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Flavia Schiavo

Parigi, Barcellona, Firenze forma e racconto


Dalla citt ottocentesca a quella contemporanea

Note introduttive di Francesco Indovina e Giuseppe O. Longo

Sellerio editore

2004 Sellerio editore via Siracusa 50 Palermo e-mail: sellerioeditore@iol.it

Indice

Letteratura e conoscenza della citt di Francesco Indovina Il nome della citt di Giuseppe O. Longo

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Parigi, Barcellona, Firenze: forma e racconto. Dalla citt ottocentesca a quella contemporanea
1. 2. 3. 4. Totalit urbana ? Verit o finzione? Quale progetto ? Parigi Barcellona, Firenze tra topografia reale e immaginaria 35 53 72 86 139
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Antologia
PARIGI

Schiavo, Flavia Parigi, Barcellona, Firenze : forma e racconto. Dalla citt ottocentesca a quella contemporanea / Flavia Schiavo ; note introduttive di Francesco Indovina e Giuseppe O . Longo. - Palermo : Sellerio, 2004. (La diagonale ; 117) ISBN 88-389-1939-9 1. Urbanistica. I. Indovina, Francesco. II. Longo, Giuseppe O. 711 CDD-20

CIP - Biblioteca centrale della Regione siciliana

Honor de Balzac. Un episodio durante il terrore Honor de Balzac. Pap Goriot Honor de Balzac. La falsa amante Honor de Balzac. Una doppia famiglia Victor Hugo. I Miserabili Jules Verne. Parigi nel XX secolo Emile Zola. Teresa Raquin Gustave Flaubert. L'educazione sentimentale Jean-Desir-Gustave Courbet. Ai genitori: l'attivit nei giorni della Comune Emile Zola. La cure Artur Rimbaud. L'orgia parigina ovvero Parigi si ripopola Emile Zola. Il ventre di Parigi Emile Zola. L'ammazzatoio Emile Zola. Nana Jules e Edmond de Goncourt. Diario. Memorie di vita letteraria 1851-1896 Charles-Louis Philippe. Bubu di Montparnasse

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Rainer Maria Rilke. Epistolario 1897-1926 Walter Benjamin. Parigi capitale del XIX secolo Louis-Ferdinand Celine. Morte a credito George Orwell. Omaggio alla Catalogna Joseph Roth. La leggenda del santo bevitore Raymond Queneau. Prezioso Nina Berberova. Il giunco mormorante Raymond Queneau. Zazie nel metr Georges Perec. La vita istruzioni per l'uso Giovanni Macchia. Le rovine di Parigi Daniel Pennac. Il paradiso degli orchi Alessandro Baricco. Barnum. Cronache dal Grande Show Abraham B. Yehoshua. Viaggio alla fine del millennio Michele Mari. Tutto il ferro della torre Eiffel
BARCELLONA

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Miguel de Cervantes. Don Chisciotte della Mancia Jean-Francois de Bourgoing. Noveau voyage en Espagne Edmondo De Amicis. Spagna George Orwell. Omaggio alla Catalogna Hans Magnus Enzensberger. La breve estate dell'anarchia Manuel Vzquez Montalbn. Tatuaggio Manuel Vzquez Montalbn. I mari del Sud Manuel Vzquez Montalbn. La Rosa di Alessandria Merc Rodoreda. La piazza del Diamante Manuel Vzquez Montalbn. Il centravanti stato assassinato verso sera Manuel Vzquez Montalbn. Quintetto di Buenos Aires Francisco Casavella. Islas en el Sur y grandes amores Ramon de Espana. Paseo de Gracia-Provenza Javier Fernndez de Castro. La suerte del cazador Rosa Regs. Un cuento de Navidad Valenti Puig. Crpes Suzette Isabel-Clara Simo. El somni de Plato Maruja Torres. La garrapata Andreu Martin. La mujer del valiente (Barcelona 1949) Juan Antonio Masoliver Rdenas. Persianas cerradas
FIRENZE

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John Ruskin. Diario italiano John Ruskin. Mattinate fiorentine Henry James. La Madonna del futuro Henry James. Il diario di un uomo di cinquant'anni Henry James. Ritorno in Italia Henry James. I Taccuini Henry James. Ritratto di signora Emile Zola. Diario romano Rainer Maria Rilke. Il diario fiorentino Rainer Maria Rilke. Da lontano. Schizzo della Firenze del '400 Edward Morgan Forster. Camera con vista Aleksandr Blok. Firenze Federigo Tozzi. Con gli occhi chiusi Vasco Pratolini. Il quartiere Vasco Pratolini. Metello Ardengo Soffici. Firenze Paul Klee. Tagebucher Kevin Lynch. L'immagine della citt Lewis Mumford. La citt nella storia Leonardo Benevolo. La cattura dell'infinito Notizia Bibliografia Ringraziamenti

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Michel de Montaigne. Viaggio in Italia


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Letteratura e conoscenza della citt


di Francesco Indovina

La questione che Flavia Schiavo pone, con aria fintamente svagata, carica di implicazione, sia sul piano metodologico che sostantivo. In sostanza, per la predisposizione di un intervento urbanistico (di piano complessivo o parziale), nella procedura analisi-conoscenza-progetto si possono utilizzare oltre gli apporti scientifici anche quelli "letterari" o che dalla letteratura (in prosa e in poesia) si possono ricavare? Ovviamente la risposta si, secondo il convincimento che ogni maggiore "conoscenza " aiuta a predisporre un miglior progetto.1 Questa affermazione, assolutamente condivisa dall'autrice, non priva di implicazioni e anche di problemi, come si cercher di argomentare di seguito. Ma andiamo con ordine prendendo le mosse da un'osservazione marginale, ma certo non irrilevante nel contesto della questione qui affrontata e che riguarda la rappresentazione, per cos dire, della citt. Oggi la conoscenza che ciascuno ha delle citt non solo scientifica o letteraria2 ma anche (soprattutto?) determinata dai riflessi delle comunicazioni di massa, principalmente dalle immagini "turistiche" (sia pubbliche che private)11 e ora, pi recentemente, dell'immagine che la singola citt proietta di se stessa nell'ambito di un programma di marketing urbano. In sostanza tramontata, anche se non possibile fissare una data precisa per questo spartiacque, la "citt letteraria ", quella citt che, almeno in determinati ambienti sociali e intellettuali, era nella memoria di ciascuno secondo immagini derivate da fonti letterarie.
1 Si prescinde da ogni considerazione circa il fatto che le "analisi" e la "conoscenza" dell'oggetto d'intervento costituiscono, sempre pi spesso, una sorta di omaggio ad una tradizione pi che un vero apporto produttivo ai fini del progetto. L'autrice parla di autoreferenzialit della disciplina urbanistica, e gi questo un problema, ma qui siamo all'autoreferenzialit del progettista (per cos dire dell'autore). 2 Certo non di tutte le citt; ma questo problema vale per ogni tipo di conoscenza, in molte occasioni possono, come noto, "mancare i dati". 3 Le serate di "proiezioni" (film o solo diapositive) presso amici a "narrazione" del loro ultimo viaggio, oltre ad essere terribili, non sono indifferenti ad alimentare la "conoscenza" dei luoghi.

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Ad esempio di questo mutamento pu essere presa, anche se la scelta pu essere considerata scontata, la citt di Venezia. Anche se le immagini che la letteratura ha proiettato erano diverse (tra T. Mann e H. James, c' differenza), la citt fino ad un certo periodo era avvolta in un'aurea inconfondibile che rispecchia concentrazione di arte, i grandi eventi culturali, oasi per miliardi di ogni sesso e tendenza; citt romantica e sentimentale per eccellenza. Una immagine che stata anche rafforzata dal cinema [sia dalla trascrizione dei romanzi pi famosi, fino al film, un po' banale, Anonimo veneziano). Venezia, come noto, stata e continua ad essere anche "citt da viaggio di nozze", una scelta che discende direttamente proprio da questa sua aurea. Ma poi tutto cambia. A quell'immagine, sempre pi sbiadita, si sovrappone una diversa Venezia: quella descritta dalle cronache anche nell'oggettivit dei diversi fenomeni che spesso contraddittoriamente l'attraversano {il carnevale, ma anche l'acqua alta, il problema dei rifiuti, le macro alghe nella laguna, l'inquinamento, i prezzi esorbitanti dei ristoranti, la pesca abusiva, il moto ondoso, gli intromettitori abusivi, i prezzi esosi, ecc.); quella rappresentata in tanti messaggi pubblicitari della carta patinata e di tanta pubblicit televisiva (fino all'assurdo delle automobili che sfrecciano nelle sue calli); quella dei film che la usano come sfondo. La sovrapposizione di tutte queste diverse immagini (reali o meno) produce uno stereotipo da dozzinale cartolina illustrata (il Canal Grande, le gondole, i vetri di Murano, ecc.).4 Quello che stato detto per Venezia potrebbe essere ripetuto per tante citt. In sostanza mentre possibile affermare che sono tramontate le "citt letterarie", contemporaneamente si deve constatare che la citt resta un luogo canonico di molta letteratura: pu essere la coprotagonista, la scena pi o meno labile nella quale si svolge la vicenda, determinante per capire l'opera perch ne costituisce la condizione, ecc. Il tramonto delle "citt letterarie", cio, non il tramonto della citt nella letteratura (si potrebbe forse sostenere che oggi questa presenza pi rilevante di ieri); non solo della "specie" citt, come forma di convivenza, ma di specifiche citt (ma su questo rimando al testoriccodi indicazioni e osservazioni). Oggi qualsiasi citt (ovviamente citt di una certa dimensione e importanza) entra, con vario peso e rilievo, in una molteplicit di opere letChe in futuro l'uso (o l'abuso) dell'immagine di Venezia sar condizionato al pagamento di una royalty all'amministrazione comunale (il "marchio Venezia"), se da una parte potr migliorare la situazione del bilancio comunale, dall'altra parte degrader ancor di pi l'immagine di Venezia nella coscienza collettiva.
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terarie, e ciascuna di queste ultime presenta un modo di vedere, un aspetto, un parzialit (anche se totalizzante), esiste cio, come per la conoscenza scientifica, una molteplicit di contributi (talvolta anche in contrapposizione). La notevole mole quantitativa della produzione letteraria di oggi non paragonabile a quella del passato, nemmeno a quella di soli alcuni decenni fa, questo arricchisce le possibilit, ma complica la questione, si moltiplicano i piani di lettura, si accrescono i punti di vista. Mentre, infatti, possibile assumere che la conoscenza scientifica sia, in una certa misura, "oggettiva", lo stesso non ammissibile per la conoscenza che possiamo ricavare dalle opere letterarie. Non possiamo trattare un testo letterario come /'Annuario statistico, e se quest'ultimo appare pi arido ma pi "preciso", nel senso della "semplificazione", l'altrorisultapi ricco e pi complesso ma sicuramente "partigiano ". In sostanza che tipo di "conoscenza" possibile ricavare da un'opera letteraria ai fini di un "progetto"? Questa la questione di fondo. Come rivela l'autrice mentre il pianificatore-urbanistarisultaessere un outsider, l'opera letteraria (molto spesso) una narrazione dall'interno (insider), fornisce una "verit " che un osservatore estemo non potr (facilmente) cogliere.5 Ma si tratta di un punto di vista con una forte "personalit ", in un certo modo potremmo dire partigiano, la citt far tutt'uno con la storia, con la visione del personaggio e con la visione dell'autore, in un gioco degli specchi tra i quali alcuni sono deformanti. Mentre possibile cogliere solo qualche brandello di verit (oggettiva), ricco risulta l'arricchimento di conoscenze del "clima " di quella citt; magari qualcosa che evidente a chi "sta dentro la citt ", cio della citt ha un'esperienza, come dire, implicita, ma cheriescemolto difficilmente ad essere colto da chi viene diali'estemo (anche se si tratta di chi per abitudine o per professione, come il caso dell'urbanista, frequenta, con occhi vigili e rapaci, citt). Per chi assume che la citt non una costruzione di ferro e cemento, ma piuttosto un prodotto sociale e di relazioni umane, la "letteratura " arricchisce il suo bagaglio di conoscenze, gli fornisce riferimenti "precisi" per elaborare una via di intervento. Le relazioni di potere, i significati dei luoghi, la stratificazione della storia, i drammi della vita quo5 Non un caso che nel periodo nel quale la trasformazione del paese sembrava a portata di mano, spesso, tra gli urbanisti pi radicali, si fatto riferimento ad una sorta di "urbanista condotto", cio una professionalit fusa con il luogo sulla base di esperienze complesse condotte sul terreno insieme agli abitanti, cogliendo storia, tradizione, comportamenti, simboli, ecc., come parte della sua formazione/esperienza.

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tidana, l'allegria e alternativamente la tristezza di singole piazze, strade, vicoli, il vissuto dei giovani dentro la citt e quello dei vecchi in declino, l'ansia di relazioni, il "colore", il degrado connesso con la degradazione di uomini e donne; ancora le speranze, i desideri, le domande per una citt diversa che pu essere ancora il rimpianto per il passato o la tensione verso una trasformazione pi "moderna ". Complessit, contraddizioni, parzialit, dialettica dei sentimenti (per i luoghi), citt vissuta e citt desiderata e sognata, citt letta in riferimento ad un'altra citt, le pietre che richiamano altre pietre, in un rimando continuo. Un amalgama denso, filtro del reale; un "sapere" che si "accumula" che pu arricchire la conoscenza del progettista, la sua percezione del luogo, la sua consapevolezza. Che pu permettere all'urbanista di essere meno "estraneo ". Ma... il progettista non naif, la lettura di un'opera letteraria non univoca, ogni testo un'opera aperta, non si legge un romanzo, una poesia come la Guida Rossa del Touring, la lettura di un testo letterario mediata dalla specifica formazione, dagli occhiali culturali inforcati, dal particolare stato d'animo. Alla "parzialit" dell'autore, si somma la "parzialit" del lettore; il significato del testo viene rielaborato. Due parzialit non eliminabili? Dipende, infatti neanche la conoscenza scientifica priva di parzialit. Il progettista attento sa che molte statstiche sono state raccolte con specifiche finalit, in un contesto pi o meno ampio di rappresentativit, la loro utilizzazione comporta non solo un'analisi di affidabilit, ma anche una comprensione puntuale di cosa possono "dire". I numeri parlano, bisogna saperli interrogare, essi ci comunicano una verit "parziale" nel doppio significato della parte di un tutto e di un punto di vista particolare. Il numero ci pare pi affidabile della parola, esso si presenta senza equivoci in s, eppure pu ingannare, esso va analizzato criticamente e poi usato per quello che pu dare. Ed cos per tutte le conoscenze scientifiche. Nelle scuole di pianificazione molto spesso si insegna a "saper leggere" i numeri, o i risultati di una indagine sociologica, o una cartografia (anch'essa pu ingannare), quasi mai si insegna a "saper leggere" (dalpunto di vista che qui interessa) un testo letterario, un testo in un certo senso "equivoco ". In sostanza per usare la letteratura allo scopo di avere nuove, diverse e ulteriori conoscenze sulla citt si ha bisogno di strumenti pi raffinati di conoscenza, la conoscenza che viene dalla Ietterai tira deve essere integrata alla conoscenza scientifica, un luogo e in particolare una citt, come gi detto il risultato complesso di processi che < possibile ana14 1 6

lizzare scientificamente e di un "clima ", "umori "f "speranza " e "smboli " che la letteratura svela. Non s tratta di una conoscenza di livello diverso (l'autrice scarta, giustamente, questo punto di vista), ma di un diverso tipo di conoscenza che completa, per cos dire, la conoscenza scientifica (talvolta mettendo in "crisi" questo tipo di conoscenza) e mette in grado il progettista di operare con tutti gli elementi di conoscenza utili. Ma la letteratura non solo sguardo sul passato e sul presente, spesso essa strumento di proiezione nel futuro. Magari essa esprime rigetto per la situazione presente e prospetta la citt del futuro, ma sa questo "futuro " sia le modalit della sua realizzazione non possono essere quelle della letteratura; tali visioni non liberano il progettista dalla necessit di attivare la sua capacit "inventiva ", di produrre "novit ", ma al contrario possono stimolare la sua creativit relazionandosi alla conoscenza complessiva della citt.6 Ogni progetto innova, ma tale innovazione pu travolgere o meno, ogni progetto d intervento urbano trasforma, ma tale trasformazione pu o meno lacerare l'identit, l'equilibrio tra memoria del passato ed esigenze del presenteIfuturo non facile da realizzare, dipende molto dall'introiezione che si fatta della realt complessa della citt. La trasformazione di Parigi, per fare un riferimento specifico al testo qui introdotto, era stata declinata da scrittori e poeti immaginando la sua fine come quelle di babilonia, di Roma e di tante citt dell'antichit, colpite da vendette divine, assalti di barbari, cataclismi e descrivendo una citt disseminata di reperti archeologici, ma la realt stata ben diversa: La Parigi reale, intanto, rinnovandosi sul vecchio tracciato di vie strette, sporche, putride e maleodoranti, s trasformava. Ci che poeti avevano sognato o temuto s avverava. Anche Parigi, distruggendo il proprio passato, avrebbe acquistato il volto solenne delle grandi capitali, ma tutto si sarebbe realizzato nel modo pi semplice, per volont degli uomini, grazie a robuste vanghe, a inesorabili scavatrici, in obbedienza ad un progetto, ad un piano stabilito. Le rovine cui fu sottoposta Parigi a cominciare dal 1859 non furono opera dunque, come avevano paventato Vigny, del Dio della Bibbia, e nemmeno di Attila o di Gengis Kan. Il Grande demolitore appariva vestito di abiti moderni nella figura inappuntabile di un alto burocrate locale. Era il prfet de la Seine barone Georges Haussmann.1
6 Non si fa, ovviamente, riferimento alla produzione di "ideuzze" o ad una produzione autoreferenziale. 7 G. Macchia, Geova o Haussmann?, in Ritratti, personaggi e fantasmi, I Meridiani, Mondadori, Milano, 1997.

La citt in continua trasformazione, possibile misurare i nuovi metri cubi costruiti, sia in sostituzione di quelli demoliti, sia in aree nuove, la superficie delle aree sottratte all'attivit agricola e urbanizzate, i chilometri di strade costruite, i nuovi posti di lavoro creati e quelli distrutti, i nuovi edifici produttivi e la quantit delle aree dismesse, le nuove attivit economiche, il numero di abitanti delle periferie che si dilatano, 10 sviluppo dei servizi, la costruzione di nuove attrezzature, nuovi negozi, 11 numero di attivit artigiane scomparse, la popolazione che cresce o diminuisce, il numero dei pendolari, la proporzione tra giovani e anziani, insomma di questa trasformazione possibile misurare quantit, tempi, modalit (ci possono essere difficolt di documentazione ma alla fine un quadro abbastanza preciso si riesce ad avere). Ma cosa aggiungono i "furori" pieni di rimpianto per il passato di scrittori e poeti, o le esaltazioni per il presente/futuro di altri poeti e scrittori? Molto. Nel loro contrasto ci raccontano le sofferenze che alla trasformazione sono legate, ma anche le nuove opportunit, le speranze. Danno, cio, corpo e sangue alle cifre, aggiungono sentimenti, desideri, ipotesi di vissuto. Permettono di "misurare" le intenzioni con la realt della vita, le speranze e la disillusione, ci fanno toccare le differenze.8 L'autrice fissa la sua attenzione su tre citt (Barcellona, Firenze e Parigi) e su uno specifico "passaggio" d'epoca, scelta che viene molto bene giustificata. Di queste citt e di questo passaggio ci fornisce reperti letterari che connette ai processi, di trasformazione e pianificazione che le
Ancora un venticinque anni fa, Parigi era la citt che accumulava le stratificazioni delle epoche senza che il vecchio fosse spodestato dal nuovo e soprattutto per noi che venivamo dall'Italia del miracolo economico, cos frettolosa nell'assumere in superficie gli aspetti pi futuribili e nel cancellare le umili tracce del passato una delle ragioni del suo fascino erano le botteghe antiquate, le insegne stinte, le facciate lebbrose. Aspetti d'una tradizione risparmiatrice e misoneista coesistevano coi segni dell'opulenza di capitale d'un impero coloniale ancora non del tutto liquidato e ci permettevano di recuperare ultimi riverberi di belle poque e periferie di film di Carn anteguerra. Gli anni Sessanta si aprirono coi ravakments voluti da Malraux che restituivano il pristino biancore alle facciate fuligginose, ed era una novit che andava ancora nel senso della perennit del passato. Ma ormai il boom edilizio era maturato anche a Parigi e le costruzioni nuove, i negozi lustri, le insegne moderne infiltravano inattese prospettive milanesi in una citt che dalla guerra in poi non aveva cambiato che minimamente la sua immagine; i grattacieli e i nuovi complessi affacciavano Tokyo agli spalti della Senna; la severit fiscale falcidiava il pulviscolo di bottegucce che da tempo immemorabile perpetuava la minuta vita commerciale e artigiana di Parigi, e al loro posto le catene di supermercati e le onnipresenti banche estendevano le loro anonime superi ici. Questa lunga citazione da I. Calvino (recensione al libro di G. Macchia, Le rovine di l'arigi, in La Repubblica 19 giugno 1985, ora nel Meridiano dedicato a Macchia, op. vi.), pu costituire una esemplificazione del ragionamento prima sviluppato.
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stesse citt hanno affrontato. L'antologia poteva essere "infinita", Parigi, Barcellona e Firenze sono tra le citt pi frequentate della letteratura, ma l'acume della nostra si rileva anche dal tipo di selezione effettuata, pertinente in s e per lo scopo, anche di metodo, che si era prefissata. Mi sembra di poter dire che la nostra autrice appartiene alla categoria degli scrittori-lettori: Lo scrittore-scrittore lancia le sue parole nello spazio, e queste parole cadono in un luogo sconosciuto. Lo scrittore-lettore va a prendere quelle parole e leriportaa casa, come Vespero le capre, facendoleriappartenereal mondo che conosciamo.9 E proprio questa l'operazione interessante e di qualit che Flavia Schiavo ha compiuta e ci guida per mano in un percorso che sicuramente amplia la prospettiva interpretativa della disciplina. In sostanzarispettoalla domanda che ci si era fatti all'inizio, il testo di Flavia Schiavo d non solo unarispostapositiva, non solo mostra con esemplificazione in un certo senso la "potenza" dei testi letterari, ma costruisce un percorso metodologicoIdisciplinare dalle ricche implicazioni e dai molteplici suggerimenti e suggestioni. L'azione pratica dell'urbanistica e della pianificazione urbana si muove tra "intenzione"politica espressa dall'amministrazione e conoscenza del luogo, due capisaldi fondamentali e fondativi per ogni intervento, il testo qui presentato apre una prospettiva sul fronte della "conoscenza " molto importante e non sempre praticato come meriterebbe.
F. I.

Venezia, giugno 2003

C. Garboli, Scritti servili, Einaudi, Torino, 1989.

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Il nome della citt


di Giuseppe O. Longo

La narrazione rivela il significato senza commettere l'errore di definirlo.


HANNAH ARENDT

Personaggio sorprendente e prezioso, Flavia Schiavo: capace di coltivare una pluralit di interessi, di esplorare una rete di temi, di scandagliare un intrico di relazioni, di linguaggi, di registri. Da questo esercizio assiduo e molteplice scaturisce un libro singolare e fascinoso. Una scrittura espressiva, avvolgente e precisa, un gusto per la trasgressione dei confini, una tensione verso la complessit, un raro slancio culturale: tutto ci porta il lettore verso una visione nuova del rapporto tra citt, piano, urbanstica e vita: una visione integrata di precisione e racconto, di formalismo e narrazione. Solo con la narrazione, ci dice Flavia Schiavo, si pu rendere la struttura arborescente, nativa e contngente della storia e del reale: ci che non sempre stato, sarebbe potuto non essere e forse non sar pi. La storia necessitante proposta dalla metafsica, la cogente realt etema e assoluta della fisica debbono fare i conti con la singolarit, con l'individualit, con gli eventi unici, casuali e irripetibili che accadono agli esseri viventi e alle citt vere: dunque con le storie che ciascuno d noi narra, s narra e s fa narrare di continuo. E matrici di conoscenza sono tanto la fisica e la filosofia quanto l'arte e le storie. Questarivalutazioneforte del racconto come fonte di sapere, che ha avuto in Emesto Sabato, fisico teorico e romanziere, un convinto paladino, sottrae al linguaggio scientfico e alla rappresentazione formale (e alla progettazione razionale) la pretesa di fornire la Verit. N la letteratura n la scienza ci dnno la Realt "cos com'": piuttosto da un loro cauto accostamento, da un loro sapiente dialogo collaborativo si pu sperare di giungere pi vicino a... a qualcosa che non conosciamo perch si disvela in itinere, sempre nuovo, sempre sorprendente, sempre inaudito.
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, questo libro, dunque, un contributo pregevole al dibattito sul rapporto tra arte e scienza. Nel momento in cui le discipline formali attraversano una crisi da cui la loro immagine e autorit potrebbero uscire trasformate, importante procedere a contaminazioni fluide, a confronti aperti e duttili. Ho pensato che il modo migliore per rendere omaggio alla saggezza compositiva di Flavia Schiavo fosse quello di costruire un dialogo (o meglio, un metlogo) tra la visione orizzontale, terrena, umana e la visione verticale, archimedea, asettica. Tra il racconto e la scienza. Un abitante di una citt innominata e un urbanista iperuranio dialogano senza udirsi, procedendo ciascuno per la sua strada. Solo il lettore, che ascolta le parole di entrambi, pu, forse, tentare un esercizio di mediazione, di scelta o, meglio, di accostamento e di fecondazione tra i due punti di vista.

Il nome della nostra citt compatto, liscio, dolce, color malva. A tutta prima difficile per i forestieri capire che nesso vi sia tra questo nome levigato e malioso e l'aspetto della citt, perch i suoi giardini, i vicoli scoscesi, le scale, i palazzi gentilizi e le luci esangui dei lampioni, la sera, appaiono, se non identici, almeno simili a quelli di altre citt. Ma, prolungando il soggiorno, gli stranieri cominciano ad avvertire quel preciso e indescrivibile adeguamento fra la citt e il suo nome che per loro motivo di stupore, mentre per noi, che vi siamo nati e vissuti, quest'armonia naturale come il profumo delle stelle estive o la voce della pioggia nei mesi pi lunghi. Le citt della terra si possono ammirare dall'Alto, scegliendo un punto di vista archimedeo vicino alle stelle fisse. Dalla Verticale i reticoli di strade piazze viali ponti sdruccioli giardini sembrano i circuiti stampati di lucide apparecchiature elettroniche. Da Quass tutte le citt appaiono uguali: le singolarit, peculiarit, individualit sono scomparse, o meglio assorbite e sussunte nell'Essenza metafisica della Citt. La Citt un'Idea in cui non c' posto per l'inaudito, l'imprevisto, l'indecifrabile. La Citt, opera dell'Urbanista, conforme al Piano, abitata dall'Uomo ideale. Chi abbia dato alla citt il suo nome oggetto di congettura: alcuni parlano di un eroe eponimo che in tempi leggendari fond il primo nucleo urbano; altri ritengono pi probabile il passaggio inverso, dalla citt all'eroe. La seconda ipotesi farebbe retrocedere l'origine di questo suono a tempi di un'antichit immemore, quando si parlava una lingua di cui s' perso ogni ricordo, se non, forse, appunto questo nome. Di quando in quando uno studioso annuncia di aver rinvenuto un cippo, una lapide, un frammento che potrebbero giungerci da quel tempo remoto, ma queste notizie non destano alcuna emozione: gli abitanti della nostra citt sono persone semplici, e semplice la vita che conducono, in equilibrio fra le rigorose necessit del vivere e una dose mi-

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surata di felicit quotidiana. Che l'origine e la storia della citt siano cos vaghe, tuttavia, non ci turba per niente. La Citt ha una e una sola Storia: compatta, trasparente, razionale, documentata e giustificata da statue, fontane, palazzi e monumenti. Una Storia invariabile, consegnata per sempre alle Biblioteche. Alla fondazione della Citt ha presieduto la Teoria: incarnata nella Mente, sdegnosa dei corpi, delle donne, degli uomini, dei bambini, degli asini e dei cavalli. La Citt racchiude un Nucleo duro, compatto, adamantino, che il Sapere globale, astratto, necessario e cogente. Nella Citt, come nella sua Storia, non c' spazio per la contingenza, per la possibilit, per le ipotesi, per la narrazione, per le favole, per la poesia: dalla Citt sono stati banditi i teatranti, i cantastorie, gli acrobati e i mendicanti. Tolleriamo solo l'alternarsi equinoziale del giorno e della notte, ma che non si sgarri: l'ora segnata dall'unico Orologio posto sulla Piazza Principale il Segnatempo universale. Nella Citt ideale che contempliamo da quass Tutto coincide con Tutto, in una Tautologia che unifica Reale e Razionale, in un'Ortodossia che non ammette devianze, apostasie, eresie. Cos la Citt incarna nel suo algido Splendore la Bellezza, la Verit, la Saggezza. Nelle piazzette sonore il nome della citt si addensa, si fa azzurro cupo, oppure scarlatto, specie al tramonto. In quell'ora lo troviamo spesso annidato dietro un'abside, o dentro un cortile umido di muschio; se ne sta l, come un bambino, a trastullarsi con la propria voce. Certe sere invece si erge come un sipario a minacciare tutto un fianco della Cattedrale e sul selciato della Piazza Grande c' un brulicare di ombre violette che s'impigliano nelle gambe dei passanti. Quando il vento spazza la convessit delle strade di sasso e fa vibrare le inferriate e scuote le porte delle case, il nome si moltiplica come un lucido caleidoscopio e si allarga fin sopra le colline che circondano la citt, annidandosi negli anfratti, rimbalzando su per le pendici dei monti. Vi sono certe sere d'inverno, quando la neve cade fitta oppure quando il gelo chiude le fontane in una livida morsa dolente, che il nome acquista una densit insopportabile. A noi che ammiriamo la Citt dall'Alto non interessa il regno brulicante degli affari e degli affetti umani, bassi, contaminati, oscuri. Con un'operazione di Risanamento chirurgico siamoriuscitia eliminare l'ambivalenza e il disordine, la pluralit e la concretezza. Tutti uguali gli esseri umani come tutte uguali le particelle della materia. Sconfitta la per14 26

turbante unicit, la pericolosa trasgressione dionisiaca, noi Pianificatori abbiamo impartito Regola e Ordine non solo alla Citt, ma al Mondo. Cosi Esso percorre le Strade obbligate della Legge, non pi soggetto a turbamento, a dissipazione, a desiderio. Il Mondo racchiuso in una Teca immutabile, inaccessibile, oracolare. Intorno a questa Teca passa la Storia, senza turbarla, senza scuoterla, senza quasi sfiorarla. Allora devo uscire: abbandono la cerchia dei familiari intorno al camino, e mentre mi avvolgo nel tabarro nero pesante annuncio a mezza voce: - Vado a trovare Pietro... Pietro un antico compagno di giuochi: abita a pochi passi, al vertice alto di una piazzola triangolare in pendenza, che sembra sempre per scivolare verso il basso. Picchio all'uscio pesante colpi affannosi e il vento si porta quei rumori soffocandoli con altri, pi eloquenti e articolati. Dietro la finestra terrena appare una lanterna e, accanto, la faccia di Pietro, pesta e scarruffata nella barba grigia. Gli faccio dei gesti concitati, gli indico il vento, la porta e poi la neve, che copre la piazzetta di una crosta azzurrata. L in fondo mi sembra di vedere un gomitolo oscuro che palpita. Batto ancora colpi ansiosi. Finalmente sento i catenacci scorrere e l'uscio si apre per farmi entrare nel tepore stantio e fumoso dell'unica stanza dove Pietro abita. Mi sta davanti, irato, con la lanterna in mano. Si gettato un pastrano sulle spalle, ma sotto ha la camicia da notte. - Che vuoi, a quest'ora? Ero a letto. Io non gli bado, afferro una seggiola, la trascino verso il focolare e comincio a frugare nella cenere con un attizzatoio. - Aspetta, - mi dice Pietro sempre corrucciato. Va a una gran cesta, ne estrae una fascina e la getta dentro il camino, dove intanto ho trovato un po' di brace. Pietro si d da fare, soffia su quell'occhio rosso, lo fa brillare forte, la fascina comincia a fumare. Apro la botola che chiude la cappa e il vento vi s'infila come una bestia rabbiosa. Ma gi le prime lingue di fiamma si sprigionano dagli sterpi. Pietro afferra due sprocchi e li getta in mezzo al fuoco che si erge e ruggisce al ruggito del rovaio. Di nuovo con voce sorda mi chiede: - Allora, che c'? - Che c', che c'... lo sai bene... questa sera non si resiste... Da Quass la Citt identica a se stessa: una Rete di percorsi congelati [niente ambiguit, niente scelte, niente eventi unici e irripetibili), un Cervella

fulminato nella paraplegia dell'Eterno, un'Epifania luminescente e traslucida, che gronda Determinismo e Precisione. In questa Citt si riassumono, si fondono e si annullano tutte le citt che furono, che sono e che saranno : Atene, Barcellona, Babilonia, Brisbane, Calcutta, Cartagine, Casablanca, Cuemavaca, Cuzco, Danzica, Denver, Ebla, Efesto, Firenze, Gerusalemme, Gotham City, Harappa, Jena, Kobe, Kuala Lumpur, Lamed Thal, Los Angeles, Luxor, Moenjo Dar, Murmansk, Nairobi, Napoli, Ninive, Oslo, Palenque, Parigi, Petra, Reval, Roma, Samarcanda, Sparta, Ukbar, Uppsala, Ur, Venezia, Ypres, Zanzibar. I contomi sfrangiati di queste caduche citt, annullandosi a vicenda, scompaiono nel lucido profilo della Citt Ideale, dove non chioccolano fontane, non stormiscono fronde dai giardini seclusi, non vanno profumi dai verzieri, non cantano usignuoli. Soprattutto, nella Citt, non si narrano storie: per giungere a questo Distillato purissimo abbiamo ucciso i racconti, ingessato gli uomini, murato gli alberi, imbalsamato le donnole e i ghiri, mutilato i poeti e i saltimbanchi. Abbiamo imboccato un cammino faticoso, sempre pi impervio, sempre pi aspro: dal molle prato dell'infanzia ci siamo inerpicati per i fianchi scoscesi della Filosofia, per la roccia dirupata della Metafisica, fino all'albedo ghiacciata della Scienza esatta. La tensione deve sentirla anche lui. Infatti non dice nulla, va alla credenza, versa del vino in due bicchieri e si riavvicina al focolare, sedendosi su uno sgabello e avvolgendosi meglio nel pastrano. - Maledetta citt... - mormora guardando il fuoco. - Maledetta... - Taci, - lo interrompo. - Taci. Non dire queste cose. Il vento porta con s le parole. Attraverso questa cappa si sente tutto. Ascolta! Tendiamo l'orecchio e sentiamo il vento che canta a distesa il nome incessante della nostra citt: un nome cosi colorato, liquido e persuasivo che ogni altro suono al confronto appare sgraziato: e il nome stesso dei suoi abitanti, che pure da quello derivato, ha qualche durezza e nella necessit della desinenza la dolcezza si smaga, l'armonia s'infrange, e tende a divenire un suono, se non comune, certo imperfetto. - Ma perch sei venuto a tormentarmi con le tue fissazioni ? Pietro mi aggredisce con la solita rabbia, perch sa di non potersi difendere. Ora tutti i campanili, le guglie e i pinnacoli oscuri dnno un suono possente come il canto degli angeli e il nome della citt viene ripetuto in tutte le sue variazioni, che sono settantasette, e in tutte le sue tonalit, che sono cinquecentotrentanove. Noi, di queste variazioni, ne usiamo solo quattro o cinque, e con
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gli stranieri solo due, che gi bastano a farli struggere di dolcezza quando scorgono di lontano gli archi e le mura che ci proteggono dal mondo esterno. Ma nonostante questo nostro pudore, derivato da antichi divieti collegati alla funzione magica di alcune di queste varianti, le conosciamo tutte, in tutte le loro tonalit. Le apprendiamo a scuola, dalla prima infanzia, ma non ci consentito pronunciarle se non in occasioni speciali. Scriverle, mai. Intanto Pietro ha finito il vino e il suo occhio torvo. Vedo che ha sonno, che vuole tornare a letto. Ma io non me ne vado: la mia famiglia, in queste sere, non mi d sollievo, il canto del vento troppo alto, urta contro le vene, non d requie. Passano le schiere degli angeli sopra le torri della citt e soffiano nelle trombe d'argento, cantano le varianti del nome con un impeto che rende crudele quel suono dolce e compatto, ne suscita durezze di pietra, come se il nome s'identificasse finalmente con la citt che lo porta e questa coincidenza da sempre attesa fosse il serrarsi simmetrico e perfetto delle due valve di una conchiglia secca e polita, che chiude e racchiuder per sempre in s quest'armonia indicibile, la citt, i suoi abitanti e tutta la cerchia dei monti sotto la neve. Abbiamo compiuto dolorose Rinunce, ma abbiamo avuto la nostra Ricompensa: abbiamo arginato l'insensatezza della soggettivit, degli eventi, delle biforcazioni, l'irritante brulichio del nuovo, del germinante. Basta con la narrazione, che ci obbliga a seguire la genesi serpeggiante dell'evento dalle onde del possibile, unico superstite di una folta chioma di ramificazioni ammissibili che le inesorabili cesoie della storia hanno potato: ci che E Necessario, non contingente. Ci che E Fu e Sar. Tutto si spiega con una Logica superiore. Mi riscuoto: devo essermi assopito. Nel camino la fiamma langue, agitata dal vento. Pietro dorme, la testa reclinata; emette un rantolo breve angosciato e sulle sue mani le vene sono grosse come radici. Vado alla cesta, cerco una fascina per ravvivare il fuoco e ricomincio a pensare al nome. Come ho detto, le sue origini sono avvolte nel mistero, ma anche il suo destino ci sconosciuto: nonostante la sua molteplice sonorit, nonostante il suo color malva, cos sensuale nella bocca delle nostre donne, anch'esso forse destinato a sparire, lasciando nel popolo dei suoni una minuscola increspatura, un piccolo guizzo evanescente che si propagher in onde concentriche sempre pi tenui, fino a confondersi con l'oscurit delle pi remote periferie. Tutto passa... Mi alzo e vado alla finestra: la piazzetta inclinata immersa in un
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sogno. Il vento vi s'ingolfa con meno violenza e laggi, nell'angolo fondo, la tensione s' alleggerita, quel gomitolo si dipana pi lieve... Nelle citt della terra la corruzione minaccia le mura e gli archi, tutto crolla, le stirpi s estinguono, la musica svanisce, le fontane inaridiscono, gli alberi muoiono. La Citt che contempliamo dall'alto dell'Iperurano vive etema, Usuo Piano perfetto la preserva da ogni infermit. Abitata dall'Uomo ideale, si adegua alla Ragione. Qui non abbiamo paura di nulla, perch abbiamo rinunciato a tutto. Torno al focolare, dove la fiamma vacilla, tocco le pietre del camino, antiche compagne che mi confortano con la loro solidit... Il lucido e convesso carapace della Citt custodisce Verit perenni e incorruttibili, che non saranno mai offuscate dalla marcia del Tempo. Il Piano sopravviver a tutto, uguale a S stesso, nei secoli dei secoli. Il Piano il nostro Dio, la Citt la sua lerofania e in essa noi Urbanisti ci siamo riconosciuti. - Che c'? Che fai qui? Pietro s' svegliato all'improvviso, gira qua e l gli occhi acquosi, farfuglia con la bocca impastata. Pian piano si calma e prende a fissarmi. - Sei ancora qui, - mi rimprovera. - Perch hai fatto spegnere il fuoco ? - Ora me ne vado. Il vento caduto. Fuori c' infatti una calma quasi assoluta. Le schiere degli angeli si sono ritirate; resta solo, del nome gridato, un'eco, un sussurro attonito, azzurrino come il ghiaccio che ricopre la piazzetta. - Vai via? - mi chiede Pietro. Ora quasi contrariato. - S, tardi. E quasi l'alba. Quando apro la porta, la piazza in discesa sembra succhiarmi verso il basso con forza vertiginosa. Devo afferrarmi allo stipite per non cedere e precipitare. Ritrovo l'equilibrio, poi m'incammino piano piano verso casa. Mentre apro la porta, nella luce sporca dell'alba, comincio a ripetere a mezza voce il nome della nostra citt.
G . O. L.

Parigi, Barcellona, Firenze: forma e racconto


Dalla citt ottocentesca a quella contemporanea

Trieste, ottobre 2003


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Sogno un libro in cui la mia parola scompaia, nascosta e appena baluginante dietro le parole altrui. Un libro che sia solo un centone di citazioni, che conduca il lettore per mano, silenziosamente, da un libro all'altro, da un pensiero all'altro (pi saggi di noi, gli antichi non erano divorati dalla smania dell'originalit). Falsa umilt del copista: d'essere un anello, almeno di seconda mano, di questo interminato, ramificato commentario che la nostra cultura.
GIOVANNI FERRARO, Il Libro dei Luoghi, 1999

Totalit urbana ?

Non possibile dare un limite all'abisso inesplorato che la citt,1 perch una citt, anche se assunta a scenario di una flnerie innamorata, una dannata, sfuggente, complicatissima cosa.2 Quando ci si propone, secondo, un approccio tradizionale, di restituire la totalit dello spazio urbano o di quello territoriale, si perde ogni certezza: non esistono descrizioni onnicomprensive e definitive, ogni rappresentazione appare incompleta e, pertanto, continuamente soggetta a revisione e ripensamento. Tale affermazione, che colloca i linguaggi descrittivi in un particolare ambito caratterizzato da feconda e stimolante provvisoriet, orienta la ricerca urbanistica verso la considerazione di campi omessi, dimenticati, o poco frequentati e di tecniche che, come la descrizione letteraria - in termini problematici - esplorino e illustrino le continue mutazioni degli objecta territoriali. In particolare, tra Ottocento e Novecento, in ambito urbano, si sommano - all'endogena e autentica impossibilit di rappresentare la totalit fenomenica - l'incremento della complessit e l'ulteriore difficolt interpretativa, data dalla perdita della struttura esterna formale:3 la citt sopravanza lo storico limite delle mura, mutando se stessa e, nel contempo, alterando qualit e natura dei rapporti con il territorio circostante, che viene parzialmente inglobato. L'abbattimento dei limiti, come sostiene L. Mumford, uno dei maggiori risultati dell'economia metropolitana, ma non implica un'abdicazione di potere da parte delle autorit costituite: esso infatti controbilanciato dal convogliamento verso la metropoli di tutte le operazioni e da meccanismi sempre pi complicati. La metropoli di fatto un centro di manipolazione dove una grande variet di beni materiali e spirituali viene meccanicamente classificata, ridotta ad un nu2

M. Romano, Citt della letteratura. Immagini e percorsi, Clueb, Bologna,1996. A. M. Ripellino, Praga magica, Einaudi, Torino, 1973. ' D. Martindale, Tipologia e storia della teoria sociologica, Il Mulino, Bologna, 1962.

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mero limitato di articoli standardizzati, impacchettata in modo uniforme e distribuita attraverso i canali controllati con una regolare etichetta metropolitana.4 Anche tramite il linguaggio della descrizione letteraria, attraverso lo spessore e le suggestioni veicolate da alcuni testi, possibile mettere a fuoco un momento di particolare importanza per l'insediamento urbano e per la disciplina che di esso si occupa, quello relativo al passaggio dalla citt chiusa, tendente ad una dinamica di crescita implosa (perch costretta dalla cinta muraria), a quella "esplosa" che comprende al suo interno una nuova eterogeneit: come scrive, nel 1946, S. M. Ejzenstein,5 sino a poco tempo fa, le mie finestre segnavano l'estremo limite della citt di Mosca. E la casa dove abito era l'ultima casa della citt. Se per caso lasciavi cadere un cetriolo dalla finestra della cucina, ti cadeva gi... in provincia. Adesso i confini della citt si sono allargati e lo spartiacque tra la citt e la provincia si allontanato di molto dalle mie finestre. indubitabile che confine e limite possiedano un imponente significato simbolico: la citt storicamente rappresentata come una roccaforte chiusa, un luogo ideale e compiuto; e la cinta di mura con le sue porte (che consentono, nel contempo penetrazione ed isolamento), oltre a difendere dalle aggressioni esterne definisce un mondo rassicurante e sacro, territorializzando la comunit insediata. La demolizione delle mura, tra i primi segni tangibili della trasformazione del rapporto citt/campagna, della perdita dei confini urbani e della proiezione e successiva "diffusione" della citt sul territorio riveste, quindi, connotati metaforici oltre che materiali. Tale fenomeno riguarda numerose grandi citt e si verifica, orientativamente, tra il X V I I e il X I X secolo. Sia a Parigi che a Barcellona, cos come a Firenze, la demolizione e la negazione simbolica della cinta muraria uno dei fenomeni che segna il passaggio da un'epoca alla successiva, che vede un'indefinita citt sovrapposta al territorio, incurante del valore biologico di questo, ed orientata a saldarsi con i vicini sobborghi che vengono assorbiti. La citt preesistente, infatti, possedeva una precisa struttura forma4 5

le riconoscibile, un limite visibile e un rapporto di dipendenza biologica con la campagna.6 Attributi come "compattezza", "continuit", "coesione", "uniformit" non risultano pi del tutto efficaci per descrivere la trama territoriale, caratterizzata da una nuova rarefatta consistenza e da una rinnovata relazione (guidata dallo sfruttamento capitalistico)7 tra nucleo dell'insediamento e campagna. Nodo problematico quello relativo al passaggio dalla citt isolata allo spazio interamente antropizzato: intorno al X I X muta decisamente l'immagine dell'insediamento urbano che viene visto come sistema in espansione, dall'estensione potenzialmente illimitata; la antica reciprocit citt/campagna si trasforma passando da un rapporto di dipendenza proprio dell'et feudale - la citt serve il campo8 ad un rapporto di sfruttamento/rimozione, appartenente al modello urbano capitalista. In tal modo si cancellano ambiti fisici precisi come quello inedificato e inedificabile, definito dal pomerio, e si dissolve l'antica dicotomia verbale e concettuale, di matrice medievale, tra extra muros e intra muros. Lo spazio disfatto 9 della citt contemporanea viene meglio
6 Parigi nel 1853, alla data di insediamento di Haussmann - come nota M. Ragon, Storia dell'architettura e dell'urbanistica moderne, Editori Riuniti, Roma, 1 9 8 1 , - si estendeva ad ovest sino all'arco di Trionfo. Ma la Place dell'Etoile non era ancora che una zona campestre con botteghe di vinai (...); Parigi era cinta da mura della lunghezza di 24 km e cento metri, forate da 59 porte. Sui boulevards esterni, lungo questa fortificazione, i parigini giocavano a bocce; immediatamente al di l c'era la campagna. Vaugirard era un grosso borgo, con balere dove gli operai andavano la domenica a bere e a ballare; Issy era ricoperto di vigneti; a Vanves i borghesi possedevano le case di campagna; Aubervilles era una zona esclusivamente ad orti. Gli orti di Parigi erano del resto sufficienti ad alimentare la capitale. 7 Come osserva P. George - cit. da D. Calabi e F. Indovina, Sull'uso capitalistico del territorio, Archivio di Studi Urbani e Regionali, 2/73, Franco Angeli, Milano, 1973 - lo spazio industriale si organizza in modo diverso da quello agricolo (...) esso si fonda su tecniche originali il cui impatto sulla realt territoriale non ha nulla in comune con le forme di occupazione del mondo agricolo. (...) lo spazio industriale insieme concentrato e universale, discontinuo e insieme organizzato in fasci di relazione. (...) A differenza dello spazio agricolo che continuo, lo spazio industriale discontinuo. Proprio questa riconosciuta e ammissibile discontinuit spinge verso la codificazione di innovative modalit di descrizione che restituiscano la perduta unit allo spazio urbano: termini come il neologismo urbe, coniato da Cerd, o locuzioni pi recenti come citt-territorio rendono pienamente la misura di tali pulsioni. 8 R. Ledrut, L'espace socialdans la ville, Anthropos, Paris, 1968. 9 M. Semini, La citt disfatta, Franco Angeli, Milano, 1994.

L. Mumford, La citt nella stona, Bompiani, Milano, 1967. Cit. in M. Tafuri, La sfera e il labirinto, Einaudi, Torino, 1980.

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rappresentato da un termine pregnante: eterogeneo10 o da una figura verbale come quella deirattraversamento, n entrambi tesi a restituire visioni multiple e complesse della trasformazione in corso. L'immagine dell'"attraversamento" particolarmente efficace anche perch rimanda con immediatezza a fenomeni quali la perdita dei confini urbani, la dismissione delle mura, l'abolizione del ruolo delle porte civiche12 (come avviene a Firenze, ridisegnata da G. Poggi), la sovrapposizione di una rete viaria ordinata sull'intricato tessuto medievale, il modificato rapporto tra citt e territorio. In un certo senso l'atto dell'attraversamento sostituisce l'originario "passaggio" che indica il percorrere un tratto o uno spazio che separa due luoghi, andando dall'uno all'altro, e quindi la transizione tra due elementi nettamente distinti, come la citt medievale e il territorio coltivato che la circonda. L'insediamento medievale , infatti, caratterizzato da un'antitesi tra interno ed esterno, antitesi spaziale e simbolica, fondata su interdipendenza e complementarit; le mura rappresentano una linea separatrice, ma contemporaneamente esprimono la permeabilit rappresentata dalle porte e testimoniano l'opposizione tra interno ed esterno: nella concezione medievale di matrice cri10 1 . Cerd in Teoria General de la Urbanizacin, del 1867 (d'ora in poi Teora General), chiama eterogeneo lo spazio della nuova citt progettata tramite il Pian de reforma y ensanche de Barcelona del 1859. Tale definizione mira a racchiudere entro uno spazio ampio, un insieme di fenomeni dissimili, di cui necessario restituire un'immagine unitaria: la parola urbe (...) comprende tutto l'insieme di cose diverse ed eterogenee che, rese armoniche dalla forza superiore della socialit umana, formano ci che chiamiamo citt. 11 Nel corso del X I X e del X X secolo tale immagine che potremmo definire della "discontinuit" viene sostituita da un'altra, sintetizzata dal sostantivo continuit, ed espressa dalle locuzioni: "macchia d'olio", "citt-regione", "citt-territorio", "continuum urbano", "area metropolitana", "citt diffusa". Fin dalla prima met del X X secolo, W. Benjamin, in Parigi, capitale delXIXsecolo. I "passages" di Parigi, Einaudi, Torino, 1986, condensa tale rinnovata modalit di fruizione in ambito strettamente urbano - l'attraversamento, appunto - per mezzo della riflessione sui passages e sul flneur, i passages che, come immagine del sogno e del desiderio collettivo, sono casa, ma sono strada e il flneur, perennemente in viaggio, sempre alla ricerca del nuovo: aufond de l'inconnu pour trouver du nouveau. Come infatti nota M. Mari nel suo romanzo Tutto il ferro della torre Eiffel, il passage insieme un esterno e un interno, un limbo tra la strada e la casa (...) un riparo dalla violenza della citt, e l'intuizione pi intima di cosa sia la citt, come vederla in sezione, come vederla sognare..., passage come sognante corridoio dove si vorrebbe sedere come in una camera. 12 Come sostiene G . Simmel, Ponte e Porta, Saggi di estetica, Liviana, Padova, 1970, la porta rappresenta come il separare e il collegare siano due facce dello stesso atto. (...) separando e unendo l'uomo determina l'esistenza di una forma.

stiana l'interno ha pi valore dell'esterno, l'esterno vale nella misura in cui rivela e si sottomette alle pulsioni dell'interno.13 E W. Benjamin, a Mosca, anticipando il tema descrittivo evocato da Ejzenstein, che d con esattezza la misura della perplessit generata dalla perdita del limite: In un primo tempo la citt ha ancora cento confini. Ma un giorno la porta, la chiesa che segnavano i confini di una zona diventano d'improvviso, centro. Al nuovo arrivato la citt appare allora un labirinto. Strade, che egli aveva collocate ben lontane l'una dall'altra, un angolo gliele riunisce, come le briglie del tiro a due si riuniscono nelle mani del vetturino. Le mille insidie della topografia cittadina di cui si vittima potrebbero trovare collocazione, nel loro succedersi appassionante, unicamente in una sequenza cinematografica: la citt si mette sulla difesa, si maschera, sfugge, inganna, chiama a percorrere i suoi meandri sino all'estenuazione.14 Tali nuove forme di aggettivazione e descrizione testimoniano sia la trasformazione fisica subita dai tessuti storici intra ed extra muros l'efficace metafora delle briglie del tiro a due riunite di cui parla Benjamin rimanda, ad esempio, all'haussmanniana maglia viaria reticolare, rete sovrimposta, che crea inediti e scenografici incroci, concepita per la nuova Parigi - sia il corrispondente processo di verifica relativo alla percezione del rapporto nodale ed irrisolto intercorrente tra citt e territorio, espresso fino a quel periodo da alcune categorie analitiche, o da tradizionali coppie verbali dicotomiche come "citt/campagna" o "centro/periferia", o da termini quali "suburbio", "bordo", "esterno", "dintorni". Come affermano F. Choay o A. Corboz15 dopo la rivoluzione industriale tutto pu essere espresso in termini di distanza, di eterogeneit, di interconnessione, di attraversamento (che si contrappone a quella insularit, che secondo Mumford contraddistingue la citt medievale): comunicazione, circolazione e movimento (la sequenza cinematografica), sono gli attributi che qualificano e definiscono la citt - "mostro" post rivoluzione industriale - che inganna e riorganizza la percezione. In tale ottica, ad esempio, appare signiJ. Le G o f f , La citt e la sua immagine tra realt e mito, Casabella n. 505, 1984. W. Benjamin, Immagini di citt, Einaudi, Torino, 1 9 7 1 . F. Choay, La citt utopia e realt, Einaudi, Torino, 1973; A. Corboz, Ordine Sparso. Saggi sull'arte, il metodo, la citt e il territorio, a cura di P. Vigano, prefazione di B. Secchi, Franco Angeli, Milano, 1998.
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ficativa la trasformazione del ruolo della strada e della piazza urbana, che muta funzione o viene sostituita dalla nuova viabilit e dal sistema stradale nel suo complesso. Nella citt sette-ottocentesca la strada e la piazza assumono un valore assai diverso da quello posseduto nella citt medievale, dove le piazze pi importanti rivestono un ruolo simile a quello dell'agor o del foro, integrando la funzione sociale e quella economica. Nella citt medievale il concetto di rete di traffico era sconosciuto cos come quello di traffico veicolare continuo. Questo, a partire dal XVII secolo, assume un maggiore peso, condiziona le scelte morfologiche e compositive e rafforza la distanza tra classi sociali: con l'introduzione della strada dritta percorribile con le carrozze il ricco viaggia, il povero cammina. Il ricco percorre l'asse del grande corso. Il povero se ne sta ai margini, nei fossati.16 Dalla fine del XVI secolo la citt viene ripensata in funzione della carrozza, piuttosto che per i pedoni: le sindromi della citt capitalista si manifestano a Parigi sotto Luigi XIV, da quel momento la capitale diventa una citt affannosa, dove si comincia a soffocare e la circolazione diventa pericolosa per i pedoni.17 E in tal senso che la forma urbis - oltre che pura rappresentazione - strumento politico, economico e sociale, tramite cui favorire alcune classi o dirigere l'eventuale partecipazione o esclusione di particolari gruppi. Appare significativo che, a partire dal XVIII secolo, a Parigi, si moltiplichino viali, arterie e strade, come nota nel 1863 J. Verne, e si sviluppi una seconda rete, complementare a quella della viabilit regolare, costituita dai passages. L'esclusione dei pedoni dalla citt, infatti, richiede l'invenzione di un sistema di percorrenza che recuperi alcuni attributi della citt precedente alla rivoluzione industriale. I passages possiedono un ruolo polivalente: da un lato rappresentano un diverso modo di fruizione dell'urbano e sono luogo di formazione di immagini simboliche e oniriche, di ritrovo culturale e di scambio socio-economico, dall'altro consentono di operare una sorta di rimozione rispetto al paesaggio estraniarne della citt che si trasforma: l'itinerario dei passages ignora il panorama, la vista della citt, anzi lo sfugge cercando volutamente lo spazio angusto,18 non
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un caso, infatti, che l'ozioso flneur (figura antiretorica e, in un certo senso, anarchica) penetri Parigi tramite la rete "clandestina" dei passages, tra gli ultimi rifugi della libert urbana.19 A Parigi, Barcellona e Firenze (come in numerose altre citt, tra XVIII e X I X secolo) il sistema viario viene attivato quale motore della trasformazione urbana e territoriale; in altri termini lo strumento che consente di agire pi agevolmente sulla forma urbis (e, nel contempo, sulla civitas) e di modificare il rapporto del nucleo urbano con il territorio: Haussmann, Cerd e Poggi utilizzano - ognuno a suo modo - la viabilit come tracciato ordinatore in grado di definire la citt rifondata. nei romanzi (pi che in ambito tecnico) che tale dinamica di trasformazione territoriale - avvenuta tra X I X e X X secolo - viene sinotticamente rappresentata, come si trattasse di una catastrofe tellurica, tramite il ricorso a metafore organiche20 e visioni integratri-

L. Mumford, La citt nella..., op. cit. G . Bardet, Naissance e mconnaissance de l'Urbanisme, S A B R I , Paris, 1 9 5 1 . 18 1 . Insolera, Aspetti e problemi del paesaggio urbano di Parigi, Urbanistica n. 32, i960.

19 Lo spazio deputato alla percorrenza dei pedoni - che nella citt medievale pervasivo e diffuso - si riduce, frammenta e trasforma durante il periodo delle grandi trasformazioni del X I X secolo. A Barcellona, Firenze e Parigi assume un valore diverso di volta in volta, e rispettivamente: spazio semipubblico e giardino urbano tra gli isolati dell'Ensanche\ spazio mitico residuale, angusto e oscuro, evocato dalle descrizioni letterarie di autori come H. James e E. M. Forster; accogliente passage, nella visione benjaminiana. Oltre a tale modo di intendere i passages, va, per, evidenziato quanto - cos come mostrato con grande efficacia e soprattutto da autori tra cui L.-F. Celine - tale nuova "categoria" dell'urbano possieda pure aspetti sinistri e deteriori. 20 Matrici ottocentesche di tali rappresentazioni sono, a partire dalle teorie darwiniane, elaborazioni di autori come A. R. Wallace e H. Spencer. Questi impianta un'analogia tra il mutamento sociale (definito superorganico) e l'evoluzione naturale, ratificando una stretta identit tra societ e organismo biologico. La metafora organica viene attivata per descrivere gli aspetti morfologici o per rappresentare la citt come un ecosistema complesso (centro pulsante di Geddes, citt come alberi di Mumford, citt come una foresta di Giovannoni) o veicolare atteggiamenti fortemente antiurbani (citt mostro dalle mille zampe, cancro, verruca); inoltre supporta un concetto interessante: la citt che si espande non cresce solo dimensionalmente, ma si riorganizza, trasformandosi a livello strutturale. La metafora organica (la cui fortuna ha favorito la diffusione di termini come "ipertrofico", "stabilit", "cellula", "declino", "circolazione", "flusso", "trasmissione", "struttura") consente, infatti, di sottolineare alcuni aspetti legati al rapporto complessit/dimensione e alla modalit d'espansione degli insediamenti: K. Lynch nel 1981 - recuperando implicitamente un'idea che si ritrova ne La Repubblica di Platone - sostiene che se la citt un organismo, essa possiede quegli aspetti che distinguono le creature viventi dalle macchine (...) non muta le proprie dimensioni semplicemente ampliandosi, ma riorganizza la propria forma al modificarsi della dimensione. (...) Possiede parti differenziate, ma queste sono in contatto tra loro e non possono essere nettamente distinte. (...) L'insieme delle parti ben diverso dalla loro sommatoria.

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ci: Parigi masticava i bocconi dei suoi due milioni di abitanti. Era come un grande organo centrale che batteva furiosamente, lanciando il suo umore vitale in tutte le vene. Era un movimento incessante di mascelle colossali, un baccano d'inferno, un brusio senza fine dove si fondavano tutti i rumori dell'approvvigionamento,21 o ancora e che vita sempre attiva ha questo mostro! Appena al cuore cessa l'acciottolio delle ultime carrozze di ritorno dai balli e gi le braccia cominciano a stirarsi verso le Barriere, e il mostro si scuote lentamente. Tutte le porte sbadigliano, girano sui cardini, come le membrane di una grande aragosta, manovrate invisibilmente da trentamila tra uomini e donne, ciascuno dei quali vive su sei piedi quadrati di spazio, vi possiede una cucina, una stanza da lavoro, un letto, un giardino, dei figlioli; non ci vede abbastanza e deve veder tutto. Insensibilmente le articolazioni scricchiolano, i movimenti si trasmettono, la strada parla. A Mezzod tutto vibrante, i camini fumano, il mostro mangia; poi ruggisce ed agita le sue mille zampe.22 La descrizione della citt compiuta tramite immagini provenienti dalle scienze naturali ricorrente, ma la sua evoluzione risente della mutazione dei paradigmi elaborati in ambito scientifico. La larga diffusione durante l'Ottocento, delle rappresentazioni urbane che utilizzano tali forme retoriche deriva, da un lato, dalla supremazia che le scienze naturali manifestano in epoca positivista, dall'altro da una visione antropocentrica dei fenomeni naturali e dall'esigenza di associare i fatti urbani (antropici per elezione) alla natura. Ci che la
E. Zola, Nana, Mondadori, Milano, 1955. H. de Balzac, La commedia umana, Mondadori, Milano, 1988. Non si pu fare a meno di collegare la narrazione citata ad altre descrizioni anche molto recenti (per esempio, quelle di D. Pennac) o di affiancarle ad alcune riflessioni di autori come Victor Considerant - ingegnere militare e epigono di Fourier - che in Description du phalanstre et considration sociales sur l'architectonique, del 1848, scrive: esistono a Parigi un milione di uomini, donne e poveri bambini ammucchiati in uno stretto cerchio dove le case si urtano, si spingono sovralzando e sovrapponendo i loro sei piani schiacciati; inoltre seicentomila tra questi abitanti vivono senza n aria, n luce, su cortili scuri e profondi, viscidi, in cantine umide, in granai aperti alla pioggia, ai venti, ai topi, agli insetti. (...) E dal basso fino in cima (...) tutto rovina, mefitica immondizia e miseria; o di F. Engels che descrive il disordine urbano delle citt industriali inglesi, affermando che non c' pi un metro quadro di terreno da occupare; o di altri autori inglesi come G . W. Hastings che nel 1858 in Carteggi dell'Associazione nazionale per la promozione delle scienze sociali, pubblicato a Londra, afferma: la comunit pi colpevole quella pi malsana. Organismi indeboliti e minati dal fatto di respirare in un'atmosfera viziata devono trovare uno stimolo artificiale, di conseguenza gli abitanti di una regione densamente popolata bevono molto.
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disciplina urbanistica implicitamente veicola con la metafora organica dunque il tentativo di considerare le teorie sullo sviluppo urbano come postulati delle dottrine naturali e biologiche: le descrizioni cos articolate esprimono una forte potenzialit perch capaci di creare ordine, equilibrio, mediare, riconoscere e codificare gli oscuri e sfuggenti processi della Megalopoli. La metafora organica, che nel romanzo pu esprimersi liberamente quale topos dell'inquietante alterazione del corpo urbano e sociale, nell'ambito della teoria e prassi urbanistiche utilizzata come mezzo di diagnosi e controllo, strumento rassicurante che consente di ricondurre l'ipertrofico verso il conforme e di attribuire dimensione, forma e funzione alle singole parti della citt (singoli organi), porzioni di un sistema che lavora in mutua connessione. Inoltre, durante l'Ottocento, il rapporto diretto che sembra esserci tra trasformazioni della citt e condizioni patologiche e moralmente criticabili dei gruppi sociali insediati (soprattutto "deboli" e proletari),23 spinge medici, politici e urbanisti, legati dal mito positivista, verso la elaborazione di nuovi modelli teorico-applicativi, ba23 La connessione tra condizioni patologiche e crescita urbana non un'invenzione del X I X sec., gi in epoca medievale la citt il luogo delle infezioni, dei rumori molesti, della confusione, della peste, come la Firenze di Boccaccio, ammorbata dal fetore dei cadaveri e abbandonata dall'aristocrazia che preferisce i pi sani ed ariosi dintorni. E , per, durante il X I X secolo che s'impianta uno stabile connubio tra le formulazioni teorico-pratiche dell'urbanistica e gli apporti disciplinari propri del campo medico e sociologico. Oltre a contributi generali, come Introduction a la mdecine exprimentale pubblicato nel 1865 dal fisiologo C. Bernard o il Trait pbilosophique et physiologique de l'hredit naturelle del medico P. Lucas, pubblicato nel 1847, in termini pi specifici alcuni autori mettono in diretta relazione la condizione di disagio urbano-sociale e quella strettamente patologica. Tra questi il medico francese C. Lachaise che, in Topographie medicale de Paris del 1 8 3 2 , compie un'indagine sulla situazione sanitaria nella capitale francese, interpretando l'alta mortalit come diretta conseguenza dell'angustia delle vie, dell'altezza delle case e del sovraffollamento, o L. R. Villerm, medico e studioso di statistica che nel 1840 pubblica i risultati di una sua inchiesta sulle condizioni di vita degli operai, dal titolo Tableau de l'tat physique et moraldes ouvriers employs dans la manufactures de coton, de laine et de soie. Simili argomenti vengono affrontati, nella seconda met del X I X secolo, da sociologi come Chadwjck, Le Play, Gaskell, cos come da romanzieri e poeti come V. Hugo, C. Dickens, E. Zola, E. Verhaeren o pi tardi, con un'ottica diversa, D. H. Lawrence. Tra questi, forse, il pi acuto proprio E. Zola che ne L'ammazzatoio, Nana o in Germinale descrive lo stile di vita, segnato dalla miseria e dalla depravazione morale, mettendo questa in stretta relazione con le condizioni di degrado urbano: Era la storia di tutti i giorni, l'inevitabile conseguenza della promiscuit in cui si viveva. Di l la corruzione che imperversava nella giovent, la disinvoltura con cui, calato il giorno, le ragazze si buttavano con le gambe all'aria sul basso tetto in pendio di quel casotto.

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sati su una pi razionale organizzazione dello spazio e sulla ricerca di un nuovo ordine urbano-territoriale (si inizia ad avvertire inoltre la necessit dell'espulsione di alcune attivit non compatibili con l'ambito densamente abitato) da contrapporre al disordine urbano a cui alludeva F. Engels. D'altro canto, con differente, ma simmetrico linguaggio, la medesima citt del X I X secolo viene interpretata, da Hugo, Balzac, Sue, Baudelaire, Zola, Dickens, Defoe, Lamb, Poe, Melville, Blake, come lo spazio del conflitto - n protettivo, n rassicurante - in cui si esposti ad un violento campo di tensioni; temi ricorrenti, la difformit dei nuovi interventi con il tessuto preesistente, l'impatto devastante di scelte progettuali guidate dalla logica economica, il disagio sociale, le nevrosi e le ossessioni urbane post industriali (raccontate in romanzi e racconti come La Bte humaine di Zola), l'identificazione di nuove e inquietanti categorie dello spazio, luoghi sgradevoli in cui abitare, esito dalla trasformazione in corso: la mia stanza miserevole, oscena, alla periferia della citt, scrive Dostoevskij nel 1864. Al centro della descrizione letteraria della citt, foresta malvagia e senza fine,24 che si trasforma, e che appare minacciata da spettri25 e stravolgimenti, la sofferenza psichica,26 nervosa, (come la definisce G. Simmel, nel 1903) degli abitanti, lo choc (descritto da
R. M. Rilke, Lettera a Lou Salom, del 18 luglio 1903, in Rainer Maria Rilke, Lou Andreas Salom, Epistolario 189-7-1926, La Tartaruga edizioni, Baldini&Castoldi, Milano, 2002. 25 Tra le rappresentazioni figurative che rendono tale clima, un'acquaforte del 1896 di J . Ensor, La Mort pourchassant les citoyens, conservata ad Anversa. 26 Tra i riferimenti possibili: S. Freud che, per esempio ne II disagio della civilt, sottolinea il carattere ambiguo dell'evoluzione civile, vista sia in termini positivi (Kultur) sia di gravosa e dolorosa perdita; F. Kafka, o F. Dostoevskij. Questi fra i primi, nella letteratura europea, a spostare il punto di vista da una rappresentazione prevalentemente esterna, documentaria e collettiva della vita sociale ad un'immagine di sofferenza interiore e individuale, che appare complementare e connessa alla prima: vi dichiaro solennemente che spesso desideravo diventare un insetto. Tale affermazione, tratta da Memorie dal sottosuolo, indica la difficolt ad accettare il corpo, inteso come espressione di individualit, una individualit - insieme singolare e collettiva - che appare come il primo requisito necessario per essere inseriti e partecipare alla costruzione della civitas. Il racconto della "malattia", della "cattiveria" e della sofferenza interiore come profondo estraniamento dalla realt, pu essere inteso come anticipazione dei temi affrontati dalla nascente psicoanalisi, e pu essere collegato alla dolorosa "consapevolezza" di un mutato rapporto con la natura, che ha per teatro d'elezione proprio lo spazio urbano che si trasforma. In tal senso significativo il modo in cui proprio Dostoevskij rappresenta Pietroburgo - citt in cui ha la sventura di abitare, la citt pi astratta e premeditata del pianeta.
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Benjamin, durante i primi del Novecento) complementare al disordine urbano (evidenziato da Engels, nel 1844), la perdita di contatto col proprio mondo originario, il deserto affettivo,27 la deriva della folla sempre in marcia (che inonda la citt nei romanzi di Zola), moltitudine turbolenta, formata da bestie ben domesticate e ben pasciute, ridotte ad immagine della borghesia soddisfatta,28 incessante corrente umana (rappresentata da Whitman, nei suoi Diari newyorkesi del 1879), pedoni, quasi tutti affetti da irascibilit o, ancora, la struttura labirintica e smarginata di una citt incomprensibile che genera alienazione ed estraniamento, intollerabile e silenziosa, come la Parigi di Rilke o come la Londra di Dickens.29 Sono sia l'assetto sociale che la preesistente forma urbis a subire forti cambiamenti, perch inadeguati al progresso e alla spinta innovativa data, ad esempio, dall'uso del vapore,30 elemento che, come attesta nel 1867 I. Cerd, ideatore della nuova Barcellona, trasformer radicalmente la maniera di vivere dell'umanit, locuzione che denota come la disciplina definisca il ruolo della citt (luogo deputato per l'espressione della civilizacin nueva, definita vigorosa efecunda), rispetto alla "natura", alla campagna ("seconda natura") e al territorio circostanti, ora subordinati ad essa.
La metafora del deserto ricorrente in quelle descrizioni letterarie che vogliono mettere in evidenza gli aspetti deteriori della vita urbana. Si rimanda a J. Roth, La leggenda del santo bevitore, Adelphi, Milano, 1975. 28 F. De Sanctis, Studio sopra Emilio Zola, in E. Zola, Germinale, Einaudi, Torino, 1994. 29 Londra. Sessione autunnale da poco conclusa e il Lord Cancelliere tiene udienza a Lincoln's Inn Hall. Implacabile clima di novembre. Tanto fango nelle vie che pare che le acque si siano da poco ritirate dalla superficie della terra e non stupirebbe incontrare un megalosauro, di quaranta piedi circa che guazza come una lucertola gigantesca lungo Holborn Hill. Fumo che scende dai comignoli come una soffice acquerugiola nera con fiocchi di fuliggine grandi come fiocchi di neve vestiti a lutto, si potrebbe immaginare per la morte del sole. Cani che si distinguono appena dalla mota. Cavalli, infangati fino ai paraocchi, in condizioni di poco migliori. Pedoni, quasi tutti affetti da irascibilit, che si urtano a vicenda con gli ombrelli e perdono l'equilibrio agli angoli delle strade, dove fin dall'alba (ammesso che ci sia stata un'alba oggi) sono gi scivolati migliaia di altri pedoni, aggiungendo nuovi depositi alla crosta formatasi sopra lo strato di fango, restando in quei punti tenacemente sul marciapiede e accumulando melma a interesse composto, C. Dickens, Casa Desolata, Einaudi, Torino, 1995. 50 A tale proposito pu essere interessante comparare la visione di Cerd - ossessionato da un'idea positiva della ferrovia, idea performativa del piano per Barcellona e l'immagine inquietante del treno che viene restituita da alcuni romanzi o reportage rappresentativi come La bestia umana di E. Zola o la Traversata di Londra in treno, carnet di stampe di G . Dor, del 1872.
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Il carattere raziocinante, lo "splendore razionale", la qualit pervasiva della nuova organizzazione scientifica ottocentesca - che pu essere intesa come una sorta di "teologia sostitutiva" - rimpiazza pure la religione che viene giudicata una sorta di pre-scienza, un tentativo ingenuo, antropomorfico della specie umana di capire, di cimentarsi con il mondo umano e con i suoi molti enigmi. Passando dalle spiegazioni spurie della teologia e dalle sterili tecniche del rituale, alla genuina comprensione scientifica, non solo l'uomo avrebbe conseguito immensi vantaggi materiali, ma avrebbe soddisfatto l'aspirazione dello spirito umano alla verit (...) la scienza, superando in questo la religione rivelata, avrebbe soddisfatto l'aspirazione dell' uomo all'ordine, alla bellezza, alla probit morale.31 Specularmente, in altri casi, la stessa idea di progresso32 ad essere apertamente confutata: come sostenere, per esempio scrive Dostoevskij in Memorie dal sottosuolo, sulle orme di Buckle,33 che con la civilt l'uomo si umanizza e di conseguenza diventa meno sanguinario e meno incline alle guerre. La sua una deduzione logica. Ma l'uomo ha una tale passione per il sistema e per la deduzione logica che disposto ad alterare consapevolmente la verit, a non vedere il vedibile, a non udire l'udibile pur di legittimare la propria loG . Steiner, La nostalgia dell'assoluto, Bruno Mondadori, Milano, 2000. Tra le matrici su cui si fonda l'idea ottocentesca di "progresso", richiamata e criticata da numerosi autori, tra cui appunto Dostoevskji, pu citarsi il concetto di "civilizzazione" sviluppato dallo storico francese F. P. G . Guizot; questi nel 1828, nella sua Histore general de la civilisation en Europe, scrive: l'idea di progresso, di sviluppo mi sembra sia l'idea fondamentale racchiusa nel termine civilt. L'analogia tra civilt e progresso chiaramente espressa da urbanisti che, come Cerd, guidano il passaggio tra la citt medievale e quella industriale: si tratta di una concezione evoluzionistica in cui viene espressa la superiorit del presente sul passato. Ci si riflette in una rappresentazione della storia come sovrapposizione di fasi o come una freccia orientata e eterodiretta, a cui corrisponde un'immagine dello sviluppo scientifico come processo continuo di accumulazione di verit assolute. Col positivismo il progresso viene esaltato quale idea direttiva della scienza; A. Comte in Cours de philosophie positive, della prima met dell'Ottocento, lo considera come lo sviluppo dell'ordine, estendendolo anche alla vita inorganica e animale. In epoca successiva (fino agli anni '30, periodo in cui una serie di fatti inferse nuovi colpi all'ideologia positiva del progresso) verr ulteriormente perfezionata l'immagine del progresso durante la rivoluzione industriale, grazie alle affermazioni di numerosi autori mirate a sostenere che il binomio civilt/progresso ha rappresentato il miglioramento generale dell'umanit dovuto ad una maggiore organizzazione dell'individuo e della societ, al fine di aumentarne nello stesso tempo la bont, la potenza e la felicit.
32 33 H. T. Buckle l'autore di The History of Civilization in England, testo tradotto e pubblicato in russo nel 1863, anno precedente alla prima edizione delle Memorie dal sottosuolo. 31

gica. (...) Quando mai la civilt ci ha reso pi umani? La civilt genera solo una contraddittoria molteplicit di sensazioni nell'uomo e... proprio nient'altro. Viene, inoltre, attraverso tali restituzioni, che mettono in discussione il valore indiscutibilmente positivo del progresso, sottoposto a erosione anche il concetto storico di "comunit", di fatto connesso (come afferma Platone,34 ne La Repubblica) con uno spazio urbano di ridotte dimensioni; ed significativo che, nel 1887, un autore come F. J. Tnnies35 codifichi l'opposizione tra comunit, quale topos dell'aggregazione e della cooperazione, e societ come terra estranea luogo del conflitto dichiarato e insanabile. E in tal senso che la stravolta citt ottocentesca si prefigura quale teatro agorafobico e disforico - uno spettro nero e scatenato, mondo delle apparenze, dove regna un tetro silenzio36 co34 Su quanta di grandezza vada fatta la citt, e, per essa fatta tale, quanto territorio debbano essi limitare e il resto lasciare. Qual questo limite? Questo, io penso: sino al punto a cui crescendo voglia restar una, sin l accrescerla, oltre no. (...) Ed ecco un altro comandamento che daremo ai guardiani, di vegliare in ogni modo a che la citt non abbia l'apparenza n di piccola, n di grande, ma sufficiente ed una. 35 F. J . Tnnies, Comunit e societ, Edizioni di Comunit, Milano, 1963. 36 L'elenco di metafore che rappresenta la citt come un mostro tentacolare andrebbe confrontato con un'altra modalit descrittiva che legge la metropoli trasformata come un luogo accogliente e eccitante. Tra fine '800 e primi del '900, infatti, alcune grandi citt - Parigi in modo particolare - confermano e rafforzano il ruolo di nodo d'aggregazione e creazione culturale, come nota in alcuni suoi studi M. De Micheli. La citt, suggeriscono G . Childe e M. Roncayolo, da sempre, il luogo di produzione della cultura elaborata, ma si pu affermare che tale modalit negli anni successivi alla rivoluzione industriale, esprime una maggiore e pi profonda connessione con le strutture dell'insediamento: caff, bar, atelier, giardini, ritrovi pubblici si sostituiscono alle botteghe, alle piazze ed alla strada. Inoltre - a livello della produzione artistica - cambia sostanzialmente il rapporto con la committenza, come evidenziato nell'antologia dal frammento dei de Guncourt: l'aggregazione e la formazione di gruppi culturali un fatto che riguarda in modo diretto lo spazio urbano, strada, ma casa. La grande citt, dunque, oggetto di sentimenti contradditori, da un lato odiata e amata da autori come Arthur Rimbaud che scrive della capitale francese post Haussmann: l'Acropoli ufficiale supera le concezioni pi colossali della barbarie moderna. Impossibile esprimere la luce smorta prodotta da questo cielo immutabilmente grigio, lo splendore imperiale degli edifici e la neve eterna del suolo. Sono state riprodotte con un gusto singolare dell'enorme tutte le meraviglie classiche dell'architettura; d'altro canto Parigi - mitica, seducente e inaccessibile - viene rappresentata e esaltata tramite opere figurative, letterarie, poetiche o musicali. Tra queste emblematica Louise di G . Charpentier, opera lirica composta nel 1900 che mette al centro la Citt (strutturalmente modificata dai Grands Travaux e che aveva gi esibito se stessa alla Grande Esposizione del 1867), Paris! Paris! Cit de force et de lumiere! Paris! Paris! Paris! splendeur premire!, come luogo di trionfo dell'arte e rinascita delle muse.

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me Li l'aiigi di Balzac o di J. J. Rousseau. In tale citt irreale, coine la Londra descritta da Eliot nel 1943, l'individuo appare dilaniato ini due sentimenti opposti: il gregarismo e l'alienazione, intesa come disianza tra uomini e cose nell'era della tecnocrazia, secondo una lettura marxista, e come Verfremdungseffekt cio estraniamento, in senso "brechtiano". Ma quale motivazione spinge a partire da testi letterari e non da manuali di urbanistica o scritti ortodossi intradisciplinari per osservare il passaggio dalla citt chiusa e della comunit che la abita a quella esplosa e dilatata ? Il romanzo (soprattutto francese, inglese, tedesco) scritto tra Otto e Novecento - incrocio tra realt e visione - esplora la citt quale luogo della trasformazione sociale, tramite una modalit esente da intenti forzatamente diagnostici o terapeutici, che non teme l'emergere della contraddizione37 e che pu dirsi dotata di particolari propriet costruttive: l'essenza degli oggetti si manifesta per mezzo di modalit sempre diverse e integrate, e la totalit assente viene evocata dai vari e multiformi elementi della descrizione che rappresentano una nuova topografia, non euclidea, eterodiretta e rassicurante38 come quella espressa dal discorso urbanistico. La comprensione dei fenomeni territoriali trascende, ed qui che si manifesta una delle grandi potenzialit del linguaggio letterario, la pura analisi scientifica o la descrizione tecnica dello spazio, ma traspare dai movimenti dei personaggi che, come nella vita vera, esistono insieme e per mezzo dei luoghi. Quasi antitetiche le descrizioni urbanistiche,
37 Ulteriore esempio di tale facolt inclusiva, che stimola intelletto e riflessione critica, la differente ed egualmente credibile lettura - elaborata da W. Benjamin e da L.F. Celine - relativa ai passages parigini; cfr. nota 19. 38 Da questo punto di vista davvero eloquente e tutt'altro che rasserenante la descrizione (compiuta ex post, nel 1871) dei Grands Travaux ne La cure, di Emile Zola. Il racconto, infatti, risuona inquietante come pu esserlo solo un'interpretazione apocrifa, contraltare della versione restituita da Haussmann e dai suoi epigoni: Zola descrive Parigi vasta e innocente, luogo in cui molti quartieri dovranno liquefarsi e rimarr dell'oro tra le dita di quelli che attizzeranno il fuoco e rimesteranno nel paiolo, una ingenua citt che non sospetta neppure che un esercito di picconi l'assalir una di queste mattine (...) Hanno tagliato Parigi in quattro (...) Fare spazio intorno al Louvre e all'Hotel de Ville un gioco da ragazzi, buono solo per invogliare il pubblico. Quando questa prima rete stradale sar terminata, allora che inizier il carosello. La seconda rete forer la citt da ogni parte per unire i sobborghi alla prima. I tronconi agonizzeranno nella calcina (...) Parigi trinciata a colpi di sciabola, con le vene aperte per alimentare centomila strerratori e muratori, attraversata da formidabili vie strategiche che pianteranno i fortini nel cuore dei vecchi rioni.

pur mettendo diligentemente al centro la componente sociale, difficilmente raccontano la citt a partire dalle storie vissute dai soggetti: una piazza, per esempio, rappresentata come uno spazio fisico, limitato da edifici, e quindi come una struttura architettonica (prevalentemente materica), cui viene destinato un uso, ma non viene certamente raffigurata attraverso il tempo delle vicende umane39 che vi si svolgono. Attraverso un ozioso vagabondaggio40 compiuto dall'interno, ricusando la restituzione zenitale della carta e della mappa, la letteratura ci propone un racconto edificato con strumenti e tecniche descrittive tangenti al pensiero "non indirizzato", al colloquio, pi vicine all'emotivo linguaggio comune41 che al rigido e segmentato discorso scientifico, caratterizzato suo malgrado da una certa insufficienza lessicale.
39 La condizione umana dovrebbe, cosi, essere oggetto essenziale di insegnamento, suggerisce E . Morin in I sette saperi necessari all'educazione del futuro, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2001. 40 A. Machen, L'avventura londinese e l'arte del vagabondaggio, Tranchida, Milano, 1985. W. Benjamin, Parigi, capitale del..., op. cit. 41 In relazione sia al tema della costruzione del linguaggio tramite cui descrivere i fenomeni osservabili, sia al rapporto tra linguaggio tecnico (come quello urbanistico) e letterario, di grande interesse sono alcuni proemi di Balzac o Zola. In particolare, nella prefazione a L'ammazzatoio, scritta dallo stesso E. Zola nel 1877, lo scrittore francese sostiene che il romanzo in questione, scritto nella lingua del popolo, che racconta le vicende di alcune famiglie proletarie nella Parigi post haussmanniana, sia un'opera di verit, (...) che non mente, dice ancora Zola: ho voluto dipingere la fatale degenerazione di una famiglia operaia, nell'ambiente depravato dei nostri sobborghi: il rilassamento dei legami familiari, le indecenze della promiscuit, l'abbandono progressivo dei buoni sentimenti (...) la vergogna e la morte come inevitabile conclusione. Si tratta di morale in azione, nient'altro. A proposito della ricerca portata avanti da Zola, mirata alla rappresentazione spietatamente vera e non edulcorata dei fenomeni e delle dinamiche sociali, significativa una sua notazione relativa alla pittura di Courbet, (riflessione contenuta nell'articolo Mes Haines, Causeries littraires et artistiques, pubblicato in Le Salut Public de Lyon il 3 1 agosto 1865, tra l'altro cit. in M. De Micheli, David, Delacroix, Courbet, Czanne, van Gogh, Picasso: le poetiche, Feltrinelli, Milano, 1978, e scritta undici anni prima de L'ammazzatoio): fui stupito e non trovai il pi piccolo pretesto di riso nei suoi quadri cosi forti e severi, che mi avevano invece descritto come mostruosit. Mi aspettavo delle caricature, una fantasia dissennata e grottesca, ed ero al contrario dinanzi a una pittura larga e compatta, d'un'esattezza e di una freschezza estreme. I personaggi erano veri senza essere volgari; le carni, sode e modulate, ad un tempo, vivevano potentemente (...). Chiudendo gli occhi, rivedo quelle tele energiche, di un sol blocco, costruite a calce e sabbia, reali come la vita e belle come la verit; si ritroveranno alcuni tratti di Courbet nel personaggio di Bongrand de L'CEuvre, come notano C. Becker, G . Gourdin-Servenire, V. Lavielle, in Dictionnaire d'Emile Zola, Robert Laffont, Paris, 1993.

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La configurazione di un linguaggio scientifico, infatti, un processo che possiamo definire "innaturale": la scienza, come ci suggerisce S. Freud in Totem e tab, entra in gioco soltanto quando l'uomo ammette di non conoscere il mondo ed quindi costretto a cercare strade nuove per giungere a tale conoscenza; in tal modo il linguaggio si allontana dall'uso comune e si specializza, fornendo un'immagine completa dell'uomo nel mondo, sostitutiva di quella naturale. Avviene ci che T. S. Kuhn ha definito distorsione e selezione e si configura un argot codificato comprensibile solo da una lite. Tale linguaggio specialistico per lo stesso gruppo rappresenta uno degli elementi di aggregazione, riconoscimento e di esercizio di potere. Anche il linguaggio urbanistico, pragmatico e performativo, determinato tramite modelli che assumono funzione normativa: osservazione e analisi avvengono nel rispetto delle regole precostituite. Nei linguaggi quotidiani, pi che nelle costruzioni linguistiche scientifiche, coesistono sensibilit, piacere, aspetti logici: poesia e rigore procedono affiancati; ma, mentre il linguaggio poetico considerato il topos della finzione, di contro, il linguaggio scientifico considerato l'ambito della certezza e dell'esattezza; per questo, come spiega nel 1988 il geografo V. Berdoulay, quando la scienza parla la lingua della letteratura pu sembrare che si confonda con la finzione. Al dominio del linguaggio scientifico pure collegato il bisogno di esorcizzare il confronto con la complessit dei fatti umani: pi ci si affida a norme di comportamento precostituite pi si coltiva l'illusione del controllo delle dinamiche e dei fenomeni; pi il ricercatore si avvicina all'uomo, pi facilmente viene sopraffatto dalla complessit della materia, osserva Mumford.42 innegabile che il linguaggio tecnico consenta di operare un certo distacco necessario di fronte alla realt percepita evitando all'osservatore la sofferenza data dall'essere immerso e stordito da una molteplicit di percezioni, che possono invece essere organizzate e catalogate tramite analisi e linguaggi tecnici, ma pur vero che tale processo di astrazione proprio della prassi scientifica - non dovrebbe condurre il ricercatore ad un tragico divorzio dalla vita quotidiana. La trascrizione tassonomica o elencale dei fenomeni in termini di puro realismo, esente da obliquit, viene decisamente respinta dal42

la letteratura che, di contro, forte di un potere che trasfigura ci offre il tenue sussulto dell'imprevedibile. La scoperta del mondo appare cos affidata, secondo una modalit riconducibile a filosofi come Heidegger o a psicanalisti come Jung, ad una tonalit affettiva:43 a caratterizzare i soggetti e i luoghi sono gli stati d'animo e i sentimenti nel tempo; questi, che irrompono o insorgono turbando l'ordine del lgos razionale, possono essere accolti anche se linguisticamente destabilizzanti. Tale integrazione tra tempo e spazio difficilmente si ritrova nel racconto urbanistico, forse perch l'elaborazione di questo prerogativa del pianificatore, outsider44 d'elezione. Si possono interpretare in tale senso alcune riflessioni, del 1929, di W. Benjamin relative alle modalit di descrizione delle citt; oggetto di interesse la diversa ottica con cui l'immagine della citt si forma in uno straniero oppure in un nativo: lo stimolo epidermico, l'esotico, il pittoresco prendono solo lo straniero. Ben altra, e pi profonda, l'ispirazione che porta a rappresentare una citt nella prospettiva di un nativo. E l'ispirazione di chi si sposta nel tempo invece che nello spazio. Il libro di viaggi scritto dal nativo avr sempre affinit col libro di memorie: non invano egli ha vissuto in quel luogo la sua infanzia.45 La composizione del paesaggio descritto , in questo caso, molto pi integrata e in45 A. Carotenuto (a c. di), Jung e la cultura delXX secolo, Bompiani, Milano, 1994. E singolare che, quando si vogliano rappresentare in termini compendiari alcuni aspetti dell'identit sociale e urbana, gli storici o gli urbanisti si riferiscano spesso a fonti incerte (sottolineandone pure la qualit espressiva, oltre che il valore documentario), quali le descrizioni letterarie o i racconti di viaggio, ed altrettanto singolare che all'interno degli strumenti di pianificazione le stesse fonti vengano quasi del tutto ignorate. Emblematica a tale proposito una riflessione di L. Mumford {La citt nella storia, op. cit.), egli riportando un brano di A. Diirer che descrive Anversa, definisce l'artista tedesco testimone. Prescindendo dal valore intrinseco del brano, l'uso del termine significativo: il testimone, infatti, restituisce una verit, attestandola e, nel contempo, persona che ha diretta conoscenza di un fatto, pertanto un soggetto che insieme osserva e partecipa. 44 v. D. Cosgrove, Realt sociali e spazio simbolico, Unicopli, Milano, 1990, che distingue tra outsider e insider, termini tradotti - nella prefazione all'edizione italiana, scritta da C. Copeta - rispettivamente come osservatore esterno e individuo appartenente a un luogo. Il racconto letterario dei luoghi quasi sempre intrecciato con la narrazione intima di un'esperienza vissuta o immaginata con forza: la percezione dei luoghi, in tale ottica, non certamente n distaccata, n fredda e la citt non pu essere sperimentata solo come l'astratto territorio della storia o dell'arte. In un certo senso l'esperienza stessa che influenza l'interpretazione e la citt viene diversamente colta in relazione ai sentimenti di gioia, disagio, dolore che il soggetto vive. 45 W. Benjamin, Die Wiederkehr des Flaneurs, in F. Hessel, Spazieren in Berlin, Die literarsche Welt, V , n. 40, Oktober 1929.

L. Mumford, Storia dell'utopia, Calderini, Bologna, 1969.

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elusiva con il corso giornaliero degli eventi della vita - con la nascita, la morte, la festa, la tragedia - tutte le eventualit che serrano insieme il tempo e lo spazio umani, come suggerisce D. Cosgrove.46 La letteratura non produce la propria forma espressiva al di fuori delle situazioni storiche cui connessa, nel contempo, non la storia a determinare la letteratura, ma dentro il linguaggio letterario la storia vive e si manifesta a volte con energia inaspettata; la descrizione letteraria, pi vicina a quello spirito che anima il racconto d\'insider, osservata, quindi, inevitabilmente come documento, ma non solo. Oltre a tale ineludibile valore (gi riconosciuto nella prima met del Novecento da storici come M. Bloch) ci che sembra degno di interesse , appunto, la qualit del linguaggio letterario, lo scambio esistente tra racconto e contesto, la proiezione simultanea e vitale dell'intreccio tra tempo e spazio, l'interessante modalit di rappresentazione che spinge a riflettere sul rapporto che intercorre tra presunta verit e finzione o menzogna, o ancora l'evidenza della suggestione soggettiva, di grande importanza perch - in urbanistica - aiuta ad immaginare restituzioni dinamiche e soggette a variabilit e revisione e, contemporaneamente, a ripensare in termini autocritici sia alla struttura dell'approccio conoscitivo al territorio (attraverso il linguaggio letterario si mette in atto un processo di conoscenza per metafore e immagini simboliche complesse e quindi, forse, meno frammentato, settoriale o autoreferenziato di quello analitico tradizionale),47 sia al ruolo del planner come autore-creatore unico, nonch a demistificare il valore assoluto dei dogmi disciplinari, a ragionare sul peso attribuito all'azione, attiva o passiva, dell'insider e dell'outsider.

Verit o finzione?

Secondo tali premesse il confronto tra raffigurazione letteraria e linguaggio tecnico appare particolarmente stimolante. E ancora di pi in quanto l'urbanistica contemporanea (alla sua data di fondazione, a met circa dell'Ottocento) nasce con un intento preciso: la rappresentazione totale ed esaustiva dei fenomeni territoriali, disaggregati ex ante e ricomposti ex post, tramite gli strumenti forniti dal bagaglio positivista, di cui l'urbanistica stessa ancora fortemente impregnata. In base a tale metodica, spiegazione e descrizione coincidono senza scarti: la verit1 spiegata - rappresentata come totale e intera - assoluta perch positivamente ed oggettivamente costruita, ma la verit, e di questo siamo certi, non pura, ma relazionale, multipla, variabile, complessa ed illusoria. Dal punto di vista operativo la necessit di riflettere sul senso politico e tecnico del termine appare direttamente proporzionale al suo essere vacillante. Stabilire la linea di separazione tra vero e falso sembra essere bisogno fondamentale e ontologico, nonch prassi co1 In epoca recente il concetto di "verit", cosi come enunciato in ambito teorico e sperimentalmente impiegato durante l'Ottocento, stato oggetto di una profonda revisione: la cosiddetta verit, presunta 0 enunciata, non appare staticamente definita e non si fonda su esattezza ed univocit dello sguardo. Tale affermazione, di notevole interesse anche per la disciplina urbanistica, consente di rileggere in termini problematici il termine "verit", che slitta dal campo in cui viene inteso quasi come sinonimo di "utilit" ed "efficacia", ad un ambito in cui viene focalizzato quale componente complessa, plurale, variabile, relativa e relazionale, ed assunto come condizione culturale che connette libert, democrazia, giustizia e bene comune, come afferma Hberle, nel 1995. Ci che esprimiamo come "verit" diviene, allora, la risultante di un processo culturale e politico entro cui si forma l'intersezione tra differenti verit soggettive, tutte potenzialmente vere. Intesa in questa accezione la verit assume un profondo valore culturale e si pone come grande obiettivo concreto e dinamico della progettualit umana; in tal senso che va letta una recente affermazione di V. Havel, primo presidente liberamente eletto della Repubblica ceca, la verit si apre la strada tra i conflitti. Vivere nella verit non significa raggiungere una condizione ideale. Ci che essa chiede un costante processo di ricerca.

D. Cosgrove, Realt sociali e..., op. cit. Come afferma G. O. Longo, ne II simbionte, Meltemi, Roma, 2003, il lungo tentativo della scienza occidentale di tradurre in conoscenza alta, razionale ed esplicita la massa delle conoscenze corporee e implicite incappa nell'ostacolo tipico di ogni processo di traduzione, cio l'incompletezza. Rimane pur sempre un residuo ostinato, una cicatrice insanabile che ricorda come la traduzione sia un'impresa impossibile, perch vorrebbe 0 dovrebbe essere un'applicazione totale del mondo su se stesso.
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struttiva della memoria storica (individuale e collettiva) e quindi dell'identit culturale, e vuol dire riflettere sulla modalit di edificazione di quella forma di progetto che pu definirsi collettivo. proprio nel processo di formazione della progettualit collettiva, infatti, che appaiono ineludibili il confronto e la valutazione di ci che Nietzsche ha indicato come verit molteplici. Pu essere interessante, quindi, per Parigi, Barcellona e Firenze, e per mille altre citt raccontate dagli scrittori, leggere differenze e interconnessioni esistenti tra eterogenei linguaggi che restituiscono diverse verit, tra racconto urbanistico (restituito dalle teorie, dai progetti e dai piani) e racconto letterario. La descrizione letteraria, quale strumento autosufficiente d'osservazione,2 comprensione e costruzione del milieu di riferimento, edifica l'immaginario degli abitanti e degli urbanisti colti, che si misurano - inevitabilmente - con i modi propri del racconto narrativo.3 Anche se non si pu parlare di larga diffusione (le rappresentazioni visive e le descrizioni letterarie di citt e territorio sono, infatti, divulgate pi a livello degli addetti ai lavori o dei gruppi culturalmente dominanti) vi sono percorsi attraverso cui tali figurazioni penetrano nel linguaggio e nel pensiero collettivo, diventando a volte luoghi condivisi e influenzando il modo di percepire lo spazio vissuto e le localit.
2 A questo proposito si rimanda a G . Macchia Nella citt del romanzo: il ritorno a Balzac, in Le rovine di Parigi, Mondadori, Milano, 1985, in cui si afferma che, la scrittura del romanziere francese avvicina il romanzo alla scienza, ma non nella forma seguita dai naturalisti, svolgendo in modo non scientifico una intuizione scientifica: la visionariet del reale rivelata col massimo della precisione, esprime una specie di patologia del vedere. La realt, continua Macchia, si avvicinata al punto ch'essa ci trasmette la sua vertigine. La vertigine delle cose viste troppo da vicino, anche se portate da immensit astrali: le venature, le rughe, i densi reami dell'essere, rigagnoli di materia. Non lo splendore dell'indiretto, come diceva James, piuttosto l'accanimento del troppo diretto. 3 Tale confronto implicito nelle rappresentazioni urbanistiche di numerose citt e, certamente, in quelle relative a Parigi, Barcellona, Firenze. In quest'ultimo caso, l'immagine della citt contemporanea, espressa da alcuni piani (il Piano Intercomunale Fiorentino del 1 9 5 1 e del 1965 o il Prg del 1962, entrambi elaborati da un team coordinato da quell'interessante urbanista e studioso fiorentino che fu E. Detti), in relazione dialogica con la visione contenuta nei documenti letterari o pittorici, da Boccaccio, a Gregorio Dati ad Ambrogio Lorenzetti. Detti, nel rifondare Firenze a partire dai primi anni '50, pur animato da spirito critico mirato al superamento della concezione estetizzante che intende il "paesaggio" come sola percezione, decisamente influenzato sia dalle descrizioni degli autori citati, sia dalle pagine scritte da . Zola, H. James o J . Ruskin, e utilizza, appunto, tali immagini per edificare - anche in antitesi - il suo articolato discorso.

Una sollecitazione significativa viene da I. Calvino4 che, a proposito della relazione tra territorio descritto e territorio reale, afferma: Montale fin dalla adolescenza stato il mio poeta e continua ad esserlo (...). Poi sono ligure, e quindi ho imparato a leggere il mio paesaggio anche attraverso i libri di Montale. O ancora da K. Lynch che sostiene: attraverso le loro manipolazioni simboliche, gli artisti e gli scrittori creano nuovi significati ambientali e ci insegnano nuovi modi di guardare. (...) Dickens ha contribuito a costruire Londra che noi conosciamo quanto i costruttori che l'hanno edificata;5 o da Ruskin che in The Stones of Venice ammette: la mia Venezia, come quella di Turner, era stata creata per noi soprattutto da Byron. P. Sica riflette sulla rappresentazione e la descrizione dell'urbano nelle arti figurative; per l'urbanista fiorentino questa pu considerarsi come intensificazione della percezione della citt, come nei reportage londinesi di G. Dor, realizzati intorno al 1872. Le descrizioni della citt nell'arte e nella letteratura possono considerarsi come documenti, da un lato della realt urbana nelle sue espressioni pi puntuali, dall'altro, specchio soggettivo di una coscienza collettiva che apre prospettive rivelatrici sulla pratica sociale e quindi svela quella forma della citt che discende dalla fruizione e dall'uso sociale. Dunque lo spazio non pu essere ridotto a un prodotto puro di meccanismi economici, tanto meno non pu essere visto come una categoria che rimanda esclusivamente all'ideologia, e l'analisi urbana quindi non pu limitarsi a osservare la citt come espressione della produzione materiale, ma deve svelare in quella i segni riflessi della produzione intellettuale. La modalit di fruizione mentale, emotiva o letteraria della citt un elemento importante della qualificazione dello spazio urbano e, prosegue sempre Sica, il tempo vissuto - restituito dalla rappresentazione dell'urbano e dalla riflessione sull'urbano - parte della forma della citt ed specchio del modo con cui i rapporti sociali sono vissuti, interiorizzati o denunciati. Anche se ci che possiamo osservare risulta "parziale", perch prevalente deposito di una classe privilegiata quella dei detentori del potere culturale, dei creatori del linguaggio, cio dalla classe intellettuale borghese, e anche se forse la coscienza-essenza della citt un'invenzione,6 i testi letterari, i materiali poetici che de4 5

1 . Calvino, in MondOperaio, n. X X X I I , 1979. K. Lynch, Progettare la citt. La qualit della forma urbana, Etaslibri, Milano, 1990; 6 P. Sica, Storia dell'urbanistica, Laterza, Roma-Bari, 1978.

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scrivono la citt, rimangono preziosi documenti da decodificare, da interpretare e cui attingere, oggetti di una riflessione che esplora le stesse immagini verbali in termini simbolici, per quello che potrebbero significare, oltre il velo apparente della rappresentazione immediatamente visibile. Per tale motivo importante la lettura critica dei prodotti artistici che, anche in relazione alla specifica posizione ideologica di chi racconta, possono rivelare una situazione storica evidenziandone le dinamiche di trasformazione. In definitiva, nell'opera di autori come Proust, Joyce, Conrad, H. James, Austen, Lawrence, Hardy, la citt, sempre secondo Paolo Sica, tradizionale indicatore di simboli-cultura, diviene un medium metaforico, un referente in certo senso preesistente ed eterno, specchio di una condizione umana nel suo insieme, eppure anche cos ricco di proposizioni strutturalmente pertinenti. Le discontinuit, l'assenza di strutture afferrabili, le frammentariet e la disarticolazione del paesaggio - delle quali le stesse metafore organiche e antropomorfiche impiegate nella descrizione della citt sono ora una spia, nella loro scomposizione anatomica che tradisce la riduzione degli elementi agli aspetti funzionali - si levano a ricostruire le tensioni in conflitto della nuova civilt; di contro la memoria ritrova connessioni perdute e piani tematici concentrici che oppone ai materiali isolati degli eventi urbani.7 Si pu affermare, dunque, che la storia della citt e del territorio si sia avvalsa spesso dell'apporto offerto dalla letteratura: le immagini letterarie sono state considerate come un utile (ma in un certo senso sussidiario) tassello per ricostruire il palinsesto delle trasformazioni. E possibile ipotizzare per la rappresentazione letteraria un ruolo creativo diverso, di valore complanare ed integrato con quello delle fonti convenzionali e dei documenti ortodossi ? Tale domanda va inquadrata in un'ampia riflessione relativa alla formazione della disciplina urbanistica come scienza incerta, addizionale, cumulativa,8 o di sintesi. L'urbanistica ha edificato se stessa sulla base di intrecci, selezioni e costruzioni interdisciplinari; essa, come ogni altra dottrina complessa, definisce un centro di convergenza o nesso cui ricondurre le osservazioni fatte per ridurle ad
P. Sica, Storia dell'..., op. cit. M. Romano, Piano urbanistico e metodo scientifico, Urbanistica nn. 76-77, 1984; B. Secchi, Il senso delle differenze, Urbanistica n. 79, 1985.
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un sistema di regole o di strumenti coordinati per un medesimo fine, ed dotata di un impulso unificante.9 In tal senso l'urbanistica appare come una trattazione articolata e unitaria, strutturata secondo un'ottica generatrice e ordinatrice, di elementi resi omogenei ad un objectum formale sovraordinato, intendendo per oggetto ci che d la misura, consentendo di determinare, tra l'altro, una differenza di campo tra "interno" ed "esterno" al sapere disciplinare stesso. L'urbanistica, cos com' intesa nella cultura contemporanea, fin dal suo atto di nascita appare soggetta alle dinamiche cui si accennato: essa riflette - con la sua variabile capacit di aggregazione, selezione e sintesi degli elementi che la strutturano - la mutevolezza dello sguardo e dell'oggetto prefissato. Pertanto, definire l'urbanistica come scienza di sintesi vuole rimarcare - piuttosto che la sola componente addizionale e progressivamente eterodiretta - l'esistenza di potenzialit e pulsioni interne mirate alla costituzione fusionale di nuove unit sintetiche che fissino il provvisorio in strutture armoniche credibili, ma solo parzialmente e momentaneamente stabili. Non sono intere discipline ad essere mobilitate nella fase analitica e progettuale: di volta in volta vengono estrapolati e sintetizzati, elementi, sollecitazioni, tecniche, reputati pertinenti e congrui, attraverso una dinamica che comprende incertezza e ripensamenti, e non solo costruzione cumulativa di saperi differenti ed ordinati secondo gerarchie e competenze. Un continuo riorientarsi del modo di guardare, dell'aggregare in sistema e del rappresentare. Una disciplina che si costruisce come scienza di sintesi mette al centro se stessa autoedificandosi attraverso processi in cui i linguaggi, le parole, i concetti, le strategie conoscitive e descrittive provenienti da altri campi si trasferiscono attraverso modalit attive e attraverso permeazioni, piuttosto che tramite isotropie10 linguistiche. Permeazione (come "passaggio, attraversamento, migrazione") e spoG . Steiner, La nostalgia..., op. cit. J . Lacan, Scrtti, Einaudi, Torino, 1974, affronta il rapporto tra settori differenti, cercando di capire in che modo le permeazioni e le contaminazioni esistenti tra psicologia e altre dottrine (ad esempio l'antropologia) si riflettano nelle trasformazioni del linguaggio disciplinare. Le interazioni tra differenti campi conoscitivi, sostiene lo psichiatra francese, si manifestano non solo nei termini di un'addizione di significato, ma soprattutto in riorganizzazioni o rinnovamenti semantici: i linguaggi originari che entrano in contatto con altri e diversi modi di vedere si trasformano a volte radicalmente e si arricchiscono di parole che supportano nuovi e originali significati e concetti che aprono inaspettate modalit interpretative.
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stamento rappresentano due dei paradigmi che informano la cultura contemporanea, caratterizzata da contaminazioni concettuali, attuate mediante il passaggio di idee, visioni, culture diverse. Il positivismo ottocentesco che pervade l'urbanistica alla sua data di fondazione, articola la prima sintesi disciplinare secondo un'organizzazione finalistica e gerarchica dei saperi coinvolti, un'accurata selezione degli stessi, una chiara definizione degli obiettivi:11 una rimozione costante e reiterata dell'incertezza e dell'ambiguit attuata tramite la ricerca e l'applicazione di norme, codici, regole e tramite nette inclusioni di saperi selezionati e grandi esclusioni12 di ci che viene qualificato come oscuro, non catalogabile, irriconoscibile.
11 A tal proposito si riporta una nota del 1 8 7 5 , tratta dai Diari di I. Cerd. Questi, avendo deciso di occuparsi del fenomeno dell'urbanizzazione, riflette - nella costruzione di un sapere particolare, che lo stesso urbanista qualifica come ibrido - sull'organizzazione in sistema delle discipline afferenti e coinvolte: Si tratt di cercare se fosse stato scritto da qualcuno su tale argomento, e dato che nessuno l'aveva ancora fatto, decisi di realizzarlo. (...) Per svolgerlo in modo dovuto sarebbe stato necessario approfondire tutto quello che da Vitrubio a Leoncio Renau era stato scritto in materia di Architettura; tutto ci che in materia di Diritto era stato formalizzato da Solon a Bentam; tutto quello che era stato detto a proposito degli Studi sociali da Platon a Prudori; tutto ci che era stato detto in Igiene da Hipocrates sino ai nostri giorni; tutto ci che era stato detto in Statistica (...) in Geografia (...) in Economia politica (...) in Religione (...) in Filosofia. In presenza di un quadro cosi vasto ed esteso, confesso che stavo quasi per arrendermi (...) ma considerando che non era necessario basarsi su punti di vista relativi ad ogni specializzazione citata e reputando necessario solamente conoscere di ognuno delle discipline solo la parte relativa al lavoro specifico che intendevo compiere, fui spinto a proseguire l'idea originaria. Tale affermazione esprime pienamente quanto l'urbanistica ottocentesca sia fondata sul concetto di un'interdisciplinarit come addizione di segmenti del sapere selezionati in base ad un preciso fine operativo: Architettura, Diritto, Igiene, Geografia, Economia Politica, Morale, Religione, Filosofia, come universi chiusi vengono, infatti, indagati solamente per la parte relativa al lavoro specifico. 12 Come nota E. Morin, in I sette saperi necessari..., op. cit. : E necessario promuovere una conoscenza capace di cogliere i problemi globali e fondamentali per inscrivere in essi le conoscenze parziali e locali. (...) E necessario sviluppare l'attitudine naturale della mente umana a situare tutte le informazioni in un contesto e in un insieme. E necessario insegnare i metodi che permettano di cogliere le mutue relazioni e le influenze reciproche tra le parti e il tutto in un mondo complesso. Di qui la necessit, continua il sociologo francese, di un grande riaccorpamento delle conoscenze nate dalle scienze naturali, al fine di situare la condizione umana nel mondo, con le conoscenze nate dalle scienze umane per spiegare la multidimensionalit e la complessit umane; di qui la necessit di integrare in queste conoscenze l'apporto inestimabile degli studi umanistici, non soltanto quello della filosofia e della storia, ma anche quello della letteratura, della poesia, dell'arte. L'uomo dunque pervaso dalla forza oscura e inspiegabile dell'immaginario e, nel contempo, capace di riconoscere ci che concretamente definibile, in grado di concepire i mondi sacri, simbolici e vagheggiati del Mito e quelli relativi alla conoscenze scientifiche e filosofiche, nutrendosi, come dice ancora Morin, di conoscenze verificate ma anche di illusioni e di chimere.

La crisi contemporanea focalizza l'attenzione (in termini di revisione critica) sui fondamenti della disciplina - sui modi dell'analisi e del progetto per la citt e per il territorio - per riflettere sulle tensioni che hanno condotto e sempre conducono verso importanti riorganizzazioni e trasformazioni dei saperi e delle tecniche in gioco. Quando si parla di creativit progettuale e di complessit, infatti, si immagina un approccio che contempli il coinvolgimento di molteplici punti di vista: una sorta di soggettivit pluralistica che combini insieme, e in modo aperto e reversibile, competenze e procedure eterogenee. Anche sulla scorta di tali riflessioni pu essere interessante riconoscere al linguaggio letterario un ruolo (almeno potenziale) che trascenderebbe la dimensione aggiuntiva della fruizione dell'urbano, intendendo modi, strategie e tecniche della descrizione letteraria non solo quale fonte integrativa extradisciplinare che illustra un clima intellettuale e che completa il quadro di quelle componenti, anche laterali, che definiscono l'immagine urbana al di fuori della disciplinarit specifica della scienza urbana.13 Si potrebbe sostenere che la concezione che traspare dal testo di Sica - culturalmente profonda e di enorme interesse - risente dell'organizzazione positiva della disciplina: possiamo ancora affermare, infatti, che tutto ci che appartiene al campo specifico della scienza urbana ostenta e possiede un valore gerarchicamente sovraordinato, mentre, quello che non afferisce a tale insieme ortodosso (insieme peraltro soggetto a continua revisione) riveste (proprio per la sua valenza insolita, e pertanto non soggetta all'omologazione dei linguaggi scientifici e tecnici) solo un ruolo gregario e accessorio, pur godendo, come afferma Sica nel testo prima citato, di un punto privilegiato di libert percettiva e di modalit rappresentativa ? Esiste, quindi, nella costruzione degli strumenti per il progetto, oltre la forma canonica o sintattica, la possibilit di avvalersi di altre forme di narrazione, dotate di un creativo valore aggiunto ?
13 P. Sica, L'immagine della citt da Sparta a Las Vegas, Laterza, Roma-Bari, 1970. L'urbanista fiorentino si interroga sulle potenzialit della descrizione letteraria affermando che questa intrattiene con la citt che rappresenta un rapporto biunivoco, in sintesi: la letteratura come testimonianza sulla citt e la citt come referente dell'opera letteraria; la forma urbana come forma omologa alla forma artistica; la citt rispetto ai mass media e alla comunicazione non verbale.

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Un suggerimento metodologico viene da M. Yourcenar14 che, mirando al raggiungimento del difficile equilibrio tra rigorosa ricostruzione storica e romanzo, d corpo alla potenziale tensione integrativa che intercorre tra rappresentazione oggettiva e visione soggettiva. La scrittrice suggerisce (spunto assai utile per chi debba e voglia occuparsi di progetti territoriali) di portare avanti esperimenti sullo spazio e sul tempo, ricorda che ci che si racconta falsato da ci che non si racconta, spinge a stare con un piede nell'erudizione e uno nella magia che consiste nel trasferirsi con il pensiero nell'interiorit dell'altro, persuade a dedicarsi a quel gioco appassionante che consiste nell'accostare i testi, induce a imparare tutto, leggere tutto, informarsi di tutto e, al tempo stesso, applicare al proprio fine gli esercizi di San Ignazio di Lojola o il metodo dell'asceta ind, che si estenua anni e anni per mettere a fuoco, con maggiore precisione, l'immagine che ha creato sotto le palpebre chiuse, e, ancora, di valutare come Flaubert, centinaia di particolari minimi, di considerare la ricostruzione storica come la scoperta di un tempo ritrovato: la presa di possesso di un mondo interiore, sostenuti dalla ottimistica convinzione che non vero che la verit storica sia sempre e totalmente inafferrabile; accade della verit storica n pi n meno come di tutte le altre: ci si sbaglia pi o meno. In base alle precedenti sollecitazioni, senza alcuna pretesa di fornire trattazioni organiche, non si pu fare a meno di riflettere sulla "metafora", quale strumento per condensare e trasporre, come afferma S. Freud, nel 1905, certamente nucleo centrale di ogni discorso sul linguaggio inteso come strumento attivo della progettualit umana. U. Eco, infatti, nota: il linguaggio per sua natura, e originalmente, metaforico, il meccanismo della metafora fonda l'attivit linguistica e ogni regola o convenzione posteriore nasce per ridurre e disciplinare (e impoverire) la ricchezza metaforica che definisce l'uomo come animale simbolico. 15 Affrontare - anche marginalmente - tale tema vuol dire porsi alcuni interrogativi attinenti alla struttura, alle modalit d'impiego, al14 15

lo sviluppo delle tecniche descrittive proprie della letteratura e dei linguaggi tecnico-scientifici.16 Pur esibendo una lontananza apparente i differenti linguaggi (metaforico/poetico e formale/tecnico) possiedono molti punti di contatto: entrambe le forme espressive possono essere considerate come strumenti potenzialmente interagenti e potenzialmente rifondanti il progetto territoriale; la costruzione del discorso urbanistico - lungi dall'essere solo azione tecnica - pratica complessa che intreccia aspetti politici, culturali, teorici ed empirici, rapportandosi con objecta e dinamiche assai difficili da rappresentare e descrivere. Il linguaggio notazionale dell'urbanistica, scalzando la metafora, esclude il potere creativo dell'immaginazione sintetica nel processo di costruzione dei futuri possibili: non la descrizione per metafore che si trasforma in tradizione, che si stabilizza in concrete opzioni e in materiali realizzazioni. Spesso ci che rimane, veicolato dalle descrizioni del piano, una restituzione tassonomica e dichiaratamente pragmatica. La rappresentazione tende verso l'eliminazio16 II linguaggio tecnico dell'urbanistica otto-novecentesca, nella fase d'esordio come in quella successiva, prefigura una modalit di rappresentazione della realt sensibile ricorrendo ad un sapere pratico, atto a garantire il governo efficace delle trasformazioni. I codici di rappresentazione sembrano essere prevalentemente guidati da un pensiero "matematico", razionalmente indirizzato. Tale organizzazione pone il linguaggio tecnico in posizione egemone rispetto a quello metaforico, letterario o poetico, nebuloso e inclusivo. Da tale primato discende l'affermazione di formule descrittive ed esplicative fortemente astratte - che si orientano verso il "dire" (analitico) piuttosto che il "mostrare" (sintetico) e che possono essere - a causa di tale estrema selezione - considerate come una specie di obliterazione, di cesura imposta dall'oggettivit alla significazione, come afferma R. Barthes nel 1991. La contrapposizione tra "dire" e "mostrare" rimanda all'antitesi tra "spiegare" e "descrivere" e, contemporaneamente, rappresenta l'esistenza di spinte o dinamiche irrisolte 0 rimosse, affrontabili - forse - tramite l'uso dei linguaggi poetici e letterari. La descrizione presente all'interno del romanzo (in termini generali), infatti tende verso l'integrazione tra ci che possibile dire e ci che si pu solo mostrare, accettando la sospensione e utilizzando un linguaggio - che procede per metafore in cui non tutto deve essere immediatamente analizzato, organizzato o esplicitato. In tal senso, il linguaggio metaforico, oltre a essere dotato di un valore espressivo 0 retorico, possiede pure un valore cognitivo: in effetti una rielaborazione dell'informazione (...) Se per un verso si rivolge alla sensibilit - ed ci che fa la sua forza - nel medesimo tempo innovazione concettuale, creazione di senso, considera V. Berdoulay in Parole e luoghi. La dinamica del discorso geografico, Milano, Etas Libri, 1991. Quando si usa una metafora si attivano contemporaneamente due pensieri di cose diverse sostenute da una sola parola o frase, il cui senso dato dalla risultante dell'interazione; in tal modo si genera un significato originale e diverso da quello letterale, producendo un'estensione o una variazione del senso determinata dal fatto che l'espressione verbale viene attivata in un contesto nuovo.

M. Yourcenar, Taccuini di appunti, in Memorie di Adriano, Einaudi, Torino 1963 U. Eco, Metafora, Enciclopedia Einaudi, voi. 9, Einaudi, Torino, 1980.

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Ile delle contraddizioni e "appiattisce" la descrizione su un livello espressivo soprattutto tecnico. Le valenze mitico-simboliche possedute dallo spazio percepito e progettato dagli uomini, vengono cosi relegate alla sfera di pertinenza di altre rappresentazioni, tra cui quelle letterarie o filmiche, che si esprimono attraverso linguaggi, rifiutati dall'urbanistica, in cui le visioni - come dice E. Morin, vengono suscitate nel senso visionario del termine. In una certa misura, nel linguaggio del piano, si realizza una delle ossessioni della cultura occidentale: l'inserimento della sfera del percettibile entro quella del coerentemente dicibile. Il potenziale di eccesso del mondo viene ridotto, dominato, geometrizzato, (come afferma Simone Weil, la geometria purificazione dell'errore, piuttosto che somma di conoscenze) in sintesi verbalizzato, attraverso una trascrizione astratta e funzionale e la concettualizzazione della parola "prigione": lo spazio della misura geometrica il prodotto di uno sforzo vigile che rivede, compasso alla mano, i pregiudizi affettivi a cui lo spazio vivente deve le proprie deformazioni. 17 Quando con le immagini si cerca di elaborare un codice universale, facendo ricorso a segni ripetuti, ideogrammi o pittogrammi, si opera in modo da configurare un codice, basato, suggerisce Eco, 18 su una sema sostitutiva, come accade nelle legende o nella costruzione cartografica. In tal modo, ogni segno, viene associato biunivocamente ad un aspetto della realt e le potenziali polisemie o le feconde ambiguit di senso che le cose possiedono vengono cassate perch portatrici di confusione e incertezza. La metafora quale strumento di conoscenza additiva e non sostitutiva 19 viene in aiuto al discorso urbanistico a pi livelli, sia "generativo", che storiografico, supportando, in parte, ci che tramite il linguaggio tecnico appare inesprimibile e denunciando i mutevoli modi della percezione e gli "sguardi" interni ed esterni che si posano sui territori. Metafora, dunque, come strumento e come "spia", come sistema di rivelazione e conoscenza,20 e ci an17 J . Starobinski, L'oeil vivant, essai, Gallimard, Paris, 1961 (trad. it. parziale Einaudi, Torino, 1975), cit. in A. Costa, M. Brusatin, Visione, Enciclopedia Einaudi, Voi. 14, Einaudi, Torino, 1 9 8 1 . 18 U. Eco, La ricerca della lngua perfetta nella cultura europea, Laterza, Bari, 1996. 19 U. Eco, Metafora, op. cit. 20 E. Jtinger, Foglie e pietre, Adelphi, Milano, 1997.

che in quanto le strutture linguistiche, sia letterarie che urbanistiche, si configurano come dispositivi in grado di interpretare con funzioni generative, appunto - un rapporto che si conferma nodale in epoca contemporanea (a livello biologico/sociale/economico), quello tra la citt (intesa soprattutto come insieme di abitanti) e il suo territorio. La capacit di restituzione della ricchezza e della complessit di tale rapporto centrata sull'evoluzione culturale e tecnica della "descrizione", 21 quale sistema per far emergere altre immagini della citt e del territorio, mutuamente considerati: in tal senso tali immagini verrebbero portate alla luce quando la descrizione non venga intesa come trasposizione grafica della parola, ma pure come atto interpretativo certamente non stabile che attinge allo strato profondo delle intuizioni immediate,22 dotato quindi di una esplicita dimensione soggettiva che viene accettata, piuttosto che rimossa. Non ci si vuole illudere che tramite il linguaggio metaforico o l'analogia si possa rendere la sempre sfuggente "totalit" in termini evidenti: la descrizione, anche cosi concepita, non restituisce un mondo i cui elementi appaiono solidali e conformi a principi semplici. Ma il linguaggio metaforico, pi vicino al pensiero e alla parola quotidiana anche perch - cos come il pensiero - non strettamente categoriale, rappresenta un valore aggiunto, e vuole essere, pi che uno schema retorico, una sorta di strumento privilegiato con cui si pu tentare un avvicinamento all'affinit originaria (biologica e simbolica) tra gli elementi, una riflessione sulle connessioni, sulla completezza assente e in parte rievocabile, muovendo
II termine "descrizione", (dal lat. describere, "trascrivere, copiare un modello") designa un'azione - in termini generali - fortemente selettiva e soggettiva: come afferma Diogene Laerzio un discorso che conduce alla cosa attraverso le impronte di essa e, nel contempo, si compone di accidenti, cio di caratteri propri td accidentali, come attesta Giovanni Damasceno in Vialectica (VIII sec.). Ci che veramente sembra permanere questa "impronta" della cosa (e non la cosa stessa), restituita appunto per il tramite della descrizione, che in tale chiave manifesta tutta la propria forza generativa e politica. V. G . Dematteis, Progettare descrivendo la citt, La nuova dimensione urbana, Atti del Convegno La nuova dimensione urbana, Brescia, ott. 1995, Grafo, Brescia, 1997: parafrasando Montaigne possiamo dire che le citt ci fanno soffrire 0 gioire, sognare o disperare non per quello che sono, ma per le immagini che ne abbiamo. Sono queste immagini che orientano i progetti di trasformazione urbana, piani regolatori compresi. 22 E. Jiinger, Foglie e..., op. cit.
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li i" ' Ih i i si illude di conoscere verso l'incognito, dall'appairnirmoiite visibile, verso l'invisibile. 23 Il linguaggio metaforico manifesta alcune potenzialit interessanti: da un lato pu essere mezzo di graduale allargamento della conoscenza e di persuasione razionale, dall'altro produzione di immagini capaci di condensare i diversi aspetti dell'oggetto descritto, tramite un'espressivit suggestiva. Un ulteriore incentivo rappresentato dalla natura stessa del linguaggio metaforico, capace d'includere un resduo non necessariamente spiegabile o immediatamente intelligibile; in altri termini tramite la metafora si restituisce un'immagine che va oltre la parola detta, lasciando spazio ad ulteriori e successive interpretazioni: ci che viene descritto non deve essere - necessariamente - interamente spiegato E forse per tali motivi che la riflessione e la comparazione fra differenti procedimenti descrittivi pu spingere ad ampliare il campo delle "connessioni e dei piani tematici" relativi, nel caso specifico, alla modalit con cui l'urbanistica si misura con il sofferto e mai risolto passaggio tra citt ottocentesca e citt contemporanea.
23 Vd. O. Sacks, Scotoma: oblio e omissione nella scienza, in O. Sacks, S. J . Gould, J . K. Miller, R. C. Lewontin, Storie segrete della scienza, Mondadori, Milano, 1999, affronta il tema della eliminazione delle alterit e delle differenze, a partire dalla diversit tra descrizione e spiegazione: la I un'attivit in diretta connessione con la percezione, la II un'attivit attraverso cui si ricompongono i frammenti della percezione connettendoli per mezzo di un quadro di riferimento coerente. Alla difficolt di spiegazione spesso legata l'assenza di paradigmi di riferimento che consentirebbero di integrare fenomeni inspiegabili in campi istituzionali; per le scienze moderne non sufficiente il processo intuitivo in quanto la mente deve essere in grado di accogliere ci che viene intuito e di mantenerlo. Tale ipotesi rappresentata in medicina - continua Sacks - dal caso di alcune patologie non prese in considerazione perch difficili da spiegare. Ad un primo stadio della spiegazione collegata una frammentazione (...) ma prima o poi i frammenti devono essere rimessi insieme e presentati come un tutto coerente; quando emerge un elemento che non sia riconducibile al gi noto (e che rappresenta la differenza - l'alterit - la deriva - l'istanza negativa - l'eccezione - la frase deviarne), sostiene Sacks che si tratta di una scoperta intempestiva, che viene congelata, e le cui implicazioni non possono essere connesse mediante una serie di processi logici, ad una conoscenza canonica o generalmente accettata. Questo accade quando una cosa oltre che descritta deve essere spiegata (in quanto la descrizione non implica necessariamente la spiegazione, che invece prevede una rete di connessioni logiche che tendono a inserire e a forzare i fenomeni entro un quadro di riferimento); in tal modo avviene una cancellazione [scotoma, dal greco skotos "oscurit, buio"] di ci che stato originariamente percepito, una perdita di conoscenza e una perdita di intuizione; in questo senso che va sottolineato il potenziale innovativo delle descrizioni che includono le istanze negative o eccezioni, normalmente considerate come errori di giudizio della percezione. Sacks aggiunge che l'inizio del nuovo secolo (il X X ) coincise con una crescente pressione (...) in favore del tentativo di spiegare i fenomeni scientifici, mentre nel secolo precedente ci si accontentava di descriverli.

Strumentalmente, dunque, per rendere attraverso il linguaggio letterario tale transizione, sono stati accostati frammenti tratti da opere scritte prima e intorno all'Ottocento con testi pi recenti, tentando di far trasparire alcuni temi chiave della trasformazione territoriale. Oltre alla pura descrizione dei luoghi che affiora dalle narrazioni, va evidenziata l'interessante discrasia, esistente tra le differenti restituzioni (letteraria e urbanistica), che aiuta a capire quando e come la disciplina abbia scelto di eludere contraddizione e incertezza: il discorso urbanistico - in termini necessariamente positivi e terapeutici - legge il progresso come dato vantaggioso e propone soluzioni che gestiscano la trasformazione in corso; il racconto letterario tende ad accogliere il conflitto, manifestando apertamente le contraddizioni che - il pi delle volte - appaiono irrisolte e irrisolvibili. Le tre citt al centro di quest'indagine - Parigi, Barcellona e Firenze - sono state scelte perch topoi ideali e insieme concreti di tale trasformazione: Parigi in quanto teatro di massiva e totalizzante mutazione del tessuto; Barcellona quale laboratorio di sperimentazione della nascente disciplina urbanistica; Firenze come luogo di scontro, espressione dell'antinomia tra memoria storica e esigenze evolutive. Il regesto parigino mira a rappresentare la transizione tra l'equilibrata staticit medievale (solo leggermente evocata dai testi) e la frenesia meccanica della citt nuova, post Rivoluzione. In particolare vengono citati tre autori che descrivono la citt proiettandola in un tempo irreale: Verne, che nel 1863 muove una indiretta e feroce critica agli "abbellimenti" pensati da Voltaire o Mercier e voluti da Napoleone III e da Haussmann, rappresentando una prodigiosa Parigi del i960; Yehoshua che nel 1997 la immagina, retrospettivamente, alla soglia dell'anno 1000; Mari che, nel suo Tutto ilferro della torre Eiffel mostra una del2i M. Mari, Tutto il ferro della torre Eiffel, Einaudi, Torino, 2002. La Parigi immaginata da Mari , in un certo senso una sorta di paradosso letterario, e come ogni paradosso rappresenta una verit estrema, insieme verosimile e inammissibile. E, pertanto, mostra come l'invenzione poetica - evocativa e implicante, non necessariamente vera e non necessariamente falsa - restituisca una seducente realt apertamente in bilico, tra concreta possibilit e finzione assoluta. Il romanzo si apre con una curiosa meditazione - che, al di l dell'effettiva collocazione, esplicativa come pu esserlo solo un incipit o un esergo - sul valore della letteratura: (...) Tu la vedi, questa cosa, e ridi: ma un pianto; e dici: se la letteratura genera questo, questo, la letteratura. Ed la vendetta del mondo, perch la letteratura che non si difenda dal mondo cos', se non mondo ? E il mondo qui polimero fuso: ma fuso a forma di letteratura, cosi, se volessimo uscire, sappiamo che non si pu, nemmeno ogni tanto. ... e per, invece, ha virt letteraria la cosa: perch guardandola io ricordo, s, ricordo una vita e non mia; vedo l faccia drammatica di un uomo che cammina nei passages di Parigi, un uomo che si chiama Walter Benjamin.

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le tante virt dell'invenzione poetica, escogitando una peculiare Parigi immersa in un particolare tempo storico - il 1936 - singolarmente denso. Per quanto riguarda Firenze, ci che emerge dai testi la conflittualit tra conservazione e trasformazione e, nel contempo, il peso dell'identit storica di matrice rinascimentale; tale figura - a volte retorica e immobile - si oppone ad un'idea nascente di citt aperta, "lineare" e dilatata sul territorio. Di contro, le descrizioni seicentesche e ottocentesche di Barcellona sono caratterizzate dalla persistenza di un'immagine di grande trasformazione: la citt il centro economico della Spagna e gli scrittori (da de Cervantes in poi), leggono e rappresentano tale incessante movimento. Barcellona entusiasticamente raffigurata come la New York spagnola, con un chiaro rimando ai racconti americani di H. James o ai Diari newyorkesi di W. Whitman. Solo in tempi pi recenti, in particolare attraverso gli scritti di Orwell, di Merc Rodoreda o di Vzquez Montalbn,25 traspare il conflitto e la sofferenza degli abitanti durante la dittatura, o negli anni '90 (in misura ovviamente diversa), quando i giochi olimpici innescano importanti trasformazioni urbane. Durante quei difficili momenti gli abitanti non riconoscono pi la loro accogliente citt ed emerge dai testi la difficolt di mediazione tra memoria storica e trasformazioni recenti; la quotidianit messa in scena , allora, densamente dolorosa e carica di nostalgia per quanto perduto o assente. Tra i numerosi aspetti su cui riflettere uno mette in evidenza lo slittamento che esiste tra la rivelazione espressa tramite la letteratura e quella esposta dal linguaggio scientifico; ci che viene prefigurato attraverso quest'ultimo (che si spiega tramite analisi, modelli, scenari, progetti) viene restituito come rappresentazione "vera" del futuro; ma non si tratta sempre di un futuro ipotetico ? In tal senso ragionare sulle tecniche e possibilit del racconto letterario, aiuta a demistificare l'immagine fondamentalista ed assoluta (seducente e pericolosissima) che tradizionalmente connessa alla nostra disciplina e, nel contempo, favorisce la riflessione sui difetti di comunicazione insiti nell'uso del linguaggio tecnico, che appare cos lontano dalla linOltre ai numerosi romanzi, M. Vazquez Montalbn ha elaborato alcuni saggi che raccontano il cambiamento pi recente a Barcellona. Tra questi Barcelona, cap on vasi, Barcelona, 1 9 9 1 , scritto insieme a E. Moreno.
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gua locale e quotidiana tramite cui si costruiscono gli intrecci relazionali degli abitanti. Indubbiamente anche la letteratura intende rivelare una certa verit (ma si tratta di una verit spesso soggettiva, dotata di energia retorica, ma che non pretende, in linea di massima, di possedere portata ecumenica, normativa o totale): la descrizione letteraria non valida erga omnes, mentre la norma urbanistica s. Ci focalizza l'attenzione sul rapporto dialogico esistente tra topografia immaginaria e topografia reale. Tentando di ragionare sul possibile (o impossibile) livello di collaborazione tra linguaggio letterario e linguaggio tecnico-specialistico si potrebbe partire ancora dalle riflessioni di P. Sica, il quale sostiene che la spia letteraria preziosa e quasi indispensabile nel ricostruire un clima di tensioni in conflitto, per, ogni testimonianza deve essere vista (...) come espressione innanzi tutto di una sua verit interna, pi che come riproduzione del reale. Tale asserzione si fonda su una distinzione a-priori tra ci che reale e ci che non lo : ci che non lo possiede solamente una verit intema. L'affermazione convincente, quindi, solo se si accetta questa distinzione a-priori: ma davvero possibile affermare che esistono sistemi descrittivi in grado di riprodurre la realt ? E se esistono (cosa di cui dubitiamo) perch dovrebbero essere quelli che si avvalgono dei linguaggi tecnici? E, inoltre, non forse vero che ogni sistema di rappresentazione esprime solo una sua verit interna e relativa ? In tale ottica la convinzione espressa da Sica che intende il prodotto letterario come elemento prezioso, ma accessorio (perch frutto di una visione soggettiva e in quanto separato dal corpus disciplinare ortodosso) pu essere, forse, confutata. In tal senso il paysage intrieur, espressione con cui Baudelaire definisce la rappresentazione soggettiva, assume un valore differente, non perch il paesaggio interiore corrisponda fedelmente alla realt, ma in quanto anche il paesaggio descritto tramite il linguaggio normativo e tecnico frutto di una visione particolare (quella del planner). In epoca contemporanea la contrapposizione tra arte e scienza (antitesi su cui si basano le fondamenta dell'urbanistica) e tra soggettivo e oggettivo, viene osservata con altri occhi: la rappresentazione contenuta negli strumenti urbanistici pu effettivamente essere definita oggettivai Esiste davvero un'incolmabile distanza tra la topografia immaginaria che emerge dai romanzi e la rappresentazione reale veicolata dal piano ?

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Considerando come fortemente illusorio, o meglio relativo, il termine "reale", in un certo senso, verit presunta e finzione narrativa si fondono; qualunque descrizione ci porta ad un progressivo spostamento compiuto in direzione dell'oggetto, movimento che, come dice I. Calvino, ci lascia sempre e perennemente insoddisfatti; ogni descrizione parziale ed orientata, anche quella che parla il rassicurante, autoreferenziato e oggettivo linguaggio della scienza; ed in tal senso che mappe, carte o tassonomie non possono e non devono coincidere con il territorio. In conseguenza di tali supposizioni descrizione urbanistica e descrizione letteraria potenzialmente convergono:26 entrambi le citt descritte sono citt fatte di parole, ma nel caso della descrizione urbanistica le parole - per statuto, in quanto dotate di forza che pu definirsi illocutiva,27 e che pertanto prevede la traslazione di un atto linguistico in azione concreta - si traducono (a volte, ma non sempre e non fedelmente o direttamente) in azioni, in rapporti reali tra soggetti e attori sociali e in materia; inoltre, entrambe le descrizioni sono rifondative e potenzialmente collaboranti, piuttosto che antitetiche: il racconto letterario rifonda la citt e la prefigurazione contenuta nel piano altrettanto. Rifondano perch rileggono il passato, restituendone una particolare versione, rifondano perch edificano la memoria e ricostruiscono una nuova identit, rifondano perch riconsiderano globalmente e delineano nuove sintesi e nuove unit. Ambedue le forme linguistiche, quindi, manifestano una vis generativa mirata alla costruzione di futuro. E vero, per, che la descrizione letteraria, al contrario di quella urbanistica, non vincolata
2 " Si potrebbe, infatti, affermare che non esista una forma di conoscenza che possa essere definita come specchio fedele delle cose o del mondo: qualunque percezione (sia interiore sia esternata e comunicata) una sorta di traduzione-interpretazione, in cui il mondo stesso viene ricostruito per il tramite del pensiero e del linguaggio. Inoltre come suggerisce Morin, in I sette saperi necessari..., op. cit., per l'essere umano l'importanza dell'illusione e dell'immaginario inaudita, irrinunciabile, ogni essere umano, continua il sociologo francese, porta in s il cosmo (...) Ogni essere (...) porta in s le proprie molteplicit interiori, le proprie personalit virtuali, una infinit di personaggi chimerici, una poliesistenza nel reale e nell'immaginario, nel sonno e nella veglia, nell'obbedienza e nella trasgressione, nell'ostentato e nel segreto; porta in s brulichi larvali in caverne e in abissi insondabili. Ciascuno contiene in s galassie di sogni e di fantasmi, slanci inappagati di desideri e di amori, abissi di infelicit, immensit di glaciale indifferenza, conflagrazioni di astri in fiamme, irruzioni di odio, smarrimenti stupidi, lampi di lucidit, burrasche dementi. 21 J . L. Austin, Come fare cose con le parole, Marietti, Genova, 1987.

alla freccia orientata del Tempo, che con ordine si muove dal passato e dall'immanente verso il futuro; si pu affermare, infatti, che in ambito letterario non necessario distinguere in modo netto tra passato e futuro, mentre al contrario la descrizione urbanistica si occupa (apparentemente) pi del futuro, o meglio separa nettamente tra ci che preesistente e ci che non lo . Comunque anche il piano - quasi come un romanzo - un testo che riscrive la storia, e il cosiddetto futuro disegnato solo attraverso le ombre e le luci proiettate sul tempo trascorso: il racconto urbanistico - come qualsiasi altro racconto - illumina porzioni di verit, occultandone altre. Come dice M. Yourcenar anche gli storici semplificano e schematizzano, allontanandosi, se non dai fatti (...) almeno dal frastuono di parole intorno ai fatti; 28 qualunque descrizione storica, dunque, orienta lo svolgersi del futuro ed ogni percezione successiva, suggerisce U. Eco, possibile perch diamo fiducia ad un racconto precedente. Si pu, inoltre, affermare che solo usuale, e pertanto potenziale oggetto di confutazione logica, la convenzione che statuisce che il piano rappresenti la fotografia del reale, e pertanto segni una sorta di soluzione di continuit tra ci che appartiene al passato e ci che pu essere definito come futuro, strumentale bipartizione che si esprime nella sclerotica antitesi tra "analisi dello stato di fatto" e "progetto". Secondo tali riflessioni si avvicinano, quindi, le due forme descrittive, si rafforzano le relazioni possibili e, forse, cade la dicotomia (specifica della visione urbanistica) esistente tra passato e futuro, tendente a fornire una visione semplificata e depauperata delle dinamiche e dei processi: forse il tempo pu essere osservato come fluido, circolare, anaciclico, com' evocato in alcune immagini poetiche di T. S. Eliot. Ci che tradizionalmente veicola verit e "futuro" reale (il progetto urbanistico), quindi, pu essere esplorato come la sintesi e la trascrizione di documenti storici; e ci che rilegge il presente o il passato o ancora un "futuro" immaginato (la descrizione letteraria) pu essere considerato come un mezzo potente tramite cui strutturare la percezione critica e l'immaginazione progettuale del futuro stesso. Tema comune quello relativo al ruolo e al valore della storia, ed in particolare del paradigma storico in urbanistica, le cui variazioni
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M. Yourcenar, Il Tempo, grande scultore, Einaudi, Torino, 1993.

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hanno influito sulle tecniche di rappresentazione e descrizione. A partire dalle elaborazioni degli urbanisti fondatori, come I. Cerd, fino al contributo critico di studiosi come L. Febvre, F. Braudel o J. Le Goff, che hanno spinto verso la riconsiderazione del ruolo gerarchico e del senso del "documento". Ci che sotteso alla ricerca orientata verso lo studio di tali differenti forme espressivo-descrittive dunque l'attenzione verso la storia, verso la memoria come costruzione di identit individuale e collettiva, nonch la meditazione sul rapporto tra arte e scienza e sul valore della percezione soggettiva e della rappresentazione letteraria o artistica; a tutto ci va sommata la spinta data dalla riflessione in corso relativa alla crisi dei linguaggi scientifici - come estremi sistemi di proiezione rigida che eliminino progressivamente il dubbio (o che, comunque, lo contengano), che escludano l'immaginazione, la capacit visionaria, l'arte - messa in luce da epistemologi come Morin, Foucault, Feyerabend, Putnam, Bateson, da critici e linguisti come Zumthor o Steiner ed, ab origine, da filosofi come Wittgenstein o da autori come Dostoevskij, che nel 1864 scriveva: la stessa scienza insegner all'uomo (...) che in effetti in lui non c' n volont n capriccio, n li ha mai avuti e che lui stesso non che il tasto di un pianoforte o lo spinotto di un organo e che, sopra tutto, al mondo esistono ancora le leggi della natura. Di conseguenza occorre soltanto scoprirle codeste leggi, e l'uomo non avr pi bisogno di rispondere delle proprie azioni, potr vivere con estrema levit. Tutte la azioni umane allora saranno automaticamente valutate secondo queste leggi, matematicamente, come le tabelle dei logaritmi, fino a 108.000 e inserite nel calendario; oppure, meglio ancora, compariranno alcune encomiabili edizioni simili alle enciclopedie lessicali, dove tutto sar cos perfettamente calcolato e definito, che nel mondo non ci saranno pi n accadimenti, n avventure.29 Osservare con interesse i modi della descrizione letteraria o poetica vuol dire, dunque, cercare di includere nuove potenzialit nella costruzione dei linguaggi per il progetto. Per governare il cambiamento occorre innanzitutto uno sforzo descrittivo e per descrivere occorre nominare, dare un nome alle cose: solo ci che viene raccontato e riconosciuto, infatti, pu essere inserito nell'ambito del potenzialmente governabile. Si pu affermare che solo grazie ai processi di "no29

minazione" i fenomeni vengono riconosciuti ed interpretati e, quindi, divengono elementi su cui possibile intervenire progettualmente: attraverso la descrizione le categorie progettuali emergono dall'inconoscibile e dall'indifferenziato e, tramite il riconoscimento, la selezione e l'attribuzione di nome (di senso) vengono escluse o inserite all'interno del campo dei fenomeni governabili; in altri termini attraverso la descrizione, che sempre ostenta una vis progettuale, si spiega portando alla soglia della luce ci che prima nell'ombra.30 In epoca contemporanea, segnata da costruttivi disagi e ripensamenti, integrando le tensioni orientate verso l'ascolto della rappresentazione soggettiva e particolare, si osserva e partecipa ad un doppio movimento: da un lato la nozione di fonte documentaria va ampliata e voci di sottofondo,31 documenti sottoletterari, immagini dipinte, scritte, come spiega lo storico M. Bloch possono dire sulle credenze e la sensibilit degli uomini del passato almeno quanto molti scritti o documenti ortodossi;32 dall'altro la crisi della prassi progettuale e del concetto di "verit" spinge verso una revisione dei linguaggi di rappresentazione, immaginandoli come feconde ed instabili strutture ibride o miste. Riflettere sulle restituzioni letterarie della citt e del territorio mira, allora, ad ampliare - dimensionalmente e concettualmente - la sfera delle possibilit della rappresentazione, considerando possibilit altre, integrando, destabilizzando e mettendo in discussione le tecniche linguistiche legate alla razionalit dura, alla segmentazione, al lgos.

F. Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo, Rizzoli, Milano, 1975.

G . Dematteis, Le metafore della Terra, Feltrinelli, Milano, 1985. Si pu paragonare il racconto letterario di citt e territorio al genere biografico, come professato ab orgine, da autori come Plutarco in Vite parallele. Nella costruzione della biografia della citt la descrizione letteraria - in condizione di far emergere Vethos - espone particolari apparentemente "insignificanti" illumina dettagli secondari di una stimolante compagine - a volte apparentemente illogica e sconnessa - che non facilmente riconducibile al "gi noto" e al convenzionale. 32 M. Bloch, Apologiepour l'histoire ou mtier d'historien, Colin, Paris, 1949.
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Quale progetto ?

Tradizionalmente la nozione di progetto in urbanistica appare relativa all'anticipazione dei mutamenti innanzi tutto fisici dello spazio; ma la progettualit umana che indirizzata non solo alle modificazioni della categoria dello spazio puro - inteso in termini euclidei o strettamente topologici - riguarda complessivamente l'ethos. Lo spazio cui ci si vuole riferire , in tal senso, spazio dotato di qualit profonde: materiche, sociali, simboliche, relazionali. Cos considerato il progetto dello spazio - spazio semanticamente ampliato dall'aggettivazione - riveste basilari implicazioni di tipo ontologico, etico ed esistenziale: anticipazione, possibilit, futuro, alludono a temi profondi e fondamentali e certamente non solo a mera e rozza fattualit. L'idea di progetto in urbanistica - che rimanda in gran parte a quella di progetto di piano, quale strumento collettivo - tradizionalmente connessa ad un pensiero che pu definirsi indirizzato:1 il progetto rappresenta ci che rispetto ad un orizzonte futuro pu essere tecnicamente qualificato come realizzabile, probabile ed auspicabile; esso organizza strumenti e mezzi traducendoli in azione verosimile, ipotizzando una successiva trascrizione dell'azione in materia, e descrivendo - potenzialmente - il migliore dei mondi pos' Si utilizza il termine in analogia con quanto in pi occasioni codificato da C. G . Jung, che distingue due forme di pensiero: un pensare indirizzato e un pensare fantastico. Il pensare indirizzato contraddistinto dall'uso cosciente del linguaggio e dei concetti, basato sulla realt e ha una funzione prevalentemente comunicativa (linguaggio dell'intelletto, della scienza); l'altra forma di pensiero - prevalentemente preconscio o inconscio - simbolico, metaforico e immaginativo, non minaccia l'io, ma l'arricchisce. La progettualit urbanistica, spesso, si fonda sull'illusoria convinzione, come afferma E . Morin in I sette saperi necessari..., op. cit., che si possa eliminare il rischio d'errore rimuovendo ogni affettivit. In effetti, il sentimento, l'odio, l'amore, l'amicizia possono accecarci. Ma gi nel mondo mammifero, e soprattutto nel mondo umano, lo sviluppo dell'intelligenza inseparabile da quello dell'affettivit, cio dalla curiosit, dalla passione, che sono le molle della ricerca filosofica e scientifica. Cos l'affettivit pu soffocare la conoscenza ma pu anche arricchirla.

sibili. Ma le definizioni normative e i repertori linguistici statici, quando si tratta di linguaggi che si riferiscono a categorie indefinite e variabili, hanno una ragion d'essere assai limitata; inoltre, il linguaggio urbanistico, non una forma espressiva dotata, al di l delle pulsioni teoriche tendenti verso monoromia e stabilizzazione, di elevato regime di univocit.2 Parafrasando Goethe possiamo affermare che nel progetto urbanistico - nelle intenzioni dei planners e dei politici - il vero prende corpo. E non certamente un caso che la disciplina abbia fondato i propri statuti alla ricerca di strumenti e linguaggi perentori in condizione di esprimere verit complete: selezione e riduzione3 appaiono tra gli efficienti dispositivi per la costruzione della progettualit urbanistica e lato sensu, di quella moderna. Questa sembra appoggiarsi - dal '600 in poi - su alcune matrici originarie riconducibili pure alle dottrine galileiane (per quanto riguarda il rapporto tra "ipotesi", "esperienza" e "verificabilit") e cartesiane (per ci che attiene alla scissione tra "oggetto" e "soggetto", alla costruzione del metodo, alla selezione dei dati, alla loro classificazione, all'esercizio del dubbio). La tensione disciplinare verso la stabilit e la univocit dei linguaggi ricorrente, specie durante l'Ottocento, e dagli anni della ripresa successiva al secondo conflitto mondiale: la crescente complessit delle pratiche sociali, delle tecniche e la prassi abituale legata all'uso personale di simboli scelti di volta in volta spingono urbanisti e architetti verso l'elaborazione di linguaggi tendenzialmente omogenei e unificati, prassi che in parte coincide con la volont di codificazione di un comune programma di ricerca che consenta un'organizzazione cumulativa e tendenzialmente positiva dei saperi coinvolti. In epoca contemporanea il solido filo che parte da Galileo mostra estesi segmenti abrasi e sfilacciati; l'erosione totalizzante - cui assistiamo e partecipiamo, ma che non vogliamo interpretare in termini nichilisti - riguarda i modelli, gli strumenti, le verit enunciate, i linguaggi tassonomici e le descrizioni. In una parola il progetto tout court (come summa integrata degli elementi sommariamente elencati) che viene assoggettato a revisione critica.
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F. Gii, Disciplina/discipline, Enciclopedia Einaudi, voi. 4, Einaudi, Torino, ^ 7 8 . T. S. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino, ^ 6 9 .

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Come nota acutamente H. Arendt4 - preannunciando un aspetto, dell'evoluzione del discorso relativo ai continui riaccomodamenti degli apparati teorici e della prassi scientifica, ripreso e sviluppato successivamente da autori come Kuhn5 - ogni scienza si fonda necessariamente su un certo numero di postulati impliciti, elementari ed assiomatici, che vengono formulati e portati allo scoperto solo quando si trovano a misurarsi con fenomeni imprevisti che non possono essere pi spiegati nel quadro delle sue categorie, tali eventi inaspettati rappresentano, sempre secondo l'opinione di Hannah Arendt, quella pietra di inciampo sulla via di una comprensione adeguata della politica e della societ contemporanea che dovr costringere gli studiosi a riconsiderare le concezioni fondamentali (...) che per loro costituivano finora un presupposto indiscutibile. Sono i momenti di crisi, dunque, (crisi come "trasformazione decisiva", "separazione", soluzione di continuit, eventi non necessariamente dotati di accezione negativa) che mettono in discussione i modi e le tecniche usuali del discorso scientifico, spingendo verso ci che Kuhn ha definito riordinamento gestaltico. In ambito disciplinare - e forse proprio dalle grandi trasformazioni urbane del X I X secolo - il dibattito si misura con fenomeni inaspettati e riconosce, catalizza e affronta topoi come incertezza, instabilit, inquietudine, ricorrenti nel ripensamento - a grande scala - delle strutture dei contemporanei sistemi di conoscenza. Assistiamo in questi anni a destabilizzanti cedimenti: la perdita della fiducia nella galileiana veridicit dell'apparecchio6 rappresenta efficacemente la caduta della grande illusione urbanistica, basata su una presunta enunciazione vera, totale ed unilaterale (oggettiva) dei fatti territoriali, e sulla convinzione che lo strumento urbanistico d'elezione (il piano) possa potenziare progressivamente la conoscenza del mondo, purificando e mediando la parzialit della visione soggettiva (Galileo parla, infatti, di sensata esperienza e di certa dimostrazione). Ma come afferma G. Steiner la legge scientifica, le funzioni della verit, la stessa logica non sono neutrali, n eterne, ma
4 H. Arendt, Le tecniche della scienza sociale e lo studio dei campi di concentramento, in L'immagine dell'inferno. Scritti sul totalitarismo, Editori Riuniti, Roma, 2001. 5 Per T. S. Kuhn la ri-fondazione e la formazione di nuovi paradigmi e la conseguente riorganizzazione dei dati dell'esperienza, si rende necessaria quando una teoria accreditata non pi in grado di spiegare ci che viene anche empiricamente osservato. 6 L. Geymonat, Galileo Galilei, Einaudi, Torino,1957.

esprimono la visione del mondo, la struttura del potere economico, le idee politiche della classe dominante (...). La verit in realt una variabile complessa che dipende da obiettivi politici e sociali.7 In tale chiave la verit enunciata - che negli strumenti urbanistici viene spesso verificata tramite dimostrazioni che si possono definire tautologiche - acquista una significativa rilevanza, una risonanza sociale e viene pertanto considerata relativa e relazionale. La parola verit si parzializza ed acquista una propria stimolante molteplicit; pu essere definita, infatti, parafrasando Nietzsche un esercito in movimento di metafore, metonimie, antropomorfismi, in breve, una somma di relazioni umane, che sono state poeticamente e retoricamente ingigantite, trasposte, ingioiellate, e che, per essere state usate a lungo, appaiono ad un popolo salde, canoniche e vincolanti: le verit sono illusioni di cui si dimenticato che sono tali.8 In questa accezione anche le verit scientifiche del progetto urbanistico - ed in tal senso che il linguaggio della scienza non appare, in fondo, cos lontano da quello della letteratura - appaiono dotate di una natura che pu essere definita in termini progettuali appunto, pi che illusoria, relativa. Intendere la verit come nozione plurale e parziale, porta quindi a ripensare in termini critici alle tecniche di osservazione scientifica e, a non eludere, nella costruzione di strumenti per il progetto, il nodo problematico relativo all'esclusione a-priori di quanto sia riconosciuto come disforme, disomogeneo, o esterno alla descrizione che pretende di essere oggettiva, convenzionale, elencale o tassonomica. Il dialogo e la collaborazione tra differenti linguaggi appare - in epoca contemporanea - pi che mai necessario. Inquietudine, incertezza, dubbio, molteplicit, contaminazione, possono essere inclusi nella costruzione del progetto urbanistico, sopravanzandone il potenziale paralizzante, spingendo verso insolite aperture e ripensamenti delle dinamiche di comprensione e di rappresentazione dei fenomeni. Ascolto, interpretazione delle singolarit, raffigurazione sintetica della complessit e delle interconnessioni, necessitano un costante sforzo creativo e anche solo l'agnizione o il tentativo di inclusione richiede una continua opera di verificazione e ricomposizione critica delle tecniche e degli strumenti.
G . Steiner, La nostalgia..., op. cit. F. Nietzsche, Su verit e menzogna in senso extramorale, trad. it. a cura di G . Ferrara, Filema, Napoli 1998.
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Un'ulteriore riflessione va fatta in relazione al termine "spazio", che andrebbe forse utilizzato criticamente e con moderazione. A tale espressione si preferisce la parola "contesto" che potenzialmente integra la valenza materiale con quella immateriale. Il senso insito nella parola "spazio" (che nella descrizione letteraria non quasi mai rappresentata tout court, ma presente sottotraccia), infatti, si col tempo impoverito e specializzato virando verso la sola componente geometrica: questo termine ha infatti sostituito la parola "luogo", certamente pi densa e polisemica e, per tale motivo reputata ambigua e insidiosa. Nel romanzo la rappresentazione dei luoghi, difficilmente indipendente dal racconto delle vicende degli attori: quasi non esistono luoghi privi di donne o di uomini. Paradossalmente, con una certa assiduit, la rappresentazione urbanistica restituisce un mondo senza soggetti o in cui i soggetti sono ridotti a categorie. In urbanistica, da tempo, la rappresentazione dello spazio - con rappresentazione si intende una operazione conoscitiva in base alla quale un oggetto o un insieme di fenomeni e relazioni assenti vengono evocati e resi manifesti attraverso un contenuto figurato o mentale - si misura con un sistema di nozioni e categorie che, pur ostentando caratteri essenzialmente materici o immanenti, possiedono uno spessore che non possibile misurare con le tecniche della geometria: il termine "spazio", infatti, possiede storicamente un campo semantico "implicito" che la disciplina ha sovente rinnegato. E necessario associare altri aggettivi quale "urbano", "territoriale", "economico", "sociale", "simbolico", perch la parola, anche se solo parzialmente, recuperi frammenti di quell'alterit e ricchezza del senso che connaturata all'idea di luogo. Allo "spazio"9 che rimanda ad un'estensione astratta, si preferisce, pertanto, il "contesto", che viene indicato dallo psicologo Da9 A. Einstein, nella Premessa, datata 1953, a M. Jammer, Storia del concetto di spazio, Feltrinelli, Milano, 1963, osserva: ora, quanto al concetto di spazio sembra che questo sia stato preceduto dal concetto psicologicamente pi semplice di luogo. Il luogo prima di tutto una piccola porzione di superficie terrestre identificata da un nome. Secondo Einstein, dunque, in origine concetto di spazio ed esperienza dello stesso risultano contenuti nell'idea di luogo; lo spazio dell'esperienza, il luogo, antinomico rispetto allo spazio inteso come estensione pura misurabile per mezzo della lingua universale della geometria. Vd. M. Serres, Le origini della geometria, Feltrinelli, Milano, r994, il quale afferma che in fisica, in biologia, in filosofia sono stati introdotti costrutti concettuali che sono estranei alle strutture sistemiche che dovrebbero interpretare; tali costrutti hanno spesso dissolto il reticolo delle relazioni che sussistono, generando opposizioni tra pensiero e mondo esterno.

niel Goleman come una definizione condivisa di una situazione che organizza e governa gli eventi sociali e il nostro coinvolgimento in essi (...) un contesto l'area sociale degli schemi collettivi e ancora un contesto entra in azione quando i suoi partecipanti attivano schemi condivisi che lo riguardano. Il contesto - che descrive o evoca un luogo attraverso l'area sociale che lo rappresenta, contiene copioni, schemi, sequenze di azioni e di risposte - pu essere inteso come la struttura - esplicita ed implicita - che organizza l'architettura complessiva di un luogo abitato. Una descrizione della citt o del territorio, cos come in termini pi specifici un piano regolatore, - e nel contempo determina - un "contesto" culturale e sociale; in questa ottica interrogarsi sul linguaggio riveste un valore fondamentale: il linguaggio usato procura continuamente le necessarie oggettivazioni e stabilisce l'ordine secondo il quale queste diventano comprensibili (...) vivo in un luogo geograficamente indicato (..) vivo nelle rete dei rapporti umani (...) in questo modo il linguaggio segna le coordinate della mia vita nella societ e la riempie di oggetti colmi di significato; il linguaggio organizza gli schemi. I linguaggi sono schemi resi udibili; le azioni sociali sono schemi resi visibili. 10 Occuparsi di linguaggio per il progetto urbano significa prendere in considerazione modalit e strumenti attraverso cui si costruiscono e manifestano tali schemi che sono, nel caso dell'urbanistica attinenti sia alla sfera culturale-simbolica sia a quella socio-politica. In questo senso il piano-contesto funziona come una strategia che economizza e a priori orienta la percezione evitando la ridondanza conoscitiva (reputata eccessiva e ingovernabile), focalizzando e delimitando, spesso, uno spazio stretto, all'interno del quale schemi dirigono l'attenzione, mentre una vasta area, che viene considerata come irrilevante, viene ignorata. Sostiene infatti Goleman che tutti i contesti comportano due binari paralleli: un flusso di attivit scoperto, riconosciuto, mentre
10 D. Goleman, Intelligenza emotiva, B U R , Milano, 1995: un copione codifica gli schemi per un particolare evento, dirige selettivamente l'attenzione, puntando a ci che rilevante e ignorando il resto, un copione permette che le infinite deduzioni possibili si incanalino lungo dei passaggi che diano un senso a un particolare avvenimento. In tal senso ci che rimane all'esterno viene pertanto considerato come "deviarne" o "sfuggente", non suscettibile di organizzazione secondo schemi preordinati e non riconducibile al "gi noto".

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un altro, parallelo, viene ignorato,11 trattato come se avvenisse fuori dal contesto; e dato che i flussi sono simultanei, il binario dominante deve essere evidenziato dall'intero montaggio dell'attivit. Il contesto, allora, appare condizione fondamentale per la appercezione e la comprensione dei caratteri e delle differenze; queste, infatti, secondo G. Bateson per esistere (...) non solo hanno bisogno di circuiti, ma anche di contesti perch nel mondo della comunicazione niente pu avere significato se non in presenza d'altro. 12 Sempre secondo Gregory Bateson il contesto che fissa il significato e che classifica il messaggio.13 Se da un lato, allora, la definizione del "contesto" (come frammento delimitato e isolato del mondo delle idee) appare strumentale e necessaria per la comprensione, (in termini intersoggettivi), di un particolare ambito (che viene in tal modo delimitato e messo, in un certo senso, tra "parentesi" che segnano i confini in termini di contenuto, di spazio e di tempo), dall'altro la stessa demarcazione rischia, se attuata tramite l'uso di tecniche rigide o basate su linguaggi scarni o impoveriti, di circoscrivere angusti ambiti di significato, incapaci di misurarsi con la ricchezza e con la complessit del mondo. In tale chiave il linguaggio che si confronta con ci che viene definito "deviarne", e che si caratterizza come manifestazione espressiva che esula dalla rappresentazione convenzionale o dalle descrizioni ca11 Dal testo citato di Goleman proviene un ulteriore e pi concreto suggerimento: i binari paralleli - dentro e fuori dal contesto - creano una struttura nella consapevolezza sociale che riproduce la divisione all'interno della mente tra conscio e inconscio. Quello che fuori dal contesto anche fuori dalla consapevolezza consensuale, in una sorta di limbo collettivo (...) le zone delimitate fuori dal contesto possono servire a nascondere fatti sociali disturbanti, creando una parte cieca sociale. La societ produce contesti che indirizzano la nostra consapevolezza verso un aspetto dell'esperienza e lo allontanano da altri, e in urbanistica questa prassi reputata come assolutamente necessaria, ma estremamente pericolosa. Le scelte culturali e politiche nascondono, quindi, volont forti di manipolazione e rimozione di fatti sociali ritenuti incomprensibili o disturbanti; va sottolineato che tali "rimossi" possiedono una valenza distruttiva di ritorno, generando pressioni che tendono a mettere in crisi il sistema precedentemente organizzato. In tale ottica prendere in considerazione il linguaggio - quale strumento attivo e dotato di progettualit, e quale materia di base nella formazione dei "contesti" - vuole riflettere su alcune potenzialit delle discipline territoriali che, proprio attraverso il linguaggio del progetto, procedono all'organizzazione di schemi condivisi, che segmentano la realt e selezionano la porzione che di volta in volta va resa visibile. 12 G . Bateson, Una sacra unit. Altri passi verso un'ecologia della mente, Adelphi, Milano, r997. 13 G . Bateson, Mente e Natura, Adelphi, Milano, 1984; G . Bateson, Verso un'ecologia della mente, Adelphi, Milano, 1976.

noniche o prestabilite, pu essere invece riguardato come elemento vivificante la disciplina. Come infatti reputano Kuhn, Feyerabend o Putnam le deviazioni linguistiche sono legate a rivoluzioni culturali, a dinamiche economiche o politiche, a istanze sociali, a riorganizzazioni gestaltiche. Deviazioni e "derive", dunque, - proprio per la capacit di proiezione del rimosso o del particolare sfuggente all'analisi categoriale o tipologica - possono rappresentare la frontiera dell'innovazione, il limite che perennemente si sposta alla ricerca di nuovi e pi problematici assetti. Le derive linguistiche (che possono essere rappresentabili anche tramite differenti modalit descrittive) possono rendere visibile la rete di forze che agiscono e strutturano il contesto territoriale, quelle forze non del tutto irreggimentate, prima che si sia proceduto ad una codificazione rigida tramite categorie ortodosse. In urbanistica diviene "deviante" ci che non appare conforme ai dogmi, ai paradigmi dominanti, alle prassi consuete. La formazione culturale della disciplina costruita su ininterrotte e cartesiane selezioni e su processi di sintesi: elementi della realt vengono inclusi all'interno dei "contesti" ed elementi della realt vengono esclusi e relegati nell'ambito del rimosso e dell'ingovernabile; tale operazione si esplica in ambiti apparentemente pi concreti come le scelte localizzative (ad es. nel X I X secolo la costruzione di carceri, fabbriche, manicomi o mattatoi fuori dalla cerchia urbana), come nella sfera, solo apparentemente immateriale, del sociale, del politico, dell'economico. Venendo meno la delimitazione delle mura storiche, proprio l'estromissione del deviante (ci avviene sia a livello materiale, che immateriale) che contribuisce a definire il campo esterno da quello interno,14 a delimitare la citta dalla non citta, e di conse14 Un brano tratto dal romanzo Nel Bosco, di T. Hardy (1887), mette in evidenza quanto alla periferia urbana (luogo dello "scarto" e della "depravazione morale") - e alla compagine sociale che la abita - , venga attribuita un'accezione fortemente negativa: In quel periodo, come avviene sempre con l'arrivo dell'inverno, il bosco si stava trasformando e da rigoglioso che era cominciava a farsi strano: gli angoli prendevano il posto delle curve e i reticoli soppiantavano le superfici (...). Procedettero in silenzio su luminosi tappeti di licheni: a tratti fecero frusciare le foglie sotto i loro piedi; costeggiarono tronchi dalle enormi radici che, con le loro cortecce ricoperte dal muschio parevano mani inguantate di verde; urtarono talvolta un vecchio olmo (...). Su alberi ancora pi vetusti funghi giganteschi crescevano simili a polmoni. L come ovunque l'incompiuto disegno in virt del quale la vita ci che appariva manifesto tanto quanto la folla depravata di un ghetto suburbano. Le foglie erano deformi, mostruosa la curva del tronco, e la crescita atrofizzata; il lichene divorava il fusto un tempo vigoroso, e l'edera strangolava a morte ogni tenero virgulto.

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guenza a designare - in base e attraverso la collocazione spaziale classi e gruppi dominanti. Linguaggi locali, memorie, racconti, rappresentano il patrimonio su cui citt e territorio si fondano; e la rifondazione collettiva, attuata tramite il piano, organizzata attraverso il linguaggio proprio della disciplina - saldamente strutturato mediante leggi e codici pu essere contaminata dall'esperienza, dalla sensibilit, dall'emotivit delle immagini elitarie della letteratura, cos come da quelle particolari o da quelle pi comuni e meno colte: in questo senso il linguaggio del piano, la trama su cui esso edificato, cos come la trama del contesto, pu essere costituito da immaginazione e memoria, cio dal desiderio di trasformazione e dal residuo di ci che ha avuto luogo. Nonostante l'urbanistica oscilli tra una sofferta accettazione di crisi e un soffocante delirio di onnipotenza - tra il provvisorio e il definitivo - il linguaggio, specie nei piani che principalmente sono strumenti operativi, spesso formalizzato attraverso modalit pragmatiche o affermative, pi volte distanti da un'espressivit che include visioni allargate, poetiche o esplicitamente problematiche; le catene traduttive, 15 alla base dei linguaggi e dei codici, sono fondate su sistemi di rappresentazione che, per statuto, riproducono soprattutto ci che attiene alla sfera concreta e materica. Il linguaggio dell'urbanistica spesso sancisce, in una prospettiva dichiaratamente fattuale, la propria capacit di rendere in modo esatto e circostanziato il mondo esterno, del quale proprio il piano - come sistema che interpreta il presente e il passato oltre al futuro - si autolegittima come duplicato e specchio, con caratteristiche di fedelt e corrispondenza. I costrutti linguistici disciplinari, pur essendo incerti testi in continuo regime di provvisoriet, spesso trattano la realt rappresentata come fosse una struttura definitiva e solida - in tale chiave l'incertezza manifestata quella rassicurante, che non crea spaesamento, che pu ricondursi al dubbio "iperbolico" di matrice cartesiana senza considerare che forse possibile fissare, di volta in volta, solo una delle probabili intermedie decodificazioni e che non si pu parlare, forse, di verit, ma solo di differenti azioni interpretative.
13 G . Prodi, Linguistica e biologia, C. Segre (a cura di) Intorno alla lingustica, Feltrinelli, Milano, 1983.

Procedendo da tale quadro e cercando un superamento della sola visione critica, obiettivo generale, il mantenimento della vitalit delYobjectum disciplinare: citt e territorio si trasformano e tale trasformazione andrebbe, attraverso il progetto, governata e compresa. Esercizio impegnativo che rende necessaria la mobilitazione di dinamiche creative mirate al ripensamento e al superamento critico degli ordinamenti e dei linguaggi rigidamente tassonomici che classificano, ma non definiscono, n esprimono la natura delle cose: l'ossessione occidentale dell'indagine, dell'analisi, della classificazione di tutte le forme viventi essa stessa un modo di soggiogare, di dominare psicologicamente e tecnicamente. E inevitabile che il pensiero analitico adulteri o distrugga la vitalit del suo oggetto.16 La ricerca, cos orientata, conduce verso la riscoperta di incroci e contaminazioni che affrontino quel "complesso labirinto di interazioni" che efficacemente connota gli oggetti della nostra disciplina. Questa si configura nel tempo come un sapere complesso, di sintesi, entro cui si aggregano differenti apporti e s'intrecciano diverse modalit di rappresentazione. Uno degli aspetti pi interessanti della costruzione del progetto , infatti, quello relativo all'antitesi/collaborazione tra saperi che possiedono una differente natura, oltre che una diversa articolazione. M. Foucault ha rappresentato tale tensione, riferendosi al ruolo dei cosiddetti saperi assoggettati; questi appaiono costituiti dai contenuti storici che sono stati sepolti o mascherati entro coerenze funzionali o in sistematizzazioni formali (...) solo i contenuti storici consentono di ritrovare la rottura degli scontri e delle lotte che gli arrangiamenti funzionali o le organizzazioni sistematiche hanno appunto per scopo di mascherare. Dunque i saperi assoggettati sono questi blocchi di saperi storici che erano presenti e mascherati all'interno dei sistemi funzionali e sistematici, e che la critica ha potuto far apparire attraverso gli strumenti dell'erudizione; a tale concetto va sommata, sempre secondo il filosofo francese, un'ulteriore specificazione: possono essere definiti saperi assoggettati tutta una serie di saperi che si erano trovati squalificati come non concettuali o non sufficientemente elaborati: saperi ingenui, saperi gerarchicamente inferiori, saperi collocati al di sotto del livello di conoscenza o di scientificit richiesto. Ed attraverso la riappa16

G . Steiner, La nostalga..., op. cit.

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rizione di questi saperi dal basso, di questi saperi non qualificati o addirittura squalificati (...)- quel sapere che chiamerei "il sapere della gente" (e che non affatto un sapere comune, un buon senso, ma al contrario un sapere particolare, locale, regionale, un sapere differenziale, incapace d'unanimit e che deve la sua forza solo alla durezza che oppone a tutti quelli che lo circondano) - attraverso la riapparizione di questi saperi locali della gente, di questi saperi squalificati, che si operata la critica. 17 Possiamo allora immaginare e desiderare un linguaggio plurale ? Possiamo accettare ed essere consapevoli che qualunque linguaggio , forse, provvisorio ? Che ogni definizione passibile di cancellazione, revisione, aggiustamento? Concetti come "diversit culturale", "intersezione", "contaminazione" andrebbero trasposti nell'ambito della ricerca sui linguaggi per la descrizione e rappresentazione dei fenomeni territoriali; lo studioso V. V. Ivanov,18 a tale proposito, attesta: ogni lingua costituisce un certo modello dell'universo, un sistema semiotico di comprensione del mondo, e se abbiamo 4000 modi diversi di descrivere il mondo questo ci rende pi ricchi. Dovremmo occuparci della preservazione delle lingue cos come ci preoccupiamo dell'ecologia. Si pu affermare che occorre mantenere un'espressivit complessa - esaltando le potenzialit dei differenti modi e generi descrittivi - cos com' opportuno serbare le singole parole che appaiono come universi insostituibili, tutelando sia l'eterogeneit idiomatica (rappresentata anche dall'etimologia o dalla declinazione di significati come - ad es.- il vocabolo "citt" che nelle diverse lingue europee ciudad, city, town, Stadt, cite, ville - veicola differenti valori semantici, differenti idee urbane), sia, ancora, la memoria dei termini, anche quelli il cui senso sembra essere dotato di un campo semantico ristretto o non esportabile, minimalista, oppure eroso o desueto. La lingua conserva le tracce dell'esperienza, rappresenta la trama visibile che offre all'occhio, e al sentimento i sedimenti della cultura. Per questo, oltre all'espressivit delle lingue letterarie e di quelle locali, quotidiane, andrebbe conservata la traccia dei passaggi lessicali, osservando puntualmente, e interpretando, la registrazione delle suc17

cessive "speciazioni" linguistiche, che spesso in urbanistica vira verso una banale omogeneizzazione. Le parole e le storie raccontate che permangono e che si trasformano - foneticamente e semanticamente - oltre la loro debole apparenza portano le tracce delle storie degli uomini e dei luoghi; la storia pu essere, infatti, raccontata dalle parole, che sono strumenti di creazione del mondo. Le tecniche descrittivo-progettuali fondate sul dominio degli enunciati generalizzanti, forse, non devono misurarsi coi linguaggi naturali, che possono essere considerati come sistemi olistici, e con il pluralismo delle lingue locali ? Non dunque possibile che si includa, nel linguaggio rigido e duro delle scienze, la leggerezza, la variabilit, la tendenza (disponibilit) alla trasformazione che sono potenzialmente connaturate alle lingue letterarie e parlate ? Le parole che descrivono il mondo come fosse una summa di categorie omogenee e indifferenziate, non devono forse accogliere e manifestare lo spessore emotivo che proprio dello spazio e del tempo?19 La cultura fondata anche sul linguaggio, sull'intersezione e sull'equilibrio (anch'esso delicato e variabile) tra linguaggi locali e sovralocali. La contaminazione, piuttosto che la purezza e l'omologazione linguistica sono, forse, strategie auspicabili, e si pu affermare che la storia di una lingua perfetta20 o immutabile - nata per eliminare i difetti delle lingue naturali - la storia di una utopia negativa. Il piano in condizione di accogliere e catalizzare i racconti dei luoghi, le storie locali, le contraddizioni, il caos ? Il linguaggio del piano pu aprirsi - considerando che la verit che viene espressa non n pura, n immutabile, n definitiva - manifestando liberamente la sua endogena tendenza alla transitoriet ?

M. Foucault, Bisogna difendere la societ, Feltrinelli, Milano, r998. V. V. Ivanov, Reconstructing the Past, Intercom, University of California, Los Angeles, 1992.
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19 Durante il X X secolo sono stati attuati enormi progressi sia per quanto attiene la conoscenza, sia nell'ambito delle specializzazioni delle differenti dottrine. Ma tale ultimo processo ha prodotto - paradossalmente - un moto che potrebbe definirsi retrogrado: alla specializzazione corrisponde, infatti, una frammentazione della globalit del mondo e della sua complessit. In tal modo la descrizione di ci che attiene all'umano appare smembrata: discipline come per esempio la biologia, la sociologia, l'economia rappresentano parziali e frammentate realt. Considerare l'apporto della letteratura e della poesia quale sistema di restituzione del mondo, in tale chiave, vuol dire includere dimensioni come quella psichica, soggettiva, esistenziale... e, nel contempo, vuol dire comparare criticamente le rappresentazioni del mondo che derivano da pi ortodosse matrici con tali visioni globali e integrative. 20 U. Eco, La ricerca della lingua perfetta..., op. cit.

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Il linguaggio del piano soggetto a grande variabilit, una configurazione tendenzialmente incompiuta e aperta in cui transitano, lottano e si sedimentano esperienza, cultura, tecnica e tradizione; immaginare di fissarlo per sempre entro un genere o un'armatura tenace e perfetta significa annullare il valore della storia e proiettare la rigidit della visione utopica (che davvero il non luogo e il non tempo) nello spazio e nel tempo. Esplorare le elasticit degli strumenti urbanistici aiuta a riflettere anche sul fatto che essi sono congegni di manipolazione e di modificazione autoritaria dei contesti antropici, a tutti i livelli: il linguaggio del piano una delle manifestazioni in cui il potere si esplicita e si esercita. Il linguaggio dotato di profondit e risonanza e anche le lingue tecniche e scientifiche, estremamente impoverite, perch condotte verso la specializzazione e l'evidenza sono dotate di una feconda e persistente ambiguit. Ma, nonostante ci, come suggerisce F. Choay la citt, attraverso la modellizzazione e la rigidit linguistica, ha subito il trauma della buona forma. 21 Attraverso le logotecniche22 scarne e estremamente selettive degli urbanisti - in certi casi si pu parlare di "antilinguiaggio", come retorica che incarna l'altra faccia del linguaggio umano, e che lo annienta - stata, a volte, negata la profonda natura della citt ed stata negata l'inesprimibile unit sociale e biologica che la lega al suo territorio - unit che a volte sembra insorgere prepotentemente da altre descrizioni - privilegiando gli aspetti localizzativi o distributivi, non considerando che l'organizzazione urbana dovrebbe travalicare questa dimensione.23 Il carattere incerto dell'urbanistica, forse deve essere inteso come una qualit potenziale. E il linguaggio del piano pu tornare ad assumere - attraverso l'inclusione di "contaminazioni" linguistiche e
F. Choay, La citt..., op. cit.. Come suggerisce H. Arendt in L'immagine dell'inferno, del 1946, L'immagine dell'inferno..., op. cit., vi una stretta connessione, variamente declinata, tra linguaggi e codici scientifici e regimi impositivi: questi si avvalgono spesso - per asserire verit e per esercitare il potere - di ipotesi pseudo scientifiche. Tale estrema affermazione viene richiamata pi che per il valore apodittico, perch spinge a riflettere su uno dei possibili utilizzi dei linguaggi scientifici: questa scientificit (scientificality) - afferma infatti la filosofa tedesca - il tratto comune a tutti i regimi totalitari del nostro tempo. Ma ci significa semplicemente che il potere costruito dall'uomo - per lo pi distruttivo - viene sublimato nelle sembianze di un'autorit superiore e sovrumana da cui deriva la sua forza assoluta e indiscutibile. 23 Vd. F. Indovina, Pianificare? E una necessit, Sapere, aprile 1999.
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la creazione di campi disciplinari "impuri", come accade naturalmente nelle lingue parlate - come parte di s lo spessore "emotivo" del mondo, che spesso sfugge al dogma scientifico, all'esigenza classificatoria, all'enunciazione della verit assoluta, virando verso i modi del linguaggio del romanzo, della descrizione letteraria. Questi fanno parte - per la loro natura fluida capace di ingannare la rigida categorizzazione del lgos scientifico - di un sapere che pu definirsi storico, locale, individuale, soggettivo, parziale, che consente di integrare, e forse sopravanzare, l'osservazione zenitale, sovralocale ed astratta, con una coscienza inclusiva e con una visione che intende rappresentare in alcuni casi il minuto racconto degli eventi, e che, ancora, consente di inoltrarsi all'interno del complesso labirinto territoriale camminando attraverso.24

24 P. Geddes, The City Beautiful - In Theory and Practice, in Garden Cities and Town Planning, III, 1 9 1 3 , cit. in G . Ferrara, Rieducazione alla speranza. Patrik Geddes planner in India 1914-1924, Jaca Book, Milano, 1998.

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Parigi, Barcellona, Firenze tra topografia reale e immaginaria

Il linguaggio tecnico dell'urbanistica - che rappresenta uno spazio in cui a volte, il sociale appare separato dall'economico, o dal simbolico - agisce per riduzione, costringendo in relazioni spiegabili, profonde fusioni e unit che non possibile scostare, e trasferendo sfumate e indefinite qualit immateriali in legende, diagrammi e grafici: in tale chiave di lettura dunque, le questioni "linguistiche" quali strumenti interpretativi e generativi dei contesti, e i problemi teorici ad essi direttamente collegati non sono affatto marginali. A. Gramsci,1 nel '47, ha acutamente osservato che vi un nesso tra il dibattito sulle questioni della lingua e la questione dell'egemonia, cio sul rapporto di dipendenza tra le classi sociali pi basse e quelle dominanti: soprattutto in questo senso che la riflessione sulle tecniche linguistiche trascende l'aspetto puramente speculativo e, ogni qualvolta che in un modo o nell'altro affiora la questione della lingua, significa che si sta imponendo una serie di altri problemi: la formazione e l'allargamento della classe dirigente, la necessit di stabilire rapporti pi intimi e sicuri tra i gruppi dirigenti e la massa popolare, cio di riorganizzare l'egemonia culturale. Tramite il convenzionale disegno di ci che appare dello spazio vissuto - con cui viene garantito un controllo tecnico e formale di spazio, tempo, esecuzione, gestione, procedure - viene comunque veicolato, specificamente tramite le parole del piano, un contenuto ideologico e simbolico. Forma e ideologia, - la prima immediatamente visibile, la seconda pi implicita e latente, e appartenente ad una "visione" non prioritariamente materica - sono intrecciate e presenti in ogni strumento di pianificazione, in ogni disegno urbano e territoriale. Progetto della forma urbis e progetto di civitas, dunque, sono strettamente collegati.
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In tal senso la "visione" (in senso humboldtiano)2 va intesa come capacit di integrare, di immaginare, trasformare e vedere, oltre la pura visibilit: visioni etiche, profonde, complessive che si ampliano oltre il "segno" permanente o effimero sul territorio. La capacit o l'incapacit di vedere attiene, in tale accezione, ad ambiti soprattutto immateriali e simbolici: J. Saramago in Cecit narra come la perdita della capacit di vedere spinga un'intera comunit, inesorabilmente e progressivamente, verso il pi tetro abbrutimento; in quel caso, ed anche a proposito della capacit di generare visioni dell'urbanistica, la perdita della vista espressione metaforica dell'ignoranza della percezione, comprensione, partecipazione, manifestazione di deresponsabilizzazione, di estraniamento, dell'inabilit di vedere etica, assai pi profonda e grave di quella strettamente ottica. La formazione di un repertorio linguistico specialistico risente e partecipa sia degli avanzamenti delle discipline cointeressate, sia di molteplici e diversi apporti culturali, che delle condizioni esterne dei contesti: in tal senso espressione linguistica e contesto sono legati da una relazione co-evolutiva, il linguaggio , pertanto, parte attiva nel diagramma delle forze che determinano la realt. In altri termini le architetture linguistiche vengono influenzate e, nel contempo influiscono - fornendo soluzioni, rendendo visibili o occultando nodi e problemi - sulla formazione dei contesti umani. Il linguaggio possiede un ruolo preciso nel processo continuo di rifondazione urbana e territoriale, attraverso le trasformazioni verbali, attraverso le parole che descrivono la citt e il territorio si assiste ad un processo continuo ed ininterrotto: la citt cambia insieme al "nome" 3 che la definisce forma, natura, trama, consistenza, mutano i rapporti con le risorse, cambia l'idea di civitas, si modificano i rapporti tra comunit insediate e Terra. Per ci che attiene alla formazione del linguaggio urbanistico - appare di grande interesse il passaggio dalla citt storica a quella con2 Si rimanda a Il pappagallo degli Atures, introduzione di F. Farinelli ad A. von Humboldt, Quadri della natura, La Nuova Italia Editrice, Scandicci, (Firenze), 1998, pubblicati per la prima volta a Tubinga nel r8o8. 3 M. Foucault, Le parole e le cose. Un'archeologia delle scienze umane, BUR, Milano, r978, mostra la natura insieme equivoca e assertiva del linguaggio, affermando che esso, pur avendo smarrito la propria trasparenza prima; un segreto, il quale porta in s, ma alla superficie, i segni decifrabili di ci che intende dire, quindi anche se il linguaggio non somiglia pi immediatamente alle cose che nomina, non per questo separato dal mondo; continua sotto forma diversa ad essere il luogo delle rivelazioni e ad appartenere allo spazio in cui la verit, ad un tempo, si manifesta e si enuncia.

A. Gramsci, Quaderni dal carcere, Einaudi, Torino, 1975.

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temporanea, e tale passaggio pu venire emblematicamente rappresentato proprio dalla riforma del rapporto tra citt e territorio. Tale relazione, oggi come duecento anni fa - anche se in epoca contemporanea interpretabile attraverso inediti paradigmi, come quello ambientale - appare cruciale e non risolta. Fin dalla met del X I X secolo la disciplina organizza se stessa intorno a tale centrale nodo, edificando una struttura scientifica innovativa e stabilendo nuovi confini: per la citt e per il piano. Vengono, infatti, dalla seconda met dell'Ottocento, attivate strategie interpretative per codificare e gestire differenti realt urbane. Da questo punto di vista Parigi, Barcellona e Firenze si configurano come ideali e concreti laboratori di sperimentazione. Le tre citt evocate attraverso questa antologia sono pure accomunate dall'essere o dall'essere state "citt capitali", citt principali di uno stato, qualit che va oltre la sola istituzione amministrativa o giuridica. Una capitale pu essere "originaria", se essa stessa matrice dello stato; "designata", se scelta tra le varie citt dello stato durante o dopo la sua costruzione; "fondata" se creata ex novo. Evidentemente Parigi, Firenze e Barcellona possono essere definite citt capitali. Ma l'essere "capitale" comporta - ed questo uno degli oggetti di riflessione - un'azione di mantenimento e creazione continua. E in tale chiave che si intende rileggere un processo comune alle tra citt osservate: durante la met del XIX secolo esse vengono rifondate - acquisendo un volto solenne4 - tramite un'azione complessa compiuta in forza di un'intenzionalit politica5 resa
G . Macchia, Le rovine..., op. cit. Lo studio della Parigi haussmanniana, raccontata da E. Zola ne La cure per esempio, evidenzia quanto accesso alle cariche pubbliche, o diritto di cittadinanza siano appannaggio di gruppi ristretti ed economicamente dominanti. Nella capitale francese tale fenomeno espresso gi a partire dalla designazione dello stesso Haussmann che, nominato direttamente da Napoleone III, acquisisce un potere per delega dall'alto, piuttosto che tramite una competizione elettorale democratica. Come afferma C. Ajmonino nel 1975, l'amministrazione pubblica dell'epoca era correlata alla classe borghese, i cui interessi materiali erano sempre pi legati al mantenimento della macchina statale. Ci focalizza l'attenzione su una particolare categoria di attori sociali; tale struttura elitaria di potere presente - con le dovute peculiarit - in tutt'e tre le citt oggetto dell'Antologia. A Parigi la composizione del Consiglio Municipale emblematica: durante la prefettura Haussmann dei 1 1 4 membri nominati 38 erano funzionari di alto rango, 36 industriali, 31 banchieri e professionisti, 8 proprietari e solo uno - dal 1869 - operaio. Anche in questo caso emerge uno dei temi ambigui dell'urbanistica dell'Ottocento relativo alla distanza tra enunciato e realizzazione: viene, infatti, propagandata la volont di creazione di una citt per il popolo, mentre si edifica una citt aristocratica e borghese; sono davvero pochi i momenti in cui la citt appartiene agli operai e ai proletari (ad es. le rivoluzioni, a Parigi nel racconto di Courbet, a Barcellona nel '36 nel racconto di Orwell).
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operativa per mezzo di un progetto urbanistico unitario, solo in alcuni casi supportato da una solida impalcatura teorica. E riflettere sull'intenzionalit politica come radice del progetto urbanistico mira a comprendere per, contro, tramite cosa e a favore di quali gruppi, obiettivi, modi, tempi, risorse (biologiche, economiche, culturali, politiche) si costruisca tale volontariet; chi siano e in che maniera agiscano i soggetti coinvolti {planners, politici, cittadini) e quali azioni (politiche, culturali) interdipendenti vengano messe in atto per attivare e portare avanti i processi. La citt cambia e va continuamente rifondata, e ci accade anche per il tramite delle descrizioni e degli enunciati teorici e concreti che tentano sia la riconfigurazione di unit perdute, sia la rivelazione di nuove identit territoriali. L'attenzione alla descrizione ottocentesca, sia urbanistica che letteraria, si basa sulla convinzione che i linguaggi su cui tali forme sono costruite compendi le forze (sintesi, efficacia, chiarezza, espressivit, organizzazione) possedute dalle strutture scientifiche di fondazione, insieme a modalit espressive proprie delle lingue naturali o parlate. I linguaggi di una scienza in formazione, i "manifesti", sono caratterizzati da incisivit e spesso formalizzati in antitesi con i linguaggi precedenti. Confusione, fraintendimento, trasformazione e slittamento sono successivi e rappresentano una fase intermedia che anticipa le riorganizzazioni della percezione. In urbanistica (come in letteratura) le descrizioni urbane e territoriali - tra Ottocento e Novecento - registrano e producono il grande cambiamento della citt alla ricerca di un nuovo e pi ampio ordine, e tali trasformazioni sono tradotte con un linguaggio che integra la spiegazione specialistica con l'aspetto descrittivo, ancora ampiamente presente. Con le successive stabilizzazioni e configurazioni degli statuti disciplinari, e con la formazione - se pur incerta e fluida - dell'urbanistica come scienza, tale interessante incrocio tender a sparire. Grave perdita che ha - a volte - condotto la disciplina verso astratte modellizzazioni, verso un progressivo impoverimento ideativo e verso la perdita di immaginazione intesa come capacit di informare e trasformare creativamente. In epoca post ottocentesca il linguaggio urbanistico - parole e immagini verbali e visive - andr sempre pi verso la struttura notazionale, verso la registrazione nomotetica, verso il lgos e il nmos, ab89

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bandonando la descrizione icnografica e la sfera della physis, prima accuratamente rimossa e poi solo successivamente recuperata. Il contatto ancora esistente tra linguaggio scientifico e letterario durante l'Ottocento, fa s che i piani di quel periodo possano essere letti come teorie scientifiche e contemporaneamente come utopie letterarie, come proiezioni del desiderio - caratteristica che ogni forma di piano potenzialmente conserva - mirate alla costruzione di una citt che sia, prima ancora che realizzabile, interamente immaginata. Le tre citt oggetto di riflessione vengono osservate attraverso l'impronta che traspare dai testi che le hanno descritte e generate, ribadendo che le diverse forme narrative (il piano e la descrizione letteraria) possiedono complementari potenzialit non antagoniste essendo, in termini ideali, strumenti capaci di accogliere, condensare e trattenere le elaborazioni culturali e teoriche, gli avanzamenti degli statuti, la memoria e le "voci", le relazioni sociali degli abitanti; in particolare il frammento letterario, che va decifrato insieme ad altri sistemi di interpretazione, dispiega il suo valore in ambito qualitativo e quantitativo, per la quantit delle informazioni e per la modalit con cui queste sono espresse, modalit che rende pi evidenti i nodi irrisolti, le incoerenze, la dinamica dei luoghi. Un eloquente esempio: Zola ne L'ammazzatoio restituisce un'immagine di grande interesse a proposito delle dinamiche demografiche nella Parigi haussmanniana; il brano (incluso nell'antologia) mette in risalto quanto la descrizione letteraria sia in grado di rendere gli aspetti qualitativi e quelli quantitativi, integrandoli, evidenziando, per esempio, il pendolarismo dell'immensa e omologa folla che ogni giorno - all'alba - si riversa sulla grande citt, che la accoglie, la fagocita e la inghiotte. Ci che interessa ricostruire non una descrizione ordinata delle fasi storiche. Pi che fornire un'interpretazione univoca si vorrebbe, poi - tramite l'accostamento di linguaggi, verit parziali ed interpretazioni diverse - fornire al lettore di citt una trama, a partire da cui egli possa provare ad avviare una "conoscenza per citazioni" (e per questo meno gregaria e frammentata), componendo anche una propria rilettura dei luoghi. Ovviamente gi presente una traccia, suggerita al lettore e la scelta dei testi gi contiene e anticipa alcune delle tante possibili interpretazioni. Ogni regesto costruito su ciascuna delle tre citt possiede, forse, uno o pi testi chiave. Questi frammenti raccontano una fase im132

portante dell'evoluzione urbana e insieme rappresentano, oltre la storia, alcuni elementi propri dell'intreccio tra luoghi e abitanti. Parigi Il testo di riferimento per Parigi potrebbe essere La cure; tutti gli altri ruotano intorno al racconto di Zola, anche se non sempre concordi o coerenti con quanto affermato dal romanziere francese. La cure tratta un tema significativo relativo alla citt che sacrifica parte del suo originario valore simbolico, trasformandosi in "mercato", vale a dire nel tessuto connettivo che mette in rapporto tra loro proprietari di beni di consumo o di mezzi di produzione non destinati al consumo o all'impiego produttivo da parte degli stessi proprietari. In tal modo la citt converte il valore d'uso in valore di scambio, divenendo essa stessa merce, spazio in cui predomina il modo di produzione capitalistico e che pertanto si offre, appunto, come una immane raccolta di merci.6 In tal senso i compratori della bottega della comunit preindustriale sono sostituiti dalla folla eterogenea e fluttuante della metropoli postindustriale; a livello del disegno urbano tale lievitazione dell'articolazione commerciale si traduce in passages e arcades,1 sequenze di negozi coperti, che permettono il trasferimento della vita sociale in strada e consentono di utilizzare al massimo l'illuminazione artificiale.8 Fino a quando ci si occupa di oggetti e manufatti dal punto di vista della loro utilit emergono alcune caratteristiche, ma se gli stessi oggetti vengono considerati come merci - inserendoli in un contesto di scambio - si manifestano altre propriet che trascendono dalla natura materiale dell'oggetto: come afferma Marx ne II Capitale una merce perci una cosa misteriosa, semplicemente perch in essa il carattere sociale del lavoro umano appare come un carattere oggettivo impresso sul prodotto di quel lavoro; perch la relazione dei pro6 7

K . Marx, Il Capitale, Einaudi, Torino, 1 9 7 5 . A Parigi il passage de La Reine-de-Hongrie aperto nel 1 7 7 5 ; durante la Rivoluzione, il Direttorio e sotto l'Impero se ne istituiscono altri, con un ulteriore incremento durante la Restaurazione e il Secondo Impero; nel r878 se ne possono elencare circa 80; P. Sica, Storia..., op. cit. 8 . Zola, Le Ventre de Paris, in Les Rougon-Macquart. Histoire naturelle et sociale d'une famille sous le second Empire, I, Robert Laffont, Paris, 1992.

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duttori con la somma totale del loro lavoro presentata ad essi come una relazione sociale esistente non tra essi, ma fra i prodotti del loro lavoro, i rapporti tra gli individui appaiono dunque non come rapporti immediatamente sociali tra persone nei loro stessi lavori, ma anzi come rapporti di cose tra persone e rapporti sociali fra cose. Per comprendere quali dinamiche siano sottese all'affermazione della borghesia come gruppo dominante occorre riflettere sulla formazione della citt capitalista - dove si afferma un sistema di valori che pu essere definito "concorrenziale" e "accumulatilo" - , osservando sia il ruolo del capitale nell'organizzazione urbana, sia il ruolo della citt stessa nell'economia capitalista. Tale ambivalente funzione si istituzionalizza nella formazione della grande metropoli contemporanea. La Parigi di Haussmann ne forse l'esempio emblematico: il prefetto della Senna, selettivo e grande demolitore,9 promuove l'industria fondiaria; egli inventa l'alloggio, alla stessa stregua di Ford che, 30 anni dopo, inventer l'automobile. Istituisce il modo di investire cospicui capitali nella costruzione di abitazioni guadagnando come e pi che investendo fondi in qualsiasi altra industria. Come racconta Zola in La cure, la citt stessa, dunque, ad essere la filiera produttiva: il suolo trasformabile la materia prima, l'alloggio il prodotto finale della catena di produzione; il mercato, poi, coincide con il luogo d'esistenza della materia prima. Considerare la casa come nucleo originario della progettazione urbana prassi consueta, legata a ragioni simboliche, teoriche, operative e contingenti. Proprio durante il X I X secolo il governo della citt che tende ad espandersi in maniera indeterminata, rende necessaria la ridefinizione del ruolo di componenti dalle dimensioni controllabili, misurabili e quantificabili, come - per esempio - il sistema delle strade e gli alloggi. In particolare l'isolato diviene l'elemento minimo, ripetibile, standardizzato e omologo - da sottoporre a normativa specifica - tramite cui esercitare il controllo sulla dislocazione intenzionale delle classi sociali e sulla densit, rapporto critico che intercorre tra popolazione insediata e superficie. La
9 G . Macchia, Le rovine di..., op. cit. Il prefetto Haussmann - animato da vis riformista - guidato da un preciso modello ideologico e stilistico: metabolizzando alcune idee mutuate dagli scritti di autori come Voltaire, egli tiene in grande considerazione solo alcuni luoghi della Parigi preesistente; tra questi la piazza di St. Germain l'Auxerrois, costruita durante la seconda met del '600 grazie al genio di Perrault, come scrive proprio Voltaire nel 1749.

trama ortogonale o regolare degli isolati il perfetto ordinamento di sostegno che consente di distribuire sul territorio gli abitanti, le funzioni, il verde; inoltre la partizione regolare esprime un "magico" equilibrio formale e sociale, assicura un controllo collettivo centralizzato, contrapponendosi alla tortuosa forma urbis medievale, luogo in cui (secondo l'interpretazione dell'urbanistica ottocentesca) si manifestano patologie e disordine morale. La maglia regolare consente di prefigurare una tipologia residenziale standardizzata: la fase del progetto e della costruzione si semplifica come il montaggio di una macchina, sintetizza efficacemente I. Cerd nella Teoria General de la Urbanizacin del 1867. L'intervento urbanistico nel suo complesso viene mediato - ripartito - dall'intervento sull'alloggio: autori come Engels, Hastings, come il medico francese F. Lachaise (rispettivamente nel 1844, 1858, 1832) o Marx che ne II Capitale afferma anche la classe operaia che sta meglio viene colpita sempre pi dalla maledizione di queste indegne condizioni dell'alloggio, focalizzano l'attenzione sui requisiti qualitativi e quantitativi della residenza, descrivendo le citt come luoghi malsani dove non si trova pi spazio da occupare, dove l'elevata mortalit diretta conseguenza dell'angustia delle vie, dell'altezza della case e del sovraffollamento. Anche a partire da tali reiterate considerazioni si manifesta una discrasia tra citt nel suo complesso e citt per frammenti: nella citt ottocentesca, come in quella contemporanea, come nota Mumford, l'unit essenziale urbana non il quartiere, ma l'isolato, progettato in funzione di un'arteria del traffico. 10 Tornando al testo di Zola, ci che emerge - in termini generali la variazione del legame citt/territorio e comunit/luogo e, pi specificamente da un lato, il diverso rapporto con la produzione prima considerata come sforzo corale diretto al sostentamento della comunit poi trasformatasi in approntamento di merci dirette al10 L. Mumford, La citt..., op. cit,. Tale modo di intendere la citt - come addizione di parti - si avvale di altri paradigmi e apporti disciplinari, come le elaborazioni teoriche di Voltaire che, nel ^ 6 4 in Dizionario filosofico, definisce la patria come un insieme di tante famiglie o di F. Le Play che studia la struttura sociale a partire dalla famiglia - quale unit di base - forma pi semplice del raggruppamento sociale. Questa modalit di lettura del contesto permette di calibrare gli interventi e, nel contempo, di esercitare una sorta di supervisione sull'intera struttura sociale: il nucleo familiare stabile (cui corrisponde specularmente un alloggio con precise caratteristiche) la cellula base che assicura l'ordine morale precostituito e che allontana promiscuit e disordini.

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l'arricchimento privato,11 dall'altro il frazionamento della propriet fondiaria, non pi feudale, nonch il ruolo e le relazioni interpersonali tra i nuovi attori sociali ed economici, come gli imprenditori che lottizzano e rivendono gli immobili, i proprietari locatori, i sublocatari, gli speculatori (Saccard12 de La cure, nome di battaglia di Aristide Rougon, ispettore delle strade all'Hotel de Ville). In tal senso, La cure il racconto esplicito di una sostituzione: estremizzando, nella Parigi prehaussmanniana i soggetti sono gli uomini, in seguito i soggetti sono le cose, precisamente la citt materiale, le case, il suolo, lo spazio trasformabile che diviene centro d'interesse, in quanto portatore di un senso e di una logica economica che non dipende dalla sola volont degli uomini, bens dalla "mano invisibile", ma ben indirizzata, del mercato. Da quel momento in poi - dopo questa assoluta e pericolosa sostituzione in cui le merci prendono il posto di uomini e donne - tutto ci che attiene alla sfera del sociale nel progetto urbano dovr essere richiamato a forza e con fatica. Un'ulteriore contraddizione - a proposito del rapporto tra progetto urbano complessivo e progetto della residenza - evidenziata dallo slittamento esistente tra gli enunciati dell'urbanistica e le narrazioni di Zola, Balzac, Hugo, dei de Goncourt, Rilke, Celine - e successivamente di Perec o Pennac - caratterizzate da una particolare trasparenza e brutalit. La disciplina ottocentesca dichiara - in termini riformisti - di voler ripensare la citt in funzione delle problematiche che a f f l i g g o n o la popolazione insediata pi debole, ma i risultati sono abbastanza distanti dall'enunciato ufficiale. In tal senso la descrizione letteraria pu essere osservata criticamente da pi angolazioni e non solo, quindi, per la sua capacit di rappresentazione integrata e dinamica dei fenomeni. Un aspetto interessante infatti legato all'esplorazione del ruolo che di volta in volta viene attribuito (alla testimonianza letteraria) dal potere; tale ruolo oscilla tra un'interpretazione struM. Bianchini, Merce, Enciclopedia Einaudi, voi. 9, Einaudi, Torino, 1980. Aristide Rougon, grazie all'intervento di suo fratello Eugne, riesce ad entrare come impiegato all'Hotel de Ville e a "studiare" i segreti dossier delle future trasformazioni della Capitale. Aristide alias Saccard si avvantaggia della politica dei Grand Travaux voluti da Haussmann per costruire una delle maggiori fortune dell'Impero, come notano C. Becker, G. Gourdin-Servenire, V. Lavielle, in Dictionnaire d'mile Zola, Robert Laffont, Paris, 1993.
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mentale e una totale omissione o negazione quando la verit veicolata dal racconto si configuri come potenziale e destabilizzante fattore critico di denuncia civile (si vedano i frammenti di Rilke, Celine 0 Verne relativi a Parigi, cos come alcuni brani di Vzquez Montalbn a proposito della limitazione del pensiero critico e del rapporto tra conservazione e trasformazione a Barcellona). La disciplina ottocentesca, tra l'altro, mira alla riforma sociale principalmente sulla scorta di trasformazioni fisiche e morfologiche. Forma urbis e nervatura edilizia vengono elevate - strumentalmente - a variabili principali e indipendenti, orientando azioni e strategie: si suppone che tramite l'intervento regolarizzatore sui tracciati, la rarefazione del tessuto, la penetrazione di aria e luce, si possano risolvere problemi sociali, legati, soprattutto, all'organizzazione capitalistica del lavoro. Nonostante tali formulazioni teoriche della nascente disciplina, si andavano infatti sviluppando a Parigi, Berlino, Vienna, New York, abitazioni degradate dal punto di vista igienico, prive di giardini13 e di spazi aperti per il gioco dei ragazzi, inserite in strade tetre e in vicoli desolati. La discrasia tra apparati teorici e descrizione letteraria manifesta, allora, un problema irrisolto:14 all'ipertrofica attenzione indirizzata nei
13 La trasformazione del modello medievale contempla saturazione e modificazione del ruolo del cortile e, in generale, degli spazi comuni o semipubblici, come mostra . Zola nel 1877, ne L'a?nmazzatoio. 14 La comparazione tra alcuni frammenti tratti da racconti, romanzi e testi disciplinari aiuta a riflettere sulla discrepanza esistente tra il modello urbano enunciato e quello realizzato. Tali testi - dotati d'indubbio vigore retorico - possono assumere rilevanza politica, dando forza o evidenziando le debolezze delle scelte istituzionali e dei modelli proposti. A tale proposito pu essere interessante mettere a confronto, per esempio, da un lato gli scritti di S. Mercier che nel 1 7 7 1 , in L'an deux mille quatre cent quarante, immagina una Parigi ideale ormai risanata, governata da una monarchia equanime, guidata da una illuminata Ragione (dall'ideale illuministico certo di agire, tramite il sapere, sul potere; vd. l'interessante saggio Le premier piton de Paris, di M. Delon, in Paris des crvains, Dossier in Magazine littraire, mai 1995), dall'altro i frammenti graffiami e antiretorici di J. Verne, quelli acutamente drammatici di R. M. Rilke o le descrizioni estreme e stridenti di L.-F. Celine, che rilevano i fallimenti della prassi, mettendo in evidenza 1 risultati aberranti del modello. Venite a passeggiare da quella parte, scrive Mercier, vedrete alcune demolizioni che abbiamo fatto, credo molto saggiamente (...) Abbiamo disposto l'Hotel de Ville di fronte al Louvre; e quando diamo qualche festa pubblica, pensiamo semplicemente che questa destinata al popolo. (...) Abbiamo diviso L' Hotel Dieu in venti edifici particolari (...) attraverso questo accorgimento l'aria cattiva che questa voragine di orrori esalava, si trova dispersa e non pi pericolosa per la capitale. Altri autori, in primo luogo Zola, oltre a Verne, Celine, o Rilke, descrivono la medesima realt evitando, per, di appellarsi alla declamatoria elocuzione dei modelli istituzionali e ortodossi. interessante evidenziare quanto e come l'esperienza diretta dell'intensa

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confronti della progettazione della residenza e della viabilit non corrisponde n una eguale cura nell'elaborazione di un'idea complessiva di citt che contempli la partecipazione del popolo quale soggetto attivo, n un concreto tentativo di orientare le case e le strade in funzione dei fattori ambientali, come vento e insolazione. Inoltre, come nota Mumford la grigia malinconica pulizia delle abitazioni pi rispettabili, dove vivono gli artigiani meglio pagati e gli impiegati, talvolta a schiera, talvolta semisolate, con una fangosa aiuola davanti alla casa o un albero nello stretto cortile posteriore viene fatta passare per decoro ed altrettanto deprimente che la franca sporcizia dei quartieri pi poveri.15 Attraverso i frammenti letterari emerge un ulteriore nodo problematico: l'antinomia tra citt ottocentesca e natura. Il bisogno di natura in citt - parzialmente affrontato dalla disciplina con l'istituzione del Parco pubblico - primario e direttamente proporzionale all'ipertrofica crescita del tessuto urbano. A tal proposito si rimane brutale Parigi del primo decennio del Novecento, si traduca e trasferisca nella vibrante scrittura del poeta praghese Rilke. La citt rappresentata, sia nelle lettere scritte per L. Salom, sia in alcune opere letterarie, come un luogo contraddittorio e opprimente: la strada da tutte le parti cominciava a puzzare, le cose illuminate erano velate di nebbia come da una cortina grigio lucente. Grigio nel grigio, e ancora: ma c', qui, qualcosa di pi pauroso: il silenzio. Io credo che nei grandi incendi arrivi talvolta un istante cosi, di estrema tensione, i getti d'acqua ricadono, i pompieri non si arrampicano pi, nessuno si muove. Senza suono un cornicione nero comincia a muoversi, lass, e un'alta parete dietro la quale il fuoco si leva furioso s'inclina, senza suono. Tutti ristanno, e con la testa insaccata fra le spalle, i volti tutti raccolti negli occhi, aspettano il colpo terribile. Cos qui il silenzio, R. M. Rilke, I quaderni di Malte Laurids Brigge, Garzanti, Milano, 1974. Si ribadisce, quindi, il valore potenziale della rappresentazione letteraria quale strumento di denuncia sociale e sistema per verificare le decisioni prese in ambito istituzionale: il racconto letterario andrebbe preso in considerazione nella formazione e nella revisione dell'idea progettuale non solo se conforme con la visione canonica del potere, ma potrebbe rappresentare un potente mezzo per innescare processi autocritici e dinamiche di feed-back, mostrando nodi problematici occultati o rimossi.
15 L. Mumford, La cultura delle citt, Edizioni di Comunit, Torino, 1999. Alla costruzione di un'immagine sociale conforme e rassicurante concorre anche un altro obiettivo retorico, mirato ad incrementare la propriet degli alloggi - come strumento di redenzione sociale come scrive de Melun, nel 1875 - tra le categorie dei lavoratori meno abbienti; tale tema appare magistralmente affrontato da E. Zola, ne L'ammazzatoio. De Melun, cattolico e conservatore francese, tra i promotori della legge del 1 3 aprile 1850 sul risanamento dell'edilizia insalubre, fondatore della Societ d'Economie Caritable, afferma che la propriet porta con s una qualit preziosa: rende l'operaio inserito nell'ordine sociale, pi laborioso, allontana le distrazioni funeste, lo lega al proprio focolare in seno alla propria famiglia. abbastanza chiaro che la vis riformista ottocentesca nasconde un modello rigido e socialmente repressivo: anche i modesti benefici concessi dal sistema alla classe pi debole sono finalizzati a garantire, soprattutto, il funzionamento della macchina produttiva.

da ad un frammento da L'ammazzatoio in cui viene evocata una passeggiata domenicale sul lungosenna, compiuta da un gruppo di operai inurbati. Questa semplice e quotidiana esperienza, in cui il fiume descritto come una sorta d'inquinato asse funzionale, si trasforma in un percorso nostalgico della memoria che rammenta vite vissute in altri luoghi, forse non tanto inquietanti e caratterizzati da una natura meno formale e controllata o del tutto assente. In termini complessivi, quindi, l'et delle invenzioni e della produzione di massa ebbe poca influenza sul modo di abitare degli operai e sulla comodit delle abitazioni.16 Al di l dei confortanti enunciati di principio - a volte fecondati dalla forza ideale dell'utopia, a volte solo strumentali e demagogici - , obiettivo del costruttore (la cui figura - in un certo senso - si confonde con quella di planner in quanto gli viene attribuito un ruolo non di solo realizzatore, ma di interprete dei bisogni) era di raggiungere un minimo di decenza facendo a meno dei requisiti che dovevano invece garantire igiene e qualit delle abitazioni. Cos la citt haussmanniana regolata e normata (e paradossalmente, in un certo senso, pianificata) dalla libera concorrenza: occorre lasciare all'attivit privata, stimolata dai rapporti concorrenziali, il compito di riconoscere i reali bisogni del popolo e di soddisfarli, dir nel 1893 lo stesso prefetto della Senna, opponendosi all'idea di Napoleone III propenso ad un intervento diretto dell'amministrazione nella costruzione degli alloggi. L'introduzione della rubinetteria di metallo, il gabinetto con l'acqua, il sistema collettivo di acquedotti e di fognature, le stufe a gas furono migliorie messe alla portata delle classi medie e alte dopo il 1830, ma, come ricorda Mumford, in nessun momento della fase paleotecnica furono alla portata della gran massa della popolazione. Questa viveva in condizioni di miseria, afflitta da patologie organiche come il rachitismo nei bambini, le malattie della pelle, l'angina, il tifo, il vaiolo, la scarlattina, favorite dal sovraffollamento degli ambienti e dalla mancanza di sole. Gli esiti di tali modi di vita - che trapelano dai brani dell'antologia - si possono comprendere anche interpretando le statistiche relative al tasso di mortalit degli adulti, dei bambini, alle aliquote delle malattie dei lavoratori urbani confrontate con quelle dei lavoratori agricoli.
16 In Un episodio durante il terrore, del 1 8 3 1 , Balzac descrive una desolante e ventosa periferia urbana, caratterizzata da tuguri degradati dispersi in quel vallone. L'immagine di tale tipologia di alloggio contrasta apertamente con quella divulgata dalla disciplina, fondata sul controllo del clima e sulla disposizione ordinata degli isolati.

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I >a Londra di Defoe e la Parigi di Balzac17 sono forse le citt europee dove tale incoerenza pi manifesta. Le soluzioni proposte intendono risolvere tali nodi tramite interventi materiali che agiscono indirettamente, e rozzamente, sul corpo sociale. Significativi, soprattutto se comparati con le registrazioni che traspaiono dai romanzi, sono le affermazioni di M. A. Laugier che critica apertamente la bolgia, il dissesto e l'irregolarit sostenendo che in nessun luogo un tale squilibrio pi tangibile e spiacevole che a Parigi, citt in cui occorre intervenire per evitare la confusione della folla creando "viali" e strade numerose, larghe e perfettamente rettilinee, o certi scritti del gi citato Lachaise18 che riflette sul parametro chiave della densit, o alcune pagine di E. Muller che, nella seconda met del XIX sec., identifica Parigi come area critica in cui il problema dell'abitazione operaia - affrontata in "tutti i paesi civili" - non appare affatto risolta. Le idee portate avanti durante gli anni del Secondo Impero sono apparentemente semplici e, come provocatoriamente sostiene I. Insolera, il contributo dato da Haussmann al panorama di Parigi finisce per essere tutto e solo compreso nelle dimensioni dei suoi interventi: il fattore quantitativo stesso che si impone obbligando nella dimensione delle nuove prospettive dei concetti figurativi del tutto analoghi a quelli con cui Perder e Fontaine erano riusciti a controllare i loro limitati perces.19 Tra gli obiettivi concreti la sostituzione delle funzioni residenziali con quelle commerciali e terziarie,20 la conquista e il controllo delle aree centrali - prassi costante portata avanti dai gruppi egemoni - , l'appropriazione di parte del patrimonio culturale - cui viene riconosciuta una valenza sovrastorica - che viene reinterpretato e caricato di valori
17 Vd. il saggio di P. Citron, Scnes d'un visionnaire, in Paris des crivains, Dossier in Magazine littrare, mai 1995. 18 Dall'agglomerarsi delle case e dalla loro eccessiva altezza deriva necessariamente che il sole non penetra che per poco tempo in alcune strade (...) si pu considerare questa mancanza dei raggi del sole come causa reale dell'umidit della citt. (...) Se si cercasse di fissare sulle tabelle della mortalit il rapporto proporzionale dei decessi di ciascuno dei 1 2 arrondissments, si troverebbe che la loro quantit tanto pi alta quanto la superficie degli arrondissement maggiore (...) vale a dire, che in generale sembra che la mortalit sia in ragione della ristrettezza delle strade, dell'altezza delle case, della costipazione degli alloggi, C. Lachaise, Topographie medicale..., op. cit. 19 I. Insolera, Aspetti e problemi..., op. cit. 20 Vd. J . Verne, Paris au XX' sicle, Hachette, Paris, 1994. Lo scrittore rappresenta l'ipertrofia dei luoghi del potere centrale all'interno dello spazio urbano; la sostituzione del tessuto residenziale lo specchio di pesanti trasformazioni sociali: l'espulsione delle categorie deboli, l'esaurirsi dei processi autorganizzativi della comunit medievale, l'appropriazione della citt da parte della borghesia.

borghesi, l'isolamento degli edifici monumentali e pubblici dal tessuto canceroso e malato della citt, descritti da Balzac. In tale quadro il Louvre, Notte Dame, l'Hotel de Ville diventano punti d'eccellenza, e descrivono una citt concepita come rete di istituzioni,21 una costellazione di stelle fisse - eminenti e visibili - da connettere per mezzo della viabilit sovrimposta, considerata alla stessa stregua dei monumenti.22 Alle architetture commemorative esistenti, poi, si aggiungono nel tempo nuovi ed estranei landmarks, rievocativi solo per i gruppi di potere, come gli archi di trionfo, monumenti nuovi e senza memoria, come la colonna Vendme,23 segno visibile della trasformazione del tessuto, del diverso senso attribuito alle piazze urbane e, nel contempo, luogo elevato da cui osservare la nuova citt priva di limiti descritta da Hugo o Zola, una citt rifondata, in cui come afferma J. Verne, non ci sono pi case, solo strade,24 dove gli edifici avevano sfrattato le case. Uno dei termini ricorrenti, abbellimento, utilizzato con differenti accezioni da Voltaire,25 Verne nel 1863 e dallo stesso HausF. La Cecia, Mente locale. Per un'antropologia dell'abitare, Eleuthera, Milano, 1993. G. Macchia, Le rovine di..., op. cit.', G . Flaubert, L'educazione sentimentale, Mondadori, Milano, 1992; J. Verne, Parigi ...,op. cit.-, W. Benjamin, Parigi capitale del..., op. cit. 23 Place Vendme (limitrofa all'espansione aristocratica localizzata tra Chausse d'Autin e Faubourg St. Honor) fa parte delle 5 piazze reali che costituiscono i principali interventi pubblici della Monarchia. La colonna, edificata successivamente, sostituisce la statua equestre del sovrano, quando cambia il ruolo della piazza che da nodo urbano diviene parte subordinata al sistema stradale che taglia il tessuto. 24 La strada , in effetti, la vera protagonista delle narrazioni di V. Hugo, come afferma M.-C. Bellosta in Les rues des Misrables, in Paris des crivains, Dossier, in Magazine littraire, mai 1995. 25 In Degli abbellimenti di Parigi, del 1749, Voltaire esprime un'idea di storia come processo evoluzionistico, sovrapposizione di fasi, accumulazione di verit assolute. In tale ottica la preesistente struttura urbana risulta inadeguata e il tessuto della Parigi medievale oscuro, soffocato, informe. Il filosofo enuncia, inoltre, alcuni principi relativi all'integrazione tra bellezza e funzionalit urbana, poi fulcro retorico del modo haussmanniano e, in termini generali, cardine della intera costruzione teorica della disciplina urbanistica. Vd. M. Romano in Piano urbanistico e metodo scientifico, op. cit., il quale ritiene che l'urbanistica nasca come inventario di strumenti empirico-scientifici deputati a fornire una sintesi propositiva-operativa dell'evoluzione e trasformazione della citt, ci si attua anche gettando tra funzionalit e bellezza un ponte teorico saldissimo: d'ora in avanti resta dimostrato che il linguaggio del piano regolatore non ha solo a che vedere con l'estetica urbana, ma ha esiti sulle condizioni di vita degli abitanti. Per Voltaire, appunto, a Parigi occorrono mercati pubblici, fontane che diano per davvero l'acqua, crocicchi regolari, sale di spettacolo; bisogna slargare le strade strette e malsane, portare alla luce i monumenti che non si vedono, e innalzarne altri che si possano vedere, il centro della citt, oscuro, soffocato, informe, ritrae l'epoca della pi vergognosa barbarie, si passa davanti al Louvre e si geme nel vedere questa facciata, monumento della grandezza di Luigi X I V , dello zelo di Colbert e del genio di Perrault, nascosta da costruzioni di goti e vandali. Vi22 21

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smann.26 Questi, si prefigge di isolare percettivamente e funzionalmente gli edifici eminenti, i palazzi e le caserme, di migliorare lo stato di salute della citt per mezzo della puntigliosa eliminazione di vicoli infetti e di focolai epidemici, di rendere pi agevole l'afflusso e il deflusso dalle stazioni ferroviarie, tramite assi di penetrazione che conducano i viaggiatori direttamente ai centri del commercio. Le soluzioni offerte, dunque, sono connesse al processo industriale, ma questo va inquadrato in un pi ampio sistema culturale, riflesso dei postulati del razionalismo scientifico; inoltre la struttura reticolare e ordinata del tracciato - che Haussmann propone a Parigi - pu ascriversi, oltre che a ragioni utilitaristiche, ad una particolare modalit di fruizione dello spazio urbano. A partire dalla seconda met del Seicento, infatti, Parigi teatro di particolari avvenimenti pubblici (come l'ingresso di Luigi XIV, nel 1660) che comportano la creazione di scenografie urbane che si mischiano alle architetture permanenti. Haussmann, pertanto, rielabora la maniera seicentesca, riproponendo - in ambiente urbano - metodologie gi sperimentate nell'ambito della progettazione di apparati effimeri o celebrativi o dei fastosi giardini formali olandesi, francesi, italiani. Ci consente di agire chirurgicamente, sovrapponendosi e concentrando l'azione sulla citt preesistente limitandone, nel contempo, efficacemente l'espansione. In tal modo, ripensando la citt, Haussmann intende esorcizzare il principale demone che possiede e minaccia la metropoli post industriale la quale, nel suo crescere senza ordine sfugge per la prima volta agli schemi mentali e operativi che fino allora erano riusciti almeno parzialmente a controllarla.27 Ci che spaventa il disfacimento della coerenza struttura-forma tradizionale, di cui esempio paradigmatico la minacciosa Londra madrepora umana di Geddes, sconfinata e mostruosa, descritta da Defoe, Engels, Dickens.28
ceversa tale visione monolaterale che postula una corrispondenza speculare e rassicurante tra bello e funzionale, viene messa in discussione da autori come Hugo o Verne che rappresentano le aberrazioni dello schema estetico-formale (che peraltro occulta un preciso disegno sociale, non chiaramente esplicitato) applicato sul tessuto urbano preesistente. 2( ' G . E. Haussmann, Difesa e descrizione del piano di Parigi (1893), in P. Sica, Antologia di urbanistica dal Settecento ad oggi, Laterza, Roma-Bari, 1980. 21 P. Sica, L'immagine della citt..., op. cit. 2S P. Geddes, Le conurbazioni dell'Inghilterra (1904); D. Defoe, Quella cosa mostruosa e gigantesca che ha nome Londra, (1724); in P. Sica, Antologia di urbanistica..., op. cit.-, F. Engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra, Roma, Editori Riuniti, 1992; C. Dickens, Casa..., op. cit.

La citt , quindi, luogo determinato d'incrocio tra pulsioni integrative: agitata da moto centrifugo e rafforza e potenzia il centro. Alla cinta di mura dimessa si sostituisce un altro sistema di confine, dando cos inizio al paradosso della citt contemporanea, la cui crescita - fino agli anni '7o-'8o del X X secolo - procede per continue espulsioni e ridefinizioni dei luoghi centrali.

Barcellona Se il regesto parigino caratterizzato da una continuit descrittiva (i frammenti raccolti coprono in modo omogeneo un periodo compreso tra il 1830 e il 1997), Barcellona appare contraddistinta da un vuoto segmento temporale definito dal racconto del '37 di Orwell e da quello, del tedesco Enzensberger, del 1972. La difficolt avuta nel reperire opere letterarie che illustrino la citt, relative a tale periodo, manifesta un aspetto che vale la pena di sottolineare: gli anni dell'assenza narrativa sono quelli pi duri della dittatura franchista. Durante tale difficile e lungo periodo l'attivit letteraria intesa come atto creativo e libero del pensiero, del desiderio, dell' immaginazione e della denuncia civile si riduce enormemente e si limita ad un'opera di analisi critica relativa al corpus letterario storico. La produzione letteraria spagnola durante gli anni '40 e '50 anzitutto orientata verso un'attivit critica e le rare descrizioni territoriali sono relative soprattutto all'ambito rurale. Questo non parlare della citt inquietante ed emblematico: non c' dubbio che - nella nostra cultura - la citt il luogo della polis, dove si esprime e si attua la partecipazione alla vita e al governo. Tale considerazione attinente alla letteratura rimanda senza deviazioni all'ambito strettamente urbanistico: la circolazione dei racconti della citt e sulla citt possibile in un clima in cui almeno le libert fondamentali, le libert relative al pensiero e alla trasposizione espressiva dello stesso, siano garantite. In tale ottica gli esiti della cultura letteraria (le modalit espressive, le tecniche, i generi utilizzati) possono essere intesi come uno specchio che riflette innumerevoli aspetti della storia, molto al di l di quanto venga effettivamente esplicitato dai racconti. Durante la dittatura franchista si arresta il naturale e ininterrotto processo di territorializzazione che qualifica la storia urbana, la citt non appartiene pi apertamente ai cittadini, lo spazio urbano vie-

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temporanea aperta e insieme dotata di una identit forte, civile, basata sul lavoro e sull'appartenenza al territorio. La scelta di rappresentare la rifondazione urbana, avvenuta tra XVIII e X I X secolo, non per mezzo dell'analisi fisica delle parti che sono state oggetto di modifica, ma per il tramite delle atmosfere veicolate dal linguaggio letterario (che esibisce una natura vaga, imprecisa, non categoriale) legata, quindi, (oltre alla volont di riflettere sulle tecniche espressive e descrittive) al desiderio di ricercare, per mezzo della percezione degli scrittori (particolarmente sensibili nel registrare le complesse conflittualit della struttura sociale)79 - piuttosto che i caratteri analitici distintivi dell'armatura urbana o le leggi di crescita - le qualit sfumate sintetiche che la sola analisi morfologica, tipologica o strettamente tecnica tralascia. Infatti, la visione dell'immaginario urbano che traspare da racconti e descrizioni, e che non andrebbe osservata solo dal punto di vista estetico, prima d'ogni cosa immagine della storia sociale e politica; sociale perch influenzata dalle contraddizioni e dai dissidi propri della societ civica, politica perch la forma urbis percettibile, progettata e realizzabile strumento per l'esercizio del potere. Come suggerisce Balzac, ne La ricerca dell'assoluto, la rilettura della citt, compiuta da un osservatore attento e rigoroso, pu integrare tempo, spazio e azione sociale (i luoghi dove la vita si svolge): i fatti della vita umana, pubblica o privata, sono cos intimamente legati all'architettura, che la maggior parte degli osservatori possono ricostruire le nazioni o gli individui in tutta la realt delle loro abitudini dai resti dei monumenti pubblici o dall'esame delle loro reliquie domestiche. L'archeologia sta alla struttura sociale come l'anatomia comparata sta alla natura organica. Un mosaico rivela un'intera societ, come uno scheletro d'ittiosauro presuppone un'intera creazione. Da una parte e dall'altra tutto si deduce, tutto si concatena. La causa fa pensare a un effetto, come ogni effet79 Ernesto Sabato afferma, in Lo scrittore e i suoi fantasmi, Meltemi, Roma, 2000, che l'individuo da solo non esiste; esiste in quanto membro di una societ, soffre dentro una societ, lotta o si mimetizza dentro una societ. I suoi atteggiamenti volontari e vigili sono la conseguenza del rapporto continuo con il mondo che lo circonda: tutto, persino i suoi sogni ed i suoi incubi sono determinati da quel rapporto. (...) Da questo punto di vista, proprio il romanzo che segue la scuola pi dichiaratamente soggettivista a darci testimonianza, a volte in modo pi o meno complicato a volte sottile, dell'universo in cui il suo personaggio vive.

to permette di risalire a una causa, e lo scienziato fa rivivere perfino le minuzie delle et passate. Da questo deriva senza dubbio lo straordinario interesse che suscita una descrizione architettonica quando la fantasia dello scrittore non ne alteri gli elementi; ognuno pu infatti con rigorose deduzioni ricollegarla al passato, e per l'uomo il passato assomiglia straordinariamente al futuro: raccontargli quel che stato non equivale forse, quasi sempre, a dirgli quel che sar ? Inoltre raro che la descrizione dei luoghi dove la vita si svolge non richiami a ciascuno i suoi desideri inappagati o le sue speranze in fiore. Le trasformazioni interne e esterne dell'assetto urbano, il passaggio alla citt capitalista quindi rappresentato secondo un repertorio orientato - ma niente affatto definitivo (aperto e passibile di elisioni e aggiunte) - che tende verso l'idiografico piuttosto che verso il nomotetico: non si vuole - di fatto - far emergere la legge o l'insieme dei caratteri globali o comuni, ma riferire fenomeni generali (perdita del confine urbano, differente rapporto tra citt e campagna, dissoluzione del concetto di citt, trasformazione del concetto di cittadinanza) ad alcune citt particolari, piuttosto che a modelli storici astratti. Un tema appare senz'altro dominante, anche se non sempre esplicito. Quello centrale, e ancora irrisolto, relativo al confine urbano che assume, a partire dal X I X secolo, un diverso senso. La differenza tra la citt precedente e quella ottocentesca risiede certamente anche nello spostamento della posizione e del valore80 del limite che separa la citt dalla campagna. Tale alterazione - sostanziale, oltre che morfologica - viene percepita ed il fulcro descrittivo di quasi tutti i brani riportati. In tali frammenti la nozione di frontiera esibisce un significato palesemente conflittuale, gi presente in nuce nella citt medievale, ma non del tutto compiuto: il tema del limite, nella citt ottocentesca, esplicita e assume caratteri fortemente problematici in precedenza as80 1 . Insolera, Aspetti e problemi..., op. cit., nota come la citt ottocentesca muti insieme struttura e forma. Da questo punto di vista appare assai interessante riflettere sulla terminologia utilizzata da cronisti, romanzieri e viaggiatori per rappresentare, per esempio, la capitale francese: nel X I I I secolo sono ricorrenti le parole "ci/", "ville" e "universite", nel X V I I I si annette il termine "faubourgs", nel X I X secolo compare "banlieu" e nel X X si aggiunge il vocabolo "agglomeration". Ognuna di queste parole, descrittive della intera citt o di una delle sue parti, sottende infatti una differente idea di struttura, confine, limite o frontiera dell'urbano.

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senti o diversamente manifesti.81 Tale forma di conflittualit aperta si concretizza nell'abbattimento delle mura, nell'alterazione del rapporto sociale, economico e biologico tra citt e campagna, nella dislocazione di alcune funzioni o alcuni soggetti, nella prefigurazione di una citt indefinita e potenzialmente illimitata, governata da differenti regole economiche, generatrice di sentimenti opposti (citt come malattia, o come un insieme di malattie, citt nera, grigia, che muta colore... fuma... fa un triste rumorio, oppure come vero paradiso, citt lontanissima e spregevole, sfondo panoramico) e di spaesamento o rifiuto a livello percettivo e psicologico, come nelle descrizioni di Zola, Rilke, Celine, Martin, Blok. Nella citt ottocentesca il significato del confine rafforza, se possibile, la sua componente sociale - rendendo necessaria una pi ponderata responsabilit dell'azione progettuale: venendo meno la diretta corrispondenza tra urbs e civitas (che sosteneva la citt medievale), ampliandosi lo spazio potenziale della polis, generandosi nuove polarit e nuove periferie, gli eventuali confini esistenti o determinati dal fare progettuale esprimono un diverso grado di libert, partecipazione, appartenenza, integrazione dei soggetti rispetto allo spazio urbano. La forma urbis sottende un preciso progetto d'organizzazione sociale e una specifica forma di organizzazione del lavoro. In tal senso la nostalgia per la citt medievale, che traspare da alcuni testi, pu allora essere intesa come rimpianto per i rapporti che regolavano il lavoro nel comune medievale in cui la manodopera non rivestiva carattere servile, fondandosi sull'istituto della corporazione, organizzazione professionale formata da lavoratori liberi; di contro nella citt ottocentesca i lavoratori non sono affatto liberi, bens prigionieri di una dinamica che si pu definire pre-fordista. L'attenzione alle condizioni di vita dei lavoratori ottocenteschi, infatti, animata da tutt'altro che dalla sola filantropia: da un lato volont di controllo sui comportamenti (in particolare su quelli sessuali) dall'altro volont di as81 La Parigi medievale, per esempio, gi caratterizzata da un moto di decentramento che interessa il nucleo commerciale sulla riva destra; in questo luogo che si localizza il Grande Mercato che lascia il centro della citt, la Cit. L'estesa citt ottocentesca, differenziata per aree funzionali, gi contenuta nel nucleo medievale, come rappresentato in Viaggio alla fine del Millennio di Yehoshua. Le trasformazioni al tempo della Monarchia, inoltre, preparano l'operazione haussmanniana. A partire dal X V I I secolo infatti ampie aree periferiche intra muros vengono saturate, numerosi orti, giardini o terreni paludosi vengono edificati.

sicurare l'efficienza di una grande massa di popolazione produttiva sottomessa, linfa vitale dell'economia capitalista.82 Nella citt ottocentesca la comunit si disgrega, o meglio, si diversifica e moltiplica; ed alle molteplici comunit, classi, categorie di popolazione, non corrisponde in modo variabile, fluido ed indifferenziato il grande spazio della citt intera, bens micro ambiti definiti proprio dal progetto urbanistico: il confine, nella citt ottocentesca cos come nella citt contemporanea, una linea immateriale e soprattutto mobile. Riflettere sul limite urbano, dunque, non vuol dire solo interrogarsi sui modi utilizzati per delimitare uno spazio fisico o per compartire lo stesso in settori o campi, vuol dire forse, richiamando Rousseau, trattare della divaricazione esistente tra citt materiale e citt come luogo. In tale ottica, in cui non viene data per scontata alcuna coincidenza, tutta da impiantare, tra urbs e civitas, l'esterno e l'interno dello spazio urbano non sono pi rappresentabili dalle locuzioni "intra muros" o "extra muros", ma sono ascritti ai soggetti ed agli attori - agenti nello spazio o agiti da esso - che attraverso il progetto possono essere collocati dentro o fuori la citt stessa. E in tal senso che il progetto urbano agisce sulla barriera immateriale che separa i cittadini, gli abitanti, dagli emarginati; il confine dunque, non certamente letto come un ipotetico ed ormai inesistente margine tra esterno ed interno, ma come linea di segregazione sociale, potenzialmente in grado di ingenerare o confermare divisioni classiste, che distingue chi dentro, chi parte e dunque partecipa della civitas e della polis, e chi - in direzione contraria - esterno, straniero, emarginato, passivo, manovrato, indifferente. Oltre le singole azioni, assai differenziate per filosofia, modalit e tecniche, si coglie sinteticamente - per il tramite dei frammenti letterari trascritti - un nodo rilevante e tuttora contingente: la tra82 Vd. J. Verne, I cinquecento milioni della Begum, Mursia, Milano, Qui lo scrittore tratta con spirito sarcastico e critico questo tema: Signori, tra le cause di infermit, di miseria e di morte che ci circondano, bisogna contarne una, alla quale credo sia ragionevole dare una grande importanza: le condizioni igieniche deplorevoli in cui si trova la maggior parte degli uomini. Essi si ammucchiano in citt in abitazioni prive di acqua e luce, due fattori indispensabili per la vita. Questi agglomerati umani diventano talvolta veri focolai di infezione. Quelli che non vi trovano la morte sono perlomeno danneggiati nella salute; la loro forza produttiva diminuisce, e la societ perde cos quei validi contributi che potrebbero essere applicati agli usi pi preziosi. (...) Perch non riuniamo tutte le forze della nostra immaginazione per tracciare il piano di una citt modello su dati rigorosamente scientifici? Perch non consacriamo il capitale di cui disponiamo per erigere questa citt e offrirla al mondo come insegnamento pratico?.

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sformazione strutturale della citt in rapporto al ruolo dei gruppi sociali deboli o emergenti. Il linguaggio urbanistico tende a volgere in termini positivi gli interventi proposti e quindi, in una parola, a leggere come controllabile o risolvibile il rapporto tra conservazione e innovazione (nuovo modello urbano, differente localizzazione delle funzioni, attraversabilit, razionalit e regolarit del tracciato, diverso rapporto di densit tra costruito e spazi liberi, diversa distribuzione degli spazi pubblici, differente visibilit dei monumenti), mitigando e rimuovendo contraddizioni, squilibri ed incertezze; di contro, la descrizione letteraria lascia trapelare tali attributi, prestando particolare attenzione alla componente sociale e consentendo una prepotente emersione di porzioni di rimosso. La distanza (e complementariet) tra le due forme descrittive rende inoltre pi evidente il processo di speciazione - attuatosi proprio durante il X I X secolo - e di allontanamento delle forme narrative urbanistiche dai comuni linguaggi descrittivi: solo la descrizione letteraria in grado di registrare la narrazione - compiuta con le parole emotive, comprensibili e consuete - degli abitanti e testimonia quanto possa essere critica, accogliente e inclusiva la percezione soggettiva, fluida e sensibile agli stati d'animo, all'andamento delle vicende urbane. L'intenzionalit politica connessa alla formazione della "incerta" e sintetica scienza urbanistica, poi, fatalmente privilegia il punto di vista dei gruppi economicamente dominanti: visioni parziali vengono restituite come assolute, immagini soggettive vengono rese oggettive, solo in quanto sostenute da un potere scientifico, istituzionale ed economico. Vista in questa chiave di lettura la descrizione letteraria d voce a quei soggetti passivi, ai reietti, agli esclusi dal governo urbano. Appare quanto mai utile - in fase di revisione del progetto territoriale - riflettere sul significato profondo della pianificazione, quale pratica necessaria che consente di creare connessioni, piuttosto che antitesi, tra interessi generali e particolari: se pianificare vuol dire considerare le dinamiche sociali, piuttosto che applicare un modello, se vi un nesso tra forma urbis e assetto sociale, allora il piano deve aprirsi alla realt esterna, accettando le eventuali destabilizzazioni e gli stimoli - sfuggenti a totali riduzioni e difficili da decodificare provenienti dalla realt stessa. La critica mossa all'azione progettuale, va ancora una volta ribadito, non manifesta volont disfattista: decidere di non pianificare,
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infatti, non vuol dire lasciare che si affermi una ipotetica libert individuale (che va, come parte di sistema di relazioni, assunta come valore e tutelata), ma vuol dire accettare che il futuro venga determinato solo da irriflessivi rapporti di forza. Se pur vero che ogni schema cognitivo realizza una contrazione della pluralit e delle relazioni interne dell'ambiente, va detto, per, che l'insieme costituito dagli uomini e dalle donne che abitano i luoghi - oggetto della pianificazione - non si pu sottrarre a tale inevitabile riduzione: insito nell'azione progettuale il bisogno di attribuire senso e ordine, di trascrivere e organizzare caos e complessit. Va, forse circoscritto ed esplicitato il senso attribuito a quest'ultimo e abusato termine. Se il riferimento alla "complessit", infatti, avoca una modalit di rapporto col contesto esterno che spinge verso l'assunzione di pi punti di vista o di verit plurali, verso la revisione critica, verso la reversibilit delle decisioni, va pure sottolineato che i pericoli connessi all'uso di tale nozione sono molti. Il ricorso al concetto di complessit, a volte, rischia di diventare un alibi per confermare prevaricazione e decisionismo: ci che appare complesso non n "inconoscibile", n "ingovernabile", n pu essere perversamente utilizzato per legittimare decisioni in cui l'arbitrio prevalga sulla capacit dialettica.83 L'intenzionalit alla base del processo di pianificazione, poi, non va relegata al solo campo della scelta politica. Questa non certamente svincolata dalla sfera tecnica o culturale che, appunto, configura lo spazio della possibilit entro cui la decisione politica si forma e si compie. In quest'ottica il pianificatore non n soggetto passivo che applica ciecamente un metodo, n entit indifferente che si presta a trasferire su un supporto neutro le decisioni politiche. L'azione progettuale, dunque, richiede sperimentazione e integrazione tra architetture cognitive, orientamenti politici e dinamiche dei contesti, elementi fluidi, interagenti e retroagenti, attivi nell'evoluzione di territori e citt. Ogni scelta (anche quella relativa ai linguaggi di rappresentazione che manifestano potenzialit descrittiva) che pu definirsi creativa o divergente,84 in questa ottica, dovrebbe formarsi all'interno dell'ambiente e in relazione con le situazioni che si propone di
83 F. Indovina, Intenzionalit e innovazione nella pianificazione territoriale, in CRU (Critica della Razionalit Urbanistica) n. 2, sec. semestre, Napoli, 1994. 84 U. Galimberti, Parole nomadi, Feltrinelli, Milano, 1994.

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rappresentare e spiegare: non appare sufficiente l'invenzione di innovativi modi di vedere, il criterio dell'originalit non un criterio sufficiente, se disgiunto da una legalit generale che consente all'attivit creativa di essere riconosciuta da altri individui,85 perch l'accedere alla creativit secondo regole comunicabili, confutabili o condivisibili ci che la distingue dall'arbitrariet.

Antologia

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U. Galimberti, ivi.

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Notizia

PARIGI

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Questo volume stato stampato su carta Grifo vergata delle Cartiere Miliani di Fabriano nel mese di aprile 2004 Stampa: Officine Grafiche Riunite, Palermo Legatura: LE.I.MA. s.r.L, Palermo

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