Sociale
SSD – M-DEA/1
(6 CFU)
Lezione 1 –Claude Lévi-Strauss: cenni biobibliografici –La vita (pag. 1) – Le opere (pag. 3)
Lezione 2 – Che cos’è l’antropologia strutturale? – Il campo della ricerca antropologica (pag. 5) – La
critica dell’evoluzionismo (pag. 7) – Critica dell’idea di progresso (pag. 9) – Il progresso come collaborazione fra gli
uomini (pag. 10)
Lezione 3 – Il problema dell’etnocentrismo – Tra esotismo e antropologia (pag. 11) – «Simbolo
dell’espiazione» (pag. 13) – La critica del gusto per l’esotico (pag. 14) – Critica del relativismo culturale (pag. 15)
Lezione 4 – Il problema dell’etnocentrismo – Nascita della linguistica strutturale (pag. 16) – La
fondazione di un’antropologia strutturale (pag. 18)
Lezione 1 – Dalla natura alla cultura: la proibizione dell’incesto – La proibizione dell’incesto (pag.
20) – Lo scambio matrimoniale (pag. 21) – Dalla natura alla cultura (pag. 22)
Lezione 2 – Lo stregone e la sua magia: tra antropologia e psicanalisi– L’efficacia delle pratiche
magiche (pag. 23) – Il complesso sciamanistico (pag. 25) – Il polo collettivo del complesso sciamanistico (pag. 26) –
Tra pensiero normale e pensiero patologico (pag. 27)
Lezione 3 – L’analisi del mito– Verso le Mythologiques (pag. 28) – L’analisi del mito (pag. 30) – La
razionalità del mito (pag. 31) – Tra etnologia e storiografia (pag. 33)
Lezione 4 – Antropologia come “entropologia”: i Tristi tropici di Lévi-Strauss– I Tristi Tropici
(pag. 35) – L’etnologo tra Freud e Marx (pag. 37) – Antropologia come “entropologia” (pag. 39)
Lezione 1 – Tra demologia, folklore e antropologia– Cenni introduttivi (pag. 41) – Etnologia e politica
nazionale (pag. 43) – Ernesto De Martino: vita e opere (pag. 45)
Lezione 2 – L’etnologia di De Martino fra storicismo e irrazionalismo– Tra etnologie e storicismo
(pag. 47) – Il mondo magico (pag. 49) – Il concetto di “presenza” (pag. 50) – La realtà dei poteri magici (pag. 52)
Lezione 3 – Verso l’etnologia delle classi popolari– L’irruzione delle masse nella storia (pag. 54) – Il
lavoro del lutto (pag. 56) – Il tarantismo come esorcismo culturale (pag. 58) – Meridionalismo e questione meridionale
(pag. 59)
Lezione 4 – Sciamani, maghi, duci – Lo sciamano nel mondo magico (pag. 60) – La vita magica del Sud
Italia (pag. 62) – Il risveglio del magismo nella civiltà moderna (pag. 64)
Modulo 1 – Claude Lévi-Strauss e
l’antropologia strutturale
Lezione 1 – Claude Lévi-Strauss: cenni biobibliografici
1. La vita
2
2. Le opere
3
differenti espressioni culturali cui hanno dato vita gli uomini nella
storia.
Durante gli anni ’60 videro la luce quattro opere: Le cru et le cuit
(1964, trad. it. 1966); Du miel aux cendres (1966, trad. it. 1970); L'origine
des manières de table (1968, trad. it. 1971) e L'homme nu, 1971 (trad. it.
1974). Questeoperecompongono la seriechiamataMythologiques e
analizzano dal punto di vista strutturale la
mitologiadegliindigeniamiericani. La tetralogiaMythologique
rappresentaprobabilmenteuno dei verticiespressividellaproduzione
culturale delsecolo XX, almeno per quanto concerne l’ambito di
ricerca dellescienzeumane.
4
Lezione 2 – Che cos’è l’antropologia strutturale?
5
pregiudiziale delle forme più recenti della ricerca, costituisce un
aspetto critico della strutturalismo di Lévi-Strauss. Lo studio dei
primitivi non costituisce mai, in realtà, una ricerca dell’origine
dell’umanità, perché secondo Lévi-Strauss ogni manifestazione
simbolica è “tutta” culturale, e non reca traccia dell’umanità allo stato
di natura, a prescindere dal livello di complessità e organizzazione
che una società in particolare è in grado di raggiungere. Tuttavia il
confronto critico con le società cosiddette “primitive” – quali quelle
dei nativi dell’Amazzonia, vissute per secoli in condizioni di relativo
isolamento, che ha concesso loro di non subire processi troppo
evidenti di assimilazione alla civiltà occidentale – può consentire di
riportare alla luce quelle dinamiche inconsce della produzione dei simboli
culturali, che sono il vero oggetto della ricerca dell’antropologia
strutturale.
6
2. La critica dell’evoluzionismo
8
3. Critica dell’idea di progresso
9
4. Il progresso come collaborazione fra gli uomini
10
Lezione 3 – Il problema dell’etnocentrismo
11
agire, né pensare, indipendentemente dal tipo di società da cui
proviene: l’antropologo è «parte in causa» della civiltà occidentale,
l’unica a creare degli antropologi e a sviluppare una sensibilità
etnologica, o il desiderio del confronto con gli altri. Dunque, per
quanto forte possa essere la critica dell’antropologo nei confronti
della società occidentale, essa rimane sempre e comunque l’unico
punto di riferimento a sua disposizione per operare un confronto
con l’altro. Potremmo dire che, paradossalmente, il desiderio
dell’antropologo di prendere le distanze dalla propria identità
culturale non solo non può concretizzarsi nella negazione di questa
identità, ma addirittura produce una ulteriore sua affermazione.
12
2. «Simbolo dell’espiazione»
13
3. La critica del gusto per l’esotico
14
di spogliarsi del proprio habitus culturale, non può realizzarsi
all’interno della cornice del confronto etnografico.
15
all’origine dell’umano è destinata a restare tale e a non realizzarsi in
un traguardo concreto.
17
2. La fondazione di un’antropologia strutturale
18
Livello Livello
conscio inconscio
Linguistica Fono Fonema
19
Modulo 2 – Natura, magia e mito nel
pensiero di Claude Lévi-Strauss
1. La proibizione dell’incesto
2. Lo scambio matrimoniale
21
di ricerca della linguistica strutturale. Di fatto Lévi-Strauss sta
ipotizzando che le relazioni matrimoniali possano essere considerate
alla stregua di linguaggi, ed essere studiate come tali.
Il tema del passaggiodalla natura alla cultura è uno dei nodi problematici
della riflessione di Lévi-Strauss e, in modo particolare, del suo lavoro
su Le strutture elementari della parentela. Si tratta di un argomento tanto
affascinante, quanto problematico: se l’umanità è sempre “nella
cultura”, come è possibile forzare i limiti del nostro intelletto e
uscirne per raggiungere il mondo animale, vegetale, o minerale? Per
risalire al momento del passaggio, noi infatti dovremmo spogliarci del
nostro abito di individui storici e risalire ad una dimensione che
potremmo definire preumana, probabilmente perduta per sempre, o
forse mai realmente esistita.
22
Lévi-Strauss tenta tuttavia di offrire una soluzione all’enigma, senza
per questo ricadere in una prospettiva antirazionale: non vuole cioè
risalire al momento storico del passaggio, ma mostrare come natura e
cultura siano costantemente dentro la creazione simbolica dell’uomo
e che il passaggio originario sarebbe stato propiziato proprio dalla
regola della proibizione dell’incesto. Infatti essa possiede, come abbiamo
visto, carattere universale (dunque è un fatto della natura umana) dal
momento che in tutte le società umane esistono degli individui tabù,
che non possono diventare partner matrimoniali di altri individui.Su
questo elemento naturale, successivamente, si innestano i vari modelli
di parentela, che sono espressione di una regola, cioè sono cultura. La
struttura dei modelli, ovvero la legge universale della proibizione
dell’incesto, resta sommersa nel sostrato inconscio dello spirito umano,
dal quale agisce e predetermina i modelli.
23
interesse antropologico: i motivi della efficacia di alcune pratiche
magiche; i punti di relazione fra pratica sciamanistica e terapia
psicoanalitica.
24
che l’idea di libertà individuale sia tutt’altro che estranea alla
mentalità primitiva.
2. Il complesso sciamanistico
25
che possiedono, gli elementi del complesso sciamanistico possono
essere ridotti a soli due, ovvero lo sciamano e la collettività.
26
preparazione dei gruppi chiamati in battaglia contro le popolazioni
nemiche. In generale il tipo di intervento che compie lo sciamano
non è medico, nel senso che siamo abituati a dare al termine, ma è
esorcistico. Lo spettacolo dello sciamano consiste pertanto nella
rievocazione della «chiamata», ovvero dell’episodio (in genere
traumatico e onirico) che ha permesso all’individuo di scoprirsi
sciamano. Rivivendo il trauma della «chiamata», lo sciamano offre
all’uditorio lo spettacolo della sua abreazione, termine tecnico con cui
in psicoanalisi si intende il momento catartico in cui il paziente,
rivivendo il trauma che ha scatenato la sua nevrosi, e se ne libera.
27
opera secondo le regole dettate dalla scienza moderna. Lévi-Strauss
lo accosta, piuttosto, allo psicanalista. Ciò non significa che questi
consideri non scientificamente fondato il pensiero di Freud. Al
contrario potremmo dire che Lévi-Strauss riconosca alla psicanalisi la
capacità di uscire da alcune visioni ristrette che il pensiero scientifico,
nelle sue manifestazioni più ingenue, può veicolare.
1. Verso le Mythologiques
28
Nel 1955 Lévi-Strauss pubblica un articolo intitolato La struttura dei
miti. Alcuni anni più tardi, nel 1962, pubblica invece due lavori
intitolati Il totemismo oggi e Il pensiero selvaggio, che possiamo considerare
come il tentativo di produrre una immagine del «pensiero primitivo»,
inteso come una forma di comprensione del mondo e della natura
dotata di regole razionali e coerenza interna.
30
miti, tradizionalmente considerati come favole dell’umanità primitiva.
La tesi di Lévi-Strauss è che alcuni fenomeni culturali, come i miti,
possano essere studiati seguendo lo spunto della linguistica
strutturale. Questi rileva che alcuni aspetti dei miti si ripetono presso
tutte le culture, anche quelle lontanissime fra loro, che non hanno
mai avuto contatti. Tali aspetti, però, acquisiscono differenti
sfumature di significato nelle differenti versioni del mito, come
accade per i suoni della lingua.
32
superiore a un’ascia di pietra perché l’una sarebbe fatta meglio
dell’altra. Entrambe sono altrettanto ben fatte, ma il ferro non è la
stessa cosa della pietra».
33
Lo studio di fenomeni culturali, quali la religione o la organizzazione
sociale, pone lo studioso di fronte al problema di istituire una
differenza fra la disciplina storiografica vera e propria, e quella etno-
antropologica. Finché sussisteva la convinzione che la cultura dei
popoli “primitivi” fosse manifestazione di una mentalità astorica e,
per certi versi, plasmata da menti non razionali, la differenza fra il
lavoro dello storico e quello dell’antropologo era un fatto
conclamato: al primo l’analisi di fatti prodotti dall’azione di menti
sveglie e consapevoli, al secondo, al contrario, l’onere di rintracciare
il filo del discorso razionale laddove la ragione latitava.
34
istituzione o ad ogni usanza per ottenere un principio di
interpretazione valido».
35
Lezione 4 – Antropologia come “entropologia”: i Tristi tropici
di Lévi-Strauss
1. I Tristi Tropici
36
possibilità di comprendere il culturalmente diverso: secondo Lévi-
Strauss «meno le culture umane erano in grado di comunicare fra
loro, e quindi di corrompersi a vicenda, meno i loro rispettivi
emissari potevano accorgersi della ricchezza e del significato di
quelle differenze». Paradossalmente, dunque, la comprensibilità del
diverso può realizzarsi quando la differenza si attenua, fino a
perdersi.
37
2. L’etnologo tra Freud e Marx
L’opera di Marx rivelava che «la scienza sociale non si edifica sul
piano degli avvenimenti, così come la fisica non è fondata sui dati
della sensibilità: lo scopo è di costruire un modello, di studiare le
sue proprietà e le sue diverse reazioni in laboratorio, per applicare
poi quanto si è osservato all’interpretazione di ciò che avviene
empiricamente e che può essere molto lontano dalle previsioni».
38
i loro quartieri occidentali alla miseria e alla decadenza». «Niente
di tutto questo traspare nel comportamento ragionevole di ogni
individuo. Ma la vita urbana offre uno strano contrasto. Benché
essa rappresenti la forma più complessa e più raffinata della
civiltà, l’eccezionale concentrazione umana che realizza su un
piccolo spazio e la durata del suo ciclo fanno sì che nel suo
crogiolo precipitino attitudini inconsce, ognuna infinitesimale
[…]». L’espansione delle città da oriente a occidente (seguendo il
naturale ciclo solare) appare come l’adesione ad una superstizione
ancestrale e come il manifestarsi di una forma superiore e
fondamentale di conoscenza.
39
3. Antropologia come “entropologia”
40
come un processo di progressiva e irreversibile consunzione di
energia – il desiderio di recupero della differenza nasce dalla
constatazione della assenza di senso della cultura umana: «da
quando ha cominciato a respirare e a nutrirsi fino all’invenzione
delle macchine atomiche e termonucleari, passando per la
scoperta del fuoco – e salvo quando si riproduce – l’uomo non ha
fatto altro che dissociare allegramente miliardi di strutture […]».
L’universo segue le leggi della termodinamica e dunque procede
verso il decadimento della materia organizzata in caos. La
produzione di simboli e culture è un tentativo di arrestare il
processo, che ha come risultato la creazione di altre molecole che
si disarticoleranno a loro volta inevitabilmente. La ricerca della
differenza culturale sembra dunque nascere dal desiderio di
opporsi a questo processo di consunzione: «piuttosto che
antropologia, bisognerebbe chiamare entropologiaquesta disciplina
destinata a studiare nelle sue manifestazioni più alte questo
processo di disintegrazione». Una disciplina che studia e
collezione, come in una galleria, gli infiniti tentativi che l’umanità
tutta ha compiuto per sottrarsi al suo destino di morte.
41
Modulo 3 – L’antropologia in Italia:
Ernesto De Martino
1. Cenni introduttivi
42
Il più importante demologo italiano fu invece il medico siciliano
Giuseppe Pitrè (1841-1916). La Biblioteca delle tradizioni popolari
siciliane– in 25 volumi pubblicata tra il 1871 e il 1913, contenente
un’enorme mole di materiale riguardante gli usi, i costumi, i canti, le
feste, i proverbi e i detti siciliani – è la sua opera principale. Pitrè
definiva la demologia con il termine di «demopsicologia». La
principale caratteristica del suo lavoro è l’adozione di un metodo
tipicamente etnologico: Pitrè, che da medico entrò in contatto con le
classi popolari, conduceva dei veri e propri studi sul campo, con
raccolta di registrazioni, immagini e trascrizioni
43
2. Etnologia e politica nazionale
44
svolse delle ricerche. Nel 1905, però, in seguito ad una breve visita
nel paese di Circello del Sannio (Benevento), Loria decide di
dedicarsi allo studio del patrimonio folklorico italiano. Nel 1911, in
occasione del cinquantennale dell’Unità d’Italia, Loria organizza la
Mostra di Etnografia italiana, che intendeva offrire una panoramica il
più possibile «autentica» della vita dei ceti popolari nazionali.
45
3. Ernesto De Martino: vita e opere
Di 10 anni più tardi è Morte e pianto rituale nel mondo antico (1958). Il
libro è una ricerca storico-religiosa sui riti del lutto presso i contadini
lucani, la cui cultura si presenta ricca di sincretismi fra usanze pagane
e culto cristiano. Nel 1959 De Martino pubblica Sud e magia,
anch’esso frutto di ricerche sul campo presso i contadini della
Lucania. Qui l’autore si sofferma sulle pratiche magiche ancora in
uso e sui rapporti fra il mondo delle élites e quello del popolino. Del
1961 è La terra del rimorso, che con i due libri precedenti costituisce
una ideale trilogia meridionalistica. L’argomento è il tarantismo
pugliese: il libro è infatti frutto delle ricerche storico-religiose
condotte in Salento.
46
Uno degli aspetti più originali (e contraddittori) della riflessione
demartiniana sta nella saldatura proposta fra etnologia e storicismo:
De Martino, negli anni della guerra, si era avvicinato allo storicismo
di Benedetto Croce e sin dal 1941, con Naturalismo e storicismo, aveva
provato ad allargare la riflessione crociana alle tematiche delle scienze
sociali europee. Rispetto alla curvatura prettamente demologica della
ricerca italiana, De Martino proponeva per la prima volta un disegno
di grande ampiezza teorica, che fosse un riferimento per i ricercatori
intenti a confrontarsi con la cultura dei primitivi e dei selvaggi. Alcuni
aspetti di Naturalismo e storicismo, tuttavia, restavano ancora legati ad
una visione storicistica della realtà, attraverso la quale risultava
difficile penetrare il pensiero mitico, non di rado inteso come mondo
della fantasia e dell’irrazionalismo. Questi aspetti della etnologia
storicistica saranno messi in crisi dallo stesso De Martino nel 1948, con
la pubblicazione del Mondo magico.
47
Lezione 2 – L’etnologia di De Martino fra storicismo e
irrazionalismo
48
Altro bersaglio polemico sono gli studiosi religiosamente impegnati,
che rischiano di ridurre l’intera storia delle religioni umane ad una
giustificazione dell’imporsi del cristianesimo
49
2. Il mondo magico
50
3. Il concetto di “presenza”
Uno dei punti centrali del Mondo magico è la definizione del concetto
di presenza: la presenza è l’unità della persona come centro operativo e
culturale, che trascende la realtà e la trasforma in simboli e segni
condivisi dalla comunità. L’interesse di De Martino va soprattutto al
rischio di smarrire le funzionalità di questo centro operativo: la crisi
della presenza è il venir meno della capacità della presenza di
oltrepassare la situazione contingente. La presenza in crisi resta
intrappolata nella situazione, la subisce: «in questa situazione psichica
la presenza si comporta come una eco del mondo». Il magismo
nascerebbe proprio come insieme delle tecniche e degli istituti
culturali preposti a garantire il mantenersi salda della presenza umana
di fronte alle possibili crisi. Secondo De Martino, infatti, la presenza
del mondo magico è sempre precaria.
51
mondo della comprensione scientifica, non è malattia: il malato di
mente è solo nel suo delirio; il magismo, invece, è un insieme di
tecniche che tutela la compattezza del corpo sociale e della presenza in
crisi. È un istituto culturale, e come tale deve essere studiato.
52
4. La realtà dei poteri magici
Nell’universo retto dalle leggi della fisica moderna non c’è posto per
il magismo. Ma anche la fisica moderna è, secondo De Martino,
frutto di una costruzione storica: la solidità delle leggi fisiche è il
riflesso della solidità della presenza. Poiché il mondo magico è il mondo
della precarietà della presenza, allora anche la sfera del dato naturale
sarà precaria e cangiante. I confini poco definiti fra presenza e mondo
sono quelli in cui si inserisce efficacemente lo sciamano con la sua
magia.
54
Lezione 3 – Verso l’etnologia delle classi popolari
55
collegavano il tema della modernizzazione delle masse popolari a
quello del loro riscatto politico, sociale ed economico. All’inizio della
nuovastagione di studi etnologici in Italia possiamo porre tre eventi: la
pubblicazione di Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi (1945); la
pubblicazione dei Quaderni del carcere di Gramsci (iniziata nel 1948); la
pubblicazione del Mondo magico di De Martino (1948). Da differenti
punti di vista Levi, Gramsci e De Martino facevano luce sul
medesimo problema: l’esistenza di una realtà storica e culturale,
quella delle masse popolari italiane e mondiali, rimaste custodi di un
modo di vivere antico, premoderno e «disgregato» (Gramsci) rispetto
agli indirizzi della cultura «egemone», quella laica e capitalistica.
56
cambio di prospettiva, dunque, costituiva la base di parenza per un
allargamento dell’orizzonte conoscitivo, e per un ripensamento degli
strumenti della ricerca. L’approdo sarà quello di una “antropologia
delle classi subalterne”, tema che vedrà impegnato De Martino negli
anni ‘50 con le sue ricerche presso le plebi rustiche del Sud Italia. Dai
lavori svolti in Lucania nasceranno Morte e pianto rituale nel mondo antico
(1958) e Sud e magia (1959). Del 1961 è La terra del rimorso, dedicato al
tarantismo pugliese d’area salentina.
57
tramontando col tramonto della società agricola che lo ha coltivato
per secoli, non può comunque essere liquidato come primitivo.
58
3. Il tarantismo come esorcismo culturale
In società quali quelle contadine degli anni ‘50, dove il tenore di vita
è paurosamente basso, la malattia (o crisi) non insorge
necessariamente per complicazioni di tipo organico, ma anche per
scompensi di natura psichica, dovuti agli elementi di precarietà
esistenziale quotidiana. Tali scompensi trovano una risoluzione
psicologica in quella forma di medicina tradizionale costituita dai canti
e dalla danza al ritmo della taranta. Sebbene inaccettabili nel mondo
moderno, queste tecniche mostrano all’analisi un alto livello di
59
sedimentazioni e di complessità culturale, di fronte ai quali il
ricercatore è costretto a ridimensionare il proprio pregiudizio
sull’arretratezza del mondo subalterno, o, se non altro, a riconoscere
la complessità storica di un fenomeno che non può essere liquidato
come semplice superstizione.
60
rappresenta il principale snodo culturale della storia occidentale,
ovvero il cardine della trasformazione che ha reso possibile l’inizio
del mondo moderno e della razionalità scientifica. L’intero
movimento della cultura contemporanea viene infatti letto, da De
Martino, come l’evoluzione della svolta antimagica compiutasi in
Europa a partire dal Rinascimento. Qual è dunque il posto delle
sopravvivenze pagane della cultura popolare in questo contesto? E
quali contributi essa ha potuto offrire alla nascita del pensiero
razionale e scientifico moderno?
61
piacimento. Dice De Martino che «nel mondo magico, la
dissoluzione dell’esserci, il rischio della presenza, sembra talora
acquistare il rilievo di un fine dominante, volontariamente
perseguito». La tecnica dello sciamano consiste proprio nella
rievocazione intenzionale della crisi.
È grazie allo stato di trans che il riscatto dalla crisi diventa possibile. Il
riscatto dalla crisi avviene attraverso un’operazione di sostituzione
simbolica: al posto dell’elemento critico, caotico, inatteso, che aveva
provocato la crisi della presenza, compare un elemento familiare, che
è l’immagine dello spirito adiutore e che può essere interpellato
attraverso l’induzione della crisi. Attraverso la simulazione della crisi, lo
sciamano diventa padrone di un contenuto di coscienza
potenzialmente pericoloso per la presenza. L’insolito viene trasformato
in un elemento familiare.
63
magico quando è provocata da fatture o malie, ovvero quando a monte
del suo manifestarsi vi è un altro intervento magico.
Perché ancora nella Lucania degli anni ‘50 possono proliferare forme
di magia ritenute alternative – se non addirittura migliori – rispetto
alle pratiche della medicina contemporanea?La magia è una tecnica per
la protezione del bene elementare della presenza. Questo bene è in
pericolo nel mondo esistenzialmente precario in cui vivono i
contadini lucani. Non trattandosi di un bene materiale, esso non
richiede una tecnica di protezione di tipo medico. La magia non
dispiega il suo potenziale curativo sul piano realistico per la
soppressione di specifiche manifestazioni del pericolo (ruolo che,
invece, svolge la medicina). La magia riscatta la presenza dalle crisi
esistenzialiin senso lato. Per questo il ricorso alla magia è
«impermeabile all’esperienza» dei suoi insuccessi. La magia cura sul
piano del simbolico e non del reale.
64
3. Il risveglio del magismo nella civiltà moderna
65
lato della civiltà che è rimasto in ombra e che talvolta può esplodere in
manifestazioni irrazionali e incontrollate, come rigurgiti dell’elemento
primitivo.
66
Corso di Antropologia culturale e
sociale
SSD – M-DEA/1
(6 CFU)
Indice
Lezione 1 – Magia e religione – Che cos’è il mito? (pag. 1) – Il problema del sacro (pag. 4) – La struttura del
mito (pag. 6)
Lezione 2 – La terra del rimorso – La storia religiosa del Sud Italia (pag. 8) – Il simbolismo stagionale (pag.
10) – Tarantismo: tra pratica magica e nevrosi (pag. 11)
Lezione 3 – L’umanesimo etnografico – Promesse e minacce dell’etnologia (pag. 13) – Etnologia come
scienza del confronto (pag. 15) – Etnocentrismo critico (pag. 16) – L’umanesimo etnografico (pag. 17)
Lezione 4 – Cristianesimo e destino dell’Occidente – Egemonia del Cristianesimo (pag. 18) –
Cristianesimo e crisi del mondo moderno (pag. 19) – Cristianesimo e senso del tempo (pag. 20)
Modulo 4 – Ernesto De Martino fra
mito, religione e civiltà moderna
Lezione 1 – Che cos’è il mito?
1. Magia e religione
2
Di contro, il diminuito timore della morte e il diminuito rischio di
sprofondare nel dolore della perdita, hanno prodotto presso la civiltà
cristiana la possibilità di liberare enormi risorse di energia psichica, da
destinare all’avanzamento della società e al proliferare di quelli che
De Martino definisce i valori umanistici: la società laica e umanistica
nasce da quella cristiana perché la civiltà cristiana è la prima che ha
realmente consentito all’uomo di distaccarsi definitivamente dal suo
misero orizzonte di protezione del bene più elementare, quello della
propria presenza, e di acquisire la solida padronanza delle proprie
facoltà psichiche.
3
2. Il problema del sacro
4
particolare, perché non è un mezzo per la fabbricazione di oggetti,
ma una strategia di difesa della presenza umana dal rischio di
sprofondare nella crisi. La specificità della tecnica religiosa è quella di
avere come obiettivo la tutela del bene elementare della presenza. Essa
inaugura l’autonomia umana dal mondo della natura e fa da
presupposto allo sviluppo di tutte le altre forme laiche dell’operatività
umana. Il sacro, dunque, non ha che fare con l’elemento divino
contenuto nel mito, ma si identifica con il rischio dell’umanità di
scivolare nuovamente nella natura. Su questo rischio, e contro di esso,
l’uomo edifica la religione in tutte le sue forme, da quelle magiche a
quelle più elevate.
5
3. La struttura del mito
6
tre momenti: ripresa di un racconto che «arresta la storia»;
trasfigurazione della crisi dal piano individuale a quello collettivo;
mediazione di valori profani attraverso quelli religiosi.
7
Lezione 2 – La terra del rimorso
8
una forte «autonomia simbolica»: è un aspetto indicativo del
funzionamento dei miti, che trasfigurano sul piano dei simboli le
occasioni della vita quotidiana e ne fanno dei racconti paradigmatici.
Il tarantismo nasce in un contesto in cui l’esperienza quotidiana
conosce il latrodectismo e i suoi sintomi. Quando questo acquisisce
valore simbolico, il tarantismo smette di essere legato al solo «morso
del ragno», per proiettare la sua efficacia su tutta una serie di altri
momenti di crisi esistenziale
9
2. Il simbolismo stagionale
10
3. Tarantismo: tra pratica magica e nevrosi
Dice De Martino che «nella crisi del tarantismo il rimorso non sta nel
ricordo di un cattivo passato, ma nella impossibilità di ricordarlo per
deciderlo e nella servitù di doverlo subire mascherato in una
nevrosi»: il cattivo passato sono le scelte non fatte, i desideri rimossi
perché inappagabili, che ritornano come taranta che ri-morde. Il
tarantismo, che è percepito come una malattia, costituisce un
momento in cui i debiti esistenziali possono essere pagati una volta
per tutte. Esso è una festa, che scioglie i partecipanti dagli obblighi
che hanno nei confronti del loro stesso passato, e permette loro di
liberarsene, almeno momentaneamente.
12
Lezione 3 – L’umanesimo etnografico
13
sia ancora vissuto in maniera autentica e appassionata, rispetto a
quanto accade nella società occidentale secolarizzata e laica.
14
2. Etnologia come scienza del confronto
15
3. Etnocentrismo critico
16
4. L’umanesimo etnografico
17
Lezione 4 – Cristianesimo e destino dell’Occidente
18
2. Cristianesimo e crisi del mondo moderno
19
3. Cristianesimo e senso del tempo
20
Modulo 5 – Marc Augé e
l’antropologia del mondo
contemporaneo
1. Nota biobibliografica
Marc Augé è antropologo di fama internazionale. I suoi studi hanno
riguardato prevalentemente le popolazioni dell’Africa subsahariana.
È nato a Poitiers nel 1935 ed è stato direttore dell’École d’Hautes
Études en Sciences Sociales. Da diversi anni si dedica ad un lavoro di
ricerca metodologica e divulgativa intorno ai fondamenti di una
antropologia della contemporaneità.
Nel 1992 ha pubblicato il libro Non-lieux, tradotto in italiano come
Non luoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità. Con il libro
sui non luoghi Augé prende parteva al dibattito sulla antropologia della
contemporaneità e offriva innanzitutto una prospettiva sul
contemporaneo e sulle sue caratteristiche da un punto di vista
antropologico.
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2. Storia o antropologia?
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descrive nelle sue ricerche, e fa esperienza diretta dei mondi culturali
che studia.
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contemporaneità che possono emergere grazie all’analisi
antropologica?
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3. La surmodernità come eccesso
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Un’altra forma caratteristica della surmodernità riguarda l’eccesso di
spazio. Qui Augé intende mettere l’accento sulla proliferazione dei
cosiddetti nonluoghi. Lo spazio inteso tradizionalmente come luogo di
relazione tende a sparire. Prendono il suo posto dei luoghi in cui le
differenze più evidenti sono azzerate e la comunicazione tende ad
omogeneizzarsi, di fatto assomigliandosi in tutte le parti del mondo
(si pensi alla proliferazione dell’inglese come lingua franca, che
secondo Augé non è conseguenza del dominio
economico/commerciale del capitalismo anglofono, ma
manifestazione dell’esigenza originaria di oltrepassare i limiti della
differenziazione delle lingue, che costituiscono un ostacolo nei
rapporti interpersonali nel mondo globale).
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4. Antropologia del contemporaneo e “pregiudizio primitivista”
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Lezione 2 – Antropologia e costruzione dell’oggetto
antropologico
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2. L’inchiesta etnologica
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3. Urbanizzazione e popolazione
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4. Antropologia e globalizzazione
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Lezione 3 – Il luogo antropologico
1. Il luogo antropologico
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«sfugge alla storia come scienza»: «il luogo antropologico vive nella
storia, non fa la storia», nella misura in cui non è un luogo di
conservazione delle tradizioni (come, ad esempio, un museo delle
tradizioni popolari, che ci restituisce una immagine cristallizzata nel
tempo di un determinato luogo antropologico), ma un luogo di
produzione di rapporti simbolici, cioè di vita concreta, che si
riproduce trasformando una tradizione culturale consolidata.
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2. Il luogo antropologico come spazio geometrico
L’identità e la relazione con l’altro sono al centro non solo dei dispositivi
simbolici dello spazio, ma anche di quelli della storia e del tempo.
Spazio e storia sono spesso intrecciati: i miti fondativi di numerose
città sono spesso il racconto di lunghi itinerari che si concludono nel
luogo in cui esse vengono erette (si pensi alla Roma dell’Eneide,
fondata, secondo Virgilio, da Enea e dai suoi compagni fuggiti da
Troia). Inoltre i luoghi sacri (anche le chiese dei monoteismi moderni)
vengono adibiti al culto rituale seguendo una ripetitività temporale,
che è calibrata sull’alternanza delle stagioni, specialmente nel mondo
contadino.
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Lezione 4 – I nonluoghi e la surmodernità
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2. Cosa sono i non luoghi?
Secondo Marc Augé «se un luogo può definirsi identitario, relazionale
e storico, uno spazio che non può definirsi identitario, relazionale e
storico si definirà un nonluogo». Uno dei caratteri della surmodernità è
quello di generare nonluoghi. I nonluoghi rappresentano l’epoca della
surmodernità perché non integrano i luoghi antichi, oppure li integrano
come «luoghi della memoria», ovvero come luoghi artificiali privi di
vitalità, perché luoghi che fabbricano memorie artificiose e non
permettono il sedimentarsi di forme spontanee di consolidamento di
una tradizione condivisa collettivamente.
Augé individua i nonluoghi nelle arterie di comunicazione stradale e
ferroviaria, nei grandi centri commerciali, nei distributori automatici,
negli aeroporti o nelle stazioni ferroviarie, negli spazi adibiti soltanto
al passaggio, al consumo, al movimento.
Secondo Augé non esistono nonluoghi nella loro forma pura, così
come non esistono dei luoghi perfettamente rispondenti alla
definizione di luogo antropologico: ciò che identifica i nonluoghi è la
specifica natura delle relazioni simboliche che essi producono.
Bisogna dunque approfondire la tipologia di rapporti cui i nonluoghi
danno vita. Infatti anche i nonluoghi producono forme di relazione
intersoggettiva, esattamente come i luoghi. Essi dunque devono essere
definiti in relazione al tipo di rapporto che gli individui instaurano al
loro interno, sia nei confronti degli altri individui, sia nei confronti
del luogo stesso.
Quali sono le forme specifiche di relazione che prendono corpo nei
nonluoghi e che ci permettono di definirli come tali? Mentre i luoghi
antropologici tradizionali producono relazionalità e socialità organica,
i nonluoghi producono una «contrattualità solitaria». I nonluoghi sono il
mondo della «individualità solitaria», luoghi di passaggio, effimeri e
provvisori. Non è un caso, per Marc Augé, se il tipo di
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comunicazione dei nonluoghi, in genere, prevede una testualità
normativa e prescrittiva (cartelli o messaggi vocali di divieto, di
istruzione, o di indicazioni). Gli scarni messaggi non individuano il
ricevente, ma mirano simultaneamente a tutti quelli che sono in
ascolto, in modo indifferente: «essi fabbricano l’uomo medio». Chi
transita nei nonluoghi, più che un individuo, è un utente: viene investito
da un processo di omologazione che lo libera delle sue specificità, in
forza del rapporto di contrattualità solitaria stipulato con il noluogo: legge
e ascolta i messaggi che provengono da schermi e cartelli, ma lo fa da
solo, anche se circondato da molte altre persone, che fanno lo stesso.
La specifica forma di relazionalità che si instaura nei nonluoghi è
rappresentata dal viaggiatore in aeroporto che, da solo, segue per
l’imbarco una gran quantità di informazioni e istruzioni,
simultaneamente rivolte a tutti gli altri viaggiatori solitari come lui.
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3. I nonluoghi e la surmodernità
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Modulo 6 – La «crisi» dell’antropologia:
sviluppi recenti
1. L’oggetto dell’antropologia
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cultura, secondo Amselle, risiedono in una duplice considerazione: in
primo luogo primitività e attitudine all’isolamento vengono visti
come fattori legati strettamente, perché la seconda sarebbe
indispensabile al mantenimento della prima. Inoltre si presuppone
che un oggetto di studio ottimale sia composto da una società poco
incline ai contatti e, quindi, alle contaminazioni e alle mutazioni. Una
società, cioè, pura, nella misura in cui si è conservata nel corso del
tempo simile a quella che era alle proprie origini.
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2. Il colonialismo e l’isolamento impossibile
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una prospettiva di tipo storico, che sappia valutarne il carattere di
risultato di un processo storico, e non di frammento del mondo primitivo. «La
crisi dell’antropologia a cui oggi assistiamo – che pure dura da tempo
– deriva dall’incapacità di uscire da questa tematica primitivista e di
farsi carico pienamente della storicità del suo oggetto […]»
L’antropologia deve ammettere che il selvaggio è entrato nel mondo
globalizzato e adeguarsi alla nuova configurazione dei problemi.
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3. Primitivismo e autoctonia
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garantire la tutela del patrimonio immateriale delle popolazioni
indigene dalle trasformazioni apportate da decolonizzazione e
globalizzazione. Intesa come bene da tutelare, la cultura degli
indigeni diventa per gli studiosi un sistema chiuso e cristallizzato, da
tutelare evitando che il contatto con agenti esterni lo possa
modificare: si ripropone il pregiudizio per cui i popoli primitivi
possano considerarsi come popoli senza storia, da sempre identici a
se stessi e da preservare come tali. Il pregiudizio primitivista agisce
anche nelle alte istituzioni e dietro la loro volontà di tutela della
diversità culturale: esso ricerca nelle popolazioni autoctone elementi
di purezza, autenticità, incontaminazione culturale, fissità delle forme storiche, di
fatto proiettando su di esse una forma molto radicata di pregiudizio
culturale.
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4. Il mito del buon selvaggio
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Lezione 2 – James Clifford: l’antropologia interpretativa
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Nel 1986 J. Clifford e G. Marcus pubblicano Scrivere le culture, testo
che pone l’accento sulla pratica della etnografia come scrittura e
racconto della differenza, dotata di regole e paradigmi tipici di un
genere letterario vero e proprio. I principali rimandi teorici del libro
di Clifford e Marcus sono due: gli studi di Clifford Geertz confluiti
nel volume Interpretazione di culture (1973) e la filosofia di autori quali
Foucault, Deleuze e Derrida, esponenti della cosiddetta French Theory.
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2. Verso una «antropologia interpretativa»
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Clifford intende eliminare quest’ultimo residuo etnocentrico,
riconoscendo ai selvaggi la capacità di assumere, anche con una certa
dose di malizia, un ruolo preciso nell’ambito dell’inchiesta etnologica,
di fatto scardinando l’idea che l’ «altro», in senso lato, sia un oggetto
docile nelle mani del ricercatore occidentale. La personalità
dell’osservatore (l’antropologo) e dell’osservato (il selvaggio)
divengono per Clifford i due poli di un processo di negoziazione dei
significati culturali scaturiti dall’inchiesta sul campo: entrambi,
potremmo dire, recitano una parte. Clifford mette in evidenza il
valore politico dell’inchiesta sul terreno: gli interlocutori non si
incontrano mai su un campo neutro, ma pongono in essere un serie
di strategie narrative derivanti dalle condizioni generali in cui l’incontro
avviene. Le strategie narrative dei dialoganti possono comprendere
scatti emotivi, reticenze, simulazioni, dissimulazioni, ecc. Il risultato
di una inchiesta condotta su tali basi sarà, appunto, un’ipotesi
scaturita dal lavoro di negoziazione condotto dalle due parti e non dalla
semplice descrizione che l’una fa dell’altra.
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3. La crisi dell’autorità etnografica
Nel 1988 James Clifford pubblica The predicament of culture (Trad. it. I
frutti puri impazziscono), raccolta di saggi intorno al tema della nascita e
della crisi della narrazione etnografica nel XX secolo. All’interno di
questo testo è possibile leggere il saggio intitolato Sull’autorità
etnografica, nel quale Clifford si concentra sul tema dello sviluppo
delle strategie narrative dell’etnografia contemporanea e sul
progressivo entrare in crisi di queste strategie. La domanda di fondo
che Clifford pone è la seguente: che cosa rende adeguati e degni di
fede i racconti delle ricerche sul terreno condotte dall’antropologo?
Che cosa permette di rendere accettabile e generalizzabile la sua idea
di differenza culturale?
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Lezione 3 – La critica della «ragione etnologica»
1. Etnologia e colonialismo
Secondo Amselle, «l’etnologia si è sempre presentata sotto una luce
favorevole, come uno strumento di lotta contro i pregiudizi di ogni
sorta». L’intento dell’opera di revisione del sapere etnologico, che
Amselle ha compiuto negli ultimi anni, parte invece dal sospetto che
al cuore della ragione etnologica resti ancora attivo e operante un
etnocentrismo di fondo.
L’etnologia è infatti legata strettamente all’esperienza della
dominazione coloniale e le prime raccolte di dati sulle popolazioni e
sui territori assoggettati dalle potenze occidentali, sono in realtà dei
resoconti funzionali all’azione dei governatori inviati nelle colonie dai
governi centrali.
La critica della ragione etnologica, tuttavia, non deve essere considerata
come frutto della volontà, da parte di Amselle, di abbandonare del
tutto la prospettiva etnologica, intesa come strumento di comprensione
attraverso la comparazione con l’Altro: essa nasce invece dal
desiderio di ampliare ulteriormente le prospettive di analisi del sapere
etnologico, fornendo un nuovo modello teorico cui ispirarsi per
comprendere i processi di formazione delle identità culturali e delle
relazioni fra culture.
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2. Tra polis ed ethnos
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3. I pericoli del multiculturalismo
Quello di multiculturalismo, o di società multiculturale, è uno dei
temi più presenti nel dibattito pubblico contemporaneo. Il
multiculturalismo viene spesso considerato come l’atteggiamento più
adatto a fornire un antidoto contro le derive del razzismo, o delle
logiche di apartheid che talvolta si realizzano anche nelle società che si
considerano aperte e tolleranti, come le democrazie occidentali.
La tematica del multiculturalismo diventa centrale soprattutto negli
ultimi decenni, quelli che hanno coinciso con la costituzione di
grandi apparati politico-economici sovranazionali, come la Comunità
Europea, che ai principi del multiculturalismo si ispira in maniera
dichiarata.
L’ipotesi della società multiculturale prevede la possibilità di
preservare le differenti identità culturali che interagiscono all’interno
di un unico spazio pubblico. Alla base del multiculturalismo vi è
dunque l’ipotesi che l’identità culturale di una società possa essere
definita in modo netto e lineare.
Secondo Amselle considerare una cultura come una entità statica e fissa
costituisce un nodo problematico e, soprattutto, genera il seguente
paradosso: una tale visione della cultura è la medesima cui si ispirano
i movimenti definibili come fondamentalismo etnico e culturale ed è
dunque potenzialmente foriera di esiti del tutto opposti rispetto a
quelli che il multiculturalismo ambisce a realizzare.
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4. Come si costituisce una cultura?
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mancato il riconoscimento della specificità della cultura indiana e
della necessità di tutelarla.
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processi di formazione di ogni cultura vi è un sincretismo originario,
una mescolanza fondamentale, per cui non è possibile parlare
strutture isolate e di identità culturali definite.
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