Sei sulla pagina 1di 4

„La conquista dell’America” Todorov

1) In questo saggio lo studioso bulgaro Tzvetan Todorov intende delineare un percorso di analisi della
cruda e sconvolgente vicenda della conquista delle Americhe da parte degli europei nel XVI secolo,
attraverso un filo tematico che si snoda per il problema dell’altro e della percezione e
comprensione di questo: a partire dal primo incontro che Colombo e i suoi accompagnatori hanno
con gli indigeni, incontro che segna molte delle concezioni paradigmatiche e spesso errate che gli
europei per secoli avranno degli amerindi, il filosofo si spinge a descrivere il rapporto fra Cortés e il
sovrano azteco Monctezuma, descrivendo quello che non è solo un incontro di civiltà tecnicamente
differenti ma una collisione fra due modi di pensiero, due assetti religiosi, cosmologici, spirituali e
mentali completamente diversi, scontro che vedrà prevalere la capacità di adattamento e di
improvvisazione degli spagnoli rispetto all’azteca civiltà della memoria. Todorov, nel terzo macro-
capitolo, introduce, attraverso la narrazione della vicenda storica della disputa di Vallalolid (1550)
fra il filosofo e pensatore Sepulvéda e l’abate dominicano Las Casas, la controversia fra due visioni
della natura umana e quindi forme di rapporto con gli indiani: da una parte abbiamo la visione
gerarchica, basata su un concetto di naturale ineguaglianza, sostenuto dal filosofo; dall’altra invece
una concezione di uguaglianza universale, espressa attraverso le argomentazioni dell’abate.
Nell’ultimo capitolo infine Todorov prova a raccogliere nuovamente i fili del discorso: dopo essere
passato attraverso le esperienze di esploratori accecati dalla fede religiosa e dalla bellezza della
natura, di conquistatori astuti in cerca di oro e potere, di pensatori che si sono arrovellati circa il
ruolo degli indiani nel cosmo statico fino ad allora conosciuto dagli europei, egli approda alle
riflessioni di due studiosi, Duràn e Sahagùn, i quali, attraverso le loro dirette esperienze hanno in un
qualche modo “conosciuto” la realtà indigena e ne hanno tratto opere che ad oggi costituiscono la
base documentaria per interpretare il sistema religioso e quindi sociale-politico ed economico delle
società precolombiane.
2) BIOGRAFIA SCIENTIFICA DI TODOROV*
3) Il testo originale francese, pubblicato per la prima volta nel 1982 dalle Editions du Seuil, esce in un
momento di forte ripresa delle riflessioni circa le condizioni delle società indigene in Sud America.
Sebbene il testo di Todorov si presenti in buona parte come un’analisi archeologica e storica delle
fonti etnografiche e storiografiche dell’epoca, il tutto incentrato sul fulcro del rapporto con l’altro,
si può comunque inserire all’interno di un generale movimento di interesse attorno alle comunità
indigene odierne, interesse spesso veicolato dagli stessi gruppi indiani che dopo secoli di pressioni e
sottomissione da parte degli imperi coloniali prima e degli Stati nazionali poi riscoprono o sentono
la necessità di riscoprire le proprie radici entiche e di vederle riconosciute e rispettate all’interno di
contesti che privilegiano e impongono un diffuso livellamento culturale, a favore di una idea di
cittadino e nazionalità che poco recepisce delle antiche civiltà precolombiane ma che tenta di
adattarsi e conformarsi ad un modello capitalistico e consumistico di stampo europeo e
angloamericano (es. il Messico, che nel testo di Todorov rappresenta, insieme alla zona dei Caraibi,
uno dei principali luoghi di svolgimento delle vicende, dove l’identità indio è stata ed è tuttora vista
come un elemento disprezzabile). Il ricordo delle sofferenze del passato, rievocato qui da Todorov,
spesso con crudo realismo e precisione, è quindi il primo passo per recuperare il senso identitario di
cui queste comunità hanno bisogno.
4) L’intento del testo è presentare la vicenda della conquista come quello che fu: il più grande
genocidio della storia. Todorov intende spiegare come si è arrivati a questa definizione allo stesso
tempo seguendo un’unica direttrice tematica, quella della riflessione antropologica e in parte
psicologica del rapporto con l’altro e della sua definizione e in alcuni casi ri-definizione e d’altra
parte procedendo in un complesso intrecciarsi di personalità e personaggi che rendono il saggio
una sorta di dipinto corale della conquista dell’America. All’autore va indubbiamente il merito di
aver trattato in maniera esaustiva tutti gli aspetti della conquista e di aver tenuto in considerazione
gli elementi di differenza fra le popolazioni precolombiane e gli europei che furono centrali per la
vittoria di questi ultimi; a partire dal gap tecnologico e materiale degli aztechi (mancanza di polvere
da sparo, di armi in ferro e di cavallo), allo shock microbico che colpì le popolazioni indigene
all’arrivo degli spagnoli e che contribuì notevolmente alla loro decimazione, fino alla fondamentale
differenza nel sistema di pensiero che rende gli aztechi incapaci di reagire all’inaspettato giungere
degli europei.

5,6) Il testo, come già accennato, è organizzato in quattro macro-capitoli, ognuno dei quali riporta un
verbo all’infinito (Scoprire, Conquistare, Amare, Conoscere) che descrive e rappresenta il rapporto del
protagonista del capitolo (nel primo caso Colombo, poi Cortés, nella terza parte abbiamo Las Casas e
infine gli scrittori Duràn e Sahagùn) con gli indigeni e con la questione del loro trattamento, che a
partire proprio dalla disputa di Vallalolid apre una serie di problematiche e riflessioni di tipo religioso,
politico, sociale e morale. Quel verbo all’infinito è anche tuttavia una provocazione che Todorov lancia,
poiché comunica in modo indiretto la parzialità della visione e dell’approccio di ciascuna di quelle voci
provenienti dal mondo che in quel momento della storia dell’uomo inizia a definirsi come occidentale.
Se Colombo scopre le Americhe è anche vero che non scopre gli indigeni, se non come mero elemento
di corredo di una natura talmente lussureggiante da rappresentare chiaramente (per l’esploratore
genovese): in primo luogo l’intervento della provvidenza divina nel suo viaggio e in secondo luogo la
presenza di ricchezze e soprattutto di oro; Colombo scopre ma non capisce. Per quando riguarda il
secondo capitolo, il più particolare dei quattro poiché per l’unica volta ci viene presentata una netta
opposizione fra un europeo e un azteco, il sovrano Moctezuma, pone il suo accento sulla conquista
operata da Cortés il quale, laddove abbia imparato a conoscere anche profondamente gli indigeni ed
abbia quindi avuto modo di esperire la loro cultura e di meravigliarsi e apprezzare la loro tecnica, non
ama e non considera gli indigeni persone con le quali instaurare un rapporto equo, limitandoli alla
stregua di produttori di oggetti; Cortés conosce gli indigeni, ne ama la cultura materiale, ma sfrutta
questa conoscenza ai fini della sottomissione. Il Terzo capitolo è quello probabilmente più delicato dal
punto di vista ideologico poiché come abbiamo già detto espone un’opposizione fra il concetto di
uguaglianza e quello di diseguaglianza che indubbiamente possiamo riportare e applicare anche ad
altre situazioni della storia dell’uomo. In realtà entrambi le visioni, sia quella di Sepulveda quanto quella
di Las Casas pongono gli indigeni in una condizione di subalternità rispetto agli schemi culturali e
religiosi “occidentali”: nel primo caso sono a stento considerati umani e per questo, in virtù di una
presunta gerarchia naturale, è giusto renderli schiavi e sfruttarli fino allo sfinimento; nel secondo caso
quelli sono considerati eguali agli europei, allo stesso modo figli del Dio cristiano e allo stesso modo
quindi cristiani, anche se a loro insaputa, e quindi suscettibili di assimilazione, un’assimilazione che
comporta ovviamente il ridimensionamento delle loro credenze religiose, la cancellazione dei culti
considerati “pagani” e quindi il livellamento di tutto un sistema sociale e politico che proprio sul
rapporto con gli dei e con la loro parola (espressa attraverso profezie e oracoli) fondava la propria
stabilità secolare. Tuttavia le argomentazioni di Las Casas lasciano aperto uno spiraglio di riflessione che
lo stesso sacerdote domenicano intraprende: nello strenuo tentativo di dimostrare l’umanità degli
aztechi Las Casas fuoriesce dal rigorismo tipico del suo ordine e ammette l’esistenza di differenti sistemi
religiosi e di valori: un relativismo che modificherebbe nettamente la prospettiva del rapporto con gli
indigeni; ma l’amore dimostrato da Las Casas non può nulla contro la potenza distruttiva delle armi.
7) Come abbiamo detto Todorov basa gran parte della sua trattazione sull’analisi e l’esposizione di testi
etnografici (o pseudo-etnografici) e storiografici risalenti al momento stesso della conquista. La voce
che traspare dalle pagine del suo libro è una quindi voce che arriva direttamente dal cuore delle
vicende e che parla trasversalmente attraverso personaggi e esperienze fra loro radicalmente differenti.
Laddove le testimonianze, pervenuteci attraverso trattati, saggi, resoconti o lettere sono effettivamente
frutto di un sistema di pensiero occidentale, esse comunicano quello che è il reale rapporto fra questi
europei e gli indigeni e in alcuni casi sono prova di un primo approccio di tipo etnografico, parziale e
non completamente sviscerato, che inizia tuttavia a prendere forma.
Ne abbia un primo esempio nell’opera di Duràn e in quello che soprattutto è la concezione di
conoscenza culturale proposta e sostenuta dal sacerdote dominicano. Duràn mette in luce un punto
fondamentale che è ora alla base dello studio di una cultura: la conoscenza della lingua. Sebbene
l’autore della “Historia de Las Indias de Nueva España” ponga la conoscenza degli idiomi indigeni come
una necessità al fine della conversione al cristianesimo e alla totale cancellazione dei riti amerindi, è
evidente il mutamento di prospettiva rispetto, per esempio, all’approccio colombiano e a quello che i
missionari avevano avuto fino a quel momento. Se Colombo a stento arrivò ad ammettere che i suoni
pronunciati dagli indiani fossero effettivamente corrispondenti ad un sistema linguistico e non si sforza
minimamente di impararli, continuando imperterrito a tentare di assimilarli a vocaboli spagnoli a lui
familiari e i missionari inviati nei villaggi per convertire gli amerindi distruggono oggetti sacri e della
cultura materiale, senza preoccuparsi di impararne il significato, Duràn condanna questi
comportamenti. Egli è un primo confuso etnografo che raccoglie una quantità incredibile di
informazioni e arriva talmente a fondo nella conoscenza di quelle popolazioni (va ricordato che Duràn si
trasferì in Messico quando era ancora un bambino, quindi di fatto vive una vita di sincretismo fra la
cultura occidentale e quella indiana), vi si avvicina talmente tanto, da tradire la pretesa di oggettività e
non essere più in grado di sintetizzare i risultati delle sue ricerche in argomentazioni finali.

Allo stesso modo Bernardino de Sahagùn si propone, per indagare la cultura delle popolazioni indiane, un
metodo che è indubbiamente precursore delle moderne tecniche di ricerca antropologica. Se Duràn si
concentra fondamentalmente sulla sua lunga e sicuramente profonda esperienza personale, il missionario
spagnolo mette in gioco strumenti “moderni” come il questionario e l’intervista. Tuttavia anche Sahagùn,
come Duràn, rinuncia a dare una forma omogenea e finale delle sue osservazioni. Ossessionato dalla
fedeltà all’oggetto e dalla trasparenza non si spinge fino a tradurre il materiale raccolto nelle categorie
concettuali della sua cultura. Dopo aver svolto quindi il lavoro dell’etnografo contemporaneo non ne porta
a termine il compito che è per l’appunto quello di far comprendere i concetti di una cultura a lettori e
osservatori provenienti da diversi background sociali e di pensiero.

Todorov completa la sua monografia con immagini spesso molto crude e efferate che rappresentano le
violenze compiute dagli spagnoli sui corpi spesso inermi degli indigeni. L’opera tuttavia non è solo
un’esposizione limitata al passato bensì la sua riflessione sulla responsabilità degli europei nel genocidio
degli amerindi arrivano fino al tempo presente: nel capitolo conclusivo infatti, intitolato “La profezia di Las
Casas” lo studioso bulgaro compie un salto temporale e concettuale forse, come lui stesso afferma, un po’
azzardato e sicuramente contestabile e parziale: Todorov tira in ballo gli odierni attacchi terroristici ad
opera di persone che appartengono a popoli una volta colonizzati e le tensioni che vedono come bersaglio
principale il mondo considerato occidentale e arriva a considerarli come una sorta di vendetta, di avverarsi
di quella profezia di sciagura lanciata dall’abate spagnolo, verso i crudeli europei. Tuttavia, quando questa
vendetta, questa violenza, aiuta forse a cancellare, nel caso specifico delle popolazioni dell’America Latina,
secoli di oppressioni e torture? La risposta ovviamente è no e, secondo il condivisibile parere di Todorov,
ciò non sarebbe neanche auspicabile. Quello che l’autore intende fare, l’intento vero dell’opera, espresso
finalmente nelle ultime pagine non è quello di gettare colpe o giustificare vendette, bensì quello di
raccontare la verità, renderla visibile e conoscibile affinché questa non venga dimenticata. La ricerca
dell’altro, la comprensione del diverso, la trasmissione degli orrori del passato, la memoria storica, non
deve essere sterile ma deve servire a ricordare come la cecità, l’ignoranza, e il rifiuto di incontrare il diverso
abbia condotto a un epilogo terribile e ad agire quindi diversamente in futuro. In ultima istanza Todorov
ripercorre i passaggi di incontro con l’altro analizzati nei quattro capitoli del suo libro: scoprire, senza
preoccuparsi minimamente di conoscere; conquistare, conoscendo ma non accettando o amando; amare,
assimilando però in modo arbitrario l’altro nel proprio sistema di valori senza rispettarne la cultura;
conoscere, senza riuscire a superare in ogni caso il problema dell’accettazione e della trasmissione esterna
del sapere. Da qui l’autore arriva all’odierna riflessione sull’uguaglianza e l’accettazione delle differenze: il
mondo occidentale sta imparando lentamente a lasciare andare la propria presunzione di superiorità
accettando l’altro come eguale, nei diritti e nella dignità eppure accettandone le differenze e quindi le
diverse identità. Almeno questo è quello che forse ottimisticamente Todorov preannunciava, in una sorta di
contro-profezia lascasassiana; ora come ora, la riflessione che indubbiamente rimane a noi, una volta aver
letto quest’opera è: quanto effettivamente abbiamo imparato dal passato?

Potrebbero piacerti anche