Il mondo greco-italico assiste fin dal VI secolo a.C. a una grande
fioritura di spettacoli teatrali, nei quali prevale il carattere caricaturale e buffonesco. Nelle varie zone d’Italia vi sono principalmente tre tipologie di teatro: la farsa fliacica, la fabula atellana e i Fescennini versus. La farsa fliacica Fra IV e III secolo opera a Taranto il poeta comico Rintone, che si specializza nella farsa fliacica, detta anche ‘ilarotragedia’: fliaci erano detti gli attori-mimi che recitavano provvisti di buffe maschere e di imbottiture per rendere grottesca e ridicola la propria figura. I frammenti superstiti di Rintone sono centrati sulla parodia comica dei miti tragici, ma erano presenti anche scene fliaciche di vita quotidiana: figli ubriachi che si introducono furtivamente in casa, un avaro derubato del suo forziere, fustigazioni di servi, insomma tutto quel repertorio di situazioni comiche già appartenenti alla commedia nuova e che qui appaiono stravolte in una dimensione totalmente farsesca. La fabula atellana A una tradizione molto antica doveva risalire anche la fabula atellana, che deriva il proprio nome dalla città di Atella, in Campania. Era uno spettacolo di carattere buffonesco, caratterizzato dall’improvvisazione e dall’uso della maschera. Gli attori recitavano su un canovaccio improvvisando battute in lingua osca (lingua che presentava affinità con quella sabina e poteva quindi essere facilmente compresa dal pubblico romano) su un verso chiamato versus quadratus. Le maschere di cui siamo a conoscenza sono quattro e ci sono giunte col nome romano: Maccus, che rappresenta lo scimunito ingordo; Bucco, il fanfarone sempre affamato; Pappus il vecchio avaro e infine Dossenus, il gobbo furbo e malizioso. I Fescennini versus
La battuta pesante e il tono canzonatorio caratterizzano i Fescennini
versus. Il nome è probabilmente dovuto alla città di Fescennio, in Etruria. I fescennini si svilupparono fin dai tempi più remoti negli ambienti rurali; contadini mascherati con rozze cortecce d’albero si affrontavano in contrasti buffoneschi, lanciando a ritmo alterno allegri insulti e feroci battute contro il proprio antagonista. Non poteva mancare un apparato rozzo e contadinesco di canti e di danze che accompagnavano. La satura drammatica Un racconto dello storico Tito Livio fa risalire al 364 a.C. la nascita dei primi spettacoli teatrali a Roma. Livio narra che per placare una pestilenza vennero istituiti in onore delle divinità irate dei ludi scaenici, facendo appositamente venire dall’Etruria dei ballerini che danzavano al suono di un flauto. I giovani romani, colpiti dall’esibizione dei danzatori etruschi, cominciarono a intonare sulla musica delle battute simili a quelle dei fescennini. Successivamente questa nuova forma di spettacolo venne perfezionata: gli attori, come scrive Livio, non si limitavano come prima a scambiarsi versi alterni simili a quelli dei fescennini, improvvisati senz’arte e rozzi, ma rappresentavano delle saturae ricche di vari metri. Per noi è difficile comprendere in che cosa realmente consistesse la satura, che a Roma designerà un genere letterario; evidentemente la satura di cui parla Tito Livio era uno spettacolo misto di canti, musiche, balli e scenette. Il termina satura deriva infatti dal latino satur, che significa ‘ricco’, ‘abbondante’, ‘farcito’: era dunque un termine popolare per indicare uno spettacolo farcito un po’ di tutto, nel quale la musica sembra svolgere un ruolo fondamentale. Dalle magre testimonianze storiche che possediamo deduciamo dunque che il teatro romano sia il risultato di varie e stratificate influenze: il fescennino, i ludi scaenici etruschi, l’atellana campana, la farsa fliacica e, con la fine della prima guerra punica, il teatro greco scritto. Il teatro romano A Roma, come in Grecia, il tempo delle rappresentazioni sceniche è quello della festa, ma appare fin dall’inizio un fenomeno di puro intrattenimento, privo di una vera e propria connotazione religiosa, un ludus, cioè un momento di pausa e di evasione. I ludi scaenici erano solo uno dei tanti momenti di festa, che comprendeva altri ludi, come quelli gladiatorii e circensi. A questo va aggiunto che le rappresentazioni sceniche erano finanziate e rigorosamente controllate dallo Stato, che censurava ogni allusione alla vita politica e civile. I teatri I Romani utilizzarono il modello del teatro greco, apportandovi alcune modifiche essenziali. Il primo e più antico teatro romano in muratura è quello costruito in età tardo repubblicana a Bononia (attuale Bologna) verso l'88 a.C.. A Roma il primo teatro in muratura è quello edificato da Pompeo nel 55 a.C., quando ormai il grande teatro latino si è di fatto spento da un secolo. Fino a quel momento gli spettacoli venivano dati in strutture di legno montate per l’occasione. I teatri provvisori eretti nell’epoca d’oro del teatro romano comprendevano due parti principali: la scaena, dove operavano gli attori e la cavea, dove si trovavano gli spettatori. La scaena consisteva in un palcoscenico in legno (pulpitum) leggermente elevato rispetto alla cavea. Le rappresentazioni avvenivano di giorno. Sullo sfondo del pulpitum veniva posto un pannello di legno su cui erano dipinte delle facciate di edifici, generalmente due o tre case per la commedia, un palazzo o un tempio per la tragedia. Lungo il pannello si aprivano tre vere porte. La scena si svolgeva sempre in esterni; nel caso in cui si dovesse rappresentare un interno, veniva posto un elemento mobile davanti al fondale. Al centro del palcoscenico veniva posto un altare, l’unico elemento fisso della scena arcaica latina. L’organizzazione degli spettacoli L’organizzazione degli spettacoli era affidata a un magistrato, in genere un edile, che aveva l’incarico di finanziare gli spettacoli e di selezionare i copioni; la maggior parte di questo lavoro veniva svolto a stretto contatto con il dominus gregis, ossia il capocomico responsabile di una compagnia di attori. Gli autori greci scrivevano per compagnie di tre attori. Il grex romano era invece composto da cinque o sei attori. Le compagnie erano spesso itineranti e comprendevano anche altre figure, come i musicisti. Fin dal IV secolo, nel mondo italico, brulicante di attività teatrali di ogni genere, nacquero delle corporazioni di attori; ne esistevano a Napoli, a Reggio, a Siracusa, a Taranto, a Locri e in tutti i grandi centri della Magna Grecia. Molte di queste compagnie cominciarono fin dal III secolo a far tappa anche a Roma e molte vi si stabilirono. Nel 207 lo Stato romano decretò la fondazione di un collegium scribarum historumque, ‘confraternita degli autori e degli scrittori’. La recitazione e l’uso delle maschere
A Roma come in Grecia, con l’eccezione del mimo, gli
attori erano esclusivamente uomini, alcuni dei quali si specializzavano in ruoli femminili. La recitazione risultava quindi non realistica, innaturale ed enfatizzata, sia in senso comico che tragico; è molto probabile che l’uso della maschera fosse libero ed occasionale. Il pubblico Tutte le classi sociali, nessuna esclusa, potevano frequentare gli spettacoli scenici. Il pubblico era formato da gente di piccolo mestiere, schiavi, signore, balie e cortigiane; Tito Livio riferisce che dal 194 i senatori ebbero dei posti riservati. L’ingresso era gratuito e gli spettacoli si protraevano da mattino a sera. La grande popolarità del teatro romano tocca il suo culmine tra la fine del III e gli inizi del II secolo a.C.. Successivamente il gusto del pubblico si orienta verso le forme mimiche; si potrà assistere alla rinascita del grande teatro classico solo quindici secoli dopo, quando gli umanisti riscopriranno la tragedia latina. Forme del teatro romano Il teatro romano di età arcaica è un teatro di traduzione; i Romani distinguevano tra traduzione letterale (exprimere) e la rielaborazione artistica (vertere). Il grado di fedeltà rispetto agli originali era diverso da opera a opera. In molti casi gli autori latini ricorrono, sia per la tragedia che per la commedia, a una tecnica chiamata contaminatio, che consiste nell’introdurre nella trama della commedia greca che si sta traducendo una o più scene ricavate da un’altra commedia. Con il termine fabula gli autori latini indicavano la trama, lo sviluppo dell’azione scenica. Vi erano due forme di fabula per la commedia latina (fabula palliata e fabula togata) e due per la tragedia romana (fabula cothurnata e fabula praetexta). I testi venivano rappresentati senza divisione in atti; ciò comportava una forma di spettacolo continuato, nel quale il momento recitativo conviveva con quello mimico e musicale La tragedia latina Ventisei commedie latine ci sono giunte pressoché integralmente; di nessuna tragedia invece possediamo più di qualche sparso frammento. Anche i nomi dei tragici latini sono inferiori per numero rispetto a quelli dei comici. Nell’età della grande fioritura del teatro romano sono solo cinque: Livio Andronico, Nevio, Ennio, Pacuvio e Accio; in compenso possediamo molti titoli delle loro opere: un centinaio per la fabula cothurnata e sette per la fabula praetexta. Mentre Livio, Nevio ed Ennio sono anche autori tragici, Pacuvio e Accio sono solo autori tragici. La fabula cothurnata
La maggior parte delle tragedie latine furono di argomento greco, e
furono dette cothurnate, dal calzare alto di foggia greca che gli attori portavano sulla scena. Si trattava di opere di soggetto mitologico, ispirate prevalentemente ai grandi cicli: il ciclo troiano (riguardante la guerra di Troia, una vicenda nella quale i Romani si sentivano particolarmente coinvolti, perché toccava le loro origini mitiche), quello tebano (con al centro il mito di Edipo e dei suoi discendenti) e quello dei Pelopidi. Livio Adronico
Di Livio Andronico sono pervenuti otto titoli di
cothurnatae. Cinque appartengono al ciclo troiano: Achilles, Aegistus (che ha per tema l’adulterio di Clitennestra con Egisto e l’uccisione di Agamennone), Aiax mastigophorus (dramma del suicidio di Aiace Telamonio, cui erano state negate le armi di Achille), Equos troianus (Il cavallo di Troia) e Hermiona. Le tre rimanenti, di gusto avventuroso e romanzesco, trattano di donne tradite e abbandonate: Andromeda, Danae e Tereus. Nevio Delle cothurnatae di Nevio restano poco più di 50 frammenti e soltanto sei titoli: Aesiona, Danae, Equos troianus, Hector proficiscens, Iphigenia, Lucurgus. Anche nel suo caso vi è una preferenza accordata a vicende e figure del ciclo troiano; infatti Nevio ha in comune con Livio Andronico due titoli: Danae, Equos troianus. Di Ennio ci sono giunti 20 titoli di cothurnatae in cui predominano ancora una volta gli argomenti del ciclo troiano. Le fabulae pretextae Accanto alle cothurnatae di una certa fortuna godettero anche le praetextae, tragedie di argomento romano e di tono patriottico-celebrativo. Il fondatore della pratexta fu Nevio, di cui ci sono testimoniati solo due titoli: Clastidium e Romulus. Clastidium (oggi Casteggio, in provincia di Pavia) è la località dovee nel 222 a.C. il consolo Claudio Marcello aveva riportata una decisiva vittoria sui Galli Insubri, uccidendo in duello il loro capo Viridomaro e assicurando a Roma la conquista della Gallia Transpadana. Il dramma metteva in scena un episodio recentissimo e glorioso di storia nazionale. La seconda praetexta, intitolata Romulus oppure Lupus, prendeva ad argomento le origini semidivine di Roma; si presume che trattasse i principali eventi connessi alla fondazione della città. La fabula palliata e la fabula togata La palliata è una commedia di ambientazione greca: il nome deriva da pallium, il costume tradizionale greco indossato dagli attori. L’azione si svolge invariabilmente in una città di lingua greca. Greci sono dunque anche i personaggi, come indicano i nomi stessi. Successivamente, nel II secolo a.C., si sviluppò un’altra forma di commedia, detta togata. La differenza riguardava sostanzialmente i costumi indossati e l’ambientazione: le togate venivano ambientate in località italiche; i personaggi vestivano la toga (l’abito nazionale romano) al posto del pallium e portavano nomi latini invece che greci. Le situazioni e le strutture comiche dovevano essere tuttavia molto simili a quelle della palliata.