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NARRATOLOGY

1) Testo narrativo: testo in cui un agente racconta una storia. = narratore, che è una funzione, non una persona.
Nel suo attacco al concetto e all’autorità dell’autore, FOUCAULT bandisce quattro concetti di paternità:
1) idea psicologica dell’autore
2) intenzione dell’autore
3) l’autore storico, reale come “origine” del lavoro/opera
4) autore-funzione come supporto del significato.
In realtà è solo una proiezione del lettore che ha bisogno di un punto centrale semantico per dare un senso
all’opera. L’alternativa che egli propone è l’autore\opera come una funzione instabile che interagisce con altre in
un campo più ampio di discussione. Secondo BAL ci sono limiti a questa fluttuazione, limiti strategici e
fondamentali, perché devono esaminare le basi politiche dello status quo per sfidare i poteri culturalmente
costituiti, costituiti per l’appunto su basi politiche. Quando questi limiti vengono accettati come rimpiazzo dei
“limiti naturali” e degli “anti limiti di Foucault”, questo sarà un punto di partenza per sviluppare una politica
della lettura partendo da posizioni politiche legittime e non presunto sapere o neutralità. Questo vuol dire
emancipare lettore e autore da un’autorità che interpreta l’opera e ha a che fare con la censura, che è appunto
esercitata censurando forme di interpretazione. La stessa interpretazione accademica può essere una forma di
censura per opere che non si conformano al concetto di bellezza e arte vigente, che possono essere interpretate
come pericolose. Le interpretazioni degli esperti possono avere un’autorità che censura le interpretazioni da altre
fonti. Occorre un’apertura maggiore per includere interpretazioni da punti di vista diversi da quelli più
socialmente accettati. Quindi distinguere autore e narratore serve a dare spazio al giudizio del lettore sulla
persuasività di quello che viene detto. Parlando di narratore, Bal non parla dell’implied narrator” introdotto da
Booth per discutere le implicazioni morali di un testo senza passare per il narratore storico. I problemi con questo
termine sono: 1) l’implied author è il risultato dell’indagine sul significato di un testo, non la fonte; 2) si dà
autorità a una interpretazione “dall’alto “ di decidere cosa volesse dire l’autore, relegando il lettore ai margini. 3)
la nozione si può applicare a ogni testo. Per BAL il narratore è inteso come agente che racconta una storia. Si
tratta del nodo centrale della storia che insieme alla focalizzazione (come il narratore narra la storia) determina la
narrative situation. La narration implica la focalizzazione perché il linguaggio dà forma alla visione e può essere
separato dal suo oggetto solo artificialmente, per l’analisi; il “vedere” è lo scopo della narrazione. Meno la
connessione tra narratore e agente focalizzante è evidente, più è facile distinguere tra narratore, focalizzatore e
agente perché non sfociano in una sola “persona”. Quando un personaggio, per esempio in un film, subisce un
cambiamento, lo spettatore lo vede da fuori e non ha accesso ai suoi pensieri; questa “conversione” (se si vuole
un senso “cristiano” del termine, anche se oscura la narrative e l’importanza del momento) è VISTA in senso
narratologico, la visione diversa che il personaggio acquisisce, il che fa rivoltare la fabula modificando il
personaggio. (per esempio, in Schindler’s List, Schindler vede le persone che stanno dietro ai numeri e cambia
idea su di loro modificando il corso della fabula). La focalizzazione pertiene al personaggio (che, sempre nel
film, vede il cappotto rosso della bambina e agisce di conseguenza); il fatto che noi lo vediamo vedere pertiene
alla narrazione, ci viene mostrato da un agente narrativo. Quando Schindler vede il cadavere della ragazzina, la
sua “conversione” viene accoppiata con la morte di lei → atto narrativo. Analizzando questo atto narrativo, si
comprende l’implicazione che la conversione di Schindler è avvenuta troppo tardi.
La narrazione si differenzia in PRIMA, SECONDA (sperimentale) e TERZA PERSONA nei romanzi. La terza
persona implica che un evento nella fabula a cui un personaggio assiste e che viene raccontato da un agente
narrativo che non si specifica; quando si specifica, abbiamo una narrazione di prima persona. In ogni caso, esiste
sempre qualcuno che narra, che parla; nella narrazione di prima persona, parla per sé; nella terza si parla di altri.
NARRATORE ESTERNO: quando nella fabula il narratore non riporta se stesso come un personaggio della
fabula; NARRATORE INTERNO (character bound): quando l’io narrante si identifica con un personaggio della
fabula. Questa differenza implica una differenza nella retorica narrativa della “verità”: un narratore interno
afferma di fatti reali su se stesso anche se la fabula è implausibile. → (I narro (Io affermo autobiograficamente:))
→ Mi sentivo in ansia quel giorno. Anche se si sa che il narratore è fittizio e non racconta fatti reali, il lettore
sceglie di crederci → PATTO NARRATIVO. La retorica della verosimiglianza è possibile anche per il narratore
esterno. Ma il narratore può anche indicare di proposito che sta narrando una storia finta. In una narrazione c’è
sempre un PARLANTE che racconta gli eventi; qualcuno che subisce gli effetti di quegli eventi; gli eventi nella
fabula. Quando il narratore è esterno, può esserci comunque una focalizzazione da parte di un personaggio: (Io
narro (Io invento (Il Personaggio focalizza:)) Elizabeth era in ansia quel giorno; oppure, il personaggio narra un
evento per poi spiegare a cosa porterà. In questo caso (I narro (Io dico autobiograficamente per spiegare:))
Elizabeth mi aveva messo in ansia quel giorno → EVENTO CAUSATO DA ELIZABETH; PERCEZIONE
DELL’IO FOCALIZZATORE; ATTO NARRATIVO DELL’IO NARRANTE. Questi due IO coincidono.
OPPURE il narratore può nominarsi ma non essere un personaggio della fabula. → DOPPIA
FOCALIZZAZIONE quando un focalizzatore anonimo, che può essere anche narratore, si spiega il sentimento
provato da un altro personaggio → (Io narro (Io invento con l’intenzione di spiegare:)) La sirena suonò. SE IL
NARRATORE si manifesta con un IO nel testo che non è un personaggio allora è PERCETTIBILE; se non è
specificamente menzionato dall’agente narrativo, allora è IMPERCETTIBILE. → il primo caso vede la parziale
coincidenza dei tre agenti, anche se rimangono distinti. Serve spesso per affermare una presunta verità. Quando il
narratore è anche un agente e narratore ma non è importante dal punto di vista dell’azione è un TESTIMONE. (Io
narro (Io dichiaro come testimone:)) Elizabeth era in ansia quel giorno. In questo caso occorre rendere chiaro
come sappia cosa afferma, altrimenti si presuppone che sia stato presente. → in questo caso la focalizzazione è
percettibile, perché legata al characterbound narrator. Dunque l’IO NARRANTE può solo narrare, avere
un’opinione o agire, anche solo dando testimonianza. La narrative situation puàò anche cambiare: un narratore
può rimanere impercettibile e poi rivelarsi, oppure cambia la focalizzazione. Per quanto riguarda la SECONDA
PERSONA, essa viene spesso tradotta dal lettore con la prima. Può essere usata per il monologo interiore, una
narrazione solitamente in prima persona, che cerca di eliminare le referenze alla voce in prima persona a favore
di un focalizzatore in prima persona puro. La seconda persona può davvero svolgere la sua funzione solo quando
si parla a qualcuno di estraneo da sé. → DEISSI, parole che hanno significato solo a seconda del contesto in cui
sono dette. Secondo BENVENISTE, quello che importa è la deissi, cioè la costituzione della soggettività che
serve a comunicare. Le parole sono solo parole se non si costruisce un contesto. Per una comunicazione serve un
IO e un TU, il quale conferma l’io come parlante. Solo come potenziale IO quando cambia la prospettiva il TU
ha la soggettività di agire. Nella narrazione in seconda persona il TU non può essere identificato col lettore, e la
comunicazione crolla.
Non tutte le frasi del testo sono narrative → COMMENTI NON NARRATIVI. Spesso in esse sono fatti
commenti ideologici. Possono contenere opinioni che vanno al dilà della fabula e sfociano in quello che è
comunemente accettato. → PARTE ARGOMENTATIVA. Si riferisce a un argomento esterno alla fabula
(opinioni o fatti). L’ideologia può diventare visibile attraverso un’analisi narratologica (ad esempio si può
considerare una metafora una narrativa implicita). La DESCRIZIONE è un luogo privilegiato della
focalizzazione, ha impatto sulla forma estetica e ideologica del testo. La descrizione non racconta un evento ma
dà delle informazioni che sono praticamente e logicamente necessarie, aiutando la fabula a concretizzarsi e dando
ad essa senso. Fin dall’antichità si teso a narrativizzarla per renderla giustificata nel testo (per es. Omero descrive
armatura di Agamennone mentre la indossa), tradizione arrivata fino al nouveau roman. La classica descrizione
inizia con un frame introduttivo, una divisione tra soggetto e oggetto e una descrizione dettagliata della
percezione dell’oggetto e degli elementi che lo costituiscono ed è narrato da un narratore esterno. Il framing può
essere realistico e narrativizzare il focalizzatore, la cui visione è il referente narrativo della descrizione
(=MOTIVATION). La focalizzazione stabilisce il legame di percezione tra soggetto e oggetto. Può avere un
senso profetico circa gli eventi futuri; dare informazioni implicite su rapporti tra i personaggi, passati o come si
evolveranno; possono essere ampie e amplificare le sensazioni del focalizzatore per un senso di suspense; il suo
statuto è sia costitutivo della narrazione, sia la interrompe. OPPURE, gli ambienti possono corrispondere ai
sentimenti dei personaggi, mischiandosi con la narrazione degli eventi. In questo casi casi (rispettivamente
Nightwood e Tess of the d’Ubervilles), la descrizione è denaturalizzata, mentre in Cervantes, Don Q. è dichiarato
pazzo per aver visto quello che non esisteva. Il frame introduttivo è difficile da contenere nei suoi limiti. Più la
descrizione è dichiaratamente una descrizione e più è denaturalizzata (nel caso di Nightwood, la descrizione della
protagonista Robin vista addormentata da Felix, suo spasimante e futuro sposo, viene artificializzata, trasformata
in un quadro dove lei posa) VS narrativa realista. Nel caso di una persona, la descrizione parte dalla testa ai piedi,
dagli occhi al resto del viso; per i paesaggi, da primo a secondo piano, o da vaghezza a chiarezza, da sinistra a
destra. Oppure attraverso i sensi, prima di tutto la vista, che si completano tra loro. Il modo in cui la descrizione è
inserita caratterizza la strategia retorica del narratore. Nel REALISMO per inserire una descrizione serve una
MOTIVAZIONE (Zola afferma che il romanzo deve essere oggettivo, dunque serve una naturalizzazione delle
descrizioni, farle sembrare necessarie. Quando però un personaggio deve autenticare i contenuti della narrazione
e il lettore deve identificarsi con essi, questa oggettività diventa soggettività travestita). Se la verità o la
probabilità non basta a dare significato alla narrative, allora scatta la motivazione a suggerire la probabilità. 3
tipi di motivazione: 1) IL PARLARE: quando un personaggio guarda e descrive cosa vede. Serve allora un
ascoltatore; il narratore interno deve sapere qualcosa che il suo destinatario non conosce e dunque descrivere per
un motivo. In questo caso, la motivazione avviene a livello di testo; 2) IL VEDERE: un personaggio vede un
oggetto → la descrizione riproduce questa visione ed è motivata da essa. La descrizione è incorporata nel tempo
che osservare l’oggetto richiede, dunque questa possibilità è motivata. La possibilità di vedere deve essere
giustificata, quindi si descrive anche la condizione che lo permette (finestra, luce, ecc.); al personaggio serve poi
un motivo per mettersi a guardare un dato oggetto, per es. la curiosità. In questo caso, la motivazione avviene a
livello di storia3) L’AGIRE: quando un personaggio compie un’azione con un oggetto che viene descritto in
itinere. In questo caso, la motivazione è a livello di fabula, e allora la descrizione e la narrazione non sono più
divisibili.
Questa visione viene sfidata dalla letteratura postmoderna, che esagera la motivazione delle descrizioni fino al
collasso; nella letteratura modernista, l’accesso del soggetto al mondo viene esagerato subordinando l’oggetto
per cui era evocato (equivalente di film western dalla fabula quasi inesistente che mostravano soprattutto i
paesaggi). Poetic of doublets: strategia anti-realista che permette allusioni storiche e bibliche di svilupparsi
insieme, intrecciate (personaggi che sono persone reali, di cui vengono mostrare le ministorie, ma che sono
inquadrati nella storia).
LA MOTIVAZIONE è UN MODO PER RENDERE ESPLICITO IL LEGAME TRA DUE ELEMENTI: poiché
in un testo difficilmente questi sono evidenti, essa è necessaria e arbitraria. Per fare in modo che l’arbitrario passi
per naturale\inevitabile ci si appella alla retorica. Le descrizioni sono composte di TEMA (oggetto descritto, con
le sue parti =SOTTOTEMI); NOMENCLATURA: insieme dei sottotemi; PREDICATI (accompagnano i temi
definendoli, pe es. verde) che sono qualificativi quando indicano una qualità, funzionali quando indicano la
funzione (es. per sei persone). METAFORE: rimpiazzano temi e sottotemi attraverso predicati. La relazione tra
tema e sottotema può essere SINEDDOTICA; quella tra sottotemi, di CONTIGUITA’ (una parte si trova vicina
all’altra). Sono entrambe METONIMICHE (metonymical). La relazione tra tema e predicato che lo sostituisce o
lo specifica in una comparazione è METAFORICA. Sulle basi di queste relazioni abbiamo: 1) DESCRIZIONE
REFERENZIALE\ENCICLOPEDICA: niente figure retoriche, selezione basata su contiguità degli elementi (e la
loro presenza implica assenza di altri). Caratteristiche generali che implicano quelle particolari. Serve a
trasmettere informazioni. 2) DESCRIZIONE REFERENZIALE-RETORICA: modellata sulla guida turistica,
unità combinate per contiguità e funzione tematica. Obbiettivo: dare conoscenza e convincere di qualcosa
attraverso lo stile e il registro (es. stile ricco per descrivere gli Champs Elysées) e attraverso sottotemi
tradizionali e predicati valutativi. 3) METONIMIA METAFORICA: domina la contiguità ma ogni componente è
una metafora, con termini di paragone omessi con cui i paragonati non hanno contiguità. 4) METAFORA
SISTEMATICA: descrizione come una grande metafora. Gli elementi della comparazione e i comparati sono
imparentati gli uni con gli altri. Le due serie sono costruite sulla contiguità e si bilanciano. METAFORA
METONIMICA: tutta la descrizione è una metafora in cui gli elementi sono in contiguità che formano una
descrizione coerente che è tutto un paragone con l’oggetto comparato (es. comparazioni omeriche). SERIE DI
METAFORE: metafora che si espande senza che si faccia riferimento all’oggetto comparato, che risulta elusivo.
I LIVELLI DI NARRAZIONE: Nella frase: “Oh, la voce di Steyn” c’è uso di linguaggio emotivo (“Oh”), cioè
espressivo del personaggio che parla. Può essere preceduta da un verbo dichiarativo neutro (“disse”) o “sfumato”
(“soffiò”). I verbi dichiarativi indicano che qualcuno sta per parlare → cambia IL LIVELLO DI NARRAZIONE.
Entra un altro parlante nell’azione e il narratore esterno gli lascia spazio → narratore interno di secondo livello,
che però, dicendo una frase, non racconta una storia. → personaggio che viene “citato” dal narratore esterno o
interno di primo livello. Quando il parlante di primo livello lascia spazio a quello di secondo livello e c’è un
verbo dichiarativo, il discorso del secondo parlante è diretto. Si tratta di una frase dentro una frase. Quando il
narratore è interno e c’è un discorso diretto, il personaggio si autocita, ma narratologicamente, colui che cita è un
narratore interno di primo livello, il citato, un narratore interno di secondo livello. Il discorso diretto è l’oggetto
di un atto lingustico = un evento della fabula. Quando invece IL TESTO EMOTIVO è PARTE DELLA
NARRAZIONE DEL NARRATORE INTERNO (anche se la particella “Oh” non è parte del testo, solo
l’emozione che comunica è un EVENTO). Più una frase è emotiva al primo livello di narrazione, più esso
diventa percettibile. E se condivide lo stato d’animo di un altro personaggio, è implicito che abbia assistito
all’evento assieme a lui (narratore testimoniale). Quando il discorso diretto rappresenta il pensiero, dunque non
percettibile, questo è indicazione che la storia narrata è una finzione. → se si cerca di essere realisti, non bisogna
rappresentare i pensieri dei personaggi nella narrazione. Dunque solo il lettore può sentire questi pensieri e il
personaggio non parlante non può. Quando un attore identico al narratore forma la fabula, ciò è segno di
autoreferenza: per esempio, esprimendo i propri sentimenti si automenziona. Oltre a segni di funzione emotiva,
in cui si parla dei sentimenti, ci sono anche altre due situazioni linguistiche: linguaggio sul contatto tra il parlante
e l’ascoltatore e il linguaggio su altri (personale e impersonale). Quando il narratore è allo stesso livello del
personaggio di cui parla\oggetto si rende un attore virtuale. Quando l’opinione personale di un personaggio viene
riportata, allora personale e impersonale si mischiano: il parlante parla a se stesso e non a un altro personaggio; si
resta sullo stesso livello. Si tratta di una situazione MISTA (TEXT INTERFERENCE), e cioé si trovano due
situazioni narrative in referenza alle due situazioni personali e impersonali. Per es. Oh la voce di Steyn! Capii
perché Ottilie non riuscisse più a sopportarla. Le due situazioni sono distinte da REFERENZE e cioè segnali
come, per la situazione PERSONALE: pronome I\you, prima\seconda persona, non tutti i passati sono possibili,
this\these, here\there, today\tomorrow (deissi), parole emotive come oh!, aspetti connotativi come comandi o
richiami (per es. “please”) in forma di domanda, incertezza del parlante (perhaps); IMPERSONALE: he\she,
terza persona, tutti i tempi passati, that\those, in that place, that day, the day after; niente parole emotive o
connotative, niente verbi e avverbi modali). Il narratore è PERCETTIBILE quando i segnali personali si
riferiscono alla situazione linguistica del narratore; quando i segnali si riferiscono alla situazione linguistica degli
attori e c’è un verbo dichiarativo, due punti, un trattino o le virgolette, c’è una UNA SITUAZIONE
LINGUISTICA PERSONALE DI SECONDO LIVELLO = drammatica. Quando però I SEGNALI SI
RIFERISCONO A UNA SITUAZIONE LINGUISTICA PERSONALE MA GLI ATTORI VI PARTECIPANO
SENZA CHE SIA CAMBIATO LIVELLO SI HA UNA TEXT INTERFERENCE. → quando il narratore
percettibile di primo livello sfocia nel secondo livello OPPURE le parole degli attori sono rappresentate al primo
livello, col narratore che adotta le parole degli attori, c’è una interferenza. → DISCORSO INDIRETTO, in cui il
narratore presenta le parole dell’attore come sono state dette. Il discorso indiretto è narrato a un livello più alto in
cui le parole nella fabula vengono pronunciare; il testo del narratore indica che le parole di un attore sono narrate
grazie a un verbo dichiarativo; le parole dell’attore sono rese nel modo migliore possibile. Il secondo punto
distingue il discorso indiretto dal DISCORSO INDIRETTO LIBERO, che viene distinto nel terzo punto dal testo
del narratore. → quando il punto 2 viene eliminato ma è presente il 3 il risultato è il discorso indiretto libero →
interferenza tra testo di narratore e attore. I segnali della situazione linguistica personale dell’attore e quelli della
situazione impersonale del narratore si uniscono senza referenze esplicite (per es. Elizabeth sarebbe potuta
riuscire ad uscire con lui domani → tomorrow e might =situazione personale dell’attore; terza persona e passato,
situazione impersonale del narratore). Si distingue dal testo del narratore solo quando ci sono indicazioni precise
sul fatto che si tratti delle parole di un attore: 1)segnale di una situazione linguistica personale che però
riguardano un agente; 2)uno stile personale attribuibile a un agente; 3) più dettagli di quelli che servono per la
fabula. IL DISCORSO INDIRETTO, DISCORSO INDIRETTO LIBERO E IL TESTO DEL NARRATORE →
parole dell’attore narrate al primo livello di narrazione. Queste interferenze possono variare di grado nei primi
due, dando più spazio a narratore o a attore, ma nel terzo livello le parole dell’agente sono rappresentate come
ATTO e quindi non c’è più interferenza. C’è interferenza quando il testo del narratore e dell’attore sono così
vicini che è impossibile distinguerli. Quando i due testi non interferiscono e sono separati chiaramente, vi è
comunque una gradazione nella relazione tra la frase nella frase dell’attore e quello del narratore e cioè: 1)
EMBEDDED NARRATIVE TEXT (teso narrativo nel testo narrativo): anche quello dell’agente può essere un
testo narrativo, come capita nelle frame narrative, in cui al secondo o terzo livello viene raccontata una intera
storia (come nelle Mille e una notte); RELAZIONE TRA LA FABULA DI PRIMO LIVELLO ED EMBEDDED
TEXT: quando viene narrata una storia non al primo livello della fabula, la fabula di primo livello viene messa
da parte e questo può essere uno sviluppo importante per la fabula primaria (per es. quando Scherazade fa a noi
la sua storia in favore di quelle che racconta, lo fa dimenticare anche al re, dunque raggiunge il suo scopo). Nel
caso di Sh. l’atto narrativo dell’agente-narratore Sh. Produce l’evento maggiore della fabula → la fabula viene
creata attraverso la narrazione. RELAZIONE TRA FABULA PRIMARIA E EMBEDDED FABULA: quando
due fabule sono in relazione l’una con l’altra: o la seconda spiega la prima (in questo caso, è raccontata dal
narratore), o assomiglia alla prima (la spiegazione viene lasciata al lettore). Questa relazione influenza quale
delle due fabula sia considerata la più importante. Spesso la fabula primaria è un pretesto per un narratore interno
percettibile di narrare la storia (per es. una situazione in cui sorge un ostacolo [le motivazioni del quale vengono
narrate nella fabula secondaria] e che poi si risolve senza cambiamenti). La seconda fabula in questo caso spesso
prende quasi tutto lo spazio, la fabula primaria è minima perché serve da situazione. In questo caso la relazione
tra le due fabula è EXPLANATORY, una spiega l’altra. Un altro caso può verificarsi quando la spiegazione può
condurre a un cambiamento. → la seconda fabula influenza la prima (EXPLAINATION AND
DETERMINATION). Quando la seconda fabula è ridotta al minimo, diminuisce la sua importanza per la
primaria (ed è spesso dichiarativa). Se le fabula si ASSOMIGLIANO (RESEMBLANCE) non lo fanno mai
interamente: si parla di forte o debole somiglianza. La somiglianza accade quando, facendo una sintesi delle
fabula, esse mostrano di avere forti somiglianze → comparabile con la myse en abyme di Gide (= mirror-text). In
questo caso, il sottotesto è un segno del testo primario e la sua posizione determina la sua funzione nei riguardi
del lettore: quando è ALL’INIZIO il lettore può predire la fine della fabula primaria, per questo la somiglianza è
spesso velata, quindi si capirà solo in seguito, una volta terminata la lettura. Quando la somiglianza non è velata
questo va a spese della suspense, che però può essere preservata in altre vie. Quando il mirror-text si trova verso
la fine la suspense è meno enfatica e la sua funzione è RETROSPETTIVA, per sottolinearne il significato,
magari, come accade per Kafka, per dare una chiave interpretativa della fabula primaria. Anche un
PERSONAGGIO può interpretare il mirror-text come segno e capire il corso della fabula di cui è parte – e
influenzarlo. Inoltre, il lettore può ricavarne una “lezione”, oppure comprendere la poetica dell’autore. La
maggior parte degli EMBEDDED TEXTS NON SONO NARRATIVI e cioè non raccontano una storia: possono
essere asserzioni, discussioni tra personaggi, e soprattutto il DIALOGO = forma in cui gli attori, e non il
narratore parlano. In questo senso sono “drammatici” (=teatro. In cui il narratore può apparire come figura meta-
narrativa con uno status di agente). Il dialogo può essere più o meno puro a seconda di quanto il narratore si
faccia sentire all’interno, per esempio menzionandosi. Quando non se ne sente la presenza è più facile
dimenticare il narratore di primo livello. Quando esso viene pensato o parlato da un attore, abbiamo un
SOLILOQUIO o MONOLOGO. Non è detto che l’atto narrativo presupponga un solo interlocutore. Per es. Sch.,
parlando al re è la narratrice, ma parlando alla sorella che si nasconde sotto il letto e dandole istruzioni in codice
mentre racconta storie, diviene l’inventrice del dialogo drammatico. La narratologia spesso sfocia nella
semiotica, quando il contesto in cui il dialogo prende forma è importante perché la comunicazione corretta
avvenga tra le due parti. Durante il dialogo una o entrambe le parti possono mandare segni che creano delle
ambiguità nelle domande (per es. un dottore che domanda a una donna quante volte è stata incinta non fa una
domanda precisa: le chiede quante volte è stata consapevole, quante gravidanze ha portato a termine o quanti
figli ha? Quindi, se la donna non sa rispondere, non è per stupidità, ma perché anche la domanda del dottore è
poco competente). I segni che vengono inseriti possono essere una volontà dell’autore per mandare un messaggio
pur senza che il narratore si palesi per spiegarlo. L’autore può suggerire al lettore una strada da seguire\quali
personaggi apprezzare. Il lettore in quanto figura a cui la storia viene narrata è qui una figura astratta vs. i veri
lettori che avranno delle risposte diverse agli “indizi” lasciati. La relazione tra l’embedded text e il primario può
essere determinata da due fattori: commento da parte del narratore primario all’embedded text, che può essere
anche velato o trasfigurato (per esempio con un titolo rivelatore); inoltre, è determinata dalla relazione tra i due
contenuti. BAL presenta una teoria diversa riguardo la mancanza di comunicazione tra due parti dialoganti.
Secondo BAKHTIN, l’uso della lingua è sempre un intreccio di diversi discorsi che derivano da una varietà di
background. → PRINCIPIO DIALOGICO. Ma quello che definisce dialogo è una metafora per l’eterogeneità del
discorso. → eteroglossia, cioè multilinguismo. Parla di intertestualità = citazione di un testo in un altro testo. MA
secondo Bakhtin ogni discorso è composto da un mosaico di altre citazioni. Nel caso in cui ci siano
incomprensioni tra agenti che “parlano lingue differenti” nel senso che hanno due punti di partenza differenti da
cui fare ipotesi, cose che non dicono perché sembrano evidenti ecc. SE però la voce a parlare è una sola, allora il
termine è INTERDISCORSIVITA’ (per es. mischiando vari modi testuali come il dialogo drammatico, prosa
narrativa e poesia, modi narrativi come narratore interno e esterno; generi dall’autobiografia alla pornografia;
media, come parole e immagini; e stili tipografici). Non viene sempre usata di proposito. Fin qui, la sua teoria e
quella di Bal sono compatibili. TUTTAVIA Bakhtine non parla nello specifico del romanzo come eterogeneo né
alla narrativa come modo del discorso, ma parla del romanzo come genere storico. Inoltre, la distinzione tra
livelli narrativi è necessaria per giustificare l’impatto del narratore primario anche quando si fa sentire solo nel
titolo in quanto voce che organizza il testo anche se resta muta, per esempio promuovendo un personaggio
sull’altro nelle simpatie del lettore.

2) La storia, terzo strato del terzo narrativo, consiste dello stesso materiale di testo e fabula, che, guardato in un
angolo specifico, viene definito ASPETTO. Se il testo è in prima istanza come prodotto dell’uso di un medium,
la fabula come prodotto di immaginazione allora la storia è il risultato di un ordine. La stessa fabula può essere
giudicata in modo diverso dai lettori, a seconda di come i suoi elementi vengono riordinati; inoltre, può cambiare
anche l’ideologia. Il primo principio è quello della presentazione degli eventi in un ordine diverso da quello
cronologico (secondo i formalisti russi il suzjet = intreccio). La fabula viene manipolata, nel senso positivo del
termine, e così il lettore, a cui si cerca di trasmettere suspense o piacere, ed è a questo livello che si inscrive una
ideologia. Queste manipolazioni non avvengono solo assegnando all’agente uno specifico personaggio messo in
uno spazio a lui legato da una relazione simbolica e circostanziale; il primo mezzo è quello della
PROSPETTIVA = POV assegnata a uno specifico agente.
Il TEMPO è essenziale perché una narrative si sviluppi ed è complesso; vi possono essere più piani temporali
nella stessa narrativa, e il tempo può allungarsi o scorrere veloce a seconda delle situazioni. La sequenza
cronologica degli eventi in una fabula è una costruzione teorica sulle basi della logica di tutti i giorni. Essa può
essere, diversamente dalla realtà, rotta in una storia. Per esempio, certi eventi non rilevanti alla fabula possono
essere desunti o ipotizzati dal lettore, ma lo fa solo per effetto narrativo, non perché certe azioni siano state
descritte. Perché avvenga un confronto tra gli eventi della storia e la loro sequenza nella fabula servono dati,
espliciti o indicazioni indirette. Non è sempre possibile ricostruire la sequenza cronologica. Nei romanzi
sperimentali moderni spesso esse sono confuse intenzionalmente, e questo caos ha comunque un significato:
serve per esempio a creare simultaneità, oppure, come nel caso di Cent’anni di solitudine, un susseguirsi di
generazioni e costumi sociali, per far percepire il passaggio dei cento anni al lettore. Vi sono momenti di attesa
circoscritta che lascia intravedere l’intimità del personaggio. Un testo scritto è lineare, una parola segue l’altra, e
così le frasi; in un testo narrativo c’è una doppia linearità, quella del testo scritto e quella della fabula, la serie
degli eventi. Questa linearità può essere rotta in vari modi; se corrispondono all’ordine sequenziale, però, non
sono molto evidenti. Ma se sono molto intricate bisogna non perdere d’occhio l’ordine sequenziale, il che
costringe a riflettere anche su altri aspetti e questioni. → mezzo per attirare l’attenzione su certe cose,
enfatizzare, esaltare l’estetica o gli effetti psicologici, mostrare varie interpretazioni di un evento, indicare la
differenza tra aspettativa e realtà. Serve spesso per emulare quella simultaneità dell’immagine visiva. Spesso i
personaggi possono avere memorie che non possono appartenere loro (la loro nascita, per es.) magari desunte da
storie che sono state loro raccontate; possono usarle per costruire la loro identità ma anche per dipingere
un’immagine. Non tutte le narrative sono complesse. Esistono alcune frasi (Little could I then forsee o Only
yesteday I was thinking), che sottolineano una diversa interpretazione degli eventi. Spesso le incomprensioni
degli agenti sono chiarificare in un secondo momento e spiegate così nella storia. Non esiste una relazione diretta
tra il gioco cronologico e la complessità intellettuale: una storia può essere intellettualmente complessa e
muoversi a ping pong tra presente e passato. La scelta della gestione del tempo è significativa per mostrare certi
aspetti. Differenze tra come le sequenze sono sistemate e come avvengono cronologicamente sono dette
DEVIAZIONI O ANACRONIE. Più la fabula è complessa, più sono drastiche, forse per il bisogno di spiegare
molto di una fabula complicata; questo spesso porta a fare una referenza al passato, oppure, per creare un punto
di convergenza tra i fili della fabula, si fa referenza al futuro. Il romanzo CLASSICO desunto dal modello
ottocentesco- realistico, usa molto questo ultimo modello. La costruzione convenzionale del romanzo è un inizio
in MEDIAS RES che già immerge il lettore nel mezzo della fabula, che poi torna al passato per tornare al
presente e andare avanti da lì. TRE ASPETTI DI DEVIAZIONE: DIREZIONE, DISTANZA E SPAN.
DIREZIONE: Se si prende come punto di riferimento il momento temporale in cui la fabula viene presentata,
l’evento in anacronia può trovarsi nel passato (RETROVERSION) o nel futuro (ANTICIPATION). A seconda di
come essi sono sistemati, per es. nell’incipit, è possibile già farsi un’idea di che tipo di fabula si ha di fronte;
oppure, come nel caos dell’Iliade nel prologo, offrono un sommario al lettore per comprendere la storia fino a lì,
ma gli eventi del sommario non sono riportati cronologicamente. Le anacronie NON SONO TUTTE DELLO
STESSO ORDINE. Accadono DENTRO e FUORI la coscienza; quando accadono nella coscienza, l’atto vero e
proprio è il ricordo, mentre vi è una riproduzione della realtà percepita dal senso corrispondente (Nella memoria
lo rivedo qui accanto a me). Si tratta di FALSE ACRONIE, comuni nel flusso di coscienza, che di fatti riproduce
i contenuti della coscienza, non essendo in questo senso soggetta all’analisi cronologica. Per risolvere questo
problema e distinguere le vere e le false acronie, si utilizzano le nozioni di SOGGETTIVO E OGGETTIVO:
l’anacronia soggettiva concerne solo i contenuti della coscienza, quella oggettiva ciò che accade fuori di essa.
Problema simile si verifica quando l’anacronia accade nel discorso diretto. Non sarebbe una vera anacronia, il
momento del parlare sarebbe parte della storia cronologica; solo i CONTENUTI sono in anacronia. In questo
caso, si parla di ANACRONIA DI SECONDO LIVELLO, perché accade nel parlato. Riguardo a quale tempo sia
da considerare il tempo primario della fabula, esso non è tanto rilevante quanto trovare la relazione tra le varie
unità di tempo. Può accadere per esempio che vi siano due fabule, una primaria e una secondaria; ma che la
secondaria fornisca un contesto che finisca per farla diventare la fabula primaria. Vi è dunque contrasto tra la
subordinazione cronologica del passato e il suo potere di cambiare il presente. Infine, le acronie possono anche
essere una dentro l’altra (per es. retroversione di secondo grado). In certi contesti si verificano delle OMONIMIE
CRONOLOGICHE, per cui è impossibile identificare quale periodo di una fabula venga preso in considerazione,
cosa che può essere usata per creare una volontaria confusione. DISTANZA: un evento presentato in anacronia è
separato da un piccolo o grande intervallo dal presente. Quando ognuna delle retroversioni è associata con fatti
conservati nella memoria essa SEMPRE SOGGETTIVA. Sulla base della distanza si possono distinguere
L’ANALESSI ESTERNA, e cioé quando una retroversione avviene completamente al difuori della fabula
primaria (retroversione esterna); e L’ANALESSI INTERNA se la retroversione accade nel tempo della fabula
primaria. Se la retroversione inizia fuori dalla fabula primaria e finisce all’interno abbiamo una
RETROVERSIONE MISTA. La stessa cosa vale per le anticipazioni. Le retroversioni esterne danno indicazioni
sulle circostanze antecedenti in quanto rilevanti per l’interpretazione degli eventi. La natura soggettiva di certe
acronie sottolinea la loro funzione di spiegazione. La retroversione interna spesso coincide con la narrative
primaria tanto da “superarla”, ma non è così quando l’informazione comunicata dalla retroversione è nuova
oppure quando è parallela alla fabula (per es. quando si offrono informazioni su un nuovo agente che durante gli
eventi della fabula primaria era stato occupato in altre faccende che poi divengono importanti per essa); in caso
contrario, la retroversione serve per colmare vuoti nella fabula primaria, per esempio cronologici (ELLISSI).
L’ellissi può essere usata per esempio per “decenza”, oppure per sottolineare la poca importanza di una certa
serie di eventi. Oltre alla FUNZIONE COMPLEMENTARE, quando non dà informazioni su un’ellissi o una
PARALESSI (mancanza di informazioni nella fabula parallela), ma elabora delle informazioni già date, pare che
vi sia una ripetizione, che serve spesso a cambiare o dare enfasi al significato di un evento. → identico MA
differente (molto frequente nei gialli). Lo SPAN indica la quantità di tempo che una anacronia copre. Nella frase
“L’anno scorso sono andato in Indonesia per cinque mesi” vede una distanza di un anno e uno span di 5 mesi.
L’anacronia può essere COMPLETA O INCOMPLETA. Una retroversione è incompleta se dopo un breve span
si salta in avanti nuovamente (viene offerta una sconnessa informazione sul passato ma vale anche per il futuro).
Solo quando le conseguenze del passato sono discusse fino al presente allora diviene completa = tutti gli
antecedenti sono stati ricordati. → capita spesso nella tradizione di un inizio di medias res. In questo particolare
tipo di anacronia, la distanza e lo span si coprono a vicenda e la retroversione finisce dove è iniziata. Inoltre, le
anacronie si distinguono secondo il loro span in PUNTUALI o DURATIVE, termini presi in prestito dal campo
semantico dei verbi: puntuale corrisponde in inglese al preterito e al passato semplice in francese; durativo indica
che l’azione impiega più tempo per svilupparsi. M = imperfetto in francese. QUINDI un istante del passato o del
futuro evocato, VS. un periodo più lungo in cui un’azione arriva a compimento. Il primo tipo serve per ricordare
un evento breve ma significativo, abbastanza da giustificare l’anacronia. Le anacronie durative raccontano una
situazione che può essere il risultato dell’evento richiamato nelle acronie puntiali. L’idea di DURAVITO e
COMPLETO non coincidono. Spesso, l’uso dell’anacronia puntuale è sintomo di uno stile pragmatico, la
combinazione tra le due dà l’idea di una storia che si sviluppa secondo la relazione di causa-effetto, mentre se le
seconde sono dominanti il lettore ha l’impressione che niente di particolare sta accadendo e la narrative sembra la
successione di situazioni inevitabili. Tutto questo è chiaramente applicabile anche alle anticipazioni, che però
sono molto meno presenti e sono spesso dedicate a una sola, celata allusione al risultato della fabula. Una forma
tradizionale di anticipazione è il SOMMARIO all’inizio della fabula, in cui il resto della storia spiega quando
presentato all’inizio (= fatalismo o predestinazione), togliendo la suspense sul finale, ma dando la possibilità a
quella di “come è possibile che sia successo a questo modo?”Le narrative alla prima persona sono quelle in cui
avviene più comunemente, per esempio quando il narratore sta presentando il suo passato e allude al futuro. Per
es: Mai avrei pensato allora (TEMPO DELLA FABULA → ) che dieci anni dopo (←-ANTICIPAZIONE\
RETROVISIONE -->) avrei incontrato quello che oggi (<---TEMPO DELLA STORIA) è mio marito. Anche le
anticipazioni possono essere INTERNE O ESTERNE; le interne sono spesso complemento una ellissi o paralessi
futura: viene detto ora e non verrà ridetto in futuro. Possono anche costituire un marker (“ne riparlerò”). Un altro
uso è quello ITERATIVO, in cui un evento è presentato come il primo di una serie. Per esempio dire che da quel
giorno in poi accadrà qualcosa che viene descritto, e dunque si ripeterà più volte così come il lettore lo legge. Più
compiutamente è descritto, meno è credibile il suo carattere iterativo, in quanto improbabile che si ripeta
esattamente uguale. Questa tecnica permette per es. di mostrare una scena attraverso gli occhi di un nuovo
arrivato; è dunque iterativo ma anche una prima volta. Di certe anticipazioni è certa la realizzazione, di altre no:
ANNUNCIO vs. INDIZIO. I primi sono espliciti e sono collegati ad avverbi come “dopo” e verbi come
“prometto” e “mi aspetto”; i secondi sono impliciti e non sono che germi di un’azione i cui effetti saranno
evidenti dopo; i primi lavorano contro la suspense, i secondi la aumentano e possono essere falsi. L’ACRONIA
avviene quando è impossibile determinare direzione, distanza e span. Si comprende solo che si tratta di una
retroversione. Molte retroversioni paiono acronie, per es. l’”anticipazione dentro la retroversione”, che si
riferisce al futuro riferendosi al passato. Questo perché riporta al presente, quindi la direzione diventa irrilevante.
Un’altra possibilità è quella della “retroversione nell’anticipazione”, quando ci viene detto prima del tempo come
la situazione ci sarà presentata (Per es. In seguito, John avrebbe capito che aveva interpretato male l’assenza di
Mary). Ci si riferisce a una situazione nel passato ma in relazione al futuro, il passato è il presente evocato
attraverso la retroversione-anticipazione. Una terza situazione simile all’acronia è quanto una anticipazione
riguardo alla fabula si rivela essere una retroversione nella story. E cioé, un evento che deve ancora accadere è
già stato presentato, nel discorso diretto, nella story. Poi viene fatta un’allusione ad esso che è un’anticipazione
per quanto riguarda la fabula (“Poi John capì che...”). Vi sono poi due tipi di ACRONIA, cioé deviazioni
impossibili da analizzare per mancanza di informazioni. L’acronia viene chiamata UNDATED quando non
indica direzione, distanza e span (Non l’ho mai visto senza parrucca → si parla del passato ma si include il
presente e questo è tutto quello che si sa); OPPURE, un gruppo di eventi formato su basi diverse dai criteri
cronologici senza menzione di sequenza cronologica (per esempio che sono avvenuti nello stesso spazio, ma solo
a patto che le coordinate temporali siano indicate altrove, o il testo non sarebbe più narrativo).
Il RITMO è il rapporto tra tempo in cui gli eventi che la fabula copre e il tempo in cui essi sono presentati al
lettore. Diversamente da quello che Muller definisce il “tempo del dire”, cioè impiegato per scrivere o per
leggere un’opera, il punto di partenza è il tempo coperto dalla fabula giustapposto allo spazio che prende nel
testo ogni evento, pagine righe o parole. Soluzione scelta anche da Muller. L’oggetto dell’analisi è capire come
l’attenzione data ai vari elementi è impostata. Quella per ogni elemento può essere realizzata solo in relazione
con altri elementi. Una volta analizzato quanto tempo i vari eventi coprono, è possibile determinare il ritmo
generale. In una fabula che contiene la vita del soggetto dalla nascita alla morte si può determinare il numero di
pagine dedicato a ogni evento. L’attenzione può essere divisa nella fabula tra i personaggi, vi è sempre un
alternarsi di sequenze brevi e lunghe. Secondo LUBBOCK → SCENA E SOMMARIO. Quando una certa parte
della fabula non riceve alcuna attenzione il tempo della fabula (TF) è molto più lungo di quello della storia (TS)
→ ellissi. Quando invece un elemento che non prende alcun TF è presentato in dettaglio nella TS, vi è la
PAUSA, in cui il TF è molto più breve del TS. → frammenti argomentativi o descrittivi. Sommari e
rallentamenti devono essere visti in relazione gli uni con gli altri. Se la vera isocronia, uguaglianza tra TF e TS,
non può avvenire nel linguaggio, si possono fare ipotesi, per esempio che un dialogo senza commento prenda gli
stessi TS e TF. Ci sono quindi 5 TEMPI: Ellissi, sommario, scena, rallentamento, pausa. L’ELLISSI non può
essere percepita e niente indica quanto tempo della fabula sia coperto da essa. Può essere dedotto per logica.
L’omossione può avere importanza, ed essere qualcosa di tanto difficile da dire a parole che è meglio tacerlo.
Inoltre, può essere che nonostante l’evento sia avvenuto, il personaggio voglia negare il fatto. La nostra
attenzione può essere puntata verso un’ellissi grazie alla retroversione: sappiamo che qualcosa è accaduto e più o
meno dove; oppure l’ellissi viene indicata chiaramente nel testo. Nella frase “Quando ero lì da due anni” →
ellissi; “Passarono due anni” → sommario minimo o alla massima velocità. Un SOMMARIO indica nel suo
contenuto una situazione. Possono essere non indicati degli eventi ma una durata di tempo, oppure degli eventi,
molto brevemente. Dal sommario si può poi passare a un ritmo più lento, le conseguenze degli eventi riassunti si
sviluppano. I CLIMAX DRAMMATICI, EVENTI CHE HANNO UNA FORTE INFLUENZA SULLA
FABULA = MOMENTI DI SVOLTA , sono presentati in scene estese mentre gli eventi che non influenzano
fortemente la fabula sono riassunti. Tuttavia, si può fare anche il contrario, e presentare la routine estensivamente
riassumendo all’osso i climax (come in Madame Bovary) → la fabula vuole riflettere la noia e il vuoto
dell’esistenza, quindi il ritmo va di pari passo al contenuto. Dove il sommario sia posto dipende dalla fabula (per
es. una crisis-fabula richiederà meno sommario di una developing-fabula). Le narrazioni più lunghe come i
romanzi sono formate soprattutto da SCENE. Tradizionalmente l’alternanza tra scene e sommario era
l’obbiettivo, ma questo schema viene spesso rifiutato in quanto troppo stereotipato. Le scene possono allungarsi e
dettagliarsi per indicare la noia, oppure ripetersi diventando un’anticipazione l’una dell’altra. In una scena, il TF
e il TS sono più o meno uguali. Alcune scene sono retroversioni, anticipazioni, frammenti non-narrativi come
osservazioni generali ,oppure atemporali come le descrizioni. Vengono omesse certi momenti morti, esitazioni o
sciocchezze, dunque non vi è una coincidenza esatta. Il TRISTAM SHANDY di Sterne esplora e prende in giro
l’impossibilità di descrivere il VERO tempo. Se si vuole riempire una scena si userà del materiale che trattenga
l’attenzione, che serve per connettere i capitoli seguenti e precedenti. Esistono anche delle PSEUDO SCENE,
presentate in maniera molto accelerata con una miriade di ellissi invisibili. Contrariamente a ciò, lo SLOW
DOWN, in diretto contrasto con il sommario, è un tempo che avviene molto raramente, è la possibilità teorica di
rallentare il tempo della scena, cosa che può provocare un effetto fortemente evocativo. Si tratta di zoommare su
un momento di grande suspense. Può però succedere che nella scena ci sia un rallentamento, anche grazie a una
retroversione. Può essere per esempio usato per focalizzarsi sulle percezioni di un atto piuttosto che sull’atto
stesso. → storia che supera la fabula. Inoltre, attraverso lo zoom intenso, si modifica il modo di vedere l’oggetto
zoommato. Più frequente è la PAUSA: include tutte le sezioni narrative in cui non è implicato nessun movimento
della fabula, per es. quando un elemento viene descritto. Ciò l’effetto di ritardare la fabula, senza però che la
fabula vada avanti come nello slow down. Non si possono definire pausa le retroversioni, anche quando
contengono descrizioni che però sono motivate dalla fabula (nell’antichità, per es. Omero, la pausa era rifiutata,
mentre accettata e accolta dal naturalismo; il post-naturalismo legava la fabula alla visione di un personaggio; si
implica che sia passato un certo tempo mentre il personaggio analizza l’oggetto, indicato da un verbo di senso o
da avverbi di tempo; la pausa di fatto è nascosta in una scena; nella narrative modernista, la pausa viene adottata
in maniera aperta. Il post-modernismo non si focalizza sulla questione del ritmo narrativo, e non solo ci si
preoccupa della convergenza tra TS e TF, ma la si distrugge e frammenta. Nonostante la mancanza di precisione,
esso aiuta a caratterizzare storicamente i diversi modi di narrazione.
La FREQUENZA è un terzo aspetto spesso distorce ordine e ritmo. Così definita da Genette, si intende la
relazione numerica tra gli eventi della favola e quelli della story. La ripetizione, per es., ha sempre avuto un lato
paradossale, perché due ripetizioni identiche non sono davvero identiche, e lo stesso vale per gli eventi. Il primo
evento di una serie differisce da quelli che lo seguono anche solo per essere il primo. La frequenza più ricorrente
è quella della singola presentazione di un singolo evento. MA di solito viene usata una combinazione di questo
tipo di frequenza e degli altri possibili. Il secondo tipo di frequenza si verifica quando un evento succede più
spesso ed è presentato ogni volta che accade. C’è una ripetizione a entrambi i livelli quindi si tratterebbe di una
singola presentazione; non così se l’evento accade spesso ma non è presentato tutte le volte. Più un evento è
banale, meno la ripetizione colpisce. La ripetizione è quando un evento accade solo una volta ed è ripresentato
più volte, che però può essere nascosta grazie a delle variazioni stilistiche, o variazioni di prospettiva (USATO
SPESO NELLA NARRATIVA SETTECENTESCA EPISTOLARE). Il contrario della ripetizione è la
presentazione iterativa, una serie di eventi identici presentati una volta sola. Serviva per abbozzare un
background da cui venivano evidenziati certi eventi (per esempio una visita a casa di un amico che avviene
spesso e nelle stesse modalità, ma che solo una volta viene descritta, ma dando dettagli diminuisce la credibilità
che le visite siano tutte uguali). TRE FORME DI ITERAZIONE: se generalizzano e parlano di fatti generali che
esistono anche fuori dalla fabula, sono vicine alle situazioni-descrizioni (per es. la scena in un bordello, che è
unica nella narrazione ma è rappresentativa della vita così come era nei bordelli); OPPURE eventi che sono
relativi a una fabula specifica ma vanno oltre il tempo che copre (ITERAZIONI ESTERNE). Quindi la frequenza
può essere definita: se l’evento accade 1 volta nella storia e 1 nella fabula → presentazione singola; se vari
eventi accadono un vario e pari numero di volte in fabula e story → varie presentazioni; se vari eventi accadono
diversi numeri di volte nella fabula e nell’intreccio → varisingolare; se un evento accade una sola volta nella
fabula ma nella story è ripetuto più volte → ripetizione; se vari eventi accadono più volte nella fabula e una nella
story → iterazione.
I PERSONAGGI sono parte dell’appeal della narrativa. Il termine personaggi = characters si riferisce a figure
antropomorfe(che presenta affinità o somiglianze con l’uomo) di cui il narratore ci racconta. La differenza col
termine agente\attore = actor è che non sempre il secondo somiglia a un essere umano mentre il primo lo è quasi
sempre; inoltre, il secondo è una posizione strutturale mentre il primo è una complessa unità semantica. Al livello
della story, i personaggi differiscono l’uno dall’altro e in questo senso sono individui. Somigliano alle persone,
ma sono creature di immaginazione. Non esistono di carne, ma sono character-effects → somiglianza tanto forte
con gli esseri umani che si dimentica la differenza. Occorre tenerla da conto, e ricordare sempre che si tratta di
personaggi cartacei che vengono costruiti con un certo proposito narrativo e più ci si distanza da un ritratto
meramente psicologico, più si vede il loro valore letterario. Inoltre, la riduzione di personaggi in categorie, in
personaggi piatti e rotondi, si basa su criteri psicologici. Round characters → complessi come persone, sono
sottoposti a cambiamento, sorprendono il lettore VS. flat characters → stereotipi poco sorprendenti. Vi sono però
dei generi che vanno contro questa analisi psicologica, dalla Bibbia al post-modernismo, in cui i personaggi sono
piatti. Le situazioni extra testuali creano un’altra ambiguità: l’influenza della realtà sulla storia, anche se non si
studia la relazione tra testo e contesto come oggetto separato di analisi, è innegabile (quindi questo ha a che fare
con la situazione personale, il background, la conoscenza e il periodo storico del lettore). Inoltre la descrizione di
un personaggio è spesso colorata dal giudizio ideologico dei critici, spesso involontario; spesso, personaggio e
autore vengono visti come una sola cosa.
Un personaggio può essere più o meno PREVEDIBILE a seconda delle informazioni che sono disponibili su di
lui. Le informazioni che sono sempre disponibili hanno a che fare con la realtà extra-testuali. → FRAME OF
REFERENCE: informazione che può essere definita comune. Personaggi letterari e mitologici possono essere
più facilmente identificati a questo modo, i secondi per un certo codice di comportamento che ci si aspetta da
loro. Ci si può anche discostare da queste aspettative per creare sorpresa (per es. Babbo natale che odia i
bambini). A loro volta queste variazioni possono essere riprese in una rete di citazioni intertestuali. Con i
personaggi storici, mostrare un loro lato inaspettato viene accettato più prontamente, ma le possibilità sono
sempre limitate dal frame of reference, per non snaturarli. Sono PERSONAGGI REFERENZIALI, che si basano
sul confronto che abbiamo con le aspettative su di loro. Sono anche trappole per il lettore, che tende a non notare
quello che già sa fino a che il contrasto non è forte (per es. Edipo del complesso freudiano e l’Edipo di Sofocle
che non sa di aver ucciso suo padre e di amare sua madre; inoltre, agisce secondo desiderio e non impulso
represso). I personaggi NON HANNO INCONSCIO, solo le persone lo hanno, quindi l’analisi psicologica
dovrebbe avere a che fare sulle modalità in cui il testo stimola nel lettore a un livello simile ad esso. L’allegoria
del lettore che coniuga personaggio e persona è il Narciso di Ovidio, che non separa inizialmente l’immagine
dalla persona. Nonostante i personaggi referenziali risultino più prevedibili, tutti lo sono dal momento in cui sono
presentati, perché ogni menzione contiene delle informazioni che escludono certi sviluppi (per esempio, una
donna non può essere un prete; oppure, certi personaggi possono tendere a essere protagonisti di solo un certo
tipo di fabula). Anche con una prima persona vi sono delle limitazioni: quando ha un nome, viene determinato il
suo sesso e il suo status, inoltre i nomi possono anche essere motivati da certe caratteristiche dei personaggi.
Inoltre, alcuni personaggi possono rifarsi a degli stereotipi del loro status (una vecchia Miss ha tutta una serie di
stereotipi associati alla sua persona, rendendo il personaggio referenziale). A limitare ulteriormente le possibilità
c’è il RITRATTO del personaggio: l’aspetto fisico influenza la sua vita, e così la professione, che spesso
determina il suo destino. Ma sono solo ASPETTATIVE, non per forza determinanti. Anche in GENERE ha a che
fare con la prevedibilità del personaggio perché crea aspettative anche se può essere rotto. Le alterazioni di un
genere sono soggette a quanto di fatto le aspettative che crea siano realizzate o meno. La prevedibilità di un
personaggio è legata alla frame of reference del lettore a cui esso sembra appartenere, oltre che all’atteggiamento
del lettore, che può cercare di riempire i vuoti o lasciarsi dominare dalla storia. Accade che un certo dettaglio di
un personaggio sia in relazione con un evento o una serie di essi; stabilire questa connessione non è segnalare
prevedibilità, che permette di formare un’immagine coerente ma non è l’unico modo e non contrasta per forza
con la suspense. Quando un personaggio appare per la prima volta non si sa molto di lui e le qualità della sua
prima presentazione non sono tutte individuate dal lettore; emergono più chiaramente grazie al loro ripetitivo
emergere in varie forme. Anche l’aumento dei dati aiuta a costruire il personaggio. Altro mezzo per costruire il
personaggio sono le relazioni con gli altri personaggi (e con se stesso): esse si sviluppano con similitudini e
contrasti. Infine, i cambiamenti che il personaggio attraversa a volte alterano la sua configurazione. I loro effetti
però possono essere descritti solo quando il personaggio è stato “riempito”. Per distinguere le caratteristiche di
primaria e secondaria importanza di un personaggio un metodo è fare una selezione di assi semantici = paia di
significati contrari. Per es. piccolo e grande sono un asse semantico. Selezionarle vuol dire scegliere tra tutte le
caratteristiche elencate, quelle che possono adattarsi al maggior numero di personaggi; oppure, se si tratta solo di
pochi personaggi, degli assi più fortemente legati a un evento importante o eccezionali. In questo modo si usano
per fare una mappa di somiglianze e differenze tra i personaggi. Alcune qualificazioni hanno a che fare con il
ruolo sociale o familiare. Se un personaggio è un fattore e un padre, questi ruoli determinano le qualificazioni
che riceve, e di conseguenza si possono fare previsioni sui personaggi che gli stanno attorno. Ma il pensiero
binario risulta problematico, la riduzione di un insieme caotico in due centri. Una volta che si comprende quale
personaggio sia marcato da un certo asse semantico si può stabilire una gerarchia di personaggi più o meno
marcati da essi. Se vi sono molti personaggi marcati da uno stesso asse con degli stessi valori positivi o negativi,
essi sono PERSONAGGI SINONIMI. Tuttavia, il grado in cui essi sono marcati può avere forte influenza. A
questo punto si può guardare alla connessione che esiste tra i vari personaggi. Un sesso è combinato con una
certa posizione ideologica? PER ES. NEL 1700 MOLTI PERSONAGGI MASCHILI SONO ASSOCIATI A
UN’IDEOLOGIA MILITARE. Non è detto perché che le donne abbiano un’ideologia pacifista, quindi l’asse
militarismo-pacifismo non è marcato. Quindi ci si chiede se il fatto che una certa categoria non sia in relazione
con una certa ideologia abbia importanza. → se ne desume che il fatto che le donne non siano marcate nell’asse
denota la loro mancanza di posizione sociale all’epoca. Il personaggio può anche esibire connessioni o
discrepanze con la sua situazione e ambiente. Infine, la sua descrizione può essere contrastata con la sua funzione
e come gli eventi lo cambino o influenzino la fabula.
Le informazioni su un personaggio sono o menzionate esplicitamente (QUALIFICAZIONI) o dedotte dal suo
comportamento, dall’autoanalisi (personaggio che parla di sé) che non è una garanzia di un giudizio affidabile, il
suo parlare di sé stesso ad altri che, se riceve disposta, diventa una qualificazione PLURALE perché ha più fonti.
Se un personaggio parla di un altro ed esso è presente, il secondo può o meno confermare quello che il primo
afferma. Ultima possibilità di qualificazione esplicita è un narratore esterno alla fabula. Se un personaggio è
presentato tramite le sue azioni abbiamo delle QUALIFICAZIONI IMPLICITE = QUALIFICAZIONE DA
FUNZIONE, per cui la frame of reference del lettore diventa fondamentale. Se si coinvolgono le possibilità della
frequenza l’analisi si complica. Ogni qualificazione è sempre durativa quindi le possibilità della frequenza
scendono a due. Le qualificazioni implicite si possono dividere tra quelle potenziali e realizzate. La prima
categoria di informazioni rimanda a qualificazioni esplicite, la seconda alle implicite. Le prime non sono per
forza affidabili, le seconde vanno interpretate. Si può classificare il grado dell’enfasi in cui un personaggio è
qualificato (secondo frequenza di qualificazione e i modi in cui essa è comunicata). Assieme con il numero di
assi semantici da cui è marcato, si può giungere a una migliore analisi che quella tra piatto e rotondo.
L’EROE di una storia è difficile da definire. Se nel 1800 esso era il personaggio che poteva sopravvivere in una
società spietata mentre l’eroe esistenziale è antiborghese e impegnato in politica. Le caratteristiche per
distinguere l’eroe possono essere una combinazione di qualificazioni (informazioni ampie su aspetto, psicologia
e motivazione e passato); distribuzione (l’eroe si rintraccia spesso nella storia e la sua presenza è chiave in
momenti importanti della fabula); indipendenza (l’eroe può rimanere isolato o fare monologhi); funzione (alcune
azioni sono esclusivamente dell’eroe, per esempio sconfiggere nemici); relazioni (ha relazioni con il più ampio
numero di personaggi). Va distinto l’eroe vincitore e l’eroe vittima (non sconfigge l’opponente) o l’antieroe
passivo (non si distingue per funzione ma rispetta gli altri criteri).
Esiste una linea tra la naturalizzazione spaziale della fabula e la messa in scena teatrale della storia La storia
consiste in operazioni di arrangiamento e qualificazione: il modo in cui viene presentata la fabula. Gli SPAZI in
questo senso sono legati a certi punti di percezione, e la loro relazione costituisce lo spazio della storia. Il punto di
percezione può essere un personaggio che, situato nello spazio, lo osserva e reagisce; oppure può essere anonimo.
Se la storia si costituisce di spazi in cui i personaggi vivono, essi li percepiscono con tre sensi: VISTA, UDITO E
TATTO. Essi partecipano alla presentazione dello spazio nella storia. Il mondo in cui qualcosa è sentito o visto
può aiutare a stabilire la posizione del personaggio. Il tatto invece indica la vicinanza a qualcosa. Viene inoltre
usato per indicare la materia\sostanza delle cose. L’odore può caratterizzare lo spazio ma meno frequentemente,
e il gusto raramente partecipa. Tramite i primi tre sensi si possono stabilire due relazioni tra personaggi e spazio:
lo SPAZIO IN CUI UN PERSONAGGIO E’ SITUATO SI CHIAMA FRAME. IL MODO IN CUI LO SPAZIO
E’ SENTITO (per es. sicuro o insicuro), cosa che non è fissa. Lo spazio può avere un forte valore simbolico, e
culturalmente i vari spazi sono associati a significati che la narrative può o meno sostenere. Inoltre, lo spazio può
riflettere la situazione di un personaggio, per esempio una violenza. Il framing può essere prima di tutto spaziale
ma poi stabilire una serie di relazioni tra il testo (descrittivo), la storia (focalizzazione) e la fabula (l’evento che
accade in quello spazio). Gli oggetti che si trovano in uno spazio lo riempiono e hanno status spaziale
determinando l’effetto del colpo d’occhio che è spesso specifico di una cultura (per es. una stanza affollata che
pare più piccola, e una vuota che pare più piccola). Anche come sono posizionati ha influenza, e come essi sono
presentati.
Il CONTENUTO SEMANTICO dello spazio può essere costruito come quello del personaggio. Vi è una
combinazione preliminare di determinazione, ripetizione, accumulazione e di relazione tra i vari spazi. La
DETERMINAZIONE è ancora una volta raggiunta grazie al frame of reference del lettore (quelli che sono più
familiari con le atmosfere di un certo luogo sono avvantaggiati). Funziona sulle basi dell’applicazione di
caratteristiche generali (per es. le caratteristiche in comune tra grandi città). Più lo spazio è presentato nel
dettaglio, più qualità specifiche sono aggiunte a quelle generali che divengono meno dominanti anche se non
smettono mai di funzionare. Nella story gli spazi funzionano in maniere differenti: possono essere solo una
cornice e in questo caso devono essere presentati concretamente, anche se possono rimanere interamente sullo
sfondo. OPPURE possono essere tematizzati, diventando un acting place piuttosto che un place of action,
influenzando la fabula che diviene subordinata alla presentazione dello spazio (il fatto che una cosa stia
accadendo qui è importante quanto il fatto di come sta accadendo). Lo spazio tematizzato può funzionare
stabilmente o dinamicamente. → una cornice fissa o un fattore che permette il movimento dei personaggi. Lo
spazio è un luogo di passaggio largamente variegato. Il movimento dei personaggi può consistere nel loro
spostarsi da uno spazio all’altro, spesso opposti. Il personaggio che si muove verso un obbiettivo deve sempre
viaggiare verso un altro spazio. In molte stories il movimento è lo stesso obbiettivo, equivalente a cambiamento,
sapere, libertà. Tradizionalmente, gli uomini viaggiano e le donne restano a casa. → letteratura epica vs
letteratura lirica. Il novel emerge come un genere femminile. L’epica evolve non tanto nel glorioso passato di
conquista ma resistenza a queste conquiste e farne di nuove. Il movimento totalmente privo di meta può avere la
funzione di presentare lo spazio: può essere circolare, col personaggio che ritorna al punto di partenza. →
labirinto, prigione.
La RELAZIONE TRA GLI ASPETTI TRA SPAZIO ED EVENTO diventa chiara pensando a combinazioni
stereotipate: per es. le scene d’amore sono spesso ambientate in luoghi speciali, i fantasmi appaiono tra le rovine
ecc. → TOPOI. Come sempre, l’aspettativa che una scena si svolga in un certo spazio può essere frustrata. Nel
romanzo naturalista, poiché l’ambiente influenza le persone, la casa di un personaggio è connessa col suo modo
di vivere. Inoltre, la posizione spaziale di un personaggio può influenzare il suo umore (per es. essere in un posto
alto può sollevare lo spirito). La RELAZIONE TRA SPAZIO E TEMPO è importante per il ritmo della
narrazione. Quando uno spazio è presentato nel dettaglio, implica un’interruzione nella sequenza temporale a
meno che la sua percezione non sia graduale e possa essere vista come evento. Le indicazioni spaziali sono
sempre durative perché c’è sempre di mezzo un oggetto permanente.
Le INFORMAZIONI su uno spazio è spesso ripetuta, per sottolineare la stabilità del frame rispetto all’instabilità
degli eventi. Ci sono vari modi di presentarle esplicitamente: a volte è sufficiente una indicazione senza grandi
dettagli. Come uno spazio viene visualizzato dipende dalle presentazioni che ne sono state date in precedenza.
Quando segmenti separati di narrativa sono dedicati alla presentazione di informazioni sullo spazio abbiamo una
DESCRIZIONE. La descrizione è spesso legata alle percezioni di un personaggio, per esempio sono più elaborate
quando un personaggio entra in uno spazio per la prima volta. Nei romanzi realistici le descrizioni dello spazio
sono estremamente dettagliate, per sottolinearne l’aspetto realistico. Inoltre, lo spazio può anche essere descritto
per l’azione che con esso si svolge (per es. andare a sbattere contro un albero). L’effetto delle informazioni sullo
spazio non è determinato solamente dal mondo in cui sono trasmesse. Anche la distanza da cui uno spazio è
presentato ha effetti sull’immagine: per es. una descrizione da lontano sarà meno dettagliata che una da vicino.
Ma chi sta “vedendo”? Vi è sempre un punto di vista; anche tentando di dare oggettività, cioè presentare solo
quello che è visto e percepito senza commento e lasciando spazio all’interpretazione implicita, ciò resta un
processo psicosomatico e la familiarità con quello che si vede influenza la percezione, ma anche la luce, la
posizione di chi guarda, l’atteggiamento psicologico. La relazione tra gli elementi presentati e la visione da cui
sono presentati è la FOCALIZZAZIONE (altre teorie sono quelle del punto di vista o della prospettiva narrativa,
ma non fanno distinzione tra la visione da cui gli eventi sono presentati e l’identità della voce che verbalizza
questa visione, anche se è possibile che una persona esprima quello che vede un’altra.
La relazione tra gli eventi della fabula può essere compresa solo attraverso la mediazione di una terza parte. La
focalizzazione è la relazione tra la VISIONE, L’AGENTE CHE VEDE E QUELLO CHE E’ VISTO. E’ una
componente della story: A dice che B vede quello che C fa. Più gli agenti coincidono più il punto di vista è
diretto. → STREAM OF CONCIOUSNESS. Ma l’atto di narrare attraverso un discorso (speech act) è diverso
dalla visione, memoria e percezione raccontati. La focalizzazione nella storia si trova tra testo linguistico e fabula.
Il soggetto della focalizzazione è il FOCALIZZATORE, il punto da cui gli oggetti sono guardati che può trovarsi
dentro o fuori da un personaggi. Se coincide, quel personaggio è avvantaggiato rispetto agli altri perché il lettore
vede attraverso i suoi occhi (CHARACTER BOUND FOCALIZOR). Il lettore può raggiungere una conoscenza
maggiore da quello che il personaggio vede del personaggio. Un caso speciale di focalizzazione è la MEMORIA,
una visione del passato che, in quanto atto è situata nel presente. Dunque è spesso un atto narrativo. Le memorie
però sono inaffidabili riguardo alla fabula e quando tradotte in parole subiscono un processo retorico. → la storia
che si ricorda non è identica a quella che si racconta. Questo è evidente soprattutto nel caso di traumi, in cui
spesso la memoria si presenta come frammentata. Siccome questo diminuisce la logica della fabula nel momento
in cui il trauma avviene, e la persona non può ricordarli, incapacità che si trova sia al livello della story che del
testo. La memoria è anche il ponte tra il tempo e lo spazio. Ad esempio, la memoria può evocare un tempo in cui
un personaggio viene allontanato dal suo spazio; oppure, si può tornare indietro a un tempo in cui lo spazio era
differente: dare a uno spazio una storia è un modo di spazializzare la memoria. Il panorama non è più una
decorazione ma diventa un “essere”. La FOCALIZZAZIONE INTERNA può variare da un personaggio all’altro
anche se il narratore resta costante. Si mostra come due personaggi vedono lo stesso fatto. → neutralità verso i
personaggi. La focalizzazione è interna quando si trova in un personaggio che è un attore della fabula, mente è
ESTERNA se l’agente è anonimo. La focalizzazione può uscire o entrare da un personaggio. Non tutti i
personaggi focalizzano e non tutti allo stesso modo; oppure, la storia può essere interamente focalizzata
all’esterno. In questo caso, la bias del focalizzatore resta nascosta, perché non esiste oggettività.
E’ importante accertarsi di quale personaggio focalizzi quale oggetto. Questo perché l’immagine che riceviamo
del secondo dipende dal primo, ma allo stesso tempo, come l’oggetto viene focalizzato dice qualcosa del
focalizzatore. Bisogna chiedersi cosa focalizza il personaggio, con che atteggiamento lo fa e chi focalizza cosa. Il
personaggio può focalizzare qualunque elemento, a cui dà una sua interpretazione in un certo grado, più o meno
esplicitamente. Anche se una descrizione può sembrare oggettiva e impersonale, essa può non esserlo grazie
all’uso di metafore il narratore può cercare di fare entrare l’oggetto nel suo reame di esperienza. Una
presentazione realistica può dunque riflettersi nella maniera in cui è percepita, e la interpreta in un modo specifico
perché sia assimilata dal personaggio. L’oggetto può anche essere meno osservato e più interpretato, magari
perché è di fantasia evocata da una conoscenza del personaggio, di cui si scopre anche il mondo di pensare,
mostrando per es. quel set di associazioni valide per il personaggio che focalizza l’evento (ad es. angelo visto
tradizionalmente come donna-asessuata → donna = angelo → angelo VS puttana). Infine, si comprende anche
come il testo vada interpretato (per es. se seriamente o umoristicamente). QUINDI il mondo in cui l’oggetto è
presentato può dare informazioni sul modo in cui il focalizzatore percepisce il mondo, non importa che l’oggetto
esista o meno realmente. Non è sempre detto che il focalizzatore veda qualcosa al difuori di sé. Quindi solo chi ha
accesso alla mente del personaggio vede questo qualcosa, che non può essere un altro personaggio ma un
focalizzatore esterno. L’oggetto è reale se anche altri personaggi possono percepirlo. Poiché gli altri personaggi
non hanno il vantaggio del lettore, che vede nella mente del focalizzatore e non possono reagire ed adattarsi ad
essi, la focalizzazione ha un forte potere manipolatorio (per es. ne La gatta di Colette, il lettore è manipolato nel
prendere le parti del marito rispetto alla moglie). Quindi occorre tenere a mente la differenza tra parlato – ciò che
può essere udito quando la focalizzazione è altrove, e il taciuto, come per esempio monologhi interiori.
Dunque vi è sempre un agente che sta percependo qualcosa e le cui percezioni vengono presentate al lettore. Un
focalizzatore esterno può essere non particolarmente indicato, una prima persona ma altro personaggio, o un altro
personaggio (terza). La focalizzazione può essere complessa. Quando si hanno delle frasi con delle subordinate, si
può capire chi sta focalizzando solo grazie ad esse. Per es. un focalizzatore esterno può il personaggio-
focalizzatore, che sta “vedendo” qualcosa, il che è un’azione non percettibile (diversamente da guardare, che
invece lo è), quindi l’oggetto complesso focalizzato è non percettibile. ES. Io ho visto che Mary ha partecipato al
rally. OPPURE nella narrazione di prima persona, in cui il focalizzatore esterno ricorda in seguito che in un certo
momento ha visto accadere qualcosa: Michele vide che Mary partecipava al rally. La prima possibilità esiste in
teoria ma difficilmente accade almeno che non parliamo di discorso diretto e il personaggio-focalizzatore possa
essere identificato con la persona che parla (temporaneamente). Si possono distinguere vari LIVELLI DI
FOCALIZZAZIONE e in questo senso non esiste una differenza tra le narrative in prima persona e quelle in
terza. Quando un focalizzatore esterno lascia spazio a un focalizzatore interno accade che la visione del secondo
viene data all’interno della visione “COMPLETA” del primo: vi è dunque un effetto matriosca, senza che il
focalizzatore esterno sparisca mai. Anche nella narrativa in prima persona vi è solitamente un focalizzatore
esterno, di solito un “io” più vecchio, che filtra il racconto dell’”io”presente. Se si prende in considerazione solo
la relazione tra soggetto-focalizzatore e oggetto-focalizzato, bisogna sempre ricordare che si tratta sempre di una
matriosca, dato che si può sempre tornare al primo livello di focalizzazione (esterno) in qualunque momento. La
focalizzazione è semplice quando vi è solo un focalizzatore di primo livello, complessa se vi sono focalizzatori di
secondo livello. Per segnalare questo cambiamento vi sono dei verbi detti SEGNALI ATTRIBUTIVI (tipo
“vedere, sentire, ecc.”), che possono essere anche solo dedotti. Infine, il focalizzatore esterno può anche osservare
accanto a una persona senza lasciarle la focalizzazione interna. Per esempio quando un oggetto è focalizzato ma
niente indica se sia davvero percepito (discorso indiretto libero). Per ES: The talk was that a new face had
appeared on the embankment: a lady with a little dog. Dmitri Dmitrich Gurov, who had already spent two weeks
in Yalta and was used to it, also began to take an interest in new faces. Sitting in a pavilion at Vernet ’s, he saw a
young woman, not very tall, blond, in a beret, walking along the embankment; behind her ran a white spitz. And
after that he met her several times a day in the town garden or in the square. She went strolling alone, in the same
beret, with the white spitz; nobody knew who she was, and they called her simply “the lady with the little dog.”
Se nelle prime due frasi in focalizzatore è esterno, nella TERZA avviene un cambiamento indicato dal verbo
vedere, mentre nella quarta si ritorna al primo livello; nella quinta vi è ambiguità. La descrizione che segue
dovrebbe essere focalizzata da Dimitri ma non vi è segnale di cambiamento di livello. La prima parte della 5 frase
è focalizzata sia dal focalizzatore di primi livello che da Dimitri: DOPPIA FOCALIZZAZIONE, in cui il
focalizzatore guarda da sopra la spalla del personaggio. Vi è poi anche la FOCALIZZAZIONE AMBIGUA, in
cui è difficile capire chi focalizza.
La SUSPENSE è sia un processo psicologico ma anche una procedura per cui il personaggio o il lettore viene
spinto a farsi domande che saranno risposte più tardi, dopo poco o alla fine della storia; oppure possono rimanere
senza risposta. La suspense si sviluppa richiamando alla memoria la domanda. Può essere generata anche
annunciando un avvenimento che accadrà dopo, o mantenendo un temporaneo silenzio su quello che è già
accaduto. L’immagine viene sempre data dal focalizzatore, che però può essere limitato. In questo caso, i
personaggi sanno più del focalizzatore, come deve risultare apparente in seguito. Possono anche sapere più del
lettore. Allo stesso modo, il focalizzatore può essere in possesso di informazioni che ai personaggi mancano e
attraverso di lui anche il lettore sarà avvantaggiato. Quando viene fatta una domanda, può essere che né lettore né
focalizzatore sappiano la riposta, o che il lettore la sappia prima del focalizzatore. La suspense finisce quando
lettore e personaggio sono allo stesso punto con le informazioni.
L’analisi può essere portata avanti anche su TESTI VISUALI. Valgono le stesse regole: la focalizzazione è
riferita alla storia rappresentata e il narratore è la sua rappresentazione materiale. La focalizzazione è la
prospettiva sulla fabula. L’analisi delle immagini come narrative serve a dare parole a un aspetto di esse che né
l’iconografia o la storia dell’arte riescono a tradurre; inoltre, una comparazione tra narrative letterarie e i film
basati su di esse possono dare origine a una critica che non privilegia la fonte; infine, la visualità arricchisce
l’analisi narrativa. Occorre tenere in mente che la focalizzazione corrisponde al contenuto dei segni visuali (punti,
linee, luce e buio). La focalizzazione è già una interpretazione del contenuto. Resta la distinzione tra focalizzatore
esterno e interno; l’evento rappresentato è l’oggetto focalizzato prodotto da un focalizzatore. Nel caso si tratti di
un focalizzatore interno, lo status dell’oggetto come reale dipende dalla relazione tra esso e il focalizzatore; lo
stesso oggetto può essere interpretato a seconda dei focalizzatori; come per il discorso indiretto libero, che i
focalizzatori interno e esterno coincidano dà luogo a una commistione.
Tradurre una narrativa in film vuol dire prendere i suoi aspetti fondamentali e i suoi significati. Devono essere
entrambi mantenuti nella cultura in cui funzionano: una relazione intertestuale e interdiscorsiva. Le visual sono un
motore della narrazione. La letteratura modernista, più di quella del diciannovesimo secolo, è particolarmente
visiva perché prende in considerazione il problema della conoscenza. Occorre sempre ricordare che chi vede è
reso rilevante da cosa vede e da chi non sta guardando. Quando si esegue un esame della focalizzazione visiva
(cioè si esamina il proprio punto di vista rispetto a una scena, come se ci si vedesse da fuori) si ha una
IDENTIFICAZIONE ETEROPATICA vs. IDENTIFICAZIONE IDIOPATICA, in cui si assorbe e si naturalizza
l’altro. La prima è sempre in pericolo di alienazione, in quanto lo stato spettatore da parte di chi guarda lo deruba
dal rapporto con l’altro; quello che si vede è quasi una fotografia, che impiega un attimo a stamparsi negli occhi
di chi guarda, un attimo fantasma. Le dinamiche della focalizzazione entrano in gioco in ogni testo visuale che
contiene tracce di lavoro rappresentativo, in cui il testo diventa narrativizzato. Alcune narrazioni si prestano
meglio alla traduzione visiva perché sono di loro già visive attraverso le descrizioni. → storytelling cinematico,
che menziona azioni, suoni, coordinate temporali, azioni che non si ricorda di aver compiuto.

3) Barthes afferma che i testi narrativi che si rintracciano nel corso della Storia derivano da un modello comune
che le rende riconoscibili. Studi paralleli in diversi paesi sono portati avanti basandosi sull’assunto che esista una
omologia tra la struttura linguistica di una frase e quella di un testo, ma anche a livello più profondo che si poggia
su basi logiche. → la FABULA. Altra omologia su cui si basano è quella tra la fabula narrativa e quella reale,
cioè quello che si racconta e quello che si fa. Contro questa omologia si è detto che ignora la differenza tra arte e
realtà, tuttavia qui si parla di una struttura simile non nella concretezza; inoltre, che in certi tipi di narrativa (per
es. fantasy), questa omologia pare assente TUTTAVIA si tratta della DECOSTRUZIONE di uno storyline
realistico, non della sua assenza, e inoltre i lettori cercano la logica anche dove sembra assente. La fabula tende a
essere costruita secondo la “logica umana degli eventi”, e cioè un corso di eventi che il lettore sente come
naturali. Dunque c’è una parte della fabula che si basa su elementi extra-letterari → narratologia e antropologia a
volte collidono, e concernono la relazione tra la narrativa e la realtà con le sue strutture sociali. L’analisi
antropologica aiuta a comprendere i costrutti che si trovano alla base della materia narrata, e quella narratologica
a dare ad essi un senso nel contesto, a distinguerlo dal presente di chi legge e a vedere i punti in comune con esso.
La STRUTTURA della fabula è fatta di elementi FISSI e VARIABILI: OGGETTI (agenti, setting e cose) e
PROCESSI (gli eventi) che non possono operare gli uni senza gli altri. Gli EVENTI sono la transizione da uno
stato a un altro causati o esperiti dagli agenti. L’evento è un processo e nella fabula sono espressi da frasi. Che un
elemento sia un processo o un oggetto spesso dipende dal contesto e possono essere comparati tra loro solo se
mostrano delle corrispondenze. I VERBI mostrano per esempio se il soggetto si trova in una condizione (John is
ill) o avviene un cambiamento (John falls ill). Tuttavia, non si tratta sempre di un elemento decisivo per decretare
se una frase sia un evento o no, inoltre non tutti gli eventi sono indicati da un verbo. Barthes distingue tra eventi
FUNZIONALI e NON FUNZIONALI. I primi creano una scelta tra due possibilità, la realizzano e mostrano i
risultati di questa scelta (Liz esce di casa per andare a lavoro. Gira a sinistra e va dritta. Arriva al lavoro alle 8.30.
In questo caso, GIRA A SINISTRA è un evento funzionale, perché è la scelta che causa il suo arrivo al lavoro).
Se così non è, gli eventi possono parlare di una caratteristica del personaggio (per esempio la sua puntualità)
perché non hanno conseguenze sul resto della fabula. HENDRICKS suggerisce un terzo metodo per selezionare
gli eventi attraverso una procedura formale. → la struttura della fabula è determinata da un confronto. Quindi
ogni fase della fabula (evento funzionale) consiste in due agenti e un’azione = due argomenti e un predicato = due
oggetti e un processo. → soggetto + predicato + complemento oggetto (che deve essere un agente, anche quando
questo è implicito: Liz scrive una lettera [a John]). Anche quando si ha a che fare con un piccolo paragrafo ma il
soggetto rimane isolato e non mutano le relazioni tra esso e un altro agente, l’evento non è funzionale.
TUTTAVIA, anche quando è presente un essere umano o un animale come complemento oggetto, non è detto che
si tratti di attori nella fabula (per es. John uccide la mosca → evento funzionale solo se la mosca è un personaggio
della fabula). Se la fabula è una sequenza di eventi legati da logica e cronologia, allora occorre individuare le
relazioni tra gli eventi. A partire dalle assunzioni di Barthes, il pensiero strutturalista cerca il modello più astratto
che è confrontato col caso specifico. Uno di questi è il modello di BREMOND, che parte dal fatto che il testo sia
regolato dalla logica di pensiero e azione umana e sulle sue convenzioni (per es. una tragedia greca deve
coinvolgere personaggi mitici) basate su assunti ideologici e politici, tenendo conto del contesto in cui l’opera è
stata scritta). Si tratta di un modello astratto che vede la fabula come un raggruppamento di serie di eventi.
L’intera fabula = un processo; evento = parte di un processo. TRE FASI: possibilità, evento e risultato. Non sono
indispensabili tutte. Vi sono SERIE ELEMENTARI, e cioè serie di possibilità, evento e risultato combinate tra
loro con processi che si verificano uno dopo l’altro; oppure, i processi possono essere a matriosca, quando una
possibilità ne apre un’altra, con una SERIE PRIMARIA che contiene la SERIE SECONDARIA, non per forza
dimostrandosi più importante. Questo può influenzare lo stile della fabula, quando sono processi ripetuti. Vi sono
però delle possibilità che possono dare origine a una varietà di risultati, per questo la varietà di fabula è ampia. Se
una narrative consiste in un atto linguistico attraverso cui una serie di eventi DI UMANO INTERESSE sono
integrati in uno stesso atto, allora una delle divisioni di essi è quella tra PROCESSI DI MIGLIORAMENTO e
PROCESSI DI DETERIORAMENTO dalla situazione iniziale. Entrambi sono possibili, realizzabili o possono
concludersi con successo o meno. Possono anche essere inscritti l’uno nell’altro. Questi vari processi raggruppati
in combinazioni sono il CICLO NARRATIVO. Ognuno dei processi ha una etichetta semantica, per es:
RAGGIUNGIMENTO DELLA MISSIONE; INTERVENTO DEGLI ALLEATI; ELIMINAZIONE DEI
NEMICI; NEGOZIAZIONE; ATTACCO; SODDISFAZIONE. Come processi di deterioramento, egli cita:
PASSO FALSO; INDEBITAMENTO; SACRIFICIO; ATTACCO SUBITO; PUNIZIONE SUBITA. Le loro
infinite varianti assumono forma concreta. Questi eventi possono essere in relazione tra loro e il modello di
Bremond si può utilizzare solo come base. Gli eventi possono essere raggruppati secondo gli agenti coinvolti; se
l’ordine cronologico è mantenuto o ricostruito, la fabula si segmenta in fasi. Si può dividere anche a seconda se
gli attori siano oggetti o soggetti in queste determinate fasi. Si possono contrastare eventi che coinvolgono molti
attori con quelli che ne coinvolgono due, oppure quelli in cui sono coinvolti i protagonisti vs. un protagonista e un
personaggio secondario, ecc. Altra classificazione si basa sulla natura del confronto (verbale, mentale, corporale);
infine, secondo la loro cronologia o location. Gli attori da prendere in considerazione sono quelli che hanno parte
funzionale nella fabula causando e subendo un cambiamento (possono comunque avere significatività in altri
contesti). Gli attori vanno divisi in classi, a seconda della loro relazione con uno scopo, che può essere la riuscita
di qualcosa di piacevole o la fuga da qualcosa di spiacevole (WISH e FEAR). In questo modello, proposto da
GREIMAS, gli ACTANT sono classi di attori che hanno una qualità caratteristica in comune = funzione nella
fabula. La prima relazione è quella tra SOGGETTO, colui che persegue uno scopo, e OGGETTO, lo scopo stesso
= soggetto e complemento oggetto. Quindi le prime due classi sono SUBJECT ACTANT e OBJECT ACTANT
(Jonh (s) vuole sposare Mary (o)). L’oggetto non è sempre una persona ma anche uno stato di cose; oppure,
amore, soldi, saggezza, felicità. L’intenzione del soggetto non è abbastanza per raggiungere l’oggetto perché ci
sono sempre delle forze che glielo impediscono. Quindi si possono distinguere altre classi: POWER ACTANT
(chi supporta il soggetto nei suoi piani) e RECEIVER ACTANT (chi riceve l’oggetto) = mittente e destinatario. Il
potere è spesso una forza astratta o ramificato in varie forze astratte; il receiver è spesso una persona e spesso il
soggetto. Il membro degli agenti è illimitato, da uno a folle che insieme ne costituiscono uno solo. L’oggetto fin
qui è di desiderio e di comunicazione. Ma la fabula va complicata e il soggetto deve incontrare difficoltà e
ricevere aiuto. → circostanze dell’impresa. = nella frase grammaticale sarebbero avverbi. Sono ACTANTS
diversi dagli altri perché sono in relazione con le funzioni che collegano soggetto e oggetto. Determinano le
avventure del soggetto. Il POWER è diverso dall’HELPER: il primo ha potere su tutta l’impresa, è spesso
astratto, rimane nelle retrovie ed è solo uno; il secondo può dare solo aiuto incidentale, è concreto, viene messo in
primo piano, è spesso multiplo. → stesso vale per NEGATIVE POWER e OPPONENT. Per quanto riguarda le
simpatie del lettore, non sono sempre scontate. L’helper non sempre porta alla fine desiderata dal lettore; quando
il soggetto, per esempio, non è apprezzato dal lettore, può essere che non lo sia neanche l’helper. Helper e
opponent possono essere avversati, e anche cose astratte come una storia per Sch. Possono essere helpers. →
dunque sono necessari ma non una garanzia; dalla presenza degli opponents deriva la suspense della fabula.
Poiché questo modello è strutturale, descrive le relazioni tra i fenomeni e non i fenomeni stessi. Il concetto di
actant deve essere distaccato dalla persona: per questo, un personaggio può appartenere a più classi. La relazione
tra soggetto e e oggetto è la più importante: può essere volta all’acquisizione di qualcuno, qualcosa o una qualità.
Quindi non sempre oggetto e soggetto sono separati (relazione soggettiva). Più la relazione è soggettiva, più gli
actant diminuiscono. Alcune fabula hanno PIU’ SOGGETTI IN OPPOSIZIONE= SOGGETTO E
ANTISOGGETTO → non è un opponente in quanto non si oppone alla ricerca del soggetto, ma le loro ricerche si
incrociano. Quando invece una fabula a un actant che ha una ricerca autonoma, esso è un SOGGETTO
AUTONOMO. Quando il secondo soggetto non si scontra con il primo ma è indipendente o lo aiuta
accidentalmente, le varie definizioni si incrociano. La sua comparsa è indicatrice di una SUB-FABULA. Inoltre,
il POWER può consistere in due actants, uno positivo e uno negativo.
Un altro principio per giudicare gli actants è quello dell’ESECUZIONE (che permette il processo che è la
fabula), ed è cioè la COMPETENZA. GREIMAS suddivide la competenza in DETERMINAZIONE O
VOLONTA’ di procedere all’azione, POTERE O POSSIBIITA’ di farlo e LA CONOSCENZA O ABILITA’ di
raggiungere lo scopo. I critici su queste basi distinguono tre tipi di soggetti. La prima fase della fabula è quella in
cui il soggetto inizia a desiderare l’oggetto → INTRODUZIONE alla fabula. La distinzione tra potere\possibilità
e conoscenza\abilità è il secondo principio di differenziazione (actant con poteri magici superiori vs. actants con
grande intelligenza o conoscenza, per es.). Ultimo elemento della differenziazione è il TRUTH VALUE = realtà
degli actants nella struttura degli actants. Coinvolge non solo i soggetti ma anche gli helper e opponent, che a
volte possono dimostrarsi il contrario di quello che sembrano. Alcune categorie di agenti particolari sono:
BUGIARDI, MASTER FIGURES, FALSI EROI, FATE INVISIBILI, COLORO CHE DICONO LA VERITA’,
FALSI INDIZI, ISPIRAZIONI, SEDUTTORI ecc. La verità esiste solo quando quello che sembra è quello che è.
Quando un agente nasconde la propria natura, è segreto; quando sembra ciò che non è, è un bugiardo. Anche gli
actanial schemes possono essere qualificati come veri o falsi → per es. un soggetto che aspira a un obbiettivo
illusorio e che lo capisce. Fabula che mostrano un’influenza predominante di un segreto nelle sue actanial
structures sono diverse da quelle in cui una bugia determina la struttura (detective stories vs. spy stories). Vi sono
poi altri DIVISIONI IN CLASSI: le relazioni psicologiche, poiché per la maggior parte la narrativa si incentra
sulle persone, sono importanti. Ad esempio, relazioni di parentela e come influenzano il genere della narrativa
(commedia, tragedia ecc.), oppure tra marito e moglie, bambino e adulto, forte e debole. Inoltre vi sono relazioni
ideologiche (per es. patriarcato e femminismo, feudalismo e liberalismo, ecc.) che determinano opposizioni tra
individuo e collettività, oppure tra individuo e potenti, bianchi contro neri, donne contro uomini, lavoratori vs.
capi, conformisti e individualisti, normali e pazzi. Infine, altre opposizioni possono rivelarsi importanti sulla base
di dati che le riportano a quelle dei primi due tipi: per es. capelli scuri o chiari vs. capelli rossi = bene e male. Ciò
accade sulla base di esperienza, cultura, relazioni, età, stile di vita ecc.
Se gli eventi sono processi, i processi per svilupparsi presuppongono una cronologia e una durata. L’unità di
tempo come requisito generico è ristretto al teatro classico; la fabula può comprendere fino a secoli. La prima
distinzione è tra CRISI, in cui in un tempo breve sono compressi degli eventi; e SVILUPPO, che mostra le
conseguenze della crisi in tempi più lunghi. Alcuni tipi di fabula sono fatti per funzionare su una di queste
caratteristiche, come autobiografie o frame narratives (Decameron), che hanno bisogno di tempi lunghi;
viceversa, le tragedie classiche si basano sulla crisi. Ma la distinzione tra le due cose è relativa, perché tendono a
essere presenti entrambe o il tempo che intercorre tra essi. Una volta che sono state selezionate, le due forme
influiscono sullo sviluppo della fabula. Uno sviluppo per esempio tende a presentare molto materiale e a rendere
lunga la fabula mentre la crisi implica una selezione di eventi e dunque una restrizione; uno sviluppo costruisce il
significato globale grazie a una serie di eventi, in una crisi il significato è centrale e riverbera sugli elementi di
contorno; anche lo sviluppo richiede una selezione, con eventi narrati nel dettaglio e altri saltati o riassunti, in
una crisi si incontrano referenze a passato e futuro per dare un senso al presente; la crisi può espandersi in durata
quando un agente minore diventa protagonista di una fabula minore. Questo e la selezione di eventi influenzano
la cronologia della fabula. Spesso, gli eventi omessi vengono menzionati. Le ellissi possono anche avere un
significato a sé, per esempio simboleggiare la poca importanza di un evento nella vita del protagonista (spesso
paradossalmente). Spesso gli eventi accadono contemporaneamente e questa vaghezza è spesso significativa. La
fabula può anche avere dei buchi, oppure essere acronica, impossibile da stabilire per il moltiplicarsi di
storylines. La sequenza è un processo logico quindi la cronologia della fabula si può rintracciare anche se non è
sequenziale, anche se la priorità cronologica non corrisponde a quella qualitativa. La durata può essere
contrastata con la cronologia e ricavare la distinzione tra FABULA E INTRECCIO (story).
Gli eventi accadono in LOCATIONS che possono essere anche solo intuite per gli oggetti menzionati, per
esempio, o per le attività svolte associate a un luogo preciso. In ogni caso, immaginare una location è prerogativa
della mente umana e della predominanza della dimensione spaziale nella mente umana. Spesso le location hanno
dei legami con i personaggi e gli eventi. Si possono suddividere in gruppi per trovare queste relazioni. Si possono
contrastare, per es. il dentro e il fuori, il chiuso e l’aperto, e collegarli a concetti astratti come prigionia e libertà
(non necessariamente in questo ordine). Una piazza centrale = luogo di incontro e di confronto con gli altri e col
mondo, lotta per la sopravvivenza. Città VS. Campagna: iniquità VS. innocenza oppure ricchezza VS. povertà.
Le OPPOSIZIONI SPAZIALI possono essere anche più astratte, collegate a opposizioni psicologiche,
ideologiche e morali. Vicino-lontano, aperto-chiuso, finito-infinito sono spesso opposti a familiare-strano, sicuro-
pericoloso, accessibile-inaccessibile. Nel ROBINSON CRUSOE prima il protagonista sfugge dalla società ma la
sua solitudine lo spinge a ricercarla ma converte la “prigionia” in libertà; eppure, ancora cerca la società, che è
prigione ma anche sicurezza dall’avventura. Luogo particolarmente significativo è la SOGLIA; ma anche il
negozio (tra posto tra dentro e fuori), il mare (tra società e solitudine), la spiaggia (tra terra e mare), i giardini (tra
città e campagna). Vi sono poi anche mezzi di locomozione = luoghi di transizione. Sono comunque delle
costruzioni, sempre difettose.

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