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rendere presente, con abiti discorsivi, la natura dei principi primi, anzich essere un
segno dellimpossibilit costitutiva del linguaggio di dire lUno senza contraddirne la
natura, come vorrebbe la lettura neoplatonica, o significare una scelta esoterica destinata
a rendere inaccessibile ai profani il culmine della propria teoresi, invece per il
Theophrastus la traccia di una pedagogia fondata sullinganno. Non infatti un caso che
Platone si serva, per dare vita alla sua indagine sullorigine del cosmo, proprio di elementi
mitici e favolosi, perfettamente idonei per garantire ai governanti una storia fittizia e
priva di ogni fondamento da raccontare al popolo, col fine di giustificare, e cos
perpetuare, lesercizio del loro potere. Prestando particolare attenzione alla lettera del
testo, proprio Platone, nel secondo e quinto libro della Repubblica, a giustificare la falsit
che pu talora farsi largo nelle parole, ponendola in relazione a quelle favole antiche
destinate a dare un senso, e quindi un ordine, alla nostra provenienza: E che dire della
falsit delle parole? Quali sono le occasioni e le persone cui essa utile s da non attirarsi
odio? Non forse nei rapporti con i nemici? E non diventa utile, come un farmaco, anche
verso coloro cui si d il nome di amici, per dissuaderli ogni volta che un accesso di
furore o di follia li spinge a qualche cattiva azione? E non la rendiamo utile quando nelle
favole antiche or ora ricordate foggiamo il falso quanto pi possibile simile al vero,
ignoranti come siamo del vero svolgersi di quei fatti antichi? [13]. Inoltre, visto che i
legislatori sono costretti spesso a servirsi di svariati farmaci, potr darsi che i nostri
governanti debbano ricorrere spesso a menzogne e inganni, nellinteresse dei governati.
E abbiamo detto che, se usate come farmaci, tutte queste menzogne e inganni sono
giovevoli [14]. Al termine dellavventura platonica, nelle pagine aspre e serotine delle
Leggi, il giudizio di Platone, lungi dallessere cambiato, sembra essere ancora pi
disincantato e favorevole alla necessit di perpetuare lordine della polis con miti, favole e
canti, comune patrimonio di una fantasia menzognera: al legislatore non resta allora che
indagare e scoprire che cosa deve far credere a una citt per procurarle il massimo
beneficio [15].
proprio dunque il costante richiamo platonico alla necessit di una prassi affabulatoria
come strumento politico per garantire la stabilit della polis una delle prove che il
Theophrastus adduce per fare di Platone uno dei capostipiti della teoresi ateistica, essendo
le favole e i miti e i racconti nullaltro che un esercizio retorico privo di ogni positivo
riferimento ad una supposta realt esteriore. Allinterno della trame che lautore del
trattato sta intessendo, Platone non quindi solamente un ateo teorico, ovvero lautore
che riuscito a nascondere nella dispersione degli attori delle sue rappresentazioni
dialogiche le proprie personale convinzioni, ma anche, e forse soprattutto, uno dei
primi pensatori ad aver posto un legame indissolubile fra le menzogna, nobilitata con
abiti religiosi, e il suo utilizzo in ambito politico [16]. Operando un simile collegamento,
il Theophrastus ripercorre un topos gi ampiamente sviluppato da Giulio Cesare Vanini nel
suo Amphitheatrum aeternae providentiae. Nella Exercitatio VI, infatti, lidea che la riflessione
platonica costituisse una delle stazioni principali del cammino che ha portato il potere
politico a rinsaldare lesercizio della propria auctoritas attraverso la riconfigurazione
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mondana di tematiche religiose, era un dato oramai acquisito: Niccol Machiavelli, che
senza dubbio il principe degli atei [Atheorum facile Princeps], nei Discorsi sopra la prima deca
di Tito Livio e nel pericolosissimo libercolo [perniciosissimo libello] sul Principe, scritti in
lingua volgare, ritiene che tutte le profezie siano false e che siano state inventate dai
principi per addomesticare lo sprovveduto popolino, affinch la religione lo richiamasse
ai propri doveri, dal momento che era affatto sordo alla ragione. Anche Socrate nel II
libro della Repubblica, per lo stesso fine, giustifica la menzogna in ci che concerne la
religione e Scevola, come riferisce Agostino nel IV libro del De civitate Dei, cap. 9, era
solito dire: lecito che in fatto di religione i popoli siano ingannati. Da qui si diffuso
il comune ritornello: Il mondo ama essere gabbato; dunque lo sia [17].
Allorigine del tutto vi dunque una favola, ovvero un apparato di miti e credenze,
immagini e racconti, necessario per dare forma al timor del vuoto, e cos tracciare dei
confini abitabili dalla parola delluomo. Questo dispositivo di riempimento, tuttavia, nel
progredire storico sembra aver perso, come suggerisce il trattato, la sua presunta
innocenza, trasformandosi in un costrutto, sapientemente utilizzato da legislatori e
politici, per fondare e giustificare lesercizio del potere politico. Nel secondo capitolo
[In quo de prima deorum notione agitur et declaratur quomodo ad homines pervenerit] del Tractatus
Primus, lautore, riprendendo la nota etimologia platonica del termine [18],
riconduce il piano del divino allinterno di un orizzonte meramente materiale, eliminando
qualunque scarto passibile di introdurre una realt non immediatamente riconducibile
allambito naturale. Gli dei altro non sono che una proiezione umana, una creatura finita,
un figmentum che trova la condizione della propria possibilit nel processo, dinamico e
creativo, messo in moto dalla fantasia delluomo. per solo lingegno di alcuni astuti
legislatori ad aver trasformato questo mito primitivo in uno strumento di coercizione
politica, necessario per fornire un fondamento trascendente allesercizio del proprio
potere. In questo processo di smascheramento proposto dal Theophrastus, lo spazio del
sacro non altro che il frutto della fantasia umana, uno strumento figurale di rincalzo
che disvela lessentia politica e polemica della religione.
Dopo aver ricondotto lambito del divino ad un racconto capace di indagarne la
genealogia, si tratter ora di dare vita ad una fenomenologia critica del religioso,
confermando i rilievi svolti in precedenza sulla natura eminentemente politica del sacro.
Il Tractatus Tertius [Qui est de religione [19]] si occuper di svolgere un tale compito
[20]. Listituzionalizzazione della religione, vale a dire il suo essersi costituita come un
apparato teorico e immaginifico, dotato di un ordine intrinseco e di un sistema di regole
necessarie alla sua conservazione, un fenomeno storico riconducibile, nella sua
interezza, alla fine dello stato di natura. Fin quando le relazioni umane non furono preda
di norme etiche e apparati giuridici, destinati a uniformare le singole azioni ad un ordine
positivo frutto di conflitti consumatisi altrove, nei rapporti umani non esisteva alcuna
sproporzione, e tutti vivevano in uno stato di sostanziale uguaglianza. Tuttavia, non
appena questa situazione edenica venne meno, e la forza dei singoli, unita alla loro
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uomini, come si vede manifestamente per gli exempli di Scipione e Mallio Torquato
[24].
Ogni religione, a dispetto della sua specificit, dunque lindividuazione, storicamente
determinata, di una volont comune, quella, cio, di imporre un ordine alle
fantasmagorie del popolo, cos che possano essere coordinate allinterno di un potere
costituito, governato da un principio trascendente. Lampia analisi che il trattato dedica
alle tre religioni monoteistiche De iudaica sive mosaic religione, De religione christian,
De sarracen seu mahumetan religione [25] sar cos funzionale a confermare lorigine
eminentemente politica del sacro. Lintento dellautore infatti quello di smascherare le
reali implicazioni e le concrete dinamiche che rendono possibile ogni nuova tradizione
religiosa. Ecco che il futuro fondatore di un qualunque credo, dovendo convincere la
plebe della bont e necessit del proprio dominio, si presenter ai futuri sudditi secondo
alcuni schemi prestabiliti: dovr manifestare la propria vicinanza a Dio, portatore di un
messaggio vincolante e veritiero; dar quindi voce ad una cosmogonia inaudita,
narrando, con parole proprie, il messaggio divino; e dimostrer inoltre, per dare corpo
alla propria profezia attraverso innumerevoli miracoli, lestrema potenza della verit di
cui testimone e rappresentante [26].
Loperazione critica che il Theophrastus conduce sui miracoli e sulle profezie, vale a dire su
quellinsieme di strumenti necessari per legittimare la reale novitas a cui ogni religione
sembra ambire, di particolare interesse, poich costituisce lultimo tassello di quel lungo
processo di naturalizzazione del sacro che aveva avuto origine nellambito di alcune
correnti rinascimentali. In questo particolare frangente, occupandosi del reale
fondamento di eventi allapparenza sovrannaturali, lautore del trattato rielabora le
considerazioni gi svolte a suo tempo da Vanini. Nella sua Exercitatio VIII, leresiarca
aveva infatti posto a tema, con spirito salace e fintamente apologetico, la questione
relativa alla presunta verit dei miracoli, certo fondamentale per dimostrare la Dei
providentiam. Soffermandosi sulle posizioni di Pomponazzi e Machiavelli, Vanini non si
era limitato a ribadirne il contenuto, ma aveva sottolineato alcune sostanziali differenze
nellelaborazione di questa delicata problematica. In effetti, seppur allinterno di una
comune volont demistificatoria, le riflessioni di Pomponazzi non erano intenzionate a
negare tout court la realt degli eventi miracolosi, ma a ricondurre le loro condizioni di
possibilit nel dominio di quelle cause naturali che presiedono lo svolgersi dei fenomeni
mondani [27]. invece Niccol Machiavelli che risolve questa questione con poca
fatica. Egli crede che i miracoli siano escogitati e inventati dai principi per
strumentalizzare i sudditi e dai sacerdoti sempre a caccia di guadagni e di onori [28]. Il
miracolo, dunque, ben lontano dal possedere un qualche fondamento divino,
perfettamente integrato nelle logiche di dominio del potere politico [29].
Grazie alla mediazione vaniniana, il Theophrastus Redivivus pu cos smascherare tanto la
logica politica alla base di ogni tradizione religiosa, quanto la violenza ermeneutica che i
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legislatori devono esercitare sulla natura affinch gli eventi del mondo siano predisposti a
corroborare e riconoscere la loro legittima, e stra-ordinaria, sovranit. Come stato gi
ampiamente rilevato da Gregory, la connessione tra gli esiti estremi del naturalismo
rinascimentale e le tesi machiavelliche gi chiara in un Vanini e sempre polemicamente
denunciata da Mersenne e Campanella costituisce la trame del discorso del Theophrastus
Redivivus sulla religione, ove la riduzione dei fenomeni straordinari a cause naturali,
quindi la negazione di una loro origine divina, dava libero corso alla spiegazione politica:
questa infatti permetteva di comprendere come fatti naturali fossero stati sfruttati da
uomini intelligenti e astuti per creare il mito del divino e affermare
incondizionatamente il proprio potere sulla credula plebe [30].
Anche in questo frangente, quindi, la pratica erudita, sempre alla ricerca di trame inaudite
su cui ordire nuovi racconti, si rivela un esercizio critico concreto e foriero di infiniti
sviluppi, capace com di gettare nuova luce su plessi e relazioni che non sembravano
poter intrattenere fra loro alcuna relazione. Lontana dallessere una pratica volta
allaccumulo indiscriminato di sapere, lerudizione allopera in questa trattato si rivela una
pratica corrosiva, essa stessa necessariamente affabulatoria, destinata a dare origine ad
una contro-genealogia. Uno degli obbiettivi impliciti che il trattato si propone infatti
quello di mettere in crisi la supposta naturalit del potere politico e religioso. Ecco allora
che la religione, quale concrezione storica di figmenta e di fantasie, paure e inganni, si
rivela per quello che , vale a dire una creatura umana, storicamente determinata,
necessaria per rendere possibile lo spazio artificiale del politico e per dare forma ad un
insieme di precetti e divieti su cui edificare una nuova pedagogia. bene sottolineare, ad
ogni modo, che lartificiosit del fenomeno religioso, ovvero il suo essere una creatura
partorita dallingegno delluomo, priva di ogni rinvio allo spazio silente del sacro, non
depone necessariamente a suo sfavore. Infatti, sebbene non possieda alcuna origine
divina, limpianto religioso comunque, allo stato attuale del cammino evolutivo umano,
necessario per la conservazione dellordine sociale. Gli abiti religiosi, dunque, nati come
strumento politico di coercizione e organizzazione della vita civile, sono ora divenuti
necessari: recidere il loro legame significherebbe infatti, alla luce dello sguardo
disincantato del Theophrastus, minare alla radice la pace sociale, scompaginando proprio
quellordine che ha garantito, fino ad ora, il dominio pubblico dellautorit politica. Date
queste premesse, la veridicit della religione questa seconda natura nata dallingegno di
alcuni legislatores e sapientes sar allora custodita dalla sua tradizione, quindi dalla
trasmissione di un insieme di norme la cui origine sfugge alla presa intellettuale della
ragione teoretica. Nel sesto capitolo [In quo omnis religio bona esse ostenditur [31]] del
Tractatus Tertius, lautore, facendo proprio il disincanto del sapiente, ribadisce, in un
passaggio che opportuno riportare per intero, la convinzione che il fondamento della
religione, e le condizioni del suo perpetuarsi, trovino nella traditio la loro giustificazione:
Non ipsi non ignoramus, et uniuscuiusque conscientia sibi ipsi testis est, quod
religionem sequimur, non tamquam a deo datam, sed instituentium authoritate, locorum
consuetudine, usu patrio et educatione, Christianique, vel Mahumetani, vel Iudaei
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dissimulare la propria vera natura. Ecco allora che il volto dellautorit, per continuare a
mantenere ben salda la barra del proprio timone, costretto a consegnare al pubblico
dibattito unimmagine di s che non faccia trasparire nessuna delle sue intrinseche
caratteristiche. La moderna ragion di stato rinsalda in tal modo lesercizio legittimo del
proprio potere assumendo i tratti di una moralit univocamente determinatasi, cos da
sottrarre loscenit delle menzogna alla pubblica rappresentazione delle proprie virt.
Nella sua Dissertatio contra aequivocationes [39], John Barnes, consapevole della pericolosit
delle tesi avanzate dai teologi gesuiti, rifiut anche solo lopportunit di istituire una
qualche distinzione fra laequivocatio e la restrictio mentalis e la menzogna. Tanto la riserva
mentale quanto lequivocit implicano, nelle considerazioni svolte da Barnes, quella
malizia sottesa allinganno che propria di ogni discorso menzognero. Un ipotetico
Deus aequivocator altro non pu essere, dunque, che un Dio mendace. Il benedettino
ben consapevole delle possibili ricadute che una tale concessione potrebbe avere nel
dibattito culturale del tempo. In effetti, se non si esclude immediatamente lopportunit
che Dio, anche in vista del bene delle proprie creature, possa ricorrere allinganno, per
quale motivo un legislatore un essere finito e manchevole, sempre libero di poter
sbagliare non potrebbe invocare il diritto legittimo di comportarsi nello stesso modo?
Perch anche i governanti non dovrebbero mentire al proprio popolo, con lintento di
garantire ai propri sudditi un bene pi grande? Inoltre, se la religione sembra poter
ospitare talvolta lequivoco e altre forme decettive di comunicazione, e questo a detta dei
propri stessi rappresentanti, come porre un freno alle genealogie critiche sul fondamento
politico e menzognero della religione?
Le osservazioni del benedettino Barnes incontreranno nelle pagine del Theophrastus
Redivivus la conferma della loro bont e preveggenza. Nelle pagine anonime di questo
testo, le accortezze e i distinguo gesuitici andranno cos incontro alla propria nemesi.
Prima che questo accada, tuttavia, John Barnes venne condotto nelle prigioni romane,
finendo per trascorrere i propri ultimi giorni, come raccontato da Pierre Bayle nel suo
Dictionnaire [40], in un ricovero per malati mentali. Prima che le pagine di questo trattato
svelassero dunque la natura umbratile e menzognera del potere, narrando con divertita e
sottile ironia le sue dinamiche, e proprio nel momento in cui queste stesse logiche,
nascoste fra le pieghe barocche della modernit, si stavano intessendo, solo un folle
avrebbe potuto portarne alla luce la trama.
NOTE:
1. Theophrastus Redivivus (1659), ed. critica a c. di G. Canziani e G. Paganini, II Vol., La Nuova Italia,
Firenze 1981-1982. Oltre allarticolo di J. S. Spink, La diffusion des ides matrialistes et antireligieuses au dbut
du XVIIe sicle: le Theophrastus Redivivus, Revue dhistorie littraire de la France, 1937, pp. 248-355, uno
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degli studi pi completi e accurati quello di T. Gregory, Theophrastus Redivivus. Erudizione e ateismo nel
seicento, Morano, Napoli 1979.
2. Su questo tema, cfr. J.-P. Cavaill, Dis/simulations. Religion, morale et politique au XVIIe sicle. Jules-Csar
Vanini, Franois La Mothe Le Vayer, Gabriel Naud, Louis Machon et Torquato Accetto, Editions Champion
2002.
3. Yves de Paris, La Thologie naturelle, Vol. I, Paris 1640, p. 5
4. Fra i vari autori che in ambito cattolico cercarono di fermare lavanzata della tradizione libertina e
riformata opportuno menzionare M. Mersenne, Limpit des deistes, athes et libertins de ce temps, Paris
1624 e F. Garasse, La doctrine curieuse des beaux esprits de ce temps ou prtendus tels, Paris 1623 (n. ed. a c. di J.
Salem, ditions Les Belles Lettres 2009). Sul confronto fra libertini e apologeti, T. Gregory, Apologeti e
libertini, Giornale Critico della Filosofia Italiana, LXXXIX, 2000, pp. 1-35 e R. H. Popkin, The History of
Skepticism (1979), trad. it., Storia dello scetticismo, a c. di R. Rini, Bruno Mondadori, Milano 2000.
5. La riproduzione del frontespizio contenuta nelle pagine CXXV-CXXVI, fig. 1 (Vol. I),
delledizione critica del Theophrastus citata in precedenza.
6. F. Garasse, La doctrine curieuse des beaux esprits de ce temps ou prtendus tels, cit., pp. 1013-1016 (n. ed., pp.
856-858). Oltre alla collocazione dei singoli pensatori, sono i giudizi che lapologeta rivolge a questi
libertini, ou prtendus tels, ad essere motivo di particolare interesse. Se di Pomponazzi je nen puis dire
autre chose sinon que cest un trs mchant homme ce que je puis voir dans le misrable Lucilio,
Paracelso piuttosto un rveur et alchimiste dangereux quun athiste ou libertin. Inoltre, se Charron
non fu altro che un trs pernicieux ignorant qui a voulu parler de ce quil nentendait pas, sono le
considerazioni su Giulio Cesare Vanini ad essere particolarmente dure e senza alcuna possibilit di
appello: Quant Lucilio Vanini jen ai dit ici dessus mon avis fort amplement. Je nai vu de lui que
trois livres diffrents: savoir son Amphithtre, sa Sagesse et ses Dialogues. Dans son Amphithtre, il parle
en hypocrite; en sa Sagesse, il parle en cynique; en ses Dialogues, il parle en parfait athiste. Et cest le plus
pernicieux ouvrage qui soit sorti en lumire, il y a cent ans, en matire dathisme, Ibid., pp. 856-858.
7. M. Mersenne, Quaestiones in Genesim, Lutetiae Parisiorum 1623, col. 671-672. Gli stessi autori citati da
Garasse e Mersenne si ritrovano inoltre nei testi di G. Naud, Advis pour dresser une bibliothque, Paris
1627 e Bibliographie politique, Venetiis 1633.
8. La critica corrosiva che la tradizione libertina riserver alla superiorit delluomo sul mondo animale
particolarmente interessante, e costituisce un leitmotiv di quellopera di decentramento critico a cui si
ispirava tutta la corrente del libertinismo erudito. Lidea che le leggi della natura, scandite dalla nascita e
dalla morte, riguardandoci tutti, non permettano alluomo di ergersi a giudice dei destini altrui, una
tematica molto presente in questa letteratura, come dimostra lanalisi svolta da Montaigne nei suoi
Essais: Noi non siamo n al di sopra n al di sotto del resto: tutto quello che sotto il cielo, dice il
saggio [Eccl., I, XXXVI], sottoposto a una stessa legge e a una stessa sorte (). Bisogna piegare
luomo e costringerlo entro le barriere di questordine. Il miserabile si attenta a scavalcarle di fatto; egli
legato e vincolato, soggetto agli stessi obblighi delle altre creature della sua specie, e in una condizione
assolutamente media, senza alcuna prerogativa, alcuna superiorit vera ed essenziale, Montaigne,
Essais, II, XII, trad. it., Saggi, a c. di F. Gravini, Adelphi, Milano 2007, pp. 594-595. Non dunque per
un vero ragionamento, ma per una folle superbia e ostinazione che noi ci mettiamo al di sopra degli altri
animali e ci isoliamo dalla loro condizione e compagnia, Ibid., p. 632. Questo plesso concettuale
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sono diversi da luogo a luogo, nel modo in cui ciascun legislatore ha concordato con se stesso fissandoli
per legge; e anche il bello in parte per natura, in parte per legge [v. Crizia 88 B 25, Dieks-Kranz], e il
giusto non affatto per natura, ma gli uomini discutono continuamente tra di loro e cambiano sempre
il giusto, e quel giusto che mutino e quando lo mutino, allora ciascuna di queste forme di giusto ha
potere sovrano, esistendo per arte e in base alle leggi ma non per una qualche natura. Tutto questo,
amici, opera di uomini sapienti presso uomini giovani, di prosatori e d poeti, che affermano che la
massima giustizia sia ci in cui uno prevalga con la violenza; da qui si abbattono atti di empiet sui
giovani, come se gli di non fossero quali la legge impone che si debbano pensare, e per questo motivo
sorgono rivolte di coloro che trascinano verso la giusta vita conforme a natura, che in verit consiste
nel vivere avendo il potere sugli altri e non essendo schiavo degli altri secondo la legge, Platone, Le
Leggi, X, 889 D 890 A, cit., pp. 857-859. Lutilizzo della fabula come medicina necessaria per il governo
del popolo confermato dal Theophrastus: Verum ut tanta authoritas vel a limine frangatur et
extirpetur, videte iterum illum scribentem [in 2 de rep.], quia plebs et vulgares homines ad bona opera
non trahuntur nisi ex spe praemii, et a malis non retrahuntur nisi timore poenae, fabulas ad
instructionem illorum confictas esse et in tali casu quidem licere mentiri et fingere. Et iterum [in 2 leg.],
si quid umquam, inquit, ad iuvenum utilitatem mentiri ausus fuerit legislator, non esse utilius
mendacium quam quod efficere posset, ut non coacti, sed ultro omnes iustitiam amplectantur. Quare
nihil aliud ipsum spectare et scrutari oportet, quam, qua persuasione usus, maximum bonum civitati
exhibeat. In hoc autem omne studium ponit ut comperiat quonam modo universa civitas in cantilenis et
fabulis per omnem vitam de his unum et idem quam maxime loquatur et sentiat. His verbis manifestum
est Platonis authoritatem nullo modo valere posse in iis quae ab illo de diis, de mundo, de anim et de
inferis scripta sunt, utpote haec omnia innumeris fabulis miscuerit, Theophrastus Redivivus, cit., Vol. I, pp.
29-30.
16. Con lidea che dietro le favole del mito non vi sia altra verit che larbitrio di un sapiente e saggio
legislatore cade, come ha suggerito opportunamente Gregory, tutta una tradizionale esegesi che
puntava sulla teoria dellinvolucrum o integumentum quale idoneo strumento di iniziazione alla
contemplazione di verit riposte sotto il velo del mito e che in ambiti cristiani serviva a redimere
filosofi e poeti antichi, leggendo nei loro miti la prefigurazione di verit cristiane. Per lautore del
Theophrastus Redivivus la fabula lespressione del carattere mitico, cio non vero, di quello che si vuole
esprimere; essendo falsa lesistenza degli dei, ogni discorso sulla divinit non pu procedere che con
favole e miti, T. Gregory, Theophrastus Redivivus. Erudizione e ateismo nel seicento, cit., pp. 28-29.
17. G. C. Vanini, Amphitheatrum aeternae providentiae, Exercitatio VI, in Tutte le opere, cit., p. 385. Lidea che i
legislatori possano talvolta ricorrere consapevolmente alla menzogna, nellintento di governare con pi
facilit il popolo, affermato e giustificato anche da Montaigne: Poich gli uomini, per la loro
insufficienza, non possono pagarsi abbastanza con una moneta buona, ci si serva anche della moneta
falsa. Questo sistema stato praticato da tutti i legislatori, e non c governo nel quale non vi sia
qualche mescolanza o di vanit cerimoniosa o di opinione menzognera, che serva di briglia a mantenere
il popolo nel dovere. per questo che la maggior parte hanno origini e inizi favolosi e arricchiti di
misteri soprannaturali. per questo che ha dato credito alle religioni bastarde e le ha fatte tenere in
onore da persone dingegno; ed per questo che Numa e Sertorio, per rendere i loro uomini pi devoti,
li pascevano di questa sciocchezza, luno che la ninfa Egeria, laltro che la sua cerva bianca gli
comunicasse da parte degli di tutte le decisioni che prendeva. E lautorit che Numa dette alle sue leggi
sotto il pretesto dei Battriani e dei Persiani, la dette alle sue sotto il nome del dio Oromasi; Trismegisto,
degli Egizi, di Mercurio; Zamolxi, degli Sciti, di Vesta; Caronda, dei Calcidi, di Saturno; Minosse, dei
Candioti, di Giove; Licurgo, degli Spartani, dApollo; Dracone e Solone, degli Ateniesi, di Minerva. Ed
ogni governo ha un dio a capo; falsi gli altri, vero quello che Mos impose al popolo di Giudea uscito
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dallEgitto. La religione dei Beduini, come dice il signor de Joinville, contemplava fra le altre cose che
lanima di quello di loro che fosse morto per il proprio principe se ne andasse in un altro corpo pi
felice, pi bello e pi forte del primo; e in questo modo essi arrischiavano molto pi volentieri la loro
vita, Montaigne, Essais, II, XVI, cit., pp. 840-841.
18. Platone, Cratilo, 397 D, trad. it. a c. di E. Martini, Bur, Milano 2000: Io dunque sospetto suppergi
questo: credo, cio, che i primi uomini viventi nellEllade stimassero iddii quelli soltanto che ora sono
ritenuti per tali dalla maggior parte dei barbari: il sole e la luna e la terra e le stelle e il cielo; e in quanto li
vedevano tutti andar sempre di corsa e correre, da questa loro natura del thein, del correre, li avessero
denominati theoi; ma che pi tardi, avendo concepito gli altri, li chiamassero tutti con questo medesimo
nome, p. 119.
19. Theophrastus Redivivus, cit., Vol. II, pp. 341-555.
20. Quia multi sunt qui exterioribus solum religionis figmentis decipiuntur existimantque deos esse,
non quia illos esse vere sciant, sed quia religionem id docere animadvertant, prohibereque ne aliud
homines sciant; cum e contra religione duci non deberent, nisi in quantum deos esse cognoscerent, non
praetermittendum censemus quid philosophorum et politicorum opinionibus de ill dictum sit, ad
maiorem de omnibus ad deos pertinentibus cognitionem et certitudinem. Incipiam ergo a religionis
origine, Ibid., p. 341.
21. Ibid., pp. 343-344, corsivo nostro.
22. Cumque homines tunc in lege naturae adhuc viverent indistincteque perpetuarent quaecumque illis
libebat (nondum enim fas et nefas in usu erant, nec vitium, nec virtus erant nota nomina), legislatores
iustum iniustumque legibus statuerunt, et bonum malumque definierunt; ita ut ea omnia quae in lege naturae bona
erant in bona et mala legibus hominum divisa atque distributa fure, docentibus legislatoribus malum
esse id quod lege vetitu, esset, et ab illo abstinendum; bonum vero id quod lege praeceptum et sanctium
esset, et id faciendum, Ibid., p. 344, corsivo nostro.
23. Non praetermittendus est Moses Iudaeorum legislator, qui, ut Diodorus [lib. 2 cap. 3] tradit, ab Iao
quem deum vocant acceptas leges dare prae se ferebat: sive putans rem divinam mirandam, maximeque
mortalibus utilem leges esse, sive ut citius populi, ob rei excellentiam, deum timore, legibus
obtemperarent. Mahometus etiam, ut refert Camapanella [ in atheis. triump. cap. 13], in antro ad montes
Arabiae philosophabatur, et finxit leges suas ab angelo Gabriele accepisse, cumque morbo sacro
laboraret, simulavit spiritu dei tunc rapi. Cinghus quoque apud Tartaros se filium Solis finxit et signa
mirabilia fecit. Nam transire visus est mare Caspium sicco pede, sicut Moses Erithreum transivit,
legesque tulit hac ratione, ut idem Campanella refert; non desunt etiam qui Christum se dei filium
finxisse asseverent, ut facilius hominum animos religione conciliaret. Eius sectatores post modum
divinitatem illi attribuerunt et deum ipsum esse mentiti sunt, Ibid., pp. 352-353.
24. N. Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, I, 11, a c. di R. Rinaldi, Utet, Torino 2006, p.
493. Limportanza delle religioni per la prassi politica ulteriormente confermata dal segretario
fiorentino in un passaggio appena successivo: E vedesi, chi considera bene le istorie romane, quanto
serviva la religione a mandare gli exerciti, animire la plebe, a mantenere gli uomini buoni, a fare
vergognare i rei. Talch se si avesse a disputare a quale principe Roma fusse pi obbligata, o a Romolo
o a Numa, credo pi tosto Numa otterrebbe il primo grado: perch dove religione facilmente si
possono introdurre larmi; e dove sono larmi e non religione con difficult si pu introdurre quella. E
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si vede che a Romolo, per ordinare il senato, per fare altri ordini civili e militari, non gli fu necessario
della autorit di Dio; ma fu bene necessario a Numa, il quale simul di vere domesticheza con una
nympha la quale lo consigliava di quello che elli avesse a consigliare il popolo; e tutto nasceva perch
voleva mettere ordini nuovi et inusitati in quella citt, e dubitava che la sua autorit non bastasse. E
veramente mai fu alcuno ordinatore di leggi straordinarie in uno popolo che non ricorresse a Dio,
perch altrimenti non sarebbero accettate. Perch sono molti beni conosciuti da uno prudente, i quali
non hanno in s ragioni evidenti da poterle persuadere a altrui; per gli uomini savi che vogliono trre
questa difficult ricorrono a Dio. Cos fecie Ligurgo, cos Solone, cos molti altri che hanno avuto il
medesimo fine di loro () La religione introdotta da Numa fu intra le prime cagioni della felicit di
quella citt: perch quella caus buoni ordini, i buoni ordini fanno buona fortuna e dalla buona fortuna
nacquero i felici successi delle imprese. E come la osservanza del culto divino cagione della grandezza
delle republiche, cos il dispregio di quello cagione della rovina desse. Perch dove manca il timore di
Dio conviene o che quel regno rovini, o che sia sostenuto dal timore duno principe che sopperisca a
difetti della religione. E perch il principi sono di corta vita, conviene che quel regno manchi presto,
secondo che manca la virt desso. Donde nasce che gli regni i quali dipendono solo da la virt duno
uomo sono poco durabili, perch quella virt manca con la vita di quello; e rade volte accade che la sia
rinfrescata con la successione, Ibid., pp. 494-497.
25. Theophrastus Redivivus, cit., Vol. II, pp. 430-529.
26. Loperazione che il Theophrastus sta inscenando debitrice dellanalisi svolta da Machiavelli nel sesto
capitolo del Principe. In quella sede, infatti, lingegno del fiorentino aveva accomunato, non senza una
dose di raffinata ironia, Mos, che ebbe certo s grande precettore, agli altri legislatores: Ma per venire
a quegli che per propria virt e non per fortuna sono diventati principi, dico che e pi eccellenti sono
Mois, Ciro, Romolo, Teseo e simili. E bench di Mois non si debba ragionare, sendo suto uno mero
esecutore delle cose che gli erano ordinate da Dio, tamen debbe essere ammirato, solum per quella
grazia che lo faceva degno di parlare con Dio () necessario pertanto, volendo discorrere bene
questa parte, esaminare se questi innovatori stanno per loro medesimi o se dipendono da altri: cio se
per condurre lopera loro bisogna che preghino, o vero possono forzare. Nel primo caso, sempre
capitano male e non conducono cosa alcuna, ma quando dependono da loro propri e possono forzare,
allora che rare volte periclitano: di qui nacque che tutti e profeti armati vinsono ed e disarmati
ruinorno. Perch, oltre alle cose dette, la natura de populi varia ed facile a persuadere loro una cosa,
ma difficile fermargli in quella persuasione: e per conviene essere ordinato in modo che, quando non
credono pi, si possa fare loro credere per forza. Mois, Ciro, Teseo e Romulo non arebbono potuto
fare osservare loro lungamente le loro consultazioni, se fussino stati disarmati; come ne nostri tempi
intervenne a fra Ieronimo Savonerola, il quale ruin ne sua ordini nuovi, come la moltitudine cominci
a non credergli, e lui non aveva modo a tenere fermi quelli che avevano creduto n a fare credere e
discredenti, N. Machiavelli, Il Principe, VI, a c. di G. Inglese, Einaudi, Torino 2005, pp. 33.36.
27. Pietro Pomponazzi nellopuscolo De effectuum naturalium rerum causis, stampato a Basilea, dichiara
veri i miracoli della religione mosaica e di quella cristiana. Crede, per, che la causa che li determina sia
da identificarsi o con le influenze astrali o con la nostra immaginazione. Ed invero, poich gli astri
sovrintendono allordine e al governo delluniverso, regolano anche le istituzioni religiose da cui ogni
ordine scaturisce. E siccome i popoli non crederebbero ad un nuovo profeta se non vedessero con i
propri occhi che egli in grado di fare miracoli, gli astri, concentrando in un unico punto tutte le facolt
e le capacit che separatamente impartiscono gli animali, alle erbe e alle pietre, le conferiscono al nuovo
profeta che, munito e circondato da una cos grande congerie di doni celesti, compir moltissime cose
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straordinarie, G. C. Vanini, Amphitheatrum aeternae providentiae, Exercitatio VIII, in Tutte le opere, cit., p.
407.
28. Ibid., p. 405.
29. Quid vetat caetera miracula istis simila pari modo conficta fuisse existimare? Resurrectio
mortuorum sane omnium miraculorum maximum est et creditu difficillimum, utpote sit naturae etiam
viribus impossibile; tamen illud miraculum accidisse tam in religione ethnic quam in christian fingitur,
et a multis etiam creditur, quae supra de Apollonio Tyaneo et ex Plinio retulimus, testantur apud
Ethnicos id celebrari. Quin etiam Plato [lib. 10 de Rep.] dicit quendam Erum Pamphilium revocatum ex
inferis fuisse et incredibilia narravisse. Contra ista miracula Pomponatius [lib. de incant. cap.8 ] asserit 1
ad animalium resurrectiones a Plinio supra allatas, illas eundem Plinium non probare et alibi illas non
solum in bestiis negavisse, imo in hominibus, et utraque in quidbuscumque mortalibus. Praeterea dicit
qui illud se vidisse retulerunt deceptos fuisse: nam si illis id vere visum est et non sit dictum pro fabul,
talia animalia non erant vere mortua, sed aestimabantur mortua, veluti multoties etiam visum est
temporibus nostris: ut de quodam fure suspenso Bononiae, de mulieribus praegnantibus, de correptis
ab epilepsi, vel magis ab apoplexi, et in talibus casibus non inconvenit tales herbas proficere et multa
alia a natur ordinata. Quod autem additur de Pamphilo et aliis a mortuis exsuscitatis, dicit idem
Pomponatius illa esse fabulosa et potice dicta ad hominum instructionem, veluti existimamus illud
Pamphilii fuisse. Plato enim ibi instruxit vulgares et plebem, qui ad bona opera non trahuntur nisi ex
spe praemii, et a malis non retrahuntur nisi timore poenae. Et secundum eundem Platonem in 2 de
Republica in tali casu licet mentiri vel fingere. Et Scaevola dicebat expedire in religione civitates falli,
Theophrastus Redivivus, cit., Vol. II, pp. 387-388.
30. T. Gregory, Theophrastus Redivivus. Erudizione e ateismo nel seicento, cit., pp. 113-114.
31. Theophrastus Redivivus, cit., Vol. II, pp. 530-555.
32. Ibid., p. 549. Lidea che lordine politico sia garantito solo da quella seconda verit rappresentata dal
fenomeno religioso, unita alla persuasione che labito religioso abbia ormai, alla luce della tradizione,
acquisito agli occhi del popolo uno status perfettamente naturale, dunque integrato nei meccanismi del
suo vivere civile, spinge la critica libertina, e il Theophrastus in particolare, a riconoscere alla religione un
ruolo fondamentale per la tutela della pacifica convivenza fra gli uomini. La critica corrosiva a cui il
trattato sottopone lo spazio del sacro non comporta, dunque, unazione volta allo smascheramento di
questo sublime inganno. La consapevolezza che lerudizione garantisce al sapiente rimane allora un
affare privato, che non implica alcuna presa di posizione nello spazio pubblico del dibattito. Lo
scetticismo , in tal modo, e ancora una volta nel corso della storia, una posizione che d vita ad un
ideale conservatore, volto alla salvaguardia dellordine stabilito: Nata dallastuzia di principi e sacerdoti,
garantita dalle leggi, convalidata dalla forza della tradizione, la religione indica in tutti i momenti della
sua storia che gli uomini, non gli dei, ne sono gli autori: la critica ateistica ha compiuto cos la sua opera
di dissacrazione, andando molto al di l della ricerca rinascimentale delle cause naturali dei miracoli,
perch queste vengono ritrovate non pi nei cieli di una cosmologia ormai in crisi ma nella natura
umana, nella volont politica, nellignoranza del volgo, nel gioco di interessi e passioni che sta al fondo
di ogni forma di vita associata. Ma proprio per questi inerire della religione alle strutture profonde della
citt terrena, il filosofo non dovr tentare di modificare uno stato di cose che il costume ha reso del
tutto naturale. La sua opera di dissacrazione resta un discorso fra sapienti che, consapevoli della vera
natura della religione e liberi dai suoi miti, sanno che questi sono essenziali per il volgo: leducazione del
popolo, infatti, si realizza non con il rischiaramento della ragione ma con la conservazione delle
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mitologie religiose. La critica libertina cui soggiace sempre lopposizione fra pubblico e privato,
fra vulgus e sapientes si congiunge cos ad un aristocratico conservatorismo, T. Gregory, Theophrastus
Redivivus. Erudizione e ateismo nel seicento, cit., pp. 185-186.
33. Quidam autem omnes promiscue reliones in republic admitti et recipi debere contendunt, nec
immerito, nam in tant quas videmus religionum multitudine, alterum fieri putant, ut plus una vera sit.
At usquequaque pontificibus omnium religionum capitali odio inter se discrepantibus, num tutius est,
inquiunt, omnes admittere quam de multis unam, quae forsitan falsa sit, optare aut eam, quae forte
verissima sit, excludere velle? Sic et illos qui daemones colunt, haud secus ac eos qui deos adorant,
admittendos esse axistimant, nam deo nihil contrarium existere posse arbitrantur, Theophrastus Redivivus,
cit., Vol. II, pp. 541-542.
34. Il Theophrastus sottolinea come i Romani abbiano sempre integrato il loro pantheon accogliendo al
suo interno anche le divinit dei nuovi popoli conquistati, e questo proprio per continuare a garantire la
solidit del proprio dominio. Fra i vari esempi proposti dal trattato, di particolare importanza quello
dellImperatore Teodosio nei confronti delleresia ariana: Theodosius maior imperator hc etiam usus
est indulgenti; ineunte enim imperio provincias omnes Arianorum plenas reperit, quorum opes ita
creverant sub imperatoribus arianis, ut non modo confirmata esset eorum disciplina conciliis octo, quae
variis temporibus variisque in locis coacta fuerant, ac potissimum ariminensi synodo, quae sexcentorum
pontificum concordibus animis ac sententiis arianam sectam comprobarat, verum etiam poenarum et
proscriptionum acerbitate sectas asversariorum punirent: noluit imperator Arianos, quos tamen
capitaliter oderat, ullis suppliciis corceri, sed utrisque Arianis, inquam, et Catholicis sua templa
concessit et in singulis oppidis duos utriusque religionis pontifices haberi permisit, Ibid., p. 543.
35. Su Mersenne e sullanalisi della sua obiezione a Descartes, il riferimento C. Buccolini, Contra eos
qui deum falsum dicere posse docent. La genesi dellobiezione di Mersenne sul Dio ingannatore, Giornale Critico
della Filosofia Italiana, LXXXV (LXXXVII), fasc. I, 2006, pp. 82-120.
36. A questo proposito, J.-P. Cavaill, Dieu trompeur, doctrine des quivoques et athisme: entre Grgoire de
Valence et Descartes, in Potentia Dei. Lonnipotenza divina nel pensiero dei secoli XVI e XVII, a c. di G.
Canziani, M: A. Granata e Y. C. Zarka, Milano, Franco Angeli 2000, pp. 317-334.
37. C. Buccolini, Contra eos qui deum falsum dicere posse docent. La genesi dellobiezione di Mersenne sul Dio
ingannatore, cit., p. 85.
38. C. de Condres, Trait des quivoques, in Oeuvres compltes du P. Charles Condres, ed. par labb Pin, Paris,
Guyot et Roidot 1857-1858 (Vol. II).
39. J. Barnes, Dissertatio contra aequivocationes, Paris 1625.
40. P. Bayle, Dictionnaire historique et critique (Cinquime dition, IV Vol.), Amsterdam, Leyde, La Haye,
Utrecht 1740, v. J. Barnes, pp. 458-459.
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