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SHAKESPEARE → attivo a Londra più o meno dal 1590 fino alla sua morte, 1616.
Nasce nel 1564 a Stratford Upon Avon, le modalità con cui arriva a Londra non
sono tanto chiare: sappiamo che molto probabilmente il suo primo apprendistato
è da attore.
Nel 1582 sposò Anne Hathaway ed ebbe con lei tre figli.
Shakespeare nasce come attore in opere di altri (quando sarà un affermato
drammaturgo della compagnia dei King’s men, continuerà talvolta ad esibirsi
come attore in opere di altri). Reciterà anche nelle sue stesse opere
(probabilmente interpreta il ruolo dello spettro di Hamlet).
Shakespeare arriva a Londra in piena età elisabettiana (quando a corte andava
molto di moda la lirica petrarchesca). A corte si continua a fare una produzione
molto alta, legata soprattutto alla scrittura di sonetti (Donne).
Mentre a corte avviene tutto questo, nell’ultimo decennio del ‘500 si afferma
sempre di più la consuetudine di andare a teatro a vedere delle rappresentazioni:
perché queste rappresentazioni godono del patrocinio di imminenti figure della
corte.
È sempre bene ricordare che, la figura del drammaturgo, in questo periodo
storico (‘500 e ‘600), non ha ancora un particolare riconoscimento da parte della
corte. Il drammaturgo non è al pari del poeta, è al pari di un artigiano. Non c’era
l’idea moderna del drammaturgo come artista. Ciò avverrà più tardi prima nel
‘700 e poi con il Romanticismo.
Shakespeare → non godrà mai della stima da parte della corte come
drammaturgo.
Shakespeare → era stato attore, poi drammaturgo. La prima fase della sua
produzione è composta da opere dedicate ad alcuni patroni (grazie a questo
espediente riesce a pubblicarle).
Per quanto riguarda il teatro invece, i suoi copioni erano spesso trafugati, rubati e
pubblicati in modo ‘pirata’. Pubblicazioni sono autorizzate, non supervisionate.
La gran parte delle opere shakespeariane sono dei remake: rifacimenti di trame e
personaggi che erano stati messi in scena da compagnie rivali.
Shakespeare → va a Londra poco più che ventenne, lavora come attore, poi come
drammaturgo, finché non lo troviamo nominato in un documento come
appartenente ai Lord Chamberlain’s men (figura molto importante della corte
inglese). In questa stessa compagnia, il primo attore è Richard Burbage (figlio di
James) che sarà uno dei più famosi e importanti del teatro shakespeariano.
Nel frattempo Shakespeare scrive molti copioni, e già nei primi anni 90 del ‘500 di
trovano documenti che testimoniano il suo grande successo come drammaturgo.
1592 → 1° riferimento a Shakespeare come drammaturgo importante nell’opera
Paladis Tamia (opere in cui si cita per la prima volta la popolarità di Shakespeare
sia come poeta che come drammaturgo).
Un altro precedente riferimento a Shakespeare si trova in un documento di
Robert Greene → è un documento della totale invidia degli altri drammaturghi nei
confronti di Shakespeare. In questo documento, Greene si lamenta dello
straordinario successo che sta avendo questo ‘up-start-crow' (corpo venuto dal
nulla), ovvero Shakespeare; nel documento lo chiama anche Shake Scenes.
Successivamente il drammaturgo entra nella compagnia dei King’s Men →
importantissimo riconoscimento, è la compagnia del re Giacomo I (re non facile
da accontentare). Giacomo I è il sovrano che riesce a unire la corona di
Inghilterra e quella di Scozia, è a sua volta autore di opere (trattato sulla
demonologia, uno sul buon governo dedicato al figlio e un’opera che racconta le
sua esperienza privata con le streghe).
Shakespeare diventa uno dei più acclamati drammaturghi del suo tempo anche
se grand parte delle sue opere (37) sono scritte in collaborazione con altri
drammaturghi (come Marlowe e Middleton) (es. Enrico VIII).
PRODUZIONE TEATRALE
Shakespeare inizia ad operare sulle scene inglesi più o meno dal 1589, le sue
prime opere sono delle commedie: The two gentlemen of Verona e The taning of
the shrew. Tra il 1589 e il 1591, due commedie di ambientazione italiana.
Nel 1590 invece si inaugurano gli History plays, i drammi storici, con Enrico VI
(parte 1, 2, 3).
Shakespeare è il drammaturgo elisabettiano che scriverà più History plays
(soprattutto perché la dinastia Tudor dette una particolare attenzione alla
narrazione storiografica come costruzione alla narrazione dell’identità inglese, ed
anche perché era un genere che interessava molto il pubblico). Di tutti i sovrani
messi in scena, esistono molte diverse versioni.
Più tardi, Shakespeare si cimenta anche con il genere della tragedia con il Titus
Andronicus → opera in cui sono presenti tutti gli elementi del teatro senechiano
(horror, splatter, vendette tra consanguinei ecc…). Shakespeare partecipa anche a
quella moda ‘sensazionalistica’ di scandalizzare il proprio pubblico mettendo in
scena delle azioni che erano molto al di là della morale consentita. Questa è un
tragedia in cui si vede la forte presenza degli elementi senechiani.
L’ultima opera di questa prima parte degli anni ‘90 è una commedia: Comedy of
Errors. È una delle più brevi, influenzata fortemente dai modelli comici della
classicità, in particolare dai Menegmi di Plauto (Shakespeare prende la trama dei
Menegmi e la raddoppia). I Menegmi è la storia di due gemelli che si scambiano
(tema classico della commedia), Shakespeare li raddoppia: ciascuno dei gemelli
ha come servo un altro gemello; sono due coppie di gemelli che sono stati separati
e che casualmente si incontrano generando molti ‘errors’, equivoci. Questa
commedia viene scritta più o meno ne 1594.
Tra il 1592 e il 1593 Shakespeare compone Riccardo III → History Play in cui
convergono però anche degli elementi delle tragedies, c’è una sorta di
potenziamento degli History plays attraverso l’elemento tragico: a differenza dei
presenti History plays dove vi erano più personaggi e punti di vista, qui c’è unico
grande protagonista (in realtà già presente come personaggio nell’ultima di Enrico
VI).
Enrico VI (parte 1, 2, 3) e Riccardo III → insieme formano la ‘prima tetralogia’
shakespeariana. Tetralogia: 4 opere. Le due tetralogie shakespeariane sono
composte solamente da History Plays.
La prima copre la parte finale della guerra delle due rose tra York e Lancaster. Si
segue la storia inglese fino alla morte di Riccardo III per opera del primo sovrano
Tudor (Enrico VII). La prima tetralogia si conclude con l’ascesa al trono della
dinastia Tudor e la fine della guerra delle due rose. Nel momento della
rappresentazione (1594), la sovrana è la regina Elisabetta I → Shakespeare decide
di dedicare tanto spazio alla storia inglese per omaggiare la sua regina (Tudor)
raccontando di come Enrico VII abbia liberato il paese dai crimini, dalle guerre e
dalle angosce riportando nel paese la pace e la prosperità.
Tutte queste sono opere che non sono ancora considerate dello Shakespeare
maturo, non sono ancora le sue grandi opere.
DRAMMI STORICI
Composti nella seconda metà del ‘500; nella seconda metà degli anni 90 del ‘500
Shakespeare torna anche ai drammi storici, componendo: Riccado II, Re
Giovanni, Enrico IV (parte 1 e 2), Enrico V (in cui c’è uno dei personaggi più
famosi del suo teatro, Falstaff).
Riccardo II, Enrico IV (1, 2) ed Enrico V → costituiscono la seconda tetralogia
degli History plays. Questa tetralogia, anche se scritta successivamente, mette in
scena un periodo della storia inglese precedente a quello della prima tetralogia. È
precedente storicamente.
Oltre alla tetralogia, è molto importante anche Re Giovanni → regno più antico
tra quelli messi in scena da Shakespeare; nell’Infolio questa è la prima dei
drammi storici (perché ordinati non in ordine di composizione, ma in ordine
storico). Re Giovanni è un re dell’Inghilterra medievale che si era opposto al
papato (chiesa di Roma): Shakespeare racconta questa storia poiché funzionale a
ciò che stava accadendo all’Inghilterra di quel periodo.
In tutti gli History plays, la messa in scena del passato serve a legittimare o
consolidare delle scelte, egemonie presenti al tempo di Elisabetta. Il passato era
in qualche modo funzionale.
Macbeth, anche se era un re scozzese, non viene inserito negli History plays ma
nelle tragedie.
FONTI STORICHE
1. Enrico VI (parte 1, 2, 3) e Riccardo III → copre la parte finale della guerra delle
due rose tra York e Lancaster. Si segue la storia inglese fino alla morte di
Riccardo III per opera del primo sovrano Tudor (Enrico VII). La prima tetralogia
si conclude con l’ascesa al trono della dinastia Tudor e la fine della guerra
delle due rose.
RE GIOVANNI → altra History Play molto importante, viene rievocata la figura del
re medievale Giovanni perché fu uno dei primi sovrani inglesi ad entrare in
conflittualità con il papa. Usato per legittimare i conflitti attuali, come una sorta
di precedente illustre.
Tra i Problem Plays ci sono altre tre opere, che sono delle commedie successive:
All’s well that ends well, Measure for measure e Troilus and Cressida.
Sono commedie ma con un tasso di sofisticazione retorica un po’ più alto, dove gli
elementi che sembrano riflettere sui meccanismi della rappresentazione, sono più
forti. Nella seconda parte della sua produzione, Shakespeare tende sempre più ad
inserire riferimenti meta teatrali, tende a riflettere sempre di più sulla propria
arte nelle opere stesse. Costantemente si ha l’impressione che non si stia
solamente rappresentando qualcosa, ma si stia anche riflettendo sulle modalità di
quella rappresentazione.
Sempre a questo periodo (fine ‘500 inizio ‘600) c’è anche Il mercante di Venezia.
Enrico VIII viene mostrato come personaggio modello, si può permettere di avere
una coscienza.
MACBETH
Nella fonte, Holinshed, definisce le weird sisters come ‘goddesses of divinity’, dee
del destino: sembrano reinterpretare in una chiave scozzese e folcloristica il mito
delle Parche (donne che tessono e tagliano i fili legati al destino degli uomini). Le
tre sorelle della tradizione scozzese possono richiamare altre divinità del destino.
Per questo è tragico: esattamente come Edipo, Macbeth riceve una sorta di
profezia su ciò che gli accadrà ed in qualche modo dovrà andare in contro al
proprio destino senza che questo sia effettivamente chiaro. Elemento
dell’individuo che deve affrontare il proprio destino senza potersi sottrarre: questa
è la cornice tragica.
L’elemento storico risiede nel fatto che per scrivere l’opera, Shakespeare attinge
alle Chronicles of England, Scotland and Ireland di Holinshed → opera
importantissima perché è la fonte principale di tutti i drammi storici di
Shakespeare. Ma a loro volta le cronache sono il frutto di un lavoro di
collaborazione, stratificazione. Holinshed entra in secondo momento all’interno di
un progetto che prevedeva la stesura di una sorta di History of the world. Questo
progetto fallisce, si ripiega sul progetto di scrivere la storia delle isole britanniche.
Holinshed con l’aiuto di altri collaboratori attinge a sua volta ad alcuni cronisti
precedenti, in particolare a Polidoro Virgili e Hall. Le Chronicles vengono
pubblicate nel 1577 e ripubblicate nel 1587 con alcune censure. I cronisti sono
tutti coinvolti nell’ossessione della dinastia Tudor per la storia: la dinastia Tudor
immediatamente si occupa di organizzare una narrazione storiografia della guerra
delle due rose appena finita, anche per consegnare ai posteri una versione in cui
il suo ruolo apparisse il migliore possibile. Ciò è evidente nel discorso di Enrico
VII alla fine del Riccardo III.
Holinshed è la fonte principale alle quale Shakespeare attinge, in certi casi
letteralmente parola per parola (es. c’è un personaggio che elenca tutti i propri
vizi, quando Macduff si vuole liberare di Macbeth e va dal figlio del re precedente,
lui fa un elenco dei suoi vizi, di tutti i vizi capitali, per vedere la reazione del suo
interlocutore e per dimostrare che Macbeth era peggio di lui).
Delle due versione delle Chronicles, Shakespeare attinge a quella del 1587 → se
da una parte Shakespeare prende degli interi brani dalle Chrnicles parola per
parola, in altri casi decide di staccarsi in modo significativo dalla fonte.
Momenti molto interessanti. Nel paragone tra le due parti (quella delle Chronicles
da cui Shakespeare si è distaccato e la sua versione) è possibile formulare delle
ipotesi sul perché delle sue scelte.
In Holinshed si trova già la profezia delle streghe (il fatto che sia una cronaca
storica non vuol dire che non presenti elementi soprannaturali: di fatto le profezie
erano un espediente narrativo e politico molto utilizzato. Non sono solo la
predizione del futuro, sono degli strumenti politici potentissimi. In questo periodo
le profezie rivestono un ruolo centrale: paradossalmente l’ideologia della riforma
aveva dato maggiore credibilità alla profezie perché nel rapporto personale, non
mediato, con Dio, c’è un dialogo costante. Non si crede più alla profezie in
maniera cieca, si mettono in discussione però mettono comunque in crisi un
equilibrio. È uno strumento di potere ambiguo, ha un uso diverso rispetto a
quello che aveva nelle sacre scritture: nessuno metteva in discussione la loro
affidabilità. Adesso venivano messe in discussione perché non si credeva molto
all’esistenza di profeti dopo la nascita di Cristo. Inoltre si credeva che le profezie
potessero essere un qualcosa di diabolico, sollecitate per corrompere l’animo delle
persone).
TRAMA → tra tuoni e saetta appaiono le streghe in scena, uno degli incipit più
brevi del teatro shakespeariano. Dicono delle formule magiche molto
onomatopeiche e cantilenanti, poi spariscono. Seconda scena del primo atto, c’è
la presentazione di Macbeth attraverso un discorso riportato: c’è un capitano di
ritorno dalla battaglia in cui Macbeth e Banquo si soni battuti valorosamente, il
capitano racconta a re Duncan che la ribellione è stata sedata grazie a Macbeth e
Banquo. Macbeth viene definito ‘coraggioso’. Mentre sono sulla strada di ritorno,
Macbeth e Banquo si imbattono nelle tre streghe, le li quali salutano (vedendoli
entrambi). Le streghe dicono a Macbeth che sarà prima barone di Cawdor e poi
re, e a Banquo che sarà padre di una discendenza di re. Macbeth e Banquo sono
esterrefatti e quest’ultimo inizia subito a sospettare della natura di questo
messaggio (a volte gli spiriti diabolici ci tentano raccontandoci i nostri desideri
più nascosto, ci spacciano per profezie le nostre ambizioni, pulsioni segrete).
Macbeth anche si interroga, si chiede da dove venga questa intelligenza che
sembra divina. Mentre ci riflettono, arriva un messaggero che annuncia a
Macbeth che è diventato barone di Cawdor: immediatamente un pezzo della
profezia si avvera. Ciò rende più verosimile il resto della profezia.
Il secondo atto si apre con Lady Macbeth che legge una lettera inviata da suo
marito: dalla lettera immediatamente si comprende la grande complicità tra i due.
Nella lettera che lei legge in scena, Macbeth le racconta dell’incontro con le
streghe e si capisce che già c’è un piano. A quel punto diventa molto forte la
caratterizzazione di Lady Macbeth che svela che Macbeth è troppo buono e non ce
la farà a mantenere il suo proposito, dovrà essere lei a trasferiti l’efferatezza
diabolica per portare a termine il progetto. Lady Macbeth si presenta come un
personaggio che farà un ruolo molto importante, molto forte. Quando Macbeth
tornerà da sua moglie con la notizia che il re lo ha seguito nel suo castello per
dimostrargli la sua gratitudine, Lady Macbeth vede quest’occasione come l’unica
perfetta per uccidere il re e far avverare la profezia. Questo è il momento in cui
invece traballa maggiormente Macbeth. Duncan, oltre ad essere il suo re, è anche
suo ospite, inoltre Macbeth è appena stato destinatario di molti onori: vuole
accontentarsi e gioire di ciò che ha. Gente lui si dilania con i dubbi, Lady
Macbeth è spietata: mette la faccenda sul piano della virilità. Inizialmente lo
attacca sul piano dell’amore: se il tuo proposito dura così poco, allo stesso modo
devo considerare il tuo amore per me, come un qualcosa che per un attimo si
accende poi improvvisamente si spegne. Poi, in un linguaggio sempre più
sessuale, legato all’impotenza del gesto Lady Macbeth dice che suo marito non è
sin grado di uccidere il re perché non è un uomo. Macbeth risponde che lui può
fare tutto ciò che può fare un uomo, ciò che non vuole fare è ciò che un uomo
non è degno di fare: uccidere qualcuno, il proprio re, il proprio ospite.
Alla fine Lady Macbeth ha la meglio, attraverso un discorso molto forte dal quale
si deduce che i due non hanno figli (probabilmente li hanno avuto), e che questo è
un dolore che condividono. Soprattutto, da questo dettaglio, si aggravano le
accuse di impotenza rivolte a Macbeth e si avvalora la profezia delle streghe che
Macbeth può essere re ma non può essere padre di una discendenza di re. Il
piano politico e il piano individuale si sovrappongono: Macbeth ha più profondità
psicologica, mostra il tormento interiore; Lady Macbeth invece è cattiva. Lady
Macbeth accusa il marito di non mantenere la parola data, Macbeth aveva giurato
sul suo onore di uccidere Duncan e non lo sta facendo. Lady Macbeth, in quanto
donna dovrebbe incarnare il rapporto con la natura più immediato, invece
assume una postura maschile: l’onore della parola data, viene persino prima del
legame indissolubile del rapporto madre/figlio. Lady Macbeth riesce a convincere
il marito a tenere fede alla parola data mostrando lei stessa disposta all’atto più
innaturale possibile. Lady Macbeth trasforma in un atto innaturali, pari a quello
di uccidere il proprio figlio, quello di non mantenere la parola data. Macbeth è
costretto a compiere l’omicidio: altrimenti non viene reputato dalla sua compagna
degno di essere un uomo, sia dal punto di vista individuale che dal punto di vista
pubblico.
Di notte si compire il disfatto. Si capisce che gran parte del lavoro lo pensa Lady
Macbeth.
Per l’assassinio di re Duncan, Shakespeare non si rifà alle cronache di Holinshed
→ ricorre a un episodio precedente, ad un altro re. Ignora l’attendibilità storica
della figura di Macbeth perché trova nella storia precedente un espediente
narrativo che gli sembra più interessante.
Macbeth entra nella tenda e uccide Duncan, dopo ciò torna dalla moglie
dicendogli di aver commesso l’azione (sempre definita come deed). Lady Macbeth
chiede al marito se aveva messo i pugnali nel posto giusto: Macbeth se ne era
dimenticato, non aveva messo i pugnali vicino alle guardie ubriache; perché
mentre compie l’azione sente qualcuno dire ‘amen’ e lui non è in grado di
rispondere, ciò lo disorienta, si rende conto di star passando dalla parte del male.
Lady Macbeth torna a mettere i pugnali nel posto giusto (non senza conseguenze
psichiche: quando lei impazzirà, tra i vari frammenti di discorsi che fa da
sonnambula, compare la frase ‘quanto sangue aveva in pancia quel vecchio’
riferendosi a re Duncan e al momento in cui è tornata nella stanza per sistemare
pugnali).
L’omicidio è compiuto, è notte. Si sentono dei colpi alla porta ed i due escono
dalla scena per andare a cambiarsi e a mettere gli abiti per la notte in modo da
avere un alibi. Entra il portiere (scena comica incentrata su doppi sensi sessuali,
su quanto l’alcol comprometta le performance sessuali).
Questa prima parte si risolve con il corteo degli accompagnatore del re che
entrano nella sua stanza e lo trovano morto, chiamano Macbeth e preso dalla
rabbia e dal furore per la scena, uccide le due guardie, facendo credere a tutti che
loro fossero i responsabili. Qualcuno si interroga su ciò, soprattutto Banquo
perché era l’unico presente al momento della profezia, è l’unico che può mettere
in discussione la fedeltà di Macbeth.
Dopo l’uccisione del re, Banquo resta sospettoso sul fatto che Macbeth abbia
voluto accelerare la profezia.
Macbeth diventa re ma vive con molta angoscia, nel sospetto continuo che il suo
regno si concluderà con la sua vita, che non ci sarà una discendenza.
Intanto il personaggio di Lady Macbeth, fino a quel momento molto grande e forte,
dopo l’omicidio, un po’ cerca sempre di frenare i sensi di colpa del marito ma è
anche in una fase calante. Soprattutto dopo l’omicidio di Banquo, diventato un
problema per Macbeth, che ordina il suo omicidio e quello del figlio. Il figlio di
Banquo però riesce a fuggire, assicurando la discendenza.
Macbeth intanto ha organizzato un grande banchetto: durante i festeggiamenti in
scena appare il fantasma di Banquo, che solo Macbeth vede. Il re inizia a dare di
matto. Dal punto di vista cronologico l’omicidio è appena avvenuto.
Lady Macbeth è molto preoccupata, mandata tutti via.
Dopo ciò Macbeth decide di incontrare di nuovo le tre streghe, si inoltra nella
brughiera scozzese.
La scena inizia con Ecate, la quale sta preparando un calderone insieme alle altre
streghe (momento divertente sulla scena). Ad un tratto Ecate dice ‘qualcosa di
malvagio sta arrivando’ (Macbeth): significa che Macbeth è già passato dalla parte
del male, la strega lo percepisce come una forza oscura.
Una volta lì, il re si rivolge alle streghe più disinvolto; vuole sapere e le streghe gli
mostrano il calderone dal quale appaiono tre oggetti/persone: non sono le streghe
a parlare, ma a fare la profezie sono le apparizioni che vengono dal calderone.
La prima è un testa insanguinata con un elmo, la seconda è un bambino
insanguinato e la terza è un bambino incoronato con un ramo d’albero in mano.
La prima lo avvisa di stare attendo al barone di Fife (Macduff); la seconda lo
avvisa che non sarà sconfitto da un uomo nato da donna; la terza dice che
Macbeth non sarà mai sconfitto finché non vedrà il bosco di Birnan camminare
verso il tuo castello.
Tutte queste profezie si riveleranno più indovinelli che profezie: non del tutto veri
ma non del tutto falsi. Soprattutto la seconda e la terza: si scopre che il
personaggio che sconfiggerà Macbeth non è nato da donna (è nato con un parto
cesareo, effettuato da un chirurgo maschio, l’unico che poteva effettuarlo);
quando Malcom e le truppe inglesi sono accampate e devono dirigersi verso il
castello per sferrare l’attacco, Malcom suggerisce di strappare dei ramoscelli e di
nascondersi dietro di essi (per nascondere il numero effettivo di soldati); l’effetto
che ciò produce al soldato di Macbeth di vedetta, è un bosco che si muove.
La veridicità parziale delle profezie è legata ad una pratica dei gesuiti chiamata
EQUIVOCATION.
Mentre la battaglia viene combattuta, arriva la notizia della morte di Lady
Macbeth: Macbeth pronuncia il suo famoso monologo.
Prima di morire, c’è un momento nell’opera in cui la regina soffre di
sonnambulismo: il dottore che si occupa di lei afferma che la malattia della
donna è una malattia dell’animo, non del corpo e che non si può curare. Durante
questi deliri Lady Macbeth rivela i delitti di cui si sono coperti lei e il marito.
Lady Macbeth muore fuori scena → scompare lentamente dall’opera.
Tutte le donne del dramma muoiono: il mondo di Macbeth non prevede le donne.
Dietro la punizione che subisce Lady Macbeth (essere ridotta al silenzio), c’è una
concezione maschile e patriarcale secondo la quale le donne sono sempre
associate ad un’ambizione spropositata, che non potendo vivere direttamente,
viene riversata sui loro mariti che diventano capaci dei Crimi più efferati. Il
modello è Eva che spinge il povero Adamo a mangiare la mela.
In Holinshed, quest’associazione tra moglie/ambizione/crimini è ricorrente: dietro
ad ogni personaggio cattivo, c’è una moglie più cattiva di lui.
STORIA DELLA CRITICA DEL 900 → alla fine dell’800 in generale prevale come
atteggiamento critico, nei confronti del teatro shakespeariano, un atteggiamento
‘naturalista e impressionista’: ci si focalizza sulla psicologia e le intenzioni dei
personaggi. Un critico, Kinghts, provocatoriamente scrive un articolo intitolato
‘How many children had Lady Macbeth?’: un elemento non scritto nel testo su cui
inutilmente si focalizzano tutti i critici. I personaggi sono connotati sempre e solo
dal testo, non ci si può aggiungere niente (come facevano quei critici, trattando i
personaggi quasi come persone reali).
Nel ‘900, soprattutto nella prima metà, grazie ad un movimento critico, ‘New
Critisisms’, invece ci si sofferma sempre di più sugli aspetti retorici e formali del
testo teatrale. Come funzionano i discorsi dei personaggi, come funziona l’arte
della persuasione di Lady Macbeth. Kinights afferma che Macbeth andrebbe
studiato come se fosse una lunga poesia, non come se fosse una forma di teatro
naturalistico (teatro che fiorisce alla fine dell’800). Non è un’opera che vuole
rappresentare la vita così com’è; è un’opera che utilizza la retorica per costruire
un discorso che è anche un discorso lirico.
Nella seconda metà del ‘900, durante gli anni ’70, ’80 quando prevale il post
strutturalismo, nella critica c’è un grande fermento di posizioni diverse, si
specializzano una serie di approcci ai testi che finalmente cercano di tenere
insieme storia e forma. In questi anni prevale un certo interesse da parte della
critica femminista per il personaggio di Lady Macbeth ma anche da parte della
critica psicanalitica. Entrambi questi due orientamenti critici sembrano indagare
la dialettica tra maschile e femminile, fino alla scomparsa del femminile.
Sin dagli anni ’80, il critico prevalente, in particolare negli stati uniti, è il
cosiddetto New Historicism → movimento critico che si pone l’obiettivo di
ricollocare i testi all’interno del proprio contesto di produzione e storico, si
interessa di questioni culturali legate ai testi, non strettamente letterarie. Nel Nel
Historicism, è possibile leggere Macbeth e metterlo a confronto con altri
documenti di quel periodo che ci restituiscono un quadro più complesso. Si
possono confrontare i vari documenti e rendersi conto delle ‘social energies’ in
circolo in quel momento. Non trattare la letteratura come se fosse un
monumento.
STREGHE → nella great chain of being sono delle creature particolari, hanno
delle facoltà delle creature superiori (doti profetiche) ma hanno delle connotazioni
proprie degli elementi bassi della great chain of being (sono selvagge, hanno la
barba). Utilizzano l’espediente diegetico della profezia, espediente politico molto
importante per orientare il consenso.
STREGHE → interesse di Giacomo I per le streghe. Il testo che leggiamo di
Macbeth è quello del 1623, non è quello andato in scena al Globe. È un testo
adattato da Middleton andato in scena in un teatro privato: ci sono riferimenti
che fanno pensare che il re fosse presente nel pubblico durante la
rappresentazione. C’è l’idea che quest’opera sia in parte un’opera che cerca di
omaggiare Giacomo I, l’opera viene messa in scena dai King’s men.
La scelta in particolare di dare tanto spazio alle streghe potrebbe essere dovuta
ad un dibattito che c’è nell’Inghilterra della seconda metà del ‘500 e che viene
rilanciato da Giacomo I quando diventa re: un dibattito sulle streghe, dibattito
sull’esistenza o meno delle streghe, sui loro rapporti con la presunta
superstizione cattolica, il dibattito sulla legittima o meo persecuzione delle
streghe. Tutto ciò infervora non solo le comunità religiose, ma tutta la
popolazione.
I principali partecipanti al dibattito sono Reginal Scot, rappresentante del clero
inglese, con ‘The Discovery of witchcraft’ (1584) e Giacomo IV di Scozia (Giacomo
I) con ‘Daemonology’.
REGINAL SCOT → è tra quelli che sostengono che la stregoneria non esiste, che è
pura superstizione. In un passaggio della sua opera si discute sull’origine del
tuono, che si credeva annunciasse l’arrivo di una strega: Scot dice che anche se
tutte le streghe fossero morte, ci sarebbe lo stesso la pioggia (e quindi i tuoni).
Sucessivamente fa un’interessante descrizione fisica delle presunte ‘streghe’: dice
che sono solo delle vecchie deformi, superstiziose, cattoliche, emarginate che si
convincono di essere capaci di fare del male (toglie tutta l’aura di misticismo delle
streghe). Queste donne sono le prime ad essere convinte della loro arte,
sbagliandosi. Mandano così tante maledizioni che una di esse prima o poi si
avvera, facendole credere di essere le artefici di ciò.
Scot, parlando poi della profezia, afferma che il dono della profezia è un dono di
Dio che si è estinto con la venuta di Cristo.
Scot affronta tutte le caratteristiche delle streghe che troviamo in Macbeth.
GIACOMO I → schierato contro Reginal Scot. Nel 1591 scrive ‘News from
Scotalnd’: un memoire dove racconta di tutti i suoi rapporti con le streghe.
quest’opera viene ripubblicata nell’anno in cui lui ascende al trono, 1603. L’altra
opera è ‘Daemonology’: trattato sulle streghe, scritto nel 1597 e ripubblicato nel
1603. È esplicitamente scritto conto Scot. È costruito come una specie di dialogo
platonico tra personaggi che si interrogano sulla figura delle streghe.
Dando per certa l’esistenza delle streghe come creature diaboliche che per conto
del diavolo cercano di rubare anime, tra le varie domande del trattato c’è la
seguente: permetterà Dio a questi strumenti del male, attraverso il potere del
diavolo, di sottomettere quelli che credono i lui?
La risposta è questa: ci sono 3 tipi di persone che possono essere tentate con il
consenso di Dio da queste creature:
- I malvagi per i loro crimini orribili, per punizione.
- I credenti che però si trovano in un momento di debolezza: attraverso
l’esperienza delle streghe possono rafforzare la loro fede.
- Anche gli uomini migliori: possono essere tentati dalle streghe per mettere alla
prova la loro pazienza, come fece Giobbe (figura biblica che rappresenta il
fedele di Dio disposto a sopportare qualsiasi cosa, simbolo della pazienza per
antonomasia).
Il ruolo più ampio accordato alle streghe in Macbeth è legato al fatto che,
innanzitutto era un argomento d’interesse del re, e poi perché c’era un dibattito
in corso che rendeva l’argomento delle streghe, un argomento di moda.
Anche Middleton aveva scritto un dramma intitolato ‘The witch’.
Dopo l’incontro con le streghe, sia Banquo che Macbeth si interrogano sul loro
statuto. Banquo in realtà, dopo che Macbeth diventa barone di Cawdor, sospetta
che le profezie delle streghe siano degli inganni; Macbeth invece è troppo accecato
dalla sua ambizione.
MONOLOGO DI MACBETH, ASIDE → importante. Monologo che Macbeth fa da
solo, parla direttamente con il pubblico. Momenti importanti che danno
profondità al personaggio: gli asides ci danno l’impressione di essere nella mente
del personaggio, stabiliscono una rapporto di complicità tra il pubblico e Macbeth
(ciò complicherà il giudizio di Macbeth da parte del pubblico per le sue azioni). In
questo monologo Macbeth dichiara di avere già in mente l’omicidio, soffocato però
dalla sua parte razionale.
Elemento di azione che si oppone ad un elemento ragionativo (come in Hamlet,
ragione che rallenta l’azione).
ATTO 1° → atto molto lungo, composto da 7 scene in cui succede la gran parte
dei momenti fondamentali del dramma (profezia, omicidio di Duncan, primi dubbi
e incoronazione di Macbeth). Il vero centro dell’opera è come Macbeth gestirà i
sensi di colpa e il potere guadagnato con l’assassinio.
ATTO 1° SCENA 5° → Lady Macbeth entra in una stanza del castello. Inizialmente
non parla con le proprie parole: sta leggendo una lettera inviatole dal marito in
cui Macbeth fa una sorta di resoconto di ciò che gli è capitato fino a quel
momento.
Interessante → dopo aver definito le streghe ‘imperfect speakers’, nella lettera alla
moglie invece si rivolge alla loro profezia come ‘perfectest report’. Alla moglie da
per assolutamente inequivocabili le tre profezie delle streghe.
Macbeth si rivolge alla moglie come ‘mia adorata compagna di grandezza’:
attraverso la lettera scritta da Macbeth, abbiamo questa prima definizione della
moglie. I due sembrano molto solidali tra loro: lui non vuole che lei resti
all’oscuro di questa grandezza che è in un certo senso è stata promessa anche a
lei.
Lady Macbeth poi prende la parola: dice che Macbeth sarà ciò che gli è stato
predetto. ‘Yet do I fear thy nature’: ha paura della natura del marito, dubita della
sua natura. Spiegando perché Lady Macbeth aggiunge informazioni sulla
caratterizzazione del marito: la sua natura è troppo piena duellate dell’umana
gentilezza. Lo descrive come un personaggio buono.
MILK → il latte tornerà; come c’è il campo semantico legato al rapporto tra virilità
e potere, c’è il campo semantico legato alla maternità e alla negazione della
maternità.
Il ‘latte dell’umana bontà’ ha nelle parole della donna, una connotazione
altamente negativa. Macbeth è troppo buono per usare scorciatoie per arrivare al
suo destino. Macbeth vorrebbe essere grande, non è senza ambizione ma non ha
la malizia (malattia) che dovrebbe accompagnare l’ambizione. Macbeth vorrebbe
essere grande, ma vorrebbe esserlo comportandosi da santo, in modo moralmente
corretto. Se l’ambizione non si associa alla malizia, è inutile, non porta a niente.
Macbeth non vorrebbe giocare sporco ne vincere barando: deve avere qualcuno
che lo sproni. Lady Macbeth dice a suo marito di tornare da lei così che lei possa
‘versare i suoi spiriti nel suo orecchio’ → così che lei possa influenzarlo
negativamente (il veleno nell’orecchio è anche il modo in cui muore il padre di
Amleto). Lady Macbeth vuole castigarlo (ruolo materno nei confronti del marito)
con ‘il potere dea lingua’, con le sue parole vuole castigare la sua eccessiva bontà
(idea delle donne che sono capaci con le parole di spingere l’uomo al male, come
Eva).
Questo è il proposito di Lady Macbeth: infondere i suoi spiriti negativi nel marito
e castigare la sua eccessiva bontà con le parole, castigare tutto ciò che gli
impedisce di arrivare alla corona.
‘Metafisico’ → parola interessante, ne divino ne diabolico, parola sospesa.
Presenze metafisiche e fato sembrano già averlo incoronato re.
Entra un messaggero → annuncia che Macbeth sta tornando e che il re sarà
ospite per una notte nel loro castello.
Ciò fa in modo che Lady Macbeth abbia un piano concreto per uccidere il re.
Inizia in questo momento quasi un rito di evocazione di spiriti maligni.
‘Il corvo è rauco’ : immagine di cattivo presagio. Il corvo accompagna Duncan nel
suo castello.
‘Venite spiriti che suggerite pensieri di morte’ → Lady Macbeth li invoca a finché
siano capaci di eliminare il suo elemento femminile, materno, compassionevole.
‘Unsex me’ → ha a che fare con le convenzioni di genere: laddove esse vorrebbero
la donna sempre più lontana possibile dal male e dal crimine, lei vuole essere
privata dagli elementi che la renderebbero compassionevole, che la renderebbero
‘donna’ secondo le convenzioni di genere.
‘Fill me … of direst cruelty’ → riempitemi della più efferata crudeltà, ferocia.
Lady Macbeth invita gli spiriti a prendere possesso del suo corpo: vuole che
rendano più spesso il suo sangue, che blocchino ogni accesso al rimorso.
In questo modo, nessuna visita della natura (quella del femminile che dovrebbe
tenerla lontana da pensieri di morte) può rivendicare il suo potere su di lei
facendola indugiare nel suo proposito.
‘Venite spiriti ai miei seni di donna e tramutate il latte in fiele’ → rappresenta una
scena nella quale lei allatta gli spiriti maligni. Fiele: sostanza più amare del
mondo (opposta al latte materno).
Gli spiriti sono ‘sightless’, non si vedono, non sono come le streghe.
Dal momento che sia le streghe che lo spirito di Banquo, più avanti, saranno
entità visibili, il fatto che Lady Macbeth non possa vedere questi spiriti maligni è
indice di follia nella donna.
Lady Macbeth, pur non essendo una creatura diabolica (come le streghe), sembra
offrirsi spontaneamente al male, agli spiriti maligni.
Torna Macbeth con qualche titubanza, ed insieme a lui anche Duncan, Banquo
ecc… Viene presentata Lady Macbeth.
ATTO 5° SCENA 5° → verso la fine del dramma, Macbeth è sempre più solo (è già
avvenuta la conversazione di Macbeth con il dottore circa le condizioni della
moglie).
Macbeth si è barricato nel castello nella convinzione che non potrà mai essere
sconfitto. Non c’è nessun buon motivo per cui lui debba fidarsi delle streghe,
eppure sembra farlo ciecamente.
Entrano in scena Macbeth, Seyton e dei soldati.
Lo scontro è tra Macbeth ed il figlio di Duncan, all’esterno del castello pronto ad
attaccare.
Macbeth afferma di aver quasi dimenticato il gusto che ha la paura, confessa di
essere consapevole di aver raggiunto il massimo grado di malvagità al punto di
non provare più orrore ne per ciò che vede ne per ciò di cui sa potrebbe essere
capace. È consapevole di essere tutt’altra persona rispetto a quella che era prima:
ha fatto indigestione di orrori, la sua malvagità e l’orrore non lo raccapricciano
più.
Evoluzione del suo personaggio che culmina nel monologo finale, che sembra
avere un senso di insensatezza.
Arriva Seyton ad annunciare la morte di Lady Macbeth.
Macbeth sembra non avere nessuna reazione drammatica: dice che sarebbe
dovuta morire prima o poi.
Inizia il monologo più famoso del Macbeth:
Tomorrow, and tomorrow, and tomorrow,
Creeps in this petty pace from day to day,
To the last syllable of recorded time;
And all our yesterdays have lighted fools
The way to dusty death. Out, out, brief candle!
Life’s but a walking shadow, a poor player,
That struts and frets his hour upon the stage,
And then is heard no more. It is a tale
Told by an idiot, full of sound and fury,
Signifying nothing.
La rappresentazione della vita è un susseguirsi di giorni, di ‘tomorrow’ che
passano fino alla ‘sillaba finale del tempo stabilito’: fino alla morte (riferimento
alle Parche).
Uno dei problemi fondamentali di Macbeth è proprio il ‘tomorrow’ → Macbeth vive
con la paura di perdere tutto il potere che ha ottenuto, poiché esso è l’unica cosa
che ‘giustifica’ le azioni terribili da lui commesse, partendo con l’omicidio di
Duncan. Deve difendere il suo potere, altrimenti le sue azioni orribili sarebbero
ancora più orribili e insignificanti. Ha una concezione del tempo vissuta come
angoscia, il ‘tomorrow’ può portare momenti in cui si perde tutto.
Tutto il tempo che abbiamo vissuto, tutti i nostri ‘ieri’, hanno semplicemente
illuminato a degli sciocchi la polverosa via che porta alla morte: tutto il tempo
prima della morte sembra un tempo assolutamente insensato, come suggeriscono
anche le ripetizioni.
‘Out, out brief candle!’ → il personaggio entrato in scena con la candela era Lady
Macbeth nella scena del sonnambulismo. Dicendo ciò (spegniti pure breve
candela). La candela è il simbolo della vita, breve: nel consumarsi, si cancella, si
consuma, non resta nulla.
‘La vita è solo un’ombra che cammina, un povero attore che si affanna sul palco
della vita per l’ora che ha a disposizione e di cui poi non si sa più niente. È solo
un racconto narrato da un idiots pieno di rumore, fracasso e furia che non
significa niente’ → c’è un riferimento meta teatrale, si crea una sorta di ‘mise en
abyme’ (finestre finte disegnate nei palazzi barocchi, gioco prospettico, ‘messa in
abisso’, creazione di una via di fuga).
Un attore che sta impersonificando Macbeth, parla dell’attore che si dimena sulla
scena. È come se il personaggio di Macbeth facesse riferimento all’attore che lo
sta impersonando. Gioco di rimandi interni.
‘Sound and fury’ → uno dei romanzi più famosi del ‘900.
Macbeth sembra arrivare in un momento di grande nichilismo.
Dopo questa straordinaria consapevolezza, resta per Macbeth il compito di fare i
conti con le parole delle streghe, di verificarle.
Entra un messaggero e Macbeth lo esorta a parlare.
Il messaggero afferma di non sapere bene come dire ciò che ha visto: era di
guardia sulla collina e guardando verso Birnan, all’improvviso ha visto il bosco
che si muoveva.
Il bosco si muove perché l’esercito ha deciso di utilizzare dei rami strappati dal
bosco per nascondere l’effettivo numero dei soldati: l’effetto che fanno è quello di
un bosco che si sta muovendo.
Macbeth inizia a dubitare dell’equivocation del demonio → parola usata già dal
portiere. Scopriamo che ad essere ‘equivocator’ non era l’alcol, ma le streghe:
hanno detto una mezza verità, utilizzano un parlare imperfetto che lascia uno
spazio di ambiguità, che illude Macbeth della sua salvezza.
Alla fine sembra davvero centrale all’interno dell’opera il problema di interpretare
correttamente ciò che si ascolta, le parole delle streghe, non fidarsi, scoprire tanto
c’è di vero e quanto c’è di falso. La parola è scollegata dall’azione.
Macbeth inizia a dubitare dell’equivocation dei diavoli che usano delle menzogne
come delle verità.
Macbeth potrebbe decidere di uccidersi, però decide di morire in battaglia,
combattendo anche se sa che è spacciato. In qualche modo è come se durante gli
ultimi istanti della sua vita, lui tornasse al punto di partenza: quando lui si
batteva valorosamente come soldato. Piuttosto che arrendersi recupera il suo
orgoglio di soldato e decide di battersi fino alla fine pur sapendo che la fine è
vicina. Il tutto però con un ‘mood’, un umore, stanco: nella sua decisione di
buttarsi in battaglia è possibile leggere la sua voglia di farla finita.
‘Almeno moriremo da soldati’.
ATTO 5° SCENA 8° → si scopre che anche la profezia che riguardava il fatto che
lui sarebbe stato sconfitto da un uomo non nato da donna è un’equivocation.
Macduff → dice a Macbeth di lasciarsi dire dall’angelo (lucifero) che Macduff fu
estratto prematuramente dal grembo della madre. È nato con un parto cesareo:
non è nato da donna. Equivocation: è stato fatto nascere da un uomo, i cesarei
venivano effettuati soltanto da chirurghi uomini. In questo senso Macduff non è
nato da donna.
Macbeth afferma che i diavoli non devino più essere creduti alla lettera perché ci
ingannano con dei doppi sensi (equivocation). I diavoli mantengono la promessa
detta all’orecchio e la rompono davanti alla speranza.
Prima Macbeth afferma di non voler combattere, poi cambia idea e viene ucciso.
ATTO 5° SCENA 9° → piccola frase che ci aiuta a capire come stanno cambiano le
cose.
Macduff saluta il nuovo re mostrandogli la testa di Macbeth dicendo che ‘il tempo
è liberato’: liberato dall’incantesimo delle streghe, da quella sovversione
dell’ordine naturale che era stata sancita dalle streghe.
Questa frase potrebbe anche significare che sono fuori da quella sorta di spirale
compulsiva di ‘tomorrow, tomorrow, tomorrow’, di giorni senza senso.
La Scozia è stata liberata dal tiranno, si può ristabilire l’ordine naturale.
Il re di Scozia è di nuovo un re che si mostrerà tra i più virtuosi tra quelli che
esisteranno (contrario di Macbeth) e Macbeth viene definito da Malcolm come
‘macellaio morto, soldato, re, tiranno’. Lady Macbeth invece viene definita ‘come
un demonio’.
RICHARD III
Opera nella quale troveremo profezie, fantasmi, figura del tiranno, proprio come
in Macbeth. Questo è genere però diverso rispetto a quello di Macbeth: nell’Infolio
Macbeth si trova nelle tragedies, Richard III si trova invece negli Histories. In
realtà entrambe le opere mischiano le caratteristiche delle tragedia con quelle
delle Histories.
Riccardo III, che conclude la prima tetralogia ed è la seconda opera più vicina al
periodo degli spettatori, termina con la fine della guerra delle due rose e con
l’ascesa al trono di Enrico VII (che riunisce attraverso un matrimonio le due
casate dei Lancaster e degli York garantendo una certa stabilità). Con la sua
ascesa al trono inoltre, l’Inghilterra esce in un certo senso dal Medioevo: esce da
quella stagione fortemente caratterizzata da battaglie e questioni dinastiche, e si
avvia ad una fase pre-rinascimentale.
Opera centrale per diversi aspetti: storicamente rappresenta uno dei momenti più
importanti della storia del paese, dal punto di vista formale segna un
avanzamenti rispetto ai drammi storici precedenti. Questa è un’opera più matura,
più completa perché riesce a coniugare le convenzioni del dramma storico con le
convenzioni della tragedia senechiana.
Nel personaggio di Riccardo III converge la statura tragica del tiranno di Seneca, il
villain machiavellico ed il modello del VICE dei Morality Plays del teatro inglese
medievale. Tutti questi tre elementi, alcuni autoctoni, altri importati, convergono
nella figura di Riccardo III.
Perché Riccardo III è un ‘villain’ → incarna tutti gli stereotipi legati alla politica di
Machiavelli, lui a differenza di Macbeth non è solamente una figura che elimina i
propri nemici per conquistare il potere: è una figura che elimina i membri della
propria casata per conquistare il potere, uccide i figli di suo fratello, dei bambini.
Non c’è solo ‘il fine giustifica i mezzi’ per il quale si possono eliminare fisicamente
i propri nemici: all’interno della propria casata vengono uccisi gli eredi al trono
pur di conquistare il potere.
DRAMMI STORICI → occupano una delle sezioni dell’Infolio del 1623. Sono la
testimonianza di un grandissimo interesse per la storia nazionale da parte del
pubblico inglese. Shakespeare è tra gli autori che maggiormente si dedica a
questo genere. In generale, negli ultimi 10 anni del regno di Elisabetta, il genere
del dramma striscio è un genere particolarmente fortunato: il pubblico sembra
essere ‘affamato’ di storia nazionale. Oltre ai drammi storici, tra il XVI e il XVII
secolo c’è una grande produzione di opere che hanno a che fare con la storia (non
solo teatrali); tutte insistono nell’offrire delle nuove versioni storiografiche.
Già Enrico VII, commissionò ad un umanista italiano (Polidoro Virgili) una storia
dell’Inghilterra. Polidoro prese molto sul serio questa commissione inimicandosi il
re: tra i miti della fondazione dell’Inghilterra, c’era l’idea che il paese fosse stato
fondato dai troiani. Virgili, nella sua ricognizione storica sementisce questi mito,
assieme ad altri miti provvidenziali: fa un lavoro storiografico basato sulle fonti,
non sui miti e i racconti popolari. L’opera verrà pubblicata con il titolo di Anglica
Historia.
La dinastia Tudor, appena prende il potere, immediatamente si occupa di scrivere
la storia nel modo in cui ha preso il potere: non è una narrazione neutra.
Lo scopo della commissione di Enrico VII non è l’attendibilità storica, ma la
manipolazione dei fati storici perché il suo interessa era offrire al pubblico una
narrazione provvidenziale della storia d’Inghilterra che culminava con l’ascesa
della dinastia Tudor. Si parla della guerra delle due rose come di un momento
infernale della storia nazionale, cui aveva posto fine la dinastia Tudor in quanto
eletta da dio. La dinastia Tudor era la dinastia che era stata destinata a liberare
l’Inghilterra dalle guerre ed a consegnarli una fiorente nuova stagione di
prosperità economica e religiosa.
Quando i regnanti Tudor (Enrico VII, Enrico VIII ed Elisabetta I) commissionano
delle opere storiche, lo fanno con questa intenzione: riscrivere la storia.
Polidoro Virgili, nella sua prima versione dell’opera non si adegua a queste regole:
Hall scriverà successivamente un’altra storia dell’Inghiltera.
La sua opera è quasi una traduzione parola per parola dell’opera di Virgili (scritta
in latino) ma non è una traduzione neutra: lui è il primo a prendere le
informazioni storiche di Virgili eliminando tutte le parti non funzionali ad
discorso provvidenziale. Hall inserisce riflessioni e commenti encomiastici nei
confronti della dinastia Tudor.
Quando Holinshed inizia a scrivere la sua cronaca legge tutte le cronache
precedenti: la sua cronaca prese in prestito Hall, che a sua volta aveva preso in
prestito da Virgili. Non sono delle opere completamente nuove: ereditano i
materiali precedenti e li rielaborano.
Holinshed attenua un po’ l’elemento provvidenziale, cerca di fare una narrazione
che non sia troppo sbilanciata, per quanto sia chiara la committenza.
La storia, in quel periodo, ha un valore teologico: era possibile leggere nelle
vicende storiche sempre la traccia del volere divino.
Un re che si comporta male è una punizione divina: non ci si deve ribellare, ma
bisogna sopportare.
L’altro valore ancora più antico che ha la storia è quello di essere magistre vitae
→ maestra di vita. Perché la storia, le narrazione stoiche, oltre a raccontare
eventi, spesso si soffermano su delle figure che sono degli esempi molto positivi
oppure esempi molto negativi di clamorose cadute (personaggi che cadono in
disgrazia con destini tragici). La storia ci da la possibilità di ragionare sia sulla
tragicità della vita sia su come grandi personaggi (come Riccardo III) che arrivano
ad essere re, poi possano cadere rovinosamente ed essere ricordati come mostri e
tiranni. Le clamorose cadute dei grandi sono di insegnamento per il popolo.
La storia da questo punto di vista è molto ‘interclassista’ → le cadute avvengono
sia a re e regine, sia a personaggi di classi più basse che acquistano un certo
prestigio e poi crollano.
La storia ci offre un quadro complesso; ha un valore di insegnamento, di
conoscenza.
RAPPORTO TRA STORIA E POESIA → Sidney, autore di ‘La difesa della poesia’.
La poesia e il teatro vanno difesi dai puritani che li ritengono immorali.
Difendendo la poesia (tutte le arti, tutte le finzioni artistiche), Sidney afferma che
‘la poesia è superiore sia alla storia che alla filosofia perché la storia si occupa dia
questioni concrete e individuali, la filosofia si occupa di questioni astratte e
universali (sono sempre manchevoli), mentre la poesia -grazie alle finzioni- può
inventare cose che non esistono superano la natura. La poesia non ha dei limiti,
può creare ‘another nature’. Quest’altra natura, superiore alla natura, frutto delle
facoltà umane, tiene insieme sia il concreto che l’astratto, sia l’individuale che
l’universale’.
Di tutte le Histories, il Riccardo III è l’unico che porta nel titolo la parola ‘tragedy’.
RICCARDO III → scritta negli ultimi anni del regno di Elisabetta I. Anche
Elisabetta punta moltissimo sulla storiografia Tudor, il punto di riferimento è
Holinshed, ma non è l’unico modello per l’opera. Assieme a lui c’è una biografia di
Riccardo III scritta da Thomas More (importante intellettuale dell’umanesimo
inglese). Tra il 1513 e il 1518 More decide di dedicarsi ad una biografia di
Riccardo III: questa biografia viene poi ripresa da Hall e poi da Holinshed. Alcune
delle caratteristiche di Riccardo III che ritroviamo in Holinshed in realtà sono
ereditate da More: per esempio è a More che si deve il mito (storicamente
infondato) della deformità del re; una deformità che nell’opera di Shakespeare è
fondamentale (senza di essa non si giustificherebbe il risentimento del re nei
confronti di tutto il resto della corte).
More scrive la biografia cercando di reperire il più possibile delle testimonianze
prima mano, è lui ad inventare la deformità: perché in realtà la sua biografia non
è tanto una cronaca storica, ma quasi una biografia morale. È chiaro che per
quanto era cattivo Riccardo III, doveva essere anche brutto.
Inoltre, come altri drammi storici, il Riccardo III dei Chamberlain’s men è un
remake: in particolare di ‘The true tragedy of Richard III’ portata in scena dai
Queen’s men con un grande successo (compagnia più importante negli anni ’80
del ‘500).
I Chamberlain’s men portano in scena probabilmente nel 1597 una versione del
testo di Riccardo III (nello Stationers’ register nel 1597 ci sono molte registrazioni
di testi sulla storia di Riccardo III). Ci sono 8 edizioni in In Quarto dal 1597 al
1623 del Riccardo III.
In Folio (del 1613, detto anche First Folio ) ed In Quarto → due parole che fanno
fermento a due formati editoriali, l’in Folio prevedeva che si piegasse il foglio
stampato un’unica volta mentre l’In Quarto veniva piegato due volte. Mentre l’In
Quarto aveva 8 facciate, l’In Folio ne aveva 4. Sono due formati editoriali che
erano i principali al tempo di Shakespeare. L’In Folio del 1623 è il più importante.
Gli In Quarto ero spesso delle edizioni che possono essere ‘buone’ o ‘cattive’:
esistono i ‘Bad Quarters’, edizioni lacunose, dove mancano dei passaggi.
Macbeth viene pubblicato nel 1623 nell’In Folio, non si hanno problemi di tipo
filologico con quest’opera.
Nel caso del Riccardo III invece ci sono stati moltissimi problemi filologici: il testo
ci è pervenuto in 8 versioni che hanno molte cose in comune ma anche molte
differenze. È stato complicato stabilire quel è il testo più vicino a quello che fu
effettivamente messo in scena. Questi In Quartos non venivano in generale scritti
fai drammaturghi per essere pubblicati, venivano trafugati o venduti dagli attori
stessi: non erano testi davvero affidabili, alcuni venivano trascritti durante le
rappresentazioni.
Primo In Quarto del 1597 → ‘The tragedy of king Richard III and the death of
Duke of Clarence’ (una delle scena più straordinarie dell’opera, nel primo atto); il
fatto che nel titolo ci fosse il riferimento alla morte del Duke of Clarence ci fa
capire che quella era una delle scena più amate dal pubblico, a tal punto da
apparire nel titolo. Prima della morte, Clarence fa un sogno profetico sulla propria
morte (non presente nelle cronache di Holinshed): è come se Shakespeare
raddoppiasse la morte, non serve a far avanzare la trama, è un espediente
drammatico che riesce a rendere abbastanza indimenticabile la morte del duca. Il
duca sogna di finire nelle profondità dei mari e racconta tutto quello che vede e
poi viene annegato in una botte di vino.
La prima edizione sembra essere stata autorizzata dai Chamberlain’s men, non è
citato l’autore ma la compagnia.
Secondo Melchiori (critico), il testo del primo In Quarto è un testo intermedio:
usato dalla compagnia ma non rivisto dall’autore per la pubblicazione, non è
rifinito ma abbastanza attendibile.
Secondo In Quarto del 1598 → riporta il nome di Shakespeare.
Terzo In Quarto → in cui si scrive ‘aggiornato recentemente’, ma non è vero: è un
puro espediente editoriale per vendete. Molto simile al Q2.
Quarto In Quarto del 1605.
Quinto In Quarto del 1612 → importante, il testo appare attribuito alla
compagnia dei King’s men: il testo era stato messo in scena non solo nel 1597 ma
anche successivamente dalla compagnia dei King’s men.
La più importante delle edizioni è quella presente nell’In Folio del 1623 → questa
edizione però presenta qualche criticità di tipo filologico: in questo testo ci sono
una cinquantina di passi non presenti in nessuna delle altre edizioni.
Probabilmente c’era un manoscritto che apparteneva alla compagnia in cui questi
passaggi erano contenuti (i curatori dell’In Folio erano due attori della
compagnia).
Il testo è stato il frutto di una collazione attuata dai curatori dell’In Folio, non è
un testo monolitico e omogeneo.
FONTI → oltre alle cronache di Holinshed e alla biografia scritta da More, un’altra
delle fonti per l’opera è ‘The Mirror for Magistrates’. Opera del 1559, molto
interessante, ebbe grande successo.
‘Specchio per magistrati’; opera molto particolare: raccolta di poesie in cui a
parlare sono dei fantasmi di alcune grandi figure storiche. Questi fantasmi
raccontano davanti ad uno specchio, le proprie azioni e commentano la propria
condotta morale, ragionano sui propri errori. Sono dei fantasmi, delle figure
storiche, che si guardano davanti ad uno specchio (tra essi c’è anche Riccardo
III). Nell’opera c’è il topos della storia magistra vitae → i fantasmi si raccontano e
si offrono ai magistrati (alle personalità più importanti della società) come figure
esemplari o di ammonimento. È un’opera che ha a che fare con la caduta dei
grandi, quanto si può imparare dalla caduta dei grandi (tra l’altro uno dei temi di
un’opera di Boccaccio che aveva avuto molto successo in Inghilterra, il ‘De
casibus virorum illustrium’ sempre con lo stesso principio: storie di uomini
illustri che si offrivano come esempio).
Il Riccardo III, oltre ad una tragedia e due dramma storico, potrebbe essere
interpretato anche come un’opera che mette in scena la caduta di un grande
(anche se in questo caso non abbiamo tanto un problema di aerea e caduta in
senso sociale o morale, ma più una declinazione di tipo religioso, c’è la
dannazione del personaggio).
Anche il Riccardo III si conclude con la disperazione (come Macbeth): Riccardo è
così disperato che per avere un cavallo per fuggire via dalla battaglia dove sa’ di
morire, è disposto a vendere il regno come se fosse suo.
Nell’opera ci sono molti riferimenti a Riccardo III come un’incarnazione del
diavolo, come una creatura infernale, come una figura luciferina. Tutta l'opera
sembra costruita per mostrare l’ascesa del male, ma anche la sua irrimediabile
caduta.
ATTO I SECENA 2° → scena in cui Riccardo seduce lady Anne durante il corteo
funebre del suocero.
La scena si apre con il lamento funebre di Anne sul corpo morto di Enrico VI
(Lancaster). Ad un tratto Anne, per far riposare gli uomini che portano il feretro,
si ferma e parla.
Incipit molto convenzionale: donna che piange, non solo per la morte del suocero,
ma anche per quella del marito.
Lady Anne piange per entrambe le morti, provocate dalla stessa persona
(Riccardo).
Le ferite sul copro di Enrico VI soni delle finestre da cui è fuggita la vita: in queste
finestre lei versa le sue lacrime.
‘Cursed’ → anafora.
Molte ripetizioni: monologo costruito sul chiasmo. C’è un costante confronto tra il
cuore e il sangue del carnefice e il cuore e il sangue della vittima.
Durante tutta l’opera Riccardo è costantemente paragonato agli animali: ciò
avviene in riferimento alla Great Chain of Being, nel paragonarlo agli animali, è
come se lui si trovasse sempre più lontano dalla nobiltà dell’uomo e sempre più
vicino a delle forme di vita animali, più vicine al diavolo.
Ad un certo punto dell’opera, Riccardo viene paragonato addirittura ad una
sostanza inorganica, ad una pietra.
Anche lady Anne lo paragona ad un animale velenoso, che striscia, e lo maledice,
maledice i suoi ipotetici futuri figli e la sua futura moglie (che poi sarà proprio lei
stessa).
Entra in scena Riccardo, mentre lady Anne lo sta maledicendo.
Riccardo ferma il corteo funebre e manda via gli uomini che stavano trasportando
il feretro interrompendo il rito: commette un atto sacrilego, innaturale.
Anne lo vede e si chiede quale tipo di magia nera abbia evocato questo demonio:
prima volta in cui Riccardo viene descritto come un demonio.
(Figura del demonio molto ricorrente nel morality plays: in questa apparizione di
Riccardo c’è un riferimento alla tradizione autoctona del teatro inglese).
Anne si sorprende del fatto che nessuno dei presenti riesca a contrastarlo e
continua dicendo che non biasima gli altri uomini se hanno paura di Riccardo,
poiché loro sono uomini normali e non sanno resistere al diavolo: continua il
paragone tra Riccardo e il diavolo.
Anne afferma che lui non può avere l’anima del defunto poiché ciò che lui può
fare si limita al mondo reale: l’anima invece appartiene al regno ultraterreno.
Riccardo si rivolge per la prima volta alla donna chiamandola ‘dolce santa’.
Anne lo definisce anche ‘macellaio’ per i suoi misfatti.
Ci sono molti riferimenti al corpo morto presente in scena.
Ad un tratto avviene una specie di ‘miracolo’: in presenza di Riccardo, le ferite del
defunto iniziano nuovamente a sanguinare. Ciò è un riferimento ad una leggenda
cattolica: secondo questa leggenda, un corpo morto, in presenza del suo
assassino, sanguinava per incolpare l’assassino.
Dal punto di vista religioso, ciò è molto problematico: questa è chiaramente una
superstizione (nonostante la lotta che attua la riforma contro le superstizioni), in
Shakespeare infatti ci sono molti riferimenti a forme di religiosità pre-riforma;
questo ne è un esempio. Inoltre questo è anche un elemento un po’ magico: il
corpo del morto che torna a sanguinare.
L’azione ‘innaturale’ di Riccardo, viene contrastata da questo avvenimento
altrettanto ‘innaturale’ (un corpo privo di sangue che torna a sanguinare).
Molte ripetizioni.
Riccardo non si scompone davanti alle maledizioni della donna: dice che lei non
conosce le regole della carità, cioè rendere bene per male e benedizioni per
maledizioni.
In realtà se si pensa alla retorica di Cristo del NT, quello che dice Riccardo non è
molto dissimile da essa: vale la regola del ‘porgi l’altra guancia’.
Lady Anne dev’essere cristiana fino in fondo: deve mostrarsi nei confronti di
Riccardo come chi porge l’altra guancia.
Questa è una strategia retorica: primo tentativo di persuadere la donna.
Anne gli dice che lui ignora ogni legge di Dio (non uccidere) e dell’uomo (uccidere i
propri consanguinei), perciò perché lei dovrebbe essere cristiana fino in fondo?
Secondo la donna, Riccardo è un essere addirittura inferiore agli animali, perché
non c’è bestia tanto feroce da non provare pietà.
Riccardo afferma che non conosce la pietà, e che quindi non è un animale: gioca
con le parole della donna. Il suo ragionamento non funziona davvero, ma
disorienta la donna.
Riccardo vuole scagionarsi.
Come succede per le streghe di Macbeth, anche se Anne va contro ciò che dice
Riccardo, di fatto risponde in maniera speculare: accoglie la forma del discorso di
Riccardo, parla come lui. È avvenuto il ‘contagio’ → Riccardo costringe Anne a
parlare con le sue parole e a cambiare i suoi ragionamenti.
Successivamente Riccardo confessa di essere lui l’assassino e afferma di aver
fatto un favore al re: lui era più adatto al cielo che alla terra.
Anne dice che invece il posto perfetto per Riccardo è l’inferno: lui la contraddice.
Riccardo le dice che in realtà c’è un altro posto dove lui è particolarmente adatto:
la camera da letto della donna.
Si sposta immediatamente il discorso, in maniera spiazzante: Riccardo avanza un
corteggiamento che non è più ‘dolce, santa’, ma proprio molto più fisico.
Riccardo afferma che è l’assassino dei due uomini è tanto colpevole quanto la
persona che l’ha spinto ad ucciderli (la causa e lo strumento).
Lo strumento è stato Riccardo, la causa invece, afferma Riccardo, è stata la
bellezza di lady Anne.
La bellezza della donna ha a tal punto ossessionato l’uomo, che lui era pronto a
sterminare l’intera umanità pur di vivere almeno un’ora con lei.
Lady Anne afferma che se fosse vero, si graffierebbe il volto da sola.
Tutto il dialogo va avanti con quest’idea: Riccardo ha ucciso il suocero ed il
marito di Anne perché era innamorato di lei, lei è stata la causa di tutto.
Quando Riccardo le dice che lui l’ha liberato da suo marito per averne uno
migliore (lui), lady Anne gli sputa addosso (desiderando che il suo sputo fosse
veleno in grado di ucciderlo).
Verso la fine del loro dialogo, Riccardo le porge una spada, sfidandola a
trafiggerlo: si inginocchia, si scopre il petto e chiede alla donna di vendicare le
due morti uccidendolo.
Tuttavia, nel mentre, Riccardo continua la sua opera di persuasione: continua a
ripeterle che è la sua bellezza ad aver provocato tutto.
Riccardo colpisce Anne, secondo lo stereotipo dell’epoca che la vanità è il punto
debole femminile, proprio sulla vanità: Anne crede alla sua straordinaria bellezza
e alla fine cede a Riccardo.
Anne solleva la spada, la lascia cadere e gli dice di alzarsi: lei sa che mente, ma
anche se gli augura la morte, lei non sarà la sua assassina.
Riccardo le intima allora di ordinargli di uccidersi da solo, ricordandole però che
lei rimarrà complice della morte sia del marito che di Riccardo.
Qui c’è un cambiamento nel modo in cui la donna si rivolge a Riccardo: gli dice
che vorrebbe conoscere cosa c’è nel suo cuore.
Mentre prima Riccardo era una bestia velenosa che strisciava, un diavolo,
improvvisamente Anne, dopo aver ricevuto molte lodi sulla sua bellezza, accorda
a Riccardo la possibilità che abbia un cuore.
In tutto ciò occorre pensare al ruolo del pubblico: il pubblico non crede per un
attimo alle parole di Riccardo, poiché è stato complice del suo piano. Il pubblico
sta assistendo ad una prova di recitazione da parte di Riccardo.
Alla fine del dialogo la situazione è completamente cambiata: dopo aver visto
Riccardo disposto a morire per lei, lady Anne si è in qualche modo convinta della
sincerità dell’uomo.
Riccardo le da un anello, lei lo accetta: il corpo sanguinante del suocero è ancora
in scena.
Riccardo le chiede un favore: vorrebbe che lady Anne abbandonasse la triste
funzione e che si recasse subito a Crosby Place, dove, dopo che lui avrà
solennemente sepolto Enrico VI, verrà a renderle omaggio. La convince a fare ciò
per cui lei si era indignata all’inizio della scena: interrompere il rito funebre,
dicendo che se ne sarebbe occupato lui (perché era per lui quella occasione di
pentirsi).
Anne crede al suo pentimento ed accetta la richiesta di Riccardo.
Successivamente inizia un altro monologo Riccardo, solo in scena: lui commenta
in maniera spietata la scena a cui il pubblico ha appena assistito.
Riccardo si interroga se ci fosse mai stata una donna corteggiata e conquistata in
questo stato d’animo. Afferma che l’ha conquistata ma che non la terrà a lungo.
Riccardo afferma di averla appena conquistata mentre i suoi occhi erano ancora
pieni di lacrime, la sua bocca di maledizioni, mentre era presente il copro del
suocero morto, mentre lui aveva Dio e la coscienza contro. Lui è riuscito a
conquistarla da solo contro tutto il mondo (ritorna l’idea di lui in
contrapposizione con la collettività del monologo iniziale).
Riccardo fa dei ragionamenti che avrebbe dovuto fare Anne: si domanda se la
donna abbia già dimenticato il male subito.
Riccardo è perfido con Anne; crede di essersi sottovalutato fino a questo
momento: dopotutto crede che Anne lo trovi una persona di straordinario fascino.
Il sole, che veniva visto come un qualcosa che generava una velocità alla quale lui
non poteva partecipare, invece alla fine di questo monologo, può splendere:
Riccardo finalmente si sente più parte di questo mondo, amato da lady Anne.
Riccardo pensa di comprare uno specchio per ammirarsi e per ammirare la
propria ombra (non il suo vero volto)
OMBRA → parola chiave.
In Macbeth, ‘shadow’ era anche una parola per ‘attore’.
Questo potrebbe essere un riferimento meta-teatrale. Riccardo che parla della
propria arte della dissimulazione come una pratica teatrale.
Più avanti nell’opera, c’è una parte in cui, parlando con Buckingham, Riccardo
chiede come debba recitare un parte (deve fingere di non voler diventare re,
mentre in realtà è ciò che vuole). Riccardo dice esplicitamente che sarà un attore,
che interpreterà una parte: si mostra come un teologo assorto nei libri mentre
una folla lo acclama e lo prega di diventare re; lui rifiuta ma la folla insiste. Alla
fine accetta.
Lui e Buckingham in un dialogo decidono come costruire questa messa in scena
nella messa in scena.