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POV: Point Of View

Teoria e pratica del Punto di Vista narrativo

Questo documento non è completo né esaustivo riguardo i temi trattati e non con-
tiene delle regole definitive ma solo dei punti cardine da cui partire per solidificare
le proprie basi riguardo i principi della scrittura artistica.

Gli argomenti riguardanti lo scrivere e le regole di buona scrittura possono essere af-
frontati e trattati più o meno approfonditamente e attraverso i più svariati argo-
menti. In questo documento saranno illustrati alcuni temi senza andare troppo nel
dettaglio e senza addentrarci in esempi se non quelli puramente essenziali.

Curatori:
Michael Rigamonti
Michele Greco

Documento realizzato per i gruppi:


Salotto Letterario Virtuale
Michele A. F. Greco : The Path of the Morning Star

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UN POCO DI TEORIA
Il POV
Con POV si intende l'abbreviazione dell'inglese Point Of View, corrispondente
all’italiano PDV: il punto di vista.
Il POV è un concetto decisamente importante nella scrittura narrativa. Nel detta-
glio — in un romanzo, in un racconto o in una qualsiasi opera — il punto di vista del
narratore può essere immaginato alla stregua di una telecamera quando si gira un
film. Per capire meglio la sua funzione è meglio fare una regressione per esplicitare
chiaramente i ruoli delle figure presenti in un opera letteraria.

Le figure chiave: autore,


autore, narratore e personaggi
Esistono tre tipi distinti di figure che partecipano ad un'opera letteraria e sono l'au-
tore, il narratore o i narratori e i personaggi — difficilmente il personaggio sarà uno
solo.

Brevemente:

• L'autore è colui che scrive fisicamente la storia ed è l’unico personaggio real-


mente esistente;
• Il narratore è colui che narra la storia e racconta i fatti al lettore. Può essere di
vari tipi ma li vedremo in seguito nel dettaglio;
• I personaggi sono coloro che prendono parte ai fatti di cui la storia parla: pro-
tagonista, antagonista, co-protagonisti, gli aiutanti, l'eroe (e il falso eroe), i
personaggi secondari e le comparse.

Come osserva Giulio Mozzi — scrittore, curatore editoriale italiano e docente di


scrittura creativa — nel suo “Laboratorio di scrittura d’invenzione”:
«L'autore è un corpo; il narratore è una voce; il personaggio è una visione (o, se si
preferisce, è un "punto di vista")»

Per rendere più vividi i concetti che andrò ad esprimere utilizzerò dei paragoni con-
creti col mondo del cinema. Questo potrebbe essere considerato un sacrilegio per
gli amanti della letteratura perché il più delle volte si considera il cinema come l'op-
posto della narrativa. Mi spiace deludere queste persone, ma il mondo cinematogra-
fico, così come quello letterario, ha imparato dagli antichi i concetti alla base della
scrittura artistica e dell'esposizione su cui si basa. Quindi, proprio per questi motivi,
il paragone è più che calzante.

Autore
Il concetto di autore è marginale in una storia perché non ne fa mai parte e non
deve farne mai parte. Questa figura è e rimane al di fuori dell’opera: la idea, ne pro-
getta i dettagli e la scrive. Paragonandolo alla realizzazione di un film lo si può im-
maginare corrisposto alla figura dello sceneggiatore, cioè chi scrive la sceneggiatura,
il testo destinato ad essere girato o filmato, e diventare quindi un film.
Gli studi di narratologia, la scienza che studia le strutture narrative, pongono in
particolare rilievo che una delle funzioni importanti in un libro di narrativa è il narra-
tore, che non deve essere confuso, come può avvenire, nella maniera più assoluta
con la persona reale dell'autore.

Narratore
Il narratore è la figura che narra gli avvenimenti che riguardano un certo fatto o
una serie di fatti. Il narratore è una delle figure più complesse della narrativa. Nono-
stante questa sua importanza focale e centrale in un opera, è spesso anche la figura
più sottovalutata dagli autori emergenti e inesperti che non sanno come avvalersene
nel modo più appropriato.
Paragonato al mondo del cinema, il narratore potrebbe essere idealizzato come
una figura a metà tra il regista, che mette in scena i fatti pensati dall'autore, e la vo-
ce fuori campo, che spiega cosa avviene nella scena. Tuttavia esiste una così ampia
gamma di possibilità narrative sperimentabili che il narratore potrebbe essere tutti e
nessuno. Ma di questo ci occuperemo oltre.

Personaggi
I personaggi sono semplicemente coloro che "vivono" in prima persona le azioni
descritte dal narratore. Vivono, per sua stessa semantica, non è la parola più adatta
dato che sono e rimangono sempre personaggi immaginari che esistono nel mondo
immaginario di quell'opera. Tuttavia questo termine rende piuttosto bene l'idea che
sta dietro al concetto di personaggio.
Come nelle opere letterarie, così nella realtà, nel teatro e nel cinema i personaggi
immaginari sono messi in scena da attori che riproducono il vero personaggio im-
maginario; ne prendono le sembianze e si immedesimano nei sentimenti e nei pen-
sieri tipici della finzione scenica.
Il discorso sui personaggi avrebbe molte sfaccettature e molti approfondimenti.
Due esempi potrebbero essere i problemi di distanza sollevati da Pirandello e il lavo-
ro di studio del Charactering fatto da Orson Scott Card. Per ora accantoniamo l'ar-
gomento tenendo solamente presente che i personaggi sono la terza figura focale di
un componimento letterario.
Una volta chiarito quali sono le componenti che prendono parte ad un romanzo o a
un racconto (ma anche in a una poesia, un'opera teatrale ecc.) e chiarito qual è la
fondamentale differenza tra l'autore e il narratore possiamo passare all'analisi parti-
colare del narratore, del ruolo che ricopre all'interno della trama e dei modi e delle
forme con cui può manifestarsi.

Forme e caratteristiche del narratore


Approfondiamo ora la figura cardine del Narratore, essenziale per capire come gesti-
re il punto di vista. Il narratore può essere caratterizzato da vari aspetti: può essere
interno alla storia o esterno, onnisciente o con una conoscenza relativa, distaccato o
coinvolto.

Narratore onnisciente
Il narratore onnisciente conosce tutti gli aspetti legati ai fatti che sta raccontan-
do. Solitamente conosce passato presente e futuro della trama, sa tutto dei perso-
naggi: cosa pensano, quali emozioni provano, perché agiscono in determinati modi,
qual è la loro psicologia, conosce il loro passato e anche il loro futuro. Solitamente è
anche un narratore esterno alla storia.
Un esempio tipico di narratore onnisciente è il Manzoni nei promessi sposi. Que-
sto è uno dei rari casi in cui l'autore personifica il narratore (pur restando sempre
due figure ben distinte) e racconta la trama da una distanza notevole.

Narratore esterno
Descrive i fatti in terza persona da una posizione distaccata della storia, esterna.
Non prende mai parte allo svolgimento ed è un semplice cronista che non viene mai
coinvolto della storia. Questo narratore viene anche detto eterodiegetico perché
non è partecipe del tempo e dello spazio della diegesi, l'azione narrativa che riferisce
con la sua narrazione. Solitamente un narratore di questo tipo è anche onnisciente
ma non è obbligatoria quest'associazione narratore esterno-onniscente.

Narratore interno
Detto anche omodiegetico, ovvero coinvolto nella diegesi, questo tipo di narrato-
re è un personaggio della stessa storia che racconta. Tipicamente è il protagonista
(in questo caso si parla di narratore autodiegetico), ma può benissimo essere un
personaggio secondario. Di solito i narratori interni alla storia non sono onniscienti
e i fatti vengono raccontati in prima o in terza persona.
Narratore distaccato
Il narratore distaccato riferisce la storia da un punto di vista solitamente esterno,
distaccato, senza fornire il suo parere e senza dare giudizi di sorta. È un semplice
spettatore dei fatti e li riporta in modo impassibile. L’esposizione di questo tipo è ti-
pica delle opere moderne, in cui i fatti vengono presentati nudi e crudi, spogliati dal-
le loro vesti superficiali per puntare ad una narrativa più asciutta.

Narratore coinvolto
Questo tipo di narratore è tipico di alcune opere classiche in cui l’analisi psicolo-
gica dei personaggi era parte integrante della narrativa. La storia viene narrata con
un alto livello di coinvolgimento, soffermandosi sull’analisi della storia e fornendo
pareri personali. Il più delle volte l’autore si immedesima direttamente nella parte
del narratore.

Quale narratore utilizzare?


Abbiamo visto le caratteristiche principali di un narratore. Miscelando adeguata-
mente queste caratteristiche si possono ottenere vari risultati e altrettanti tipi di fi-
gure narranti. Tuttavia, quando si fa un esercizio di scrittura artistica è doveroso
rammentare che il narratore è un personaggio creato, sia esso un personaggio vero
e tangibile all’interno della trama, sia esso un'entità astratta col solo scopo di espor-
re i fatti.
Ma quale di queste utilizzare? Questa è una domanda molto difficile a cui rispon-
dere e richiede un analisi a mente fredda perché va deciso in fase progettuale. Il
narratore è una figura che ci accompagna durante il viaggio all’interno della storia e
se è un tipo irritante la sua compagnia risulta altrettanto irritante. Alla stessa stre-
gua se è timido, noioso, banale, lagnoso, saccente il viaggio con lui sarà un disastro,
tanto che penserete che forse era meglio rimanere a casa.
Ogni archetipo di narratore ha i suoi pro e contro. Un narratore onnisciente, ad
esempio, è facile da utilizzare per l’autore perché è più vicino alla sua prospettiva di
visione: sa tutto di tutti e da l’impressione di sapere come si conclude la storia; il let-
tore può esserne però infastidito: visto che sai già come va a finire perché non me lo
racconti subito? Il narratore onnisciente ha anche altre pecche per quanto riguarda
il punto di vista come vedremo in seguito.
Un narratore esterno è come un reporter che documenta una scena rimanendo
al di fuori dei fatti. È una presenza esteriore, rimane distante dalla trama e proprio
questo è uno dei difetti: il lettore rischia di essere poco coinvolto dalla narrazione.
Questo perché si crea una distanza con i personaggi e con la storia nel momento in
cui si svolge, risultando distaccato.
Un narratore interno è un personaggio, vive i fatti in prima persona, riferisce i
pensieri come gli passano per la mente. Sicuramente per utilizzare questo tipo di
narratore è necessario fare un esercizio di immedesimazione. I benefici però che ne
si trae dalla lettura di un testo narrato in questo modo sono molteplici: il lettore vive
i fatti direttamente, percepisce in prima persona le reazioni istantanee di ciò che ac-
cade attorno al personaggio, si sente partecipe ecc.

Il punto di vista è fondamentale


«Il secondo modo per regolare l'informazione consiste nella scelta di una prospettiva o punto di vi-
sta. Si dirà che il racconto è focalizzato o non focalizzato, a seconda che esista o meno una restri-
zione del campo visuale-informativo, e cioè che il racconto si modelli sul punto di vista di uno o più
personaggi (ed ecco la focalizzazione) oppure che promani direttamente dal narratore, senza limi-
tazioni dell'ambito percettivo.»
Angelo Marchese, L'officina del racconto. Semiotica della narratività

Il ruolo del narratore all’interno di una storia è quello di far vivere al lettore i fatti da
un certo punto di vista. Questa relazione sintomatica viene studiata nella teoria
prendendo in considerazione la focalizzazione dell’attenzione e le sue modalità di
applicazione.
Possiamo quindi parlare di focalizzazione zero quando il narratore è esterno, ete-
rodiegetico e onnisciente; In questo caso il lettore si ritrova ad osservare la scena
nel suo complesso, venendo a conoscenza di tutti i particolari che la compongono.
Paragonando questo tipo di narrazione alle scene di una pellicola cinematografica è
come se il narratore riprendesse una scena che si svolge in città dall'alto di una
montagna: il rischio è quello di rimanere troppo al di fuori dei fatti per riuscire ad
emozionare e coinvolgere il lettore.
Una seconda prospettiva è la focalizzazione interna che si ha quando il narratore
adotta un punto di vista interno, come quello di uno dei personaggi della storia o in
ogni caso qualcuno che assiste in prima persona ai fatti. Con questo tipo di focalizza-
zione il lettore conosce solo determinate vicende e non tutti i pensieri dei personag-
gi; in questo caso il paragone è quello di una telecamera fissa nella testa di uno dei
personaggi e/o spettatori: vediamo dai suoi occhi, sentiamo i suoi pensieri e tutto
viene filtrato dal suo modo di essere ed agire.
Infine abbiamo la focalizzazione esterna nella quale il narratore adotta un punto
di vista esterno, ne sa meno dei personaggi stessi riguardo la trama; in questo caso
la telecamera è sempre dentro alla testa di un personaggio però i fatti vengono visti
da un punto di vista distaccato, senza mai entrare a far parte delle vicende.

Tipi di Punto di Vista


Possiamo dividere il POV in tre tipologie principali:
• Prima persona;
• Seconda persona;
• Terza persona.

Andiamo adesso ad analizzare queste tipologie di POV, facendo attenzione ai pro e


ai contro.

1. Prima persona
Sto prendendo peso. Non sto diventando più grassa, solo più pesante. Questo non
cambia il mio aspetto: tecnicamente sono la stessa. I miei vestiti mi vanno ancora
bene, alla faccia di chi ti dice che il grasso occupa più spazio dei muscoli. La pesan-
tezza che sento è l’energia che brucio nella mia vita: per strada, sulle scale, nel corso
della giornata. È la pressione sui miei piedi. È la densità delle mie cellule, come se
avessi bevuto metallo pesante.
[da “Weight”di Margareth Atwood]

Pro:
• Usare la prima persona è il metodo più naturale di narrare: ognuno di noi la
usa per raccontare qualcosa che gli è successo.
• Il personaggio-pov filtra la storia con i suoi pensieri e le sue opinioni, il che
permette al lettore di immedesimarsi maggiormente e di capire meglio certi
comportamenti e certe sfumature psicologiche. Tecnicamente, si parla di di-
stanza emotiva breve e di penetrazione psicologica assoluta.
• La storia, raccontando delle esperienze vissute in prima persona, risulta più
credibile.
• Il narratore in prima persona può commentare gli eventi narratie, a differenza
del narratore onnisciente, non sembra mai invadente.

Contro:
• I pensieri del personaggio-pov permeano tutta la storia, quindi devono essere
il più possibile coerenti e verosimili. Se il personaggio-pov è psicologicamente
piatto e costruito male, l’intera narrazione sembrerà poco verosimile e al limi-
te del ridicolo. L’unica eccezione è rappresentata dai romanzi di viaggio (es. “I
Viaggi di Gulliver”): in questi casi, un personaggio tridimensionale toglierebbe
troppo spazio all’ambientazione e, paradossalmente, renderebbe più difficile
l’immedesimazione.
• Il continuo flusso di pensieri può rallentare il ritmo e confondere il lettore. In
particolar modo, gli sbalzi temporali provocati dai ricordi posso dare fastidio.
• Ci vuole molto allenamento per riuscire a gestire bene i pensieri del perso-
naggio-pov.
• Lo scrittore deve limitarsi all’intelligenza e al lessico del personaggio-pov, in
quanto è quest’ultimo a narrare. Proprio per questo, non tutti i personaggi
sono adatti alla prima persona. Ad esempio, una bambina di undici anni che
non sia un genio precoce non è di certo adatta.
• Il lettore ascolta la storia dalla voce del personaggio-pov, e non tutti i perso-
naggi sono adatti a questo compito. Certi personaggi potrebbero risultare an-
tipatici, altri troppo strani da essere capiti, altri ancora ossessivi e contorti
(specie nel caso dei nevrotici e degli psicotici). In questi casi è molto meglio
usare la terza persona.
• La telecamera è dentro la testa del personaggio e inquadra in primis i suoi
pensieri, per cui bisogna stare attenti al modo con cui si descrivono gli eventi
narrati, bisogna ricordarsi che i pensieri del personaggio permeano ogni cosa
e sono sempre e comunque presenti. Ad esempio, descrivere un omicidio in
modo freddo e distaccato darà l’impressione che il personaggio narrante sia
cinico e spietato. Ma questo è vero o ci si è solo dimenticati di filtrare la de-
scrizione con le sue sensazioni? Ricordatevi sempre che la prima persona ren-
de soggettivo ciò che è oggettivo.
• Si può riportare solo ciò che il personaggio-pov conosce. Questo è già un limi-
te nella narrazione autodiegetica, ma in quella eterodiegetica diventa davvero
enorme. Per superare questo limite, il metodo più sicuro consiste
nell’alternare più punti di vista.
• Si può riportare solo ciò che il personaggio-pov percepisce. Ad esempio, se
Mauro si sta legando le scarpe, di certo non vedrà gli uccelli in cielo.
• L’uso della prima persona al tempo passato crea una distanza temporale tra la
storia narrata e il personaggio-pov. Infatti, il personaggio narrante si trova a
descrivere avvenimenti accadutegli in passato, dando così l’impressione di e-
straniarsi dalla vicenda. Inoltre, il narratore conosce in anticipo la conclusione
della vicenda, distruggendo così la suspense e la tensione del racconto.
L’ovvia soluzione consiste nel narrare in tempo reale, quindi al presente. È
una soluzione meno naturale, ma è il male minore. Ad ogni modo, questo
problema non si pone per la terza persona, in quanto combinarla con il tempo
passato è una convenzione che non dà fastidio al lettore.
Ma il personaggio narrante deve per forza dire la verità? No, non per forza. In que-
sto caso si parla di prima persona inattendibile, che è una tecnica piuttosto difficile
da gestire. Per prima cosa ci vuole un personaggio adatto, uno che abbia un valido
motivo per mistificare la realtà. Se è esplicito che il personaggio-pov sta raccontan-
do ad altri (di solito con una cornice), bisogna trovare un motivo alle sue bugie verso
gli altri. Ad esempio, un sospettato che racconta durante un interrogatorio potrebbe
mentire alla polizia sull’aver commesso l’omicidio.
La questione si fa più complessa nel caso in cui manchi una cornice e quindi non
sia esplicito il raccontare ad altri. In questo caso, ogni volta che il narratore mentirà
lo starà facendo in primis a se stesso. Riprendendo l’esempio di prima, può darsi che
il sospettato menta perché vuole auto-convincersi di non aver commesso
quell’omicidio (perché lo rifiuta e non vuole accettarlo). Un altro esempio: una don-
na potrebbe omettere l’essere stata stuprata perché ha rimosso quel trauma spo-
standolo a un livello subconsci, oppure perché rifiuta il trauma e vorrebbe “dimenti-
care”.
Altri casi comuni sono l’amnesia e la pazzia. Nel primo caso, il personaggio-pov
non ricorda ciò che gli è successo, e quindi potrebbe ricostruirlo in modo errato. Nel
secondo caso, il personaggio-pov mistifica la realtà perché la percepisce in modo di-
verso. Un esempio di quest’ultimo caso è “Il Cuore Rivelatore” di E.A. Poe, in cui la
pazzia del narratore lascia il lettore impossibilitato a distinguere tra i deliri del pro-
tagonista e la realtà.
Sicuramente la tecnica della prima persona inattendibile è molto intrigante e può
dar vita a romanzi davvero eccellenti, pieni di mistero e colpi di scena. Il lettore ri-
mane nell’incertezza e quindi, per scoprire la verità, continua a leggere divorando il
romanzo. Però ci vuole molta abilità nel gestire questa tecnica, il cui uso scorretto o
eccessivo potrebbe spazientire il lettore incapace di capire la realtà dei fatti. Proprio
per questo bisogna far comprendere l’inaffidabilità del narratore. Il modo più sem-
plice consiste nel farlo cogliere in fallo, oppure nel far capire fin da subito il suo pro-
blema (nel caso della pazzia o dell’amnesia). Un modo più difficile da attuare, inve-
ce, consiste nel rendere dubbioso il lettore disseminando indizi contrastanti rispetto
alle affermazioni del narratore. Ciò che è certo, però, è che il lettore deve poter ar-
rivare alla verità. Questo lo si può fare implicitamente, lasciando intuire la verità con
una serie di grandi e piccoli indizi, oppure lo si può fare platealmente. Il primo caso è
sicuramente più efficace e intrigante, ma anche più difficile da gestire. Il secondo ca-
so, invece, può essere sviluppando usando un punto di vista multiplo, e quindi usan-
do più di un personaggio-pov. In tal modo, al narratore inattendibile si contrappone
almeno un personaggio attendibile.
Un’altra opzione interessante prevede l’utilizzo di molti personaggi, tutti inat-
tendibili. Ognuno darà la sua versione dei fatti e spetterà al lettore decidere a chi
credere.
2. Seconda persona
Sei distesa sulla pietra calda, e contorci il tuo corpo. Poi ti rilassi, e il terreno ti porta
in alto come se galleggiassi sul mare. Il sole è spuntato alle sette, e ogni granello di
sabbia è bollente. Il sole raggiunge l’avvallamento splendente del tuo ventre, le tue
braccia, le tue dita, il tuo viso. Nessuna parte di te resiste, ogni parte brilla.
[da “With HerCrookedHeart” di Helen Dunmore]

Pro:
• L’uso della seconda persona permette di descrivere sensazioni difficilmente
esprimibili altrimenti.
• Si ha una sensazione di intimità, come se il narratore stesse sussurrando
all’orecchio del personaggio.

Contro:
• È un tipo di POV poco usato. Il tipico lettore di narrativa di genere rimane
spiazzato e difficilmente riesce a immergersi nella storia. Proprio per questo,
la seconda persona è più adatta alla literary fiction.
• L’immedesimazione col personaggio è resa difficoltosa dai dettagli. Ad esem-
pio, un uomo difficilmente potrà immedesimarsi leggendo “lanci
un’occhiataccia al tizio che ti fissava le tette”. Proprio per questo, bisogna es-
sere il più possibile neutrali, il che è difficilissimo da fare e da mantenere.

In sintesi, è meglio usare la seconda persona solo con la literary fiction o comunque
in parti brevi, magari con un narratore di secondo grado, in modo che il narratore si
rivolga a un altro personaggio anziché al lettore.

3. Terza persona
Possiamo internamente dividere la terza persona in limitata e onnisciente.

 Terza persona limitata

Usando la terza persona limitata, si possono narrare solo gli eventi di cui il perso-
naggio-pov è testimone. Come con la prima persona? Sì, ma c’è una differenza e-
norme: mentre con la prima persona tutto è necessariamente filtrato dai pensieri
del personaggio, con la terza persona limitata si è più liberi. Tecnicamente, siamo
nel campo della penetrazione psicologica o dell’introspezione.
La prima persona presenta una penetrazione assoluta, per cui tutto è sempre e
comunque filtrato dai pensieri del personaggio. La terza persona limitata, invece,
può presentare una penetrazione leggera, una pesante o una penetrazione assen-
te. E il bello è che non si è costretti a fare una scelta definitiva! Anzi, è sconsigliato
usare solo un livello di penetrazione per tutta la storia. Conviene cambiare livello a
seconda della scena narrata, tanto è una cosa che non dà fastidio al lettore. In que-
sto modo si può godere dei benefici di ognuno di questi livelli di introspezione.
L’unica buona norma da seguire consiste nell’iniziare la storia con una penetra-
zione leggera. In tal modo, il lettore saprà sempre della possibilità di visualizzare i
pensieri del personaggio-pov e non rimarrà deluso quando si passerà a una penetra-
zione nulla, né rimarrà spiazzato quando si userà una penetrazione profonda.

 Terza persona limitata con penetrazione leggera

Pete dovette attendere quindici minuti prima che Nora si presentasse con uno sfavil-
lante vestito blu che non le aveva mai visto addosso.
«Ti piace?» chiese Nora.
“Forse è un po’ eccessivo. Sembra una lampada al neon avvolta nella stoffa.”
«Straordinario!» commentò con un sorriso.
Nora studiò il volto di Pete e gli lanciò un’occhiataccia. «Tu vuoi sempre che mi
vesta in modo sciatto e anonimo!»
[versione riadattata di un esempio presente in “I Personaggi e il Punto di Vista” di
Orson Scott Card]

Con la penetrazione leggera, la telecamera è sulla spalla del personaggio e, ogni tan-
to, può girare a inquadrarne i pensieri. Questi vanno scritti in prima persona e al
presente, come un discorso diretto.
I pensieri sono divisi dalla narrazione, cosa che va esplicitata usando il corsivo e/o
delle virgolette. In generale, è meglio evitare i tag del tipo “pensò”, in quanto danno
una sensazione poco naturale.

Pro:
• A differenza della prima persona, non si è costretti a filtrare tutto attraverso i
pensieri del personaggio. Questi possono essere inquadrati solo quando è
necessario, mentre il resto viene descritto neutralmente. Ciò è particolar-
mente utile quando si ha a che fare con personaggi problematici che, in pri-
ma persona, infastidirebbero il lettore.
• I pensieri vengono esplicitati direttamente dal personaggio-pov, quasi come
dalla sua voce. Questo dà un senso di naturalezza.
• Nelle scene più veloci e d’azione, i pensieri del personaggio possono essere
usati per spezzare la narrazione e rallentare la tensione. Se necessario, ovvio.
• C’è una maggiore immersione nella storia, che non è ostacolata dal perso-
naggio-pov come nella prima persona.

Contro:
• La scena risulta asettica e distaccata, il narratore non può immedesimarsi nel
personaggio come con la prima persona o con la terza persona con penetra-
zione profonda.
• I pensieri del personaggio-pov sono staccati dalla narrazione e la spezzano
forzatamente.
• Nelle scene con un coinvolgimento emotivo molto intenso, la penetrazione
leggera può risultare poco efficace, se non addirittura dannosa.
• Si può riportare solo ciò che il personaggio-pov conosce e percepisce

La penetrazione leggera è una via di mezzo adatta alle scene che non richiedono un
fortissimo coinvolgimento emotivo, ma neppure una totale freddezza.

 Terza persona limitata con penetrazione profonda

Pete non fu sorpreso dei quindici minuti di ritardo. Nora, ovviamente, si presentò con
un vestito nuovo blu. Ma non semplice blu. Era un blu sfavillante, come una lampada
al neon avvolta nella stoffa.
«Ti piace?» chiese Nora.
Pete si costrinse a sorridere. «Straordinario!»
Come al solito, Nora riusciva a leggere i suoi pensieri, nonostante tutti gli sforzi
per apparire un sorridente adulatore.
Gli lanciò un’occhiataccia. «Tu vuoi sempre che mi vesta in modo sciatto e ano-
nimo!»
[versione riadattata di un esempio presente in “I Personaggi e il Punto di Vista” di
Orson Scott Card]

Come potete notare, con la penetrazione profonda i pensieri non sono staccati dalla
narrazione, ma la permeano profondamente. Volendo semplificare, questa non è al-
tro che una prima persona portata in terza persona.

Pro:
• Il lettore è già immerso nei pensieri del personaggio, che così non spezzano la
narrazione. L’”ovviamente” contenuto nell’esempio sopracitato non è un
commento del narratore, ma di Pete; il colore del vestito di Nora viene valuta-
to “non un semplice blu. […] come una lampada al neon avvolta dalla stoffa”
non dal narratore, ma da Pete. Inoltre, si può anche notare la motivazione del
personaggio-pov: Pete si costringe a sorridere.
Se la penetrazione superficiale ci rivela che Nora studia il volto di Pete prima
di capire che le ha mentito, quella profonda ci informa che Nora è in grado di
leggere i pensieri di Pete. Ovviamente, lei non è davvero telepatica, ma questo
è ciò che Pete pensa di lei.
• A differenza della prima persona, in cui si è bloccati in questa continua intro-
spezione profonda, la terza persona limitata con penetrazione profonda non è
fissa e il livello di penetrazione può variare a seconda della scena. In questo
modo vengono anche attutiti i danni dei personaggi-pov potenzialmente fasti-
diosi, che quindi possono essere usati tranquillamente.
• Il lettore è in grado sia di immedesimarsi col personaggio-pov, che di immer-
gersi nella vicenda. Con la prima persona, invece, l’immersione è ostacolata.

Contro:
• I commenti del personaggio-pov potrebbero essere scambiati per intromis-
sioni del narratore.
• I pensieri del personaggio-pov devono essere il più possibile coerenti e vero-
simili. Se il personaggio-pov è psicologicamente piatto e costruito male,
l’intera narrazione sembrerà poco verosimile e al limite del ridicolo.
• Gli sbalzi temporali provocati dai ricordi posso dare fastidio.
• Rispetto alla penetrazione leggera, la psicologia del personaggio-pov ha un
maggiore impatto sulla narrazione. Questo può creare danni se il personag-
gio-pov è potenzialmente fastidioso, e in tal caso bisogna cambiare il livello di
penetrazione nei momenti giusti.
• L’immedesimazione col personaggio-pov è minore rispetto alla prima perso-
na.
• Abusare della penetrazione profonda rende la vicenda meno attendibile e
può dare una sensazione di innaturalezza.
• Si può riportare solo ciò che il personaggio-pov conosce e percepisce.

In generale, la penetrazione profonda è adatta per le scene con un forte coinvolgi-


mento emotivo e per quelle in cui è più importante mettere in luce le motivazioni e i
pensieri del personaggio-pov.

 Terza persona limitata con penetrazione assente (oggettiva o cinematografica)


Quando lui arrivò, Nora non c’era ancora. Pete trasse un sospiro e si sedette ad a-
spettarla. Nora sopraggiunse quindici minuti dopo. Indossava un vestito di un blu
sfavillante. Fece un giro su se stessa. «Ti piace?»
Pete osservò il vestito, senza tradire alcuna espressione. Accennò a un sorriso.
«Straordinario.»
Nora studiò il volto di Pete, gli lanciò un’occhiataccia. «Tu vuoi sempre che mi ve-
sta in modo sciatto e anonimo.»
[versione riadattata di un esempio presente in “I Personaggi e il Punto di Vista” di
Orson Scott Card]
Con la penetrazione assente, detta anche oggettiva o cinematografica, il lettore non
può conoscere i pensieri del personaggio-pov, ma può solo supporli dal suo compor-
tamento. Pete si siede senza cercare né chiamare Nora, il che fa supporre che lei sia
una ritardataria cronica. Nora gira su se stessa, il che fa supporre che il vestito sia
nuovo.

Pro:
• Almeno per le scene in cui si usa questo livello d’introspezione, non ci si deve
preoccupare dei pensieri dei personaggi nevrotici.
• Il ritmo è naturalmente più veloce.
• Qui il narratore non mente mai, per cui il lettore può credere a ciò che vede
senza porsi dubbi. Se poi valuta in modo errato i gesti dei personaggi, quello
è affar suo.

Contro:
• La narrazione è totalmente asettica e “senz’anima”: il lettore non può im-
medesimarsi nel personaggio.
• Nelle scene più complesse, lo scrittore deve avere un’alta conoscenza del lin-
guaggio del corpo.
• Il lettore può fraintendere certi atteggiamenti del personaggio-pov.
• Abusare della penetrazione assente può diventare frustrante, quindi bisogna
scegliere attentamente le scene in cui usarla.
• Si può riportare solo ciò che il personaggio-pov conosce e percepisce.

La penetrazione assente è perfetta per le scene d’azione e per quelle a cui si vuole
imporre un ritmo veloce. È consigliabile anche quando il personaggio-pov perde il
controllo di sé (attacco di panico, scatto d’ira, possessione spiritica/demoniaca ecc),
nonché per le scene a cui si vuole dare un tocco di mistero.

 Terza persona onnisciente


Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte
di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien,
quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promonto-
rio a destra, e un'ampia costiera dall'altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due
rive, par che renda ancor più sensibile all'occhio questa trasformazione, e segni il
punto in cui il lago cessa, e l'Adda ricomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le
rive, allontanandosi di nuovo, lascian l'acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e
in nuovi seni.
[da “I Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni]

Il punto di vista onnisciente può essere personale o impersonale.


Il narratore onnisciente personale dichiara la sua identità di coscienza che rac-
conta la storia, si riferisce a se stesso come “Io” e ai lettori “Voi”. Il narratore onni-
sciente impersonale dichiara (o lascia intendere) la sua capacità di conoscere ogni
cosa, ma non dichiara mai la sua esistenza di entità separata.
Attenzione però: il narratore onnisciente deve in ogni caso rivelarsi subito, fin
dalla prima pagina.

Pro:
• Usando la terza persona onnisciente, la telecamera del POV è in cielo, come un
occhio divino che vede tutto e sa tutto. Proprio per questo può essere narrato
qualunque evento, anche quelli a cui il protagonista non prende parte.
• Le informazioni non sono filtrate attraverso la coscienza di un personaggio, ma at-
traverso quella del narratore.
• Il narratore onnisciente può visualizzare i pensieri di tutti i personaggi.
• Il narratore onnisciente può commentare gli eventi, il che può essere utile nei ro-
manzi umoristici.
• Il narratore onnisciente, conoscendo già il finale della storia, può giocare con le
anticipazioni.

Contro:
• Si tratta di un tipo di un POV obsoleto e superato
• I commenti del narratore danno molto fastidio: spezzano la narrazione, but-
tano il lettore fuori dal romanzo e impediscono l’immersione. Questo difetto
si fa ancora più grave durante le scene d’azione: il narratore non solo rallenta
il ritmo, ma per giunta si intromette impedendo la visuale della scena.
• I commenti del narratore ostacolano l’immersione del lettore nella storia. Il
narratore onnisciente è solo un muro fra il lettore e l’agognata realtà virtuale.
• I commenti del narratore possono risultare ridicoli. In altri casi, invece, può
sembrare che il narratore voglia salire in cattedra per spiegare al lettore.
• Il narratore onnisciente rischia spesso di generare infodump, ossia rigurgiti di
informazioni superflue, inutili e soporifere (“Giulio attraversò la porta che era
stata fabbricata del 1815 dal Gran Maestro dei Puffi Rosa, per poi essere
venduta a…”). Questo difetto si fa ancora più grave durante le scene
d’azione: il narratore non solo rallenta il ritmo, ma per giunta si intromette
impedendo la visuale della scena.
• Il passare dai pensieri di un personaggio a quelli di un altro confonde il letto-
re, specie se fatto all’interno di una stessa scena e in modo brusco.
• Il narratore onnisciente esprime concetti astratti o generici, racconta molto e
mostra pochissimo. Per mostrare dettagli concreti, non c’è bisogno del narra-
tore onnisciente: basta prendere il punto di vista limitato di un personaggio.
• Usando il narratore onnisciente, si rischia facilmente di esagerare con le anti-
cipazioni, nonché di inserire dettagli inutili e fuorvianti.
• Le affermazioni del narratore onnisciente sono verità assolute che, se con-
traddette dai personaggi, minano la credibilità della storia. Inoltre, nel caso di
idee (politiche, religiose, sociali), le affermazioni del narratore potrebbero dar
fastidio ai lettori con opinioni opposte. Questo non accade con i personaggi.
• Il narratore onnisciente personale, rivolgendosi direttamente al lettore, sot-
tolinea la sua presenza e fa capire l’artificiosità della storia. Tutto diventa e-
splicitamente finto, come uno spettacolo di marionette.
• Nella letteratura fantastica, soprattutto fantasy, si può usare un qualsiasi
punto di vista senza turbare il lettore, anche quello di un sasso o di albero o
di un fucile. In questo caso, usare il narratore onnisciente non avrebbe senso.

In sintesi, il narratore onnisciente è adatto solamente ai romanzi comici e alla lite-


rary fiction. In tutti gli altri casi, conviene evitarlo come la peste.

Il POV multiplo

Se la storia lo richiede, si può usare più di un punto di vista. In fondo l’alternare più
personaggi-pov è una cosa comune e molto pratica.
In genere si alternano due personaggi-pov, ma ci sono casi in cui se ne possono
alternare molti di più. Non ci sono tante regole da seguire, si è abbastanza liberi:
non si è costretti ad alternare i pov in modo regolare e non si è costretti a usare per
tutti i personaggi-pov la stessa tipologia di punto di vista.
Ci sono solo due grandi regole da tenere in mente. La prima è: mai cambiare POV
durante una scena! Bisogna rendere molto netta il passaggio da un personaggio-pov
a un altro, altrimenti il lettore si confonde. L’ideale è cambiare POV assieme al capi-
tolo; ad esempio, se il primo capitolo è raccontato dal punto di vista di Laura, il se-
condo potrebbe essere raccontato dal punto di vista di Sandro. Se invece si vuole
cambiare punto di vista all’interno di uno stesso capitolo, si possono dividere le sce-
ne in modo netto con gli asterischi. Ossia così:

***

Cambiare POV aumenta la tensione e la suspense anche quando accade tra un capi-
tolo e un altro, ma all’interno di uno stesso capitolo l’effetto è molto più forte. Il me-
todo degli asterischi, però, non va usato quando si cambia anche tipo di POV (da
prima persona a terza, ad esempio).
La seconda regola fondamentale del cambio di POV è: chiarire fin da subito chi è
il nuovo personaggio-pov. Lo si deve far capire immediatamente, ma non è difficile
farlo. Ad esempio, se il nuovo personaggio-pov è Mauro, si può iniziare scrivendo
“Mauro guardò oltre la finestra” o qualcosa di simile.

Il POV misto

Come ho già detto, il POV multiplo può anche svilupparsi cambiando tipo di POV as-
sieme al personaggio. Ma cosa succede se si cambia tipo di POV usando sempre lo
stesso personaggio? È il caso di una tecnica particolare chiamata “punto di vista mi-
sto”.
Per usare questo stratagemma, però, bisogna avere una motivazione valida. Ad
esempio, se il vostro personaggio-pov è un malato mentale, conviene usare la terza
persona. Una volta guarito, si può passare alla prima persona, che è anche un buon
modo per sottolineare che il personaggio ha ripreso il controllo di sé stesso.
A questo punto sorge una domanda: se il personaggio ha più personalità si parla
ancora di POV misto? No, in questo caso si parla di POV multiplo. Un personaggio
principale si identifica in primis con la sua personalità; se Mauro è affetto da Distur-
bo Dissociativo dell’Identità, ogni sua personalità può essere considerata un perso-
naggio a se stante.

Errori di gestione del POV

Fino ad ora ho parlato di errori legati a specifiche tipologie di POV, ma c’è un errore
che vale sempre e comunque: usare un linguaggio non adatto al personaggio-pov,
oppure attribuirgli pensieri che difficilmente formulerebbe.
Distanza emotiva

La distanza emotiva è la distanza tra il lettore e il personaggio-pov. Ne esistono tre


tipologie: campo lungo (“Mauro correva nella notte fredda”), campo medio (“Mau-
ro correva nella notte, imprecando contro il freddo”) e primo piano (“Mentre corre-
va nella notte, sentiva il sapore amaro del freddo sulle labbra”).
Non è necessario scegliere una distanza per tutto il romanzo: la si può cambiare a
seconda della scena.

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