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Storia Antica
primo anno
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Revisione 2016
a cura di:
• Coordinatore:
Fehi Annamaria Itis “Malignani”, Udine
• Collaboratori:
Maria Buonocore Isis “Carlo Anti”, Villafranca di Verona
Gabriella Dell’Unto IIS “S. Pertini”, Alatri
Stefania De Mauro ITIS “Majorana”, Brindisi
Vincenzo Santopolo IIS “Paolo Frisi”, Milano
Domenico Scarangella IIS “Bona”, Biella
Antonella Zocchi ITE “Enrico Tosi”, Busto Arsizio (VA)
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Storia Antica - primo anno
U.d.A. 0
INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA STORIA
Il termine storia è antico e deriva dal greco istorein, che significa “ricercare, informarsi”. Indagare sul passato è infatti il
compito della storia.
La nostra lingua lo utilizza sia per intendere lo svolgimento delle vicende umane nel corso del tempo (quelle che i Latini
chiamavano res gestae), sia la narrazione e l’interpretazione degli avvenimenti della società umana nel suo svolgimento
(historia rerum gestarum). Tale ambiguità del sinonimo italiano è oggi risolta con l’uso del termine storiografia, che sta ad
indicare l’elaborazione e la stesura di un’opera di argomento storico secondo una precisa metodologia.
In entrambe le precedenti definizioni compare lo stesso soggetto-oggetto: l’uomo. Senza di lui non esiste storia, perché
non ci sarebbe chi la produce, la narra, la interpreta.
Un grande uomo che ha fatto storia il primo a scrivere una grande opera Uno storico contemporaneo che è un grande
storica interprete della storia
Il primo fattore della storia, quindi, è l’uomo, perché egli la produce, la narra, la interpreta.
Altro elemento fondamentale della storia è il tempo, quindi la storia è la scienza degli uomini nel tempo.
Con questa affermazione lo storico francese Marc Bloch vuole sottolineare sia l’aspetto umano della storia, sia il fatto
che un fenomeno storico si spiega pienamente tenendo conto del tempo in cui avviene.
Di quali uomini si occupa la storia?
In passato trattava solo “le gesta dei re”, dando cioè spazio esclusivamente alle vicende dei
grandi eventi, solitamente di natura politica e militare, e mettendo al centro di ogni interesse
le grandi personalità, quali: re, papi, condottieri e imperatori.
La ricerca storica contemporanea si muove invece in un campo più vasto e complesso:
quello che ha come attori anche gli uomini comuni e si propone di ricostruire i cambiamenti
della società in una dimensione più ampia, occupandosi, per esempio, degli aspetti
economici, sociali, culturali e della vita quotidiana del passato.
Vita umile nel Medioevo
IL TEMPO E LO SPAZIO
Il tempo oggetto della storia è quello passato, quindi immutabile. Per convenzione lo si divide in periodi o epoche, in ognuno
dei quali possono essere compresi fatti e fenomeni relativamente omogenei. Si può dunque cogliere sia la continuità
all’interno di un periodo, che la rottura fra periodi differenti. La storia quindi spiega la continuità e il mutamento.
Il divenire storico segue ritmi differenti. Si possono verificare eventi che segnano un cambiamento repentino (es:
l’affermazione di un regime dittatoriale oppure una guerra). Altri fenomeni, invece, durano più a lungo (es. l’importanza della
borghesia in ambito economico). Per questo il noto storico francese Fernand Braudel ha proposto il concetto di durata.
Il ritmo rapido degli avvenimenti politici e militari si caratterizza per la sua breve durata. C’è poi quello di media durata, che
contraddistingue le trasformazioni economiche e sociali. Infine quello della
LO SPAZIO FISICO TERRESTRE
lunga durata, che studia le strutture che mutano molto lentamente, fra cui
le mentalità dei popoli oppure le trasformazioni degli ambienti naturali.
Altro elemento fondamentale della storia è lo spazio, perché gli spazi fisici
hanno sempre posto precise condizioni all’esistenza e allo sviluppo
dell’uomo e delle civiltà. A sua volta l’uomo interagisce con essi,
modificandoli in base alle proprie necessità. Geografia e storia, perciò,
vanno un po’ a braccetto ed è del massimo interesse comprendere i
rapporti che legano le culture e le civiltà umane con gli ambienti che le
circondano e nei quali risultano inserite.
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Storia Antica - primo anno
Molto spesso, però, il passato ci parla attraverso indizi e testimonianze che non sono nati con l’intenzionale volontà di
lasciare un ricordo. In questo caso si parla di fonti involontarie. Il soldato che durante la prima guerra mondiale scriveva
dal fronte lettere ai suoi familiari, sicuramente non faceva ciò con l’intento di lasciare un ricordo ai posteri, eppure i suoi
scritti forniscono una miniera di informazioni sulla vita nelle trincee e sull’andamento del conflitto.
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CRONOLOGIA GENERALE
Chiarito tutto questo, diamo qui di seguito una cronologia di carattere generale e tradizionale, che ha più un valore pratico
che scientifico, giacché la storia è un flusso continuo, nel quale gli studiosi collocano dei punti d’inizio e di fine solo per
comodità; tant’è vero che tra gli storici sorgono spesso controversie e polemiche sulla scelta di queste “svolte”.
La cronologia che proponiamo consiste in una suddivisione della storia in tre grandi periodi, detti Evi, preceduti dalla
lunghissima preistoria. Mentre quest’ultima sembra aver avuto una durata di circa due milioni di anni, gli evi storici hanno
avuto una durata assai più breve, poco più di cinquemila anni, ripartiti assai diversamente tra ciascuno di essi. Ciascun
Evo, poi, viene suddiviso in sottoperiodi, anch’essi di durata assai variabile.
Occorre mettere in rilievo il fatto che le datazioni fino al Mesolitico sono espresse in migliaia di «anni fa» [in inglese si usa
la sigla “b. p.”– before present-], perché le cifre sono così grandi che il margine d’errore renderebbe ridicolo considerare
i duemila anni che ci separano dalla nascita di Cristo. Dal Neolitico in poi, invece, usiamo il sistema di datazione
tradizionale, che trova il suo punto zero nell’anno della nascita di Cristo (che in realtà andrebbe corretto, anticipandolo
di 4 o 7 anni) e che, pertanto, suddivide le date in a. C. – avanti Cristo – e d. C. - dopo Cristo – [in inglese si usano le
sigle “b. C.”– before Christ – e “a. C.”- after Christ].
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Storia Antica - primo anno
U.d.A. 1
LA PREISTORIA
Il problema delle origini dell’uomo è strettamente connesso a quello delle origini dell’universo e della vita (cosmogonia).
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In questo immenso universo, la Terra non occupa alcuna posizione centrale ed ha dimensioni così piccole da sembrare
un granello di sabbia in un deserto. Quale peso può avere l’uomo in questo contesto? Mettiamo a confronto la Terra
con gli altri pianeti del sistema solare, poi questi col Sole ed ancora il Sole con altre stelle giganti Nella nostra galassia
ci sono 100 o 200 miliardi di stelle e nell’universo miliardi di galassie. Le distanze cosmiche si calcolano in anni luce,
cioè nella distanza che la luce, che viaggia a circa 300 mila Km. al secondo, percorre in un anno. Di conseguenza, risulta
un po’ difficile continuare a sostenere ogni illusoria teoria geocentrica.
LESSICO
Evoluzione: teoria naturalistica che sostiene la lenta ed incessante trasformazione degli organismi viventi nel corso
del tempo, determinando l’affermazione di nuovi caratteri ereditari.
Geocentrica: concezione secondo la quale la Terra è posta al centro dell’universo.
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Storia Antica - primo anno
TEORIA DELL’EVOLUZIONE:
DISPUTA TRA CREAZIONISTI ED EVOLUZIONISTI
La teoria evoluzionistica si oppone a quella creazionista, configurando un contrasto tra due visioni del mondo:
- quella religiosa, basata sulla fede, che sottopone l’uomo a Dio, ma lo antepone ad ogni altra creatura
- quella scientifica, basata sulla ragione, libera l’uomo dai vincoli della “ divinità”, riducendolo ad una “ comparsa”
sulla scena del mondo.
Non sono mancati tentativi di conciliazione da parte di chi “crede”, senza però negare il valore della ragione. Infatti costoro
sostengono che la Bibbia abbia usato un linguaggio figurato, consono al popolo cui era diretto, mentre la scienza spiega
oggettivamente come Dio abbia operato realmente nella sua onniscienza ed onnipotenza.
Critiche alla teoria evoluzionista però vengono anche dal mondo scientifico, per le difficoltà che gli studiosi incontrano
nel trovare gli anelli mancanti della catena evolutiva (filogenesi). Tuttavia oggi la ricerca storica si avvantaggia
progressivamente di nuovi apporti scientifici, oltre a quelli tradizionali, di scienze ausiliarie, quali ad esempio l’embriologia,
la genetica, la biogenetica…nella rigorosa ricostruzione del nostro percorso evolutivo.
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PREISTORIA
“Preistoria” è una parola composta, formata dal prefisso “pre”, che vuol dire «prima», e dal sostantivo “istoria”, che sta
per «Storia». Perciò, etimologicamente, questa parola significa: «Prima della Storia».
Con il termine Preistoria convenzionalmente intendiamo il periodo che precede la Storia, che si fa coincidere
con la nascita della scrittura (3000 a.C.)
La Preistoria va dalla
a) comparsa dei primi ominidi (circa 5 milioni di anni fa)
oppure
b) dalla comparsa dell’homo habilis (2 o 1.8 milioni di anni fa) all’invenzione della scrittura
(3.000 anni fa circa)
PREISTORIA STORIA
La durata della Preistoria può essere calcolata in 5 o 1.8 milioni di anni, a seconda dell’evento che si considera come
inizio (comparsa dei primi ominidi o comparsa dell’homo habilis).
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Storia Antica - primo anno
PERIODIZZAZIONE
La Preistoria viene suddivisa in tre macroperiodi in base all’uso e alla lavorazione della pietra ed in altri tre
periodi, di durata assai minore, per l’utilizzo dei metalli:
1) una fase più antica e molto più lunga, detta Paleolitico («Antica età della pietra»),
in cui la pietra veniva scheggiata;
2) una fase di transizione durata pochi millenni, detta Mesolitico («Media età della pietra»), caratterizzata
dai microliti, che alcuni studiosi preferiscono integrare nell’ultima fase
del Paleolitico;
3) una fase più recente, durata anch’essa alcuni millenni, detta
Neolitico («Nuova età della pietra»), in cui la pietra veniva levigata.
Seguono quindi altri tre periodi in cui all’uso della pietra si va sostituendo quello dei metalli:
l’Età del rame, detta Eneolitico, ma anche Calcolitico o Cuprolitico;
l’Età del bronzo
l’Età del ferro
LESSICO
Microliti: manufatti in pietra di piccole dimensioni
SCANSIONE CRONOLOGICA
La Preistoria va dalla comparsa dei primi manufatti umani all’invenzione della scrittura (1.800.000 di anni fa – 3.000
a. C. circa)
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LESSICO
Habitat: ambiente caratterizzato da una serie di
elementi fisici e chimici che determinano una specificità
di vita per ogni specie animale e vegetale
Visione binoculare stereoscopica: percezione del rilievo
volumetrico di un oggetto mediante l’uso di tutti e due
gli occhi contemporaneamente.
PROCONSUL
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Storia Antica - primo anno
LESSICO
Savana: ambiente posto ai margini della foresta equatoriale, caratterizzato da una vegetazione costituita da distese
di erba e alberi sparsi, influenzata da stagioni secche e, per brevi periodi, umide.
L’AUSTRALOPITHECUS AFARENSIS
Comparve, anzitutto, un Pre-australopithecus,
detto anche Australopithecus Afarensis. Esso
è noto soprattutto per almeno due
straordinarie scoperte: quella di alcune orme a
Laetoli (al confine tra Kenia e Tanzania, datate
tra i 3,8 e i 3,6 milioni di anni), effettuata
dall’équipes di Mary D. Leakey, e quella di una
parte di uno scheletro di femmina, poi
chiamata Lucy, nella località di Hadar (Etiopia,
circa 3,5 milioni di anni fa), ad opera di
un’équipe franco-americana guidata da
Johanson e Taieb.
Indubbiamente questa sottospecie presenta già caratteristiche molto vicine a quelle umane, ma anche notevoli differenze.
Tra le prime si segnalano un marcato bipedismo ed una discreta stazione eretta.
Tuttavia l’insieme degli elementi ne fanno ancora un essere equidistante tra le scimmie e noi: era alto circa un metro,
con una capacità cranica tra 400 e 500 cm³ (più o meno un terzo della nostra) e provvisto di una dentatura in parte
scimmiesca ed in parte umana.
MANI E CERVELLO
La capacità cranica è indicativa dello sviluppo
della massa cerebrale e, conseguentemente,
delle capacità intellettive.
Infatti, anche se il rapporto tra grandezza del
cervello e intelligenza rimane ancora tutto da
chiarire, non si può negare l’evidenza che
nell’uomo l’incremento del cervello sia andato
di pari passo con le manifestazioni della sua
potenza intellettiva.
Oggi si tende a credere che sia stato soprattutto l’uso specializzato delle mani a dare
impulso allo sviluppo del cervello e non viceversa.
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Homo sapiens
Dopo l’Homo erectus abbiamo il primo passaggio cruciale verso l’uomo attuale, rappresentato dalla specie chiamata
Homo sapiens, con la quale compaiono le prime manifestazioni culturali (arte, sepoltura dei morti, ecc.).
Questa si divide in svariate sottospecie, di cui le seguenti sono quelle fondamentali: Homo sapiens arcaico, Homo
sapiens Neanderthalensis ed infine l’Homo sapiens sapiens (alla quale noi stessi apparteniamo).
La forma arcaica dell’Homo sapiens potrebbe essere comparsa circa mezzo milione di anni fa ed essere derivata da un
gruppo dell’Homo erectus, col quale sembra avere molto in comune.
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Storia Antica - primo anno
Homo di Cro-Magnon
Un discorso a parte è rappresentato dall’uomo di Crô-Magnon (il cui primo
ritrovamento è stato fatto nell’omonima località della Dordogna – Francia), ritenuto
in passato una sottospecie estinta dell’homo sapiens .
Questa specie dimostra di sapersi organizzare nella vita quotidiana, condividendo
le mansioni con gli altri, sa lavorare manufatti artigianali di un certo pregio ( con le
pelli cuce , usando l’ago, i propri abiti, spesso adornati con monili e collane).
Complessivamente mostrano caratteri molto simili all’uomo moderno.
Homo Sapiens-Sapiens
L’homo sapiens-sapiens, la sottospecie alla quale noi stessi
apparteniamo, sarebbe dunque il risultato, anch’esso transitorio,
di un lunghissimo processo evolutivo, i cui resti fossili
testimonierebbero, per altro, un’origine non lontana, tra i 50.000
e 35.000 anni fa.
Vivono organizzati in gruppi familiari, sono sedentari e per riparo
oltre alle grotte usano anche capanne. Si dedicano sistematicamente alla caccia e alla
pesca lungo i corsi d’acqua ove preferibilmente risiedono. Ciò consente
un’alimentazione più ricca e varia, che determina un incremento demografico. Riescono
abilmente ad accendere il fuoco, si specializzano nella lavorazione delle armi e degli
utensili. Grande importanza assume il culto della sepoltura dei morti nonché i diversi riti
propiziatori, ritenuti magici, che precedevano importanti eventi della comunità.
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L’ERA NEOZOICA
Dal punto di vista geologico, noi viviamo nell’era Neozoica (dal greco “nèos” nuovo e “zòon”
vivente) o Quaternaria, più esattamente nel periodo denominato Olocene. L’inizio di questa era
si colloca circa 1,8 milioni di anni fa e coincide perfettamente con la comparsa del primo vero
ominide, l’Homo habilis, assieme a moltissime nuove specie animali, in parte ancora esistenti.
Le condizioni climatico-ambientali del Quaternario, perciò, sono quelle nelle quali l’uomo si è
evoluto producendo culture e civiltà, realizzate nel corso della sua evoluzione.
Durante il Quaternario, le condizioni climatiche sono state caratterizzate da periodi freddi, in cui le temperature medie
sono scese di 6°- 8º centigradi e periodi intermedi di ristabilimento dei valori normali. Durante i periodi freddi, i ghiacciai
e le calotte polari si estendevano, si abbassava il livello medio del mare, si verificavano sprofondamenti e sollevamenti
della superficie terrestre a causa del peso del ghiaccio sui continenti mentre, in alcune zone, aumentava enormemente
la piovosità. Ovunque mutava sensibilmente la distribuzione della fauna e della flora. Situazioni opposte si verificavano
nei periodi di riassestamento della temperatura.
A causa di tutto ciò, questi periodi di alternanza di caldo e di freddo vengono definiti glaciali, interglaciali o post-glaciali
PERIODI E DURATE
L’archeologia divide la Preistoria in quattro macro-periodi: Paleolitico, Mesolitico, Neolitico ed Età dei metalli.
Questi, a loro volta, vengono suddivisi in ulteriori sottoperiodi e separati, in qualche caso, da fasi di transizione (come,
ad esempio, il cosiddetto calcolitico).
PALEOLITICO
Col termine Paleolitico (dal greco palaiòs, antico, e lithos, pietra) s’intende la «Antica età della pietra», facendo riferimento
alla primitiva tecnica della scheggiatura per costruire gli utensili litici (lo si è definito anche come «Età della pietra
scheggiata»), o di altri materiali deperibili, come ad esempio corna ed ossa di animali.
La necessità di procacciarsi il cibo o gli inevitabili cambiamenti climatici sfavorevoli costringevano l’uomo primitivo al
nomadismo. Gli insediamenti, quindi, potevano essere relativamente fissi, stagionali o semplicemente occasionali, a
seconda delle circostanze.
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Storia Antica - primo anno
Sepoltura tripla di Crô-Magnon - Grotta dei Fanciulli ai Balzi Rossi Sepoltura di una vecchia e di un giovane
LA NASCITA DELL’ARTE
Nascono in questo periodo l’artigianato artistico e l’arte, attività legate a funzioni magico-religiose, ma anche estetiche,
rivelando la natura intellettuale degli uomini che le hanno realizzati. Tra gli oggetti ornamentali si segnalano collane,
bracciali, pettorali, cavigliere, fatti con conchiglie e denti forati, tenuti assieme da fibre di origine vegetale o animale. A
volte gli strumenti di pietra, di corno, di osso, tendono a trasformarsi in figure. Compaiono statuine, come le cosiddette
Veneri, figure femminili con marcata accentuazione dei caratteri sessuali e materni, connesse all’idea della fecondità.
Incisioni rupestri e pitture parietali nelle caverne rappresentano invece scene di caccia, riti individuali e collettivi, eventi
particolari, simboli per noi di non sempre facile interpretazione.
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LESSICO
Nomadismo: spostamento di individui o gruppi umani in territori favorevoli alle proprie esigenze di vita.
Manufatto litico: oggetto di pietra lavorato a mano
IL MESOLITICO
Il periodo detto Mesolitico (dal greco “mèsos”, mediano e “lithos”, pietra), significa «età di mezzo della pietra», coincide
in buona parte con la lunga fase di passaggio dall’ultima glaciazione, quella di Würm, al cosiddetto post-glaciale. Il suo
inizio risale a circa 14.000 anni fa, 12.000 anni prima della nascita di Cristo, mentre la conclusione varia da zona a zona,
a partire da almeno 8.500 anni a.C. Esso ebbe una durata brevissima rispetto al Paleolitico e fu senz’altro una fase di
transizione tra due età dalle caratteristiche assai diverse.
Ora l’uomo è capace non solo di procacciarsi il cibo, ma ne diviene anche produttore. Il cambiamento climatico determinò
il progressivo venir meno della fauna e della flora alle quali gli uomini del Paleolitico superiore si erano abituati, destando
in loro una profonda preoccupazione per l’avvenire. Tutto questo emerge con grande evidenza nelle rappresentazioni
artistiche, che, come sappiamo, avevano soprattutto una funzione magica, destinata a favorire la caccia. Per far fronte
alla nuova situazione, gli uomini del mesolitico integrarono anzitutto la pesca alle precedenti attività economiche. Infatti
si stabilirono preferibilmente vicino a zone fluviali, costruendo prime forme di abitazioni su palafitte.
Con perizia riuscirono a realizzare le prime imbarcazioni ricavate dalla lavorazione dei tronchi di alberi con utensili
appropriati, quali ad esempio affilate asce. Inoltre andarono sperimentando le prime forme di allevamento e pastorizia
(capre e pecore in particolare). Le donne invece, attraverso la costante osservazione della natura, iniziarono a carpire e
a sperimentare il segreto della riproduzione delle piante (orzo e grano selvatico).
Gli utensili in questo periodo sono ricavati da svariati materiali e ciò che maggiormente colpisce sono le loro piccolissime
dimensioni (aghi, bulini, punteruoli…), segno di un grande perfezionamento tecnico artigianale.
LESSICO
Palafitta: abitazione costruita su una piattaforma di legno, sostenuta da pali conficcati nel terreno, specialmente
vicino a paludi, fiumi e laghi.
IL NEOLITICO
Il termine Neolitico (dal greco “nèos”, nuovo, e “lithos”, pietra), inteso come «nuova età della pietra»,
fu dato dagli studiosi per segnalare un’importante novità nella lavorazione degli utensili litici, che ora
venivano levigati, anziché semplicemente scheggiati. È stato definito anche «età della pietra levigata»,
sebbene molti degli utensili continuassero ad essere semplicemente scheggiati, anche se con tecnica
molto più raffinata che in passato.
In questo periodo, fase conclusiva della Preistoria, l’organizzazione sociale ed economica, nonché
lo stile di vita, furono completamente modificati : l’uomo da raccoglitore e cacciatore nomade o
seminomade si era trasformato in agricoltore ed allevatore più o meno sedentario, da procacciatore
era divenuto anche produttore del cibo di cui aveva bisogno per vivere. Gli individui iniziarono a riunirsi
in gruppi sempre più numerosi e a realizzare insediamenti più grandi, dando origine ai primi villaggi. Tali cambiamenti
furono così significativi da indurre gli studiosi a parlare di “Rivoluzione Neolitica”.
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Storia Antica - primo anno
Durante questa età si assiste ad un radicale cambiamento sociale: l’uomo stringe rapporti commerciali con altri Paesi e
nella commercializzazione dei propri manufatti, inevitabilmente viene a contatto con nuovi popoli, con i quali interagisce
in uno scambio anche culturale che allarga e modifica la sua visione di vita.
LABORATORIO: PREISTORIA
1) Sulla linea del tempo disponi in ordine cronologico, indicando anche le date, i seguenti eventi:
età mesolitica / comparsa della scrittura / età paleolitica/ età neolitica/ morte di Gesù
a.C.------------------------------------------------------------------------------------0---------------d.C.
3) In quale località europea furono scoperti i primi fossili riguardanti l’Homo di Neanderthal?
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3) Big-Bang c) mammiferi che si adattarono alla vita arboricola nella foresta pluviale
6) Illustra con brevi testi ( max 5 righe) i caratteri fondamentali delle seguenti età:
1) Paleolitica
2) Mesolitica
3) Neolitica
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Storia Antica - primo anno
U.d.A. 2
EGITTO E VICINO ORIENTE
INTRODUZIONE GENERALE
Come avevamo visto nella precedente
UdA, il trapasso dalla preistoria alla storia
si ebbe,tr a la seconda metà del IV e gli
inizi del III millennio a.C., anzitutto
nell’area compresa tra l’Africa del nord-
est, il Mediterraneo orientale e l’Asia
occidentale.
Dopo il periodo pluviale, che aveva
caratterizzato quest’area durante l’ultima
éra glaciale, quella di Würm, iniziò un
processo di desertificazione che costrinse
i gruppi umani, composti ormai
esclusivamente da sapiens-sapiens, a
concentrarsi nei luoghi dove c’erano
enormi riserve d’acqua, in particolare
presso le rive dei grandi fiumi.
Qui loro potevano trovare non solo il prezioso liquido (lo stesso corpo umano è composto per oltre il 70% di acqua) ma
anche piante ed animali di cui nutrirsi con la raccolta, la caccia e la pesca.
La possibilità di trovare tali cose in
luoghi determinati favorì la
sedentarizzazione e, col tempo, la
scoperta della riproduzione del cibo
attraverso le tecniche
dell’agricoltura e dell’allevamento.
Inoltre, gli uomini impararono ad
aggregarsi in gruppi sempre più
numerosi e a realizzare
insediamenti più grandi. Dalle
famiglie si passò alle tribù e poi alle
comunità urbane; dalle singole
capanne si passò ai villaggi e poi
alle prime città.
In ogni campo dell’attività umana si
manifestava una progressiva
specializzazione: nell’agricoltura,
nell’allevamento e nella pastorizia,
nell’artigianato e nell’arte, ecc. La produzione di ogni cosa, dai cereali agli utensili da lavoro, dalla ceramica alla costruzione
degli edifici, s’incrementava sotto l’aspetto quantitativo e si migliorava sotto il profilo della qualità. Era tutto un fiorire di
nuove scoperte e invenzioni.
Parallelamente, si sviluppava in tutte le sue forme il linguaggio, fondamentale strumento di comunicazione tra gli individui
e i gruppi. Esso doveva servire a indicare persone, animali, cose, azioni e relazioni connesse alla vita quotidiana. Perciò,
non solo cose concrete, ma anche astratte; non solo presenti, ma anche passate o future. Da strumento di
comunicazione, quindi, il linguaggio si trasformò anche in strumento del pensiero, capace di rappresentare attraverso
simboli, le parole, ogni aspetto della realtà esperienziale e immaginativa.
Il passaggio successivo, inevitabilmente, venne rappresentato dall’invenzione della scrittura. Oltre ai simboli linguistici
nacquero quelli numerici e, con essi, le prime operazioni matematiche, tutte cose necessarie per la registrazione, la
contabilità e i calcoli.
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Con l’ingrandirsi delle comunità, divenne sempre più articolata la divisione delle funzioni, del lavoro e delle attività
economiche.
Questo determinò un loro progressivo arricchimento,
ma anche una sempre più marcata divisione sociale in
classi, sulla base del potere e della ricchezza. Queste
differenze sociali era ovvio si manifestassero non solo
nella quantità di ricchezze immobili o mobili possedute
(terre, edifici, oro, argento, ecc.), ma anche nel lusso:
vestiti di tessuti pregiati e colorati, monili e gioielli, case
ampie e adorne. La domanda di questi beni, perciò, ne
stimolava l’offerta sia interna, fin dove essa poteva
giungere, sia esterna, laddove essa poteva essere
intercettata.
Il compito di mediare tra l’una (la domanda) e l’altra
(l’offerta) venne assunto dai mercanti, già presenti nella
LE VIE COMMERCIALI società, ma che da ora acquisirono un ruolo
TRA L’EGITTO ED IL VICINO ORIENTE particolarmente importante sotto il profilo economico
e, in prosieguo di tempo, anche finanziario.
Questi, infatti, si arricchirono enormemente e col tempo accumularono una tale ricchezza mobile da sentire la necessità
d’investirla a sua volta per realizzare ulteriori profitti.
Nacque così l’economia finanziaria. I mercanti svolsero una grandissima funzione nel
processo di civilizzazione, in quanto col commercio a distanza resero possibile la
conoscenza e l’interscambio culturale, oltre che economico, tra popoli diversi. Senza
di loro, questo processo sarebbe stato molto più lento e difficile.
Tale scambio avveniva in modo diretto, col baratto, cioè merce in cambio di altra merce.
Tuttavia è proprio grazie all’esperienza dei mercanti che nacque la moneta, come
mezzo capace di sostituire il ben più difficoltoso e limitante baratto.
Attribuendo un valore, reale o nominale, ad un oggetto specifico garantito da uno Stato,
ma semplice e leggero come la moneta, si poteva con esso acquistare qualsiasi cosa
d’equivalente valore.
Certo, non si giunse presto a tale soluzione, ma la strada venne aperta proprio dalle precoci sperimentazioni dei mercanti
e fiorì anch’essa nel corso del I millennio a.C.
In sostanza, ciò che avvenne tra la seconda metà del IV e gli inizi del III millennio a.C. nell’area considerata, fu che, in un
arco di tempo incredibilmente breve, rispetto ai lentissimi tempi della preistoria, le innovazioni prodotte in un luogo si
trasmisero in tutto il suo spazio, ed oltre, provocandone reazioni dialettiche che generarono un circolo virtuoso
stravolgente.
L’uomo, da specie animale che occupava alcune nicchie dei vari ecosistemi terrestri, si avviò a diventare il signore della
terra ed il protagonista della Storia.
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Storia Antica - primo anno
Definito così il contesto territoriale ed i caratteri fondamentali delle origini del processo storico, accingiamoci a determinare
l’ambito cronologico del quale parleremo, che risulta compreso tra la seconda metà del IV millennio a.C. ed il 331 a.C.,
anno in cui Alessandro Magno conquistò l’Impero Persiano, sconfiggendo definitivamente Dario III a Gaugamela.
È un periodo di ben tremila anni, molto lungo dal punto di vista storico, se consideriamo che la Storia, come noi la
definiamo (dalla nascita della scrittura ai giorni nostri), si aggira intorno ai cinquemila anni. In questo periodo è ovvio che
i soggetti collettivi (gruppi umani, popoli e nazioni) siano stati molti, interagendo gli uni con gli altri e succedendosi
diacronicamente. In tale complessità è facile perdere sia il filo della narrazione sia quello della comprensione, perciò serve
fare delle scelte semplificative che consentano di raccontare il tutto in estrema sintesi, cogliendone solo gli aspetti
essenziali. In questa direzione, può essere d’aiuto il lavoro di un grande studioso italiano della materia, Sabatino Moscati,
che in una sua opera magistrale propone la seguente scansione del succedersi logico e cronologico dei principali soggetti
collettivi coinvolti:
Sumeri
PROTAGONISTI MESOPOTAMIA
Babilonesi ed Assiri
(dalla fine del IV millennio in avanti)
EGITTO Egiziani
ANATOLIA Hittiti
PALESTINA Ebrei
Questa suddivisione della materia può essere molto utile ai fini pratici di cui abbiamo detto, ma occorre non considerarla
rigidamente, altrimenti potrebbe prestarsi ad equivoci ed errori. Solo alla fine dello studio della presente UdA, apparirà
del tutto chiaro il senso di questa schematizzazione.
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LA MESOPOTAMIA
DALLE CITTÀ-STATO AI PRIMI IMPERI (3500-1600 A.C)
IL TERRITORIO
Gli antichi Greci chiamavano Mesopotamia quel territorio
del Vicino Oriente (corrispondente all’Iraq più parte della
Sira a Nord) delimitata dai fiumi Tigri, ad Est, ed Eufrate,
ad Ovest. Il nome dell’area infatti significa proprio “terra in
mezzo ai fiumi” (da mesos, che significa in mezzo, e
potamòs, che significa fiume). Essa costituisce la zona
orientale della Mezzaluna fertile, comprendente anche
Egitto ed Anatolia.
Fino al 10.000 a.C. la regione era ricoperta da foreste e
vaste praterie e poteva beneficiare di abbondanti piogge.
Vi abitavano gruppi di cacciatori seminomadi, i cui resti
sono stati rinvenuti in caverne. Successivamente il clima
divenne arido, costringendo gli uomini a fissare i loro
insediamenti lungo il corso del Tigri e dell’Eufrate fino alla
zona della bassa Mesopotamia, dove si trova la foce dei due fiumi, che si riversano nel Golfo Persico.
La bassa Mesopotamia è una nicchia di vaste dimensioni, ma ha un territorio scarsamente ospitale, se non viene
adeguatamente attrezzato. Il Tigri e l’Eufrate, con le loro periodiche alluvioni, nella stagione di piena rendono acquitrinoso
il paesaggio, caratterizzandolo con acque ristagnanti e terreni troppo impregnati. Inoltre la zona è molto lontana da
territori che producono materie prime (metalli, pietre dure, legname), utili anche per la costruzione di attrezzi. Viceversa,
se opportunamente attrezzata, la bassa Mesopotamia offre enormi vantaggi, in quanto il terreno, quando viene ben
drenato, consente un rendimento molto alto della cerealicoltura e i fiumi possono costituire una via di collegamento per
gli scambi delle merci. Per questo la colonizzazione dei nuovi territori, dove sorsero villaggi di agricoltori, indusse le
antiche popolazioni mesopotamiche ad effettuare opere locali di intervento sull’ambiente: le acque dei fiumi
incominciarono ad essere incanalate, per poter irrigare anche le terre più aride e sabbiose e drenare quelle paludose;
vennero inoltre selezionate nuove specie di piante alimentari: la palma, il grano e l’orzo e si incominciarono a lavorare i
metalli.
Con il passare del tempo, le innovazioni tecniche ed il progressivo controllo
dell’uomo sull’ambiente, consentirono l’aumento della rendita agricola, in
grado anche di produrre eccedenze.
Nel territorio mesopotamico si sviluppò così la cultura Ubaid (5.300- 4.000
a.C), una cultura protostorica, che si estese fino al sud dell’Anatolia. Ma il
vero e proprio sviluppo della zona iniziò, intorno al 3.000 a.C., quando nel
territorio si affermò la civiltà sumera, a cui si deve anche l’invenzione della
prima forma di scrittura, la cosiddetta scrittura cuneiforme, che diede
l’avvio alla storia dell’umanità.
Da questo momento la civiltà mesopotamica rimase indipendente fino al
550 a.C., quando fu assoggettata dai Persiani. La sua storia si snoda
quindi per un periodo di circa duemilacinquecento anni, contraddistinto
dall’avvicendamento di differenti popolazioni che, tuttavia, almeno dal
punto di vista culturale, costituirono un insieme complessivamente
unitario.
LESSICO
Mezzaluna fertile: questa regione storica viene spesso indicata come la "culla della civiltà", per l’importanza che
ha avuto nello sviluppo della storia umana dal Neolitico all'Età del Bronzo e del Ferro. Fu infatti nelle valli fertili dei
quattro grandi fiumi del territorio (Nilo, Giordano, Tigri ed Eufrate) che si svilupparono le prime civiltà dell'Antichità.
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Storia Antica - primo anno
LESSICO
Stirpe semitica: si intendono tutti quei popoli che parlano, o hanno parlato, lingue collegate al ceppo linguistico
semitico (tra questi Arabi, Ebrei, Cananeo-Fenici, Cartaginesi)
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LESSICO
Teocratico: Concezione per cui il potere di un sovrano è strettamente connesso con quello divino o perché
concesso dalla divinità al sovrano o perché il sovrano è egli stesso un dio.
LA STRUTTURA SOCIALE
La struttura sociale sumerica era di tipo
piramidale, non però costituita da caste
chiuse; era perciò possibile migliorare la
propria condizione sociale.
Oltre agli amministratori del re ed ai
sacerdoti, la classe dirigente comprendeva
gli ufficiali dell’esercito e gli scribi, depositari
della pratica della scrittura, fondamentale
per permettere un efficiente funzionamento
di un tale apparato redistributivo accentrato.
Il resto della popolazione era costituito dai
lavoratori (artigiani, contadini, professionisti,
mercanti), considerati uomini liberi. Gli
schiavi occupavano il posto più basso della
piramide. Potevano diventare schiavi i
prigionieri di guerra, gli indebitati, coloro che
erano stati venduti dai genitori o chi aveva
recato danno ad altri e non era in grado di
PIRAMIDE SOCIALE SUMERICA risarcire. Non si ha notizia di maltrattamenti
verso gli schiavi e i loro figli nascevano liberi.
Le donne sumeriche godevano di una sostanziale parità rispetto agli uomini. Non erano rari i casi di donne al vertice
dell’ordinamento sacerdotale del tempio e le fonti confermano che, in caso di morte del marito, la moglie ne subentrava
nei diritti, compreso quello di vendita dei figli.
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Storia Antica - primo anno
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I monarchi di Ur, a differenza degli Accadi che avevano lascito ampie autonomie ai territori
conquistati, costituirono un impero accentrato diviso in province, ognuna della quali era affidata
ad un governatore di nomina regia.
Il secondo periodo della civiltà sumerica fu però relativamente breve, in quanto intorno al 2.000
a.C. la Mesopotamia cadde nuovamente sotto il controllo dei Semiti. I nuovi conquistatori erano
gli Amorrei, provenienti dalla Siria. Erano tribù di nomadi bellicosi, con un livello culturale assai
inferiore rispetto a quello dei popoli mesopotamici, come ci conferma anche la loro descrizione
in un mito sumerico:
- L’amorreo che scava tartufi ai piedi dei monti
- Che non piega le ginocchia
- Che mangia carne cruda
- Che durante la vita non ha casa che dopo la morte non ha sepoltura.
STELE DI UR-NAMMU Il loro arrivo portò a definitivo compimento la fusione delle genti sumeriche con i Semiti, da cui
Fondatore della dinastia
di UR ebbe origine la splendida civiltà babilonese.
IL CODICE DI HAMMURABI
Il nome di Hammurabi è legato anche ad un famoso codice, in passato ritenuto la prima raccolta di disposizioni legislative
scritte della storia; oggi si sa che ve ne furono di più antichi, poiché sempre in area mesopotamica sono stati ritrovati
frammenti di codici risalenti a tre secoli prima del regno di Hammurabi.
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Storia Antica - primo anno
La stele del codice, alta più di due metri, conservata al museo del Louvre di Parigi, é in diorite nera ed il testo è scritto
in carattere cuneiforme. Si ritiene che fosse esposta a Sippar nel tempio di Shamash, dio del Sole e della giustizia; o
forse a Babilonia. Venne però ritrovata a Susa nel 1902, probabilmente giunta lì come bottino di guerra dopo una
conquista.
Il codice di Hammurabi si differenzia da quelli moderni, in quanto non è una
vera e propria raccolta di leggi, ma piuttosto di sentenze eterogenee che il re
indicava per regolare controversie di varia natura, riguardanti moltissime
situazioni dell’umana convivenza: la famiglia, il commercio, la proprietà,
l’amministrazione, il diritto penale.
Il testo del codice si apre con un prologo e si conclude con un epilogo.
Dall’epilogo e dal prologo si capisce che uno dei principali intenti del codice
era di natura propagandistica, cioè volto a dimostrare quanto fosse
giustamente governato l’impero babilonese sotto Hammurabi. Il sovrano infatti
si presenta come re prescelto dagli dei per garantire la giustizia, la prosperità
del Paese, il benessere del popolo e la difesa del debole dall’oppressione del
forte. Il fatto che la stele fosse eretta in un tempio, e quindi fosse pubblicamente
consultabile, riveste una straordinaria importanza, in quanto dimostra che essa
doveva costituire un punto di riferimento a cui tutti dovevano richiamarsi. Per
la prima volta nella storia dell’umanità i comportamenti sanzionabili venivano
portati a conoscenza dei sudditi, in modo che essi avessero la possibilità di
rapportare la propria condotta alle leggi del sovrano, evitando i comportamenti
che la legge sanzionava oppure scegliendo di attuarli, ma nella consapevolezza
di poter incorrere in pene. L’esposizione pubblica del codice affermava pertanto
il principio della conoscibilità della legge, alla base della moderna legislazione. Codice di Hammurabi
Il codice è fonte preziosa anche perché offre un affresco completo sulla società
ai tempi di Hammurabi. Da esso apprendiamo che tre erano le classi sociali: quella dei liberi, quella dei semiliberi e quella
degli schiavi. L’ultima categoria non pone alcun problema di identificazione, indicando individui appartenenti ad un’altra
persona, che esercitava su di loro poteri assoluti, compreso quello della vita. Si acquisivano come bottino di guerra o
attraverso l’acquisto in Paesi stranieri. I Mesopotamici non potevano diventare schiavi, esisteva però l’asservimento per
debiti anche per lunghi periodi, che tuttavia non toglieva agli individui alcuni loro diritti di cittadini mesopotamici.La
distinzione fra liberi e semiliberi risulta invece più complessa e ha dato luogo a diverse interpretazioni. La differenza
fondamentale che li contraddistingueva è sostanzialmente economica, perché i semiliberi, a differenza dei liberi, non
erano detentori di propri mezzi di produzione, quindi dipendevano dallo Stato per il loro sostentamento e per questo
godevano di un prestigio minore rispetto agli altri.
In campo penale compare la legge del taglione (occhio per occhio dente per dente), probabilmente di origine amorrea, poiché
le pene del periodo sumerico ed accadico si richiamavano invece al principio del risarcimento pecuniario. In base ad essa chi
subiva un’ offesa poteva restituire all’offensore un danno uguale rispetto a quello subito, ma la perfetta corrispondenza fra
l’entità dell’ offesa e quella della vendetta era autorizzata tra individui appartenenti alla stessa classe. Se, ad esempio, una
persona di un ceto inferiore veniva privata di un occhio da un libero, non poteva accecare un occhio dell’offensore, come
invece sarebbe stato permesso fra individui liberi, ma doveva accontentarsi di un risarcimento pecuniario.
Il codice aboliva le vendette private, in vigore invece presso altre civiltà, ed è questo un altro aspetto di “modernità”
della stele ritrovata a Susa. Lo Stato infatti subentrava all’individuo per punire l’ingiustizia, mettendo fine alle faide.
Molte punizioni del codice risultano particolarmente violente e la stessa pena di morte veniva prevista con una certa
facilità, si ha tuttavia l’impressione che tutto ciò fosse più che altro concepito come un deterrente.
Le sanzioni non prevedevano la valutazione della responsabilità personale e pertanto punivano con la stessa pena chi
aveva ucciso intenzionalmente e chi involontariamente. Così perciò doveva essere ucciso l’architetto costruttore di una
casa che era successivamente crollata, causando la morte di chi l’abitava.
LESSICO
Conoscibilità della legge: con questa espressione si intende che lo Stato deve dare ai cittadini la possibilità di
venire a conoscenza delle leggi, in modo che essi sappiano a cosa sono assoggettati.
Faide: lotta privata fra individui, famiglie e gruppi rivali, alimentata da vendette o ritorsioni.
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LESSICO
Politeismo naturistico: religione in cui si adorano molte divinità che sono personificazioni di elementi e forze della
natura
Pantheon: con questo termine nell’antica Roma si chiamava il tempio dedicato a tutti gli dei (da pan: tutto e theòs:
dio). Il termine si usa anche per indicare l’insieme delle varie divinità di una religione politeista.
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LABORATORIO
CIVILTA’ INFORMAZIONI
SUMERI’
ACCADI
BABILONESI
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3) Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false e riscrivi correttamente quelle sbagliate
a) Fra i Sumeri solo i sacerdoti sapevano scrivere, per registrare i prodotti portati al tempio V F
d) Per molti secoli i Sumeri dominarono tutta la Mesopotamia con un potere accentrato V F
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Storia Antica - primo anno
L’ ANTICO EGITTO
CRONOLOGIA
Il quadro cronologico di riferimento per lo studio della Civiltà egizia risale proprio ad un antico sacerdote egiziano,
Manetone, vissuto tra la fine del IV e la prima metà del III secolo a.C., che scrisse una storia dell’Egitto in greco.
Purtroppo essa andò persa ed oggi è ricostruibile solo in parte grazie agli stralci, più o meno manipolati, presenti in
alcune opere di autori successivi. Ovviamente, vi si riscontrano molti errori, ma gli studi moderni ne hanno confermato
la generale validità, sicché quasi tutti gli egittologi hanno deciso di continuare a servirsene, sia pure con le modifiche e
le correzioni rese possibili dalle scoperte.
Tra queste ultime, un posto di primissimo piano per la definizione cronologica è occupato dalle “Liste dei re”: la Pietra di
Palermo, il Canone dei Re (o Papiro dei Re), la Tavola di Abido, la Tavola di Saqqara, la Tavola di Karnak (cfr.
approfondimenti).
Mettendo assieme la cronologia proposta da Manetone con i dati ricavati dai vari ambiti degli studi moderni, emerge la
seguente ripartizione cronologica:
CRONOLOGIA
PERIODI DINASTIE ANNI
PROTODINASTICO 0 - II 3500-2850 a.C.
ANTICO REGNO III - VI 2850-2181
PRIMO PERIODO INTERMEDIO VII - X 2181-2133 a.C.
MEDIO REGNO XI - XII 2133-1786 a.C.
SECONDO PERIODO INTERMEDIO XIII - XVII 786-1570 a.C.
NUOVO REGNO XVIII - XX 1570-1070 a.C.
ETÀ TARDA XXI - XXX 1070-341 a.C.
Prima dominazione persiana 525-404 a.C.
Seconda dominazione persiana 341-332 a.C.
Epoca ellenistica 332-304 a.C.
Dinastia tolemaica 304-30 a.C.
Annessione all’Impero Romano Dal 30 a.C.
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Storia Antica - primo anno
nome di Akhenaton, che significa Aton è soddisfatto) e fondò una nuova capitale (Akhetaton, che significa l’orizzonte di
Aton), togliendo il potere a Tebe e trasferendovisi insieme e alla moglie Nefertiti.
Alcuni storici hanno visto in questa rivoluzione la prima forma di monoteismo della storia, che il faraone impose al Paese,
scatenando la reazione dei sacerdoti tebani che, alla sua morte, lo dichiararono “eretico”, ne cancellarono persino il
nome e riportarono la capitale a Tebe.
La seconda grande crisi del Nuovo Regno fu invece una crisi esterna: si
presentò mentre governava Ramses II il Grande. Questi, come i suoi due
predecessori, fu soprattutto un combattente e dovette arginare il potente
esercito degli Hittiti che stava espandendosi dall’Asia minore verso sud,
minacciando i confini dell’Egitto. L’esercito egizio riuscì a
fermare gli avversari a Qadesh (1274 a.C.), anche se in realtà si trattò di una
battaglia che si concluse sostanzialmente senza vinti nè vincitori, tuttavia
riuscì a fermare l’avanzata
hittita.
Altri attacchi furono
effettuati dai cosiddetti
“popoli del mare”, come li
chiamavano appunto gli
Amenothep IV e Neferti
Egizi, popoli che
provenivano dalle coste del Mediterraneo, che furono fermati da
Ramses III, ultimo grande sovrano dell’Egitto. Da quel momento,
nonostante la vittoria iniziò un periodo di progressiva decadenza del
Paese che non riuscì più a recuperare l’antico splendore. Ramses 2ˆ
LA SOCIETA’ EGIZIA
Come in tutte le civiltà fluviali l’attività economica di base anche in Egitto era rappresentata dall’agricoltura, soprattutto
dalla produzione di cereali, particolarmente fiorente grazie alla fertilità del territorio, legata alle piene del Nilo e al limo
depositato dalle acque quando si ritiravano.
Il ritmo delle piene del Nilo scandiva anche le altre attività del regno e ne determinava la successione: durante il periodo
in cui le acque ricoprivano la maggior parte del territorio si svolgevano i grandiosi lavori di costruzione per ordine del
faraone, che venivano ricompensati con le eccedenze di prodotti date in tributo; durante le altre stagioni si coltivavano i
campi. Solo la regolare successione delle stagioni e delle piene del fiume consentiva la vita e il benessere di questa
popolazione e il conseguente sviluppo della sua fiorente civiltà. Era la dea Maat, la dea della giustizia, a garantire questa
regolarità e, quindi, la vita in Egitto.
La struttura sociale egizia, come quella sumerica, ha carattere piramidale: al vertice il faraone, di stirpe divina, che ha il
compito di conservare e garantire l’armonia che governa il mondo naturale e, quindi, anche la società umana. Se il
faraone fallisse in questo suo compito la regolare successione delle stagioni e delle piene del Nilo che garantivano la vita
in Egitto sarebbero venute meno. Il faraone è, quindi, superiore, in quanto dio, a ogni essere umano e deve sottostare
solo a Maat, ma la sua responsabilità è enorme.
Sotto al faraone stanno i sacerdoti, che conservano e curano il culto delle riverse divinità, collaborando così al
mantenimento dell’armonia e della giustizia. Ancora più in basso si trovano i funzionari, l’insieme di coloro che
garantiscono che l’ordine sia mantenuto al’interno dello stato. Successivamente abbiamo gli scribi, che padroneggiano
tutte le forme di scrittura, ne custodiscono e trasmettono la conoscenza, in apposite scuole nei templi, e, attraverso le
iscrizioni, che siano riportare su papiro o sui grandi monumenti, documentano tutte le attività dello stato. Al di sotto nella
scala gerarchica troviamo i soldati, gli artigiani e mercanti, i contadini e, infine, gli schiavi.
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È molto più facile, perciò, trovare tombe piuttosto che case, suppellettili funerarie piuttosto che arredi domestici. In
secondo luogo, e questo è ancora più importante, la cura dedicata alla morte era un disperato tentativo di perpetuare
la vita terrena nell’oltretomba, e ciò rivela uno straordinario attaccamento alla vita. Insomma, gli egiziani curavano tanto
la morte proprio perché amavano straordinariamente la vita, e cercavano in tutti i modi di perpetuarla anche nell’aldilà.
Inoltre, considerando che la vita era con ogni evidenza caduca e peritura, mentre la vita oltre la morte s’immaginava
eterna ed incorruttibile, si facevano tombe di pietra, capaci di sfidare i secoli ed i millenni, contro case di fango e canne,
facilmente deperibili. Il culto dei morti, insomma, nasceva dal desiderio di eternare la vita e, perciò, si dedicava la massima
cura per la conservazione del corpo e la costruzione di una confortevole dimora dell’aldilà.
L’idea di conservare il corpo potrebbe essere nata, in epoca
antichissima, dalla scoperta che i cadaveri di persone morte nel
deserto si essiccavano e, in queste condizioni, potevano conservarsi
per lunghissimo tempo.
Da qui la soluzione di mummificare il corpo per conservarlo, cioè di
disidratarlo in modo che i tessuti rimangano “fissati”, con la pelle che
acquisisce la consistenza del cuoio o della pergamena, aderendo
bene alle ossa e conservando abbastanza bene i tratti della persona.
Dai procedimenti più primitivi si passò a quelli più sofisticati, fino a
giungere alla tecnica più raffinata che ci viene così narrata ne’ “Le
Storie” da Erodoto (2.86):
«C’è gente che attende a questo lavoro e che professa quest’arte.
[…] I clienti si mettono d’accordo
per un prezzo e si ritirano.
Nell’fficina restano gli artigiani e,
se si tratta del tipo
Mummia di SETI I
d’imbalsamazione più accurata, vi
attendono come segue.
Estraggono anzitutto con un ferro ricurvo il cervello dalle narici – in parte così, in parte
introducendovi dei farmachi -. Poi con una pietra etiopica tagliente praticano un’incisione
all’inguine; tirano fuori senz’altro tutti gl’intestini; trattili fuori, li nettano per bene con vino
di palma, e li tornano a pulire con polvere di aromi. Quindi riempiono il ventre di pura
mirra tritata, di cannella e di altri aromi, tranne l’incenso, e richiudono cucendo. Dopo
salano il corpo immergendolo nel salnitro per settanta giorni: non devono lasciarlo nel
sale per un periodo più lungo. Trascorsi i settanta giorni lavano il morto e, spalmandolo
di gomma – che gli egiziani usano in genere invece della colla -, avvolgono il corpo con
fasce tagliate in tela di bisso. Quindi i parenti ritirano la mummia, fanno fare una scultura
di legno in forma umana, e v’includono il morto. Ve lo richiudono e lo tengono
gelosamente in una camera funeraria ponendolo ritto contro la parete». Sarcofago in legno inciso e dipinto
Questa narrazione di Erodoto è ancora oggi abbastanza utile per descrivere la mummificazione, anche se lo stesso
storico greco ne descrive altre due tipologie meno accurate e costoso e se, di contro, possiamo immaginare dei processi
ancora più sofisticati per gli uomini di altissimo rango e per i faraoni.
Interessanti sono i numerosissimi oggetti di cui la tradizione magico-religiosa egiziana era fornitissima e che spesso
venivano messi nelle tombe e tra le bende del
defunto. Ricordiamo anzitutto i quattro vasi
canopici nei quali venivano messe le viscere dei
defunti. I coperchi di questi vasi rappresentavano
le teste dei quattro figli di Horo: Hamset (umana),
per il fegato; Hapi (scimmia), per i polmoni;
Qebeshenuf (falco), per gli intestini; Duamutef
(sciacallo), per lo stomaco. Vi erano poi
moltissimi amuleti: Ankh (vita), Occhio di Horo
(prosperità e salute), pilastro Djed (stabilità),
scarabeo (rinascita) ecc.
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Storia Antica - primo anno
LA RELIGIONE EGIZIA
Per capire la religione egizia, conviene risalire alle sue origini,
quando gruppi di cacciatori nomadi o seminomadi andarono ad
insediarsi lungo le rive del Nilo. Ciascuno di essi portava con sé
le proprie divinità (animali, naturali o astrali che fossero), con
relativi culti, riti e credenze. Man mano che questi gruppi
andavano unificandosi e costituivano entità sociali e territoriali
sempre più grandi, anche le divinità venivano giustapposte le
une alle altre. In seguito si cominciò a sentire la necessità di
umanizzarle, senza far perdere loro alcuni tratti animali
(generalmente la testa), trasformandoli in ibridi e collegandole le
une alle altre, come avveniva per gli stessi gruppi di fedeli.
Nacquero così coppie, triadi, famiglie e genealogie divine.
Queste, a loro volta, s’inserirono in complesse cosmogonie,
teogonie e cosmologie, elaborate dalle scuole sacerdotali che
andavano formandosi nei maggiori centri urbani, che divenivano così importanti luoghi di culto: Iunu (Eliopoli), Menfi,
Abido ecc. Il più importante di questi centri, nell’Antico Regno, fu Eliopoli.
Qui nove divinità (Enneade) erano coinvolte nella cosmogonia (origine del cosmo) e teogonia (origine degli dei) elaborata
dal clero locale. Atum, il dormiente (poi assimilato al dio sole Râ, in Atum-râ), emerse dal caos liquido, Nun. Egli
autogenerò la prima coppia divina, Shu (l’aria) e Tefnut (l’umidità), la quale generò la seconda coppia divina: Geb, il dio
terra, e Nut, la dea cielo.
Questi erano però congiunti in un amplesso amoroso, sicché Shu (l’aria) s’interpose tra loro separandoli. A questo punto
essi generarono altre due coppie di dei: Osiride ed Iside, Seth e Nefty.
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Storia Antica - primo anno
U.d.A. 3
I GRANDI IMPERI ASIATICI
Hittiti, Assiri, il secondo impero Babilonese e i Persiani (1600-500 a.C.)
LESSICO
Indoeuropei: parlando di indoeuropei non si allude ad un gruppo
razziale, etnicamente distinto dagli altri, ma semplicemente ad un
gruppo legato da un certo tipo di linguaggio. Gli studiosi ritengono che
tra il V e il III millennio a.C. alcuni popoli, che parlavano questa lingua,
stanziati in un’area comprese fra le steppe asiatiche ed il mar Nero,
con migrazioni successive si insediarono nel continente euroasiatico,
stabilendosi sui territori fra l’Indo e l’Atlantico (cfr. lettura di
approfondimento).
Accadico: era una lingua semitica parlata nell'antica Mesopotamia dai
Babilonesi e poi dagli Assiri.
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GLI HITTITI
L’ambiente naturale dell’Anatolia era ben diverso rispetto a quello della Mesopotamia, con i suoi campi attraversati da
canali che consentivano un’agricoltura molto produttiva. Nel paesaggio anatolico, prevalentemente montano, vi erano
ampissime zone boscose, talvolta inaccessibili, mentre le città e le coltivazioni erano concentrate nelle vallate.
L’abbondanza di boschi costituì sicuramente una caratteristica vantaggiosa: gli Hittiti infatti ebbero legname in
abbondanza, che invece le altre civiltà fluviali dovettero procurarsi lontano.
Lo stesso valeva anche per alcuni metalli, fra cui il rame, l’argento e il ferro, che gli Hittiti
impararono a lavorare e di cui il territorio era ricco.
La configurazione geografica era adatta anche per l’allevamento ovino e caprino, molto
praticato. Tutto ciò aveva dato origine ad un’economia prevalentemente agro-pastorale ed
estrattiva.
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Storia Antica - primo anno
L’ IMPERO HITTITA
In un primo momento gli Hittiti erano frazionati in numerose
città-stato; solo a partire dal 1800 iniziò il processo di
unificazione e di formazione di un grande regno.
Con Hattusili I (XVII sec.
a.C.), il primo re di cui si
hanno notizie certe, venne
fondata la capitale Hattusa
e si diede avvio al
fenomeno espansionistico,
occupando alcune città
della Siria.
Il successore Mursili I
continuò le conquiste:
distrusse Aleppo, si
HATTUSA
impadronì di Ebla e Bogazkale (gia Bogazkôy), L’imponente capitale degli Hittiti
saccheggiò Babilonia,
aprendo la strada alla conquista dei Cassiti. La morte di Murshil l determinò un periodo
SUPPLILILIUMA
di lotte interne per la successione al trono e l’impero gradualmente si sgretolò,
Busto di una statua di suppiluliuma (I
o II?) da Kunulua riducendosi entro i confini della parte centrale dell’Anatolia.
La potenza Hittiti si risollevò, intorno al 1380, con la salita al trono di Suppiluliuma,
che fortificò la capitale fino a renderla inespugnabile ed intraprese una vittoriosa
campagna militare contro il regno dei Mitanni, dominato dagli Hurriti. Con i vinti però
egli preferì utilizzare la diplomazia, facendo del regno uno Stato autonomo suo
vassallo. Strinse anche un’alleanza con il re di Babilonia, sposandone la figlia. Tutte
queste strategie, volte a cercare alleati e non solo nemici in area medio- orientale,
erano determinate anche dalla necessità di contrastare la potenza assira. Si mosse
poi alla conquista delle città siriane, conquistando Aleppo ed alcuni centri urbani del
nord della Siria.
Con Suppiluliuma ed il suo successore Mursili II l’impero degli Hittiti raggiunse la sua
massima espansione, ma quando Mursili II morì e gli successe il figlio Muwatalli
esplose un conflitto con l’Egitto per il dominio della Siria. Lo scontro avvenne nel 1297
a.C. a Qadesh, sul fiume Oronte, durante il regno del potente faraone Ramesse II .
La battaglia fu violenta e la sua vittoria consentì agli Hittiti di conservare le loro posizioni
in Siria, ma furono indeboliti dalle enormi perdite subite durante lo scontro.
MUWATALLI
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LESSICO
Società feudale: con tale espressione si intende quella struttura sociale in cui i nobili godono di un’ampia
autonomia nei confronti del sovrano e sono legati a lui da un rapporto personale e da un giuramento di fedeltà.
Per compensare i nobili dei loro servigi, per lo più a carattere militare, il re concede loro un territorio, detto feudo.
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Storia Antica - primo anno
DOCUMENTI
IL TESTAMENTO DI HATTUSILI I
Il testamento di re Hattusili I è una fonte interessante. Esso infatti dà informazioni riguardo al problema della
successione monarchica prima che il titolo diventasse ereditario, poiché l’approssimarsi della morte di un sovrano
dava spesso luogo a discordie e congiure, anche nell’ambito della stessa famiglia regale. Hattusili infatti lamenta
che nessuno dei suoi più stretti congiunti gli ha obbedito, per cui vuole che sia Mursili il suo successore. Dalle
parole del re emerge anche un altro aspetto degno di nota. Il sovrano infatti si raccomanda all’assemblea dei
nobili, affinché accetti di riconoscere la successione del suo prescelto. Si evince quindi che il monarca hittita non
poteva imporre in modo assoluto la propria volontà, ma era ritenuto, e lui stesso si considerava, un potente fra
gli altri potenti del regno, un capo i cui poteri potevano essere condizionati dall’assemblea nobiliare.
Ecco, io mi sono ammalato. Io vi avevo presentato il giovane Labarna (1) come colui che dovrà sedere sul trono;
io, il re, l’ho chiamato mio figlio. l’ho abbracciato, l’ho esaltato, mi sono curato senza posa di lui. Egli, tuttavia, si
è mostrato un giovane indegno a guardarsi: non ha versato lacrime, non ha mostrato compassione, è freddo e
senza cuore. Allora io, il re, l’ho chiamato e l’ho fatto venire al mio capezzale. Dunque, non si può più continuare
a tenere un nipote per figlio! Alle parole del re non ha dato ascolto: ma a quelle di sua madre ha dato ben ascolto,
quel serpente! Fratelli e sorelle gli riportavano male parole e quelle le ascoltava. Ma io, il re, l’ho saputo, ed allora
ho contrapposto la lotta alla lotta. Ora basta! Egli non è più figlio. Allora sua madre ha muggito come un bue:
“Hanno lacerato il grembo della mia carne viva! Lo hanno annientato e tu lo ucciderai!” Ma io, il re, gli ho forse
fatto qualcosa di male? Non l’ho forse fatto sacerdote? Sempre l’ho onorato, pensando al suo bene. Egli però
non ha mai seguito con amore la volontà del re. Come potrebbe, procedendo secondo il suo volere, portare
amore a Khattusha? (2) Ecco, Mursili è ora mio figlio! Lui dovete riconoscere. Lui porre sul trono. A lui la divinità ha
posto ricchi doni nel cuore. Nell’ora della guerra o dell’insurrezione siate al suo fianco, o miei servitori, e voi, o
capi dei cittadini! Finora, nessuno della mia famiglia ha obbedito alla mia volontà. Ma tu, o Mursili, tu che sei mio
figlio, obbedisci! Segui le parole di tuo padre.
NOTE
(1)
Labarna: era il nipote prediletto del re
(2)
Khattusha: si intende la città di Hattusa, capitale dell’impero.
QUESTIONARIO
1) Anche dalle parole di Hattusili si comprende che la successione monarchica non ereditaria spesso dava luogo a
instabilità. Spiega come emerge ciò dal documento proposto.
2) Nella fonte risulta chiaro che il re incarica sceglieva il successore, ma la ratifica definitiva della sua scelta dipendeva
da altro. Spiega da chi e chiarisci che conseguenze aveva sulla concezione della regalità questo tipo di
successione.
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GLI ASSIRI
L’IMPERO ASSIRO
Il primo fondatore della potenza assira fu il re
Tiglatpileser I (XII secolo a.C.), che conquistò
parte dell’Anatolia e pose fine all’indipendenza
di Babilonia, deportando la maggior parte degli
abitanti e rendendo lo Stato babilonese suo
vassallo.
La politica espansionistica, contraddistinta da
massacri, decapitazioni, deportazioni,
scuoiamenti, mutilazioni, impalamenti, continuò
anche con i suoi successori. Con spietata
ferocia, così come dimostrano le loro cronache
di guerra, gli Assiri si imposero sulla Siria, la
Fenicia e la Palestina.
L’espansionismo raggiunse il suo culmine tra
l’800 ed il 650 a.C. . Re Sargon II (VIII secolo
a.C.) sottomise il regno di Giuda (la parte
meridionale dello Stato ebraico in Palestina); il
SARAGON II SENNACHERIB
suo successore Sennacherib rase al suolo
Babilonia, che successivamente venne ricostruita e posta sotto il suo diretto dominio;
Assurbanipal (VII a.C.), ultimo grande re assiro, mosse guerra all’Egitto e lo conquistò
temporaneamente, poiché nel 655 a.C. il faraone Psammetico I riuscì a liberare il suo Paese
dall’oppressione straniera.
Con queste conquiste tutte le principali civiltà dell’antico Oriente si trovarono a far parte di
un unico organismo politico.
Il regno di Assurbanipal segnò l’ultimo momento di splendore degli Assiri. Il sovrano, amante
dell’arte e delle lettere, fece di Ninive la città più ricca e splendida dell’Oriente, costruendovi
un’ immensa reggia con una ricchissima biblioteca, dove raccolse i testi della letteratura
mondiale.
ASSURBANIPAL
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Storia Antica - primo anno
Alla sua morte (629 a. C.) l’impero cadde in un’irreversibile situazione di crisi, che nel giro di pochi anni ne decretò la
fine. Debolezza interna, innanzi tutto, perché a corte scoppiarono una serie di rivolte di cui poco si sa, ma anche ribellioni
anti-assire in molti territori da loro dominati. Incominciò Babilonia, che dopo essersi ribellata si alleò con i Medi, un popolo
dell’altopiano iranico, e con altri Stati. La lega mosse guerra agli Assiri, che vennero sconfitti dopo aver resistito
strenuamente. Nel 612 a.C la splendida Ninive venne espugnata e rasa al suolo: degli Assiri e del loro impero non rimase
nulla.
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Le regioni conquistate erano tenute in pugno da governatori scelti dal sovrano e ogni forma di resistenza veniva repressa
con la più totale crudeltà. Così una cronaca del tempo descrive lo sterminio voluto da un sovrano contro una città ribelle:
“Davanti alla porta della città innalzai un monticello di terra, scorticai tutti i capi dei ribelli e disposi le loro pelli lì sopra;
alcuni li seppellii vivi, altri li impalai. Molti prigionieri li bruciai, molti li presi vivi: ad alcuni tagliai le mani e le dita, ad altri il
naso e le orecchie, ad altri cavai gli occhi. Feci un mucchio dei vivi ed un mucchio dei morti; legai le loro teste ai pali,
tutto intorno alla città. Bruciai col fuoco i loro figli e figlie. Distrussi e devastai la città, la bruciai col fuoco, la annientai
completamente”.
L’esercito ed il continuo stato di guerra gravavano pesantemente anche sull’economia della popolazione, che era
costretta a versare onerosi contributi per poterli mantenere.
Per molto tempo questa superiorità militare fu un’arma vincente, ma aveva in sé anche le cause che portarono al
repentino crollo dell’impero. Innanzitutto l’assoluta priorità delle esigenze militari aveva impedito lo sviluppo di un’efficiente
burocrazia, fondamentale per poter governare a lungo un dominio tanto vasto. Né tantomeno gli Assiri riuscirono a
costituirsi una rete di alleati e un sistema di relazioni internazionali basato sulla diplomazia, come invece avevano fatto
gli Hittiti, animati com’erano da un assoluto e violento spirito di sopraffazione Odiati e isolati dai popoli vicini e da quelli
conquistati, erano temuti solo per la feroce potenza, ma quando la loro superiorità militare incominciò ad affievolirsi le
genti sottomesse capirono di non poter essere più punite per il loro tradimento; si volsero perciò tutte in massa contro
gli Assiri, sfogando le frustrazioni subite nei secoli precedenti. Si costituì così una vasta coalizione anti-assira, che in
breve tempo li spazzò via dalla storia, insieme al loro impero.
DOCUMENTI
CONQUISTA E DEPORTAZIONI
Nel passo tratto dagli annali del re Sargon II è descritta la conquista della città di Asdod, in Palestina. Il testi rivela
anche uno degli aspetti più ricorrenti del dominio assiro: le deportazioni di massa dei popoli vinti.
Azuri, re di Asdod, aveva progettato di non dare più tributi ed aveva inviato messaggi contro l’Assiria ai re suoi
vicini. A seguito del male da lui commesso, io gli tolsi il governo del popolo del suo paese e nominai Akhimiti, suo
fratello minore, loro re. Ma gli Hittiti, che progettano sempre misfatti, odiarono il suo regno ed elevarono al potere
su di loro un greco che, senz’alcun diritto al trono, non ebbe rispetto per la mia autorità, proprio come loro. Acceso
d’ira, non mi fermai a riunire tutta la massa del mio esercito né a preparare il campo, ma mossi contro Asdod con
quei soli guerrieri che, anche in zone pacificate, non lasciano mai il mio fianco. Questo greco, però, seppe da
lontano dell’avanzare della mia spedizione e fuggì in Egitto, al confine dell’Etiopia, né poté essere scoperto. Io
assediai e conquistai le città di Asdod, Gat, Asdudimmu, dichiarai bottino i suoi dei, sua moglie, i suoi figli, tutti i
possedimenti ed i tesori del suo palazzo, come pure gli abitanti del suo paese. Riorganizzai quelle città e vi stabilii
della gente delle regioni orientali, che avevo io stesso conquistato. Posi un mio ufficiale a governarli e li dichiarai
cittadini assiri.
Sabatino Moscati, Antichi imperi d’Oriente, Milano, Il Saggiatore, 1963, p.72
QUESTIONARIO
1) Riferendoti a quanto hai studiato, spiega per quali motivi gli Assiri praticavano la deportazione delle popolazioni
conquistate.
2) Per quale motivo re Sargon II decide di conquistare la città di Asdod?
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Storia Antica - primo anno
Il crollo degli Assiri, consentì la nascita del secondo impero babilonese, che durò meno di un secolo e conobbe un
periodo di grandissimo splendore con il re Nabucodonosor ( 604- 562 a.C.). Sotto di lui Babilonia tornò ad essere una
magnifica e potente capitale, fortificata da re con possenti mura, abbellita di palazzi, adornata con i famosi giardini pensili,
che gli antichi celebravano come una delle sette meraviglie del mondo.
Nabucodonosor non si dedicò solo ad opere di pace. Anch’egli infatti fu impegnato in una serie di guerre ed imprese di
conquista . Si scontrò con gli Egiziani, per il controllo della Siria e riuscì a batterli, imponendo il dominio babilonese in
Egitto ed anche in Palestina. Qui l’unico Stato che tentò di ribellarsi fu il regno di Giuda; il re allora decise di saccheggiare
Gerusalemme, deportando a Babilonia gran parte della popolazione e il regno ebreo finì di esistere ( 586 a.C.).
Con i suoi successori, spesso deboli e condizionati dalla casta sacerdotale che tendeva a prevaricare il potere dei sovrani,
l’impero cadde in una progressiva decadenza e di ciò ne approfittarono i Persiani, una popolazione indoeuropea
proveniente dall’altopiano iranico. Guidati dal loro re Ciro II nel 539 a.C. espugnarono Babilonia ed imposero il loro
dominio su tutta la regione. La conquista segnò la definitiva conclusione della storia degli imperi mesopotamici. L’intera
regione entrò in un batter d’occhio e senza violenza a far parte del grande impero multinazionale dei Persiani, che
assimilarono e diffusero la ricca eredità culturale di Babilonia nelle varie zone del mondo da loro conquistate.
LESSICO
Le sette meraviglie del mondo antico: sono opere architettoniche, sculture ed edifici che i Greci ed i Romani
ritenevano fra le più belle e straordinarie dell'intera umanità. Esse annoveravano: la piramide di Cheope a Giza, i
giardini pensili di Babilonia, il colosso di Rodi, il faro di Alessandria, il mausoleo di Alicarnasso, il tempio di Artemide
ad Efeso, la statua di Zeus ad Olimpia.
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I PERSIANI
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Storia Antica - primo anno
suolo le città e deportavano la popolazione. I sovrani persiani invece preferirono sempre presentarsi come eredi delle
regalità locali, proponendo una concezione dell’impero universale che assorbiva, assimilava e riformulava, ma non
distruggeva, i centri conquistati. In tal modo essi riuscirono spesso ad ottenere la benevolenza dei vinti, garantendo per
lungo tempo stabilità interna e benessere al grande impero che avevano costruito. Ciro il Grande morì nel 529 a.C.; il
suo corpo fu trasportato a Pasargade, l’antica capitale persiana, dove venne tumulato in un mausoleo che tutto’oggi ne
custodisce le spoglie.
I SUCCESSORI DI CIRO
A Ciro il Grande successe il figlio Cambise (529-522 a.C.), che a sua volta continuò
l’opera d’espansione, conquistando l’Egitto nel 525 a. C.
Cambise morì del 522 a.C., forse vittima di una congiura di corte. Per breve tempo
l’impero conobbe una serie di disordini per la successione al trono, finché la nobiltà
persiana decise di assegnare la corona a Dario (522 – 486 a.C.), appartenente ad un
ramo collaterale degli Achemenidi. Egli si impegnò a dare un’efficiente organizzazione
Cambise cattura il Faraone amministrativa al suo vastissimo impero multietnico, che si estendeva su di una
Psammetico superficie di circa cinque milioni di chilometri quadrati e contava cinquanta milioni di
(Immagine tratta da un sigillo)
abitanti circa. Anche Dario continuò le imprese di conquista, annettendo ad ovest la
Tracia ( nell’estrema punta sud-orientale della penisola Balcanica) ed alcune isole
dell’Egeo; ad est si impadronì della valle dell’Indo. Fallì invece nel tentativo di assoggettare le città-stato della Grecia (
cfr. La prima guerra persiana, cap.....).
A Dario seguì il figlio Serse, che riprese il contrasto con le città greche, ma fu a sua volta sconfitto (cfr seconda guerra
persiana, cap....). Il sovrano morì assassinato (465 a.C.) e la corona passò al figlio Artaserse, il cui regno durò più di
quaranta anni e fu contraddistinto da un periodo di pace, perché il sovrano non intraprese alcuna conquista.
Dopo di lui iniziò il declino del
grande impero, indebolito anche
da congiure per la successione al
potere. Ciò favorì la conquista di
Alessandro Magno avvenuta nel
330 a.C.. Si concludeva così
l’esperienza straordinaria
dell’impero persiano, che per più
di due secoli aveva garantito
l’unione di tutti i popoli di quello
che è passato alla storia come il
Vicino Oriente Antico.
Serse I Dario I
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Il Gran Re ne controllava regolarmente l’operato, inviando nelle varie satrapie dei suoi ispettori itineranti, non a caso
chiamati “gli occhi del re”.
E’ pur vero, però, che questo sistema amministrativo funzionò in modo esemplare finché al potere ci furono sovrani
autorevoli ed amati come Dario e alcuni dei suoi immediati successori. In seguito i satrapi iniziarono a manifestare velleità
indipendentiste, che portarono alla decadenza dell’impero e facilitarono la conquista di Alessandro Magno.
Ogni satrapia doveva versare tributi e doni, ossia prodotti locali come cavalli e legnami, ma non risulta che il prelievo
fiscale dello Stato fosse particolarmente esoso.
Per favorire la coesione e il controllo dell’immenso territorio, venne realizzato un efficiente sistema di comunicazioni,
attraverso la costruzione di strade, le cosiddette vie regie.. La più famosa era la Strada Imperiale, lunga 2400 chilometri,
che collegava la capitale Susa con la città di Sardi, in Asia Minore, attraversando l’Anatolia, l’Armenia e la Media. Lungo
il suo percorso sorgevano caravanserragli, per dare ricovero a viaggiatori e mercanti, presidi di sicurezza e stazioni per
il cambio dei cavalli. Per un pedone, che poteva tranquillamente transitavi senza il timore di brutti incontri, l’intero tragitto
durava poco più di tre mesi.
Venne anche promossa l’unificazione ponderale e si diffuse la moneta, che da poco aveva fatto la sua comparsa in
Lidia.
Il darico in oro o in argento divenne la moneta ufficiale dell’impero; all’inizio nacque per esigenze
amministrative (pagamento dei tributi) e militari (pagamento delle truppe), ma ben presto assunse
anche usi commerciali.
Sempre per soddisfare l’esigenza di controllo del territorio, durante il regno di Dario fu approntato un
razionale sistema di posta reale a cavallo, in modo che l’imperatore potesse celermente essere
informato su quanto accadeva anche nelle zone più remote dei suoi domini. Lo storico greco Erodoto
Moneta persiana racconta che una lettera impiegava solo sette giorni da Susa all’Egeo;
Darico
con il precedente sistema, che affidava la posta alle carovane, ne
sarebbero occorsi 90.
Venne anche messo a punto un espediente per le comunicazioni urgenti. Le notizie
venivano trasmesse da torri di segnalazione, con un sistema di segnali luminosi sul tipo
dell’alfabeto Morse, poiché i guardiani delle torri coprivano a intervalli prestabiliti una
fiamma. In Persia le torri di segnalazione vennero utilizzate fino al sec. XIX, per poi essere
sostituite dal telegrafo elettrico.
La saggezza di Dario si espresse anche in una vasta attività legislativa, sempre ispirata a
principi di umanità, volti alla difesa dei deboli e dei poveri.“Verrà osservata la mia legge,
che il povero non subisca ingiustizie dal ricco”. Così si legge su una pietra della tomba
rupestre di Dario, nei pressi di Persepoli. Tomba di Dario Persepolis
LESSICO
Caravanserragli: edifici costruiti per dare servizi e ospitalità ai viaggiatori che attraversavano le zone desertiche
dell’Asia. Erano costituiti da un ampio cortile, cinto da un porticato.
Unificazione ponderale: unificazione dei pesi e delle misure.
Alfabeto Morse: e’ un sistema che si avvale di un codice ad intermittenza per trasmettere lettere, numeri e
punteggiatura. Fu inventato dallo statunitense Samuel Finley Morse nel 1836 e venne utilizzato per la telegrafia e
per la radiotelegrafia.
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Angra Mainyu
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Non è da escludere, dunque che, riguardo a questo aspetto, gli Ebrei abbiano subito l’influenza del profeta persiano,
forse conoscendo il suo credo quando Ciro conquistò Babilonia e li liberò dalla schiavitù.
LESSICO
Mazdeismo: il nome deriva da Ahura Madza, il dio di questa religione monoteista. Il credo si può chiamare anche
Zoroastrismo, riprendendo l’appellativo greco di Zarathustra.
Magi: sacerdoti del culto di Zoroastro, esperti anche di astrologia. I Re Magi della tradizione cristiana erano
probabilmente dei sacerdoti zoroastriani.
Religione etica: religione che predica valori morali.
Giustizia compensatrice: giustizia divina secondo cui il Bene deve essere ricompensato con il bene e il Male punito
con il male.
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LABORATORIO
CIVILTA’ INFORMAZIONI
HITTITI
ASSIRI
PERSIANI
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3) Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false e riscrivi correttamente quelle sbagliate
d) Gli Assiri erano l’unico popolo del Vicino Oriente che praticava le deportazioni V F
h) Gli Hittiti furono fra i primi popoli ad usare il carro coi cavalli V F
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Storia Antica - primo anno
DOCUMENTI
L’anno primo di Ciro, re dei Persiani, per adempiere la parola del Signore pronunziata per bocca di Geremia, il
Signore eccitò lo spirito di Ciro, re dei Persiani, il quale fece pubblicare a voce e per iscritto, in tutto il suo regno,
questo editto: “ Così dice Ciro re dei Persiani. Il Signore Dio del cielo mi ha dato tutti i regni delle terra, e m’ha
comandato d’edificargli una casa in Gerusalemme, che è in Giudea. Chi fra di voi appartiene al suo popolo? Il
suo Dio sia con lui; ascenda pure a Gerusalemme nella Giudea, a edificare la casa del Signore Dio d’Israele, il Dio
che è in Gerusalemme. Tutti quelli che rimangono, dovunque dimorino, gli uomini del posto li aiutino con argento,
oro, beni e bestiami, oltre le offerte volontarie a ricostruire il tempio di Dio che è in Gerusalemme.”
Allora i capi delle famiglie di Giuda e di Beniamino, i sacerdoti, i leviti, e tutti quelli a cui Dio eccitò lo spirito, si
mossero per andare a edificare il tempio del Signore in Gerusalemme. E tutti quelli che erano all’intorno aiutarono
la loro opera con vasi d’argento, d’oro, e beni e bestiame e suppellettili, oltre le offerte in bestiame.
Di più, il re Ciro mise fuori i vasi del tempio del Signore, che Nabucodonosor aveva portato via da Gerusalemme
e posti nel tempio del suo dio. Ciro re dei Persiani li trasse fuori per mezzo di Mitridate, figlio di Gazabar, e li contò
Sassabasar principe di Giudea. Eccone il numero: trenta coppe d’oro, mille coppe d’argento, ventinove coltelli,
trenta tazze d’oro, quattrocento dieci tazze d’argento di second’ordine e mille altri vasi. In tutto i vasi d’oro e
d’argento erano cinquemila quattrocento. Sassabar li riportò tutti con quelli della trasmigrazione che salivano da
Babilonia a Gerusalemme.
La Bibbia, primo libro di Esdra, 1-11, trad. di Eusebio Tintori, Edizioni Paoline, Alba, 1945
QUESTIONARIO
1) Istituisci un confronto fra il comportamento di Nabucodonosor e quello di Ciro nei confronti degli Ebrei.
2) Questa testimonianza tratta dalla Bibbia propone un’interpretazione religiosa della generosità di Ciro. Spiega
perché.
Un grande dio è Ahura Mazda, che creò questa terra, che creò quel cielo, che creò l’uomo, che creò la felicità
per l’uomo, che fece Dario re, unico re di molti, un unico signore di molti, un unico signore. Io sono il re Dario, il
Re dei Re, re dei paesi, re in questa terra, figlio di Istaspe, l’Achemenide. Parla il re Dario: Ahura Mazda, il più
grande degli dei, egli mi creò re, egli mi conferì questo regno, grande, dai buoni cavalli, dagli uomini bravi. Per
volere di Ahura Mazda mio padre Istaspe e Arsame, mio nonno, erano ambedue in vita quando Ahura Mazda mi
fece in questa terra. Questo fu il desiderio di Ahura Mazda: egli mi scelse come unico uomo in tutta la terra e mi
fece re. Io venero Ahura Mazda, Ahura Mazda mi portò aiuto. Ciò che era deciso da me, questo egli compiva per
me. Ciò che io ho fatto, tutto ho fatto con il volere di Ahura Mazda.
Questo palazzo che io edificai a Susa, la decorazione fu portata da lontano. Il suolo fu scavato giù fino a che
giunsi alla roccia nella terra. Quando lo scavo fu fatto, allora fu riversato il pietrame, in parte alto quaranta cubiti,
in parte alto venti cubiti. Su questo pietrame venne costruito il palazzo.
E che la pietra fu scavata e il pietrame fu accumulato e i mattoni furono battuti sopra, il popolo di Babilonia fece
questo. Il legno di cedro, questo – c’è una montagna di nome Libano - da lì fu portato. Il popolo assiro lo portò
a Babilonia; da Babilonia i Cari e gli Ioni lo portarono a Susa. Il legno di Yaka fu portato da Gandara e dalla
Carmania. L’oro fu portato da Sardi e dalla Battriana, e qui fu lavorato. Le pietre colorate, lapislazzuli e corniola,
che furono lavorate qui, furono portate dalla Sogdiana. Le pietre colorate turchesi, queste furono portate dalla
Chorasmia e furono lavorate qui. L’argento e l’ebano furono portati dall’Egitto. La decorazione, con cui il muro fu
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adornato, fu portata dalla Ionia. L’avorio, che fu lavorato qui, fu portato dalla Nubia, dall’India e dall’Arachosia. Le
colonne di pietra, che furono lavorate qui - c’è un luogo di nome Abiradu nell’Elam – da lì furono portate. Gli
scalpellini, che lavoravano la pietra, questi erano Ioni Sardiani e Egiziani. Gli uomini, che lavoravano i mattoni,
questi erano Babilonesi. Gli uomini che decoravano il muro, questi erano Medi e Egiziani. Parla il re Dario. A Susa
una cosa molto bella fu pensata, una cosa molto bella fu. Me protegga Ahura Mazda e mio padre Istaspe e il mio
paese.
A.Pagliaro, Letteratura della Persia preislamica, Nuova Accademia, Milano, 1960
QUESTIONARIO
1) La fonte offre una chiara idea della vastità del dominio persiano. Da cosa si evince ciò?
2) Chiarisci il motivo per cui tale documento fornisce anche notizie importanti sulla religione al tempo di Dario.
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U.d.A. 4
IL MEDIO ORIENTE
I FENICI
IL NOME
Tanto il nome del popolo, Fenici, quanto quello del territorio, Fenicia, derivano da due parole greche, rispettivamente
Phoinikes e Phoinikee. In greco il termine Phoinix indicava il “rosso porpora”, quindi il nome assegnato al popolo ed alla
regione risulta chiaramente collegato a questo colore. Anche i Micenei (pre-greci) sembra li chiamassero in modo simile,
mentre da fonti bibliche ed epigrafiche risulta che i Fenici si chiamassero Cananei e Canaan era il nome che davano alla
loro terra. Dai testi si è potuto evincere il fatto che anche in accadico la parola kinakhkhu indicasse il colore rosso porpora,
per cui si può legittimamente supporre che Canaan fosse il nome autoctono e significasse “rosso”, forse dal colore che
solevano dare alle vesti, per le quali andavano famosi in tutta l’area mediterranea, e che poi il termine sia stato trasferito
e tradotto da altri popoli.
LE ORIGINI
Le origini della civiltà fenicia si possono far risalire alla fine del XIII secolo
a.C., quando grossi spostamenti di popoli sconvolsero l’assetto etnico
precedente, comprimendo le popolazioni preesistenti della costa orientale
del Mediterraneo approssimativamente nella regione dell’attuale Libano.
Ciò provocò l’unificazione culturale di quelle genti ed una loro proiezione
verso il mare, indotti dallo scarso territorio arabile della zona costiera e
dall’abbondanza dell’ottimo legname (il famoso cedro del Libano) di cui
erano prospere le foreste delle vicine montagne.
L’ORGANIZZAZIONE POLITICO-ECONOMICA
Anche la nazione fenicia, come già altri popoli, si organizzò in Città Stato, quasi certamente per la presenza di montagne
che ne rendevano discontinuo il territorio. Presto, a capo si pose un re, Signore della città, coadiuvato da un consiglio
di notabili.
La ricchezza di queste città risiedeva in alcuni prodotti tipici e nelle straordinarie capacità commerciali del popolo. Tra i
primi, vanno annoverati il legname e la porpora di cui abbiamo parlato, nonché il vetro, che alcuni specialisti erano capaci
di produrre attraverso la lavorazione della sabbia. Artigianato e commercio erano, quindi, le principali attività economiche
dei Fenici, mentre l’agricoltura era in secondo piano. Da ottimi marinai, quali erano, ovviamente non disdegnarono
l’esercizio occasionale della pirateria. Il dominio del mare e le esigenze commerciali spinsero i Fenici, come avremo modo
di vedere, a fondare colonie lungo tutte le coste del Mediterraneo, in particolare nel Nord Africa, in Sicilia e Sardegna e
nella penisola Iberica, divenendo un importante veicolo di civilizzazione, soprattutto per l’occidente.
LA STORIA
Intorno al 1200 a.C. l’invasione dei Popoli del
Mare distrusse molte città della costa siro-
palestinese, mentre l’invasione assira spingeva
i popoli dell’area (Cananei) a comprimersi
proprio su quella costa e le grandi città qui
situate furono costrette a pagare tributi ai re
assiri. Il dominio assiro sulle città fenicie
continuò fino al VII secolo. Solo nel 617 a.C.,
infatti, con la caduta dell’Impero assiro, la
presa di quest’ultimo sulle città della Fenicia si
Espansione Fenicia nel mediterraneo
allentò, fino a scomparire con la definitiva
vittoria dei Medi sugli Assiri.
Il periodo di autonomia e libertà, però, fu di breve durata, perché il re babilonese Nabucodonosor attaccò nuovamente
le città fenicie e ne ebbe la meglio, sottomettendole e riprendendo una dura politica di sfruttamento e repressione.
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Solo con la vittoria definitiva dei Persiani la Fenicia si riprese, sebbene ridotta a satrapia, perché le sue città pacificate e
sottomesse ad un moderato tributo poterono nuovamente rifiorire. I Fenici, perciò, collaborarono con i Persiani, fornendo
l’apporto della loro formidabile flotta contro gli egiziani e contro i greci.
Quando, però, il re persiano Cambise chiese la flotta per conquistare Cartagine, la più fiorente colonia fenicia sulla costa
del Nord Africa (nei pressi dell’odierna Tunisi), le città fenicie si opposero, dando prova del loro forte legame con le
proprie colonie (l’episodio è narrato da Erodoto).
Il livellamento determinato dalla cultura ellenistica in tutta l’area del Mediterraneo orientale, causò la perdita di molti
caratteri distintivi della civiltà fenicia. Tuttavia le città continuarono a rimanere divise e non formarono mai delle vere e
proprie leghe, nonostante sentissero di far parte di un ambito culturale comune.
LA RELIGIONE
Esistono, per la religione fenicia, fonti indirette, come Filone di Biblo, e fonti dirette, come le testimonianze archeologiche
trovate in territorio fenicio o coloniale o anche altrove. Non è tuttavia facile ricostruire esattamente la religione di questo
popolo.
Possiamo dire che si adoravano delle triadi divine, che rappresentavano soprattutto delle forze o degli elementi naturali
amati o temuti. A Biblo erano El, Baalat e Adonis. A Biblo esistevano poi altre divinità, molte delle quali di origine straniera,
dato che questa città intratteneva rapporti commerciali con molti paesi. A Sidone la triade era composta da Baal, Astarte
ed Eshmùn, dove Baal è la trasposizione maschile di Baalat, Astarte è il nome della dea madre, ed Eshmùn è l’equivalente
di Adonis. A Tiro, invece, si adorava una sola divinità, Melqart, il cui nome significava “Re della città”.
Come luoghi di culto si preferivano le montagne, dove si trovavano acque o alberi o pietre che si ritenevano sacre.
A Biblo si adorava un fiume detto adonis, che ogni anno si colorava di rosso, e perciò veniva collegato col mito
dell’omonimo dio. Nei santuari si adoravano alcune pietre coniche dette Betili, nome che significava «Dimora del dio», le
quali venivano posti sugli altari. Analoga funzione aveva l’ashêrâh una piccola colonna votiva probabilmente di legno.
I templi erano semplici recinti al centro dei quali era un Betilo o una cappella con dentro un Betilo. Di fronte ad essi stava
un altare per i sacrifici. Generalmente, a completare il tutto c’era una fonte o un bacino sacro e un boschetto. Vi dovevano
essere, però, anche edifici sacri coperti, come sembra dimostrato da alcune fonti.
Addetti al culto, vi erano sacerdoti e sacerdotesse. Nel tempio di Astarte era praticata, perfino, la prostituzione sacra.
Generalmente si facevano sacrifici animali e libazioni, alcune fonti riferiscono anche la pratica di sacrifici umani.
L’ARTE
I Fenici non furono dei grandi costruttori, perciò non si distinsero nelle opere monumentali. Si ritiene fossero dei bravi
architetti, infatti Salomone decise di rivolgersi a loro per edificare il Tempio di Gerusalemme. Possiamo quindi credere che,
accanto a quei templi all’aperto di cui abbiamo parlato, ce ne fossero anche di coperti, com’è dimostrato dall’effigie di
una moneta romana che ne rappresenta uno di Biblo.
Nelle opere architettoniche appaiono evidentissime le influenze straniere, soprattutto egizie. Particolari erano le tombe,
alle quali si accedeva attraverso un pozzo verticale sulla cui parete veniva scavata la cripta vera e propria. Per quel che
riguarda le case, ne costruivano di molto alte, forse fino a sei piani.
Ben altra importanza e diffusione ebbe, invece, l’artigianato artistico, che produceva oggetti facili da commerciare, come
statuine di bronzo, avorio lavorato a tutto tondo o in rilievo, coppe e piatti in oro, argento o bronzo, sigilli etc. Tutti questi
oggetti assorbono l’iconografia tradizionale del Vicino Oriente e dell’Egitto ed, in particolare tra l’VIII ed il VII secolo a.C.,
la trasmettono in tutto il mondo mediterraneo, determinando quel fenomeno artistico che è stato giustamente definito
dagli studiosi “Periodo Orientalizzante”.
In passato, questa espansione dei canoni artistici orientali era apparsa come una prova che, in questo periodo, ci fosse
stata una migrazione di genti provenienti dal mediterraneo Orientale verso le coste del Mediterraneo Occidentale.
Tale prova venne presa a sostegno soprattutto per la tesi della venuta degli Etruschi dalla Lidia, fondata anzitutto su un
racconto di Erodoto. Vedremo più avanti come tale tesi sia da rigettare, ma qui ci basta constatare come l’arte
orientalizzante, diffusasi soprattutto attraverso il commercio fenicio e greco, non abbia nulla a che vedere con una
migrazione di popoli.
Tutt’al più è possibile credere che alcuni artigiani orientali si siano trasferiti in occidente, portandovi le loro conoscenze,
ma questa ipotesi plausibile è tutt’altro che necessaria per spiegare il fenomeno dell’Orientalizzante, che si spiega invece
perfettamente come effetto del commercio.
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Storia Antica - primo anno
ECONOMIA E COMMERCIO
Avevamo già detto quanto fossero richiesti il pregiatissimo legno delle foreste libanesi, i tessuti che i fenici coloravano in
varie tonalità di rosso (ma anche in altri colori), i molteplici prodotti dell’artigianato artistico, soprattutto in materiali pregiati
(oro, argento, bronzo, avorio ecc.), il vetro di cui avevano perfezionato la tecnica di lavorazione, realizzando anche quello
trasparente, che era un’assoluta novità. Anche i prodotti agricoli, oli, balsami ed unguenti venivano commerciati da
Fenici.
Tuttavia, a rendere possibile la commercializzazione di tutti questi prodotti erano le capacità nautiche dei Fenici. In genere
si trattava di navigazione sottocosta (cabotaggio), che avveniva di giorno, mentre di notte i marinai andavano a rifugiarsi
in qualche posto sicuro sulla terraferma. Di tanto in tanto, però, i fenici si avventurarono anche in mare aperto e, dopo
aver acquisito la conoscenza di quasi tutte le rotte del Mediterraneo, giunsero ad avventurarsi oltre lo Stretto di Gibilterra.
Tra il VI ed il V secolo a.C., il grande navigatore Annone sembra sia giunto fin sotto il Golfo di Guinea, mentre Imilcone,
circumnavigando la Penisola Iberica, giunse sulle coste delle isole britanniche.
In questo contesto s’inserisce la fondazione delle colonie. Disseminate un po’ ovunque sulle rotte marittime del
mediterraneo ed oltre. Alcune di queste ebbero dimensioni e po tenza tale da poter competere con quelle della
madrepatria, ma la più grande ed importante fu Cartagine, sorta sulla costa prospiciente alla Sicilia (dove erano sorte
importanti colonie cartaginesi), nei pressi dell’odierna Tunisi. Essa costituì nel Mediterraneo Occidentale un impero
potentissimo, contro il quale Roma dovette affrontare, come vedremo più avanti, una sfida mortale, conclusasi nel 146
a.C. con la totale distruzione della città.
L’ALFABETO
Tra tutti i meriti attribuiti ai fenici, c’è anche quello di essere stati gli inventori dell’alfabeto. Anche questo, probabilmente,
non è del tutto vero, ma ai fenici va il merito di aver trasformato i segni monolitteri egiziani, semplificandoli ulteriormente
e trasformandoli in uno strumento semplice e flessibile, che ne rese a portata di tutti l’apprendimento e l’utilizzazione.
Già ad Ugarit, però, si era operata una simile trasformazione, sicché ai fenici va forse il merito di aver proseguito su
questa strada ed aver poi diffuso l’alfabeto in tutto il Mediterraneo, attraverso le stesse vie del loro commercio.
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GLI EBREI
MICHELANGELO BUONARROTI “La caccia dell’Eden” (cappella Sisitna, Musei Vaticani - Roma)
Dio è per gli uomini, quindi, un padre benevolo ed amorevole, ma anche un giudice severo e vendicativo quando deviano
dalla strada che Egli ha tracciato per loro. Tutto questo è narrato in un testo sacro, la Bibbia, in quella parte di essa che
viene oggi denominata “Antico Testamento”. L’inizio è composto da cinque libri (Pentateuco), che narrano le vicende
della creazione e della più antica storia dell’uomo. Secondo questi racconti, già dopo la creazione, il primo uomo, Adamo,
che era stato posto nel “Paradiso terrestre” (l’Eden) assieme alla sua donna, Eva, aveva peccato nutrendosi dell’unico
frutto che gli era stato proibito di mangiare (Peccato originale). Per questo Dio lo cacciò dall’Eden, condannandolo ad
una vita dolorosa e mortale sulla terra.
In seguito, i discendenti di Adamo si erano corrotti a tal punto che Dio mandò un enorme diluvio per distruggerli (Diluvio
Universale), salvandone solo uno con la sua famiglia, Noè, al quale diede anche l’incarico di costruire un’arca in cui dare
rifugio ad una coppia di ciascuna specie di animali, che avrebbero poi ripopolato la terra.
In altre occasioni gli uomini trasgredirono al volere di Dio e furono da Lui prontamente e gravemente puniti (Sodoma e
Gomorra, Torre di Babele ecc.). Nella Bibbia, perciò, la storia è narrata fin dall’inizio come determinata dalle vicende della
relazione subordinata dell’uomo con Dio, dal quale tutto deriva e dipende.
L’episodio centrale della storia dell’Antico Testamento è però costituito dal patto che un discendente di Adamo, Abram,
uomo ispirato dalla fede, stabilì con Dio. Egli abitava ad Ur, nel sud della Mesopotamia, quando Dio gli apparve e gli
disse di andare verso una terra che gli avrebbe indicato. Giunto a Canaan, Dio gli rivelò che quella era la Terra Promessa
e gliela diede in eredità, rinnovando il suo patto. Cambiò il nome di Abram in Abramo, che significa “Padre di una
moltitudine”, perché da lui sarebbero discese molte nazioni, ma per queste ultime impose che avrebbero dovuto adorarlo
ed osservare tutte le Sue leggi.
Più tardi, un suo discendente, Giuseppe, a causa di una carestia portò il suo popolo in Egitto. Qui, però, gli Ebrei vennero
poi terribilmente sfruttati. In effetti, anche alcune fonti egiziane parlano di gruppi di immigrati asiatici, i Khabiru (gli ebrei?),
che venivano impiegati in vari lavori, soprattutto edili.
Conseguenza di questo sfruttamento, sarebbe stato l’Esodo, avvenuto per volere di Dio per mezzo di Mosè, che riuscì
a liberare il popolo d’Israele e a ricondurlo, dopo un lungo e difficile viaggio, nella terra di Canaan.
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Storia Antica - primo anno
La menzione delle città alla cui costruzione gli ebrei sarebbero stati impiegati, Pitom e Ramesses, permette di assegnare
la loro permanenza in Egitto e, quindi, il loro esodo, al tempo di Ramses II o del figlio di questi, Merenptah,verso la fine
del XIII sec. a.C.. Durante il viaggio, presso il Monte Sinai Mosè avrebbe ricevuto da Dio i “Dieci Comandamenti”, cioè le
leggi fondamentali per il popolo d’Israele.
Mosè, per volere di Dio, non giunse nella terra di Canaan, in Palestina, la cui conquista sarebbe stata opera di Giosuè.
Egli vi avrebbe fatto irruzione da est, passando il fiume Giordano presso Gerico, ed avrebbe conquistato in breve l’intero
Paese. Infine, il territorio sarebbe stato suddiviso tra le dodici tribù di cui era composto Israele.
Il david di Michelangelo
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Storia Antica - primo anno
U.d.A. 5
LA GRECIA
LA CIVILTÀ MINOICA
Le prime civiltà che si svilupparono lungo il corso
del Tigri , dell'Eufrate e del Nilo (V-IV millennio a.C),
nell'area geografica che gli storici hanno definito
"Mezzaluna fertile", poterono affermarsi grazie alla
capacità, tutta umana, di sfruttare la vicinanza
dell'acqua e di avviare così un'economia basata
sull'agricoltura irrigua. Furono le stesse condizioni
climatiche e la particolare morfologia del territorio,
quindi, a determinare la vocazione "agricola" di quei
gruppi umani.
Anche per comprendere la peculiarità della civiltà
cretese o minoica (l'aggettivo che le attribuì
l'archeologo inglese Evans, il primo a scoprirla, dal
nome del mitico sovrano dell'isola, Minosse), è
importante partire dall'ambiente naturale in cui essa
ebbe origine e si sviluppò. Creta (che deve il suo nome alla presenza di una grande quantità di creta nel suo territorio,
con la quale i suoi antichi abitatori hanno fabbricato moltissimo vasellame), è una grande isola situata al centro del
Mediterraneo orientale. Essa chiude a sud il bacino del mar Egeo, costellato dalle isole Cicladi, ed è pressoché
equidistante dalle coste del Peloponneso, da quelle asiatiche e dal Nord Africa, e grazie a venti e correnti favorevoli è
facilmente raggiungibile dagli abitanti di queste regioni. Una posizione molto vantaggiosa che ha favorito gli scambi
commerciali e culturali in tutto il bacino del Mediterraneo orientale e reso possibile la sua affermazione di grande potenza
marittima tra il 2000 e il 1400 a.C.
L'isola, abitata fin dal Neolitico da gruppi umani di
origine sicuramente diversa da quella dei greci,
come testimoniano la lingua, i tratti somatici e il
colore più scuro della pelle, oggi si presenta molto
meno verde a causa di un lunghissimo processo
di disboscamento, ma un tempo era ricca di
vegetazione e le sue scarse, ma fertili pianure,
consentivano la coltivazione della vite, dell'olivo,
di diversi alberi da frutto e dei cereali (orzo, miglio,
grano). Era, inoltre, praticato l'allevamento degli
ovini, che fornivano un'abbondante produzione di
lana, e dei maiali.
Creta è prevalentemente montuosa, alcune cime
superano i 2000 metri di altezza e un tempo i
suoi boschi fornivano il legname con cui gli antichi cretesi costruirono le imbarcazioni di una flotta in grado di assicurare
un'intensissima e florida attività economica basata sul commercio marittimo.
La civiltà minoica fiorì all'incirca tra il 3000 e il 1400 a.C.. Gli studiosi hanno diviso la sua storia in tre periodi, corrispondenti
grosso modo alle diverse epoche in cui sono stati edificati i suoi palazzi, veri e propri centri direzionali della vita politica,
economica e sociale dell'isola:
Prepalaziale (3000-2000 a.C.), corrispondente all'epoca in cui i cretesi
diventarono esperti nella lavorazione dei metalli.
Palaziale (1900-1700 a.C.), coincidente con un'epoca di grande splendore
e ricchezza per l'isola.
Neopalaziale (1700-1400 a.C.) epoca in cui i palazzi furono ricostruiti in seguito
ad una catastrofe naturale, più belli e maestosi di prima, e la civiltà rifiorì.
Monte IDA
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LESSICO
Lineare A: forma di scrittura usata a Creta nei documenti ufficiali, non decifrata.
IL COMMERCIO MARITTIMO
I cretesi praticavano la navigazione di cabotaggio, si mantenevano cioè sempre vicini alla costa servendosi del vento o
dei remi, evitando di spingersi in mare aperto, così come del resto facevano tutti i naviganti dell'antichità, perché
l'orientamento in mare aperto costituiva una difficoltà in assenza di punti di riferimento certi. Navigavano quindi solo di
giorno e si fermavano di notte a bordo di imbarcazioni lunghe circa 20 metri.
Verso il 3000 a.C. grazie alla diffusione in tutta quest'area dell'uso dei metalli, Creta iniziò ad avere rapporti con le isole
Cicladi, l'Asia minore e l'Egitto con cui commerciava oro, rame, bronzo, avorio, legname, pietre preziose, oggetti di lusso,
ossidiana, marmo, attraverso un ricco e opulento scambio commerciale, ma anche culturale, di costume, di tecniche e
di uomini come dimostrano gli scavi archeologici in tutta l'area interessata.
Il Mediterraneo orientale pullulava di genti che,
andando per mare, in un incontro sempre fecondo
di culture diverse e complementari, resero grandi le
loro civiltà.
Durante i primi secoli del secondo millennio Creta
visse un nuovo e intenso sviluppo commerciale.
L'isola, infatti, si trovò al centro di un importante
traffico che trasportava lo stagno (indispensabile
nella lega del bronzo) dall'Europa al Mediterraneo
orientale.
Creta, grazie alla sua posizione geografica, diventò
l'intermediaria di questo commercio tra la Grecia,
l'Asia minore, le bocche del Nilo, la Siria di fronte
alla quale si trova Cipro, un'isola ricca di rame, l'altro
elemento indispensabile per realizzare il bronzo.
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Storia Antica - primo anno
I marinai e i mercanti cretesi si recavano in Cirenaica a ricercare spezie esotiche, esportavano le loro produzioni nella
Grecia centrale, a Cipro, nell'alto Egitto, a Byblos, in Fenicia, acquistavano oggetti dalla lontana Babilonia. Il commercio
cretese divenne sempre più florido e l’isola s’impose come potenza senza rivali in tutto il Mediterraneo Orientale,
affermandovi un monopolio economico e commerciale che gli storici hanno definito talassocrazia.
LESSICO
Talassocrazia: Termine di derivazione greca (Thalassa “θαλασσα”, mare, e Kratos “κρατος”, potere), che significa
letteralmente “Dominio del mare” e che indica il potere che si appoggia su questo dominio.
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LESSICO
lineare B: forma di scrittura, usata a Creta e derivata dall’influenza micenea, ci di tipo sillabico.
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Storia Antica - primo anno
LA CIVILTÀ MICENEA
La Grecia occupa la parte più meridionale della penisola
balcanica ed è essa stessa una penisola bagnata dai
mari Egeo, Mediterraneo e Ionio, e circondata da una
miriade di isole di diversa grandezza, il cui gruppo più
consistente è quello delle Cicladi, nel cuore dell' Egeo.
Essa è costituita da un territorio prevalentemente
montuoso, le pianure sono molto spesso delle piccole
vallate o delle esigue strisce costiere, quelle più estese si
trovano nelle regioni della Tessaglia e della Beozia.
Questa configurazione geografica ha influito sulla natura
delle sue genti, condizionandone le scelte sociali,
economiche, politiche e culturali.
Gli antichi abitatori dell'isola, gli Elleni, di origine
indoeuropea, vi arrivarono a ondate migratorie
successive. I primi, attorno al 1600 a.C., furono gli Achei,
seguiti dagli Ioni, dagli Eoli e dai Dori intorno al 1200 a.C.
Essi occuparono territori diversi, si fusero con le popolazioni indigene, a volte in modo traumatico, come nel caso dei
Dori, che s'insediarono con la violenza nei territori occupati in precedenza dagli Achei (soprattutto il Peloponneso).
Provenienti probabilmente dalla penisola balcanica o dalla Russia meridionale, queste genti non costituirono mai uno
Stato unitario, sentirono, però, sempre forte l'appartenenza ad una stessa discendenza, di cui erano testimonianza viva
le comuni lingua e religione; inoltre sapevano coalizzarsi per compiere delle imprese importanti o nei momenti di pericolo.
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La struttura di queste città era l'espressione del carattere bellicoso e conquistatore degli abitanti che, dopo aver occupato
il Peloponneso, si spinsero in mare e appresero dai Cretesi, molto più evoluti, le tecniche della coltivazione dell'olivo e
della vite e quelle della navigazione, riuscendo a diventare, così, degli ottimi mercanti marittimi. Oggetti micenei sono
stati trovati in Sicilia, nell'Italia meridionale e persino in Inghilterra oltre che sulla costa siriana e a Cipro.
Essi fecero anche da intermediari tra l'Asia e l'Europa per l'approvvigionamento, da parte dei popoli del Mediterraneo
orientale, di rame, stagno e ambra.
In oro da Micene,
detta di Agamennone,
ma in realtà anteriore di qualche secolo
a questo sovrano di cui parla Omero.
Infatti, mentre la guerra di Troia si
collocherebbe intorno al 1180 a.C., questa
maschera è databile al XVI sec. a.C. ca.
C’è anche si sostiene che si tratti di un falso.
Vaso miceneo con la rappresentazione di Maschera Funeraria
guerrieri Achei
LA RELIGIONE
Gli Achei erano politeisti, i loro dei dominavano il mondo, avevano le stesse caratteristiche degli uomini, ma a differenza
di loro erano potenti e immortali, come gli uomini avevano pregi e difetti, invidie, generosità e gelosie. Essi potevano
persino innamorarsi degli uomini, avere dei figli con loro ed erano favorevoli soprattutto agli eroi, che erano i veri interpreti
dello spirito acheo, così come ci raccontano l’Iliade e l’Odissea.
Le gesta degli eroi e le vicende degli dei sono la materia del mito. A capo della stirpe divina c’era Zeus, accanto a lui
governavano sulle vicende dei mortali la moglie Era e una miriade di altre divinità, più o meno importanti.
LA SCRITTURA
La scrittura usata dagli Achei era la lineare B, una scrittura sillabica con 89 segni,
impiegata per scopi esclusivamente pratici, commerciali; essa è un dialetto
greco, antenato dei dialetti greci che conosciamo.
Le fonti principali per la conoscenza della civiltà micenea sono i poemi omerici:
Iliade e Odissea. Queste opere, considerate per molti secoli il prodotto della
fantasia, sono invece il racconto, senz'altro alterato e romanzato, di un evento
realmente accaduto: la guerra di Troia.
Fu un ricco commerciante tedesco, Heinrich Schliemann, innamorato dei poemi
omerici, a dimostrare la fondatezza di molto di ciò che in essi veniva narrato;
egli, infatti, a dispetto di tutto, avviò, a proprie spese, una campagna di scavi
basandosi sulla descrizione che Omero aveva fatto di Troia, nell'Iliade.
Nel 1872 l'archeologo identificò il sito della Troia omerica ed ebbe ragione;
valendosi della stessa fonte e della stessa intuizione portò anche alla luce, nel
Peloponneso, la rocca di Micene dove rinvenne le sepolture di coloro che egli
ritenne essere gli eroi della guerra contro Troia. Le tombe erano magnifiche per
la quantità e la qualità degli oggetti di lusso in esse rinvenuti, tra cui gioielli e
maschere facciali d’oro.
La civiltà micenea iniziò a decadere a partire dal XIII sec., ma furono le invasioni
dei Dori, poco dopo il 1200 a.C., a darle il colpo mortale. Il saccheggio, la
distruzione e l'incendio dei palazzi di Tiro, Pilo, Micene e la conseguente fine del
I segni della scrittura sillabica micenea
detta LINEARE B potere dei re sancirono la fine degli Achei.
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la lingua, la religione, le abitudini di vita. Espressione di quest’unica sensibilità ellenica erano i giochi olimpici e gli eventi religiosi
che avevano luogo presso i grandi santuari, soprattutto quelli in cui si trovavano gli oracoli, dove i greci si recavano per celebrare
sacrifici e onorare le comuni divinità con feste e giochi sacri. Solo per questi motivi religiosi le poleis si associarono nella forma
dell’anfizionia (letteralmente associazione dei circonvicini). Tra i giochi sacri i più importanti erano senz’altro quelli olimpici che
furono istituiti nel 776 a.C. e si tenevano ogni quattro anni presso il santuario di Apollo ad Olimpia, nel Peloponneso occidentale,
durante il loro svolgimento venivano sospese le ostilità e tutta la Grecia viveva con grande interesse questo momento.
RELIGIONE
I greci erano politeisti, i loro Dei erano numerosi, ma quelli che svolgevano un ruolo decisivo nelle vicende degli umani erano
dodici e ogni polis aveva una sua divinità protettrice con cui instaurare un rapporto privilegiato e a cui chiedere protezione e
consiglio nei momenti difficili. Zeus, Era, Atena, Afrodite, Ares, Apollo, Efesto, Ermes, Dioniso, Artemide, Poseidone ,Demetra:
erano questi i nomi degli dei con i quali i greci intrattenevano rapporti quotidiani e intensi.
Gli dei abitavano sul monte Olimpo e si occupavano dei vari aspetti della vita degli uomini, avevano caratteristiche umane, sia
fisiche che morali, ma espresse in forme assolute. Come gli uomini gli dei nutrivano odi, vendette e gelosie, si detestavano e
si tradivano, si innamoravano di fanciulle e fanciulli bellissimi esattamente come poteva accadere ai comuni mortali. Le storie
degli dei e degli eroi, figure metà divine e metà umane, costituiscono la materia del mito (racconti leggendari antichissimi,
attraverso i quali i popoli spie gano le proprie origini e le origini del mondo).
ORDINAMENTO SOCIALE
Gli abitanti della polis potevano essere liberi o non liberi e da questa distinzione dipendeva il ruolo e il peso che essi avevano
nella vita pubblica. I non liberi erano gli schiavi, generalmente prigionieri di guerra, ma in seguito anche i contadini che si erano
indebitati con gli aristocratici. Gli schiavi costituivano un elemento fondamentale nella società greca, venivano impiegati in ogni
campo delle attività umane, sia pubbliche che private. Erano operai, muratori, minatori, servi, ragionieri, e persino precettori,
cioè insegnanti privati. La loro condizione li rendeva uomini privi di ogni libertà, poteva accadere, raramente, che si liberassero
dalla schiavitù pagando un riscatto o per volere di un padrone particolarmente generoso. Liberi erano, invece, tutti gli abitanti
della polis, ma non tutti i liberi erano uguali perché non tutti godevano degli stessi diritti. Solo gli individui maschi appartenenti
ad un ghenos, cioè a una delle famiglie più antiche, fondatrici della polis, e proprietari di un appezzamento di terra, godevano
dei diritti civili e politici e quindi erano cittadini, partecipavano cioè al governo della città. I meteci, cioè gli stranieri, sebbene
liberi e residenti nella polis e importantissimi per le attività economiche che in essa svolgevano, non avevano alcun diritto di
cittadinanza perché il presupposto per essere cittadino della polis e godere dei diritti civili e politici era la discendenza familiare
e non la residenza. Le donne non godevano dei diritti civili e politici, esse erano relegate ai ruoli di figlie, di mogli e di madri e
non si emancipavano mai da un rapporto di subordinazione dai padri e dai mariti. Erano fin da piccole educate a occuparsi
dei lavori domestici e dei figli e anche di quelli agricoli se appartenevano a famiglie contadine. Solo a Sparta le donne godevano
di una maggiore libertà.
L'EDUCAZIONE
L’educazione dei bambini avveniva in famiglia mentre l’istruzione era affidata alle scuole private fino all’età dell’efebìa, cioè fino
al compimento dei diciotto anni, quando ai giovani veniva impartita la disciplina militare. Col tempo furono istituite scuole
pubbliche anche per i figli delle famiglie più povere. Solo a Sparta, come studieremo in seguito, l’educazione dei fanciulli aveva
caratteristiche diverse. Per tutto l’VIII sec. le poleis furono interessate da un crescente sviluppo demografico, ciò se da un lato
testimoniava la ripresa complessiva del territorio greco e le migliori condizioni di vita dei suoi abitanti, dall’altro poneva problemi
di sussistenza per gli appartenenti al demos, dal momento che le terre, già esigue in un territorio prevalentemente montuoso
come quello greco , non erano più sufficienti a sfamare una popolazione tanto in crescita e la maggior parte di esse erano di
proprietà degli aristocratici.
LABORATORIO
1) Rispondi alle seguenti domande:
- Quali erano le principali caratteristiche della civiltà cretese?
- Spiega il termine talassocrazia riferito alla civiltà cretese.
- Che significato assume nella realtà storica il mito del Minotauro?
- In che senso i Palazzi cretesi erano il fulcro della vita politica, economica e sociale delle città?
- Quali erano le principali caratteristiche della civiltà micenea?
- Quali sono le fonti principali per la conoscenza della civiltà achea?
- Quale fu la causa della fine della civiltà achea?
- Cosa intendono gli storici con il termine Medioevo ellenico?
- In quale periodo si colloca l'Eta' arcaica e quale ne fu l'elemento più significativo ?
- Pur nelle differenze le poleis avevano elementi culturali comuni, spiega quali.
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Storia Antica - primo anno
SPARTA
Nel 1200 a.C. i Dori invasero la Laconia, la regione più meridionale del Peloponneso, occuparono la pianura circondata
dai monti e attraversata dal fiume Eurota e dall’unificazione politica di quattro villaggi diedero origine alla città di Sparta.
La Laconia confinava a ovest con la regione della Messenia, una delle più estese e fertili pianure della Grecia, abitata da
antiche popolazioni di contadini. I Dori guardarono subito con interesse alla Messenia che avrebbe garantito loro terre
coltivabili, grano e uno sbocco al mare. Dopo lunghi decenni di guerre, tra l’VIII e il VII secolo a.C. la sottomisero e
ridussero i messeni in stato di schiavitù.
Con la conquista della Messenia i Dori costituirono la città-stato con il territorio più vasto di tutta la Grecia.
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L’invasione di questi territori, densamente popolati e ben coltivati , da parte dei Dori fu violenta e sanguinosa, essi non
si fusero mai con i laconi e i messeni nei confronti dei quali conservarono sempre l’atteggiamento dei conquistatori.
Dal canto loro le popolazioni conquistate, numericamente superiori, nutrirono sempre forti sentimenti di ostilità verso chi
aveva tolto loro la libertà e le terre. Il rapporto tra i Dori conquistatori e le popolazioni assoggettate fu, quindi,
necessariamente improntato alla violenza.
Le popolazioni indigene furono private di ogni diritto politico, di quasi tutti i diritti civili, furono espropriate di ogni proprietà
fondiaria, vennero assegnati loro solo alcuni ettari di terra che dovevano bastare al sostentamento delle loro famiglie e
a pagare i tributi ai padroni.
Gli spartani furono costretti a instaurare un regime di governo che controllasse le popolazioni assoggettate
permanentemente, continui per secoli furono, infatti, i tentativi di queste ultime, soprattutto di quella dei messeni, di
riconquistare la libertà, ed è senz’altro questa la ragione per cui gli spartani non lavoravano, non svolgevano alcun
mestiere che non fosse quello delle armi.
Liberi dalle preoccupazioni materiali che ritenevano umilianti, essi trascorrevano l’intera esistenza dediti all’esercizio delle
armi, mentre la massa degli iloti provvedeva al loro sostentamento materiale.
Era questa infatti la prima necessità dal momento che bisognava garantire ad ogni costo e con la forza la stabilità dello
Stato che era per gli spartani la condizione necessaria della loro concezione dello Stato.
Una oligarchia guerriera governò per secoli su una massa inerme di sudditi, orgogliosa del suo ruolo e della sua diversità
rispetto al governo di tutte la altre poleis greche
L’ORDINAMENTO SOCIALE
Dal punto di vista sociale la gerarchia spartana era rigidissima, in alto c’erano gli spartiati, gli unici ad essere liberi e a
godere dei diritti politici, spartiati si nasceva e non si diventava, si poteva però cessare di esserlo se non si rispettavano
i molti obblighi che questa condizione comportava, il loro numero non superava le 15.000 unità e col tempo diminuì
drasticamente, erano loro i discendenti degli antichi dori conquistatori, un mondo chiuso il cui ideale massimo era
diventare un buon soldato. Erano e si consideravano tutti uguali, la loro vita era scandita da rigide regole e dall’impegno
militare che durava fino alla vecchiaia.
Gli spartiati si consideravano “homoioi”, cioè pari e lo erano dal punto di vista militare e politico, mentre da un punto di
vista economico e sociale i discendenti delle famiglie più nobili e antiche erano superiori. Ma non erano la nobiltà e
ricchezza ciò che gli spartani desideravano, bensì l’onore militare. Sparta non ebbe mai mura difensive e conobbe solo
l’invasione dei tebani nel 37 a.C., gli spartiati difesero per secoli la loro poleis e portarono avanti una politica
espansionistica tesa al controllo di tutto il Peloponneso, come vedremo in seguito e il loro esercito fu il più potente della
Grecia.
Al di sotto di loro c’erano i perieci, cioè “quelli che abitano intorno”, essi non risiedevano nella città, ma in villaggi nel
territorio circostante e soprattutto lungo la costa dove si dedicavano ai commerci, erano nominalmente liberi, ma di fatto
non potevano partecipare alla vita politica e avevano diritti molto limitati.
Erano, forse, di stirpe dorica come gli spartiati, ma non appartenevano alle famiglie più nobili e antiche che avevano dato
origine alla polis, e quindi il loro ruolo era comunque marginale, tuttavia affiancavano gli spartiati in guerra, costituivano
infatti le truppe ausiliare e avevano obblighi militari in tempo di pace. Insieme agli spartiati essi erano chiamati Lacedemoni.
Al gradino più basso della società c’erano gli iloti, veri e propri servi della gleba, erano di proprietà dello Stato esattamente
come la terra che lavoravano. Essi lavoravano per il padrone al quale erano assegnati, lo seguivano in guerra armati alla
leggera oppure svolgevano il ruolo di rematori nella flotta.
Erano i discendenti dei laconi e dei messeni, asserviti col terrore, erano numerosissimi e per questo ritenuti molto
pericolosi per la stabilità dello Stato che era continuamente armato contro di loro, pronto a sedare ogni rivolta col sangue
o a terrorizzarli. Il rapporto tra i conquistatori e i conquistati determinò tutta la storia di Sparta che è unica all’interno del
panorama variegato, ma per molti versi simile, delle poleis greche. Sparta fu l’unica polis a mantenere nei secoli, e fino
alla conquista romana, immutati l’ordinamento politico e l’assetto sociale. Essa fu una monarchia o meglio una diarchia,
furono cioè due re a governare, probabilmente i discendenti delle più antiche famiglie di re.
L’ORDINAMENTO POLITICO
La tradizione fa risalire al legislatore Licurgo la costituzione di Sparta, sicuramente una figura mitica dal momento che
invece la costituzione a Sparta sembra essere il risultato di un processo molto lungo.
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Storia Antica - primo anno
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ATENE
Secondo la leggenda Atene sarebbe nata dall’unificazione di numerosi villaggi dell’Attica, ad opera del mitico re Teseo,
attorno alla figura del quale nacquero numerose leggende che lo vedono protagonista di azioni eroiche come quella
della sua lotta col Minotauro.
L’Attica è la regione più orientale della Grecia, una piccola penisola prevalentemente montuosa, ma con ampi spazi
pianeggianti, piccole miniere d’argento e cave di marmo.
Già in epoca micenea Atene era una città florida situata su un’acropoli che la protesse dalla distruzione da parte degli
invasori Dori. Durante i secoli bui del medioevo ellenico, la polis continuò ad essere abitata e governata da una monarchia
di origine achea che, pian piano, fu esautorata da una aristocrazia sempre più decisa a prendere in mano il governo
della città. Gli aristocratici istituirono un governo di nove magistrati detti arconti (da archè, comando): l’arconte re, l’arconte
polemarco che comandava l’esercito, l’arconte eponimo che dava il nome all’anno, e altri sei, detti tesmoteti, che
legiferavano e si occupavano della giustizia.
Una volta cessata la carica, gli ex arconti entravano in un Consiglio detto Aeropago ( perché si riuniva sul colle di Ares)
che affiancava gli arconti nell’amministrazione della giustizia e nella elaborazione delle leggi . E’ probabile che già tra il
VII e il VI sec. a.C., ci fosse ad Atene una rappresentanza del demos, cioè del popolo, sicuramente però con poteri
ancora molto limitati. Un fatto importantissimo nella storia di Atene, ma anche di molte altre polis, è rappresentato dalla
riforma dell’esercito. Nel VII sec. a.C., fu istituita la falange oplitica (chiamata così perché i soldati avevano uno scudo
chiamato òplon), cioè un esercito di fanteria pesante, che per la sua struttura e il modo in cui era concepito, favoriva tra
gli opliti un forte senso di solidarietà e di uguaglianza.
Prima della riforma l’equipaggiamento dei cavalieri era così costoso che solo gli aristocratici potevano permetterselo,
quello di un oplita, sebbene sempre costoso per molti, era comunque più accessibile a tanti commercianti, artigiani,
piccoli proprietari terrieri che, così, entrarono a far parte dell’esercito. La riforma oplitica ebbe un’importanza enorme
per quanto riguarda la strategia militare, essa costituiva infatti una barriera umana fortissima contro le schiere nemiche.
DRACONE
Ad Atene la disuguaglianza sociale cresceva e in assenza di leggi scritte gli aristocratici avevano
sempre ragione, avvalendosi di un sistema basato sulla consuetudine essi di fatto operavano sulla
classe media e su quelle meno abbienti ogni tipo di sopruso. Cresceva così il malcontento e si
acuiva il conflitto sociale. Attorno al 620 a.C. fu redatto un corpo di leggi scritte che la tradizione
attribuisce a Dracone, il primo legislatore. Anche queste leggi erano fin troppo clementi con gli
aristocratici, tuttavia esse rappresentarono un importante passo avanti nella storia della polis.
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Storia Antica - primo anno
SOLONE
Il secondo legislatore ateniese fu l’aristocratico Solone che fu eletto arconte con poteri straordinari nel
594 a.C.. Egli aveva viaggiato molto ed era stato un capo militare durante la guerra che Atene aveva
condotto contro la vicina Megara per il possesso dell’isola di Salamina, era molto stimato e considerato
soprattutto dai ceti popolari in nome dei quali aveva portato avanti una battaglia contro la schiavitù per
debiti . La schiavitù per debiti era la consuetudine da parte degli aristocratici di rendere schiavi i contadini
che, dopo essersi indebitati con loro, non riuscivano a restituire il prestito. Solone abolì la schiavitù per
debiti e rese il provvedimento retroattivo, per cui fece restituite le terre ai contadini a cui erano state tolte
e a quelli divenuti schiavi fu restituita la libertà. Egli varò una riforma sociale che aveva lo scopo di riordinare la costituzione
dello Stato e di pacificare la società ateniese dilaniata dai conflitti tra il demos e gli aristocratici, nel tentativo di limitare il
potere di quest’ultimi. Divise gli abitanti in classi a seconda di quelli che erano i loro possedimenti di terra e i proventi
delle loro attività, il risultato fu che l’appartenenza ad una classe sociale era data dalla ricchezza e non più dalla nascita,
come era sempre successo nel passato. Per misurare la ricchezza egli scelse il medmino, la misura di capacità del grano
e il metreto, la misura di capacità del vino e dell’olio.
Al di sotto di queste categorie si trovavano gli schiavi e i meteci, questi ultimi erano tutti gli stranieri abitanti nella polis
che si occupavano prevalentemente di commercio e di artigianato. A loro era vietato anche diventare proprietari di terra
o di immobili.
Solo chi apparteneva alle prime tre classi sociali godeva di diritti politici e poteva far parte dell’esercito.
L’accesso all’arcontato era riservato solo ai pentacosiomedmini in quanto essi , in caso di malversazione o cattiva
gestione della cosa pubblica, avrebbero potuto rispondere di persona, mentre gli ippeis, o cavalieri, potevano aspirare
a cariche minori. Entrambe le categorie fornivano cavalieri all’esercito mentre gli zeugiti svolgevano il ruolo di opliti.
I teti potevano votare all’ecclesìa ,l’assemblea popolare, e potevano partecipare, dopo aver compiuto i trent’anni, al
tribunale popolare dell’Eliea (un’altra novità istituita da Solone), al quale si potevano rivolgere tutti coloro che si fossero
sentiti danneggiati da una sentenza ritenuta iniqua.
In questo modo Solone inaugurava il principio della timocrazia, secondo il quale non era la nascita a determinare
un’appartenenza ma il censo, contemporaneamente però tentava di limitare il potere degli aristocratici consentendo
l’ingresso nella vita pubblica anche ad altre classi sociali.
LA TIRANNIDE DI PISISTRATO
Nonostante lo sforzo di riformare la società ateniese compiuto da Solone, i contrasti tra le classi sociali
e il malcontento crebbero, sempre a causa dello strapotere degli aristocratici e avvenne ad Atene,
come in molte altre poleis, che si ricorresse all’opera di un tiranno, un individuo considerato capace
di salvaguardare i diritti del popolo e di riportare la pace in città. Col tempo l’istituzione della tirannide,
che all’origine aveva intenti e carattere positivi, acquistò una connotazione negativa perché molto
spesso il tiranno s’impossessava del governo della città che addirittura lasciava in eredità ai figli.
Ad Atene la tirannide di Pisistrato, un aristocratico che prese il potere della città nel 546 a.C., con
l’appoggio dei ceti popolari dopo vari tentativi falliti, non pacificò le parti in lotta, perché i problemi
sociali erano tanti e complessi, ma le tenne a bada assicurando alla polis un periodo di prosperità e crescita economica.
Attraverso un’azione di governo che favorì i contadini e diede grande impulso all’artigianato, al commercio e alle opere
pubbliche, Pisistrato riuscì a rimanere al potere e a far ereditare il governo ai suoi figli, Ippia e Ipparco, che non furono
però in grado di conservarlo.
La tirannide ad Atene coincise con un periodo di generale sviluppo per la città: fu abbellita l’acropoli con nuovi templi e
la religione assunse ancora maggiore importanza, fu allestita una flotta navale in grado di intraprendere una politica
espansionistica e di colonizzazione moderata. Tutto sommato il governo di Pisistrato fu attento al benessere materiale
dei cittadini, non fu crudele o repressivo come quello di molti altri tiranni greci del sesto secolo.
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CLISTENE
Nel 508 a.C., dopo un lungo periodo di conflitti tra aristocratici e popolari fu eletto arconte Clìstene,
il cui principale intento fu quello di spezzare il potere degli aristocratici e di dare più spazio al demos
che durante la tirannide si era notevolmente trasformato, acquistando una maggiore consapevolezza
della propria condizione e delle proprie potenzialità.
Base della sua opera riformatrice fu la divisione del territorio dell’Attica in tre diverse zone: la costa
( Paralia )dove era molto sviluppato il commercio; l’interno ( Mesogea) più povero e montuoso; la
città ( Astu ); attorno alla quale si stendevano le pianure.
Ognuna di queste zone fu divisa in piccole unità amministrative chiamate demi. Più demi formavano
delle unità amministrative più grandi chiamate trittrie che erano in tutto trenta, dieci per ogni zona. Tutta la popolazione
fu poi divisa in dieci tribù, ognuna delle quali era formata dai membri di tre trittie: una della costa, una dell’interno, una
della città. In questo modo Clistene assicurava la presenza, in ogni tribù, dei rappresentanti di tutte le classi sociali: i
ricchi aristocratici proprietari dei latifondi; i commercianti e gli artigiani; i contadini, anche quelli più poveri. Tutti i cittadini
ateniesi potevano partecipare alla vita politica della città ad eccezione dei teti e dei meteci ai quali non era ancora
riconosciuto alcun diritto.
Le tribù eleggevano per sorteggio i cinquecento membri della Bulè, un nuovo organo dello Stato istituito da Clìstene che
col tempo divenne sempre più importante. L’attività annuale della bulè era scandita in dieci sezioni che corrispondevano
ai dieci mesi dell’anno, ogni sezione era detta pritanìa.
A turno ogni tribù presiedeva la Bulè per una decima parte dell’anno. Alla Bulè spettavano funzioni di controllo e le
proposte di legge.
L’altro importante organo di governo era l’ecclesìa cioè l’assemblea popolare, alla quale partecipavano tutti i cittadini
ateniesi che avessero compiuto i venti anni , essa approvava, modificava, respingeva le leggi presentate dalla Bulè,
eleggeva ogni anno i magistrati (gli arconti, eletti uno per tribù) e gli strateghi (i comandanti dell’esercito). Tutti i suoi
membri rimanevano in carica un anno e non potevano essere eletti più di due volte nella vita e comunque non di seguito.
Ciò per scoraggiare ogni tipo di attaccamento al potere e ai vantaggi che ne potevano derivare.
Affinchè nessun cittadino ateniese assumesse più potere di altri, Clìstene introdusse la pratica dell’ostracismo, che
consisteva nella denuncia ( scritta su di un pezzo di coccio chiamato ostrakon), da parte dei componenti dell’ecclesìa,
di coloro ritenuti pericolosi per l’equilibrio dello Stato. Chi era denunciato dalla maggioranza era costretto all’esilio per
dieci anni. Ciò se da una parte impediva l’instaurarsi di una nuova tirannide, dall’altra poteva mandare in esilio individui
senza alcuna intenzione di cospirare contro lo Stato. L’ostracismo finì col diventare una pratica molto abusata della lotta
politica tra fazioni, bastava che un personaggio riscuotesse simpatia o fosse economicamente e socialmente potente
per essere inviso ai più e quindi ostracizzato.
La riforma di Clìstene secondo gli storici, primo fra tutti Erodoto, coincide con la nascita della democrazia(da demos =
popolo e kràtos = potere), cioè con la partecipazione diretta di tutti i cittadini al governo della città. E se è vero che i
cittadini meno abbienti non potevano ricoprire alcune importanti magistrature con poteri esecutivi e giudiziari, e vero
anche che tutti i cittadini potevano partecipare al governo dello Stato mediante il sorteggio nella Bulè. Nonostante questo
spesso furono gli stessi cittadini meno abbienti a rinunciare alla partecipazione alla vita politica che significava l’abbandono
del proprio lavoro di contadino o di artigiano, e nonostante l’introduzione del gettone di presenza per incoraggiarne la
partecipazione di fatto gli aristocratici continuarono ad essere i protagonisti indiscussi della scena politica ateniese.
Tuttavia è proprio così: è in Grecia, ad Atene, in questo momento storico che è nata la democrazia. Essa non era
considerata allo stesso modo di come la consideriamo noi oggi, era una forma di governo tra le tante e da molti non fu
apprezzata necessariamente come la migliore. Insieme a quello della democrazia si affermarono altri importanti principi,
come quelli della isonomìa, cioè dell’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e quello della isegorìa, cioè della
piena libertà di parola. Sono principi che sono arrivati fino a noi e che sono alla base della nostra vita politica.
LESSICO
Democrazia (da demos = popolo e kràtos = potere): forma di governo in cui il popolo interviene direttamente o
indirettamente nella gestione del potere
Isonomia: (da isos=uguale e nomos= diritto) riconoscimento per tutti i cittadini di uguali diritti
Isegoria: (da isos e αγορεύω= parlare in assemblea) riconoscimento per tutti i cittadiii del diritto di parlare in
assemblea
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Storia Antica - primo anno
Dopo aver conquistato la Lidia (546 a.C.), Ciro aveva esteso il controllo dell’impero anche sulle città greche dell’Asia
Minore. Benché il dominio persiano non fosse particolarmente gravoso, iniziò a serpeggiare un diffuso malcontento
verso i dominatori, i quali chiedevano un costante versamento di tributi e inoltre affidavano il governo dei territori a satrapi
loro devoti, spesso non graditi alle popolazioni locali.
La situazione precipitò nel 499 a.C., quando Mileto insorse contro i dominatori, ben presto seguita da altri centri della
Ionia. Consapevoli di non poter affrontare da sole l’esercito persiano, le città in rivolta chiesero aiuto militare alle poleis
greche, ma solo Atene e Eretria, nell’isola Eubea, mandarono rinforzi, la prima inviando venti navi, l’altra cinque.
Gli insorti riuscirono a ottenere qualche successo, arrivando persino a occupare Sardi, la città principale della satrapia.
La reazione di Dario non si fece attendere. L’esercito persiano non solo riuscì a sedare la rivolta, ma, obbedendo agli
ordini del Gran Re, rase al suolo Mileto, uccise e ridusse in schiavitù i suoi abitanti (494 a.C.). La violenta punizione
doveva costituire un deterrente per altre eventuali sedizioni .
La vicenda, però, non era finita così. Dario infatti non poteva accettare che le poleis greche avessero osato intromettersi
nella politica di territori da lui controllati e anche per loro voleva una punizione esemplare . Come dice Erodoto, le navi
inviate da Atene e Eretria in aiuto agli insorti “furono l’inizio delle sciagure per i Greci e per i barbari”.
Nella primavera del 490 a.C. la flotta persiana, comandata dai generali Dati e Artaferne, navigava alla volta della Grecia.
Dopo aver espugnato Eretria, si diresse verso l’Attica, sbarcando nella baia di Maratona, a una quarantina di chilometri
da Atene. Consapevoli del pericolo, gli Ateniesi chiesero aiuto agli Spartani, ma Sparta si rifiutò di mandare
tempestivamente dei rinforzi, perché la celebrazione di alcuni riti sacri non consentiva di dare inizio ad imprese militari.
Il generale ateniese Milziade decise allora di schierare un contingente di 10.000 opliti, molto inferiore rispetto all’esercito
persiano che, a quanto racconta Erodoto, aveva 20.000 soldati. Nello scontro però gli Ateniesi riuscirono a sbaragliare
il nemico, costringendolo a riprendere il mare.
Dal punto di vista strettamente militare la vittoria di Maratona ebbe un’importanza inferiore rispetto alla sua fama.
La sconfitta, infatti, non intaccò la potenza dell’impero persiano, che non perse alcun territorio, né fu particolarmente
dannosa per il grandissimo esercito del Gran Re. Rilevanti invece furono le conseguenze sotto l’aspetto psicologico,
poiché la vittoria di Maratona trasmise alla poleis greche, e soprattutto a Atene, un’incredibile fiducia nelle proprie capacità
belliche. Da quel momento la città dell’Attica sentì di possedere un primato militare che, fino a quel momento, era
appartenuto solo a Sparta.
La battaglia dimostrò anche che la falange oplitica, meglio armata, più compatta e più organizzata del contingente
persiano, era in grado di sostenere vittoriosamente temibili sfide.
La battaglia di Maratona
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LESSICO
Oplita: era il soldato della fanteria pesante, armato con una corta spada in ferro, una lancia e uno scudo. Indossava
una corazza pesante, l’elmo e schinieri in bronzo.
Falange oplitica: formazione di combattimento, composta dalla fanteria pesante (gli opliti). Avanzava compatta
con le lance alzate e con gli scudi posti davanti alle parti più vulnerabili del corpo, in modo da costituire una sorta
di muro agli attacchi nemici.
Una nota definizione considera Erodoto “il padre della storia”. Fu lui infatti
il primo ad intendere la storia come ricerca e soprattutto fu il primo a
ricercare le cause degli eventi storici.
Così infatti scrive all’inizio della sua opera: “ Questa è l’esposizione che
Erodoto di Tiro fa delle sue ricerche, affinché gli avvenimenti umani non
sbiadiscano nell’oblio col tempo e le grandi e meravigliose imprese
compiute tanto dai Greci quanto dai Barbari non restino senza gloria.
Le sue Storie trattano del conflitto greco-persiano, ma non si limitano
solo a presentare eventi bellici e politici, poiché egli riserva ampio spazio
alla descrizione dei costumi dei popoli, in quanto concepisce la storia
anche come il prodotto di credenze a tradizioni.
Spinto sempre dal desiderio di capire, si accosta con tolleranza a usi
diversi da quelli dei Greci. Nella sua opera si legge infatti: “Se si
proponesse a tutti gli uomini di vagliare le varie usanze e li si invitasse a
scegliere le migliori ciascuno, dopo aver ben ponderato, preferirebbe
quelle del suo paese. A tal punto ciascuno è convinto che le proprie
usanze siano le migliori di tutte”.
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Storia Antica - primo anno
LESSICO
Triremi: navi da guerra che utilizzavano come propulsione tre file di rematori disposti sulle due fiancate. Erano
anche dotate di vela.
Particolarismo politico: si intende il fatto che ogni città-stato difendeva gelosamente la propria indipendenza, le
proprie istituzioni, le proprie linee politiche e spesso ciò comprometteva la collaborazione fra le poleis
Truppe mercenarie: truppe composte da soldati di mestiere, che ricevono uno stipendio per il lavoro prestato.
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LABORATORIO:
LE GUERRE PERSIANE
L'ETA' DI PERICLE
Nel 460 a.C. ad Atene venne eletto stratega Pericle, un giovane aristocratico di idee
democratiche, colto e intelligente, che rimase alla guida della città per trent’anni, dal
460 al 429, anno della sua morte.
Questo periodo della storia della polis è stato definito dagli storici “Età di Pericle” e
coincide col periodo di massimo splendore della civiltà greca, di cui Atene è
l'indiscussa protagonista.
Pericle fu amante e sostenitore delle Arti e della cultura, elementi che ritenne
indispensabili per affermare la grandezza di Atene in tutto il territorio greco, ma che
sentiva anche espressioni profonde del suo animo.
Durante i trent'anni del suo governo, Pericle portò la polis a diventare un
importantissimo centro commerciale e finanziario, grazie ad una politica estera
aggressiva e spregiudicata.
Nella politica interna operò in modo da favorire la partecipazione di tutti i cittadini alla vita della polis e di limitare il potere
degli aristocratici, in questo senso possiamo affermare che egli si impegnò ad estendere la Democrazia.
Nel 480 a.C. Atene era stata distrutta dai Persiani, il suo luogo simbolo, l’acropoli, non esisteva più. Pericle fu l'ideatore
della ricostruzione che la rese splendida. L’agorà, il luogo in cui i greci svolgevano tutte le loro attività pubbliche e
commerciali, fu interessata da un ampio progetto di riqualificazione urbana, mentre il porto del Pireo, indispensabile per
la ripresa del traffico commerciale, fu ricostruito su progetto dell’architetto Ippodamo da Mileto.
I costi, altissimi, furono sostenuti grazie al tesoro della Lega di Delo ( un’alleanza politica e militare tra molte poleis
dell’Attica ), e alle ricche miniere d'argento. L'uso del denaro della Lega, frutto dei tributi pagati da tutte le poleis aderenti,
provocò sconcerto e disapprovazione persino tra gli stessi ateniesi.
Per la direzione dei lavori dell'immenso cantiere dell’Acropoli, tra i quali spiccava il Partenone, fu chiamato Fidia (lo
scultore più grande dell’antichità insieme al contemporaneo Policleto, anch’egli attivo ad Atene negli stessi anni ed autore
del Doriforo) autore, insieme ad un enorme numero di collaboratori, degli splendidi fregi che lo adornavano (oggi
conservati al British Museum di Londra e in minor parte al Louvre di Parigi). Il progetto del tempio, che doveva accogliere
la statua in oro e avorio della dea Atena Parthenos, protettrice della città, fu affidato agli architetti Iktinos e Callikrates.
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Storia Antica - primo anno
Il Partenone è il più imponente monumento dell’acropoli di Atene, la meglio conservata del mondo greco, ma non l’unico.
Accanto ad esso troviamo : i Propilei; il tempio di Atena Nike; l’Eretteo con la famosa Loggetta delle Cariatidi ( statue di
fanciulle vestite con ricchi pepli, che sorreggono l’architrave al posto delle colonne).
Tutti i monumenti e le sculture esprimono misura, armonia delle forme e delle proporzioni, rispondono cioè all’ideale
classico della bellezza che, attraverso i secoli, è giunto fino a noi.
Oltre alla scultura e all'architettura, anche la letteratura ebbe un importante ruolo nell’Atene di Pericle. La tragedia e la
commedia, nate come poemi da declamare durante le feste dionisiache, divennero, nel V sec., delle opere letterarie
grazie ad Aristofane, autore di commedie, e Sofocle, Eschilo ed Euripide, autori di tragedie.
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Democrito
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E’ opportuno ricordare però che i cittadini, quindi tutti coloro che potevano esprimersi politicamente, erano ancora una
percentuale esigua della popolazione ateniese e che solo un decimo di essa godeva dei diritti politici.
Pericle continuò una politica estera imperialista e portò Atene a scontrarsi con la Persia e con Sparta. Con la prima
stipulò il trattato di Callia nel 449 a.C., e con la seconda nel 446 a. C firmò una pace che stabiliva le aree d’influenza
dell’una e dell’altra polis.
La tregua che avrebbe dovuto essere trentennale durò molto meno, ad inasprire Sparta e i suoi alleati della Lega
Peloponnesiaca (l’alleanza militare che si era costituita intorno a Sparta verso la metà del VI sec. a.C.,tra le poleis del
Peloponneso ), ma anche gli stessi alleati di Atene, era ancora una volta l’imperialismo ateniese, sempre più aggressivo,
anche nei confronti degli stessi alleati della Lega di Delo, trattati ormai sempre più come sudditi.
LESSICO
Imperialismo ateniese: la politica estera di Atene che, dopo la vittoria sui Persiani, si impegnò politicamente e
finanziariamente ad affermare la propria supremazia sul territorio greco e delle colonie.
Pericle sapeva che Sparta avrebbe presto sfruttato a proprio vantaggio il clima di tensione che si era creato tra Atene e
gli alleati della Lega di Delo a causa della prepotenza ateniese e volle anticiparne le mosse portando la città rivale
all’esasperazione e quindi ad uno scontro armato, convinto che Atene ne sarebbe uscita vittoriosa.
Il pretesto fu l’emanazione di un decreto col quale si impediva alla polis di Megara, alleata di Sparta, di accedere ai porti
e ai mercati della Lega Delio-Attica e l’invio, l’anno seguente, di un contingente contro Potidea, alleata di Sparta, che
reagì esattamente come Pericle aveva previsto e, a distanza di soli tredici anni dal trattato di pace, nel 431 a.C. scoppiava
la guerra tra Atene e Sparta che coinvolse tutti gli alleati dell’una e dell’altra polis, insanguinò l’intera penisola greca e fu
causa del suo irreversibile declino.
La guerra aveva motivazioni economiche, ma sottese ad esse, e altrettanto forti, c’erano le motivazioni culturali e
ideologiche che opponevano Atene e Sparta da sempre e che avevano radici antiche quanto la loro stessa fondazione.
Da una parte c’era la democratica, bella e colta Atene, capace di una politica estera aggressiva e imperialista persino
con i suoi stessi alleati; dall’altra la chiusa, autoritaria e militarizzata Sparta, in grado però di tenere testa alle pretese
egemoniche ateniesi.
La ragione dello scontro tra Atene e Sparta, della guerra che sconvolse il territorio greco e segnò la fine della civiltà delle
poleis, fu innanzitutto la politica estera ateniese, tesa ad affermare in tutta la Grecia e nelle colonie il proprio predominio
economico, politico e culturale.
La guerra del Peloponneso visse due fasi, la prima va dal 431 al 421 a.C. e si concluse con la pace di Nicia che negli
accordi doveva durare cinquant’anni, ma nei fatti non fu così; la seconda va dal 415 al 404 a.C. e si concluse con la
vittoria di Sparta.
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L’ELLENISMO
Per secoli la Macedonia era rimasta uno stato marginale, con un’organizzazione politica
monarchica e arcaica, in cui rivestivano grande importanza le famiglie aristocratiche, che
avevano anche il diritto di eleggere il re.
Benché gli abitanti parlassero un dialetto di origine greca, gli Elleni li consideravano barbari
e non avevano mai guardato con timore a questo stato limitrofo, chiuso nel suo isolamento.
Ma, a partire dal 359 a.C., gli equilibri erano destinati a cambiare rapidamente. In
quell’anno infatti divenne re dei Macedoni Filippo II, della dinastia degli Argeadi. Colto,
determinato, dotato di grande realismo politico e di non comuni capacità diplomatiche e
militari, Filippo consolidò e fece progredire il suo regno. Rafforzato il potere regale a scapito
dell’aristocrazia, si dedicò alla riorganizzazione dell’esercito, creando la potentissima
falange macedone.
Filippo II di Macedonia
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ALESSANDRO MAGNO
Non sempre la storia è segnata da eventi che determinano la fine di un’epoca e ne aprono
una nuova. Così avvenne, però, nel periodo in cui regnò Alessandro (336-323 a.C.), ricordato
con l’appellativo di Magno (il Grande).
Successore di Filippo sul trono della Macedonia, egli riuscì a operare una svolta tanto radicale
non solo per le eccezionali imprese compiute, gravide di interessanti sconvolgimenti politici,
ma anche perché segnò un cambiamento definitivo nello spirito della cultura, fino ad allora
dominato dal centralismo del mondo greco, facendo finire l’età classica per dare inizio a una
nuova era: quella ellenistica.
Alessandro iniziò a governare a soli vent’anni, ma già precedentemente aveva affiancato il
padre, distinguendosi anche per il suo eroismo nella battaglia di Cheronea.
Tutte le fonti antiche gli riconoscono doti eccezionali, come sovrano, come guerriero e come estimatore del sapere, caratteristica
acquisita anche grazie al suo precettore, il filosofo Aristotele, che gli aveva insegnato ad apprezzare la cultura greca.
I primi anni del suo regno vennero dedicati al consolidamento del potere. L’ascesa al trono di “un ragazzino”, come lo
definì Demostene, aveva spinto i suoi nemici alla rivolta. Fece dunque una campagna al nord della Macedonia, per
sconfiggere gli Illiri, e, proprio lì, gli arrivò la notizia che Tebe aveva cacciato la guarnigione macedone imposta dal padre
Filippo e stava organizzando una lega di poleis greche per muovergli guerra.
La reazione del giovane sovrano fu immediata e terribile: rase al suolo Tebe e rese schiavi i suoi abitanti . La ferocia
doveva servire da deterrente per altre sedizioni e dimostrare al mondo greco la sua determinazione al comando.
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Nella primavera del 334 Alessandro iniziava la spedizione partendo da Pella, capitale della Macedonia, con un esercito
di circa 35.000 uomini, per lo più Macedoni. Subito dopo aver attraversato lo stretto dei Dardanelli, nella battaglia presso
il fiume Granico vinse un contingente organizzato dai satrapi persiani e, in tal modo, riuscì a liberare la Lidia e tutte le
città greche dell’Asia Minore.
A Isso (333) avvenne il primo scontro con Dario III. La clamorosa vittoria gli consentì la conquista della Siria, della Fenicia
e della Palestina.
Da lì passò in Egitto; accolto dalle popolazioni locali come un liberatore, si fece incoronare faraone e, rispettando le
tradizioni degli Egiziani, permise loro di adorarlo come figlio del dio Ammone. Fondò inoltre la città di Alessandria, che
ben presto diventò uno dei più importanti centri culturali del mondo antico.
Riprese quindi la via dell’Asia, all’inseguimento di Dario III, e lo sconfisse definitivamente a Gaugamela (331 a.C.),
occupando poi Babilonia, Susa e Persepoli. La guerra contro i Persiani era terminata, per questo Alessandro congedò
le truppe greche, tenendo con sé in Oriente solo i Macedoni e i volontari, coi quali continuò la campagna di conquista
fino all’Indo. Pensava infatti alla realizzazione di un ambiziosissimo progetto: estendere il suo potere su tutto il mondo
fino ad allora conosciuto, costituendo un impero universale.
Conquistò i territori dell’attuale Afghanistan e del Pakistan ma, dopo otto anni di ininterrotte campagne militari, i soldati
stanchi lo costrinsero al ritorno. Nel 324 giunse a Babilonia, dove iniziò ad occuparsi dell’organizzazione politica dei suoi
vastissimi territori. Tuttavia non ne ebbe il tempo, perché appena un anno dopo morì, probabilmente per febbri malariche.
IL CONCETTO DI ELLENISMO
Le straordinarie imprese militari gli avevano consentito di fondare un impero enorme; con lui era anche iniziato il periodo
ellenistico, caratterizzato dalla mescolanza e della fusione della cultura occidentale con quella dell’Oriente. Alessandro
stesso si era unito in matrimonio con Rossane, una principessa persiana, e aveva imposto ai suoi veterani di fare
altrettanto.
Era questa una novità veramente eccezionale, perché fino a quel momento i vinti diventavano schiavi, gli stranieri nemici
da soggiogare. Promosse l’istruzione della cultura greca fra migliaia di giovani orientali, li addestrò all’arte della guerra
secondo la tecnica macedone, convinto che fra i popoli del suo vasto dominio non dovessero esistere più barriere e
fratture.
La straordinaria avventura di Alessandro aveva inoltre contribuito ad ampliare i confini della conoscenza del mondo,
aveva fatto nascere l’idea di uno stato cosmopolita, senza distinzioni fra le razze, unite fra loro da una lingua comune:
il greco, che iniziò ad essere parlato nella varie parti dell’impero al posto degli idiomi e dei dialetti locali.
Sempre per fondere tradizioni occidentali con quelle orientali, Alessandro accettò di farsi adorare come dio da alcuni
popoli conquistati e impose a corte il cerimoniale della proskynesis, ossia la prostrazione davanti al sovrano, suscitando
fra l’altro la disapprovazione dei Macedoni, che non potevano accettare la divinizzazione dell’imperatore, troppo lontana
dalla loro concezione di regalità.
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Si è a lungo discusso su questa sua decisione, tanto estranea alla sensibilità della cultura greca, che fu sempre la matrice
dominante del suo pensiero. E’ probabile che essa su dettata da un’avveduta scelta propagandistica. Il suo dominio
infatti si estendeva su popoli usi a considerare divinità i propri regnanti, aspetto che il realismo politico di Alessandro non
poteva certo trascurare.
LESSICO
Guarnigione: truppe messe a difesa o a controllo di un luogo
Impero universale: un impero che si estendeva su quasi tutte le terre allora conosciute.
Veterani: militari con molti anni di servizio.
Stato cosmopolita: comprendente più territori e popoli.
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LE MONARCHIE ELLENISTICHE
I regni ellenistici furono caratterizzati da peculiarità molto differenti fra loro, che in parte si innestavano sulle tradizioni
politiche precedenti alla propria formazione.
Tuttavia, anche in un contesto così variegato, si possono individuare degli elementi comuni.
Erano innanzitutto monarchie assolute a carattere territoriale e dinastico, in cui la regalità della famiglia al trono aveva
tratto origine dalla forza delle armi e dove il re era fonte di ogni potere.
Scomparve la partecipazione dei cittadini alla vita politica, poiché gli abitanti venivano relegati al ruolo di sudditi. Le
antiche virtù civili, tanto care ai cittadini di molte poleis greche, non erano più sentite come patrimonio della collettività,
poiché la politica si svolgeva indipendentemente dalla partecipazione dei sudditi. Questa situazione determinò un
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progressivo disinteresse degli abitanti nei confronti della politica, le stesse speculazioni filosofiche se ne allontanarono,
assumendo delle caratteristiche più intimiste, volte a dare una risposta a problematiche riguardanti l’individuo e non il
bene comune, come in passato era invece avvenuto, quali per esempio: il conseguimento della felicità e le problematiche
concernenti la religione.
In gran parte dei regni ellenistici non si realizzò la completa fusione, tanto auspicata da Alessandro, fra l’elemento greco-
macedone e quello autoctono, in quanto il primo costituiva la classe dominante vicina al sovrano e deteneva le principali
cariche burocratiche. Gli stessi eserciti erano per lo più greco-macedoni.
Il funzionamento degli stati era affidato a un’efficiente e organizzata burocrazia, i cui vertici venivano direttamente scelti
dai sovrani. Solo gli incarichi amministrativi meno importanti erano affidati a elementi locali.
Pesante l’imposizione fiscale, da essa infatti i re traevano i proventi per il funzionamento della macchina burocratica, di
quella militare e per le ingenti spese delle corti.
Altare di Pergamo
L’ECONOMIA
Anche in ambito economico il mondo ellenistico si presentava in modo eterogeneo, per cui le linee generali che si possono
tratteggiare sono estremamente essenziali
Dappertutto l’agricoltura rimase l’attività principale, spesso molto fiorente come in Egitto, che deteneva il primato nella
produzione di grano. La diffusione della vite e dell’olivo in molti territori che erano in grado di vendere questi prodotti a
prezzi concorrenziali spesso danneggiò le esportazioni della Grecia. La proprietà fondiaria era concentrata nelle mani di
pochi possidenti e ciò accentuò gli squilibri sociali, resi ancora più aspri dall’abbondanza di schiavi, che toglievano il
lavoro ai contadini salariati.
Le conquiste di Alessandro avevano ampliato i confini del mondo conosciuto e da ciò trassero enorme beneficio i commerci,
ulteriormente incentivati dalla regolare circolazione della moneta, dalla costruzione di strade, di ponti e di scali portuali.
Carovane di mercanti e navi mercantili si spingevano fino all’Oceano Indiano, al Golfo Persico e al deserto dell’Arabia, per
acquistare merci rare come: le spezie, le stoffe pregiate, le pietre preziose, i profumi e gli elefanti da guerra.
Atene e il porto del Pireo persero la passata centralità commerciale, sostituiti da Rodi, che costituiva un vero e proprio
crocevia fra l’Europa, l’Asia e l’Africa, e dalla città di Alessandria.
Un fenomeno peculiare dell’età ellenistica fu la rilevante urbanizzazione; si incrementò lo sviluppo delle città esistenti e
molti sovrani, seguendo l’esempio del grande Alessandro, ne fondarono di nuove.
Moneta ellenistica
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U.d.A. 6
GLI ITALICI E ROMA
L’ITALIA PREROMANA
GLI ITALICI
I popoli che abitarono l’Italia prima che questa venisse definitivamente unificata dai romani, nel III secolo a.C., vengono
genericamente detti “Italici”. Questi vanno distinti sia dai Punici (cartaginesi), che colonizzarono le coste occidentali della
Sicilia e quelle meridionali e settentrionali della Sardegna, sia dai greci, che colonizzarono ampiamente le coste dell’Italia
Meridionale e della Sicilia ad est e a sud. Questi coloni greci, anzi, vengono definiti meglio dai termini “Italioti”, per quelli
dell’Italia Meridionale, e “Sicelioti”, per quelli della Sicilia, termini coi quali gli stessi greci li identificavano
Le popolazioni italiche vengono suddivise, sulla base delle lingue da loro parlate, in due grandi gruppi: preindoeuropei e
indoeuropei. Al primo appartengono tutte quelle popolazioni che
abitavano la penisola già prima che vi giungessero quelle del
ceppo linguistico indoeuropeo, tra il secondo ed il primo millennio
a.C. Queste antiche popolazioni vengono considerate autoctone,
vale a dire originarie del luogo, anche se anch’esse, in epoche
remote della preistoria, erano giunte in piccoli gruppi da terre
lontane. Certo, queste popolazioni si erano ormai radicate nei
territori in cui vivevano, costituendo, soprattutto dal neolitico in
avanti, delle culture più o meno ben definite. A partire dall’Età del
Bronzo, poi, si erano fatte sentire le influenze delle superiori civiltà
del Mediterraneo Orientale, soprattutto col sopraggiungere dei
primi popoli navigatori, e forse anche colonizzatori, come i Minoici
ed i Micenei, che giunsero sulle coste italiane per scambiare i loro
raffinati prodotti con le materie prime di cui avevano bisogno. Gli
apporti materiali e culturali di queste civiltà furono talmente intensi
da spingere alcuni studiosi a supporre il costituirsi di una comune
civiltà mediterranea. Il successivo arrivo, con l’inizio dell’Età del
Ferro, dei Fenici prima e dei Greci poi, stimolò lo sviluppo di vere
e proprie culture superiori, una delle quali, quella degli Etruschi,
giunse a realizzare una vera e propria civiltà.
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Nel frattempo, però, erano sopraggiunte alcune ondate migratorie di Indoeuropei, in gran parte da Est, dalle coste
occidentali della Penisola Balcanica, ed in parte anche da Nord. Probabilmente non si trattò di una o più massicce
ondate migratorie, bensì di continue infiltrazioni di gruppi umani, più o meno consistenti, che alla fine produssero un
quadro linguistico-culturale della Penisola assai più complesso del precedente. Qualche studioso moderno avanza perfino
l’ipotesi che nascano da qui il campanilismo e la tipica frammentazione politica dell’Italia.
Comunque sarebbe un errore considerare l’Italia preromana come divisa semplicemente tra popolazioni preindoeuropee
ed indoeuropee, perché ciascuna di queste due grandi unità linguistiche era a sua volta suddivisa in vari sottogruppi,
ciascuno dei quali appariva solo in minima parte collegato agli altri. Nell’Età del Ferro, pertanto, si possono individuare
in Italia i seguenti grandi gruppi linguistici: Veneto, Retico, Ligure, Etrusco, Piceno, Umbro, Latino, Osco, Messapico,
Siculo, Sicano, Elimo. Ad essi vanno aggiunti quelli degli invasori punici, greci e celtici.
Per quanto concerne le grandi aree etnico-culturali, più o meno
corrispondenti a quelle linguistiche, sono state identificate nel Nord
quelle Atestina, di Golasecca e Villanoviana; nel Centro, quelle
adriatiche ad Est, in particolare Picena ed Apula-Salentinta, e quella
Laziale ad Ovest; nel Sud quella delle Tombe a fossa ed infine quelle
insulari della Sicilia e della Sardegna Nuragica.
Uno degli aspetti culturali più interessanti per individuare
archeologicamente una cultura antica, è rappresentato certamente
dal culto dei morti, soprattutto dal modo in cui veniva trattato il corpo
del defunto. In particolare, possiamo distinguere tre diverse modalità:
la conservazione (come, ad esempio, la mummificazione degli egizi),
la semplice inumazione (cioè il puro e semplice seppellimento del
cadavere) ed infine la cremazione o incinerazione (cioè l’uso di
bruciare il corpo per ridurlo in cenere). Ebbene, durante l’Età del Ferro
in Italia erano diffuse sia l’inumazione sia la cremazione dei corpi. Nel
Nord prevaleva la cremazione; nel Centro c’erano luoghi in cui
coesistevano i due riti; nel Sud era prevalente l’inumazione. È però
significativo il fatto che la prevalenza di un rito non escludesse
completamente l’altro, perché indica la compresenza di gruppi
culturali, e forse anche etnici, diversi.
IL VILLANOVIANO
In questo quadro articolato e complesso dell’Età del ferro italiana, , il Villanoviano emerge come fenomeno più importante,
perché più ricco, vario e gravido di sviluppi. Il nome deriva dalla località di Villanova, in provincia di Bologna, dove vennero
ritrovati ed identificati per la prima volta i resti di questa cultura. Essa era caratterizzata da tombe a cremazione, in cui le
ceneri venivano deposte in grandi urne biconiche ad impasto nero, decorate con motivi geometrici incisi, generalmente
con una sola ansa e con la bocca coperta da una ciotola o da un elmo di bronzo o di terracotta.
Certamente l’elmo identificava un guerriero ed un personaggio importante, per il quale la stessa urna poteva essere di
bronzo. La ciotola, invece, poteva forse identificare una donna o una persona comune. Nell’area tirrenica, dove poi
sorgerà la civiltà etrusca, oltre a queste tipologie, compare anche la cosiddetta urna a capanna, che riproduceva la forma
delle abitazioni, con il chiaro intento di garantire una dimora per l’aldilà.
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GLI ETRUSCHI
Intorno al popolo degli Etruschi, la storiografia moderna e la fantasia popolare, hanno costruito un alone di mistero che
ne ha condizionato per lungo tempo la ricostruzione storica e culturale. In particolare, il mistero etrusco si è incentrato
su due aspetti fondamentali: le origini e la lingua.
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Per quanto concerne la lingua, essa è solo parzialmente conosciuta, ma non perché sia così difficile decifrarla, ma perché
manca una letteratura etrusca. Sono stati ritrovati meno di una diecina di testi di una certa lunghezza, che vanno dalle
1200 parole della Mummia di Zagabria alle 36-37 delle lamine d’oro di Pyrgi. Queste ultime rivestono un’importanza
notevole perché sono iscritte sia in etrusco sia in punico, costituendo praticamente un testo bilingue. Vi sono poi una
diecina di migliaia di iscrizioni su vasi, sarcofagi, cippi ecc., che sono brevissime e ripetono sostanzialmente le medesime
cose, per cui aggiungono poco o nulla al vocabolario dei testi più lunghi. Come si fa, in queste condizioni, a parlare di
una vera e propria lingua da conoscere e, quindi, da tradurre? Tuttavia, questa non è una situazione diversa da quella
che caratterizza le altre culture italiche e desta meraviglia solo se la si confronta con quella del latino o del greco; ma
questo confronto è improponibile, perché di questi possediamo tanti di quei testi, che se anche se ne perdesse la lingua,
non sarebbe difficile ricostruirne la conoscenza. Perciò, anche sulla lingua etrusca non vi è alcun mistero da svelare, ma
vi sono solo dei limiti obiettivi che impedisco nodi conoscerla appieno.
LA STORIA E LA CIVILTÀ
L’Etruria era il territorio compreso tra i fiumi Tevere a Sud e
Arno a Nord. Essa , come avevamo visto parlando degli
Italici, nell’Età del Ferro faceva parte dell’area culturale
villanoviana, che tra l’VIII ed il VII sec. a.C., per effetto della
colonizzazione greca dell’Italia Meridionale e della
Sicilia,venne inserita nell’orbita commerciale degli elleni, ma
anche della Fenicia (soprattutto di Cartagine). Questi vi
esportavano i prodotti
del loro evoluto artigianato
in cambio di materie prime
come stagno, rame,
piombo, argento e ferro,
di cui le località costiere dell’Etruria meridionale erano ricche. Ciò determinò, all’interno
di alcuni dei principali insediamenti villanoviani, l’arricchimento delle classi dominanti e
di un ceto artigianale e mercantile in grado di far fronte alle richieste della crescente
domanda di beni, interna ed estera.
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Patera d’oro - Tomba Bernardini di Preneste Tumulo della tomba Regolini-Galassi di Cerveteri
Questo spiega perché, quasi improvvisamente, compaiano in queste località del sud e della costa tirrenica dell’area
villanoviana, degli evoluti centri urbani (Falerii, Veio, Caere, Tarquinia, Vulci, Roselle, Vetulonia, Populonia, Volterra) dominati
da ricchi signori, di cui alcune tombe sontuose rappresentano un’eloquente testimonianza (come la Regolini-Galassi di
Cerveteri, o la Barberini e Bernardini di Preneste).
Gli oggetti che provengono da queste tombe appartengono al periodo detto Orientalizzante, perché in parte di
provenienza orientale, per lo più fenicia, in parte di produzione greca o locale, ma ispirata a motivi artistici orientali. Si
trovano anche oggetti di provenienza orientale, però chiaramente ritoccati dalle mani di artigiani etruschi, per renderli più
idonei ai gusti dell’aristocrazia locale. Oltre alla ceramica greca, compaiono monili, utensili e vasellame lavorati in avorio,
bronzo, argento ed oro.
Intorno agli inizi del VI sec. a,C., le principali città dell’Etruria
si unirono in una Lega delle dodici città (Dodecapoli, una
specie di anfizionia), intorno al santuario del dio Vertumno a
Volsini, presieduta da un magistrato detto “Zilath mekhl
rasnal” (in latino Praetor Etruriae), e diedero inizio ad una fase
espansiva che le portò a Nord fin nell’Emilia e la valle
padana, ed a Sud nel Lazio e nella Campania, fino a Capua
(la più settentrionale delle colonie greche). Così anche nei
territori padani conquistati si formò un’altra Dodecapoli,
mentre un’alleanza coi cartaginesi consentì agli Etruschi di
bloccare il tentativo di espansione di coloni focesi che si
erano stanziati sulle coste orientali della Corsica, fondandovi
la colonia di Alalia (Battaglia di Alalia, 535 a.C.). In questo
momento di massimo splendore, gli Etruschi, divenuti ormai
abili marinai, dominavano sul Tirreno (talassocrazia tirrenica),
mare che non a caso viene denominato col loro nome greco.
Però, sul finire del VI sec. a.C. le ribellioni di alcuni popoli
italici sottomessi, l’inevitabile scontro con le colonie greche
dell’Italia Meridionale e della Sicilia a Sud, forse l’inizio di
dissidi interni sia nella Lega sia nelle singole città e, infine,
l’espansione dei Celti (Galli, tra il V ed il IV sec. a,C.) a Nord,
ne determinarono il Declino, soprattutto tra il V e il III sec.
a.C., quando vennero poi definitivamente conquistati e
latinizzati da Roma. Anche quest’ultima aveva fatto parte, nel
VI sec. a.C., dei domini etruschi, com’è dimostrato dai nomi di due dei suoi ultimi re: Tarquinio Prisco e Tarquinio il
superbo. Tuttavia, secondo la tradizione, nel 509 a.C. Roma si liberò dal giogo etrusco e poco dopo una lega latina
comandata da Aristodemo di Cuma sconfisse gli etruschi ad Ariccia, espellendoli dalla Campania. Infine, nel 474 a.C.,
la flotta etrusca viene gravemente sconfitta da quella siracusana nelle acque di Cuma, perdendo la sua talassocrazia sul
Tirreno.
Da questo momento in poi, le città meridionali e costiere perdono la loro preminenza, cadendo una ad una sotto il
dominio di Roma, mentre acquistano sempre maggiore importanza quelle settentrionali e dell’interno (Bolsena, Orvieto,
Chiusi, Perugia, Cortona, Arezzo, Fiesole). L’Etruria, da potenza navale e commerciale, si trasforma in una forza territoriale
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ed agricola, restringendosi nella sua sede storica, tra il Tevere e l’Arno. Nel 396 a.C. Roma conquista Veio, poi Caere,
Tarquinia e, nel 295 a.C. Volsini, il cuore della Dodecapoli.In pratica, l’Etruria entra definitivamente nell’orbita di Roma e
ne condivide i destini. Nel I sec. a.C., però, le città etrusche parteciparono alle Gerre Sociali, e ciò permise loro di ottenere
la piena cittadinanza romana.
C’è da dire, comunque, che la società mantenne a lungo caratteri piuttosto arcaici, con una rigida distinzione tra una
classe privilegiata di ricchi proprietari terrieri, alla quale sottostava una massa di servi privi di diritti politici. Nella fase
iniziale del periodo arcaico, a capo delle città vi era un re, il cui nome, Louchme, venne trascritto in Lucumones e confuso
successivamente con un nome proprio.
Quando poi cadde la forma monarchica, i termini summenzionati ed alcune loro forme derivate, divennero nomi di famiglie
o termini per indicare funzionari religiosi (come l’Arconte basileus di Atene o il Rex sacrorum di Roma).
Tra le insegne della sovranità, meritano menzione le seguenti: corona d’oro, sedia d’avorio, scettro con aquila, tunica di
porpora intessuta d’oro, mantello di porpora ornato di ricami. Anche i generali romani che festeggiavano un
trionfo,avevano il diritto di portare per un giorno questi elementi, salvo che la corona era d’alloro. Un altro famoso simbolo
etrusco fu la Scure bipenne, costituita da un fascio di verghe (forse dodici, a simboleggiare la Dodecapoli) con una
doppia scure indicante il potere di vita o di morte. Essa fu senz’altro il prototipo del Fascio littorio romano. Con la fine
della monarchia, a capo delle città vi erano dei magistrati che portavano nomi con la radice Zil, che probabilmente
indicava l’atto di governare. Zilat era il nome comune per magistrato e si conoscono cariche specifiche come Zilat Maru
(carica al contempo civile e religiosa) e lo Zilath Mechl Rasnal, capo della Lega Etrusca (di cui abbiamo già parlato).
Per quanto riguarda la religione, questa assimilò tanto dai popoli coi quali venne in contatto, e identificò molte delle
proprie divinità con quelle greche e puniche.
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Tuttavia c’era un campo in cui i sacerdoti etruschi eccellevano e venivano tenuti in gran conto dai romani: l’arte divinatoria,
cioè quella d’interpretare i segni e di predire, in base ad essi, gli eventi.
Essa era divisa in tre branche fondamentali: fulguratoria (interpretazione dei
fulmini); augurale (interpretazione del volo degli uccelli); aruspicina
(interpretazione dei segni nelle interiora degli animali sacrificati).
Si può dire che gli etruschi non intraprendessero alcuna attività (fondazione di
città, costruzione di templi, imprese militari) senza prima consultare gli dei per
conoscerne la volontà.
Anche gli Etruschi dedicavano molta cura ai loro defunti, immaginando una
vita dell’aldilà intesa a riprodurre gli aspetti migliori della vita terrena. Lo si
deduce dai sarcofagi e dalle tombe dipinte, soprattutto quelle di Tarquinia, che
rappresentano alcune delle opere più belle e straordinarie che l’antichità ci
abbia lasciato.
Bipenne Etrusca
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Storia Antica - primo anno
LA CIVILTA’ ROMANA
LE ORIGINI DI ROMA
LA LEGGENDA
Per gli antichi le origini di Roma
erano immersi nel mito e nella
leggenda. Il nucleo centrale era
rappresentato dalle storie di
Enea e di “Romolo e Remo”, con
diverse versioni e varianti.
Il primo era un eroe troiano,
fuggito da quella città mentre i
greci la davano alle fiamme.
Per volere del fato, con un
gruppo di fuggiaschi era giunto
sulle coste del Lazio dove aveva
sposato Lavinia, figlia del re di
Latino, e poi fondato una città,
alla quale aveva dato il nome di
sua moglie, Lavinium. Suo figlio
Ascanio, invece, circa trent’anni dopo, era riuscito a fondare sui monti Albani un’altra città, Alba Longa, destinata a
divenire la principale metropoli delle genti latini.
Dalla dinastia fondata da Ascanio, molte generazioni dopo era nato Numitore, legittimo sovrano d’Alba Longa.
Suo fratello Amulio ne usurpò il trono e ne distrusse la discendenza maschile, costringendo l’unica figlia, Rea Silvia, a
farsi vestale, obbligandola così al voto della castità. Il dio Marte, però, s’invaghì di lei e la prese con la forza, facendole
concepire due gemelli, Romolo e Remo.
Questi vennero messi in una cesta ed abbandonati nel Tevere, ma la cesta si arenò in una palude tra i monti Palatino e
Campidoglio, dove vennero allattati da una lupa scesa dalle montagne. In seguito vennero adottati da un pastore,
Faustolo, e da sua moglie, Acca Larenzia. Romolo e Remo crebbero, così, sul palatino, forti e audaci. Ma un giorno dei
banditi riuscirono a catturare Remo e lo portarono dal re Amulio, che lo diede come schiavo a Numitore.
Quest’ultimo, però, sentita la storia di Remo comprese che lui ed il suo fratello gemello potessero essere i suoi due
nipoti; e ciò avveniva, proprio mentre Faustolo svelava la verità a Romolo. I due gemelli, perciò, riunito un gruppo di
compagni, attaccò la reggia, uccisero Amulio e rimisero sul trono di Alba Longa il loro nonno, Numitore.
Dopo di ciò, Romolo e Remo decisero di fondare nei luoghi dove erano vissuti una nuova città e, ottenutone il permesso
dal re, vi si erano recati.
Per stabilire chi dei due sarebbe
dovuto diventarne re, si
affidarono al responso augurale,
che però non diede un esito
incontestabile. Nondimeno,
Romolo, giudicando il suo
auspicio più credibile, tracciò sul
terreno il pomerium, confine
sacro della nuova città. Per
scherno, Remo lo valicò, e
Romolo lo uccise, pronunciando
subito dopo queste terribili
parole: «Sic deinde, quicumque
alius transiliet moenia mea»
[Così, d’ora in poi, possa morire
chiunque osi scavalcare le mie
mura]. La lupa Capitolina
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La tradizione e i dati archeologici concordano anche su un altro aspetto: il carattere pastorale di questi antichi popoli.
Ovviamente essi praticavano anche la raccolta di ciò che la natura offriva spontaneamente, la caccia, forme rudimentali
di agricoltura ed anche la pesca: ma la loro economia era basata prevalentemente sulla pastorizia e l’allevamento, adatti
al territorio collinare e montano nel quale vivevano. Carni, lana, pelli, latte e latticini ne erano i prodotti tipici.
Col tempo, i nuclei familiari si sparsero e poi si costituirono villaggi sulle alture dei colli e dei monti.
Questi villaggi intrattennero tra di essi rapporti, a volte amichevoli a volte ostili; ma quando nell’VIII sec. a.C. si affacciarono
sui loro confini genti più evolute e meglio organizzate, come i Greci, i Punici e gli Etruschi, furono costretti ad unirsi prima
in leghe sacre e poi in aggregazioni sempre più grandi, destinate a divenire, per un processo più o meno spontaneo di
sinecismo, vere e proprie città.
Questo fu quel che accadde a Roma, dove i villaggi sorti sui suoi Monti (Septimontium, da non confondere coi sette
Colli, alcuni dei quali non vennero acquisiti fino alla tarda età monarchica) andarono aggregandosi intorno al nucleo del
Palatino: Velia, Fagutal, Cermalus, Caelius, Oppius, Cispius. Questo fu il cuore della Roma primitiva, insieme alla Subura.
Il nome degli abitanti delle alture del Palatino e del campidoglio, nonché della valle sottostante, era quello di Ramnes,
cioè “gli abitanti del fiume, i «fiumaioli»; esso derivava da rumon, nome comune equivalente a “fiume”.
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Storia Antica - primo anno
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ÿ La fondazione di Roma
I SETTE RE DI ROMA
FONDAZIONE
1 ROMOLO TITO TAZIO 753 – 716 a.C.
E DIARCHIA
ÿ Il periodo sabino
Dopo il Ratto delle sabine (vedi approfondimento), tra i Latini ed i Sabini si sarebbe giunti ad un accordo: insieme a
Romolo avrebbe regnato Tito Tazio (diarchia) ed i loro successori sarebbero stati, alternativamente, un latino ed un
sabino.
Forse questa storiella nasconde una supremazia sabina, che si sarebbe protratta fino all’affermazione della dinastia
etrusca; ipotesi suffragata dal fatto che tutti i successori sembrano essere stati solo sabini (come sarebbe dimostrato
dall’uso del praenomen e del nomen, secondo l’uso sabino, anziché del solo nomen, secondo l’antico uso latino).
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Storia Antica - primo anno
Altre due indizi possono essere utilizzati a sostegno di questa ipotesi. Il primo sta nel fatto che nelle più antiche citazioni
delle tre tribù di Roma, quella dei Tities, cioè dei Sabini, viene messa per prima.
Il secondo sta nel famoso acronimo “S.P.Q.R.”, che originariamente non sembra indicasse “Senatus Populusque
Romanus” (“Il Senato ed il Popolo di Roma”), bensì “Senatus Populusque Quiritium Romanorum” (“Il Senato e il popolo
dei Quiriti Romani”). In questo caso Quirites o sarebbe da riportare a Cures, la città da dove sarebbero giunti i Sabini di
Roma (da cui poi il nome “Quirinale” dato al colle sul quale s’insediarono) o dalla parola sabina curis, “lancia”, nel senso
di uomini armati di lancia. È comunque probabile che da Tito Tazio ad Anco Marcio (o Marzio), vada collocato un periodo
di predominio dell’etnos sabino su quello latino.
Se a Romolo venne dato il merito di aver fondato l’Urbe, a Numa Pompilio venne dato quello di averne codificato la
religione. Egli per primo regolò il calendario, poi stabilì la prima Triade Capitolina, composta da Giove, Giano e Quirino
(poi divenuti, sotto l’influenza Etrusca, Giove, Giunone e Minerva – da Tinia/Uni/Minerva). Molti furono i culti, i riti e le
fondazioni sacre che gli vennero attribuiti.
La figura di Tullo Ostilio è invece legata soprattutto alla guerra con Alba Longa ed alla pri ma espansione di Roma.
Questo conflitto non sarebbe facile da spiegare senza l’ipotesi del predominio nell’Urbe dei Sabini, dato che Alba Longa
era, come abbiamo visto, la metropoli dei Latini. Se il progetto dei nuovi sovrani di Roma era quello di scendere lungo
la riva sinistra del Tevere per giungere alla costa, sarebbe stato necessario assicurarsi le spalle eliminando una forza
potenzialmente ostile come i Latini dell’area Albana. Così la guerra fu inevitabile e divenne presto estrema. Inizialmente,
infatti, si sarebbe cercato di renderla meno cruenta attraverso una sfida (leggenda degli Orazi ed i Curiazi);
successivamente, però, la guerra riprese e Roma rase al suolo la città avversaria, deportandone poi la popolazione e
insediandola sul Celio.
Fu così che l’ultimo re sabino, Anco Marcio, poté spingersi verso
le foci del Tevere, dove fondò la colonia di Ostia. Era la zona delle
saline e questo dava a Roma il pieno controllo della via Salaria,
facendone una città molto ricca ed importante, in grado di
mettersi in concorrenza con le grandi città dell’Etruria
meridionale. Sotto il suo regno venne realizzato anche il primo
ponte stabile sul Tevere: il ponte Sublicio. Questo ormai metteva
in contatto diretto Roma ed il mondo etrusco, che si trovava sulla
sponda opposta del fiume.
Qui, all’interno di città Stato come Veio, Cere, Volsinii e Tarquinia,
c’erano gruppi familiari ricchi e potenti, desiderosi di affermarsi
come signori nei territori circostanti, circondati e sostenuti da
compagni (sodales) che ne costituivano la forza armata. Si
trattava, insomma, di avventurieri desiderosi di acquistare potere
ovunque se ne offrisse l’opportunità e ce ne fosse l’interesse.
Nella Roma di questo periodo (fine VII sec. a.C.) c’erano
entrambe le cose: una città ricca e potente, ma anche un po’
instabile a causa della rivalità tra Sabini e Latini.
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Gli successe Servio Tullio, una delle figure più interessanti della storia romana. Un enigma avvolge la sua ascesa al trono,
sulla quale possediamo una versione latina ed una etrusca. È probabile che le due versioni non siano in contrasto, ma
vadano solo interpretate correttamente. A Vulci è stata ritrovata una tomba dipinta del IV sec. a.C.(Tomba François) con
delle scene che rappresentano le sequenze di una storia che potrebbe essere quella di Servio Tullio, il cui nome etrusco
sarebbe stato Macstarna (secondo una testimonianza dell’Imperatore Claudio).
Quest’ultimo era un sodales di Celio Vibenna e si trovò coinvolto nelle lotte di quest’ultimo contro i nemici di Tarquinio.
La morte del re e di Caile Vibenna, nonché il favore della regina Tanaquil gli consentirono di giungere al trono, dove si
dimostrò estremamente capace. Il nome di Servio Tullio è legato soprattutto all’Ordinamento Centuriato, col quale riformò
sia la società sia l’esercito. Con essa integrò gli immigrati e distribuì gli abitanti in base al censo, dando potere alla plebe
e fondando la forza dell’esercito non più sulla cavalleria, ma sulla falange oplitica. L’onere dell’armamento, costituito da
elmo, corazza, schinieri, scudo, lancia e spada, ricadeva tutto sui cittadini abbienti, che ne ricevevano in cambio i diritti
politici, dai quali risultava escluso chi non poteva acquistare le armi. Il territorio di Roma venne diviso tra 20 tribù, 4
urbane e 16 rustiche. Ciascuna tribù doveva fornire 2 centurie, per un totale di 40, a capo di ciascuna delle quali vi era
un praetor. Ai patrizi rimaneva l’onere di fornire 6 centurie di cavalieri.
Servio Tullio fece costruire anche la prima cerchia di mura difensive, che
correva per sette chilometri cingendo 300 ettari di territorio interno. Roma,
però, dominava ormai anche il territorio esterno, per un’area valutabile
intorno ai 900 Kmq. Inoltre, il Tempio di Diana sull’Aventino divenne il centro
di una Federazione Latina di cui Roma era la capitale indiscussa.
Neanche a Servio Tullio, però i successi ed i meriti bastarono per evitargli
di cadere vittima di una congiura. Ordita dal figlio (o nipote) del primo
Tarquinio, di nome Lucio Tarquinio, che venne poi soprannominato il
Superbo per il suo carattere, e dalla moglie, secondogenita di Servio Tullio.
Nonostante ciò, egli si dimostrò un re capace sotto il profilo militare e
politico, proseguendo la politica di espansione, di riorganizzazione interna
e di collegamento con gli altri popoli del Lazio. Il primo trattato con
Cartagine, stipulato all’indomani della caduta della monarchia, evidenzia
una città che, sebbene non possa arrogare diritti sul mare, viene
riconosciuta come predominante su tutto il territorio laziale. I lavori pubblici,
i templi, il benessere economico e la forza militare la rendono superiore alle
coeve città dell’Etruria meridionale. Nella costruzione del tempio dedi cato
alla Triade Capitolina lavora Vulca, un’artista famoso della città di Veio, di
cui rimangono testimonianze scritte e forse anche artistiche.
Mentre Tarquinio si trovava impegnato in una campagna militare contro i
Rutuli, il figlio Sesto fece violenza ad una nobildonna romana, Lucrezia,
che si suicidò a causa dell’oltraggio subito. La rabbia scaturita da questo
ennesimo atto di prepotenza dei Tarquini scatenò la rivolta, ed il re si trovò
nell’impossibilità di rientrare a Roma. Finiva così l’età monarchica ed
iniziava quella repubblicana (509 a.C.).
Triade Capitolina
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Storia Antica - primo anno
LA REPUBBLICA A ROMA
LA NASCITA
Come si è visto, gli ultimi tre monarchi romani, Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo, erano etruschi. Essi
si trovarono a regnare in un momento di cambiamento abbastanza complesso e favorevole all'affermazione di Roma
come nuova potenza nel quadro dell'Italia centrale prima e del Mediterraneo poi.
Furono proprio i regnanti etruschi, che possedevano una cultura cittadina, a promuovere le opere pubbliche che
trasformarono Roma da villaggio all'Urbe da tutti conosciuta.
Gli anni finali della monarchia ed i primi due secoli della repubblica sono piuttosto confusi dal punto di vista delle fonti
storiche: sia Tito Livio che Dionigi di Alicarnasso, gli storici che ne parlarono diffusamente nelle loro opere, si basarono
non solo sulle fonti scritte, ma anche sulle leggende e sui falsi che le famiglie patrizie inserirono negli annali nell'intento
di costruire, a sé stessi ed alla città, un passato più nobile di quanto non fosse in realtà.
Tuttavia, si conoscono alcuni atti di Tarquinio il Superbo, che Dionigi di Alicarnasso definì come “tirannici” in senso greco,
che sicuramente pesarono sulla fine della dominazione etrusca e della monarchia:
• la salita al potere con l'uso della forza, contrastando la volontà dei “patres” e facendosi sostenere dal popolo;
• l'attenzione alla prevenzione di attentati attraverso la creazione di una guardia armata mista, cioè formata da
elementi latini ed etruschi;
• l'ostilità nei confronti dell'aristocrazia;
• la tendenza a trattare personalmente gli affari di stato, consultandosi al massimo con alcuni consiglieri privati a
cui, poi, andavano i suoi favori;
• l'annodare legami personali con alcune famiglie anche straniere;
• la volontà di accrescere lo splendore della città con opere pubbliche che gli ingraziavano i bisognosi impiegati
come operai.
Anche se la leggenda parla di una violenza alla nobile e virtuosa Lucrezia, giovane romana, sposa di Tarquinio Collatino
e figlia di Lucio Giunio Bruto (personaggio forse inventato), che avrebbe preferito il suicidio al sospetto di aver ceduto
allo stupro tentato dal figlio stesso del re, l'espulsione dei Tarquini nel 509 a.C. avvenne perché i patrizi erano ormai
pronti a gestire il potere ed i cittadini romani erano abbastanza maturi, sotto il profilo politico, da scegliere i loro
rappresentanti all'interno della propria gente, istituendo un regime repubblicano. L'espressione “res publica”, da cui
deriva il moderno “repubblica”, significa “cosa pubblica” cioè responsabilità di tutti i cittadini.
LA SOCIETÀ ROMANA
Originariamente, i cittadini romani erano divisi in tre tribù (Ramnes, Titties e Luceres) suddivise ciascuna in dieci curie,
per un totale di trenta. A causa della necessità di amalgamare un tessuto sociale più vario, Servio Tullio aveva operato
una riforma che ebbe i suoi effetti anche nella Roma repubblicana, distinguendo cinque classi di cittadini secondo il
censo, valutato non in base alla quantità di denaro posseduta bensì in base ai terreni ed al bestiame posseduti. La
conseguenza immediata fu l'istituzione dei comizi centuriati ed una nuova organizzazione militare.
Ciascuna classe di cittadini venne divisa in centurie, formazioni di cento uomini di cui gli iuniores (i più giovani, tra i 17
ed i 46 anni) formavano le truppe effettive ed i seniores (i più anziani, dai 46 ai 60 anni) costituivano le riserve.
Armamento e vettovagliamento erano a carico del soldato stesso, per cui dall'esercito erano esclusi, oltre agli schiavi,
ai liberti ed a coloro che erano stati privati dei diritti civili in seguito ad un reato commesso, anche coloro il cui reddito
troppo modesto non consentiva queste spese. Il farne parte corrispondeva ad una partecipazione attiva alla vita civile e
politica della patria. La prima classe era tenuta a reclutare 18 centurie di cavalieri e 80 di fanti con armi offensive e
difensive; la seconda, la terza e la quarta 20 centurie di fanti con armi leggere, 2 di genieri e 2 di musici; la quinta 30
centurie di uomini armati di fionda.
L'ESERCITO ROMANO
L'esercito si basava sulla figura del civis-miles, il cittadino soldato. Ogni cittadino, quindi, era un soldato inquadrato in
una centuria, pronto a lasciare la propria attività lavorativa ed a rispondere alla chiamata dello Stato. L'esercito romano,
quindi, era un esercito di popolo.
Motivati e capaci, i soldati romani furono insuperabili e conquistarono una inimmaginabile vastità di territori. La disciplina
era severissima, ma non vi era distinzione di ranghi: anche i superiori potevano subire punizioni inflitte con imparziale
severità.
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L'amore per la patria ed i senso dell'onore erano altissimi: come una punizione
poteva distruggere una carriera, un elogio o un premio influivano beneficamente
anche sulla famiglia del soldato. Le onorificenze erano simboliche perché si
trattava di oggetti senza alcun valore intrinseco. I tre principali erano:
Stendardi dell’esercito
• la corona civica, attribuita al soldato che avesse salvato la vita ad un
cittadino;
• la corona vallaris, dal nome latino “vallum”, fortificazione, a chi fosse salito
per primo sulle fortificazioni nemiche;
• la corona muralis a chi fosse salito per primo sulle mura del nemico.
Oltre alle corone esistevano braccialetti e decorazioni varie da applicare alla
corazza, ma anche ricompense più concrete come divisioni del bottino di guerra,
aumenti della paga, promozioni.
L'esercito era suddiviso in legioni, “gruppi scelti”, a loro volta suddivise nei manipoli, formati da 120 soldati. La relativa
esiguità dei manipoli consentiva un'ampia possibilità di schieramenti.
I soldati, comunque, erano schierati su quattro file:
• la prima fila era formata dai Veliti, impegnati in azioni di esplorazione o di disturbo del nemico;
• la seconda fila era formata dagli Astati, giovani soldati armati di asta;
• la terza fila era formata dai Principi, i veterani;
• la quarta fila era formata dai Triari, armati di daga e pugnale per il combattimento corpo a corpo nella parte finale
della battaglia.
Ai lati dello schieramento operavano le centurie di cavalleria, a difesa dei fianchi della legione oppure impegnate in rapidi
attacchi.
IL CURSUS HONORUM
Come il passaggio dalla monarchia alla repubblica aveva portato alla costituzione della carica consolare di tipo collegiale
in sostituzione del re, l'ampliarsi del territorio in seguito alle conquiste e l'accresciuta complessità della “res publica”
resero necessaria la creazione di ulteriori figure di governo, sia per delegare a più persone gli accresciuti carichi del lavoro
amministrativo ed organizzativo, sia per recuperare o mantenere l'equilibrio sociale che garantì a Roma la supremazia
prima in Italia e poi in tutta l'area mediterranea.
Memori degli errori dovuti alla monarchia, nell'intento di sedare sul nascere le ambizioni dei singoli, accresciute di molto
dal notevole miglioramento economico e del tenore di vita portato dalle conquiste territoriali e dal contatto con popoli
più raffinati ed amanti del lusso, come le genti della Magna Grecia, l'oligarchia patrizia stabilì delle caratteristiche comuni
alle varie magistrature e cioè:
• la collegialità (le cariche erano almeno doppie, ciascuno, cioè, aveva almeno un collega);
• la temporaneità (un anno, salvo diciotto mesi per i censori);
• l'eleggibilità: non era possibile, dunque, autoeleggersi o proporsi per ricoprire delle cariche ma si doveva essere
eletti dai comizi;
• la gratuità, vale a dire la carica non era pagata;
• la non ripetibilità, stabilita nel 151 a.C. dalla Lex de Consulatu non iterando, appoggiata da Catone;
• la responsabilità: alla fine dell'incarico ogni magistrato poteva essere giudicato sul suo operato.
La regolamentazione della carriera politica, stabilita per consuetudine, prevedeva che per poter accedere alla più alta
carica dello stato, il consolato, era necessario percorrere una serie di tappe che vennero definite “cursus honorum”,
codificato solo nel 180 a.C. con la Lex Villia.
Non esistendo nella Roma antica alcunché di paragonabile ai moderni partiti politici, l'elezione avveniva per l'appartenenza
ad una famiglia nota per essersi distinta nella cura della cosa pubblica o per via clientelare. Pertanto, venne stabilito che
coloro che intendevano dedicarsi alla carriera politica avrebbero dovuto conseguire nell'ordine le cariche seguenti, dopo
aver prestato un servizio triennale in un tribunato militare od in una magistratura civile minore all'età di vent'anni:
• Questura: a trent'anni; inizialmente, i questori erano giudici che si occupavano di cause capitali; acquisirono in
seguito funzioni amministrative e finanziarie, occupandosi dell'erario, cioè del tesoro dello Stato, che veniva
conservato nel tempio di Saturno, gestendo le uscite e le entrate formate da tasse, ammende e bottini di guerra;
si occupavano dell'archivio di Stato e di custodire le bandiere di guerra.
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Storia Antica - primo anno
• Edilità: carica creata nel 494 a.C. insieme al tribunato della plebe. Gli edili erano così chiamati dalla parola latina
“ædes”, cioè “tempio” di Cerere, in cui erano conservati l'archivio e l'erario della plebe di cui essi avevano cura,
oltre ad occuparsi del culto e ad affiancare i tribuni della plebe nel loro lavoro. Si poteva accedere a questa carica
a trentasei anni d'età ottenendo anche il diritto all'inviolabilità , come i tribuni della plebe. Oltre ad occuparsi di
edilizia pubblica, dell'approvvigionamento di Roma, delle condizioni sanitarie delle terme e delle strade, erano
incaricati di organizzare i giochi, ricevendo, per questo, una somma dallo Stato. Essi, tuttavia, mettevano mano
al patrimonio personale per legare il proprio nome alla sfarzosità dei giochi che organizzavano. Questa carica non
era obbligatoria nel cursus honorum; seguiva comunque la carica della questura.
• Pretura: carica accessibile dai trentanove anni d'età. Dopo essere stati investiti del potere esecutivo, nel 366 a.C.
i pretori divennero magistrati giudiziari. Il “pretor urbanus” dirimeva le liti tra cittadini romani, il “peregrinus” quelle
tra cittadini romani e stranieri o fra due stranieri.
• Consolato: carica accessibile dai quarantadue anni d'età. I consoli esercitavano le funzioni supreme civili e militari:
convocavano e presiedevano il Senato e le assemblee popolari, proponevano progetti di legge, ed erano gli
esecutori delle decisioni del Senato e del popolo, rappresentavano l'alto comando dell'esercito romano,
indicevano il reclutamento e dirigevano le azioni militari. Il nome dei consoli dava il nome all'anno. Potevano
esercitare reciprocamente diritto di veto, per cui le loro decisioni scaturivano dal totale accordo tra i due. Se
entrambi si trovavano a Roma, esercitavano il potere un mese ciascuno. Se, invece, uno dei due si trovava lontano,
ad esempio perché impegnato in una guerra, il potere veniva esercitato da entrambi pur in luoghi diversi. Il console
veniva accompagnato nei suoi spostamenti da dodici littori, giovani che portavano un fascio di verghe (segno di
potere trasportato a Roma dopo il contatto con la civiltà etrusca a cui esso apparteneva); poiché fuori dall'urbe
il console aveva pieni poteri, quando non si trovava a Roma i littori aggiungevano un'ascia al centro del fascio di
verghe; anche questo simbolo proveniva dagli etruschi.
Era motivo di orgoglio essere eletto “in suo anno”, cioè all'età minima consentita.
• Censura: tra gli ex consoli venivano scelti i Censori, carica istituita intorno al 443 a.C. per redigere il “census”,
ossia l'elenco ufficiale dei cittadini e sollevare da questo incarico i consoli ai quali era stato inizialmente attribuito.
A differenza di tutte le altre cariche, la censura durava diciotto mesi. Ogni cinque anni, il cittadino romano veniva
sottoposto al giudizio del censore che ne valutava il censo, stabilendo la portata dei tributi e la classe di
appartenenza. I censori si occupavano anche della moralità pubblica, ed avevano il diritto di espellere i senatori
che si fossero comportati in modo contrario alla morale o alla legge.
Da questa prerogativa derivava loro un grande prestigio.
In casi di eccezionale pericolo, il Senato eleggeva un Dittatore, che godeva di pieni poteri ma la cui carica durava solo sei mesi.
Fuori dall'obbligatorietà del Cursus Honorum esisteva poi il tribunato della plebe, di cui si tratterà più avanti.
Ius auxilii.
TRIBUNATO DELLA PLEBE Un anno Concili della plebe
Diritto di veto.
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LE ASSEMBLEE POPOLARI
Furono create delle assemblee attraverso le quali si esprimeva il parere di tutti i cittadini, cioè dei maschi maggiorenni (la
maggiore età si raggiungeva tra i quindici e i diciassette anni), chiamati comizi:
• i comizi curiati, residuo dell'epoca regia, derivavano dal raggruppamento dei cittadini in trenta curie. Ridotti alla
votazione formale per l'investitura dei magistrati, furono definitivamente aboliti da Cesare nel 44 a.C.
• i comizi tributi, riformati da Appio Claudio nel 312, erano basati su unità territoriali, cioè le tribù, e non sulla famiglia
di nascita, accogliendo al loro interno anche operai e proletari. Ad ogni tribù corrispondeva ad un voto.
Quest'assemblea eleggeva edili e questori e votava i plebisciti, oltre ad avere competenza giudiziaria sui reati che
comportavano la pena di un'ammenda;
• i comizi centuriati, i più importanti, fondati sulla divisione dei cittadini in cinque classi di censo che determinavano
le 193 centurie di cui era composto l'esercito, operata da Servio Tullio sulla base della capacità di fornire uomini
ed armi. Ogni centuria era formata da cento uomini armati ed aveva diritto ad un solo voto e, poiché 98 centurie
appartenevano ai più ricchi, si capisce come la maggioranza appartenesse ancora all'oligarchia censoria. Una
volta raggiunta la maggioranza la votazione veniva interrotta, per cui le 95 residue centurie il più delle volte non
votavano nemmeno. I comizi centuriati eleggevano i pretori, i consoli ed i censori; dichiaravano guerra o sancivano
la pace su proposta del Senato;
• i concili della plebe, che vennero spesso confusi con i comizi tributi dal momento in cui i plebisciti ebbero valore
di legge per il fatto che, comunque, la plebe vi era largamente maggioritaria.
Il Senato, custode, secondo Cicerone, e difensore della Repubblica, era composto da 300 membri; dopo la legge Ovinia
del 319a.C., i censori ebbero l'incarico di redigere la lista dei suoi componenti scegliendoli tra “i migliori”. Tutti i senatori
avevano avuto cariche pubbliche ed il Senato si riuniva su convocazione di un magistrato superiore che lo presiedeva.
La decisione espressa dal Senato vincolava i magistrati. Le sue deliberazioni, i senatus consulta, trasformavano in legge
i plebisciti, riguardavano l'amministrazione, la politica estera ed il controllo dei magistrati. Era l'organo più importante
della Repubblica perché, a differenza di magistrature temporanee, possedeva un carattere di stabilità.
LA RELIGIONE
Nel mondo romano, la religione era indissolubile dalla politica. L'archeologia ha mostrato che già in epoca arcaica
esistevano luoghi di culto pubblici. Il re era strettamente coinvolto nei riti religiosi, come lo furono i magistrati in epoca
repubblicana. Essi stessi conducevano dei riti, la cui perfezione formale era il principale requisito per un corretto rapporto
con gli dèi.
Durante l'epoca monarchica, la religione si occupò di tre esigenze fondamentali dell'uomo:
• la fertilità della terra, la fecondità delle greggi e della famiglia (ad esempio i Lupercali in onore delle divinità pastorali
Pales e Fauno, o i Saturnali che si tenevano nel mese di dicembre come apertura dei riti dedicati al raccolto);
• la vittoria in guerra (ad esempio i Quinquatrus per la purificazione delle armi e gli October Equus in occasione
della chiusura delle attività militari prima dell'inverno);
• la morte; ai defunti ed alla purificazione è dedicato il mese di febbraio (ad esempio, Lupercalia).
A partire dalla fine del VII – inizio VI secolo, iniziarono ad entrare nel pantheon romano divinità corrispondenti a quelle
greche oppure appartenenti ai popoli italici con i quali i romani iniziarono a venire in contatto. Gli dèi principali formavano
la cosiddetta “triade capitolina”: Giove, Giunone e Minerva.
Giove che deriva dal Tinia etrusco e dallo Zeus greco, ha gli attributi di “Optimus” (garante dell'abbondanza) e “Maximus”
(signore degli dèi e degli uomni).
Giunone, derivata da Uni moglie di Tinia e dalla greca Hera, sorella di Zeus, si chiama in latino “Iuno Regina”; è una
divinità multivalente che si occupa prevalentemente delle donne.
Minerva, simile alla divinità etrusca Tecvum ed alla greca Athena, protegge le arti e gli artigiani; è la dea dell'intelligenza
e della spiritualità.
Altre divinità da ricordare sono: Febo, il dio del Sole; Diana, la dea della caccia e degli animali selvatici; Venere, la dea
della bellezza; Marte, il dio della Guerra; Bacco, il dio del vino; Mercurio, il messaggero degli dèi; Nettuno, il dio del mare.
Il ciclo delle purificazioni, quello della guerra ed il ciclo agrario raccolgono 45 feste durante l'anno, ordinate secondo i
giorni principali del mese: le calende (il primo), le none (il 5 o il 7) e le idi (il 13 o il 15).
Anche le magistrature sacerdotali sono gerarchizzate, sia quelle individuali che quelle collegiali. La carica principale è
quella del “rex sacrorum” (re del sacro) che compete ad un patrizio sacerdote di Giano.
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Storia Antica - primo anno
Seguono i tre flamini maggiori (Dialis, Martialis, Quirinalis) e i dodici flamini minori che si occupano di culti specifici. Il
maggiore responsabile della religione romana è il pontefice massimo, il più importante tra i sacerdoti, che dirige il collegio
dei pontefici, interpreti del sacri diritto. Le funzioni religiose pubbliche erano condotte dai sacerdoti. Le Vestali, fanciulle
che si occupano del culto di Vesta, dea del focolare domestico, hanno il compito di mantenere sempre accesa la fiamma
che brucia nel suo tempio; gli auguri sono gli specialisti dell'osservazione del cielo e dell'interpretazione degli aruspici,
indovini che praticavano l'arte di esaminare i fulmini e le viscere (soprattutto il fegato) delle vittime sacrificali per trarne
segni divinatori e norme di condotta. Essendo l'arte aruspicina d'origine etrusca, gli aruspici erano considerati stranieri
e non costituivano alcun collegio sacerdotale ufficiale.
Il collegio degli epuloni si occupava dei banchetti e quello degli uomini incaricati dei sacrifici contribuì a diffondere il rito
greco a Roma.
Esistevano, inoltre, delle “solidarietà” o confraternite, che mantennero vivi i riti arcaici anche quando di questi si era perso
il significato e non si interpretavano più correttamente le parole: erano i Luperci, i 12 fratelli Arvali, i 12 Salii e i 20 Feziali
che sacralizzavano le dichiarazioni di guerra ed i trattati di pace.
Con la nascita della Repubblica, a partire dal 509 a.C., vengono costruiti a Roma moltissimi templi. Questo carattere di
città sacra conferì a Roma una sorta di superiorità rispetto alle altre città che fu abilmente sfruttata per promuovere e
giustificare l'espansione ed il predominio.
LA “FAMILIA” - LA GENS
Base della società romana fin dai tempi più arcaici, la famiglia era composta dai genitori, dai figli, dai loro consorti e figli,
dagli schiavi, dai possedimenti terrieri e dal bestiame, e dai Lari, dèi protettori della casa, insieme ai penati, divinità
protettrici della famiglia.
Il paterfamilias, cioè il padre di famiglia, ebbe il potere assoluto, anche di morte, sui componenti della famiglia, fino al
450 a.C., quando la legge delle Dodici Tavole ne ridusse il potere. I figli maschi divenivano a loro volta paterfamilias alla
morte del loro padre, scomponevano la famiglia di origine componendone di nuove, legate comunque tra loro da un
antenato comune e facenti quindi parte di una medesima gens.
Gli uomini avevano tre nomi: il prenome, il nome della gens e il nome della famiglia; ad esempio, Publio (prenome) Cornelio
(nome della gens) Scipione (nome della famiglia); poteva essere aggiunto un soprannome, in questo caso “l'Africano”
per ricordare un'impresa compiuta. Le donne ne avevano due: il nome della gens al femminile, eventualmente preceduto
da prima, secunda, tertia… a seconda di quante donne appartenevano alla famiglia, e quello della famiglia.
I patrizi potevano anche circondarsi di una “clientela” formata da clientes, generalmente stranieri o plebei, ai quali si
offriva protezione in cambio di favori quali il combattere per il proprio patrono ed il non testimoniare contro di lui. Quando
i plebei ebbero accesso al voto, il patrizio si assicurava la preferenza dei suoi clientes.
Il liberto, cioè lo schiavo liberato, pur divenendo cittadino con i diritti equiparati agli uomini nati liberi, restava comunque
legato al suo ex padrone da un rapporto di clientela.
PATRIZI E PLEBEI
Nel frattempo gli scontri fra patrizi e plebei erano destinati a rimodulare l'organizzazione amministrativa dell'Urbe.
I patrizi erano gli appartenenti ad un ristretto numero di gentes (famiglie aventi in comune un importante antenato legato
alla fondazione della città): erano l'ordine sociale più ricco la cui ricchezza era basata sulla proprietà terriera.
I plebei rappresentavano il resto della popolazione libera. Non si deve confondere, però il termine “plebeo” con “povero”:
infatti l'insieme dei cittadini, definito “plebe”, era in realtà composto da plebei ricchi già riconosciuti dalla riforma centuriata
e da plebei poveri, soprattutto proprietari di piccoli appezzamenti di terra danneggiati dalle continue guerre.
Alle cariche pubbliche potevano accedere solo i patrizi, in virtù della loro ricchezza e del peso dei loro antenati,
garantendosi il controllo assoluto del governo dello Stato.
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Nonostante le loro conquiste sociali, i plebei continuavano a subire grosse limitazioni in materia giuridica, per due motivi:
• i giudici erano patrizi
• le leggi continuavano ad essere non scritte.
LE DODICI TAVOLE
Per sanare la mancanza di leggi scritte, venne creato un decemvirato (insieme di dieci uomini) perché fissasse le leggi
su tavole di bronzo, in modo che la loro interpretazione non fosse più soggetta ad alcun arbitrio.
I Decemviri ebbero il comando al posto dei consoli e dei tribuni della plebe nel 451 e nel 450 a.C.; il secondo decemvirato,
dove furono eletti anche dei plebei, si comportò in modo iniquo e tentò di mantenere il potere anche nel 449 a.C., ma
contro questa ipotesi furono i plebei stessi ad insorgere, con una nuova secessione sull'Aventino.
Nel 451 a.C. furono compilate dieci tavole, nel 450 a.C. le ultime due. I Decemviri crearono un documento che fu la
base della giurisprudenza romana fino all'emanazione del codice giustinianeo nel 529 d.C.
Le tavole furono affisse nel Foro ed i giovani romani vi furono accompagnati per secoli affinché le leggessero e le
imparassero a memoria.
I punti salienti delle Dodici Tavole erano i seguenti:
• i diritti privati dei cittadini venivano garantiti; erano protette la famiglia e la proprietà, riconosciute come
fondamento della società romana; si definivano e si limitavano chiaramente i poteri del pater familias; veniva
organizzato l'ordine ereditario;
• la giustizia veniva resa accessibile a tutti, favorendo la conciliazione tra ricorrenti e regolamentando la procedura
giudiziaria; la giurisdizione criminale dei consoli, che pure conservavano il potere coercitivo, amministrativo e
poliziesco, venne affidata ai comizi centuriati, che soli potevano comminare la pena di morte;
• lo statuto del cittadino venne modificato instaurando una divisione di censo (tra ricchi e poveri) piuttosto che di
nascita (tra patrizi e plebei). Venne tuttavia stabilito il divieto di matrimonio tra patrizi e plebei, anche se questa
norma venne presto cancellata dalla Legge Canuleia del 445 a.C.
Nel 449 vennero eletti consoli Lucio Valerio e Marco Orazio i quali, con le leggi Valeriæ Horatiæ, regolamentarono le
cariche pubbliche in senso democratico:
• i tribuni della plebe, già considerati inviolabili per tradizione, lo furono per legge; il colpevole sarebbe stato privato
dei beni e allontanato dalla società (reso “sacro”, perché obbligato a consacrarsi a Giove);
• ai plebisciti, cioè le decisioni dei concili della plebe, venne riconosciuta un'autorità ufficiale, anche se essi
avrebbero avuto forza di legge solo con la legge Hortensia del 286 a.C.;
• le cariche non avrebbero più potuto prescindere dal consenso popolare.
L'azione della plebe portò a due nuovi risultati; infatti nel 445 a.C. venne approvata una legge che consentiva i matrimoni
tra patrizi e plebei e nel 326 a.C. venne finalmente abolita la schiavitù per debiti.
In sostanza, venne riconosciuto il peso della plebe nella politica romana; questo fu ulteriormente confermato nel 367
a.C. dalle Leggi Licinie Sestie, che autorizzavano l'accesso dei plebei alla carica consolare.
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Storia Antica - primo anno
PRIMA
SECONDA
TERZA
QUARTA
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3) Completa la seguente tabella indicando: nella prima colonna il nome delle caratteristiche comuni a tutte le
magistrature e, nella seconda, una breve descrizione:
QUESTURA
EDILITÀ
PRETURA
CONSOLATO
CENSURA
APPROFONDIMENTO:
descrivi brevemente le cariche governative della Repubblica Italiana; confronta similitudini e differenze con il governo della
repubblica romana esprimendo il tuo parere sulla bontà del loro funzionamento.
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Storia Antica - primo anno
LE CONQUISTE DI ROMA
La guerra contro Volsinii e Tarquinia, iniziata nel 398 a.C., fu interrotta nel 390 a.C. con un accordo
di pace per fronteggiare l'ondata dell'invasione gallica.
Nel 381 Roma venne occupata dai Galli. I racconti eroici, l'avvertimento delle oche sacre a Giunone
e l'impresa di Furio Camillo, riferiti da storiografi posteriori, rientrano nel filone dell'abbellimento del
passato; in realtà, i Galli si ritirarono da Roma perché essi dovettero affrontare i Veneti e le
popolazioni alpine. Una nuova discesa dei Galli avvenne tra il 347 ed il 343 a.C.: questa volta Roma
fu salvata dall'azione del dittatore Lucio Furio, mentre nel 332 – 329 a.C. era già abbastanza forte
da imporre ai Galli una tregua di trent'anni.
Apollo di Veio
Guerrieri sanniti
LE GUERRE SANNITICHE
Nell'immaginario romano queste guerre assunsero il carattere di un'epopea, perché furono sicuramente molto più
sanguinose di quelle fino ad allora combattute; i Sanniti erano un popolo, probabilmente di origine indoeuropea, che,
dal suo originario territorio collocato tra Abruzzo e Molise, attorno al V secolo era sceso ad occupare l'attuale Campania.
Ad indicare le difficoltà del conflitto, è il conosciutissimo episodio dell'umiliante sconfitta patita dai Romani alle Forche
Caudine, tra Caserta e Benevento, con i Romani costretti a passare sotto i gioghi formati da due lance sormontate da
una terza posta trasversalmente.
Decisiva fu per i Romani, nel 295 a.C., la vittoriosa battaglia di Sentino che costrinse alla resa i Sanniti ed i loro alleati.
Le conseguenze delle guerre sannitiche furono:
• l'ordinamento di Capua come municipio federato (334) ed in seguito territorio annesso (tra il 318 ed il 312);
• lo scioglimento della Lega Latina;
• la costruzione, nel 335, del porto di Ostia;
• la costruzione di uno stato romano – campano in seguito agli accordi tra i patrizi romani e campani, con
l'accoglimento in senato delle grandi famiglie campane; in particolare, quella degli Atilii aprì Roma alla politica
marittima;
• l'attrazione di Roma verso il sud dopo il contatto con i popoli della Magna Grecia e con quelli che contrastavano
le colonie, come i tarantini;
• i primi contatti con Cartagine che portarono all'accordo del 348 (il primo secondo alcuni autori antichi, mentre
Polibio ne cita uno del 509 a.C.) secondo il quale Roma poteva commerciare nel Mediterraneo solo con Cartagine
stessa o le sue colonie.
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religione, oltre ad un generale balzo culturale unito ad un sempre maggior coinvolgimento nelle dinamiche mediterranee.
Nel corso del III secolo comparve la moneta romana, inizialmente in bronzo e, dal 269, anche in argento, che diede un
assetto più ordinato agli scambi economici e, con una moneta accettata in tutto il bacino mediterraneo (nel Foro
comparvero i primi uffici di cambio), ne permise un'ulteriore espansione. Chiamata in un primo tempo “pecunia” (il
“cambio” si basava sulla proprietà di armenti, “pecus” in latino significa “pecora”), prese poi il nome attuale dal tempio
di Iuno Moneta (Giunone Monitrice, perché delegata ad avvisare la città di pericoli incombenti, da cui il famoso e
leggendario episodio delle oche del Campidoglio al momento della presa di Roma da parte dei Galli) presso il quale tre
giovani magistrati presiedevano al conio. La società romana, resa più dinamica dall'ingresso nell'élite di famiglie abbienti
di provenienza italica, tende ad allargare i propri orizzonti e ad estendere la potenza dell'Urbe.
L'ESPANSIONE CONTINUA
L'espansione nella parte centrale della penisola seguì queste tappe:
• 290 a.C.: Manio Curio Dentato devastò ed annesse la Sabina, territorio normalmente attraversato dai mercanti romani;
• 283 a.C.: annessione di una parte del territorio dei Galli Senoni, bloccati presso Volsinii e poi respinti fino al mare;
• 268 a.C.: annessione di Ariminum (Rimini), anch'essa gallica, compreso il territorio fino ad Ancona;
• 265 a.C.: dopo decenni di erosione del territorio etrusco da parte di Roma, Volsinii è infine presa; questo segna
la fine definitiva dell'Etruria
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Storia Antica - primo anno
LE GUERRE PUNICHE
All’inizio del III secolo a.C., Roma estese incontrastata il suo dominio su quasi tutto
il territorio peninsulare. Le popolazioni sottomesse però non entrarono a far parte
direttamente del suo organismo statale.
Roma, per garantirsi la sottomissione dei popoli conquistati, istituì una complessa
confederazione di colonie, all'interno delle quali ogni popolo o territorio sottomesso,
ebbe un trattamento politico-amministrativo diverso.
Le colonie permisero ai Romani di esercitare il controllo militare di luoghi
strategicamente importanti, col vantaggio di poter meglio distribuire la popolazione
che si accalcava nell'Urbe, in particolare i veterani, che terminate le campagne
militari,poterono ritirarsi in questi luoghi e amministrare un appezzamento di terra,
sottratto ai vinti. Essi garantirono a Roma assoluta fedeltà e costituirono un
elemento di coesione con lo Stato centrale, contro ogni tentativo di ribellione dei
popoli locali.
I coloni conservarono gli ordinamenti e i costumi della madre-patria. Il loro peso politico non fu sempre determinante, in
quanto per esercitare i propri diritti politici, dovevano ogni volta far ritorno in patria e ciò non sempre era possibile.
Roma suddivise le colonie in: Colonie romane e Colonie latine.
Le colonie romane, compresero cittadini cui erano riconosciuti diritti civili e politici, nonché il diritto di voto.
Le colonie latine, costituite da genti di etnie diverse, conservarono la propria autonomia, godendo però solo di alcuni
diritti( ad esempio la libertà di commercio con la stessa Roma). A questi coloni, nel caso di un loro trasferimento a Roma,
fu riconosciuta la possibilità di ottenere, su richiesta, la cittadinanza romana.
Con grande perspicacia, i Romani non concessero a tutte le colonie lo stesso trattamento, per impedire che tra di esse
si potesse costituire una qualsiasi alleanza contro la stessa Roma. Sul piano culturale invece, le colonie contribuirono ad
una più rapida diffusione ed assimilazione degli usi, dei costumi e della lingua romana
Tuttavia obbedendo sempre al principio di tenere uniti a sè più popoli, ma gli stessi divisi tra di loro, Roma distinse le
città, assegnando a ciascuna diritti ed obblighi politici e civili diversi, in:
Municipi: città già esistenti prima del dominio romano; conservano la propria autonomia e verso i romani hanno solo
alcuni obblighi ( munia), come ad es. rifornire di nuovi uomini l'esercito romano. Come diritti hanno solo quelli civili ( diritto
di matrimonio,di commercio...) ma non sempre quelli politici ( diritto di voto). Infatti vi erano i municipia cum suffragio e
sine suffragio ( diritto di voto /non diritto di voto).
Prefetture: forma di governo affidata ad un prefetto romano. Non godono di autonomia
Città Federate: città libere, autonome politicamente ma alleate e legate a Roma da particolari obblighi ( es. provvedere
al personale di cui necessitava la flotta, oppure rifornire di viveri i soldati che stanziavano sui loro territori).
L'alleanza ha o un carattere di parità ( foedere aequo) o di disuguaglianza ( foedere iniquo).
LESSICO
Colonia: centro abitato da persone che provengono da un paese diverso, con l'intenzione di sfruttare il territorio
economicamente e/o militarmente. Le colonie dei Fenici ebbero una finalità quasi sempre solo commerciale, per
i Greci anche politica ( città-stato), per i Romani prevalentemente militare.
Colonie romane: città che godono di diritti civili e politici
Colonie Latine: città che godono solo di alcuni diritti civili
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CARTAGINE
Secondo la leggenda Cartagine sarebbe stata fondata da Elissa, detta anche Didone, figlia del re di Tiro. Avendole il
fratello ucciso il marito, si dice che la regina, a capo di un gruppo di suoi seguaci, costeggiando il litorale dell’Africa, sia
sbarcata ad ovest a poche miglia di distanza dal luogo ove oggi sorge Tunisi. Lì avrebbe fondato la “ Nuova Città”, Kart
Hadasht, che poi i greci chiamarono Karchedon e i romani Carthago.
I dati archeologici confermano che Cartagine sia stata fondata nell’814 a.C. da coloni Fenici, venuti da Tiro.
La città divenne subito un importante scalo strategico da cui passava ogni genere di merci provenienti da ovest ad est
e viceversa ( ad esempio dalla Spagna i minerali, dalla Britannia lo stagno, dal Senegal l'oro), abbracciando tutto il
Mediterraneo. Inoltre dai territori interni confinanti, Cartagine importò principalmente schiavi, utilizzati nel lavoro dei campi
( vigneti, uliveti, grano), ed esportò i propri prodotti artigianali, quali ad esempio i tessuti, colorati con la porpora , i vasi
in ceramica o vari utensili in metallo. I Cartaginesi costrinsero inoltre le popolazioni indigene al pagamento di tributi, in
denaro, assicurando alla città ulteriore ricchezza.
L'organizzazione politica della città fu
quella di una Repubblica oligarchica,
composta da un'assemblea di trecento
membri cui era affidato il potere legislativo
e quello di eleggere due magistrati annuali,
i Suffeti, affiancati da un senato, i cui
membri erano gli esponenti più illustri di
famiglie nobili del luogo.
Nave Cartaginese Ben presto Cartagine raggiunse una
smisurata ricchezza, assicurata anche dai fitti rapporti commerciali stabiliti con le numerose colonie circostanti, alcune
delle quali da essa stessa fondate (Ibiza, nelle Baleari, Cartagena e Cadice, sulle coste della Spagna, Palermo e Trapani,
in Sicilia, Sulcis, Cagliari e Thorres, in Sardegna).
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Storia Antica - primo anno
Dopo vari scontri con i Greci, cui sottrassero varie colonie, tra cui Agrigento (406 a.C.), Cartagine riuscì ad avere il
controllo di tutto il bacino del Mediterraneo, grazie soprattutto alla sua temibile ed efficiente flotta ed al suo
addestratissimo esercito, composto essenzialmente da mercenari. Con il denaro la città si assicurò una valida difesa,
senza impegnare nei combattimenti la propria popolazione, se non in minima parte. Solo i generali, posti a capo degli
eserciti, furono di solito cartaginesi. Essi provenivano da famiglie locali che vantavano grandi tradizioni e perizia nell’arte
della navigazione e nel campo militare.
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LESSICO
Corvi: ponte mobile, fornito di un uncino. I Romani riuscivano ad agganciare le navi nemiche e con l’inserimento
di una passerella, trasformavano a loro vantaggio lo scontro navale ,come se avvenisse sulla terraferma.
Punici: i Romani chiamavano i Fenici con il termine latino Puni o Poeni
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Storia Antica - primo anno
Naturalmente ciò provocò in breve una dilagante corruzione, conseguenza inevitabile per gli abusi di potere nel perseguire
l’arricchimento personale.
Il Senato da parte sua avrebbe dovuto denunciare tali misfatti, ma ciò quasi mai accadde, in quanto il più delle volte
erano gli stessi senatori ad essere coinvolti con loro in loschi affari, quale ad esempio lo sfruttamento e messa a profitto
di quei vastissimi territori confiscati ai popoli sottomessi e che gli stessi prigionieri di guerra, ridotti in schiavitù, a prezzo
di dure fatiche, erano obbligati a coltivare.
Di solito il proconsole o propretore sarebbe dovuto rimanere al potere un solo anno, di fatto invece la carica fu rinnovata
anche per più anni di seguito.
Dopo la sottomissione della Sicilia, Roma rivolse il suo sguardo verso i popoli stanziati nell’Italia settentrionale. I Galli,
pur avendo un forte esercito, furono ben presto sconfitti a Casteggio nel 222 a.C. e tutta la Pianura Padana fu posta
sotto il controllo romano. Furono fondate 2 colonie, Cremona e Piacenza. Anche la costa dell’Illiria fu ben presto liberata
dagli attacchi dei pirati che seminavano il terrore lungo la fascia costiera, affacciata sull'Adriatico, impedendo il regolare
svolgimento di traffici e commerci.
In pochi anni dunque, prima la Sicilia ( 230-222 a.C.), poi altri territori posti ad oriente dell’Adriatico, cioè l’Illiria, ed altri
disposti lungo la fascia della pianura Padana (Gallia Cisalpina) divennero province, perdendo ogni libertà politica ed
autonomia economica. Roma si assicurò anche il controllo dei confini territoriali posti a nord-est del sempre suo più
vasto regno.
LESSICO
Provincia: Con tale termine, a differenza di oggi, si indicava ogni territorio conquistato da Roma. La provincia era
governata da un proconsole o da un propretore, il quale aveva il compito di amministrare la giustizia, riscuotere i
tributi, assicurare l’ordine pubblico.
LESSICO
Esattore o pubblicano persona cui spetta il compito di riscuotere le imposte erariali, cioè. somme di denaro per
lo Stato.
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SPEDIZIONE IN AFRICA
Lo scontro conclusivo si consumò però sul territorio africano.
Grazie all’alleanza stabilita con i Numidi, ai quali era stato promesso un regno, Scipione,
soprannominato l’Africano, inflisse ad Annibale, rientrato precipitosamente in patria, la
gravissima sconfitta a Zama ( 202 a.C.).
La vittoria dei Romani fu schiacciante, dure furono le sanzioni imposte. I Cartaginesi furono
costretti:
• a rinunciare a qualsiasi possedimento al di fuori del territorio africano
• a cedere la flotta
• a non dichiarare guerra a nessun paese, senza il consenso dei Romani
Scipione L’Africano • a pagare un’ingente indennità pecuniaria.
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Storia Antica - primo anno
Roma riprese sotto di sé il controllo di numerosi territori, promuovendo anche la fondazione di nuove colonie: Bologna,
Parma, Modena, Aquileia.
LESSICO
Imperialista: volontà di uno stato di estendere la propria egemonia politica ed economica su nuovi territori, da
annettere al proprio.
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Storia Antica - primo anno
LABORATORIO:
ESPANSIONE DI ROMA NEL MEDITERRANEO
1) Disponi in ordine cronologico gli avvenimenti che si riferiscono alla 1° guerra punica
- Attilio Regolo viene sconfitto in Africa
- La Sicilia diventa prima provincia romana
- I Mamertini chiedono aiuto ai Romani che inviano un proprio esercito a Messina
- Presso le isole Egadi i Cartaginesi sono sconfitti da Lutazio Catulo
- I Mamertini occupano Messina
Dopo la battaglia di Canne, Annibale decise di non marciare contro Roma, perché i Cartaginesi
c) V F
glielo avevano impedito
d) Scipione l’Africano fu duramente sconfitto dai Cartaginesi nella battaglia di Zama ( 202 a.C.) V F
Le città greche per liberarsi dell’ingerenza politica di Roma, chiesero aiuto alla Siria che appoggiò
e) V F
la guerra
f) La Grecia con il nome di Acaia, fu annessa alla Macedonia divenendo provincia romana V F
g) Con la 3° guerra punica, Scipione Emiliano sconfisse definitivamente Cartagine che fu rasa al suolo. V F
• PROVINCIA
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• ESATTORE (o PUBBLICANO)
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• IMPERIALISTA
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Storia Antica - primo anno
Da un lato, infatti, si era creata un'oligarchia senatoria enormemente arricchita dall'indebita appropriazione di “ager
publicus”, dedita ad una vita sempre più lussuosa e lontana dagli antichi ed austeri valori dei progenitori ed ostile a
qualsiasi cambiamento che potesse ridurre i suoi privilegi.
Dall'altro, i piccoli proprietari terrieri che, costretti ai lunghi periodi di servizio nelle legioni, al loro ritorno si trovavano
nell'impossibilità di proseguire l’attività agricola; erano costretti, quindi, a vendere le loro terre, andando, così, ad
aumentare il numero dei nullatenenti che si recavano nell'Urbe in cerca dell'appoggio di famiglie facoltose (fenomeno
della clientela) oppure in attesa delle elargizioni gratuite di grano o denaro ad opera dell'autorità romana.
L'accumulo di terre da parte di un ristretto numero di proprietari diede origine al “latifondo”. Questo portò con sé due
aspetti negativi: la sostituzione dei contadini liberi con la grande massa di schiavi giunti dopo le conquiste ed il parziale
abbandono delle coltivazioni, sia per l'impossibilità di controllare tutta l'estensione del latifondo e sia per la concorrenza
produttiva e dei prezzi delle nuove province.
Contemporaneamente, la prospettiva di nuove ricchezze spinse i cavalieri, prima unità militare fornita di cavallo, poi
gruppo trasformatosi in un vero e proprio ordine sociale, ad accentuare la loro attività imprenditoriale, basata soprattutto
sul commercio, aggiungendovi l'odiata, ma lucrosa riscossione delle tasse per conto dello Stato; in questa veste venivano
chiamati “pubblicani”.
La società romana, dunque, era composta da tre ordini sociali:
• l'aristocrazia senatoria
• i cavalieri
• il popolo
LESSICO
Ager publicus: lett. “terreno pubblico” era l’insieme delle porzioni di territorio di proprietà della stato di cui veniva
concesso lo sfruttamento con o senza canone
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Tiberio era convinto che un'equa distribuzione delle terre avrebbe contribuito a ridare dignità alla
classe dei piccoli proprietari terrieri, praticamente scomparsa a causa delle guerre di conquista,
ed
utilizzare al meglio l'ager publicus contrastando l'appropriazione indebita ed illegale da parte
dell'aristocrazia senatoria. Per questo, l'atto più importante fu la presentazione di un progetto di
La proposta di riforma, ovviamente, suscitò la dura opposizione dell'aristocrazia senatoria, che vedeva colpiti i propri
privilegi e le proprie ricchezze. Nonostante questo, dopo aver respinto il tentativo estremo di Marco Ottavio,
rappresentante dell'oligarchia senatoria, il progetto divenne legge.
Per fornire una prima copertura economica all'attuazione della riforma al fine di consentire l'avvio delle nuove aziende
agricole, Tiberio chiese di poter utilizzare un cospicuo insieme di beni donati allo Stato Romano dal Re Attalo III di
Pergamo (Asia Minore); ancora una volta egli fu fortemente contestato dal Senato.
Tiberio sapeva che il potere tribunicio gli avrebbe garantito la possibilità di portare a termine la riforma iniziata e l'immunità
contro i tentativi di eliminarlo. Decise dunque di ricandidarsi alla stessa carica, contravvenendo alla consuetudine romana.
Questa sua intenzione scatenò la violenta reazione dei suoi oppositori, che la fecero passare come il tentativo d'instaurare
una tirannide o, peggio ancora, una nuova monarchia. Nel giorno delle nuove elezioni, un gruppo di nobili, capeggiati da
Scipione Nasica, si scontrò con Tiberio, circondato dai suoi seguaci. Tiberio fu ucciso insieme a trecento dei suoi; il suo
corpo fu gettato nel Tevere.
LESSICO
potere tribunicio: potere dei tribuni delle plebe consistente nel diritto di veto contro ogni provvedimento ritenuto
lesivo dei diritti della plebe
Il periodo successivo alla morte del tribuno della plebe fu segnato da una tenace repressione nei confronti della sua
fazione. La sua riforma, però, continuò ad essere attuata anche se lentamente e tra moltissime difficoltà.
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Storia Antica - primo anno
Nel 123 a.C., il fratello di Tiberio, Gaio, fu eletto tribuno della plebe, carica che egli riuscì a ricoprire anche l’anno
successivo, violando con successo la consuetudine che era stata fatale a Tiberio.
A differenza del fratello, Gaio coltivava l’idea di una riforma strutturale dell’ordinamento dello Stato romano, da lui ritenuto
ormai obsoleto e troppo incentrato sul potere di una ristretta oligarchia senatoria, alla luce dell’ampliamento dei confini
e della complessità sociale ad esso connessa. Questo prevedeva l’inserimento nello Stato del ceto popolare, dei cavalieri
e degli Italici.
Era convinto, inoltre, che, per tale progetto, avrebbe avuto bisogno di un’ampia base di consenso tra il popolo ed i
cavalieri, che cercò di ottenere attuando una serie di riforme:
• la “Lex Frumentaria”, che prevedeva la vendita mensile ai poveri a basso costo di frumento da parte dello Stato;
• la concessione ai cavalieri degli appalti di riscossione delle tasse nelle nuove province d’Asia;
• l’immissione di cavalieri nelle giurie dei tribunali che si occupavano di malversazione finanziaria e tributaria
commessa dai governatori delle province.
L’ultimo progetto di riforma, cioè l’allargamento della cittadinanza romana ai latini, venne, però, avversato trasversalmente
dalla maggioranza dei Romani, perché nessuno era disposto a condividere i propri diritti e privilegi vecchi e nuovi.
Il giorno in cui Gaio si presentò al Campidoglio davanti ai cittadini romani, per illustrare il nuovo disegno di legge
sull’allargamento della cittadinanza, scoppiò un tumulto tra le diverse fazioni. Il Senato proclamò immediatamente lo
stato d’emergenza ritenendo Gaio “nemico dello Stato”. Egli, allora, si rifugiò sull’Aventino con i suoi, dove fu attaccato
dalle truppe consolari. Vistosi perduto, nel bosco detto “della Furrina” si fece uccidere da un suo fedele servitore.
Era il 121 a.C.
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La repressione del Senato fu durissima e più di tremila seguaci di Gaio furono uccisi, ma, soprattutto, il Senato decise
per la “damnatio memoriæ” (condanna in uso a Roma consistente nell’eliminazione di tutte le memorie e i ricordi destinati
ai posteri) per entrambi i fratelli Gracchi, Tiberio e Gaio. Entrò anche in uso il detto: “Quis tulerit Gracchos de seditione
querentes?” che letteralmente significa: “chi avrebbe potuto sopportare i Gracchi quando si lamentavano di una
sedizione?” intendendo con questo dare un giudizio negativo sul loro operato. Essi, infatti, non venivano più visti come
le vittime, ma come la causa dei disordini da essi stessi creati.
Di lì a poco lo Stato romano sarebbe stato attraversato dalla lunga e tristissima stagione delle guerre civili a dimostrazione
della fragilità di un impianto statale ancora basato su un ristretto gruppo dominante.
I Gracchi:
l’utopia dell’Impero repubblicano
Per rafforzare i plebei,
soprattutto gli strati più elevati,
occorreva migliorare le condizioni
di quelli più bassi. Migliori condizioni in
basso sarebbero stae provocate
dalle guerre.
(conquiste imperialiste)
LABORATORIO: I GRACCHI
APPROFONDIMENTO: Fai una ricerca sulla distribuzione delle risorse nel mondo moderno con una tua riflessione sulle
disuguaglianze economiche e sociali tra le diverse parti del mondo.
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Storia Antica - primo anno
MARIO E SILLA
LA GUERRA GIUGURTINA
L’eliminazione di Caio Gracco per circa un decennio riportò al potere la classe senatoria che si impegnò a riaffermare i
propri privilegi, smantellando la riforma agraria. Tuttavia la restaurazione oligarchica si rivelò precaria, in quanto non fu in
grado di risolvere i numerosi squilibri e problemi che erano emersi durante l’età dei Gracchi. Fra i democratici, detti anche
populares, permaneva un forte desiderio di rivincita e l’occasione propizia si presentò con la guerra giugurtina.
Il conflitto riguardava il regno africano della Numidia, da tempo alleato e protetto dai Romani. Nel 118 a. C., prima di
morire, il re Micipsa aveva diviso il suo dominio fra i figli Aderbale, Iempsale ed il nipote Giugurta.
Desideroso di diventare il solo sovrano del territorio, Giugurta ordinò l’uccisione di Iempsale e successivamente attaccò
Aderbale, inducendolo a porsi sotto la protezione di Roma. Il Senato decise allora di inviare in Numidia una commissione
che stabilì la divisione del territorio fra Aderbale e Giugurta, ma ciò non riuscì a riportare la pace. Giugurta infatti riprese
le ostilità contro il rivale e pose l’assedio alla città di Cirta (113 a.C.). Dopo averla conquistata, ordinò la crocifissione di
Aderbale ed il massacro di numerosi mercanti italici che avevano partecipato alla resistenza contro di lui.
La notizia della strage provocò l’indignazione dei popolari romani, in particolar modo fra i cavalieri, che costrinsero il
riluttante Senato a dichiarare guerra a Giugurta (111 a.C.).
Le ostilità si trascinarono ingloriosamente per alcuni anni, contraddistinte da azioni fiacche ed inconcludenti, anche
perché i comandanti romani spesso si fecero corrompere dall’oro del nemico, così come sostiene lo storico delle guerre
giugurtine Sallustio. Il conflitto offrì pertanto ai popolari il pretesto per screditare la politica dell’oligarchia senatoria, con
l’obiettivo di strapparle il monopolio del potere. Così nel 107 a.C. i popolari imposero al consolato un loro uomo: Caio
Mario ed a lui venne affidato il comando della guerra giugurtina. Nel 104 Mario riuscì a vincere, anche grazie al tradimento
di Bocco, re della Mauritania, che gli consegnò Giugurta.
LESSICO
Populares: popolari. Con questo termine si indicavano i sostenitori del partito democratico, mentre gli aristocratici
costituiva il gruppo degli optimates ( ottimati).
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Mario allora riuscì a superare le difficoltà reclutando volontari nullatenenti, a cui lo Stato doveva versare uno stipendio ed
assegnare terre al momento del congedo. Si trattava di una novità di grande importanza, che cambiò radicalmente la
composizione dell’esercito, anche perché la possibilità di arruolamento fu estesa ai proletari romani, agli Italici e persino
agli alleati delle altre province.
La riforma militare di Mario costituì un esercito di soldati di mestiere, permettendo ai disagiati della Repubblica di trovare
un’occupazione sicura, che al momento del congedo garantiva pure il possesso della terra. Per estrazione sociale e per
origine etnica questi soldati non si sentivano particolarmente legati allo Stato e al suo sistema politico; molto più forte
era il vincolo verso il loro comandante, perché dalle sue vittorie dipendevano le fortune dei soldati. In tal modo l’esercito
iniziò a costituire una specie di realtà a se stante e divenne il mezzo fondamentale che consentì ai generali di affermare
il loro potere personale nel periodo delle guerre civili.
LE GUERRE DI MARIO
Dopo il successo della guerra giugurtina, Mario
ottenne il consolato per altre cinque volte
consecutive. Questa continua riconferma nella
principale carica dello Stato gli conferì un
notevole potere, in evidente contrasto con le
istituzioni repubblicane. La scelta era però
dettata anche dalla necessità di portare a
termine altre imprese militari. Da anni infatti i
Cimbri e i Teutoni, popolazioni di stirpe
germanica del Nord Europa, effettuavano
scorrerie tra la penisola Iberica, le Gallie e la
pianura Padana e per più volte avevano
sconfitto le milizie romane mandate contro di
loro. Le capacità militari di Mario sembrarono
perciò la miglior garanzia per poter contrastare nemici tanto pericolosi ed effettivamente l’abile generale nel 102 a.C.
riuscì a riportare una trionfale vittoria contro i Teutoni ad Aquae Sextiae, presso Marsiglia, e contro i Cimbri ai Campi
Raudii, vicino a Vercelli (101 a. C.). Le vittorie accrebbero enormemente la sua popolarità, al punto che Mario venne
considerato il terzo fondatore di Roma (dopo Romolo e Camillo).
DOCUMENTI
Mi avete affidato la guerra contro Giugurta, i nobili però l’accettano malvolentieri. Giudicate nella vostra coscienza, vi
prego, se sarebbe meglio togliermi questo incarico e affidarlo ad altri, magari a un nobile d’antico lignaggio carico di
ritratti d’antenati ma digiuno di scienza militare, sicché, quando si troverà sbalzato al comando di un’impresa ardua come
questa, si mostri incerto, smarrito e finisca per assumere uno del popolo a insegnargli il mestiere: così il più delle volte
avviene che l’uomo al quale è stato conferito il comando vada a cercarne un altro che comandi a lui .
[...] E ora, o Romani, paragonate me, uomo nuovo, con la superbia di costoro: le cose che quelli sanno attraverso i libri o
per sentito dire, io le ho viste con i miei occhi o vi ho preso parte; ciò che quelli hanno imparato leggendo io ho sperimentato
con la pratica delle armi. Giudicate voi stessi se valgono più le parole o i fatti: loro guardano dall’alto in basso le mie modeste
origini, io la loro inettitudine; loro mi fanno una colpa della mia condizione, io li accuso delle loro infamie.
[...]Per ispirare la vostra fiducia, io non posso esibire ritratti, trionfi, consolati dei miei avi; ma, se ce n’è bisogno, lance,
vessilli, decorazioni al merito e altre ricompense al valore militare; e inoltre le mie cicatrici, tutte sul petto. Son questi i
miei ritratti, la mia nobiltà: essa non m’è stata trasmessa, come a quelli la loro, ma me la sono guadagnata a furia di
fatiche e di rischi.
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Storia Antica - primo anno
Io non so esprimermi con arte; non me ne curo. Il valore lo si vede abbastanza da solo. Loro sì hanno bisogno di artifizi
per mascherare con belle parole le loro turpitudini! E non ho neppure studiato le lettere greche: non mi interessava
apprenderle, dato che non sono servite ad istillare forza morale nella coscienza di quei sapienti. Ma conosco a fondo le
cose che sono utili allo Stato: dare addosso a un nemico, difendere un presidio, aver paura di una cosa sola: del disonore;
sopportare i rigori dell’inverno e il caldo dell’estate, dormire per terra, resistere alle privazioni e alla fatica: sono questi i
principi che impartirò ai miei uomini. E non li terrò a stecchetto riservando a me un trattamento da signore, né mi farò un
vanto delle loro fatiche: così deve comportarsi chi è sollecito del bene della patria, chi sa che gli uomini a cui comanda
sono cittadini, che se io mi tenessi al sicuro tra gli agi e opprimessi i soldati a furia di punizioni, non mi comporterei da
comandante, ma da padrone.
Sallustio, La guerra giugurtina, 85, 10-36, trad. L Storoni Mazzolani, Rizzoli, Milano,1976.
LABORATORIO
ÿ Individua i riferimenti storici a cui questo documento si collega.
ÿ Spiega per quale motivo Mario si considera un uomo nuovo.
ÿ Quali gravi difetti Mario attribuisce all’antica nobiltà?
ÿ Mario esalta alcuni aspetti della sua personalità e delle sue capacità da condottiero militare. Spiega quali.
LESSICO
Veterani: con questo termine venivano indicati i militari congedati dopo un luogo servizio.
LA GUERRA SOCIALE
La sconfitta dei popolari riportò gli ottimati alla direzione della vita
politica, ma agli inizi del I sec. a.C. un’altra grave crisi investì la
Repubblica e fu scatenata ancora una volta dal problema del diritto di
cittadinanza agli Italici.
Da tempo fra queste popolazioni serpeggiava un notevole malcontento;
esse infatti in molte guerre di espansione avevano contribuito in
maniera determinante al successo di Roma, ma non godevano degli
stessi vantaggi dei Romani, in quanto non possedevano la cittadinanza.
Così gli Italici erano esclusi da una struttura che avevano contribuito ad
edificare; erano a loro precluse la partecipazione al governo dello Stato,
la divisione dell’ager publicus, le cariche di comando in ambito militare.
Nel 91 a.C. il tribuno Marco Livio Druso presentò un ampio ed articolato
programma di riforme (cfr lettura di approfondimento), fra le quali era
compresa anche la concessione della cittadinanza agli Italici, ma la sua
proposta suscitò una profonda ostilità, sia da parte dei ceti elevati, che
non vedevano di buon occhio l’ampliamento politico dello Stato, sia da
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parte della plebe urbana, come al solito non disposta a condividere con altri i propri tradizionali privilegi. In questo clima
di tensioni Druso venne ucciso da un sicario e la sua morte tolse agli Italici la speranza di poter ottenere la cittadinanza
per vie legali.
Il clima che si venne a creare non poté che esplodere in una rivolta. Essa scoppiò alla fine del 91 a.C. nel Piceno, ad
Ascoli, dove gli Italici uccisero il pretore e tutti i cittadini romani là residenti. Divampò poi a nord, nel territorio dei Marsi
ed a sud, in quello dei Sanniti. Restarono fuori dal conflitto le colonie latine, gli Etruschi, gli Umbri e le città della Magna
Grecia.
I rivoltosi si diedero un’organizzazione federale, scelsero come capitale Corfinio, presso Sulmona, che ribattezzarono
con il nome di Italica, costituirono magistrature e assemblee sul modello romano, iniziarono a coniare monete proprie;
in una di queste è rappresentato un toro, simbolo delle tribù sannite, mentre colpisce la lupa romana!
La cosiddetta “guerra sociale” fu una delle più minacciose ribellioni che Roma dovette affrontare nella sua storia. Per
fronteggiarla vennero inviati due eserciti, che si scontrarono con gli Italici dal 91 all’88 a.C., ma questa volta il conflitto si
rivelò particolarmente difficile, perché gli avversari conoscevano strategie e tecniche delle truppe romane, in quanto
avevano ricevuto il medesimo addestramento. Per evitare che la ribellione dilagasse ulteriormente, alla fine del 90 a.C.
Roma concesse la cittadinanza a tutti i socii italici che non erano entrati nella federazione separatista e successivamente
a tutti quelli che si impegnavano ad interrompere le ostilità. Questi provvedimenti permisero alla Repubblica di riottenere
la superiorità militare e di concludere le operazioni belliche nell’88. a.C.
Con la concessione della cittadinanza agli alleati, lo Stato cessò di essere solo romano e si posero le basi per la nascita
di una comune civiltà italica.
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Storia Antica - primo anno
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I senatori ritornarono ad esercitare l’autorità giudiziaria nei tribunali di concussione, tolta ai cavalieri, ed a loro fu affidata
anche l’amministrazione delle province.
Per impedire che altri generali attaccassero con l’esercito in armi lo Stato, come lui stesso aveva fatto, Silla spostò il
pomerio fino ai fiumi Magra e Rubicone, a sud della Gallia Cisalpina.
Perfezionata la sua riforma, nel 79 a.C. Silla lasciò la politica, ritirandosi a vita privata. La scelta confermava che egli non
aveva mai aspirato ad instaurare una monarchia personale, ma il suo unico obiettivo era quello di riportare al potere
l’oligarchia senatoria. Molti però furono gli errori di valutazione politica da lui commessi. In primo luogo i senatori non
rappresentavano certo la parte più capace e disinteressata della società romana, né erano più in grado di dirigere da
soli il governo, come nei primi secoli della Repubblica, perché la compagine sociale era diventata ben più complessa ed
era pertanto impensabile affidare il potere ad un unico gruppo. Roma inoltre, dopo le numerose guerre di espansione,
governava un dominio geograficamente molto esteso, che non poteva certo essere controllato con i medesimi sistemi
politici di quando la Repubblica si estendeva sul solo Lazio.
Inquietanti furono inoltre i rimedi che Silla attuò per risolvere quelli che riteneva essere i mali dello Stato, in quanto la
distruzione della democrazia da lui attuata andava contro la migliore tradizione della Repubblica romana.
LESSICO
Pomerio: era il confine sacro della città di Roma che non poteva essere attraversato da eserciti in armi.
DOCUMENTI
LE LISTE DI PROSCRIZIONE
Nella sua Vita di Silla lo scrittore greco Plutarco (50 d. C. – 120 circa) descrive con particolare attenzione le violenze
perpetrate dai sillani a seguito delle liste di proscrizione. E’ probabile che molti particolari da lui narrati siano stati romanzati
e caricati di elementi truculenti, tuttavia il suo racconto ha il merito di aver colto alcuni aspetti delle liste di proscrizione
ed il terrore sanguinario che esse provocarono.
Silla si immerse ora nei massacri. Stragi senza limiti e senza discriminazioni riempirono la città; molte persone vennero
uccise a causa di inimicizie private, che non avevano nulla a che fare con Silla ed egli lo permise per compiacere i suoi
fautori.
[...] Veniva proscritto anche chi occultava un proscritto in casa propria; e non si facevano eccezioni per i fratelli, figli o
genitori: così la morte veniva fissata come punizione di un atto di umanità. Chi viceversa uccideva un proscritto, riceveva
un compenso di due talenti per l’omicidio commesso, anche se era uno schiavo che ammazzava il padrone o un figlio
che ammazzava suo padre. La cosa che sembrò più ingiusta di tutte fu però questa: i figli e i nipoti dei proscritti erano
privati dei diritti politici e tutte le loro proprietà venivano confiscate. Le proscrizioni non interessavano soltanto Roma: ne
avvennero in ogni città d’Italia e non rimase tempio di dei, focolare d’ospite, casa paterna che il sangue degli uccisi non
insozzò. Mariti furono sgozzati nelle braccia delle mogli, figli nelle braccia delle madri. Le persone uccise per passione e
per inimicizia politica non rappresentarono che la minima parte rispetto a coloro che furono massacrati allo scopo di
appropriarsi dei loro beni. Agli uccisori stessi capitava di dire: “ Costui l’ha ucciso la sua ricca casa; questo il giardino;
quest’altro i bagni caldi”. Quinto Aurelio, per esempio, era un uomo pacifico; credeva che, dei mali che accadevano, a
lui non ne dovesse toccare alcuno, se non la pietà per gli sventurati. Un giorno si recò però nel Foro e lesse la lista dei
proscritti: tra i loro nomi trovò anche il suo. “ Ohimè infelice - esclamò – la mia tenuta di Alba mi perseguita”. E non aveva
fatto pochi passi che cadde, scannato da un tale che lo aveva seguito fin là.
Plutarco, Vite parallele, Vita di Silla, trad. C. Carena, Einaudi, Torino, 1958.
LABORATORIO
ÿ A quale momento delle guerre civili si riferisce il passo di Plutarco?
ÿ Aiutandoti anche con quanto hai studiato nel profilo storico, spiega perché anche i figli e i nipoti dei proscritti
venivano privati dei diritti politici.
ÿ Cosa vuole dimostrare lo storico raccontando quanto successo a Quinto Aurelio?
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Storia Antica - primo anno
LABORATORIO
FATTI CONSEGUENZE
2) Mario ottiene il comando della guerra contro Mitridate 2) A Roma scoppiano violente rivolte contri i poolari
6) Mario promuove una riforma militare. 6) Roma concede la cittadinanza agli Italici
3) Nel seguente elenco compaiono fatti o riforme riferibili a Mario ed altri attribuibili a Silla. Assegna la corretta
attribuzione: attenzione agli intrusi.
- Vengono predisposte le liste di proscrizione.
- Si concede la cittadinanza agli Italici.
- Finito il servizio militare, i veterani ottengono dallo Stato un appezzamento di terra.
- Si costituisce un esercito di professionisti.
- I Cimbri e i teutoni vengono sconfitti.
- Si aumenta il potere dei tribuni della plebe.
- Il numero dei Senatori viene portato a 600.
- Si ridefinisce la successione delle cariche per svolgere la carriera politica.
- E’ vincitore nella battaglia di Porta Collina.
- Ottiene il consolato per la sesta volta.
- Il pomerium è fissato al confine con la Gallia Cisalpina.
- Si toglie il diritto di veto ai tribuni della plebe.
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Storia Antica - primo anno
LA GUERRA SERVILE
Mentre in Spagna si combatteva la guerra contro Sertorio, molti territori della penisola furono devastati da una rivolta
organizzata dagli schiavi.
Da una scuola di gladiatori presso Capua nel 73 a.C. erano fuggite alcune decine di schiavi, lì rinchiusi per
l’addestramento agli spettacoli gladiatori; erano comandati da Spartaco, uno schiavo trace, di cui le fonti mettono in
luce la cultura, l’intelligenza e l’umanità. A questo primo nucleo di ribelli si erano uniti altri schiavi e diseredati, che nel
giro di poco tempo avevano costituito un agguerrito esercito, che probabilmente arrivò a comprendere 120.000 rivoltosi.
All’inizio il loro obiettivo era quello di superare le Alpi per tornare nei territori germanici, celtici e balcanici da cui
provenivano; perciò, dopo aver saccheggiato la Campania e le terre che attraversavano, si erano diretti verso nord,
riuscendo a fronteggiare gli eserciti romani che erano stati inviati contro di loro. Ad un certo punto, però, decisero di
invertire la marcia, forse con l’intento di attaccare la stessa capitale, e questa fu la decisione che determinò la loro
sconfitta. Non sono chiari i motivi di tale cambiamento di programma che pare non fosse condiviso da Spartaco. Non è
da escludere che le brillanti vittorie fecero perdere agli schiavi il senso della realtà e li indussero a sentirsi invincibili, al
punto da pensare alla conquista della stessa capitale.
Le bande di rivoltosi percorsero di nuovo la penisola, arrivando nel Bruzio, l’attuale Calabria. Gli storici romani raccontano
che qui vennero raggiunti da ricchi mercanti che volevano acquistare da loro il bottino accumulato durante i loro
combattimenti, ma Spartaco proibì ai suoi uomini di ricevere come pagamento oro ed argento, preferendo invece il ferro
ed il rame con cui si potevano fabbricare le armi.
Contro gli schiavi Roma mandò un esercito comandato da Marco Licio Crasso, un ricchissimo uomo d’affari legato alla
classe dei cavalieri che aveva combattuto al fianco di Silla nel periodo delle guerre civili. Nella primavera del 71 a.C. ebbe
luogo in Apulia l’ultimo disperato combattimento, che permise a Crasso di vincere i ribelli. Durante la battaglia morirono
più di 60.000 schiavi, fra i quali lo stesso Spartaco. Altri 6.000 furono fatti prigionieri per poi essere crocifissi lungo il
tratto della via Appia che congiungeva Capua a Roma. Un gruppo di qualche migliaio di schiavi riuscì ad evitare la strage,
ma durante la fuga venne sconfitto in Etruria da Pompeo, che con le sue truppe stava tornando vittorioso dalla Spagna.
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DOCUMENTI
L’orgoglio si impadronì degli schiavi. Non tollerarono più di dover evitare la battaglia né di ubbidire ai comandanti. Appena
ripresero la marcia, circondarono i loro capi, brandendo le armi, e li costrinsero a ricondurli nuovamente indietro, attraverso
la Lucania, contro i Romani. Crasso non cercava altro. Si dava già come imminente l’arrivo di Pompeo, e non poche
persone andavano in giro facendo propaganda per lui e sostenendo che la vittoria finale della guerra sarebbe stata sua:
bastava arrivasse e con una battaglia sola avrebbe concluso le ostilità. Crasso aveva perciò fretta di finirla. Si accampò
vicino al nemico e fece scavare una fossa. Gli schiavi balzarono all’assalto e impegnarono battaglia coi soldati occupati
nel lavoro. Da una parte e dall’altra accorsero rinforzi sempre più numerosi; alla fine Spartaco si vide costretto a schierare
in campo tutto l’esercito. Prima di iniziare la battaglia si fece portare il suo cavallo, sguainò la spada e lo abbatté, dicendo:
“ Se vincerò, ne avrò molti e belli: quelli dei nemici; se perderò, non avrò più bisogno di cavalli”. Quindi si gettò nel folto
della mischia, ove cadevano più numerosi i feriti, in cerca di Crasso. Non lo trovò, però uccise due centurioni da cui era
stato assalito simultaneamente. Quando infine attorno a lui era già cominciata la fuga, fu accerchiato da una folla di
nemici e abbattuto, mentre si difendeva ritto in piedi. Crasso fu comunque sfortunato, perché, dopo aver condotto
ottimamente la campagna ed essersi esposto personalmente al pericolo, non riuscì a impedire che la sua vittoria giovasse
alla gloria di Pompeo. Infatti gli schiavi che scapparono alla battaglia andarono a cadere nelle braccia di Pompeo e furono
sterminati da lui; Pompeo poté così scrivere al Senato che, se Crasso aveva battuto gli schiavi in campo aperto, lui
aveva estirpato la radice della guerra.
Plutarco, Vite parallele, Vita di Crasso, trad. C. Carena, Einaudi, Torino, 1958.
LABORATORIO
ÿ Le prime righe del brano fanno riferimento ad un momento fondamentale della guerra servile. Spiega quale.
ÿ Individua nel testo le parole che mettono in rilievo la fama di generale invincibile che Pompeo godeva.
ÿ Spiega in che modo Spartaco e gli schiavi affrontarono le fasi conclusive della guerra.
ÿ Perché Pompeo scrisse al Senato che se Crasso aveva battuto gli schiavi in campo aperto, lui aveva estirpato la
radice della guerra?
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Storia Antica - primo anno
LESSICO
Corsus honorum: a Roma le cariche politiche si rivestivano in un determinato ordine di successione. Il cursus
honorum era appunto la successione delle magistrature e delle cariche politiche per i cittadini che intraprendevano
la vita pubblica.
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baluardo per la difesa della democrazia e della libertà, pericolosamente messe a rischio dalla politica demagogica che
spesso contraddistingueva il partito popolare.
LA CONGIURA DI CATILINA
Proprio in questi anni un oscuro personaggio, militante fra i popolari, cercò di spazzare via la Repubblica per instaurare
un potere personale. Si trattava di Lucio Sergio Catilina, un aristocratico che riversava in pessime condizioni finanziarie.
Dopo aver sostenuto Silla ed essersi distinto per la sua crudeltà durante il periodo delle liste di proscrizione, con l’usuale
voltafaccia dettato da convenienza politica, era passato dalla parte dei popolari. Nel 66 e nel 64 a.C. aveva presentato
la propria candidatura al consolato, ma ne era uscito perdente. Ci riprovò nel 63 e questa volta fece della cancellazione
dei debiti il punto centrale del suo programma, riuscendo così ad ottenere consenso fra diversi strati della popolazione:
dai diseredati ai senatori, a loro volta spesso oberati di debiti. Nel contempo, con alcuni cospiratori stava preparando
una rivolta, proponendosi di marciare su Roma per conquistare il potere. Per questo aveva reclutato un esercito in Etruria
che raccoglieva aristocratici spiantati, veterani di Silla, plebei ridotti in povertà.
Quando le elezioni per il consolato lo decretarono perdente per la terza volta, Catilina decise di passare all’azione, ma
pochi giorni prima dell’ inizio della congiura Cicerone, console in carica per quell’anno, ne venne a conoscenza tramite
una delazione e ne diede immediata comunicazione al Senato. I cospiratori furono dunque costretti a rimandare i loro
piani, che divennero però ancora più violenti: questa volta si proponevano di uccidere lo stesso Cicerone e gli ottimati
che non li sostenevano, mentre Catilina con il suo esercito avrebbe occupato la capitale.
Per la seconda volta Cicerone fu avvisato della losca trama e in una storica riunione del Senato comunicò quando aveva
scoperto. La mancanza di prove non permise di procedere subito all’arresto dei cospiratori, l’unico risultato ottenuto fu
l’allontanamento di Catilina da Roma:il cospiratore si recò in Etruria.
Con capacità e astuzia Cicerone riuscì a procurarsi le prove per accusare e arrestare i congiurati rimasti a Roma. ( cfr
lettura di approfondimento) . Per loro Cicerone propose ed ottenne l’immediata condanna a morte, non fu neppure
concessa la possibilità di appellarsi all’assemblea popolare, come invece prevedeva l’ordinamento repubblicano per i
casi di sentenze capitali.
Solo Giulio Cesare levò la sua voce in Senato per chiedere che venisse evitata questa grave illegalità e propose di
commutare la condanna capitale con l’esilio e la confisca dei beni degli imputati, ma non fu ascoltato.
In Etruria Catilina aveva raccolto un esercito di 10.000 uomini per tentare un’ultima disperata resistenza. Lì il senato inviò
le sue legioni e all’inizio del 62. a.C. l’esercito dei cospiratori venne sconfitto a Pistoia: lo stesso Catilina cadde in battaglia,
dopo aver combattuto valorosamente.
La Repubblica era per il momento salva, ma i costi umani della vittoria erano stati alti. La congiura di Catilina aveva
dimostrato ancora una volta quanto i disagi sociali potevano diventare un’arma pericolosissima in mano a personaggi
ambiziosi e senza scrupoli. Nel contempo la repressione della congiura rafforzò considerevolmente il prestigio degli
ottimati.
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Storia Antica - primo anno
DOCUMENTI
Già nella prima adolescenza Catilina aveva commesso molti nefandi stupri, con una nobile vergine, con una sacerdotessa
di Vesta(1) e altre azioni di tal genere contro le leggi umane e divine. Infine, preso d’amore per Aurelia Orestilla di cui
nessun uomo onesto lodò mai qualcosa, tranne la bellezza, poiché ella esitava a sposarlo per timore del figliastro già
adulto, egli, come si ritiene per certo, uccise il proprio figlio e rese libera la casa per le nozze scellerate.[...]
Ma insegnava in molti modi ai giovani che, come ho detto poc’anzi, aveva attirato nella sua rete, a commettere male
azioni. Si serviva di costoro per fare testimonianze e firme false, li spingeva a non tenere in nessun conto la parola data,
gli averi, i pericoli; dopo, quando aveva logorato la loro fama e il sentimento d’onore, comandava imprese più ardue: se,
per il momento, non si presentava l’occasione di scelleratezze, ciò nondimeno ordinava di assalire e di strozzare chi gli
aveva fatto del male e chi verso di lui era del tutto innocente: certo, affinché nell’ozio non si intorpidissero le mani e
l’animo, preferiva essere, anche senza motivo, malvagio e crudele.
C. Sallustio Crispo, Opere complete, La congiura di Catilina, 15-16, trad. Raffaele Ciaffi, Adelphi, Milano, 1969, pp. 26- 27.
Allo stesso tempo, tuttavia, in altre parti dell’opera non mancano pagine di analisi sociale, in cui lo storico dimostra di
aver colto i principali problemi della plebe urbana e dei fenomeni connessi all’urbanesimo.
Non solo era sconvolta la mente di quelli che erano stati complici della congiura, ma tutta quanta la plebe, per desiderio
di rivolgimenti politici, era favorevole ai disegni di Catilina. Sembrava agire in tal modo secondo il costume che le è
proprio. Infatti sempre in una città coloro che non hanno nessun bene invidiano gli onesti, portano in auge i malvagi,
odiano le vecchie istituzioni e ne bramano di nuove; per odio alla loro sorte cercano di sovvertire ogni cosa e senza
preoccupazione si nutrono di torbidi e di sedizioni, poiché chi non ha nulla facilmente non teme alcun danno. Ma la plebe
di Roma, quella veramente, anche per molte altre ragioni, si lasciava trascinare nei tumulti. In primo luogo quelli che
dappertutto eccellevano nella disonestà e nell’infamia, poi altri che avevano dissipato in eccessi vergognosi i loro
patrimoni, infine tutti coloro che erano stati costretti a venir via dalla loro patria per i delitti e le turpitudini erano affluiti a
Roma come in una sentina. Inoltre molti, ricordando la vittoria di Silla, poiché vedevano che da soldati semplici alcuni
erano divenuti senatori, altri così ricchi che mantenevano tenore di vita e fasto regali, speravano, se avessero preso le
armi, di poter conseguire con la vittoria la stessa fortuna. Infine i giovani, che in campagna, a causa degli scarsi guadagni
dei lavori manuali, avevano dovuto sopportare la miseria, attirati dalle elargizioni che facevano i privati e lo Stato, avevano
preferito all’ingrata fatica l’ozio della città.
C. Sallustio Crispo, Opere complete, La congiura di Catilina, 37, trad. Raffaele Ciaffi, Adelphi, Milano, 1969, pp. 59- 61.
NOTE
(1)
Le sacerdotesse di Vesta, o Vestali, avevano il compito di mantenere sempre acceso il fuoco sacro della dea, che
rappresentava la vita della città.
LABORATORIO
- Nei due passi viene ricordata la gioventù romana. Illustra perché si parla di lei nel primo brano e come è invece
presentata nel secondo.
- E’ corretto sostenere che per Sallustio la ricchezza non uniformemente distribuita fu una delle cause che favorirono
la congiura? Rispondi facendo riferimento al secondo testo.
- Quali problemi causò l’urbanizzazione di Roma e in che modo Sallustio li mette in relazione con la congiura di
Catilina ?
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LETTURA DI APPROFONDIMENTO
Si trovavano allora a Roma ambasciatori della tribù gallica degli Allobrogi(1), venuti per ottenere dal senato un
alleggerimento dei loro debiti. Lentulo(2) pensò di guadagnare quella tribù al movimento e, preso contatto con gli
ambasciatori, promise l’abolizione di tutti gli obblighi derivanti dai loro debiti in caso di successo del colpo di Stato. I
Galli, sospettosi, decisero di consigliarsi prima con il loro patrono Fabio Sanga,(3) il quale, venuto a conoscenza della
cosa, ne informò Cicerone.
Finalmente al console si presentava l’occasione di raggiungere le prove giuridiche del complotto. Egli ordinò a Sanga di
far sì che gli ambasciatori fingessero di acconsentire e cercassero di ottenere i maggiori particolari possibili dai cospiratori.
Gli Allobrogi così fecero.
Prima del ritorno in patria i Galli, dietro ordine di Cicerone, chiesero ai capi del complotto una lettera diretta agli Allobrogi
che confermasse quanto essi avrebbero a dire verbalmente, giustificando la loro richiesta col fatto che in caso contrario
non sarebbero stati creduti. Lentulo, Gabinio, Cetego e Statilio(4) furono così incauti da consegnare una simile lettera.
Inoltre, siccome gli ambasciatori chiedevano anche che fosse loro concessa la possibilità di incontrarsi con Catilina,
Lentulo lasciò partire con loro uno dei cospiratori con una lettera. diretta a Catilina, sia pure non firmata.
Nella notte dal 2 al 3 dicembre gli ambasciatori Allobrogi furono arrestati mentre si accingevano a partire da Roma e
portati da Cicerone. Ora egli aveva in mano prove dirette: il mattino del 3 dicembre Lentulo, Cetego e Statilio furono
arrestati .
Il senato fu subito convocato e davanti ad esso Cicerone interrogò tutti gli arrestati, compresi gli Allobrogi. La maggior
parte dei cospiratori confessò.
S.I. Kovaliov, Storia di Roma, vol.I, trad. R. Angelozzi, Editori Riuniti, Roma, 1982, p 440.
NOTE
(1)
Allobrogi: erano una popolazione della Gallia Narbonese.
(2)
Publio Cornelio Lentulo Sura ( 100 a.C. circa- 62 a.C.) ex- senatore, fu uno dei personaggi di spicco della congiura.
Le sue condizioni economiche erano disastrate ed è probabile che appoggiò Catilina perché quest’ultimo prometteva
l’abolizione dei debiti.
(3)
Quinto Fabio Sanga era un avvocato romano.
(4)
Sono nomi di altri congiurati
IL PRIMO TRIUMVIRATO
Quando Pompeo tornò a Roma alla fine del 62.a.C. il suo legame con il Senato si incrinò irrimediabilmente; i senatori
infatti consideravano ormai con sospetto il valoroso generale, perché temevano che gli onori ottenuti con tante vittorie
lo inducessero all’instaurazione di un regime personale. Perciò gli consentirono solo di celebrare il trionfo, ma non
permisero l’assegnazione di terre ai suoi veterani, né furono disposti a riconoscere l’ordinamento politico che Pompeo
aveva dato all’Asia dopo aver vinto Mitridate.
Approfittando di tale tensione, Caio Giulio Cesare propose a Pompeo un’alleanza, che venne estesa anche a Marco
Licino Crasso, rappresentante dei cavalieri e dell’alta finanza. L’accordo fu stipulato nel 60 a.C. ed è ricordato con il
nome di primo triumvirato.
Si trattava di un patto privato, attraverso il quale i tre uomini si impegnavano a fornirsi reciproco appoggio, unendo le
proprie forze per conseguire obiettivi ed interessi personali che stavano a cuore a ciascun triumviro, in contrapposizione
alla politica senatoria.
L’accordo permise a Cesare di diventare console per il 59 a.C., in cambio dell’appoggio ricevuto per la sua elezione,
una volta in carica egli consentì a Pompeo di ottenne le terre da distribuire ai suoi soldati e la ratifica dell’ordinamento
politico in Oriente; Crasso ebbe in cambio agevolazioni economiche per i pubblicani.
LESSICO
Pubblicani: erano coloro che acquistavano dallo Stato l’appalto delle imposte.
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Storia Antica - primo anno
IL CONSOLATO DI CESARE
Durante il suo anno di consolato, Cesare non si limitò a mettere in pratica gli accordi presi con i triumviri, ma fece
approvare un provvedimento che assegnava agro pubblico in Italia ai poveri con almeno tre figli. Emanò anche una legge
volta a contrastare gli abusi dei governatori nelle province ed impose di rendere pubblici i decreti del Senato e delle
assemblee popolari. Si trattava di importanti riforme democratiche che aumentarono il suo consenso fra i ceti disagiati
e fra i provinciali.
Al termine dell’anno consolare, Cesare indusse il Senato ad assegnargli il proconsolato in Gallia Cisalpina, in lllirico ed in
Gallia Narbonese, l’attuale Provenza. Erano questi dei territori non particolarmente ricchi ed anche piuttosto turbolenti,
ma la loro scelta faceva parte di un lungimirante progetto che Cesare aveva in mente di attuare. L’instabilità politica delle
province gli permise infatti di ottenere anche l’assegnazione di diverse legioni, che il proconsole si proponeva di utilizzare
in vere e proprie imprese di conquista. Egli infatti, a differenza di Pompeo, non si era ancora distinto in una grande
campagna militare, utile per aumentare il suo prestigio. La sua idea era perciò quella di conquistare i territori della Gallia
non romana, che si estendevano oltre le sue province.
Prima di partire Cesare si preoccupò anche di allontanare Cicerone dallo scenario politico romano, in quanto lo riteneva
l’unico uomo che, in sua assenza, avrebbe potuto nuocergli. Per questo spinse il tribuno della plebe Publio Clodio a
fare approvare una legge con valore retroattivo che stabiliva l’esilio per coloro che avevano condannato alla pena capitale
senza dare agli imputati la possibilità di appello presso il popolo. E’ evidente che il provvedimento era stato pensato per
colpire Cicerone, perché proprio lui aveva fatto condannare in tal modo i responsabili della congiura di Catilina. Così Il
temibile avversario fu messo a tacere, le sue proprietà vennero confiscate e alcune delle sue ville distrutte. Intimorito,
Cicerone partì per la Macedonia.
spada celtica
Gli accordi di Lucca furono ben presto vanificati perché, scaduto l’anno consolare, Pompeo si rifiutò di recarsi in Spagna,
in quanto riteneva che la permanenza a Roma gli avrebbe permesso di affermare con più agio il suo potere personale.
Nel 53 a.C. il triumvirato si sciolse, perché Crasso morì a Carre, in Oriente, combattendo contro la bellicosa popolazione
dei Parti.
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DOCUMENTI
GALLI E GERMANI
Nel De bello gallico, l’opera in cui Giulio Cesare raccontò la sua spedizione in Gallia, oltre che alla trattazione degli avvenimenti
bellici vi sono parti dedicati alle istituzioni, ai costumi, alla società dei popoli con cui il condottiero venne a contatto nella sua
campagna militare. Ecco di seguito due passi, in cui l’autore descrive la società dei Galli e quella dei Germani.
In tutta la Gallia vi sono due classi di persone tenute in conto e onorate. La plebe è considerata come una massa di
schiavi: nulla osa fare da sola e non prende parte alle riunioni. Di quelle due classi una è quella dei druidi, l’altra quella
dei cavalieri. I primi attendono al culto, regolano i sacrifici pubblici e privati, si pronunciano in fatto di religione. I druidi
non vanno di solito in guerra e non pagano come gli altri i tributi [...]. Non credono lecito affidare alle loro scritture le loro
dottrine, mentre in tutte le altre materie fanno uso dell’alfabeto greco. La seconda classe è quella dei cavalieri. Costoro,
quando ve ne è bisogno o quando capita qualche guerra, vi prendono parte.
Tutta la nazione gallica è oltremodo dedita alle pratiche religiose. Sopra ogni altro dio onorano Mercurio.
Giulio Cesare, La guerra gallica, VI, 11 ss, trad. G. Lipparini, Zanichelli, Bologna, 1951
I Germani hanno costumi molto diversi [dai Galli]. Non hanno druidi a regolare il culto e non si danno troppo pensiero di
sacrifici. Nel numero degli dei pongono soltanto quelli che vedono e dalla cui potenza sono apertamente favoriti: il Sole,
Vulcano, la Luna; degli altri non sanno neppure il nome. Tutta la loro vita consiste nella caccia e nella milizia; fin da piccoli
si addestrano alla fatica e alla vita dura.
Non hanno disposizione per l’agricoltura e la maggior parte del loro vitto consiste in latte, cacio e carne. nessuno
possiede una determinata misura di terreno o una proprietà particolare; i magistrati e i capi ogni anno assegnano, dove
credono meglio, alle famiglie e alle parentele e a quanti si uniscono in società, una certa quantità di terreno. Non si vuole
che essi, abituandosi a una fissa dimora, sostituiscano con l’agricoltura l’amore della guerra. [...]
Quando una tribù fa guerra difensiva o offensiva, si scelgono magistrati che siano signori della guerra, con diritto di vita
e di morte. In tempo di pace non c’è nessuna magistratura generale; i capi dei distretti e dei villaggi amministrano la
giustizia fra i loro e ne appianano le controversie. [...]. Oggi i Germani continuavo a vivere come un tempo, poveri,
bisognosi, rassegnati al medesimo vitto e durezza di vita; mentre i Galli, data la vicinanza delle nostre province e la
conoscenza dei prodotti d’oltremare, hanno grande abbondanza e comodità.
Giulio Cesare, La guerra gallica, VI, 21 ss, trad. G. Lipparini, Zanichelli, Bologna, 1951.
LABORATORIO
- Spiega chi erano i druidi presso i Galli e per quali motivi erano una classe privilegiata.
- Quali sono le principali differenze fra Galli e Germani?
- Quale caratteristica fondamentale dei Germani Cesare vuole sottolineare?
- Nei due passi Cesare sostiene che le condizioni di vita dei Galli erano migliori rispetto a quelle dei Germani.
Partendo da questo giudizio si può trovare nel testo un messaggio ideologico che l’autore vuole comunicare?
effige di Vercingetorige
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Storia Antica - primo anno
Le conseguenze della conquista della Gallia furono importantissime anche per l’affermazione politica di Cesare che,
come lui ben sapeva, non poteva prescindere dal rovesciamento del governo senatorio. Il successo della guerra gallica
gli diede i mezzi per poter combattere contro il Senato anche con le armi, nel caso in cui non si riuscisse ad evitare
questa possibilità, anche se Cesare era contrario alla guerra civile e sperava di riuscire ad imporsi solo utilizzando la sua
abilità politica. La campagna in Gallia gli aveva infatti garantito un esercito forte, ben addestrato e fedele. Poteva inoltre
contare sul denaro dei saccheggi e sui tributi dei popoli conquistati.
A Roma intanto Pompeo si era riavvicinato al Senato, che nel 52 a.C. lo aveva nominato unico console ( console senza
collega), conferendogli pertanto poteri straordinari.
L’oligarchia senatoria e Pompeo consideravano Cesare il nemico comune da annientare, perciò quand’egli fece sapere
che intendeva presentare la propria candidatura al consolato per il 48 a.C., il Senato gli ordinò di presentarsi a Roma
come privato cittadino, intimandogli di sciogliere l’esercito. La volontà di Cesare non era quella di scatenare una guerra
civile senza prima tentare una mediazione, per questo si dichiarò disposto a soddisfare la richiesta, a condizione che
anche Pompeo sciogliesse le sue legioni.
La proposta però fu rifiutata, per cui Cesare decise di aprire le ostilità, varcando con il suo esercito il Rubicone, nel
gennaio del 49 a.C. Il piccolo fiume divideva la Gallia Cisalpina dai territori di cittadinanza romana e dalla Costituzione
sillana era stato scelto come confine oltre il quale non si dovevano condurre gli eserciti: la decisione di Cesare segnava
dunque l’inizio di una nuova guerra civile.
Cesare, però, con una serie di rapide azioni, vanificò ogni progetto di vittoria
dell’avversario. Nella primavera del 49 a.C. andò in Spagna e sbaragliò alcune legioni
pompeiane lì stanziate; all’inizio del 48 a.C. partì per la Grecia e sconfisse gli avversari
nella battaglia di Farsalo. Pompeo si diresse allora in Egitto, dove sperava di poter
confidare sull’ospitalità del re Tolomeo, ma quest’ultimo lo fece uccidere a tradimento e
quando Cesare giunse in Egitto per catturare il suo nemico, Tolomeo gli consegnò la
testa imbalsamata di Pompeo.
Cesare rimase in Egitto per nove mesi, aiutando Cleopatra, sorella e sposa di Tolomeo,
ad impossessarsi del regno. L’affascinante e giovane regina divenne la sua amante e da
Cesare
lei Cesare ebbe un figlio: Cesarione.
Mentre Cesare era in Egitto, i pompeiani ed i tradizionali nemici dei Romani ebbero tempo per riorganizzarsi. In Asia
Minore Farnace, figlio di Mitridate, aveva intrapreso l’ennesimo progetto espansionistico a danno di Roma invadendo
parecchi territori asiatici. Lasciato l’Egitto, Cesare lo affrontò e lo sconfisse con una stupefacente campagna che durò
solo cinque giorni e che si concluse con la vittoria di Zela. Comunicando per lettera il repentino successo, Cesare scrisse
la famosa frase: Veni, vidi, vixi (venni, vidi e vinsi).
L’anno dopo a Tapso, in Africa settentrionale, sbaragliò l’esercito dei repubblicani , che si erano rifugiati in quel territorio
sotto la protezione di Giuba, re della Mauritania.
Nel 45 a.C. fu la volta dei pompeiani che ancora cercavano di resistergli in Spagna e che vennero sconfitti nella battaglia
di Munda.
LA DITTATURA DI CESARE
Sbaragliati tutti i nemici, Cesare era ormai l’unico signore di Roma e si impegnò ad effettuare un radicale programma di
riforme dello Stato e della società. Per ottenere il consenso da parte dell’aristocrazia, già dopo Farsalo si dimostrò
benevolo nei confronti dei suoi avversari politici: nessuna ritorsione venne effettuata verso chi aveva parteggiato per
Pompeo, i nemici furono perdonati e ciò gli permise di ottenere una certa stima anche da parte di alcuni repubblicani
convinti, primo fra tutti Cicerone.
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In favore della plebe promosse una serie di riforme, per lo più volte a contenere la disoccupazione, mentre cassò
programmi di impostazione demagogica e meramente assistenzialistica. Ridusse pertanto il numero di coloro che
avevano diritto alle distribuzioni gratuite di grano, anche per scoraggiare l’affluenza a Roma di enormi masse di diseredati,
ma promosse l’esecuzione di molti lavori pubblici, per dare lavoro ai poveri.
Quasi 10.000 proletari vennero inviati in Spagna, sul mar Nero, in Gallia, in Africa, per popolare colonie e per fondarne
di nuove. In tal modo non solo garantì una collocazione ai ceti disagiati, senza toccare la proprietà terriera dei latifondisti
italici, ma promosse anche un’avveduta politica di romanizzazione delle province.
In ambito istituzionale le magistrature repubblicane vennero mantenute, ma Cesare assunse così tante cariche da dare al
suo potere una configurazione praticamente monarchica. Nel 46 a.C gli era stato conferito, per dieci anni il titolo di dittatore,
a cui si aggiunse la potestà tribunizia, che rendeva la sua persona sacra ed inviolabile. Dal 63 a.C. continuava ad essere
pontefice massimo, ossia la principale autorità religiosa; gli fu inoltre attribuito a vita il titolo di imperator, che prima veniva
concesso solo ai generali in occasione del trionfo; si riservò infine di poter imporre alle magistrature candidati a lui graditi.
La composizione del Senato fu portata da 600 a 900 membri e Cesare nominò senatori personaggi delle élite italiche e
provinciali che gli avevano mostrato fedeltà. Di fatto, però, la più importante magistratura romana perse ogni potere
effettivo, diventando un’assemblea di consiglieri, priva di poterei decisionali.
Molta cura venne riservata anche al governo delle province, dove aumentarono controlli e riforme per evitare i reati di
concussione; inoltre si stabilì con maggior precisione l’ammontare dei tributi che i pubblicani dovevano riscuotere, per
evitare i soliti latrocini ai danni delle popolazioni locali.
Fra i numerosi provvedimenti va ricordata anche l’introduzione di un nuovo calendario, detto giuliano,che in Europa
rimase in vigore fino alla fine del sec.XVI.
LA FINE DI CESARE
All’inizio del 44 a.C. Cesare decise di preparare una grandiosa spedizione contro i Parti, probabilmente con l’intento di
usare una campagna militare di grande importanza per rafforzare il suo prestigio ed il suo potere. Non è da escludere infatti
che egli mirasse all’instaurazione di una monarchia di tipo ellenistico. E’ vero che in occasione della festa dei Lupercali del
44 a.C., aveva rifiutato in pubblico la corona offertagli dal console Marco Antonio, ma probabilmente si era trattata di
una’astuta messinscena, dettata anche dal fatto che riteneva i tempi ancora prematuri per mettere in pratica il suo progetto.
La preparazione della guerra contro i Parti affrettò l’organizzazione di una congiura, ordita da sostenitori dell’oligarchia
senatoria, ex-pompeiani e anche seguaci di Cesare, che vedevano in lui il tiranno o il nemico mai sconfitto. Ideologo dei
cospiratori era Giunio Bruto, che Cesare considerava come figlio, affiancato da Caio Cassio.
morte di Cesare
Il 15 marzo, giorno delle Idi, Cesare fu ripetutamente pugnalato in Senato dai cospiratori: sul suo corpo si contarono
23 ferite. Molti dei congiurati pensavano che con l’uccisione di colui che ritenevano un tiranno si potesse ritornare alla
libertà, ma l’assassinio dimostrò altro. Subito dopo il fatto il Senato si disperse in fuga, atterrito dalle conseguenze che
il gesto avrebbe potuto provocare. A Roma iniziò a regnare il panico e fra la plebe ed i veterani fu evidente la rabbia per
la morte di Cesare.
LESSICO
Idi: con questo termine nell’antico calendario romano si indicavano il giorno 15 dei mesi di marzo, maggio, luglio
e ottobre, e i giorno 13 dei rimanenti mesi:
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Storia Antica - primo anno
STORIOGRAFIA
LESSICO
Filippiche: il nome delle orazioni di Cicerone riprende quello dei discorsi che Demostene pronunciò contro Filippo
di Macedonia.
IL SECONDO TRIUMVIRATO
Subito dopo la battaglia di Modena risultò evidente che l’alleanza fra Ottaviano ed il Senato non poteva durare a lungo,
soprattutto perché il nipote di Cesare incominciò a fare una politica autonoma, spinto da una notevole ambizione
personale, che mal si accordava con il desiderio di controllo che su di lui voleva esercitare l’oligarchia repubblicana.
La vittoria su Antonio gli aveva consentito di ottenere anche l’assoluta fedeltà dell’esercito, per cui reclamò la carica di
console, pur non avendo compiuto la carriera prevista dal corsus honorum.
Il Senato cassò la sua richiesta ed il rifiuto indusse Ottaviano a marciare su Roma, ottenendo con la forze ciò che voleva.
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Privato dell’appoggio del Senato, Ottaviano pensò di accostarsi ad Antonio; con lui e con Marco Emilio Lepido, capo
della cavalleria di Giulio Cesare, alla fine del 43 a.C. strinse a Bologna il secondo triumvirato. A differenza del primo, fra
Cesare e Pompeo e Crasso, l’accordo non era un’alleanza fra privati cittadini, ma divenne una vera e propria magistratura,
in quanto fu ratificato dai comizi.
Il patto, della durata di cinque anni, prevedeva la formazione di un esercito, sotto il comando di Ottaviano ed Antonio,
da mandare in Oriente per sconfiggere gli uccisori di Cesare. Lì infatti si erano rifugiati Bruto e Cassio, mossi dalla
necessità di formare un esercito da schierare contro i sostenitori di Cesare. Lepido invece sarebbe rimasto a Roma con
la carica di console. I triumviri inoltre si attribuivano il potere di prendere provvedimenti per governare lo Stato e fra questi
ci furono delle liste di proscrizione, per vendicare i nemici di Giulio Cesare. Roma conobbe così un nuovo periodo di
vendette e violenze, spesso ancora più violente di quelle effettuate durante la dittatura di Silla, anche perché l’odio politico
talvolta era solo un pretesto per impossessarsi dei beni degli avversari, che poi venivano utilizzati per finanziare l’esercito.
Vittima illustre di tanta efferatezza fu Cicerone, che Antonio ordinò di uccidere perché lo riteneva uno dei suoi peggiori
nemici.
Lasciato Lepido in Italia, Ottaviano e Antonio si scontrarono a Filippi, in Macedonia, ( 42 a.C.) con gli eserciti di Bruto e
Cassio, che vennero sconfitti. Gli uccisori di Giulio Cesare si diedero la morte: finiva così l’ultima temibile resistenza dei
cesaricidi.
Antonio
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Storia Antica - primo anno
DOCUMENTI
LA MORTE DI CICERONE
Quella che segue è la versione che lo storico greco Appiano di Alessandria ( 95 circa- 165 circa) ci ha dato riguardo alla
morte di Cicerone, una delle prime vittime delle liste di proscrizione stabilite dai triumviri . Non è da escludere che alcuni
raccapriccianti particolari non rispondano alla realtà dei fatti storici, tuttavia il passo evidenzia con una certa efficacia il
feroce desiderio di vendetta che Antonio nutriva nei confronti del famoso oratore romano.
Cicerone, che dopo la morte di Cesare ebbe un potere che potrebbe essere definito “ la monarchia di un oratore”, era
stato condannato con il figlio, il fratello, il figlio del fratello e tutti i famigliari, i compagni di partito, gli amici; fuggendo per
mare non sopportò i disagi della navigazione e tornò in un suo podere, che io sono andato a visitare per la narrazione di
questa vicenda, nei pressi di Gaeta, una città dell’Italia, e li se ne stava nascosto. Avvicinandosi coloro che lo cercavano
( Antonio, e con Antonio tutti, voleva lui più di tutti gli altri), dei corvi volarono nella sua camera e destatolo con il loro
gracchiare gli strapparono dal corpo la coperta, finché i servi, interpretando quanto avveniva come un segno di un dio,
misero l’oratore su di una lettiga e lo riportavano attraverso una fitta macchia verso il mare, cercando di non dare
nell’occhio. Intanto molti correvano qua e là a chiedere se da qualche parte si fosse visto Cicerone, e tutti, per
benevolenza e per pietà, dicevano che egli era ormai salpato e si trovava in mare; ma un conciapelli, cliente di quel Clodio
che era divenuto acerrimo nemico dell’oratore, indicò al centurione Lenate e ai suoi pochi uomini il sentiero. Subito
Lenate vi corse, e accortosi che molti più uomini dei suoi si preparavano alla difesa, con tono imperioso gridò: “ Vengano
avanti i centurioni che stanno dietro!” A questo punto i servi, convinti che sarebbero giunti più soldati, furono presi dal
panico.
Lenate, che una volta in un processo se l’era cavata proprio con l’intervento di Cicerone, gli tirò la testa fuori dalla lettiga
e la staccò con tre colpi, maciullando le ossa per imperizia; poi tagliò anche la mano con la quale l’oratore aveva intitolato
“Filippici”, come i discorsi di Demostene, i suoi discorsi contro Antonio, presentato come un tiranno.
Subito alcuni a cavallo e gli altri per nave corsero a portare la buona notizia ad Antonia: a lui seduto nel foro Lenate
mostrò da lontano, scuotendole, testa e mano dell’oratore. Antonio ne provò una soddisfazione grandissima, premiò il
centurione con una corona e gli attribuì, oltre la ricompensa convenuta, un donativo di duecentocinquantamila dramme
attiche perché gli aveva ucciso il nemico più grande e pericoloso. La testa e la mano di Cicerone rimasero a lungo
esposte nel foro, pendendo dalla tribuna dalla quale egli era solito pronunciare i suoi discorsi, e accorsero a vederle più
persone di quante mai lo avessero ascoltato. Si tramanda pure che Antonio a mensa pose la testa di Cicerone sulla
tavola finché fu sazio di tale orrenda vista.
Appiano, La storia romana, Le guerre civili, Libro IV, 73-81, trad. D. Magnino, Utet, Torino, 2001, pp. 581-583.
LABORATORIO
- Illustra i motivi per cui Antonio considerava Cicerone uno dei suoi peggiori nemici.
- Spiega perché, secondo Appiano, il centurione Lenate tagliò una mano a Cicerone e la esibì soddisfatto ad
Antonio.
- Ritrova nel testo e fra le tue conoscenze tutte le informazioni che riguardano la figura di Cicerone e la sua attività
politica. Indica quali furono le caratteristiche di questo personaggio e di quali ideali politici si fece portatore.
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In un primo momento Ottaviano gli aveva promesso il controllo sulla Sicilia, sulla Sardegna e sulla Corsica in cambio
della cessazione della scorrerie, ma Sesto Pompeo non rispettò gli accordi, per cui nel 36 a.C. fu sconfitto in guerra e
la vittoria aumentò la fama di Ottaviano.
Antonio si era recato in Oriente per raccogliere denaro con cui finanziare le truppe e in Egitto si era innamorato di
Cleopatra, stabilendosi presso di lei alla corte di Alessandria.
Qui aveva assunto mentalità e modi molto diversi da quelli romani, governando le province orientali come se fossero dei
suoi domini personali e comportandosi da monarca orientale, al punto che aveva destinato alcuni territori della regione
ai figli avuti da Cleopatra. Questo modo di agire fu il pretesto che Ottaviano utilizzò per denunciare il suo rivale agli
occhi dell’opinione pubblica di Roma, accusandolo di essere un nemico della patria, che voleva fare dell’Egitto il centro
principale dei domini romani, al posto della stessa capitale. L’accusa era indubbiamente esagerata, ma conteneva anche
un fondo di verità, in quanto Antonio e Cleopatra erano i sostenitori di un modello monarchico ellenistico, in cui il sovrano
governava per diritto divino, ed il loro prevalere sul modello occidentale avrebbe sicuramente posto fine a tradizioni
politiche romane.
Sostenuto dal popolo, Ottaviano si scontrò con Antonio ad Azio ( 31 a.C.) e riuscì a sconfiggerlo. Antonio e Cleopatra
tornarono ad Alessandria, ma dopo pochi mesi furono di nuovo sconfitti dalle legioni di Ottaviano: Antonio si uccise e
Cleopatra fece altrettanto, secondo la tradizione facendosi mordere da un aspide.
Finiva così la lunga crisi della repubblica romana: Ottaviano era ora l’unico governante di Roma e si apprestava ad una
radicale riforma del potere, dando inizio all’impero.
Ottaviano
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Storia Antica - indice
LABORATORIO
PERSONAGGIO INFORMAZIONI
POMPEO
CRASSO
GIULIO CESARE
1) Sconfisse Ariovisto
2) Fece varare una legge per la distribuzione gratuita di Grano
3) Ottenne il proconsolato in Spagna
4) Sconfisse per la seconda volta Mitridate
5) Non era di nobili origini
6) Vinse la battaglia di Farsalo
7) Partecipò alla battaglia di Porta Collina, sostenendo i sillani
8) Era un sostenitore di Mario
9) Fece redigere liste di proscrizione contro i nemici
10) promosse la fondazione di nuove colonie
11) Attuò una riforma dell’esercito
12) Morì a Carre
13) Sconfisse gli Elvezi
14) fece esiliare Cicerone
15) Sconfisse l’esercito di Spartaco.
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4) Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false e riscrivi correttamente quelle sbagliate:
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Storia Antica - primo anno
DOCUMENTO
Leggi il seguente brano dello storico Plutarco, poi rispondi alle domande
L’insurrezione dei gladiatori e la conseguente devastazione dell’Italia, nota comunemente con il nome di guerra di
Spartaco, ebbe origine dal motivo seguente. A Capua esisteva, tenuta da un certo Lentulo Batiato, una scuola di
gladiatori, in maggioranza Galli e Traci che, senza aver commesso nulla di male, solo per iniquità del padrone, vi erano
tenuti rinchiusi a viva forza e destinati a duellare nell’arena. Duecento di costoro decisero di fuggire, ma furono scoperti
in seguito a una delazione. Solo settantotto, che furono avvertiti in tempo, presero da una cucina coltellacci e spiedi, e
si allontanarono. per strada. Incontrati casualmente alcuni carri che trasportavano armi destinate ai gladiatori di un’altra
città, fecero presto a saccheggiarli e ad armarsi. Poi occuparono una piazzaforte e lì elessero tre capi., il primo dei quali
era Spartaco, un Trace appartenente ad una nazione di nomadi, dotato non solo di grande coraggio e forza, ma anche
di intelligenza e di educazioni superiori a quanto ci si aspetterebbe da una persona della sua condizione.[...]
Sulle prime i gladiatori respinsero le truppe arrivate da Capua per assalirli e si impadronirono di molte armi da guerra.[...]
Dopo aver sconfitto il pretore medesimo in molte altre battaglie, culminate con la cattura dei littori e del suo cavallo
personale, Spartaco divenne in breve tempo potente e terribile. Ponderando però bene le probabilità di riuscita che
aveva, non si fece illusioni di poter sopraffare la forza romana. Cercò quindi di portare la sua armata verso le Alpi,
pensando che il meglio era di valicare e raggiungere ognuno la propria casa, in Tracia o in Gallia. Ma i suoi compagni,
sentendosi forti per il numero ed esaltati per le vittorie, non gli diedero ascolto e percorsero l’Italia saccheggiando.
1) Quali sono le caratteristiche che rendono Spartaco particolarmente adatto al comando della rivolta?
2) Nella valutazione dell’obiettivo da raggiungere con la rivolta, Spartaco denota senso della realtà e lucidità Spiega perché.
3) Riferendoti alle tue conoscenze, spiega come si concluse la rivolta.
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Storia Antica - primo anno
UdA 0: Introduzione allo studio della storia .............. 3 UdA 5: La Grecia ........................................................ 63
La civiltà minoica ..................................................... 63
UdA 1: La preistoria ..................................................... 7 La civiltà micenea .................................................... 67
Sez. 1: Dal Big Bang alla formazione della terra e La prima colonizzazione greca, il Medioevo Ellenico ... 69
dei primi esseri viventi ............................................... 7 L’età arcaica e la nascita della Polis ......................... 69
Sez. 2: Filogenesi dell’uomo .................................... 10 La seconda colonizzazione Greca ........................... 71
Sez. 3: Ricostruzione archeologica e culturale ......... 16 Sparta ..................................................................... 71
Atene ....................................................................... 74
UdA 2: Egitto e Vicino Oriente .................................. 21 La prima guerra Persiana ........................................ 77
La seconda guetta Persiana .................................... 79
Introduzione generale .............................................. 21
La guerra del Peloponneso ..................................... 83
La Mesopotamia dalle città stato ai primi imperi
L’Ellenismo .............................................................. 86
(3500-1600 a.C.) ..................................................... 24
L’antico Egitto .......................................................... 33
UdA 6: Gli italici e Roma ........................................... 93
UdA 3: I grandi imperi asiatici .................................. 39 L’italia Preromana .................................................... 93
La civiltà romana ................................................... 101
Hittiti ........................................................................ 40
La repubblica a Roma ........................................... 107
Assiri ....................................................................... 44
Le conquiste di Roma ........................................... 115
Il secondo impero babilonese .................................. 47
Espansione di Roma nell’area del Mediterraneo .... 117
I Persiami ................................................................ 48
Il tentativo riformista di Tiberio e Gaio Gracco ....... 127
Mario e Silla ........................................................... 131
UdA 4: Il Medio Oriente ............................................. 57
La fine della Repubblica ........................................ 139
I Fenici ..................................................................... 57
Gli Ebrei ................................................................... 60
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