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Storia del teatro

Le idee e le forme dello spettacolo dall'antichità a oggi - Luigi Allegri

1. Il teatro antico
Spettacoli in Grecia
L'oggetto di un indagine sul teatro greco e latino è inevitabilmente di difficile precisazione a causa delle
poche tracce documentarie rimaste. Il caso del teatro, antico e non, è ulteriormente complicato dalla
coesistenza di plurimi codici comunicativi, che per il mondo antico non sono riproducibili, perchè tutto ciò
che dipende dall'azione dei corpi è instabile, così come non sempre è in qualche modo registrabile la sfera
sonora.
• E' necessario tenere presente che una gran parte do ciò che fu messo in scena nel mondo antico non è
minimamente ricostruibile; ma soprattutto bisogna considerare che non è vero che ciò che sopravvive,
soprattutto per i testi, possa essere paradigma di ciò che non c'è più.

L'evento spettacolare antico


Nel mondo greco theatron, “teatro”, è un termine immediatamente trasparente e non ambiguo. Costruito su
una radice verbale (*thea) che indica l'azione di guardare con continuità, di contemplare, e su un suffisso
strumentale (*thr), theatron è dunque il mezzo, l'infrastruttura per assistere ad un evento, s'intende
spettacolare.
• Il termine si manifesta nella letteratura ateniese, cioè dove il teatro si sviluppa, in un tempo preciso, dal V
secolo a.C., quando le gare teatrali sono ormai abitudine istituzionale. Ma un'attenzione ad alcuni aspetti
visivi, a elementi anche improvvisati, sembra individuabile fin dai tempi più antichi, infatti già con Omero si
possono rintracciare momenti spettacolari.

I festival drammatici di Atene


Le radici antiche del teatro risiedono nella dimensione festiva e religiosa.
• Ad Atene gli spettacoli teatrali si svolgevano durante feste dedicate a Dioniso. La più importante festa
ateniese per il dio fu anche quella di più recente istituzione: le Grandi Dionisie o Dionisie urbane, in tal modo
definite per distinguerle da quelle rurali, che si tenevano nelle campagne circostanti Atene. Come non di rado
per le ricorrenze principali del mondo antico, il tempo della festa, nel mese di Elafebolione (tra la fine di
marzo e l'inizio di aprile), imponeva le rituali sospensioni della normale vita civile.
• La processione inaugurale, come molte celebrazioni religiose, aveva una propria rigorosa regia e
certamente una dimensione spettacolare: innanzitutto veniva sacrificato un capro espiatorio sull'altare, poi
venivano fatti sfilare dei falli rituali in pietra e spesso di grandi dimensioni, in segno di fertilità.
Si svolgeva in seguito la gara dei ditirambi, gara che prevedeva l'esibizione di venti cori ciclici di cinquanta
elementi ciascuno, precisamente due cori -uno di ragazzi e uno di adulti- per ciascuna delle dieci antiche
tribù dell'Attica.
→ Fra il 534 e il 531 a.C., per volere di Pisistrato, si istituzionalizzò la gara fra i poeti tragici e dal 487/486 a.C.
anche dei poeti comici.
• Non risulta del tutto chiarita non solo la questione compositiva delle opere teatrali, in termini di tempi o di
modalità di allestimento, ma nemmeno in fatto di trasmissione e di archiviazione dei copioni. Un dato
acquisito, tuttavia, va considerata la registrazione ufficiale sin dal momento dell'organizzazione della festa,
ma se le epigrafi superstiti abbiano trascritto sempre fedelmente quelle registrazioni sembra in dubbio.
• Un'altra importante e antica festa in onore del dio Dioniso furono le Lenee, che si svolgevano nel mese di
Gamelione, corrispondente al periodo fra gennaio e febbraio. La controversa etimologia e le scarse
testimonianze non aiutano a capirne i tratti più antichi e per certi versi misterici che sembrano aver
caratterizzato alcuni aspetti della festa.
→ Anche l'ubicazione della festa appare controversa: preceduta da una processione solenne, guidata
dall'arconte re e caratterizzata da sberleffi e lazzi; non vi sono testimonianze sulla presenza di un corteo
festoso accompagnato da canti e da rituali fallici.
→ Questa festa antica era celebrata, secondo le fonti, nel Leneo, ma dove fosse questo santuario non è dato
sapere con precisione, anche se la tesi più accreditata è che esso si trovasse in città; si tratta di un dibattito
non secondario ai fini della storia degli spettacoli ad Atene, perchè la festa religiosa ospitò a partire dal 440
a.C. una competizione teatrale ufficiale in quanto registrata nelle epigrafi.
• La fragilità delle testimonianze porta a concludere che non esistettero, ad Atene, due teatri distinti, uno
lenaico e uno ospitante le gare teatrali delle Grandi Dionisie, ma un teatro soltanto.
• Sotto il profilo organizzativo, le Lenee paiono non essersi discostate di molte dalle Grandi Dionisie, ma va
segnalato come in generale possa cogliersi, nelle fonti, un minor prestigio riconosciuto alle Lenee. Le cattive
condizioni climatiche non permettevano la presenza degli alleati di Atene fra il pubblico. L'ammissione della
presenza di stranieri residenti ad Atene per assolvere la funzione della coregia è probabilmente il motivo per
cui le Lenee ebbero una reputazione meno considerevole.
• Nella classe dirigente ateniese si era diffusa la consapevolezza che la politica culturale anche in ambito
teatrale fosse elemento indispensabile alla creazione del consenso.
→ Ciò si osserva agevolmente se si considera, a mo' di esempio, come Pericle si fosse preoccupato di essere il
corego dei Persiani di Eschilo, tragedia di argomento storico presentata nell'agone del 472 a.C.
Non fu il solo Pericle a occuparsi della politica culturale di Atene, ma quasi tutti gli uomini più in vista nella
città attesero a questa forma di propaganda e di gestione del consenso sia personale sia del proprio partito.
• A testimoniare il profondo radicamento del teatro nella società ateniese sono la vasta partecipazione
popolare e l'istituzionalizzazione stessa di ogni passaggio rilevante e precedente la messinscena.
→ Di fatto la strutturazione degli agoni occupava ben oltre metà dell'anno attico, a Ecatombeone, fra giugno
e luglio, dagli arconti erano immediatamente designati i coreghi, quei cittadini abbienti che avrebbero
sostenuto le spese per l'allestimento degli spettacoli. In quell'occasione, i poeti non presentavano l'intera
opera, ma una selezione. Gli agoni si concludevano con la proclamazione di vincitori, prassi che è alla base
delle registrazioni epigrafiche che consentono tuttora di avere notizie aggiuntive sugli spettacoli ad Atene. La
selezione dei dieci giudici, uno per tribù, avveniva per sorteggio, salvo deroghe.
• La partecipazione diffusa e la cornice politico-religiosa dei festival spiegano come lo spettacolo nel mondo
greco costituisca un atto della collettività, molto diverso da quella giustapposizione di individui che affollava i
teatri romani.

Un teatro per Atene


Secondo la tradizione, gli Ateniesi si risolsero a costruire il teatro di Dioniso dopo il crollo delle tribune lignee
collocate nell'agorà che ospitavano gli spettatori convenuti ad assistere a una recita di Pratina, all'inizio del V
secolo a. C. Il teatro fu dunque traslocato sul lato meridionale del colle dell'Acropoli, presso il recinto sacro al
dio Dioniso, a sancire così uno spazio dedicato allo spettacolo e nondimeno istituzionalizzato nella festa
cittadina.
• La prima struttura in pietra, cominciata per volontà di Pericle, in qualche modo replicava e seguiva il
tracciato rudimentale del teatro esistente, conservandone così la forma a conchiglia che delimitava
l'orchestra con l'analoga e antica pianta circolare del choros sacro.
• Sul lato opposto dell'orchestra rispetto agli spettatori si situava la scena, su cui si esibivano gli attori, ma
non vi sono notizie sul fatto che essa fosse rialzata già nell'età precedente l'intervento di Pericle. Sull'altezza
della scena periclea esistono tuttora alcune questioni aperte: gli studiosi sono divisi fra l'ipotesi che
contempla un medesimo piano per scena e orchestra, e quella che presuppone un dislivello fra la scena e
l'orchestra. Il dibattito rimasto ancora oggi aperto ha implicazioni drammaturgiche e non solo archeologiche
perchè è del tutto evidente che una situazione spaziale in cui coro e attori agiscono allo stesso livello
suggerisce uno spettacolo diverso da quello concepito per uno spazio in cui gli attori sono più in alto della
compagine corale.
• Va giudicata con molta prudenza, infine, la questione dei parasceni, strutture mobili che delimiterebbero
lateralmente la scena: risulta incerta la data della loro introduzione, ma, se ci si ispira a un principio di
convenienza drammaturgica, è improbabile la loro presenza nel V secolo a.C.
• La struttura del teatro greco rivela alcune importanti caratteristiche:
1) non si tratta di una struttura coperta;
2) è concepita per ospitare un corpo civico numeroso e certamente eterogeneo;
3) lo spazio è tripartito, dunque il confine fra pubblico e scena risulta estremamente debole e mobile.
Il pubblico del teatro greco
Che il teatro come struttura e funzione abbia un tratto politico si ricava rigorosamente anche da alcuni dati
storici e archeologici, nonché dalla disposizione stessa del pubblico alle rappresentazioni ateniesi.
• L'andamento curvo della cavea costituisce una sorta di apparente manifesto di egualitarismo, specialmente
nella democratica Atene, allorchè la gerarchia sociale è nondimeno riprodotta e pertanto ribadita
nell'articolazione specifica dei posti a sedere: la proedria, vale a dire le prime file, era appannaggio delle più
alte cariche civili e religiose della città, mentre le file immediatamente successive erano occupate dai cittadini
di pieno diritto; quelle più lontane dalla scena dai meteci, verosimilmente da quegli schiavi che avevano
accompagnato a teatro i padroni e forse dalle donne. La questione del pubblico femminile alle
rappresentazioni ateniesi è ancora ampiamente dibattuta.
• La capienza del teatro dionisiaco pare esser stata notevole, con una capacità di ospitare circa 15.000
spettatori. Questa possibilità ha evidentemente conseguenze non irrilevanti sugli aspetti drammaturgici, dal
momento che l'eterogeneità del pubblico sarà stata certamente presa in considerazione dai poeti nel
concepire le opere; allo stesso modo le dimensioni del teatro avranno determinato scelte sui movimenti degli
attori e sull'impiego della parola, non secondarie nella realizzazione di uno spettacolo.
• L'annosa edificazione del teatro pericleo fu ripresa e conclusa da Licurgo nella seconda metà del IV sec a.C.
Se si osserva l'evoluzione dell'organizzazione dei festival ateniesi, in cui la polis centralizzò sempre più gli
aspetti organizzativi, si può scorgere un parallelismo con l'evoluzione della struttura del teatro, con la sua
monumentalizzazione progressiva, compiuta in età romana. Si tratta di una monumentalizzazione che è
l'immagine fisica del totalizzante impadronirsi dello spettacolo da parte di un potere politico nuovo.

Il coro
Elemento centrale dello spettacolo tragico, satiresco e comico, come di quello ditirambico, è il coro.
• Innanzitutto considerare l'elemento del coro implica considerare tripartita la scena greca, esattamente
come tripartito è il teatro come luogo fisico. La suddivisione di scena, orchestra e cavea rispecchia quella di
attore, coro, spettatore, a ribadire quel confine debole fra vicenda inscenata e pubblico, ben presto superato
a favore di un'opposizione binaria che prevarrà nel teatro romano e si imporra nel teatro moderno.
• Il coro assunse sempre più la funzione di esecutore di entractes, come parrebbe indicare, non senza
disappunto, Aristotele nella Poetica: «le parti cantate recentemente non hanno a che fare con la trama più di
quanto non abbiano a che vedere con quella di un'altra tragedia: cantano pertanto intermezzi», ma questa
funzione, diversa rispetto alle prove del V secolo a. C. non autorizza a parlare, in senso valutativo, di
svilimento del coro, quanto piuttosto di progressiva estraneità del coro all'azione drammatica. Si tratta
dunque di una componente non più drammatica (nel senso di attiva), ma spettacolare, di intrattenimento.
• Sul piano numerico, i componenti della compagine furono di quantità diversa in base al genere: il ditirambo
era cantato e danzato da cinquanta coreuti ed è l'idea aristotelica di una derivazione della tragedia dal
ditirambo ciò che ha condotto alcuni studiosi a ipotizzare che le tragedie più antiche disponessero di una
componente corale numericamente analoga. Ma questa ipotesi non trova alcun riscontro nei testi e nelle
testimonianze, sostanzialmente concordi invece nel delineare una prima fase della tragedia con dodici coreuti
e una seconda, inaugurata da Sofocle, con quindici componenti. Sul dramma satiresco le testimonianze
antiche non permettono di definire la quantità dei coreuti, mentre per la commedia c'è concordanza sul
numero di ventiquattro elementi.
• Il coro ditirambico danzava secondo andamenti circolari, mentre le danze tragiche, satiresche e comiche
saranno state, almeno inizialmente, lineari e fondate su schemi rettangolari e quadrati.
• A dispetto del ruolo rilevante che la danza ebbe nel dramma greco, non si conosce molto dei suoi
movimenti nella produzione drammatica, se non che, in generale, ebbe una carattere mimetico e non
astratto o simbolico. Perlopiù ciò che resta sono dati onomastici: della danza tragica (emmeleia), di quella del
dramma satiresco (sikinnis), di quella comica (cordax) e di alcune loro figure – nomi che rimandano spesso al
mondo animale.

Gli attori
Non sembra che il teatro antico abbia originariamente conferito attenzione agli attori. Costoro, a quel che si
conosce, erano tutti uomini e indossavano maschere.
E' dunque solo a partire dalla seconda metà del V secolo a.C. che la figura dell'attore inizia a imporsi come
uno dei mezzi del teatro, tuttavia raramente, nelle fonti, con un proprio nome, e dunque con un'identità e
una consistenza umane, biografiche.
• Originariamente l'attore è solo strumento del teatro, anonima figura. L'attore greco è senza un nome a
segnalarne la professione: hipokrites è il termine greco utilizzato, locuzione dal significato incerto e ambiguo,
derivato da un verbo che indica fin da Omero attività profetica, di interpretazione di un indizio da parte degli
indovini. In Omero l'interprete dei sogni attualizza e rende fruibile per l'intera comunità il senso profondo del
paesaggio onirico; analogamente, l'attore media la parola, la rende corporea. Ritornando alle origini religiose
del teatro, si potrà sospettare che tanto il nome dell'attore, quanto il suo originario anonimato, quanto forse
la maschera, rivelino la figura di un officiante, come un canale vuoto via via riempito dal contenuto di cui si fa
mezzo decifrante per chi osserva e ascolta l'azione.
• Secondo Aristotele, Eschilo introdusse un secondo attore sulla propria scena tragica, ovvero un
interlocutore dell'attore principale. Si deve poi a Sofocle l'introduzione di un terzo attore, beninteso parlante.
Si direbbe che Aristotele non avesse conoscenza di un eventuale quarto attore e che definisse così un
principio compositivo che si annuncia come tradizionale, se nel I secolo a.C. il classicista Orazio (Ars poetica
192) raccomandava sempre i tre attori. Sulla commedia, invece, il numero canonico degli attori è meno
chiaro.
• Quella che appare dunque una regola, perlomeno nella tragedia, determinava evidentemente la possibilità
di affidare più parti a uno stesso attore: l'operazione era in sé agevolata dalla maschera, ma ciò che conta
non è tanto il ricorso alla maschera come possibile espediente per diversificare le parti, quanto soprattutto
l'inganno, del resto accettato di buon grado dal pubblico, secondo il quale personaggi diversi sono agiti dalla
stessa figura professionale.
→ La conseguenza più rilevante di questa abitudini è di ordine compositivo e di dinamismo della scena.
Rispetto al dinamismo non c'è nulla da aggiungere a quanto si ricava dai copioni, sicchè la concitazione non
deriva tanto da un affollamento acustico e concettuale della scena, quanto piuttosto da una variazione
ritmica e di articolazione delle battute, oltre ai movimenti e alle azioni, non sempre ricavabili dal testo
verbale.
Sul piano compositivo è abbastanza evidente che in taluni caso lo stesso attore abbia interpretato parti
maschili e femminili nella stessa opera.
• Solamente i testi, probabilmente, rappresentano l'unico appiglio concesso all'interprete moderno per
ricostruire parti delle modalità recitative dell'attore antico. Infatti, le raffigurazioni vascolari che rimandano a
prassi teatrali non paiono, su questo versante, affidabili.
• Il rapporto teatro-attore è pertanto sin dalle origini mutevole: l'attore da antico medium diviene il padrone
del teatro, perlomeno dal IV secolo a.C. e poi, compiutamente, nel mondo latino, si affaccia e si impone
sovente un teatro per l'attore.
• L'importanza dell'attore ha avuto un decisivo riflesso nella trasmissione dei testi come sono giunti nella
tradizione manoscritta, poiché è ormai acquisizione incontrovertibile che molti copioni sono stati alterati
dagli attori con aggiunte volte a espandere in quantità e patetismo il testo originale.
• La loro professionalità trovò una consacrazione nelle corporazioni e nelle associazioni, attestate ad Atene e
in generale nel mondo greco dall'inizio del III secolo a.C., dopo il manifesto interesse per attori e musicisti
dimostrato sia da Filippo II di Macedonia sia da Alessandro Magno.
→ Dalle iscrizioni si percepisce come le corporazioni siano state spesso fondamentali per l'istituzione o
l'ampliamento e in generale per l'organizzazione delle feste; e da questa attività sempre più capillare in
Grecia non fu esente in realtà parte del mondo grecizzato, compresa la Magna Grecia, se Napoli nel I secolo
a.C. divenne un notissimo ritrovo di artisti drammatici.

Il canto
Aristotele nella Poetica individua la lexis (il linguaggio) e la melopoiia (la composizione dei canti). E,
osservando i copioni superstiti, siano tragici, comici o satireschi, si può constatare come varie parti siano state
recitate, altre siano state pronunciate in una sorta di recitativo e altre, sia corali sia singole, siano state a tutti
gli effetti cantate. Normalmente, si ritiene che le parti recitate fossero quelle in trimetri giambici, quelle in
tetrametri trocaici o giambici fossero in recitativo e quelle nei metri lirici fossero infine cantate.
• Spesso veniva utilizzato l'aulos, strumento convenzionalmente tradotto con “flauto”, ma che era
certamente a doppia canna, con un'ancia, dall'interno ruvido e di lunghezza tale per cui il tono è certamente
da assimilarsi più all'oboe che al flauto moderno. Non c'è dubbio che, insieme all'aulos, l'altro strumento più
diffuso nel dramma fosse la lira. Inoltre, in alcuni casi, pare fossero presenti strumenti percussivi.
• Senza voler schematizzare eccessivamente, sembrerebbe che l'aulos e forse la lira siano stati strumenti volti
all'accompagnamento musicale; gli altri strumenti sono stati coinvolti, invece, solo per necessità
drammaturgica richiesta dalla scena. Vale a dire che, mentre l'aulos e la lira erano udibili da pubblico e attori
ma non, convenzionalmente, dai personaggi, tutti gli altri strumenti così come talora aulos e lira erano
percepibili anche dai personaggi in quanto strumenti in scena e utili alla drammaturgia.

Maschere, costumi, oggetti e macchine


• La fissità espressiva della maschera sarà servita a definire meglio l'ethos del personaggio, che, nel teatro
tragico in particolare, appare spesso immutabile, mentre nel corpo del personaggio si saranno tradotte le
inclinazioni e i pensieri, vale a dire le intenzioni del personaggio stesso.
• Nel caso del teatro tragico, la tradizione attribuisce a Tespi, quale “inventore” del genere, l'impiego di
maschere nella performance.
• Si ritiene che le maschere fossero in lino e poi colorate, da Eschilo, ma forse il novero di “invenzioni”
attribuite dagli antichi al drammaturgo è più generoso rispetto alla realtà storica.
• Non sono chiare le sembianze delle maschere della commedia antica, per quanto, sulla scorta di una
testimonianza di Polluce, si sia a lungo sostenuto che nella commedia “archaia” le maschere fossero dei
ritratti mentre per la “nea” dei tipi, in correlazione anche ai diversi stili della commedia. In realtà, le fonti di
Polluce per le maschere comiche non hanno diversa datazione da quelle per le maschere impiegate nella
tragedia, e non c'è alcun elemento che suffraghi l'ipotesi delle maschere-ritratto. L'idea della maschera-
ritratto è stata avanzata per sostenere l'immediata identificazione visiva, da parte del pubblico, con alcuni
personaggi della commedia del V secolo a.C.

• Anche per quanto riguarda i costumi, i testi tornano a essere gli unici elementi utili per cogliere alcuni
aspetti dei costumi antichi. Dai vasi dipinti non molto si ricava per la tragedia, perchè non sempre si capisce
se il pittore ha rappresentato un momento del mito oppure la forma tragica del mito. Tuttavia è certo che
qualche elemento del costume aveva un valore iconografico indispensabile a cogliere immediatamente il
rango del personaggio, o soprattutto, la divinità interpretata.

• La presenza o meno di un oggetto di scena sarà dipesa non solo dalla riproducibilità tecnica, ma anche dalla
sua necessità drammaturgica. Comunque sia, in generale, gli oggetti di scena nel teatro greco non erano
totalmente diversi da ciò che essi apparivano nella realtà coeva. Ciò non implica che essi non potessero
assumere nel corso dello spettacolo nuove e inedite funzioni o valori simbolici.
Esempio: Il dialogo fra Agamennone e Clitennestra davanti ai drappi purpurei apparsi ai piedi del re
trionfatore, sulla scena eschilea dell'Agamennone, mostra precisamente questo dato: essi sono drappi, tanto
per i personaggi quanto per il pubblico; ma la parola teatrale li trasforma, per il pubblico, nel segnale
dell'esiziale spargimento del sangue del re.

• La tragedia e poi la commedia non ignorarono l'apporto delle innovazioni tecnologiche alla scena, a partire
dagli anni Trenta del V secolo a.C. Di sicuro impiego deve dirsi la macchina del volo, una gru con cinghie e funi
impiegata per far arrivare sulla scena e per allontanare da essa personaggi in volo, specialmente le divinità.
• E' molto discusso, invece, l'impiego nel teatro del V secolo a.C. del cosiddetto ekkuklema o enkuklema. Si
tratterebbe di un carrello che usciva dalla zona retroscenica: altri hanno pensato a un meccanismo volto a
mostrare gli interni retroscenici, una sottoforma di piattaforma girevole.
• La macchina del volo, invece risulta solidamente attestata. Non è però possibile affermare con certezza che
essa fu impiegata in una delle tragedie superstiti e precedenti la Medea di Euripide (431 a.C.), nel cui finale il
macchinario fu certamente impiegato.
Infatti le apparizioni di divinità ex macchina, nella tragedia, si collocavano spesso nei finali.
Esempio: Nel finale della Medea, la protagonista appare sollevata sul carro che il Sole, suo antenato, ha
consegnato a difesa dei nemici; sul carro con la maga ci sono i cadaveri dei figli, mentre a terra, solo e
maledetto dalle aspre parole di Medea, c'è il marito Giasone. La macchina del volo ha qui una funzione
scenotecnica che, attraverso la sollecitazione della vista, traduce nel finale della tragedia il senso della
sconfitta di Giasone e rivela la vittoria di Medea insieme alla sua natura semidivina. Sul piano della vista, cioè,
si enfatizza il rovesciamento rispetto alla situazione iniziale, in cui Medea appariva esule e prostrata dopo
l'abbandono di Giasone.
→ Euripide favorisce dunque un impiego degli strumenti della scenotecnica non avulsi dalla drammaturgia.
La macchina del volo serve a realizzare un movimento fisicamente irreale ma scenicamente travolgente,
attraverso l'impiego di un mezzo che si vorrebbe invisibile e che il pubblico, di buon grado, accetta come tale.
• Aristotele nella Poetica stigmatizza i finali ex machina in quanto essi dovrebbero scaturire dalla vicenda
stessa e non per intervento di un agente giudicato come esterno.

• In generale, si direbbe che l'ingerenza della scenotecnica nella drammaturgia, l'accresciuta disponibilità
degli attori a tirare indulgenti a una generica spettacolarità e il nuovo ruolo del coro costituiscano elementi
disgregativi rispetto alla chiusa e verticale struttura drammaturgica scaturita dalle prime prove tragiche. Ed è
alle suddette spinte disgregative insite nella tragedia nuova che si riferisce Artistotele, quando propone nella
Poetica un ritorno all'ordine.

Il ditirambo
Fra i generi protagonisti dei festival ateniesi, va considerato il ditirambo: antichissimo canto cultuale per
Dioniso. Già nel VI secolo a.C. però, il tema dionisiaco sembrerebbe essere stato affiancato da altri temi
mitologici.
L'elemento spettacolare fondante del ditirambo consiste nel canto corale danzato attorno all'altare del dio, in
assetto circolare.
• Per quanto generica, merita attenzione la notizia aristotelica che nel ditirambo colloca le origini della
tragedia: «la tragedia sorse da un principio di improvvisazione – sia essa sia la commedia, la prima da coloro
che intonavano il ditirambo, la commedia invece dai cortei fallici che ancora oggi sono in uso in molte città –
a poco a poco crebbe secondo quanto veniva manifestandosi; e dopo molti mutamenti smise di mutare,
quando raggiunse la propria natura».
• Dai testi tragici meglio conservati, si direbbe che i cori euripidei sempre più spesso abbiano seguito
evoluzioni circolari nella danza, come nel ditirambo, e non, come invece nelle prove precedenti, secondo
linee rette.
• Quanto alla musica, converrà perlomeno segnalare come, nell'ultimo quarto del V secolo a.C., in
particolare, siano state introdotte novità di tipo tecnico soprattutto sugli strumenti, capaci di conferire alle
esecuzioni corali e specialmente ditirambiche nuovi e più virtuosi andamenti, mimetici di suoni naturali – e
fin realistici negli effetti si direbbe.
• Su un dato conviene riflettere, nel grande naufragio cui gli spettacoli canori e orchestrici del cosiddetto
“nuovo ditirambo”, quello composto dagli anni Venti del V secolo a. C., andarono incontro: che proprio
questa dispersione può essere motivata, oltre che dai consueti fattori casuali, dal rilievo affidato nello
spettacolo a componenti meno registrabili rispetto alla parole, come musica e danza.

Tragedia e dramma satiresco


Conviene immediatamente distinguere la tragedia dalla lirica corale in generale e dal ditirambo in particolare.
• In entrambi i generi (per utilizzare una categoria moderna e non del tutto appropriata al mondo antico) la
dimensione visiva e sonora risulta fondamentale in quanto:
1) l'oralità dell'esecuzione e della ricezione è caratteristica specifica;
2) sia nella lirica sia nella tragedia esiste la componente corale;
3) inoltre, la vicenda evocata trae origine nel patrimonio mitico; esiste comunque un legame più o meno
esplicito ed evidente con l'attualità storica.
Questi punti di contatto giustificano, con molta cautela il richiamo all'origine ditirambica della tragedia
promosso da Aristotele.
• L'elemento che pare maggiormente distinguere i due generi non sembra tanto la scelta della narrazione per
la lirica corale a fronte del dialogo per la tragedia, dal momento che alcune composizioni corali sono
dialogiche, quanto il rapporto con il pubblico.
• La tragedia costituisce una delle principali forme con cui si manifesta la drammaturgia ateniese. Non basta
ed è anzi fuorviante l'idea secondo la quale l'esito felice e doloroso della vicenda sia la formula concettuale,
appropriata per identificare una tragedia.
• Aristotele nella Poetica afferma che: «Tragedia è imitazione di un'azione seria e compiuta, azione che ha
una propria grandezza, con parola ornata (=testo poetico) e propria per ciascun elemento nelle sue parti;
l'imitazione riguarda persone che agiscono e non avviene per mezzo di narrazione; attraverso pietà e paura
compie la purificazione di queste emozioni».
• Un genere mimetico tout court, dunque, privo di narrazione, poetico con metri e ritmi differenti in base alle
parti, destinato a suscitare emozioni precise.
• Una differenza fondamentale fra la lirica corale e la tragedia risiede dunque nella specificità della parola
teatrale, una parola attoriale, concepita per la scena, rappresentativa prima che comunicativa, attenta alla
dimensione spaziale; mentre alla narrazione, dunque, si predilige il senso del tempo, nel teatro lo spazio si
rivela dominante.
• Si potrà tenere conto di un ulteriore aspetto tipico del teatro, precocemente presente nella tragedia greca:
la moltiplicazione delle parti; la presenza di personaggi veri e propri nel testo teatrale conduce
inevitabilmente anche a una moltiplicazione dei punti di vista. Ciò non significa la nascita, con la tragedia, di
un relativismo gnoseologico, ma certamente andrà riconosciuta la rappresentazione di una realtà
problematica, dello scontro di opzioni opposte.
• Anche l'impiego del mito risulta profondamente differente fra lirica corale e trag3edia, spesso anche in
ragione della committenza: nella lirica corale il committente si rivela, la sua menzione occupa una posizione
precisa della composizione, in qualche modo predetermina anche la scelta del materiale mitico elaborato dal
poeta e cantato dal coro; mentre nella tragedia il committente, Atene, viene richiamato sulla scena con
modalità differenti e certamente non esplicite.
• E' stato ampiamente dimostrato come anche le tragedie mitologiche siano in realtà un mezzo da ricondursi
alla dimensione politica del teatro ateniese, in quanto al materiale tratto dal mito viene affidata la possibilità
di un messaggio civico o etico per il pubblico.
• Un dato interessante sarà certo il rapporto con il patrimonio mitico da parte del pubblico: gli spettatori
conoscevano a grandi linee i miti inscenati, ma è pur vero che le varianti del mito offrivano ai drammaturghi
una scelta non irrilevante ai fini del senso profondo della tragedia nel suo divenire spettacolo. Il fato che in
svariati prologhi euripidei il personaggio parlante riprenda le coordinate mitiche costituirà un orientamento
dell'orizzonte d'attesa del pubblico; e la scelta di alcuni dettagli avrà costituito un ulteriore accrescimento del
punto di vista del poeta, la cui originalità non sarà stata tanto nella scelta del mito, quanto piuttosto nella
modalità con cui quella scelta si è realizzata sulla scena.
• Secondo Aristotele, fu Sofocle a definire il coro in quindici componenti e a introdurre i fondali dipinti; ma
queste caratteristiche innovative non si riescono a dedurre dai testi. In particolare andrà segnalata la
tendenza a isolare l'eroe tragico attraverso il linguaggio o la definizione dello spazio, come risulta evidente nel
Filottete (409 a.C.), dove Neottolemo e un fraudolento Odisseo tentano di recuperare l'arco che il
protagonista della tragedia ha con sé, sull'isola dove vive in solitudine da quando gli altri eroi recatisi a Troia
lo avevano abbandonato.
• Si suole attribuire a Euripide una tendenza accentuata verso sperimentazioni che genericamente vengono
definite innovazioni. Si tratta di una prassi compositiva non sempre accolta favorevolmente dai
contemporanei, se si osserva il numero non eclatante di vittorie conseguite dal tragediografo mentre era in
vita, a fronte di una fortuna successiva significativa. Le cosiddette “innovazioni euripidee” sembrerebbero
dispiegate su tutti gli aspetti del dramma tragico:
1) l'infanticidio in Medea costituisce una sorta di innovazione stando alle fonti antiche e alle pitture vascolari;
2) il recupero di versioni meno diffuse di una vicenda mitica;
3) nel trattamento del linguaggio, il progressivo allontanamento da una tensione aulica del dettato, per
risolversi a scelte più quotidiane, cosa che attirerà sul tragediografo le critiche di un'inclinazione eccessiva
all'umanizzazione dei protagonisti.
→ Tali innovazioni hanno certamente prodotto conseguenze sulla recitazione degli attori: in modo
provocatorio, ma non troppo, si potrebbe dire che le sperimentazioni euripidee nella tragedia contribuirono a
un cambiamento di gusto del pubblico ateniese, determinando non già la fine della tragedia, bensì il
superamento di un'estetica incline all'antica farsa comica.
• Si è sovente insistito sul carattere politico del teatro tragico: senza voler produrre un automatismo fra opera
d'arte e contesto politico, tale attenzione ha una sua ragion d'essere. Non sempre sarà possibile, in Euripide,
come nei suoi predecessori, individuare l'orizzonte civile della tensione tragica messa in scena, ma almeno si
potrà qui segnalare, per Euripide in particolare, un impegno per la causa della pace presente in più di
un'opera.
• Stando alla produzione tragica superstite si possiedono oggi svariati frammenti e alcune tragedie integre:
sei di Eschilo (Persiani, Sette contro Tebe, Supplici, Agamennone, Coefore, Eumenidi) e una di dubbia
autenticità (Prometeo incantato), sette di Sofocle (Aiace, Antigone, Trachinie, Edipo re, Elettra, Filottete,
Edipo a Colono) diciassette di Euripide (Alcesti, Medea, Ippolito, Andromaca, Eraclidi, Ecuba, Supplici, Elettra,
Ifigenia fra i Tauri, Eracle, Troiane, Elena, Ione, Fenicie, Oreste, Baccanti, Ifigenia in Aulide), una spuria (Reso)
e un dramma satiresco, l'unico superstite integro di tutta la produzione antica (Ciclope).

• Gli antichi attribuivano a Pratina di Fliunte l'invenzione del dramma satiresco, dunque a cavallo fra VI e V
secolo a.C.: si tratterà non già di un'invenzione vera e propria, ma più verosimilmente di una sorta di
canonizzazione di un genere, forse importato da Fliunte all'interno delle Dionisie cittadine ateniesi. La
presenza costante di un coro di satiri nel dramma satiresco ne conferma l'origine dionisiaca, ma nulla è
rimasto delle prime prove.
• L'unico dramma superstite è il Ciclope di Euripide, la cui struttura appare perfettamente aderente a quella
di una tragedia, con un prologo (recitato), una parodo (cantata), quattro episodi (recitati) alternati agli stasimi
(cantati) e chiusi da un esodo.
• Il dramma satiresco rappresentava un momento più sereno rispetto alle trilogie tragiche che lo
precedevano, con una collocazione agreste; e, non a caso, l'episodio mitico rappresentatovi, che intratteneva
spesso un legame con la trilogia di tragedie precedentemente rappresentate, si dipanava in un'atmosfera
lieta e si inscenava con un linguaggio meno aulico.

La commedia
Mentre per la tragedia si può ragionare a partire anche dalla produzione superstite di Eschilo, Sofocle ed
Euripide, per la commedia del V secolo esistono, integre, undici commedie di Aristofane (Acarnesi, Cavalieri,
Nuvole, Vespe, Pace, Uccelli, Tesmoforiazuse, Lisistrata, Rane, Ecclesiazuse, Pluto), che molto difficilmente
possono dirsi un campione adeguato.
• Gli elementi costanti sembrerebbero essere:
1) la presenza di un coro, che le fonti concordemente fissano in ventiquattro coreuti;
2) una struttura, non certo rigida e fissa eppure riconoscibile, che aveva momenti di snodo attorno al
cosiddetto “agone” e alla parabasi (il momento di massima identificazione dell'autore nel coro che si
rivolgeva al pubblico, con un'inversione, per certi versi, della direzione della mediazione corale).
Il caso dell'agone è significativo di un elemento della composizione, che, a quanto pare, gli antichi studiosi
non riconoscevano come strutturale ma che i moderni hanno potuto individuare nella presenza costante di
un dialogo acceso e non senza toni oltraggiosi fra due personaggi. Pur non completamente prese in tutte le
commedie superstiti, la parabasi era invece già percepita come elemento della commedia, fin dall'antichità,
forse come brano corale.
• Come per la tragedia, anche la commedia cosiddetta archaia (“antica”, in realtà di pieno V secolo)intrattiene
rapporti molto profondi con la politica contemporanea, rapporti anche più evidenti di quanti non ne riveli la
tragedia, dal momento che i riferimenti politici nelle commedie del V secolo a.C. sono puntualmente
dichiarati o riconoscibili quand'anche allusi attraverso soprannomi o metafore.
• Un tratto abbastanza vistoso della commedia, considerato come specifico della produzione comica del V
secolo, consiste nella potente carica aggressiva. Infatti la commedia mostrò un'inclinazione ad attacchi
personali espliciti e intraprese invenzioni verbali molto spesso violente e volgari, ma è altrettanto vero che
non tutta la commedia arcaica adottò questa cifra.
• Un altro tratto rilevante del genere comico è indubbiamente l'intertestualità, ovvero la capacità di un
dialogo fra il comico e i generi collaterali. In quest'ambito si potrà considerare il ricorso alla parodia della
tragedia, che si sviluppa su due principali forme e riguarda tutti gli elementi dello spettacolo e non solo
quello verbale.
→ Nelle commedie superstiti integralmente si scorge un solo modo di esercitare la parodia, vale a dire:
1) l'inserzione della maniera tragica in un contesto comico, dove lo scarto consiste nel tono aulico (della
lingua, della musica, della danza, della scenotecnica) per un personaggio o una situazione del tutto
inappropriati ad esso;
2) il travestimento, ovvero l'adattamento di un mito tragico a una situazione molto spesso popolare.
In entrambi i casi la riduzione della tragedia, più spesso della tragedia euripidea, a oggetto di dileggio implica
una discussione sul valore anche civile di quel tipo di spettacolo nel V secolo a.C.
• Dopo il Pluto di Aristofane (388 a.C.) non si possiedono commedie integre prima degli esordi di Menandeo
(342-291 a.C. circa). Della sessantina di anni che separa dunque la prova più recente di Aristofane da quella
più antica e superstite di Menando restano solo varia frammenti comici: stilisticamente, questi lacerti vanno
ascritti a quella che fin dall'età alessandrina fu considerata come “commedia di mezo” (mese). Non appare
come un fatto sorprendente che in questo torno di tempo si assista a un'evoluzione del genere comico che
rende i prodotti dell'archaia e quelli della commedia ellenistica (nea) non perfettamente affiancabili. E del
resto, anche la società ateniese appare diversa: dopo un secolo di lotte intestine la Grecia risulta dominata da
un vincitore straniero, il macedone Filippo II, sicchè i cittadini ateniesi sono ora sudditi cui va dato un teatro
nuovo e differente.
• La commedia cosiddetta “nuova” (nea) appare interessata a trame complesse, con personaggi
psicologicamente tridimensionali, lontani dalla statura “eroica” di quelli aristofanei. E con il nuovo
personaggio comico, anche il coro avrà avuto una sua nuova dimensione: non resta nulla dei brani corali della
commedia nuova, i manoscritti di Menandro recando solo la sigla atta a segnalare in quel punto un
intervento del coro o, per meglio dire, un intermezzo: il compimento, dunque, anche in commedia, di quele
tendenze che Aristotele individuava per la tragedia.

Il nuovo teatro
La nuova dimensione del coro venutasi a delineare nel corso del V secolo si caratterizzava per la tendenza
verso una composizione aggettante e dunque più interessata alla singola scena che alla struttura generale.
→ Non sarà perciò del tutto casuale l'inclinazione dello spettacolo ellenistico e già pre-ellenistico ad alterare i
testi tramandati dei secoli precedenti con lo scopo di amplificare le parti protagoniste.
• Il destino post-teatrale dei testi teatrali tradizionali pare essere andato incontro a due direzioni:
1) una di ordine erudito, di conservazione e studio, ciò che ha permesso la sopravvivenza di alcune delle
tragedie e delle commedie inscenate ad Atene;
2) l'altra, sul versante spettacolare, sembrerebbe una tendenza antologizzante, da non giudicarsi comunque
come l'unica via, volta a selezionare brani adatti a recital, anche inerenti.
• Tale cultura, in accordo con il mutato ruolo degli attori e con la diversa attenzione agli edifici teatrali,
condusse all'affermazione di un teatro vocato all'intrattenimento, magari embrionale al tempo di Aristotele,
ma che certamente si impose a partire dal III secolo a.C. nel mondo ellenizzato.
• Il processo di antologizzazione mira alla costruzione di uno spettacolo che ha nella spettacolarità
dell'evento il principio compositivo, come se il testo fosse il mezzo per esibire la capacità performativa
dell'attore-cantante-musico.
• Quella antologica non sarà stata certo l'unica forma di spettacolo del mondo ellenistico, anche in quelle
opere in cui la musica e il canto solista hanno avuto un ruolo rilevante: non si tratta dunque solo di
rielaborazioni di testi delle epoche precedenti, ma anche di composizioni nuove e originali, come il Lamento
dell'esclusa, databile alla fine del III secolo a.C. Si tratta di un testo destinato alla performance di un solo
attore, un testo poetico adatto al canto, come dimostrano i metri-ritmi coincidenti con alcuni schemi adottati
nei cantica di Plauto, e destinato a un pubblico di greci d'Egitto della classe medio-alta. Questo tipo di
spettacolo sarà un esempio di teatro popolare ellenistico.

Il teatro a Roma
Dell'antica e locale farsa italica non si conosce molto, in quanto inserita in occasioni improvvisate, o
comunque in quanto non affidata a strutture adatte alla preservazione e alla trasmissione: in particolare,
tutta la partitura verbale parrebbe essersi fondata su un canovaccio e pertanto facilmente dispersa.
• Si conoscono pochi cenni sui fescennini e sull'atellana, prima che questa assumesse una forma più letteraria
e pertanto meglio conservata.
• Tendenzialmente gli attori e i performers nel mondo latino furono schiavi, senz'altro non cittadini romani; i
festival che ospitavano momenti spettacolari avevano una propria dimensione religiosa, ma non erano
concepiti come momenti di raccolta della collettività intorno al teatro, quanto come occasioni di
intrattenimento. Ciò nono significa che i ludi non siano stati oggetto di interesse da parte della classe
dirigente romana, almeno come veicolo di consenso.
• Il rapporto con la divinità si rivela garantito dagli aggettivi che caratterizzano i principali momenti di
aggregazione in quanto dedicati rispettivamente a Giove, ad Apollo e alla Grande Madre. Ciò che interessa è
il nome che accomuna tutte queste occasioni: ludi, “giochi”. Il tratto onomastico distingue chiaramente la
festa cultuale ateniese da quella romana, che si caratterizza dunque come una festa della collettività, una
pausa dell'attività ordinaria, specialmente quelle politica e militare.
• Anche la struttura di queste feste appare significativa di un modo diverso di concezione del teatro, in
quanto le diverse forme di spettacolo erano spesso programmate contemporaneamente, dunque in una
sorta di competizione fra i ludi circenses (che comprendevano varie specialità come i giochi del circo, le
esibizioni dei saltimbanchi, le gare sportive, gli incontri gladiatori) e i ludi scaenici (il teatro vero e proprio).
• Il fatto che l'elemento politico sia presente nella fase preparatoria, e poi nell'ammannire gli spettacoli al
pubblico, non significa che la politicizzazione del teatro ricalchi in qualche modo quella ateniese: in Grecia, la
politica non creava il consenso solo con la festa rituale in cui erano allestiti gli spettacoli, ma con gli spettacoli
stessi, con il loro finanziamento e con il testo messo in scena.
La precoce volontà politica di costruire un teatro stabile nell'Atene democratica a sua volta adombra una
concezione del rapporto fra il teatro e la comunità diversa da quella romana, dove i teatri stabili furono
costruiti molto tardivamente, di fatto al termine dell'età repubblicana.
• Se il primo teatro in muratura pare essere essere stato, dopo quello di Bologna (88 a.C.), il grande teatro
che Pompeo volle edificare nella capitale intorno al 55 a.C., le ultime prove drammaturgiche che sono state
oggetto di selezione e conservazione risalgono ad alcuni decenni prima. Si direbbe che al volgere dell'età
repubblicana la separazione fra i ludi destinati alla scena e i ludi di intrattenimento vero e proprio fosse
definitivamente compiuta.
• Dal punto di vista strutturale la forma del teatro romano appare in parte diversa da quella del teatro greco,
per una maggiore autonomia e solidità strutturale, per una propria valenza urbanistica rilevante e per una
monumentalizzazione sempre più accentuata.
• Andrà segnalato l'elevarsi della scena su cui recitavano gli attori; e andrà notato come lo scenario non fosse
più affidato a una struttura effimera, ma fosse diventato parte dell'edificio in muratura.
• L'elemento più interessante qui sarà però la trasformazione del nucleo base dello spazio teatrale greco: la
circolarità del choros si estingue definitivamente in una dimensione semicircolare, una sorta di cavea in
miniatura, atta a ospitare spettatori illustri, specialmente i senatori, omologhi di alcune cariche rilevanti
dell'Atene democratica.
• Il teatro diviene sempre più un luogo di comunicazione tout court, in cui il coinvolgimento del pubblico è
differente rispetto all'epoca classica e in cui l'opera drammatica non si delinea più come mezzo di catarsi,
secondo la definizione aristotelica, o di dibattito civile, secondo una delle letture moderne; piuttosto, il teatro
diventa luogo di intrattenimento, emotivamente coinvolgente, ma in cui esiste una chiara separazione fra
spettatori e attori, senza alcun intermediario, come fu invece il coro, e dunque senza alcun luogo per esso,
come fu l'orchestra: da un'articolazione su tre e elementi a una bipartizione.

Le origini del teatro latino


Lo storiografo Tito Livio (I secolo a.C.) ricorda l'evento in cui si riconosce convenzionalmente la nascita della
letteratura latina, allorchè, attorno al 240 a.C. se non in quello stesso anno, Livio Andronico, un greco di
Taranto, mise in scena una propria opera, forse una tragedia, su un solo soggetto e con una separazione fra
parti cantate e parti dialogate. Che cosa rappresentò Livio Andronico non si conosce.
• Della produzione teatrale di questo periodo resta molto poco per farsi un'idea di cosa fu la tragedia latina
dell'età repubblicana.
• Si ricava qualche indizio per sostenere, con cautela, la presenza del coro, sulla cui funzione nel teatro latino
si innestano questioni aperte, in quanto, se già in quest'epoca lo spazio dell'orchestra era occupato da
spettatori di alto lignaggio, il ruolo e la dimensione della compagine corale erano evidentemente molto
diversi rispetto al teatro greco. L'elevazione dello stile e l'impiego diffuso di figure di suono per enfatizzare il
contenuto evocato dalle parole fanno sospettare una compensazione stilistica nelle parti attoriali di
quell'elemento che nel modello greco era affidato al coro.
• Meglio conservate dovranno dirsi le prove della commedia, grazie alle opere superstiti di Plauto
(Amphitruo, Asinaria, Aulularia, Bacchides, Captivi, Casina, Cistellaria, Curculio, Epidicus, Menaechmi,
Mercator, Miles gloriosus, Mostellaria, Persa, Poenulus, Pseudolus, Rudens, Stichus, Trinummus, Truculentus
Vidularia) e di Terenzio (Andria, Heautontimorumenos, Eunuchus, Phormio, Hecyra, Adelphoe), tutte
commedie di ambientazione greca (fabula palliata). Di commedie di ambientazione romana (togata) restano
vari frammenti di Titinio (II secolo a.C.) e di Afranio (I secolo a. C.)
• Il materiale superstite permette di osservare un'assenza totale del coro nel teatro comico latino. Sul piano
stilistico e performativo si assiste alla trasformazione di svariati momenti originariamente destinati alla
recitazione in canti.
• Il poeta drammatico arcaico non praticò, abitualmente, un solo genere come si chiarisce invece
dall'esperienza teatrale greca.
• Lo spettacolo ellenistico, con le sue nuove forme, deve essere assunto come elemento di confronto e come
orizzonte di riferimento per capire alcune operazioni del teatro colto latino: l'accresciuta rilevanza ai fini della
composizione drammaturgica dell'attore protagonista, le evoluzioni della danza e canore, la tendenza
all'antologizzazione dei testi nella riproposizione spettacolare, l'attenzione accresciuta alla musica e al canto
solista anche negli spettacoli ellenistici totalmente originali, per così dire, sono caratteristiche che in qualche
modo si trovano, con una propria nuova coerenza, nel teatro latino.

Caratteristiche drammaturgiche del teatro latino


Gli aspetti antologizzanti giustificano sul piano culturale la tendenza dei drammaturghi latini a costruire una
trama a partire da più drammi greci precendenti.
Esempio: Ennio nella tragedia Hectoris Lytra assemblò tre tragedie di Eschilo, appartenenti alla stessa trilogia,
a conferma di una disinvoltura nella pratica della contaminatio, ma anche dell'unitarietà con cui Eschilo
concepiva le proprie trilogie. La medesima libertà si trova nell'adattamento del testo stesso, della sua
componente linguistica e metrica, alle esigenze dell'attore.
• Il piano della lingua si configura in una pratica ampiamente studiata e che a partire dalle dichiarazioni stesse
dei poeti comici viene definita vertere. Ma questo processo di trasposizione non si limitò certamente alle
parole del modello greco, o alla struttura drammaturgica, ma coinvolse tutte le componenti dello spettacolo.
• L'elemento italico, vale a dire i generici elementi realistici, risiede in una tendenza a inserire richiami molto
espliciti ad azioni e a momenti della vita quotidiana e non contrasta con la modalità di esecuzione, il canto.
Quest'ultimo non fu considerato elemento straniante rispetto allo spettacolo per mezzo dell'abitudine,
maturata dal pubblico italico, ad ascoltare lunghe parti cantate in spettacoli come la satura, un genere
autoctono.

Il teatro italico, il mimo, la pantomima


Le forme di teatro italico saranno state anche quelle che maggiormente avevano conservato un qualche
legame con la dimensione religiosa che in genere si assume connessa al teatro. Ben poco si sa di queste
forme che vengono ascritte, genericamente, alla farsi italica, in quanto affidate a elementi di improvvisazione.
• La descrizione che Orazio propone di queste forme spettacolari evidenzia alcuni elementi dell'antica forma
giambica. Se ne ricava la cornice di una festa agreste con lazzi e motteggi a botta e risposta: si tratta di una
forma primitiva ed embrionale di teatro.
• Sembrerebbe dunque che solo il teatro meglio conservato, e che più intrattenne rapporti con l'esperienza
spettacolare greca, fosse lontano da un autentico contatto con la sfera religiosa e fosse di fatto privo di
maschere; e del resto, se si può sostenere che il teatro greco, anche nel suo percorso ellenistico, si è sempre
più allontanato da una dimensione religiosa e collettiva.
• L'assenza della maschera avrà contribuito a quelle inserzioni realistiche che in generale paiono esser state
riconosciute all'esperienza teatrale dell'età repubblicana.
• Delle prove successive resta poco, se si escludono le tragedie di Seneca (I secolo d.C.): ne restano nove, otto
di ambientazione greca (Agamennone, Tieste, Edipo, Medea, Fedra, Fenicie, Troiane, Ercole folle, Ercole sul
monte Eta) e con un chiaro modello greco principale, e una di ambientazione romana, certamente non di
Seneca, l'Ottavia.
• Le lunghe tirate, l'uso della parola per evocare una scena che sembra totalmente evanescente e l'evidente
piglio filosofico paiono orientare verso la forma dell'oratorio piuttosto che del dramma.
• Si direbbe che la pantomima e il mimo furono tra le forme di spettacolo più apprezzate dal pubblico.
→ Quanto al mimo, non c'è dubbio che una precoce esistenza, forse di origine religiosa, si riscontra in Grecia,
per quanto i frammenti conversati non permettono di cogliere esattamente le differenze dalla commedia, se
non in una più semplice trama, in una minor estensione e nella riproposizione di momenti della vita
quotidiana. Un elemento di presumibile novità del mimo a Roma è la presenza abituale delle attrici, ma
questa presenza, socialmente disdicevole, può a sua volta trovare un'occasionale origine in Grecia, se
l'Arianna di cui parla Senofonte nel suo Simposio era interpretata da una donna.
→ La pantomima, vale a dire una pratica di fatto danzata, pare abbia goduto di significativo prestigio.

2. Il teatro medievale
Durante il Medioevo, il teatro non esiste più come istituzione e ciò che gli studiosi hanno qualificato come
tale aveva per i contemporanei tutt'altra valenza. Sarebbe perciò più corretto ricorrere al concetto più esteso
di forme spettacolari.
• La storia del teatro religioso medievale è fatta di eventi decisamente eterogenei che potrebbero a buon
diritto essere inclusi nella storia della liturgia e delle istituzioni religiose, dove assumerebbero una diversa
rilevanza e altre implicazioni.

I drammi liturgici
L'origine del teatro sacro medievale è stata fatta risalire a un breve dialogo cantato inserito all'interno del rito
liturgico. Denominato Quem quaeritis dalla battuta iniziale, questo dialogo in versi è strettamente connesso
alle festività pasquali, poiché è la rievocazione della Resurrezione di Cristo. Il nucleo iniziale consiste infatti
nella domanda all'angelo rivolta alle Marie, giunte al Sepolcro per cercare il corpo di Cristo.
• Nel X secolo il dialogo del Quem quaeritis aveva assunto una primitiva forma drammatica, denominata
Visitatio sepulchri.
Nelle prime versioni della Visitatio il sepolcro era semplicemente simboleggiato dall'altare, ma a partire dal
XII secolo in alcune chiese furono costruite strutture permanenti per rappresentarlo.
→ Se ne può vedere un esempio nell'edicola della basilica di Aquileia, del XII secolo, e in quella della cappella
di San Maurizio nella cattedrale di Costanza, del 1286.
• Anche l'altra grande ricorrenza dell'anno cristiano, il Natale, ebbe sviluppi analoghi, seppure destinati a una
minore diffusione.
• Diventando sempre più complessi, i drammi liturgici cominciarono a richiedere più luoghi scenici. Le varie
parti della chiesa e i punti cardinali avevano un significato simbolico rispetto ai movimenti.
• Il carattere drammatico di questo primo nucleo consiste soltanto nella struttura dialogica e
nell'impersonificazione. Per la rappresentazione di un determinato personaggio si ricorreva ad alcuni
accessori dell'abbigliamento, come le ali per il diacono che faceva la parte dell'angelo. I costumi avevano
comunque una valenza puramente indicativa, senza alcuna pretesa di verosimiglianza. I colori venivano
utilizzati soprattutto per la loro valenza simbolica: la cappa rossa che Cristo indossava sulla veste bianca, ad
esempio, era un chiaro riferimento alla Passione.
• I luoghi dell'azione erano rappresentati mediante elementi architettonici già presenti nella chiesa, ma
talvolta si procedeva ad allestimenti ex novo.
• L'aggiunta di scene profane è un segno del passaggio graduale dal rito al teatro.
→ Il Mistero della Passione conservato in un manoscritto tedesco del XIII secolo presenta ad esempio
un'alternanza fra il volgare e il latino, poiché il dialogo di Maria Maddalena con il mercante è in tedesco.
L'intento era probabilmente quello di rendere fruibile la rappresentazione a un più ampio pubblico di fedeli.
→ Le didascalie relative alla recitazione degli attori assumono talvolta la valenza di vere e proprie annotazioni
registiche. I luoghi sono di solito designati in modo generico e disposti in mnodo paratattico.
• Ma qual'è dunque il discrimine fra teatro e liturgia? Le persone che prendono parte all'evento rituale o
festive sono attori e spettatori allo stesso tempo.

Le feste dei Folli


Il dramma liturgico era considerato dai contemporanei una cerimonia religiosa e non teatrale, comunemente
accettata dagli scrittori cristiani. Quando queste manifestazioni spettacolari di ispirazione religiosa sconfinano
tuttavia nel disordine della teatralità ne vengono deprecati gli abusi.
• Le Feste dei Folli consistevano soprattutto in canti profani e danze, e comportavano un capovolgimento
delle gerarchie: il chierico più giovane veniva rivestito per burla con i paramenti vescovili e talvolta costretto a
sfilare attraverso la chiesa cavalcando un asino,
• Nonostante le reiterate proibizioni e condanne, le Feste dei Folli erano di fatte tollerate dalla Chiesa e
proseguirono almeno fino al XV secolo.
→ Anche Herrada di Landsberg depreca la generazione ei drammi liturgici, introdotti nelle chiese con le
migliori intenzioni ma infine trasformati in baccanali sfrenati e scurrili in cui “ci si ingozza, ci si ubriaca, si
rappresentano scene scurrili, mimi disonesti, giochi ridevoli”. La descrizione suggerisce un'inquietante
sovrapposizione fra drammi liturgici e Feste dei Folli. Ciò ci fa comprendere che la separazione fra teatro
religioso e profano era tutt'altro che netta.

Dai drammi liturgici ai grandi cicli dei Misteri


Per semplificare la descrizione del teatro medievale, si ricorre di solito a una prospettiva evoluzionista, che
vede nel Quem quaeritis un germe di teatralità da cui sarebbero gradualmente fiorite forme più complesse di
rappresentazioni, attraverso una serie di passaggi dal dramma liturgico all'interno delle chiese ai grandi cicli
dei Misteri, con una fase intermedia costituita dagli allestimenti sul sagrato.
Uno dei motivi per cui può essere considerato una tappa intermedia risiede nel fatto che le battute dei
personaggi sono in lingua romanza, mentre le didascalie sono in latino, in quanto destinate agli addetti ai
lavori. Sono fra l'altro vere e proprie indicazioni registiche per l'allestimento dello spettacolo.
• La scenografia era organizzata in una serie di mansiones, fra le quali avevano un posto di rilievo l'Inferno e il
Paradiso, i due luoghi immutabili del destino umano, sempre presenti negli allestimenti dei Misteri. Il
Paradiso era sopraelevato e circondato di stoffe, che lasciavano emergere le figure soltanto dalle spalle in su,
mentre dall'Inferno uscivano fumo e frastuono di pentole percosse.
• Quando le rappresentazioni si spostarono all'esterno della chiesa, sulle piazze o comunque in luoghi aperti,
gli allestimenti divennero più elaborati. Per le rappresentazioni dei Misteri si ricorreva alle più ovvie soluzioni
tecniche di carpenteria, le stesse utilizzate per forme spettacolari di tutt'altro genere, dai tornei alle
esecuzioni capitali. Mentre nei drammi liturgici gli attori erano i canonici e i monaci, che si avvalevano di
studenti e fanciulli, gli attori dei grandi cicli dei Misteri erano i membri della comunità cittadina. I luoghi
deputati o mansiones potevano essere costruzioni indipendenti o semplici accessori che indicavano, in modo
metonimico, il luogo dell'azione. Ad ogni modo comprendevano anche posti molto lontani fra loro.
• I Misteri non soppiantarono completamente le rappresentazioni all'interno delle chiese, che continuarono
almeno per tutto il XIV secolo. I Misteri medievali erano incentrati su temi tratti dall'Antico e dal Nuovo
Testamento e dalle vite dei santi ma con uno sviluppo narrativo molto più estero e una proliferazione di
episodi marginali. In genere si tratta di componimenti molto estesi, che richiedevano parecchi giorni di
rappresentazione.
→ I tre più famosi autori francese di Misteri appartengono al XV secolo: Eustache Mercadé, Arnould Gréban e
Jean Michel.
• L'occasione per indire queste manifestazioni, che richiedevano mesi di preparazione, poteva essere la
celebrazione di un evento, come la visita di un personaggio illustre, o la fine di un flagello.
• L'organizzazione della rappresentazione era di solito curata dalle autorità del luogo, in particolare dalle
associazioni religiose e dalle confraternite laiche, mentre l'onere finanziario poteva essere assunto anche da
cittadini privati particolarmente ricchi e pii. Tutti i membri della comunità partecipavano alla preparazione
dello spettacolo, concepito come l'adempimento di un dovere civico e morale.
→ Gli attori erano scelti fra i comuni cittadini: erano dunque dilettanti e non venivano propriamente pagati
per la loro prestazione, sebbene in molti casi ricevessero piccoli compensi. Talvolta venivano assunti dei
giullari per recitare le parti comiche o dei diavoli, mentre le donne erano impiegate molto raramente e
recitavano soltanto nelle rappresentazioni religiose mute e nei tableaux vivants allestiti per celebrare eventi
di rilievo.
→ Il numero di mansiones poteva essere piuttosto elevato. Nella maggior parte degli allestimenti, tuttavia, i
luoghi deputati cambiavano di significato durante le varie giornate della manifestazione.
→ La scenografia non seguiva criteri illusionistici bensì metonimici, ma nell'insieme l'allestimento poteva
essere molto elaborato, con complesse soluzioni scenotecniche.
• I grandi cicli dei Misteri francesi, tedeschi e inglesi raggiunsero il loro massimo successo e sviluppo in
un'epoca molto tarda, quando in Italia avevano luogo le prime rappresentazioni di commedie erudite ispirate
all'antichità e si applicavano alla scenografia teatrale i principi della prospettiva pittorica.
→ La Passion di Arnould Gréban è del 1486, anno in cui a Ferrara si svolsero i primi festival di
rappresentazioni classiche organizzati dalla corte estense.
• La struttura scenografica a mansiones, benchè sia utilizzata fino a un'epoca molto tarda, è una tipologia
propriamente medievale, fondata sulla stessa concezione spaziale delle arti figurative precedenti al
Rinascimento. Si fonda su una disposizione paratattica, con sequenza di azioni compresenti a suggerire uno
sviluppo narrativo.
Mentre in Italia si affermò la scena prospettica unificata, nel resto d'Europa la concezione multipla e
simultanea dello spazio continuò a dominare l'immaginario figurativo almeno fino al XVI secolo, sia nelle
rappresentazioni dei Misteri sia nelle arti figurative. Ci si potrebbe domandare se le rappresentazioni dei
Misteri abbiano tratto ispirazione dalla pittura o viceversa, ma in fondo si tratta di una questione poco
rilevante.
• La disposizione della scenografia e l'allestimento dell'area destinata al pubblico non seguivano un modello
unico e variavano a seconda dei casi con una pluralità di soluzioni e adattamenti allo spazio urbano.
• Una tipologia di allestimento, ricorrente soprattutto in area anglosassone, si basa sulla struttura circolare,
con gli spettatori che prendono posto attorno all'area scenica. Se ne può vedere un esempio anche nella
miniatura del Martyre de Sainte Apolline di Jean Fouquet (FIG. 2.3).
→ Gli spettatori illustri sono ospitati in una struttura a palchi o logis, costruzioni in legno su due o più livelli
caratteristiche anche dei tornei, mentre il popolo è assiepato per terra. I palchi sono utilizzati anche per
ospitare l'Inferno e il Paradiso. La scena della tortura si svolge al centro dell'area. La miniatura raffigura il
momento in cui il re è sceso dal palco centrale per convincere la santa ad abiurare. Questa è legata a un
tavolato e gli aguzzini sono già entrati in azione. Il personaggio con un libro e una bacchetta in mano
rappresenta il direttore di scena o meneur du jeu, che aveva il compito di suggerire le battute i movimenti
agli attori. Il buffone raffigurato a sinistra ha in mano il tipico bastone giullaresco, la marotte, e si gratta il
sedere con un chiaro rinvio alla scurrilità.
• La disposizione frontale a postazione fissa, che prevarrà negli sviluppi successivi del teatro, è solo una
tipologia fra le tante.
→ L'esempio più spesso citato è la rappresentazione della Passione di Valenciennes, documentata da due
codici miniati che contengono il testo e da descrizioni dettagliate dell'allestimento. La miniatura che illustra
uno dei due manoscritti, del 1577, raffigura le mansiones disposte su un palco rialzato, con il Paradiso e
l'Inferno collocati agli estremi (FIG.2.4)
→ La rappresentazione del Mistero di Valenciennes richiese 25 giornate complessive e per i 169 personaggi
del testo furono impiegati 63 attori, reclutati fra i cittadini. Alcune delle mansiones, come il tempio e il
palazzo, rappresentavano un luogo predeterminato per tutta la durata della manifestazione, mentre altre
erano investite di un significato diverso a seconda delle giornate. Furono impiegati macchinari per effetti
speciali e azioni che dovevano sembrare prodigiose, come Lucifero trasportato via da un drago e simili
meraviglie. La trasformazione dell'acqua in vino sembrò così miracolosa che molti vollero assaggiarla, e anche
i pani e i pesci furono distribuiti agli spettatori. Il pubblico non si limitava dunque ad un'osservazione passiva,
ma partecipava in qualche modo all'azione, facendo recuperare alla rappresentazione il senso di una
rievocazione, che tuttavia si serviva di un linguaggio propriamente teatrale.
• L'allestimento dei Misteri assunse caratteristiche del tutto peculiari in ambito anglosassone. I Mistery Plays
erano organizzati dalle corporazioni dei mestieri e la maggior parte delle rappresentazioni si svolgeva su carri
mobili (pageants), che sfilavano per la città fermandosi a rappresentare le varie scene del dramma. Queste
forme di rappresentazione sono documentate anche in Belgio, in Olanda e in Spagna, dove l'uso dei carri si
ritrova fra l'altro fino al XVII secolo negli autos sacramentales e nelle comedias santos.
• In Italia, l'allestimento di rappresentazioni grandiose come i Misteri d'oltralpe fu un fenomeno del tutto
episodico. A partire dal XIII secolo si diffuse in Italia invece un'altra forma spettacolare, che trae origine dalle
pratiche devozionali: le processioni dei flagellanti.
• Nelle Sacre Rappresentazioni italiane del XV secolo le tematiche sono meno estese rispetto ai Misteri e
l'azione si sviluppa in una sere di episodi incentrati sulle vite dei santi, come si può vedere nelle opere di Feo
Belcari. Grazie agli ingegni del Brunelleschi, due Sacre Rappresentazioni particolarmente spettacolari furono
allestite a Firenze nel 1439, in occasione del concilio fra la Chiesa d'Oriente e d'Occidente: l'Annunciazione
della chiesa della Santissima Annunziata e l'Ascensione del Carmine. Nella prima, la rappresentazione del volo
dell'angelo attraverso la navata suscitò la meraviglia degli spettatori. L'azione si svolgeva in uno spazio ancora
investito di significati simbolici ma unificato, che prefigura la scena sintetica rinascimentale.

Le farse
Intorno alla fine del Medioevo erano emersi nuovi generi drammatici, non più a carattere religioso ma
profano, come le farse, le sotties e i sermons joyeux. Questi generi ebbero molta fortuna in Francia.
• Le sotties – così denominate perchè erano incentrate sulla figura del sot (“sciocco”) – consistevano in
dialoghi vivaci, in cui venivano discussi scherzosamente alcuni temi sociali o politici, mentre nei sermons
joyeux un uomo travestito da predicatore faceva una parodia dei sermoni, in un linguaggio che mescolava il
francese a un latino molto approssimativo.
• Una struttura drammatica più composita avevano le farse. Caratterizzate da un'estrema vivacità dell'azione
e da una spiccata volgarità, le farse si svolgevano sulle piazze, su palchi improvvisati attorno ai quali si
disponevano gli spettatori di estrazione popolare. Gli allestimenti si avvalevano di pochi accessori, come una
tenda per separare lo spazio scenico da quello dietro le quinte.
• Frequenti erano i riferimenti ai personaggi reali o a determinate categorie professionali. Ricorrente era a d
esempio la satira dei mestieri e delle donne. Poichè le parti femminili erano recitate da uomini travestiti, le
allusioni sessuali risultavano ancora più caricaturali. La farsa rappresenta del resto il trionfo della corporeità e
degli appetiti sessuali.
• In Francia le due forme principali di teatro popolare, le rappresentazioni religiose e le farse, continuarono in
modo parallelo per tutto il XVI secolo, con alcune sovrapposizioni e commistioni.

Le performance dei giullari


Il termine “giullare” è una denominazione generica, che comprende una vasta gamma di intrattenitori, la cui
esistenza è documentata sia nelle fonti letterarie sia nell'arte figurativa: cantastorie, suonatori, mimi,
pantomimi, buffoni, equilibristi, giocolieri, prestigiatori, acrobati, danzatori, ammaestratori di animali...
• A differenza dell'attore vero e proprio, il giullare non interpreta quasi mai un personaggio drammatico, ma
impiega il linguaggio del corpo per esibirsi in prove di abilità.
• La varietà di tipologie spettacolari trova conferma nelle molte denominazioni con cui gli intrattenitori sono
designati. L'opportunità di designare in modo appropriato i diversi tipi di intrattenitori sta alla base della
Supplica rivolta, intorno alla fine del XIII secolo, da Guiraut Riquier al re di Castiglia Alfonso X. Guiraut era un
trovatore e si sentiva superiore, dal punto di vista professionale e sociale, ai giullari che chiedevano soldi per
strada in cambio di un misero spettacolo. Riquier riteneva che i trovatori, che esercitano la nobile arte del
comporre versi e musica, non dovessero essere accomunati nel nome agli intrattenitori più vili.
• I giullari si esibivano per strada, nelle taverne e nelle piazze, soprattutto durante i mercati e le fiere, ma
accorrevano anche a corte, in occasione delle feste bandite per celebrare un evento importante nella vita
degli aristocratici.
• Talvolta anche i trovatori ingaggiavano dei giullari per divulgare la loro arte.
• I giullari agivano prevalentemente da soli, ma esistevano piccole compagnie di intrattenitori a carattere
familiare, raffigurate anche nell'iconografia, e ancora più frequente è il binomio fra il suonatore e la
danzatrice. La danza dei professionisti aveva sempre una connotazione acrobatica, molto diversa dai misurati
balli di corte che si affermeranno nel XV secolo.
• I giullari sono spesso menzionati dagli scrittori cristiani, che condannano ogni forma di spettacolo profano e
associano i divertimenti mondani ai piaceri dei sensi, i principali allettamenti del diavolo. Gli intrattenitori
sono accusati di tenere un comportamento licenzioso, incitando al riso, alla lussuria e al peccato. La
considerazione negativa del giullare ha pesanti ricadute anche nell'iconografia, dove gli intrattenitori sono
talvolta raffigurati come esseri mostruosi e deformi. (FIG.2.4)
→ In altre miniature e sculture gli intrattenitori sono raffigurati come ibridi o assimilati ad animali come la
scimmia, che d'altra parte accompagnava spesso gli ammaestratori girovaghi. L'assimilazione fra il giullare e la
scimmia assume in questo caso una connotazione comica e oscena, ma anche fortemente negativa (FIG.2.6).
- L'analogia fra i giullari e le scimmie non è casuale. Come scrive il domenicano Guglierlmo Peraldo intorno
alla metà del XIII secolo, “il buffone è come la capra e la scimmia, con le quali si diverte il diavolo, spingendo
gli uomini al riso”. Del resto, gli scrittori cristiani ripropongono spesso l'associazione fra il diavolo e i giullari.
- Anche sull'uso di fare doni ai giullari c'è una linea quasi ininterrotta di condanne.
• Particolarmente aspre erano le condanne delle danzatrici e delle giullaresse, assimilate alle prostitute,
poiché l'esibizione del corpo femminile era considerata un incitamento alla lussuria.
• L'altra accusa rivolta agli intrattenitori è il fatto di essere girovaghi, vale a dire senza fissa dimora e dunque
difficilmente controllabili. A differenza del pellegrino, che ha una meta spirituale, il giullare viaggia al solo
scopo di vendere il suo spettacolo ed è perciò da condannare.
La Chiesa tollera i mendicanti, ai quali attribuisce una funzione nel corpo sociale, poiché l'elemosina consente
al ricco di riscattarsi dai suoi peccati, mentre considera i giullari inutili e dannosi.
• Thomas de Chobham menziona tuttavia una categoria di giullari che si possono tollerare: coloro che
“cantano le gesta dei principi e la vita dei santi”. La distinzione fondamentale fra spettacoli ammissibili e
moralmente riprovevoli è dunque relativa al repertorio: se il giullare canta le imprese gloriose dei condottieri
o narra i miracoli dei santi svolge una funzione positiva. In entrambi i casi infatti trasmette valori edificanti.
• Nella seconda metà del XIII secolo anche Tommaso d'Aquino distingue i giullari in base al comportamento e
al repertorio, rivalutando il ruolo del divertimento, necessario alla vita umana purchè utilizzato in modo
opportuno, cioè a luogo e tempo debito. Tommaso attribuisce ai giullari una funzione nel corpo sociale,
riconoscendo anche il loro diritto a ricevere un'adeguata ricompensa. Recupera in questo modo la loro
dignità.
• La loro riabilitazione sarà tuttavia sempre parziale e condizionata, mentre le condanne degli scrittori
cristiani resteranno a lungo radicate nella cultura medievale.
• Dalla fine del XII secolo è documentata l'esistenza di associazioni giullaresche, che rappresentano un primo
riconoscimento ufficiale della professione. Il riconoscimento della professionalità dei giullari fu tuttavia un
processo lungo e solo in parte compiuto. Il parziale reinserimento del giullare nella piramide sociale passò
semmai attraverso le corti e la protezione degli aristocratici, ovvero attraverso l'integrazione in una categoria
servile.
• A partire dalla fine del XIII secolo, alcuni giullari riuscirono a stabilirsi in modo permanente presso le
famiglie reali e aristocratiche. Emerse così la figura del buffone di corte, che con il suo costume bicolore, il
bastone giullaresco, il cappuccio a sonagli e le orecchie d'asino si è poi fissato nell'immaginario comune,
come simbolo della follia e di una tollerata trasgressione (FIG.2.7)
→ I buffoni avevano la licenza di trattare in modo familiare anche il re proprio in virtù della loro condizione di
assoluta diversità, che li poneva al di fuori delle regole comuni e delle convenzioni.
• Diventando buffoni di corte, i giullari tendono a perdere il loro carattere originario e la loro carica
trasgressiva. In seguito alla rivalutazione umanistica della follia inoltre la figura del buffone acquisì nuove
connotazioni. Erasmo da Rotterdam propose nell'Elogio della follia un ribaltamento di prospettiva, deridendo
la stoltezza di chi si crede saggio. Il buffone di core cominciò così a rappresentare anche l'altra faccia della
saggezza, preludendo alla figura del fool shakespeariano.

La memoria del teatro antico


Mentre con il crollo dell'Impero romano d'Occidente venne meno il te
tro come istituzione, a Bisanzio l'attività teatrale continuò, con grandiose forme spettacolari nell'ippodromo e
intrattenimenti popolari di vario genere. I manoscritti delle tragedie greche e delle opere di Aristotele
sopravvissero grazie alla cura dei monaci orientali e, dopo la caduta di Costantinopoli e dell'Impero d'Oriente,
nel 1453, furono portati in Occidente contribuendo alla riscoperta del mondo antico.
• I commenti delle commedie di Terenzio e la Città di Dio di Agostino d'Ippona, dove si narra l'origine dei ludi
scaenici, alimentarono la curiosità verso il teatro.
• Del resto, la memoria del teatro antico non era del tutto scomparsa neppure in Occidente, e fin dall'Alto
Medioevo riaffiora in alcuni componimenti drammatici probabilmente destinati alla lettura.
• In ambito italiano, intorno al XII secolo emerse una produzione drammatica ispirata anche al modello
plautino, evidente in un gruppo di commedie in latino, dette elegiache dal tipo di versi in cui sono scritte
(distici elegiaci). Nella maggior parte dei casi presentano una struttura ibrida, poiché alternano la narrazione
al discorso diretto e al dialogo.
• La memoria del teatro antico passò inoltre attraverso il recupero dell'architettura teatrale antica, anche
grazie alla riscoperta del trattato di Vitruvio, molto studiato e commentato durante l'epoca umanistica. Fino
al XV secolo l'immagine dell'architettura teatrale rimase tuttavia molto confusa. Nel corso del Medioevo, i
molti teatri antichi sparsi per l'Europa furono lasciati andare in rovina, al punto che di alcuni fu addirittura
legalizzata la spoliazione. Del Colosseo si finì quasi per dimenticare anche la funzione originaria, offuscata da
immagini fantastiche connesse al culto dei martiri, mentre nei fornici inferiori dell'edificio furono installate
delle macellerie.
• Anche il ricordo dei generi drammatici subì alterazioni e semplificazioni. La tragedia e la commedia, ad
esempio, divennero categorie assolute applicabili a tutti i generi letterari, fondate su un'opposta evoluzione
dell'intreccio (dalla felicità all'infelicità e viceversa) e sulla condizione sociale dei personaggi.
• In generale, l'eredità del teatro antico venne rielaborata partendo dalle definizioni dei dizionari e delle
enciclopedie, a partire dalle Etymologiae di Isidoro di Siviglia, dell'inizio del VII secolo. Ricche di reminiscenze
antiche e reinterpretazioni della storia secondo la morale cristiana, le sue fantasiose etimologie, spesso
inventate, contribuirono a perpetuare molti fraintendimenti sul teatro antico.
• Particolarmente nebulosa era l'immagine dell'attore antico e della dinamica scenica. L'immagine dell'attore
come interprete di un personaggio era ormai caduta nell'oblio, anche perchè l'unico esempio di spettacolo
era costituito dalle performance dei giullari.
• Si venne invece a creare un immaginario bizzarro.
→ Nella prima metà del XIV secolo, Nicola Trevet, in un suo commento a Seneca, descrisse il teatro come
“un'area semicircolare, nel cui centro c'era una casetta, detta scena, nella quale c'era un pulpito, sul quale il
poeta declamava i canti”.
→ Da una miniatura della versione francese della Città di Dio di Agostino si nota come il teatro sia raffigurato
come una carola danzata da alcuni personaggi riccamente vestiti attorno a un altare pagano, sul quale è
collocato un vitello d'oro, chiara allusione all'idolatria (FIG.2.8).
→ In altre raffigurazioni il teatro viene invece reinventato assimilandolo a una lettura pubblica accompagnata
dalla musica, a una danza di corte o a un torneo (FIG.2.9).
• L'immagine del teatro antico si arricchì così di suggestioni tratte dalla contemporaneità, comunque
influenzate dal giudizio morale negativo formulato dagli scrittori cristiani, che associavano il teatro al peccato,
alla lussuria e all'idolatria.
• Nell'immaginario medievale, il teatro si insinua in modo subdolo nella vita quotidiana, sotto forma di
divertimenti lascivi e intrattenimenti peccaminosi, a cui devono essere sostituite pratiche alternative ispirate
alla devozione religiosa. Fenomeno lontano e nebuloso, il teatro antico viene ricostruito a partire dalle parole
e investito di una connotazione morale negativa che si riverbera sulle forme spettacolari contemporanee.

3. Il teatro del Cinquecento

La ridefinizione dell'idea di teatro


La riflessione e la restituzione della civiltà teatrale classica portarono a esiti che determinarono l'inventio del
teatro rinascimentale, da interpretare nel pieno senso etimologico di “ritrovamento” ma anche di
“creazione”, da parte di una nuova élite culturale e di potere.
• Spettò alla forza propulsiva del disgregato sistema politico italiano il merito di definire la cifra stilistica e
normativa dell'intero patrimonio dell'”arte dello spettacolo”, esportata poi in altri contesti.
→ Se in Francia l'apporto italiano fu più diretto nella migrazione dei generi e delle tendenze, sia per la
prossimità geografica sia per i coinvolgimenti dinastico-politici (salirono sul trono di Francia due regine,
Caterina e Maria de' Medici, portatrici dei nuovi saperi teatrali), in Inghilterra, Spagna e Germania il
rinnovamento seguì ritmi più lenti.
• Sotto la spinta umanistica, l'infiltrazione della cultura classica nelle diverse forme artistiche diventò
emblema della dignitas del potere vigente, ideale strumento evocativo di una presunta continuità con un
passato che guardava alla magnificenza politica e artistica dell'universo greco-latino.
→ Il mecenatismo artistico cortigiano riuscì a creare di fatto un originale sistema di lavoro, un networking
diremmo oggi, tra pittori, architetti, letterati e iconologi.
→ La metodologia perseguita nella ri-lettura dell'idea classica di teatro offriva la possibilità di sperimentare
nuovi codici, efficaci anche a esprimere con consapevolezza i programmi culturali e le tendenze storico-
ideologiche dei sistemi di corte contemporanei.
→ Grazie a un processo di comunicazione rivoluzionario, dovuto in primis alla diffusione della stampa, le arti
dello spettacolo assumono un ruolo decisivo: i programmi culturali teatrali di corte usano la committenza
letteraria della festa come strumento efficace per diffondere e illustrare la potenza economica, lo sfarzo
personale, la novità artistica e tecnologica del proprio sistema.

La corte: la festa e le sue forme di spettacolarità


E' nella festa, intesa come momento celebrativo della corte, che si trova il momento ideale per mutare le
funzioni dello spettacolo e il rapporto con il pubblico.
• All'insegna di una pretestuosa continuità con le usanze cittadine, i festeggiamenti di natura familiare della
dinastia (battesimi, matrimoni, funerali) si innestarono su eventi come il Carnevale e le feste patronali e, con
maggiore intensità di sfarzo, nei cerimoniali di accoglienza diplomatica. In questo gioco di fascinazione, che
prevedeva la dilatazione spettacolare negli spazi collettivi urbani, la cittadinanza era ammessa a partecipare a
eventi pubblici ed emblematici, ma veniva esclusa da talune manifestazioni festive nei cortili privati, nelle sale
del palazzo aristocratico o della regale dimora principesca: la rappresentazione teatrale nel senso stretto, i
sontuosi banchetti o le danze.
• L'allusione alla Roma antica, ai suoi riti celebrativi, alle gesta dei grandi uomini del passato, è stata il filo
conduttore dei programmi festivi. D'altra parte fin dall'Umanesimo la storia culturale e politica delle corti ha
legittimato l'affermazione dinastica attraverso il recupero letterario del mito virgiliano dell'Età dell'Oro,
mentre le gesta di Ottaviano Augusto o le sovrumane forze di Ercole, presunto fondatore di molte città,
hanno fornito gli exempla di comparazione, destinati alla memoria storia.
→ Di rimando, l'arco di trionfo onorario e le iscrizioni di memoria classica, predisposti nei fulcri urbani più
emblematici, furono le prioritarie componenti dei progetti di arredo simbolico realizzati in tutta Europa.
• Nel Cinquecento italiano la commistione simbolica festiva diventa un modello ovunque: a Roma, nel tempo
del Carnevale del 1513, mitologie classiche si innestarono nei cerimoniali di insediamento del pontefice
Giulio II, così come a Firenze medesimi esempi di connubio tra forme classiche e mitologiche furono esibiti
per i festeggiamenti in occasione dell'elezione del papa Leone X.
→ Nei mesi successivi il propagandato legame politico e culturale tra Roma e Firenze trovò manifestazione
nei festeggiamenti per il conferimento dei “privilegi della Civiltà di Roma” a Giuliano e Lorenzo de' Medici. Fu
quella l'occasione per coniugare la messinscena dell'ennesimo testo classico, il Poenulus di Plauto, con la
sperimentazione architettonica sul Campidoglio, per opera di Rosselli, di un teatro “classico”.
→ Furono anni decisivi per l'emulazione, nel tempo della festa, della monumentalità dell'Urbs, tanto che
anche Firenze nel 1515 rimodellò l'antico cuore urbano di Florentia-parva Romula e predispose un itinerario
urbano sul modello degli antichi riti di rifondazione delle città conquistate.
• Negli stessi anni, gli artisti italiani misero a frutto le medesime metodologie e forme di spettacolo festivo
presso le corti straniere, soprattutto in Francia.
• Nel Rinascimento, comunque, la reiterazione di forme spettacolari di ascendenza medievale come i palii, le
processioni, gli allestimenti acquatici, i fuochi d'artificio, le giostre, i tornei, le sbarre furono le forme più
frequentemente proposte nella ricerca del pubblico consenso: di fatto furono contese agonistiche per
ostentazioni di fasti e di alleanze diplomatiche.
• L'11 maggio 1589, a Palazzo Pitti, la corte e il selezionato pubblico degli ospiti internazionali si ritrovarono
per assistere a un duplice evento: un combattimento alla sbarra e una naumachia. Se l'intento era stato
quello di far rivivere uno spettacolo tipico dell'antichità classica, in realtà si dava dimostrazione di un episodio
storico-politico contemporaneo. La promiscuità etnica dei soggetti (greci, napoletani, genovesi) intervenuti
nel combattimento e le imbarcazioni appartenenti alla flotta medicea resero infatti lo spettacolo fortemento
rievocativo, con una prevedibile conclusione: la sconfitta dei musulmani e l'offerta del vessillo nemico alla
granduchessa (FIG.3.2)
• Nel corso dei Rinascimento anche il banchetto assurge a forma spettacolare, e la sua descrizione diventa
anch'essa oggetto della letteratura della festa, diffusa attraverso i canali diplomatici. L'estensione della
spettacolarità al convivio, organizzato nel chiuso della sala o nel cortile della dimora principesca, coinvolse
l'assetto ornamentale della sala o del cortile di palazzo e persino l'effetto visivo delle vivande, proposte ai
convitati in forme bizzarre.
• La funzione di propaganda visiva della letteratura festiva fu ovunque svolta non soltanto per le
manifestazioni gioiose, ma anche per quelle funebri.
→ Ancora una volta, la spettacolarità del cerimoniale ebbe come modello di riferimento quello imperiale,
ovvero il catafalco “in stile classico”, allestito nel 1548 a Bruxelles per Carlo V. Ovunque, in primis la corte
medicea a Firenze con i funerali di Cosimo I, ma anche quelli pontefici, nel secolo successivo, ne assunsero le
valenze tipologiche e i significati celebrativi.

La rinascita della drammaturgia


La rifondazione dell'idea di teatro nel Rinascimento si evolve attraverso due itinerari di ricerca:
1) l'uno riguardante l'emulazione della drammaturgia classica, tradotta in lingua volgare (la commedia, la
tragedia, il dramma satiresco nella nuova formula della favola pastorale),
2) e l'altro inerente l'adeguatezza dello spazio per la restituzione scenica del testo classico e la conseguente
rilettura dell'edificio teatrale.
• La nuova coscienza della forma drammaturgica classica (dove furono fondamentali le “riscoperte” della
Poetica di Aristotele, dell'Onomasticon di Giulio Polluce, del Commento a Terenzio di Donato, oltre al
ritrovamento delle dodici commedie plautine) seguì percorsi di evoluzione più lineari.
• Nei primi decenni del Cinquecento la commedia fu il genere di maggior fortuna scenica nella fucina delle
corti italiane.
• La forza propulsiva per l'inventio della moderna commedia e la sua fortuna scenica, più accessibile al
pubblico e alla lettura, provenì dalla corte di Ferrara. La produzione di Ludovico Ariosto, autorevole figura di
autore, ma anche protoregista e forse anche attore, si esprime al culmine di un periodo culturale che poteva
già vantare la rappresentazione di ben trentotto commedie plautine e terenziane.
→ Con la rappresentazione della Cassaria (1508), prima commedia originale in lingua italiana, Ariosto si
cimenta nell'allestimento di una propria opera che, pur riprendendo il modello delle commedie antiche,
sposta l'azione entro la cornice cittadine e borghese. L'autore stesso, nel Prologo, presenta la sua opera come
“nuova”, con la piena consapevolezza di proporre una trama originale, non inferiore ai modelli terenziani.
→ In realtà Ariosto utilizza una lingua ibridata, per assimilarla alla varietà gerghesca della realtà cittadina.
→ Nel caso di una sua altra opera molto importante, I suppositi (1509), l'originalità più rilevante è nel
recupero della novellistica (dal Decameron di Boccaccio), nella modernità del linguaggio colloquiale comico,
nella quotidianità dell'ambientazione (Ferrara stessa) e nella tipologia dei personaggi comici (servi, vecchi,
truffatori e amanti). La carica innovativa della sua opera, soprattutto per I suppositi, suscitò ampio consenso,
tanto da essere ampiamente imitata e tradotta in Francia, in Inghilterra e in Spagna, dando spunti e
ispirazioni a Shakespeare (La bisbetica domata) e a Molière (L'avaro).
• Altri padri fondatori della moderna commedia regolare furono, pur su opposte posizioni, il cardinale
Bernardo Dovizi detto il Bibbiena e Niccolò Machiavelli.
→ Il Bibbiena è l'autore di una delle più fortunate commedie del tempo, La Calandria, rappresenta la prima
volta, nel tempo del Carnevale del 1513, nel Palazzo Ducale di Urbino. Considerata il capolavoro-capostipite
della storia della commedia del Rinascimento, fu memorabile per le scenografie di Girolamo Genga,
architetta urbinate allievo di Raffaello, e per l'egida registica di Baldassarre Castiglione.
La commedia sviluppa il tema della gemellarità, sul modello dei Menaechmi plautini, ma giocato sulla
comicità ambigua della contraffazione, del travestimento e dell'androginia, preludendo a uno dei temi più
apprezzati e ampiamente riproposti sia nella drammaturgia regolare sia in quella della Commedia dell'Arte.
Anche in questa commedia, in uno dei due Prologhi, si rivendicano la scelta del volgare in quanto lingua
naturale e soprattutto l'indipendenza del modello plautino.
La Calandria fu più volte messa in scena presso le corti italiane e straniere.
→ Capolavoro di Niccolò Machiavelli è la Mandragola (1518), commedia del tutto nuova soprattutto per la
visione di amara criticità della società contemporanea. Scritta dal suo autore in un momento di lontananza
dalla vita politica, emarginato dopo il ritorno a Firenze dei Medici, la commedia attinge ai temi della beffa
erotica di ispirazione novellistica, ma anche a esperienze plautine e terenziane. Ma a renderla celebre sono i
risvolti metaforici allusivi alla realtà politica che vi affiorano.
• La dissidenza dissacrante della drammaturgia si afferma con ancor maggior incisività nella produzione di
altri due grandi drammaturghi, Pietro Aretino e Angelo Beolco detto il Ruzante.
→ L'inquieto Aretino, che fin dal 1527 si era rifugiato sotto la Repubblica della Serenissima, nella Cortigiana
(1525), nel Marescalco (1526) e nella Talanta (1542) ritrasse contesti di vita sociale e cortigiana non solo ben
riconoscibili, ma soprattutto incentrati su espliciti intenti di pungente e provocatoria denuncia.
→ Sempre in ambito veneto-padano, alla cruda realtà umana e alla denuncia sociale di classi subalterne si
lega la produzione del Ruzante, un interessante uomo di teatro, autore e interprete semiprofessionista.
La sua pratica scenica, affinata al privato servizio del suo protettore Alvise Cornaro, sperimentò una
drammaturgia incentrata sull'uso del linguaggio dialettale e sulla maturazione di forme drammaturgiche
irregolari e anticlassiche, quali ad esempio i “mariazi” o i motivi ispirati dalla letteratura maccheronica, in cui
abilmente riusciva a mescolare i dialetti con la lingua colta. Al centro delle situazioni Ruzante pone i
personaggi e le problematiche delle classi contadine, una vera e propria denuncia sociale, pur offrendo prove
che possono essere qualificate come “drammaturgia regolare”: La pastoral (1521), Betìa (1523-25),
Moscheta, Fiorina, i due Dialoghi (1528), Vaccaria e Piovana (1533). I problemi delle classe subalterne, posti
in scena in una contaminazione di serio e di faceto, preludono a esempi di comicità “sperimentale” affine alla
Commedia dell'Arte.
• Ma se le commedie fin qui citate rappresentano i modelli di successo della drammaturgia “regolare” ed
erudita, inserita nella scena cortigiana cittadina e recitata da dilettanti di corte, merita ricordare che il
panorama della spettacolarità e della drammaturgia del primo trentennio del secolo, soprattutto in area
toscana e veneta, è più variegato e motivato da stimoli legati ancora alle burle della convivialità e alle forme
di associazionismo.
• Le forme di associazionismo, che a Firenze e Siena riunivano in quegli anni artigiani e artisti, ma anche
esponenti letterati o ricchi popolani o intrattenitori di fama, possono in qualche modo essere paragonate con
l'ambito culturale di Venezia, con le Compagnie della Calza, e dunque con le motivazioni di una tendenza
culturale diversa, slegata dalle scelte della corte.

• Il proposito di emulare i classici vide i letterati impegnati anche nell'interpretazione della tragedia, definite
da Aristotele nella Poetica il “sommo genere drammaturgico”. Ma a differenza della commedia, l'interesse a
trasporne il testo drammatico nella prassi scenica fu molto più limitato e dunque il successo di questo genere
fu più modesto, restando perlopiù legato al dibattito teorico e astratto. D'altra parte l'uso del linguaggio
artificioso in un momento in cui si affermava la lingua volgare anche in dialetto, l'altisonanza dei personaggi,
le trame dai contenuti che vedevano inadeguate figure regali, colpevoli di azioni non sempre edificanti, isolò
l'interesse verso la tragedia alla speculazione teorica intellettuale.
• La prima tragedia scritta in italiano fu la Sofonisba, scritta da Giangiorgio Trissino nel 1512. Modellata sulla
tragedia euripidea, la struttura, provvista di coro, è priva di divisioni in atti, pur rispettando le tre unità
aristoteliche.
• Due anni dopo Giovanni Rucellai scrisse poi la Rosmunda, modellata sul testo dell'Antigone di Sofocle.
• L'allestimento di maggior successo fu però Orbecche di Giovan Battista Giraldi Cinzio (1541), il quale,
abbandonato il modello greco apre un dibattito su una nuova formula drammaturgica, più attenta al rapporto
con la messinscena e l'apparato.

• Il dramma satiresco venne descritto come forma classica mista, genere che mescolava il comico e il tragico.
Nell'ambito della festa di corte, dalla fine del Quattrocento in poi, non mancarono le rappresentazioni di
ambientazione boschereccia, pur mescolate nei generi e contaminate da fabule mitologiche. L'operazione
interpretativa e di sintesi avrà successo alla fine del secolo, nel pieno della polemica sui fattori di crisi della
drammaturgia contemporanea.
• L'evoluzione verso le forme della cosiddetta “tragicommedia pastorale” sarà allora la proposta che
risponderà al successo dell'Aminta di Torquato Tasso, rappresentata nell'isola di Belvedere sul Po (1573), ma
poi replicata ovunque, e del celebre Pastor Fido di Giovan Battista Guarini.
• Guarini, oltre che autore, fu anche trattatista e nel Compendio della poesia tragicomica dette di fatto avvio
a un dibattito tutto incentrato sulla favola pastorale, facendone l'emblema drammaturgico dell'epoca. Il
rimescolamento dei generi tragico e comico e la contaminazione erano non solo la nuova formula
drammaturgica ma anche la soluzione al dibattito e alla critica, nella ricerca di un mondo bucolico di fantasia.

Il dibattito teorico
Dopo la fase di sperimentazione creativa dei primi del Cinquecento, con il passaggio della drammaturgia
dall'uso della lingua latina a quella volgare, a metà del secolo la produzione teatrale slitta verso un rigidità
tematica e strutturale, tanto comica quanto tragica. La teoresi cinquecentesca si pone dinnanzi alla necessità
di comprendere come la poetica drammaturgica modellata sugli esempi classici potesse conciliarsi con le
esigenze della rappresentazione.
• La letteratura teoretica, esegesi della Poetica aristotelica, annovera le figure di Francesco Robortello,
Vincenzo Maggi, Giulio Cesare Scaligero e Ludovico Castelvetro. Ma appartiene a Giraldi Cinzio il primo
importante trattato rinascimentale sull'arte drammatica composto da un drammaturgo di professione.
→ Nel Discorso ovvero lettera intorno al comporre delle commedie e delle tragedie (1554), egli rivendica
come legittima la tragedia a lieto fine, raccomandandola come genere edificante. I migliori esempi di moralità
e i sentimenti negativi nei quali si può identificare lo spettatore devono risolversi attraverso la funzione della
catarsi, intesa come opportuna eventualità di una felice conclusione. Inoltre egli legittimava l'introduzione
degli intermedi musicali non apparenti, per evitare l'inconveniente della lunga e noiosa rappresentazione.
• Anche Giovan Battista Guarini, nel suo Compendio della poesia tragicomica, criticando sia la tragedia per le
tematiche contrarie ai precetti della religione sia la commedia per la noia della ripetitività, considerava
necessaria l'introduzione degli intermedi, essendo ormai divenuta questa l'unica forma spettacolare che
potesse riaccendere l'interesse del pubblico.
• Pino da Cagli, nel suo Discorso intorno al componimento della Commedia de' nostri tempi (1578), nel
sostenere la difesa morale della commedia, indica due pericoli per la sua sopravvivenza:
1) la destabilizzazione del ruolo del genere comico, ormai “commercializzato” dai comici professionisti
dell'Arte;
2) le nuove istanze della rappresentazione, ormai interessate a una spettacolarità sempre più invasiva e
ingegnosa, ovvero quella degli intermedi.
Egli riteneva necessario introdurre tra un atto e l'altro della rappresentazione comica o elementi scenici in
stretto rapporto contenutistico con le vicende oppure brani musicali strumentali che non distraevano lo
spettatore dalla narrazione della trama.
• Gian Giorgio Trissino nel suo trattato di poetica, Quinta e sesta divisione della poetica (1562), sposta la
polemica sull'utilizzo di interazione dei cori e biasima l'uso contemporaneo di introdurre il nuovo fenomeno
emergente, l'intermedio, senza alcun rapporto con i personaggi e la trama del testo drammaturgica.

Ma la teoria, proprio per la rilevanza ormai assunta dalla spettacolarità, comincia a interessarsi anche alla
messa in scena.
• Leone de' Sommi mise a frutto l'esperienza di allestitore di spettacoli di corte gonzagheschi con l'esperienza
della “mercatura” del teatro dei comici dell'Arte. Egli nei Quattro dialoghi in maniera di rappresentazioni
sceniche offrì per la prima volta indicazioni normative sulle modalità dell'allestimento scenico.
• Angelo Ingegneri, accademico olimpico, fu uomo di lettere al servizio di varie corti e artefice della regia
dell'allestimento dell'Edipo re di Sofocle, opera inaugurale del palladiano Teatro Olimpico di Vicenza (1585).
Forte della sua esperienza vicentina, egli scrisse un trattato, Delle poesia rappresentativa e del modo di
rappresentare le favole sceniche (1598), nel quale diede rilievo alla funzione dell'intermedio, come valenza di
indicatore dello scorrere del tempo e di riempitivo della scena vuota. Pertanto sostenne il principio che, se il
testo spettava al poeta, occorreva che la su trasposizione in scena si avvalesse di un'altra professionalità,
quella del corago.

Alla fine del Cinquecento, lo spostamento di interessi del pubblico e degli studiosi porterà a un
rovesciamento del rapporto autore-testo drammatico-attore e pubblico, all'interno del quale saranno la
scenografia, la mutazione stupefacente, il gioco della macchineria, componenti privilegiate della nuova
drammaturgia scenica a ottenere un superiore consenso rispetto alla recitazione del testo drammaturgico.

L'evoluzione dello spazio scenico: dal luogo teatrale all'edificio


L'invenzione del teatro nel Rinascimento è soprattutto la storia del passaggio dalla tradizione ormai
consolidata di uno spazio della rappresentazione policentrico e frammentario, con l'uso di luoghi teatrali
occasionalmente destinati alla rappresentazione (chiesa, piazza, cortile, giardino, sala privata), alla
restituzione di una forma architettonica stabile e unitaria, l'edificio teatrale inserito nell'urbanistica della città.
• L'evoluzione dell'idea teatrale nel Rinascimento individua due linee portanti di sintesi, entrambe tuttavia
maturate entro la cultura del mecenatismo di corte:
1) l'una erudita e teorica interessata al recupero filologico e normativo del modello architettonico antico,
2) l'altra legata alla prassi degli allestimenti scenici, nella ricerca di una morfologia della scena sempre più
coerente con le innovazioni drammaturgiche.
→ Dalla trattazione di Vitruvio si apprendevano informazioni riguardanti non soltanto l'edificio antico, ma
anche l'allestimento: a ogni genere drammaturgico (commedia, tragedia, satira) rispondevano infatti caratteri
distintivi della scena. I modelli descritti determineranno la codificazione tipologica della scenografia del
Rinascimento.
• Nel primo indirizzo di ricerca, le problematiche relative alla difficoltà di interpretazione dell'opera di
Vitruvio, pervenutaci senza illustrazioni, restano perlopiù legate alla speculazione erudita. L'aspetto
iconografico non casualmente, pur nelle sue ambiguità, costituirà l'elemento più esemplificativo nelle
edizioni dell'opera di Vitruvio che si avvicenderanno.
• A fronte della speculazione teorica, non mancarono progetti concreti di restituzione, il più significativo dei
quali è la costruzione della loggia, edificata con l'intento di ricreare la morfologia della scaenae frons, fatta
erigere a Padova da Alvise Cornaro nel cortile della propria residenza, su progetto di Falconetto, e
probabilmente a Mantova, sempre nel 1524, per opera di Bertani.
• Ma l'esperienza del percorso archeologico vitruviano si conclude comunque nel primo e unico edificio
teatrale impostate sulle regole vitruviane: il Teatro Olimpico di Vicenza (inaugurato nel 1585), frutto di una
committenza accademica aristocratica che vide all'opera Palladio.
Ma alla morte del suo progettista, l'innesto di scenografie prospettiche urbane tridimensionali, raffiguranti le
vie di Tebe, poste nello spazio retrostante la scaenae frons, affidate all'architetto Vincenzo Scamozzi, apre la
strada alla commistione con la pratica scena contemporanea.
• A breve distanza, nell'ambito della committenza di corte, lo stesso Scamozzi sarebbe stato l'artefice del
primo edificio teatrale stabile all'antica, inserito nell'urbanistica della città ideale di un principe: la Sabbioneta
di Vincenzo Gonzaga (1588). E' infatti nell'ambito di corte e nella sua occasionalità festiva che trova maggior
fortuna di sviluppo la seconda linea di ricerca e di sperimentazione della messa in scena.

La definizione dell'edificio teatrale moderno avrà esito dalla difficile sintesi sperimentale tra le ispirazioni al
teatro all'antica, la necessità di predisporre l'immagine illusionistico-prospettica della città, la tecnologia
contemporanea e la messa in scena di nuovi generi drammaturgici, in primis l'intermedio.

• Risale forse al 1508, per l'allestimento della Cassaria di Ariosto, la prima ambigua testimonianza
dell'esecuzione ad opera di Pellegrino da San Daniele di un'illusoria immagine urbana fissa, dipinta in
profondità su un fondale piano.
• Ma fu la rappresentazione della Calandria urbinate del 1513, con scenografie di Girolamo Genga, a
compiere un salto di qualità nell'uso della componente pittorica prospettica con quella a rilievo.
• Secondo le testimonianze di Giorgio Vasari, si attribuisce però a Baldassarre Peruzzi, per la
rappresentazione della Calandria a Roma nel 1514) il primato della realizzazione della scena prospettica
tridimensionale.

Tuttavia, l'illusorietà della scena prospettica ricreata sul piccolo palcoscenico a metà del Cinquecento doveva
ormai rappresentare una prassi diffusa.
• La sintesi più significativa tra la teoresi vitruviana, le pratiche della scena e l'innesto delle scene
prospettiche si esprime infatti nel 1545 nel trattato dell'architetto Sebastiano Serlio, nel Secondo libro di
perspettiva. Partendo infatti dal modello da lui stesso realizzato nel 1539 all'interno di un luogo teatrale
descrive l'organizzazione di uno spazio con una cavea a gradinate al lato estremo, contrapposta frontalmente
a un palcoscenico con proscenio, sul quale agiscono gli attori, separato da una platea-corridoio. L'impianto,
inclinato, prevedeva un fondale dipinto prospetticamente che chiudeva il digradare in altezza delle sequenze
delle quinte laterali fisse.
→ Serio codifica e caratterizza le tre scene del teatro latino, esemplificandole attraverso incisioni che saranno
da allora ritenute modelli normativi fondamentali, rispondenti ai tre generi drammaturgici canonici (FIG.3.3)
• La fissità della scena prospettica serliana sarà però superata. La libertà d'azione dell'intermedio darà una
svolta decisiva alla pratica scenica, scardinando le regole: le molteplici possibilità di cambi di scena, grazie
all'introduzione delle scene rotanti dei periaktoi (strutture a base triangolare con una scena diversa dipinta su
ogni faccia, di memoria classico-vitruviana), ma poi soprattutto delle quinte piatte, romperanno la rigidità
degli schemi normativi dell'ipotesi architettonica vitruviana, al pari dell'unitarietà aristotelica della
drammaturgia regolare.
• Il Teatro Mediceo degli Uffizi a Firenze diventerà la struttura di corte più celebre e conosciuta della
spettacolarità di corte italiana ed europea. L'impianto, con forma poligonale per l'area delle gradinate, vede
al centro il palco del principe (punto di vista privilegiato) a cui spetta la visione piena e perfetta della scena,
della prospettiva a fuoco centrale.

La “meraviglia” dell'intermedio
Si affermano così forme performative diverse che aprono orizzonti su innovativi generi “misti”, fino ad allora
inammissibili, e soprattutto su un progressivo slittamento verso nuovi modi di rappresentazione.
Perduta l'esclusiva funzione ricreativa e di sospensione tra un atto e l'altro della drammaturgia regolare,
l'intermedio sposterà l'interesse del pubblico verso gli effetti di pura visualità, distogliendone l'attenzione
dalla trama.
• La tradizione dell'intermedio era comunque di lunga durata. Già nel corso del Quattrocento le cosiddette
“inframmesse” si erano inserite nei volgarizzamenti classici ferraresi e avevano acquisito sempre più
caratteristiche tecniche della rappresentazione (azione coreutica, di canto, pantomimica).
• Ma nel corso del Cinquecento proprio la connotazione di “medialità” del fenomeno (forma aulica di
intrattenimento e di riposo per gli interpreti e per il pubblico, collocata fra gli atti dei generi drammaturgici,
costituita da canti, moresche, piccole azioni coreografiche) mantenne caratteri non ben definiti, legati alla
tradizione. Intermedi di questo tipo furono definiti intermedi non apparenti, distinti quindi da quelli che
prevedevano un'azione scenica articolata, detti appunto intermedi apparenti.
• L'intermedio ha consentito di sperimentare straordinarie innovazioni scenotecniche, come cambi scenici a
vista e inserimenti di macchine, impossibili nelle altre forme di spettacolo.

• La Cofanaria di Francesco d'Ambra, nel 1565, posta in scena a Firenze a Palazzo Vecchio con apparato di
Giorgio Vasari in occasione delle nozze di Francesco de' Medici con Giovanna d'Austria, non è restata alla
storia tanto per i contenuti del testo, quanto piuttosto per gli intermedi scritti per l'occasione da Giovan
Battista Cini.
→ Nella loro elaborazione, Cini ideò un unico filo conduttore unificante (la favole di Psiche e Amore di
Apuleio) secondo una compenetrazione con la commedia, fu un primissimo esempio di metateatralità.
• Ma la piena autonomia dell'intermedio rispetto l'originaria funzione di subordinazione è resa celebre dalle
rappresentazioni dell'Amico Fido di Giovanni de' Bardi e della commedia La pellegrina di Girolamo Bargagli,
recitata dai componenti dell'Accademia degli Intronati di Siena, nel medesimo teatro, in occasione delle
nozze del granduca Ferdinando con Cristina di Lorena (1589). Ognuno dei sei intermedi, sempre ideati da
Bardi, mise in scena un'azione drammaturgica a sé stante (tra cui Il mito di Arione FIG.3.4)

L'intermedio catalizzò l'attenzione degli addetti alla pratica scenica ma anche del pubblico, formalizzandosi in
un vero e proprio genere performativo e consolidando il proprio statuto. La rappresentazione della
commedia divenne poco più di un pretesto per gli intermedi, i quali, per lo stretto legame con la coreutica, la
musica e il costume allegorico, nell'arco di alcuni decenni consentiranno la maturazione delle prime forme
del “recitar cantando”, il melodramma.

Attori, musici e ballerini: professionisti, semiprofessionisti, dilettanti


In questo primo Cinquecento si inizia a distinguere la figura dell'interprete da quello dello scrittore, si passa
dal cantato al parlato nella recitazione sulla scena, dai versi alla prosa che richiede modi e tecniche diverse e
si incomincia a ricercare la psicologia del “tipo” scenico che via via si va rappresentando.
• Riemerge perciò la figura dell'attore.
→ Così nella Firenze del primo Cinquecento diviene famoso Domenico Barlacchi detto Barlacchia,
appartenente alla Compagnia della Cazzuola e specializzato a recitare nella parte del Vecchio. E' una sorta di
semiprofessionista, depositario di una propria poetica teatrale.
→ Ugualmente il lucchese Francesco de' Nobili, detto Cherea a seguito del personaggio interpretato
nell'Eunuco di Terenzio, richiesto per dare vita a opere classiche o contemporanee come Mandragola.
→ A Padova sarà il già citato Ruzante a essere ricordato per l'alta qualità artistica di autore-attore.
• Ma all'interno della corte sono proprio i cortigiani i primi a essere chiamati a interpretare i personaggi dei
drammi allestiti. Anche se, come ammonisce nel Cortegiano Baldassarre Castiglione, il gentiluomo si deve
tenere lontano dalla “professione” propria del comico, sono proprio i nobili a recuperare per “diletto” il
valore di quel mettere in scena l'altro da sé, della parola agita e non solo pronunciata o declamata.
→ Lontani dal buffone e dal giullare, che non impersonavano che sé stessi e che in questo periodo sono i
“professionisti” di mestiere lo saranno poi i comici dell'Arte, nobili colti e letterati occasionale si dilettano a
prendere parte agli spettacoli.
→ I signori delle corti con i loro sudditi si riappropriano delle tecniche attoriali, del gesto e della parola, del
suono e del movimento ordinato e regolato. Addestrati nelle accademie e nelle compagnie religiose,
esercitandosi con l'arte oratoria al contempo vicina e distante da quel mondo della finzione, si prestano a far
risorgere l'arte comica. Basta che lo facciano per puro piacere e per diletto, tanto che a Siena la Congrega dei
Rozzi attua proprio una strenua difesa dello status dilettantesco nei confronti del professionismo, status che
però non diminuisce affatto la maestria dei suoi partecipanti.
• I dilettanti si cimentano anche in performance difficili e che richiedono giorni e giorni di prove e studio
accurato. Affiancati ai professionisti, perlopiù noti musicisti e cantanti, i cortigiani e gli accademici devono
essere attori e possibilmente anche musici e ballerini di buon livello. Lo richiede la necessità stessa
dell'apparire propria della corte. Sarà poi lo sviluppo dell'intermedio a far nascere sempre più l'esigenza di
delegare determinati ruoli ai professionisti in quanto le richieste performative sono diventate ormai troppo
alte, soprattutto per quanto concerne l'arte musicale e coreutica.
• Dalla recitazione della commedia regolare, dall'apprendimento del testo disteso nella maniera più aderente
e quindi naturale, inizialmente in latino e poi in volgare, prima in versi e poi in prosa, vuoi della commedia,
della tragedia o della pastorale, si arriverà alla tecnica dell'improvvisazione, affinata e propria del comico di
professione, che troverà anch'essa il suo pendant nell'arte improvvisa di certi cortigiani, perlopiù accademici
abili al pari dei professionisti di mestiere, ancora una volta chiamati dilettanti perchè recitano per “diletto” e
non per guadagno, in un altro contesto e con altre dinamiche (FIG.3.5)

4. La Commedia dell'Arte

La nascita dell'attore di professione


Approssimativamente dalla metà del XVI fino alla metà del XVIII si consolida la Commedia dell'Arte, un
particolare modo di fare spettacolo dai tratti specifici e ben riconoscibili.
Si tratta essenzialmente di un sistema teatrale di successo che privilegia l'economia del fare e del distribuire
spettacoli in regime di libero mercato a fronte degli allestimenti aristrocratico-letterari pensati per un
pubblico scelto.

Nel fondo Archivio notarile dell'Archivio di Stato di Padova è conservato il più antico contratto di costituzione
di una compagnia di comici sinora reperita nella nostra penisola. Il 25 febbraio 1545 Ser Maphio, detto Zanini
da Padova, e altri sette compagni si riuniscono a casa del notaio padovano Vincenzo Fortuna per costituire
una “fraternal compagnia” al fine di recitare commedie a pagamento di città in città.
→ A capo del sodalizio, che deve restare unito sino alla Quaresima dell'anno successivo, eleggono Ser
Maphio, che è anche responsabile delle trattative d'ingaggio del gruppo.
→ I comici concordano un regolamento per dividere spese e guadagni della loro attività spettacolare e per
stabilire come comportarsi in caso di malattia o fuoriuscita dal sodalizio di uno dei componenti. Unico
investimento comune fissato nell'accordo è l'acquisto di un cavallo per portare le loro “robe” da una località
all'altra.
• La data di stipula di questo primo contratto rappresenta convenzionalmente non solo la nascita dell'attore
di professione ma anche l'inizio di quel nuovo modo di fare spettacolo che si definisce Commedia dell'Arte.
• Va sottolineato però che nel documento non si fa alcun riferimento a questioni tecnico-artistiche. Accanto
al fattore economico, infatti, l'altro elemento che viene specificamente disciplinato nel contratto è il carattere
itinerante del sodalizio.

A capo di un gruppo di comici di mestiere, Benedetto Cantinella era solito incentrare le trame delle
commedie che rappresentava sulla forza espressiva di tipi fissi come il vecchio Magnifico (un ricco mercante
afflitto da tutti i difetti ridicoli della senilità) o come lo Zanni (in genere il suo servitore, ma anche uno
spazzacamino o un soldato codardo).
• Il centro di gravità delle vicende messe in scena dai comici di professione non consisteva tanto nel parlare a
lungo e senza profitto, ma nell'incontro-scontro di queste due tipologie teatrali, che sprigionava già di per sé
una forza comica. Ad affascinare, in particolare, erano gli irresistibili lazzi (motti buffoneschi spesso sguaiati)
in cui eccellevo lo Zanni.
• Al binomio Magnifico-Zanni individuato dalla storiografia teatrale classica Margaret Katritzky preferisce
contrapporre piuttosto la rilevanza compositiva del trio Magnifico-Zanni-Innamorata come nucleo scenico-
drammatico all'origine delle rappresentazioni dei comici dell'Arte.
→ Ad avvalorare questa ipotesi, verso la fine del XX secolo, durante i lavori di ristrutturazione di Palazzo Berla
a Mantova, in una sala è stata scoperta una serie di otto affreschi a grottesca, posti in fregio al soffitto. La
serie, che contiene scene, a parte una, i cui i protagonisti sono perlopiù due Zanni e il Magnifico, rappresenta
l'unico reperto del genere in Italia sulle origini della Commedia dell'Arte (FIG.4.1). Confrontandola con i
repertori iconografici cui si suole fare riferimento in questi casi Umberto Artioli sottolinea come tra tutti
esiste una tessera in comune: il motivo di Pantalone che danza con una dama al suono di uno Zanni musico.
Ma per poter affrontare questo tema è necessario prendere prima in esame la questione della nascita del
professionismo femminile.

L'avvento dell'attrice sulle scene teatrali


Per trovare il primo contratto che sancisca la partecipazione ufficiale di un elemento femminile a questo
nuovo tipo di impresa devono passare circa vent'anni dall'accordo stipulato a Padova, ed è necessario
spostarsi a Roma. Presso il fondo Notari del Tribunale delle acque dell'Archivio di Stato capitolino viene infatti
conservato un rogito del notaio Ottavio Gracco in cui, in una dimora di Campo Marzio, alla presenza di due
testimoni, si certifica la costituzione di una compagnia comica nell'ottobre 1564; tra i componenti figura
anche la padrona di casa, una certa Lucrezia senese.
• In realtà la prima notizia certa della presenza di una donna all'interno di una compagine di comici è di
qualche anno anteriore: infatti in una lettera dell'agosto 1562 Baldassarre de' Preti racconta al cardinale
Ercole Gonzaga come in quei giorni a Mantova siano state rappresentate alcune commedie da attori tra cui
figura una ragazza romana. Le sue abilità si esplicano soprattutto in performance di tipo ginnico.
→ Benchè il documento non riporti il nome della giovane, è certo si tratti di Barbara Flaminia, moglie del
celebre Alberto Naselli, in arte Zan Ganassa. Nonostante la sua prima formazione sembri di matrice quasi
circense, la giovane diviene ben presto in grado di dominare un repertorio più elevato.
• Gli avvenimenti che la coinvolgono a Mantova nel luglio 1567 insieme a Vincenza Armani ne sono una prova
piuttosto evidente. Un discreto numero di lettere di cortigiani riferisce come nel corso di quell'estate
Mantova divenga sede di una fervente contesa artistica tra le compagnie di Vincenza e di Flaminia,
un'opposizione che crea fazioni di spettatori, a testimonianza del ruolo centrale assunto dalle due
protagoniste sulla scena.
→ Il primo luglio infatti si rappresentano due commedie “a concorrenza”: le due compagini si ripromettono di
darsi battaglia conquistando il maggior numero di persone possibile. Nei giorni successivi la febbre teatrale
sale. Entrambe le attrici si misurano con diversi generi spettacolari come la tragedia, la tragicommedia o la
favola pastorale. Se Flaminia viene lodata per la recitazione e Vincenza per l'abilità musicale o per la vaghezza
degli abiti, gli intermezzi che entrambe allestiscono suscitano una vera meraviglia nel pubblico.
Verso la metà del mese però la compagnia di Vincenza è costretta a cedere le armi, lasciando il campo alla
formazione rivale, per cercare maggior fortuna a Ferrara. Il successo di Flaminia prosegue allora incontrastato
fino ai primi di agosto, tanto che a un certo punto il podestà si vede costretto a impedire ai notai della corte
di recarsi a teatro per non restare sguarnito di funzionari. Verso la fine del mese anche il vescovo adotta la
stessa misura restrittiva, proibendo agli ecclesiastici d'andare alla commedia.
→ L'imponente afflusso di pubblico con parziale arresto delle attività ordinarie, segnano chiaramente la
misura di un fenomeno inconsueto per la città, ma destinato ben presto a espandersi.

L'attrattiva erotica unita a doti tecniche e a una certa predilezione per il travestimento decretano a tal punto
il trionfo delle prime interpreti dell'Arte che, alcuni anni più tardi, nel 1574, Vittoria Piissimi, allora impegnata
nella compagnia dei Gelosi, viene persino chiamata appositamente a Venezia da Milano per intrattenere con
le sue abilità artistiche Enrico III di Valois.
• Il tema dell'attrattiva sessuale introdotta dalla presenza femminile reca fatalmente con sé quello del suo
legame con la prostituzione.
Qui basti ricordare:
- da un lato i molteplici tratti comuni tra le interpreti degli anni Sessanta del Cinquecento e le meretrices
honestae (donne di piacere dalla cultura elevata in grado di comporre versi e suonare strumenti con il preciso
scopo di allietare la vita di corte)
- e dall'altro il processo di nobilitazione della figura dell'attrice posto in atto da una delle più grandi e note
interpreti dell'Arte, Isabella Andreini, e dal figlio Giovan Battista, in arte Lelio.
→ Attrice, poetessa e accademica intenta, godette di una fama molto vasta Rappresentò un insuperato
modello di commediante onesta, in grado di coniugare le abilità artistiche sulla scena con quelle di moglie
devota e madre affettuosa, venendo al contempo apprezzata anche per le sue composizioni poetiche raccolte
in volume.

• Tuttavia , a prescindere dalla molteplicità degli aspetti sottesi alla questione, dalle prove a favore e contro
l'immoralità delle attrici, l'elemento più interessante sembra piuttosto proprio il tema della fascinazione
femminili tout court, connesso con l'ineliminabile portato di ambiguità che sta alla base della finzione scenica
e che, a vario titolo, si cerca da più parti e in vari modi di regolamentare.
→ Infatti, in seguito ai disordini accaduti in occasione di alcune rappresentazioni, nel 1569, ad esempio, il
governatore dello Stato di Milano fece emanare una grida in cui si ordinava che a partire da quel momento le
commedie dovevano essere epurate da tutti gli elementi che pervertivano i costumi dei cittadini.
• Anche per quanto riguarda le suppliche per la concessione della licenza alle rappresentazioni nelle varie
città, frequentemente vengono firmate direttamente dalla vedette della compagnia o addirittura
accompagnate da una sua esibizione preventiva unita ad assicurazioni di irreprensibilità e morigeratezza di
costumi.
• Altre volte, invece, quando l'autorità cittadina sembra non voler proprio favorire in alcun modo le richieste
dei comici, la stella della compagnia mette in campo una strategia indiretta e richiede personalmente
l'intervento di un potente protettore che solleciti la concessione della licenza fino a quel momento negata.

Maschere e canovacci
Verso la metà del XVI secolo la grande fortuna della commedia rinascimentale comincia a declinare. Accanto
al teatro di corte, si impone uno spettacolo che raffigura una realtà sociale molto più ampia di quella presa i
esame dagli allestimenti umanistici. Nelle città si aprono spazi deputati ad accogliere insieme i viaggiatori
stranieri in cerca di guadagni con le loro varie esibizioni e gli spettatori locali che, senza distinzione di classe,
sono disposti a pagare un biglietto per vederli recitare.
• Tra il 1570 e i primi anni Ottanta, una particolare congiuntura di fenomeni demografici, urbanistici e politici
produca a Firenze, Venezia, Madrid, Napoli, Parigi e Londra i primi segni di un radicamento del teatro in
luoghi stabili di vendita: le cosiddette “stanze del teatro”.
→ In questi spazi, che accolgono alternativamente cerretani, ciarlatani, affabulatori, cantanti, mimi e
giocolieri, i seguaci delle prime compagnie comiche, modellate su quelle di Ser Maphio o Cantinella, mettono
in scena le loro rappresentazioni, senza tuttavia disdegnare gli eventuali ingaggi proposti dalle varie corti.

Elemento fondamentale degli spettacoli di Commedia dell'Arte è la presenza in scena di maschere, o tipi fissi,
che ritornano in rappresentazioni diverse, con vestiti, movenze, personalità sempre uguali.
In questo specifico contesto il termine maschera non designa solo lo strumento di cuoio o cartapesta da
indossare sul volto, ma il complesso della figura creata dall'attore. Considerando che un comico dell'Arte
interpreta quasi per tutta la sua carriera un unico personaggio, in genere il nome della maschera finisce per
cancellare quello dell'attore, o per confondersi con esso.
• Ispirato alle fogge regionali o alle divise delle arti e dei mestieri, il vestiario dei comici dell'Arte si definisce
nel tempo in una stilizzazione fissa. Nella sua standardizzazione l'abito diviene la seconda pelle dell'attore, il
mezzo più eloquente per sottolineare gli aspetti di un tipo.
• Accanto al costume, la mezza maschera è l'altro attributo indispensabile, essendo fissata in un'espressione
specifica che si fa tragica o grottesca, comica o sentimentale, solo nel momento in cui l'attore si esprime con
l'efficacia dell'atteggiamento mimico.
• Dei tre tipi in cui si possono per la gran parte suddividere i personaggi dell'Arte (servi, vecchi e innamorati)
soli i primi due usavano costantemente coprire il volto con la maschera. Le donne e gli innamorati recitavano
invece a viso scoperto.

Vecchi
I vecchi usavano una maschera dalle pieghe profonde, a imitazione esagerata delle rughe.
• La più antica di questa tipologia p quella del Magnifico o Pantalone. L'immagine viene definita dal costume
(calzamaglia rossa, mantello nero, ciabatte) e dalla maschera, severa e accigliata, dominata dal lungo naso
aquilino, simmetrico al pizzo puntuto della barba, al punto che non sembra ne siano stato create altre.
Considerato come personaggio drammatico, è un vecchio mercante veneziano, ma per il resto è un tipo
aperto a tutte le possibili determinazioni.
• Altra maschera di vecchio è quella del Dottore. L'immagine tradizionale consiste in un tipo paffuto e
soddisfatto, vestito con un abito accademico nero e una maschera dal naso grosso e corto. Il Dottore, che si
esprime in genere con il dialetto bolognese, è soprattutto una figura verbale dal parlare distorto ed eccessivo,
fondato sulla paronomasia.
→ Questa figura retorica, detta comunemente anche bisticcio o annominazione, permette di accostare due
parole di suono simile o uguale, ma di significato differente, per mettere in risalto l'opposizione dei significati:
matrimonio diventa patrimonio; medicina, merdesina ecc. Applicata sistematicamente, questa tecnica
linguistica rende il discorso assurdo.

Servi o Zanni
I servi o Zanni sono nominalmente moltiplicati in un numero impressionante di personaggi che, almeno agli
esordi, spesso si qualificano con il prefisso Zan (Zan Ganassa, Zan Panza de Pegora ecc.). A parte il nome, il
costume (camicione bianco o grigio e larghi pantaloni), il dialetto e i complessi stilemi gestuali, gli Zanni
hanno un'immagine non precisamente definita e sono facilmente intercambiabili tra loro. Successivamente,
all'interno del gruppo si formeranno delle gerarchie e si distingueranno i servi furbi dagli sciocchi.
• In particolare, il maggior successo ottenuto dai servi sciocchi, tra cui spicca Arlecchino, si deve
primariamente alla loro definizione grossolana, alla plasticità dell'immagine e all'alta capacità di significare
ambiguamente più cose nello stesso tempo.
• Lo stile e la fisionomia di Arlecchino cambiano in relazione all'interprete che ne assume le vesti.
→ Il comico mantovano Tristano Martinelli attorno al 1585 a Parigi crea la prima versione di Arlecchino, un
tipo dal viso ferino, mezzo diavolo e mezza bestia, capo di una masnada infernale, principe del mondo alla
rovescia, re del carnevale e della follia. Il volto della maschera è nero, con profondi archi orbitali: al sommo
della fronte spuntano due bozzi, residuo delle originarie corna infere (FIG.4.3).
→ Solo con Bianconelli, Arlecchino ottiene quel costume a losanghe regolari e il gran collaretto bianco a cui è
si abituati ad associarlo.

Servetta
Sul versante femminile, la Servetta, personaggio della commedia cinquecentesca utilizzato ora come
confidente, ora come balia, ora come mezzana, diventa uno dei ruoli più frequentemente presenti. Dotata di
violenza icastica e di un gioco scenico scopertamente lascivo, in origine era una maschera en travesti (ossia
interpretata da un uomo), una caratteristica mantenuta a lungo anche successivamente all'avvento delle
attrici sulle scene.
• In seguito la tipologia della Servetta si addolcisce, proponendo un modo scenico più malizioso, gentile e
raffinato, per finire con lo sviluppare nella danza la maggior parte delle sue attrattive.

Capitano
A metà strada tra la figura del padrone e del sottoposto troviamo la maschera del Capitano, che rimane
essenzialmente costante nei caratteristici atteggiamenti soldateschi e fanfaroni. Con un linguaggio grottesco,
infarcito di spagnolismi maccheronici, il Capitano esprime tutta l'insofferenza dei popoli della penisola italiana
per la magniloquente vanagloria dei dominatori spagnoli, o più in generale delle truppe mercenarie al
servizio dei potenti.

Innamorati
I giovani Innamorati, infine, inscenano spesso lo schema tipico del contrasto fra giovani amanti e vecchi: gli
uni chiusi nel loro sentimento e fiduciosi, pur nelle loro disperazioni retoriche, che il loro amore giunga a
buon fine; gli altri, per varie considerazioni di interesse, gelosia, autorità, fermi a contrastarli. Agli Innamorati,
sia uomini sia donne, spetta il compito di far procedere le vicende attraverso un repertorio di smancerie
sentimentali, adattando alla situazione i luoghi comuni del concettismo amoroso, attinto di volta in volta da
Petrarca, dai petrarchisti o dai lirici dell'età barocca.

Rovesciando la prospettiva tipica del drammaturgo rinascimentale, il comico italiano decide di eludere il
momento della composizione letteraria, praticando invece una metaforica drammaturgia d'attore, che si
risolve nell'insieme di tecniche comunemente note come improvvisazione.
• La specializzazione scenica di cui i loro membri si dichiarano orgogliosi li induce a considerare il testo come
un mero soggetto recitabile, ovvero quale semplice materia prima della loro rappresentazione, utile nella
misura in cui contenga in sé elementi tali da prestarsi all'elaborazione da parte dell'attore, unico artefice
responsabile dell'azione scenica.
• Del testo drammatico si rifiuta pertanto la pretesa normativa di costituire un organismo autonomo, tale da
esigere soltanto una rispettosa traduzione in termini scenici.

Ma gli improvvisati divertimenti non derivano se non in apparenza da un gioco senza regole: i comici si
avvalgono di un canovaccio (una trama sintetica, priva di battute, delle vicende che vogliono rappresentare)
che mutano di sera in sera.
• Queste fabulae derivano da una schematizzazione seriale dell'impianto-base del canonico dramma comico
cinquecentesco, o addirittura ricalcano senza pudore le commedie di antichi e moderni, sostituendo ai
personaggi originari le maschere.
• L'esempio più ecclatante in questo senso è offerto dal Burlador de Sevilla, attribuito a Tirso de Molina e
stampato nel 1630, ossia dalla storia di Don Giovanni. Il soggetto viaggia dalla Spagna a Napoli, Firenze,
Bologna e Parigi, mutando titolo e arricchendosi via via di giochi scenotecnici e spunti tematici del tutto
assenti nell'opera primigenia, ma che ritroveranno invece nelle rielaborazioni di Biancolelli prima e nella
celebre pièce di Molière poi.

In viaggio per l'Europa


Musica, teatro, danza e arti figurative hanno trovato nei signori delle principali corti di Antico Regime degli
straordinari mecenati e promotori, in particolare proprio delle compagnie di attori che militano in tutta
Europa sotto l'egida della loro protezione.
→ Esemplare a questo proposito risulta il percorso scenico di uno dei più famosi comici italiani, Alberto
Naselli (Zan Ganassa), che nell'arco di circa un ventennio si snoda tra Italia, Corte Cesarea, Francia e Spagna.
• La fortunata presenza dei comici italiani in Spagna non solo ha contribuito allo sviluppo del teatro iberico
nei suoi specifici aspetti tecnico-organizzativi (ad esempio la possibilità di poter recitare le commedie anche
durante la settimana), ma ha anche consolidato l'inserimento delle donne all'interno delle compagnie locali.
Benchè si trovino notizie della presenza di attrici iberiche già a partire dalla fine degli anni Cinquanta del
Cinquecento, a differenza di quelle italiane, queste non hanno alcun potere contrattuale né indipendenza,
venendo in genere aggregate alla compagnia più per i legami familiari che altro.
→ A partire dal 1586 norme particolarmente restrittive cominciano persino a impedire alle donne iberiche di
calcare le scene, preferendo loro dei ragazzi travestiti. La situazione si sblocca nel novembre dell'anno
successivo, sempre per merito dei comici italiani. Infatti, la compagnia dei Confidenti guidata da Drusiano
Martinelli presenta una petizione affinchè venga permesso alle loro attrici di poter recitare. La licenza viene
quindi concessa a condizione che le donne siano regolarmente sposate e viaggino con i loro meriti; che non
recitino vestite con abiti da uomo; che gli uomini non possano travestirsi da donna. Le stesse regole varranno
anche per le interpreti locali.
• Benchè, per ragioni cronologiche, non sia possibile collegare i due celebri cicli d'affreschi dedicati alla
Commedia dell'Arte realizzati nel castello bavarese di Trausnitz verso la fine degli anni Sessanta del
Cinquecento con i noti festeggiamenti di Monaco nel 1568 in occasione del matrimonio tra Guglielmo di
Baviera e Renata di Lorena cui partecipano comici italiani, i Dialoghi di Massimo Troiano e i resoconti dei
viaggi di Ferdinando di Baviera in Italia testimoniano la passione dimostrata da questi regnanti per tale
universo spettacolare, e segnano l'inizio di un lungo periodo di committenza di compagnie dell'Arte in area
germanica (FIG.4.4).
• Lo studio biografico dedicato a Siro Ferrone a Tristano Martinelli, invece, mostra uno stretto legame tra un
atto di polizia stilato ad Anversa nel 1576, in cui l'ideatore di Arlecchino giura di trovarsi nelle Fiandre per
recitare commedie, e un quadro conservato presso il Museo Baro Gérard di Bayeaux, in cui compare un
giovane attore che “si stringe nelle spalle e lascia cadere un ampio camicione grigio maculato di pezzi
multicolore”. Dalla comparazione non solo è possibile avanzare l'ipotesi che nel giovane si possa riconoscere
un Tristano Martinelli diciannovenne, che prelude al suo futuro Arlecchino, ma anche individuare i tipi
interpretati dai componenenti della compagnia (FIG.4.5) Dopo la sosta ad Anversa però per qualche tempo si
perdono le tracce di Martinelli, per ritrovarle due anni dopo ancora più a nord, in Inghilterra, nei paraggi della
corte.
• A partire dall'ascesa al trono di Enrico III si accentua in Francia quella linea politica inaugurata da Caterina
de' Medici che vedeva nel fasto un modo per difendere il proprio regno. Fra tutti gli “amuleti” di corte i più
facili bersagli dei detrattori furono naturalmente i comici italiani: erano stranieri, per bravura capaci di rubare
il mestiere agli attori parigini, ma soprattutto le loro storie erano recitate da donne vere, abilissime nel
suonare gli strumenti e nel cantare testi difficili e armoniosi. E' in questo contesto che a Parigi, nell'anno
1584-85 i Martinelli scelsero una linea difensiva assai aggressiva. A differenza dei compagni Confidenti, che si
erano messi a pubblicare commedie letterariamente corrette, in grado di opporre meriti morali a qualunque
critico bigotto, decisero di cavalcare lo scandalo loro ascritto e di farne lo strumento del proprio successo.
• Pur conservando il ruolo di secondo zanni, Tristano inventa una maschera con un nome proveniente dal
folclore nordico e un abito multicolore; una maschera che si dichiara il re dei diavoli a capo di una masnada
infernale; una maschera, infine, che parla l'idioma mantovano e che ha un corpo flessuoso con incredibili
capacità acrobatiche.
→ La sua immagine ci è stata tramandata da una collezione di quattordici incisioni di taglio popolare degli
anni Ottanta del Cinquecento, per la maggior parte dedicate ai movimenti e alle posture di Arlecchino e
accompagnate da stringate didascalie (FIG.4.6).
→ Che Tristano preferisse mantenere la sua individualità, esibendosi più volentieri in performance private
davanti ai sovrani, è testimoniato da molteplici episodi della sua carriera scenica.
→ Pur essendo l'artista attorno a cui si aggregano i migliori comici italiani per rispondere ai diversi inviti dei
regnanti di Francia, dopo il declino del fratello preferisce lasciare la gestione pratica della compagnia a un
intraprendente primo zanni, Pier Maria Cecchini, in arte Frittellino, giudicando la responsabilità collettiva una
fastidiosa incombenza; successivamente sarà il figlio della grande Isabella, Giovan Battista Andreini,
considerato uno dei maggiori drammaturgici del Seicento, a prenderne le redini per un nuovo viaggio nel
1631. Alla gestualità corporea di Arlecchino, Andreini (in arte Lelio) contrappone la sapienza letteraria in cui
trasfonde i segreti del mestiere e le invenzioni sceniche dei compagni attori.
→ Analogamente a Ganassa, sia Cecchini sia Andreini effettuarono anche lunghe tournées verso est, a Vienna
e Praga, nel 1614 il primo e dal 1627 al 1629 il secondo.

Il declino di una prassi e la nascita di un mito


Intorno al 1630 scompare quasi tutta la generazione fondatrice della Commedia dell'Arte.
Nel corso del Seicento le cooperazioni fra i diversi centri dello spettacolo della penisola italiana furono molto
intense. Particolarmente articolate e minute furono le vicende delle numerose nuove formazioni dell'Arte.

Vale la pena soffermarsi sulla progressiva modificazione dei tipi della Commedia dell'Arte messa in atto in
Francia da un nucleo di attori italiani stanziatisi a Parigi, un fenomeno che vede predominare le posture
energiche, caratterizzate da sforzo e tensione, tanto da trovarsi ben presto di fronte a danzatori piuttosto che
attori.
• Tiberio Fiorilli, in arte Scaramouche, comico agilissimo e in grado di ballare, cantare e suonare a meraviglia,
nel 1658 recita all'Hotel du Petit-Bourbon. I comici italiano e il grande attore francese Molière lavorarono
fianco a fianco: i primi pronti a sfruttare i successi francesi per trarne parodie, il secondo attento a studiare la
tecnica e i soggetti degli italiani.
• Nel 1661 arriva a Parigi una nuova ondata di attori, tra cui Domenico Biancolelli (Arlecchino), che compone
canovacci più garbati, dalla comicità meno greve, per assecondare la crescente richiesta di spettacoli di
balletto, che vedevano in Scaramouche un vero campione. Se nelle rappresentazioni la lingua italiana dei
comici inizia a essere accompagnata da parti in francese, ai canovacci si aggiungono parti musicali e passi di
danza. Il successo e la fama di Biancolelli ben presto surclassano quella di Martinelli, imponendo un modello
di recitazione per la maschera di Arlecchino anche agli attori che lo seguiranno. Le esigenze di moralità della
corte spingono il comico ad abbandonare i vecchi canovacci e accettare adattamenti di vecchi copioni al
modo francese. Il suo personaggio risulta così trasformato in un servo libero e moralista, che unire con
intelligenza il lavoro con il piacere.
• Alla morte di Biancolelli (1688) sarà Evaristo Gherardi a proseguire sulle scene come Arlecchino e a fissare
quell'immagine della maschera che arriverà immutata ai giorni nostri.
• Entrati però in contrasto con Madame de Maintenon, moglie morganatica di Luigi XIV, nel 1697 i comiti
italiani sono cacciati da Parigi.

Nel 1715 Luigi Riccoboni, deluso dai teatri della Repubblica di Venezia, accetta l'invito di Filippo d'Orleans a
ridare vita a Parigi alla Comédie Italienne.
• Più di cento commedie, tra vecchi e nuovi canovacci, vennero rappresentate nei due anni seguenti. Nei
primi mesi vennero distribuite traduzioni per supplire alla diminuita dimestichezza con l'italiano del pubblico
parigino, ma poi si fece direttamente ricorso ai testi in francese. Scarso successo aveva ottenuto il tentativo di
utilizzare i propri attori nel repertorio “alto”.
• Il pubblico francese ai comici dell'Arte chiedeva parodie dei generi musicali.
• Quando Riccoboni si ritira dalla compagnia nel 1729, si adegua il repertorio ai nuovi gusti del pubblico
parigino, con le proposte di Pierre de Marivaux che, celebrando gli ultimi eredi di un'antica tradizione, di fatto
ne rappresenta il crepuscolo. Nelle sue opere le maschere della Commedia dell'Arte sopravvivono all'interno
di trame esili, mosse da sentimenti altrettanto esili.
• Nel 1741 Carlo Antonio Bertinazzi, in arte Carlino, viene chiamato in Francia per sostituire il famoso
Visentini, in arte Thomassin, e ottiene l'ingaggio soprattutto per la padronanza della danza.
• Ciò che distingue l'arte scenica di Bertinazzi da quella di Biancolelli o di Thomassin, che pure avevano reso
più eleganti le evoluzioni rischiose, assecondando l'idea di un Arlecchino “raffinato dall'amore”, è il senso di
commozione che filtra dalla sua personale interpretazione della maschera. Nello stile di Carlino infatti si
possono ancora riconoscere tracce della recitazione dissonante e grottesca delle origini, ma sapientemente
mescolate al sentimento patetico e ai nuovi codici di naturalezza, grazia e dignità richiesti dal pubblico
parigino. Benchè l'innesto di una interpretazione accorata su una fisicità buffonesca sia per sé
contraddittorio, persino Goldoni, chiamato a Parigi nel 1762 per tentare di salvare la Comédie Italienne, si
deve adattare a ideare per Bertinazzi un servo che nutre passioni fini.
• La gloriosa avventura delle maschere italiane a Parigi terminerà sostanzialmente con la morte dell'attore
nel 1783.

Sul versante italiano il declino della Commedia dell'Arte viene sancito convenzionalmente dalla pubblicazione
del Teatro comico di Goldoni nel 1750, una commedia-manifesto in cui l'attore fa pronunciare agli attori i
cardini della sua riforma a favore di un testo scritto per esteso e di un teatro senza maschere.
• Un esempio illustre di resistenza al cambiamento rimane la collaborazione tra Carlo Gozzi e il capocomico
Antonio Sacco. In aspra polemica con i drammaturghi di successo Goldoni e Chiari, a partire dal 1761 il nobile
veneziano si compiace infatti di comporre una serie di Fiabe teatrali per dare nuova linfa vitale all'ormai
screditato e morente teatro delle maschere.
• Con i romanzi Il signor Formica (1819) e La principessa Brambilla (1820-21) di Ernst Theodor Hoffmann e
Capitan Fracassa (1861-63) di Theophile Gautier, la Commedia dell'Arte entra nell'immaginario dei lettori
comuni alla stregua di un mito, ma diventa anche oggetto di interesse di raffinate élite artistiche.
→ Nella loro residenza di Nohant, ad esempio, George Sand e il figlio Maurice si cimentano per quasi
diciassette anni, con attori in carne e ossa o marionette, in sperimentazioni creative che prevedono di
recitare improvvisando un canovaccio con improbabili peripezie comico-sentimentali.

La rinascita novecentesca
In seguito all'esperienza di George e Maurice Sand, gli elementi costitutivi della Commedia dell'Arte
(maschere, improvvisazioni e stilemi scenici) diventano elementi chiave per molti programmi novecenteschi
di rinnovamento del teatro.

• Tra il 1906 e il 1914 la Commedia dell'Arte e i suoi derivati ottocenteschi costituiscono uno dei punti di
riferimento della ricerca d'avanguardia nell'ambito culturale della Russia pre-rivoluzionaria. Secondo Tessari
(2013), dallo sperimentalismo di Vsevolod Mejerchol'd con la messinscena di Balagancik di Aleksandr Blok nel
1906 (in cui coabitano tipi dell'Arte come Arlecchino e Colombina, una figura tipica della pantomima francese
come Pierrot, espedienti metateatrali e auree di ironica fiaba alla Gozzi), al celebre exploit dello stravinskijano
Petruska realizzato dai Balletti Russi di Djagilev, si può riconoscere un'unica tendenza verso il superamento
degli stereotipi pseudorealisti o naturalisti.

• In sintonia con i predecessori, poi, anche Jacques Copeau non avvicina la Commedia dell'Arte in quanto
tradizione da imitare o forma perduta da ritrovare, ma perchè vi individua “vivo e operante” il principio di
una nascita naturale del teatro.
• Se nella penisola italiana, infine, non mancarono certo contributi in campo filologico allo studio scientifico
degli antichi comici e delle loro maschere, risulta invece assente qualsiasi forma di interesse sperimentale
verso un recupero di forme e tecniche almeno fino al 1922, anno in cui Anton Giulio Bragaglia propone sulle
tavole del Teatro degli Indipendenti di Roma una serie di pantomime ispirate a rivisitazioni francesi o russe
del genere. Ma da questo primo spunto non si svilupperanno ulteriori ricerche.
• Bisognerà attendere la fine del secondo conflitto mondiale perchè nel 1847, nella stagione inaugurale del
Piccolo Teatro di Milano, Giorgio Strehler proponga l'Arlecchino servitore di due padroni, uno spettacolo
modello, in grado di far rivivere le tecniche e le forme espressive degli antichi professionisti dell'Arte. Il
progetto di Strehler si è avvalso di una complessa fase laboratoriale per recuperare l'uso della maschera e le
particolari tecniche recitative necessarie a supportarla.

• Quasi trent'anni dopo, in occasione del 400esimo anniversario della nascita della maschera di Arlecchino,
Dario Fo e Franca Rame danno vita alla rappresentazione in due atti Hellequin Harlekin Arlekin Arlecchino, che
debutta nel 1985 a Palazzo del Cinema di Venezia. Per la prima volta la figura di Arlecchino qui presentata
viene elaborata grazie a una ricca ricerca condotta in collaborazione con studiosi specialisti di Commedia
dell'Arte.
→ Il cuore dell'invenzione scenica proposta, però, consiste nell'associare la creatività e la gestualità della
figura di Arlecchino-Martinelli a quella del clown, proiettandolo quindi in un mondo a cui non appartiene.
→ Fo si avvale di una prassi gestuale tramandata in epoca moderna attraverso il teatro minore, il varietà e il
cinema muto.
→ Altra tecnica rappresentativa adottata è il grammelot, una lingua immaginaria fondata su un gioco
onomatopeico di suoni e solo un dieci percento di parole intellegibili. Questo idioma diviene ora una lingua
lombarda, zeppa di espressioni gergali francesi, efficacemente predisposto per raccontare, ad esempio, la
vicenda di un Arlecchino che ha bevuto per errore una pozione che fa crescere a dismisura il membro.
→ Un ulteriore elemento che connota la concezione della maschera posta in scena da Dario Fo,
allontanandola dalla tradizione, è il gioco politico. Partendo dalla considerazione che l'Arlecchino-Martinelli
“ogni tanto si fermava proprio in mezzo al racconto e faceva allusioni dirette”, magari a personaggi che si
trovavano in sala, oppure a personaggi importanti noti a tutti, l'attore introduce a più riprese nello spettacolo
motivi di satira contemporanea, riferimenti a politici italiani e stranieri, o a questioni di attualità.

• Il primo aprile 1993, al Teatro Reale La Monnaie/Du Munt di Bruxelles, debutta una straordinaria
messinscena di Calisto, un dramma per musica di Francesco Cavalli su libretto di Giovanni Faustini, con la
realizzazione e la direzione musicale di René Jacobs; regia, scene, costumi e luci di Herbert Wernicke.
• L'argomento narra contemporaneamente del tentativo di Giove di sedurre la giovane Calisto, che come
seguace di Diana cacciatrice è votata alla castita, e degli amori segreti e casti di Diana con il pastorello
Endimione.
→ L'impianto drammaturgico proposto da Faustini viene interpretato nell'allestimento di Jacobs e Wernicke
seguendo una chiave di lettura in gran parte comica, allusiva e ammiccante.
→ Ciò che più interessa in questa sede però è che direttore e regista abbiano deciso di rileggere le
caratteristiche personali e le movenze di dei e pastori alla luce dei principali tipi della Commedia dell'Arte, in
particolar modo delle figure del Capitano, degli Innamorati, della Servetta e degli Zanni. Le fonti iconografiche
da cui traggono ispirazione i costumi creati per i personaggi si avvalgono di alcune delle cinquanta immagini
inserite da Maurice Sand nei due volumi di Masques et bouffons (1860) dedicati alla commedia di origine
italiana, seguendo puntualmente persino le indicazioni sui colori con poche impercettibili modifiche (FIG.4.7-
4.9).

5. Il teatro del Seicento e del Settecento

Una premessa
I comici di mestiere percorrono l'intero continente superando confini linguistici e culturali, ma ai pochi che
grazie alla loro bravura si sottraggono alle difficoltà quotidiane e sperimentano autentiche forme di divismo si
contrappongono artisti che lottano non solo per conquistare piazze redditizie, ma per essere accettati nella
loro identità irregolare.
→ Basterebbe porre mente al Vagabonds Act del 1572 in Inghilterra, sotto il regno di Elisabetta I, allorchè
l'intento di arginare i pericoli di persone senza fissa dimora nel regno permette di arginare i pericoli di
persone senza fissa dimora nel regno permette di ridefinire lo statuto degli attori, obbligando ogni compagnia
a ottenere una licenza affidata ai nobili o ai magistrati e, pertanto, favorendo l'aggregazione di gruppi e il loro
radicamento, soprattutto nel territorio londinese. Ma è un attacco al cuore di quella pletora di artisti
indipendenti e girovaghi che avevano costituito l'ossatura della teatralità medievale.
• In Inghilterra perciò accadeva che mentre nella capitale il settore teatrale conosceva una fase di
espansione, nel contado invece la situazione si presentava molto più delicata: lo spettacolo era parte viva di
tensioni politiche, ideologiche, religiose, e forse la difficile penetrazione degli artisti italiani oltre la Manica si
deve anche al fatto che essi, nonché stranieri, venissero avvertiti come “nemici”.
• In Spagna e, nei territori controllati dalla corona spagnola, a partire dagli ultimi decenni del XVI secolo le
scene pubbliche furono autorizzate solo a condizione che una cospicua percentuale sui ricavi fosse versata a
un ente assistenzialistico, in modo da purgare attraverso il finanziamento a opere pie l'esercizio di un'arte
diabolica.
• Anche nell'area germanica la vita teatrale fu segnata dalla Riforma, e il vivace confronto ideologico fra
ginnasi protestanti e scuole gesuitiche caratterizzò per tutto il XVI e il XVII secolo le riflessioni sulle funzioni e i
modelli del palcoscenico.

In Inghilterra: trionfo e crisi delle moving pictures


Se questo è lo sfondo su cui si stagliano le vicende del teatro in età moderna, è ancora più rilevante il fatto
che in tutta Europa, in forme modi diversi, le professioni della scena si siano affermate anche al di fuori degli
ambiti cortigiani e privati, dando origine a veri e propri sistemi produttivi che intrecciano commercio,
mecenatismo e avventura.
• Emblematico è il definirsi di una complessa industria dello spettacolo nella Londra della seconda metà del
Cinquecento: alla regolamentazione di artisti e compagnie e al forte ridimensionamento di un teatro di
ispirazione religiosa si fa riscontro una notevole capacità imprenditoriale degli attori.
• E' del 1576 l'edificazione del Theatre, prima di una serie di strutture permanenti, cui faranno seguito tra gli
altri il Rose nel 1587, lo Swan nel 1595 (FIG.5.1) e, solo quattro anni dopo, il Globe, legato alle attività della
compagnia shakespeariana: gli edifici sfruttavano una serie di liberties, zone dove meno serrato era il
controllo del City Council e minore l'opposizione a iniziative di questo genere.
• Tendenzialmente circolari, con pochi ordini di palchi, un palcoscenico tra due colonne che reggevano un
“cielo” e la possibilità di rappresentare azioni su più livelli, potevano presentare diverse aree funzionali, arredi
o macchinari, ma non contavano sull'effetto illusionistico su cui si costruivano le sperimentazioni di tanti
spettacoli aristocratici ed altre latitudini. A ciò contribuiva la disposizione non rigidamente frontale del
pubblico.
• Gli artisti erano impegnati nella conquista di un pubblico attraverso continue novità da mettere in scene,
commissionando e rielaborando opere per garantire un'offerta varia e costante, e dovevano preoccuparsi di
un regime concorrenziale che poteva compromettere la loro stessa sopravvivenza.
• Nel momento in cui un manoscritto veniva acquisito da una compagnia, un copione rimaneva nelle mani
del suggeritore, mentre agli attori erano assegnate le singole parti e un riassunto per grandi linee della trama
(plot). Durante il lavoro di concertazione non era impossibile che il drammaturgo potesse rimettere mano al
testo, né che interpolazioni e improvvisazioni entrassero nell'impianto originario.
→ Quello che noi leggiamo oggi è ciò che approda alla stampa dopo un impiego intensivo, frutto di
un'impresa collaborativa assai complessa.
→ Questo regime di co-autorialità non mette in discussione la qualità della parola poetica: semmai, la sottrae
alla visione romantica di un genio isolato rapito dall'ispirazione e la riconduce all'officina del dietro le quinte,
dove i drammi prendono vita.
• Le meraviglie retoriche di celebri monologhi e dialoghi rispondono all'esigenza di attivare la fantasia di uno
spettatore che obbedisce a specifiche convenzioni (ad esempio che i personaggi femminili siano interpretati
da uomini, sia pure giovanissimi, come era prassi , il che di per sé equivale a ogni abbandono di realismo di
fronte a figure quali Giulietta, Lady Macbetch o Gertrude) e deve accontentarsi di visioni sobrie al cospetto di
immagini sapientemente evocate dalla declamazione.
• Ben Jonson, Thomas Kyd, Christopher Marlowe e William Shakespeare attingono alle fonti classiche per la
drammatizzazione di episodi di storia antica, riprendono spunti di leggende medievali, spesso rimaneggiando
precedenti di successo, lavorano su temi di attualità come l'antisemitismo e dialogano con la letteratura
contemporanea.
→ A riprova di una civiltà matura sono alcuni virtuosismi, come gli shakespeariani Sogno di una notte di
mezza estate, in cui si compongono prove di tragedie e di farsa, o La tempesta, straordinario apologo sul
potere e sulla responsabilità politica calato in una dimensione magica, e spesso si sono colti nell'opera echi di
canovacci dell'Arte come l'Arcadia incantata.
• Quando nel 1642, dopo la cacciata della dinastia regnante, un editto del Parlamento puritano di Oliver
Cromwell mise al bando tutti gli spettacoli teatrali perchè propagatori di un divertimento inopportuno per lo
stato della nazione, fu un duro colpo inferto a un'attività che era ormai altissima espressione d'arte e
notevole risorsa economica.
• Solo a partire dal 1660, con il ritorno degli Stuart al potere, nuove patenti regali e nuovi imprenditori
rimisero in moto un sistema che si era provato a cancellare dalla memoria. La restaurazione diede impulso
anche al teatro in musica, riprendendo masques e tradizioni di corte.
→ Ma, per il momento, prendeva il sopravvento un rifiuto della scena che si nutriva anche di una profonda
paura per quello che le moving pictures sapevano essere per la coscienza umana. Sotto questo profilo,
esemplare il play within the play intorno al quale ruota la vicenda di Amleto.
→ Il giovane principe danese ingaggia una troupe di attori in cui impartisce una lezione di moderazione,
contro gli eccessi che pure possono sortire l'effetto di un coinvolgimento nella passione Ma lo spettacolo
serve a fornire la prova di un orribile delitto nella reggia, il fratricidio e l'usurpazione del trono e della sposa,
attraverso il turbamento di due spettatori privilegiati. E il dramma si interrompe allorchè si recita
l'avvelenamento, e il re si alza e si allontana di fronte al crimine perpetrato dagli attori: la finzione traduce
una rivelazione ricevuta in forma onirica e spettrale in una realtà concreta e indubitabile.
• Qualche decennio dopo, interludi e drammi comuni erano ritenuti senza appello motivo di disordine, e lo
erano, in effetti, ma non tanto in rapporto a un “ordine” collettivo, quanto alla possibilità di scardinare un
ordine interiore, suscitando inquietudini e ripensamenti, prospettando un tirono alle origini di quel “gioco” o
un suo enigmatico futuro.

Il teatro in Francia: un moderno affare di Stato


E' interessante la polemica che il successo della tragicommedia Le Cid, presentata da Corneille nel 1637,
suscitò a partire dalle anonime Observations sur le Cid. L'opera veniva tacciata di offendere le regole
dell'equilibrio e della verosimiglianza, proponendo a conclusione un esito immorale, con una donna che
sposa l'assassino del padre.
→ L'Académie Francaise, istituzione deputata a sovrintendere sulle scienze e sulle arti da poco costituita
(1635), fu chiamata a pronunciarsi nel caso, rilevando in sostanza nelle sue dichiarazioni ufficiali che occorre
prestare attenzione a ciò che è opportuno e vantaggioso rappresentare o non rappresentare in scena.
• Mentre altrove il tema della liceità del teatro in sé trovava ancora grande risonanza, qui il problema non era
più se il teatro dovesse essere permesso o meno, ma quali dovessero esserne i contenuti per una
comunicazione virtuosa, per un'educazione permanente degli spettatori.
• Partiti dall'organizzazione di farse, sotties o moralités, gli attori francesi erano riusciti a imporre nei loro
cartelloni tragedie e commedie e a catturare l'attenzione di un pubblico formato tanto da un'aristocrazia di
corte quanto da un'alta e media borghesia che prende parte all'orientamento del gusto della nazione ed è
vivamente interessata alle forme di socialità che si sviluppano entro e oltre le stagioni teatrali.
• D'altronde, nel Seicento Parigi era già una metropoli, ed era stata a più riprese meta delle più accreditate
compagnie di comici dell'Arte, fino a ospitare in modo permanente gruppi di formazione italiana in quello che
fino al 1697 sarebbe stato l'Ancien Théatre Italien, regno di artisti quale lo Scaramouche Tiberio Fiorilli o
l'Arlequin Domenico Biancolelli.
• La drammaturgia di uno dei più grandi attori-autori d'Occidente, Molière, è intimamente legata alle risorve
inventive e tecniche di troupes itineranti, pur lasciando con Don Giovanni (1665), L'avaro (1668) e Tartufo
(1664) ritratti in grado di dialogare con le tensioni della storia contingente e, allo stesso tempo con questioni
di respiro universale.
• Esemplari di uno spirito classicistico e di straordinaria concentrazione sulle unità di tempo, luogo e azione,
le tragedie di Jean Racine sono anch'esse specchio dei dilemmi di una società aristocratica, distinguendosi
per un'eleganza e una capacità di introspezione psicologica senza precedenti.
• In Francia ritroviamo uno slancio creativo e imprenditoriale che non è però disgiunto dal controllo che il
potere regale assolutistico e gli organismi culturali di governo esercitano su più livelli:
- la scrittura e la poetica,
- l'amministrazione
- l'organizzazione del repertorio e dello stile delle messinscene.
• Dal 1680 è l'istituzione del primo teatro pubblico stabile, la Comédie Francaise, sovvenzionato dallo Stato.
Qui gli attori sono soci che investono e detengono quote dell'impresa, e in quanto tali direttamente
responsabili del buon andamento delle stagioni, ma il privilegio loro accordato impone di recitare a corte
anche per lunghi periodi, dovendo quindi soddisfare tanto le esigenze del pubblico della capitale quanto le
richieste che provengono da Versailles e da Fontainebleau.
→ D'altra parte la corte francese aveva accolto tempestivamente le innovazioni più significative dello
spettacolo principesco di marca italiana, ma aveva saputo anche trasformare quel modello secondo le
direttrici autoctone: notevoli le combinazioni di ballo e musica, tra ballets de cour di impianto allegorico-
mitologico, comédies-ballets e la serie di tragédies en musique, con le quali la tradizione melodrammatica
avrebbe cominciato a connotarsi in senso nazionale.
→ Un contributo fondamentale era stato offerto dalla costumistica e dalla scenotecnica: il soggiorno parigino
e l'allestimento dell'Andromeda nel 1650 accanto a Corneille furono la consacrazione dello scenografo
Giacomo Torelli (FIG.5.2), fra i tanti, come Ludovico Ottavio Burnacini o Ferdinando Galli Bibbiena che si
mossero dall'Italia per diffondere le meraviglie delle scene barocche.
• Il teatro poteva considerarsi ben radicato fra le consuetudini culturali della capitale e al centro di scelte
politiche e ideologiche ancora oggi di sorprendente attualità.
→ Riflessi non secondari di questo fenomeno
ono da un lato gli esordi di una critica militante, che agisce da cassa di risonanza dell'”impegno” statale come
delle reazioni degli spettatori, dall'altro l'interesse sempre crescente che si manifesta riguardo alla
professione dell'attore, intesa come gestione di risorse tecniche e come autonoma creazione artistica.
• Le teorie evoluzionistiche e razionalistiche che tengono banco lungo tutto il XVIII secolo, il principio che
l'attore debba provare o non debba provare affatto i sentimenti che la parte gli assegna, costituiscono un
aggiornamento delle teorie sul teatro. Nel dibattito furono coinvolte personalità eminenti dell'intero
continente, da Luigi Riccoboni, Lessing fino a Diderot che nel Paradosso sull'attore diede la più compiuta e
icastica formulazione dell'idea che l'ipersensibilità può portare solo mediocrità, mentre è la facoltà di lavorare
a freddo sul personaggio che garantisce risultati sublimi.
• Fu proprio Diderot a provare a imprimere un nuovo corso con opere quali Il figlio naturale (1757) e Il padre
di famiglia (1758): se la scena barocca e quella classicistica continuavano a dialogare con il presente per via di
allegorie e proiezioni della storia in mondi remoti nello spazio e nel tempo, e la scena comica filtrava qualsiasi
elemento nell'accentuata tipizzazione di maschere, era forse possibile ipotizzare che il teatro rispecchiasse
con la massima dose di realismo la vita effettiva dei suoi spettatori. Con Diderot nasceva il dramma borghese,
un genere che si poneva deliberatamente al di là delle distinzioni classiche di tono e stile, concentrato su
storie di uomini esemplari perchè riconoscibili.
• Era questa una linea che si sarebbe comunque imposta sulla lunga distanza, ma, al momento, minoritaria
rispetto a un'offerta teatrale che, oltre alle rappresentazioni della Comédie Francaise, poteva annoverare:
1) i piccoli teatri “irregolari” ed estremamente inventivi delle Foires, le fiere che si svolgevano nei quartieri di
Saint-Germain e Saint-Laurent,
2) la rinata Comédie Italienne, che nel 1716 Luigi Riccoboni aveva rifondato, pronta ad abbandonare i
repertori dell'Arte in favore di testi francesi, tra cui quelli del celebre Marivaux e dell'ultimo Goldoni, e i lavori
dell'Opéra Comique.

5.4 Il teatro nell'area di lingua tedesca: alla ricerca di un'identità


Anche nell'area di lingua tedesca, tra i principali fermenti della lunga stagione illuministica vi fu il bisogno di
imprimere al teatro una svolta in senso borghese.
• L'istituzione di una compagnia stabile, la definizione dei repertori stagionali e il rapporto continuativo con il
pubblico facoltoso, ad Amburgo, si ponevano in controtendenza rispetto agli usi prevalenti dei comici di
professione.
• L'idea generale, nell'area tedesca, non era solo quella di ripristinare un nesso fra letteratura e teatro, ma di
ascrivere il teatro fra le forme dell'alta cultura nella consapevolezza che questo comportava anche una
rieducazione dei comici. Di qui le perplessità di fronte ai tentativi di sopprimere gli usi della Wanderbuhne, la
scena itinerante.
• E' comunque impossibile definire forme e caratteristiche del teatro tedesco a fronte di mondi dove l'arte
della scena ha assunto connotazioni specifiche ed esemplari.
• Che l'offerta di spettacoli in molti centri fosse tutt'altro che misera lo si desume dagli avvisi e dalle
locandine superstiti, oltre che da quei documenti che attestano il versamento delle tasse dovute agli enti
assistenziali beneficiari della percentuale sugli incassi degli spettacoli pubblici.
• La convivenza difficile tra artisti italiani e tedeschi proseguì tra accordi e fasi di aperta conflittualità: a
rendere complessa la situazione fu anche la contiguità nei repertori, dal momento che la scena di lingua
tedesca aveva assimilato ogni suggestione non solo dai cartelloni dei loro concorrenti, ma anche dalle trame
dell'opera in musica che circolavano nei palazzi aristocratici.
• Fu il trionfo degli Hanswurst, degli Harlekin, di attori-maschere che affondavano le loro radici nel passato
della commedia improvvisa e che ora animavano le creazioni di un teatro in cerca di identità, quelle Haupt-
und Staatsaktionen, fondate sulla mescolanza di storie tragiche e inserti comici, perlopiù affidate alla valentia
e all'inventiva di attori di razza come J. A. Stranitzky e G. Prehauser.
→ In questo periodo ebbero successo una varietà di situazioni e trovate che trascendono qualsiasi nucleo
tematico centrale. Sono la meraviglia e l'abilità interpretativa, infatti, a decidere dei destini dello spettacololì.
→ Nella loro irregolarità e irriverenza ai principi della verosimiglianza e della distinzione di stile, questi lavori
ebbero tuttavia il merito di divulgare l'enorme patrimonio di soggetti teatrali sedimentatosi tra antichità ed
età moderna, a volte segnandoli di un'impronta tutta particolare.
• Il rischio era però che un teatro così ancorato a modelli letterari finisse per riprodurre troppo da vicino la
qualità dei lavori francesi, inglesi e italiani, di qualsiasi fattura e risonanza, risultando in questo modo
particolarmente ostico. E' questo il retroterra delle polemiche di Lessing, che, mai disegnando il ricorso alle
commedie e tragedie straniere, poneva insieme la questione di creare testi orientati a spettatori meglio
informati e contemporaneamente, attori partecipi del senso e delle finalità di una scrittura poetica.
• Lo Sturm und Drang e la temperie romantica avrebbero portato a compimento la nascita di una
drammaturgia “tedesca”, che tanta ricaduta avrebbe avuto sul piano europeo; l'auspicio di una scena come
scuola della vita morale e “completamento delle leggi”, secondo quanto si legge nella Drammaturgia
d'Amburgo, sarebbe stata una sfida costantemente rilanciata nel tempo, ancora attuale, ma in fondo mai
superata.

5.5 La vil quimera deste monstruo comico: il teatro in Spagna


Il teatro fu in Spagna nei secoli dell'età moderna un elemento essenziale della sua cultura, luogo di riflessioni
sui temi della collettività e di consolidamento di una religiosità che vedeva nella drammaturgia un punto di
forza della propaganda della fede.
→ Resisteva, a dire il vero, un'opposizione motivata dall'idea che esso potesse corrompere i costumi o
suscitare scandalo.
• In linea di massima, però, gli interessi economici gravitanti intorno ai palcoscenici e l'ampia gamma di
spettacoli apprezzati dal pubblico permisero una grande vitalità in questa stagione aurea (e di “siglo de oro” si
parla, in effetti, per il Seicento spagnolo),
• La Comedia nueva, come di solito si definisce il giacimento di testi che dominarono le scene della penisola
iberica tra Sei e inizio Settecento, ebbe un lungo periodo di gestazione, in cui:
- si intensificarono i drammi di argomento sacro, con una predilezione per i racconti allegorici sulla scia di
analoghe rappresentazioni di epoca medievale,
- si risvegliò l'interesse per le opere greche e latine nel quadro delle riscoperte e degli adattamenti
rinascimentali,
- si approfondì la conoscenza delle novelle italiane, fonte di ispirazione per nuovi intrecci,
- e si imposero all'attenzione argomenti di storie e leggende nazionali, secondo un processo non dissimile da
quello che si era verificato in Inghilterra di tardo Cinquecento.
• E' stato riconosciuto che la celere professionalizzazione del teatro in tutta la penisola è stata
profondamente influenzata dall'attività dei comici dell'Arte provenienti dall'Italia. Essi trasferirono un metodo
organizzativo e una disciplina, dimostrando eccezionale intraprendenza, anche se l'improvvisazione rimase
prerogativa tutta italiana.
• Per orientarci nel panorama del teatro spagnolo, vale la pena distinguere fra gli ambiti scenici tre modalità
principali: il teatro del corral, quello di corte e le celebrazioni del Corpus Domini.
→ Non mancarono ovviamente contaminazioni, ma alcune caratteristiche basilari riguardano a un tempo
luoghi e generi della rappresentazione.
• Il corral costituisce l'evoluzione di uno spazio aperto situato tra edifici o all'interno di un immobile
articolato in cui era possibile adattare alle esigenze della rappresentazione tanto il patio, montando un palco
(tablado), quanto le balconate e le stanze prospicienti.
→ E' probabile che le confraternite cui era concesso il privilegio di riscuotere una percentuale dei ricavi dello
spettacolo avessero deciso di adattare queste strutture interne alle recite, appaltandone l'uso ai capocomici.
→ Due furono i passaggi fondamentali:
1) l'innalzamento del palco, che concentra l'attenzione sull'azione drammatica e consente l'utilizzo della parte
sottostante per una serie di effetti speciali,
2) e la chiusura dell'intera area, collegata alla vendita e quindi alla necessità del controllo degli accessi.
Infatti, nella zona che separa la strada dal corral trovano posto locali come il negozio di rinfreschi e la
contaduria, l'ufficio preposto alla contabilità.
→ La platea ospitava gli spettatori in piedi, anche se erano disponibili panche e sgabelli; ai due lati erano le
gradas, posti a sedere per gente di più alta categoria sociale, sotto i quali talvolta era un corridoio che
immetteva allo spogliatoio degli attori.
→ Correvano tutt'intorno a un livello più elevato gli aposentos, stanze che potevano affittarsi per la durata
della recita e che erano protette dalle variazioni climatiche: normalmente accoglievano i nobili o le autorità
municipali, e le dame, laddove per le donne di più bassa condizione era prevista una zona separata detta
cazuela, mentre per doctos e clerigos erano disponibili, al di sotto dei tette delle case, le tertulias e i
desvanes.
→ Pare che in molti corrales gli spettatori potessero prendere posto anche ai lati del tablado, e quindi gli
attori entrassero e uscissero solo dal fondo e mai dai lati; dietro il palcoscenico c'erano, a livelli diversi, gli
spogliatoi maschili e femminili, il guardaroba per i costumi e l'attrezzeria. Benchè la scenografia non potesse
competere con gli effetti del teatro di corte, in cui si perseguivano le stesse ricerche illusionistiche di altri
centri europei, alcune macchine, come la tramoya, un elemento girevole che poteva mostrare diverse facce e
quindi servire per l'apparizione e la sparizione dei personaggi, movimentavano notevolmente le recite
(FIG.5.3).
→ L'organizzazione dello spazio corrisponde alle regole del commercio della scena, con una gerarchia della
visione che si riflette nel prezzo del biglietto d'ingresso, e al carattere professionale e continuativo delle
rappresentazioni.
• Convive con l'istituzione di spazi non occasionali all'interno del palazzo reale e con la pratica degli autos
sacramentales collegati principalmente alle processioni per la solennità del Corpus Domini. Da un punto di
vista scenografico questi ultimi si avvicinavano al teatro di corte, ma è a differenza di tale spettacolarità gli
autos sacramentales investivano l'intera città, la quale si impegnava minuziosamente nella preparazione dei
luoghi dell'evento.
→ Gli autos sacramentales sono drammi a forte contenuto dottrinale, in cui personaggi reali e allegorici
compaiono senza soluzione di continuità: in essi “il valore simbolo e religioso sostituisce il valore estetico del
teatro a corte, ma gli sviluppi scenografici nella loro fastosità e nel loro gusto barocco sono analoghi”.
→ Originariamente erano messi in scena su due carri (carro bueno e carro malo), cui si connetteva un terzo
carro o carrillo, gli spettatori trovavano posto tutt'intorno, ed è evidente il retaggio delle Sacre
Rappresentazioni medievali sia nella loro collocazione all'aperto sia nelle modalità di fruizione.
(All'epoca di Calderon, che intorno alla metà del Seicento detenne quasi un monopolio del genere, i carri
erano quattro.)
• Altra cosa sono le comedias de santos, drammatizzazione di storie agiografiche intente a proporre modelli
comportamentali, più vicine tuttavia nel loro impianto ai lavori cosiddetti “profani”. Avrebbero avuto
particolare riscontro in alcune aree dominate dal governo spagnolo, come nel Mezzogiorno d'Italia, dove la
drammaturgia della santità avrebbe scandito la vita culturale e devozionale condividendo palcoscenici e
risorse con altri generi di intrattenimento.
→ A questa esperienza della scena così apertamente confessionale è attribuito il compito, non lieve, di
meditare su un dogma del cattolicesimo messo in discussione dall'eresia protestante e contenere le pulsioni
sociali in un quadro di accentuato conservatorismo.
• Pur prendendo atto delle peculiarità religiose della drammaturgia del siglo de oro, si è insistito sulle affinità
che essa presenta con il teatro inglese: una certa fedeltà alle ascendenze medievali, la capacità di elaborare
soluzioni spaziali tipiche e originali e il precoce radicarsi di un'industria dello spettacolo. Varrà la pena
sottolineare altri aspetti comuni: una straordinaria libertà inventiva che adatta al palcoscenico gli spunti più
disparati e una grande produzione di testi, ideati e scritti in funzione della loro rappresentazione.
→ Quello dei corrales è un teatro fiero delle sue proprie regole, della ostinata ricerca di un consenso
popolare e di un immediato riscontro pratico, che assurge a modello anti-classicheggiante in tanti paratesti e
interventi teorici, molto prima dell'eccezionale universo shakespeariano.
• Vertice di questa consapevolezza è il componimento Arte nuevo de hacer comedias en este tiempo di Lode
Vaga, tra i protagonisti della stagione aurea, pubblicato per la prima volta nel 1609. Egli sostiene la
mescolanza di tragico e comico, la liceità di trasgredire le unità di tempo e di luogo, la misura dei tre atti,
l'importanza di un'azione unitaria e ben condotta, senza che situazioni episodiche pregiudichino la centralità
di un racconto, l'adeguatezza dei versi ai contenuti affettivi, il rispetto di consuetudini sociali. Più che andare
contro un sistema, forse adatto ad altre circostanze, è un andare oltre, verso un reale esito comunicativo.
• E' sorprendente l'ampia escursione tematica del teatro del siglo de oro, tant'è che è impossibile catalogare
a meno di semplificazioni: commedie religiose, mitologiche, di storia antica, di storia di paesi stranieri, di
cronache e leggende spagnole, cavalleresche, di intreccio, commedie regie, “di cappa e di spada”, palatine.
• La prassi voleva che il poeta vendesse i suoi testi al capocomico, denominato autor de comedias, cui
spettava di comporre il repertorio, istruire gli attori alle prove e dirigere finanziariamente la compagnia.
• La totale disponibilità di questi materiali nelle mani delle troupes titolate faceva sì che fossero tutt'altro che
rare le contaminazioni di opere, spesso pubblicizzate con il nome dell'autore di richiamo, per il bisogno di
novità, per l'alto tasso di concorrenzialità che poteva crearsi in alcune stagioni.
• Sono altresì riconoscibili anche nel teatro spagnolo precisi ruoli: la dama, il gracioso, il barba, il galan, il
poderoso, e il ballo e il canto facevano parte del bagaglio professionale di ciascun interprete.
• Nel corso di oltre un secolo, si registrano mutamenti significativi nella drammaturgia. Si è rilevato, ad
esempio, come la maniera di Lope sia più spontanea, libera e accumulatrice, a fronte di una tendenza al
perfezionamento e all'equilibrio stilistico della generazione a lui successiva, ruotante intorno al prestigio di
Calderon de la Barca.
→ L'anno 1651 segna uno spartiacque nella produzione di Calderon, che prende i voti e limita drasticamente
il suo lavoro agli eventi di corte e agli autos. Ma le commedie comiche destinate ai corrales e il teatro
religioso degli ultimi decenni condividono una vibrante attitudine ideologica e speculativa, che ruota intorno
ai motivi della responsabilità, del fato, del codice dell'onore. Comuni alle due fasi una perfezione strutturale e
un dominio assoluto dei mezzi espressivi nel solco della migliore tradizione barocca.
→ Nelle sue opere è il sogno (o la finzione del palcoscenico) che insegna la vita, e non perchè ne richiama la
caducità, ma perchè lascia intravedere spiegazioni che restano occulte alla superficie dei fatti: moltiplicando
le prospettive: è un intarsio di motivi disarmante nella sua complessità, che non a caso sarebbe tornato ad
affascinare nel Novecento personalità come Hugo von Hofmannsthal in Der Turm (La torre) e P. P. Pasolini in
Calderon.
• Le vicende del siglo de oro coincisero in larga parte con l'apogeo e il declino di un impero e dei suoi
fondamenti culturali: i testi ebbero un'eco strepitoso al di là dei territori controllati dalla corona spagnola,
imponendosi per la ricchezza degli spunti e l'originalità delle soluzioni poetiche, lontane dagli schemi
rinascimentali.
→ Viaggiarono, attraverso i canovacci o i libretti che a essi si ispirarono, ben oltre la stagione barocca, come
attesta il caso del Burlador de Sevilla, l'opera sul personaggio di Don Giovanni attribuita a Tirso de Molina che
avrebbe conosciuto infinite declinazioni, passando per Molière, Goldoni, Da Ponte/Mozart e Puskin.

5.6 Splendori e miserie d'Italia


Nel corso del Seicento e di buona parte del Settecento, “italiano” è:
1) il modello di sala che codifica il rapporto frontale fra spazio del pubblico e spazio della rappresentazione,
l'illusionismo prospettico e il riflesso di una società gerarchizzata;
2) la commedia improvvisa che miete successi in tutta Europa, fondata su un sistema precostituito di parti,
ruoli, materiali generici, che abbatte ogni frontiera;
3) l'invenzione forse più significativa nel panorama dello spettacolo coevo: l'opera in musica, un prodotto
elaborato che acquisì connotazioni mutevoli nelle corti e nelle città della penisola, ma, in quanto “italiano”
sarebbe rimasto un parametro ineludibile per la definizione di tutte le altre varianti nazionali.
• Eccellente è una struttura urbanistico-architettonica, un geniale metodo di recitazione e di produzione, una
composizione musicale, in una linea che privilegia i codici non verbali e si riassume nell'allestimento di
sontuosi eventi festivi o di momenti affidati alle abilità retorico-espositive degli interpreti (FIG.5.4)
• In un'ottica storico-teatrale, se si fa risalire alla grande stagione barocca l'inizio di un'anomalia italiana,
partendo dalla costatazione che mancarono personalità di spicco sul piano della scrittura e che i percorsi
della scena furono meno intrecciati, si rischia un fatale errore prospettico: quello di ridimensionare un
apporto alla moderna civiltà dello spettacolo che fu tutt'altro che marginale e secondario, neppure sul piano
dell'organizzazione e gestione dell'offerta.
• Altra questione fondamentale è il policentrismo: si possono rintracciare orientamenti comuni e analoghe
tensioni culturali, ma il sistema della corti centro-settentrionale non è assimilabile alla vivacità sperimentale e
al profilo avanguardistico della Serenissima, o alla stratificata e “multietnica” Roma pontificia, o ancora alla
capitale del Viceregno spagnolo del Mezzogiorno, dove, solo per citare un fenomeno non irrilevante, l'uso di
una lingua “nazionale” in opposizione al toscano investe i destini della scena incoraggiando la nascita di
generi alternativi presto esportati oltre i confini.
• Forse più che altrove, l'età moderna fu segnata in Italia da inquietudini, riflessioni, un sommerso e costante
esercizio del palcoscenico, la frequenza di episodi clou che fungessero da progetti esemplari, una dialettica
mai sopita fra un teatro esistente e un teatro vagheggiato. Dovrebbero ricondursi a questa dinamica anche gli
esordi del melodramma.
→ L'Euridice, la favola pastorale rappresentata a Palazzo Pitti nel 1600 per le nozze di Maria de' Medici con
Enrico IV di Borbone, costituì il debutto di questa nuova esperienza frutto della collaborazione di diversi
specialisti e perfettamente aderente alla natura e alle funzioni di un teatro principesco.
→ Mentre a Roma si svolgevano sperimentazioni analoghe, non a caso l'esperimento fu ripreso presso
un'altra corte, quella dei Gonzaga a Mantova, dove nel primo decennio dei Seicento furono proposte Orfeo di
Claudio Monteverdi, Dafne di Marco da Gagliano e l'Arianna di Monteverdi.
• Passarono anni prima che la matrice occasionale e aristocratica si attenuasse e l'opera divenisse oggetto di
produzione impresariale.
• Data fatidica è il 1637, quando a Venezia debuttò al San Cassiano l'Andromeda di Benedetto Ferrari e
Francesco Manelli: fu l'inizio di un'attività continuativa quella di un teatro a pagamento, retto da appaltatori
pronti a investire nella gestione delle stagioni e potenzialmente aperto a tutti, che comunque sortì l'effetto di
radicare il genere tra le proposte di spettacolo.
→ A Venezia debuttarono anche i capolavori di Monteverdi, chiamato a misurarsi con un pubblico altro
rispetto a quello cortigiano: L'incoronazione di Poppea resta tra i vertici del melodramma delle origini.
• In questo periodo cominciò una fitta circolazione di libretti e partiture nonché di troupes, in tutta la
penisola e anche fuori dai confini italiani, con i primi evidenti segnali del divismo dei grandi cantanti.
• A Roma, grazie alla rete dei palazzi cardinalizi e delle rappresentanze diplomatiche, l'opera andò ad
arricchire un'offerta già considerevole, aprendosi a influssi stranieri.
• I drammi per musica contesero spazi ai comici di professione, ridimensionando talora le possibilità
d'ingaggio e la convenienza di alcune piazze; in realtà all'Arte e ai suoi meccanismi organizzativi il
melodramma delle origini dovette molto e costituì per molti attori un'occasione di nobilitazione.
• E' assai probabile che la commedeja pe museca che si affermò a Napoli nel primo Settecento sia stata
anche un esperimento di successo al fine di riconvertire molti artisti versati nella farsa e nell'intrattenimento
ridicolo in un progetto davvero capace di reggere la concorrenza della scena seria.
• Simbolo della “meraviglia” e dell'irregolarità barocca, l'opera fu oggetto di attacchi frontali e revisioni
critiche a cavallo tra Sei e Settecento, quando il gusto razionalistico e l'impegno degli arcadi ne misero in
discussione qualità e struttura.
→ L'Accademia d'Arcadia, sorta negli anni Novanta del XVII secolo, prese le distanze da un prodotto confuso e
palesemente lontano da ogni verosimiglianza; ne propose una versione riformata, con l'espulsione dei
personaggi servili e delle scene comiche, l'eliminazione di apparizioni divine e di improvvisi cambiamenti di
luogo e la concentrazione su un azione principale.
Su queste nuove basi, il dramma per musica potè vivere ancora una lunga stagione di consensi, spettacolo
per eccellenza delle grandi corti europee.
• Protagonista di questa dimensione transnazionale fu Pietro Metastasio (FIG.5.5), nato a Roma nel 1698 ed
educato ai classici e alla filosofia. Tra gli anni Dieci e Venti del Settecento, a Napoli, ebbe modo di dar prova
delle sue capacità di librettista con alcuni componimenti d'occasione commissionatigli dai notabili locali e dal
vicerè, prima del debutto al San Bartolomeo con Didone abbandonata nel 1724. Da quel momento in poi la
sua fu un'irresistibile ascesa.
A Vienna visse fino alla morte, avvenuta nel 1728, e da lì per circa cinquant'anni fornì al teatro di corte e a
tutt'Europa libretti esemplari per l'equilibrio fra le ragioni ideologiche e propagandistiche connesse al suo
ruolo e la funzionalità alla intonazione e alla trasposizione scenica.
→ La drammaturgia di Metastasio si configura come una stupefacente variazione su tema, fedele ai codici
dell'assolutismo e sensibile alle contingenze mutevoli che ispirano sempre nuove fabulae per avvalorarli al
cospetto di un pubblico vicino e lontano.
→ Intonare un suo dramma costituiva per molti musici un avanzamento nel loro cursus honorum; alcuni suoi
versi divennero proverbiali, e anche quando il mondo smarrì la capacità di decifrare l'universo di segni
ideologici e politici che si struttura nelle sue trame, essi rimasero esempio di una cantabilità che lasciò tracce
anche nel XIX secolo.
→ Prima (e dopo) di lui la librettistica era stata scrittura di servizio, ingrediente di una macchina complessa
quando non dichiaratamente subordinata agli effetti scenografici e musicali che si perseguivano: un destino
che condivideva con tutte le carte, perlopiù manoscritte, destinate all'uso, come i generici e i canovacci dei
comici.
• Gran parte dei testi che compongono lo spettacolo secentesco in Italia partecipa alla natura effimera delle
occasioni che li hanno prodotti: feste, cerimonie, tornei scandiscono la vita dei grandi centri urbani e non
solo.
• Se l'esperimento di riportare in auge la misura della scena classica mirava a stabilire un equilibrio fra parole
e musica, le realizzazioni che si ebbero nei decenni successivi sembrarono invece puntare su un rapporto
dialettico attento alla grandiosità e alla tenuta degli esiti.
• Se è lecito parlare di repertorio per la drammaturgia italiana tra Sei e Settecento, non è tanto per l'esistenza
di “classici” letterari, quanto per la persistenza di motivi, di plots, di immagini allegoriche che si ripetono in un
gioco virtuosistico senza limiti.
• E' un epoca dove notevole è lo scarto fra i percorsi del testo drammatico e le scene correnti: esistono nessi
e contatti, ma la tendenza che prevale è quella di assorbire qualsiasi suggestione poetica in materiale a uso di
una specifica valentia attoriale e di una specifica circostanza.
• Si esaurì relativamente presto il favore accordato alle favole boscherecce come strumento di
compensazione fra la solennità di una tragedia difficile a proporsi e di una commedia in lingua ormai
stereotipata; le drammatizzazioni tratte dai capolavori dell'epica servirono a rinsaldare i legami fra forme di
intrattenimento diverso, dalla letteratura alla messinscena; gli autori più consapevoli attinsero dai racconti
biblici o dalla storia coeva o da vicende esotiche.
• Nei collegi dei gesuiti le rappresentazioni previste nel ciclo di formazione degli allievi lasciarono tracce
pregevoli nell'opera di vari autori, tra cui spiccano i nomi Scammacca e Tesauro.
• In alcuni centri come Firenze, Roma e Napoli non furono rare le traduzioni e gli adattamenti delle
commedie del siglo de oro, e anche in questo caso operazioni dal sapore fortemente intellettuale si
confusero con interventi militanti.
• Nella stagione arcadica e nel Settecento si provò a colmare un vuoto fra la dignità letteraria e le regole della
produzione e della messinscena, che si erano sviluppate in maniera autonoma.
• Tra le tante riforme che scandirono il XVIII secolo, nella speranza di avvicinare il teatro alle più alte tensioni
culturali o almeno di contenere le “convenienze e inconvenienze” che divennero materia di tanto metateatro,
quella di Goldoni fu un tentativo di agire dal basso, o dall'interno, in un regime di costante compromesso con
le sollecitazioni offerte dagli attori con cui di volta in volta ebbe a confrontarsi.
→ Anche per lui era essenziale che lo scrittore uscisse di minorità, guadagnandosi non solo visibilità ufficiale,
ma anche controllo duraturo su creazioni che rimanevano saldamente nelle mani degli acquirenti, e venivano
fagocitate dalle necessità della produzione e della concorrenza.
→ Le querelles che scandirono la sua esistenza furono fenomeni di costume, ma anche segnali del fatto che,
a Venezia come altrove, le sue scelte di gestione artistica e imprenditoriale non costituirono la linea egemone
di un teatro in cerca di una nuova identità e di una nuova collocazione sociale.
→ Di fatto il controcanto di un autore come Carlo Gozzi, a lungo collaboratore di un artista di fama
internazionale come Antonio Sacchi, guarda non a caso alla salvaguardia contro l'importazione indiscriminata
di drammi stranieri, al rispetto per un gusto natio, all'esigenza di rinnovamento dell'offerta entro gli orizzonti
di attesa del pubblico, e all'improvvisazione come soluzione, non come problema delle scene coeve.
• Se l'invenzione del teatro in età moderna aveva rilanciato il pregiudizio contro gli “istrioni” e li aveva
costretti a ingaggiare una lotta contro ogni forma di establishment, in Italia nell'XVIII secolo la guerra poteva
dirsi raggelata in una fragile tregua, che comunque comportava un'emarginazione altrettanto grave. Rozzi,
ignoranti, inaffidabili, gli attori e i cantanti di professione erano ritenuti inadatti a rappresentare un vero
teatro fatto di contenuti, di passione, di scelte di campo politiche e ideologiche.
→ In Italia il divario fra la scena progettata dagli addetti ai lavori più consapevoli, da intellettuali, da nobili o
accademici appassionati e la scena dei professionisti, costretti a inseguire ingaggi e a spostarsi di piazza in
piazza dando prova di versatilità ed eclettismo, resta una costante ineliminabile. Il problema è che il primo
gruppo ha lasciato documentazione di sé, mentre il secondo resta avvolto in un'aura di mistero, che si
squarcia a tratti, per lampi, e interviene a dar conto anche dei più grandi momenti del secolo, come ad
esempio la trilogia mozartiana su libretti di Da Ponte.
→ Il rischio è quello di privilegiare una delle possibili storie, perdendo di vista l'effettiva entità delle forze in
campo. Riguardo ai tentativi di riforma del melodramma nel XVIII secolo, basterebbe riportare il ricordo di
Ranieri de' Calzabiagi in una lettera del Metastasio, in cui l'artista inserito a corte evoca il passaggio rapido
dell'artista in cerca di collocazione sociale e materiale. Nè bisogna trascurare il fatto che le “commedie
dell'arte”, come racconta Placida nel Teatro comico di Goldoni (1750), talora sono davvero “sempre le cose
istesse […] sempre le parole medesime” e che l'originario antiaccademismo con cui si erano fatte onore non
ha evitato lo scadimento nella routine, ma resistono nei cartelloni, e non senza un discreto seguito di
pubblico.
• Altre forme di spettacolo non sono state immuni dal pericolo della decadenza. E' il caso dell'arte comica del
barone di Liveri presso la corte di Carlo Borbone a Napoli, esempio di compostezza e ci concertazione
accurata tramandato da una sottile polemica di Goldoni nella prefazione al Filoso inglese di Signorelli. Fu un
esperimento di trasformazione del genere comico che si esaurì velocemente e ce non oltrepassò gli spazi
della corte, per cui era stato disegnato.
• All'urgenza di definire un ruolo e modalità della scena nel nuovo mondo, all'indomani di una catastrofe
politica e istituzionale, la cultura italiana non diede risposte o forse volle solo mostrarsi fedele alle
irresolutezze della sua storia.

6. Il teatro dell'Ottocento

6.1 L'idea del teatro del Romanticismo: l'arte come esaltazione del sentimento
Il movimento romantico si sviluppa in anni diversi e in concomitanza con avvenimenti storici particolari nei
singoli paesi europei.
• In Germania, esso nasce nell'ultimo decennio del XVIII secolo e individua nell'età medievale il momento di
formazione della coscienza nazionale germanica.
• In Francia, il movimento romantico si sviluppa intorno agli anni Trenta in funzione anti-illuministica e
antiborghese.
• In Inghilterra, il movimento romantico è comunemente legato alle reazioni liberali contro le conseguenze
della Rivoluzione industriale e contro i valori razionalistici dell'Illuminismo.
• Il Romanticismo italiano si caratterizza, invece, come un movimento culturale e letterario specifico,
riflettendo al suo interno la differente concezione del termine “romantico” rispetto a quello che indica in
altre nazioni: per gli italiano esso sembra indicare tutto ciò che appartiene al tempo presente. Anche in Italia
il movimento romantico giunge in ritardo e si sviluppa nel corso degli anni Venti.
• Ponendosi in antitesi all'esaltazione della ragione teorizzata dall'Illuminismo e affermando una nuova
concezione della vita e dell'opera d'arte attraverso la scoperta del valore del sentimento, della storia, del
popolo e della nazione, il Romanticismo rivendica l'individualità dell'artista e riconosce la libertà del genio
dalle regole classiche.
• Se la storia è un patrimonio prezioso, che deve essere conosciuto e posseduto a fondo, affinchè una
nazione possa avere piena coscienza della propria identità, il teatro, a sua volta, si rivela un luogo di incontro
fra persone appartenenti a nazioni e a classi sociali differenti, ma accomunate da un ideale di libertà
condiviso. Non solo un genere artistico, ma un istituto culturale in grado di incidere su una realtà sociale.
→ Nella storia del teatro del XIX secolo il termine romantico va, in sintesi, a coincidere con la messa in scena
di vicende, spesso dilatate e complesse, dove l'eroe è un bandito fuorilegge in lotta contro le ingiustizie. Un
teatro in grado di suscitare forti emozioni, capace di infondere energia e passione. In tale direzione è da
considerarsi anche la rivalutazione di William Shakespeare e soprattutto delle sue tragedie.
→ Altrettanto significativo è l'apprezzamento per la tragedia greca, dove i romantici vedono concretizzarsi la
loro idea di un teatro dominato dallo scontro tra volontà e passioni dell'individuo e le regole che governano la
società. A questi modelli di riferimento, che porteranno alla tragedia romantica, si accompagna la condanna
del dramma borghese, poiché lacerando il velo dell'illusione e privando i personaggi di un'eroica grandezza,
ne vanifica e ridicolizza ogni effetto.
→ In questo conflitto contro il dramma borghese, Luigi Allegri individua la svolta del teatro moderno. Infatti,
fra tragedia romantica e dramma borghese, sarà quest'ultimo a prevalere. La borghesia infatti avrà più
bisogno di un teatro considerato come strumento sociale e specchio fedele in cui riflettere i propri valori, che
di un teatro (quello romantico) inteso come luogo del raggiungimento di un'autenticità negata all'esperienza
del quotidiano.

6.1.1 La scena teatrale tedesca


Il conflitto tra individualità e universo diventa argomento centrale per i romantici tedeschi, impegnati nella
ricerca di un modello che sostituisca l'ormai obsoleta struttura classica.
• Anche per Goethe è necessario rompere con la tradizione, proponendo nuovi temi, violenti e provocatori.
Del resto egli sperimenta in prima persona la necessità di introdurre una nuova drammaturgia e modalità
recitative al passo con i tempi. Le sue opere teatrali più note di questo periodo (Ifigenia in Tauride, 1789;
Torquato Tasso, 1790) sono espressione di tali necessità anche se, nel corso degli anni, l'adesione di Goethe
alla causa romantica si fa via via più tiepida.
• Al suo fianco possiamo porre Friedrich Schiller, che nel 1781 crea I masnadieri, l'esempio forse più noto ed
efficace di teatro dello Sturm und Drang, in cui sono enfatizzati i diritti della passione contro quelli della
morale convenzionale e della casta. Nella prefazione, Schiller si scusa per le proprie mancanze nei confronti
delle norme classiche e ammette che, per illuminare gli animi dei personaggi principali, ha sacrificato le unità
di luogo, di tempo e di azione. Sempre per lo stesso motivo, egli ha messo in scena anche qualità buone e
cattive insieme. Nel teatro romantico, infatti, l'eroe è nudo e assoluto, non vincolato dalle norme sociali del
suo tempo. Vanno citate fra le opere successive: Intrigo e amore (1784), Don Carlo (1787 FIG.6.1), Maria
Stuarda (1800) e Guglielmo Tell (1804).
• Fra gli autori di lingua tedesca di questo periodo, devono essere almeno ricordati Heinrich von Kleist,
massimo rappresentante riconosciuto del teatro romantico soprattutto per la tragedia Pentesilea (1808) e il
dramma Il principe di Houmburg (1811), Ludwig Tieck, attento revisore dei testi shakespeariani e autore di
eccentriche fiabe drammatiche tra cui Il gatto con gli stivali (1797) e Georg Buchner.

6.1.2 La scena teatrale francese


Il Romanticismo teatrale francese nasce dalla contaminazione con un genere che è andato sviluppandosi
negli anni precedenti: il mélodrame, termine francese che non ha nulla a che vedere con il termine
“melodramma” nel suo significato di opera lirica.
• Il mélodrame, indicato spesso con mélo, è infatti un genere teatrale dove pantomima, musica e danza
coagiscono e dove l'elemento musicale è chiamato a sottolineare le scene “forti” o lo stato d0animo dei
personaggi. I momenti musicali, i tableaux , le azioni coreografiche e i monologhi si alternano sulla scena
senza necessità di integrarsi fra loro, seguendo uno schema di base dove le vicende rappresentate e i
protagonisti sono sostanzialmente identici. Il mélo risulta così il prodotto di un montaggio che assembra le
infinite varietà combinatorie dello schema di base attraverso lievi mutamenti dei singoli elementi che lo
compongono.
• Alcuni fra gli elementi costitutivi del mélodrame sono ben presenti in molte fra le opere teatrali di Victor
Hugo, che del movimento romantico francese è il maggiore esponente.
• Commedia e tragedia ormai sono concetti superati e non più applicabili sulla scena. A essi si deve sostituire
il dramma storico, specchio dove si riflettono natura e verità. Le unità spazio-temporali, sostiene Hugo,
finiscono per danneggiare la verosimiglianza in difesa della quale sarebbero state create. Solo il criterio
dell'unità d'azione può infatti creare le premesse per la scelta del soggetto di un dramma.
→ Al sublime, ricercato dai primi romantici tedeschi, Hugo contrappone il grottesco, con una conseguente
revisione e relativizzazione della nozione classica del “bello”, che comporta “una maggiore apertura
dell'opera e l'affermazione di una concezione dell'umanità ontologicamente complessa e nella sua doppiezza
quasi dostoevskiana”.
→ Attraverso il superamento delle norme del neoclassicismo e la commistione dei generi, egli proclama la
necessità di un dramma romantico nazionale ispirato alla storia, nel quale il nuovo pubblico nato dalla
Rivoluzione possa identificarsi unito, che sappia rivolgersi sia agli uomini del popolo sia agli spiriti più colti.
• Al suo fianco si può indicare Alexandre Dumas père, romanziere e drammaturgo che diviene in breve tempo
il beniamino del pubblico con i suoi drammi storici e le riduzioni sceniche dei suoi celebri romanzi. Già nel
1829 con Enrico III e la sua corte, egli consegue un notevole successo, al quale segue Antony (1831) e,
soprattutto, la commedia Kean.
→ Per Dumas, l'autore drammatico deve abbandonare i soggetti di matrice classica e rivolgere la sua
attenzione alla storia nazionale, in particolare al Medioevo.

• Il genere drammatico predominante nell'Ottocento, per numero di testi prodotti e successo di pubblico, è
certamente la pièce bien faite (“azione drammatica ben costruita”) che dalla Francia si diffonde in tutta
Europa. In essa il teso drammatico è inteso come perfetto meccanismo scenico, fondato su un ritmo
incalzante e sulla concatenazione di effetti scenici, capaci di mantenere viva l'attenzione del pubblico.
→ Gli intrecci sono sempre assai complessi; presentano una serie di equivoci, incontri mancati e scambi di
persona.
→ L'abilità compositiva dell'autore si esercita più sulla struttura del dramma che sui contenuti, tanto che al
proposito Luigi Allegri parla di “teatro sintattico”, mentre le vicende presentano incongruenze anche vistose e
caratteri contraddittori, che tuttavia passano inosservati.
→ A ciò concorrono anche un dialogo brillante e personaggi poco problematici, integrati con il sistema di
valori borghesi.
→ Si tratta di una drammaturgia in cui la teatralità della situazione precede la scelta delle tematiche trattate,
cosicchè struttura e funzionalità scenica sono il principale obiettivo dei compositori, la cui opera si configura
come prodotto di facile fruizione.
→ Ne sono testimonianza le numerose opere di Scribe rappresentate in tutta Europa a partire dalla metà
degli anni Venti, fra le quali figurano commedie di ambientazione contemporanea, come Il diplomatico senza
saperlo (1827), Malvina o Il matrimonio per inclinazione (1828) e La calunnia (1840), oppure drammi di
carattere storico, spesso scritti in collaborazione con altri autori, come la celebre Adriana Lecouvreur (1849).

6.1.3 La scena teatrale italiana


In Italia è Madame de Stael a portare l'attenzione dei letterati sulle riflessioni del movimento romantico con il
suo articolo Sulla maniera e utilità delle traduzioni, pubblicato nel 181 sul periodico “Biblioteca italiana”.
Essa invita gli italiani ad aprirsi alle moderne letterature europee, mettendo da parte l'imitazione dei modelli
classici.
• Emerge sempre più forte l'esigenza di ricollegarsi alla cultura europea e di restituire vigore al teatro italiano,
liberandolo da anacronistici legami con il passato. Gli esponenti del Romanticismo italiano aspirano a
condividere un teatro nazionale e popolare capace di aderire alle esigenze di una società in trasformazione
che vada contro alle tesi dei classicisti.
• Nella prima metà dell'Ottocento, tutti coloro che in Italia desiderano riformare il teatro ricercano così:
1) da un lato, soggetti storici (spesso tragici) in grado di fornire agli spettatori motivi di riflessione che li
convincano ad aderire, o almeno a simpatizzare peri moti patriottici, portando sulle scene temi volti a
celebrarne le eroiche imprese e a diffondere gli ideali risorgimentali di libertà e unità nazionale;
2) dall'altro lato, si impegnano a favorire la messa in scena di nuove opere teatrali capaci di assecondare i
mutati gusti del pubblico.
→ In entrambi i casi, tuttavia, il repertorio nazionale non è in grado di fornire un numero adeguato di testi.
Esistono, è vero, numerosi letterati anche di indiscutibile valore che scrivono per il teatro, ma molti fra loro (si
pensi in primis ad Alessandro Manzoni con le tragedie Il conte di Carmagnola e Adelchi e le originali riflessioni
sul dramma storico) appartengono alla cosiddetta categoria del “teatro invisibile”, un teatro che, non
riconoscendo la necessità della scena, è poco o mai rappresentato e, per conseguenza, sconosciuto ai più.

• Un teatro nazionale e popolare, nonostante la pur felice parantesi delle tragedie ispirata alla cronaca
risorgimentale, tende ben presto ad acquietarsi nei toni pacati della drammaturgia borghese della nuova
Italia. Del resto, la povertà del repertorio italiano, la presenza massiccia di testi tradotti dal francese e il
sistema sempre più instabile delle compagnie di giro, aprono la strada allo spettacolo più amato
dell'Ottocento italiano: il melodramma.
• Compositori del calibro di Rossini, Bellini, Donizetti e, soprattutto, Verdi divengono in breve i signori
incontrastati delle scene teatrali, non solo nazionali.
→ Rossini esordisce nel mondo teatrale del 1810 e prosegue la sua carriera con opere buffe (L'italiana in
Algeri, 1813; Il barbiere di Siviglia, 1816; Cenerentola, 1817) e opere serie (Otello, 1816; Guglielmo Tell, 1829)
che lo rendono il compositore più amato di tutti i teatri d'Europa. Egli fa propria la tradizione musicale del
Settecento, innovandola con uno stile di canto e una teatralità che nascono da un nuovo rapporto parola-
musica.
→ Con Bellini si inaugura quello che viene definito il Romanticismo musicale italiano, che trova nella sottile
vena lirica del compositore uno fra i suoi massimi esponenti.
→ Con Donizetti si afferma pienamente il melodramma romantico, caratterizzato da soggetti storico-
romanzeschi attinti dal repertorio medievale e nordico del romanzo storico, da una dimensione decisamente
tragica. Egli compone circa settanta opere buffe e serie, i cui protagonisti vivono spesso amori infelici,
contrastati dagli interventi dei potenti, e soccombono vittime dello scontro romantico tra le ragioni del cuore
e le convenzioni della società.
→ Giuseppe Verdi è il genio che meglio esprime la sensibilità romantica italiana, attraverso una scrittura
musicale al servizio delle esigenze drammatiche e la scelta di soggetti tratti dai drammi di Hugo, Byron,
Schiller e Scribe. Si pensi, solo per fare un esempio fra i molti possibili, alla cosiddetta trilogia “popolare “
(Rigoletto, Il trovatore, La traviata) o alla costante attenzione riservata da Verdi alla drammaturgia
shakespeariana, alla quale attinge in più occasioni, componendo tre capolavori assoluti del melodramma di
tutti i tempi: Macbeth, Otello e Falstaff.
• Essendo il melodramma lo spettacolo più applaudito dal pubblico italiano, non appare strano che i direttori
dei teatri, in cui l'opera lirica e la prosa si alternano, si preoccupino quasi esclusivamente di assicurarsi unba
buona stagione d'opera e, per conseguenza, non esitino ad affrontare spese anche ingenti per allestire
un'opera, lasciando alla prosa quel poco che resta.
→ Nell'opera italiana del XIX secolo il cantante è senza dubbio l'elemento di maggiore richiamo e , quindi, la
voce di spesa più consistente. Artisti lirici del calibro di Giuditta Pasta, Maria Malibran, Adelina Patti,
Giuseppina Strepponi e Francesco Tamagno sono autentici divi teatrali.
• Si può affermare che in Italia di fatto non esiste il teatro di prosa, ma piuttosto quasi esclusivamente il
teatro in musica, poiché l'opera lirica si pone in questo secolo come scuola di sentimenti e di modelli di
comportamento, andando a riempire un vuoto lasciato dalla mancanza di una drammaturgia nazionale.

• Nel corso del XIX secolo, un nuovo genere teatrale si impone sulle scene italiane, andando a sottrarre
ulteriore spazio e risorse al già impoverito teatro di prosa. Si tratta del balletto romantico, spettacolo sensibile
e raffinato che vede nella Sylphide (1832) e in Giselle (1841) le creazioni più celebri.
→ Le vicende narrate dai balletti romantici portano lo spettatore in mondi ultraterreni dove creature eteree
-che indossano tutù bianchi e scarpette da punta- interpretano vicende popolate da incantesimi, malefici,
creature volanti, ombre e spiriti.
→ Uno fra i temi ricorrenti è la presenza di un atto durante il quale tutte le danzatrici, ordinatamente
disposte sulla scena, indossano tutù bianchi. Quest'atto, che prende il nome di ballet blanc, prevede
l'esecuzione di “passi a due” di grande virtuosismo e “variazioni” tecnicamente complesse per mettere in
risalto la straordinaria abilità delle interpreti.
→ Fra le danzatrici più acclamate ricordiamo Maria Taglioni, Carlotta Grisi, Fanny Cerrito e Fanny Elssler.

6.1.4 La compagnia teatrale nell'Italia del primo Ottocento


La compagnia teatrale ha all'epoca già alle spalle due secoli di vita, essendo nata intorno alla metà del
Cinquecento quando i comici dell'Arte avevano inaugurato il cosiddetto “professionismo teatrale”. Da allora la
struttura organizzativa non è cambiata di molto.
• Dal punto di vista economico le compagnie sono società che prevedono una suddivisione di costi e ricavi, a
volte soggette a un regime cooperativo, più spesso sottoposte a un capocomico (direttore della compagnia e
quasi sempre attore a sua volta), il quale non si limita a mantenere la disciplina, ma stabilisce anche il salario
di ogni attore.
• Le paghe degli attori sono in genere misere, sufficienti a malapena per sopravvivere cibandosi una volta al
giorno, pagando l'affitto e i costi dei viaggi che sono continui, provvedendo al vestiario e agli attrezzi.
→ Raramente gli attori quindi raggiungono un profitto ingente. Ciò può accadere soltanto durante le serate
(serate, cioè, il cui incasso è destinato a questo o a quell'attore della compagnia) a benefizio, il cui numero
indicato con esattezza nel contratto. In tali serate l'incasso netto è devoluto all'attore per il quale si organizza
la beneficiata. L'uso assai in voga del “vassoio” o “bacile” consiste nell'abitudine di tale attore di collocarsi,
prima dell'inizio dello spettacolo, all'ingresso del teatro con un bacile nel quale il pubblico depone fiori, regali
e denaro.
• La sopravvivenza delle famiglia degli attori è legata, quindi, alla vita comunitaria che permette la
condivisione di tutte le spese. Sono frequenti (per non dire necessari) i matrimoni fra attori e attrici e, non di
rado, accade che un artista sposi una giovane attrice promettente oppure con una collega che già sostiene
con fortuna il ruolo di primadonna con la quale, negli anni successivi, va a formare una propria compagnia. In
generale, anche le formazioni primarie vivono a fatica.
• Non essendo spesso in grado di saldare lo stipendio ai suoi attori, lo stesso capocomico combina con
qualche ristoratore di dare per vari giorni pranzo e cena a tutta la compagnia, promettendo di pagarne
quanto prima la spesa con l'incasso del teatro.
• La sola buona fede lega fra loro il capocomico e gli attori da lui stipendiati. Una lettera in forma di
accettazione prende, di norma, il luogo del contratto per un anno e non pochi sono gli artisti che rimangono
con un capocomico dieci o dodici anni senza rinnovarla: una conferma a voce è sufficiente. Anche la scrittura
di un attore è frutto, il più delle volte, della conoscenza diretta fra il capocomico e l'artista.
• Un pensiero sembra guidare tutti i membri della troupe: fare al meglio il proprio dovere artistico per
concorrere al bene comune. Tutti sanno che il capocomico non è in grado di sostenere economicamente la
compagnia che dirige se non grazie agli incassi serali e, pertanto, gli attori si impegnano affinchè ogni lavoro
scenico sia presentato al meglio e applaudito dal pubblico. Se poi l'incasso non corrisponde ai bisogni, il
capocomico ricorre ai prestiti degli usurai o impegna quanto possiede per fare fronte alle difficoltà.
• Ancora per tutto l'Ottocento, la compagnia teatrale non è considerato un “corpo morale”, non è protetta da
alcuna istituzione ufficiale. Al contrario, fatte le debite eccezioni, gli attori in Italia sono considerati alla
stregua di vagabondi, malvisti dalla Chiesa e guardati con sospetto dalla società che li considera immorali.
• La scelta della città da visitare si basa sulla disponibilità della sala teatrale, spesso già occupata dalle
compagnie d'opera che rappresentano per il teatro di prosa una concorrenza temibile. Gli attori viaggiano
sempre uniti e vivono con i propri compagni di professione e con le proprie famiglie per terra, per mare e per
fiume.
• In Italia non esistono compagnie stabili, a differenza, ad esempio, di quanto avviene in Germania e in
Francia dove, nelle città principali, ogni teatro ospita una compagnia “fissa” di attori nominati dal governo
che, considerandoli alla stregua di “funzionari pubblici”, ne paga gli stipendi e ne assicura le competenti
pensionali.
• Per quanto riguarda l'allestimento dei testi teatrali si può affermare che raramente una commedia, un
dramma o una tragedia sono messi in scena con cura e coerenza storica. Se il più delle volte i testi sono
manipolati, adattati, frettolosamente tradotti, abbreviati, quasi sempre i costumi sono inadeguati e le scene
non corrispondono alle indicazioni storiche. Ciò accade non per l'ignoranza di attori e capocomici, ma per
l'impossibilità di organizzare nei continui viaggi il trasporto di bauli contenenti costumi e scenari consoni a
tutte le rappresentazioni in repertorio.
→ Del resto, il repertorio di una compagnia teatrale nell'Ottocento è vastissimo, i testi messi in scena
cambiano ogni giorno e, in alcuni, i casi, si propongono due opere differenti nella stessa giornata.

6.2 L'idea di teatro del Naturalismo: riprodurre il mondo con obiettività


Nel corso dell'Ottocento le idee promosse dal Romanticismo lasciano via via il posto a un'esigenza di
rappresentazione della realtà contemporanea che trova nel Naturalismo la sua espressione più compiuta.
• Il teatro naturalista (definito anche realista o, in Italia, verista) deve essere obiettivo, fotografare il vero in
modo distaccato e sostituire agli eroi romantici comuni che si confrontino con i problemi quotidiani. Partendo
dal presupposto teorico che è necessario accorciare quanto più possibile lo spazio che esiste tra
rappresentazione della realtà e realtà stessa, il Naturalismo elabora strumenti linguistici che tendono a
rimuovere prima di tutto ogni artificialità del testo teatrale.
• Il genere teatrale più frequentato dagli autori naturalisti è il dramma sociale che, nato dal dramma
borghese del Settecento, propone ora la descrizione di interni familiari, di tragedie domestiche, di vicende
agite da personaggi non più grandiosi ed eroici, ma vicini al ceto emergente della media borghesia. I temi più
ricorrenti diventano, quindi, il denaro, la famiglia, la società, rappresentati con un'inedita ricerca del “vero”.

6.2.1 La scena teatrale francese


In Francia gli autori più apprezzati sono Scribe e Eugene Labiche, che rinnova il vaudeville, genere teatrale
comico, misto di parti recitate e ariette cantate, sorto alla fine del Settecento. La sua opera più celebre, Il
cappello di paglia di Firenze (1851), è esemplare delle capacità di Labiche di appassionare il pubblico
mettendo in scena una vicenda ricca di complicazioni e capace di ridicolizzare i costumi dei suoi
contemporanei.
• L'opera fondamentale per lo sviluppo di tutte le successive definizioni del teatro naturalistico è Il
naturalismo a teatro di Emile Zola, pubblicato nel 1881. In quest volume, dopo aver espresso l'esigenza di
introdurre il Naturalismo anche sulla scena teatrale, Zola sostiene che il teatro avrebbe dovuto riproporre con
precisione scientifica fatti oggettivi e personaggi coerenti.
→ Da qui prende le mosse André Antoine, che fonda a Parigi il Theatre Libre, inaugurato nel 1887. Antoine si
mette alla guida di un gruppo di attori ai quali chiede di recitare in scena come se vivessero nelle loro case,
mentre il pubblico li spia attraverso una immaginaria quarta parete che separa palcoscenico e platea,
trasperente per lo spettatore, opaca per l'attore. In tale direzione Antoine mette in scena un repertorio
nuovo, composto da opere di soggetto contemporaneo in cui si propugnano tesi spesso contrarie alla morale
corrente.
→ Come se l'azione dovesse svolgersi in una stanza reale, chiusa da quattro pareti, durante le prove Antoine
indica solo in un secondo momento quale sarà la “quarta parete”, la parete cioè trasparente attraverso la
quale lo spettatore “spierà” la rappresentazione. Le riflessioni di Antoine non solo trovano una immediata
applicazione negli spettacoli presentati al Theatre Libre, ma danno l'avvio a una nuova stagione del teatro.

6.2.2 La scena teatrale in Germania, nei paesi scandinavi e in Russia


• In Germania il Naturalismo arriva relativamente tardi, mediato da due grandi autori scandinavi: il norvegese
Ibsen e lo svedese Strindberg.
→ Henrik Ibsen con i suoi drammmi più celebri fa emergere il doloroso conflitto tra l'individuo e la società
borghese del suo tempo, affrontando temi d'attualità come la corruzione della classe imprenditoriale e
l'emancipazione della donna, da lui eletta a protagonista di alcuni dei suoi lavori più significativi.
- Nel suo “teatro del salotto borghese” sembrano svolgersi spesso vere e proprie sedute psicoanalitiche
durante le quali i personaggi confessano le proprie paure, i propri errori e liberano le pulsioni più nascoste.
Il teatro diventa il luogo deputato a dibattere le grandi questioni della famiglia e dell'attualità. Nel salotto
borghese è introdotta la novità della discussione. E' infatti lo spazio di rappresentanza, il luogo deputato per
le chiacchiere, le discussioni e i racconti, ma in Ibsen tutto acquista un'accentuazione diversa, più sinistra,
racconto e chiacchiera diventano confessioni di verità nascoste.
→ August Strindberg, che compone “drammi naturalistici” nei quali in verità i caratteri del Naturalismo
francese sembrano rimanere piuttosto esteriori, mentre il testo si sviluppa attraverso una attenta analisi delle
tensioni interiori dell'individuo in conflitto con l'ambiente entro cui vive. Tema fondamentale del suo teatro è
lo scontro tra i sessi per la sopraffazione psicologica sia in ambito familiare sia in quella sociale.
Il padre, La signorina Giulia, Verso Damasco e Danza di morte sono alcune fra le opere più note della sua
produzione e anche qui non pochi sono i momenti di indagine della psiche umana.
→ A una prima osservazione sia le opere di Ibsen sia quelle di Strindberg sembrano ben poco connesse con la
poetica di Zola. Tuttavia la loro idea di teatro mostra non pochi tratti comuni che il modello naturalista: la
contrapposizione, anzitutto, alle strutture drammaturgiche precedenti e poi la ricerca di nuove modalità di
rappresentane che permettano di rappresentare testi “forti”.
• Per quanto riguarda le pratiche dell'allestimento scenico in ambito germanico, degna di nota è senza
dubbio l'attività della compagnia dei Meininger che, tra il 1874 e il 1890, porta in tournée in tutta Europa
spettacoli caratterizzati da un evidente e inedito realismo storico filologico. Le scene e i costumi sono quanto
più possibile autentici, per permettere allo spettatore di assistere a una armoniosa tranche de vie, i testi sono
presentati dopo mesi di prove alle quali partecipano tutti gli attori e ogni movimento previsto in palcoscenico
è il frutto di una meticolosa concertazione. Pur formata anche da attori dilettanti, questa compagnia, guidata
dal duca di Sassonia-Meiningen, compie una notevole sforzo per adeguare la recitazione e la messa in scena
a quei principi di naturalezza e verità cari ai naturalisti.
• Andrà, infine, ricordata l'opera di Richard Wagner, compositore universalmente noto ma anche teorico di
una vera rivoluzione artistica e autore dei libretti delle sue opere. Secondo Wagner, la nuova società deve
nascere in seno all'arte e risultare perciò un'espressione del mondo artistico. Questo percorso si realizza
attraverso la proposta di un'opera d'arte totale, che sia cioè il prodotto di tutte le arti riunite (la musica, la
poesia, la danza). Egli non solo definisce, quindi, nei suoi scritti un'idea di teatro, ma ne progetta e realizza il
contenitore scenico, il teatro di Bayreuth, inaugurato nel 1876. Tristano e Isotta, Parsifal e, soprattutto, la
tetralogia dell'Anello del Nibelungo rappresentata nel 1876, ben testimoniano la grande impresa messa in
campo da Wagner (FIG.6.4).
• Prima di Anton Cechov talenti prestigiosi quali Nikolaj Vasil'evic Gogol', Ivan Sergeevic Turgenev e Aleksandr
Nikolaevic Ostrovskij avevano contribuito a gettare le basi di una drammaturgia originale legata alla coscienza
collettiva del popolo russo. Tra il 1888 e il 1904, Cechov compone e, dopo alcuni insuccessi, impone al
pubblico, cinque drammi -Ivanov, Il gabbiano, Lo zio Vanja, Le tre sorelle e Il giardino dei ciliegi- che segnano
un punto di svolta nella storia della drammaturgia teatrale europea. In queste opere, al di là dell'intreccio a
volte quasi inesistente, Cechov crea un “teatro d'atmosfera” attraverso l'utilizzo di un linguaggio originale e
una straordinaria abilità nell'indagare e rappresentare gli stati d'animo dei suoi personaggi, sconfitti dal
mondo in cui sono costretti a vivere. Cechov promuove un teatro della realtà in cui è la vita comune a
scandire le azioni dei personaggi, banali o futili che siano.

6.2.3 La scena teatrale inglese


Per quanto riguarda la drammaturgia è da sottolineare il fatto che, dalla metà del secolo, nuovi generi
d'intrattenimento leggeri si diffondono sulla scena teatrale inglese diventando temibili concorrenti per i teatri
ufficiali.
• In questo ambito, ben si può collocare l'attività della straordinaria coppia formata dal librettista William
Gilbert e dal musicista Arthur Sullivan che, con le loro operette, ottengono enormi successi, influenzando lo
sviluppo del teatro musicale leggere del secolo successivo.
• Uno spazio particolare va dedicato all'irlandese Oscar Wilde, che con le sue quattro commedie Il ventaglio
di Lady, che con le sue quattro commedie Il ventaglio di Lady Windermere, Una donna senza importanza, Un
marito ideale e L'importanza di chiamarsi Ernesto diviene in breve tempo il beniamino del grande puublico e
il drammaturgo più applaudito di fine Ottocento. Coraggioso anticonformista sia nell'attività artistica sia nella
vita privata, Wilde con le society comedies offre una satira brillante dei costumi e del comportamento
dell'alta società inglese attraverso i meccanismi tradizionali della piece bien faite. Ma questa satira sfocia
spesso in una indagine sul potere, sulla politica e sul denaro che regolano i rapporti sociali, andando a
dipingere una società cinica e spietata.
• A cavallo tra Ottocento e Novecento si colloca, infine, l'opera di un altro grande autore irlandese, George
Bernard Shaw, drammaturgo, critico e figura poliedrica dai mille interessi. Considerando il teatro un elemento
indispensabile per la società umana e ritenendolo in grado di modificare e migliorare la coscienza degli
spettatori, Shaw compone opere capaci di catturare l'interesse dello spettatore attraverso un vivace gioco
intellettuale, ricco di arguzie e paradossi rimasti celebri, ma anche destinati a farlo riflettere su tesi e
questioni considerate “scomode”. Le sue più celebri commedie La professione della signora Warren,
Maggiore Barbara, Pigmalione e Santa Giovanna.

6.2.4 La scena teatrale italiana


Già a partire dai primi decenni postunitari, il governo si volge con sollecitudine alla riorganizzazione del
sistema spettacolistico. Tuttavia appare chiaro fin da subito che non il teatro ma la scuola e l'esercito sono
prescelti come strumenti di unificazione culturale e che in tali ambiti, non altrove, saranno convogliati i più
ingenti investimenti statali. Il teatro è considerato al pari di un'impresa produttiva il cui fine ultimo è il
profitto, soggetta come tale alle logiche della speculazione e del rischio.
• Nonostante ciò proprio negli anni Settanta dell'Ottocento inizia a farsi strada una idea di teatro differente
rispetto agli anni preunitari: il teatro si avvia a divenire espressione favorita di una borghesia ancora agli
esordi. La prosaicità del quotidiano fa irruzione in teatro talora per celebrare una classe ancora in cerca di
un'identità univoca, talaltra per cercare di risolverne le contraddizioni, più spesso per indagarne a fondo i
meccanismi in una visione sempre dichiaratamente edificante.
• Dal punto di vista del genere drammaturgico sono senz'altro la commedia e il dramma sociale a dominare
le scene dell'ultimo quarto dell'Ottocento. Molti altri generi sopravvivono al loro fianco per ottemperare
all'esigenza di un'offerta differenziata, adatta a un pubblico sempre più eterogeneo. Farse e vaudevilles
d'importazione francese continuano ad allietare gli spettatori, mentre la drammaturgia tragica prosegue sulla
strada di quel rapido declino intrapresa nei decenni precedenti. Accanto alla drammaturgia in lingua,
espressione privilegiata del gusto borghese, assume crescente rilievo una produzione regionale in dialetto.
Tale produzione solo raramente si limita alla facile comicità bozzettistica per dedicarsi invece a un'analisi
attenta della realtà popolare o piccolo-borghese, con ambizioni “realistiche” non minori rispetto a quelle del
teatro ufficiale.
• I nuovi indirizzi drammaturgici in prosa non mancano di interessare anche il melodramma. Ai soggetti
storici più tipicamente romantici vanno con il tempo sostituendosi vicende imperniate sui grandi temi
borghesi della famiglia e dei rapporti interpersonali.
• Per quanto riguarda il teatro musicale nell'ultimo trentennio del secolo, accanto al melodramma e al
balletto gode di sempre maggiore favore tra le platee italiane l'operetta, spesso di derivazione francese,
spettacolo di pura evasione che trova la propria forza nello sfarzo dei costumi, nel gusto esotico degli
allestimenti e nelle melodie musicali di facile ascolto.
• Anche la danza, gli spettacoli equestri, le marionette e il circo si avvicendano sui palcoscenici della penisola
e costituiscono una fra le scelte economicamente più redditizie per gli impresari dell'epoca, tanto per la
modicità delle spese di allestimento, quanto per la capacità di richiamare a teatro pubblico pagante in
notevole quantità.
• I drammaturghi italiani che individuano nella dottrina naturalista le basi per attualizzare un teatro bisogno
di rinnovamento non approdano mai, tuttavia all'inflessibilità di posizioni tipica dell'esperienza francese.
• Il Verismo, declinazione italiana del Naturalismo, a partire dalla seconda metà degli anni ottanta, sembra
raggiungere solo con Giovanni Verga vertici di incontestabile originalità. Se, infatti, soprattutto con Cavalleria
rusticana (1884) e La lupa (1886), Verga dà prova di aderire coerentemente ai dettami della poetica verista, i
suoi contemporanei – fra i quali ricordiamo almeno Giuseppe Giacosa, autore di Tristi amori (1887) e Come le
foglie (1900), e Marco Praga, autore della Moglie ideale (1890)- con le loro atmosfere spesso crepuscolari
lasciano presagire gli imminenti sviluppi della drammaturgia novecentesca.

6.3 Il Grande Attore


La categoria storiografica del Grande Attore affermatasi verso la metà dell'Ottocento, trionfa in quegli anni in
Italia, in Europa, nelle Americhe e in Russia.
• Assai poco preoccupato del valore artistico del testo, il Grande Attore è soprattutto attento alla costruzione
del suo personaggio, cui si accosta con una interpretazione essenzialmente emozionalista, che rifugge dai
precetti di Diderot.
• Nella seconda metà dell'Ottocento, le scene italiane sono saldamente dominate dalla celeberrima triade
formata da tre Grandi Attori: Adelaide Ristori, Ernesto Rossi e Tommaso Salvini.

• Adelaide Ristori riconosce nell'immedesimazione e nella ricerca della psicologia del personaggio i cardini
della sua arte teatrale. Sulla scena l'attrice enfatizza i toni della voce e dilata il gesto per amplificare
l'immagine del reale e creare al meglio l'illusione scenica.
→ Altra caratteristica di Ristori è la cura quasi maniacale del costume, dei gioielli e del trucco di scena, che
devono rispecchiare quanto più possibile la realtà storica del personaggio.

• Ernesto Rossi, considerato dai contemporanei il perfetto modello dell'attore romantico italiano è un Grande
Attore completo, in quanto interpreta il suo ruolo, dirige l'allestimento scenico e riscrive le parti che deve
recitare per meglio adattare il personaggio alla propria personalità e costruire da sé un linguaggio verbale e
mimico-gestuale da attribuire alle proprie interpretazioni.

• Tommaso Salvini, convinto assertore del fatto che il processo di immedesimazione sia necessario per calarsi
nei panni del personaggio, ma vada utilizzato con parsimonia nell'atto della rappresentazione, non ricerca
gesti o toni che possano arrecare danno alla corretta comprensione del testo.
→ L'Otello di Shakespeare viene interpretato tra il 1856 e il 1857 sia Ernesto Rossi che da Tommaso Salvini.
La recitazione dei due è molto differente. Sostenitore di un'immedesimazione emozionale nel personaggio,
Rossi arricchisce la sua recitazione di spontaneità, passione e immediatezza, mentre Salvini introduce invece
silenzi eloquenti e momenti di intima riflessione, da cui traspare la profondità del personaggio.
• Pur non appartenendo alla categoria del Grande Attore, concludiamo queste osservazioni riservando
qualche considerazione alla più celebre attrice italiana di tutti i tempi: Eleonora Duse (FIG.6.5).
→ Nel primo periodo artistico, fino al 1880, si parla di lei come di un'attrice vera, semplice, spontanea,
naturale, capace di rivivere sulla scena i sentimenti delle eroine interpretate. Quando impersona queste parti
drammatiche, lo stile dell'attrice sembra dare maggior peso al valore fonico delle battute, piuttosto che a
quello semantico; da qui una recitazione veloce, ma spezzata nei toni, con accenti apparentemente inutili o
suoni detti sottovoce. Duse riesce così a infondere nelle sue eroine una intensità tragica che porta il pubblico
alla commozione. Come l'attrice realizzi questa tensione espressiva sulla scena non è semplice stabilirlo. Il
gesto di Duse è sempre mentale, mosso dall'interiorità, non è solo fittizio e artificioso.
→ Malgrado il grande successo di questo suo primo periodo romantico, lo “spirito” dell'attrice stessa appare
insoddisfatto, poiché ella aspira a un altro teatro, un “teatro di poesia”, in cui possa risolversi a pieno tutto il
suo patetismo. Per realizzare il suo idea, deve attendere l'incontro con Arrigo Boito e Gabriele d'Annunzio,
che modificano la vita persona dell'attrice, nonché le sue scelte di repertorio.
→ Quello con Boito è un rapporto da maestro ad allieva, che influenza le sue scelte di stile, di contenuto, di
repertorio e la accompagna a una più elevata maturazione culturale. Grazie a lui Duse conosce autori classici
e autori teatrali contemporanei.
→ Quello con d'Annunzio è un sodalizio artistico più complesso: il poeta scrive per lei personaggi
indimenticabili che la divina Eleonora porta per il mondo.
→ Nel 1909 Duse annuncia inaspettatamente il suo ritiro dalle scene, dove tuttavia farà ritorno per un ultima
volta nel 1921 negli Stati Uniti. Impossibile ricordare sommariamente le sue interpretazioni: dai grandi
drammi francesi di Sardou a Ibsen, da Shakespeare a d'Annunzio.
• D'Annunzio riserva al teatro non poca parte della propria attività artistica. Egli compone non solo testi di
grande valore letterario, ma si impegna personalmente in più occasioni nel loro allestimento. Già nel 1898
d'Annunzio promuove un progetto che vede la costruzione di un teatro all'aperto per le rappresentazioni di
opere classiche e di tragedie moderne che ripropongono i moduli dell'antico teatro, in contrapposizione al
realismo imperante del dramma borghese. Tale progetto naufraga, ma d'Annunzio ha già dato vita al suo
“teatro di poesia”, affidando a Duse l'atto unico Sogno di un mattino di primavera (1897) e, successivamente,
La Gioconda (1899), La Gloria (1899), La città morta (1901) e Francesca da Rimini (1901), opere teatrali dalle
quali emergono figure cariche di dolore che si impongono sulla scena per il loro lirismo poetico.

7. Il teatro del XX e XXI secolo

7.1 La nascita del Novecento teatrale

7.1.1 Un'anteprima
Nel dicembre 1896 debutta a Parigi uno spettacolo dissonante rispetto ai canoni del tempo, che sembra
superare di slancio i tre anni che mancano per il nuovo secolo. Il suo titolo è Ubu re; l'autore Alfred Jarry;
regista Aurelien Lugné-Poe; scenografi Paul Sérusier e Pierre Bonnard, due dei pittori del gruppo Nabis.
• La vicenda è una versione parodica del Macbeth. Il testo comincia con un irriguardoso “Merdre” e Jarry
gioca su neologismi, espressioni gergali, deformazioni verbali. L'azione procede per scene staccate, per scarti
logici e assurdi.
→ C'è una vera e propria dissoluzione del personaggio. Ubu è una maschera. Jarry lo aveva disegnato come
una specie di sacco, con un cappuccio e un ventre smisurato, simbolo della sua avidità.
→ Il gusto per la provocazione, il ribaltamento di norme e comportamenti artistici, l'esplosione dell'opera, la
messa in discussione del senso, la cancellazione di verosimiglianza, psicologia e personaggio sono altrettanti
elementi che fanno di questo testo una sorta di Novecento in miniatura.

7.1.2 Transizione
Ma un secolo non nasce dalla sera alla mattina. C'è un complesso processo di transizione nel passaggio tra
Ottocento e Novecento.
• Il processo di transizione tra i secoli riguarda soprattutto la regia, che si presenta dapprima come modo di
allestire in una maniera più ordinata e organizzata la disposizione scenica per diventare, in seguito, un vero e
proprio modello di concezione dello spettacolo.
→ Dopo l'esperienza del Theatre Libre, in uno scritto teorico del 1903, Causerie sur la mise en scene, André
Antoine teorizza il suo procedimento di lavoro: il testo è centrale e compito del regista è rispettarne nella
maniere più fedele le intenzioni, ma la regia è dichiarata un'arte, artistici i suoi mezzi d'espressione, artista,
anche se “dipendente” nei confronti dello scrittore, il regista.
• La transizione dei secoli riguarda anche la recitazione. Il sistema dei ruoli, che la fissava secondo modelli
fissi e distinti, entra in crisi, anche se continua a segnare il modo di impostare lo stile di recitazione e la
trattazione del personaggio.

7.1.3 La nascita del Novecento


La linea di demarcazione che segna l'avvento del secolo è principalmente di natura teorica e si esprime
nell'affermazione che il teatro è arte della scena a discapito del primato convenzionalmente riconosciuto alla
scrittura letteraria.
• I protagonisti di questa svolta sono uno svizzero, Adolphe Appia, un inglese, Edward Gordon Craig, e un
tedesco, Georg Fuchs. Alle loro spalle l'opera d'arte totale di Richard Wagner.
• A Wagner è dedicato il primo testo teorico di Appia, La messa in scena wagneriana (1895). Il concetto
wagneriano di totalità è assunto come obiettivo strategico, ma Appia sostiene che in Wagner sia rimasto in
gran parte irrisolto, perchè la sua riforma può dirsi perfettamente compiuta sul piano del rapporto fra parola
e musica, ma non altrettanto su quello scenico. E' lì che bisogna agire, per trovare una soluzione altrettanto
potente del dramma di parola e musica.
→ La concezione di opera d'arte teatrale subisce significative trasformazioni. Appia ritiene che essa consista
nella dialettica tra un corpo vivo (attivo) e un luogo scenico tridimensionale (passivo). Bandita, quindi, la
scenografia dipinta e la figurazione realista. L'attore, d'altro canto, è ricondotto alla dynamis della pura
presenza fisica e sottratto alla rappresentazione del personaggio.
→ Quella di Appia è una vera e propria rivoluzione copernicana: il teatro è pensato come tramite per
accedere a un'arte che farà a meno delle opere e si risolverà nella festa.
• Un ruolo importante nell'evoluzione del concetto teatrale di Appia lo ebbe Emile Jacques-Dalcroze,
l'inventore della ginnastica ritmica, una tecnica tesa a favorire l'espressività fisica del corpo umano al di là
della formalizzazione del balletto. A lui è ispirata la serie di disegni degli “spazi ritmici”.

• La regia è al centro della riflessione teorica di Gordon Craig. Gli spettacoli prodotti tra il 1900 e il 1903
presentavano straordinari elementi di modernità: rifiuto del realismo, uso creativo di scena e luci, un'armonia
di insieme curata dal regista come una vera e propria scrittura.
→ La sua influenza è dovuta soprattutto agli scritti teorici. Nel primo, L'arte del teatro (1905) è espresso un
concetto chiave: il teatro ha un suo proprio linguaggio basato sull'unità organica di azione parola, linea colore
e ritmo (elementi linguistici, non arti). A gestire un simile linguaggio è il regista.
→ Nel 1907 Craig completerà questo radicale scenario teorico con L'attore e la Supermarionetta, in cui
sostiene che bisogna fare a meno anche dell'attore, il quale, in quanto figura viva soggetta all'emozione,
rende impossibile la perfezione della forma.
• Fondamentale l'incontro con la danzatrice Isadora Duncan, che sperimentava una coreografia basata sul
movimento libero. Per Craig teatro è movimento. Di qui la sua ipotesi di scena mobile: gli screens, pannelli
che articolavano plasticamente lo spazio. La sintesi del pensiero di Craig è che il teatro è un'arte della visione,
che la qualità artistica consiste nel produrre immagini in movimento e che il vero artista è il regista.

• La terza ipotesi di una nuova teoria del teatro è quella di Fuchs. Il suo pensiero è affidato a due libri
soprattutto, La scena del futuro (1905) e La rivoluzione del teatro (1909). La sua tesi è che bisogna
“teatralizzare il teatro”, superare il primato della letteratura e pensare lo spettacolo nei termini di
un'immagine visiva. Il cuore dell'esperienza teatrale è, però, l'attore nella sua relazione con lo spettatore, in
grado di istituire un filo di energia tra sala e scena. Un attore pensato come corpo in movimento, tanto che a
fondamento della recitazione è posta la danza.
→ L'obiettivo è riuscire a superare la dimensione del prodotto estetico, dello spettacolo come manufatto, per
recuperare la “festa”, intesa come momento comunitario al cui centro è posta l'identità etnica, il “popolo”
come corpo collettivo.

7.2 La regia del primo Novecento


7.2.1 La regia come invenzione
Abolire i ruoli fissi, fare delle prove un momento di creazione condivisa, liberare gli attori dai clichés, aprirsi a
una drammaturgia più rilevante: attorno a questi principi si ritrovano Konstantin Stanislavskij e Vladimir
Ivanovič Nemirovič-Dančenko, che fondano a Mosca il Teatro d'Arte.
→ Il debutto fu nel 1898, con lo Zar Fedor di Tolstoj e soprattutto con il Gabbiano di Cechov. Stanislavskij
riuscì a rendere l'anomala forza drammatica dell'autore scavando dentro il testo. Cechov diventò l'autore di
riferimento del Teatro d'Arte (Zio Vanja, FIG.7.1, Le tre sorelle, Il giardino dei ciliegi). Quando morì, nel 1904,
Stanislavskij provò a cimentarsi con la drammaturgia simbolista ma senza particolare soddisfazione e tornò a
testi più convenzionali.
→ Quello che gli interessava era fare del teatro il luogo in cui raggiungere il più alto grado di verità. Questo
accadeva attraverso una scenografia realista che consentiva all'attore di muoversi dentro un ambiente
autentico ma soprattutto grazie a un'attenzione innovativa prestata alla recitazione.

• Alla regia come ricerca corrisponde, in Germania, un'ipotesi più pragmatica, quella di Max Reinhardt, il cui
obiettivo era di cogliere di ogni testo la vocazione teatrale.
→ Nel 1905 dirige il Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare. Reinhardt aveva ricostruito una
foresta vera al cui interno far vivere gli spiriti shakespeariani. La scenografia si modificava grazie al
palcoscenico girevole.
→ Il senso del vero, però, non interessava Reinhardt in un'accezione naturalista. Per lui la regia doveva essere
una festa dell'invenzione creativa priva di pregiudizi ideologici.
→ Riteneva, inoltre, che ogni modello drammaturgico avesse bisogno di un suo spazio. Assunse, quindi, la
gestione di diversi teatri a Berlino: il Deutsches Theater, tipico edificio all'italiana per i classici, un ambiente
più raccolto, il Kammerspiele, per i drammi moderni, e poi una grande sala senza proscenio in grado di
ricreare il clima comunitario del teatro greco.

• All'esuberanza di Reinhardt fa da contraltare la sobrietà quasi ascetica del francese Jacques Copeau, che
arriva alla regia dalla critica teatrale. Nel 191 apre a Parigi un teatro, il Vieux Colombier, la cui piccola sala era
allestita in modo da rompere la linea di separazione dell'arco scenico. Copeau voleva che lo spettacolo fosse
occasione per uno scambio diretto tra attore e spettatore. Quindi aveva scelto una scena spoglia, non
figurativa, a rilievo, su cui far stagliare la presenza degli attori, i quali, a loro volta, dovevano liberarsi dai
formalismi della recitazione accademica. Questo per riuscire a trasmettere il testo nella sua costituzione più
autentica.
→ Nel 1924 Copeau chiuse il suo teatro e si spostò in Borgogna con un gruppo di attori per studiare la
recitazione partendo dalla Commedia dell'Arte. I Copiaus, così venivano chiamati, non facevano spettacoli ma
cercavano, con un lavoro di gruppo di natura comunitaria, di sperimentare il nucleo più vivo della recitazione,
esibendosi solo occasionalmente in feste popolari con spettacoli di improvvisazione. Quando i Copiaus
tornarono a Parigi e si strutturarono come compagnia, Copeau abbandonò il progetto. Ne nacque la
Compagnie des Quinze, diretta da Michel Saint-Denis.

7.2.2 Modi e forme del teatro di regia

Russia
• Allo scoppio della Rivoluzione d'Ottobre, l'allievo di Stanislavskij, Mejerchol'd si accostò alle posizioni
rivoluzionarie, affermando l'esigenza di un “Ottobre teatrale”. Sono questi gli anni del suo più stretto legame
con i movimenti d'avanguardia e in particolare con Majakovskij.
→ Lo spettacolo manifesto di questa fase è Il magnifico cornuto (1922), una farsa grottesca di Fernand
Crommelynck che Mejerchol'd trasforma in una dinamicissima macchina scenica, grazie a una scenografia
costruttivista fatta di congegni meccanici messi in moto dal gioco clownesco e acrobatico degli attori.
→ Negli anni successivi Mejerchol'd si concentrerà sempre più sulla recitazione e sul modo di intervenire sui
testi della tradizione per scrostarli del residuo accademico. Il culmine di tale processo fu Il revisore di Nikolaj
Gogol' (1926). La scena consisteva in un semicerchio di quindici porte e parte dell'azione si svolgeva su
carrelli mobili mentre gli attori facevano ricorso a una gestualità deformante.
Durante le purghe staliniane Mejerchol'd fu arrestato e ucciso.
• Anche per Evgenij Vachtangov, che proveniva pure lui dalla scuola di Stanislavskij, la regia significava dare
corpo a un'invenzione che esaltasse la matrice artificiale della messa in scena. Nel suo allestimento della
Turandot di Carlo Gozzi (1922, FIG 7.2) gli attori accoglievano il pubblico in abito da sera, poi indossavano i
costumi dei personaggi realizzandoli con giocosa innaturalità (lo scettro del re era una racchetta da tennis).
→ Vachtangov voleva ricostruire, in un'accezione moderna, l'atmosfera della Commedia dell'Arte, solo che
preparava con meticolosità ogni momento dello spettacolo. Ciò che emergeva era la capacità della regia di
essere invenzione, stimolo alla creatività degli attori, libera rielaborazione dei materiali drammaturgici.
• Temi analoghi tornano anche in Aleksandr Tairov, che pensava lo spettacolo come un'esuberante festa dello
sguardo, giocata nel rapporto tra un impianto scenico di impostazione pittorica e la dinamica fisica della
recitazione.
→ Nel suo teatro, il Kamernyi Teatr (teatro da camera), sperimentò le polarità estreme dell'arlecchinata e
della tragedia. Nella Fedra di Racine (1922) la scena presentava immagini scomposte secondo il gusto cubista
e piani inclinati che costruivano l'atmosfera inquieta della tragedia. D'altro canto la recitazione era
caratterizzata da un'intensa espressività mimica e gestuale, accentuata dal trucco e dai costumi.
• Pur se in modi diversi, la “scuola russa” presenta dei caratteri comuni:
1) l'accentuazione della teatralità;
2) l'attenzione verso la qualità visiva della messa in scena;
3) la ricerca di una recitazione fisica basata sull'espressività del corpo.

Germania
In Germania il regista, prima ancora di essere un creatore, è un direttore di teatro.
Un secondo elemento che connota la situazione tedesca è la dimensione politica.
• Leopold Jessner diresse teatri prima ad Amburgo e poi a Berlino. Dirigere un teatro significava, per lui,
assumere un ruolo di responsabilità civile nei confronti della comunità sociale. Impegno ed etica si
traducevano nella scelta del repertorio.
→ Nel Guglielmo Tell di Schiller (1919) e nel Riccardo III di Shakespeare (1920) il tema è la riflessione sul
potere e sul diritto dei popoli ad autodeterminarsi. Il suo era un modo nuovo, essenziale e non decorativo di
rappresentare i classici.
• Più dichiaratamente politico fu Erwin Piscator: il teatro doveva essere uno strumento di propaganda, per
dare alle classi subalterne gli strumenti di comprensione della loro condizione.
→ Con Piscator l'attenzione si sposta decisamente verso la scena: costruire una macchina della visione che
accolga il testo letterario e ne indirizzi in maniera autonoma l'interpretazione.
→ In Oplà noi viviamo di Toller (1927) le diverse scene erano ambientate dentro una scenografia verticale
fatta di tre livelli sovrapposti mentre delle proiezioni cinematografiche mostravano il contesto storico.
→ Nelle Avventure del prode soldato Svejk di Hasek (1928) un tapis roulant serviva a dare il senso del
marciare senza fine dei soldati.
→ Piscator è stato il primo a concepire la multivisione come strumento registico e a trattare il film come
parte integrante dell'azione drammatica.

Francia
In Francia la regia si evolve lungo la strada aperta da Copeau. Nel 1927 Louis Jouvet, Charles Dullin, Gaston
Baty e Georges Pitoeff fondano un'associazione denominata Cartel des Quatre, il cui obiettivo era risccattare
la dignità artistica del teatro nei confronti delle pratiche commerciali.
• Per Jouvet regia significa tradurre in scena il testo letterario nella maniera più organica possibile. Centrale il
lavoro dell'attore sul personaggio, che Jouvet legge in termini di responsabilità etica. Il suo obiettivo è cerca
una nuova soluzione scenica per la drammaturgia classica ma anche creare le condizioni per l'affermarsi di
una drammaturgia moderna.
• Dullin è interessato al lavoro di formazione, che pensa come un “Atelier” (il nome che diede al suo teatro),
un luogo di studio comune, di ricerca, il cui nucleo centrale era rappresentato dall'improvvisazione, una
tecnica allora poco diffusa, e dall'uso espressivo del corpo. Non a caso all'Atelier si formarono Jean Vilar,
Antonin Artaud e Etienne Decroux.
• Per Baty, invece, il teatro coincide con la messa in scena. Come lui stesso ebbe a dire, occorre liberare il
teatro da Sua Maestà la Parola. Non voleva, però, una regia visiva, ma dare spazio a una drammaturgia
autenticamente teatrale.
• Anche per Pitoeff compito del regista era dare una vita scenica al testo drammatico. Pitoeff affinò uno stile
essenziale, basato su pochi elementi espressivi. Incisiva fu la regia dei Sei personaggi in cerca d'autore di
Pirandello (1923), in cui aveva esaltato la dimensione fantasmatica dei personaggi rispetto agli attori,
facendoli approdare sul palcoscenico con un montacarichi e immergendoli in una luce verde che ne
accentuava il carattere spettrale.

Italia
Fino al 1932 in Italia non c'è nemmeno la parola per denominare la regia. In realtà c'erano sperimentazioni
nella direzione registica, ma appaiono più che altro come tentativi di dar vita a una migliore organizzazione
scenica.
• Più vicino al contesto europeo è Anton Giulio Bragaglia che, con il suo Teatro degli Indipendenti, cerca di
dar vita a quello che definiva un “teatro teatrale”, un teatro, cioè, che si affidasse all'invenzione scenica,
liberandosi dai vincoli della letteratura. Non a caso fu tra i primi, in Italia, a prestare attenzione allo studio
della Commedia dell'Arte.
• Particolare il caso di Luigi Pirandello, che nel 1925 diede vita a una progetto che prevedeva una compagnia
e un teatro, il Teatro d'Arte, con una sede stabile. Pirandello curava con meticolosità la messa in scena
cercando, attraverso un'adesione al modello europeo, di modernizzare il teatro italiano. Ma non ebbe
successo e il progetto si concluse in fretta.
• La regia fino al secondo dopoguerra fece fatica ad affermarsi in Italia, il cui teatro restò a lungo ancorato alla
dimensione capocomicale.

7.3 Le Avanguardie storiche

7.3.1 Il concetto di avanguardia


Sotto il nome di Avanguardie storiche riuniamo i fenomeni artistici del Futurismo, Dadaismo, Surrealismo,
Espressionismo e Costruttivismo. Esse decostruirono la logica della letteratura drammatica tradizionale e
proposero un teatro antirappresentativo e spiazzante.

7.3.2 Futurismo
Il teatro futurista presenta tre linee di tendenza.
• Filippo Tommaso Marinetti si schierò contro il realismo della rappresentazione e i luoghi comuni del
dramma borghese, proponendo invece un teatro “sintetico” di immagini folgoranti e provocatorie (La voluttà
di essere fischiati, 1911; Il teatro sintetico, 1915).
• Un analogo motivo è alla base della seconda direttrice del teatro futurista: il teatro come evento, che si
espresse nelle “serate futuriste”. Non veri e propri spettacoli, ma occasioni di natura spettacolare in cui
venivano letti proclami, declamate poesie, mostrati quadri ecc.
→ Marinetti sosteneva l'ipotesi di un moderno teatro di varietà di sensibilità antiaccademica in cui erano
presenti il rifiuto della narrazione, la comicità irridente, la frammentazione e il rapporto attivo con il pubblico.
Teatro non era produrre uno spettacolo, ma determinare una situazione (Il teatro di varietà, 1913).
• La terza direttrice del teatro futurista introduce il fenomeno del teatro dei pittori. Enrico Prampolini,
Giacomo Balla e Fortunato Depero si dedicarono infatti anche al teatro. Non come pittori-scenografi, ma
come pittori autori di partiture sceniche visive.
→ Prampolini teorizzò un teatro astratto, affidato alla dinamica giustapposizione di elementi visivi, quadri
plastici, luci e colori (Scenografia e coreografia futurista, 1915).
→ Balla in Feu d'artifice di Stravinskij (1917) realizzò una struttura tridimensionale che attraverso luci colorate
“suonava” in sincrono con la musica.
→ Depero, invece, utilizzata marionette per armonizzare il quadro scenico e metterlo in movimento.

7.3.3 Dada e surrealismo. Artaud


• Tristan Tzata, l'anima teorica del movimento Dada, ha l'obiettivo di giungere al grado zero della forma e
della comunicazione. In La prima avventura celeste del signor Antipirina (1916), Cuore a gas (1921) e
Fazzoletto di nubi (1924) la forma drammatica è completamente esplosa. Il testo è un montaggio di
frammenti indipendenti tra loro e il dialogo viene negato.
• Il teatro dadaista ha una dimensione scenica, rappresentata da “serate” impostate, come quelle futuriste,
sul montaggio di singoli frammenti spettacolari. Tali serate si svolgevano soprattutto in un locale di Zurigo dal
nome emblematico quanto provocatorio, Cabaret Voltaire, e avevano un carattere irridente e ludico.
• Illogica, irrazionale e provocatoria è la scrittura del drammaturgo più significativo dell'ambiente surrealista,
Roger Vitrac. Nei Misteri dell'amore (1923) la vicenda è contraddetta da apparizioni impreviste, dalla
giustapposizione di scene slegate tra loro, da affermazioni e situazioni paradossali.
• Il personaggio più rappresentativo del teatro surrealista non è però un autore letterario, ma un uomo di
scena: Antonin Artaud, uno dei padri fondatori dell'estetica teatrale moderna. La sua influenza è stata tale,
specie negli anni Sessanta, che il Novecento è stato anche definito il “secolo Artaud”. Anche nel suo caso a
contare sono soprattutto gli scritti come Il teatro e il suo doppio (1938). Egli fonda nel 1926 il Teatro Alfred
Jarry, il quale restò aperto solo fino al 1930, ma fornì ad Artaud l'occasione per porsi il problema attorno a cui
ruota tutta la sua riflessione teorica: che cos'è il teatro? Qual'è la sua “missione”?
→ Artaud teorizza il “teatro della crudeltà”, il quale deve agire sul profondo della psiche umana, sui suoi lati
più oscuri che bisogna riportare alla luce rompendo la crosta della personalità borghese. Solo così l'essere
umano può confrontarsi con il suo autentico “se stesso”. Quello di Artaud è un teatro che si sottrae alla
dittatura della parola, del dialogo e del testo scritto e centra il suo linguaggio soprattutto sull'attore, sulle sue
capacità di mettersi in gioco al di là del regime della finzione scenica.

7.3.4 Russia
Nella Russia a cavallo della Rivoluzione del 1917 il fermento culturale è simmetrico a quello politico e si
traduce nel proliferare di movimenti d'avanguardia: il Futurismo, il Cubofuturismo, il Suprematismo e il
Costruttivismo, ognuno con una poetica distinta ma tutti tesi a una rivoluzione del linguaggio.
• La figura che meglio incarna questo fervore è Vladimir Majakovskij. I suoi drammi rompono con ogni logica
rappresentativa. La parola è utilizzata per la sua capacità di evocazione sensoriale, negandosi strategicamente
al dialogo.
→ Legato al fervore rivoluzionario è Mistero buffo (1918), in cui la decostruzione linguistica si coniuga con un
utopismo ideologico. In una sorta di percorso iniziatico, gli “impuri”, il proletariato, si avviano verso la terra
promessa, attraversando l'inferno della realtà. Ma il racconto è frammentato, l'azione procede per scarti e
l'ambientazione è irreale. Il testo fu messo in scena da Mejerchol'd segnando un importante momento di
collaborazione tra avanguardia letteraria e regia.
→ In seguito Majakovskij scrisse due testi molto polemici verso l'apparato burocratico, La cimice (1928) e Il
bagno (1929), in cui la tessitura dialogica è, almeno in parte, ricostituita, anche se è sempre forte il senso
ludico e paradossale.
→ Nel 1930 Majakovskij si suicidò. La sua fine e l'uccisione di Mejerchol'd da parte del regime sovietico
rappresentano il fallimento del sogno ideologico e politico delle Avanguardie.

7.3.5 Espressionismo
Anche in Germania il teatro ha una vivace stagione d'avanguardia. Il fenomeno centrale è quello
dell'Espressionismo. Il termine sta ad indicare l'esigenza che l'opera sia il luogo di manifestazione della realtà
interiore dell'artista. Tale manifestazione si esprime nella drammaturgia attraverso un uso lirico, antidialogico
e antidialettico della parola e nella messa in scena grazie a una visività fortemente simbolica.
• Un punto di riferimento fondamentale fu Georg Fuchs. I principali drammaturghi di questa stagione sono
Reinhard Sorge, Walter Hasenclever, Georg Kaiser, nei cui testi la tensione espressionista sfiora la dimensione
dell'inconscio o si ribalta in una chiave politica. Anche in Germania i fermenti avanguardistici si intersecano
con la regia. Sia Jessner sia Reinhardt si cimentano con i drammi dell'Espressionismo cercando soluzioni
sceniche adeguate a visualizzare l'urlo poetico che li caratterizza.
• Accanto alle nuove soluzioni drammaturgiche e registiche è presente anche un “teatro dei pittori”.
→ Vasilij Kandinskij, uno dei padri dell'astrazione pittorica, elaborò una sua visione teatrale a cui diede corpo
in un dramma visivo, Il suono giallo (1912), e in scritti teorici in cui propone un'opera d'arte totale di matrice
wagneriana in cui, però, i tre elementi costitutivi sono musica, movimento e colore.
→ Il secondo protagonista tedesco del “teatro dei pittori” è Oskar Schlemmer, titolare del laboratorio di
teatro presso il Bauhaus. Per egli il teatro doveva essere l'articolazione visiva di un'azione coreografata. Un
ruolo centrale era affidato al costume, che rivestiva completamente i danzatori, fino a nasconderne le
fattezze umane e a trasformarli in forme astratte in movimento.

• La stagione delle Avanguardie storiche può dirsi chiusa alla fine degli anni Trenta. Da un lato l'effervescenza
anarchica aveva fatto il suo corso, dall'altro l'irrigidirsi della situazione politica portò un vento di
conservazione accademica.

7.4 La drammaturgia del primo Novecento

7.4.1 Scrivere per un teatro moderno


Nella drammaturgia del primo Novecento la costruzione verbale fa ancora testo, nel senso che presenta una
compiutezza di opera fruibile anche alla lettura, ma si tratta di un'integrità impura che presenta il racconto, la
struttura e il testo come problema aperto. La linea maestra di questa stagione è rappresentata da Luigi
Pirandello e Bertolt Brecht, che fanno della messa in crisi dell'identità della scrittura drammatica un progetto
di teatro.

7.4.2 Luigi Pirandello e Bertolt Brecht


• Nel 1908 Pirandello scrive un saggio, Illustratori attori e traduttori, in cui sostiene che il teatro, in quanto
arte, è impossibile, perchè la mediazione dell'attore impedisce la manifestazione autentica del personaggio.
Questo esordio teorico introduce la questione, per lui centrale, dell'identità del linguaggio teatrale come
problema aperto.
→ I motivi tematici innovativi di Pirandello sono diversi. Uno di questi è quello dell'identità soggettiva, del
“chi siamo” per noi e “chi siamo” per gli altri. Il gioco del “ruolo”, della dimensione aleatoria della personalità
è presente fin nei primi testi (Il berretto a sonagli, Il piacere dell'onestà, 1917) ed è condotto alle estreme
conseguenze in Così è (se vi pare) (1917), La signora Morli uno e due (1920) e Come tu mi vuoi (1930).
→ Altro tema centrale in Pirandello è quello della dimensione rappresentativa del teatro. L'argomento è al
centro di una trilogia. Nei Sei personaggi in cerca d'autore (1921) Pirandello mette in scena quella
inconciliabilità tra personaggio e attore che aveva enunciato nel 1908. In Ciascuno a suo modo (1924) è
espresso il conflitto tra realtà scenica e “realtà reale”; in Questa sera si recita a soggetto (1929) la pretesa di
un regista di allestire un dramma senza testo ma basato solo sull'improvvisazione degli attori, che, però,
vuole lui stesso manovrare fino a che essi si ribellano e gestiscono il dramma in prima persona.
• Dopo essere stato inizialmente influenzato dall'Espressionismo, Brecht propose un nuovo modello teatrale
che definì “epico”. In questo processo un ruolo importante lo ebbe l'adesione al marxismo, che lo condusse
verso l'impegno politico. Politico era il teatro, per Brecht, in quanto attivava il senso critico dello spettatore,
sollevando problemi a cui non erano offerte soluzioni precostituite.
→ La svolta si ebbe nel 1928, con L'opera da tre soldi. Nel testo emergono alcune delle qualità strutturali del
teatro epico: la linearità del racconto è segmentata in scene staccate tra loro, le azioni sono intervallate da
canzoni; la musica ha un ruolo drammaturgico fondamentale.
→ Con l'avvento del nazismo Brecht abbandona la Germania. Negli anni dell'esilio l'idea di teatro epico
giunge a maturazione. In Madre Coraggio e i suoi figli (1993, FIG.73.) la vicenda è narrata in dodici sequenze
ce raffigurano il rapporto conflittuale tra il personaggio e la guerra. La struttura a compartimenti paratattici,
la presenza di canzoni che interrompono l'azione e la commentano e i cartelli che introducono riassumendo
la situazione scenica sono tutti strumenti di straniamento che Brecht utilizza per evitare che il pathos prenda
il sopravvento. Il teatro epico di Brecht concentra l'attenzione verso l'incisività del messaggio.

7.4.3 La drammaturgia modernista


Brecht e Pirandello rappresentano due ipotesi forti di visione del teatro.
Nel complesso, invece, la drammaturgia del primo Novecento si rivolge al modo di considerare la funzione
della parole. Il tratto comune è la presa di distanza dalla pièce bien faite e dal realismo.

• C'è una drammaturgia limitrofa alle Avanguardie. E' il caso di Frank Wedeking, considerato un anticipatore
dell'Espressionismo. Gli elementi più pregnanti della sua scrittura sono lo smascheramento del tabù sessuale
e la dissoluzione dei valori costitutivi della società borghese. Wedekind è innovativo anche sul piano della
struttura drammatica. La coerenza narrativa e lo scambio dialogico sono conservati ma si sfalda il legame
discorsivo tra le scene.
• Più legato al clima delle Avanguardie è Jean Cocteau, poeta, pittore, regista cinematografico oltre che
autore teatrale. I suoi esordi sono esplicitamente avanguardisti, Gli sposi della Tour Eiffel (1921) è un gioco sul
nonsense, senza una trama riconoscibile e uno sviluppo drammatico. Ugualmente giocato sulla decostruzione
della struttura drammaturgica è l'Orfeo (1926), con la commistione spiazzante tra elementi reali e figurazioni
oniriche.

• Un secondo indirizzo della drammaturgia modernista è quello del teatro di poesia, termine con cui si
intende non solo il ricorso al verso ma un certo modo di utilizzare la parola in senso lirico. La figura a cui più si
adatta tale definizione è Thomas Stearns Eliot. Per egli il dramma è una celebrazione liturgica in cui gli atti
umani si ritualizzano. Le sue strutture narrative spesso ricordano l'oratoria, i dialoghi sono trame di
enunciazioni poetiche e il tempo drammatico viene frequentemente sospeso.
• La dimensione poetica è presente, in termini meno tecnici, anche in Paul Claudel. La sua è una
drammaturgia di apologhi morali e religiosi. Nella Scarpina di raso (1929) l'amore impossibile tra i due
protagonisti conduce Claudel a scrivere una parabola etica con salti nel tempo e nello spazio, in cui la
struttura drammatica perde unitarietà. Quello di Claudel è un teatro di parola pura, in cui i personaggio è il
frutto di una costruzione tutta poetica e verbale.
•Al teatro di poesia sono riconducibili anche Hugo von Hofmannsthal e Gabriele d'Annunzio.
→I drammi giovanili di Hofmannsthal sono testi di pura evocazione lirica. La svolta, a inizio secolo, coincide
con la collaborazione con Max Reinhardt, per cui realizza delle riscritture di miti tragici dentro cui proietta
tematiche moderne.
→ D'Annunzio si rivolge a un teatro di articolata costruzione drammatica con La figlia di Jorio (1904) e La
fiaccola sotto il moggio (1905). Il verso e la dimensione sonora della parola sono messi a interagire con
personaggi e strutture narrative che, ricavate dal mondo rurale abruzzese, rimandano a un clima ancestrale e
magico. Nel Martirio di san Sebastiano (1911) l'incontro tra dimensione spirituale e sensualità crea un clima
decadente.
• La dialettica tra ritualità ancestrale e poesia è presente anche in Federico Garcia Lorca. I temi dell'amore
passionale, della gelosia, della fertilità, dell'onore si mescolano dando vita a una tragedia tutta terrestre. In
Yerma (1933) questi elementi sono espressi nella forma più pura. L'azione, che procede per stazioni in
processo di inabissamento verso la morte, è sospesa in enunciati verbali, facendo assumere al testo un
andamento cerimoniale.
• Per William Butler Yeats il teatro di poesia è, invece, lo strumento per il risveglio dello spirito nazionale
irlandese. Il suo obiettivo era riuscire a esprimere l'oralità della parola poetica nella sua purezza. Fondò e
diresse con Lady Gregory l'Abbey Theatre di Dublino dove sperimentò gli screens di Craig.

7.5 L'attore e la recitazione nel primo Novecento

7.5.1 Una nuova disposizione concettuale


Una storia della recitazione del Novecento riguarda più una storia dei modelli di recitazione che una storia
degli attori che dentro, fuori, a lato di tali modelli si sono mossi.

7.5.2 Konstantin Stanislavskij e l'immedesimazione come sistema


Con Stanislavskij prende corpo un moderno concetto di immedesimazione basato su un metodo di lavoro
sistematico dell'attore. Il processo ha due componenti: il lavoro su se stessi e quello sul personaggio.
• E' necessario anzitutto che l'attore si addestri a quella condizione anomale che è la creazione in pubblico.
Gli elementi principali di tale addestramento sono il rilassamento e la concentrazione.
• In seguito occorre che l'attore compia un suo percorso dentro i meandri della personalità del personaggio,
individuando i toni e le situazioni emotive presenti nel testo.
• L'attore deve, dunque, elaborare elementi che provengono dal proprio vissuto e metterli in relazione con il
vissuto del personaggio, grazie al “magico se” (se io fossi nella situazione del personaggio) e alla “memoria
emotiva” (rintracciare nella propria esperienza situazioni emotive analoghe a quelle del personaggio).
• Per verificare la potenzialità del suo sistema, Stanislavskij aprirà una serie di Studi presso il Teatro d'Arte.
• La sua metodologia emigrò negli Stati Uniti. Assumendo Stanislavskij come riferimento, due giovani attori,
Stella Adler e Lee Strasberg, e il regista Harold Clurman diedero vita a una compagnia che ebbe una grande
incidenza sul teatro statunitense: il Group Theatre.
→ Dall'ambiente del Group Theatre sarebbe sorto nel 1947 l'Actors Studio, un laboratorio per attori, di cui
Strasberg sarebbe presto diventato la figura egemone, sviluppando una propria interpretazione del sistema
stanislavskiano per adattarlo alle esigenze della recitazione cinematografica.

7.5.3 Bertolt Brecht o dello straniamento


In uno dei suoi scritti più noti, La scena di strada (1940), Brecht paragona l'attore a un testimone che
ricostruisca con i passanti un incidente stradale. L'attore non è chi vive il personaggio, ma chi lo presenta allo
spettatore. Anzichè lavorare sull'immedesimazione, che produce il coinvolgimento emotivo del pubblico e,
quindi, la perdita delle sue capacità di analisi critica, l'attore deve mantenere una distanza con il personaggio
attraverso l'effetto di straniamento.
• Pur senza proporre un metodo, Brecht fornisce indicazioni tecniche: recitare le battute in terza persona
durante le prove; accentuare l'uso delle canzoni come fattore straniante. Inoltre Brecht parla di Gestus, un
gesto che esprime l'emblematicità di una situazione, quasi fosse un commento dal vivo. Attraverso questi
elementi lo spettatore verrà messo nella condizione di comprendere anziché in quella di sentire.

7.5.4 La questione del corpo attorico


La recitazione viene affrontata, in ambito novecentesco, anche da prospettive che pongono al centro il corpo.
• E' quanto fa Appia pensando l'opera d0arte teatrale, come già visto.
• Craig, invece, nell'Attore e la Supermarionetta (1908) propose di eliminare l'attore dalla scena, perchè
soggetto a un'instabilità emotiva che lo rende inadatto all'opera d'arte. Egli optò per sostituirlo con un
equivalente inorganico, la Supermarionetta, rielaborazione metaforica della marionetta tradizionale,
riprendendo, nel termine, la dialettica tra umano e oltreumano dell'Oltreuomo di Nietzsche. Il suo scritto
mette in gioco un modo di concepire l'attore diverso. Craig non disprezzava l'attore ma voleva considerare un
nuovo statuto artistico del teatro in cui il regista aveva il controllo totale della forma.
→ L'ipotesi craighiana ha riscontri nel teatro delle Avanguardie. A teatro tutto può recitare -oggetti, luce,
scena, forme in movimento. E questo è quanto propongono Depero con la marionetta, Schlemmer con il
costume astratto, Balla e Prampolini con un teatro di pure forme in movimento.
• Corpo e movimento sono al centro anche della riflessione di Mejerchol'd. Negli anni Venti teorizza la
Biomeccanica, una tecnica che parte dal corpo come strumento linguistico, dal rifiuto della rappresentazione
realistica e dalla riconduzione del personaggio allo schema formale del “tipo”. Tutte ipotesi tese a fornire una
logica formale e teatrale alla recitazione.
→ La Biomeccanica non è uno stile, però; Mejerchol'd ne parla come dell'acquisizione di una grammatica
espressiva basata su elementi esteriori e su una gestualità innaturale. La base di tale tecnica è il gioco
dialettico tra le parti diverse del corpo, così da scomporre il gesto e rimontarlo in modo non realistico.
La Biomeccanica è attualmente, assieme alle declinazioni del metodo Stanislavskij, una delle tecniche più
insegnate nelle scuole di recitazione.
→ Alla Biomeccanica guardò Ejzenstejn, prima regista di teatro e poi di cinema. Egli ne trasse il concetto di
“movimento espressivo”, vale a dire la capacità di utilizzare gesto e movimento non come specchi passivi di
una figurazione realistica ma come tensione espressiva basata sul senso ritmico, la formalizzazione e la
musicalità.
• L'idea dell'attore come corpo vivente è alla base della concezione teatrale di Artaud. Il suo “teatro della
crudeltà” si affida all'attore come mezzo d'espressione privilegiato. E' l'attore che deve compiere prima
dentro di sé e poi far compiere allo spettatore un percorso di disarticolazione delle false certezze della
personalità borghese. Artaud definisce l'attore un “atleta del cuore” e lo immagina come essere umano che
mette in gioco se stesso nella maniera più completa.

7.5.5 La danza moderna e il mimo corporeo


La concentrazione del discorso della recitazione sugli aspetti fisici della corporeità getta un ponte fra teatro e
danza moderna.
• Tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento un gruppo di danzatrici (L. Fuller, R. Saint Denis e I.
Duncan) rivoluziona i canoni del balletto classico. Fu soprattutto Isadora Duncan ad attirare l'attenzione. Ella
costruiva le sue coreografie come una partitura di movimenti essenziali nella loro semplicità, che si
rifacevano idealmente alla purezza della danza greca. Danza era movimento liberato da ogni
condizionamento di natura rappresentativa o tecnica.
• Un altro fenomeno significativo sono i Balletti russi diretti da Sergej Djagilev. La sua idea era di coniugare la
danza moderna di coreografi come Michel Fokine e Waslaw Nijinsky con il lavoro di pittori-scenografi, così da
ottenere uno spettacolo dal forte impatto visivo. Importanti le collaborazioni con le Avanguardie.
• Altrettanto concentrata sul movimento è l'elaborazione del mimo corporeo da parte di Etienne Decroux.
Egli trasformò la pratica del mimo come allenamento in un fine estetico, tecnico e pedagogico. La sua tesi era
che il mimo non dovesse imitare la gestualità quotidiana, ma aspirare a una comunicazione di tipo astratto,
limitando al massimo i luoghi convenzionali della comunicazione scenica, volto e mani. Con Decroux il mimo
si presenta come un genere nuovo, vera e propria ipotesi di teatro.

7.6 Il teatro nel secondo dopoguerra

7.6.1 La drammaturgia del secondo dopoguerra


Tra la fine degli anni Quaranta e gli anni Cinquanta il teatro si trova ad affrontare qualcosa che assomiglia a un
nuovo inizio. La Seconda guerra mondiale ha segnato un momento tragico di cesura.
• La crisi esistenziale oltre che politica dell'epoca è presente in Jean-Paul Sartre e Albert Camus, i cui testi si
presentano come traduzione scenica di un'istanza filosofica.
→ Nel 1944 va in scena l'opera più significativa di Sarte, A porte chiuse. I personaggi agiscono dentro uno
spazio chiuso da cui è impossibile uscire, esasperazione estrema del salotto borghese. Solo verso la fine
scopriranno di essere morti, che quello è l'inferno e che la loro condanna è di riprodurre in eterno le
dinamiche borghesi della loro vita.
→ Analogamente il teatro di Camus, specie Il malinteso (1944) e Caligola (1945), esprime un senso di vanità e
di assurdo della vita che rispecchia la crisi del soggetto moderno.
• Teatro dell'Assurdo, è un'espressione coniata per organizzare criticamente la scrittura di una generazione
che si rifà al paradosso dissonante, all'illogicità strutturale e allo stupore tipico delle Avanguardie storiche. Il
carattere distintivo del Teatro dell'Assurdo è la decostruzione: del racconto, dell'identità psicologica del
personaggio e del senso.
→ L'autore in cui si rivolve meglio questo processo è Eugene Ionesco. I suoi testi sono concepiti come
macchine della dissoluzione narrativa. La cantatrice calva (1950) è scritta utilizzando come parametro di
riferimento del dialogo i manuali di apprendimento delle lingue straniere. La funzione prima della
comunicazione è negata, la vicenda non conduce da nessuna parte e i personaggi stessi sono figure senza
una loro identità definita.
→ In altri scrittori l'assurdo è più tematico che strutturale: dentro un'ambientazione reale vengono immessi
elementi paradossali che forzano il senso logico.
→ In Jean Genet la messa in crisi della logica rappresentativa si combina con elementi che rimandano alla
dimensione del tragico. Genet è interessato a guardare nell'ombra dell'essere umano. I suoi testi funzionano
come dei rituali entro cui vengono messe in gioco le dinamiche del potere espresse nelle forme del dominio,
del rapporto padrone-servo, del sesso. La messa in scena del potere non ha, però, alcuna implicazione
politica; il teatro di Genet, anzi, è antipolitico per eccellenza. Si tratta di una posizione post-ideologica
straordinariamente moderna.
La tematica di Genet si esprime in una drammaturgia in cui la parola anziché depotenziarsi in un dialogo
sterilizzato si accende di forti implicazioni evocative dentro ambientazioni estranee al dramma borghese.

7.6.2 Samuel Beckett


La figura che meglio rappresenta le condizioni della sensibilità post-bellica e le trasforma in un'ipotesi forte di
scrittura è Samuel Beckett.
• La caratteristica principale dei suoi testi è la decostruzione: del racconto, del senso, della forma
drammatica.
• L'inazione cechoviana, la negazione avanguardistica, l'onirismo strindberghiano, la negazione dell'identità
pirandelliana raggiungono in Becket una loro declinazione estrema.
• La realtà di Beckett è ciò che resta di un mondo in disfacimento. I personaggi sembrano i sopravvissuti a
una qualche catastrofe e cercano inutilmente di trovare un senso del vivere.
• Vladimiro ed Estragone, in Aspettando Godot (1952), vivono in un crocicchio di strade nella vana attesa di
una figura metafisica che li salvi. Il loro mondo è fatto di piccoli scontri, di barlumi di disperazione,
dell'incontro con Pozzo e Lucky che transitano in modo surreale nella loro realtà.
• Questa situazione di attesa si esaspera nei testi successivi (Non io, 1973; L'improvviso dell'Ohio, 1981;
Dondolo, 1981): il personaggio è ridotto a una sorta di ombra, le sue parole sono frammenti illogici che
interagiscono con gesti elementari e ripetuti.
→ In Becket la parola precipita verso il grado zero della comunicazione. Si fa frammento, tentativo irrisolto
del dire, combinandosi con una situazione scenica che assume una valenza drammaturgica. La sua
drammaturgia rappresenta un momento di svolta nella messa in contraddizione della centralità della parola.

7.6.3 La “terza vita” di Brecht


Un'altra direttrice caratterizza il dopoguerra: la dimensione di un teatro “impegnato”.
• Bertolt Brecht vive nel secondo dopoguerra una vera e propria terza vita artistica, dopo l'esordio tedesco e
gli anni dell'esilio.
Finita la guerra, agli artisti tedeschi si pose il problema del ritorno: in quale delle due Germanie uscite dal
conflitto? Piscator optò per l'Ovest, Brecht per l'Est. Quanto caratterizza il ritorno di Brecht, a parte la
connotazione politica, è però la scelta artistica.
Praticamente lo “scrittore di drammi” non scrisse più nulla, dedicandosi, invece, a tempo pieno alla regia e
alla direzione di un suo teatro, il Berliner Ensemble, fondato nel 1949.
• La regia doveva essere lo strumento attraverso cui la struttura epica della narrazione si esplicitava tra
azione verbale e azione scenica, senza che l'una prevaricasse sull'altra.
• Negli anni Cinquanta il Berliner Ensemble fu eletto quale esempio di un teatro che riusciva a fondere
assieme impegno politico e invenzione linguistica. In questo periodo si sviluppa una vera e propria “moda
brechtiana”. E' guardando a Brecht che il regista Roger Planchon coniò la definizione di scrittura scenica a
indicare un teatro in cui la responsabilità drammaturgica è divisa tra scena e parola.

7.7 La drammaturgia del secondo Novecento


• Nella Germania degli anni Sessanta si afferma il teatro documentario, un tipo di drammaturgia che immette
nel testo documenti prelevati nella loro forma originale.
→ L'autore più significativo è Peter Weiss, la cui Istruttoria (1965) è la ricostruzione del processo di
Francoforte ai gerarchi nazisti responsabili di Auschwitz. Le testimonianze dei reclusi sono esposte in forma
di oratoria in versi, ottenendo così un effetto di straniamento.
• Il drammaturgo più rappresentativo della drammaturgia tedesca degli ultimi decenni è invece Heiner
Muller. Egli prende Brecht come primo modello e si concentra sulla rappresentazione di un mondo
disorientato e disorientante. La sua è una scrittura che si esprime per frammenti.

• Il tema della presa diretta sulla realtà è presente anche nella drammaturgia inglese dei primi anni Sessanta.
Gli “arrabbiati”, così definiti dal titolo di un'opera di John Osborne, Ricorda con rabbia (1956), presentano
spietati spaccati della vita quotidiana inglese, colta nella sua ambientazione più umile. Si tratta di una
provocazione intellettuale che riguarda più i contenuti che la struttura, la quale conserva una forma
convenzionale.
→ John Arden infrange il codice realistico attraverso l'alternanza di poesia, prosa e canto, presenza di un
narratore e inserti filmati. Oggetto è sempre la realtà con le sue contraddizioni politiche, temi ricorrenti il
potere, la violenza e la responsabilità individuale (La danza del sergente Musgrave, 1959).
→ Edward Bond, volendo definire la sua scrittura, parla di “teatro razionale”, che rimanda a un modo di
rappresentare la realtà che rifugge da ogni tentazione di natura sentimentale. Il riferimento è Brecht e la sua
organizzazione paratattica del racconto.
• La caratterizzazione in termini di scrittura letteraria della scena inglese si protrae fino ai nostri giorni e ha
come scenario sempre il Royal Court Theatre. Negli anni Novanta, approdando fino al nuovo secolo, si ha una
generazione di “nuovi arrabbiati”. Oggetto è il disagio verso la fase storica che si esprime in forme feroci. I
principali esponenti di tale stagione sono Sarah Kane, Marc Ravenhill e Martin Crimp.
→ E' soprattutto con Kane che la dialettica tra crudezza della realtà, violenza delle situazioni e del linguaggio,
deformazione della struttura lineare del racconto trova il suo punto di più estremo equilibrio (Dannati, 1995;
L'amore di Fedra, 1996; Psicosi delle 4 e 48, 2000).

• Particolare lo sviluppo della drammaturgia in Italia. La linea centrale è quella degli attori-autori, attori che si
fanno scrittori del proprio teatro.
• E' il caso di Eduardo De Filippo. Egli fonda con i fratelli Peppino e Titina una compagnia che rielabora i
motivi della tradizione napoletana. Unendo l'ascendenza della tradizione con l'insegnamento di Pirandello,
Eduardo dà vita a un dramma borghese popolare, i cui protagonisti sono piccolo-borghesi disorientati dentro
un mondo che ha perduto i suoi confini rassicuranti (Napoli milionaria, 1944; Questi fantasmi (1946). Oggetto
privilegiato è la famiglia, di cui si investigano i conflitti mettendo in gioco l'empatia umana (Filumena
Marturano, 1946) e la dimensione del grottesco e dell'ironia (Sabato, domenica e lunedì, 1959).
• La seconda figura di attore-autore che emerge è quella di Dario Fo. Dopo un'iniziale esperienza nel cabaret,
Fo si dedica a scrivere commedie che mette lui stesso in scena, con allestimenti giocati sul clownesco, il
grottesco e la farsa attraverso cui sono veicolati contenuti di denuncia (La signora è da buttare, 1967; Morte
accidentale di un anarchico, 1970).
→ La dimensione del popolare, di una lingua a metà tra la rielaborazione dei dialetti padani e la pura
invenzione (il grammelot), di una comicità cui contribuiscono le sue doti di attore dalla mimica mobile e dai
tempi incalzanti, sono strumenti utilizzati per dare vita a un moderno teatro politico.
• Di tutt'altro registro il rapporto di Pier Paolo Pasolini con il teatro, che si esprime nell'ipotesi di un teatro di
parola come arena delle idee (Manifesto per un Nuovo Teatro, 1968). Egli scrive una serie di tragedie, in cui
l'azione è praticamente cancellata e risolta in un dialogo di forte intensità poetica. In esso l'argomentazione
che rifugge dalla simulazione della conversazione (Affabulazione).

7.8 Registi e regia nel secondo Novecento


Nel secondo dopoguerra il “ritardo” italiano sulla regia viene rapidamente superato. La ripresa postbellica è
all'insegna di un gruppo di registi, tra cui Luchino Visconti, Luigi Squarzina e Giorgio Strehler.
• Quest'ultimo, nel 1947, fonda il Piccolo Teatro di Milano, primo Teatro Stabile italiano, in cui si afferma il
concetto di teatro come “servizio pubblico”.
→ Strehler entra nelle maglie del tessuto drammatico per dare una sua lettura critica del testo. E' in questi
termini che legge Goldoni, a cominciare da un Arlecchino servitore di due padroni che, a partire dal debutto
nel 1947, è diventato uno degli spettacoli simbolo del Piccolo, in cui viene ricostruito il mondo dei comici
dell'Arte.
→ In termini analoghi si risolve il lavoro sul Giardino dei ciliegi di Cechov.
→ Fondamentale l'incontro con Brecht, L'opera da tre soldi (1956), Vita di Galileo (1963). Strehler legge
Brecht in una prospettiva che mette in risalto il dramma umano rispetto alla dimensione politica.
→ Un altro tema è quello del gioco del teatro, celebrato nella Tempesta shakespeariana (1948; 1978) e nei
Giganti della montagna. La scrittura registica di Strehler si esprime attraverso una sobrietà scenica che affida
alla dimensione visiva dello spettacolo un ruolo di sostegno essenziale all'analisi testuale.
• La scrittura registica di Luca Ronconi è particolarmente leggibile negli spettacoli costruiti su materiali non
originariamente drammaturgici. E' il caso dell'Orlando furioso tratto da Ariosto con drammaturgia di Edoardo
Sanguineti (1969). Lo spettacolo, ambientato in mezzo agli spettatori, è costruito come una sequenza libera di
situazioni sceniche simultanee che obbligano il pubblico a muoversi per costruirsi un proprio montaggio della
vicenda. La regia diventa una forma di drammatizzazione narrativa. Una soluzione adottata anche per testi
drammaturgici “impossibili” da rappresentare come Le due commedie in commedia di Giovan Battista
Andreini (1984) o Gli ultimi giorni dell'umanità di Karl Kraus (1990).

• Lo sviluppo del teatro di regia in Francia segue la linea tracciata dal teatro popolare.
→ Il caso di Antoine Vitez è emblematico. La sua attività lo ha portato a confrontarsi con il decentramento,
indirizzandolo alla Comédie Francaise. Elemento costante in questo percorso è l'idea di un teatro che sia colto
e popolare a un tempo. Vitez concepisce la regia come strumento per rendere vivo scenicamente il testo
senza forzarne l'interpretazione.
→ Esemplare di questo suo atteggiamento l'allestimento contemporaneo di quattro Molière -Tartufo, Don
Giovanni, La scuola delle mogli, Il misantropo (1978)-, il lavoro su Racine e le diverse edizioni dell'Elettra di
Sofocle.

• Una figura di regista demiurgo è Peter Stein, il fondatore negli anni Settana della Schaubuhne di Berlino,
una delle più importanti istituzioni teatrali europee. Lavorando dentro i parametri della scuola tedesca, Stein
propone un adattamento interpretativo che nasce dallo scavo della materia drammatica. Nelle sue regie Stein
interpreta il testo attraverso parametri di natura storica, culturale e politica. Tale approccio è rivolto sia ai
classici sia a testi contemporanei. Il suo interesse analitico si rivolge spesso a opere dal complesso impianto
tematico che presentano dimensioni monumentali nella durata (i demoni durava nove ore).

7.9 Il nuovo Teatro

7.9.1 Gli anni Sessanta


Gli anni Sessanta segnano una svolta radicale nel paesaggio culturale e sociale del Novecento.
La figura che assume un ruolo cruciale è Artaud: i suoi scritti hanno un'influenza diffusa e profonda.

7.9.2 Il Living Theatre


Negli anni Cinquanta Julian Beck e Judith Malina fondano il Living Theatre. In piccoli spazi alternativi, definiti
off-Broadway per distinguerli dalla Broadway del teatro commerciale, propongono un teatro di poesia di
ascendenza modernista (Eliot, Stein, Cocteau, ma anche Racine).
• Nel 1964 il Living Theatre si trasferisce in Europa, dando vita ai suoi spettacoli più significativi: Mysteries
and Smaller Pieces (1964), Frankenstein (1965), Antigone di Sofocle (1967), Paradise Now (1968). Il gruppo,
nel frattempo, è diventato una comune anarchica. La scena si delinea come autonoma scrittura
drammaturgica.
→ In Paradise Now (FIG.7.4) l'azione è disposta come un processo di liberazione iniziatica in cui gli attori si
esprimono in azioni di potente e trasgressiva fisicità. Nel 1970 Beck e Malina decidono di spostare la loro
attività al di fuori degli spazi teatrali.
• L'estetica teatrale di Living è caratterizzata da alcuni elementi che hanno un'importanza epocale:
1) la rottura dei ruoli istituzionali della produzione teatrale,
2) l'aspirazione alla creazione collettiva e il “gruppo” come comunità teatrale,
3) la scrittura scenica come materiale drammaturgico primario,
4) il corpo come veicolo espressivo privilegiato,
5) il coinvolgimento attivo dello spettatore.

7.9.3 Jerzy Grotowski


Egli nel 1959 assume con Ludwik Flaszen la direzione del piccolo teatro di Opole, in Polonia, Il Teatro delle
Tredici File. Gli spettacoli di quei primi anni sono delle riletture moderniste, dalla forte matrice visiva, di testi
di diversa natura.
• Nei suoi spettacoli più rappresentativi (ad esempio Il principe costante di Calderon de la Barca, 1965,
FIG.7.5) Grotowski enfatizza la dimensione rituale e istituisce un rapporto non frontale con gli spettatori.
• Intanto fonda il Teatro Laboratorio, in cui sperimenta nuove modalità registiche ma soprattutto avvia una
ricerca sulla recitazione diventando una delle figure di riferimento del teatro del secondo Novecento.
→ I suoi spettacoli sono caratterizzati da un uso libero del testo drammatico e da una disposizione dello
spazio scenico che serve per istituire un rapporto particolare con il pubblico.
• Nel 1970 Grotowski smette di produrre spettacoli, facendo teatro al di fuori del regime della
rappresentazione. Nascono così dapprima il para-teatro, poi il Teatro delle sorgenti, poi il “dramma
oggettivo”, in cui rompe con la distinzione tra chi fa e chi assiste all'evento teatrale.
• Grotowski ha teorizzato un “teatro povero” in cui ciò che resta è il corpo dell'attore offerto come un
sacrificio simbolico allo sguardo dello spettatore. All'attore è richiesto un lavoro di approfondimento delle sue
potenzialità espressive attraverso l'elaborazione di una psicotecnica, che mette in gioco sia la dimensione
fisica sia quella emozionale, per arrivare a una comunicazione integrale del sé. Fondamentale la sua
produzione teorica (Per un teatro povero, 1968).

7.9.4 Peter Brook


Nell'Inghilterra del secondo dopoguerra Peter Brook realizza una serie di spettacoli caratterizzati dalla
modernizzazione dei codici rappresentativi, in particolare degli Shakespeare.
• La svolta si ha nel 1962 con un Re Lear in cui riduce la scena a uno spazio vuoto entro cui è ambientata la
tragedia di un uomo impossibile.
• Tra il 1963 e il 1964 fa con Charles Marowitz l'esperimento di un laboratorio alla Royal Shakespeare
Company dichiaratamente ispirato ad Artaud, “Il teatro della crudeltà”, in cui si lavora sulla disarticolazione
narrativa del testo e sulle potenzialità espressive del corpo.
• In un viaggio in Africa, Brook sperimenta il contatto teatrale tra culture diverse attraverso l'improvvisazione
degli attori. Trasferitosi a Parigi, vi apre il Centre International de Recherches Theatrales (CIRT), in cui lavora
con attori che vengono da nazioni diverse, dando vita a un teatro transculturale. Da allora il suo lavoro
procede in questa direzione investigano i territori più diversi, spesso tornando a rivolgersi a uno Shakespeare
immerso in un clima inter-razziale (La tempesta, 1990) ma cercando il teatro ovunque esso possa
manifestarsi.

7.9.5 Eugenio Barba e l'Odin Teatret


Nel 1964 Eugenio Barba fonda l'Odin Teatret, avviando un progetto teatrale che accanto alla realizzazione di
spettacoli prevede una ricerca di natura sistematica sull'arte dell'attore. Sulla scia dell'insegnamento di
Grotowski, Barba mette a punto un training per affinare le capacità espressive dell'attore.
• E' a lui che si deve la nozione di “antropologia teatrale”, vale a dire lo studio delle qualità espressive comuni
a culture e tecniche teatrali diverse. L'elemento base di tale indagine è il pre-espressivo, il corpo quando
abbandona il comportamento quotidiano e si pone i una situazione creativa.
• Nel 1979 Barba fonda l'International School of Theatre Anthropology (ISTA), in cui si incontrano attori,
danzatori e studiosi di tutte le parti del mondo.
• I primi spettacoli dell'Odin sono basati sulla scrittura scenica come drammaturgia diretta, sul corpo,
sull'immagine come segno simbolico e sul rapporto diretto con lo spettatore.
Partendo da una linea guida, gli attori elaborano partiture personali che vengono organizzate registicamente
da Barba in una struttura drammaturgica. Emblematici di tale modello compositivo Ceneri di Brecht (1980) e
Mythos (1998).
• Legata alla proposta teorica di Barba, anche se con essa non coincide, è l'esperienza del Terzo Teatro. Un
teatro di gruppo, affidato alla creazione collettiva, all'espressività fisica, a un programmatico senso di
antagonismo nei confronti sia della scena ufficiale sia quella d'avanguardia. E' un fenomeno che ha un grande
sviluppo in Italia con gruppi che alternano la realizzazione di eventi di teatro di strada o comunque non
strutturati in forma di spettacolo a costruzioni riconducibili alla forma teatro. Le esperienze più
rappresentative sono il Piccolo Teatro di Pontedera, diretto da Roberto Bacci, il Teatro Tascabile di Bergamo,
diretto da Roberto Venturi e il Teatro Potlach, diretto da Pino Di Buduo.

7.9.6 Richard Schechner


Docente di teatro alla New York University e regista, Schechner elabora una visione teatrale che parte dai
presupposti del Living e di Grotowski.
• Schechner teorizza l'environmental theatre, un teatro in cui la drammaturgia parte dalle condizioni date di
un determinato spazio. Gli interessi teorici di Schechner si rivolgono con il tempo alla studio antropologico
dei rituali “primitivi”. In essi Schechner trova le condizioni di una teatralità autentica che diventa modello di
riferimento per un teatro che rifugge il tecnicismo. Ne deriva un interesse forte per la performance.

7.9.7 Happening e performance art


Negli anni Sessanta, il fenomeno cardine è l'Happening. Con questo termine si intende una pratica
spettacolare nata a New York in quegli anni. Ciò che caratterizza l'Happening è il montaggio di azioni prive di
una linea narrativa, che non hanno alcuna dimensione rappresentativa. Un teatro che si risolve nel momento
percettivo mettendo in scacco ogni possibile produzione di senso.
Modello di tale fenomeno fu l'evento realizzato da John Cage nel 1952 al Black Mountain College.
• Il fenomeno, definito body art (?), i cui principali protagonisti sono Marina Abramovic, Vito Acconci, Chris
Burden e Gina Pane, è caratterizzato da azioni in cui il corpo è sottoposto a interventi violenti.

7.9.8 La scrittura scenica


L'invenzione teatrale degli anni Sessanta si affida alla centralità della scrittura scenica.
• Tadeusz Kantor inizia la sua attività in Polonia come pittore e realizzatore di Happening, ma è a partire dagli
anni Settanta che produce i suoi spettacoli più significativi: La classe morta (1975), Crepino gli artisti (1985) e
Qui non ci torno più (1988). Quella di Kantor è una vera e propria drammaturgia delle immagini. Negli
spettacoli si succedono situazioni drammatiche molto intense come dei quadri viventi in azione. Gli elementi
scenici sono pochi e poveri; gli attori recitano in modo meccanico, con modalità espressioniste o
disarticolandosi come manichini, che, a loro volta, sono spesso utilizzati come doppi dei personaggi (FIG.7.6)
• Fortemente centrato sulla dimensione visiva è il teatro dell'americano Robert Wilson, per il quale è stata
utilizzata la definizione di Teatro immagine. Gli spettacoli degli anni Settanta sono autonome invenzioni
autoriali, pure azioni sceniche (Lo sguardo del sordo, 1970; Einstein on the Beach, 1976). Attraverso i costumi,
la scenografia e le luci, Wilson crea una struttura drammaturgica in cui si succedono visioni, evocazioni
simboliche, suggestioni narrative che restano sospese e incompiute.
Fondamentale è l'uso della luce, tradotta in una vera e propria scrittura che disegna lo spazio e colora in
modo acceso l'azione.
• Particolare il caso di Pina Bausch, coreografa tedesca che dà vita a un teatro-danza in cui la coreografia è
una partitura del movimento di corpi che applicano la precisione tecnica a gesti e situazioni minimali, dalla
forte intensità espressiva. In Cafè Muller (1978) una donna percorre sbandando uno spazio saturo di sedie
che vengono freneticamente spostate al suo passaggio. In Kontakthof (1978) o 1980 (1980) l'azione è
strutturata come alternanza di sketches a momenti corali che ricordano l'avanspettacolo.

• In Italia, la dimensione della scrittura scenica ha un suo particolare sviluppo. Carmelo bene è un attore-
autore che agisce sul testo drammatico e sul personaggio nei termini di una radicale decostruzione.
→ Quando affronta Shakespeare nelle tante edizioni di Amleto, in Riccardo III (1977), Otello (1979) e
Macbeth (1983), Bene smonta la linea narrativa fino a renderla irriconoscibile, mettendo in evidenza alcuni
nuclei tematici: il confronto con il femminile in Riccardo III o il teatro nel teatro in Amleto. Il risultato è un
testo spettacolare in cui i segni visivi fanno da sostegno alla sua recitazione basata su una ritmica dissonante
della dizione e una mimica esasperata.
→ Il suo modo di articolare la scrittura scenica partendo dalla decostruzione del tessuto narrativo e
dall'assolutizzazione della sua presenza scenica è uno degli esempi più convincenti, anche a livello
internazionale, di una drammaturgia antirappresentativa.
• Un altro attore con forte implicazioni autoriali è Leo de Berardinis, che, dopo un'iniziale sperimentazione
sulla disarticolazione del testo, giunge alla ricomposizione della complessità della macchina scenica.
Importante, in questa direzione, anche il lavoro di Carlo Cecchi, altra figura d'attore che ridisegna spettacolo
e testo.
• E' presente poi in Italia una tendenza di drammaturgia visiva che si è tradotta dapprima nel Teatro
immagine e poi nella Postavanguardia.
→ La scrittura scenica aspira al grado zero, smontando il linguaggio nelle sue componenti fonematiche,
secondo un modello che rimanda all'arte concettuale.
→ Protagonisti di questa stagione sono Federico Tiezzi e Sandro Lombardi (Il Carrozzone e poi i
Magazzini criminali); Giorgio Corsetti (La gaia scienza), Mario Martone (Falso Movimento) e Toni
Servillo (Teatro studio di Caserta).
→ A partire dagli anni Ottanta questi autori tornano a cimentarsi con la complessità della messa in
scena, dapprima attraverso una spettacolarizzazione del codice astratto (Crollo nervoso dei Magazzini
criminali, 1980; Cuori strappati della Gaia scienza, 1983; Tango glaciale di Falso Movimento, 1982), poi
affrontando il racconto e il testo letterario, approdando a un tipo particolare di teatro di regia.

7.10 Il teatro del XXI secolo


La transizione al XXI secolo appare più sfumata rispetto al passaggio tra Ottocento e Novecento.
Lo spettacolo è ricondotto alla dimensione di un evento dalla forte connotazione visiva, nella gran
parte dei casi svincolato da un riferimento letterario diretto, con elementi narrativi ellittici e non
coerenti e una forte presenza fisica degli interpreti.
• Romeo Castellucci (attivo con la compagnia Societas Raffaello Sanzio a partire dagli anni Ottanta)
realizza spettacoli dalla forte matrice visiva. Le azioni sono veri eventi iconici in cui la dimensione
narrativa e simbolica è destrutturata grazie a elementi di realtà (in diversi casi la presenza di animali)
che contraddicono la rappresentazione.
• Pippo Delbono si affida alla presenza dell'attore in scena in quanto persona, con la sua storia e la sua
memoria, a cominciare da se stesso che è narratore e guida dello spettacolo. Parte della sua
compagnia è composta da persone con diverse disabilità che agiscono a pieno titolo come attori. Per
quanto in forma di frammento, i suoi spettacoli presentano indicazioni narrative che si traducono in
situazione sceniche dalla connotazione simbolica (Barboni, 1982; Guerra, 1998; Urlo, 2004).
• I tedeschi Rimini Protokoll realizzano eventi spettacolari che mettono in discussione dalle radici la
dimensione rappresentativa. Si tratta di progetti in cui il pubblico è coinvolto attivamente e i cui
interpreti sono perlopiù persona reali. In Call Cutta (2005) ogni spettatore si muove in una città guidato
al telefono da un interlocutore che sta in India.
• Una parte consistente dei protagonisti del teatro di regia del XXI secolo era già attiva nei decenni
precedenti. Tra quelli di una generazione più giovane Thomas Ostermeier, attuale direttore della
Schaubuhne di Berlino. Il testo, nei suoi spettacoli, viene sostanzialmente conservato nella sua
consistenza lessicale, ma la messa in scena incide profondamente sulla sua leggibilità.
• La dimensione scenica caratterizza anche la drammaturgia. Nei testi di Emma Dante, nati in un
processo laboratoriale con gli attori, i racconti si concretizzano in giochi di corpi, parola e spazio, con il
dialetto siciliano a dare consistenza materica al linguaggio (Vita mia, 2004; Operetta burlesca, 2015).
• Rafael Spregelburde (regista e attore argentino oltre che scrittore) gioca dentro il dialogo e dentro
situazioni che possono sembrare reali, salvo poi rivelare margini di frattura che ne contraddicono la
tenuta (Lucido, 2006). La sua scrittura si dilata anche in progetti monumentali la cui costruzione
drammatica è il risultato del montaggio di situazioni discontinue (Bizarra, 2003, teatronovela in venti
puntate).
• Un ulteriore modo in cui si presenta la scrittura per il teatro del XXI secolo è il teatro di narrazione
italiano (Marco Baliani, Marco Paolini, Ascanio Celestini, Laura Curino), che si propone come forma
“altra” di costruzione drammatica. Non testi dialogici ma spettacoli in forma di monologo in cui
l'attore-autore, in veste di narratore sulla scia di Dario Fo, visualizza la vicenda attraverso la dialettica
tra racconto verbale e presenza scenica.

8. Teatri in Asia

8.1 Vedere altri teatri


• Ruolo di particolare rilievo nella nascita, sviluppo e significazione dei teatri asiatici lo giocano le fedi
e, ancor di più, le connessioni con il mito.
Il mito in Asia non si è ancora intiepidito giocando un ruolo attivo nel quotidiano. Non è insolito che i
teatri di quelle latitudini, quindi, si celino dietro o si intreccino con linguaggi che al teatro, inteso in
senso stresso, non siano totalmente interni.
• “Orientalismo” lo ha definito Sain (1991) un termine dall'accezione negativa cui corrisponde un
modo di guardare l'Orienta incardinato nel “posto speciale che questo occupa nell'esperienza
europea”, un modo che rende l'Oriente addirittura superfluo, essendo il discorso su di esso una
costruzione discorsiva interna agli orizzonti del sapere occidentale. Ma Gramsci, al quale Said guarda,
svelava: “E' evidente che Est e Ovest sono costruzioni arbitrarie, convenzionali, cioè storiche, poiché
fuori dalla storia ogni punto della terra è Est e Ovest nello stesso tempo”. E infatti Said palesa che
l'Oriente e l'Occidente sono entità culturalmente e storicamente definite di per sé.
→ Da ciò si deduce che è necessario discostarsi per traguardare ciò che in realtà si situa oltre
l'orizzonte a noi familiare. Non si tratta di abbandonare, o peggio, abiurare i sistemi di valori che ci
sono propri. Piuttosto di considerarli criticamente e di arricchirli, dando la possibilità ad altri sguardi di
interesse con essi una relazione dialettica.
• Il Novecento teatrale europeo più inquieto e votato alla ricerca di un'identità e di un'etica dell'arte
nuove ha guardato a Oriente per meglio perseguire i propri traguardi. Certi incontri hanno saputo
entrare nella mitologia della scena novecentesca: la folgorazione di Artaud per il teatro balinese o
l'influenza della recitazione di Mei Lanfang nella definizione dello straniamento brechtiano.
→ Più assidue e consapevoli le incursioni orientali delle generazioni successive – da Grotowski a Barba
a Brook – primariamente tese a fare tesoro di conoscenze ed esperienze spendibili in patria.
→ A oggi, gli scambi tra Oriente e Occidente si è venuto intensificando e ha avuto impatto sulle scene
di entrambe le sponde interessate. In tal modo è stata favorita la nascita di una generazione di
performers che qualcuno ha definito “interculturali”: uomini di teatro capaci di mediare tra differenti
culture sceniche e di competere con i limiti stabiliti dei generi di tradizione.
• Se non esiste una cultura che possa essere individuata con precisione e oggettivamente restituita, ne
deriva che non esiste una cultura asiatica, né tantomeno un teatro asiatico fatto di costanti e
similitudini. Ciò non significa negare l'esistenza di intrecci e rispecchiamenti tra le diverse civiltà teatrali
d'Asia, bensì spostare l'attenzione alle questioni di fondo sulle quali ogni tradizione si è interrogata
trovando di volta in volta risposte originali.
• E' doveroso precisare che in questo capitolo sarebbe stato corretto parlare sempre di teatro-danza e
di attore-danzatore, ma che per economia di linguaggio è stato espresso nei termini “teatro” e “attore”
o “danza” e “danzatore”.

8.2 Il teatro dei codici: fissare, affermare, trasmettere il sapere


• Il più delle volte gli attori e il loro magistero erano accettati e apprezzati nella cornice temporalmente
limitata della festa, della celebrazione culturale o rituale per ritornare ad essere considerati, come si
appellavano gli attori kabuki nel Giappone del XVII secolo “mendicanti che dormono sulle sponde dei
fiumi” appena smessi i panni del personaggio.
• Al di là delle costanti individuate – codificare, sancire, affermare, trasmettere un sapere – la
trattatistica teatrale asiatica è varia quanto i generi che vi si riferiscono. In alcuni casi sono testi rivelati,
donati agli uomini delle divinità o rubati a esse in sogno o durante sessioni di meditazione, in altri
frutto dell'esperienza pratica e della riflessione di eccezionali uomini di teatro, in altri ancora è la
visione estetica di un monarca a farsi canone di una spettacolarità che ne rifletta il gusto, la
magnificenza e la maestà.

8.2.1 Il Natyasastra
Il Natyasastra, trattato sull'arte recitativa dell'India classica, è un testo rivelato nato dalla mente di
Brahma, il creatore, che ne ha l'immediata visione in risposta alla sollecitazione di Indra, re degli dei, il
quale, in tempi di decadenza e corruzione dei costumi, fa sua l'esigenza di un divertimento che potesse
essere di conforto per gli uomini di tutte le classi sociali, anche quelle solitamente non ammesse al
sapere dei testi sacri. Brahma definisce la sua creazione “quinto Veda” (veda= “conoscenza”)
rimarcandone l'eccezionalità: è questo un appellativo tributato a quei testi che possono essere
considerati una sorta di completamento del sapere vedico della Quadruplice raccolta, raccolta
sapienziale a fondamento dell'induismo.
• Per far sì che la creazione di Brahma, il Natyaveda, giungesse agli uomini in forma comprensibile, fu
richiesto l'aiuto di Bharatamuni, il saggio Bharata, che ne derivò il Natyasastra in trentasei capitoli e
coinvolse i suoi cento figli per la prima rappresentazione teatrale di sempre: il sostantivo bharata
indicava in antichità la comunità degli attori.
• Fissato in sanscrito su precedenti fonti orali tra il II secolo a.C. ed il II secolo d.C., ma sicuramente
rielaborato almeno fino al V, mantiene traccia della sua origine orale nel ritmo della versificazione e
nelle reiterazioni funzionali alla memorizzazione.
• Il termine natya, reso in genere con “dramma”, ha come radice nat, “danza”, tanto che il suo senso
più esteso suggerisce l'idea di azione scenica in ragione della sua prossimità concettuale all'abhinaya:
quell'insieme di elementi espressivi che il danzatore usa per creare la relazione con il pubblico. Gli
elementi sono:
1) angika abhinaya = gestualità corporea
2) vacika abhinaya = comunicazione verbale
3) aharya abhinaya = apparato scenico e mascheramenti
4) sattvika abhinaya = espressione dei sentimenti.
• Assieme al natya, danza significante ossia semantica, il Quinto Veda si occupa anche della danza
pura, astratta detta nrtta.
• Finalità della rappresentazione è l'assaporamento del rasa (“succo”, “gusto”) da parte del pubblico. Il
rasa risiede nella mente dello spettatore ma è compito dell'interprete produrre la combinazione
perfetta di sentimenti e stati emotivi affinchè una potente esperienza estetica possa condurre alla
beatitudine suprema della liberazione.
• Il IV capitolo del Natyasastra ha ispirato uno straordinario trattato di pietra ancora oggi fruibile nelle
108 formelle scolpite sulle pareti dei gopura (torri) del tempio di Siva Nataraja (FIG.8.1) a
Chidambaram. Risalenti al XIII secolo, i bassorilievi riproducono una danzatrice (devadasi,
letteralmente “sposa di Dio”) accompagnata da un percussionista e un suonatore di cembali, di
dimensioni minori, a indicare che la scena si riferisce a un'azione in esecuzione.
→ Lo studioso Venkataraman Raghavan (1908-79) e la danzatrice Rukmini Devi (1904-86) emendarono
gli accenti più sensuali delle danze delle devadasi e, guardando ai modelli estetici forniti dagli antichi
trattati, formalizzarono un genere di teatro-danza che risolve in sé il paradosso di essere
simultaneamente antico e contemporaneo. Il suo insegnamento fu disciplinato nella rinomata
accademia di danza Kalakshetra (luogo sacro delle arti) fondata da Rukmini Devi nel 1936. Il
bharatanatyam è probabilmente oggi il genere indiano di tradizione che vanta più allievi nel mondo.

8.2.2 Il 'cham yig


Nel 1951, con la pretesa di liberare la popolazione dal giogo teocratico che l'opprimeva, le armate
cinesi occuparono militarmente il Tibet annettendolo alla Repubblica Popolare da poco nata: la furia
iconoclasta con cui si vollero affermare i principi rivoluzionari portò alla distruzione di numerosi templi
e delle tradizioni a essi collegate. Tra ciò che si perse quasi del tutto rientrano i cicli rituali 'cham
danzati da monaci mascherati come forma di meditazione in movimento, utili ai fedeli per la
comprensione delle sottili ed esoteriche verità del buddhismo lamaista e alla comunità tutta per la
capacità di esorcizzare le influenza negative.
• A partire dalla metà degli anni Ottanta del Novecento in Tibet si è tornati lentamente a riallestire i
'cham che, per lungo tempo, erano stati eseguiti solo a Dharamsala, capitale della diaspora tibetata in
India. Il governo tibetano in esilio, consapevole dell'importanza culturale del 'cham e delle altre
manifestazioni performative, istituì nello stesso anno il Tibetan Institute of Performing Arts.
• La distruzione dei templi comportò anche la distruzione delle biblioteche annesse la scomparsa di
numerosi 'cham yig, testi sacri e al contempo manuali di danza nei quali, dalla fine del XIV secolo,
trovarono codificazione scritta le danze 'cham in occasione della fondazione del monastero di Samye.
• Tra i testi scampati alla distruzione vi è il 'cham yig attribuito al V Dalai Lama (1617-82),
fortunatamente raccolto e tradotto negli anni Cinquanta del secolo scorso.
→ In esso è scritto a proposito delle tecniche di danza: “Il corpo dovrebbe essere capace di assumere
le posture assunte in precedenza dagli dei quando eseguirono una danza accompagnata dalla musica.
La voce dovrebbe rombare come un tuono quando si proferiscono i mantra segreti. La mente
dovrebbe ricevere un addestramento spirituale adeguato.
→ Di conseguenza, una danza rituale così importante non ammetteva improvvisazioni ed esigeva una
precisione formale minuziosa, essendo il 'cham finalizzato alla doppia identificazione tra il monaco
danzatore e la divinità evocata, e tra gli spettatori e le divinità presentificate. Ogni elemento doveva
essere al suo posto come in un mandala (“cosmogramma”) e affinchè non venisse modificata la
partitura celeste un 'cham dpon (“maestro di danza”) soprassiedeva ogni esecuzione.
→ “[...] per quanto concerne l'arte del danzare è necessario studiare altre tre arti […]. Vi sono l'arte del
tenere il corpo nell'adeguata posizione, l'arte di proferire le sillabe enfatizzando i movimenti di danza e
infine l'arte di tenere la mente nel corretto stato ossia la meditazione rivolta alle divinità
rappresentate.
→ Il trattato usa una lingua ridondante e allitterativa per facilitarne la memorizzazione e può essere
considerato una partita che indica con dovizia di dettagli in cosa consiste la danza e quali oggetti siano
necessari.

8.2.3 I trattati di Zeami


A Zeami Motokiyo, geniale e poliedrico uomo di teatro, si deve la prima codificazione, fondata sulle
premesse poste dal padre Kan'ami, del teatro no giapponese, una delle più antiche tradizioni sceniche
giunte come arte viva fino all'oggi.
• Voluto a corte come favorito di Ashikaga Yoshimitsu, un mecenate illuminato, Zeami ottiene per sé e
per i suoi attori una collocazione sociale inusitata. In questa ascesa i trattati ebbero un ruolo non
marginale. Zeami ne inizia la stesura nel 1400 per terminarla quasi quarant'anni dopo. Egli scandaglia
ogni aspetto pertinente al teatro e lo fa strutturando una via etica all'estetica.
• Il Fushikaden (Del trasmettersi del fiore dell'interpretazione), trattato in sette libri scritto tra il 1400 e
il 1418, è lo scritto zaemiano più esteso e in esso si ritrova la maggiora parte delle questioni affrontate
e precisate negli altri trattati. La breve premessa che lo apre è una rubrica sintetica dei contenuti e dei
valori che lo animano, segnalando le origini divine del genere, la considerazione che ne ebbero gli
antichi regnanti, e bellezze della natura e della poesia come ispirazione, la dedizione totale che questa
via richiede, il divieto di modificare lo stile codificato, l'esaltazione della grazia e il bando a ogni
volgarità.
• La tradizione segreta è la modalità designata da Zeami per non depauperare il senso profondo di un
sapere esoterico e complesso fissato per iscritto. La sua declinazione applicata è invece assegnata alla
tradizione orale, che edifica il legame tra maestro e allievo attraverso le generazioni.
• I principi estetici posti da Zeami sono:
1) La consonanza del kokoro (“cuore”) dell'attore – la sua unità psico-fisico-emotiva – con quella del
kokoro del pubblico e del cosmo;
2) lo jo-ha-kyu (“principio-sviluppo-finale) che disciplina il procedere drammatico su una precisa
alternanza di picchi emotivi;
3) lo yugen (“incanto sottile”) che incarna l'orizzonte estetico fatto di sobrietà, eleganza, bellezza
austerae grazia.
• Hana (“fiore”) è la metafora di più difficile definizione del vocabolario estetico zaemiano. Il fiore,
effetto di una eccellente interpretazione che interessa il pubblico, può essere di un momento o
duraturo. Solo quest'ultimo è il fiore autentico, poiché il suo sbocciare e appassire sono a discrezione
dell'attore. L'apparire del fiore, apice del percorso di crescita artistica ed esaltazione della relazione
teatrale, conduce al meraviglioso, una dimensione della bellezza che sfugge a ogni definizione.
→ Giunto a questo punto l'attore perviene alla “non-recitazione”, poiché non vi è più discrimine tra
l'attore e l'uomo che ha dedicato la vita a rivelare l'attore che celava in sé.
• Gli scritti zeamiani, dopo secoli nei quali si credevano perduti, sono fortunatamente riapparsi nel
1909 suscitando un viso interesse tra studiosi e uomini di teatro di tutto il mondo.

8.3 Il teatro di figura: natura dell'artificio


Marionette, burattini, ombre e figure costituiscono nel loro insieme il cosiddetto “teatro di figura”, un
teatro che in Asia non sconta alcuna forma di inferiorità rispetto al teatro d'attori esprimendo rilevanti
esempi a livello sia popolare sia colto.
• Il legame dei vari generi di teatro di figura asiatici con il divino non è mai venuto meno, costituendo
ancora oggi uno dei motivi principali dell'alta considerazione loro attribuita. I teatri di figura infatti
assolvono funzioni medianiche, liminali, dando voce e corpo agli archetipi collettivi o agli eroi eponimi,
ponendo in continuità il mito e la storia e rendendo possibile il dialogo tra i diversi piani – ultraterreno,
terreno e ctonio – dell'esistenza.
• Una possibile classificazione associa ombre e figure al culto dei defunti, marionette e burattini alla
rievocazione degli archetipi collettivi.
• L'oggetto inanimato, privo di emozioni proprie, di tratti somatici e conformazioni fisiche riconducibili
a uno specifico individuo, realizzato il più delle volte secondo prassi ritualmente definite, è il ricettacolo
ritenuto perfetto per animare in scena il personaggio, conferendo il massimo della naturalezza a ciò
che dovrebbe coincidere con il massimo dell'artificialità.
→ I primi a essere consapevoli di tale qualità sono proprio gli attori che, più volte, hanno attinto alle
modalità esecutive di marionette, burattini, ombre o figure per acquisire efficacia scenica e cogliere i
favori del pubblico.
Si possono ricordare i prestiti degli attori kabuki dalle movenze delle marionette bunraku in Giappone
o, ancora, il caso del nang e del khon, rispettivamente teatro delle ombre e teatro mascherato
thailandese.
La derivazione del secondo dal primo è evidente nell'acting degli attori, basato su movimenti
orizzontali e posture che esaltano la silhouette del corpo, e nell'uso di maschere che obliterano i volti
degli interpreti.
• Sempre in Thailandia esiste una sorta di genere intermedio, il nang tit tua khon, nel quale ombre e
attori – originariamente dei manipolatori - condividono la scena esprimendosi attraverso stilemi
comuni.
→ Un cenno deve essere dedicato al manipolatore: è questa la definizione che riteniamo più corretta
per indicare l'artista il quale agisce e mette in vita quanto resterebbe inerte senza la sua presenza. Un
performer che il più delle volte assomma in sé molteplici attitudini essendo al contempo artigiano
(realizza i suoi pezzi conoscendone le caratteristiche), attore (non solo muove ma spesso dà voce ai
personaggi agiti) e sciamano.
→ In Indonesia il dalang (“manipolatore”) può essere ritualmente iniziato, potendo così condurre
alcuni riti di guarigione o purificazione nell'ambito di spettacoli di ombre o di burattini: un vero e
proprio sacerdote e guaritore.

8.3.1 I wayang kulit: le ombre giavanesi


Con wayang kulit si indica un genere di teatro di figura diffuso in Indonesia che conta una serie di
varianti territorialmente connotate. Le due varianti principali, per complessità e storia, sono quelle di
Giava e di Bali: pur condividendo un sostrato comune i due modelli palesano significative differenze
formali e sostanziali che dipendono in buona misura dalla maggiore (Giava) o residuale (Bali)
permeabilità all'influsso islamico.
• Le ombre del wayang kulit hanno una doppia natura: realizzate con pelle di bufalo acquatico
attraverso una serie di lavorazioni atte a tenderle e a renderle traslucide, una volta ritagliate nelal
foggia richiesta dal personaggio vengono dipinte su ambo i lati perchè il pubblico può decidere di
assistere allo spettacolo dal lato del manipolatore godendo la vista di figure, oppure di fruirlo dal lato
dello schermo di proiezione trovandosi di fronte a delle ombre (FIG.8.2).
• Il vocabolo wayang significa contemporaneamente “ombra”, “burattino”, “teatro” e “spettacolo”: il
termini che vi si associa permette di indicare il genere teatrale specifico cui ci si vuole riferire. Il suo
etimo dice anche dell'altro. Derivando da bayang (“ombra”) ed entrando nel campo semantico di yang
(“spirito”, “antenato mitico”), ribadisce la sua ascendenza rituale connessa all'evocazione degli
antenati.
• Tre bacchette (una fissata, al corpo, le altre due agli arti superiori mobili) sono usate dal dalang per la
manipolazione. Da solo può gestire fino a sessanta ombre dando a ognuna una voce diversa
timbricamente tarata sulle connotazioni psicologiche del personaggio e usando registri linguistici
propri al rango sociale dello stesso.
• Uno spettacolo, della durata di nove ore comprese tra le nove di sera e le sei del mattino, è suddiviso
in tre sezioni, tutte scandite dall'apparizione del kayon, o gunungan, l'ombra ritenuta più importante e
simboleggiante la montagna sacra sede degli dei o l'albero della vita.
• Nel cosmo rappresentato dal wayang kulit ogni cosa ha un posto e buoni e cattivi sono
immediatamente riconoscibili per la loro collocazione codificata dalla tradizione.
• Il dalang si posizione di fronte al kelir, un telo bianco, seduto su un tronco di banano, come di banano
è il tronco nel quale sono conficcate le ombre in attesa di essere utilizzate. Verificata la luce della
lampada a olio, la cui fiamma tremula contribuisce a vivificare le ombre, e la cassa, dove le ombre sono
conservate e che il dalag percuote con i piedi per produrre effetti sonori, lo spettacolo -o il rituale- può
iniziare.
→ Sul piano mistico possiamo associale il kelir al cielo, il tronco di banano alla terra, le ombre all'uomo
e il dalang a dio che porta in vita l'uomo.
• Il wayang kulit giavanese ha un repertorio di circa duecento drammi che i dalang si trasmettono
oralmente assieme ai segreti del mestiere. Essi dispongono della libertà di improvvisare e dialogare con
gli spettatori.
• Alle voci del dalang si uniscono la musica di un'orchestra di metallofoni e un coro femminile per la
parti cantate.

8.3.2 Yokthe thay: le marionette birmane


Lo yokthe thay, teatro birmano delle marionette, ha sempre goduto di profonda considerazione. Nato
su basi autoctone con apporti culturali esterni – India e Cina in primis – in un periodo compreso tra XI e
XV secolo associava le funzioni rituali a quelle del cerimoniale cortese. Era un divertimento, certo, ma
ammantato di valori e un terreno di dialogo comune tra il monarca e il popolo.
• L'intreccio tra potere monarchico e teatro delle marionette ha prodotto un'intensa attività legislativa
sullo yokthe.
→ Un editto del 1776 definisce “basse arti drammatiche” il teatro d'attori, i quali dovevano per questo
recitare a terra, e “altre arti drammatiche” quello di marionette, poiché gli allestimenti potevano
avvenire su piattaforme rialzate.
→ La legislazione più influente sui destini dello yokthe thay si deve all'editto del 1821.
1) Si abroga il precedente divieto di assegnare a una marionetta le fattezze del re che, oltre a essere
ritratto, potrà essere portato in scena in abiti contemporanei;
2) si definiscono rigide norme drammaturgiche;
3) si fissa a 36 il numero di marionette che costituisce un set completo;
4) si stabiliscono orari di inizio e fine degli spettacoli, forme e misure dello spazio scenico, costi degli
ingaggi, permessi da richiedere per allestire uno spettacolo e legno da utilizzare per costruire le
marionette.
• Le credenze folcloriche sono alla base dei rituali e delle prassi costruttive delle marionette. In giorni
ritenuti fausti dagli astrologi, ad esempio, viene abbattuto un albero e il tronco viene gettato in acqua:
sulla porzione che emerge vengono scolpite le marionette femminili, su quella sommersa le maschili.
• Le marionette, alte tra i 35 e i 70 centimetri, nascono dall'assemblaggio di varie componenti: la testa
e le mani sono le più importanti. Rivestite di abiti in seta afferiscono a tre gruppi: animali, esseri
mitologici e divinità, esseri umani.
• Le scene di danza e i combattimenti sono il cimento preferito per i manipolatori che vogliano
incantare il pubblico con il loro virtuosismo.
Lo yokthe thay è ancora oggi considerato una gloria nazionale.

8.3.3 Ningyo joruri o bunraku: le marionette giapponesi


La presenza di burattini in Giappone è documentata dall'VIII secolo in associazione al culto. Usati come
sussidi nelle pratiche sciamaniche o come sostituti rituali in azione di danza e combattimento, era loro
riconosciuta l'attitudine a incorporare il divino più che a rappresentarlo.
• A partire dal X secolo l'impiego dei burattini passò nelle mani di artisti girovaghi che li adoperarono
per intrattenere il pubblico popolare sancendo uno slittamento verso un loro uso ludico.
• Sul finire del XVI secolo era sorto sul greto del fiume Kamo a Kyoto un variegato quartiere dei
divertimenti animato da artisti e intrattenitori vari. Tra questi il narratore Menukiya Chozaburo il quale,
assicurandosi la collaborazione di un burattinaio e un suonatore di shamisen (liuto a tre corte),
allestisce l'opera Junidanzoshi (“Volume in dodici sezioni”)
→ Le tre arti (quella del narratore, burattinaio e suonatore) concorrono a creare una proposta teatrale
unitaria, essi corrono su binari paralleli ma autonomi.
→ All'inizio saranno i narratori -forti dell'antica tradizione del teatro di narrazione nipponico- a cogliere
i maggiori favori del pubblico e a godere del maggiore prestigio sociale in quanto “letterati”.
• Lo sviluppo delle prassi narrative e drammaturgiche ha implicitamente invocato burattini più evoluti
e adeguati. Nel 1734 avviene un passaggio epocale: dai burattini agiti da un solo manovratore si passa
a marionette, progressivamente arricchite di meccanismi e parti mobili (occhi, bocca, sopracciglia,
falangi), agite da tre manipolatori in contemporanea.
→ Da quel momento l'innovazione diventa la norma, ancora oggi in uso.
• I tre manipolatori devono agire con una coordinazione assoluta per consentire alla marionetta, che
può giungere a un metro e più di altezza, la grazia e l'artificiale naturalezza che la connotano: il
manipolatore principale (omozukai) muove la testa e il braccio destro, lo hidarizukai il braccio sinistro e
lo ashizukai, il più basso in rango, i piedi. La manipolazione avviene a vista del pubblico -sebbene per
convenzione i manovratori siano invisibili- e solo l'omozukai può apparire in scena a volto scoperto, gli
altri indossano un costume e un cappuccio nero sul capo.
→ All'omozukai è richiesta un'espressione neutra, impassibile, poiché è la marionetta che deve
esprimere il sentimento.
• Il tayu, che assieme al suonatore di shamisen costituisce un complesso chiamato chobo, fornisce da
solo la voce a tutti i personaggi differenziando l'eloquio sulle caratteristiche psicofisiche degli stessi e
palesando in modo enfatico le loro emozioni attraverso una mimica facciale portata all'estremo.
• La chiusura dei teatri Takemoto e Toyotake poco prima del 1770 porta il genere sull'orlo
dell'estinzione, sebbene a Tokyo riesca a mantenere una qualche popolarità.
• A risollevarne le sorti, riaccendendo l'interesse del pubblico, un manipolatore straordinario di nome
Uemura Bunrakuken, che aprirà a Osaka il teatro Bunrakuza nel 1805. A lui si rifà il nome con il quale
oggi ci si riferisce al teatro tradizionale di marionette giapponese: bunraku.
8.4 Gli spazi del teatro, la relazione con il pubblico
Alla pluralità dei teatri asiatici corrisponde una pluralità di spazi non riconducibili a una tipologia fissa e
uniformemente diffusa di luogo per lo spettacolo. Manca, in Asia, l'analogo architettonico e
concettuale di quello che in Occidente ha finito per imporsi come “il teatro” comunemente inteso.
• Anche dove lo spazio scenico è diventato palcoscenico e il palcoscenico è inserito nel ventre di un
teatro propriamente detto la divisione sala-scena e la frontalità della fruizione sono in qualche modo
evitate o attenuate.
• Il mito quale origine più frequente dei teatri asiatici avverte che questi, in molti casi, vivono a cavallo
di un confine difficile da definire, quello con il rito.
→ Le numerose danze balinesi, ad esempio, possono essere ricondotte a tre categorie connesse agli
spazi in cui vengono eseguite in ragione del maggiore o minore tenore rituale che possiedono.
1) Le danze wali, le più sacre, sono integrate ai rituali religiosi, prevedono un'intensa partecipazione
degli spettatori, comprendono in genere fenomeni di trance e si svolgono nel cortile più interno e
sacro del tempio.
2) Le danze bebali, drammi danzati legati al potere delle corti e alle tradizioni hindu, sono allestite nel
secondo cortile del tempio per intrattenere le divinità e i presenti.
3) Le bali balihan, infine, proposte nel terzo ed esterno cortile del tempio, sono danze secolari che
mirano a divertire il pubblico e di frequente a produrre profitto economico.
• Lo spazio scenico asiatico, sia esso prettamente teatrale o meno, è tendenzialmente vuoto,
addossando agli attori il compito di creare allusivamente attraverso l'acting il contesto e gli ambienti in
cui la vicenda avviene.

8.4.1 Una risaia come palcoscenico: le marionette sull'acqua vietnamite


Esempio unico al mondo, il mua roi nuoc, teatro delle marionette vietnamita, ha trovato nella risaia
centrale del villaggio lo spazio del suo prodursi.
• Gli spettacoli di mua roi nuoc non si basano su una precisa drammaturgia, strutturandosi su una serie
di quadri autonomi che si susseguono senza un filo conduttore.
→ Soggetto prevalente è la vita del villaggio con i suoi lavori agricoli, i passatemi e gli animali che la
animano. Non mancano scene di rievocazione storica e danze di ninfe, il tutto vivacizzato da fuochi
d'artificio che, oltre a stupire con il loro colorato fragore, suscitano ammirazione per il prodigioso
fuoriuscire dall'acqua.
• Gli allestimenti iniziano con l'ingresso in scena della marionetta più amata dal pubblico, Teu
(letteralmente, “risata”), personaggio comico e intelligente, abile oratore: portatore della voce del
pubblico, introduce l'elemento satirico, aggiorna la comunità sugli eventi più rivelanti che la riguardano
e presenta il programma della giornata fungendo da ideale ponte tra lo spettacolo e il pubblico.
• Su un lato della risaia è allestito un apparato scenico che assomiglia a un tempio con tetto a falde
che, al piano più basso, ospita la danza dei manovratori: la stanza è ampia per consentire la complessa
manipolazione che avviene con il corpo per metà immerso nell'acqua.
• Le marionette, realizzate in legno di fico e decorate a lacca per aumentarne l'impermeabilità, sono
scolpite per consentire il miglior galleggiamento. I manovratori le agiscono tramite lunghe pertiche
subacquee a forma di L lungo le quali corrono i tiri per azionare le parti mobili: la forza fisica richiesta è
notevole per la resistenza esercitata dall'acqua.
• Un'orchestra con cantanti sottolinea la scena creando la giusto atmosfera.
• Nel mua roi nuoc la comunità si aggrega attorno alla risaia-palcoscenico, fonte i vita e di divertimento
per la comunità, in un doppio rispecchiamento:
1) quello reale, prodotto dallo specchio d'acqua,
2) quello simbolico, prodotto dalla rappresentazione che permette al pubblico di riflettere su se stesso
vedendosi messo in scena due volte.
• Oggi le rappresentazioni nei villaggi sono sempre più sporadiche, ma il mua roi nuoc è assurto a
emblema della cultura nazionale tanto che si sono fondati un Teatro e una Compagnia nazionale per
preservarne la tradizione.
→ Per questo nella capitale, Hanoi, si allestiscono spettacoli in teatri al chiuso dove la risaia è sostituita
da una vasca e la comunità da un pubblico pagante seduto in poltrone di fronte alla prima.
→ La decontestualizzazione è evidente quanto lo slittamento funzionale da momento di coesione
comunitaria a spettacolo. Le forme e le tecniche permangono, ma mutuano i presupposti e le finalità.

8.4.2 Butai: il palcoscenico del teatro no giapponese


Le prime recite del teatro no avvenivano sul terreno o sfruttando i padiglioni dei templi nei quali gli
attori erano chiamati a sostegno delle attività rituali in capo ai monaci.
• Nella precisazione del codice estetico si giunse anche alla standardizzazione del butai (“luogo della
danza”) già nella seconda metà del XVI secolo (FIG.8.3).
→ La struttura architettonica ricorda quella dei padiglioni templari all'aperto, tanto che anche i teatri
moderni realizzati al chiuso sono caratterizzati da un tetto sorretto da pilastri a copertura delle due
aree performative che li costituiscono: lo honbutai (palco principale) e l'hashigakari (ponte). Più che
estetiche, le motivazioni sono di ordine tecnico e antropologico, poiché i pilastri fungono da punto di
riferimento per l'attore -che indossa in scena una maschera che ne limita alquanto la vista- mentre il
tetto sancisce la sacralità della superficie che ricopre.
→ Lo honnbutai ha forma quadrata e misura circa sei metri di lato. Una mensola aggettante lo
prolunga sul lato destro per ospitare il coro, mentre su quello sinistro vi si innesta, con decorso
obliquo, l'hashigakari, anch'esso luogo deputato alla recitazione e la cui lunghezza è variabile.
→ L'hashigakari collega la scena al dietro le quinte, più precisamente alla kagami no ma (camera dello
specchio), luogo nel quale l'attore protagonista conclude il processo di spersonalizzazione e, seduto
davanti a uno specchio, indossa la maschera come ultimo atto prima di entrare in scena essendosi
ormai palesato, suo tramite, il personaggio.
• Gli elementi scenografici sono assenti o ridotti a piccoli oggetti che la convenzione teatrale permette
di amplificare: un ramo di ciliegio fiorito può rappresentare una distesa di colline imbiancate di petali.
→ Sul fondo scena, alle spalle dell'area in cui si posiziona l'orchestra è sempre dipinto un vecchio pino
affiancato, su una parete che si innesta sul fondo ortogonalmente e che ospita una piccola porta
scorrevole, da piante di bambù: tutti vegetali dal forte valore simbolico.
• Sul lato frontale dello honbutai una piccola scala, oggi inutilizzata, permane a raccordare sala e scena
ricordando il tempo delle origini allorchè gli attori, terminata la rappresentazione, la scendevano per
ricevere le regalie dei propri mecenati e signori.
• Una striscia di ghiaia bianchissima circonda palco principale e ponte, un margine fisico e simbolico
che trasforma lo spazio scenico in una sorta di isola intermedia.
• Il pubblico si siede a ventaglio nello spazio compreso tra hashigakari e lato anteriore dell'honbutai
abbracciando l'intera area scenica il cui centro risulta fluttuante in base alla dinamica della
rappresentazione e al punto di vista di ogni spettatore.
• Lo spazio scenico del no è, insomma, un cosmogramma precipitato in geografia teatrale.

8.4.3 Tsechu, in Bhutan la comunità si raccoglie intorno alle danze mascherate


Le comunità del Bhutan sono divise in distretti che si sviluppano attorno a uno dzong, una struttura
architettonica polifunzionale che al proprio interno ospita uffici amministrativi e spazi dedicati ai
monaci e alle pratiche religiose nonché alla formazione e allo studio. E' di base una fortezza,
assolvendo anche funzioni militari, o almeno così era in passato.
• I cham sono eseguiti dai monaci nei centri più grandi, da monaci e laici, oppure esclusivamente da
laici, nei villaggi più remoti a significare una permeabilità tra le due sfere in funzione dello scopo rituale
da pervenire: la venerazione delle divinità, da un lato, e l'esorcismo di influenze negative, dall'altro.
• Questi allestimenti raccolgono vere e proprie folle di fedeli disposti a lunghi spostamenti pur di
prendervi parte, pur di potersi stringere, ricchi e poveri, giovani e anziani, attorno alle divinità danzanti.

• Se le danze, con le loro traiettorie circolari attorno al centro ideale dello spazio rituale, e i danzatori,
con le rotazioni sul proprio asse, tracciano le astratte volute di un tanka o di un mandala, espressioni
grafiche della bellezza del divino e della geografia cosmica del creato, il cerchio formato dal pubblico di
fedeli che asistono ne è la cornice.

8.5 Il corpo scenico e i suoi mascheramenti


I maestri guidano gli allievi sul sentiero che essi stessi hanno già percorso assicurandosi che le basi
tecniche siano puntualmente incorporate al punto da poter essere applicate con precisione e
naturalezza. La sifda per l'attore risiede nel fare propria la tecnica per superarla, nel non soccombere
alla fissità del modello ma, piuttosto, nel riuscire a mostrare la propria cifra interpretativa attraverso lo
stesso, rendendolo personale.
• La forza comunicativa del corpo, ossia dell'attore, trova un fondamentale sostegno nei costumi, nelle
maschere, nel trucco e negli oggetti che impugna in scena e che per comodità potremmo chiamare
mascheramenti: tutto ciò che materialmente sta addosso all'attore.
• Le maschere teatrali asiatiche non nascondono la verità ma la manifestano, la rivelano affinchè la si
possa riconoscere.
• L'importanza dei mascheramenti è amplificata dalla già osservata vuotezza degli spazi scenici.
• Sono marcatori semantici tanto sintetici quanto precisi nel veicolare sesso, età, condizione sociale e
peculiarità psicologiche del personaggio.
• A prescindere dalla tradizione specifica, si potrebbe affermare che i mascheramenti agiscano sul
corpo dell'attore uccidendolo e al contempo esaltandolo: uccidono, ossia obliterano, la sua
contingenza storica ed esaltano, ossia universalizzano e rendono maggiormente leggibile, il
personaggio.

8.5.1 Il corpo kathakali, un dono del maestro che lo plasma nell'allievo


Il kathakali (“dramma danzato”) è una sintesi felice di danza, canto e musica che mette in scena storie
legate all'epica indiana. L'attore, dispensato dal dover cantare e narrare le vicende, può concentrare
tutta la propria maestria e intenzione interpretativa sul corpo. Non si tratta di una banale
traslitterazione mimica del dettato drammaturgico, ma di una sapiente trasposizione di modelli
codificati che non indicano cose materiali ma la loro sostanza: di un fiore non si restituisce
realisticamente la forma, ma in modo allusivo l'essenza.
• Per conseguire tale abilità l'allievo deve sottoporsi, generalmente a partire dai dodici anni di età, a un
lungo training che può durare tra i 6 e i 10 anni di età, sebbene l'addestramento si intenda perpetuo
estendendosi all'intera vita artistica dell'attore.
• Il guru (“maestro”) ha come primo obiettivo quello di conferire all'allievo un corpo kathakali, e agli
esercizi finalizzati a sviluppare in tal senso tutti i muscoli -compresi quelli del bulbo oculare- aggiunge
lunghe e dolorose sedute di massaggio: l'allievo giace a terra supino e il maestro ne danza
letteralmente il corpo massaggiandolo con i propri piedi per scioglierne le giunture e donargli la giusta
elasticità, forma e consapevolezza.
→ Il guru è un secondo padre -la relazione tra una figlia e un allievo del guru è percepita come
incestuosa- colui che permette all'allievo già nato come uomo di rinascere come attore.
• Pur non trattandosi di un genere propriamente religioso, il kathakali è abitato da divinità celesti e
demoniache nonché da eroi di rango divino.
→ Gli attori sentono la responsabilità che ne deriva e vivono con attenzione le ore precedenti l'andata
in scena dedicate all'elaborata fase di trucco.
- Tale fase, che può durare fino a cinque ore, si svolge in un'apposita stanza prossima al palco e inizia
con la stesura di un colore giallo, simbolo di nobiltà sul volto. Questo primo velo giallo è temporaneo e
verrà tolto per applicare il trucco definitivo del personaggio interpretato.
- Si sancisce così un tempo di preghiera che è votato alla richiesta di non commettere errori in scena.
• L'attore è impegnato in prima persona a truccarsi con l'aiuto di un truccatore. Il fine non è stendere il
colore e incollare gli elementi posticci che arricchiscono il trucco, piuttosto questi sono il mezzo che
instrada la concentrazione dell'attore verso l'incontro con il personaggio, sono strumenti funzionali
all'impersonificazione. Senza trucco l'attore non potrebbe danzare poiché non avrebbe i mezzi per
colmare la distanza che intercorre tra la sua umanità e la natura altra dei personaggi cui presta
temporaneamente il corpo.
• I colori base -verde, rosso, nero, arancione, bianco, giallo- forniscono indicazioni utili a leggere i
personaggi e tracciano una griglia ideale per classificarli in sei categorie.

8.5.2 Il corpo totale degli attori dell'opera di Pechino


Il Jingju (“teatro della capitale”) ha nelle componenti musicali e canore gli elementi fondanti ma trova
la sua completezza nella fusione armonica di recitazione, canto, danza, pantomima e azioni
acrobatiche.
• La scena, pressochè vuota, se si escludono un tavolo e due sedie rossi che, di volta in volta, possono
rappresentare un letto nuziale come una montagna da scalare o ogni altro luogo, è totalmente
consegnata agli attori, i quali sono interpreti specializzati in uno dei quattro ruoli tipo del jingiu (FIG
8.4):
sheng (personaggi maschili), dan (personaggi femminili, tradizionalmente interpretati da maschi), jing
(facce dipinte) e chou (clown).
• A prescindere dal ruolo in cui si sono formati, tutti gli attori devono padroneggiare le tecniche di
recitazione connesse a canto, dizione, gestualità e movimento per conseguire in scena la capacità
evocativa che lo stilizzato e allusivo linguaggio dell'Opera di Pechino richiede.
• Gli attori seguono un lungo addestramento al cui centro, ancora una volta, si trova il corpo (nella sua
accezione estesa di unità psico-fisico-emotiva) che deve connaturare gesti sintetici atti a restituire
azioni complesse: un lungo viaggio attraverso una deambulazione circolare al centro del palco, un
balzo con un frustino in mano per dire che si è saliti a cavallo e così via.
• La formazione si fonda su “quattro prerequisiti” -cantare, recitare, proferire, abilità nelle arti marziali-
e sulle “cinque tecniche” -uso delle mani, degli occhi, del tronco, andamento, personalità-.
• L'attore è supportato da costumi straordinari e connotato da un trucco facciale che è al contempo
elemento di decodifica e prodigio estetico. Tale è il rilievo di questi elementi che molti specialisti hanno
visto nell'interprete del jingju il sostituto materiale della scenografia.
• L'attore deve dare corpo a un che di astratto poggiando su un principio estetico diffuso in Giappone
per il quale la natura, solo se rielaborata nell'arte, può assurgere, in quanto artificio, al grado massimo
di bellezza: non dovendo rappresentare una donna ma l'ideale maschile che la sottende, è il corpo
maschile, più di quello femminile, a essere ritenuto capace di un simile conseguimento. L'attore mira a
restituire la quintessenza della femminilità così come un uomo la concepisce, avversando quindi ogni
deriva verso l'effeminatezza.
→ I pollici nascosti sotto il palmo delle mani a renderle più affusolate, le gambe flesse con piedi
discosti e ginocchia accostate tra loro (attitudine acquisita esercitandosi per ore a non far cadere un
foglio di carta tenuto tra le ginocchia) per un incedere elegante, le misurate torsioni del busto e le
inclinazioni del campo a mostrare l'erotico attaccamento dei capelli sul collo, il biancore del volto e
l'eleganza dei costumi hanno fatto innamorare generazioni di spettatori.

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