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Il teatro romano

Rodolfo Alcioni 3°E


Il teatro italico e le origini del teatro latino

Il mondo greco-italico assiste fin dal VI secolo a.C. a una grande


fioritura di spettacoli teatrali, nei quali prevale il carattere caricaturale e
buffonesco. Nelle varie zone d’Italia vi sono principalmente tre
tipologie di teatro: la farsa fliacica, la fabula atellana e i Fescennini
versus.
La farsa fliacica
Fra IV e III secolo opera a Taranto il poeta comico Rintone, che si
specializza nella farsa fliacica, detta anche ‘ilarotragedia’: fliaci erano
detti gli attori-mimi che recitavano provvisti di buffe maschere e di
imbottiture per rendere grottesca e ridicola la propria figura. I
frammenti superstiti di Rintone sono centrati sulla parodia comica dei
miti tragici, ma erano presenti anche scene fliaciche di vita quotidiana:
figli ubriachi che si introducono furtivamente in casa, un avaro derubato
del suo forziere, fustigazioni di servi, insomma tutto quel repertorio di
situazioni comiche già appartenenti alla commedia nuova e che qui
appaiono stravolte in una dimensione totalmente farsesca.
La fabula atellana
A una tradizione molto antica doveva risalire anche la fabula atellana,
che deriva il proprio nome dalla città di Atella, in Campania. Era uno
spettacolo di carattere buffonesco, caratterizzato dall’improvvisazione e
dall’uso della maschera. Gli attori recitavano su un canovaccio
improvvisando battute in lingua osca (lingua che presentava affinità con
quella sabina e poteva quindi essere facilmente compresa dal pubblico
romano) su un verso chiamato versus quadratus. Le maschere di cui
siamo a conoscenza sono quattro e ci sono giunte col nome romano:
Maccus, che rappresenta lo scimunito ingordo; Bucco, il fanfarone
sempre affamato; Pappus il vecchio avaro e infine Dossenus, il gobbo
furbo e malizioso.
I Fescennini versus

La battuta pesante e il tono canzonatorio caratterizzano i Fescennini


versus. Il nome è probabilmente dovuto alla città di Fescennio, in
Etruria. I fescennini si svilupparono fin dai tempi più remoti negli
ambienti rurali; contadini mascherati con rozze cortecce d’albero si
affrontavano in contrasti buffoneschi, lanciando a ritmo alterno allegri
insulti e feroci battute contro il proprio antagonista. Non poteva
mancare un apparato rozzo e contadinesco di canti e di danze che
accompagnavano.
La satura drammatica
Un racconto dello storico Tito Livio fa risalire al 364 a.C. la nascita dei
primi spettacoli teatrali a Roma. Livio narra che per placare una
pestilenza vennero istituiti in onore delle divinità irate dei ludi scaenici,
facendo appositamente venire dall’Etruria dei ballerini che danzavano al
suono di un flauto. I giovani romani, colpiti dall’esibizione dei
danzatori etruschi, cominciarono a intonare sulla musica delle battute
simili a quelle dei fescennini. Successivamente questa nuova forma di
spettacolo venne perfezionata: gli attori, come scrive Livio, non si
limitavano come prima a scambiarsi versi alterni simili a quelli dei
fescennini, improvvisati senz’arte e rozzi, ma rappresentavano delle
saturae ricche di vari metri.
Per noi è difficile comprendere in che cosa realmente consistesse la
satura, che a Roma designerà un genere letterario; evidentemente la satura
di cui parla Tito Livio era uno spettacolo misto di canti, musiche, balli e
scenette. Il termina satura deriva infatti dal latino satur, che significa
‘ricco’, ‘abbondante’, ‘farcito’: era dunque un termine popolare per
indicare uno spettacolo farcito un po’ di tutto, nel quale la musica sembra
svolgere un ruolo fondamentale.
Dalle magre testimonianze storiche che possediamo deduciamo dunque
che il teatro romano sia il risultato di varie e stratificate influenze: il
fescennino, i ludi scaenici etruschi, l’atellana campana, la farsa fliacica e,
con la fine della prima guerra punica, il teatro greco scritto.
Il teatro romano
A Roma, come in Grecia, il tempo delle rappresentazioni sceniche è
quello della festa, ma appare fin dall’inizio un fenomeno di puro
intrattenimento, privo di una vera e propria connotazione religiosa, un
ludus, cioè un momento di pausa e di evasione. I ludi scaenici erano
solo uno dei tanti momenti di festa, che comprendeva altri ludi, come
quelli gladiatorii e circensi. A questo va aggiunto che le
rappresentazioni sceniche erano finanziate e rigorosamente controllate
dallo Stato, che censurava ogni allusione alla vita politica e civile.
I teatri
I Romani utilizzarono il modello del teatro greco, apportandovi alcune modifiche
essenziali. Il primo e più antico teatro romano in muratura è quello costruito in età tardo
repubblicana a Bononia (attuale Bologna) verso l'88 a.C.. A Roma il primo teatro in
muratura è quello edificato da Pompeo nel 55 a.C., quando ormai il grande teatro latino
si è di fatto spento da un secolo. Fino a quel momento gli spettacoli venivano dati in
strutture di legno montate per l’occasione. I teatri provvisori eretti nell’epoca d’oro del
teatro romano comprendevano due parti principali: la scaena, dove operavano gli attori e
la cavea, dove si trovavano gli spettatori. La scaena consisteva in un palcoscenico in
legno (pulpitum) leggermente elevato rispetto alla cavea. Le rappresentazioni
avvenivano di giorno. Sullo sfondo del pulpitum veniva posto un pannello di legno su
cui erano dipinte delle facciate di edifici, generalmente due o tre case per la commedia,
un palazzo o un tempio per la tragedia. Lungo il pannello si aprivano tre vere porte. La
scena si svolgeva sempre in esterni; nel caso in cui si dovesse rappresentare un interno,
veniva posto un elemento mobile davanti al fondale. Al centro del palcoscenico veniva
posto un altare, l’unico elemento fisso della scena arcaica latina.
L’organizzazione degli spettacoli
L’organizzazione degli spettacoli era affidata a un magistrato, in genere un
edile, che aveva l’incarico di finanziare gli spettacoli e di selezionare i copioni;
la maggior parte di questo lavoro veniva svolto a stretto contatto con il
dominus gregis, ossia il capocomico responsabile di una compagnia di attori.
Gli autori greci scrivevano per compagnie di tre attori. Il grex romano era
invece composto da cinque o sei attori. Le compagnie erano spesso itineranti e
comprendevano anche altre figure, come i musicisti. Fin dal IV secolo, nel
mondo italico, brulicante di attività teatrali di ogni genere, nacquero delle
corporazioni di attori; ne esistevano a Napoli, a Reggio, a Siracusa, a Taranto, a
Locri e in tutti i grandi centri della Magna Grecia. Molte di queste compagnie
cominciarono fin dal III secolo a far tappa anche a Roma e molte vi si
stabilirono. Nel 207 lo Stato romano decretò la fondazione di un collegium
scribarum historumque, ‘confraternita degli autori e degli scrittori’.
La recitazione e l’uso delle maschere

A Roma come in Grecia, con l’eccezione del mimo, gli


attori erano esclusivamente uomini, alcuni dei quali si
specializzavano in ruoli femminili. La recitazione risultava
quindi non realistica, innaturale ed enfatizzata, sia in senso
comico che tragico; è molto probabile che l’uso della
maschera fosse libero ed occasionale.
Il pubblico
Tutte le classi sociali, nessuna esclusa, potevano frequentare gli
spettacoli scenici. Il pubblico era formato da gente di piccolo mestiere,
schiavi, signore, balie e cortigiane; Tito Livio riferisce che dal 194 i
senatori ebbero dei posti riservati. L’ingresso era gratuito e gli spettacoli
si protraevano da mattino a sera. La grande popolarità del teatro romano
tocca il suo culmine tra la fine del III e gli inizi del II secolo a.C..
Successivamente il gusto del pubblico si orienta verso le forme
mimiche; si potrà assistere alla rinascita del grande teatro classico solo
quindici secoli dopo, quando gli umanisti riscopriranno la tragedia
latina.
Forme del teatro romano
Il teatro romano di età arcaica è un teatro di traduzione; i Romani distinguevano tra
traduzione letterale (exprimere) e la rielaborazione artistica (vertere). Il grado di
fedeltà rispetto agli originali era diverso da opera a opera. In molti casi gli autori
latini ricorrono, sia per la tragedia che per la commedia, a una tecnica chiamata
contaminatio, che consiste nell’introdurre nella trama della commedia greca che si
sta traducendo una o più scene ricavate da un’altra commedia.
Con il termine fabula gli autori latini indicavano la trama, lo sviluppo dell’azione
scenica. Vi erano due forme di fabula per la commedia latina (fabula palliata e
fabula togata) e due per la tragedia romana (fabula cothurnata e fabula praetexta). I
testi venivano rappresentati senza divisione in atti; ciò comportava una forma di
spettacolo continuato, nel quale il momento recitativo conviveva con quello mimico
e musicale
La tragedia latina
Ventisei commedie latine ci sono giunte pressoché
integralmente; di nessuna tragedia invece possediamo più di
qualche sparso frammento. Anche i nomi dei tragici latini sono
inferiori per numero rispetto a quelli dei comici. Nell’età della
grande fioritura del teatro romano sono solo cinque: Livio
Andronico, Nevio, Ennio, Pacuvio e Accio; in compenso
possediamo molti titoli delle loro opere: un centinaio per la
fabula cothurnata e sette per la fabula praetexta. Mentre
Livio, Nevio ed Ennio sono anche autori tragici, Pacuvio e
Accio sono solo autori tragici.
La fabula cothurnata

La maggior parte delle tragedie latine furono di argomento greco, e


furono dette cothurnate, dal calzare alto di foggia greca che gli attori
portavano sulla scena. Si trattava di opere di soggetto mitologico,
ispirate prevalentemente ai grandi cicli: il ciclo troiano (riguardante la
guerra di Troia, una vicenda nella quale i Romani si sentivano
particolarmente coinvolti, perché toccava le loro origini mitiche), quello
tebano (con al centro il mito di Edipo e dei suoi discendenti) e quello
dei Pelopidi.
Livio Adronico

Di Livio Andronico sono pervenuti otto titoli di


cothurnatae. Cinque appartengono al ciclo
troiano: Achilles, Aegistus (che ha per tema
l’adulterio di Clitennestra con Egisto e
l’uccisione di Agamennone), Aiax mastigophorus
(dramma del suicidio di Aiace Telamonio, cui
erano state negate le armi di Achille), Equos
troianus (Il cavallo di Troia) e Hermiona. Le tre
rimanenti, di gusto avventuroso e romanzesco,
trattano di donne tradite e abbandonate:
Andromeda, Danae e Tereus.
Nevio
Delle cothurnatae di Nevio restano poco
più di 50 frammenti e soltanto sei titoli:
Aesiona, Danae, Equos troianus, Hector
proficiscens, Iphigenia, Lucurgus.
Anche nel suo caso vi è una preferenza
accordata a vicende e figure del ciclo
troiano; infatti Nevio ha in comune con
Livio Andronico due titoli: Danae,
Equos troianus. Di Ennio ci sono giunti
20 titoli di cothurnatae in cui
predominano ancora una volta gli
argomenti del ciclo troiano.
Le fabulae pretextae
Accanto alle cothurnatae di una certa fortuna
godettero anche le praetextae, tragedie di argomento
romano e di tono patriottico-celebrativo. Il fondatore
della pratexta fu Nevio, di cui ci sono testimoniati solo
due titoli: Clastidium e Romulus. Clastidium (oggi
Casteggio, in provincia di Pavia) è la località dovee nel
222 a.C. il consolo Claudio Marcello aveva riportata
una decisiva vittoria sui Galli Insubri, uccidendo in
duello il loro capo Viridomaro e assicurando a Roma la
conquista della Gallia Transpadana. Il dramma metteva
in scena un episodio recentissimo e glorioso di storia
nazionale. La seconda praetexta, intitolata Romulus
oppure Lupus, prendeva ad argomento le origini
semidivine di Roma; si presume che trattasse i
principali eventi connessi alla fondazione della città.
La fabula palliata e la fabula togata
La palliata è una commedia di ambientazione greca: il nome deriva da
pallium, il costume tradizionale greco indossato dagli attori. L’azione si
svolge invariabilmente in una città di lingua greca. Greci sono dunque anche i
personaggi, come indicano i nomi stessi.
Successivamente, nel II secolo a.C., si sviluppò un’altra forma di commedia,
detta togata. La differenza riguardava sostanzialmente i costumi indossati e
l’ambientazione: le togate venivano ambientate in località italiche; i
personaggi vestivano la toga (l’abito nazionale romano) al posto del pallium e
portavano nomi latini invece che greci. Le situazioni e le strutture comiche
dovevano essere tuttavia molto simili a quelle della palliata.

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