lesplicitazione delle proprie conoscenze da parte degli studenti che devono sentirsi
liberi di poter rendere manifesto ci che pensano, senza timore di venire giudicati
negativamente.
CONSAPEVOLEZZA METACONCETTUALE. La consapevolezza metaconcettuale
consente di rendersi conto di quello che si sa (e non si sa) e della necessit di mutare
idee e convinzioni, condizione fondamentale per poter riuscire a rivederle davvero.
IL DISCORSO COLLABORATIVO. La consapevolezza metaconcettuale pu essere
stimolata mediante la discussione tra pari su un oggetto specifico di conoscenza. Il
discorso collaborativi, attraverso lo scambio e la reciprocit del dialogo, diventa infatti
essenziale in quanto favorendo lesplicitazione, lapprofondimento, la critica razionale di
concezioni e punti di vista, costituisce un contesto fertile per la ristrutturazione
concettuale, dal momento che <costringe> gli interlocutori ad andare alla ricerca di ci
che alla base delle proprie concezioni. La pratica del discorso-ragionamento
collaborativi sollecita sia momenti di co-costruzione che di contrapposizione, in cui i
partecipanti attivano, intervenendo nella dinamica argomentativi, procedure
epistemiche proprie del dominio in cui stanno discutendo, procedure essenziali per la
costruzione di conoscenza condivisa e condivisibile.
LA VALUTAZIONE. Le modalit di valutazione possono costituire una condizione di
sostegno alla revisione di conoscenze nella misura in cui si presta attenzione non solo al
prodotto, bens anche al processo di apprendimento, consentendo agli studenti di
<mostrare> i diversi aspetti della loro comprensione e di riflettere sui progressi
compiuti.

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LA CLASSE COME COMUNITA. Ci che si fa a scuola deve essere finalizzato alla


produzione di intentional learning, in quanto lobiettivo fondamentale perseguito dagli
studenti vissuto in termini di comprensione intenzionale d conoscenze e metodi.
Lidea base dei pi avanzati progetti educativi quella di comunit in una classe
scolastica intesa come sistema socioculturale. Ci che caratterizza una comunit di
apprendimento innanzitutto la consapevolezza delle mete da raggiungere
intenzionalmente tramite le attivit scolastiche, che deve mettere in moto un
comportamento motivato, strategico, riflessivo, autocontrollato e autoregolato,
costantemente orientato a quelle mete. Gli studenti vengono socializzati ad essere
attivi, metacognitivamente consapevoli mediante la partecipazione ad una comunit
che richiede loro di pensare e riflettere, di considerare se stessi come impegnati in
analisi critiche e risoluzione di problemi per trasformare la conoscenza, a partire dalla
revisione delle proprie idee e credenze.
CAP.11: LA MOTIVAZIONE AD APPRENDERE
LE PROSPETTIVE DI STUDIO DELLA MOTIVAZIONE
LAPPRENDIMENTO SOCIALE. Lapproccio comportamentistico allo studio della
motivazione muove dalla constatazione che sin da piccoli i comportamenti degli esseri
umani che producono la soddisfazione di un bisogno, come ad esempio quello del cibo,
tendono a stabilizzarsi e a ripetersi; si sottolinea cos la funzione di rinforzo esterno che
la soddisfazione del bisogno produce. Questa interpretazione rigidamente
comportamentista ha lungamente dominato anche lo studio della motivazione scolastica
[Stipek 1993] evidenziando la funzione dei premi e delle punizioni nella prospettiva del
rinforzo, ma si presenta attenuata in 2 ricercatori- Rotter e Bandura- che in diverso
modo introducono elementi di tipo cognitivo e sociale nellanalisi dei comportamenti
motivati degli individui.
Rotter [1966] sostiene che il comportamento motivato frutto delle attese di rinforzo e
del valore che si attribuisce al rinforzo stesso: in tal modo sono le convinzioni
dellindividuo su ci che produce rinforzo a fungere da motivazione, piuttosto che il
semplice fatto che un comportamento sia o no rinforzato. Oltre a ci Rotter introduce il
costrutto di locus of control che ha concettualizzato <come una differenza individuale
stabile nella tendenza a vedere gli eventi sotto il proprio controllo personale (locus of
control interno) o sotto il controllo dellambiente (locus of control esterno). Ci significa
che la motivazione degli individui direttamente influenzata dalle loro convinzioni
rispetto al potere che hanno di incidere sugli esiti degli avvenimenti in cui sono
coinvolti.
Il costrutto di <locus of control> stato ripreso nella teoria dellaspettativa di efficacia
di Bandura [1977], nella teoria dellattribuzione di Weiner [1985], e nelle indagini sulle
differenze di genere in relazione alla stima di s [Eccles 1989].
# Secondo la teoria dellapprendimento sociale di Bandura, vi sono 2 fonti di
motivazione: la prima costituita dai risultati previsti, nel senso che sulla base di eventi
passati gi vissuti gli individui tendono a prevedere lesito delle situazioni attuali; la
seconda invece il fissarsi degli obiettivi che rappresentano per ciascuno la meta verso
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cui convogliare tutti gli sforzi. Le aspettative di efficacia pertanto concorrono a


determinare quanto sforzo lindividuo disposto a spendere per raggiungere un certo
esito e quanto a lungo disposto ad impegnarsi per farlo.
Laspettativa di efficacia di ciascun individuo per Bandura determinata da 4 elementi
che sono
a) le prestazioni precedenti;
b) lapprendimento vicario (cio losservazione di modelli positivi o negativi);
c) gli incoraggiamenti verbali degli altri;
d) le proprie reazioni fisiologiche (per esempio lansia o una trepidazione eccessiva).
Le aspettative di efficacia rispetto al fissarsi degli obiettivi educativi risultano pi valide
se gli obiettivi sono: a) prossimi e non distanti nel tempo; b) specifici e non globali; c)
abbastanza impegnativi (challenging), vale a dire non troppo difficili, n troppo facili.
La motivazione dunque focalizza la sedimentazione di eventi ripetuti nel formarsi di
convinzioni e aspettative che influenzeranno gli esiti delle azioni successive degli
individui stessi.
LA MOTIVAZIONE ALLA COMPETENZA. Le teorie cognitive sulla motivazione
sottolineano che ci che gli individui pensano in merito a quello che pu accadere
altrettanto importante nel determinare ci che effettivamente accade. Le convinzioni, le
credenze, lopinione di s e delle proprie abilit determinano il tipo e la durata
dellimpegno che i soggetti assumono e quindi il risultato delle loro azioni.
# Un interessante contributo offerto dagli studi sui primati e sui neonati che hanno
focalizzato il ruolo della curiosit nellorientare lattivit degli individui e nello spingerli a
continuarle. In particolare le ricerche di Berline [1960] hanno messo in luce che,
quando un individuo posto in una situazione che pu prevedere risposte conflittuali, si
attua un impulso di curiosit (motivazione esplorativa) per il quale lindividuo si
impegna nella ricerca di ulteriori informazioni per soddisfare tale impulso.
# Un altro costrutto quello della motivazione alla competenza, con la quale White
intende un bisogno fondamentale negli essere umani di controllare il proprio ambiente.
Questo tipo di bisogno diverso dagli impulsi che, ad esempio, spingono lessere
umano alla ricerca del cibo e di un riparo, ma il comportamento esplorativo, che alla
base della motivazione alla competenza si attiva anche quando sono soddisfatte le
necessit di sopravvivenza. Per tale ragione White sostiene che la motivazione vada
piuttosto ridefinita in termini di motivazione di effectance (produrre effetti), perch cos
si pu tener conto di tutti quei comportamenti esplorativi, di bisogno di controllo, di
padronanza e di manipolazione che caratterizzano gli esseri umani quando sono
motivati.
Harter ha condotto studi in cui, prendendo le mosse dal costrutto di motivazione alla
competenza, stato messo a punto un modello di effectance. La studiosa sostiene che
le esperienze di successo che sono seguite da rinforzi producono linteriorizzazione di
un sistema di ricompense, aumentano la percezione di competenza del soggetto e di
controllo sugli esiti delle proprie azioni, producono soddisfazione e accrescono la
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motivazione di competenza. Quando invece le azioni del soggetto sono seguite da


insuccessi, rimane il bisogno di riconoscimento da parte degli altri, ma aumenta la
sensazione di non riuscire a incidere sugli eventi, quasi fossero gli altri a controllarli,
aumenta lansia per le prestazioni e diminuisce la stima di s per cui si decrementa
anche la motivazione complessivamente.
# Nella letteratura sulla motivazione vi una distinzione tra motivazione intrinseca e
motivazione estrinseca. Con la prima ci si riferisce alla situazione in cui i soggetti si
impegnano in attivit di apprendimento per il gusto di farlo, indipendentemente dal
raggiungimento di un riconoscimento. La motivazione estrinseca si riferisce alla
situazione in cui gli individui si coinvolgono in attivit a fini strumentali, o per altri scopi
esterni allattivit stessa, come potrebbe essere lottenere un premio. La motivazione
alla competenza rientra nel primo tipo di motivazione, ma la stessa distinzione fra i due
tipi di motivazione cos rigidamente separati stata messa in questione.
La teoria dellautodeterminazione di Decy e Ryan propone lintegrazione di questi due
punti di vista sulla motivazione. Il bisogno di competenza la ragione principale per cui
gli individui ricercano il livello ottimale di stimolazione e di attivit: la motivazione
intrinseca infatti si riduce se si ha la sensazione di un controllo esterno e/o rinforzi
negativi sulla propria competenza. Decy e Ryan superano la distinzione dicotomica tra
motivazione intrinseca e motivazione estrinseca ed indicano diversi livelli attraverso cui
si realizza il processo di <interiorizzazione>, che va dalla regolazione esterna, che
proviene cio da contingenze esterne, alla regolazione introiettata, che si fonda
sullutilit del comportamento autoregolato, alla regolazione per identificazione che
basata sullautonomo riconoscimento da parte dellindividuo di ci che ha valore e
importanza. Il concetto di interiorizzazione progressiva supera la distinzione fra
intrinseco ed estrinseco.
LA TEORIA DELLATTRIBUZIONE
Le attribuzioni causali sono le cause a cui i soggetti attribuiscono i loro personali
risultati. Gli esiti sono stati distinti in 4 tipi- abilit,sforzo, difficolt del compito,
fortuna- che si possono articolare su 2 dimensioni: il locus of control e la stabilit. Il
locus of control si distingue in interno ed esterno, mentre la stabilit indica se questi
criteri cambiano nel tempo. A queste due dimensioni Weiner ne ha aggiunta unaltra, la
controllabilit in base alla quale si identificano le cause controllabili appunto dal
soggetto, come ad esempio la propria abilit, o quelle al di fuori del proprio controllo,
come le azioni delle altre persone. Gli individui hanno proprie idee riguardo alla natura
delle loro abilit, dello sforzo, della difficolt del compito e della fortuna e una volta che
un certo esito stato spiegato con certe ragioni (attribuzioni causali), queste
tenderanno ad influenzare le aspettative future di successo o di fallimento; il tal senso
sono esse stesse la motivazione fondamentale nelle situazioni in cui si devono
conseguire dei risultati. La combinazione di convinzioni particolari, esiti raggiunti e
attribuzioni causali pu avere importanti conseguenze sulla carriera scolastica degli
alunni; sono noti infatti casi di <incapacit appresa> in base alla quale uno studente
considera i suoi ripetuti insuccessi dovuti allassenza di abilit intesa come causa
interna stabile e incontrollabile da parte sua.
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Delle tre dimensioni identificate da Weiner, il locus of control mostra pi direttamente


legami con le reazioni emotive degli individui. Se i successi ad esempio sono attribuiti a
cause interne, aumenter la stima di s e lorgoglio, se saranno attribuite a cause
esterne si avvertir gratitudine; analogamente se gli insuccessi saranno attribuiti a
cause interne si potr provare vergogna, se si ascriveranno a cause esterne, si potr
provare risentimento e rabbia. Conseguentemente questi sentimenti contribuiranno a
determinare le reazioni e gli esiti nelle situazioni di impegno successive.
LE TEORIE RIFERITE AGLI OBIETTIVI
Il comportamento motivato si caratterizza anche dal fatto di essere teso al
raggiungimento di obiettivi. Alcuni ricercatori[Nicholls] hanno focalizzato tre grandi tipi
di obiettivi motivazionali che sono gli obiettivi centrati sullio, gli obiettivi centrati sul
compito e gli obiettivi volti ad evitare fatica; altri ricercatori [Dweck], invece hanno
distinto fra obiettivi di performance (analoghi a quelli centrati sullio) e obiettivi di
apprendimento (analoghi a quelli centrati sul compito); altri ricercatori [Ames], infine,
hanno mostrato che studenti con obiettivi centrati sul s si comportano in modo
competitivo con gli altri e tendono ad impegnarsi in compiti che riescono a fare, mentre
gli studenti che perseguono obiettivi centrati sul compito scelgono compiti impegnativi
e sono pi orientati al loro personale progresso di apprendimento piuttosto che a
superare le prestazioni degli altri.
DIFFERENZE DI GENERE E MOTIVAZIONE
In generale le donne risultano sotto rappresentate nel campo della matematica
applicata, della fisica, della tecnologia e negli alti livelli di qualsiasi ambito. La
considerazione delle ragioni di questa situazione ha dato luogo ad una variet di
ricerche che in diverso modo tentano di spiegarne i motivi e soprattutto di indicare i
possibili fattori su cui si possa intervenire per modificarla.
Studi [Eccles] hanno dimostrato che le convinzioni circa la propria competenza
soprattutto nei campi a forte stereotipia di genere, sono a favore dei maschi: costoro
tendono infatti a sovrastimare la propria competenza per prestazioni future, mentre le
donne sottostimano invece le loro capacit anche quando raggiungono esiti scolastici
eccellenti. Per esempio, ci accade particolarmente per gli uomini nellambito della
matematica e dello sport, mentre nel caso della lettura o di attivit sociali le donne
ritengono di avere pi competenza dei maschi; lampiezza di tali differenze, inoltre, si
incrementa nella fase pre-adolescenziale e adolescenziale.
Sul piano delle attribuzioni causali, le ragazze tendono meno ad attribuire i successi alle
proprie abilit, mentre pi facilmente riconducono gli insuccessi alle proprie incapacit.
Dal punto di vista del locus of control, inoltre, le ragazze tendono ad avere un alto
livello di locus of control interno per la responsabilit sia di eventi positivi che negativi e
tale senso aumenta con il crescere dellet. Al contrario, nei ragazzi il senso di
responsabilit interno diminuisce con laumentare dellet; cos essi tendono ad
attribuire gli esiti delle proprie azioni al potere degli altri o a cause esterne sconosciute,
sia per gli ambiti cognitivi che per quelli sociali. La tendenza delle ragazze ad assumersi
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la diretta responsabilit per gli insuccessi si salda con lattribuzione frequente di


assenza di abilit: questa caratteristica stata interpretata come un caso di
<incapacit appresa>.
In sintesi, tutte le volte che si rilevano differenze di genere nelle misure di valutazione
della motivazione, queste si riconducono a stereotipie di ruoli di genere.
La valutazione delle diverse attivit scolastiche, quali la musica, la letteratura, lo sport,
ecc., risente di una stereotipia connotazione di genere. Tuttavia, interessante notare
che per la matematica tali differenze emergono a partire dalla scuola secondaria, dove
le ragazze da un lato pensano di non avere capacit matematiche e dallaltro non
stimano abbastanza la matematica come disciplina: entrambi i fattori sono ritenuti
cause allorigine delle minore frequenza di scelta di facolt scientifiche e tecnologiche
da parte delle ragazze. Sono molte le ricerche che sulla base delle attese di ruolo di
genere mostrano lorientamento diverso di maschi e femmine sia in ambito scolastico
che nelle scelte occupazionali.

CARATTERISTICHE DELLINSEGNANTE E MOTIVAZIONE DEGLI STUDENTI


La relazione che lega le caratteristiche personali dellinsegnante, il suo stile di
insegnamento, la sua dimensione di calore/freddezza nel promuovere lapprendimento
con la motivazione, il rendimento e lautostima degli alunni stata individuata ben
presto come un fattore concorrente fondamentale nel determinare gli esiti scolastici. Un
ruolo importante costituito anche dal clima della classe: stato rilevato che la
soddisfazione degli studenti, la loro crescita personale e il loro rendimento scolastico
sono ottimizzati solo se il calore e il sostegno dellinsegnante si accompagnano ad una
organizzazione efficiente e allorganizzazione di lezioni ben focalizzate e chiare negli
obiettivi.
Varie ricerche hanno per trovato che il clima delle diverse scuole varia in relazione alla
sensazione di efficacia degli insegnanti e alle aspettative che essi hanno rispetto alle
potenzialit degli studenti; le variazioni rilevate rispetto a queste due dimensioni in
realt incidono radicalmente sulla motivazione sia degli studenti che degli insegnanti.
LA STRUTTURAZIONE DEGLI OBIETTIVI E LAPPRENDIMENTO COOPERATIVO
Sono state identificate tre diverse strutturazioni del lavoro in classe corrispondenti a tre
diversi obiettivi generali che incidono sullaffettivit degli studenti, sullautostima e sulla
motivazione:
1) la struttura individualizzata in cui ciascun allievo valutato in base alle sue singole
prestazioni, senza paragone con quelle degli altri e il successo di ciascuno collegato
allimpegno personale;
2) la struttura competitiva che corrisponde alla situazione in cui se uno vince laltro perde e si
persegue costantemente il confronto con gli altri rispetto a cui si anche valutati;
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3) la struttura cooperativa in cui il gruppo condivide premi e punizioni e si valuta la


prestazione del gruppo, indipendentemente da quella di ciascun membro.
Un particolare sviluppo della struttura cooperativa rappresentato dal cooperative
learning, dizione sotto la quale rientrano una serie di strategie didattiche che si fondano
tutte sulla composizione di gruppi e su specifiche richieste cognitive alle quali gli alunni
devono rispondere come un insieme unico: una vasta letteratura documenta linfluenza
positiva dellapprendimento cooperativa sulla motivazione e lapprendimento degli
alunni. In particolare, stato accertato un incremento del piacere di andare a scuola o
di studiare certi argomenti se linsegnante adotta come strategia didattica
lapprendimento cooperativo; gli allievi inoltre hanno una maggiore fiducia nelle proprie
personali capacit di imparare diversi contenuti.
E stato messo in questione se lapprendimento cooperativo abbia effetti positivi perch
incrementa la motivazione o perch induce una maggiore coesione sociale o perch
favorisce lelaborazione insieme o perch linterazione fra pari particolarmente
adeguata ai soggetti in et evolutiva. Queste diverse prospettive sono state integrate
nel modello proposto da Slavin [1996], in base al quale il gruppo promuove
complessivamente una motivazione ad imparare cos come tale motivazione sostiene ed
aiuta ciascun componente del gruppo stesso ad imparare; la motivazione inoltre, fa s
che si svolgano ruoli reciproci di tutoring, e si condividano specifiche elaborazioni
cognitive: tutto questo provoca infine una notevole coesione sociale nel gruppo. In tal
senso, nel modello di Slavin la motivazione costituisce il meccanismo fondamentale per
produrre esiti sociali, cognitivi e scolastici.
IL RAPPORTO FRA PARI E LA MOTIVAZIONE A SCUOLA
Le relazioni fra pari sono unaltra componente fondamentale nel determinare la
motivazione degli studenti che a sua volta determina effetti scolastici positivi sia sul
piano dellapprendimento sia sul piano pi generale dello stare bene a scuola. Per
quanto riguarda i rapporti di amicizia, la sensazione di essere sostenuti socialmente e
ben voluti dai pari e dagli adulti alla base di un maggior coinvolgimento
nellapprendimento e di un generale senso di appartenenza alla scuola.
E atato analizzata anche linfluenza dellimparare insieme come <comunit di
apprendimento> e la capacit di chiedere aiuto ai pari. Con la locuzione <comunit di
apprendimento> si prevede unorganizzazione della classe in gruppi, ciascuno dei quali
responsabile di un settore o di un ambito di competenza e fa da tutor agli altri
compagni di classe. Linsegnante svolge un ruolo di facilitatore guidando il processo di
conoscenza; pur nella differenziazione dei ruoli c una responsabilit condivisa da
parte di insegnanti e alunni del processo di acquisizione che si realizza in classe. Un
coinvolgimento pi profondo e diretto degli allievi rappresenta un fattore che incentiva
la motivazione.
LAPPRENDERE INSIEME COME FONTE DI MOTIVAZIONE: LA CONCORRENZA DI
PARADIGMI DIVERSI
Gli elementi cognitivi e relazionali hanno attratto in modo crescente linteresse dei
ricercatori e sotto diversi punti di vista: come fattori che orientano le scelte delle donne
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e delle ragazze sulla base di stereotipie, come necessit di relazioni fra pari che
sostengono la crescita dei soggetti in et evolutiva, come situazioni che favoriscono il
maggior coinvolgimento e lelaborazione pi elevata nelle diverse dimensioni
dellapprendimento cooperativo o della classe intesa come comunit di apprendisti. Si
pu sostenere perci che la dimensione sociale risulta essere un elemento
fondamentale della motivazione. I ricercatori ad orientamento vygotskiano sostengono
che <lapprendimento e lo sviluppo cognitivo sono essenzialmente una questione di
assorbimento appropriato di cultura pratica mediante una partecipazione sostenuta
(scaffolded) in attivit importanti nella societ>. Lattivit sociale dunque non
lespediente per coinvolgere gli allievi, o il settino per facilitare le loro relazioni
reciproche affinch stiano bene a scuola e sviluppino un senso di appartenenza, quanto
piuttosto costituisce la trama che sostiene lintero impianto educativo, dalle relazioni
con gli altri ai tipi di attivit che si svolgono, alle responsabilit rispettive, ai rapporti di
autorit e alle progressioni che possono individuarsi in essi.
SOCIALIZZARE LINTELLIGENZA: UN PUNTO DI VISTA SU INTELLIGENZA E
MOTIVAZIONE
Socializzare lintelligenza il titolo di un articolo di Resnick e Nelson-LeGall [1997] in
cui le autrici propongono una nozione di <intelligenza come pratica sociale> di
derivazione vygotskiana e neo-vygotskiana. Secondo le autrici:
a) la definizione di intelligenza come pratica sociale richiede lallargamento di tale
definizione passando dalla tradizionale indicazione di abilit cognitive e di forma di
conoscenza, allidentificazione di un insieme di prestazioni sociali come il far
domande, lo sforzarsi di padroneggiare nuovi problemi e il saper chiedere aiuto nel
risolverli come atti legittimi e positivi per tutti i soggetti.
b) Tali convinzioni sono acquisite attraverso un processo analogo a quello che gli
psicologi evolutivi studiano come socializzazione e che in una prospettiva
vygotskiana si considera <processo di interiorizzazione di azioni socialmente
condivise>.
c) La scuola e le altre istituzioni educative possono avere un ruolo nel promuovere la
socializzazione dellintelligenza; ci vuol dire creare ambienti di apprendimento in
cui i soggetti possono porsi obiettivi di apprendimento che si fondano sulla
concezione dellintelligenza come fattore che si incrementa; significa inoltre indurre
negli studenti le convinzioni necessarie a farli sentire attivi nel determinare il
proprio successo scolastico; vuol sire infine che tali aspetti sono fattori motivazionali
che mediano il rendimento scolastico degli studenti.
MOTIVAZIONE E IDENTITA
Bambini e bambine nella scuola elementare, ragazzi e ragazze nella scuola media,
adolescenti nella scuola secondaria attraversano fasi della crescita molto diverse che
non possono non avere riflessi sul piano della motivazione ad imparare a scuola. Se si
riflette perci sulle caratteristiche della motivazione per i bambini della scuola primaria,
si noter che lapprendere dalladulto pu fondarsi su una motivazione affiliativi di piena
adesione ai modelli proposti dagli adulti, genitori ed insegnanti. In questepoca della
vita, infatti, il <sentirsi grandi> perch si imparato qualcosa- si pensi al saper leggere
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rispetto a chi non lo sa fare ancora- ragione di soddisfazione e costituisce una spinta
a continuare ad apprendere.
Una fase diversa quella che attraversano i ragazzi e le ragazze nella scuola media,
ove dal punto di vista della motivazione si passa dalla fase di motivazione affiliativi
appena descritta a quella di orientamento alla realizzazione del s, collegata alle
profonde trasformazioni legate allidentit di genere che si realizzano in questa fase. Ci
vuol dire che linteresse prevalente dei ragazzi e delle ragazze sar rivolto a tutte quelle
manifestazioni che rendono possibili la scoperta di parti di s, la riflessione sulle proprie
emozioni e complessivamente aiutano questi soggetti a guardarsi come in uno specchio
per meglio comprendersi e costruire la propria identit in trasformazione. In questa
fase la scuola potrebbe favorire lassunzione di responsabilit rispetto alle regole della
vita in classe. Dal punto di vista dellapprendimento, si potrebbero avviare forme di
corresponsabilizzazione rispetto al proprio imparare che andrebbe considerato nella
prospettiva di diritto-dovere di apprendere a scuola; in tal senso, inoltre, anche le
modalit di valutazione dovrebbero muovere dal riconoscimento dei cambiamenti in
corso nei soggetti di questa et e avviare, per esempio, forme di autovalutazione
monitorate dallinsegnante.
Una fase ancora diversa sul piano della motivazione collegata ai processi di sviluppo
dellidentit quella attraversata dai ragazzi e dalle ragazze intorno ai 13-15 anni, in
cui la progressione verso let giovanile e poi adulta si dovrebbe caratterizzare per una
crescita di autonomia e di responsabilit, sapendo bene che in questa epoca della vita,
per i maschi in particolare, si verifica una modalit fortemente conflittuale di
rapportarsi alladulto di cui si percepisce spesso in maniera esasperata la dimensione di
potere, come autoritarismo senza autorevolezza. Ci vuol dire che in questa fase il
rifiuto della scuola e lassenza di motivazione ad imparare e ad impegnarsi rientra nelle
modalit ben note di costruzione di identit nelladolescente maschio.
Si tratter allora di avviare con gli studenti e con le studentesse forme condivise
nellorganizzare e pianificare il lavoro, criteri per stabilire rapporti con lesterno della
scuola, insegnando loro a valutare pro e contro delle scelte e a prendere coerentemente
decisioni in tal senso.
CAP.12: LA RELAZIONE INSEGNANTE-ALLIEVO
I docenti pi diffusi nella nostra scuola sono di due tipi: vi colui che incapace di
occuparsi realmente dei suoi allievi, dai quali teme di lasciarsi occupare, e colui che li
strumentalizza per i propri fini narcisistici, mascherando con una disponibilit apparente
la sostanziale assenza di disponibilit. In entrambi i casi linsegnante tende a fornire
spiegazioni preconcette e semplicistiche di atteggiamenti e comportamenti dei suoi
alunni. Purtroppo gli insegnanti fanno spesso uso di attribuzioni arbitrarie, che sono
quasi sempre alla base di meccanismi di scoraggiamento.
In realt, le deformazioni nel rapporto con lAltro sono inevitabili, ma linsegnante pu
averne pi o meno coscienza liberandosi cos, almeno in parte, dal <gioco della
captazione immaginaria>. Esistono due dimensioni lungo le quali pu variare la qualit
del controllo del docente sulle deformazioni del suo rapporto con lAltro. Una, in un
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certo senso <primaria>, data dalla maturit della personalit dellindividuo


comunicante e dalla qualit del suo rapporto con il proprio inconscio a prescindere da
qualsiasi capacit professionale indotta. Laltra data da conoscenze specialistiche
opportunamente assimilate ed operativamente disponibili.
Il grave deficit della capacit di comprensione del docente nei confronti dellallievo
dipende in gran parte dal contesto istituzionale in cui linsegnamento si svolge. La
particolare divisione prefissata e vincolante del tempo e dello spazio, ha ben poco a che
fare con le autentiche esigenze degli alunni.
La possibilit che gli educatori siano resi pi saggi, soprattutto mediante una migliore
conoscenza di se stessi e delle proprie capacit di interazione con gli altri, sembra una
condizione la cui realizzazione su vasta scala appare utopica, ma ci non deve esentarci
dal considerare comunque la sua opportunit. Secondo Dilani, non bisogna preoccuparsi
di <come fare scuola>, bens di <come essere per poter fare scuola>. Lopportunit
che gli educatori possiedano una sensibilit relazionale adeguata ha a che fare con la
capacit di riuscire a non nuocere favorendo al contempo la crescita relazionale. Si
tratta di porsi opportunamente in sintonia con le parti pi autentiche della personalit
degli allievi, manifestando rispetto per la loro individualit e lasciando il loro desiderio
libero di esprimersi in un clima di comunicazione costruttiva. Sono capacit possedute
solo da pochissimi insegnanti. La maggioranza <nuoce>. Se dovessimo riassumere in
un aforisma latteggiamento mentale dellinsegnante ideale nei confronti del suo allievo,
diremmo: Tensione verso la comprensione ed il rispetto, guardandosi tanto
dallintrusivit quanto dallastrazione e con il senso critico dei propri limiti, nel contesto
della situazione pedagogica data e del sistema micropolitico ed ideologico-istituzionale
in cui inserita.
LA STRUTTURA VERTICALE DELLA SCUOLA TRADIZIONALE: RELAZIONE
DIADICA E TRANSFERT NON CONTROLLABILE
Un questionario somministrato ad insegnanti per indagare la loro rappresentazione dei
fattori che influenzano lapprendimento fa emergere un modello che si riduce ad <una
diade- insegnante/alunno- > allinterno della quale avviene un passaggio
unidirezionale dalladulto al bambino. Il grande assente il gruppo, nel senso che gli
insegnanti sembrano avere di esso una visione riduttiva: per quanto concerne
lapprendimento, visto come un fattore di disturbo o servo tuttal pi a permettere
una <conversazione>. Il concetto di <conversazione>, nella risposta di un insegnante
intervistato, suona anchesso riduttivo, ben lontano da uno scambio creativo in grado di
strutturare la personalit in senso dinamico e psicosociale. Vi nella scuola un
malinteso assai diffuso: si tende a credere che linsegnante sia tanto pi al servizio del
singolo alunno quanto pi si interessa a lui personalmente instaurando con lui una
relazione diadica. Lerrore grossolano. In realt, anche quando linsegnante reputa
che un alunno meriti unattenzione specifica, egli dovrebbe sapere che fuor di luogo
manifestare troppo apertamente questattenzione in un rapporto a due. E opportuno
evitare qualsiasi forma di attenzione troppo personale che nel contesto della classe non
potr essere che inappropriata ed intrusiva.

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Per transfert si intende il passaggio o trasferimento di unattitudine affettiva, che un


soggetto ha nei confronti di una persona o di un gruppo, ad unaltra persona o gruppo.
Si tratta di un fenomeno universale, praticamente sempre presente nelle interazioni
umane di ogni tipo ed ampiamente soggetto al dominio dellinconscio. Il fenomeno in s
non appartiene unicamente alla situazione analitica: esso si produce ogni qual volta
lalunno rivive, nel rapporto con il suo professore, i sentimenti o parte dei sentimenti
(positivi o negativi) che lo legano ad un genitore o ad unaltra persona significativa
della sua vita. Nella situazione scolastica tradizionale il transfert ulteriormente
complicato dalla presenza costante di un gruppo di pari costantemente sottoposto
allautorit, istituzionalmente enfatizzata, del docente. Il professore, che si trova in una
posizione asimmetrica di autorit, e soprattutto quando aderisce a questo suo ruolo in
modo essenzialmente rigido, devia su di s i numerosi altri transfert che sorgono
durante le interazioni allinterno del gruppo-classe:

Tutti i sentimenti positivi negativi sono concentrati sul leader e questi sentimenti
comprendono anche i sentimenti che ogni membro vive verso laltro membro. Avviene
cos che se un allievo si sente non accettato dal gruppo classe, o da una parte della
classe, si sente anche non accettato dallinsegnante [Pontecorvo]

La trappola pi comune in cui linsegnante cade di rispondere al transfert dellalunno


con un contro transfert che spesso si rivela non appropriato. Leducatore accorto trova
spontaneamente la via giusta che pi si adatta al singolo caso, ed il modo di
percorrerla. I presupposti essenziali per comportarsi al meglio mi sembrano essere i
seguenti: a) lorientamento alla persona, affinata dalla formazione ricevuta; b)
lesperienza e la possibilit di condividerla nel corso di scambi di opinioni e confronti
con i colleghi; c) lefficacia <alleggerente> di una struttura istituzionale appropriata.
Le situazioni di scambio diadico e fortemente asimmetrico tra insegnante ed allievo, che
sono la norma nella scuola tradizionale, con i suoi ruoli rigidi e prestabiliti, rendono
assai difficile la gestione del transfert. A parte qualche indispensabile momento di
dialogo, opportuno che ogni azione, anche a beneficio del singolo, passi attraverso il
gruppo (<Non leducatore che educa- diceva Makarenko[1983]- lambiente>). La
capacit del docente di gestire le dinamiche della classe quindi centrale. La struttura
verticale tradizionale della nostra scuola scoraggia lo stabilirsi di contratti mobili e
condivisi allinterno di gruppi di parola. La sola parola che conti in questo contesto
seriale sempre asimmetrica e non mai destinata a divenire un patrimonio condiviso,
gestibile pariteticamente dal gruppo. La conseguenza grave di ci che il dialogo, nelle
sue implicazioni dinamiche profonde, non effettivamente gestibile.
IL RISPETTO DEL DESIDERIO DELLALUNNO E LA SUA DISCONFERMA
ORGANIZZATA
Un segno visibile dellassenza di una concezione della scuola come comunit
democratica effettivamente in grado di realizzare cambiamenti al proprio interno,
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tenendo conto dellapporto propositivo degli alunni, la non adattabilit dello spazio.
Nasce dunque lidea di <una scuola nuova, razionale, che si adatta ai bambini>[Lodi
1995], in cui lorganizzazione dello spazio sia abbastanza flessibile, affinch ne sia
rispettata la dimensione socioemotiva. Ci fa pensare al concetto di spazio in quella che
Bernstein chiama <pedagogia invisibile> e che egli oppone alla <pedagogia visibile>.
In questultima, gli spazi e il loro controllo sono nettamente classificati ed esistono
frontiere molto forti tra uno spazio ed un altro. Nella prima, avviene il contrario e lo
spazio potenzialmente a disposizione del bambino molto pi vasto. Il controllo, che
ovviamente esiste anche nella pedagogia invisibile, messo in atto tramite i processi
della comunicazione interpersonale.
La socialit si costruisce mediante una relazione comunicativa basata sullaccettazione
dellaltro e della sua intenzionalit. Questa relazione per sua natura aperta.
Lampliamento della coscienza, intesa come piena espansione della capacit di
linguaggio per se stessi, nasce e si sviluppa da un uso pienamente sociale del
linguaggio. Ora, lindividuo pi cosciente di se stesso, pi consapevole delle relazioni tra
se stesso e il mondo, certo meno plagiabile, meno immediatamente sottomesso ed
obbediente. La coscienza del singolo tenuta sotto controllo dal potere oppressivo. E
pur vero che listruzione scolastica pubblica nella sua forma attuale contribuisce alla
crescita dellautocoscienza e dei metalinguaggi negli alunni, ma lo fa in una forma
politicamente controllata, cio nei modi e con i limiti che permettevano di poter contare
su cittadini tecnicamente abili ma non <eccessivamente> consapevoli della loro
fondamentale libert di pensiero. Clotilde Pontecorvo evoca lopportunit che gli alunni,
sin dalle scuole materne ed elementari, siano resi mentalmente pi attivi e critici,
educati insomma a pensare in modo autonomo, e prevede che ci permetter loro di
fronteggiare con maggiore successo gli eventuali professori plagianti che potranno
incontrare in seguito. Alcune esperienze pilota offrono la prova che la scuola pu
essere, in questo senso specifico, profondamente diversa; che vi si pu stimolare la
conversazione, la discussione e la cooperazione.
SCALA <<PERSONALE>> DEI VOTI, GIUDIZI PRECONCETTI ED
ETICHETTATURE
Il comportamento didatticamente inaccettabile che consiste nello scartare a priori alcuni
voti possibili scegliendosi una propria <<scala dei voti>> universalmente ritenuto
legittimo nella scuola italiana, al punto tale da poter essere esplicitato e registrato nei
documenti ufficiali. Il restringimento della scala dei voti rispetto a quella ufficialmente
prevista dalla normativa unoperazione sottilmente perversa da un punto di vista
psicopedagogico. Il docente che lo adotta dichiara spesso che un otto per lui vale dieci.
Ora, il voto un simbolo socialmente condiviso, il cui scopo quello di esprimere un
giudizio che sia universalmente interpretabile: appare insensato soggettivizzarne
ulteriormente luso, attribuendo ai gradi della scala significati personali ed eliminando a
priori alcuni gradi. Ci significa fare del voto un uso personale anzich un uso pubblico.
Ma da un punto di vista pedagogico-politico questo comportamento ha una sua
coerenza occulta. Linsegnante lega a s lalunno in una relazione diadica asimmetrica.
Egli si arroga il diritto di erigersi a giudice unico del <valore> dellalunno, impedendo
perfino che i suoi giudizi su di lui siano leggibili allesterno. In un tale contesto vige, pi
o meno occulta, lattribuzione di etichette, cio labitudine di dare un giudizio di valore
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piuttosto rigido su ciascun alunno. E interessante notare che, nelletichettatura, le


cause instabili, come lo scarso impegno nel compito- che tecnicamente da
considerare, di volta in volta, come un fenomeno momentaneo-, tendono a trasformarsi
in cause stabili: linsegnante etichettante parler volentieri di alunno <svogliato>,
<scansafatiche> e cos via. Ma le etichette negative non solo le sole ad essere
pregiudizievoli per lautostima dellallievo. Unattribuzione di causa positiva stabile
altrettanto nociva, seppure in modo parzialmente diverso, quanto unattribuzione di
causa negativa stabile. Uno dei possibili nocumenti riguarda il senso di ingiustizia che
lalunno favorito pu provare, e che pu tramutarsi in senso di colpa. Unulteriore
conseguenza pu essere lisolamento nei confronti del gruppo di compagni.
Se si vuole analizzare il rapporto insegnante-allievo, necessario tenere presente la
dimensione latente e sommersa del fare scuola. La scuola una struttura di controllo
prima ancora di favorire la crescita degli individui. Anche per il docente consapevole,
daltronde esiste un paradosso da affrontare:un insegnamento psicopedagogicamente
sano deve guardarsi dallattribuzione di etichette, eppure necessario- a meno di non
rivoluzionare assolutamente il funzionamento della scuola- che i professori valutino
mediante voti, i quali sono (lo si voglia o no) una sorta di etichetta. Una soluzione
possibile lasciare di volta in volta disponibile ex novo, per qualsiasi individuo
considerato, una valutazione ad ampio spettro ed indipendente dai voti gi ricevuti.
Enecessario altres che il voto si limiti a definire una prestazione e non sia mai usato
per definire un individuo.
LA COMUNICAZIONE A SCUOLA: SPAZIO E QUALITA DELLA PAROLA E DEL
SILENZIO
Durante lattivit di classe, a volte rumorosa e caotica, fa parte dellabilit tecnica
dellinsegnante tenere a mente quali alunni gli fanno le domande o richiedono il suo
aiuto ed in che ordine. importante non lasciare nessuna richiesta senza risposta, non
trascurare nessun alunno. Accade per assai spesso, soprattutto al primo anno delle
scuole superiori, che gli alunni moltiplichino allinverosimile i segnali di attenzione nei
confronti del docente. E quando questultimo cura di rispondere tutti nellordine, si
accorge che molti alunni, dopo pochissimi minuti che hanno alzato la mano o posto una
domanda, cascano dalle nuvole, o guardano da unaltra parte.
un segno nefasto di disfunzione psicopedagogia della scuola. Il comportamento di
questi alunni, infatti, un vero e proprio segno clinico. Questo sintomo ci dice tre cose:
1) Nel momento stesso in cui gli alunni si agitano troppo per porre domande o attirare
lattenzione, noi leggiamo in questo comportamento una frustrazione pregressa di
attenzione e contatto umano, che li porta a domandare troppa attenzione ed in modo
compulsivo ed incontrollabile- anche al di l delleffettiva curiosit e desiderio di
apprendere.
2) Anche supponendo in essi un reale desiderio di sapere, noi cogliamo la lunga abitudine a
non ricevere risposte adeguate dagli insegnanti. Labitudine, quindi, ad utilizzare
immediatamente dopo aver posto le domande, un meccanismo di difesa, di chiusura
parziale alle eventuali risposte. Poich esse si sono rivelate troppo spesso aggressive,
ironiche, persino offensive.
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3) Non stata messa in atto, mediante adeguate iniziative istituzionali allinterno della classe
una strategia di creazione di specifici spazi di parola, in grado di assicurare ad ognuno il
diritto effettivo allespressione e allesercizio, tramite lespressione istituzionalizzata, di
unadeguata porzione di potere riconosciuto in seno al gruppo.
Poich per il passato le risposte dellinsegnante sono spesso state dolorose per
lintegrit dellio e il rispetto di s dellalunno, o anche per il fatto, altrettanto doloroso,
che queste risposte si sono fatte attendere invano per disattenzione dellinsegnante ma
comunque non assunta da lui e non <riparata>; per tutti questi motivi, il ragazzo
adotta, a sua stessa insaputa, un meccanismo paradossale di difesa. Siamo pertanto in
presenza di un condizionamento negativo variamente orchestrato dalla scuola e dalla
maggioranza degli insegnanti. Bisogna che linsegnante sia sufficientemente cosciente
dei suoi ruoli possibili nellinterazione con la classe, li gestisca con equilibrio e senso
dellopportunit ed aiuti gli alunni a situare a loro volta se stessi, assumendo il proprio
discorso e vivendo appieno lalterit dellinterlocutore.
CAP.13: LE PRATICHE DELLINSEGNARE E LAPPRENDIMENTO DEGLI
INSEGNANTI
La peculiarit del loro lavoro- quella cio di far imparare gli altri- tende a far
dimenticare che anche gli insegnanti hanno bisogno di imparare, e di rinnovare
costantemente le loro competenze professionali.
Nel senso comune e nella rappresentazione ingenua del <mestiere> dellinsegnante
sono prevalenti almeno tre aspetti, strettamente interconnessi.
1) Linsegnamento unattivit lavorativa squisitamente individuale: linsegnante svolge il suo
lavoro da solo ed responsabile e artefice delle scelte e delle modalit con cui decide di
strutturare le sue attivit dinsegnamento.
2) Il luogo dellattivit lavorativa essenzialmente laula.
3) Linsegnamento un <mestiere> fatto di competenze dichiarative (conoscenza dei
contenuti, delle metodologie, della psicologia, della pedagogia, ecc) pi che di competenze
procedurali (come si programma, come si gestisce laula, come si entra in rapporto con gli
studenti, ecc.). Inoltre, per fare linsegnante esiste un quid fatto di capacit innate, doti
individuali, passione e gusto difficilmente esplicitabili e soprattutto non soggetti ad
apprendimento. Sono fattori disposizionali, tratti di personalit: uno o li ha o non li ha.
In realt questa rappresentazione del mestiere dellinsegnante risulta parziale.
Linsegnamento infatti non dovrebbe essere in alcun modo un mestiere che si riduce
solo al momento della relazione di insegnamento-apprendimento. Esistono infatti tutta
una serie di pratiche lavorative che pur avendo luogo <fuori>, <prima>, <dopo> e
<attorno> allaula, sono altrettanto essenziali per la realizzazione di una pratica
professionale esperta: si pensi, ad esempio, alle attivit di progettazione formativa, alle
capacit cio di costruzione di percorsi formativi alternativi e diversificati, alle capacit
di usare efficacemente le risorse e i tempi scolastici per ottimizzare il lavoro in aula.
Tutte queste competenze diverranno ancora pi essenziali e centrali con lattuazione
della cosiddetta autonomia scolastica, che assegna appunto alle singole scuole compiti
di indirizzi, gestione e realizzazione che sempre pi allontaneranno la figura
dellinsegnante da quella di un individuo il cui compito principale si limiti allesecuzione,
pi o meno rigida, di programma stabilito nella dimensione del suo rapporto con gli
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allievi. Sar sempre pi necessario avere uninterazione, non superficiale e saltuaria,


con gli altri operatori e con le altre funzioni organizzative-amministrative e diventer
centrale avere capacit sociali.
INSEGNANTI ESPERTI E INSEGNANTI NOVIZI
Nellambito degli studi sulle pratiche di acquisizione delle competenze un settore
particolarmente ricco quello che studia le differenze tra gli esperti e i novizi in diversi
contesti professionali e lavorativi. Tale settore si pu articolare in due linee di ricerca
principali:
la prima centrata sulla nozione di expertise- comprende gli studi condotti per lo pi in
contesti non naturali (laboratorio) e centrati sulla descrizione della competenza esperta di un
singolo individuo;
la seconda che ha come nucleo la conoscenza situata [Resnick]- comprende gli studi che
hanno analizzato la competenza esperta <in azione> nei contesti lavorativi reali, considerando
anche il peso dei fattori sociali e discorsivi nella costruzione e uso di tale competenza.
Mentre per la prima linea di ricerca, lunit di analisi lindividuo e loggetto delle
analisi sono le sue attivit e competenze cognitive, nella seconda lunit di analisi il
sistema di attivit situata e loggetto dellanalisi sono le pratiche sociali e discorsive di
uso delle competenze.
La linea di ricerca che muove dallexpertise ha evidenziato alcune importanti differenze
tra insegnanti esperti e insegnanti novizi:
1) la differenza non risiede tanto nel numero o nella qualit delle conoscenze possedute, ma
piuttosto nella loro organizzazione; ad esempio Berliner ha descritto come gli insegnanti
esperti abbiano una rappresentazione della situazione educativa pi complessa e nella
quale gli aspetti rilevanti sono interconnessi e organizzati;
2) le competenze degli esperti sono pi contestualizzate di quelle dei novizi, ad esempio in
termini di alternative di istruzione;
3) le competenze e le pratiche degli esperti sono pi flessibili di quelle dei novizi.
La linea di ricerca <situata> ha ulteriormente arricchito questo quadro, confermando
tali risultati ma aggiungendo ad essi una caratterizzazione delluso di tali pratiche
cognitive esperte. Le specificit cognitive delle pratiche di pensiero esperto sono:
a) Impostazione di problemi. Le pratiche di pensiero esperto non sanno solo
contribuire alla soluzione di problemi, ma sono in grado soprattutto si permettere di
<vedere> nuovi problemi. Una caratteristica essenziale della prestazione esperta
infatti quella di <definire> o <ridefinire> in modo innovativo e flessibile lo spazio
problematico nel quale operare.
b) Soluzioni flessibili. Le pratiche di pensiero esperto sono caratterizzate da un alto
grado di flessibilit cognitiva: lo <stesso> problema viene risolto ora in un modo
ora in un altro, tenendo cono delle specificit (temporali, spaziali, di importanza,
ecc.) del contesto di soluzione.
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c) Integrazione del contesto nel sistema di soluzione di problemi. Le pratiche di


pensiero esperto incorporano e utilizzano gli elementi caratteristici del contesto in
cui il compito si svolge (e cio le altre persone, i vincoli, gli strumenti, gli artefatti,
ecc.) allinterno del processo di definizione/soluzione di problemi. Gli esperti sono
coloro che fanno pi riferimento e utilizzano in modo pi rilevante, oltre che
flessibile, le risorse fisiche e sociali del contesto, mentre uno dei tratti caratteristici
dei novizi proprio un uso meno efficace e pi limitato di tali risorse. I novizi fanno
pi riferimento alle competenze <nella loro testa> di quanto non facciano gli esperti
ed questa una delle ragioni della qualit peggiore delle loro prestazioni.
d) Ottimizzazione dellenergia. Le pratiche di pensiero esperto privilegiano modalit
economiche di soluzione dei problemi, che permettono di risparmiare energia
cognitiva e/o fisica. Questa costanza nel ricercare la modalit pi economica pu
essere considerata una metastrategia che permette di spiegare ladozione di diversi
e flessibili modi di soluzione di uno stesso problema.
e) Dipendenza da conoscenze specifiche e particolari. Labilit di discriminare tra
informazioni rilevanti e rumore di sfondoallinterno di un campo di attivit,
invocando a sostegno di ci sia precetti che pratiche, una parte fondamentale di
ci che definiamo come esseri esperti
Le competenze professionali che caratterizzano gli insegnanti esperti e che sono situate
nei contesti dellinsegnare si legano al concetto di curriculum script. Il curriculum
script un insieme di obiettivi e di possibili azioni ordinate allo scopo di insegnare un
determinato contenuto. quindi una importante competenza pedagogica e include, tra
le altre cose, rappresentazioni da utilizzare per presentare diversi concetti e una
conoscenza delle preconfezioni (giuste e sbagliate) degli studenti. Il curriculum script
flessibile e situato. Pu essere inteso come una sorta di preprogrammazione che indichi
un percorso di massima che, per essere efficace e utilizzabile, dovr necessariamente
essere modificato, tagliato o arricchito proprio in base alla valutazione continua e
dinamica degli esiti della sua realizzazione in un contesto educativo reale. Si pu
distinguere tra micro e macroaggiustamenti del curriculum script, potendo questi
riguardare aspetti strutturali e generali del piano di istruzione o piuttosto dettagli
specifici della sua esecuzione. E sono proprio questi aggiustamenti progressivi che
rendono conto della flessibilit e della situatezza della competenza dellinsegnante
esperto.
Riassumendo i risultati ottenuti nellanalisi delle competenze esperte sia dalle
prospettive pi <individuali> che soprattutto da quelle pi <sociali>, possibile
evidenziare alcuni punti centrali.
1) Luogo della competenza esperta: la competenza esperta non sta solo dentro la testa del
singolo individuo, ma piuttosto distribuita nel contesto sociale, fisico e materiale nel
quale lindividuo opera.
2) Costruzione della competenza esperta: questa avviene principalmente attraverso le
trattative empiriche con gli altri individui in un ambiente organizzato cio in contesti sociali
caratterizzati da pratiche comunicative di costruzione e diffusione della competenza
esperta, le interazioni decisionali.
3) Le caratteristiche della competenza esperta: questa flessibile, situata, specifica ed
efficiente.
DALLA FORMAZIONE INIZIALE ALLE PRATICHE DI LAVORO ESPERTE
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Esistono in letteratura numerosi studi che hanno analizzato il rapporto che esiste, in
diversi contesti professionali e lavorativi, nella costruzione di una competenza
professionale esperta tra momenti di formazione istituzionale (di solito iniziale) e
momenti successivi di apprendimento situato al lavoro. stato evidenziato come luso e
lapplicazione negli specifici contesti professionali delle conoscenze generali, formali ed
esplicite apprese durante la formazione iniziale ed accademica degli insegnanti
costituisca un processo assai problematico: le competenze accademiche rimangono per
lo pi inerti, separate e non vengono integrate con quanto viene costruito in termini di
competenza professionale nel corso del lavoro stesso. In questa prospettiva, per lo
studio dellacquisizione della competenza professionale degli insegnanti, un costrutto
centrale per lanalisi dei cambiamenti delle forme di partecipazione alle pratiche
lavorative quello delle comunit di pratiche, definite come <un insieme di relazioni
durature tra persone, attivit e mondo, in connessione e parziale sovrapposizione con
altre comunit di pratiche> e come <aggregazioni informali definite non solo dai loro
membri, ma dal condividere i modi con cui si fanno le cose e si interpretano gli eventi>.
dunque evidente il legame tra comunit di pratiche e apprendimento: la comunit di
pratiche il contesto sociale in cui hanno luogo lapprendimento e il lavoro; le
specifiche competenze e conoscenze della comunit non stanno separatamente nella
testa di ognuno di suoi membri, ma distribuite nella sua organizzazione e struttura
sociale. Tale prospettiva evidenzia quindi il carattere non individuale della competenza
esperta e delle modalit con cui si diventa esperti: anche linsegnante non lavora in un
vuoto sociale e anche se la caratterizzazione attuale della professione tende a
sottostimarne gli aspetti sociali, anchesso inserito in una comunit di pratiche
professionali pi o meno ampia, quale quella costituita dagli altri insegnanti della
scuola, dalla comunit degli insegnanti di una certa materia, dalla comunit di
insegnanti che si riconoscono in una certa associazione, e cos via. Ad esempio un
insegnante che entri per la prima volta a lavorare in una scuola, trova al suo interno
una comunit di pratiche lavorative, organizzative, gestionali e comunicative che
caratterizzano quel contesto in modi peculiari rispetto ad altri. Il suo ingresso lavorativo
non pu che essere caratterizzato da una socializzazione a tali pratiche sociali, pi o
meno, condivise. Ed solo a partire da una socializzazione a tali pratiche che
possibile innescare processi di superamento di tali vincoli e una loro innovazione anche
creativa.
Il costrutto della Partecipazione Periferica Legittimata viene proposto proprio come un
descrittore del coinvolgimento delle persone in pratiche sociali che hanno
lapprendimento come loro aspetto integrante. Lapprendimento quindi visto come
una progressione nelle forme di partecipazione alle attivit sociali delle comunit di
pratiche cominciando da una partecipazione <periferica> alle attivit e muovendosi poi
progressivamente, allaumentare delle capacit, verso una piena e <centrale>
partecipazione allattivit stessa. quindi attraverso la partecipazione a specifiche
comunit di pratiche che anche linsegnante pu apprendere gran parte della sua
competenza professionale, in una sorta di apprendistato. Limmersione nelle pratiche
lavorative non quindi solo un momento di applicazione di conoscenze acquisite in una
fase precedente e <formale>, ma si configura chiaramente come un momento specifico
di apprendimento situato di competenze nuove e strategiche. Per diventare insegnanti
esperti quindi necessario un periodo pi o meno lungo di apprendistato allinterno del
contesto sociale e organizzativo della scuola, che nella situazione italiana ancora tutto
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da definire e disegnare come momento formativo specifico ed essenziale del percorso


per diventare insegnanti. Non tutte le comunit lavorative sono buoni contesti di
socializzazione lavorativa, per questo stata introdotta la nozione di <orizzonte di
osservazione> per intendere la porzione di contesto lavorativo che disponibile come
contesto di apprendimento per ogni partecipante allattivit. Per nelle scuole
linsegnante novizio lasciato solo e il suo orizzonte di osservazione laula, non la
scuola con le sue pratiche, i suoi strumenti e soprattutto gli altri insegnanti: in questi
casi il processo di costruzione di una competenza professionale esperta lungo,
difficoltoso e sostanzialmente inefficiente.
LA COSTRUZIONE SOCIALE DELLINNOVAZIONE LAVORATIVA E
ORGANIZZATIVA NELLA SCUOLA
Il mestiere dellinsegnante dunque una pratica lavorativa sociale: linsegnamento si
realizza in contesti organizzativi definiti, gli insegnanti formano comunit di pratiche,
composte di membri pi o meno periferici, e pi o meno centrali che assicurano il
mantenimento, la costruzione e linnovazione delle proprie competenze professionali.
Per impostare qualsivoglia progetto di formazione/aggiornamento/innovazione quindi
necessario considerare come unit di analisi privilegiata la comunit di pratiche degli
insegnanti, piuttosto che il singolo insegnante. infatti solo attraverso la costruzione di
un patrimonio di conoscenze e competenze comuni alla comunit di pratiche degli
operatori scolastici che possono nascere progetti di innovazione organizzativa ed
educativa. I modi di eseguire in modo competente le pratiche lavorative dimostrano
una notevole creativit e capacit di apprendimento situato da parte di coloro che li
mettono in atto; si potrebbe infatti dire che una misura dellintelligenza individuale
proprio il grado di creativit delle strategie con cui ognuno svolge e affronta il proprio
lavoro. Ed allora necessario trovare modalit efficaci di far circolare queste
<intelligenze>, di far diventare queste forme di competenza individuale delle
competenze organizzative patrimonio comune delle comunit di pratiche, e non solo
delle biografie individuali. necessario perci creare spazi e momenti di lavoro
comune, quali ad esempio le tante vituperate riunioni: queste ultime da momenti
formali e superficiali, quali sono quasi sempre, possono infatti diventare, adottando
particolari vincoli organizzativi, temporali e gestionali, luoghi specifici di definizione e
realizzazione di progetti comuni, di costruzione sociale di decisioni in merito agli aspetti
organizzativi, educativi e gestionali del sistema <scuola>. Lorganizzazione scuola ha
assoluto bisogno del contributo che i suoi principali operatori possono dare ai processi
di innovazione. Solo attraverso lesplicitazione, la messa in comune e in circolazione del
patrimonio gi esistente di competenze ed incompetenze possibile innestare processi
di apprendimento organizzativo. Il problema di molte competenze professionali infatti
quello di integrare conoscenze accademiche e conoscenze situate, cio di sapere
<teorizzare sulla pratica e particolarizzare sulla teoria>. Il novizio va dunque aiutato a
costruirsi lidea che linsegnamento si configuri sempre come scelta allinterno di un
repertorio di azioni educative. Anche i corsi di aggiornamento, che costituiscono la
pratica normativamente prevista per la formazione continua degli insegnanti, possono
essere utilizzati come momenti di costruzione di nuove modalit di insegnamentoapprendimento. A patto per che siano finalizzati, pi che alla trasmissione di
conoscenze dichiarative e procedurali, allattivazione di legami lavorativi reali e
significativi tra gli insegnanti e alla messa in comune- tra novizi ed esperti, tra
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competenti e meno competenti- delle loro pratiche lavorative. In tali progetti dovrebbe
essere privilegiata linterazione sociale tra insegnanti, che costituisce una delle pi
preziose fonti di apprendimento informale, in cui sia possibile una condivisione sociale
dei compiti e un uso contestualizzato di strumenti, che incorporino al loro interno
elementi di apprendistato.
APPRENDIMENTO-APPRENDISTATO
Luso del termine apprendistato, che allinterno della prospettiva situata sostituisce
<polemicamente> quello di apprendimento, serve appunto a sottolineare come le
pratiche di acquisizione delle competenze siano pratiche situate, graduate e inserite in
contesti di attivit e nelle quali centrale in concetto di partecipazione ad attivit
congiunte. Nellapprendistato previsto poco insegnamento nel senso tradizionale del
termine, ma si assegna comunque un giusto rilievo a ruolo di guida e di assistenza da
parte degli esperti.
LE RIUNIONI
Le riunioni possono essere ottimizzate ponendo attenzione ad alcuni vincoli
organizzativi e gestionali, tra i quali particolarmente essenziali sono:
-

Tempi: fissare un tempo di inizio ma anche quello di fine,e non superare le due-tre ore;
Numero partecipanti: limitato numero di persone, non superare le otto-dieci;
Ordine del giorno condiviso: aiuta la discussione che tutti i partecipanti sappiano in anticipo
quali argomenti saranno trattati e con che priorit;
Condivisione materiali di riferimento: se si discute una legge, essenziale perch la
riunione sia proficua che tutti abbiano potuto leggere tale documento prima della riunione.
Disposizione spaziale: anche dettagli spaziali quali ad esempio la disposizione dei
partecipanti possono influenzare landamento della situazione interattiva: ad esempio,
essere seduti in modo da poter vedere tutti un modo per sostenere uninterazione
efficace.
CAP.14: GLI INSEGNANTI E LE TECNOLOGIE MULTIMEDIALI
Lavvento dei personal computer e la loro prima introduzione nelle scuole negli anni 70
ha segnato linizio di un nuovo modo di pensare e fare didattica. Sono passati da allora
trentanni ed ora si parla di introduzione della multimedialit come nuovo modo di
affrontare linsegnamento. Il programma ministeriale di sviluppo delle tecnologie
didattiche nel sistema scolastico si propone come finalit di modificare e integrare la
didattica con unattivit di insegnamento e apprendimento in un ambiente
caratterizzato dalla presenza di pi tecnologie didattiche, con particolare riguardo ai
personal computer, anche multimediali, e al lavoro in rete. Le tecnologie didattiche
possono favorire nuove forme di dialogo fra scuola e realt giovanile, rompendo
lisolamento della classe e della scuola con il mondo esterno.
UN BREVE EXCURSUS STORICO
Nel campo delle tecnologie didattiche si sono verificati negli ultimi ventanni
cambiamenti profondi nel modo di utilizzare il computer in campo educativo. I primi
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programmi ad entrare nelle scuole sono stati i programmi di tipo CAI (Computer Aided
Instruction), che si rifanno alle tecniche dellistruzione programmata; propongono
strategie educative di tipo comportamentista. Scopo delleducazione la trasmissione
di conoscenze da un esperto ad un novizio; per trasmettere tali conoscenze
necessario operare in modo scientifico definendo obiettivi e mezzi per il loro
raggiungimento. Cos questi programmi propongono sequenze didattiche basate sul
meccanismo del rinforzo: per ogni risposta esatta previsto un rinforzo positivo che
pu assumere la forma dellelogio o della possibilit di andare avanti ed accedere ad
altre informazioni o quesiti. In tali programmi non vi spazio per liniziativa dellallievo
che deve limitarsi a seguire i percorsi e rispondere alle verifiche di apprendimento
proposte dal software.
I programmi nati allinterno dellapproccio cognitivista di elaborazione umana
dellinformazione, che considera luomo come puro sistema di elaborazione di
informazioni, sono programmi di tipo ICAI (Intelligent Computer Assisted Instruction) o
ITS (Intelligent Tutoring System). Sono programmi pi flessibili rispetto ai loro
predecessori, sono in grado di imparare, cio di modificare il proprio comportamento in
base allesperienza e di adottare strategie diverse con studenti diversi.
Verso la fine degli anni 70, accanto alluso del computer come tutor, cio come guida
allistruzione, che proprio dei programmi di tipo tutoriale, appaiono due altre
categorie di uso educativo dellelaboratore, come strumento e come discente; non pi
quindi colui che insegna allallievo ma colui che apprende dallo studente stesso. il
caso ad esempio del linguaggio Logo. In quegli anni si andava sempre pi affermando
lapproccio costruttivista, che considerare chi impara come colui che costruisce la
propria conoscenza interagendo con linformazione ed interpretandola. Si tratta di un
nuovo cognitivismo che ha avuto come espressione psicopedagogia il costruttivismo
sociointerazionista. Principi fondamentali di tale paradigma sono la concezione della
conoscenza come un prodotto socialmente e culturalmente costruito e la
consapevolezza del ruolo dellinterazione sociale nella costruzione della conoscenza.
IL LINGUAGGIO LOGO
La prima grande rivoluzione nel campo delluso didattico del computer viene offerta alla
fine degli anni 70 da Papert e dalla sua informatica cognitiva. Papert, collaboratore di
Jean Piaget e professore al Massachusetts Institute of Tecnology, il creatore del
linguaggio Logo, un linguaggio di programmazione di grande semplicit, che offre un
feedback immediato. Il bambino pu disegnare sullo schermo figure geometriche dando
semplici comandi (avanti, indietro, sinistra, destra) ad una <tartaruga> che si muove
sullo schermo. Ma Logo anche un linguaggio estremamente potente, grazie alla sua
caratteristica pi importante: la modularit. Logo possiede infatti un vocabolario di
base, ma pu imparare nuovi vocaboli e diventare cos sempre pi esperto.
Negli anni 80 le scuole americane prima e quelle europee in un secondo tempo sono
state positivamente contagiate dalle proposte di Papert di ribaltare i ruoli tradizionali
offerti dai programmi tutoriali: non deve essere il computer a programmare il bambino,
ma il bambino a programmare il computer. Nelle intenzioni del suo creatore, il Logo
non definibile solo come linguaggio di programmazione, ma anche un ambiente e
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una filosofia educativa. un linguaggio per imparare, ma non solo per imparare a
programmare; un linguaggio per imparare a pensare. Nel microambiente offerto dal
linguaggio Logo il bambino padrone della macchina e si trova a dover insegnare
allelaboratore a pensare, lanciandosi perci nellesplorazione del proprio modo di
pensare. Ricerche successive di alcuni collaboratori di Papert hanno ridimensionato il
mito del Logo come apprendimento diretto, nel quale i ragazzi imparano da soli per
tentativi ed errori, ed hanno restituito allinsegnante il ruolo primario di guida
allapprendimento. Non basta porre un ragazzo di fronte alla <tartaruga> Logo perch
tutte le sue difficolt in campo matematico siano superate; necessario un attento
intervento dellinsegnante che deve essere in grado di controllare il processo educativo,
sapendo quando necessario intervenire e quando meglio lasciare che i bambini
imparino da soli, attraverso tentativi ed errori, o attraverso la collaborazione fra pari.
IL COMPUTER COME STRUMENTO PER SCRIVERE, COMPIERE RICERCHE, COMUNICARE
Sempre negli anni 80 nelle scuole italiane il personal computer comincia ad essere
utilizzato come strumento per elaborare testi, gestire ed organizzare archivi di dati,
utilizzare forma diverse di presentazione delle informazioni: testi fra loro collegati,
tabelle, grafici, archivi. Luso del computer va cos estendendosi ad insegnamenti
diversi da quelli matematico-scientifici, tradizionalmente legati ad esso. Il computer
viene cos utilizzato come strumento flessibile, che permette volta per volta di scrivere
e pubblicare un testo, creare archivi di storie da completare, costruire il giornalino
scolastico, comunicare con studenti di altre scuole, compiere ricerche su basi di dati gi
costruite, o organizzare ed archiviare i dati. Il computer aiuta inoltre ad evidenziare il
carattere pubblico dellattivit dello scrivere. Si scrive per qualcuno, per far conoscere
le proprie idee, per essere letti dagli altri, e la possibilit di stampare, anche in pi
copie, ci che stato scritto permette una pi agevole circolazione del prodotto.
MICROMONDI, SIMULAZIONI, IPERTESTI
Sulla scia della rivoluzione portata da Papert e dalla sua proposta di offrire agli studenti
<ambienti per pensare>, gli sforzi dei ricercatori si sono rivolti a sviluppare sistemi che
forniscano ambienti di apprendimento di tipo esplorativo. Espressione successiva
allapproccio costruttivista alle tecnologie delleducazione sono quindi ambienti di
simulazione o di gioco didattico. Sono tutti ambienti che cercano di realizzare ci che
Jonassen definisce come apprendimento significativo, un apprendimento cio che sia
principalmente attivo, costruttivo e collaborativi; ambienti che inoltre si propongono
come strumenti cognitivi, strumenti che amplificano il pensiero e facilitano la
costruzione della conoscenza.
LE ATTESE DELLA MULTIMEDIALITA
Il termine multimedialit entrato da qualche anno nel linguaggio della scuola con
differenti accezioni. Secondo Calvani, parlando di multimedialit, ad un primo livello
oggi si pu intendere un ambiente informatico capace di gestire audio e video oltre che
testi ed immagini statiche. un grandissimo cambiamento rispetto a pochi anni orsono,
quando il mezzo computer per comunicare si serviva fondamentalmente della parola
scritta. Ad un secondo livello, per multimedialit si intende ci che pi propriamente va
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sotto il nome di ipermedialit, cio unorganizzazione reticolare di informazioni


multimediali. Non si tratta di insegnare informatica n di creare nuovi sussidi pi
sofisticati per linsegnamento tradizionale, ma di utilizzare le tecnologie multimediali
nella didattica quotidiana. Lintroduzione e la possibile manipolazione di forme di
comunicazione diverse dalla parola scritta pu stimolare nuove forme di
apprendimento. Olson ha infatti osservato che lintelligenza unabilit che si sviluppa
in un determinato medium e che diversi tipi di media sollecitano diversi tipi di
apprendimento. Ogni mezzo di comunicazione d un contributo specifico allo sviluppo
umano, ed fondamentale in educazione poter utilizzare tutti i media nella loro
specificit e complementariet. Una didattica multimediale, che utilizza cio differenti
tipi di media e di linguaggi, non limitandosi al solo linguaggio verbale, pu aiutare a
sviluppare aspetti diversi della mente ed insegnare ai ragazzi ad aprirsi a prospettive
diverse. Aprire la scuola al mondo della multimedialit significa inoltre poter utilizzare
alcune delle caratteristiche pi importanti che essa offre al mondo delleducazione:
linterattivit e la personalizzazione dei processi di insegnamento-apprendimento.
Linterattivit data principalmente da ci che unisce e gestisce i diversi linguaggi, il
mezzo computer. La caratteristica principale delluso del computer quella di
consentire allutente di intervenire e condizionare il processo in corso; il controllo pu
passare dal computer allutente e viceversa, in modo alternato. La possibilit di
personalizzare i processi di insegnamento-apprendimento invece caratteristica
principale di quella che stata definita da Calvani multimedialit di secondo livello,
lorganizzazione reticolare delle informazioni multimediali, cio lipermedialit.
IPERTESTI E AMBIENTI IPERMEDIALI
Il primo ad immaginare un sistema ipertestuale stato Vannevar Bush. Nel 1945
propone il progetto di una macchina, chiamata Memex, che dovrebbe funzionare in
modo simile alla mente umana, consentendo di stabilire associazioni allinterno di
materiale di tipo enciclopedico: da ogni elemento di informazione possibile passare a
qualsiasi altro. Il progetto di questa macchina si basava per sulla tecnologia
disponibile nel tempo (microfilm proiettati su schermo, una tastiera, un insieme di leve
e bottoni), ed il prototipo non fu in realt mai realizzato.
Nel 1965 Theodor Nelson conia il termine <ipertesto>, riferendosi a <forme non
sequenziali di scrittura congiunta tramite collegamenti>.
Con il termine ipermedia si viene poi ad intendere un sistema che applica metodi e
tecniche ipertestuali alla gestione di informazioni di natura multimediale: le associazioni
avvengono non solo con elementi linguistici, ma anche con altri sistemi simbolici
(suono, grafica, animazione). Un ipermedia dunque una forma di organizzazione non
lineare di informazioni provenienti da diversi media. Comunemente costituito da una
serie di piccole unit informative, chiamate nodi, collegate fra loro attraverso legami o
collegamenti che definiscono le relazioni logiche che esistono fra queste unit
informative. Un ipermedia quindi definibile come una rete pi o meno complessa di
informazioni e relazioni. La caratteristica principale dei <nodi> delle unit informative,
quella di avere una <autosufficienza comunicativa>. Un nodo in genere costituito
da una videata, ma pu anche essere rappresentato da unimmagine, una parola, una
frase.
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La non linearit dellinformazione ipermediale data dalla presenza di legami (links). In


pratica si tratta di comandi che consentono il passaggio da un nodo allaltro.
In un documento ipermediale si possono presentare due tipi di collegamenti:
referenziali e di organizzazione. I collegamenti referenziali pongono in relazione due
punti qualsiasi dellipertesto, che presentino fra loro unassociazione di qualsiasi tipo.
Un collegamento organizzativo ha invece natura gerarchica, ed esprime una relazione di
subordinazione o sovraordinazione fra concetti ed informazioni.
Questo ci porta ad affrontare un altro argomento: quello del tipo di struttura che un
documento ipermediale pu presentare. Jonassen parla di ipertesti non strutturati e
ipertesti strutturati. Nei primi una fittissima rete di legami collega ogni nodo ad un
altro, ed ogni nodo pu rappresentare laccesso alla base di dati. Nei secondi presente
invece unesplicita organizzazione dei nodi e dei legami.
Una terza forma di organizzazione ipertestuale di tipo gerarchico. Le pagine
ipermediali sono collegate fra loro attraverso una struttura ad albero, in cui da un nodo
principale si discende via via verso nodi subordinati. Anche se in realt la struttura
meno ipertestuale, utilizzata spesso nelle applicazioni ipermediali che comunemente
si trovano sul mercato.
Chi legge un documento ipermediale deve muoversi allinterno delle unit di
informazione, utilizzando i legami come mezzo di spostamento allinterno del mare di
conoscenze fornite dal documento. Lesplorazione di un documento ipertestuale viene
chiamata <navigazione>.
PROBLEMI LEGATI ALLUSO DEGLI IPERMEDIA
Uno degli aspetti negativi che si sono evidenziati nelluso degli ipermedia in educazione
quello del possibile disorientamento, oltre che del sovraccarico cognitivo e della
possibile distrazione da parte del lettore-studente. Unattivit di studio che si avvale di
documenti di tipo ipermediale richiede grande sforzo e concentrazione per fronteggiare
contemporaneamente pi compiti e pi percorsi, per tenere a mente i collegamenti
compiuti e per ricrearsi una mappa cognitiva del materiale consultato. Questo pu
portare a ci che alcuni autori definiscono sovraccarico cognitivo. Inoltre la grande
quantit di materiale presentato e la molteplicit di sistemi simbolici utilizzati possono
rappresentare per un ragazzo curioso una fonte di distrazione, invitandolo a girare di
qua e di l senza una strategia proficua e senza soffermarsi su nessuna informazione.
In seguito a ricerche e ad esperienze effettuate in scuole italiane, si sono delineate
alcune linee guida per la progettazione di ipermedia per attivit di studio, sia per far
fronte ai problemi di distrazione, sia per motivare gli studenti allesplorazione
dellipermedia stesso. Per prima cosa importante che la navigazione allinterno
dellipermedia sia sostenuta da un compito dotato di significato, che sostenga la
motivazione degli studenti. Inoltre lapplicazione deve fornire un supporto alla
collaborazione, proponendo attivit che possano essere condivise con lintera classe,
favorendo cos il confronto e la costruzione comune di significati. possibile anche
ipotizzare laiuto di una guida procedurale, che a richiesta aiuti gli studenti ad
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affrontare meglio il compito proposto, a scegliere le informazioni rilevanti. Questa guida


per non deve essere troppo rigida, ma lasciare libert agli studenti di chiedere o non
chiedere aiuto e di esplorare liberamente il materiale a disposizione.
LE POTENZIALITA EDUCATIVE DELLUSO DI IPERMEDIA PER ATTIVITA DI STUDIO
La maggior parte dei ricercatori sono daccordo nel sottolineare una notevole quantit
di aspetti positivi legati alluso degli ipermedia in educazione. Innanzitutto, le
applicazioni ipermediali, organizzando una rete complessa di informazioni articolata in
nodi e connessioni non lineari, usando diversi linguaggi o media, possono operare come
amplificatori culturali e favorire un modo di pensare associativo, complesso, personale.
Le tecnologie ipertestuali ed ipermediali si prestano ad assecondare il modo in cui
luomo <naturalmente> pensa, e che questo avviene soprattutto grazie a due delle
caratteristiche di tali tecnologie: lassociare le informazioni e il far interagire insieme
diversi codici linguistici. Studi hanno dimostrato che le immagini mentali facilitano la
memorizzazione delle conoscenze, che risultano dunque maggiormente efficienti in
occasione dellimpiego del doppio registro, verbale ed iconico, rispetto alla
rappresentazione esclusivamente proposizionale. Gli ipermedia possono quindi
costituire un efficace supporto ai processi di ideazione ed elaborazione della
conoscenza.
Le potenzialit educative degli ipermedia derivano principalmente dalla possibilit di
raccogliere in poco spazio un grande quantit e variet di informazioni di accedere ad
esse con facilit e rapidit, gratificando immediatamente le richieste di maggior
informazione poste dallutente. Inoltre un ipertesto un ambiente non direttivo, che
mette in grado chi apprende di prendere decisioni rispetto al proprio percorso,
mantenendo sempre il controllo del proprio apprendimento. La possibilit offerta di
scegliere la propria rotta favorisce la personalizzazione dei percorsi di apprendimento.
Un sistema ipertestuale favorisce quindi ci che da molti anni considerato un fattore
importante dellapprendimento: porre il processo di istruzione sotto il controllo del
discente. Chi studia ha a disposizione uno strumento flessibile ed interattivo e pu
seguire un percorso personale di ricerca dellinformazione e di costruzione delle
competenze.
COSTRUIRE IPERMEDIA A SCUOLA
da sottolineare per che, per quanto riguarda luso della multimedialit nelle scuole,
la modalit pi diffusa non tanto quella della fruizione delle applicazioni ipermediali
presenti in commercio o create da gruppi di insegnanti, ma la progettazione e la
costruzione di applicazioni multimediali da parte degli studenti stessi. Sono due modi
differenti di utilizzare gli ipermedia, entrambi validi se usati da insegnanti attenti e
capaci di sollecitare nellallievo un apprendimento attivo. Costruire insieme un prodotto
ipermediale non significa semplicemente imparare a programmare, ma principalmente
imparare a costruire insieme qualcosa che risulti motivante e significativo anche per
altri. Costruire ipermedia a scuola significa agire sul piano sociale agire sul piano
sociale, consentendo di allestire ambienti di lavoro cooperativo. Progettare e costruire
ipermedia significa anche sollecitare abilit di organizzazione di concetti, capacit di
creare collegamenti fra un concetto e laltro, costruendo una sorta di mappa
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concettuale degli argomenti che si stanno trattando. Importante che linsegnante non
si lasci prendere dalla preoccupazione del <prodotto>, dalla smania di ottenere
unapplicazione simile a quelle prodotte dalleditoria elettronica, ma dedichi attenzione
e tempo ai processi di pianificazione del lavoro comune e di ricerca dei significati, in
modo che gli allievi siano protagonisti attivi del proprio percorso di apprendimento.
LA RETE INTERNET, ESPLORARE E COMUNICARE
Uno dei pi grandi ipermedia che si possono attualmente navigare offerto dalla rete
Internet. Attraverso il World Wide Web il sentiero che unisce tutto il mondo-
possibile esplorare, individuare, recuperare informazioni che si trovano fisicamente in
diverse parti del mondo.
Due possono essere gli usi principali della telematica nella didattica: nella prima
direzione la rete Internet viene considerata come una potente risorsa per laccesso
allinformazione, nella seconda viene considerata come un magnifico strumento per la
comunicazione interpersonale.
La quantit di documenti presenti sulla rete enorme, la facilit di accesso data
dallorganizzazione ipertestuale delle pagine rende sicuramente stimolante e divertente
lattivit di raccolta delle informazioni. Per poter utilizzare la rete Internet alla ricerca di
informazioni per necessario avere una forte motivazione, pazienza e capacit di
selezione. unattivit sicuramente riservata a studenti pi grandi, dalla scuola media
in poi. Luso dei motori di ricerca, strumenti che consentono di ritrovare nella rete
documenti attraverso luso di parole chiave, pu rappresentare poi una palestra per lo
sviluppo di abilit logiche.
Ma una direzione forse pi interessante per la didattica utilizzare la rete per mettere
in atto attivit di comunicazione e collaborazione a distanza fra scuole. Sia in Italia che
in altri paesi sono state attuate molte esperienze di apprendimento collaborativi
attraverso luso delle reti, con risultati apprezzabili ai fini educativi. Ad un primo livello
si hanno esperienze di scambio interpersonale attraverso la posta elettronica. la
prosecuzione delle attivit di <corrispondenza scolastica> introdotte nella scuola da
Celestin Freinet e diffuse in Italia dal Movimento di cooperazione educativa. Ad un
secondo livello abbiamo esperienze di apprendimento cooperativo, che si radicano nei
paradigmi costruttivista e socioculturale. Si tratta di esperienze che si pongono come
fine quello di costituire comunit di apprendimento a distanza.
GLI INSEGNANTI E IL COMPUTER
Lintroduzione delle nuove tecnologie nella scuola non deve essere una operazione
puramente tecnologica, basarsi cio sulla semplice alfabetizzazione degli insegnanti.
necessario che gli insegnanti abbiano loccasione di riflettere sui cambiamenti che luso
educativo della multimedialit pu e deve arrecare alla didattica. Si dice che luso della
multimedialit porter grandi cambiamenti nel modo di fare scuola. Si passer dalla
vecchia lezione cattedratica ad un apprendimento attivo e collaborativi. Ma tutto questo
avverr davvero?
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Il cambiamento non garantito. sempre possibile utilizzare i nuovi sistemi per


mantenere vecchi sistemi formativi. Spesso la scuola assorbe la nuova tecnologia
rinchiudendola in spazi e tempi ad essa dedicati. I cambiamenti che lintroduzione di
una tecnologia pu produrre in un determinato ambiente sono minimi se lo strumento
si inserisce pienamente nella struttura gi esistente. Cos un laboratorio informatico in
cui linsegnante fa lezione trasferendo dal suo video schermate sui video degli alunni
funzionale ad un modo tradizionale di concepire linsegnamento, e comporta solo un
aggiornamento tecnologico. Lintroduzione del computer per scrivere, fare giornalini,
costruire applicazioni multimediali e comunicare con altre scuole richiede invece
unorganizzazione che preveda tempi di lavoro collettivo, tempi di lavoro di gruppo e
tempi di lavoro individuale. Richiede un cambiamento nel modo di fare scuola, nel
modo di concepire le attivit di insegnamento-apprendimento.
Deve dunque cambiare prima di tutto il ruolo dellinsegnante. Linsegnante non pi
lunico esperto di riferimento; esiste una comunit, e linsegnante diviene il direttore
dorchestra, colui che sollecita, sostiene ed orchestra le attivit degli insegnanti. Gli
studenti in piccoli gruppi organizzano le proprie attivit e il ruolo dellinsegnante, la sua
professionalit, consiste nel coordinare le attivit e pianificarle, nellincoraggiare e
favorire lo scambio, la collaborazione, il confronto creando nella classe una <comunit
di apprendimento> che sappia anche aprirsi al mondo esterno. Lo studente visto
come un costruttore attivo della propria conoscenza, un novizio intelligente che sa
autoregolare le proprie strategie di apprendimento, che pur non avendo tutte le
conoscenze in un certo dominio sa come ottenerle.
Cambia lorganizzazione degli spazi e dei tempi e svanisce la netta differenziazione tra
discipline. Unattivit di progettazione e costruzione di oggetti multimediali per sua
natura va oltre i rigidi confini delle discipline; gli studenti si muovono trasversalmente
alle discipline, passando attraverso connessioni, nessi, legami da un blocco di sapere ad
un altro.
Perch si possa arrivare realmente ad un nuovo modo di insegnare necessario da
parte degli insegnanti un approccio positivo alle nuove tecnologie; assumere un
atteggiamento di curiosit e flessibilit verso il mezzo e le attivit che esso consente.
La necessit pi avvertita dagli insegnanti che si sono accostati alluso della
multimedialit quella di una formazione psicopedagogia e didattica su come gestire
lattivit multimediale allinterno della classe e come integrare le attivit nel curricolo.
Molti insegnanti hanno riferito la difficolt di dover gestire una classe numerosa e
vivace allinterno di un laboratorio informatico. Probabilmente il problema consisteva
proprio nellapproccio di tipo tradizionale che questi docenti volevano avere con
lattivit informatica: tanti alunni disciplinati che ascoltano ci che dice linsegnante e
ripetono automaticamente i gesti da compiere al computer. Se la classe abituata a
lavorare a gruppi e i ragazzi si sentono interessati e partecipi del lavoro comune, i
problemi di gestione disciplinare della classe allinterno del laboratorio sicuramente
diventano irrilevanti.
Un secondo problema sollevato dagli insegnanti stato quello dellintegrazione
dellattivit nei curricoli e del mancato svolgimento dei programmi. Molto spesso
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lavorare con la multimedialit richiede una gran quantit di tempo ed alcuni insegnanti
hanno osservato che il rapporto tempo impiegato/risultati ottenuti in termini di
conoscenze acquisite non sempre positivo. Inoltre si rischia di dover sorvolare su una
buona parte del programma per affrontare, sia pure in modo approfondito, un solo
argomento. Anche qui siamo di fronte ad un problema di impostazione didattica.
Probabilmente una grande quantit di tempo presa dallimparare a programmare, ad
utilizzare lo strumento. Vi sono in commercio prodotti che facilitano il lavoro di
programmazione. Ogni studente pu cos con facilit divenire autore ipermediale.
Inoltre il computer deve divenire uno strumento al servizio della didattica quotidiana,
non prendere uno spazio a s in concorrenza con il normale svolgimento del
programma. Per questo molto importante la possibilit di avere o trasportare un
computer allinterno delle classi. Lo strumento deve essere accessibile nella noemale
attivit per scrivere, prendere appunti utili allattivit di classe, prender
visione(attraverso un proiettore) di immagini particolarmente interessanti pubblicate su
CD-ROM. Vi saranno poi particolari attivit progettate collettivamente dagli insegnanti
di classe che si potranno realizzare allinterno del laboratorio, in momenti deputati.
La scommessa della multimedialit nella scuola sembra dalle prime osservazioni
risultare vincente; lo sar se gli insegnanti sapranno utilizzare le nuove tecnologie in
modo flessibile e funzionale ad una didattica che ponga lo studente al centro del
processo educativo.

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