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Caedi vero discentis, quamlibet id receptum sit, et Chrysippus non improbet,minime velim, primum quia
deforme atque servile est et certe (quod convenit si aetatem mutes) iniuria: deinde quod, si cui tam est mens
inliberalis ut obiurgatione non corrigatur, is etiam ad plagas ut pessima quaeque mancipia durabitur: postremo
quod ne opus erit quidem hac castigatione si adsiduus studiorum exactor adstiterit. Nunc fere neglegentiā
paedagogorum sic emendari videtur ut pueri non facere quae recta sunt cogantur, sed cur non fecerint
puniantur. Denique cum parvolum verberibus coëgeris, quid iuveni facias, cui nec adhiberi potest hic metus et
maiora discenda sunt? Adde quod multa vapulantibus dictu deformia et mox verecundiae futura saepe dolore
vel metu acciderunt, qui pudor frangit animum etabicit atque ipsius lucis fugam et taedium dictat. Iam si
minor in eligendis custodum et praeceptorum moribus fuit cura, pudet dicere in quae probra nefandi homines
isto caedendi iure abutantur, quam det aliis quoque nonnumquam occasionem hic miserorum metus. Quare
hoc dixixste satis est: in aetatem infirmam et iniuriae obnoxiam nemini debet nimium licere.
M. Fabio Quintiliano, Institutio oratoria, Ⅰ, 3,14-17
Traduzione:
Che poi gli alunni siano percossi, benché ciò sia accettato e Crisippo non lo disapprovi, non lo vorrei affatto,
innanzitutto perché è sconveniente e da schiavi e certamente (cosa su cui si è d'accordo se cambi età)
un'offesa: poi perché, se in qualcuno c'è un animo così illiberale da non essere corretto col rimprovero, costui
anche di fronte alle percosse, come tutti i peggiori schiavi, non si piegherà: infine perché non ci sarà neppure
bisogno di questa punizione se sarà presente un assiduo controllore degli studi. Ora quasi sempre per
negligenza dei pedagoghi sembra che le correzioni vengano applicate in modo che i bambini non siano
costretti a fare le cose che sono giuste, ma vengano puniti perché non le hanno fatte. Infine quando tu abbia
costretto con percosse un piccolo, che cosa dovresti fare a un giovane, al quale non si può imporre questa
paura e che deve imparare cose più impegnative? Aggiungi che a quelli che vengono percossi capitano spesso
per dolore o paura molte cose sconvenienti a dirsi e poi destinate ad essere motivo di vergogna, e questo
pudore scoraggia la mente e la abbatte e induce fuga e rifiuto della luce stessa. Infine se c'è stata scarsa
attenzione nell'individuare i comportamenti dei sorveglianti e dei precettori, c'è da vergognarsi a dire fino a
quali infamie abusino di questo diritto di percuotere uomini malvagi, quanto talvolta questa paura degli
sventurati offra occasione anche ad altri. Non mi tratterrò su questo punto: è (già) troppo quello che si
comprende. Motivo per cui è sufficiente aver detto questo: nei confronti di un'età fragile ed esposta all'offesa a
nessuno deve essere concesso troppo.
Come in altri svariati passi tratti dall’Istitutio oratoria, anche in questo caso possiamo percepire le due
influenze principali della struttura formale e linguistica del corpus quintilianeo: da una parte il neoasianesimo,
che l’autore ritrova anche, e soprattutto, nelle composizioni di stampo senecano; anche in questo passo
possiamo percepire le basi strutturali tipiche dello stile del filosofo spagnolo, a partire dal tono sentenzioso,
usato però con moderatezza. E a controbilanciare questa moderatezza, per permettere poi la realizzazione del
tipico stile quintilianeo, entrano in gioco i tratti caratteristici della prosa ciceroniana: i termini asciutti e le
strutture atticiste non troppo marcate bilanciano perfettamente la caricatura espressiva derivante dalla
componente asiana, che si trasforma in una prosa non troppo colorita, per restare fedele all’importanza del
tema trattato e del ruolo che l’autore stesso ricopriva all’interno di esso, ma permettendo una lettura
scorrevole e una comprensio quasi immediata. (aggiungi esempi del testo)
Le potenti influenze che la cultura ellenistica infuse nelle dinamiche di sviluppo della Roma imperiale
possono essere evidenziate in tutte le sfere sociali, culturali e private della comunità latina, e ciò comprende
anche la struttura pedagogica e il modus operandi applicato nell’educazione dei giovani cittadini. Il raffinato
gusto ellenistico permise un radicale cambio di approccio nei confronti dei cosiddetti discipulus e
dell’educazione che veniva loro impartita, sia all’interno della comunità familiare, sia in quella scolastica. Se,
infatti, nel trattare la pedagogia della Roma arcaia possiamo prendere come modello di riferimento Catone il
Censore e la sua impostazione diffidente nei confronti della letteratura come strumento di educazione,
possiamo anche evidenziare un notevole distacco dalla sua impostazione pedagogica con l’avvento delle
metodologie e visioni ellenistiche, in primis in Cicerone, che decise di affidare al libero Crisippo l’educazione
di suo figlio Marco, ma anche in Seneca e in Quintiliano. Quest’ultimo, anche grazie alle sue esperienze di
magister, è considerabile la fonte principale quando si intende trattare o approfondire la pedagogia latina
nell’età imperiale; nella sua opera principale, l’Istitutio oratoria, sono infatti contenute, tra i vari argomenti,
tutte le informazioni riguardo il rapporto sviluppatosi tra magister e discipulus e le metodologie da applicare
per poter permettere uno sviluppo completo del cittadino libero e coinvolto nella vita pubblica.
È sempre importante precisare che, nonostante alcune istanza quintilianee riguardo l’educazione da impartire
siano incredibilmente proiettabili nelle dinamiche scolastiche contemporanee, l’Istitutio è un’opera che
risponde alle esigenze del suo tempo, e che non manca di riferimenti e recuperi dei modelli passati, tra cui
anche Catone il Censore. Ciò è importante da ricordare per non mal interpretare la concezione di educazione
per Quintiliano, che pone comunque al centro la figura del magister e non quella del discipulus, come invece
dovrebbe avvenire nella più contemporanea concezione di apprendimento scolastico.