MODERNITA DELLUMANESIMO
II. PROIEZIONI
1. Una malattia moderna
FRANCESCO PETRARCA (1304-1374)
Al centro del dialogo che Petrarca attribuisce a Francesco, sua controfigura, e Agostino, suo maestro spirituale,
impegnati in un colloquio che un dramma interiore (De secreto conflictu curarum mearum, II segreto conflitto dei miei
pensieri, generalmente chiamato Secretum), e che vuol essere anche un documento della crisi che occup l'umanista
intorno al quarto decennio del secolo XIV, vi la discussione sull'accidia, uno dei vizi capitali passati in rassegna. La
discussione sull'amore e sulla gloria, anch'essa simbolica della conflittuale condizione umana, riguarder pi da vicino i
dati biografici del poeta, ma nel discutere di questo male dellanima sembra che il poeta colga il punto pi profondo della
sua coscienza, ma anche della coscienza moderna, e quasi un aspetto del subconscio(L'accidia ,che la teologia morale
considerava una forma di scarso vigore, di scarso impegno nella vita religiosa e nellamore di Dio, viene descritta, sul
fondamento delle Tusculanae disputationes cicemniane, come quella malattia dell'anima che potremmo chiamare 'angoscia'
. Come riconosce il poeta che finge in Agostino un analista della sua psiche, il quale tenta di fargli avere consapevolezza
del suo stato e delle sue cause, considerandole una per una, il male oscuro si annida al fondo della coscienza e gli
impedisce talora di agire, e reagire, e lo conduce perfino a disperare della possibilit di riacquistare la salute. La
condizione angosciosa diventa cosi non solo la propria condizione, ma la condizione universale dell'uomo in quanto soggetto
ai colpi della fortuna e incapace, in definitiva, di far altro se non sottostare e prendere atto di questo suo destino. Per il
personaggio di Agostino, nel quale parla l'aspirazione e la consapevolezza morale di Petratra, questa accettazione della
sconfitta un male non perch sia possibile liberarsi in tutto dai condizionamenti della fortuna (che sarebbe come
pretendere di non esser soggetto alle leggi della natura umana), ma perch doveroso e possibile che la mente comprenda
la realt della situazione e aiuti almeno la volont a sottrarsi alla necessit del destino. Il primato della volont, intesa in
questo senso psicologico che tien conto dei condizionamenti della natura umana, e non nel senso volgarmente pragmatico
secondo cui la volont comunque capace con le sue forze di scegliere il bene conoscendolo, ricollega la meditazione
petrarchesca alla crisi dellintellettualismo scolastico. Ma per un'idea efficace, documentata anche dalla situazione
attuale degli studi, della complessiva presenza petrarchesca nei secoli, si rimanda a Petrarca nel tempo.
3. Principe si diventa
FRANCESCO PETRARCA
Si pu dire che questa epistola, nella quale Petrarca esprime a Niccol Acciaiuioli, gran siniscalco del Regno e precettore
del figlio di Roberto d'Angi, i modi con i quali educare il giovane al governo, dia inizio alla discussione moderna sulla
educazione del Principe. Tuttaltro che ingenua, o platonica, nella enucleazione della meta ideale dell'educazione l'epistola
nasce dalla consapevolezza che si pu nascere destinati a regnare, ma che per regnare necessaria un'educazione, n
automatico riuscire a portarla a termine nel modo pi utile. La riflessione contiene un forte pessimismo sulla natura
umana, la quale tende a far diventare tiranno chi si trova nella condizione privilegiata del principe, e cos ostacola la
realizzazione stessa di quello che non pu non essere il fine dell'educazione politica, ossia il bene pubblico. Molte volte
pi pericoloso non aver opposizione alcuna, perch induce allo strapotere, che incontrare ostacoli. Anche l'apparente
idealismo con cui Petrarca ritiene che si siano potuti verificare due casi di principi perfetti, Augusto e Roberto d'Angi,
nasconde un profondo atteggiamento critico nei confronti della realt attuale e l'aspirazione ad una diversa soluzione
politica, tendente alla repubblica, dato anche il giudizio talora negativo su Cesare, 'dittatore' e moralmente discutibile, e
il giudizio sempre positivo su Scipione, onesto esponente della repubblica romana (la questione interesser ulteriormente
la cultura umanistica e avr un peso nella formazione della coscienza politica: cfr. D. C'anfora).->Francesco Petrarca,
Epistole Familiari.
4. La guerra e la pace
FRANCESCO PETRARCA
La giustificazione della guerra come un mezzo per instaurare la pace un antico argomento che si sostenuto ai nostri
tempi per scatenare imprudenti conflitti e ingiustificate sopraffazioni. Petrarca non manca di propugnare la difesa della
civilt dalla barbarie mediante l'eroismo delle armi, obbedendo ad un altro motivo ricorrente che torner a farsi sentire
nei momenti di reviviscente patriottismo. Eppure nella lettera inviata al doge Andrea Dandolo, come in una lettera analoga
inviata alla repubblica di Genova, lumanista utilizza le ragioni contrarie che consigliano a non aggravare le tensioni interne
all'Italia pericolose per tutti, e comunque a non pensare che la guerra possa rinforzare la posizione politica essendo di per
se stessa un motivo di debolezza che non estingue l'odio, ma non fa che rinvigorirlo. Il discorso petrarchesco, che pur
cercava di utilizzare argomenti diplomatici di riappacificazione, parso sostanzialmente utopico e perci non atto a
confrontarsi con una politica realistica, espressa anche nella risposta del doge, il quale non rinuncia alla guerra quando
essa pu passare come giusta e inevitabile. In realt parla in Petrarca una ragione pi profonda, tipicamente Umanistica,
che considera la pace necessaria alla civilt e alla cultura, obiettivi primari, e in nome di essa sconfessa i pretesti che
nascondono l'ira, l'inimicizia a l'avidit di dominio, e la cecit di fronte ai pericoli. Su questi ultimi, in pi tarda et, egli
insiste delineando la figura del condottiero come aveva fatto con quella del principe, e riproponendo la questione del
rapporto fra le armi e le lettere che conoscer alterne vicende: Strepitino pure quanto vogliono e si facciano beffe i
nostri condottieri e i nostri re e principi, che hanno dichiarato guerra alla virt e alla cultura e col simulato disprezzo
nascondono la loro tardit d'ingegno (...) E tuttavia non voglio essere inteso nel senso che io dica necessaria ai condottieri
la filosofia o la poesia, ma solo quella letteratura attraverso cui possano apprendere i precetti della milizia e i fatti della
storia>>. Un atteggiamento, quello di Petrarca, che vuol essere un modello di comportamento umano pi che un astratto
principio morale, e analogamente gli fa sdegnare l'alterco dialettico e politico che nasce dalla presunzione di possedere la
verit, e gli fa gradire il dialogo, se non risolutore, almeno chiarificatore delle divergenze.
<< poich parlo di pace, volentieri riferisco le parole d'Annibale: e son parole tanto contrarie alla natura di lui, cos amante
della guerra, che bisogna dire che la verit stessa gliele abbia strappate di bocca. Che dice egli, secondo Livio:Migliore e
pi sicura una pace certa che una sperata vittoria() se l'ardore di questa guerra imminente non venga smorzato da una
fonte di piet, dalle ferite che verranno non sgorgher sangue numantino o cartaginese ma italiano(..)Se dunque tra i tuoi
consiglieri, che non dubito sian molti e autorevoli, si dar ascolto alla mia voce, tu non solo non rifiuterai un'offerta di
pace, ma le andrai incontro e abbracciandola con trasporto facendo si che resti in eterno tra voi>>->Francesco Petrarca,
Epistole familiari
traduzione "parola per parola", che provoc e provoca varie questioni, e l'ammonimento ad affrontare un tale lavoro
quando si conoscano come lingue proprie quella di partenza e quella di arrivo, e soprattutto quest' ultima, sono una pietra
miliare nella problematica moderna della traduzione. Non va per altro trascurata la sensibilit linguistica che dimostra il
discorso di Bruni, corredato con esempi che non potevano riguardare allora se non il rapporto greco-latino, pur essendo
trasferibili al rapporto latino-volgare e a quello fra idiomi diversi, che costituisce ora il nostro problema.
[...] Dico, dunque, che tutta l'efficacia di una traduzione consiste in questo: che ci che stato scritto in una lingua venga
rettamente trasportato in un'altra lingua. Ma rettamente questo nessuno pu farlo senza avere una vasta e grande
pratica dell' una e dell'altra lingua. E ci non basta. Infatti, molti sono capaci a comprendere, ma non sono capaci ad
esporre. Alla stessa maniera che molti giudicano rettamente sulla pittura, ma non sanno dipingere, e molti si intendono di
musica, ma non sanno cantare. Cosa grande e difficile , dunque, la retta traduzione. In prima luogo, infatti, bisogna avere
conoscenza di quella lingua da cui si traduce. Chiunque non abbia letto tutti questi autori, che non li abbia voltati e
rivoltati da ogni parte e non li abbia posseduti, non pu capire la propriet e i significati delle parole: e questo
specialmente perch lo stesso Aristotele e Platone furono, per cosi dire, sommi maestri nelle lettere e hanno usato un
modo di scrivere elegantissimo, ripieno di detti e di sentenze degli antichi poeti, oratori e storici [...]Non sia poi ignaro
del consueto modo di esprimersi e delle figure del parlare di cui si servono i migliori scrittori. E questi li imiti anch'egli
scrivendo, ed eviti i neologismi di parole e di stile, specialmente quelli inadatti e rozzi.(..)Infine, difetti del traduttore
sono: o capire male ci che da tradurre, o renderlo male oppure (..)non elegante e disordinato>>.->Leonardo Bruni, Della
perfetta traduzione
conseguito la lode da parte di tutti e per l'ingegno(..)E poi come pregevole lo stile, mio Dio!, come sciolto e scorrevole,
come privo di asprezze, come scorre senza durezze>>->Traduzione dall'epistola di Lapo da Castiglionchio a Biondo Flavio.
8. Il viaggio
L'importanza che assunse il viaggio nella mente degli umanisti si pu ricavare per rovescio da alcuni interventi, che
s'inquadrano nel gusto della facezia e sembrano fare la caricatura di questa smania crescente. In un registro faceto
appariva gi in Boccaccio il tema collaterale della 'noia' del viaggio, ripreso nelle satire ariostesche, e pi tardi in
ambiente secentesco, a testimoniare la continuit della dialettica gi tipicamente umanistica fra serio e faceto. Petrarca
invero esprimeva ancora delle perplessit sugli eccessi di un costume che avevano contratto lui stesso e il suo amico
Giovanni Colonna. E mentre sentiva il bisogno di difendersi dicendo che non aveva cercato il guadagno come i mercanti
(<<non posso accusare in altri quel che scuso in me stesso; anch'io sono stato trascinato dall'ardore di portarmi per terre
e per mari, e specialmente anche che il piacere mi ha tratto allestremit della terra, sospinto da una parte dal tedio e
dall'avversione per i costumi (...) Ma il nostro amico non per diventare pi dotto, ma per tornare pi ricco non c' angolo
che non raggiunga, e con ogni vento, alla maniera della foglia caduca, va in giro>>, Epistole familiari, III 2), altrove con un
p d'ironia scriveva che, potendo trarre tante informazioni dal libri, era inutile e rischioso per lui affrontare viaggi
lontani (si trattava dell'Irlanda: <<e se per non spendere troppa fatica nella ricerca di quel luogo, che forse, aria volta
trovato, lasceremmo con molto piacere, dovr porre fine alla mia lettera e spendere tempo in interessi migliori>>). Pi
affine alla facezia era il consiglio dato al Colonna di Starsi un po fermo e di considerare la podragra una grazia di Dio.
Una vera e propria battuta di spirito invece quella intorno all inutilit dei viaggi, riportata da Poggio con paradossale
dissimulazione sembra un pensiero logico. Eppure Poggio aveva documentato la sua opera sulla variet della fortuna col
racconto di un viaggio in Oriente fatto da un mercante fiorentino, Niccol de' Conti, che rappresenta una delle prime
testimonianze del gusto dell'esotico e dell'orientale. Poggio aveva d'altra parte celebrato Enrico il Navigatore come un
eroe dei nuovi tempi, provvisto di un coraggio che non ebbero nemmeno gli antichi, segno di una trasgressione cui
l'umanista era incline, ma anche riflesso di quelle discussioni che a Firenze erano diffuse fra i dotti circa le nuove
prospettive della geografia.
-
<<Quelli che estendono il dominio sogliono essere molto onorati e vengono chiamati imperatori; ma coloro che hanno
migliorato la condizione umana sono celebrati con lode degna non di uomini ma di dei, perch non hanno provveduto
soltanto alla grandezza alla gloria della propria dna, ma al vantaggio e al riscatto in genere dell'umanit intera>> (...)Poich
di tanto il valore di Camillo soverchia quello degli altri, che senza di lui neppur si salverebbero i difensori del Campidoglio,
di Ardea, di Veio. Cosi anche gli altri scrittori trarranno non poco vantaggio da chi faceva qualcosa per la lingua latina>>.
Lorenzo Valla, Elegantiarum latinae linguae libri VII, prefazione.
10. Il piacere
LORENZO VALLA
II rilancio dell'epicureismo, mediante la reinterpretazione di una dottrina tacciata di immoralit per l'importanza che
attribuiva al piacere quale prima motore dell'azione umana, a uno dei pi importanti fattori di modernit dell' Umanesimo.
Conosciuta soprattutto attraverso il compendio che ne faceva Cicerone nei suoi trattati morali al fine di ridimensionarla,
e attraverso il poema De rerum natura di Lucrezio, riscoperto da Poggio Bracciolini destinato a suscitare entusiasmi e
ancora sospetti, la dottrina di Epicuro fu dal Valla rivisitata con criteri filologici e spirito ribelle, al limite della
provocazione e con qualche effettiva esagerazione di amorale imprudenza. Certi eccessi di spregiudicatezza contenuti
nell'intervento del personaggio di Antonio Panormita si spiegano infatti con la logica del dialogo, che ama contrapporre le
tesi estremizzandole. E tuttavia nel De voluptate non solo si contrappone il principio genuino e naturale del piacere, come
fondamento della vita morale, all'onest predicata dagli stoici, ma si riconosce storicamente e filologicamente come il
piacere figuri alle origini dellideale cristiano della felicit e della gioia paradisiaca. La confutazione del piacere terreno e
la celebrazione del piacere soprannaturale dei corpi risorti, attribuita ad un sant'uomo, anch'essa una filologica
rivisitazione della mistica cristiana, che dimostra di reggersi sulla sublimazione di una ineludibile aspirazione al godimento
dei sensi che nella natura. La stesso titolo (De voluptate, 'Il piacere"), che in seguito l'autore mut in De vero bono ("il
vero bene") conservandone per il contenuto, ripreso in un 'opera di Marsilio Ficino la cui prospettiva spiritualistica
recuperava sostanzialmente il concetto epicureo di atarassia (piacere come assenza di turbamento), sar rarissimo, ma
comparir in momenti significativi della sensibilit moderna, il sensismo illuministico di Pietro Verri (al suo Discorso
sull'indole del piacere e del dolore pu collegarsi d'altra parte la morale materialistica di Leopardi, incentrata sul piacere)
e la narrativa decadente di Gabriele d'Annunzio (Il piacere). Il concetto di piacere, tuttavia, riguarda tutta la riflessione
e la letteratura secolare sullamore, dove lanalisi psicologica occupa un posto rilevante, ed un punto di riferimento anche
della poetica, poich ledonismo formale riemerge spesso in et moderna, in modo pi o meno 'sofisticato, sublimato o
travestito, quale finalit della poesia.
- La fornicazione e l'adulterio non sono da riprovare. (..)se misuri tutte le case dal piacere, ed agisci non per altri ma per
te? Come la fame e la sete, cos la libidine ha bisogno di alimento, e non di un alimento qualunque, ma di quello che essa
concupisce. (..) Cosi chi ama una certa donna, non c' verso ad esortarlo che si dedichi ad un'altra che non ama. Dirai che
possibile contenersi non solo dalla violenza, ma da ogni unione, solo volendolo. Se una donna mi piace ed io le piaccio,
perch ti vuoi intromettere per dividerci? Dividi quelli che sono in discordia e che tentano di ferirsi scambievolmente, non
quelli che sono concordi e che si fanno grazia a vicenda. Che cosa significa commettere un adulterio? Se vogliamo ben
guardare la natura delle cose, secondo me, odioso chi inveisce contro gli adulteri.
- Del piacere dei sensi nei celesti. I nostri corpi saranno pi splendenti del sole meridiano, non perch la loro luce abbaglia
e offende il nostro sguardo, ma perch apparendo pi chiari siamo pi attraenti. Quale sar poi lo splendore dell'anima?
Quanti beni non sono riservati da Dio padre, nei cieli, per godimento dei sensi, ai figliuoli che ritornano vittoriosi, se in
questo luogo di battaglia che si chiama valle di lacrime, cre tante cose piacevoli?
- Nel cielo vi saranno piaceri che qui non si possono avere. Ma vi saranno nel cielo altri infiniti piaceri che qui non dato
desiderare n sperare. Nel cielo vi sono molti godimenti, migliori e pi grandi. Da queste considerazioni si pu dedurre che
tutti i desideri che formano ora il nostro diletto, alieni dalla maest del Paradiso, cesseranno, come le cavalcate, le
cacciagioni, la caccia agli uccelli, la pesca.->Lorenzo Valla, il piacere.
Nel contesto dell' Umanesimo si avvia anche il processo di innalzamento sociale delle arti meccaniche, quelle una volta
distinte dalle arti liberali perch guidate dal sapere tecnico piuttosto che dalla scienza. Lungo i tre secoli del
Rinascimento si matura lequiparazione fra le lettere e le arti che nell'et moderna non pi materia di discussione, anche
se si acuisce sul piano del pensiero estetico il problema, molto avvertito nella prospettiva umanistica, del rapporto e della
superiorit fra le arti, nelle quali compresa la retorica, cio la tecnica sottesa alla scrittura e in particolare alla poesia
(di tutta questa problematica, riscoperta nel Novecento, diventa un punto di riferimento il "Journal of Warburg and
Courtauld Institutes" iniziato nel 1936-1937). Nel trasferire l'insegnamento retorico, ossia la scienza dei modi di
rappresentare le idee, all'arte della pittura, Alberti da un contributo notevolissimo a questo processo di modernizzazione,
perch definisce la particolare `difficolt' di un'arte ritenuta manuale, che quanto dire la sua scientificit. Per
rappresentare la figura umana, che argomento della storia tradizionalmente affidata alla scrittura, bisogna conoscere la
fisiologia, la scienza dei movimenti del corpo, e l'analogia fra gli stati d'animo e la loro manifestazione esterna, ossia la
fisiognomica; con un'analoga correlazione nella tradizione retorica la poesia era considerata specchio dell'anima. La
scoperta del movimento come specchio della 'vita' un contributo non solo alla resa estetica, alla bellezza e alla grazia,
dell'opera pittorica, ma alla conoscenza dell'uomo e della natura (l'argomento riguarda, al di la delletica e dell'estetica, la
filosofia naturale). Per questa via la rappresentazione artistica, specialmente nella stampa, si svilupper anche come
illustrazione della scrittura e porta il problema della sua superiorit espressiva rispetto al testo scritto, che non
rappresenta il movimento immediatamente alla vista. Inoltre lo stesso 'movimento', il quale sollevava la pittura almeno al
livello della letteratura, sar motivo di vanto ai giorni nostri per la nuova riflessione estetica che mirer a sostenere
l'autonomia, il primato, del 'cinema', arte per eccellenza del movimento visivo nella rappresentazione del mondo umano.
<<Adunque il pittore, volendo espriemere nelle case vita, far ogni sua parte in moto; ma in ciascuno moto terr venust e
grazia(..)Poi mover l'istoria l'animo quando gli uomini ivi dipinti molto porgeranno suo propio movimento d'animo. Ma
questi movimenti d'animo Si conoscono dai movimenti del corpo.(..)Cos adunque conviene siano ai pittori notissimi tutti i
movimenti del corpo, quali bene impareranno dalla natura, bene che sia cosa difficile imitare i molti movimenti dello animo.
E chi mai credesse, se non provando, tanto essere difficile, voiendo dipignere uno viso che rida, schifare di non lo fare
piuttosto piangioso che lieto?(..)Ma noi dipintori, i quali vogliamo coi movimenti delle membra mostrare i movimenti
dell'animo, solo riferiamo di quel movimento si fa mutando el luogo.>>
Leon Battista Alberti, De pictura, in Opere volgari.
<<Si detto che l'architettura si divide in pi parti, delle quali alcune sono comuni ad ogni e qualsivoglia tipo di edificio com'e il caso dell'area, della copertura, e simili - , altre si differenziano da costruzione a costruzione. Finora s' trattato
degli ornamenti del primo dei due gruppi suddetti, nei limiti che il presente assunto richiedeva; resta ora da parlare di
quelli che si applicano a questo secondo gruppo. Questa trattazione sar di cosi grande che perfino i pittori,
raffinatissimi ricercatori di bellezze, la reputeranno d'importanza imprescindibile...di non pentirsi per averne intrapreso
la lettura.(..)Gli edifici, dunque, possono essere pubblici o privati:, a loro volta sia i pubblici che i privati possono essere
sacri o profani. Tratteremo prima di quelli pubblici. Le mura delle citt solevano, presso gli antichi, essere inalzate con
religiosa solennit, e dedicate a una divinit tutelarevuoi per l'incuria dei cittadini, vuoi per l'odio dei vicini, essi
reputavano le sorti della propria citt legate all' imprevisto e sempre in preda ai pericoli, come una nave in balia delle
onde. (..)Nessuna meraviglia, quindi, se venivano considerate sacre le mura entro cui i cittadini si raccoglievano in comunit
e da cui venivano difesi.(..)E che la giustizia medesima sia nella sua essenza un dono divino, non si pu porre in
dubbio..(..)Sia l'ambiente sia l'area in cui la citta e pasta riceveranno decoro dall essere gli edifici situati e distribuiti
nelle posizioni pi adatte, Secondo Platone, il contado e l'area urbana dovevano esser divisi in dodici zone, tra le quali si
sarebbero equamente ripartiti templi e cappelle. Da parte nostra vi aggiungeremo gli altar al crocicchi, i seggi per giudici
subalterni, le postazioni di difesa.Negli autori dell' antichit si riscontra l'opinione secondo cui le citt situate in pianura
devono essere tenute in minor pregio, perch sarebbero le meno antiche.(..)Ma il principale ornamento di una citta
costituito dalle strade, dal foro, da ogni edifici e dalla sua posizione, costruzione, forma, collocazione: tutti questi
elementi dovranno esser disposti e distribuiti in guisa da rispondere nel modo pi adeguato alla funzione di ciascun'opera
e alle sue esigenze di praticit e di decoro. Giacch, ove manchi l'ordine, anche la comodit, la piacevolezza e la dignit
scompaiono(..)la cittadinanza non si inquini con l'accesso di elementi estranei(..)Si narra di un'antica usanza greca: per gli
estranei costituivano poco fuori del pomerio un mercato di generi di consumo; sicch i nuovi arrivati potevano procurarsi
quanto era loro necessario, e i cittadini erano al sicuro da eventuali pericoli>>
Leon Battista Alberti, De re aedificatoria.
tutto agevole e piano, ne si rompono se non dove una cruda necessit che ogni cosa pia dura si spezzi: se poi invece
hanno dell'ottuso, allora con lo studio assiduo e costante superano qualsivoglia difficolt. Perci se di primo acchito
qualcuno non arriva a intendere qualche cosa, non deve peccare di orgoglio, chiudendo il libro e gettandolo, n cadere nel
vizio opposto, cio in un pusillanime scoraggiamento, ma deve perseverare con l'intenzione di vincere l'ostacolo
trovato.Vero per, che gl'ingegni, quanto pi son ricchi di acume tanto pi sono poveri di memoria, e mentre agevolmente
capiscono, poco ritengono. Perci a conservare la memoria e fortificarla giova assai il precetto insegnatoci e praticato da
Catone, di ripassare la sera tutto ci che si fatto, veduto e letto nella giornata, facendo l'esame, e rendendoci conto
non solo di quanto abbiamo operato lavorando, ma anche dello svago preso in mezzo alle nostre fatiche. Procuriamo di
farlo anche noi, almeno per le cose pia importanti, al fine di ritenerle a memoria con maggiore tenacia.
Utilit delle dispute. Giova anche parlare spesso degli studi comuni tra compagni; ch la disputa assottiglia l'ingegno,
muove la lingua, fortifica la memoria; non gi perch a discutere si impari molto, ma perch per codesta via meglio si
approfondiscono le cognizioni acquistate, pi acconciamente si esprimono e pi saldamente si ritengono. Anche col fare da
maestri ad altri otteniamo grande vantaggio, purch non ci accada il guaio che solitamente accade ai novizi, i quali,
avendola appena assaggiata, credono di possedere gi la scienza tutta quanta, e come gi fossero dotti pretendono di
tener cattedra e con arroganza fanno sentire i loro pareri.
Il dubbio metodico. II primo passo verso il sapere il poter dubitare; ne vi cosa tanto contraria al sapere quanto il
presumere della propria dottrina, e troppo confidare nel proprio ingegno, poich la presunzione spenge l'amore dello
studio, e la folle fiducia lo diminuisce; di guisa che gli ingegni presuntuosi arrivano a ingannare se stessi, cosa punto
comoda, ma d'altra parte facile a succedere e grandemente dannosa. Avviene cosi che essi, privi di esperienza, nemmeno
sognano gli andirivieni, le circonlocuzioni ed i precipizi che si nascondono nelle scienze, e quindi, o correggono male quello
che non intesero bene, chiamando ignoranti e trascurati gli scrittori, passano sopra ai punti che non capiscono, mentre
invece dovrebbero chiarirli con lo studio e con la pazienza.
Distribuzione razionale del tempo. Tutto questo per si far agevolmente, se in modo opportuno si divider il tempo, se in
certi giorni e in certe ore determinate si far la lettura; badando di non lasciarsi prendere talmente dalle occupazioni
diverse che manchi il tempo di leggere quotidianamente qualcosa.
utile poi che ognuno stimi grande la pi piccola perdita di tempo, e del tempo faccia conto come del vivere e star sano,
n lo sciupi in bazzecole, e quelle ore che altri forse consuma nell'ozio, egli le spenda in studi meno gravi e in piacevoli
letture. Infatti una buona trovata il raccogliere anche quello che altri butta via, Come appunto fanno coloro che, dopo
aver cenato leggiucchiano, o aspettando il sonno, o anche per allontanarlo; i medici dicono che questo fa male agli occhi, e
credo anch'io che sia vero, ma solo quando se ne abusi, e il libro richieda molta attenzione, e il leggere sia troppo
prolungato.
Pier Paolo Vergerio, Del nobili costumi, in Eugenio Garin, Educazione umanistica in Italia,cit., pp. 102-104.
Scolari e maestro
MATTEO PALMIERI (1406-1475)
Par appartenendo al circolo degli umanisti fiorentini restauratori del latino, Matteo Palmieri, politico e letterato, adotta
in versi e in prosa il volgare, e in questa opera riprende dal Decameron la forma dell'insegnamento di vita attraverso
l'incontro e il colloquio. I tre giovani scampati dalla peste del 1430, anch'essi introdotti a dialogare in una casa di
campagna, discutono di educazione e affrontano due principii fondamentali della pedagogia moderna, il rapporto fra
maestro e discepolo e la funzionalit di tutte le discipline alla formazione dell'uomo. Il rapporto fra maestro e discepolo,
al di la della riaffermazione del pensiero pitagorico per cui il discepolo debba osservare il silenzio e imparare, prima di
parlare, che potrebbe essere rilanciata come ma provocatoria risposta all'odierna dilagante improvvisazione e maniera
degli interventi estemporanei, e che saggiamente interpretato come `collaborazione' (si insiste sull'attitudine del
discepolo all'ascolto e alla riflessione), non ribadisce il concetto di autorit, anzi insiste sulla amanita del maestro non
severo, ne troppo rigido, ne di dissoluta piacevolezza),, e fa dipendere da questa la scelta stessa del maestro. Scelta
affidata, allora, all'oculatezza del padre, ma che chiaramente si riferisce alla necessit comunque di non lasciare al caso
leducazione, di scegliere, predisporre e adeguare convenientemente il personale didattico.
<<Del maestro. Venuti a questa et, tutta la diligenzia del padre sia in dargli buono e bene intendente maestro, e chi
potesse, infino da principio il tolga ottimo, perch cosi piace ai sommi autori... Sopra ogni cosa sieno net maestro
approvati costumi, per che, giovando alla doctrina e nocendo al bene vivere, sare' contro allo intendimento nostro, che
Sempre propognamo l'onestamente vivere all'optimamente imparare. Non sia dunque il maestro vizioso, e non desideri
d'essere; non stia severo, ne troppo rigido, ne anche di dissoluta piacevolezza; spesso parli di cose buone ed oneste,
dando precepti di buoni costumi; non s'adiri, ne anche finga non vedere i mancamenti da esser 'corretti; e piacevole
risponda quando domandato, spontaneamente domandi quegli che pi tardi sanza domandare si stessono pigri. Poi scelto
tale maestro, il padre comandi figliuoli che quello seguitino, a quello ubidiscano, e da quello sollecitamente imparino le cose
gli monstra; admonisca ii fancitillo che il maestro gli in luogo di padre, non di corpo, ma dell'animo, e de' costumi.
Degli scolari. Voi fanciulli seguitate poi tale uomo, credete che ci ch'egli v'insegna sia approvato ed utile, stimate per la
sua doctrina dovere riuscire onorati fra gli uomini, non date al maestro legge, dicendo: insegnami questo, quest'altro non
voglio imparare; ma in tutto siate contenti del suo iudicio, perch ognuno giudica bene le cose conosce, e ogniuno rozzo
delle cose non ancora imparate. Seguitate in questa il parere di Pictagora, il quale a ciascuno de' discepoli veniano a sua
doctrina comandava silenzio di certo tempo ed almeno di dua anni, parendogli cosa necessaria molto udire innanzi che
cominciare a parlare.
Cosi faccino i discepoli, conoscendo non essere atti a bene parlare, e molto meglio tacere che avezzarsi a parlare quello
di che non s'intende; per che come per parlare poco e di cose bene esaminate e intese s'acquista optimo iudicio, con
sermone ordinato e mirabile, cosi per parlare assai come le parole vengono in bocca s'acquista sciocco disordinato dire
con poca prudenzia.
Consideri in se il fanciullo quello gli 6 insegnato; esaminilo; e se da se lo ingegno non pu, domandi il maestro. Con gli altri
scolari benignamente conversi, sia con loro allegro e lieto, non s'adiri ne si sdegni dell'essere emendato e corretto.
perocche il proprio ufficio del maestro insegnare, e del discepolo farsi atto ad essere insegnato: Matteo Palmieri, Della
vita civile [1433], in E. Garin, Educazione umanistica in Italia, cit., pp. 126-128.
ospedaliero, l'assistenza medica gratuita, l'assistenza sociale su un piano non pi di caritas>> (G. Moraglia). N va
trascurata la presenza anche nella letteratura moderna del triste tema messo a fuoco nell'et umanistica.
<< opportuno che chi giunto ad estrema vecchiezza abbia ben presente che in natura e ormai debole e non va
affaticata con alimentazione pesante e tirata in diverse parti con eccessiva variet di cibi (..) I vecchi migrino d'inverno
verso luoghi solatii come fanno le pecore, e d'estate cerchino luoghi ameni, come gli uccelli. (..)il miele infatti cibo
particolarmente amico ai vecchi, tranne quando si tema infiammazione biliare(..) ed come se la vita risiedesse in quella
cosa volatile che lo spirito, piuttosto che negli umori e nelle membra; e se fosse altrimenti, ma causa della loro grassa
viscosit, la vita si comunicherebbe alle membra con maggior lentezza, come con maggior lentezza se ne rintanerebbe.
Allora, voi tutti che bramate prolungare la vita nel corpo, curate in primo luogo lo spirito>>
Marsilio Ficino, Consilio contro la pestilenzia.
non sono Cicerone; io esprimo me stesso.(..) non ti lasciassi avvincere da codesta superstizione che ti impedisse di
compiacerti di qualcosa che sia completamente tuo, che non ti pennette di staccare mai gli occhi da Cicerone() vorrei che
tu rischiassi mettendo in giuoco tutte le tue capacit.() E ricordati infine che solo un ingegno infelice imita sempre,
senza trarre mai nulla da s. Addio.>>
Angelo Poliziano, Epistola a Paolo Cortese, in Prosatori latini del Quattrocento
Il concetto espresso da Lorenzo Valla sulla durata della lingua latina, diffusa per effetto dell'Impero, ma sopravvissuta
allImpero, riemerge in prospettiva nelle pagine in cui Lorenzo de' Medici, un politico impegnato nel perseguimento
dell'egemonia politica fiorentina, si difende per aver scelto la lingua della tradizione fiorentina in sonetti che continuano
e innovano quella tradizione poetica. La lingua fiorentina ha dei pregi intrinseci che le provengono dalla sua storia
letteraria, avendo acquisito soprattutto attraverso Dante, Petrarca e Boccaccio l'abilit a trattare di tutti gli argomenti,
scientifici compresi (ed egli insister su temi naturalisticamente psicologici), a raggiungere ogni livello espressivo e ad
ottenere l'armonia, per cui merita di diventar comune al di l del limiti territoriali; ma se la fortuna aiuter Firenze,
l'<<imperio potr rendere la lingua fiorentina necessaria come la romana. A parte l'affermazione precoce di quello che
sar il fiorentinismo' (il principio della superiorit intrinseca del fiorentino), dovuta proprio alla tempra del politico,
importa in queste considerazioni la coscienza dello stretto legame fra lingua e politica che ha avuto un ruolo nella
formazione della stesso concetto moderno di egemonia, oltre alla proposizione di un problema cruciale nella costituzione
delle comunit internazionali, dove l'adozione di una lingua prevalente coinvolge ancor oggi sia i rapporti di forza politica,
sia la qualit, la duttilit e la diffusione di una lingua rispetto alle altre.
[...]ogni bene essere tanto migliore quanta pi comunicabile e universale, come di natura sua quella che si chiama
"sommo bene": perch non sarebbe sommo se non fussi infinito, n alcuna cosa si pu chiamare infinita, se non quella che
comune a tutte le cose. E per non pare che l'essere comune in tutta Italia la nostra materna lingua li tolga dignit, ma
da pensare in fatto la perfezzione o imperfezzione di detta lingua..vera laude della lingua lo essere copiosa e abundante
e atta a exprimere bene il senso e concerto della mente.. la lingua greca pi perfetta che la latina, e la latina pi che la
ebrea[...] L'altra condizione che fa pi excellente una lingua quando in una lingua sono scritte cose subtili e gravi e
necessarie alla vita umana, cos alla mente nostra come alla utilit degli uomini e salute del corpo: come si pu dire della
lingua ebrea per la ineffabile verit della fede nostra; e similmente della lingua greca, contenente molte scienzie
metafisiche, naturali e morali molto necessarie alla umana generazionela lingua abbi fatto l'officio d'instrumento, el
quale buono o reo secondo il fine..Resta un'altra sola condizione che da reputazione alla lingua>>.
Lorenzo de' Medici, Proemio al Comento de' suoi sonetti.
23. Superstizione
contrazioni, iati e pause della metrica e accostamenti vocalici, prelude all'analisi cui Bembo sottoporr i versi volgari di
Petrarca, e all'artificio poetico del tardo Rinascimento. Tutto ci testimonia gi la fortuna che nella nuova retorica
assume l'insegnamento di Ermogene di Tarso, retore del II secolo, autore di un trattato Sulle idee, particolarmente
attento ad un complesso di accorgimenti linguistici al fine di ottenere le varie qualit dello stile, e destinato a divenire fra
Cinque e Seicento un'auctoritas nel campo della critica letteraria e ben al di la dell'et umanistica una guida del gusto
formale. La nuova critica formale, pur nella trasformazione del gusto, trovava una base sicura nei parametri virgiliani (cos
in un notevole, quantunque oscuro, critico napoletano che continua la tradizione pontaniana).
<<Favorino afferm che Virgilio aveva abbozzato versi pi che comporli. Sembra dar la sensazione di scusare il Poeta, pi
che accusarlo..Del resto, non da tutti addurre un giudizio sugli abbozzi, sulle ombreggiature e sullastuzia artistica dei
poeti. Egli poi celebra lastuzia del poeta nelluso delle parole, attraverso cui il lettore riesce ad udire e vedere ci di
cui parla. Alcune parole usate sono: horrificis, interdum, tonat, nubem, turbine piceo (indica limpeto e il colore)>>. >Traduzione da Giovanni Pontano, Antonius,
<<Il ritmo anzitutto diletta e fa crescere la meraviglia. Il suo primo pregio quello di produrre la variet, cui la natura
sembra aver dedicato attenzione prima di tutto. Cosa c di pi squallido che mettere insieme parole con lo stesso
andamento? Con il ritmo, talora sollevando e frenando un suono, o invece affrettando le voci e le sillabe, si ottiene anche
una certa gravit, sia quella che con un nome appropriato si chiama dignit; sebbene entrambe si ottengano anche con
altre arti, queste sono della meraviglia compagne e guide principali. Viene assunto come esempio linizio dellEneide, verso
sonoro, grave e molto ritmico, che non sarebbe ugualmente maestoso con diverse parole come illa e multumque. Perci la
scelta che si chiede al poeta perfino raffinatissima>>.->Traduzione da Giovanni Pontano, Actius, in Dialoghi
di divinare, infatti, potrebbe esserci in un uomo ignorante, spesso in un uomo di campagna, o anche in una donnetta quasi
rozza e mezza sciocca? Eppure indovinano e presagiscono ii futuro di moltissimi secoli. Che poi gli indovini e le Sibille siano
mossi soltanto da quell'impulso naturale, indipendentemente da ogni ponderazione (...) Omero e Virgilio, due luminari della
poesia in due lingue diverse, entrambi per un simile impulso innato hanno conseguito che,se gli dei stessi volessero cantare
in greco o in latino in versi eroici, non canterebbero con altra voce, n con altro canto, n con altro metro, n con altra
dolcezza, dignit e grandezza se non con quella usata da loro per cantare. Questo spirito naturale, o impulso che dir si
voglia, poich sembra contenere qualcosa di divino, e certamente pi che umano, stato detto sacro. Quell'impulso
dunque, sia che provenga dal cielo, sia dalla natura o da entrambi,Adunque, poich la fortuna natura, e natura priva di
ragione, per il fatto che senza ragione e consiste in un impulso, che non altro se non un moto irrazionale, sembra che la
fortuna debba ricondursi a Dio come alla causa principale di tutte le cose. Ma bisogna stare attenti a che, facendo questo,
noi diamo a Dio la colpa dell'ingiustizia e di una poco retta distribuzione di beni>>
Traduzione da I. I. Pontani De fortuna,in Opera omnia soluta oratione composita, Manuzio, Venezia 1518.
dell'uomo affabilmente cortese rinunciare alla severit, conservare la mitezza, compiacere piuttosto che
contrastare..Questa di cui ora abbiamo parlato e quella accortezza che consiste net rendere onore con le parole per
attirarsi una maggiore simpatia da parte dei soldati: cercare questo compito proprio di questa virt. Non dobbiamo
trascurare neppure quello che Livio dice di Quinto Fabio: iniziata la battaglia con i Sanniti, egli chiam a se il figlio
Massimo e i tribuni Marco e Valerio e, chiamandoli per nome tutti e due li colm, con pari affabilit, di lodi e di
promesseOh disse che non potevano tuttavia passare inosservati gli atti di valore che venivano compiuti
nell'accampamento romano.. per guadagnarsi il favore, per ottenere la benevolenza ricordando he imprese eroiche. E dopo
aver detto "sia gloria al tuo valore"non senza evitare comunque di incorrere talvolta in offese rivolte alle orecchie o al
cuore, tuttavia con riserbo e molta moderazione, pur di giovare, pur di distogliere.
Giovanni Pontano, De sermone, trad. a cura di F. Tateo.
28. La spettacolarit
GIOVANNI PONTANO
Le rovine romane, da cui muove la riflessione egli umanisti sulla degenerazione dei tempi e sulla necessit di una
restaurazione della grandezza antica, rimarranno nel gusto pittorico e scenico dell'et moderna come un modo simbolico
per rappresentare la nobilt e la bellezza quale sfondo della vita signorile in contrasto col paesaggio rustico. Pontano fa
rientrare il gusto per la grandezza della realizzazione artistica nella virt della magnificenza, ossia della spesa opportuna
e dignitosa di un uomo di alto rango o provvisto di un ruolo pubblico nel far costruire edifici e allestire feste e spettacoli.
In questi passi del trattato l'umanista ricorda la meraviglia provata a Roma insieme all'amico Gabriele Altilio, in occasione
di una missione diplomatica (1493), nel riconoscere dalle rovine la grandezza, come una delle qualit della bellezza cui
s'ispirava l'architettura romana perfino nella costruzione degli acquedotti e della cloaca. Ma importante il riferimento
ai teatri e agli spettacoli pubblici che andranno sempre rispondendo alla domanda del pubblico moderno. A questo modello
si ispir a Napoli Francesco Laurana nell'ideazione del marmoreo prospetto d'ingresso del Maschio Angioino (1455/58) e
ad esso si conform l'allestimento del Trionfo che Alfonso celebra al suo ingresso a Napoli, narrato in tutti i suoi
particolari scenici da Antonio Panormita (cfr. G. Distaso, Scenografia epica: ii trionfo di Alfonso, epigoni
tassiani,Adriatica, Bari 1999). E tuttavia lo stesso Pontano, come nella poesia conosce il sublime della scienza astrologica
e l'elegia degli affetti familiari, cos nel trattare delle virt, non solo esalta la magnificenza a la magnanimit che
riguardano la vita pubblica dell'uomo di rango, ma rivolge anche l'attenzione alle virt private che implicano la parsimonia,
con un gusto che stato riscoperto in et moderna.
<<Chi dice che la magnificenza sia frutto del danaro, Gabriele Altilio, a mio parere esprime un pensiero giusto e fondato
sulla esperienza reale. Lo dimostrano le opere pubbliche del passato e in primo luogo i porti artificiali, i moli lanciati del
mare e i templi grandiosi degli dei immortali, cosi come anche gli altri edifici, coi quali si e provveduto allutilit degli
uomini e in pi alla loro sicurezza. Hai attraversato con me buona parte .dell'Italia, hai visto porti fatti costruire dai
nostri antenati.hai ammirato bagni coperti da voltee comodissime e lussuosissime; non hai potuto esprimere tutta la tua
ammirazione per i dirupi resi attraversabili, i monti perforati con grande faticaQuando partii per Roma, per andare dal
Sommo Pontetice Innocenzo ottavo assieme a te a comporre la pace col re Ferdinando, fu tanta (Dio buono!) la grandiosit
delle vedute che tu potesti ammirare con la massima attenzione, tanta la bellezza e, per cosi dire, la maest di tante
opere private e pubbliche, da farti pensare che la grandiosit degli edifici avrebbe potuto in certo qual modo gareggiare
con la grandezza dell'Impero. [...] essendo da uomo troppo misurato risparmiare il danaro in queste opere, ed
assolutamente estraneo a lui il pensiero di fare i conti e di risparmiare: non altrimenti le opere potranno riuscire piene di
dignit e di decoro. Anzi bisogna sforzarsi e darsi da fare perche esse suscitino ammirazione in chi le visita e le
contempla. [...] spese..esenti da ingiustizia..opera in un caso che risulti utile e necessario, altrimenti..persona
sconsiderata..unopera se priva di ornamento e meschina, se fatta di materia di basso costo e non garantisce una lunga
durata, non pu certamente essere grande, n per tale deve tenersi. E per quel che riguarda l'ornamento, poich esso pi
d'ogni altra cosa rende valida un'opera, ii superamento della misura costituisce un pregio, giacche vediamo che la stessa
natura si e dedicata in modo mirabile alla bellezza dell'ornamento; ma la stessa cosa non pub apprezzarsi quando si tratti
della grandezza, se doe quest'ultima supera di troppo i limiti, poiche toglie all'opera la sua dignitosa misura e ne accusa 11
committente non meno che l'architetto. [...]bisogna distinguere le opere pubbliche dalle private>>.
Giovanni Pontano, De magnifieentia, in I libri (Idle virtet sociali, a cura di F. Tateo, Bulzoni, Roma 1999, pp. 165-166.
incremento, e conservarono una loro identit fino al Novecento, confluendo anche in forme liriche diverse quali ad es. il
sonetto e la canzone.
<<acceleramenti e rallentamenti..sui versi eroici, cio di alto stile, dalla loro opportuna collocazione e sapiente mescolanza
deriva la dignit che rende pregevole la poesia; se poi a questo si aggiunge la scelta lessicale, la selezione delle sillabe, di
cui ho detto qualcosa, la sapienza nel mescolare parole e sillabe, inoltre la grandezza del pensieri, l'esposizione piacevole e
ponderata della materia a seconda delle circostanze, e in stessa variet artistica del ritmo e quell'abbellimento che non
solo in ogni genere di vita. ma anche in ogni genere di scienza e di ante richiesta dalla stessa natura, per non parlare
dellinvenzione, della disposizione e del criterio di scelta..io per non disconoscer le arti che hanno come fine la sola
persuasione. Per parte mia..mi adopero perch la mia poesia appaoa anche come oggetto di meraviglia. Bramo che nel mio
lavoro si veda la poesia e lapplicazione delle mie fatiche e vuole essere il primo che si dedica a questo lavoro>>.
Traduzione da Giovanni Pontano, Actius, in Dialoghi.
scienza che rappresenta le opere di natura, che quella che rappresenta le opere dell'operatore, cio le opere degli uomini,
che sono le parole, come la poesia, e simili, che passano per la umana lingua.
5. Come la pittura abbraccia tutte le superficie de' corpi, ed in quelli si estende. Chi biasima la pittura, biasima la natura,
perch le opere del pittore rappresentano le opere di essa natura, e per questo il detto biasimatore ha carestia di
sentimento. Si prova la pittura esser filosofia perch essa tratta del moto de' corpi nella prontitudine delle loro azioni, e
la filosofia ancora lei si estende nel moto. Tutte le scienze che finiscono in parole hanno si presto morte come vita,
eccetto la sua parte manuale, che lo scrivere, ch'e parte meccanica.
9. Come il pittore e signore d'ogni sorta di genie e di tutte le cose. Il pittore padrone di tutte le cose che possono
cadere in pensiero all'uomo, perciocch s'egli ha desiderio di vedere bellezze che lo innamorino, egli signore di
generarle, e se vuol vedere cose mostruose che spaventino,ei n signore e creatore. E se vuol generare siti deserti,
luoghi ombrosi o freschi ne' tempi caldi, esso li figura, e cos luoghi caldi ne' tempi freddi. Se vuol valli.. gli alti monti, o
dagli alti monti le basse valli e spiaggie. Ed in effetto ci che nell'universo per essenza, presenza o immaginazione, esso
lo ha prima nella mente, e poi nelle mani, e quelle sono di tanta eccellenza, che in pari tempo generano una proporzionata
armonia in un solo sguardo qual fanno le cose.
10. Del poeta e del pittore. La pittura serve a pi degno senso che la poesia, e fa con pi verit le figure delle opere di
natura che il poeta, e sono molto pi degne le opere di natura che le parole, che sono opere del l'uomo; la natura va da Dio.
pi degna cosa imitare la natura che imitare i fatti e le parole degli uomini. Il poeta superato con potenza dal pittore..
ma se vuoi vestirti delle altrui scienze separate da essa poesia, elle non sono tue,.. ti trasmuti, e non sei pi quello di che
qui si parla..Si muovono i popoli con infervorati voti a ricercare i simulacri degl'iddii; e non a vedere le opere de' poeti,
che con parole figurino i medesimi iddii. Con questa s'ingannano gli animali.
18.
Differenza infra poesia e pittura. La pittura immediate ti si rappresenta con quella dimostrazione per la quale il
suo fattore l'ha generata, e da quel piacere al senso massimo, qual dare possa alcuna cosa creata dalla natura. Ed in
questo caso il poeta, che manda le medesime cose comun senso per la via dell'udito, minor senso, non da all'occhio altro
piacere che se uno sentisse raccontare una cosa. Or vedi che differenza e dall'udir raccontare. una cosa che dia piacere
all'occhio con lunghezza di tempo, o vederla con quella prestezza che si vedono le cose natural!Per le opere lette e
ascoltate bisogna fare commenti, ma l'opera del pittore immediate compresa da' suoi risguardatori.
19.
Della differenza ed ancora similitudine che ha la pittura con la poesia. La pittura ti rappresenta in un subito la
sua essenza nella virt visiva, e per il proprio mezzo, d'onde la impressiva riceve gli obietti naturali, ed ancora nel
medesimo tempo, nel quale si compone l'armonica proporzionalit delle parti che compongono il tutto, che contenta il
senso; e la poesia riferisce il medesimo, ma con mezzo meno degno dell'occhio..pi confusamente.
20. Dell'occhio. L'occhio, dal quale la bellezza dell'universo specchiata dai contemplanti, e di tanta eccellenza, che chi
consente alla sua perdita, si priva della rappresentazione di tutte le opere della natura, per la veduta delle quali l'anima
sta contenta nelle umane carceri. mediante gli occhi, per i quali essa anima si rappresenta tutte le vane case di natura. Ma
chi li perde fascia essa anima in una oscura prigione..non c nessuno che non volesse piuttosto perdere l'udito e l'odorato
che l'occhio..perderela bellezza del mondo.
Leonardo. Trattato della Pittura.
conduce a far confluire insieme ricerca geologica, antropologica). Gi in questa questione, pur discussa con gli strumenti
conoscitivi e metodologici di allora, si delineano due tesi che si fronteggeranno sino ai giorni nostri fra sostenitori del
catastrofismo' e sostenitori della lenta trasformazione della crosta terrestre, con importanti accenni al principio del
"nulla si crea e nulla si distrugge" e critiche alla presunzione di conoscere al di la dell'esperienza e della documentazione.
Quel che colpisce di pi, invece, proprio la risoluta risposta, apparentemente conservatrice, all'invasione europea delle
nuove terre, che rifiuta l'interpretazione celebrativa superficiale del Mito di Ulisse, e guarda alla conquista del Nuovo
Mondo con occhio disincantato, rilanciando con esuberanza retorica in satira ben nota contro i costumi, ma prefigurando
sostanzialmente la critica illuministica fondata sul mito del "buon selvaggio," che Leopardi sintetizzer liricamente
concludendo linno ai Patriarchi o dei principii genere umano. L'umore polemico del Galatea rappresenta una sorta di
coscienza critica dell'Umanesimo, quando pensiamo al suo rifiuto esplicito e vivace del ciceronianismo ad oltranza, e quindi
alla propensione a rompere lequilibro fra res e verba in favore delle 'cose' , a utilizzare cio il famoso principio etico
agostiniano, che sia meglio peccare nelle parole che nella vita morale, verbis quam moribus, nel senso di dover trascurare
l'eleganza per il discorso chiaro, priva di fronzoli e scientificamente proprio, cui corrisponde la critica, ugualmente vivace
e quasi solitaria, rivolta all'operazione di uniformare i dialetti alla unit e bellezza di una lingua egemonica come il toscano.
La polemica contra la degenerazione dei costumi, inoltre, raggiunge toni di particolare gravit nei confronti delle autorit
ecclesiastiche, da essere paragonati a quelli, insoliti fra gli umanisti italiani, dei campioni della Riforma protestante.
[...1 Se vero quello the raccontano, quante popolazioni, quante citta bisogna pensare che siano state distrutte da una
sola rovina, da un solo diluvio? Ma mi sia concesso, caro Azio, di parlare con te senza che altre persone ci ascoltino... Che
cosa facciamo qui? Che vita trasciniamo fra tanti disastri?.. Evviva il valore di questi uomini, non solo assai degni di essere
ricordati, ma meritevoli della gratitudine nostra e dei posteri, perch hanno osato affidarsi all'ignoto ed infinito mare,
perch hanno osato penetrare in quel non so che sconfinato e vuoto regno della naturale. Ci hanno insegnato che non c'
luogo dove manchino uomini, tanta cura ha avuto la madre natura di tutti noi. . Ma non so se sia andata bene alle
popolazioni che avete scoperte. Popolazioni veramente fortunate, e, come dice Orazio, isole beate, contente di quel che
avevano, esistettero nell'et dell'oro. Temo che, mentre vi illudete di conclude ad una vita pi civile, mentre vi
preoccupate di portare loro leggi e altre cose senza le quali la vita sarebbe pi felice, introduciate anche i nostri vizi, le
tirannidi, gli onori, le cariche pubbliche, le ambizioni..la magia, le pozioni, veleni.. E non mancher in un popolo cosi
numeroso qualcuno, cui la natura ha infuso un lume d'ingegno (poich uomini sono), che si accorga come da fuori non
provenga tanto la civilt quanto la depravazione, e che compiangendo la gente dica: <<Felice, ah troppo felice, se nemmeno
le sponde della nostra terra avessero mai navi straniere toccato>.->Antonio De Ferrariis Galateo, Epistole.
latino sul Parto della Vergine. Infatti, nel narrare la storia cristiana, canta (II 116-234) il mito della pace ricordando
l'evento storico pagano del censimento di Augusto, che i Vangeli collegano al viaggio di Giuseppe e Maria e che diventa il
simbolo della confluenza nell'Impero di tutti i popoli della terra, diversi ma accomunati da un identico spirito di
convivenza come auspicio di pace (si riporta qui un brano iniziale nella traduzione in versi italiani di Giovanni Bartolomeo
Casaregi, che testimonia oltre tutto, in ambiente arcadico, la persistenza del bilinguismo umanistico). Nel nome della pace
Redenzione e Rinascita s'incontrano in una prospettiva globale che fa pensare ai modi non limitatamente rituali con cui
Manzoni canter, dando al motivo cristiano un senso universale, la Pentecoste che unisce in un solo ideale di pace fedeli e
infedeli. Questa convergenza di fondo che alimenta il pi consapevole pacifismo attuale, in nome di un valore comune come
la pace, e in nome di una solidariet e religiosit nuove, non confessionali, agendo al di l del pi vistoso conflitto fra
religioni diverse e fra religione e laicismo, ha la sua genesi proprio in quell'atteggiamento umanistico, riflesso nel mito
classico, punto di riferimento ideologico della tolleranza' , che sopravviver sia allo spirito confessionale e
controriformistico, sia a quello anticlericale. Il risvolto filosofico di questo atteggiamento fu la docta religio di Marsilio
Ficino (De doctrina christiana), una sorta di religione della cultura che accomuna tutte le fedi.
Era gia per lo tramontAre del sole tutto i'occidente sparso di mile varieth di nuvoli, quali violati, quali cerulei, alcuni
sanguigni, altri tra giallo e nero, e tali si rilucenti per la ripercussione de' raggi, che di forbito e finissimo oro pareano.
Per the essendosi le pasto-relle di pan i consentimento levate da sedere intorno a la chiara fontana, i duo amanti pusero
fine a le loro canzoni. Le quail sl come con maraviglioso silenzio erano state da tutti udite, cosi con grandissima
ammirazione furono da ciascuno eguabnente comendate, e massi-mamente da Selvaggio. il quale non sapendo discernere
quale fusse stato pi prossimo a la vittoria, arnboduo giudico degni di somma lode; al cui giudicio tutti consentemmo di
commune parere. E senza poterli pi 6 comendare the comendati ne gli avessemo, parendo a ciascuno tempo di dovere omai
ritornare verso la nostra villa, con passo lentissimo, molto degli avuti.piaceri ragionando, in camino ne mettemmo.
Jacopo Sannazaro, Arcadia e Iacopo Sannazaro, De partu virginis.
35. La casta
ERASMO DA ROTTERDAM (1466/69-1536)
Al giorni nostri, che hanno visto non solo l'applicazione diffusa, ma perfino la teorizzazione del riso, del capovolgimento,
della maschera quali forme alternative di espressione, un libro come l'Elogio della pazzia (Encomium Morias, 1511), in cui
Erasmo rappresenta, in un modo che fu a quei tempi sconcertante, i mali del mondo ma non sempre rivelando con chiarezza
se la follia fosse in quei mali o nella loro rivelazione, rimane un classico della libert di parola sospesa fra la finzione, la
satira e la denuncia. Il libro ha alimentato per secoli l'atteggiamento critico nei confronti di ogni tipo di controriforma e
di conformismo, di intolleranza e di oppressione della libert di coscienza. In una parte riservata alla frequente disonest
pubblica e immoralit privata dell' uomo di governo, sembra di vedere quella che stata definita come la casta dei politici,
inconsapevoli degli obblighi che competono loro, ma capaci di assumere in maschera che li rende popolari. Particolarmente
sottile e in raffigurazione del principe come un attore inchiodato alla sua maschera, che tutto fa fuorch quello che
dovrebbe fare, raggiungendo tuttavia il successo: pazzia sua, pazzia del popolo che l segue, pazzia di chi riesce a
scoprirne il volto. E il culmine di una secolare denuncia condotta con un tono bizzarro e brillante, ma divenuta fondamento
di umori antichiesastici e libertari anche recenti
<<Se uno tentasse di strappare la maschera agli attori che sulla scena rappresentano un dramma, mostrando nuda agli
spettatori in loro faccia autentica, forse che costui non rovinerebbe lo spettacolo meritando di esser preso da tutti a
sassate e cacciato dal teatro come un forsennato? Di colpo tutto muterebbe aspetto: al posto di una donna, un uomo; al
posto di un giovane, un vecchioMa dissipare l'illusione significa togliere senso all'intero dramma. A tenere avvinti gli
sguardi degli spettatori proprio la finzioneL'intera vita umana non altro che uno spettacolo in cui, chi con una
maschera, chi con un'altra, ovunque recita la propria parte finch ad un cenno del capocomico, abbandona la scena. Costui,
tuttavia, spesso lo fa recitare in parti diverse..Nulla di pi stolto di una saggezza intempestiva; nulla di pi fuori posto del
buon senso alla rovescia. Agisce appunto contro il buon senso chi non sa adattarsi al presente, chi non adotta gli usi
correnti, e dimentica persino la regola conviviale: o bevi o te ne vai concesso in sorte, fare buon viso all'andazzo
generale e partecipare di buon grado alle umane debolezze. Ma, dicono, proprio questo follia....Chi assume il potere
supremo deve occuparsi degli affari pubblici, non dei propri interessi; deve pensare esclusivamente alla pubblica utilit;
non deve scostarsi neanche di un pollice dalle leggi, di cui autore ed esecutore..Ma se il principe, con la posizione che
occupa, Si scosta appena dalla retta via, subito la corruzione si diffonde contaminando moltissimi uomini.. Se, dico, il
principe riflettesse a queste cose e a moltissime altre del genere - e ci rifletterebbe se avesse senno - non dormirebbe,
credo, sonni tranquilli, ne riuscirebbe a gustare il cibo>>.->Erasmo da Rotterdam, Elogio alla follia.
verso dell'Eneide (brano 24). Del resto le Prose sono una trasposizione nel registro volgare della critica retorica e
metrica applicata al massimo poeta latino nell'Actius.
<<Molte altre parti possono le voci avere, che scemano loro grazia o dense e riserrate; pingui, aride; morbide, ruvide;
mutole, strepitanti; e tarde e ratte, et impedite e sdrucciolose, e quando vecchie oltra modo, e quando nuove. Da questi
difetti adunque, e da' simili, chi pi si guarder, a buoni avertimenti dando maggiore opera, colui si potr dire che nello
scegliere delle vocimiglior compositore scegliere si fa, una voce semplicemente con un'altra voce, o con due le pi volte
comparando; dove, a dispor bene, non solamente bisogna una voce spesse fiate comparare a molte voci, anzi molte guise di
voci ancora con molte altre guise di voci comporre e agguagliare fa mestiero il pi delle voile. Dico adunque, che si come
sogliono i maestri delle navi, che vedute potete avere in pi parti di questa citta fabricarsi, i quali tre case fanno
principali; perci che primieramente risguardano quale legno, o quale ferro, o quale fune, a quale legno a ferro o fune
compongano>> ->Petro Bembo, prose della volgar lingua.
la composizione teatrale, al di la delle dispute sulla verisimiglianza, sulla coerenza dei personaggi, sulla distinzione fra il
tragico e il comico, quello cio se lallestimento scenico e l'azione degli attori debbano essere previsti con i necessari da
parte dell'autore, o se il testo debba o possa conservare la sua autonomia (una particolare consapevolezza 'scenica' si
ebbe per tempo con A. Ingegneri, Della poesia rappresentativa e del modo di rappresentare le favole sceniche). Si pensi
come le riflessioni sulla parte dell'oratoria che riguarda ractio, ossia il gesto, la pronunciatio, insomma lo show
dell'oratore, abbiano potuto affinare l'arte della recitazione. interessante che il Giraldi tragga dalla stessa tradizione
umanistica l'incentivo ad assumere qualche atteggiamento meno rigido rispetto all'aristotelismo, come quando appunto
respinge l'autonomia assoluta del testo teatrale, oscilla sul problema se si debba rappresentare sulla scena l'azione truce
e la morte (lo aveva fatto lui nelle Orbecche), prevede qualche strappo alla rigida distinzione fra comico e tragico,
ammette il poema cavalleresco che sostanzialmente un genere misto, aristotelicamente inammissibile, e sostiene la
novit del teatro dell'orrore, applicato nella sua tragedia. A parse l'influenza che questo filone ebbe su Shakespeare, e la
sua ascendenza senechiana, esso costitu una variante significativa della pi classica tragedia, una tendenza alla
trasgressione e all'eccesso (si eccedeva appunto nell'interpretazione della catarsi e nel considerare il piacere che
proviene dalla vista dell'estremo orrore o dolore), che emerge ora come uno dei generi in voga, dal momento che la
cinematografia favorisce, pi di quanto non possa fare il teatro, la rappresentazione dell'orribile e del mostruoso.
<<Non dico per questo perch io voglia che solo spettacolo sia quello che mova il terribile e il compassionevolesenza lo
spettacolo non si rappresenti favolalo spettacolo, induca tali effetti negli animi di chi legge>>.<<non vi sar la
commiserazione, perch non lo spettacolo che da s induca la commiserazione, ma le affettuosissime parole, mandate
fuori con affetto compassionevole, il quale affettorimane egli nondimeno molto vivace nelle parole che tale affetto
esprimono, levatone lo spettacolo. E questo quello che dice Aristotile essere officio de' migliori poeti. [...]>>
<<Lo apparato, il quale posto tra le parti quali della comedia e della tragedia, e quantunque egli non entri nella favola
con l'apparato s'imita la vera azione, e si pone ella negli occhi degli spettatori manifestissima. E posto che questo
apparato non appartenga al poeta, ma sia tutta impresa del corago, cio di colui al quale data in cura di tutto
l'apparecchio della scena, dee nondimeno procurare il poeta di fare che si scopra, all'abbassar della coltrina, scena degna
della rappresentazione della favola, sia ella comica o tragica. Neppure si dee porre molto studio nella scena, ma intorno
agli istrioni, perch debbono anch'essi aver movimenti, parole e vesti convenevoli alla azione che si rappresenta... vi
acconciate all'uso de' nostri tempi, qualunque volta sia da voi messa comedia in iscena...Non sar nondimeno se non bene
che nell'una e nell'altra scena siano gli abiti degli istrioni di lontano paese. Perch la novit degli abiti genera
ammirazione, e fa lo spettatore pi intento allo spettacolo che non sarebbe se vedesse gli istrioni vestiti..che egli ha
continuamente negli ochiche le persone ch'essi rappresentano siano cosi gentilmente fate che paiano vere, non solo
quanto alla qualit della favella, ma quanto al movere gli affetti "piacevoli ' o dogliosi o benigni>> ->De' romanzi, delle
commedie e delle tragedie. Ragionamenti di Giovan Battista Giraldi Cinzio
43. Infinit dei mondi
GIORDANO BRUNO (1548-1600)
Il concetto di 'infinito' come movimento continuo e cangiante, pur ripreso dall'antica dottrina di Democrito ed Epicuro e
contrapposto al concetto risalente a Parmenide di un mondo finito e sempre uguale pur nelle sue variazioni interne, rompe
con la tradizione tolemaica e aristotelica confluita nella teologia cristiana e si avvicina alla concezione copernicana, la
quale non ammette la terra al centro fisico dell'universo attorniato da cieli concentrici e governato da un Dio che muove il
tutto dal suo Empireo. In questa polemica contro una religione gretta, che immagina lo spazio limitato dalle sfere celesti,
il loro moto sempre uguale, il soglio divino <<arto>> ('stretto'), la sua sede <<angusta>> e non <<augusta>> come dovrebbe
essere quella della divinit infinita, il Bruno si vale della diffidenza umanistica verso la fisica e la teologia tradizionali, che
pretendevano di ricavare i massimi veri dalla misera esperienza dei sensi. Ci sembra in contraddizione con una cultura
che sosteneva la filologia dell'esperienza, ed invece in sintonia con la critica profonda rivolta dall'Umanesimo alle verit
tramandate, accettate dalla logica comune e confermate .dalla filosofia scolastica. L' infinito una grande immaginazione
che solo l'intelletto, privo di condizionamenti teologici pu concepire: un movimento infinito e sempre diverso come la
realt che sperimentiamo, se non guardiamo la natura con gli schemi imposti dalla convenzione. L'esaltazione di un mondo
infinito, in questo senso, a suo modo comprensione dell'infinit autentica di Dio, sostanzialmente identificato con
l'universo e privato dei tratti antropomorfici attribuiti alla divinit dalle religioni positive. Per tale esaltazione anche la
lingua assume una forma adeguata, lussuosamente retorica, ma anche piena di vivacit provocatoria. La renovatio punta
ancora sulla capacit della lingua di accompagnare e suffragare l'avventura del pensiero e dell'immaginazione contro
l'imitazione riduttiva della formula, caricandosi della potenza allegorica dell'arte figurativa. Bruno ,<trasforma un
linguaggio asfittico, svuotato di ogni rapporto con il mondo, in un universo aperto in cui la parola ritrova tutta la sua vitale
energia. Riassegna alle "pitture parlanti" un ruolo fondamentale nei complessi percorsi della conoscenza>>
[...] Non sono fini, termini, margini, muraglia che ne defrodino e suttragano la infinita copia de le cose..sempre nova copia
di materia sottonasce. Di maniera che megliormente intese Democrito ed Epicuro che vogliono tutto per infinito rinovarsi
e restituirsi, che chi si forza di salvare eterno la costanza de l'universo, perch medesimo numero a medesimo numero
sempre succeda e medesime parti di materia con le medesime sempre si convertano.>> <<per quella scienza che ne
discioglie da le catene di uno angustissimo, e ne promove alla libert d'un augustissimo imperio, che ne toglie dall'opinata
povert ed angustia alle innumerevoli ricchezze di tanto spacio>>
Giordano Bruno, De infinito, universo e mondi, Dialoghi italiani 1, Dialoghi metafisici.
carattere essenzialmente formale (sotto un altro profilo, tematico in questo caso, un percorso da Petrarca a Marino
attraverso Sannazaro Tasso e Bruno si pu registrare in R. Cavalluzzi; II sogno umanistico e la morte, Serra editore,
Pisa-Roma 2007). Non va trascurato il fatto che questo passo esemplare della rappresentazione della natura ha come
precedente il regno di Venere del Poliziano, di per s un'allegoria della natura divinizzata dell'arte , che suggeriva
analoghi esperimenti immaginosi in Ariosto e Tasso, dove gi predominava il magico e l'artificioso.
46. Dignit della donna
Alle principali conquiste della modernit appartiene indubbiamente l' obiettivo dell'emancipazione femminile, per il quale
generalmente Umanesimo non si considera un punto di riferimento storico. L'alto apprezzamento della donna, che si muove
sul piano dell'ideologia poetica sin dalle soglie del secolo XIII e trova uno sviluppo anche sul piano sociale nell'esplosione
di una parte consistente del petrarchismo del Cinquecento, non basta a costituire una tradizione che abbia il suo culmine
nella pi moderna elaborazione del problema. Si deve anche alla sensibilit del femminismo la rinnovata simpatia e il
recupero di una poetessa minore dotata d'ingegno e di autonomia culturale e perci vittima del conformismo feudale
(Isabella Morra fra luci e ombre del Rinascimento. Sondaggi e percorsi didattici, cura di I. Nuovo e T. Gargano, Graphis,
Bari 2007). Si consideri che perfino nel Settecento riformatore e a volte spregiudicato s'incontrano forme di chiusura
anche fra i pi illuminati cultori delle nuove scienze; andando indietro, un'asserzione della necessaria sottomissione della
donna, pur eticamente fondata e funzionale all'importante ruolo attribuito alla moglie nelleconomia familiare, si trova nel
libro secondo del famoso trattato di Leon Battista Alberti , il quale per altro verso un grande iniziatore.
Nella cultura umanistica, che conosce riflessioni morali sullerotismo nello spirito del moralismo biblico e monastico, alcune
voci sono gi sulla linea della vera e propria emancipazione, quando affrontano il problema in chiave polemica e celebrativa,
non in senso ideale, ma antropologico; ci si spinge a proclamare la superiorit del sesso femminile o almeno luguaglianza
dei due sessi, sebbene sulla base della reinterpretazione del mito biblico o del rilancio del mito platonico dell'origine del
genere umano. S'intende che si tratta di voci che valorizzano i motivi femministi della tradizione religiosa, come il tema
delle martiri cristiane e della conversazione di San Gerolamo con la comunit delle pie donne, oppure Ia 'lode' della
tradizione stilnovistica e della trattatistica d'amore; n poteva essere altrimenti. Ma significativo il senso che traspare
da alcuni di questi interventi, di cui proponiamo due esempi appartenenti a versanti diversi della cultura fra Quattro e
Cinquecento, quello di Antonio Galateo, profondamente umanista ma un po' atipico, e quello di un narratore che valorizza
della tradizione boccacciana e petrarchesca i segni del riscatto della personalit della donna. Nel Firenzuola il principale
obiettivo era quello di mostrare attraverso la donna l' ideale stesso della bellezza quale si affermava nella prospettiva
artistica del Rinascimento e tuttavia la sua attenzione ai valori profondi della persona e evidente nelle conclusioni. Anzi,
c' in lui una comprensione storica e antropologica molto moderna, sia pure moralmente atteggiata, quando sottolinea la
discrezione della donna nell'avere scelto un ruolo apparentemente minore ma di pari dignit. Ci infatti non pregiudica le
pari i attitudini, se non le pari opportunit (sulle contraddizioni e incertezze moderne a proposito della problematica
femminile significativo latteggiamento che mostra ancora una narratrice moderna, pur sensibile alla sventura femminile,
nel dipingere il mondo borghese e popolare. Il Galateo, del quale nota la polemica per rivalutare anche il volgare nella sua
forma autentica e riaffermare il concetto della vera nobilt, riscatta la donna mostrandone addirittura la superiorit
sull'uomo con l'esaltazione delle sue virt e soprattutto della sincerit rispetto allipocrisia `maschile'.
Le virt femminili
ANTONIO DE FERRARIS GALATEO: Le donne ci superano in devozione religiosa, in fede, in umanit, in onesta, in piet,
in modestia, in sobriet, in moderatezza, in frugalit, in pudore. Noi invece le vinciamo in crudelt, in aviditnegli inganni,
nelle menzogne, negli spergiuri, nel disprezzo delle leggi morali, di quelle divine e di quelle umane. Noi perpetriamo stragi,
guerreSiamo inoltre pi sfrenati, proprio su quel punto per cui accusiamo la donna con tanta insolenza [...] Esempi di virt
sono Bona e Isabella Sforza, Maria di Lusitania. quando considero la tua condotta e la tua vita morale, mi sembra di
vedere una di quelle donne antiche che Gerolamo e altri dottissimi uomini hanno celebrato con si grandi lodi. Fra tante e
tali virt femminili, c' un difetto: le donne di pi limitata intelligenza sono dominate dalle superstizioni, le donne
d'intelligenza superiore sono credule pi del necessario, e questa deriva dalla onesta. Perch le donne che non hanno vizi
esse stesse, ma li detestano, non credono minimamente the ne abbiano gli altri. -> Traduzione da Antonio De Ferrariis
Galateo, Epistola a Maria di Portogallo. Parit dei due sessi,
AGNOLO FIRENZUOLA (1493-1543): noi siamo la meta l'uno dell'altro, cos savie come noi uomini, cos atte alle
intelligenzie e morali e speculative..alle meccaniche azioni e cognizioni come noi.Si parte in due parti uguali ugualmente,
di necessit tanto da una parte quanto dallaltra, tanto buona e bella quanto laltra, lo dice ai nemici che spirino e poi
dietro vi sonino le prandelle (parlano male di voi), che siete uguali a noi, anche se non appare in atto cos universalmente,
perch si prendono cura degli affari familiari. Lo'ngegno e le altre doti e virt dell'animo non ci fanno mestieri. Lautore
si definisce un pittore non adatto a dipingere le virt delle donne. ->Agnolo Firenzuola, Dialogo delle bellezze delle
donne.
PROIEZIONI
1.