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Bernabò, Massimo:
Ossessioni bizantine e cultura artistica in Italia. Tra D’Annunzio, fascismo
e dopoguerra/Massimo Bernabò
Nuovo Medioevo
Napoli : Liguori, 2003
ISBN-13 978 - 88 - 207 - 5723 - 6
Aggiornamenti:
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12 11 10 09 08 07 06 05 04 03 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0
INDICE
Premessa ......................................................................... 1
cati e lo stato degli studi dovrebbero scusare il fatto che più argo-
menti di questa storia delle ossessioni bizantine sono soltanto abboz-
zati e sono quindi inevitabili generalizzazioni, difetti e lacune.
Purtroppo, a parte l’antologia di Paola Barocchi, sono stati pubbli-
cati solo studi su singoli storici dell’arte, quasi sempre monografie
agiografiche. Il libro non ha, tra l’altro, una discussione dei restauri
di monumenti del periodo bizantino condotti negli anni presi in
esame; per tutti, quelli di San Vitale a Ravenna e quelli del Battistero
di San Giovanni a Firenze. Un mio articolo, che racconta la campa-
gna della stampa fascista contro gli orientalisti, nel 1930, riassunta in
questo libro al capitolo sesto, e da poco pubblicato sulla veterana
Byzantinische Zeitschrift, è risultato il primo contributo lı̀ accettato
sulla storia della disciplina: attestazione che mi rende più sereno di
fronte a prevedibili critiche. Per non assillare il lettore zeppando le
frasi di numeri esponenziali di note ho cercato di raggrupparle in una
unica nota complessiva alla conclusione di ciascun argomento intro-
dotto, anche a scapito, forse, della praticità. Il tono narrativo e la
brevità dei capitoli sono voluti per l’analogo fine di leggibilità del
testo.
Origine remota del libro è stata la ricerca di risposte alle do-
mande: perché a Bisanzio si associano sempre valori negativi e, più
specificamente nel campo della storia degli studi, perché le testimo-
nianze di arte bizantina, che l’Italia ha più numerose ed importanti
che ogni altro paese dell’Occidente, non hanno indotto l’affermarsi
di una scuola e tradizione di studi consistente? Al destino sfavorevole
dei termini bizantineggiare, bizantinerie, bizantinismi, fatti divenire
sinonimi, rispettivamente, di argomentare con eccessiva sottigliezza,
di ragionamenti cavillosi e inconcludenti, di preziosismi ed estetismi
raffinati e decadenti, corrisponde l’assenza di biblioteche pubbliche
italiane che possiedano in misura confortante i libri su Bisanzio di
studiosi stranieri pubblicati almeno nei primi settanta anni del Nove-
cento. Solo due istituzioni straniere in Italia sopperiscono a questo
vuoto bibliografico 1900-1970: la Biblioteca Vaticana e la Biblioteca
Berenson. Più prosaicamente, la genesi di questo libro ha come
progenitrice la mia passione per l’arte bizantina che si è scontrata
con la formazione in un ateneo, quello fiorentino, dove due celebri
docenti avevano sentenziato la noiosità ed il disvalore artistico della
letteratura e delle arti figurative bizantine con inconfutata autorevo-
lezza. La lusinghiera proposta di uno dei maestri indiscussi dell’arte
bizantina del Novecento, Kurt Weitzmann, a trascorrere un lungo
OSSESSIONI BIZANTINE E CULTURA ARTISTICA IN ITALIA
L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO,
TEODORA E BASILIOLA
1
TEODORA
a. Da Belisario a Teodora
Teodora fu preceduta sul palcoscenico da Giustino, Teofane e Beli-
sario. Un dramma per musica Giustino, che ha per protagonisti il
militare di umili origini divenuto imperatore dal 518 al 527, Ariadne,
la vedova del suo predecessore Anastasio, che Giustino sposa dive-
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
1
H. Weinstock, Donizetti and the World of Opera in Italy, Paris, and Vienna in the First
Half of the Nineteenth Century (New York, 1963), pp. 113-119 e 350. S. Cammarano,
Belisario. Tragedia lirica in tre parti. Parte Prima, Il trionfo. Parte Seconda, L’esilio. Parte Terza,
La morte, da rappresentarsi nell’imp. e real teatro in via della Pergola, la primavera del
1836, sotto la protezione di S. A. Imp. e R. Leopoldo II Gran-Duca di Toscana (Firenze
[1836]). Notizie su Giustino, Teofane e Belisario si trovano in The New Grove Dictionary of
Opera, a cura di S. Sadie (London – New York, 1992), alle rispettive voci.
2
J.-F. Marmontel, Bélisaire (Paris, 1767); traduzione italiana, Belisario (Venezia, 1768).
TEODORA
3
T. Gautier, Italie (Paris, 1852), p. 119. Valery, Voyages historiques et littéraires en Italie,
pendant les années 1826, 1827 et 1828; ou l’indicateur italien, vol. 3 (Paris, 1832), p. 240.
4
Revue archéologique 7/1 (1850), pp. 351-353. Per Seroux d’Agincourt vedi al Capitolo 4,
paragrafo a.
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
“Tanta haec mala ordita est pessima femina quae altera Eva serpenti
obaudiens facta est viro malorum omnium causa; novaque Dalila
Samsoni, ejus vires dolosa arte enervare laborans, Herodias altera
sanctissimorum virorum sitiens sanguinem; petulansque summi sacer-
doti ancilla, Petri negationem sollicitans: sed parum sit ipsam hujusce-
modi sugillasse nominibus, quae reliquas impietate feminas antecelluit:
accipiat potius nomen ab Inferis, quod Furiis fabulae indiderunt,
femina furens, Alecto potius, vel Megera, aut Tisiphone, nuncupando,
civis inferni, alumna daemonum, Satanico agitato spiritu, oestro per-
cita diabolico, initiaeque summo labore inimica concordiae, pacisque
redemptae sanguinem martyrum et sudoris confessorum partae fuga-
trix: quanta enim haec Ecclesiae Catholicae mola invexerit, quae
dicenda erunt ostendent.”6.
5
F. A. Isambert, ANEKDOTA ou Histoire secrète de Justinien traduite de Procope. Géogra-
phie du VIe siècle et révision de la numismatique d’après la livre de Justinien (Paris, 1856). Un
caso di discussione di Teodora come personaggio storico e non come prostituta che fa
carriera è, ad esempio, in A. Marrast, La vie byzantine au VIe siècle (Paris, 1881), pp.
44-85. Il commento di Gibbon su Teodora è al Capitolo 40 della sua Storia: E. Gibbon,
Storia della decadenza e rovina dell’impero romano (Lugano, 1841), pp. 370-379, spec. p. 374
nota 2.
6
Caesar Baronius, Annales ecclesiastici, a cura di A. Theiner, vol. 9, 500-545 (Ludovicus
Guerin et Socii, 1867), citazione nel testo da p. 477 (= anno Christi 535, par. 63).
TEODORA
b. La Théodora di Sardou
Il successo di Théodora, dramma in cinque atti e sette quadri di
Victorien Sardou, la cui prima fu data a Parigi al Teatro Porte-Saint-
Martin il 26 dicembre 1884 con la regia di Duquesnel e musiche di
scena di Massenet, rese definitivamente popolare l’imperatrice (figg.
4-7) . Come altre eroine di Sardou, Teodora fu interpretata da Sarah
Bernhardt (figg. 8-9). Il testo della Théodora, ambientata nel 532
durante la rivolta del “Nika”, rimase, comunque, inedito fino al
19078. Sardou dichiarò di essersi rifatto alla Teodora della “leggen-
da”, ma anche ai Dialoghi delle cortigiane di Luciano. Anche se alcuni
episodi sono evidentemente ispirati a Procopio, le calunnie della
Storia segreta sono inattendibili per Sardou. Tre soli fatti della biogra-
fia della donna sono inoppugnabili: il matrimonio con Giustiniano e
la parte che Teodora prende nel governo dell’impero, il suo atteggia-
mento energico che salva Giustiniano nel 532, la sua morte per
7
H. Taine, Voyage en Italie, 2 voll. (Paris, 1866; 2a ediz. 1874), citazione da p. 222. La
descrizione di Teodora data da Procopio è in Storia segreta 10:11; la traduzione italiana è di
F. M. Pontani (Procopio di Cesarea, Storia segreta, a cura di F. M. P. [Roma, 1972], p. 71).
8
Théodora. Dram en cinq actes fu pubblicato per la prima volta come fascicolo monogra-
fico in L’illustration théatrale 66 (7 settembre 1907), con una introduzione dalla quale sono
prese le citazioni di giudizi sul dramma in francese nel testo (p. i); alcune incisioni di scene
del dramma e dei mosaici di Ravenna apparvero in L’illustration. Journal universel 43, n 85
(3 gennaio 1885) insieme alla recensione dello spettacolo di M. Savigny, p. 15. Fotografie
di Sarah Bernhardt come Teodora scattate da Paul Nadar sono riprodotte in Sarah
Bernhardt. Sculptures de l’éphémère, a cura di G. Banu (Paris, 1955).
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
9
C. Diehl, “Byzance dans la Littérature”, La vie des peuples, aprile 1922, ristampato in
Choses et Gens de Byzance (Paris, 1926), pp. 231-248, citazione da pp. 236-238.
10
Vedi Capitolo 4, premessa.
11
C. Diehl, Figures byzantines (Paris, 1906), pp. 305-306.
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
12
V. Sardou, “Théodora. Dram en cinq actes”, L’illustration théatrale 66 (7 settembre
1907).
13
C. Diehl, Justinien et la civilisation byzantin au VIe siècle (Paris, 1901), pp. vii, 37.
14
Diehl, Figures byzantines.
TEODORA
15
Diehl, “Byzance dans la Littérature”, rist., pp. 233-248.
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
“Il vescovo di Roma, con le sue tendenze latine e pratiche alla unità,
agendo dall’antichissima e veneranda città come da un centro operoso
ed attraente, sentiva chiaramente la missione papale che era quella di
organizzare e disciplinare saldamente in un solo l’Impero spirituale,
16
l’Occidente barbarico e l’Oriente riluttante; (...).” .
16
D. Largajolli, “Teodora. Un’augusta bizantina del VI secolo”, Nuova Antologia, ser. 2,
50 (1885), pp. 210-244; i brani sono da pp. 225 e 226.
17
A. Debidour, L’impératrice Théodora (Paris, 1885), citazioni da pp. 5 e 10.
18
Sardou cita proprio Debidour e Diehl in difesa della esattezza storica della sua Teodora
(L’illustration théatrale, cit. p. iii).
TEODORA
19
H. Houssaye, “L’impératrice Théodora”, Revue des deux mondes 67 (1885), pp.
568-597, citazioni da pp. 568 e 573.
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
“Ella vede tutto, sa tutto, fa tutto. La sua mente è acuta, capace d’ogni
astuzia di governo: il suo cuore è saldo, virile, chiuso alla pietà. Non è
più Giustiniano che regna, è lei con Giustiniano; o, meglio, lei sola. –
La Teodora del Sardou, non è che una fraschetta pettegola.”.
20
R. Barbiera, “Teodora”, L’illustrazione italiana 12, n 20 (17 maggio 1885), pp.
307-310.
21
Sui ‘Bizantini’ e la Cronaca bizantina, vedi: S. Slataper, “Quando Roma era Bisanzio”,
in S. S., Scritti letterari e critici raccolti da G. Stuparich (Roma, 1920), pp. 161-167; F.
Flora, “La «Cronaca Bizantina»“, Pègaso 2 (1930) , pp. 681-698; M. Praz, La carne, la morte
e il diavolo nella letteratura romantica (Milano-Roma, 1930; seconda edizione accresciuta
Torino, 1942), pp. 289-403, in particolare sulla Teodora di Fiorentino p. 378; A. Somma-
ruga, Cronaca Bizantina (1881-1885). Note e ricordi (Milano-Verona, 1941); G. Squarcia-
pino, Roma bizantina. Società e letteratura ai tempi di Angelo Sommaruga (Torino, 1950); E.
Scarano, Dalla ‘Cronaca Bizantina’ al ‘Convito’ (Firenze, 1970); Cronaca Bizantina, a cura
di V. Chiarenza (Treviso, 1975); Roma bizantina, a cura di E. Ghidetti (Milano, 1979).
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
“Il nostro titolo. Non ha nulla a che fare con l’argomento. È risaputa
che Bisanzio da più di quindici secoli si chiama Costantinopoli; che a
Costantinopoli, ora come ora, c’è il padiscià, mentre – per nostra
immeritata fortuna – qui a Roma c’è sempre il papa, vicario volonta-
riamente invisibile di quel dio che tutti vede; che i successori di
Niceforo non hanno niente, ma quel che si dice niente di comune co’
discendenti di Bertoldo – e tanto meno di Bertoldino; e che, infine, gli
eunuchi di Basilio e di Michel Paflagonico non possono, secondo ogni
probabilità, aver fatto razza (...).”22.
22
La conoscenza approssimativa di Bisanzio della Cronaca bizantina e il livello degli studi
bizantini di quegli anni sono commentati in G. Pasquali, “Medioevo bizantino”, Civiltà
moderna 13 (1941), pp. 289 sgg., che trascrisse e commentò il pezzo della Bizantina
riportato nel testo. Vedi inoltre R. Drake, Byzantium for Rome: The Politics of Nostalgia in
Umbertian Italy, 1878-1900 (Chapel Hill, 1980).
TEODORA
23
I. Fiorentino, Teodora (Roma, 1886); i brani riportati più sotto nel testo sono dalle pp.
22, 23-24, 45, 69; il trafiletto è a p. 8 del numero della Cronaca bizantina del 29 novembre
1885.
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
tone (cioè Comito) nel circo (figg. 16-20). Dopo la disgrazia della
morte del padre, addetto alla alimentazione degli orsi, il nuovo
matrimonio della depravata madre e altre vicissitudini della giovi-
netta Teodora, al Capitolo IV (“In teatro”) avviene l’entrata in
società della sorella maggiore e poi quella della protagonista:
“non faceva altra distinzione fra gli amanti se non che dal più al meno
ricco, e che non rifuggiva dalle ultime laidezze, innanzi alle quali si
arretravano le più imperterrite sue compagne.”.
“Orbene rimani. Vedo ora qual sei. Tu non mi hai amato mai, tu non
sei che una volgare meretrice.”.
“Né preghiere, né pianti giovarono. Teodora comandò che Aglae fosse
tratta nel sottoposto cortile, e battuta sulle carni ignude con venti colpi
di verga. Essa medesima si affacciò al balcone per accertarsi che il suo
comando fosse eseguito. Vide correre il sangue dell’infelice, udı̀ le sue
strida disperate, ma non fu paga finché il ventesimo colpo non fu
caduto. Le carni delicate di Aglae, erano lacerate, e quelle spalle, care
ai baci degli amanti, sarebbero d’allora in poi deformate dalle cicatri-
ci.”.
24
C. Rankabes, Θεοδωρα. Ποιηµα δραµατικον ει̋ µερη πεντε (Leipzig, 1884), pp. 3, 13, 53.
2
BASILIOLA
“È ben essa, in questo vecchio tempio, la celebre donna, che dalla vita
istrionica del circo fu portata sul trono d’Oriente; che, gettati i falsi
ornamenti di comica, cinse il prezioso diadema bizantino stellante di
gemme; che dalla commedia, che dilettava i popoli, passò alla tragedia
che li fece sanguinare; che dal peccaminoso giaciglio, aperto a chi
pagava, salı̀ alla gloria delle absidi sacre. La figura, alta, magra, i suoi
occhi larghi, rotondi le dànno proprio quell’aspetto di nervosismo
isterico e sfrontato che sembra risultare dalla storia e dal suo enorme
successo in una società raffinata e corrotta.”.
“il suo mausoleo appare come la tomba della potenza dei Cesari, nella
sua potenza di raccoglimento di colibro, desta sensi di raccoglimento
storico più che il mausoleo d’Augusto e quello d’Adriano. Ogni poe-
tica tradizione. ogni fantasia contempla in lei sola la gloria d’un
periodo di tempo e di vicende straordinarie.”1.
1
C. Ricci, Ravenna (Bergamo, 1902), citazioni da pp. 29 e 12.
BASILIOLA
2
C. Cecchelli, “Galla Placidia”, in E. I., vol. 16 (1932), pp. 286-287.
3
C. Diehl, Justinien et la civilisation byzantin au VIe siècle (Paris, 1901); id., Théodora
impératrice de Byzance (Paris [1904]), p. 113 (traduzione italiana, Teodora imperatrice di
Bisanzio [Firenze, 1939 – XVII], p. 82):
“Depuis que Sardou, dans son drame, nous à monstré Théodora amoureuse et coureuse
d’aventures, on admet volontiers que l’impératrice, gardant sur le trône les libres de sa
jeunesse, ne se prive point, en courtisane qu’elle était restée, de retourner à ses vieux
péchés. Je ne voudrais point me donner le ridicule de me faire le champion trop résolu de la
vertu de Théodora après son mariage.” L’accenno al ridicolo sembra una risposta alle
contestazioni di Sardou delle critiche di Diehl pubblicate sull’Illustration théatrale, cit., p. iv.
Non sono stato in grado di rintracciare copia della edizione di Théodora di Diehl con le
incisioni di Orazi.
4
P. Adam, Irène et les eunuques, illustrazioni di M. Orazi (Paris, 1906).
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
5
V. Sardou e P. Ferrier, Teodora, musica di X. Leroux, editore P. Choudens (Milano,
1907).
6
Per la trama e la critica su questi film: A. Bernardini, Il cinema muto italiano. I film dei
primi anni 1905-1909 (Torino, 1996) p. 411 (Teodora, Imperatrice di Bisanzio); V. Martinelli,
“Il cinema italiano muto. I film degli anni venti 1921-1922”, BN. Bianco e nero, 42/1-3
(gennaio-giugno 1981), pp. 505-506 (Teodora del 1913 e Teodora di Carlucci).
7
La notizia è presa da L’illustrazione italiana 35, n 12 (22 marzo 1908), p. 279. Le
citazioni sono dalla recensione alla prima dello spettacolo firmata Leporello, “La nave di
Gabriele D’Annunzio”, L’illustrazione italiana 35, n 3 (19 gennaio 1908), pp. 58-64.
BASILIOLA
8
D. Angeli, “Lo scenografo della ‘Nave’: Duilio Cambellotti”, Il Marzocco 12, n 52, 29
dicembre 1907, p. 2. Per le scenografie di Cambellotti per La nave: Nemi, “Tra libri e
riviste. «La Nave» di G. D’Annunzio”, Nuova Antologia, ser. 5, n 133 (1908), pp. 162-167;
per le musiche di Pizzetti: Valetta, “Rassegna musicale”, ibid., pp. 132-138.
9
Cf. C. Sforza, L’Italia dal 1914 al 1944 quale io la vidi (Roma, 1944), pp. 104-105.
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
10
Come si vede in una foto pubblicata su La Domenica del Corriere 10, n 3 (19-26
gennaio 1908), p. 8 e in Illustrazione popolare. Giornale per le famiglie 39, n 23 (7 giugno
1908), p. 356; qui a p. 357 altre due foto dei protagonisti della rappresentazione, una delle
quali con le sette danzatrici che accompagnano Basiliola. Altre foto e disegni dello
spettacolo in “Gabriele D’Annunzio e il varo della «Nave»”, Natura ed arte 1907-1908, pp.
329-335, e in L’illustrazione italiana 35 (1908), p. 419 (Emilia Varini come Basiliola).
BASILIOLA
“Danza! Danza!
La Grecastra
appreso ha l’arte dell’Imperatrice!
Danza, danza, o Faledra!
Nei quadrivii
di Bisanzio, nel circo!
È bella! È bella!
Basiliola!
della cintola ricca, più giù dei lombi potenti, insino al pòplite, costretta
da una lista purpurea intorno alla fronte imperiale.”.
11
Questo ed i precedenti brani riportati dal Prologo de La nave sono, nell’ordine, alle pp.
64, 37, 51, 68, 84, 102, 137-138 di G. D’Annunzio, La nave (Milano, 1908).
BASILIOLA
12
Vedi sopra alla nota 9.
13
O. Wilde, Sàlome. Poema drammatico, unica versione italiana consentita dall’Autore di
G. G. Rocco (Napoli, 1906). Sulla figura di Salomè e la sua fortuna figurativa tra Ottocento
e Novecento: E. Bairati, Salomè. Immagini di un mito (Nuoro, 1998), pp. 151-194.
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
14
Cambellotti (1876-1960), Roma, Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contempora-
nea, 24 settembre 1999 – 23 gennaio 2000, catalogo della mostra (Roma, 1999), p. 224.
15
Illustrazione popolare. Giornale per le famiglie 45, n 2 (12 gennaio 1908), p. 26. Nel
successivo fascicolo 3 del 19 gennaio è pubblicata una recensione della prima de La nave
(p. 38); e nel fascicolo 5 del 2 febbraio è un grande disegno del varo della nave
dall’allestimento del dramma con lungo commento. Per gli abiti bizantini versioni ricche
come quello di Basiliola sono disegnati da Alphonse Mucha per la Bernhardt o per
pubblicità come nel manifesto per Moët et Chandon del 1899: Alphonse Mucha 1860-1939,
Darmstadt, Mathildehöhe, 8 giugno – 3 agosto 1980, catalogo della mostra (München,
1980), n 109 p. 158; vedi anche sotto alla nota 21.
BASILIOLA
con stola ‘bizantina’ appaiono già nella moda italiana del periodo
umbertino. La famosa cantante lirica Adelina Patti indossò nel 1891
un abito da ballo, creato apposta per lei dalla sarta parigina Maria
Blossier, di raso bianco, ricamato a disegni di stella, con sei raggi in
perle vere e di cristallo, con alte bordure e stola bizantina16.
La nave fu musicata da Italo Montemezzi sulla riduzione di Tito
Ricordi; l’opera fu data in prima a Milano alla Scala nel 1918 e fu
ripresa nel 1938 per inaugurare la stagione lirica al teatro Reale di
Roma, con la regia di Carlo Piccinato, Gina Cigna nella parte di
Basiliola, il tenore Paolo Civil in quella di Marco Gratico, il baritono
Mario Basiola in quella di Sergio Gratico, scene di Ettore Polidori su
bozzetti di Cipriano Efisio Oppo17. Nel 1909, l’anno successivo della
apparizione teatrale del testo di D’Annunzio, La nave e Teodora
servirono di ispirazione per i dipinti realizzati da Galileo Chini nella
Sala della Cupola per la VIII Esposizione d’Arte di Venezia del 1908
(figg. 32-33). Chini dipinse le otto vele della cupola con una fascia a
tappeto decorativo, sopra la quale erano otto episodi delle civiltà
dell’arte. Alcuni endecasillabi di Antonio Fradeletto, segretario gene-
rale della Biennale dettano il programma degli episodi delle varie
civiltà. Dopo “Le origini” (“La Bellezza, portata dalle Muse e gui-
data da Amore, va verso l’uomo”), “Le arti primitive” (Egitto,
Babilonia, Assiria), “Grecia e Italia” (cioè Etruschi e Roma, con un
etrusco con un’urna, un Eros, simboli dell’Arte, la Forza e La
Grazia, la Lupa di Roma, un uomo che regge il mondo), la quarta
vela era occupata dall’“Arte bizantina”. Il programma diceva:
16
La notizia su Adelina Patti è presa da R. Levi Pisetzky, Storia del costume in Italia, vol. 2
(Milano, 1964), p. 329.
17
Per la ripresa del 1938 vedi gli articoli apparsi su Il Tevere del 6-7 e del 15-16 dicembre
1938, quest’ultimo a firma di A. Righetti, “Il successo della «Nave» di Montemezzi e
D’Annunzio al reale dell’Opera” (p. 3).
18
Il testo del commento di “Grecia e Italia” diceva invece:
“III. Grecia e Italia. Il grave etrusco assiso stringe fra le mani un’urna cineraria; ma Eros
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
giovinetto gli porge fiori e fiori porge alla Grecia, simboleggiata da un fregio prefidiaco.
Passano trionfalmente i simulacri della Vittoria di Samotracia, della Vittoria virile, della
Vittoria femminile, a raffigurare l’Arte, la Forza, la Grazia. Cresce gagliarda la lupa di
Roma; e un lembo di architettura latina, un uomo che regge la sfera del mondo annunciano
la potenza dell’Urbe. L’Arte è serena come la natura e come l’anima: «Lieta rifulgo al greco
italo sole».”
19
Su questi dipinti vedi: VIII Esposizione Internazionale d’Arte della città di Venezia 1909,
catalogo illustrato (Venezia, 1909), con la descrizione delle scene e gli endecasillabi; L.
Bortolatto, “Sulla cupola «ridonata alla luce» come Galileo Chini «la donò a Venezia» nel
1909”, in XLII Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia. Arte e scienza,
catalogo generale 1986 ([Venezia] 1986), pp. 21-30; F. Benzi, “Galileo Chini affreschista e
decoratore”, in Galileo Chini. Dipinti Decorazioni Ceramiche opere 1895-1952, catalogo della
mostra, Montecatini Terme, 5 agosto – 31 ottobre 1988, a cura di F. Benzi e G. Cefariello
Grosso (Milano, 1988), pp. 72-73. Grandi riproduzioni degli spicchi della cupola e della
vela di Bisanzio per intero sono in F. Fenzi, “La cupola di Galileo Chini alla biennale di
Venezia del 1909”, in Galileo Chini e l’Oriente. Venezia Bangkok Salsomaggiore, catalogo della
BASILIOLA
c. Teodora la divina
La nave fu tradotta in pellicola una prima volta nel 1912 da Eduardo
Bencivenga e una seconda volta nel 1921 da Gabriellino D’Annunzio
con la solita immagine dell’Oriente luogo di depravazione e di
passioni (fig. 34)22. Teodora, metà odalisca, metà donna di potere,
dai lunghi capelli rossi (come la Bernhardt), danzatrice seducente,
sanguinaria e crudele da far frustare altre donne, rivali o schiave, per
sua volontà – come nelle dispense di Fiorentino uscite con D’Ann-
nunzio direttore della Cronaca bizantina o ne La nave –, divenne il
modello, insieme a Salomè, di altre donne immorali del cinema
storico degli inizi del Novecento. Nel 1911, il film Le tentazioni di
Sant’Antonio, con la regia di Frusta, ispirato a La tentation de Saint
Antoine di Flaubert, mise in scena la storia del ricco Antonio e di
Yarba, una bella prostituta dai capelli rossi raccolta da Antonio in un
postribolo, la quale fa frustare ingiustamente la sua schiava etiope,
tradisce Antonio e infine, dopo che lui si è fatto anacoreta, si
converte e muore. In Marcantonio e Cleopatra (1913), con la regia di
22
Sulla prima versione cinematografica: A. Bernardini e V. Martinelli, “Il cinema muto
italiano. 1912. Seconda parte. I film degli anni d’oro”, Rivista del Centro Sperimentale di
Cinematografia “Bianco e nero”, numero speciale (Roma, 1955), pp. 8-13; sulla seconda
versione di Gabriellino D’Annunzio: Martinelli, “Il cinema italiano muto”, pp. 215-218.
BASILIOLA
23
Le schede di questi film si leggono, nell’ordine del testo, in A. Bernardini e V.
Martinelli, Il cinema muto italiano. I film degli anni d’oro. 1911, 2 (Torino, 1996), pp.
201-202 (Le tentazioni di Sant’Antonio); A. Bernardini, e V. Martinelli, Il cinema muto
italiano. I film degli anni d’oro. 1913 (Torino, 1994), pp. 41-46 (Marcantonio e Cleopatra), pp.
286-288 (Tersicore); V. Martinelli, Il cinema muto italiano. I film degli anni d’oro. 1914
(Torino, 1993), pp. 102-103 (Christus; la frase è dalla recensione di Olleja, apparsa su La
Cine-Fono, Napoli, 16-29 gennaio 1915, e riportata nel libro di Martinelli a pp. 102-103).
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
“si facevano dei veri concorsi di bellezza che avevano un più serio e
utile risultato (...) di quelli che di tanto in tanto indicono le nostre
gazzette di provincia in cerca di réclame e di abbonati.”
24
A. Pernice, “Imperatrici bizantine”, Studi bizantini, ser. 2, 5 (1924), pp. 3-22; i brani
riportati sono a p. 12. Pernice scrisse più tardi (1937) la voce “Teodora” nel vol. 33 del
1937 dell’Enciclopedia italiana, pp. 508-509, dove ripropose Teodora come figura positiva e
pia, che affascina Giustiniano con la sua bellezza ed intelligenza: “Sul trono T. si mostrò
una donna veramente superiore. Essa parve nata per regnare, tanta fu la dignità che mise
nei suoi atti e l’attività che spiegò negli affari politici.” Giustiniano ne esaltò la fedeltà.
Dopo la sua morte l’attività di Giustiniano avrebbe subito un arresto a conferma della
“parte grandissima che T. ebbe nel governo del grande imperatore”. Nella stessa Enciclope-
dia Italiana, alla sezione “Storia dell’impero bizantino” della voce “Bizantina, Civiltà”, nel
vol. 9 (1930), p. 122, Pernice definı̀ Teodora “donna di grande animo e di acuta
intelligenza”.
25
Per i giudizi sull’arte bizantina di Bendinelli, Galassi, Toesca vedi al Capitolo 7,
paragrafo c. D. Amato, Teodora imperatrice di Bisanzio (Roma, 1927). Un capitolo su
Teodora si trova in G. Manacorda, Medaglioni. Con un autoritratto (Milano, 1941), pp.
7-12. Un film intitolato Teodora, Imperatrice di Bisanzio, con Teodora ritratta come donna
saggia, caritatevole, populista e democratica, e con scene davanti ai mosaici di San Vitale, è
stata realizzata nel 1953 come coproduzione italo-francese con la regia di Riccardo Freda.
BASILIOLA
d. Psicologia di Teodora
Una storica dell’arte, Giusta Nicco, nel 1925, non vide, invece, nella
solennità ieratica di Teodora a San Vitale “nessuna di quelle caratte-
ristiche che la storia maldicente ripete sul suo conto”, né segni di
bellezza particolari; Giustiniano riguadagna prestigio e superiorità
sulla moglie:
Per altri storici dell’arte che scrivono negli anni Dieci e Venti del
Novecento, come Toesca, Galassi o Bendinelli non esiste una Teo-
dora come figura bizantina della cui moralità discutere, ma un’opera
d’arte bizantina su cui discutere. Di Teodora, Toesca sottolineò le
sfumature psicologiche che fu capace di esprimere con la sua arte
l’autore del mosaico:
26
G. Nicco, “Ravenna e i principi compositivi dell’arte bizantina”, L’arte 28 (1915), p.
263.
27
P. Toesca, Storia dell’arte italiana, vol. 1, Il Medioevo, Parte 1, Dalle origini cristiane alla
fine del secolo VIII, Parte 2, Dalla fine del secolo VIII al secolo XI, Parte 3, Dal principio del
secolo XI alla fine del XIII (Torino, 1927), p. 198.
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
28
P. Toesca, S. Vitale di Ravenna. I mosaici (Milano, 1952), pp. 19-20.
3
VIAGGIATORI OTTOCENTESCHI
1
T. Gautier, Italia (Paris, 1852), p. 97. La definizione di San Marco come Santa Sofia in
2
miniatura è in Constantinople (Paris, 1856 ), p. 269.
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
a. Costantinopoli ottomana
Angelo Baratta, avvocato e “impiegato” del Consolato Generale del
Regno di Sardegna a Costantinopoli, in un libro del 1831 di piccolo
formato, con notizie, “esatte e recentissime” sulla città di Costanti-
nopoli (Costantinopoli nel 1831 ossia notizie esatte e recentissime intorno a
questa capitale ed agli usi e costumi de’ suoi abitanti), dette un ritratto
dei visitatori della capitale ottomana, ignoranti e numerosi4:
2
C. Diehl, Ravenne. Études d’Archéologie byzantine (Paris, 1886), pp. 1-2.
3
E. De Amicis, Costantinopoli, 2 voll. (Milano, 1877-1878; edizione illustrata da Cesare
Biseo, Milano, 1912), pp. 3-4.
4
A. Baratta, Costantinopoli nel 1831 ossia notizie esatte e recentissime intorno a questa capitale
ed agli usi e costumi de’ suoi abitanti (Genova, 1831; La citazione riportata nel testo è tratta
dalle pagine vi-viii); id., Costantinopoli effigiata e descritta con una notizia su le celebri sette
Chiese dell’Asia Minore ed altri siti osservabili del Levante (Torino, 1840).
VIAGGIATORI OTTOCENTESCHI
“Nasce qui, del resto, fra gli scrittori una seria e delicata quistione:
quella, cioè, di definire se alla conservazione degli antichi monumenti
più rescisse funesta la magnificata barbarie turca, o la svenevole
tenerezza europea. Poiché gli è un fatto doloroso bensı̀, ma incontra-
stabile che su cento monumenti distrutti o riformati, novantanove,
almeno, dovettero il loro sfacelo alla dotta rapacità degli scienziati
nostrani, i quali, purché arricchiscano i propri o gli altrui musei con
qualche capo recato dall’Asia o dall’Africa, poco badano ad ogni più
rispettabile avanzo.”5.
5
Baratta, Costantinopoli, p. 391; il testo prosegue cosı̀:
“E se qualcuno volesse negarlo, noi lo proveremmo facilmente e colle sacrileghe rapine
dell’Elgin e coll’esempio dell’Oriente universo, divenuto omai vuota ed insipida landa, dopo
i crudeli spigolamenti fattivi da cento scientifiche arpie, sue degne seguaci. – Ma la
controversia è, grazie al Cielo, fuori affatto dal nostro assunto, e noi siam lieti di poterne
lasciare ad altri il franco e ragionato recidimento. Solo noteremo che il doloroso tema in
discorso fu svolto con nobile coraggio ed irresistibile potenza di argomenti dallo Slade nel
suo bellissimo viaggio in Levante: opera che teniamo in sommo pregio ed amore e che
inchiude quadri pieni di verità ed evidenza intorno alle cose ed alle persone, primeggianti,
attualmente, in quelle contrade.”
6
L’anno successivo Baratta pubblicò un volume gemello intitolato Bellezze del Bosforo.
Panorama del maraviglioso Canale di Costantinopoli dello Stretto dei Dardanelli e del Mar di
Marmara. Opera destinata a far seguito alla Costantinopoli effigiata e descritta, e nella quale, con
l’aiuto di ottanta finissimi intagli eseguiti dal vero dai migliori artisti dell’Inghilterra, offresi
l’impareggiabile quadro di luoghi unanimemente acclamati siccome capo-lavoro della natura, ...
(Torino, 1841). Le incisioni sono su disegni di W. H. Bartlett. Tra le incisioni ne
compaiono alcune di monumenti di Costantinopoli, anche bizantini, come lo Tchenberle o
colonna bruciata (tra p. 316 e p. 317); corrispondentemente, compaiono descrizioni di
monumenti bizantini, come Santa Sofia (pp. 464-467). Alcune delle incisioni pubblicate dal
Baratta furono ristampate nel 1928, senza indicarne la fonte, da G. A. Borgese, Autunno di
Costantinopoli. Pagine d’Atlante con 16 vecchie stampe (Milano, 1928).
VIAGGIATORI OTTOCENTESCHI
7
De Amicis, Costantinopoli, citazioni nel testo dalle pagine 27, 31, 36-37, 57-58,
245-246, 258, nell’ordine.
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
“fra i canti dei poeti e i clamori degli araldi che gridavano evviva in
tutte le lingue dell’impero, veniva innanzi l’Imperatore, colla tiara
sormontata da una croce, imperlato come un idolo, seduto sopra un
carro d’oro dalle tende di porpora, tirato da due mule bianche, e
circondato da un corteo di monarca persiano; e gli andava incontro il
clero pomposo nell’atrio della basilica; e tutta quella turba di corti-
giani, di scudieri, di logoteti, di protospatari, di drongarii, di conesta-
bili, di generali eunuchi, di governatori ladri, di magistrati venduti, di
patrizie spudorate, di senatori codardi, di schiavi, di buffoni, di casisti,
di mercenari d’ogni paese, tutta quella canaglia fastosa, tutto quel
putridume dorato irrompeva per ventisette porte nella navata illumi-
nata da seimila candelabri (...).”.
8
A. D. Furse, Umme-Dunia (Roma, 1884).
VIAGGIATORI OTTOCENTESCHI
9
Valery, Voyages historiques et littéraires en Italie, vol. 3, p. 240. Cf. R. Chevallier, “Quatre
siècles de voyageurs et d’antiquaires français à Ravenne (1500-1900)”, in XX Corso di
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
cultura sull’arte ravennate e bizantina, Ravenna, 11-24 marzo 1973 (Ravenna, 1973), pp.
195-216, ristampato in E. e R. Chevallier, Iter italicum. Les voyageurs français à la découverte
de l’Italie ancienne (Paris – Geneve, 1984), pp. 200-217.
10
“Mosaiques de l’église de Sain-Vital de Ravenne”, Revue archéologique 7/1 (1850), pp.
351-353, con due incisioni di C. Saunier (tavv. 145-146); cf. J.-M. Spieser, “Hellénisme et
connaissance de l’art byzantin au XIXe siècle”, in ÎΛΛΕΝΙΣΜΟΣ. Quelques jalons pour
une histoire de l’identité grecque, Actes du Colloque de Strasbourg, 25-27 octobre 1989, a
cura di S. Saı̈d, (Leiden – New York, 1991), p. 350 e figg. 4-5.
VIAGGIATORI OTTOCENTESCHI
11
H. Taine, Voyage en Italie, (Paris, 1866). I giudizi riportati nel testo sono presi dalla
introduzione alla traduzione italiana del 1915: Viaggio in Italia (Il paese – l’arte – la nazione),
pagine scelte a cura di P. Arcari (Lanciano, 1915), p. 10; qui sotto è il giudizio su Ravenna
nel testo francese pubblicato alle pp. 210-212 della seconda edizione del 1874 (cf. pp.
59-61 della traduzione italiana del 1915):
“(...) les figures de les femmes, régulières, un peu longues, calmes, quoique triste, ont
une dignité presque antique; les chevaux tombent en tresses et se relèvent au sommet du
front comme dans la coiffure des nymphes; leur stole descend en long plis graves. Aussi
grave se développe la file des grandes figures viriles, et près du Christ et de la Vierge, des
anges prient en grands vêtements blancs, le front ceint d’une bandelette blanche. Mais là
s’arrêtent les réminescences (...). Ils [les artistes] ont désappris l’observation du modèle
vivant, les Pères la leur ont interdite; ils copient des types acceptès (...). D’artistes ils sont
devenus ouvriers (...) ils répètent vingt fois de suit le même geste et le même vêtement (...).
Nulle physionomie; souvent les traits du visage sont aussi barbares que les dessins d’un
enfant qui s’essaye. Le col est roide, les mains sont en bois, les plis de la draperie sont
mécaniques. Les personnages sont des ébauches d’hommes plutôt que des hommes (...) En
effet, il n’y a pas un de ces personnages qui ne soit un idiot hébété, aplati, malade.”.
Giudizi di Taine sui mosaici di San Marco sono alle pp. 274-279 della seconda edizione
francese. Vedi inoltre i giudizi simili sull’arte bizantina espressi in Philosophie de l’art (Paris,
1864), quinta edizione (1890), pp. 351-352. Una sintesi dei giudizi su San Vitale di
Ravenna si trova in S. Foschi e C. Franzoni, “Artisti, eruditi, viaggiatori: le interpretazioni
di San Vitale”, in La basilica di San Vitale a Ravenna, a cura di P. Angiolini Martinelli
(Modena, 1997), pp. 135-155.
4
1
Sulla nascita degli studi bizantini in Francia vedi A. Rambaud, Études sur l’histoire
byzantine, prefazione di C. Diehl (Paris, 1912), pp. xiii-xxiii; C. Diehl, “Introduction a
l’histoire de Byzance” e “Les études byzantines en France au XIXe siècle”, in C. D., Études
byzantines (Paris, 1905), pp. 1-20 e 21-37 rispettivamente (il primo già apparso in Byzanti-
nische Zeitschrift 9 [1900], pp. 20-37); P. Lemerle, “Présence de Byzance”, Journal des
Savants (1990), pp. 250-254.
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
2
La storia delle origini della bizantinistica è ormai tracciata. Uno sguardo generale è in
D. T. Rice, The Appreciation of Byzantine Art (London, 1972), Capitolo II, “The Western
Attitude towards Byzantine Studies”, pp. 20-42; per l’atteggiamento prima ostile e poi
favorevole dei Greci verso Bisanzio nell’Ottocento vedi C. Mango, “Byzantinism and
Romantic Hellenism”, Journal of the Warburg and Courtauld Institutes 28 (1965), pp. 24-43.
Una buona panoramica è nell’introduzione di Armando Saitta alla versione italiana di C.
2
Diehl, Les grandes problèmes de l’histoire byzantine (Paris, 1947 ): I grandi problemi della storia
bizantina (Bari, 1957), pp. 5-45. Al contrario, La storia della bizantinistica è ancora da
scrivere per Spieser, “Hellénisme et connaissance de l’art byzantin”, nota 9 p. 340.
3
Istoriia vizantiiskago iskusstva i ikonografii po miniatiuram’ grecheskikh’ rukopisei (Odessa,
1876); traduzione francese, Histoire de l’art byzantin considéré principalement dans les miniatu-
res, a cura di K. Travinskii e con una prefazione di A. Springer, 2 voll., (Paris – London,
1886 e 1891), pp. 49, 51-57. Su Kondakov vedi: W. E. Kleinbauer, “Nikodim Pavlovich
Kondakov: The First Byzantine Art Historian in Russia”, in Byzantine East, Latin West. Art
Historical Studies in Honor of Kurt Weitzmann, a cura di D. Mouriki et alii (Princeton, N.J.,
1995), pp. 637-643.
PRIMI STUDI IN ITALIA
4
Cosı̀ la miniatura a piena pagina con il profeta Geremia nel cod. plut. 5.9 della
Biblioteca Laurenziana riprodotta in A. M. Bandini, Catalogus Codicum Manuscriptorum
Bibliothecae Mediceae Laurentianae varia continens opera Graecorum Patrum (Firenze, 1764),
vol. 1, incisione dopo p. 82. G. P. Bellori, Veterum illustrium philosophorum poetarum rhetorum
et oratorum imagines ex vetustis nummis, gemmis, hermis, marmoribus, aliisque antiquis monu-
mentis desumptae (Roma, 1635; 2a edizione Roma 1739), incisioni a pp. 91-92.
5
La fortuna critica dell’arte medievale prima di Giotto è stata esaurientemente studiata
da G. Previtali, La fortuna dei primitivi. Dal Vasari al Neo-classico (Torino, 1964); vedi in
particolare le pp. 88 sgg. sul ramo filo-bizantino della critica in Italia che va da Lami fino a
Lionello Venturi. Notizie dettagliate sulla valutazione dell’arte bizantina nel Sette e Otto-
cento in B. Pace, “Pensiero romantico ed arte bizantina”, in Università degli Studi di Pisa,
Istituto di Archeologia e di Storia Antica, Studi classici e orientali, vol. 2 (Pisa, 1953), pp.
85-99.
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
6
J.-B.-L.-G. Seroux d’Agincourt, Histoire de l’art par les monuments, depuis sa décadence au
e
IVe siècle jusqu’à son renouvellement au XVI siècle (Paris, 1823), traduzione italiana, Storia
dell’arte dimostrata coi monumenti dalla sua decadenza nel IV secolo fino al suo risorgimento nel
XVI, a cura di S. Ticozzi, 8 voll. (Prato, 1826); un elenco abbreviato delle incisioni
comprende, secondo l’ordine di citazione nel testo, le tavole: scultura tavv. iii (dittico
Barberini dato come raffigurante Costantino e del IV secolo) , x (obelisco di Teodosio), xi
(colonna di Teodosio), xii (pannelli d’avorio di cassetta con Adamo ed Eva; Ariadne),
xiii-xx (porta di San Paolo f.l.m.); pittura tavv. xvi (mosaici ravennati), xviii (il Logos che
estrae la costola ad Adamo nella prima cupola dell’atrio di San Marco a Venezia), xix
(Genesi di Vienna), xxvi (Dioscoride di Vienna), xxvii (Evangeliario di Rabbula), xxviii-xxx
(Rotulo di Giosuè), xxxi-xxxiii (Menologio di Basilio II), xxxiv (Cosma Indicopleuste), xlvi
(Catena sui Profeti Maggiori, cod. Vat. gr. 755), xlvii (Salterio di Basilio II), xlviii (raccolta
ippocratica, Laur. plut. 74.7), l-li (Omelie di Giacomo Coccinobafo della Vaticana), lii
(Giovanni Climaco, cod. Vat. gr. 394), lviii (Panoplia dogmatica di Eutimio Zigabeno della
Vaticana), lix (Evangeliario, Urb. gr. 2 della Vaticana), lxii (Ottateuco, cod. Vat. gr. 746
della Vaticana), lxxxii-xciii, ic, cvi, cxi-cxiii (varie icone).
PRIMI STUDI IN ITALIA
“Se dietro questi indizj, per deboli che essi siano, si può credere che
verso il principio del decimoquinto secolo, il gusto era sul punto di
rinascere presso i Greci, ben si comprende per altra parte, che questi
nuovi progressi non potevano estendersi al di là del momento fatale,
che operò la distruzione dell’impero di Oriente colla presa di Costanti-
nopoli.
È dunque con quest’ultimo monumento che mi bisogna terminare la
storia di questa branca della Pittura, ed anche quella dell’arte in tutte
le sue diramazioni considerata della Grecia. Abbandoniamo questo
disgraziato paese ad esempio dei Greci occupati in arti, o di lettere,
che si trovarono obbligati in questa dolorosa epoca della storia, a
cercare in Italia un rifugio. Ritorniamo a Roma, e riprendiamo le
pitture dei manoscritti latini all’epoca in cui le abbiamo lasciate, vale a
dire nel duodecimo secolo. Noi vedremo come dopo aver continuato a
decadere questa branca dell’Arte si migliorò nel decimoquarto secolo,
e si perfezionò nel decimoquinto, nel tempo stesso della pittura in
grande; e noi acquisteremo egualmente la prova, che all’epoca del
rinascimento, l’arte di eseguire grandi quadri ebbe qualche obbliga-
zione alle pitture dei manoscritti, e che l’Italia in generale fu debitrice
di una parte dei suoi successi agli artisti greci, che essa aveva accolti,
non ostante la debolezza, e l’ignoranza di questi artisti degenerati.”7.
7
Seroux d’Agincourt, Storia dell’arte, pp. 256-257.
8
R. Garrucci, Storia della arte cristiana nei primi otto secoli della Chiesa, 6 voll. (Prato,
1872-1881). J. Labarte, Histoire des arts industriels au Moyen Age et à l’epoque de la
Renaissance, 4 voll. (Paris, 1864-1866).
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
9
Nell’ordine del testo: vol. 3, tavv. 112-123 (Genesi di Vienna), 124-125 (Genesi
Cotton), 157-167 (Rotulo di Giosuè), 142-153 (Cosma Indicoleuste), 128-140 (Evangelia-
rio di Rabbula); volume 4, tavv. 226-228 (Battistero Ursiano), 229-233 (Galla Placidia),
241 (Battistero degli Ariani), 242-252 (Sant’Apollinare Nuovo), 258-264 (San Vitale),
265-267 (Sant’Apollinare Nuovo), 268 (Sinai), 276 (Parenzo).
PRIMI STUDI IN ITALIA
10
G. Rosini, Storia della pittura italiana esposta coi monumenti, 7 voll. (Pisa, 1839-1848),
vol. 1, Epoca prima da Giunta a Masaccio (1839): le miniature di Eusebio e Carpiano
“adornano un Evangeliario del Secolo X, il quale dalla casa Bonvisi passò ad ornare la
Biblioteca Sovrana di Lucca” (p. 11); G. B. Toschi, “Fisiologia della pittura trecentista”,
Nuova Antologia, ser. 2, 9 (1878), pp. 453-476; 10 (1878), pp. 228-250, 617-637; 11
(1878), pp. 29-45, citazioni da p. 468 della prima puntata e p. 235 della seconda; il brano
di P. Tedeschi, Storia delle arti belle (architettura – pittura- scultura) raccontata ai giovinetti
(Milano, 1872), pp. 127-128, dice:
“Maestro: “(...) dall’epoca della caduta di Roma la pittura s’era andata sempre più
corrompendo. E nota bene, peggiori dei barbari furono i Greci. Questi, dopo essere stati ai
tempi di Pericle i maestri del buon gusto, erano caduti sempre più al basso; nè valse a
rialzarli la protezione di Costantino il grande. (...) Sorse quindi una questione della più alta
importanza per la pittura. I vescovi greci sostenevano che Gesù Cristo, per insegnarci con
suo esempio il disprezzo del mondo, era stato il più brutto degli uomini; i latini, invece, con
più buon senso, affermavano tutto il contrario. I pittori greci, cosı̀ ispirati dal clero
cominciarono quindi a dipingere certe brutte figure, certi Cristi improsciuttiti, che facevano
e fanno tuttora paura. Pigliando poi alla lettera le parole della Scrittura «Nigra sum sed
formosa» Sono nera, ma bella, presentavano alla venerazione dei fedeli madonne d’una tinta
olivastra o nera, come se Maria di Nazaret non fosse stata discendente del re di Giuda, ma
di qualche capo della razza tartara o etiopica. Cosı̀ sorse la cosı̀ detta scuola bizantina, con
la quale denominazione si comprendono tutti i quadri de’ pittori greci, o degli italiani loro
imitatori, che dipinsero santi e madonne nella detta maniera.”.
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
11
L. Chirtani, L’arte attraverso ai secoli (Milano, 1878), citazioni da pp. 202-203, 211.
PRIMI STUDI IN ITALIA
12
A. Springer, Manuale di storia dell’arte, vol. 2, Arte del Medio Evo, riveduto dal dr. G.
Neuwirth, 1a edizione italiana a cura di C. Ricci (Bergamo, 1906); 2aedizione, di nuovo
tradotta ed ampliata sulla 8a edizione tedesca a cura del dr. A. Muñoz (Bergamo, 1911). La
definizione di Ricci è da M. Pittaluga, “Arte e studi in Italia nel ’900. Gli storici dell’arte”,
La Nuova Italia 1 (1930), p. 413.
13
La basilica di San Marco in Venezia illustrata nella storia e nell’arte da scrittori veneziani, a
cura di C. Boito (Venezia, 1888) contenente P. Saccardo, “Mosaici e loro iscrizioni”, pp.
299-388. G. T. Rivoira, Le origini dell’architettura lombarda e delle sue principali derivazioni nei
paesi d’oltr’alpe, 2 voll. (Roma, 1901 e 1907). A. Colasanti, L’arte bizantina in Italia,
prefazione di C. Ricci (Milano, 1912). Su Corrado Ricci si è da poco tenuto un convegno:
Corrado Ricci storico dell’arte tra esperienza e progetto, Convegno di studi, Ravenna 27-28
settembre 2001.
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
chi li consideri nelle forme, nel sentimento nella tecnica, nella stessa
sostanza materiale (...). Lascieremo per ora in disparte l’esame degli
altri monumenti ravennati nei quali le forme tradizionali romane
prevalgono su tutto, come nel Mausoleo di Galla Placidia, nel Batti-
stero della Cattedrale, ecc., per rimanerci al semplice confronto dei
due stili, quali si mostrano in Sant’Apollinare Nuovo. La parte, per
cosı̀ dire, romana sfugge a ogni ornamento e sembra derivare dalla
statuaria. Le figure de’ profeti, di prospetto ravvolti nel manto, col
libro o col rotolo in mano, sembrano vere e proprie riproduzioni di
statue (... ). Ben piantate sopra un piano prospettico, che ritrae la
base, variano l’atteggiamento delle mani e il giro del manto con gesti
che si hanno tutti nelle statue antiche. Le loro teste sono ben mosse
sui forti colli. Le pieghe, stupendamente ombreggiate, a varie grada-
zioni di toni, rivelano le forme, che ravvolgono con esattezza.”.
“Ben altri metodi e ideali d’arte dimostrano le due file (...) delle
Vergini e dei Martiri. Ogni amore per la forma sembra attutito dinanzi
alla preoccupazione dell’effetto decorativo. Le figure si succedono
senza varietà, come se fossero levate dallo stesso stampo. (...) Le mani
[dei martiri] sono tutte uguali; i piedi grevi, pesanti, talora deformi. Le
teste, mal costrutte, sono coperte di capelli che sembrano sottili
calotte. Le carni non hanno varietà cromatica (...).
Diverso effetto fanno certo le opposte Vergini, ma non perché le forme
siano migliori. Sorprendono, abbagliano per lo splendore delle stoffe
aurate e fiorate, dei diademi, dei monili, dei cinti, tutti fregiati d’oro e
di gemme. (...)
Ma è bellezza quasi unicamente decorativa, non di forma. Si direbbe
che, come gli artisti italici sentivano per le loro figure l’influenza della
severa scoltura classica, i bizantini sentissero invece quella delle sma-
glianti stoffe orientali.”.
“Conviene però riconoscere che se, come disegno e, a cosı̀ dire, nella
sostanza, il musaico di tradizione romana è più solido e bello, quello
bizantino, con l’esaltazione d’un lusso sfrenato, è più fastoso e quindi
più decorativo.”14.
14
Ricci, Ravenna, citazioni dalle pp. 18-20.
PRIMI STUDI IN ITALIA
15
J. J. Tikkanen, “Le rappresentazioni della Genesi in S. Marco a Venezia e loro
relazione con la Bibbia Cottoniana”, Archivio storico dell’arte 1 (1888), pp. 212-23, 257-67,
348-63; cf. id., Die Genesismosaiken von S. Marco in Venedig und ihr Verhältnis zu den
Miniaturen der Cottonbibel nebst einer Untersuchung über den Ursprung der mittelalterlichen
Genesisdarstellung besonders in der byzantinischen und italienischen Kunst (Helsingfors, 1889).
H. Graeven, “Il Rotulo di Giosué”, L’Arte 1 (1898), pp. 221-230; id., “Adamo ed Eva nei
cofanetti d’avorio bizantini”, L’Arte 2 (1899), pp. 297-315; cf. “Antike Vorlagen byzantini-
scher Elfenbeinreliefs”, Jahrbuch der königlichen preussischen Kunstsammlungen 18 (1897), pp.
3-23. Sull’Archivio storico dell’arte e L’arte vedi G. Agosti, La nascita della storia dell’arte in
Italia. Adolfo Venturi: dal museo all’università 1880 – 1940 (Venezia, 1996), pp. 75-79 e
140-143. Notizie sui primi studiosi di arte italiani degli inizi del secolo si trovano in
Pittaluga, “Arte e studi in Italia nel ‘900”, e in L. Venturi, “Gli studi di storia dell’arte
medievale e moderna”, in Cinquant’anni di vita intellettuale italiana 1896-1946. Scritti in onore
di Benedetto Croce per il suo ottantesimo anniversario, a cura di C. Antoni e R. Mattioli
(Napoli, 1950), 2, pp. 175-189. Quanto agli studi sull’arte in Italia visti dall’estero, Diehl
nel 1905 (“Les études byzantines en 1905”, in C. D., Études byzantines. Introduction a
l’histoire de Byzance. Les études d’histoire byzantine en 1905. La civilisation byzantine. L’empire
grec sous les Paléologues. Les mosaı̈ques de Nicée, Saint-Luc, Kahrié-Djami, etc. [Paris, 1905],
pp. 38-106) menziona solo Venturi e Rivoira. Una sintesi degli studi stranieri e italiani di
inizio Novecento è in Nicco, “Ravenna e i principi compositivi dell’arte bizantina”, pp.
195-203. Per lo studio delle antichità cristiane vedi G. Wataghin Cantino, “Roma sotterra-
nea. Appunti sulle origini dell’archeologia cristiana”, Ricerche di storia dell’arte 10 (1980),
pp. 5-14; R. Giordani, “Lo studio dell’antichità cristiana nell’Ottocento”, in Lo studio storico
del mondo antico nella cultura italiana dell’Ottocento, Acquasparta, Palazzo Cesi, 30 maggio –
1˚ giugno 1988, a cura di L. Polverini (Napoli, 1993), pp. 335-358.
16
Di Muñoz vedi: “Descrizioni di opere d’arte in un poeta bizantino del secolo XIV
(Manuel Philes)”, Repertorium für Kunstwissenschaft 27 (1904), pp. 390-400; I codici greci
miniati delle minori biblioteche di Roma (Firenze, 1905); “I musaici di Kahriè Giami”,
Rassegna Italiana, marzo 1906; Il codice purpureo di Rossano e il frammento Sinopense (Roma,
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
1907); “Nella Biblioteca del Seraglio a Costantinopoli”, Nuova antologia 130 (1907), pp.
314-320; Le icone bizantine già nel Museo Cristiano della Biblioteca Vaticana (Roma, 1924);
“Alcuni dipinti bizantini di Firenze”, Rivista d’arte 6 (1907), pp. 113-120; “Alcune
osservazioni intorno al Rotulo di Giosuè e agli Ottateuchi illustrati”, Byzantion 1 (1924),
pp. 475-483. Quanto agli Ottateuchi Strzygowski aveva pubblicato uno studio su alcuni
Ottateuchi bizantini, tra i quali il codice 8 della Biblioteca del Serraglio presentato da
Muñoz (J. Strzygowski, Der Bilderkreis des griechischen Physiologus, des Kosmas Indicopleustes
und Oktateuch nach Handschriften der Bibliothek zu Smyrna [Byzantiniches Archiv, Heft 2.
Leipzig, 1899]) e pubblicato poi da F. Uspenskii (Konstantinopolskii Seral’skii kodeks
Vos’mikniziia (L’Octateuque de la Bibliothèque du Sérail à Constantinople) [Izvestiia Russkago
Arkheologicheskago Instituta v Konstantinopolie / Bulletin de l’Institut archéologique russe à
Constantinople, 12 1907], Sofia, 1907; Al’bom, Munich, 1907). Quanto al Rossanense erano
usciti O. von Gebhardt e A. Harnack, Evangeliorum Codex Graecus Purpureus Rossanensis
(Leipzig, 1880) e A. Haseloff, Codex Purpureus Rossanensis. Die Miniaturen der griechischen
Evangelien-Handschrift in Rossano (Berlin – Leipzig, 1898): Muñoz sottolinea inesattezze e
deficienze nelle tavole di entrambe le edizioni. La notizia del tentativo di vendita dell’evan-
geliario purpureo da parte dei canonici di Rossano Calabro è data in Archivio storico dell’arte
2 (1889), pp. 93-94.
17
A. Venturi, Storia dell’arte italiana, 11 voll. (Milano, 1901-1940); vol. 1, Dai primordi
dell’arte cristiana al tempo di Giustiniano (1901); vol. 2, Dall’arte barbarica alla romanica
(1902).
18
Cosı̀ nella commemorazione del 4 maggio 1942 al Reale Istituto d’Archeologia e Storia
dell’Arte: P. Toesca, Adolfo Venturi, commemorazione tenuta il 4 maggio 1942-XX al Reale
Istituto d’Archeologia e Storia dell’Arte (Roma, 1942-XX), p. 14. Invece, nella commemo-
razione di Venturi apparsa in Le arti, a proposito della Storia dell’arte italiana, Toesca scrive
soltanto (p. 311): “Superate le origini del Medioevo, in cui pure ricercò problemi fra le
tenebre dell’arte barbarica, riaffermando la sua convinzione nel sopravvivere dell’arte
discesa da Roma; quando fu giunto nell’età romanica al definirsi di un’arte italiana (...)”;
id., “Adolfo Venturi”, Le arti 3 (1940-1941), pp. 309-312.
PRIMI STUDI IN ITALIA
19
J. J. Tikkanen, Die Psalterillustration im Mittelalter (Helsingfors, 1903).
20
I giudizi dalla Storia dell’arte italiana di Venturi riportati nel testo sono dal vol. 1, pp.
309-328, 340-344, 379, e dal vol. 2, pp. 478-485.
PARTE I: L’OTTOCENTO, D’ANNUNZIO, TEODORA E BASILIOLA
21
A. Muñoz, L’Art Byzantin à l’exposition de Grottaferrata (Roma, 1906).
22
Il Rotulo di Giosué, a cura di P. Franchi de’ Cavalieri (Codices e Vaticanis selecti, 5.
Milano, 1905); Il Menologio di Basilio II (cod. vat. gr. 1613) (Codices e Vaticanis selecti
phototypice expressi, 8. Torino, 1907); C. Stornajolo, Le miniature della Topografia Cristiana
di Cosma Indicopleuste. Codice Vaticano Greco 699 (Codices e Vaticanis selecti phototypice
expressi, 10. Milano, 1908); C. Stornajolo, Miniature delle Omilie di Giacomo Monaco (Cod.
Vatic. Gr. 1162) e dell’Evangeliario Greco Urbinate (Cod. Vatic. Urbin. Gr. 2) (Codices e
Vaticanis selecti phototypice expressi, Series Minor, 1. Roma, 1910); B. D. Filow, Les
miniatures de la Chronique de Manassès à la Bibliothèque du Vatican (cod. Vat. Slav. II)
(Codices e Vaticanis selecti, 17. Sofia, 1927). Homeri Iliadis pictae fragmenta ambrosiana
phototypice edita, a cura di A. M. Ceriani e A. Ratti (Milano, 1905).
PARTE II
1
W. Kandinsky, Über das Geistige in der Kunst (München, 1912); traduzione italiana,
Della spiritualità nell’arte particolarmente nella pittura, prima versione italiana a cura di G. A.
Colonna di Cesarò (Roma, 1940), pp. 107-108 e tavv. 2 e 6. W. Kandinsky e F. Marc, Der
blaue Reiter (München, 1912), traduzione italiana, Il Cavaliere azzurro (Bari, 1967), p. 36.
L’APOGEO DI BISANZIO E L’ASSALTO ALL’ARTE ITALIANA
delle stazioni della Via Crucis ed altre dieci scene della vita di Gesù,
un Pantocrator con una teoria di santi e sante alternati alla maniera
di Sant’Apollinare di Ravenna nell’abside, scene della vita di San-
t’Andrea nell’arco trionfale, altre storie della Vergine e Santi nelle
cappelle (fig. 58)2.
Ai pionieri della bizantinistica ottocentesca successe una genera-
zione folta di studiosi, che si ramificò nei paesi europei e in America.
L’indagine delle radici ellenistiche e della continuità o delle rina-
scenze classiche dell’arte bizantina fu al centro degli studi in Francia
(Diehl), Russia (Dimitri V. Ainalov, scolaro di Kondakov), Austria e
Germania (Franz Wickhoff, Adolf Goldschmidt, Kurt Weitzmann),
dove i corsi di arte bizantina erano accoppiati nel curriculum studen-
tesco agli studi sull’archeologia classica. A Monaco fu fondata nel
1892 la Byzantinische Zeitschrift, la prima rivista di bizantinistica,
seguita in Russia da Vizantjskij Vremennik nel 1894 e a Bruxelles da
Byzantion nel 1925. L’impostazione filologica e archeologica germa-
nica improntò, come caratteristica costitutiva, la bizantinistica ameri-
cana (Howard Crosby Butler, Earl Baldwin Smith, Charles R. Mo-
rey, Albert M. Friend Jr) che si adoperò in questo periodo
soprattutto nella ricerca delle origini dell’arte bizantina in Siria, Asia
Minore e Alessandria. Quasi sempre, comunque, l’interesse si con-
centrò sui secoli formativi dell’arte bizantina, per la loro prossimità
con il mondo classico, o sul regno della dinastia macedone (IX-XI
2
R. Fry, “Modern Mosaic and Mr. Boris Anrep”, The Burlington Magazine 42 (1923),
pp. 272-278. W. R. Lethaby, “Byzantine Art”, in Enciclopædia Britannica (Cambridge,
191011), pp. 906-911. Sui rapporti tra artisti moderni e arte bizantina vedi C. Greenberg,
“Byzantine Parallels”, in C. G., Art and Culture: Critical Essays (Boston, 1965), pp. 169-171
(traduzione italiana Arte e cultura. Saggi critici [Torino, 1991], pp. 165-167). L’apprezza-
mento dell’arte bizantina in Francia, Inghilterra e Stati Uniti è sintetizzato in Rice, The
Appreciation of Byzantine Art, cap. 2, pp. 20-42, dal quale è presa la definizione di Santa
Sofia di Morris; J. B. Bullen, “Byzantinism and Modernism 1900-1914”, The Burlington
Magazine n 141, novembre 1999, pp. 665-675. Sulla fortuna di Bisanzio, la formazione
delle collezioni di oggetti e l’inizio degli studi di bizantinistica negli Stati Uniti vedi K.
Weitzmann, “Byzantine Art and Scholarship in America”, American Journal of Archaeology
51 (1947), pp. 394-418. Delle chiese di Washington, il progetto del National Shrine of the
Immaculate Conception (la cattedrale cattolica di America) risale al 1919, la chiesa di San
Matteo Apostolo fu consacrata nel 1913, la chiesa ortodossa di Haghia Sophia riproduce la
struttura ed i mosaici di San Marco di Venezia; agli esempi di questo revival neomedievale
va aggiunto il Monastero Francescano a Washington con decorazioni musive e repliche di
catacombe di Roma. Per Carlo Wostry: A. B., “Affermazioni italiane in America”, La
Rivista illustrata del “Popolo d’Italia” 14 n 3 (marzo 1936), pp. 33-35. Modelli di architet-
tura e decorazione bizantina in senso lato si trovano utilizzati in Italia, ad esempio, per
chiese ortodosse, come la chiesa russa di Firenze del 1902: G. Gobbi, Itinerario di Firenze
moderna. Architettura 1860-1975 (Firenze, 1976), p. 32.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
3
S. Bettini, La pittura bizantina, 1 (Firenze, 1937-XV); 2, I mosaici, 2 voll. (Firenze,
1939-XVII); id., La scultura bizantina, 2 voll. (Firenze, 1944). O. M. Dalton, Byzantine Art
and Archaeology (Oxford, 1911); id., East Christian Art (Oxford, 1925). C. Diehl, Manuel
d’art byzantine, 2 voll. (Paris, 1910; seconda edizione 1926); id., L’art chrétien primitif et l’art
byzantin (Paris e Brussels, 1928). H. Peirce e R. Tyler, Byzantine Art (London, 1926). J.
Ebersolt, La miniature byzantine (Paris – Brussels, 1926). A. Goldschmidt e K. Weitzmann,
Die byzantinischen Elfenbeinskulpturen des X.-XIII. Jahrhunderts, 1, Kästen, 2, Reliefs (Berlin,
1930 e 1934). G. Millet, Recherches sur l’iconographie de l’Évangile au XIVe, XVe et XVIe
siècles (Paris, 1916). P. Muratov, La pittura russa antica (Praga – Roma, 1925); id., La
pittura bizantina (Roma, 1928). K. Weitzmann, Die byzantinische Buchmalerei des 9. und 10.
Jahrhunderts (Berlin, 1935). O. Wulff, Altchristliche und Byzantinische Kunst, 1, Die altchristli-
che Kunst von ihren Anfängen bis zur Mitte des ersten Jahrtausends, 2, Die byzantinische Kunst
(Berlin – Neubabelsberg, 1914 e 1918); id., Die Byzantinische Kunst von der ersten Blüte bis
zu ihrem Ausgang: Handbuch der Kunstwissenschaft, a cura di F. Berger e A. E. Brinckmann
(Potsdam, 1924).
4
Ojetti, tuttavia, riconobbe il debito verso Bisanzio dell’arte italiana nella prefazione al
catalogo della mostra parigina di arte italiana da Cimabue a Tiepolo del 1925: U. Ojetti,
“Préface”, in Exposition de l’art italien de Cimabue a Tiepolo, Paris, Petit Palais, 1935,
L’APOGEO DI BISANZIO E L’ASSALTO ALL’ARTE ITALIANA
‘‘Et la basilique de Saint-Marc, voilà qui m’a changé des froids églises
italiennes de la Renaissance, et surtout de cette cathédrale de Milano,
dont les Italiens sont si fiers, avec son toit en dentelle de marbre, des
bêtises, quoi! ... A Saint-Marc, et des l’entrée, on sent qu’on est dans
un véritable temple: cet air doux et tamisé, et ces magnifiques mosaı̈-
ques, ce grand Christ byzantin, avec un cerné gris! Impossible de
soupçonner, lorsqu’on n’est pas entré dans Saint-Marc, combien c’est
beau, les piliers lourds, les colonnes sans moulures! ...’’.
6
M. Denis, “Notes sur la peinture religieuse”, in Théories 1890-1910 (Paris, 1920), p. 37.
7
G. Duthuit, Byzance et l’art du XIIe siècle (Paris, 1926), p. 13; la citazione di Renoir,
ripresa da A. Vollard, La vie et l’œuvre de Pierre-Auguste Renoir (Paris, 1919), è alla nota 3 p.
104. Di Strzygowski Duthuit parla alle pp. 37 sgg.
L’APOGEO DI BISANZIO E L’ASSALTO ALL’ARTE ITALIANA
8
Cf. A. Clutton-Brock, “The ‘Primitive’ Tendency in Modern Art”, The Burlington
Magazine 19 (1911), pp. 226-228.
9
H. Bouchot, Les primitifs français (1252-1500). Complément documentaire au catalogue
officiel de l’exposition (Paris, 1904); i passi completi (pp. 9, 37-38, 41, 65 rispettivamente)
recitano:
“Les Italiens avaient sous les yeux les redites grecques ou romaines rencontrées partout;
les Français n’avaient que la nature naı̈ve et sincère, et s’ingéniaient à l’imiter de leur
mieux.” “Aussi tandis que les peuples de l’Italie, qui demeuraient soumis à la tradition
antique déformée et abı̂mée, se confinent dans la copie plus au moins adroite de néo-grecs
de Byzance, et, de décadence en décadence, aboutissent à Cimabué, les barbares du Nord,
livrés à eoux-mêmes, se cherchent un canon particulier, et prennent un rang individuel et
original.” “Dès avant Cimabué dont les vierges exclusivement orientales, figées et sans
grâce, n’ont d’étonnant que leur conservation, les vieux Français cherchent l’expression de
nature, la vérité.” “[A confronto con] les attitudes mornes, rigides, sans âme, le vieux
Français a voulu exprimer la vie; il a réellement trouvé la note sublime dans un geste, un
imple mouvement d’un naturalisme exquis.”. Cf. E. Castelnuovo, “«Primitifs» e «fin de
siècle»”, in Storia dell’arte e politica culturale intorno al 1900. La fondazione dell’Istituto
Germanico di Storia dell’Arte di Firenze. Per i cento anni dalla fondazione del Kunsthistorisches
Institut in Florenz, Convegno Internazionale, Firenze, 21-24 maggio 1997, a cura di M.
Seidel (Padova, 1999), p. 49.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
‘‘Sur une croix chaque émail et, dans chaque émail chaque surface
cloisonnée ont été sentis et éprouvés à l’échelle de l’œuvre qui les
reçoit. Si elles peuvent encore rappeler la neige d’une robe de colombe
ou l’incarnat d’une joue d’archange, les teintes ne s’en apparient par
moins aux harmonies voisines, assez hardiment transposées pour qu’il
n’y ait dans cette union trace de mésalliance; pour qui cesse de scruter
les médaillons en archéologue, comme on trie des lentilles, les verts,
les rouges, les bleus, les bruns et les roses se délestent de leur fonction
narrative et composent avec les bras d’or, tojours comme chez Ma-
tisse, une «orchestration colorée». Cet timbres des émail enfin ne sont
eux-mëmes qu’un accord dans les chœur liturgique, édifice, iconogra-
phie, costumes, ciboire, lampadaires, etc., et figures enfin de la danse
solennelle’’10.
Ancora nel 1950, gli storici dell’arte italiani non avevano perdo-
nato questi giudizi a Duthuit: nella recensione a Les Fauves, Roberto
Longhi disse che Duthuit ‘‘giace sui vecchi testi fondamentali della
sua cultura, un generico orientalismo, uno specifico bizantinismo
rutilante nel quale è versatissimo’’; del museo immaginario di Du-
thuit resterebbe fuori tutto l’Occidente artistico e, come principale
responsabile, l’Italia11.
Matisse, è noto, si interessò a Bisanzio soprattutto stimolato dalla
amicizia con Prichard e con Thomas B. Whittemore, che stava
riportando alla luce i mosaici di Santa Sofia a Istanbul. Nell’autunno
1911 Matisse visitò la Russia su invito del mercante d’arte e suo
collezionista Sergej Sciukin; entusiasta delle icone russe, le descrisse
come le opere d’arte dove più è rivelato il sentimento mistico, ‘‘uno
dei più interessanti campioni della pittura primitiva’’: ‘‘Da nessuna
parte mai ho visto una tale ricchezza, una tale purezza di colori, una
tale spontaneità di rappresentazione’’:
10
G. Duthuit, Les Fauves. Braque Derain Van Dongen Dufy Friesz Manguin Marquet
Matisse Puy Vlaminck (Genève, 1949), p. 211 (citato anche in Matisse. “La révélation m’est
venue de l’Orient”, Roma, Musei Capitolini, Palazzo dei Conservatori, 20 settembre 1997 –
20 gennaio 1998, catalogo della mostra, a cura di C. Duthuit, A. Kostenevich, R. Labrusse,
J. Leymarie [Firenze, 1997], p. 108 n 6).
11
La recensione di Longhi apparve su Paragone 1 (1950), pp. 63-64.
L’APOGEO DI BISANZIO E L’ASSALTO ALL’ARTE ITALIANA
12
Il lungo rapporto tra Matisse e l’arte dell’Oriente è ricostruito in A. Kostenevich, “Un
dialogo lungo mezzo secolo: incontri con l’Oriente”, in Matisse. “La révélation m’est venue de
l’Orient”, pp. 23-79; e, nello stesso catalogo G. Duthuit, “Matisse e lo spazio bizantino”,
pp. 322-335. Inoltre: A. Chastel, L’Italie et Byzance, a cura di C. Lorgues-Lapouge (Paris,
1999), pp. 10-12 sulla Bisanzio di Duthuit e Matisse; P. Schneider, Matisse (Paris, 1984;
traduzione italiana, Milano, 1985), pp. 14-25, 155-185; A. G. Kostenevich e N. Semio-
nova, Matisse v Rossii (Moskva, 1993), traduzione francese Matisse et la Russie (Parigi,
1993). Da quest’ultimo, pp. 25-26, è la citazione di Matisse nel testo, tratta da una
intervista al pittore del corrispondente di Rousskié viédomosti, del 27 ottobre 1911.
13
Su Strzygowki vedi: F. W. F. von Bissing, Kunstforschung oder Kunstwissenschaft? Eine
Auseinandersetzung mit der Arbeitweise Josef Strzygowskis, 2 voll. (München, 1950-1951); H.
J. Spross, “Die Naturauffassung bei Alois Riegl und Josef Strzygowski”, Diss., Saarbrücken,
Universität des Saarlandes, Philosophische Fakultät, 1989, pp. 173-189. Il profilo dato nel
testo dipende ampiamente da: A. Kingsley Porter, “Strzygowski in English”, The Arts 7
(1925), pp. 139-140; E. Strong, “L’art romain et ses critiques”, Formes n 8, ottobre 1930,
pp. 2-4; M. S. Dimand, “In memoriam Josef Strzygowski (1862-1941)” Ars Islamica 7
(1940); E. E. Herzfeld, W. R. W. Koehler e C. R. Morey, “Josef Strzygowski”, Speculum 17
(1942), pp. 460-461.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
14
J. Strzygowski, “Die Monatscyclen in der byzantinischen Kunst”, Repertorium für
Kunstwissenschaft 11 (1888), pp. 23-46; Der Calenderbilder des Chronographia vom Jahre 354
(Berlin, 1888); Der Bilderkreis des griechischen Physiologus, des Kosmas Indicopleustes und
Oktateuch nach Handschriften der Bibliothek zu Smyrna (Byzantiniches Archiv, 2. Leipzig,
1899), seguito poco dopo da “Der illustrierte Physiologus in Smyrna, Byzantinische Zeit-
schrift 10 (1901), pp. 218-222; “Eine trapezuntische Bilderhandschrift vom Jahre 1346”,
Repertorium für Kunstwissenschaft 13 (1890), pp. 241-63. Gli interessi di Strzygowski per gli
influssi dell’arte bizantina su altre culture lo portarono a pubblicare nel 1906 Die Miniaturen
des serbischen Psalters der Königl. Hof- und Staatsbibliothek in München nach einer belgrader
Kopie ergänzt und im Zusammenhange mit der syrische Bilderredaktion des Psalters untersucht
(Denkschriften der Kaiserlichen Akademie der Wissenschaften in Wien. Philosophisch-
historische Klasse, 52. Wien, 1906).
L’APOGEO DI BISANZIO E L’ASSALTO ALL’ARTE ITALIANA
15
W. Rittel von Hartel e F. Wickhoff, Die Wiener Genesis (Prag – Wien – Leipzig, 1895).
J. Strzygowski, Orient oder Rom. Beiträge zur Geschichte der spätantiken und frühchristlichen
Kunst (Lepzig, 1901), introduzione pp. 1-10; Ursprung der christlichen Kirchenkunst. Neue
Tatsachen und Grundsätze der Kunstforschung (Leipzig, 1920), pp. 4 sgg. La definizione di
Strzygowski come il più profetico archeologo ed altre espressioni nel capoverso sono da
Kingsley Porter, “Strzygowski in English”, pp. 139-140.
16
Per le opere di Strzygowski vedi in bibliografia. Quanto alla dottrina del ‘ritorno al
Nord’ vedi la lettera di Strzygowski a Focillon del 1932 e la risposta di Focillon a
Strzygowski del 1934 entrambe pubblicate in Civilisations. Orient – Occident. Génie du Nord
– Latinité. Lettres de Henri Focillon, Gilbert Murray – Josef Strzygowski – Robindranath Tagore
(Société des Nations, Institut International de Coopération Intellectuelle, 1935).
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
‘‘This Attila of art history seems to have had in his last thirty years of
his life the same bitter hatred of all that Mediterranean civilization
implies which inspired the Hunnish barbarian whom his Christian
contemporaries called ‘the scourge of God’. He ended by persuading
his followers that nothing good could come from the Aegean and from
the South. Only in the North was there art, and that art was Aryan and
Germanic, owing nothing to races tainted with Negroid blood as were
Greeks and Semites. So with Professor Strzygowski racialism began to
preach its anti-humanistic Gospel, long before the word ’Nazism’ was
as much as imagined, and while its chiefs were still children’’17.
17
B. Berenson, Aestethics, Ethics and History in the Arts of Visual Representation (London,
1948), introduzione datata 1941, pp. 25-26; qui sotto la traduzione italiana:
“Questo Attila della storia dell’arte sembra aver avuto negli ultimi trenta anni della sua
vita lo stesso odio amaro di tutto ciò che la civiltà mediterranea implica che ispirò il barbaro
unno che i suoi contemporanei chiamarono ‘il flagello di Dio’. Egli finı̀ col persuadere i suoi
seguaci che niente di buono poteva giungere dall’Egeo e dal Sud. Solamente nel Nord c’era
arte, e quell’arte era ariana e germanica, senza debiti a razze contaminate con sangue
negroide, come i Greci e i Semiti. Cosı̀, col professor Strzygowski il razzismo cominciò a
predicare il suo vangelo antiumanistico, molto prima che la parola ‘Nazismo’ fosse nem-
meno immaginata, e mentre i suoi capi erano ancora bambini.”
L’APOGEO DI BISANZIO E L’ASSALTO ALL’ARTE ITALIANA
18
G. Galassi, “Scultura romana e bizantina a Ravenna”, L’arte 18 (1915), p. 29. Sul ‘Los
von Rom’ e le apprensioni che suscitava vedi S. Muratori, “Il «Los von Rom» e l’arte
bizantina”, Felix Ravenna, n. s., 3, gennaio-aprile 1932, pp. 44-49. A. Colasanti, L’arte
bizantina in Italia, prefazione di C. Ricci (Milano, 1912). Un riassunto della questione
Strzygowski si trova in C. Cecchelli, “Le varie teorie sulle origini dell’arte bizantina”, 1,
“Oriente o Roma?”, 2, “Oriente, o Bisanzio?”, in Corsi di Cultura sull’Arte Ravennate e
Bizantina, Università degli Studi di Bologna, Ravenna, 31 marzo – 13 aprile 1957 (Ra-
venna, 1957), pp. 51-52, 53-55.
19
S. Slataper, “Quando Roma era bizantina”, La Voce 3 (1911), pp. 552-553, ristampato
in S. S., Scritti letterari e critici raccolti da G. Stuparich (Roma, 1920), pp. 158-171 e in
particolare la testimonianza riportata alle pp. 161-162:
“Oggi [1910] si accenna spesso con ammirazione e invidia all’epoca bizantina. Par epoca
d’arte, di passione, di libertà, di ricchezza, di spensieratezza in contrapposto storico alla
nostra che si raccoglie severamente per povertà, ed è critica, frigida, logica, vigile, bronto-
lona. Dicono. E si sdraiano sul deserto divano e sognano: – Cavalcavano allora! Uno se
n’andava per diporto al mare; c’era il plenilunio; montava in barca ed eccolo, senza neanche
una camicia di ricambio, in Sardegna. E s’amava! il braccio sinistro intorno alla colma Lalla
agreste, l’altro fra i capelli o sotto le gonne della nobildonna romana Livia. E intanto, agli
scocchi dei raddoppiati baci, si poetava. Si beveva vino rosso, e non caffè. Sommaruga
pagava. Eran tempi di Saturno, di Venere e di Plutone.”.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
20
G. Piantoni, “Nell’ideale città dell’arte”, in Roma 1911, Roma, Galleria d’Arte Mo-
derna, Valle Giulia, 4 giugno – 15 luglio 1980, catalogo della mostra, a cura di G. P.
(Roma, 1980), pp. 77, 80-81.
21
U. Boccioni, “Per l’ignoranza italiana. Sillabario pittorico”, Lacerba 1 (1913), p. 179.
L’APOGEO DI BISANZIO E L’ASSALTO ALL’ARTE ITALIANA
22
G. Galassi, “Dall’antico Egitto ai Bassi Tempi (A proposito di un monumento artistico
del sec. VI)”, L’Arte 18 (1915), pp. 286-295, 321-342; le citazioni sono da pp. 286-288; la
testa di Teodora a Milano è descritta a p. 289 e riprodotta alla fig. 5. Galassi aveva
pubblicato sullo stesso fascicolo de L’arte “Scultura romana e bizantina a Ravenna”, pp.
29-57. Per la testa del Castello Sforzesco vedi ora Age of Spirituality: Late Antique and Early
Christian Art, Third to Seventh Century, New York, Metropolitan Museum of Art, Novembre
1977 – Febbraio 1978, catalogo della mostra, a cura di K. Weitzmann (New York, 1979), n
27 p. 33.
6
1
Per la sentenza sugli iconografi non storici dell’arte vedi R. Longhi, Recensione a A.
Muñoz, “La scultura barocca a Roma: Iconografia – Rapporti col teatro”, Rassegna d’Arte,
ottobre 1916, L’Arte 1917, pp. 60-61. Per la critica di Croce alle interpretazioni contenuti-
stiche degli storici dell’arte vedi, ad esempio, La critica e la storia delle arti figurative.
Questioni di metodo (Bari, 1934), p. 8.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
‘‘Anzi, spesso odiano l’arte, stanchi, ché nessuno ha mai detto loro che
una poesia o un quadro sono individui vivi, prossimo loro, spirito del
loro spirito. L’arte è tutt’al più un documento, e i documenti sono
un’opportuna materia di tesi. Testi senza errori, bibliografie senza
lacune, monografie senza divagazioni: ecco le norme. (...) L’università
italiana è oggi una colonia tedesca.’’2.
2
U. Ojetti, L’Italia e la civiltà tedesca (Milano, 1915); i brani riportati sono alle pp. 5 e
25.
3
Su Paquali e De Sanctis vedi G. Mastromarco, “Il neutralismo di Pasquali e De
Sanctis”, in Matrici culturali del fascismo (Bari, 1977), pp. 125-141. Sulle posizioni degli
intellettuali, soprattutto degli antichisti, negli anni prima e durante la grande guerra e nel
periodo del fascismo: M. Pavan, “Gli antichisti e l’intervento dell’Italia nella prima guerra
mondiale”, Rassegna Storica del Risorgimento 51 (1964), pp. 71-78; L. Canfora, “Classicismo
e fascismo”, in Matrici culturali del fascismo, pp. 85-111; M. Cagnetta, Antichisti e impero
fascista (Bari, 1979). Un’altra reazione alla filologia germanica nella critica d’arte è in P.
Mastri, “Le due critiche”, Il Marzocco 1, n 14 (3 maggio 1896), p. 1, citato da E. Garin, La
cultura italiana tra ‘800 e ‘900 (Bari, 1962):
“La vera indiscutibile superiorità della critica soggettiva [sulla critica oggettiva o storica] è
data da un’altra differenza anche più sostanziale – questa: che essa è immensamente più
sincera, quindi più sicura. Il critico che si limita a descrivere se stesso in contatto con
l’opera d’arte è molto meno soggetto ad errori, per la ragione che noi siamo molto più sicuri
delle nostre impressioni che non dei nostri giudizi.”.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
4
A. Soffici, “Relativismo e politica”, Gerarchia 1 n 1 (1922), p. 29. Per il giudizio di
Croce su Soffici, vedi La critica e la storia delle arti figurative, pp. 164-166.
5
A. Maraini, “Influenze straniere sull’arte italiana d’oggi”, Bollettino d’Arte del Ministero
della Pubblica Istruzione 1 (1921-1922), pp. 511-527. Della relativamente ricca bibliografia
su questo periodo artistico vedi: C. Maltese, Storia dell’arte in Italia 1785-1943 (Torino,
1960), Parte III, pp. 319 sgg. ; R. Bossaglia, Il Novecento Italiano. Storia, documenti,
iconografia (Milano, 1979. 2a ediz., Milano, 1995); P. Fossati, “Pittura e scultura fra le due
guerre”, in Storia dell’arte italiana, Parte seconda, Dal Medioevo al Novecento, 3, Il Novecento
(Torino, 1979), pp. 173-259 e “Intorno al 1920”, Prospettiva nn 57-60 (aprile 1989 –
ottobre 1990), pp. 468-484; i saggi che accompagnano il catalogo della mostra Il futuro alle
spalle. Italia Francia – L’arte tra le due guerre, Roma, Palazzo delle Esposizioni, 22 aprile – 22
giugno 1998, a cura di Federica Pirani (Roma, 1998) e in particolare M. G. Messina,
“Valori plastici, il confronto con la Francia e la questione dell’arcaismo nel primo dopo-
guerra”, pp. 19-25; inoltre: G. Armellini, “Fascismo e pittura italiana. I: Carrà, Sironi,
Rosai”, Paragone 23, n 271 (settembre 1972), pp. 51-68; E. Pontiggia, “L’idea del classico.
Il dibattito sulla classicità tra pittori, critici e riviste”, in L’idea del classico 1916 – 1932,
Milano, Padiglione d’arte contemporanea, 8 ottobre – 31 dicembre 1992, catalogo della
mostra (Milano, 1992), pp. 9-43, spec. pp. 10-11; F. Tempesti, Arte dell’Italia fascista
(Milano, 1976), pp. 11-28. La citazione di Boccioni è da “Per l’ignoranza italiana.
Sillabario pittorico”, p. 179.
LA DIFESA DELL’ARTE PATRIA
che opinioni mal fondate trovano sempre grande seguito nella Bisanzio
moderna, per cui addimostrano soverchia ingenuità coloro che da noi
continuano a dare importanza a certi movimenti che colà sorgono
periodicamente per ragioni mercantili.’’6.
‘‘la Francia, custoditrice gelosa per tutto il XIX secolo della immortale
fiamma del genio latino, per non avere, come è detto, saputo poi
attenersi alla propria essenza spirituale, trovasi ad essere in piena
soggezione di una forza nemica. (...) Invasa da intere legioni di pittori
metechi-tedeschi, scandinavi, svizzeri, russi, polacchi, balcanici, ar-
meni, americani, giapponesi, affricani, in gran parte ebrei, dominata
dal ciarlatanismo universale, percorsa da tutte le correnti dell’errore
barbarico, come un paese di conquista fatto crogiolo per le esperienze
più stolide e disperate, essa non ci presenta ormai se non lo spettacolo
8
di una piena e totale decadenza creativa.’’ .
6
C. Carrà, “L’arte parigina. Rousseau, Matisse, Derain”, La ronda 1, n 7 (novembre
1919), p. 86. Vedi anche la lettera di Carrà a Soffici del 7 febbraio del 1918 (“La lettera che
ti avevo scritto voleva appunto affermare il nostro bisogno di italianità. Abbasso il cosmopo-
litismo artistico! abbasso il mal francioso! (...) Abbasso i giovani alla francese con tutte le
loro imbecillità provinciali!.”) e quella di Soffici a Carrà del 6 dicembre successivo (“La
Francia, incomprensibilmente per me, si comporta malissimo verso l’Italia (che l’ha salvata)
in questo momento. Avrai saputo qualcosa circa alle loro trame con i serbi per crearci dei
pasticci e darci dei gatti a pelare.”), pubblicate in C. Carra e A. Soffici, Lettere 1913 / 1929,
a cura di M. Carrà e V. Fagone (Milano, 1983), pp. 110 e 122 rispettivamente.
7
Corra elencò poi le dissolutezze di Parigi nella critica dei moralisti e ben pensanti e
passò alle lodi della città: B. Corra, Per l’arte nuova della nuova Italia (Milano, 1918),
citazione da p. 105. Tra i critici della Francia è anche A. Savinio, “Fini dell’arte”, Valori
plastici 1, nn 6-10 (giugno-ottobre 1919), pp. 17-21.
8
Soffici, Periplo dell’arte, pp. 27-33; brani nel testo da pp. 32-33.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
In Ritratto delle cose di Francia, del 1934, Soffici ripeté nei con-
fronti dei Francesi l’accusa di popolo bastardo (qui i metechi francesi
sono ‘‘l’ebreo levantino, il pellirossa, il cafro’’, oltre a vari popoli
europei); ossessionato dal dimostrare la decadenza morale dei Fran-
cesi dopo la guerra, Soffici li definı̀ freddi, crudeli, brutali, corrotti,
maneschi, crapuloni. Più capitoli sono dedicati agli omosessuali, alle
prostitute, ‘‘insensibili ed utilitaristiche’’, ed alle donne in genere,
che, perverse eroticamente, praticano il tribadismo, abusano di afro-
disiaci e stupefacenti; abbondano le coppie lesbiche, le eteromani, le
fumatrici d’oppio e la mangiatrici d’haschisch; le donne usano anche
la coca; mentre tra gli uomini ‘‘sono legione i pederasti, i sodomiti’’.
Un capitolo è poi dedicato alla ‘‘Trafila del meretricio’’, un altro allo
‘‘Sfruttamento del meretricio’’. In conclusione, ‘‘quel che di meglio
realizza l’arte francese non è una pura espressione del genio nazio-
nale, sibbene il riflesso, il prodotto dello studio (sagacissimo, intelli-
gentissimo, fecondissimo, invero) delle manifestazioni del genio stra-
niero’’, come si può vedere in David, Delacroix, Daumier, Cézanne,
Degas, Rodin, tutta gente d’ispirazione aliena e remota dalla naturale
francese (e tutti artisti non della generazione contemporanea)9.
9
A. Soffici, Ritratto delle cose di Francia (Roma, 1934-XII), p. 103:
“Al francese di Francia si mescola cosı̀ nel crogiuolo parigino, oltre che il russo, il
tedesco, l’inglese, l’italiano, lo spagnuolo, ecc., l’immigrato dall’estremo Oriente, dall’Ame-
rica del Nord e del Sud, dalla Patagonia, l’ebreo levantino, il pellirossa, il cafro, genı̀a
composita che l’ospite battezza col nome spregiativo di metechi senza peraltro evitarne la
contaminazione, e magari l’ascendente”. Le altre citazioni nel testo sono dalle pp. 11 e 93. I
capitoli “Trafila del meretricio” e “Sfruttamento del meretricio” sono alle pp. 67-71 e
72-78 rispettivamente.
10
M. Sarfatti, Dux (Milano, 1926). Sulla Sarfatti: R. Lambarelli, “Margherita Sarfatti e
la supremazia dell’arte italiana”, in Il futuro alle spalle, pp. 71-74; Da Boccioni a Sironi: il
mondo di Margherita Sarfatti, Brescia, Palazzo Martinengo, 13 luglio – 12 ottobre 1997,
catalogo della mostra, a cura di E. Pontiggia (Milano, 1997).
LA DIFESA DELL’ARTE PATRIA
11
Gli elenchi delle adesioni al Convegno di Bologna e al Manifesto crociano sono in E.
R. Papa, Storia di due manifesti. Il fascismo e la cultura italiana, con un saggio di F. Flora
(Milano, 1958), pp. 45-47 e 97, rispettivamente.
12
Marinetti et alii, Arte fascista. Elementi per la battaglia artistica (Torino [dopo il 1927]),
sopratutto pp. 13-15. Lo stesso scritto apparve col titolo “L’arte fascista sarà futurismo più
o meno audace”, L’arte fascista 2 (1927), pp. 5-6.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
‘‘La nostra alta cultura alla vigilia della guerra’’ – come documentato,
fu detto, da un libro memorabile di Romagnoli – ‘‘non è altro che un
pallido riflesso della «kultur» germanica, la quale era essenzialmente
nazionalistica e imperialistica e contribuı̀ non poco a stringere il
popolo tedesco intorno alle bandiere della Patria e a rafforzare in Italia
il movimento neutralista e germanofilo. (...) Bisogna dunque fascistiz-
zare la cultura, cioè nazionalizzarla, cioè sottrarla alle influenze e alle
14
sudditanze straniere.’’ .
13
Le frasi, due fra molte simili pubblicate in questo periodo, sono tratte da G. Manzella
Frontini, “L’arte fascista non sarà l’arte futurista”, L’arte fascista 1 (1926), pp. 116-117, e
C. Bonavia, “Padri del fascismo”, L’arte fascista 1 (1926), pp. 76-77.
14
Il telegramma di Mussolini, le adesioni, i resoconti dei discorsi e dei lavori del
convegno si trovano in forma estesa in Il Popolo d’Italia del 29 e 31 marzo e La Nazione del
2 aprile 1925.
LA DIFESA DELL’ARTE PATRIA
‘‘(...) Ma è proprio vero che traccia non vi sia di Fascismo nella vita
artistica nazionale? (...) Ma questo ritorno alla classicità questo sforzo
verso un linguaggio italiano, questa nausea della moda forestiera e
tutte le crisi che abbiamo visto vivere e gli esami di coscienza che
artisti maturi hanno compiuto strappandosi poi di dosso ricchissime
esperienze per ridursi poveri e semplici, non è questo Fascismo,
almeno Fascismo come noi lo intendiamo? Se non altro per la volontà
di essere italiani, esclusivamente italiani, a costo di apparire provin-
ciali, il che ieri era colpa da far arrossire una statua.’’16.
15
Cf. J. T. Schnapp, “Epic Demonstrations. Fascist Modernity and the 1932 Exhibition
of the Fascist Revolution”, in Fascism, Aesthetics, and Culture, a cura di R. J. Golsan
(Hanover, 1992), pp. 1-37.
16
Mostra del Novecento italiano (1923 – 1933), Milano, Palazzo della Permanente, 12
gennaio – 27 marzo 1983, Catalogo della mostra (Milano, 1983). B. Mussolini, Discorso
sul Novecento, in Il Popolo d’Italia, 16 febbraio 1926, p. 3 (“La Mostra del «Novecento
Italiano» inaugurata a Roma dall’on. Mussolini”).
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
17 2
A. Soffici, Periplo dell’arte. Richiamo all’ordine (Firenze, 1928-VII ), citazioni nel testo
dalle pp. v-vi, 151-154; i capitoli “Del colore” e “Arte fascista” sono alle pp. 211-218 e
237-245 rispettivamente; alcune pagine di “Arte fascista sono ristampate in P. Barocchi,
Storia moderna dell’arte in Italia. Manifesti polemiche documenti, 3/1, Dal Novecento ai dibattiti
sulla figura e sul monumentale 1925 – 1945 (Torino, 1990), pp. 26-29.
LA DIFESA DELL’ARTE PATRIA
18
B. Mussolini, “La luna crescente”, Gerarchia 1 (1922), p. 477 e 479: “Nemmeno il più
fantasioso ed estremista fra gli imperialisti greci può, ora [cioè dopo la presa di Smirne da
parte delle truppe kemaliste], pensare a un ritorno della Grecia a Smirne, o, come si
vagheggiava, a Costantinopoli. (...) Dietro la Russia dei Romanoff, affiorava Bisanzio – con
il caos, la crudeltà, il paradosso, gli squilibri, la rassegnazione di Bisanzio – dietro la Russia
di Oulianoff [Lenin], spunta la grinta senza baffi del capitano d’industria occidentale.”. La
via italiana a Oriente è auspicata, ad esempio, sullo stesso fascicolo di settembre di
Gerarchia da A. Signorelli, “La guerra nell’Asia Minore”, p. 488 e da F. Di Pretoro, “L’Asia
Minore e l’Italia attraverso la storia”, sul fascicolo di novembre della rivista, p. 613. Il
giudizio di Croce è dai Marginalia alla terza edizione di B. Croce, Teoria e storia della
storiografia (Bari, 1927), pp. 313-314: “Alla critica storica accade spesso d’apparire non
abbastanza amica del patriottismo o nazionalismo, e di ricevere però cattive accoglienze e
maltrattamenti. Per non andar lontano, se alcuno volesse provarsi oggi, in Italia, a
rammentare che la storia di Roma non è la storia d’Italia, che gl’italiani odierni non sono i
figli di Roma, che la Roma dell’Impero non può fungere da ideale di forza e di grandezza
perché rappresenta invece la lenta e indarno infrenata decadenza di una società e di un
organismo statale, e simili ovvie verità della critica storica, si sentirebbe subito attorniato e
avvolto da un coro musicale tutt’altro che di lieto suono.”.
19
Exhibition of Italian Art 1200-1900, London, Royal Academy of Arts, Burlington
House, Piccadilly, 1 gennaio – 8 marzo 1930, catalogo della mostra (London, 1930); F.
Haskell, “Botticelli, Fascism and Burlington House. The ‘Italian Exhibition’ of 1930”, The
Burlington Magazine 141 (1999), pp. 462-472.
20
Il primo numero di Documents. Doctrines Archéologie Beaux-arts Ethnographie uscı̀
nell’aprile 1929.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
21
La serie di articoli pubblicati sul Giornale d’Italia sono: G. Bellonci, “L’arte italiana
assalita e difesa”, 21 gennaio, p. 3, dal quale sono tratti i seguenti due brani:
“Uno storico inglese, pochi giorni innanzi che fosse aperta al pubblico la Mostra di
Londra, credette necessario ricordare ai suoi lettori che «la pittura non era un’arte perduta
prima del secolo XII» quando i toscani si vantarono d’averla riscoperta. E soggiunse le lodi
dell’arte bizantina, la forza della quale, egli diceva, dovrebbe essere compresa facilmente
«oggi che assistiamo a Parigi e altrove alla rinascita di un’arte non naturalista, di conven-
zione, e di origine senza dubbio orientale». E a Parigi, infatti, vede la luce da qualce mese
una rivistuola di archeologia e di arte – Les documents – che ha per direttori e collaboratori
tutti i più illustri studiosi dell’oriente bizantino, del mezzogiorno affricano, e di quanti altri
punti cardinali abbia l’arte non romana e non italiana antica e moderna. E questi uomini di
buona volontà, dallo Strzygowski al Contenau, dall’Einstein ai critici dell’impressionismo e
del postimpressionismo continuano concordi quella guerra a Roma e all’Italia che dura
ormai da alcuni decenni e che vorrebbe toglierci un primato riconosciutoci da molti secoli.
Alti, su le loro cattedre, vigilate dalla dea Scienza, gridano al mondo che i romani non
ebbero nessuna originalità, bensı̀ presero dai greci e poi dagli alessandrini e finalmente dai
popoli dell’Asia Minore, della Siria e della Mesopotamia tutte le loro diverse forme di
architettura scultura o pittura; che gli italiani del Medioevo furono gli allievi provinciali dei
bizantini dei barbari e poi dei «gotici» di Francia (...). Via via, cancellate dalla storia i
capitoli su l’arte romana e su l’arte italiana medievale e sostituiteli con altrettanti capitoli su
l’ellenismo, l’arte cristiana d’oriente, il bizantinismo, il gotico, e, se volete esser proprio
LA DIFESA DELL’ARTE PATRIA
‘‘C’è stata nel Giornale d’Italia, una serie di articoli in cui ero presen-
tato come un denigratore di Roma a beneficio di ... Bisanzio; e questa
campagna scientifica – di liberazione dallo straniero – ha trovato la sua
più alta espressione in un volume di un certo Galassi (Roma o Bisan-
zio) edito dalla ... Libreria dello Stato. Sarei forse già messo al confino
se ciò fosse in podestà di questi messeri che trascinano cosı̀ vilmente
gli studi nella politica, e a un certo punto sembrano far opera di agenti
provocatori. Per fortuna queste provocazioni, come i latrati dietro il
cancello, mi lasciano indifferente sebbene non favoriscano di certo il
mio desiderio di serenità. Né, d’altra parte, io posso entrare in polemi-
22
che con persone di mala fede e di nessuno studio.’’ .
precisi, gli stili sassanide copto mazdaista anticocroato (...). La piccola Armenia ebbe una
potenza di creazione artistica che Roma non ebbe.”. “L’arte «non naturalista, di conven-
zione, e di origine orientale», che fanno a Parigi, e che dovrebbe diventare, per forza di
moda, l’arte di tutto il mondo contemporaneo, ha una propria estetica, una propria critica,
una propria storia: se l’accettate dovete accettare anche le teorie del signor Strzygowski sui
romani antichi e su gli italiani del medioevo; e d’altra parte se riconoscete giuste queste
teorie dovete necessariamente dare alla Parigi dei nostri giorni la dignità di maestra. ” U.
Antonielli, “Dàlli all’arte italiana”, 24 gennaio, p. 3, dal quale è tratto il seguente brano:
“Dunque, lo strzygowskianismo è un male di più larga vibrazione. Quanto alla persona
dell’austriaco-slavo, o che so io, non preoccupiamoci, Roberto Paribeni, uno dei più
coraggiosi ... antimaniaci, con fine arguzia ha detto che c’è da sperare bene; siccome quel
signore in caccia del berceau sta da tempo compiendo un affannoso viaggio, dalla Siria alla
Persia, dall’Egitto alla Cappadocia, all’Armenia, all’altopiano del Tibet..., considerando la
longitudine del suo viaggio, c’è da sperare che attraverso altre terre estreme esso finisca per
ritornare nel nostro Occidente! Non è il messianico orientalista che ci fa paura; ma sono i
maniaci di casa che ci fanno pena, e non per le loro corporali figure, ma per quel che ne
risulta, chè più delittuoso «disfattismo» io non saprei concepire.”. G. Bellonci, “Scienza
storica e spirito nazionale (L’arte italiana assalita e difesa)”, 25 gennaio, p. 3; C. Tridenti,
“L’arte italiana non va a scuola a Parigi”, 5 febbraio, p. 3 (quest’ultimo contro l’idea di
Venturi che gli artisti italiani dovessero soggiornare a Parigi come una volta facevano gli
artisti francesi a Roma). La campagna lanciata dal Giornale d’Italia è discussa estesamente
in M. Bernabò, “Un episodio della demonizzazione dell’arte bizantina in Italia: la campagna
contro Strzygowski, Toesca e Lionello Venturi sulla stampa fascista del 1930”, Byzantini-
sche Zeitschrift 93/2 (2001), pp. 1-10.
22
La lettera è del 24 novembre 1930 ed è conservata nella Biblioteca Berenson di Villa I
Tatti, Settignano (Firenze).
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
23
C. Galassi Paluzzi “Roma e antiroma”, Roma 5 (1927), pp. 437-441; l’albero genealo-
gico è a p. 441. L’attività propagandistica della cultura fascista promossa dell’Istituto di
Studi Romani appare anche solo dall’elenco delle sue pubblicazioni (per il quale sono
debitore a Luciano Canfora): Istituto di Studi Romani, Catalogo delle pubblicazioni. Indice
2
analitico (Roma, 1941-XIX ). La frase di Mussolini è da: B. Mussolini, “Il discorso della
vigilia alla «Sciesa» di Milano”, La Rivista illustrata del “Popolo d’Italia” 10 n 10, ottobre
1932, pp. 8-11.
24
Più volte si tentò di superare il conflitto tra Romanità e Germanesimo dopo la
proclamazione dell’asse Roma-Berlino; vedi, ad esempio, Romanità e Germanesimo. Letture
tenute per il Lyceum di Firenze, a cura di J. De Blasi (Firenze, 1941); con un farneticante
intervento della curatrice (“Romanità e Germanesimo”, pp. 391-400); tra gli altri interventi
quello di R. Longhi, “Le arti”, pp. 209-239. Vedi inoltre: J. von Schlosser, Magistra
Latinitas und Magistra Barbaritas (Sitzungsberichte der Bayerischen Akademie der Wissen-
schaften, Philosophisch-historische Abteilung, 1937/2. München, 1937).
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
25
G. Giovannoni, La tecnica della costruzione presso i Romani (Roma [1925]); L’architettura
come volontà costruttiva del genio romano e italico (Quaderni di Studi Romani. La Civiltà di
Roma e i problemi della razza. [Roma] 1939-XVIII); discorso inaugurale in Atti del I˚
Congresso Nazionale di Storia dell’Architettura, [Firenze, Palazzo Vecchio,] 29-31 ottobre
1936-XV (Firenze, 1938-XVI), p. ix; G. De Angelis D’Ossat, “Sugli edifici ottagonali a
cupola nell’antichità e nel Medio Evo”, ivi, pp. 13-24.
LA DIFESA DELL’ARTE PATRIA
26
P. D’Achiardi, “Roma e Oriente”, Roma 4 (1926), citazioni dalle pp. 3, 11-13.
27
Galassi Paluzzi “Roma e antiroma”, citazioni dalle pp. 439, 441.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
28
R. Papini, “L’Italia, l’arte e la critica”, Nuova Antologia 62, n 1316 (1927), citazioni
dalle pp. 144-145.
LA DIFESA DELL’ARTE PATRIA
29
G. Galassi, Roma o Bisanzio, 1, I musaici di Ravenna e le origini dell’arte italiana (Roma,
a. VIII e.f. [1929-1930]), citazioni dalla Prefazione, da p. 264, da nota 12 p. 297 e passim.
Nel 1915 Galassi aveva invece usato per l’arte bizantina i termini spazio bidimensionale,
discentramento compositivo, effetto pittorico, visione antiplastica; la visione romana era
definita plastico-costruttiva (“Scultura romana e bizantina a Ravenna”, p. 29). Per il
giudizio di Toesca su Galassi vedi al Capitolo 7, paragrafo b.
30
P. Marconi, La pittura dei Romani (Roma, 1929).
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
31
C. Cecchelli, “Il problema dell’«Oriente o Roma» alla luce delle scoperte e degli studi
attuali (sunto di comunicazione)”, in Atti del I˚ Congresso Nazionale di Studi Romani (Roma,
1928-VII), 1, pp. 669-682, in particolare, p. 672:
Veramente, chi bene osservi la civiltà bizantina, s’accorge che essa è una civiltà di riflessi e
d’artificio. Roma sorge quando erano ancora intatti i valori delle civiltà primitive. Bisanzio si
elevò a grande centro quando le antiche civiltà sono nella parabola discendente ed hanno
maturato i loro frutti migliori. Bisanzio è un grande emporio di residui, una fantasmagoria
di luci che non illumina, un insieme originale per sè stesso (dato il suo aspetto poliedrico)
ma non depositario di fermenti nuovi. Bisanzio tutt’al più ridistribuisce i favori ricevuti
dall’Oriente e da Roma. Sotto questo aspetto potrebbero avere ragione quanti parlano di
un’arte cristiana orientale, anziché di arte bizantina.”.
Inoltre: Roma segnacolo di reazione della stirpe alle invasioni barbariche (Quaderni di Studi
Romani. La Civiltà di Roma e i problemi della razza. [Roma] 1939-XVIII). La questione
ebraica e il sionismo (Quaderni di Studi Romani. La civiltà di Roma e i Problemi della Razza
[Roma: Istituto Nazionale di Cultura Fascista, 1939-XVII]).
32
N. Borgia, “La romanità di una badia greca”, in Istituto di Studi Romani, Atti del II˚
Congresso Nazionale di Studi Romani (aprile 1930), a cura di C. Galassi Paluzzi (Roma,
1931-IX), 2, pp. 79-86. Cf. G. M. Croce, La Badia Greca di Grottaferrata e la rivista “Roma
e l’Oriente”. Cattolicesimo e ortodossia tra unionismo ed ecumenismo (1799-1923) (Città del
Vaticano, 1990).
33
P. D’Achiardi, “Neoellenismo e neoromanità nella pittura medievale italiana”, in
Istituto di Studi Romani, Atti del III Congresso Nazionale di Studi Romani, a cura di C.
Galassi Paluzzi (Bologna, 1935-XIII), 2, pp. 30-38.
LA DIFESA DELL’ARTE PATRIA
34
A. Muñoz, Roma di Mussolini (Milano, 1935-XII); L’Urbe, 1 (1936).
35
Istituto di Studi Romani, Atti del IV Congresso Nazionale di Studi Romani (I rapporti
intercorsi nei secoli tra Roma e l’Oriente) (Roma, 1935-XIII), 5 voll., a cura di C. Galassi
Paluzzi (Roma, 1938-XVI): G. Q. Giglioli, “L’arte di Roma e l’arte dell’Oriente nell’Anti-
chità”, 1, pp. 9-16; A. Muñoz, “L’arte di Roma e l’arte dell’Oriente nel periodo paleo-
cristiano e medievale”, 1, pp. 18-25; P. D’Achiardi, “Neoellenismo e neoromanità nella
pittura medievale italiana”,, 2, pp. 30-38; C. Galassi Paluzzi, “Per l’organizzazione meto-
dica e per l’incremento degli studi riguardanti i rapporti intercorsi nei secoli tra Roma e
l’Oriente”, 2, pp. 54-59. Di Galassi Paluzzi vedi anche, pubblicato l’anno successivo al
congresso, “Gli studi romani e i rapporti tra Roma e l’Oriente”, Roma 14 (1936-XIV), pp.
303-316. Cito soltanto in nota, per la loro marginalità, alcune frasi da Cornelio Di Marzio,
“Il concetto romano nell’ordinamento delle professioni”, Roma 14 (1936-XIV), pp.
397-416:
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
Ardengo Soffici è l’artista che più incarnò gli ideali artistici del
fascismo, o almeno di una delle sue anime, per tutto il ventennio.
Soffici fu il maestro e il precursore, il più mussoliniano dei pittori
italiani, di cui la stampa fascista lodò la ‘‘dirittura di mente vigile, la
forza di carattere’’; oltre a proporre basi teoriche e decaloghi di
principi per l’arte fascista, ispirati alla pittura toscana, come un
Vasari della storiografia artistica contemporanea, Soffici fu l’artista
militante, l’interventista intervenuto; aveva aderito al fascismo fin dal
1918, scriveva sul giornale di Mussolini, Il Popolo d’Italia, ed aveva
ricevuto il Premio Mussolini dell’Accademia d’Italia. I suoi dipinti
erano esempio di naturalezza che Soffici oppone all’artificio ed all’ar-
bitrio. Fu il campione della rinascita della pittura italiana ed esem-
pio, con la toscanità della sua pittura, di ‘‘quella fedeltà espressiva
che per intenderci con una frase d’obbligo, è chiamata italiana’’;
‘‘l’esperienze parigine di Soffici, come le esperienze di Carrà, sono
una riconquista di elementi italiani, nell’orbita del gusto «europeo»’’;
dopo gli anni in cui la salvezza per l’arte pareva venire dalla Francia
‘‘venne la guerra a mettere un fermo nell’ordine temporale allo
sbandamento’’ e Soffici ritrovò nelle sue radici contadine toscane la
via alla pittura; ‘‘Don Chisciotte in Toscana’’ che combatte ‘‘contro i
mulini paesani che macinano farina forestiera’’, mostrando ‘‘un se-
“Non bisogna pensare che la storia di Roma, come Impero, finisca in quel famoso anno
in cui Romolo Augustolo scomparve. C’è, dopo, Giustiniano e tutto l’Impero bizantino.
Nelle nostre scuole, quando si studia l’Impero bizantino, si bada solo alle lotte degli
Iconoclasti e a quelle contro i Macedoni [sic]; mentre che tutto l’Impero bizantino è di
religione cristiana, spesso cattolica [sic], e di legislazione completamente romana. L’arte
bizantina è un’arte che deriva strettamente dai Romani”. Seguono critiche a Strzygowski; il
destino aveva voluto che le corporazioni bizantine istituite da Leone il Saggio [cioè il Libro
del Prefetto] corrispondessero non come terminologia, né come attribuzioni, ma almeno
significativamente come numero (ventidue) alle ventidue corporazioni fasciste. Per quanto
possa apparire incredibile le analogie numeriche tra corporazioni bizantine e fasciste sono
riproposte tre anni dopo Di Marzio da A. P. Torri, “Corporazioni romane e corporazioni
bizantine”, Roma 17 (1939-XVII), p. 255: “Le corporazioni bizantine elencate nel «Libro
del Prefetto» sono ventidue – per strana coincidenza anche le corporazioni fasciste sono
ventidue”.
LA DIFESA DELL’ARTE PATRIA
‘‘il primitivismo (...) è nella totalità delle sue manifestazioni più carat-
teristiche, arte orientale, nata nel più profondo oriente, continuata
nell’oriente più prossimo a noi, e importata nel nostro occidente solo
in un periodo di decadenza, di transizione, di travaglio e lotta fra due
mondi – il barbaro e il latino – quale fu l’alto medioevo.’’
36
Le citazioni sono tratte da L. Dami, “Il pittore Ardengo Soffici”, Dedalo 1 (1920), pp.
209, 212, G. Cioli, “Carrà, Soffici e la rinascita della pittura italiana”, Il Giornale d’Italia, 6
febbraio 1930, p. 3, e “Ardengo Soffici. Vasari moderno”, La Nazione, 1 marzo 1935-XI, p. 5.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
‘‘Niente di più falso della fama di reazionario che gli hanno creato
alcuni settatori di un modernismo non soltanto internazionalizzante
nel senso più meschino, ma devirilizzato e straccione. A ridurre le
LA DIFESA DELL’ARTE PATRIA
37
A. Del Massa, “Ardengo Soffici”, Domus n 184 (aprile 1943-XXI), pp. 189-191; la
citazione nel testo è da pp. 190-191. Il panegirico dell’arte bizantina è nell’articolo di R.
Giolli, “Espressionismo dei bizantini”, pp. 182-188. Su questi due articoli vedi M. Bernabò,
“L’arte bizantina e la critica in Italia tra le due guerre mondiali”, Römische Historische
Mitteilungen 41 (1999), pp. 42-44.
38
A. Del Massa, “Ardengo Soffici”, Domus n 184, aprile 1943-XXI, pp. 189-191. Del
Massa era un critico nazionalista che, ad esempio, aveva scritto su La Nazione del 24 aprile
1937 un articolo dal titolo “Giotto e l’età nuova” in cui lodava la classicità del pittore.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
39
A. Soffici, “Bilancio dell’arte francese contemporanea”, Rete mediterranea 1, n 3
(settembre 1920), pp. 261-272; 1, n 4 (dicembre 1920), pp. 364-371; i giudizi riportati nel
testo sono alle pp. 272, 364, 368, 268.
LA DIFESA DELL’ARTE PATRIA
‘‘Un’altra volta, per la penna mia o di altri, dovrà pur essere vuotato il
sacco anche su di lui [Picasso]. (...) nient’altro che il più rapido
coniatore di cifre e di mode che per ora abbia veduto il nostro secolo.
Un artigiano metafisico; un simulatore di genio’’40.
40
F. Arcangeli, “Della giovane pittura italiana e di una sua radice malata”, Proporzioni 1
(1943), pp. 85-98; citazioni dalle pp. 94, 96-98.
41
F. Arcangeli, “L’alfabeto di Van Gogh”, Paragone 3, n 29 (maggio 1952), pp. 21-51;
“Picasso, ‘voce recitante’“, Paragone 4, n 47 (novembre 1953), pp. 45-77. Longhi, maestro
di Arcangeli, nel 1954 giudicò invece Matisse genio unico come Picasso in “Matisse”,
L’Europeo 14 novembre 1954.
42
G. Severini, Ragionamenti sulle arti figurative (Milano, 1936, 2a edizione aumentata,
1942), il brano riportato è a p. 215.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
43
A. Soffici, “Cubismo e oltre”, Lacerba 1 (1913), pp. 10-11, 18-19, 30-32, specialmente
pp. 10 e 18. C. Carrà, “Da Cézanne a noi futuristi”, Lacerba 1 (1913), pp. 99-101,
specialmente p. 100.
44
M. Tinti, “Italianismo di Cézanne”, Pinacotheca 1 (1928-1929), p. 349. M. G[rassini]
Sarfatti, Storia della pittura moderna (Collezione “Prisma”, diretta da M. Sarfatti. Roma,
1930-VIII), citazioni da pp. 28, 31-32. Sull’apprezzamento di Cézanne in Italia: Longhi,
“L’Impressionismo e il gusto degli Italiani”, prefazione a J. Rewald, Storia dell’Impressioni-
smo (Firenze, 1949), pp. v-xxix.
45
U. Ojetti, “Lettera a Lionello Venturi”, Pègaso 1/2 (1929), pp. 728-732. L. Venturi,
“Risposta a Ugo Ojetti”, L’arte 33, n. s. 1 (1930), pp. 93-97. Per Lionello Venturi vedi al
capitolo 8.
LA DIFESA DELL’ARTE PATRIA
‘‘Ci sono due modi di essere buoni italiani: l’uno è di parlar bene di
tutte le cose nostre e male di tutte le cose straniere; l’altro è di
assimilare tutto quello che si può delle cose straniere per divenire
migliori di prima e migliori degli altri. Preferisco il secondo’’47.
46
U. Ojetti, Bello e brutto (Milano, 1930).
47
U. Ojetti, “Lettera a Lionello Venturi”, Pègaso 1/2 (1929), pp. 728-732, citazioni dalle
pp. 728 e 731; L. Venturi, “Risposta a Ugo Ojetti”, L’arte 33, n. s. 1 (1930), pp. 93-97,
citazioni dalle pp. 94-95 e 97. Di Venturi vedi inoltre: “Paesaggio e figura. Un problema
della mostra del Novecento”, Il secolo, 2 marzo 1926; Pretesti di critica (Milano, 1929); “Per
una critica dell’arte contemporanea”, Solaria 7, n 3 (marzo 1932), pp. 36-40.
7
1
Per le opere della manifattura Chini nel fiorentino vedi D. Salvadori Guidi, Guida alla
scoperta delle opere d’arte del ‘900 nella Provincia di Firenze (Firenze [1999?]) e S. Guerrini, I
Chini all’Antella. Opere di Dario, Galileo, Leto, Tito Chini e Manifattura Fornaci di San
Lorenzo nel Cimitero monumentale della Confraternita di Misericordia ([Firenze,] 2001). Sul
mosaico di D’Achiardi: C. Cecchelli, “Un mosaico”, Roma 3 (1925), pp. 23-24.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
a. Pietro Toesca
Scolaro di Adolfo Venturi a Roma, Toesca insegnò Storia dell’Arte
Medievale e Moderna all’Università di Torino da dove passò a
Firenze; poi, dal 1926, ricoprı̀ la cattedra di Storia dell’Arte Medie-
vale all’Università di Roma e dal 1931 tenne anche quella di Storia
dell’Arte del Rinascimento e Moderna. Dal 1929 successe a Ugo
Ojetti nella direzione della sezione Storia dell’Arte dell’Enciclopedia
Italiana. Con lui si formò la parte più autorevole degli storici dell’arte
italiana che tennero campo negli anni del fascismo e del dopoguerra
e che saranno coinvolti nelle polemiche su Bisanzio e Roma. Lionello
Venturi e Roberto Longhi furono tra i primi suoi studenti torinesi;
Emilio Cecchi e Paolo D’Ancona parteciparono alla discussione su
Giotto e i primitivi; Géza De Francovich e Giulio Carlo Argan,
scolaro quest’ultimo di Lionello Venturi, lavorarono con lui all’Uni-
versità di Roma ed all’Enciclopedia Italiana. Oltre che dai suoi scritti,
molte informazioni sulle idee di Toesca, soprattutto in merito a
questioni storico-artistiche, ai rapporti con colleghi e scolari e all’as-
2
La definizione di Toesca è dall’annuncio della morte apparso negli Atti della Accademia
Nazionale dei Lincei 359 (1962), ser. 8, Rendiconti. Classe di Scienze Morali, Storiche e
Filologiche, 17, fasc. 3-4 (marzo-aprile 1962), p. 186.
3
Vedi il Capitolo 6, paragrafo c.
IL FRONTE INTERNO FILOBIZANTINO: PIETRO TOESCA
servimento della critica alle mode del tempo ed alla ideologia del
fascismo, sono contenute nel suo fitto epistolario: solo quello con
Bernard Berenson, suo ‘‘socio’’ in arte, consta di oltre 300 lettere
dagli anni Venti alla fine degli anni Cinquanta.
Toesca è indignato dalla immoralità e dalla povertà critica della
generazione più giovane di storici dell’arte. Non apprezza Croce:
‘‘S’Ella – scrive a Berenson – deplora lo stato degli studi tra noi, che
dovrei dire io che sono per forza a contatto di gomiti con questa
gente? Il Croce di certo ha guastato i cervelli’’; tantomeno, chi ha
abbracciato il fascismo, come Gentile, il ‘‘piccolo satrapo’’, o Cor-
rado Ricci e Roberto Paribeni, gli ‘‘eunuchi dell’arte’’, come li
definisce in una lettera a Berenson del 25 maggio 1931, nella quale
fa invece le lodi di Lionello Venturi, incontrato esule a Parigi,
‘‘mirabile’’ davvero nella sua infaticabilità:
4
Una biografia di Paribeni è stata scritta da Gugliemo De Angelis D’Ossat negli Studi in
onore di Aristide Calderini e Roberto Paribeni (Milano, 1956), 1, pp. lxiii-lxvi.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
La figura di Toesca è stata finora studiata solo per gli anni della
formazione e del primo insegnamento a Torino. Un suo apprezza-
mento benevolo dei due focosi scolari Longhi e Lionello Venturi è
dato per scontato nelle rievocazioni di Toesca e, soprattutto, nelle
rievocazioni degli anni giovanili di Longhi fatte dagli scolari di
quest’ultimo; questa agiografia longhiana con ricostruzioni idilliache
dei rapporti Longhi-Toesca (ed anche Longhi-Berenson) è smentita
dall’epistolario di Toesca, almeno per tutto il periodo del fascismo.
Di Longhi Toesca non critica il suo contributo storico, ma ha in
fastidio i suoi modi arrivistici: il rinnegare i vecchi maestri per
opportunità di carriera, l’essere diventato ‘‘la ninfa Egeria’’ del mini-
stro Bottai, avere una presenza accentratrice nella rivista Le arti, una
creatura di Bottai5. Per la cattedra vacante di Storia dell’Arte del
Rinascimento di Roma, per la quale era stato posto dal governo
5
La bibliografia su Toesca, raccolta dalla moglie Elena Berti, è pubblicata nel fascicolo di
necrologio di E. Lavagnino, Pietro Toesca (Atti dell’Accademia Nazionale di San Luca, n. s.,
Note commemorative di accademici defunti, 3. Roma, 1962). Su Toesca vedi: E. Castel-
nuovo, “Introduzione”, in Toesca, La pittura e la miniatura nella Lombardia, pp. xxiii-lv; G.
Romano, “Pietro Toesca a Torino”, Ricerche di Storia dell’arte n 59, 1996, pp. 5-16 (alla
nota 1 p. 12 bibliografia su Toesca); id., Storie dell’arte. Toesca, Longhi, Wittkower, Previtali
(Roma, 1998); M. Aldi, “Pietro Toesca: tra cultura tardo-positivista e simbolismo. Dagli
interessi letterari alla storia dell’arte”, Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di
Lettere e Filosofia, ser. 4, 2/1 (1997), pp. 145-191. Le lettere di Toesca a Berenson sono
conservate nella Biblioteca Berenson di Villa I Tatti, Settignano (Firenze); le notizie ed i
brani riportati nel testo sono in lettere datate 17.1.1928, 7.11.1928, 16. 1.1929, 3.4.1929,
26.6.1929, 29.12.1930, 4.2.1931, 19.2.1931, 25.5.1931, 8.5. 1931, 16.11.1931,
10.3.1932, 22.7.1934, 16.10.1934, 11.3.1935, 4.8.1935, 8.9. 1935, 10.11.1935, 2.9.1937,
29.1.1938, 17.10.1938, 1.11.1939, 25.3.1945, 12.5.1945, 11.8.1945, 30.7.1945, 8.4.1946,
7.6.1946, 19.12.1947, 26.9.1949, 26.11.1949. Quanto a Bottai e Longhi, va ricordato che
Bottai volle come collaboratori al ministero alcuni tra i migliori critici d’arte del momento,
anche se non devotamente allineati sulle posizioni del fascismo, oltre a Longhi, Cesare
Brandi e Giulio Carlo Argan: A. J. De Grand, Bottai e la cultura fascista (Bari, 1978), p. 263.
IL FRONTE INTERNO FILOBIZANTINO: PIETRO TOESCA
b. Toesca orientalista
Lo spirito filobizantino di Toesca salta subito agli occhi nei suoi
scritti e nell’epistolario con Berenson, che condivideva con lui l’inte-
resse per Bisanzio. Toesca mette a parte Berenson di letture, mostre,
congressi e restauri che toccano Bisanzio6. Consiglia Berenson di
vedere i manoscritti bizantini miniati della biblioteca delle Missioni
Urbane a Genova; desidera leggere La miniature byzantine di Eber-
solt; parla della Pittura bizantina di Muratov; non trova alcuni dei
manoscritti miniati visti ad Atene nel catalogo di Paul Buberl; rac-
conta dei codici bizantini portati dall’Asia Minore e in particolare da
Smirne da profughi greci ed esposti al Musée des Arts Décoratifs di
Parigi; menziona l’evangeliario bizantino della Biblioteca Palatina di
Parma (cod. 5) le cui foto ha rifiutato ‘‘al caro Lazarev’’; parla di un
6
Le citazioni sono da lettere di Toesca a Berenson conservate nella Biblioteca Berenson
di Villa I Tatti e datate 21.2.1928, 28.8.1928, 14.10.1928, 20.12.1928, 22.1.1930,
27.1.1931, 26.4.1931, 17.8.1931, 23.8.1933, 26.1.1934, 2.8.1936, 17.11.1937, 22.7.1947,
19.2.1948, 7.6.1948, 25.2.1949, 12.12.1949, 13.5.1950.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
7
P. Toesca, “Cimeli bizantini”, L’Arte 9 (1906), pp. 35-44.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
8
P. Toesca, “Gli affreschi nella Cattedrale di Anagni”, Le Gallerie Nazionali Italiane.
Notizie e documenti 5 (1902), pp. 116-187, citazioni sono da pp. 151, 155, 157.
9
Una bella e giusta definizione de Il Medioevo è stata data da Carlo Bertelli in “Traccia
allo studio delle fondazioni medievali dell’arte italiana”, in Storia dell’arte italiana, parte II,
Dal Medioevo al Novecento, vol. 1, Dal Medioevo al Quattrocento (Torino, 1983), p. 13:
“All’estrema soggettività della storiografia risorgimentale, la storiografia del Novecento ha
opposto un mondo di certezze, costruito su analogie stilistiche evidenti e su documenti
esterni accertati. La mappa di questo mondo di verità è Il Medioevo di Pietro Toesca,
grande e inarrivabile monumento che un uomo solo e solitario, attraverso l’esame diretto di
ognuno degli infiniti oggetti commentati, ha dato alla propria patria, scavalcando in uno
sforzo senza eguali ritardi pluridecennali di studi e di istituzioni. Se, a distanza di decenni e
malgrado correzioni di molti particolari, Il Medioevo resta il punto di riferimento più sicuro,
un quadro generale di valutazioni sostanzialmente intatto, è perché non sono stati messi in
discussione, se non in maniera arbitraria – per esempio, nel trasferimento da noi della
polemica strzygowskiana su Oriente e Occidente – i fondamenti stessi della storia dell’arte
come scienza di fatti verificabili.”.
10
Toesca, Il Medioevo. A nota 3 pp. 1021-1022, Toesca elenca una quarantina di
manoscritti miniati bizantini: 3 della maniera classicheggiante (tra cui il Salterio Vat. gr.
381, il Giobbe Marciano gr. 540 [538]), 27 della maniera propriamente bizantina su fondo
classico (tra cui la Catena sui Profeti, plut. 5.9, e l’Ottateuco plut. 5.38 della Laurenziana; i
due Ottateuchi vaticani, Vat. gr. 746 e Vat. gr. 747; l’evangeliario Urb. gr. 2; il Menologio
di Basilio II, Vat. gr. 1613, ed il Salterio di Basilio II, Marc. gr. 18; l’evangeliario di Parma,
Palat. 5); 8 della maniera tormentata (tra cui il Giovanni Climaco Vat. gr. 394, gli
evangeliari vaticani Vat. gr. 1156, Vat. gr. 1158 e Vat. gr. 1208, le Vite dei Padri del deserto
Vat. lat. 375); 3 della maniera popolare (l’Ambrosiano D 67 sup., il Vat. gr. 1754, il
Marciano cl. I, XXII).
IL FRONTE INTERNO FILOBIZANTINO: PIETRO TOESCA
11
W. R. von Hartel e F. Wickhoff, Die Wiener Genesis (Prag – Wien – Leipzig, 1895); A.
Riegl, Spätrömische Kunstindustrie (Wien, 1927), traduzione italiana Arte tardoromana, a cura
di L. Collobi Ragghianti (Torino,1959), spec. pp. 73 sgg.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
12
Toesca, Il Medioevo, pp. 14, 156-157, 159-162 e figg. 91-92.
13
Ivi, pp. 181-198.
14
Toesca, S. Vitale, p. 20.
IL FRONTE INTERNO FILOBIZANTINO: PIETRO TOESCA
15
G. Bendinelli, Compendio di storia dell’arte dal Quattrocento ai tempi nostri (Milano –
Roma – Napoli, 1926), citazioni da p. 54 e pp. 51-52.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
16
L. Serra, Storia dell’arte italiana, 1 (Milano, 1924), p. 94.
17
R. Longhi, “Piero dei Franceschi e lo sviluppo della pittura veneziana”, L’Arte 17
(1914), pp. 198-221, 241-256 (ristampato in R. L., Scritti giovanili. 1912 – 1922 [Firenze,
1961], pp. 61-106).
IL FRONTE INTERNO FILOBIZANTINO: PIETRO TOESCA
18
Toesca, Il Medioevo, pp. 193-199.
19
Toesca, Il Medioevo, pp. 394-401.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
20
Toesca, Il Medioevo, pp. 918-919, 927-928, 989. Sulle Bibbie romane vedi anche P.
Toesca, “Miniature romane dei secoli XI e XII. Bibbie miniate”, Rivista del R. Istituto di
Archeologia e Storia dell’Arte 1 (1919), pp. 69-96.
21
Toesca, Il Medioevo, pp. 969-1005.
22
Vedi il Capitolo 11.
8
Berenson intervenne solo una volta negli anni Venti nella discussione
su Bisanzio e l’Italia con posizioni vicine a quelle di Toesca. Citta-
dino americano, Berenson restò defilato rispetto allo scontro sulla
romanità dell’arte medievale; tuttavia, per la sua autorevolezza inter-
nazionale, la sua raccolta di opere d’arte e la sua biblioteca di Villa I
Tatti a Settignano, sulle colline nei dintorni di Firenze, che fu punto
di riferimento per le ricerche per molti storici dell’arte, soprattutto
quelli non allineati con i facinorosi romanisti, Berenson risultò una
seconda spina nel fianco, accanto a Toesca, per i critici nazionalisti;
con la dichiarazione di guerra tra Italia e Stati Uniti i suoi nemici
fiorentini richiesero inutilmente il suo arresto come spia e la confisca
di Villa I Tatti e degli altri suoi beni.
Lionello Venturi fu il critico filofrancese e filobizantino più esposto
negli anni del fascismo, perché in prima linea nella fondazione dei fasci
torinesi e per via del prestigio del padre, Adolfo; fu anche il più coin-
volto nelle polemiche figurative in corso, soprattutto a motivo della sua
idea del primato dell’arte francese contemporanea su quella italiana, e
per questo fu ripetutamente attaccato da futuristi, nazionalisti e fascisti
sulla stampa, sulle riviste d’arte e durante le sue lezioni universitarie,
un copione già sperimentato con altri accademici oppositori della dit-
tatura, intimiditi e percossi insieme ai loro studenti dai manganellatori
del Partito Nazionale Fascista. La perdita della cattedra universitaria
per il rifiuto al giuramento richiesto nel 1931 ai docenti universitari di
formare cittadini “devoti alla patria e al Regime Fascista” e l’emigra-
zione dall’Italia furono l’esito della sua apostasia del fascismo.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
1
Le notizie riportate sulla vita di Berenson sono tratte dalle biografia scritta dalla sua
segretaria Nicky Mariano, Forty Years with Berenson, con una introduzione di K. Clark
(New York, 1966); altre notizie in E. Samuels, con la collaborazione di J. N. Samuels,
Bernard Berenson. The Making of a Legend (Cambridge, Mass. – London, 1987).
2
K. Weitzmann, Sailing with Byzantium from Europe to America. The memoirs of an art
historian (München, 1994), p. 237:
“This was the only time I would meet Berenson, who impressed me with his acquain-
tance with my writings, though they hardly touched his special fields of interests. He
graciously invited me to visit him at I Tatti, but I never had the chance to accept this
tempting offer.”.
GLI ALTRI FILOBIZANTINI
“(...) il più famoso di tutti gli harem, quello annesso al Yildiz Kiosk, la
vecchia residenza dei sultani a Costantinopoli. Anelavo di vedere un
octateuco bizantino custodito nella sua biblioteca ... Alla fine il Soprin-
tendente alle Belle Arti si scomodò di persona di mostrarmi il prezio-
sissimo libro, sı̀, ma anche a garantirsi che nessuno dei meravigliosi
codici islamici e tanto meno alcuni tizianeschi ritratti di antichi sultani
mi venissero fatti vedere.”.
3
B. Berenson, Valutazioni 1945 – 1956, a cura di A. Loria (Milano, 1957), citazioni da
pp. 102-103, 100-101.
4
P. P. Muratov, La pittura russa antica (Praga – Roma, 1925); id., La pittura bizantina
(Roma, 1928); V. Lazarev, Istoriia vizantiiskoi zhivopisi, 2 voll. (Moskva, 1947-1948;
seconda edizione 1986) , traduzione italiana Storia della pittura bizantina (Torino, 1967).
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
5
R. Longhi, “Giudizio sul Duecento”, Proporzioni 2 (1948). Il giudizio di Ojetti è tratto
da una lettera a Berenson datata 10.8.1921. Una ricostruzione più rosea dei rapporti
Berenson – Longhi è data in F. Bellini, “Una passione giovanile di Roberto Longhi:
Bernard Berenson”, in L’arte di scrivere sull’arte. Roberto Longhi nella cultura del nostro tempo,
a cura di G. Previtali (Roma, 1982), pp. 9-26. Longhi aveva dato giudizi entusiastici su
Berenson: R. Longhi, Recensione a B. Berenson, The Study and Criticism of Italian Art
(London, 1916), L’Arte 1917, p. 297.
GLI ALTRI FILOBIZANTINI
6
B. Berenson, “Due dipinti del decimosecondo secolo venuti da Costantinopoli”, Dedalo
2 (1921-1922), pp. 285-304; ristampato in inglese come “Two Twelfth-Century Paintings
from Constantinople”, in B. B., Studies in Medieval Paintings (New Haven, 1930), pp. 1-16.
La citazione di Ojetti è da una sua lettera a Berenson del 15.8.1921; dalle lettere di Ojetti
risulta che più volte furono discussi problemi sorti nella traduzione italiana di alcune
espressioni inglesi del testo di Berenson.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
7
Le citazioni sono dalle pp. 285, 286, 292-293, 304.
GLI ALTRI FILOBIZANTINI
8
B. Berenson, “A Newly Discovered Cimabue”, Art in America 8 (1919-1920), pp.
251-271; ristampato in B. B., Studies in Medieval Paintings, pp. 17-31.
9
B. Berenson, Aestethics, Ethics and History in the Arts of Visual Representation (London,
3
1948); poi ristampato come Aesthetics and History (London, 1955 ); traduzione italiana
Estetica, etica e storia nelle arti della rappresentazione visiva (Firenze, 1948); id., L’arco di
Costantino o della decadenza della forma (Milano – Firenze, 1952); edizione inglese The Arch
of Constantine or the Decline of Form (London, 1954).
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
10
Vedi Capitolo 5 paragrafo c.
11
Vedi Capitolo 12 paragrafo a.
12 e e
P. D’Ancona, Les primitifs italiens du XI au XIII siècle (Paris, 1935), prefazione pp.
9-10; sui rapporti tra arte italiana ed arte bizantina vedi soprattutto il Capitolo 1, pp. 11-39.
Per Sironi vedi Capitolo 9 paragrafo a.
GLI ALTRI FILOBIZANTINI
13
Vedi Capitolo 6 paragrafo c.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
14
I brani riportati nel testo sono dalle pagine della cronaca cittadina de La Stampa dei
giorni 29 novembre, 30 novembre e 1 dicembre 1929.
15
L. Venturi, “Polemica con Ugo Ojetti sul «gusto francese»”, L’arte 33, n.s. 1 (1930), pp.
93-97. Ojetti scrisse a Venturi una lettera aperta pubblicata sulla rivista Pègaso del 1929 alla
quale Venturi rispose su L’Arte del 1930. Su questi punti vedi Capitolo 11 paragrafo a e
Capitolo 6 paragrafi f e c.
16
A. Dragone, “Lionello Venturi a Torino: Gualino e i «Sei»”, in Da Cézanne all’Arte
Astratta. Omaggio a Lionello Venturi, Verona, Galleria Comunale d’Arte Moderna, Palazzo
Forti, marzo – aprile 1992; Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, giugno – settembre
1992, catalogo della mostra (Milano, 1992), pp. 88-94. Su Casorati e Gobetti: P. Gobetti,
“Un artista moderno: Felice Casorati”, L’ordine nuovo 19 giugno 1921 e Il popolo romano 19
giugno 1921, ristampato in Per Gobetti. Politica arte cultura a Torino 1918 / 1926 (Firenze,
1976), pp. 85-89 e in Opere complete di Piero Gobetti, vol. 2, Scritti storici, 1969, pp. 627-631;
P. Gobetti, Felice Casorati pittore (Torino [1923]), ristampato in Per Gobetti, pp. 90-104 e in
Opere complete di Piero Gobetti, vol. 2, pp. 634-647; vedi inoltre L. Carluccio, “Gobetti e
Casorati”, in Per Gobetti, pp. 105-113; A. Dragone, “Gobetti critico d’arte”, ivi, pp. 121-134.
L. Venturi, “Il pittore Felice Casorati”, Dedalo 4 (1923-1924), pp. 238-261.
GLI ALTRI FILOBIZANTINI
con Salvemini (che aveva lasciato già anni prima la cattedra di Storia
Moderna all’Università di Firenze, denunziando la mancanza di
dignità e “la servile adulazione del partito dominante” che il fascismo
voleva imporre ai docenti), Cantarella e altri, fondò l’organizzazione
antifascista Mazzini Society. Negli Stati Uniti, tuttavia, ebbe grosse
difficoltà a trovare una posizione, come risulta dalle sue lettere con
richieste di aiuto a Berenson, finendo poi ad insegnare alla Johns
Hopkins University di Baltimora. Infine, nel 1945, subito dopo la
17
liberazione, tornò in Italia dove insegnò all’Università di Roma .
Lionello Venturi fu spesso in rotta con Longhi: Il gusto dei
primitivi (1926) sembrò a quest’ultimo una raccolta di errori metodo-
logici nella lettura delle opere d’arte medievali, tra i quali il peso dato
da Venturi alla spiritualità, alla religione ed alla interpretazione del
Medioevo come trionfo dello stato mistico. Longhi, nella introdu-
zione alla Storia dell’impressionismo di John Rewald, che uscı̀ in
traduzione italiana nel 1949, con un titolo, “L’Impressionismo e il
gusto degli Italiani”, che richiamava quello del libro di Venturi,
accusò “Venturi junior nel suo libro di principı̂ sul Gusto dei primitivi,
fondato sulla speciosa unificazione dei fatti artistici più varı̂ sotto
l’impresa di un eterno primitivismo che ha qui sapore di mistica
rivelazione”, di aver confuso insieme macchiaioli e impressionisti e di
aver inserito Fattori tra gli ultimi18. Venturi fu anche consulente di
Gualino negli acquisti per la sua collezione; nel catalogo di questa,
del 1926, da lui curato, figuravano una Madonna di Cimabue (fig.
79), una Madonna attribuita a Guido da Siena, una tavola con
quattro santi di arte toscana del Duecento, una Ascensione di
Giotto, oggetti di oreficeria medievale dalla collezione Stroganov,
17
Per queste notizie vedi G. C. Argan, “Le polemiche di Venturi”, Studi Piemontesi 1, n 1
(1972), pp. 118-124; id., “L’impegno politico per la libertà della cultura”, in Da Cézanne
all’Arte Astratta, pp. 11-12; H. Goetz, Der freie Geist und seine Widersacher (Frankfurt am
Main, 1993), traduzione italiana Il giuramento rifiutato. I docenti universitari e il regime fascista
(Milano, 2000), pp. 155-166, con bibliografia alla nota 536 p. 166; G. Boatti, Preferirei di no.
La storia dei dodici professori che si opposero a Mussolini (Torino, 2001), pp. 153-171; ed inoltre,
S. Lodovici [Samek Ludovici], Storici, teorici e critici delle arti figurative (1800 – 1940) (Roma,
1946). La corrispondenza di Lionello Venturi con Berenson è conservata a Villa I Tatti. Sulla
storia della cattedra romana vedi al Capitolo 7 paragrafo a.
18
Secondo Giovanni Previtali, “Roberto Longhi, profilo biografico”, in L’arte di scrivere
sull’arte, pp. 141-170, Il gusto dei primitivi rappresentò per Longhi una sintesi di tutti gli
idola polemici della sua gioventù: rozzo contenutismo, misticismo estetico, snobismo
primitivistico (pp. 160-161). R. Longhi, “L’Impressionismo e il gusto degli Italiani”,
prefazione a J. Rewald, Storia dell’Impressionismo (Firenze, 1949), pp. v-xxix. Sul libro di
Venturi vedi anche il giudizio contemporaneo di Pittaluga, “Arte e studi in Italia nel ‘900”,
pp. 460-461.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
19
L. Venturi, La Collezione Gualino (Torino – Roma, 1926); M. M. Lamberti, “Riccardo
Gualino: una collezione e molti progetti”, Ricerche di storia dell’arte 12 (1980), pp. 5-18.
20
L. Venturi, “Per una critica dell’arte contemporanea”, Solaria 7, n 3 (marzo 1932), pp.
36-40, citazione nel testo da pp. 37-39.
GLI ALTRI FILOBIZANTINI
“(...) la moda trionfante si basa sul volume, sul rilievo e sulla terza
dimensione. È una strada non migliore né peggiore di tante altre; ma i
pittori che vi camminano sopra devono credere appieno che essa è la
migliore, perfettissima e unica, divina più che umana, capace di ogni
prodigio. Cosı̀ hanno creduto gli artisti italiani di dopo la guerra, per
l’interpretazione classica sopraggiunta (...).”.
21
L. Venturi, “Paesaggio e figura. Un problema della mostra del Novecento”, Il secolo, 2
marzo 1926, ristampato in L. V., Pretesti di critica (Milano, 1929), pp. 191-196, citazioni nel
testo da p. 194.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
22
L. Venturi, Il gusto dei primitivi (Bologna, 1926; ristampa Torino, 1972, con prefazione
di Giulio Carlo Argan); la descrizione di Santa Sofia di Costantinopoli e le citazioni nel
testo sono alle pp. 39-40, 7, 9, 10, 34-35 della ristampa. Sul significato de Il gusto dei
primitivi e sulla accoglienza datagli dalla critica italiana vedi l’introduzione di Argan alla
seconda edizione del libro e brani, note e bibliografia raccolti in P. Barocchi, Storia moderna
dell’arte in Italia. Manifesti polemiche documenti, vol. 3/1, Dal Novecento ai dibattiti sulla figura
e sul monumentale 1925 – 1945 (Torino, 1990), pp. 37-59. Il commento di Croce è in La
critica e la storia delle arti figurative. Questioni di metodo (Bari, 1934), pp. 183-187; Croce
parla delle teorie e delle opere di Venturi in varie altre parti del libro: pp. 17-18, 29-34,
139-146, 169-172. Per una critica alla individuazione di un cambiamento di gusto come
causa della rottura nella tradizione artistica dell’ellenismo e della nascita della nuova
tradizione formale del medioevo, vedi R. Bianchi Bandinelli, “L’archeologia come scienza
storica”, Atti della Accademia Nazionale dei Lincei. Classe di Scienze morali, storiche e
filologiche. Rendiconti delle adunanze solenni 8, fasc. 9 (1973), ristampato in R. B. B.
Introduzione all’archeologia classica come storia dell’arte antica, a cura di L. Franchi dell’Orto
(Bari, 1976), p. xviii.
GLI ALTRI FILOBIZANTINI
“le opere d’arte devono essere guardate con animo sgombro da ogni
preoccupazione che non sia quella del valore estetico, del valore
umano dell’opera stessa.”
“(...) Gli scopi che si propone l’insegnamento della storia dell’arte
sono la conoscenza delle grandi civiltà artistiche e il raffinamento della
conoscenza estetica. L’esaminatore si accerterà quindi se lo scolaro ha
conoscenza della storia del gusto comune agli artisti (architetti, scul-
tori, pittori, tessitori, vetrai, miniatori, incisori) d’una data epoca
(...).”23.
23
I programmi per l’esame di maturità secondo la Legge Gentile sono pubblicati sul
Supplemento della Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia n 267 del 14 novembre 1923,
“Approvazione degli orari e dei programmi per le Regie scuole medie”; i brani riportati dalle
Avvertenze per l’esame di maturità del Liceo Classico sono alle pp. 14-15. Cf. M. Cagnetta,
“Le letture controllate”, in Lo spazio letterario di Roma antica (Roma, 1991), 4, pp. 399-427,
spec. pp. 406 sgg. L’intervento di Adolfo Venturi per l’inserimento della storia dell’arte
come materia d’insegnamento è riferito da L. Grassi, “Insegnamento di Storia dell’Arte nei
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
Licei”, in Atti del Primo Convegno Internazionale per le arti figurative, Firenze, Studio Italiano
di Storia dell’Arte, Palazzo Strozzi, 20-26 giugno 1948 (Firenze, 1948), pp. 201-203.
24
U. Ojetti e L. Dami, Atlante di storia dell’arte italiana, 1, Dalle origini dell’arte cristiana
alla fine del Trecento (Milano – Roma [1925]), citazione da p. 17. L’opposizione tra senso
della forma e dello spazio (plasticismo) dell’arte classica, romana, e senso del colore
(colorismo) dell’arte bizantina è accettata come distintiva dell’antichità e di Bisanzio in
storici dell’arte ben più avveduti come Longhi e da lui risolta a favore del primo: il
colorismo dei Bizantini a San Vitale (che però è qualità apprezzata: “capolavoro di stile
puramente coloristico”) fu “puro tappeto”; a superare questo stadio rudimentale fondendo
colore e forma servirono i senesi, mentre fu Paolo Uccello che raggiunse il “sintetismo
prospettico di forma e colore”: R. Longhi, “Piero dei Franceschi e lo sviluppo della pittura
veneziana”, L’Arte 17 (1914), p. 199: “La larghezza di un grande riposo coloristico era stata
raggiunta una volta dai bizantini del VI secolo, a San Vitale. (...) Il colorismo bizantino
negli esempi di San Vitale aveva raggiunto un delizioso accostamento di superficie late di
colore, ma ciò era avvenuto a tutto detrimento del senso per la forma e per lo spazio: era il
colorismo più genuino ma anche più rudimentale: il puro tappeto’’.
E p. 201: “Paolo Uccello giungeva di nuovo all’intarsio che nel colore equivale al tappeto;
ma non era più il tappeto bizantino stesso [steso?] su forme incorporee e superficiali, ma il
tappeto che zonava di colore le superfici di forme vieppiù lontane riportate a galla dalla
prospettiva. Era per la prima volta, per quanto segmentato, frammentato e toppato il
sincretismo prospettico di forma-colore.”.
Osservazioni simili sul colore nell’arte bizantina si trovano nelle dispense del corso del
1914, raccolte e pubblicate col titolo Breve ma veridica storia della pittura italiana (Firenze,
1980), pp. 16-17: “Vi esorto a considerare come capolavoro di stile puramente coloristico i
musaici di San Vitale a Ravenna: dove l’artista bizantino, mirabilmente noncurante della
convenzione plastica, ha immaginato Giustiniano e i suoi cortigiani, Teodora e le sue dame,
come semplici accostamenti di late stole rettangolari fasciate largamente di croci, placcate di
borchie e di gemme, sovra un sol piano’’. E inoltre, pp. 42-44, San Vitale rappresenta “lo
stile coloristico puro”, “un mondo artistico affatto nuovo ed opposto al precedente”, cioè lo
stile plastico dei mosaici romani, che si vede anche nel Buon Pastore di Galla Placidia; “lo
spazio è abolito, o almeno è uno spazio a due dimensioni”, i corpi “non sono forma ma
fantasma appiattito e superficiale”.
25
S. Bettini, “Padova e l’arte cristiana d’Oriente”, Atti del Reale Istituto Veneto di scienze,
lettere ed arti. Parte seconda (scienze morali e lettere) 96 (1936-1937), pp. 203-297.
GLI ALTRI FILOBIZANTINI
scultura bizantine usciti negli anni 1937, 1939 e 1944, fornı̀ la prima
storia generale di quell’arte, che arriva fino al periodo paleologo e
comprende anche l’arte russa, greca, serba e cretese, scritta da un
italiano e aggiornata sui risultati della bizantistica internazionale del
periodo. Pavel Muratov nel 1925 e 1928 e Wolfang Fritz Volbach
nel 1935 avevano già pubblicato in italiano storie generali, rispettiva-
mente, della pittura bizantina e russa e dell’arte bizantina. All’arte
bizantina, “opposta per senso alla classica” – una banalità che Bettini
avrebbe potuto evitare –, viene riconosciuto un primato nel raggiun-
gimento di una “nuova, perfetta unità di costruzione e decorazione”,
fondata “non sopra un’obiettiva rappresentazione di spazio, ma so-
pra una radicale negazione dello spazio obiettivamente rappresenta-
to”.
Scrivendo a Berenson nel 1942, quando era Direttore del Museo
Civico di Padova, Bettini confessò di sentirsi isolato in Italia nei suoi
studi sull’arte bizantina, “da noi in genere negletta”, mentre altrove
essa è coltivata in ambienti “troppo a fondo ammalati del morbo
strzygowskiano”, e di aver trovato “aderenze mentali” solo a Vienna
in Julius von Schlosser:
26
Vedi Capitolo 9 paragrafo d. Nel 1936, in “Padova e l’arte cristiana d’Oriente”, da cui
è presa la citazione riportata nel testo tra parentesi, Bettini cercò di tenersi in equilibrio tra
Bisanzio e Roma quanto al problema del primato della due città nelle origini dell’arte
cristiana (p. 213):
“Concludendo: un fatto allo stato attuale delle ricerche appare, secondo me, certo, a chi
non abbia la visione viziata da preconcetti: ed è questo. I procedimenti costruttivi esaminati
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
son, nel 1948, Bettini si lamentò che l’Italia non avesse istituti
specializzati di ricerca sull’arte bizantina, all’estero sostenuta invece
da “fiorenti e ben avviati” istituti specializzati universitari, soprat-
tutto americani:
dianzi [relativi alla impostazione di una cupola su una base quadrangolare] si trovano in
tutti i paesi del tardo Impero romano (...). Il senso obbiettivo della giustizia storica deve
tuttavia far riconoscere anche a noi che furono Oriente e Bisanzio ad appropriarsi di essi
con piena coscienza, a svilupparli dando loro un significato tecnicamente ed esteticamente
pieno, a sfuttarne fino alle ultime conseguenze l’importanza nella risoluzione del problema
d’impostare la cupola su base quadrangolare, soluzione che poi trasmisero all’Occidente.
Bisogna rendere giustizia all’Oriente; ma non bisogna dimenticare che, dicendo Oriente, si
dice una parte dell’Impero di Roma.”.
27
S. Bettini, La pittura di icone cretese-veneziana e i madonneri (Padova, 1933-XI); La
pittura bizantina, 1 (Firenze, 1937), da cui, a p. 7, le citazioni; 2, I mosaici, 2 voll. (Firenze,
1939-XVII); Pittura delle origini cristiane (Novara, 1942-XX); La scultura bizantina, 2 voll.
(Firenze, 1944). P. P. Muratov, La pittura russa antica (Praga – Roma, 1925) e La pittura
bizantina (Roma, 1928); W. F. Volbach, L’arte bizantina nel Medioevo (Biblioteca Apostolica
Vaticana, Museo Sacro. Guida 1. Roma, 1935). Le lettere di Bettini a Berenson sono
conservate presso la Biblioteca Berenson di Villa I Tatti, Settignano, Firenze; le citazioni
sono prese da due lettere del 10 dicembre 1942, del 21 gennaio e del 26 maggio 1948.
Notizie su Bettini sono ricavate dal necrologio scritto da Giovanni Mariacher ed apparso su
Archivio veneto 130 (1988), pp. 169-171. Cf. E. Bordignon Favero, Sergio Bettini. Docenza
universitaria e attività museale (Loreggia, PD, 1997).
9
1
Vedi L. Malvano [-Bechelloni], Fascismo e politica dell’immagine (Torino, 1988), Capi-
tolo 4, pp. 175-195.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
“Il postulato più recente della dottrina fascista è, come è noto, quello
di razza” [che implica] “tutte le definizioni che, con progressiva
chiarezza, dal Comune all’Impero, la civiltà italiana ha dato della
forma politica della società (...).
Il placido fiume dell’estetica è stato deviato in mille rigagnoli a irrigare
orticelli privati; si è inaridito e non corre più al mare, mediterraneo,
della politica fascista; mentre dal cielo pieno di nembi altri vedevano
scendere minacciosi sulle ordinate culture dell’arte italiana gli apocalit-
tici cavalieri del cubismo, del surrealismo, dell’espressionismo, dell’e-
braismo internazionali. (...)
Attaccarsi alla tradizione per definire il contenuto artistico del com-
plesso raz[z]iale italiano era, certo, il consiglio più a buon mercato.
Non il più giusto. (...) è assurdo tipizzare la tradizione, circoscriverla a
determinate categorie formali. Quando si dice che la tradizione arti-
stica italiana è quella classica, si è solo parzialmente nel vero. Anche
Giotto, Donatello, Masaccio, Michelangelo e Caravaggio, con cento
altri, appartengono alla nostra esperienza storica, cioè compongono e
qualificano la tradizione.”.
che lo Stato non poteva scegliere come sua propria arte ufficiale tra una
tendenza artistica e l’altra2. Le posizioni di Bottai erano vicine a quelle
per le quali si era battuto Sironi descrivendo le varie tradizioni dell’arte
italiana testimoniate nei monumenti della penisola in una serie di
articoli su La rivista illustrata del “Popolo d’Italia”, tra i quali: “Arte
ignorata”, “Racemi d’oro” e “Antellami”, pubblicati tra il 1934 e il
1936. In “Arte ignorata”, che è illustrato con dettagli di affreschi di
Giotto a Padova, Sironi pose come “maestri giganteschi della nostra
arte maggiore” le opere di Pompei, Ravenna, Assisi, Padova, Firenze,
avvicinandosi in questo punto a quanto sosteneva Lionello Venturi.
“Dobbiamo credere che quest’arte sia sorpassata e valga solo per
snobistiche contemplazioni? [l’accusa di snobismo, come già visto, era
gettata ripetutamente contro gli esterofili, ad esempio da Longhi].
Dobbiamo compiangerla perché ignora il fotografismo della pittura
moderna, e il «trompe l’oeil» dell’impressionismo? Impariamo a cono-
scerla. È facile sbirciare una pittura primitiva e dichiararla fuori
3
concorso per i tempi moderni” . Ancora su “Arte ignorata”,poche
pagine prima, Sironi aveva scritto:
2
Di Bottai vedi: “Modernità e tradizione nell’arte italiana d’oggi”, Le arti 1
(1938-1939-XVII), pp. 230-234, dalle cui pp. 230-231 sono le citazioni; Politica fascista delle
arti (Roma, 1940-XVIII); “Fronte dell’arte”, Primato 2, n 4, (15 febbraio 1941-XIX), pp. 3-5;
“Presenza della cultura”, Primato 2, n 24 (15 dicembre 1941-XX), pp. 1-2; “La legge sulle arti
figurative”, Le arti 4 (1942-XX), pp. 243-249. U. Ojetti, In Italia, l’arte ha da essere italiana?
(Milano – Verona, 1942), pp. 14-15:
“Diciamo romanità e non classicità perché questa seconda parola comprende l’arte greca e
il suo soprumano idealismo nel cui fulgore abbagliante si rifugiano i deformatori (...) del
vero.”. La risposta di Bottai fu (“La legge sulle arti figurative”, p. 245) : “Quando, dopo
vent’anni di rivoluzione nè univoca nè equivoca, si sente chiedere se l’arte in Italia abbia da
essere italiana, non è più il caso di discutere sul piano teorico e di ripetere per la centesima
volta che non soltanto è l’Italia a far l’arte italiana, ma anche l’arte italiana a fare l’Italia: e che,
insomma, a voler storicamente pensare bisogna risalire dai fatti all’idea e non dall’idea
discendere all’esame pregiudicato dei fatti. (...) Ma le tendenze? In linea di principio
potremmo rispondere che una politica, la quale facesse propria l’una o l’altra tendenza,
sarebbe una politica di opzione e non di giudizio. (...) Tutte le tendenze hanno lo stesso
limitato valore: nè alcuna di esse può, più degnamente dell’altre, rappresentare lo Stato.”.
3
Usciti su La Rivista illustrata del “Popolo d’Italia” 12, n 3 (marzo 1934), pp. 27-34 (“Arte
ignorata”), 13, n 3 (marzo 1935), pp. 33-41 (“Racemi d’oro”), 14, n 2 (febbraio 1936), pp.
39-47 (“Antellami”). Le citazioni da “Arte ignorata” sono a p. 34 e p. 32 rispettivamente.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
“Il più celebre dei suoi quadri, L’inumazione del conte d’Orgaz, è
nettamente diviso in due parti, come i mosaici nelle lunghe nicchie
bizantine, senza fuoco centrale unico. I colori del Greco sono colori di
mosaico bizantino, brillanti, vitrei, gemmati, opalescenti e iridati,
come le tessere di prezioso smaltato vetro; senza calore e tono.”
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
4
B. Bandini, “El Greco e l’arte italiana contemporanea: 1930 – 1950”, in El Greco of
Crete. ΠρακτικÀ του διεθνοà̋ επιστεηµονικοà συνεδρÝου που οργανñθηκε µε αφορµÜ τα 450
χρÞνια απÞ τη γÛννησε του ζωγρÀφου. ΗρÀκλειο 1-5 ΣεπτεµβρÝου 1990 / Proceedings of the
International Symposium held on the occasion of the 450th anniversary of the artist’s birth,
Iraklion, Crete, 1-5 September 1990, a cura di N. Hadjinicolaou ([Iraklion] 1995), pp.
499-505. Una mostra di pittori spagnoli nella Collezione Contini – Bonacossi, con molte
tele di El Greco fu aperta nel 1930; alla redazione del catalogo partecipò anche Longhi che
era consulente prediletto del collezionista e amante dell’arte di El Greco: Gli antichi pittori
spagnoli della Collezione Contini – Bonacossi, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna a
Valle Giulia, maggio – luglio 1930, catalogo della mostra, a cura di R. Longhi e A. C.
Mayer (Milano-Roma, 1930-VIII). M. G[rassini] Sarfatti, “Spagna mistica. Dal Monsal-
vato a Toledo”, La Rivista illustrata del “Popolo d’Italia” 1, n 1 (gennaio 1925), pp. 45-49; le
citazioni riportate nel testo sono da p. 48. Sulla Sarfatti vedi: Da Boccioni a Sironi: il mondo
di Margherita Sarfatti, Brescia, Palazzo Martinengo, 13 luglio – 12 ottobre 1997, catalogo
della mostra, a cura di E. Pontiggia (Milano, 1997).
5
R. Giolli, Felice Casorati (Milano, 1925); cf. L. Venturi, “Il pittore Felice Casorati”,
Dedalo 4 (1923-1924), pp. 238-261. A Giolli è dedicato il volume Arte italiana del nostro
tempo, a cura di S. Cairola (Bergamo, 1946), che ha la dedica: “Raffaello Giolli che, artista e
critico, difese e sostenne apertamente l’arte italiana contemporanea come un movimento
rivoluzionario della cultura, nella storia di quella rivoluzione sociale per la quale sacrificò la
vita.” Le notizie su Giolli sono raccolte in R. Giolli, L’architettura razionale, a cura di C. De
Seta (Bari, 1972), prefazione pp. xi-lxvii.
BISANZIO E LA POLITICA FASCISTA DELLE ARTI
cese dell’ala più esterofila. L’articolo sembra quasi una diretta conti-
nuazione di “Racemi d’oro” di Sironi. Giolli l’aprı̀ con tre riprodu-
zioni di quadri di pittori francesi accompagnate da didascalie:
- Cristo e la folla di Georges Rouault, con la didascalia: “Ad
abbandonare ogni plasticismo ottocentesco l’espressionismo è stato
anche persuaso dalla meditazione dei bizantini: come in questo
«Cristo e la folla» di G. Rouault”;
- un modello per arazzo di Rouault, con la didascalia: “Un altro
evidente ricordo bizantino: un modello per arazzo di Rouault”;
- Mme Matisse: madras rouge di Matisse, del 1907, che era stato
esposto al Salon d’Automne del 1907 (ora Merion, Pennsylvania,
The Barnes Foundation): un dettaglio delle mani incrociate della
donna, con la didascalia “Particolare di un ritratto di Matisse del
1907; qui il fauve ha già abbandonato la terza dimensione”.
In accordo con Sironi, Giolli provò a convincere i lettori che
Bisanzio aveva ispirato Rouault, Matisse e Kandinsky. Per confronto,
mise foto di dettagli degli smalti della Pala d’Oro di Venezia in modo
da mostrare figure dal contorno mosso, espressive, fornendo una
immagine inconsueta rispetto a quelle trasmesse dai manuali di storia
dell’arte tipo Bendinelli, dove Bisanzio era santi su fondi oro, gesti
ripetuti nella “inevitabile cadenza gregoriana”, “vita imperturbabile
in un paradiso ritmato” (due allusioni ai mosaici della navata di
Sant’Apollinare Nuovo), “immagini scorporate” di un’arte “immo-
ta”, un mondo “incantato e disumanato”. Grazie all’impressionismo
francese, per Giolli questa immgine di Bisanzio era stata riletta al
Salon del 1906 dai Fauves Matisse, Rouault e Vlaminck, “scambiati
da selvaggi dall’istinto belluino”, ed era stata tradotta in espressioni-
smo moderno, in “colorazioni splendenti oltre ogni inquietudine
plastica”, in un “mondo a due dimensioni” dove “la linea, non più
descrittiva, tornava ad avere il suo liberato linguaggio di ritmo” e
dove “il colore si frange in placche immobili, estatiche, allusive”: “la
piattaforma bizantina d’una pittura senza peso era appunto la piatta-
forma necessaria all’estrema mobilità del brivido espressionista”.
Una lettura senz’altro innovativa: guardati da vicino, corpi e volti
delle figure a smalto della Pala d’Oro rivelano “pupille inquiete”,
“angelicità morbose”, asimmetrie, arabeschi, ritmi astratti, “un
espressionismo già teso alla allucinazione”6.
6
R. Giolli, “Espressionismo dei bizantini”, Domus n 184 (aprile 1943-XXI), pp.
182-188. Sul quadro La signora Matisse in madras rosso di Matisse vedi Kostenevich, “Un
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
9
G. Severini, Ragionamenti sulle arti figurative (Milano, 1936; seconda edizione aumen-
tata 1942); il Capitolo XII, “Pittura murale: sua estetica e suoi mezzi”, è alle pp. 77-93; su
Cézanne vedi il Capitolo XX, “Cézanne”, pp. 197-213 e il commento alla tav. xxiii; su
Matisse vedi il Capitolo XXI, “Henri Matisse”, pp. 215-217; le citazioni nel testo sono alle
pp. 277-278, 281. Valutazioni simili sulla pittura murale, ma meno favorevoli su Bisanzio,
sono ripetute in G. Severini, Discussione sulla relazione di Gustavo Giovannoni, “I rapporti
tra l’architettura e le arti della pittura e della scultura nei vari periodi dell’arte italiana”, in
Reale Accademia d’Italia, Fondazione Alessandro Volta, Atti dei Convegni, 6, Convegno di
Arti. 25-31 ottobre 1936-XIV. Tema: Rapporti dell’architettura con le arti figurative (Roma,
1937-XV), pp. 37-38. Una scelta dai numerosi testi di Severini sul mosaico è in bibliografia.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
“La «pittura murale», che orna l’interno del «Palazzo dell’arte», intende
reagire contro le prevalenti tendenze della costruzione «razionalista»; la
quale, ormai ridotta senza volto e carattere, si è irrigidita, senza
possibilità di ulteriori sviluppi, in un punto morto. La «pittura murale»
vuol umanizzare, riscaldare le squallide mura utilitarie della corrente
materialista derivata dal positivismo del nord e tende a riallacciare le
arti figurative italiane alla nostra decorativa tradizione latina.
Ma la parola «decorazione», durante il basso ottocento, stava ad
indicare un’arte superficiale tutt’al più abile e virtuosa. I suoi svolazzi
floreali, le sue leziosità ed esteriorità ornative avevano cosı̀ fatto dege-
nerare una delle nostre maggiori espressioni. Ora la Triennale intende
riportare la decorazione murale all’altezza della grande arte umana che
in passato ha dato fantasia e spiritualità ai nudi e grandi spazi delle
pareti costruttive.”10.
10
”Pittura murale scultura e decorazione alla Quinta Triennale”, in La Quinta Triennale
di Milano, numero speciale de La Rivista illustrata del “Popolo d’Italia” 11 (agosto 1933 –
XI), citazione da p. 25.
11
M. Sironi, “Pittura murale”, Il Popolo d’Italia 1 gennaio 1932, ristampato su L’arca 3,
n 1 (aprile 1932) e su Domus 5, n 1 (gennaio 1932), pp. 248-249 (con presentazione di Gio
Ponti). Sulla Triennale vedi il fascicolo monografico La Quinta Triennale di Milano de La
Rivista illustrata del “Popolo d’Italia”; L. Vitali, “Le pitture murali alla Triennale”, Domus n
66 (giugno 1933), pp. 286-291. La definizione del mosaico come arte italianissima è da
“L’arte del mosaico alla Triennale”, Domus n 65 (maggio 1933), pp. 228-229; sulla stessa
rivista, alle figg. a pp. 228 e 229, sono riprodotti i murali esposti alla Triennale. Sul
muralismo: 1935. Gli artisti nell’Università e la questione della pittura murale. Università degli
Studi di Roma «La Sapienza», [Roma,] Palazzo del Rettorato, 28 giugno – 31 ottobre 1985,
Catalogo della mostra, a cura di S. Lux e E. Coen (Roma, 1985); Avanguardia, tradizione,
ideologia: itinerario attraverso un ventennio di dibattito sulla pittura plastica murale, a cura di S.
BISANZIO E LA POLITICA FASCISTA DELLE ARTI
Lux (Roma, 1990); A. Monferini, “Mario Sironi e Margherita Sarfatti. Alle origini della
pittura murale”, in Mario Sironi 1885 – 1961, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, 9
dicembre 1993 – 27 febbraio 1994, Catalogo della mostra (Milano, 1993), pp. 66-71; Muri
ai pittori. Pittura murale e decorazione in Italia 1930-1950, Milano, Museo della Permanente,
16 ottobre 1999 – 3 gennaio 2000, catalogo della mostra (Milano, 1999).
12 A
M. Sironi, “II Quadriennale d’Arte Nazionale”, La Rivista illustrata del “Popolo
d’Italia”, 13, n 2 (febbraio 1935), pp. 31-39. V. Guzzi, “La XX Biennale di Venezia”,
Nuova Antologia 71, n 4 (1936-XIV), pp. 65-73. Sulla XXII Biennale: Guttuso, “Pittori
italiani alla XXII Biennale”, pp. 366-370. “Il Palazzo di Giustizia di Milano. Architetto
Marcello Piacentini / Der Mailander Justitzpalast”. Architettura. Rassegna di architettura, 1,
gennaio-febbraio 1942-XX, p. 42.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
13
R. Pallucchini, “Affreschi padovani di Massimo Campigli”, Le arti 2
(1939-1940-XVIII), pp. 346-350, citazioni da pp. 346-347 e 348. A proposito di Longhi
direttore redazionale de Le Arti, Toesca scrisse a Berenson il 17 ottobre del 1938: “Siamo in
piena fissazione di unità delle arti, e temo che la nuova rivista “Le Arti” ne esca molto
confusa e pletorica. Il gruppo di redazione è guidato dal Longhi; e s’intende che il Consiglio
direttivo del quale faccio parte, non ha funzione che nominale.”. La frase sulla unità delle
arti si riferisce a dibattiti in corso a metà degli anni Trenta, suscitati da esposizioni come la
Triennale di arti decorative e applicate all’industria di Milano, sulla quale vedi, tra gli altri, il
commento di M. G[rassini] Sarfatti, “Onestà delle arti applicate”, La Stampa 4 luglio
1936-XIV, p. 3, e, della stessa, “Arti decorative, ovvero: L’oggetto corre dietro alla propria
ombra”, Nuova Antologia 71, n 4 (1936-XIV), pp. 57-64.
BISANZIO E LA POLITICA FASCISTA DELLE ARTI
“Il mosaico non può, non deve aspirare alla creazione della terza
dimensione di profondità e di spazio; deve avere valori di tappezzeria e
di superficie piana. (...) [I mosaici di Tiziano e di Tintoretto a San
Marco a Venezia] sono antimusivi e brutti; mancano anch’essi al
rispetto della natura; perciò appaiono insinceri, superficiali e persino
goffi a furia di scioltezza, accanto agli ieratici bizantini, i quali sape-
vano disporre le composizioni con apparente arcaismo, ma con so-
stanza sapiente, frontalmente e in primo piano, abolendo gli effetti di
lontananza e di movimento.”14.
14
F. F., “L’arte della nuova Italia alla Sesta Triennale”, La Rivista illustrata del “Popolo
d’Italia” 14, n 6 (giugno 1936), pp. 37-45, citazione da p. 38. M. G[rassini] Sarfatti, “Arti
decorative”, citazioni da pp. 62 e 64. La Sarfatti parlò negli stessi termini entusiastici del
mosaico di Sironi in “Onestà delle arti applicate”, p. 3. Sul mosaico di Sironi, nell’odierno
Palazzo dei Giornali in piazza Cavour a Milano, vedi Racemi d’oro: il mosaico di Sironi nel
Palazzo dell’Informazione, a cura di E. Braun (s. l., 1992).
15
Sironi aveva parlato in maniera apparentemente provocatoria dell’adesione di Casorati
alle esposizioni artistiche fasciste in “IIA Quadriennale d’Arte Nazionale”, pp. 31-39.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
16
Vedi Capitolo 11, paragrafo c.
17
Mostra della Rivoluzione Fascista. I˚ Decennale della Marcia su Roma, Roma, Palazzo
della Quadriennale 1932, a cura di D. Alfieri e L. Freddi (Bergamo, 1933). Mostra augustea
della Romanità (Bimillenario della nascita di Augusto), 23 settembre 1937-XV – 23 settembre
1938-XVI, catalogo della mostra (Roma, 1937); M. Pallottino, “La Mostra Augustea della
Romanità”, Capitolium. Rassegna mensile del Governatorato 12 (1937-XV), pp. 519-528; A.
M. Liberati Silverio, “La Mostra Augustea della Romanità”, in Roma Capitale 1870 – 1911.
Dalla mostra al museo. Dalla Mostra archeologica del 1911 al Museo della Civiltà Romana,
Roma, Museo della Civiltà Romana, giugno – dicembre 1983, catalogo della mostra, pp.
77-80; E. Braun, “Political Rhetoric and Poetic Irony: The Uses of Classicism in the Art of
Fascist Italy”, in On Classic Ground. Picasso, Léger, De Chirico and the New Classicism 1910 –
1930, London, Tate Gallery, 6 giugno – 2 settembre 1990, catalogo della mostra, pp.
345-354; G. Pisani Sartorio, “La Mostra Augustea della Romanità (1937-1938), il Palazzo
delle Esposizioni e l’ideologia della romanità”, in Il Palazzo delle Esposizioni. Urbanistica e
architettura. L’esposizione inaugurale del 1883. Le acquisizioni pubbliche. Le attività espositive,
Roma, Palazzo delle Esposizioni, 12 dicembre 1990 – 14 gennaio 1991, catalogo della
mostra; G. Bandelli, “Le lettere mirate”, in Lo spazio letterario di Roma antica (Roma, 1991),
4, pp. 361-397.
BISANZIO E LA POLITICA FASCISTA DELLE ARTI
“Due sezioni voglio ancora ricordare: una è quella della Chiesa Cri-
stiana studiata nei primi cinque secoli, quando a Roma ebbe il suggello
della sua universalità; l’altra è quella che ricorda il tramandarsi dell’i-
dea imperiale romana attraverso gli spiriti magni, fino alla risurrezione
dell’Italia come Nazione unita e indipendente e alla risurrezione, dopo
quindici secoli, dell’impero stesso di Roma, per opera Vostra, o Du-
ce.”.
18
Vedi Capitolo 11, paragrafo e.
BISANZIO E LA POLITICA FASCISTA DELLE ARTI
19
Le considerazioni sono di Mariella Cagnetta, della quale vedi il già citato “Appunti su
guerra coloniale e ideologia imperiale «romana»”, in Antichisti e impero fascista (Bari, 1979),
specialmente pp. 9-11, e “Il mito di Augusto e la ‘rivoluzione’ fascista”,in Matrici culturali
del fascismo (Bari, 1977), pp. 153-184. Inoltre di Luciano Canfora: “Classicismo e fasci-
smo”, in ivi, pp. 85-111, Ideologie del classicismo (Torino, 1980) e Le vie del classicismo (Bari,
1989), qui specialmente i Capitoli 14 e 15, “Cultura classica e «usurpazione moderna»” e
“Sul posto del classicismo tra le matrici culturali del fascismo”, pp. 237-252 e 253-277
rispettivamente. R. Visser, “Fascist Doctrine and the Cult of the Romanità”, Journal of
Contemporary History 27 (1992), pp. 5-22; i contributi nel volume Fascist Visions. Art and
Ideology in France and Italy, a cura di M. Affron e M. Antliff (Princeton, N.J., 1997).
20
Roma “Onde Cristo è romano”. Conferenze radiotrasmesse tenute nell’Anno Accademico
1936-XIV dei Corsi Superiori di Studi Romani (Roma, 1937).
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
21
”La Fiera di Milano”, La Rivista illustrata del “Popolo d’Italia” 15 n 4 (aprile 1937), pp.
79-105; le pubblicità dei tessuti della SNIA Viscosa alle pp. 102 e 104. Tra gli articoli
imperiali pubblicati sulla medesima rivista vedi, ad esempio, S. Aurigemma, “Romanità di
Velleia”, 15 n 2, febbraio 1937, pp. 33-41; e C. Pertile, “Orme di Roma nell’Egeo italiano”,
15, n 1, gennaio 1937, pp. 31-35; il fascicolo speciale su Italia imperiale è del marzo 1937.
22
Come, del resto, Cronache bizantine di letteratura e di arte, quindicinale dell’Università
di Napoli, direttore R. De Gerardis, che cominciò ad uscire a Napoli nel 1907.
23
Studı̂ bizantini (Pubblicazioni dell’ “Istituto per l’Europa Orientale” in Roma. Istituto
di Studi Bizantini e Neoellenici); nei pochi volumi pubblicati vedi A. Muñoz, “Studi di arte
bizantina in Italia”, Studi bizantini, ser. 2, 5 (1924), pp. 207-216; inoltre: A. Giannini, “Gli
studi bizantini a Roma”, in Istituto di Studi Romani, Atti del IV Congresso Nazionale di Studi
Romani, vol. 1, pp. 361-364. C. M. De Vecchi di Val Cismon, Bonifica fascista della cultura
(Milano, 1937), pp. 126-127. Contemporaneamente al congresso, la Biblioteca Vaticana
allestı̀ una mostra di manoscritti e documenti bizantini: Catalogo della mostra di manoscritti e
documenti bizantini disposta dalla Biblioteca Apostolica Vaticana e dall’Archivio Segreto in
BISANZIO E LA POLITICA FASCISTA DELLE ARTI
occasione del V Congresso Internazionale di Studi bizantini, Roma, 20-26 settembre 1936
(Città del Vaticano, 1936).
24
Vedi Capitolo 11, paragrafo b.
25
S. Bettini, “Rapporti tra l’arte bizantina e l’arte italiana prima di Giotto”, in Istituto
Nazionale per le relazioni culturali con l’estero, Italia e Grecia. Saggio su le due civiltà e i loro
rapporti attraverso i secoli (Firenze, 1939), pp. 273-295, citazioni nel testo da pp. 276-277,
280, 288, 291.
26
Queste sentenze di Bettini sono state sottolineate da P. Lemerle, “L’archéologie
paleochrétienne en Italie. Milano et Castelseprio, «Orient ou Rome», Byzantion 22 (1952),
pp. 203-204, che dà una bibliografia degli scritti di Bettini a nota 2 p. 203.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
27
P. Ducati, L’arte in Roma dalle origini al sec. VIII (Istituto di Studi Romani. Storia di
Roma, vol. 26. Bologna, 1938-XVII), citazioni nel testo dalle pp. 390, 401.
28
G. Fiocco, “L’architettura esarcale di Aquileia”, Aquileia nostra 11 (1940), coll. 3-18; la
citazione nel testo è da col. 3. Nell’articolo Fiocco contestava la definizione di “arte esarcale
deuterobizantina” data da Giuseppe Gerola (I monumenti di Ravenna bizantina [Milano, s.
BISANZIO E LA POLITICA FASCISTA DELLE ARTI
e. Epiloghi razzisti
Nell’intervento del 1939 contro Ojetti e quella che lui considerava la
tradizione artistica italiana, Bottai respinse il riferimento alla tradi-
zione come criterio per definire il contenuto artistico del complesso
razziale italiano. La menzione da parte del Ministro dell’Educazione
Nazionale di un’arte della razza italiana è connessa con la dichiara-
zione del Gran Consiglio fascista del 6 ottobre 1938 sul “migliora-
mento qualitativo e quantitativo della razza italiana, miglioramento
che potrebbe essere gravemente compromesso, con conseguenze
politiche incalcolabili da incroci e imbastardimenti”; il Gran Consi-
glio stabilı̀ quindi norme antiebraiche che furono trasformate in legge
con i decreti regii del 15 e 17 novembre; la conseguente espulsione
dei docenti ebrei dall’università avvenne con decreto di Bottai del 30
novembre 1938. I riflessi della politica razziale sulla critica d’arte in
Italia sono ben evidenti negli ultimi anni del fascismo: l’attribuzione
alla sola Germania hitleriana di un razzismo in arte è un’illusione o
un travisamento smentiti dalla lettura dei martellanti articoli antise-
30
R. Salvini, “I mosaici del Duomo di Monreale”, Le arti 4 (1941-1942-XX), pp.
311-321. Più tardi, Salvini scrisse “I mosaici della Cappella Palatina”, preparato per la
Rivista del Regio Istituto di Archeologia e Storia dell’Arte 9 (1943) e mai apparso per
l’interruzione del periodico durante la guerra e negli anni immediatamente successivi.
Infine, dopo la guerra, Salvini pubblicò Mosaici medievali in Sicilia (Firenze, 1949).
BISANZIO E LA POLITICA FASCISTA DELLE ARTI
31
G. Volpe, “Su la soglia del nuovo Impero mediterraneo”, Le arti 2 (1940-XVIII), pp.
293-298.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
f. Folklore bizantino
La presenza italiana nelle isole del Dodecaneso e nelle altre isole
dell’Egeo che furono occupate militarmente nel maggio 1912, poi
assegnate all’Italia col trattato di Sèvres nel 1920, dette impulso agli
studi italiani di documenti archeologici e artistici bizantini, soprat-
tutto a Rodi e Patmo, sotto la direzione della Missione Archeologica
esistente dal 1914: “I lavori compiuti dall’Italia sono di tale grandio-
sità e importanza da far pensare a opera di più decenni. (...) I
monumenti sono stati studiati e restaurati con tutta cura; a Rodi
32
I brani nel testo sono presi da Quadrivio 5, n 17 (21 febbraio 1937-XV) e 5, n 19 (7
marzo 1937-XV), p. 2.
33
G. Dell’Isola, “Storia senza astrazioni”, La difesa della razza 3, n 19, 5 agosto XVIII
[1940], pp. 33-35.
34
Difesa della razza, 1 n 2 (20 agosto XVI [1938]), pp. 32 e 33.
BISANZIO E LA POLITICA FASCISTA DELLE ARTI
35
L. V. Bertarelli, Possedimenti e Colonie. Isole Egee, Tripolitánia, Cirenáica,Eritréa, Somália
(Guida d’Italia del Touring Club Italiano. Milano, 1929-VII); la citazione nel testo è da p.
33; altre notizie generali a p. 49. G. Jacopi, “Le miniature dei codici di Patmo”, Clara
Rhodos 6-7 (1932-1933), pp. 573-591; id., Patmo, Coo e le minori isole italiane dell’Egeo
(Bergamo, 1938-XVI). Le corrispondenze su La rivista illustrata del “Popolo d’Italia”,
firmate S. B., una sigla che non sono stato in grado di sciogliere, sono, in ordine
cronologico: “Progetto d’inutile saccheggio”, 16 n 3 (marzo 1934), pp. 65-67; “«Megalis
ecclisias»”, 12, n 10 (ottobre 1934), pp. 78-81; “Dove entrarono gli Ottomani”, 13, n 4
(aprile 1935), pp. 42-47; “Sopravvivenze bizantine”, 14, n 2 (febbraio 1936), pp. 29-31;
“Sceker bayram”, 16, n 1 (febbraio 1938), pp. 71-73.
10
1
C. Carrà, “Parlata su Giotto”, La voce 8 (1916), pp. 162-174, citazione nel testo da p.
168. Alcuni critici contemporanei misero mettere in guardia da una interpretazione cubista
di Giotto: M. Marangoni, Giotto. La Cappella degli Scrovegni (Bergamo, 1937-XVI), p. 3; V.
Mariani, Giotto (Roma, XVI [1937]), pp. 9-11.
2
C. Carrà, Giotto (Roma, 1924), citazioni nel testo da pp. 22 e 23. Sul San Francesco di
Pescia: C. Carrà, “Il San Francesco di Berlinghieri a Pescia”, L’Ambrosiano 26 luglio 1933.
3
C. Carrà, “Difesa della mia generazione”, [1930] ristampato in C. Carrà, Segreto
professionale, a cura di M. Carrà (Firenze, 1962), p. 86. U. Ojetti, Bello e brutto (Milano,
1930).
GIOTTO: BISANZIO O ITALIA
4
C. Gamba, Giotto (L’arte per tutti, Istituto Italiano L.U.C.E., Roma, 1930), special-
mente p. 4: “Giotto crea un tipo d’arte nuova e originale e italiana perché fuori dalla
tradizione bizantina e dall’influenza gotica.”. “Ardengo Soffici. Vasari moderno”, p. 5. M.
G[rassini] Sarfatti, Storia della pittura moderna (Collezione “Prisma”, diretta da M. S. Roma,
1930-VIII), p. 14.
5
A. Soffici, “Romanità della pittura italiana”, L’illustrazione del medico, n 26 (marzo
1936), pp. 27-30, citazioni nel testo da pp. 29-30.
6
M. Salmi, “I mosaici del «Bel San Giovanni» e la pittura del secolo XIII a Firenze”,
Dedalo 11 (1930-1931), pp. 543-570.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
“È palese che il pittore [delle storie di San Francesco] non conosceva
affatto, né s’immaginava, il tormento critico degli artisti odierni sul
valore del «contenuto» e su quello della forma pura: nella sua arte
contenuto e forma sono una sola cosa, fusi insieme nell’atto creativo
7
L. Venturi, “Introduzione all’arte di Giotto”, L’arte 22 (1919), pp. 49-56 (ristampato in
L. V., Pretesti di critica [Milano, 1929]), citazione nel testo da p. 53.
8
P. Toesca, Storia dell’arte italiana, vol. 2, Il Trecento, (Torino, 1951), pp. 442, 455, 444.
Vedi inoltre P. Toesca, La pittura fiorentina del Trecento (Verona, 1929).
GIOTTO: BISANZIO O ITALIA
che alla figura e alle azioni del Santo dà la grave e potente umanità
ch’è la sola conveniente al modo di vedere del pittore, cioè alla sua
forma, grave, raccolta, di potente rilievo.
Sia Giotto, o non lo sia, il pittore della Vita di S. Francesco è maestro
grandissimo. A riguardare nella pittura italiana tra il Dugento e il
Trecento il suo posto non può essere che tra la vecchia maniera
bizantineggiante, di Cimabue e dei suoi compagni, della quale mantiene
9
qualche ricordo, e la nuova che Giotto tenne nell’Arena di Padova.” .
9
P. Toesca, “Gioventù di Giotto”, Civiltà. Rivista trimestrale della Esposizione Universale di
Roma, gennaio 1942-XX, pp. 29-50.
10
I giudizi di Toesca su Giotto sono dalla voce “Giotto” della Enciclopedia Italiana, vol.
17 (1933), p. 212, e da Giotto (I Grandi Italiani. Collana di biografie diretta da Luigi
Federzoni, 18. Torino, 1941-XIX), pp. 13, 41, 49; vedi inoltre, su Giotto, La pittura
fiorentina del Trecento (Verona, 1929), pp. 5-40. La lettera di Toesca a Berenson è
conservata nella Biblioteca Berenson, Villa I Tatti, Settignano (Firenze).
11
La lettera di Toesca a Berenson è del 7 giugno 1937 ed è conservata nella Biblioteca
Berenson, Villa I Tatti, Settignano (Firenze).
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
12
Mostra giottesca, Palazzo degli Uffizi, aprile – ottobre 1937-XV, catalogo della mostra
(Città di Firenze, onoranze a Giotto nel VI centenario della morte. Bergamo, 1937); Pittura
italiana del Duecento e Trecento. Catalogo della mostra giottesca di Firenze del 1937, a cura di G.
Sinibaldi e G. Brunetti (Firenze, 1943), citazione da p. 7; i dipinti citati sono riprodotti alle
figg. 13 e 14.
GIOTTO: BISANZIO O ITALIA
naio), Mario Tozzi (“Il più vivo di tutti i pittori”, 7 febbraio), Carlo
Socrate (“W Giotto, ma abbasso il Giottismo”, 14 febbraio). L’Illu-
strazione toscana pubblicò in aprile un numero speciale “A Giotto”, al
quale contribuirono Salmi (“Giotto pittore”), il giovane Salvini
(“Giotto architetto”) e Odoardo H. Giglioli (“La mostra giottesca in
Firenze”). Quanto alla stampa quotidiana, La Nazione pubblicò un
articolo di Del Massa che definiva la classicità una forza vitale e
risorgente in Giotto, corrispondente al concetto di Giotto imitatore
della natura tramandato dalla critica d’arte antica13.
Recensioni della mostra furono scritte da Salmi e da Coletti.
Quest’ultimo, con accenti patriottici e propagandistici, parlò di affol-
lamenti del pubblico nelle sale, esaltò il maschio e popolano Giotto
(in contrasto, come simbolo di Bisanzio in quel periodo potrebbe
essere presa Teodora, femmina e cortigiana) e si scagliò contro l’idea
che “questa nostra terra non debba essere stata altro che il campo
delle contrastanti ondate d’oltralpe e d’oltre mare”; vale a dire,
iconografia, schemi morfologici e vocabolario di quest’arte di Giotto
sono “bizantini, carolingi, ottoniani, francesi e tedeschi”, ma “lo
spirito di quest’arte”, “la poetica di questa gente” è cosa tutta diversa
13
A Giotto, numero speciale della Illustrazione toscana, 15, n 4 (aprile 1937): M. Salmi,
“Giotto pittore”, pp. 1-21; R. Salvini, “Giotto architetto”, pp. 33-35; O. H. Giglioli, “La
mostra giottesca in Firenze”, pp. 36-42. “Giotto 1937. Come vedono Giotto, a sei secoli dalla
sua morte, i pittori che vivono e lavorano nel 1937? ... Omaggio al Padre della pittura
italiana”, in Quadrivio, gennaio-febbraio 1937-XV: G. Severini, “Giotto 1937”, 31 gennaio,
p. 1; M. Tozzi, “Il più vivo di tutti i pittori”, 7 febbraio, p. 1; C. Socrate, “W Giotto ma
abbasso il Giottismo”, 14 febbraio, p. 1. A. Del Massa, “Giotto e l’età nuova”, La Nazione, 24
aprile 1937, p. 3.
14
M. Salmi, “La mostra giottesca”, Emporium 43 (1937-XV), p. 349. L. Coletti, “La
Mostra Giottesca”, Bollettino d’arte, ser. 3, 31 (1937-XV), pp. 49-72, citazioni nel testo da
pp. 49 e 55.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
“(...) gli scritti finora dati in luce dai nuovi critici e storici, dei quali
ricorderò tra i più recenti e audaci il Longhi, che per le sue molte
conoscenze di arte, e soprattutto per essere uno scrittore (per dirla alla
tedesca) temperamentvoll, esercita una notevole efficacia sui recenti
studı̂ italiani di storia dell’arte.”17.
E Toesca, più tardi, nel 1945, in una lettera a Berenson usò per
Longhi espressioni simili a quelle di Croce:
15
U. Ojetti, Giotto. Discorso letto il 27 aprile 1937-XV a Firenze in Palazzo Vecchio ...
(Reale Accademia d’Italia. Celebrazioni e Commemorazioni, 23. Roma, 1937-XV), ristam-
pato in Nuova Antologia 72 (1937-XV), pp. 137-145, citazione nel testo da p. 138.
16
E. Cecchi, Giotto (Collezione Valori Plastici. Milano, 1937-XV). P. Toesca, “Giotto
pittore e San Francesco”, Frate Francesco 10 (1937-XV), p. 145. M. Salmi, “Le origini
dell’arte di Giotto”, Rivista d’arte 19 (1937-XV), pp. 193-220. R. Salvini, Giotto. Bibliografia
(Roma, 1938-XVII); Salvini aveva già pubblicato “Medioevo e Rinascimento nell’arte di
Giotto”, Civiltà moderna 7 (1935-XIII), pp. 3-17. S. Bettini, “Rapporti tra l’arte bizantina e
l’arte italiana prima di Giotto”, in Istituto Nazionale per le relazioni culturali con l’estero,
Italia e Grecia. Saggio su le due civiltà e i loro rapporti attraverso i secoli (Firenze, 1939-XVIII),
pp. 273-295.
17
Croce, La critica e la storia delle arti figurative, p. 8. Sul libro di Croce e Longhi vedi L.
Grassi, “Benedetto Croce e la critica d’arte”, Rivista dell’Istituto Nazionale di Archeologia e
Storia dell’Arte, n. s., 1 (1952), pp. 328-335.
GIOTTO: BISANZIO O ITALIA
“Che il primo letto della cultura dei trecentisti veneti sia l’arte conge-
lata e autocratica del tardo bizantinismo, non par dubbio. Deferentis-
18
Lettera di Toesca a Berenson del 30 luglio 1945, conservata nella Biblioteca Berenson,
Villa I Tatti, Settignano (Firenze).
19
R. Longhi, “Giudizio sul Duecento”, Proporzioni 2 (1948), pp. 5-54 (“Giudizio sul
Duecento 1939”, pp. 5-22; Corollario 1947, pp. 23-29; Note, pp. 30-54).
20
Vedi Capitolo 11, paragrafo e.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
21
R. Longhi, “Viatico per la mostra veneziana dei cinque secoli”, La Rassegna d’Italia 1 n
1 (gennaio 1946), pp. 66-81; 1 n 4 (aprile 1946), pp. 32-49; le citazioni sono dalla prima
parte, p. 66. Per buona parte questo paragrafo sul “Giudizio” di Longhi ripete quanto
scritto in Bernabò, “L’arte bizantina e la critica in Italia”, pp. 58-60.
GIOTTO: BISANZIO O ITALIA
“Se questa è pittura fatta da italiani vorrà dire che parecchi dei nostri
s’erano «balcanizzati» a un bel segno; se l’opera è di un immigrato, il
giudizio non cambia: sempre un inserto alieno e sforzato nel corpo
dell’arte nostra.
Il cómpito dello storico è perciò di potare dal tronco italiano questo
ramo, non perché alieno, ma perché arrivato secco e senza capacità
d’innesto.”22.
22
Le citazioni nel testo dal “Giudizio sul Duecento” sono dalle pp. 10, 6, 6-7, 24, 29, 7.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
23
Cf. Barocchi, Storia, 3/1, p. 390 nota 8. I commenti di Longhi andrebbero messi a
confronto con quanto pensava un altro crociano, Bianchi Bandinelli, protagonista della
questione bizantina nel secondo dopoguerra: “Oggi una decorazione lineare è indubbia-
mente più sentita di un rabesco a fogliami o di una grottesca piena di figure (...). La ricerca
di una semplicità primitiva, che porta spesso a imitare l’analfabetismo artistico dei selvaggi,
non è dunque una artificiosità snobistica, ma il modo più facile di seguire una profonda
aspirazione del nostro tempo verso la semplicità e la schiettezza.”. Il brano è da R. Bianchi
Bandinelli, Dal diario di un borghese e altri scritti (Verona, 1948), p. 19, ed è datato 5 maggio
1921.
GIOTTO: BISANZIO O ITALIA
rianimarsi dell’arte bizantina, che lui vi vede, sia avvenuto “in collu-
sione con lo spirito dell’Occidente italiano”; il Cristo e il San France-
sco nell’icona dipenderebbero dalla pittura riminese. L’icona fu di-
pinta probabilmente in una delle zone di Bisanzio limitrofe
all’Occidente e dell’arte bizantina rappresenta solo una delle maniere
provinciali24.
Con espressioni che hanno per matrice l’estetica di Croce (“l’i-
dealismo in cui tutti crescemmo”), nel Corollario Longhi definı̀ l’arte
bizantina come “disvalore” e “similarte”, ovvero “il paradigma più
illustre di produzione «similare» che però all’arte non appartiene”;
una similarte inferiore come valore artistico alla pittura delle caverne,
fomentata dall’arte islamica e la cui produzione fu “tutto limite”,
“illimitatamente asservita”:
24
Per il commento al “Giudizio” di Longhi vedi Capitolo 12, paragrafo b. Nel “Giudi-
zio” e nel Corollario Longhi ha anche alcune sortite prive di senso sull’arte bizantina:
Margaritone d’Arezzo, ad esempio, avrebbe ripreso dagli “antichissimi modelli copto-
siriaci” (S. Bettini, “Studi recenti sull’arte bizantina”, La critica d’arte, ser. 3, 8
[1949-1950], p. 147).
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
L’ENCICLOPEDIA ORIENTALISTA
1
Enciclopedia Italiana di Scienze, Lettere ed Arti, 36 volumi (Roma: Istituto Giovanni
Treccani, poi Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani,
1929-1936); Appendice I, 4 volumi (Roma, 1938). Appendice II 1938 / 1948, 2 volumi
(Roma, 1948-1949). Appendice III 1950 / 1961, 2 volumi (Roma, 1961). Enciclopedia
Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento (Milano [1939-XVII]). Per la campagna sul
Giornale d’Italia vedi Capitolo 6, paragrafo c.
L’ENCICLOPEDIA ORIENTALISTA
2
Le minute delle lettere di Ojetti a Gentile e le lettere di Gentile ad Ojetti citate nel testo
sono conservate presso la Biblioteca Nazionale di Firenze (manoscritti da ordinare 250,
cartella “Partecipazione alla vita pubblica” 3, 19 II). Tra le difficoltà incontrate fu,
nell’aprile del 1926, il divieto papale rivolto ai prelati cattolici di firmare articoli per
l’Enciclopedia. In data 5 aprile 1926 Ojetti esterna a Gentile le sue preoccupazioni per
“l’attacco, diremo, vaticano all’Enciclopedia” pubblicato sulla stampa; due note de L’osser-
vatore romano e del Corriere della Sera davano infatti notizia del veto papale e della futura
pubblicazione della Enciclopedia cattolica; Ojetti suggerisce a Gentile di parlarne col Ponte-
fice. Il 15 aprile Gentile risponde che “l’incidente col Vaticano” poteva considerarsi chiuso:
“I prelati che si erano personalmente impegnati a collaborare, e che intendono infatti
collaborare, hanno insistito presso il Pontefice perché li sciogliesse dall’obbligo, che io non
potevo accettare, di non firmare. E il pontefice, malgrado la sua ostinatezza, ha finito con
l’arrendersi all’evidenza delle ragioni che gli erano addotte.”. Su questo episodio vedi M.
Bernabò e R. Tarasconi, “L’epistolario Gentile-Ojetti ed un attacco vaticano all’Enciclopedia
Italiana”, Quaderni di storia 53 (gennaio-giugno 2001), pp. 155-167. Tra le voci redatte da
Ojetti è, ad esempio, “Appiani, Andrea”, in E. I., vol. 3 (1929), pp. 757-759.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
“Quello che non potrei in alcun modo ammettere, è che essi potessero
comunque dar motivo alle tue dimissioni; sulle quali spero bene che
non vorrai insistere. Intendo che la fatica, che ti è stata addossata, è
troppo grande; intendo che i fastidi che noi ti diamo, per necessità,
L’ENCICLOPEDIA ORIENTALISTA
“la prima insolente nel modo più intollerabile, e la seconda scema fino
all’inverosimile. Possibile che tu mi stampi di queste sciocchezze?”
3
R. Longhi, “Marcantonio Andreucci”, in E. I., vol. 3 (1929), p. 215, e “Giovanni
Baglioni”, in E. I., vol. 5 (1930), pp. 851-853.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
b. L’incarico a Toesca
Ad Ojetti subentrarono, dunque, Toesca e Colasanti, dividendosi i
compiti rispettivamente per l’arte medievale e moderna e per l’arte
contemporanea e valendosi a loro volta di collaboratori, come, ad
esempio, per tutte le voci sull’arte veneta. Il coinvolgimento nella
impresa dell’Enciclopedia Italiana non fu cercato da Toesca, nono-
stante Ojetti lo dicesse molto indaffarato a lavorare per le voci:
“La terza novità (e non piacevole) l’ho avuta iersera. Mi è stato offerto
con molta insistenza e con larghezze ... economiche di sostituire
appunto Ojetti nel dirigere la sezione di storia dell’arte medioevale e
moderna nella Enciclopedia Treccani. Ho accettato soltanto quando
son stato certo che Ojetti s’era ormai dimesso in modo irrevocabile.
Forse Ojetti potrà credere ch’io abbia, in qualche modo, desiderato di
sostituirlo: invece (ed io prego Lei di dirglielo) ho veduto con grande
4
Sul rapporto tra Gentile e Ojetti nell’impresa dell’Enciclopedia vedi Bernabò e Tara-
sconi, “L’epistolario Gentile-Ojetti”, pp. 155-167.
L’ENCICLOPEDIA ORIENTALISTA
5
I brani riportati nel testo sono da due lettere di Toesca a Berenson del 17 gennaio del
1928 e del 16 gennaio 1929, conservate entrambe nella Biblioteca Berenson di Villa I Tatti,
Settignano (Firenze).
6
Su De Sanctis, gli antichisti, il fascismo e l’Enciclopedia Italiana vedi Cagnetta,
Antichisti e impero fascista; ead., Antichità classiche nell’Enciclopedia Italiana (Roma, 1990).
7
P. Toesca, “Cavallini, Pietro”, vol. 9 (1931), pp. 546-547; “Cimabue”, vol. 10 (1931),
pp. 245-246; “Civate”, vol. 10 (1931), p. 509; “Duccio di Buoninsegna”, vol. 13 (11932),
pp. 245-247; “Guido da Siena”, vol. 18 (1933), pp. 255-256; “Giotto”, vol. 17 (1933), pp.
211-219; “Giunta Capitini detto Pisano”, vol. 17 (1933), p. 331; “Iconografia. Arte
medievale e moderna”, vol. 18 (1933), pp. 699-700; “Musaico”, vol. 24 (1934), pp. 80-85;
“Nicola Pisano”, vol. 24 (1934), pp. 784-786; “Normanna. Arte”, vol. 24 (1934), p. 932;
“Romanica. Arte”, vol. 30 (1936), pp. 41-55; “Sant’Angelo in Formis”, vol. 30 (1936), p.
774; “San Vincenzo al Volturno”, vol. 30 (1936), pp. 803-804; “Wiligelmo”, vol. 35
(1937), p. 749. La voce “Torriti, Jacopo”, vol. 34 (1937), p. 71 è anonima. Cf. G.
Ragionieri, “Pietro Toesca nell’Enciclopedia Italiana”, Prospettiva nn 57-60 (aprile 1989 –
ottobre 1990), pp. 485-488, dove, in appendice, è riportato un elenco delle voci scritte da
Toesca per l’Enciclopedia.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
“Il clima che ha reso possibile un’opera come questa, alla quale non
parve in passato possibile in Italia pensare, è il nuovo spirito esploso
con l’avvento del Fascismo, che scosse idee e sentimenti e accese una
passione inestinguibile di rinnovamento e di affermazione della po-
tenza dell’Italia nel mondo.”10.
8
Vedi le lettere di Ojetti a Gentile del 9 giugno 1928.
9
O, se fosse stata disponibile ad accettare, aggiunse per lusinga, a Nicky Mariano, la
segretaria di Berenson. Le lettere di Toesca a Berenson sono del 3 aprile e del 26 giugno del
1929 e sono conservate nella Biblioteca Berenson di Villa I Tatti, Settignano (Firenze).
10
E. I., vol. 1 (1929), pp. xi-xv.
L’ENCICLOPEDIA ORIENTALISTA
11
G. Volpe, “L’«Enciclopedia Italiana» è compiuta”, Nuova Antologia, ser. 8, n 394
(1937-XVI), pp. 5-18.
12
Volpe trasferı̀ nella cultura la politica razziale del fascismo: nel suo “Su la soglia del
nuovo Impero mediterraneo”, apparso in Le arti 2 (1940-XVIII), pp. 293-298, inneggiò alla
grandezza di Roma antica, che aveva dato unità spirituale e politica alle genti del Mediterra-
neo, e degli Italiani che avevano conservato a quello il carattere di mare europeo contro “i
semiti di Cartagine, i semiasiatici di Bisanzio, gli Arabi e Turchi d’Asia e d’Africa” (citazioni
da p. 293).
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
“È giusto nondimeno avvertire che una parte della critica vede le
vicende della pittura a Roma in continue e complesse relazioni con la
pittura bizantina e dell’Oriente cristiano, pur ammettendo che qui la
continuata attività abbia sviluppato tradizioni proprie, risorgenti più
forti nei periodi di più alta originalità. Gli affreschi del tempo di
13
Sulla retorica romana e gli studiosi vedi M. Cagnetta, “Appunti su guerra coloniale e
ideologia imperiale romana”, in Matrici culturali del fascismo, pp. 185-207, specialmente pp.
202-204.
L’ENCICLOPEDIA ORIENTALISTA
14
F. Hermanin, “Roma. Roma medievale. Arti figurative”, in E. I., vol. 29 (1936), pp.
774-777; citazioni nel testo da p. 774; id., L’arte in Roma dal sec. VIII al XIV (Istituto di
Studi Romani. Storia di Roma, vol. 27. Bologna, 1945), pp. 177-178:
“[dalle pitture delle catacombe a Cavallini abbiamo a Roma monumenti] che dettero ai
nostri maestri la forza per resistere, spesso vittoriosamente, all’invasione artistica bizantina
da prima e a quella barbarica in seguito e per gettare le basi di quella nuova arte italiana,
che è gloria immortale della nostra patria.”.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
15
G. De Francovich, “Armeni. Pittura e scultura” e G. Rosi, “Armeni. Architettura”,
vol. 4 (1929), pp. 435-440 e pp. 440-443; G. Gentile, “Arte”, L. Venturi, “Arte. Il concetto
di arte”, E. Loewy, “Arte. L’arte greco-romana”, J. von Schlosser, “Arte. L’arte medievale e
moderna”, vol. 4 (1929), pp. 631-633, 633-634, 639-643, 643-660; G. A. Sotiriou,
“Athos”, vol. 5 (1930), pp. 204-205; L. Bréhier, “Bibbia. La Bibbia nell’arte” e T. De
Marinis, “Bibbia. Codici ed edizioni”, vol. 6 (1930), pp. 919-922 e 922-925; J. Alazard,
““Cézanne”, vol. 9 (1931), p. 910; C. A. Petrucci, “Colore”, vol. 10 (1931), p. 882; F.
Volbach, “Copti. Arte copta”, vol. 11 (1931), pp. 335-339; C. Diehl, “Costantinopoli. I
monumenti”, vol. 11 (1931), pp. 616-620; R. Mouterde, “Dura-Europo”, vol. 13 (1932),
p. 290; G. De Jerphanion e G. Levi Della Vida, “Edessa”, vol. 13 (1932), p. 457; M.
Malkiel-Jirmounski, “Kiev. Monumenti”, vol. 20 (1933), p. 195; A. R. Schneider, “Matis-
se”, vol. 22 (1934), pp. 569-570; P. Romanelli, “Mesopotamia”, vol. 22 (1934), pp.
937-938; P. D’Ancona, “Miniatura. La miniatura nei codici” e E. Kühnel, “Miniatura. La
miniatura nell’arte islamica”, vol. 23 (1934), pp. 363-371, 374-376; C. Cecchelli e P.
Toesca, “Musaico”, vol. 24 (1934), pp. 76-80 (Cecchelli, “Il musaico nell’arte antica”, pp.
76-80; Toesca, “Il musaico nell’arte medievale e moderna”, pp. 80-85); M. Malkiel-
Jirmounski, “Novgorod”, vol. 25 (1935), pp. 1-2; M. Guidi, “Oriente cristiano”, vol. 25
(1935), pp. 550-552; E. Kühnel, “Persia. Arte”, vol. 26 (1935), pp. 834-839; M. Malkiel-
Jirmounski, “Russia. Arte”, vol. 30 (1936), pp. 314-319; G. De Jerphanion, “Siria”, vol. 31
(1936), pp. 903-906; V. Molé, “Studenica”, vol. 32 (1936), p. 889; C. Cecchelli, “Cata-
combe. Arte”, vol. 9 (1931), pp. 399-400.
L’ENCICLOPEDIA ORIENTALISTA
16
G. Brusin, “Aquileia. Monumenti artistici”, in E. I., vol. 3 (1929), pp. 803-804; F.
Forlati, “Parenzo. Monumenti”, in E. I., vol. 26 (1935), p. 324.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
“(...) nel ritratto si può trovare ancora una volta un rivivere delle
caratteristiche romane. Se infatti il classicismo costantiniano e le
sopraggiunte influenze orientali hanno definitivamente portato a un
irrigidirsi dei corpi, rendendoli inorganici, lignei, scarsi di ritmo e
concepiti con funzione essenzialmente decorativa (il che fu sempre in
ogni tempo l’effetto precipuo dell’influsso orientale), ancora una volta
torna questa rigidità a dissolversi almeno nei volti, per darci una serie
ben individuata di ritratti. (...) Abbiamo qui veri precedenti di quel
bizantinismo che trasformerà la figura umana in icone, la forma
corporea in geometria, secondo un preciso ideale morale ed estetico
(...). [Dopo il 476] abbiamo ancora esempi di ritratti i quali, pur
avendo assunto in parte il geometrismo canonico di Bisanzio, riman-
gono più ricchi di modellato e di elementi espressivi individualistici. E
mentre in Oriente l’ideale umano andava sempre più irrigidendosi e
ugualmente andava irrigidendosi nel dogma e nel protocollo lo spirito
e il libero volere dell’uomo, da Roma e dall’ambiente italico partiva
sempre qualche scintilla di individualità, che si manifesta appunto
nell’arte sotto forma di espressione caratteristica e di colorismo e
17
S. Muratori, “Ravenna. Monumenti e arti”, vol. 28 (1935), pp. 870-874; G. Fogolari,
“Venezia. Arti figurative”, vol. 35 (1937), pp. 60-67, citazioni nel testo da p. 60.
L’ENCICLOPEDIA ORIENTALISTA
18
R. Bianchi Bandinelli, “Roma. Arti figurative. Da Teodosio alla fine dell’Impero
d’Occidente (476 d. C.)”, vol. 29 (1936), pp. 729-745, citazione è da p. 744.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
“Ma l’arte cristiana del Medioevo, e fino dal sec. IV al VI, diede nuovi
sviluppi al musaico murale, formandone la più insigne veste delle
chiese soprattutto nelle absidi, in cui essa doveva adombrare in forma
più schietta le nuove credenze sotto specie di visibile rivelazione. Per
esprimere i nuovi concetti religiosi l’arte trovò allora uno stile sempre
più purificato dai residui della classicità, intento ognora più ad astra-
zioni e simboli (...).”.
19
I brani riportati nel testo sono dal vol. 18, del 1933, della E. I., pp. 699-700.
20
Vedi Capitolo 8, paragrafo b.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
21
Vedi Capitolo 9, paragrafo b.
22
Le citazioni sono dal volume 24 del 1934, pp. 80 e 81.
L’ENCICLOPEDIA ORIENTALISTA
“non seguire la moda recente che forma l’arte bizantina quasi solo
sugli stampi orientali, perché sarebbe strano che proprio l’Enciclopedia
Italiana accettasse questa diminuzione della incontrastabile origine
romana dell’architettura bizantina.”.
23
La citazione su Giotto è presa dal volume 17 del 1933, p. 212.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
24
Discorso inaugurale in Atti del I˚ Congresso Nazionale di Storia dell’Architettura, [Firenze,
Palazzo Vecchio] 29-31 ottobre 1936-XV (Firenze, 1938-XVI), p. ix.
25
La lettera di Ojetti a Gentile è conservata alla Biblioteca Nazionale di Firenze come le
precedenti dell’epistolario Gentile-Ojetti.
26
”Bizantina, civiltà”, in E. I., vol. 7 (1930), pp. 120-167: A. Pernice, “Storia dell’im-
pero bizantino”, pp. 120-141; G. Ferrari, “Diritto”, pp. 141-148; G. Pasquali, “Letteratu-
ra”, pp. 148-154; C. Diehl, “Arte”, pp. 154-165; E. Wellesz, “Musica”, pp. 165-167. M.
Aubert, “Carolingia, Arte”, vol. 9 (1931), pp. 119-121; G. Farina, “Egitto. Arte”, vol. 13
(1932), pp. 565-570; G. Giovannoni e R. Bianchi Bandinelli, “Roma. Roma Antica.
Architettura classica, Architettura cristiana, Arti figurative”, vol. 29 (1936), pp. 714-745.
27
E. Wellesz, Byzantinische Musik (Leipzig, 1927); “Lo stato attuale delle ricerche nel
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
campo della musica bizantina”, Estratto dal V Congresso Internazionale di Studi Bizantini,
Roma, 20-26 settembre 1936, Studi bizantini e neoellenici 6 (1936) (Roma, 1939).
L’ENCICLOPEDIA ORIENTALISTA
28
Citazioni da p. 154.
29
C. Cecchelli, “Bizantina, civiltà. Arte”, in E. I. Appendice I (1938), pp. 281-284; vedi
Capitolo 11, paragrafo a.
30
Sui contributi di Pasquali alla Enciclopedia Italiana vedi Cagnetta, Antichità classiche
nell’Enciclopedia Italiana, Capitolo II, “Pasquali, i filologi e il ‘vestito di Arlecchino’, pp.
29-89, e p. 70 sulla voce “Bizantina, Civiltà”.
PARTE II: ROMA O BISANZIO, ROMA O PARIGI
“Si suol chiamare bizantino quel periodo della letteratura greca che si
estende dall’ascesa al trono di Giustiniano (527 d.C.) alla caduta di
Costantinopoli in mano dei Turchi Osmanli.”.
dano gli imperi orientali: velate critiche e allusioni alla Roma musso-
liniana? Certamente, le lodi di Gioacchino Volpe del pezzo di Pa-
squali allontanano questa possibilità. Quanto alla Chiesa, quella
bizantina discute per secoli e secoli sulla natura umana e divina di
Cristo e resta impantanata in controversie che in Occidente erano
state superate; il monachesimo è fatto di monaci contemplativi e
intriganti che niente hanno a che spartire con i monaci e frati attivi e
popolari dell’Occidente:
“la Chiesa greca chiama sé stessa «ortodossa»; ma questo nome di cui
essa va superba, non è, chi ben guardi, se non un testimonium pauperta-
tis. (...) La devozione greca rimane rivolta verso il di là, rimane
meramente contemplativa; mentre già i benedettini, i soli monaci
dell’Occidente, operano per l’agricoltura e per la cultura; mentre i
nuovi ordini non più di monaci ma di frati, i domenicani e i france-
scani, si rimescolano al popolo da cui sono usciti, operando e benefi-
cando, il monachesimo greco cerca di guadagnarsi la vita eterna con
l’ascesi e la preghiera, alle quali viene attribuito un potere quasi
magico. I monaci bizantini sono stati spesso fior d’intriganti (... ).”.
31
Citazioni nel testo da pp. 148-150.
32
M. Praz, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica (Milano – Roma, 1930;
seconda edizione accresciuta, Torino, 1942). F. Flora, “La «Cronaca Bizantina»”, Pègaso 2
(1930-VIII), pp. 681-698. A. Sommaruga, Cronaca Bizantina (1881-1885). Note e ricordi
(Milano – Verona, 1941).
L’ENCICLOPEDIA ORIENTALISTA
33
Pasquali introdusse anche considerazioni di critica figurativa: citò il Salterio di Parigi
come un prodotto del Monastero di Studio, confondendo questo manoscritto con i salteri a
illustrazioni marginali che erano stati effettivamente considerati collegati da più studiosi allo
Studio, e lo ritenne “un tentativo di arte realistica”, “un fatto che rimane isolato”: giudizi
privi di competenza. G. Pasquali, “Medioevo bizantino”, Civiltà moderna 13 (1941-XX),
pp. 289-320; ristampato in G. P., Stravaganze quarte e supreme (Venezia, 1951), pp. 93-129,
citazioni da pp. 99, 101, 104-105, 123-124.
PARTE III
CROCIANI, COMUNISTI E
RAVVEDUTI
12
1
F. Pertile, “Le opere d’arte in assetto di guerra”, La Rivista illustrata del “Popolo
d’Italia” 21, n 11 (novembre 1942), pp. 70-77. Cinquanta monumenti italiani danneggiati
dalla guerra, a cura di E. Lavagnino, prefazioni di B. Croce, C. R. Morey, R. Bianchi
Bandinelli (Roma, 1947).
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
2
C. Malaparte, La pelle. Storia e racconto (Roma – Milano, 1949), pp. 59-60.
3
La frase di Bianchi Bandinelli, da “A che cosa serve la storia dell’arte antica”, pp.
10-11, del 1945, è riportata per esteso in epigrafe al Capitolo 6, paragrafo d. La frase su
Pasquali, messa in epigrafe al presente capitolo, continua, concludendo il necrologio, cosı̀:
“E che la stampa borghese quasi non ha preso nota della sua morte, e, se mai, ha posto in
evidenza le esteriori singolarità, non le qualità sostanziali che erano nella sua persona.”.
IL RIASSETTO DOPO IL CONFLITTO
4
Le frasi di Toesca sono da lettere a Berenson del 25 marzo 1945, del 19 dicembre 1947
e del 26 settembre e 26 novembre 1949, conservate nella Biblioteca Berenson, Villa I Tatti,
Settignano (Firenze). La conferenza di Venturi all’Università di Firenze fu pubblicata su Il
Mondo del 5 maggio 1945, col titolo “Le origini della pittura contemporanea” e con una
premessa nella quale si riportava il saluto di Calamandrei.
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
5
Longhi, “Matisse”. Vedi Capitolo 6, paragrafo f.
6
A. Pertusi, “Bizantina, civiltà”, in E. I. Appendice II 1938 / 1948 (1948), pp. 414-415. S.
Bettini, “Bizantina arte”, in Enciclopedia Cattolica, vol. 2 (Città del Vaticano, 1949), coll.
1685-1696; la voce su Bisanzio, oltre ad arte, comprende nello stesso volume della
Enciclopedia cattolica: “Bizantina letteratura” di Martino Jugie (coll. 1696-1699), “Bizantina
liturgia” di Placido de Meester, “Bizantina musica” di Giuseppe Ferrari (coll. 1704-1709),
“Bizantino, diritto canonico” di Acacio Coussa (coll. 1709-1712). P. Verzone, V. Lazarev,
D. Talbot-Rice, “Bizantino”, in Enciclopedia Universale dell’Arte, vol. 2 (Venezia – Roma,
1958), coll. 623-712. “Bizantina, arte”, in Enciclopedia dell’arte antica classica e orientale, vol.
2 (Roma, 1959), pp. 108-114.
IL RIASSETTO DOPO IL CONFLITTO
7
B. Berenson, “San Marco Tempio e Museo Bizantino”, Corriere della Sera, 2 settembre
1954, p. 3.
8
Vedi Capitolo 9, paragrafo d.
9
O. Demus, The Mosaics of Norman Sicily (London, 1949); Die Mosaiken von San Marco
in Venedig, 1100-1300 (Baden bei Wien, 1935); Byzantine Mosaics Decoration. Aspects of
Monumental Art in Byzantium (London, 1948). E. Kitzinger, “The Mosaics of the Cappella
Palatina in Palermo: An Essay on the Choice and Arrangement of Subjects”, The Art
Bulletin 31 (1949), pp. 269-292; su Monreale Kitzinger pubblicò poi la monografia I mosaici
di Monreale (Palermo, 1960). R. Salvini, Mosaici medievali in Sicilia, citazioni da pp. 10 e
71-77.
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
10
F. Di Pietro, La Cappella Palatina di Palermo. I mosaici (Milano, 1954), nota 26 pp.
66-67: i veloci cambiamenti di opinione contro i quali protesta l’autore per lo più
riguardano la datazione dei mosaici.
11
P. Toesca, La Cappella Palatina di Palermo. I mosaici (Milano, 1955), citazioni da pp.
22 e 23.
IL RIASSETTO DOPO IL CONFLITTO
essi Salvini difese l’arte bizantina dai pregiudizi sul suo valore
espressi a chiare lettere da Longhi e Pasquali. Di fronte alla scomu-
nica pronunciata per secoli dalla storiografia umanistica, si trattava di
demolire per Salvini due capisaldi critici su Bisanzio: quello della
mancanza di immaginazione degli artisti e quello della tradizione
classica presa come metro su cui giudicare il valore dell’arte bizan-
tina (Salvini cita Italienische Forschungen di Carl Friedrich von Rum-
hor, del 1827-1830, poi Byron, Duthuit, Rice e Berenson); dal
secondo discendeva che solo i periodi di rinascita classica a Bisanzio
erano apprezzati:
“Si trattava [per quei critici] di condurre una battaglia su due fronti;
sia contro la tradizionale negazione d’ogni capacità artistica al pittore
bizantino – già assurto ad esponente dell’indigenza immaginativa e
della carenza e della barbarie artistica dell’«oscuro» Medioevo –, sia
contro l’apprezzamento di maniera e gli attestati d’obbligo che l’ar-
cheologia bizantina era avvezza ormai a rilasciare (...) a tutto ciò che
apparisse resurrezione – o magari riesumazione – dell’ellenismo.”.
12
R. Salvini, “Coralità dell’arte bizantina”, Il Mondo, n 19, 5 gennaio 1946, p. 10;
“Apologia di Bisanzio”, La Rassegna d’Italia 3 (1948), pp. 1132-1141, citazioni da pp.
1132, 1133, 1135-1136.
13
S. Bettini, “Studi recenti sull’arte bizantina”, La critica d’arte, ser. 3, 8 (1949-1950),
pp. 135-147, citazioni dalle pp. 146-147; “Gli studi sull’arte bizantina”, in Università degli
Studi di Pisa, Istituto di Storia dell’Arte Medievale e Moderna, Atti del Seminario di Storia
dell’Arte, Pisa – Viareggio, 1-15 luglio 1953 (Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa.
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
Bettini, che si era occupato molti anni prima degli influssi roma-
gnoli sull’arte bizantina, invita cortesemente Longhi a fare un viaggio
a San Salvatore in Chora per vedere la bellezza di quei mosaici. Poi
una sviolinata inaspettata verso Longhi: la sua critica è geniale ed
esemplare per gli studiosi della generazione di Bettini, che prosegue
ricordando gli studiosi che non si sono lasciati offuscare né dai miti
di Strzygowski, né da quello “russo-princetoniano” (sic!) ed attac-
cando Duthuit, il fine delle cui pubblicazioni sull’arte orientale
sarebbe rivalutare l’aspetto economico della sua collezione di opere
copte (un argomento che Bettini avrebbe fatto meglio a lasciar
perdere). Bettini è il solo bizantinista a dedicare tanta benevola
attenzione alla critica di Longhi, non certamente, comunque, il solo
storico dell’arte: al Primo Convegno Internazionale per le Arti Figu-
rative tenuto a Firenze nel 1948 con organizzazione di Ragghianti,
dove fu reso omaggio all’opera di Berenson, due sezioni furono
dedicate a problemi di estetica e metodologia e Longhi emerse in
esse come il critico più di grido del momento14.
Classe di Lettere e Filosofia, 1-2 [1954]), pp. 13-32. Su Bisanzio e la pittura romagnola
Bettini aveva letto un intervento dal titolo “Il rinnovamento dell’iconografia bizantina nel
suo ultimo periodo, anche per influenza della pittura romagnola” alla Decade Bizantina di
Ravenna, 27 aprile – 8 maggio 1937: A. A. Bernardy, “Studi bizantini a Ravenna nei Corsi
dell’Istituto Interuniversitario Italiano dal 1932 al 1937”, in Atti del V Congresso Internazio-
nale di Studi Bizantini, p. 21.
14
Atti del Primo Convegno Internazionale per le arti figurative, Firenze, Studio Italiano di
Storia dell’Arte, Palazzo Strozzi, 20-26 giugno 1948 (Firenze, 1948), che contengono, fra
gli altri contributi: C. Savonuzzi, “Roberto Longhi critico d’arte”, pp. 25-29; P. Meller,
“Iconologia e critica d’arte”, pp. 29-32; W. Weidlé, “Critique d’art et histoire de l’art”, pp.
IL RIASSETTO DOPO IL CONFLITTO
“Se Longhi repelle la cultura bizantina non sarà perché non le può
applicare (e nessuno potrebbe) quella misurazione serrata dello «spa-
zio» storico che durante tutta la sua carriera provoca i leggendari
giudizı̂ del tipo: questa è cultura del 1280, o del 1520, o del 1610? La
risposta potrà essere solo affermativa, sulla giustificazione che quella
cultura si pone fuori della storia.”15.
32-34; G. Nicco Fasola, “Precisazione sulla critica d’arte attuale”, pp. 40-43; M. L.
Gengaro, “Metodo per una storia dell’arte”, pp. 45-48. Su Longhi vedi anche O. Morisani,
“Gli studi di storia dell’arte in Italia”, in Università degli Studi di Pisa, Istituto di Storia
dell’Arte Medievale e Moderna, Atti del Seminario di Storia dell’Arte, Pisa – Viareggio, 1-15
luglio 1953 (Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia 1-2
[1954]), pp. 82-85; e, più in generale, su Longhi e la questione del Duecento italiano: P. J.
Nordhagen, “Roberto Longhi (1890-1970) and His Method”, Konsthistorisk Tidsckrift 68/2
(1999), pp. 99-116; id., “Byzantium and the Duecento: Remarks on a Story with No End”,
in Kairos. Studies in Art History and Literature in Honour of Professor Gunilla Ükerström-
Hougen, a cura di E. Piltz e P. Üström (Jousered, 1998), pp. 66-77; una valutazione
distaccata sul “Giudizio sul Duecento” è in G. Castelnuovo, “Mille vie della pittura
italiana”, in La pittura in Italia. Il Duecento e il Trecento, a cura di E. C. (Milano, 1986), vol.
1, pp. 8-9.
15
G. Contini, “Sul metodo di Roberto Longhi”, Belfagor 4 (1949), pp. 205-210, citazioni
da pp. 205-206 e 207; vedi inoltre: Roberto Longhi. Discorso commemorativo pronunciato dal
Linceo Gianfranco Contini nella Seduta ordinaria del 13 gennaio 1973 (Roma, 1973).
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
16
E. B. Garrison, Italian Romanesque Panel Painting. An Illustrated Index (Firenze, 1949);
il testo originale della prefazione dice (p. 1):
“The present Illustrated Index of Italian Romanesque Panel Painting has been compiled
with the conviction that, at our present stage of knowledge, progress toward a correct
history of painting in Italy will best be served through concentration upon the elementary
problems of attribution and dating (. ..). The spate of attribution, historical inductions and
aesthetic judgement has been unending. But it is obvious that many of the attributions have
been mere play with the scarse material, and that many of the inductions have been, from
the very standpoint of logic, weak, since the instances from which they derived have been so
few. And to attempt an aesthetic evaluation of a painter without knowing precisely which
painting are his is a patent inanity.”.
IL RIASSETTO DOPO IL CONFLITTO
“It attests that something similar had penetrated even unto the sancta
of art history, for its chief critical objection to Byzantine artistic
expression in Italy is, I believe, in spite of his explicit protest to the
contrary, its very Byzantinism, to which he affixes all manner of
scurrilous epithets.”.
17
E. B. Garrison, “The Role of Criticism in the Historiography of Painting”, College Art
Journal 10 (1950-1951), pp. 110-120, citazioni da pp. 110, 112 nota 15, 115, 117, 119.
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
“Ma, ripeto, non è per tanto poco che occorre far cenno di codesto
storiografo ‘descrittivo’. Egli merita ben altra citazione per un diverso
punto del suo saggio, quello dove intende spiegare agli americani il
significato, per nessuno incondito, della mia cosiddetta ‘stroncatura’
dell’arte bizantina tarda. Qualcuno forse ha in mente che quel mio
attacco recava un giudizio, inevitablmente anche etico-politico sul caso
storicamente più illustre di un’arte che si lascia vessare e totalmente
asservire dai dettami di un regime totalitario, cosı̀ da ridursi in breve a
mero automatismo tecnico. (...)
Che dire? la mia difesa di un’arte che sappia conquistarsi e conservarsi
il margine necessario di libertà creativa, la mia esaltazione, pertanto,
della grande cultura d’occidente in confronto al ‘polmone meccanico’
del tardo artigianato orientale, e, nello stesso tempo, il riconoscimento
che i maggiori dugentisti italiani amarono semmai di rifarsi diretta-
mente dai tempi in cui l’oriente artistico era stato di lievito anche per
Roma, diviene, poco manca, l’espressione di un mio odio personale
contro le razze del Mediterraneo orientale. E perché non addirittura
un parallelo fiancheggiante dell’impresa di Mussolini contro la Grecia.
Ora, è pur vero, noi contiamo in Italia, nel nostro campo di studı̂, su
taluni ipocriti, parecchi sopracciò, molti sufficienti, o sgonfiori, o
dulcamara, o venditori di fumo, ecc.; ma, neppure fra di essi, ci è mai
avvenuto di dover scansare un simile spurgo di luridume morale. E ci
conforta, almeno, che non si tratti di un esempio italiano.”18.
18
R. Longhi, “Prima Cimabue, poi Duccio”, Paragone 2, n 23 (novembre 1951), pp.
8-13, citazioni da pp. 11-12.
IL RIASSETTO DOPO IL CONFLITTO
“E, perché si parla qui di anni difficili, non è da tacere che al Suo
sentire schiettamente italiano, perché inteso in accezione altamente
culturale e non di vano nazionalismo, fu sempre congiunto un atteg-
giamento di tranquilla dignità, mai di acquiescenza. Piace cosı̀ ricor-
dare, fra i tanti casi, che si deve alle Sue dichiarazioni autorevolissime
se poté frustrarsi il desiderio «fascistico» di spedire all’estero la «Pietà»
palestrinese di Michelangelo, oggi a Firenze.
Questo, in breve, l’uomo, il conoscitore e lo storico al quale, dopo il
termine della Sua lunga attività d’insegnante, e a cinquant’anni precisi
dal Suo primo scritto a stampa, si rende omaggio con questo volu-
me.”21.
19
R. Longhi, “Le arti”, in Romanità e Germanesimo, pp. 209-239; “Omaggio a Benedetto
Croce”, Paragone 3, n 35 (novembre 1952), pp. 3-9, specialmente p. 5, dove Longhi
afferma di aver respinto “tutti i conati di estetiche a fondamento climaterico, ambientale e,
soprattutto, razzistico (si noti che ciò avveniva in un volume quasi ufficioso di fiancheggia-
mento dell’‘Asse’)” L. Venturi, “Gli studi di storia dell’arte medievale e moderna”, in
Cinquant’anni di vita intellettuale italiana 1896-1946. Scritti in onore di Benedetto Croce per il
suo ottantesimo anniversario, a cura di C. Antoni e R. Mattioli (Napoli, 1950), vol. 2, pp.
175-189.
20
R. Longhi, “Omaggio a Pietro Toesca” e “Un ignoto corrispondente del Lanzi sulla
Galleria di Pommersfelden”, Proporzioni 3 (1950), pp. v-ix e 216-230 rispettivamente; G.
Matthiae, “Tradizione e reazione nei mosaici romani dei secc. VI e VII”, pp. 10-15; E.
Kitzinger, “On the Portrait of Roger II in the Martorana in Palermo”, pp. 30-35.
21
Longhi, “Omaggio a Pietro Toesca” citazione da p. IX.
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
22
I brani di Toesca riportati sono da tre lettere a Berenson, datate 8 aprile 1946, 26
settembre 1949 e 26 novembre 1949, conservate nella Biblioteca Berenson, Villa I Tatti,
Settignano (Firenze).
IL RIASSETTO DOPO IL CONFLITTO
23
F. Bologna, La pittura italiana delle origini (Roma, 1962), citazioni da pp. 6-7, 55-56.
24
C. Brandi, Duccio (Firenze, 1951), citazione da p. 7. C. Volpe, “Preistoria di Duccio”,
Paragone 5, n 49 (gennaio 1954), pp. 4-22, citazione da p. 8.
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
25
K. Weitzmann, Illustrations in Roll and Codex. A Study of the Origin and Method of Text
Illustration (Princeton, N.J., 1947). G. Bovini, Recensione a Kurt Weitzmann, Illustrations in
Roll and Codex. A Study of the Origin and Method of Text Illustration (Princeton, N.J.:
Princeton University Press, 1947), Rivista di Archeologia Cristiana 23-24 (1947-1948), pp.
389-392. C. Cecchelli, “Archeologia ed arte cristiana dell’antichità e dell’alto medioevo”,
Doxa 4 (1951), pp. 5-10. La discussione su Weitzmann e Bianchi Bandinelli in questo
paragrafo ricalca quanto da me già scritto nella “Introduzione al testo” in K. Weitzmann,
Le illustrazioni nei rotoli e nei codici. Studio della origine e del metodo della illustrazione dei testi
(Scritti di Kurt Weitzmann, 1: Illustrations in Roll and Codex. A Study of the Origin and Method
of Text Illustration), a cura di M. B. (Firenze, 1983), pp. i-xlii. Su Bianchi Bandinelli vedi
Ranuccio Bianchi Bandinelli e il suo mondo, [Roma] Università degli Studi “La Sapienza”,
Museo dell’Arte Classica, 5 dicembre 2000 – 20 febbraio 2001, catalogo della mostra, a
cura di M. Barbanera (Bari, 2000).
26
Su questi punti, vedi M. Bernabò, “Lo studio dell’illustrazione dei manoscritti greci del
Vecchio Testamento ca. 1820-1990”, Medioevo e Rinascimento 9, n. s. 6 (1995), pp. 278
sgg.
27
In particolare, Cecchelli non accettò la ricostruzione dell’aspetto dell’archetipo della
Genesi di Vienna proposta da Weitzmann, introdusse una classificazione di schemi illustra-
IL RIASSETTO DOPO IL CONFLITTO
Toesca, d’altra parte, si era già espresso, quanto alla storia della
illustrazione dei testi, alla copiatura dei cicli miniati da un modello a
una nuova edizione e a metodologia di studio, a favore di un
approccio simile a quello dei princetoniani (o degli archeologi e
storici dell’arte medievale di formazione germanica) nella voce “Ico-
nografia” dell’Enciclopedia Italiana e ne Il Medioevo:
tivi per i dipinti della sinagoga di Dura Europos e infine anche una classificazione – di
scarso spessore – delle illustrazioni di rotoli e codici suddividendole in decorazioni episodi-
che marginali, decorazioni episodiche centrali, narrazioni continue, composizioni di più
episodi in uno o due ordini sovrapposti, grandi scene di soggetto unico.
28
R. Bianchi Bandinelli, “Schemi iconografici della miniature dell’Iliade Ambrosiana”,
Atti della Accademia Nazionale dei Lincei. Classe di Scienze morali, storiche e filologiche.
Rendiconti, ser. 8, 6 (1951), pp. 421-453; “Continuità ellenistica nella pittura di età medio-
e tardo-romana”, Rivista dell’Istituto Nazionale d’Archeologia e Storia dell’Arte, n. s., 2 (1953),
pp. 77-161; “Recensione e ricostruzione del codice dell’Iliade Ambrosiana”, Atti della
Accademia Nazionale dei Lincei. Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. Rendiconti, ser. 8,
8 (1953), pp. 466-484; Hellenistic-Byzantine Miniatures of the Iliad (Ilias Ambrosiana) (Olten,
1955).
29
La lettera è conservata nella Biblioteca Berenson, Villa I Tatti, Settignano (Firenze).
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
“(...) sebbene finora non sia noto alcun libro miniato, classico, che
risalga oltre il secolo IV d.C., è da credere che in molti codici più
recenti le miniature ripetono quelle di esemplari ellenistici: poiché
mentre i calligrafi trascrivevano da codici antichi i testi classici, era
ovvio che i miniatori esemplassero sulle miniature di quelli le loro
illustrazioni, seguendo il procedimento di ripetizione di tipi iconogra-
fici, comune ad ogni periodo dell’arte, normale nell’età classica. Anzi,
le miniature di alcuni testi classici persino nel Medioevo inoltrato
ripeterono quelle di codici di età assai remota, quantunque con altera-
zioni, cagionate dal divario dello stile o anche di false interpretazioni
30
dei particolari dei loro modelli.” .
30
Toesca, Il Medioevo, p. 297.
31
R. Bianchi Bandinelli, “Virgilio Vaticano 3225 e Iliade Ambrosiana”, Nederlands
Kunsthistorisch Jaarboek 5 (1954), pp. 225-240; “Discussione sull’Iliade Ambrosiana”, in
Seminario di Archeologia e Storia dell’Arte Greca e Romana dell’Università di Roma, Studi
miscellanei, 1 (Roma, 1961), pp. 1-9; “Conclusioni sull’origine e la composizione dell’Iliade
Ambrosiana”, Dialoghi di archeologia 7 (1973), pp. 86-96. K. Weitzmann, Recensione a R.
Bianchi Bandinelli, Hellenistic-Byzantine Miniatures of the Iliad (Ilias Ambrosiana), Olten: Urs
Graf-Verlag, 1955”, Gnomon 29 (1957), pp. 606-616. C. Bertelli e V. Bartoletti, Recen-
sione a R. Bianchi Bandinelli, Hellenistic-Byzantine Miniatures of the Iliad (Ilias Ambrosiana),
Olten-Lausanne, Urs Graf-Verlag, 1951, La parola del passato 12 (1957), pp. 459-474
(Bertelli, pp. 459-472; Bartoletti, pp. 472-474).
IL RIASSETTO DOPO IL CONFLITTO
32
Il riconoscimento di Bianchi Bandinelli a Croce, ben noto, apparve in “A che serve la
storia dell’arte antica?”, la prolusione tenuta nel riassumere la cattedra di Archeologia e
Storia dell’Arte Antica all’Università di Firenze, il 13 novembre 1944, e poi pubblicata su
Società 1, nn 1-2, (gennaio-giugno 1945), p. 11.
33
C. R. Morey, “Il Rinascimento bizantino”, in Atti del Primo Convegno Internazionale per
le arti figurative, pp. 90-100. D. Levi, Antioch Mosaics Pavements (Princeton, N.J., 1947).
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
“il suo campo preferito fu l’indagine sul trapasso tra arte ellenistica e
arte medievale bizantina: un campo nel quale egli ha contribuito a
sradicare vecchi pregiudizi (come quello che separava in due discipline
34
Le notizie sull’Index si trovano in H. Woodruff, The Index of Christian Art, con una
prefazione di C. R. Morey (Princeton, 1942). L’attività di Morey e in generale la fortuna di
Bisanzio negli Stati Uniti furono discussi da Weitzmann nel 1947 in “Byzantine Art and
Scholarship in America”.
35
Vedi, ad esempio, Cinquanta monumenti italiani danneggiati dalla guerra.
IL RIASSETTO DOPO IL CONFLITTO
36
R. Bianchi Bandinelli, “Charles Rufus Morey”, in Atti della Accademia Nazionale dei
Lincei. Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. Appendice. Necrologi di soci defunti nel
decennio dicembre 1945 – dicembre 1955, fasc. 1 (Roma, 1956), citazioni da pp. 52, 53-54.
37
U. Monneret de Villard, Le pitture musulmane al soffitto della Cappella Palatina di
Palermo (Roma, 1950).
13
a. Il pericolo crociano
In La critica e la storia delle arti figurative del 1934, dove aveva
esaminato le tendenze della critica d’arte contemporanea, discutendo
in dettaglio scritti di Soffici, Longhi, Berenson e soprattutto Lionello
Venturi, Croce aveva cosı̀ riassunto la sua lettura delle opere d’arte
figurativa:
1
Alcuni dei ritrovamente qui citati sono discussi più avanti in questo capitolo; per gli
altri vedi: L. Matzulewitsch, Byzantinische Antike. Studien auf Grund der Silbergefässe der
Ermitage (Archäologische Mitteilungen aus Russischen Sammlungen, 2. Berlin – Leipzig,
1929); i resoconti dei lavori a Santa Sofia di Thomas Whittemore furono pubblicati da
Oxford University Press nel 1933, 1936 e 1942 ( The Mosaics of Haghia Sophia at Istanbul.
First Preliminary Report. The Mosaics of the Nartex; Second Preliminary Report. The Mosaics of
the Southern Vestibule; Third Preliminary Report. The Imperial Portraits of the South Gallery);
per i mosaici del Gran Palazzo: The Great Palace of the Byzantine Emperors, Being a First
Report on Excavations Carried out in Istanbul on Behalf of the Walker Trust (The University of
St. Andrews) 1935-1938 (Oxford – London, 1947); The Great Palace of the Byzantine
Emperors. First Report, a cura di G. Brett, W. S. Macaulay e R. B. K. Stevenson (Oxford,
1947); Second Report, a cura di D. T. Rice (Edinburgh, 1958); sulla sinagoga di Dura
Europos: C. H Kraeling, “The Synagogue,” in The Excavations at Dura-Europos. Preliminary
Report of the Sixth Season of Work. October 1932 – March 1933, a cura di M. I. Rostovtzeff, A.
R. Bellingen, C. Hopkins, C. B. Welles (New Haven, 1936), pp. 337-383, e C. Kraeling,
The Synagogue (The Excavations at Dura-Europos. Final Report, a cura di A. R. Bellinger, F.
E. Brown, A. Perkins e C. B. Welles, Vol. 8/1. New Haven, 1956).
STILE CONTRO ICONOGRAFIA
2
Croce, La critica e la storia delle arti figurative, p. 8.
3
L’appello di Croce, scritto a Sorrento il 15 dicembre 1944, fu pubblicato col titolo
“Considerazioni sul problema morale del tempo nostro”, in Quaderni della “Critica” 1,
marzo 1945, pp. 1-15.
4
La frase è una parafrasi dalla prefazione alla edizione italiana del libro di Frederick
Antal, Florentine Painting and Its Social Background, pubblicata da Einaudi nel 1960 col
titolo La pittura fiorentina ed il suo ambiente sociale nel Trecento e nel primo Quattrocento (p.
xxii).
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
gli storici dell’arte, sembra non conti che Croce e Toesca, nel
ventennio mussoliniano, fossero stati schierati su una trincea diversa
da quella di molti loro neoseguaci e contendenti di ora.
Longhi dette la sua adesione ideale a Croce nel Corollario al
“Giudizio sul Duecento” del 1947; ugualmente fecero Lionello Ven-
turi nel contributo per gli scritti in onore di Croce del 1950 e nel
panegirico del filosofo su Commentari del 1953; De Francovich nei
suoi scritti sull’arte siriaca del 1951; Salmi nei suoi scritti sulla
miniatura; De Capitan d’Arzago discutendo degli affreschi di Castel-
seprio nel 1948; Ragghianti in Profilo della critica d’arte in Italia (che
scrisse mentre si trovava nel carcere delle Murate di Firenze nel
maggio-giugno del 1942) e in L’arte e la critica del 1951; Luigi Grassi
recensendo quest’ultimo libro di Ragghianti; buona parte degli ora-
tori delle sezioni introduttive su estetica e metodologia del “Primo
Convegno Internazionale per le arti figurative” tenuto a Firenze, a
Palazzo Strozzi, dal 20 al 26 giugno 1948, e presieduto da Rag-
ghianti; Salvini, in parte, nella sua difesa dei valori spirituali ed
estetici dell’arte bizantina e nella affermazione dell’autonomia del-
l’arte dai totalitarismi politici, ecc.5. Anche chi era stato ampiamente
compromesso col fascismo ed era stato quindi apertamente o implici-
tamente avverso a Croce nell’anteguerra, aderı̀ ora al partito cro-
ciano. Galassi, che aveva licenziato il suo manuale antistrzygow-
skiano Roma o Bisanzio nel 1929-1930, fu un esempio di conversione
senza rossori dallo spirito romanista del fascismo al crocianesimo;
nella premessa alla seconda edizione del libro del 1953, che ebbe un
secondo volume di aggiornamenti sui nuovi ritrovamenti artistici dal
sottotitolo Il congedo classico e l’arte nell’alto Medio Evo, Galassi di-
chiarò la sua fede nella ricerca della bellezza delle opere d’arte, fine
5
L. Venturi, “Gli studi di storia dell’arte medievale e moderna”, in Cinquant’anni di vita
intellettuale italiana 1896-1946. Scritti in onore di Benedetto Croce per il suo ottantesimo
anniversario, a cura di C. Antoni e R. Mattioli (Napoli, 1950), vol. 2, pp. 175-189; id.,
“Croce e la storia dell’arte”, Commentari 4 (1953), pp. 3-6. C. L. Ragghianti, Profilo della
critica d’arte in Italia (Firenze, 1942) e L’arte e la critica. Connessioni e problemi: discorso
estetico (Firenze, 1951). L. Grassi, “Benedetto Croce e la critica d’arte”, Rivista dell’Istituto
Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte, n. s., 1 (1952), pp. 328-335; id., “Dommatismo di
un ‘discorso estetico’”, Paragone n 21 (settembre 1951), pp. 56-64. Nelle sezioni IA e IB
degli Atti del Primo Convegno Internazionale per le arti figurative sono pubblicati interventi
degli italiani C. Savonuzzi (“Roberto Longhi critico d’arte”, pp. 25-29), G. Nicco Fasola
(“Precisazione sulla critica d’arte attuale”, pp. 40-43), M. L. Gengaro (Metodo per una
storia dell’arte”, pp. 45-48), L. Grassi (“Insegnamento della storia dell’arte nei Licei”, pp.
201-203. R. Salvini, “Coralità dell’arte bizantina” e “Arte e socialismo”, Il Mondo n 23 (2
marzo 1946), p. 8. Saggi di altri autori sono discussi più avanti in questo stesso capitolo.
STILE CONTRO ICONOGRAFIA
6
G. Galassi, Roma o Bisanzio, vol. 2, Il congedo classico e l’arte nell’alto Medio Evo (Roma,
1953), p. vi.
7
G. De Francovich, “I mosaici del bema della chiesa della Dormizione a Nicea (Consi-
derazioni sul problema: Costantinopoli, Ravenna, Roma)”, in Scritti di Storia dell’Arte in
onore di Lionello Venturi, con premessa di M. Salmi (Roma, 1956), pp. 173-197.
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
8
R. Bianchi Bandinelli, “La crisi artistica della fine del mondo antico”, Società 1 (1952),
pp. 427 sgg., citazioni da pp. 452-454.
STILE CONTRO ICONOGRAFIA
“Professor Bianchi Bandinelli, well known over here for his writings in
the ancient field, and especially for his recent book on the Historicity
of Ancient Art. He is a Sienese aristocrat, quite the last person that
one would expect to see in Communist ranks, but he dropped his title
of count and converted his estate into a cooperative farm to confirm
his complete adhesion to the Communist faith, acquiring in the pro-
cess the soubriquet of «Red Count».”.
“Nearly every Italian who writes on art seems to feel himself in the
necessity of identifying himself as a pupil of Croce, or, if he is to any
extent anti-Croceian, he seems to feel the obligation of justifying first
of all his unorthodox position. In any case, the results is a prevalent
emphasis in Italian writing on the creative act in the work of art in
accordance with Croce’s theory that therein lies the essential artistic
fact, and a corresponding tendency to minimize the importance of
STILE CONTRO ICONOGRAFIA
9
C. R. Morey, “Art and the History of Art in Italy”, College Art Journal 10 (1950-1951),
pp. 219-222, citazioni da pp. 219-220.
10
A. Grabar, Les miniatures du Grégoire de Nazianze de l’Ambrosienne (Ambrosianus 49-50),
vol. 1, Album (Paris, 1943) ; il previsto secondo volume di commentario non è mai uscito.
K. Weitzmann, The Joshua Roll. A Work of the Macedonian Renaissance (Princeton, 1948).
11
Mostra Storica Nazionale della Miniatura, Palazzo di Venezia, Roma [novembre 1953 –
luglio 1954], catalogo, a cura di G. Muzzioli (Firenze, 1953). La premessa di Salmi è alle
pp. xii-xvii ed il brano riportato nel testo è a p. xii. Su Salmi, vedi: Mario Salmi storico
dell’arte e umanista, Atti della giornata di studio, Roma, Palazzo Corsini, 30 novembre 1990
(Spoleto, 1991), ed in particolare sulla mostra di Palazzo Venezia e le sue finalità riflesse
nelle scelte espositive: M. G. Ciardi Dupré Dal Poggetto, “Il contributo di Mario Salmi alla
storia della miniatura: la Mostra Storica Nazionale della Miniatura”, pp. 45-64.
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
12
La lettera, datata 29 dicembre 1953, è conservata nella Biblioteca Berenson, Villa I
Tatti, Settignano (Firenze).
13
Tra questi l’Evangeliario siriaco di Rabbula, la raccolta ippocratica cod. plut. 74.7, i
Vangeli cod. plut. 6.23, i Vangeli cod. 6.28 ed il Cosma Indicopleuste cod. plut. 9.28 della
Biblioteca Laurenziana di Firenze; il frammento copto-sahidico di Giobbe (allora datato al
V secolo) ed il Dioscoride di Napoli; i Vangeli della Biblioteca Palatina di Parma, cod. 5;
l’Evangeliario purpureo di Rossano Calabro; il codice dei Profeti di Torino; la Catena su
Giobbe, il Salterio di Basilio II ed i Cinegetica di pseudo-Oppiano della Biblioteca Marciana
di Venezia.
14
L’art byzantin art européen, Athènes, Palais du Zappeion, 1964, catalogo della mostra
(Neuvième Exposition sous l’égide du Conseil de l’Europe. Athènes, 1964). Le espressioni
dal catalogo della mostra di Palazzo Venezia si leggono nelle schede per i nn 10 a p. 10, 25
a p. 18, 27 a p. 19.
STILE CONTRO ICONOGRAFIA
15
L’elenco di queste mostre è fornito da Carlo Bertelli nella recensione alla mostra di
Palazzo Venezia (“La mostra della miniatura”, Società 10 [1954], nota 4 p. 297). A questo
elenco va aggiunta la mostra di manoscritti bizantini del 1936 alla Vaticana: Catalogo della
mostra di manoscritti e documenti bizantini disposta dalla Biblioteca Apostolica Vaticana e
dall’Archivio Segreto in occasione del V Congresso Internazionale di Studi bizantini, Roma, 20-26
settembre 1936.
16
R. Frattarolo, “La mostra della miniatura a Palazzo Venezia”, Bollettino d’arte, ser. 4,
39 (1954), pp. 341-347. A. A. [I. Toesca], “La Mostra storica nazionale della miniatura”,
Paragone n 51 (marzo 1954), pp. 32-38. Bertelli, “La mostra della miniatura”, pp. 296-303.
I. Toesca, “La mostra della miniatura a Palazzo Venezia”, Arte veneta 7 (1953), pp.
192-194; ead., “L’exposition de Rome”, Scriptorium 8 (1954), pp. 318-322; ead., “Miniatu-
res at the Palazzo Venezia”, The Burlington Magazine 96 (1954), pp. 22-23.
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
“Per tali ragioni la storia della miniatura, come non sempre coincide
con la storia della pittura, cosı̀ non si presenta quale storia del «libro
bello» o dell’ «amore» per esso, ammesso che ciò possa mai divenire
argomento di storia, ma come concreta ricerca di storia della cultura.”.
17
The Rabbula Gospels. Facsimile Edition of the Miniatures of the Syriac Manuscript Plut. I,
56 in the Medicaean-Laurentian Library / Evangeliarii Syriaci, vulgo Rabbulae, in Bibliotheca
Medicea-Laurentiana (Plut. I,56) (Olten – Lausanne, 1959): G. Furlani, “The Manuscript
of Rabbula”, pp. 8-21; C. Cecchelli, “The Iconography of the Laurentiana Syriac Gospels”,
pp. 23-82; M. Salmi, “Problems of Style”, pp. 83-89.
18
G. De Francovich, “L’arte siriaca e il suo influsso sulla pittura medievale nell’Oriente e
nell’Occidente”, Commentari 2 (1951), pp. 3-16, 75-92, 143-152. La bibliografia e un
profilo dell’opera di De Francovich si trovano in G. De F., Persia, Siria, Bisanzio nel
Medioevo artistico europeo (Napoli, 1984), a cura di V. Pace, pp. xi-xiii e xv-xvii.
STILE CONTRO ICONOGRAFIA
visibile nell’oro degli sfondi, “che abolisce ogni accenno a uno spazio
realistico, sı̀ che le figure sembrano librate nell’aria”, come nella
miniatura dedicatoria dello stesso codice. Anche altre opere costanti-
nopolitane presentano lo stesso contrasto tra elementi classico-
naturalistici ed elementi astratto-orientali, i quali ultimi derivano
dallo stile solenne e ieratico di origine orientale già visto nel tempio
delle divinità palmirene di Dura Europos. Dunque, da elementi
attinti al mondo ellenistico di Alessandria, alla civiltà orientale-
iranica e alla tradizione figurativa dell’Asia Minore sorge l’arte di
Costantinopoli, il cui gusto precipuo sarebbe da cercarsi nella “eurit-
mia che permea e pervade le opere più schiettamente costantinopoli-
tane dell’epoca paleocristiana e che rimarrà anche in seguito una
delle principali caratteristiche degli artisti bizantini”. De Francovich
tentò cosı̀ una sintesi delle idee orientaliste di Strzygowski (sulle
orme dell’austriaco, annunciò un articolo o un libro in cui promette
di dimostrare la decisiva influenza dell’arte iranica sull’arte copta) e
della idea dell’origine dell’arte bizantina dai centri ellenistici orientali
proposta da Ainalov e ripresa dal biasimato Morey.
De Francovich attaccò focosamente nei suoi scritti studiosi in
disaccordo con lui sia quanto a letture stilistiche sia quanto a ap-
procci metodologici: Morey, Levi, Rice, Diehl e l’italiano Bettini
finiscono all’indice19. Le espressioni di De Francovich sono frequen-
temente invettive polemiche, al limite dell’ingiuria, nei confronti di
altri studiosi quasi tutti giudicati incompetenti. Bettini, che fu tra i
suoi principali bersagli, rispondendo a De Francovich l’anno succes-
sivo in “Di San Marco e di altre cose” fece un elenco degli studiosi
dileggiati da De Francovich (a cui diede l’epiteto di “oracolo romano
in cose bizantine, orientali e meridionali”) nell’articolo in Commen-
tari: Bréhier, Buberl, Buchthal, Dalton, Heisenberg, Morey, Norden-
falk, Rice, Swarzenski, Whittemore, Weigand, Weitzmann, Wulff tra
gli stranieri, cioè quasi tutta la bizantinistica, con la significativa
eccezione di Strzygowski; Bottari, Doro Levi, Fiocco, Morisani,
Ortolani, Salvini tra gli italiani. La polemica tra i due studiosi
decadde nelle offese tout court: Bettini stilò anche una lista di
stupidaggini scritte da De Francovich (la colonna invece che l’obeli-
19
De Francovich, “L’arte siriaca e il suo influsso”, citazioni nel testo da pp. 3 e 6-7. In “I
mosaici del bema della chiesa della Dormizione a Nicea”, p. 20 nota 39, De Francovich
dice che “il problema dell’arte alessandrina sarà da me esaminato più a fondo nel mio
saggio: L’arte iranica e l’origine del linguaggio figurativo bizantino e medievale, di prossima
pubblicazione nella Rivista dell’Istituto naz. d’archeologia e storia dell’arte.”.
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
20
S. Bettini, “Di San Marco e di altre cose”, Arte veneta 6 (1952), pp. 196-208. G. De
Francovich, “Della Siria e di altre cose”, Commentari 4 (1953), pp. 318-334.
21
L. Venturi, “Si propone una tregua”, Commentari 5 (1954), p. 167.
STILE CONTRO ICONOGRAFIA
LIONELLO VENTURI
22
Per altri studi di De Francovich sull’arte orientale vedi in bibliografia. Chi scrive ha
sottolineato più volte l’importanza della cristianità di Siria nella formazione della cultura
figurativa bizantina, ma, a differenza di De Francovich, l’ha ritrovata nel campo della
formazione dell’iconografia biblica: vedi, tra gli altri, M. Bernabò, “Miniatura bizantina e
letteratura siriaca: la ricostruzione di un ciclo di miniature con una storia vicina alla Caverna
dei Tesori”, Studi Medievali, ser. 3, 34 (1993), pp. 717-737, e le pagine sul ruolo delle fonti
siriache nella formazione del ciclo degli Ottateuchi bizantini in K. Weitzmann e M.
Bernabò, con la collaborazione di R. Tarasconi, The Byzantine Octateuchs (Princeton, N.J.,
1999), pp. 317-318.
23
G. De Francovich, “Osservazioni sull’altare di Ratchis a Cividale e sui rapporti tra
Occidente e Oriente nei secc. VII e VIII d.C.”, in Scritti di storia dell’arte in onore di Mario
Salmi, (Roma, 1961), vol. 1, pp. 173-236, citazioni da pp. 201 e 204. Anche la differenzia-
zione comune nella critica fascista tra arte romana plastica e arte bizantina ritorna nella
affermazione della struttura plastica e dei valori lineari dell’arte romana che reagisce alla
sensibilità cromatica e all’euritmia che contraddistinguono in sommo grado l’arte di
Costantinopoli (De Francovich, “I mosaici del bema della chiesa della Dormizione a
Nicea”, pp. 20-21). Altrove (ivi, p. 13), De Francovich definisce l’arte bizantina dopo il VI
secolo come caratterizzata da “un sempre più accentuato processo di astrazione, basato sul
graduale prevalere del sistema lineare stilizzato”, una definizione che non corrisponde
all’arte bizantina di quel periodo. M. Mundell Mango, “Where was Beth Zagba?”, in
Okeanos. Essays presented to Ihor Ševčenko on his Sixtieth Birthday by his Collegues and
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
“Caro B.B.,
sono molto contento che Lei sia d’accordo con la datazione fine V –
inizio VI secolo che io propongo per le miniature dell’Iliade Ambro-
siana. (La mia tendenza è sempre più per la seconda data). Quella dei
precedenti editori al III, è assurda.
Ma nella Sua lettera, per la quale La ringrazio molto, mi ha particolar-
mente colpito l’accenno a pitture del Nord-Africa. Io ho trovato molta
somiglianza “di famiglia” con frammenti di vasi dipinti trovati a
Wadi-Sarga da R. Campbell Thomson, databili da monete che vanno
da Giustiniano a Maurizio, cioè dal 530 al 602.
Queste connessioni con il N. Africa, e altre cose, indicano Costantino-
poli come luogo d’origine del codice. Credo di aver trovato sufficienti
spiegazioni al perché l’unico miniatore si sia ispirato a modelli icono-
grafici diversi e di tempi diversi: ci dovevano essere edizioni separate
libro per libro, come per la Bibbia.
Dove invece purtroppo, caro B. B., Lei non ha ragione, è quando
crede che il veto di Mercati contro di me non sia di ragione politica: il
Cardinal Mercati ha avuto la franchezza (della quale gli sono grato) di
dirlo personalmente a me in un colloquio concessomi nel luglio scorso;
lo ha poi ripetuto all’editore; e l’accordo fatto da Galbiati con me gli è
sembrato cosı̀ grave, che il povero Galbiati, che si preparava a festeg-
giare il proprio giubileo, è stato deposto dalla carica di Prefetto
dell’Ambrosiana. (Tutto questo, del resto, è in linea con lo spirito di
«crociata» del recente messaggio pontificio). Io cerco, per il momento,
di salvare il mio lavoro scientifico, che mi interessa molto e che ho,
praticamente, già pronto. Ma politicamente questi Signori Reverendis-
simi mi hanno dato in mano delle carte contro di loro, che non
mancherò di usare, se non altro per mio divertimento.
27
Grazie per l’invito a usare la Sua biblioteca anche in Sua assenza.” .
26
Weitzmann, Sailing with Byzantium from Europe to America, p. 101.
27
La lettera è conservata nella Biblioteca Berenson, Villa I Tatti, Settignano (Firenze).
Sul comunismo di Bianchi Bandinelli scrisse Toesca a Berenson il 20 dicembre 1945:
“(...) il povero Bianchi Bandinelli. Il quale, a proposito, qualche tempo fa si lamentava
meco di una certa freddezza di B.B., che da un pezzo non gli scriveva. Sarà perchè Bianchi
Bandinelli è ... comunista?”.
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
28
Bianchi Bandinelli, “Discussione sull’Iliade Ambrosiana”, pp. 1-2. G. Cavallo, “Osser-
vazioni di un paleografo per la data e l’origine dell’Iliade Ambrosiana”, Dialoghi di
archeologia 7 (1973), pp. 70-85.
STILE CONTRO ICONOGRAFIA
“In tesi generale noi sappiamo che nell’età carolingia e durante tutta
l’età medievale le miniature dei codici sono state un importante
veicolo di diffusione di iconografie e anche di modi artistici, e che da
esse dipendono talora anche opere d’arte di grande formato e pitture
(questa circostanza ha contribuito a far consistere le ricerche degli
specialisti soprattutto in raccolte iconografiche). Invece per il mondo
antico dovremo concludere per il procedimento inverso: le miniature si
dimostrano dipendenti iconograficamente dalla grande arte, e solo
relativamente tardi esse palesano lo svilupparsi di un gusto artistico
proprio e di regole coloristiche e compositive particolari. (...) Il codice
ambrosiano sta, con le sue illustrazioni, a metà strada fra la miniatura
che è riduzione e adattamento di pitture e la miniatura autonoma; con
prevalenza tuttavia della prima.”29.
29
Bianchi Bandinelli, “Continuità ellenistica”, p. 149.
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
30
Bianchi Bandinelli, “Discussione sull’Iliade Ambrosiana”, pp. 3; id., “Conclusioni”,
ristampa p. 176.
31
Per le idee di Weitzmann sui manoscritti policiclici vedi Illustrations in Roll and Codex,
pp. 193-199. R. Bianchi Bandinelli, “La composizione del diluvio nella Genesi di Vienna”,
Mitteilungen des Deutsches Archäologischen Instituts. Römische Abteilung 62 (1955), p. 66-77.
32
W. Rittel von Hartel e F. Wickhoff, Die Wiener Genesis (Prag – Wien – Leipzig, 1895);
C. R. Morey, “Notes on East Christian Miniatures. Cotton Genesis, Gospel of Etschmiad-
zin, Vienna Genesis, Paris Psalter, Bible of Leo, Vatican Psalter, Joshua Roll, Petropolita-
nus XXI, Paris gr. 510, Menologion of Basil II”, The Art Bulletin 11 (1929), pp. 5-103; H.
Gerstinger, Die Wiener Genesis (Wien, 1931); P. Buberl, “Das Problem der Wiener Gene-
sis”, Jahrbuch der Kunsthistorischen Sammlungen in Wien, n. s., 10 (1936), pp. 9-58, e Die
byzantinischen Handschriften, vol. 1, Der Wiener Dioskurides. Die Wiener Genesis, 2 voll.
(Illuminierten Handschriften in Österreich, 8, 4. Leipzig, 1937-1938).
STILE CONTRO ICONOGRAFIA
33
Bianchi Bandinelli accettò le conclusioni degli studiosi di Princeton sulla nascita della
illustrazione narrativa della Bibbia con cicli molto estesi e dettagliati che furono poi
abbreviati in successive edizioni durante il medioevo: anche nell’Iliade Ambrosiana le
miniature che apparivano originatesi in epoca più antica contengono più episodi consecu-
tivi.
34
La conclusione di un modello monumentale per il Diluvio parve a Bianchi Bandinelli
confermata dal confronto con altre illustrazioni del diluvio o dell’episodio simile dell’attra-
versamento del Mar Rosso nell’arte bizantina, in particolare nei manoscritti delle Omelie di
Gregorio Nazianzeno di Parigi (Biblohtèque Nationale, cod. gr. 510) e del Salterio di Parigi
(cod. gr. 139 della medesima biblioteca). Inoltre, per Bianchi Bandinelli, la lettura stilistica
condotta sulle prime due miniature della Genesi di Vienna, che raffigurano il peccato
originale e la cacciata dal Paradiso e sembrano “quadri” piuttosto che “illustrazioni”, fa
ugualmente pensare, come per il diluvio universale, ad un modello antico costituito da un
ciclo di affreschi o di pitture su tavola.
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
e. I Bizantini a Castelseprio
La scoperta degli affreschi di Santa Maria foris Portas di Castelseprio
avvenne nel 1944 con la rimozione di uno strato d’intonaco quattro-
centesco nell’abside della chiesa. La scoperta seguı̀ un decennio di
ricerche archeologiche condotte sul sito da Gian Piero Bognetti, che,
35
Bertelli, Recensione a Bianchi Bandinelli, Hellenistic-Byzantine Miniatures of the Iliad,
pp. 463-464; per le critiche a Weitzmann vedi pp. 465-466 e 467 nota 1.
36
Sull’arte bizantina Bertelli ritornò recensendo la mostra Byzance et la France médiévale.
e e
Manuscrits à peintures du II au XVI siècle, Paris, Bibliothèque Nationale [1958-1959],
catalogo della mostra (Paris, 1958): C. Bertelli, “Riflessioni sulla mostra della miniatura
bizantina a Parigi”, Bollettino d’arte 44 (1959), pp. 85-91.
STILE CONTRO ICONOGRAFIA
37
G. P. Bognetti, G. Chierici e A. De Capitani d’Arzago, Santa Maria di Castelseprio
(Milano, 1948): Bognetti, “S. Maria foris Portas di Castelseprio e la storia religiosa dei
Longobardi”, pp. 11-511; Chierici, “L’architettura di S. Maria di Castelseprio”, pp.
513-535; De Capitani d’Arzago, “Gli affreschi di S. Maria di Castelseprio”, pp. 537-711.
38
De Capitani d’Arzago, “Gli affreschi di S. Maria di Castelseprio”, pp. 655-656:
“Ma non chiediamo altro per ora all’iconografia: ad essa torneremo unicamente quando
l’esame stilistico avrà condotto ad ipotesi cui il ricorso in sede iconografica potrà rafforzare
con una conferma oppure svalutare, non mai negare, con una palese contraddizione: non
mai negare, perché l’elemento stilistico sovrasta quello iconografico. Prescindendo infatti
dall’estrema ed indiscutibile abitudine all’emigrazione insita nella materia iconografica,
osservo che se è ammissibile che l’artista appartenente ad una determinata corrente, mosso
da una o più ragioni contingenti, abbandoni per una volta o addirittura per un lunga serie
di opere, la sua tradizione iconografica, non è per contro possibile che egli, si mantenga o
non si mantenga fedele a quest’ultima, muti l’arte sua: comunque: in tale teorico caso la sua
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
opera non rientrerebbe ai nostri occhi nel clima cui solo storicamente, se mai, appartenne;
ma andrebbe a schierarsi con quelle dell’ambiente cui l’artista avrebbe saputo uniformarsi:
il che del resto, non può darsi mai. Tale predominio dello stile sull’iconografia intendo poi
come perentorio soprattutto quando, come nel nostro caso, non si tratta di un’opera stanca
uscita dalla mano di un artista fiacco e pedissequo, ma di un’opera fervidamente creata da
chi si dimostra padrone dei propri mezzi e sa esprimere ogni schema come suo riportandoci
comunque non mai ai margini ma nel vivo della sua corrente e della sua scuola.”.
39
L’esempio più celebre di questa tesi alessandrina di Morey erano gli affreschi di Santa
Maria Antiqua. Le idee di Morey sul ruolo di Alessandria come continuatrice della
tradizione artistica dell’ellenismo nel Medioevo non hanno più seguito. Esse vennero
riassunte in C. R. Morey, Early Christian Art. An Outline of the Evolution of Style and
Iconography in Sculpture and Painting from Antiquity to the Eighth Century (Princeton, 1942)
ed in forma riassuntiva nell’intervento al convegno di storici dell’arte di Firenze del 1948:
“Il Rinascimento bizantino”, in Atti del Primo Convegno Internazionale per le arti figurative,
pp. 90-100. A sostegno di questo panalessandrinismo erano usciti in precedenza: C. R.
Morey, “The Sources of Mediaeval Style”, The Art Bulletin 7 (1924-1925), pp. 35-50; id.,
“Notes on East Christian Miniatures”; M. Avery, “The Alexandrian Style at Santa Maria
Antiqua, Rome”, The Art Bulletin 7 (1924-1925), pp. 131-149.
40
Weitzmann aveva da poco pubblicato una monografia sul Rotulo di Giosuè dimo-
strando la sua appartenenza all’arte della corte di Costantinopoli del X secolo, appunto,
STILE CONTRO ICONOGRAFIA
contro una datazione suggerita da una parte della critica, tra cui Morey, al VII secolo, che
fu da allora accantonata: Weitzmann, The Joshua Roll.
41
K. Weitzmann, “Gli affreschi di S. Maria di Castelseprio”, Rassegna Storica del Seprio,
fasc. 9-10, 1949-1950, pp. 12-27; The Fresco Cycle of S. Maria di Castelseprio (Princeton,
1951).
42
G. P. Bognetti, “Aggiornamenti su Castelseprio”, Rassegna Storica del Seprio, fasc.
9-10, 1949-1950, pp. 28-66. C. Cecchelli, Recensione a K. Weitzmann, The Fresco Cycle of
S. Maria di Castelseprio, Princeton, New Jersey, Princeton University Press, 1951, id. , “Gli
affreschi di S. Maria di Castelseprio”, Rassegna Storica del Seprio, 1949-1950, fasc. IX-X,
pp. 12-27, A. De Capitani d’Arzago, “La scoperta di Castelseprio”, ivi, pp. 5-11, G.
Bognetti, “Aggiornamenti su Castelseprio”, ivi, pp. 28-66, Byzantinische Zeitschrift 45
(1952), pp. 97-104. G. Giacomelli, Recensione a G. P. Bognetti, G. Chierici, A. De
Capitani d’Arzago, Santa Maria di Castelseprio, Milano 1948, Felix Ravenna, ser. 3, fasc. 2
(agosto 1950), pp. 58-76. Il conflitto ideologico Roma – Oriente per il caso di Castelseprio
fu portato allo scoperto fin dal 1952 da P. Lemerle, “L’archéologie paleochrétienne en
Italie. Milano et Castelseprio, «Orient ou Rome», Byzantion 22 (1952), pp. 165-206.
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
43
P. Toesca, “Castel Seprio. Una nuova pagina della pittura medioevale”, Il Nuovo
Giornale d’Italia, 46, n 188 (10 agosto 1947); “Gli affreschi di Castelseprio”, L’arte 51, n. s.
18, (1948-1951), pp. 12-19. Toesca giudicò punto convincenti le conclusioni della mono-
grafia di Weitzmann in una lettera a Berenson già citata al Capitolo 7, paragrafo b.
44
E. Arslan, “La pittura dalla conquista longobarda al Mille”, in Storia di Milano, vol. 2,
Dall’invasione dei barbari all’apogeo del governo vescovile (493-1002) ([Milano] 1954), pp.
631-654, specialmente pp. 638 sgg.
STILE CONTRO ICONOGRAFIA
45
De Francovich, “L’arte siriaca e il suo influsso”, citazione da p. 6 nota 1.
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
“È mai possibile pensare seriamente che il maestro del centro scritto-
rio di corte del X sec. abbia seguito effettivamente quella via tortuosa e
astrusa, escogitata con tanta leggerezza dalla ardente fantasia del
professore di Princeton? (...). È chiaro che questa supposizione è una
tipica espressione del modo in cui viene effettuato lo studio dell’arte
medievale a Princeton, ma essa non regge affatto.”.
“La causa di ciò va ricercata nella lentezza del dissolversi dei rapporti
schiavistici a Bisanzio. In quel tempo, mentre in Occidente il processo
di feudalizzazione si sviluppava abbastanza rapidamente, a Bisanzio
esso si arrestò per la relativa stabilità delle consuetudini schiavistiche,
che Giustiniano in particolare si proponeva di consolidare in ogni
modo. In base a vecchi rapporti schiavistici, la vecchia aristocrazia
senatoriale conservò per lungo tempo a Bisanzio le sue posizioni
economiche e politiche. (...) In questa atmosfera l’arte classica conti-
nuò a trovare i suoi amatori, mentre che in occidente trionfavano già i
gusti barbarici. E la famigerata «Rinascenza Macedone», che si costi-
tuiva sulla nuova base feudale, non era altro che un debole e non
originale riflesso di quella corrente classicheggiante che nel VI-VII
secolo aveva radici sociali abbastanza salde sul suolo di Costantinopo-
li.”46.
46
V. Lazarev, “Gli affreschi di Castelseprio (Critica alla teoria di Weitmann sulla
Rinascenza Macedone)”, Sibrium 3 (1957), pp. 85-102; citazioni nel testo da pp. 91, 92,
94, 95, 97, 99 e da nota 8 p. 100.
STILE CONTRO ICONOGRAFIA
47
Le notizie su Lazarev e Weitzmann sono tratte da Weitzmann, Sailing with Byzantium,
pp. 74, 134 e 382. K. Weitzmann, “Sinaiskaya Psaltir’s illyustratsiyami na polyakh”, in
Vyzantiya, Yuzhnye Slavyane i Drevnyaya Rus’, Zapadnava Evropa. Sbornik statei v chest’ N.
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EPILOGO:
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1
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2
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2000). G. Previtali, “La periodizzazione dell’arte italiana”, in Storia dell’arte italiana, Parte I,
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
Materiali e problemi, Vol. 1, Questioni e metodi (Torino, 1979), pp. 3-95; C. Bertelli, “Traccia
allo studio delle fondazioni medievali dell’arte italiana”, in Storia dell’arte italiana, Parte II,
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3
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dell’abside, della solea e delle cappelle laterali (Palermo, 1994), 4, Il Duomo di Monreale. I
mosaici del transetto (Palermo, 1995), 5, Il Duomo di Monreale. I mosaici della navata
(Palermo, 1996).
4
V. Lazarev, Istoriia vizantiiskoi zhivopisi, 2 voll. (Moskva, 1947-1948; seconda edizione
1986), traduzione italiana Storia della pittura bizantina (Torino, 1967), citazione da p. 3. D.
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1992), pp. 517-534.
EPILOGO
5
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development in Mediterranean art 3rd – 7th century (London, 1977); Il culto delle immagini.
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Berichte zum XI. Internationalen Byzantinisten-Kongress, München 1958 (München, 1958),
pp. 1-50.
6
A lamentarsi della indifferenza verso i maggiori esponenti della bizantinistica iternazio-
nale sono, tra altri, G. Romano, “Per i maestri del Battistero di Parma e della Rocca di
Angera”, Paragone nn 419-423, 1985, p. 11; A. Tartuferi, La pittura a Firenze nel Duecento
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italiana di Illustrations in Roll and Codex di Weitzmann hanno goduto di una discreta
fortuna: Le illustrazioni nei rotoli e nei codici. Studio della origine e del metodo della illustrazione
2 3
dei testi, a cura di M. Bernabò (Firenze, 1983, 1985 e 1991 ).
PARTE III: CROCIANI, COMUNISTI E RAVVEDUTI
7
Vedi soprattutto i lavori di Guglielmo Cavallo, tra i quali “La cultura italo-greca nella
produzione libraria,” in I Bizantini in Italia (Milano, 1982; 2a edizione, Milano, 1986), pp.
497-614; “Italia bizantina e Occidente latino nell’alto medioevo. Una contrapposizione
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edizione del facsimile e del commentario dell’Evangeliario di Rossano Calabro: Codex
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