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Etnografie collaborative e questioni ambientali: ricerche nell’America indigena contemporanea.

A cura di
D. Schmidt e F. Spagna

L’opera, inserita all’interno della Collana di Studi di Americanistica, della casa editrice Cleup, prodotta in
collaborazione con l’Università degli Studi di Padova, si propone come un unicum organico di saggi che
mirano a dare ognuno una visione specifica di un determinato territorio, comunità, fenomeno o situazione
nel caleidoscopico universo dell’America Latina indigena, fornendo come prodotto finale una raccolta di
ampio respiro, completa dal punto di vista tematico e metodologico, in un’ottica prevalentemente
antropologica ma anche storica, sociologica e politica.

Gli argomenti affrontati dai ricercatori sono molti variegati e da saggio in saggio cambia non solo lo stile
narrativo ma anche il metodo di ricerca e l’approccio (caratterizzato comunque sempre da un’esperienza di
campo). Le tematiche che ci si presentano sono tutte collegate da un filo comune che nasce dalla necessità
odierna (come sappiamo già emersa in realtà a partire dagli anni Ottanta) di definire e, se necessario,
ridefinire il rapporto fra società occidentale e comunità indigene, posta l’ormai impossibilità di conservare
in maniera museale e statica realtà native “pure” e “incontaminate” e di riflettere sul rapporto fra stati
nazionali e comunità autoctone. I temi affrontati quindi vanno dalla richiesta di stabilire diritti propri delle
comunità, delineare nuovi tipi di economia che coinvolgano quelle realtà, rivalutare e rivalorizzare la
cultura, analizzare di sviluppo così come vissuto dagli indigeni e il loro rapporto con realtà politiche
particolari (es. Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale nel Chapas).
Il titolo stesso della raccolta suggerisce la varietà degli argomenti e al tempo stesso la loro coesione di
fondo: “etnografie collaborative”, termine che, come spiega Spagna nella conclusione al volume, è stato
mutuato dall’antropologo Lassiter* il quale sosteneva la collaborazione diretta con i soggetti indigeni per la
produzione e la stesura del testo etnografico, è adottato in parte impropriamente, in parte la
collaborazione può essere intesa come la pratica antropologica della ricerca di campo, che come abbiamo
già detto caratterizza tutti i lavori qui presentati, e come l’apertura della disciplina antropologica ad altri
campi di ricerca (economici, sociali, politici). Il concetto di etnografia collaborativa, che crea un legame con
l’attore sociale di cui si raccontano le vicende e la cultura e lo inserisce attivamente nel percorso di ricerca,
rimanda alla necessità moderna, che scaturisce dagli stessi indigeni, di raccontare in prima persona la loro
storia. La collaborazione fra etnografo e indigeno si trasforma in un mezzo per diffondere e non disperdere
la propria cultura e anche per assimilare un tipo di discorso che possa poi essere riprodotto e utilizzato
autonomamente dagli attori sociali, senza neanche più la necessità della presenza dell’etnografo.
Le “questioni ambientali” che vengono in questa sede presentate e analizzate sono di conseguenza
molteplici e abbracciano indistintamente territori e realtà differenti. In ogni saggio presentato la tematica
del rapporto fra comunità native e territorio è fondamentale: questo rapporto può essere testimone di un
passato coloniale (la condizione di dipendenza alimentare del popolo Maskoy), luogo spirituale, dove le
credenze ancestrali trovano ancora solido e fertile suolo (le questioni spirituali e di genere fra i Quichua
equadoriani). L’ambiente dove vivono gli indigeni può essere anche punto di incontro/scontro con la
“modernità”, con il tentativo a volte violento degli Stati nazionali di inglobare e assimilare i nativi o ancora
luogo delle rivendicazioni politiche (l’appropriazione di tecniche non indigene presso i Mebengokré o
l’esperienza delle radio comunitarie indigene in Messico); può essere uno spazio naturale in pericolo,
minacciato da interessi economici terzi sia agli indigeni quanto in parte agli stati nazionali, che mettono a
repentaglio la flora, la fauna e le popolazioni che del rapporto con il territorio ancestrale hanno fatto il loro
fulcro (la questione della diffusione della ricerca petrolifera nei pressi della Riserva della Biosfera Yasunì in
Equador).
Diversi sono i livelli e i tipi di “collaboratività” che ci vengono proposti in questo volume: alcuni ricercatori si
sono concentrati su questioni politiche, le quali investono poi tutta una serie di tematiche che travalicano
non solo i confini spesso indefiniti e indefinibili dei villaggi indigeni ma gli stesso confini degli Stati nazionali.
È il caso per esempio del saggio di Elena Apostoli Cappello che attraverso una ricerca di campo basata
sull’attenta osservazione delle dinamiche contemporanee fra “indios” e ladinos (messicani di origine non
indigena o che non riconoscono la loro origine indigena) analizza la diffusione del movimento zapatista a
partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, in relazione al modello di sviluppo economico e sociale
proposto dallo Stato nazionale del Messico, impregnato di retorica capitalista e occidentalista, e
l’indigenismo che si sviluppa a livello accademico proprio nelle facoltà di antropologia. Il riconoscimento
delle differenze in un’ottica tuttavia anche di riconoscimento di medesimi diritti sociali e politici è una
tematica che vieni qui riproposta e che attraversa di fatto la questione indigena fin dai tempi del primo
colonialismo europeo (per esempio in Todorov abbiamo trovato l’opposizione fra una disuguaglianza
schiavista e un’uguaglianza assimilazionista, il cui terzo termine, ma non sintesi, è il relativismo religioso di
Las Casas, un’accettazione quindi delle differenze in un’ottica di uguaglianza). Il discorso sul territorio qui si
inserisce come elemento collaterale di una retorica che punta in parte a colpire l’intellettualità straniera e
occidentale. Gli zapatisti hanno quindi fatto proprie le rivendicazioni ecologiste che vengono unite a doppio
filo alla questione delle condizioni economiche delle comunità native.

Un’altra tematica trattata si potrebbe dire quasi trasversalmente attraverso gli undici saggi che
compongono la raccolta è quella dello sviluppo: sviluppo economico legato al territorio, sviluppo di
coscienza politica e dei propri diritti, sviluppo di nuovi metodi di approccio alla modernità incalzante e
anche rifiuto allo sviluppo, che proprio con gli argomenti della modernità, della tecnologia e del
livellamento del benessere economico, minaccia la secolare storia di alcune popolazioni indigene. In
particolare gli ultimi due saggi, “Diritto al non sviluppo: culture emergenti in Amazzonia” di G. Bamonte e
“Pianificazione ambientale, grandi progetti e popolazioni indigene in Colombia. Un punto di vista
antropologico ambientale” di A. Colajanni

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