Musei come zone di contatto La ricerca di nuove politiche museali Memoria e gender Attraversamento dei confini: musei come zone di contatto Clifford (1999b) inizia il capitolo dedicato ai Musei come zone di contatto raccontando di una sua esperienza (1989) nel seminterrato del Portland Art Museum dove i curatori del museo discutono con gli anziani di alcuni clan tlingit (nonch con antropologi ed esperti darte) la sistemazione della Collezione Rasmussen (v. slide successiva). I Tlingit non chiedono il rimpatrio delle opere, che non interpretano come arte, ma come testimonianze, storia, legge , inseparabili dai miti e dalle storie che esprimono lezioni morali correnti e dotate di efficacia politica attuale, ad esempio in relazione alla rivendicazione delle terre.. Gli studiosi si aspettavano che gli anziani parlassero degli oggetti, ma Gli oggetti facevano nascere () storie di lotte in corso e il museo veniva incitato ad agire per conto delle comunit tlingit, non semplicemente a rappresentare la storia degli oggetti tribali in modo completo o accurato. Si esigeva una sorta di reciprocit () ineguale (1999b: 239). Daltra parte Clifford mette in luce come non tutti i clan collegati con gli oggetti fossero rappresentati, e si chiede quale comunit ha il potere di determinare gli aspetti che il museo dovr sottolineare? Entro quali limiti lintero processo dipendeva da contatti personali specifici? (Clifford 1999b: 237; cf. anche Ciminelli 2006) Musei come zone di contatto Clifford prende a prestito lespressione da M.L.Pratt (Imperial Eyes: Travel and Transculturation, 1992), che definisce la zona di contatto come Lo spazio dincontri coloniali, lo spazio in cui popoli geograficamente e storicamente separati entrano in contatto luno con laltro e stabiliscono relazioni correnti, che di solito implicano condizioni di coercizione, profonda ineguaglianza e conflittualit incontrollabile (...) Una prospettiva di contatto evidenzia come i soggetti siano definiti dalle relazioni specifiche e allinterno di queste. [essa pone laccento su] compresenza, interazione, pratiche e intendimenti interconnessi, spesso nellambito di relazioni di potere radicalmente asimmetriche. Quando dunque il museo visto come zona di contatto, scrive Clifford (1999b: 238 sg), la loro struttura organizzativa in quanto collezione diventa una relazione storica, politica e morale in corso: una serie di scambi, spinte e strappi carichi di potere. La struttura organizzativa del museo quale collezione funziona come la frontiera della Pratt. Si presuppongono un centro e una periferia: il centro un punto di raccolta, la periferia unarea di scoperta. Il museo, di solito situato in una metropoli, la destinazione storica delle produzioni culturali che esso salva con amore e autorit, di cui si prende cura e che interpreta. Jonathan Haas (1996: S6) sottolinea giustamente che un certo tipo di ideale del museo obsoleto, come la nozione di una scienza value free. Che il museo sia visto come strumento delloppressione coloniale o come strada per un cambiamento sociale positivo il museo non mai un agente passivo, e la questione dei rimpatri pu costituire unopportunit per listituzione. Da J. Haas (1996), Power, Objects, and a Voice for Anthropology, Current Anthropology 37 (1): S1-S22 Nuove politiche museali Da oltre 10 anni sempre pi numerosi sono negli USA i musei che si autoregolamentano nei confronti delle collezioni culturalmente sensibilie che includono, come in questo esempio (Haas 1996:S5), la necessit di lavorare con il gruppo etnico interessato. Daltra parte i gruppi etnici rivendicano a volte il pieno controllo del materiale conservato nei musei, come in questa lettera inviata dalla Hopi Tribe of Arizona a tutti i musei, in cui si chiede anche di essere messi a conoscenza di eventuale materiale dinteresse come le fieldnotes, le note prese dai ricercatori sul campo (Haas 1996:S4): Nel 1993 lAssociazione dei musei australiani ha stabilito le linee di una politica volta al riconoscimento dei diritti degli aborigeni al controllo delle propriet culturali ovvero del loro patrimonio culturale conservate nei musei (Haas 1996: S3) Anche in Gran Bretagna si parla da tempo di ri- negoziazione dellautorit dei musei e dellinclusione di voci precedentemente escluse nelle decisioni dei curatori, come dimostra questo estratto da un articolo sul rimpatrio dei resti umani (cit. in Haas 1996:S6) Ma solo nel 2005 il Parlamento inglese vara una legge sullunicit dei resti umani come collezione e solo nel 2006 il British Museum restituisce alla Tanzania alcuni rari resti (http://www.guardian.co.uk/comment/story/0,,1741031,00.html) In occasione della mostra Hazina: Traditions, Trade and Transitions in Eastern Africa aperta nellaprile 2006 a Nairobi (Kenia), in cui per la prima volta il British Museum presta 140 artefatti africani, il suo direttore Neil MacGregor afferma: "Repatriation is yesterday's question. Questions of ownership depend on the thought that an object can only be in one place. That's no longer true. Dal canto suo, la stampa keniana si chiede Most of these objects were taken during the colonial period. We have to ask, what were the circumstances under which they were taken? How were the objects used? What 'knowledge' was extracted from them? (http://arts.guardian.co.uk/news/story/0,,1752715,00.html) Il ruolo dei musei nella negoziazione delle appartenenze In quanto coinvolti nel processo che porta allattribuzione o alla negazione di unidentit collettiva, i musei vengono trascinati nelle lotte che i diversi gruppi conducono per il pubblico riconoscimento. Lintensit di questi dibattiti allinterno dei musei direttamente proporzionale alla loro preminenza nella societ civile e, proprio in quanto suoi agenti privilegiati, gli stessi musei hanno lobbligo di schierarsi nella lotta sullidentit (n, daltra parte, potrebbero restarne fuori): una lotta fondamentale per la vita della societ (Karp 1995: 29) I musei creano riti di appartenenza civili, mettevano in luce Lavine & Karp, che nel 1991 auspicavano una visione del museo non pi come tempio, ma come foro, sottolineando anche che non si era riflettuto ancora abbastanza su chi abiti questo foro e partecipi alle sue attivit (Lavine & Karp 1995 [1991]: 172, 173; vedere anche Cafuri in Ciminelli 2006) In un saggio mancante nelledizione italiana del libro di Karp, Lavine & Kreamer (Musei e identit, 1995 [1992]), Karp scriveva As certifiers of taste and definers of culture, museums are intimately involved in the task of defining identities and setting up schemes that classify and relate cultural identities (On Civil Society and Social Identity, 1992, cit. in Dibley 2005). Karp dunque auspicava, citando John Kinard, che il museo potesse arrivare to act as an agent of redemption in society (Karp, 1992: 24). Per Dibley (2005) non solo quella di Karp e Lavine, ma anche quella di Clifford sono redemptive narratives, narrative di redenzione dei musei: Despite a history deeply implicated in an imperial, bourgeois and phallocentric social order, the museum is an institutional form that can be redeemed from this legacy of racism, classism and sexism. Or so it would seem from reading the now burgeoning critical scholarship on museums. Here, almost all the museums analysts argue that, in some way or another, the institution can be reformed so that it can overcome the exclusions of the past and realize its true democratic vocation. Seduced by the institutions rhetoric, these analysts produce redemptive narratives that mimic the reformist logic of the museums own political rationality La posizione di Clifford di redenzione nel senso che cerca di salvare dalla storia imperiale, borghese e sessista del museo un discorso di reciprocit, dove il museo come zona di contatto diviene il precursore di ideali (e un po utopiche, come lo stesso Clifford ammette) relazioni di scambio democratico, finalmente simmetrico (Dibley 2005: 9-10). Nel richiamarsi a Mary Louise Pratt (Imperial Eyes) per la nozione di contact zone, Clifford omette, secondo Dibley, di citare un suo secondo termine: anti-conquest, che Pratt usa per riferirsi to the strategies of representation whereby bourgeois subjects seek to secure their innocence in the same moment as they assert European hegemony (1992: 7). Figura topica dellanti-conquista secondo Pratt the seeing-man, as an admittedly unfriendly label for the European male subject of European landscape discourse he whose imperial eyes passively look out and possess. (Pratt 1992: 7) Anche se non usa esplicitamente questi termini, osserva Dibley, il discorso sui musei come zone di contatto di Clifford evoca lanticonquista, e lui stesso luomo che guarda di cui parla Pratt: the celebration of the hybrid present is offered as the happy ending to a tragic history that posits a new museological space a space from which a future-becoming-present innocence can be secured in the knowledge of full and just reciprocity. Yet, () it is a celebratory innocence that looks to reconcile the marginal and dispossessed to the structures of their marginalization and dispossession. Cliffords narrative of museological redemption, it seems, is complicit in the hegemony of that form the museum and the continuation of the historical processes that will secure its global future (Dibley 2005: 19-20) () As post-colonial scholars and critics of imperialism and third-world nationalism have shown, enlightenment idea(l)s of freedom and equality are paradoxical in their application and ambiguous in their effects given to some, denied to others. Democracy and its handmaiden, colonialism, are thus two intimately and problematically entwined processes of modernity. As a central institution of modernity the museums history is marked by these processes that secure a sphere of freedom and equality conditioned on their repression elsewhere. More recently, struggles to assert indigenous priorities over what in Australia is termed secret-sacred material were (and still are) regularly frustrated by some museums appeals to civilizational values of objectivity and universalism which argue that the removal of such material from the circuits of the museum world is undemocratic and/or against the universal values of science. 9 (16-17) 9 - See, for example, the British Museums position on repatriation. La polemica sulla restituzione dei marmi di Elgin Per fare un caso di rimpatrio che coinvolge due nazioni occidentali, si pu parlare dei marmi sottratti nel 1811 dal Partenone. Secondo McGregor "The British Museum is the monument to the European Enlightenment, to the ideals of free and informed world citizenship. The ideals represented in the British Museum are every bit as important to the world as the ideals of 5th century (BC) Athens. They are all part of the same thing." And then MacGregor says something that is perhaps his most definitive statement yet on the issue: "I would argue that the life of these objects as part of the story of the Parthenon is over. They can't go back to the Parthenon. They are now part of another story. Replica il ministro della cultura greca Venizelos: "It is not a testament to the Enlightenment project, it is a testament to the colonial concept of culture and the arts. It is not possible to understand an archaeological item out of its context, it is not possible to understand the construction of the Parthenon without the life and atmosphere and historical context of Athens. http://hnn.us/comments/13866.html Lhappy ending preconizzato da Clifford del resto funzionale alla logica economica: In an age of the global diffusion of market relations, racism and colonialism are increasingly recognized as bad for business. Under these conditions official multiculturalist agendas have increasingly positioned ethnicity as a lifestyle choice elected from a range of market options, and the discourse of tolerance has come to be cast in terms of the sanctity of the freedom to choose where majoritarian others are obligated to be tolerant of minority lifestyle preferences (see Hage, 1998). Ma, come lo stesso Dibley ricorda, nemmeno Clifford ignaro della political correctness di queste posizioni: Clifford, of course, is very much alive to the complexities of culture, difference and identity in ways that preclude their reduction to market relations, he is, nevertheless, wary of the contemporary museums complicity in these relations. Evoking David Harvey (1989), Clifford writes: The flexible accumulation of traditions, identities, arts, and styles associated with contemporary capitalist expansion supports the proliferation of museums in what might cynically be called a global department store of cultures (1997: 215).(Dibley 18) Ritorniamo cos ai problemi della oggettificazione e mercificazione della cultura/delle culture... Musei: la memoria di chi? Gli sviluppi attuali mettono in questione lo status stesso dei musei come teatri storico-culturali della memoria. La memoria di chi? A quali fini? (Clifford 1999a: 285). (V. in proposito Roberta Cafuri in Ciminelli 2006) Un campo ancora poco studiato in relazione a questi interrogativi quello del gender (anche se Karp e altri vi si riferiscono). Vediamo un esempio, relativo alla situazione in Mali. Il museo Muso Kunda (dalla parte della donna) di Bamako, Mali Per analizzare i significati socio-culturali del nuovo museo dedicato alla donna a Bamako, Rosa de Jorio (2001) ritiene innanzitutto importante chiarire (...) come listituzione del museo sia stata presentata e tradotta nelle lingue locali dai rappresentanti del governo. Salia Mal (1999), Directeur adjoint del museo Nazionale del Mali, in una recente pubblicazione sottolinea come nel tentativo di rendere comprensibile le finalit del museo alla popolazione maliana, che a maggioranza analfabeta, si sia nel passato tradotto questo concetto (il museo) con ciyn, termine bamana (parlata secondo stime recenti dall 80% della popolazione) che indica leredit del padre [NB: per capirsi, nel senso di pater familias] e include gli oggetti, in prevalenza legati ai culti locali, e i saperi degli uomini anziani. Questo concetto si reso operativo nel corso delle campagne per la raccolta di oggetti e di informazioni etnografiche organizzate dal museo, dove i ricercatori del museo si sono presentati alle popolazioni locali come gli eredi a livello nazionale del sapere spesso occulto degli uomini anziani, un sapere altrimenti destinato alla scomparsa in assenza di eredi locali. La tendenza del museo nazionale a presentarsi come sede per la trasmissione del sapere maschile trova inoltre espressione al livello delle scelte espositive. Infatti, tra gli oggetti esposti nelle sale permanenti dellesposizione troviamo le maschere e gli oggetti relativi alla societ segreta del Komo dal quale le donne erano bandite e la cui vista era loro preclusa pena punizioni soprannaturali. Sempre secondo Mal la presenza di maschere del Komo avrebbe causato grande ansiet tra le visitatrici del museo pi vicine al dettato tradizionale. Dunque lesposizione del Komo rinforza di fatto linterpretazione del museo come ricettacolo del sapere maschile (vedi anche le riflessioni dellarcheologo e [ex] presidente del Mali Alpha Oumar Konar sulla segmentazione della societ maliana e la necessit per i musei di riflettere le complessit e chiusure, se queste lo ritengono opportuno, delle comunit locali).(R. De Jorio, Negoziare Tradizioni e Modernit: il Museo della Donna Muso Kunda a Bamako, Mali, Etnosistemi 8: 79-90) The km mask actually held by the National Museum of Mali in Bamako. http://maliba.8m.com/Musee/bambara.htm